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INTRODUZIONE: LA POESIA DEGLI AFFETTI crest la possie d’hommes qui om fen Tite, grdce 8 le R, Vivier, Et la posste fit langage, p. 89 1. His ibi me rebus quaedam divina voluptas / perci atque horror (3, 28 sg.: «a questo spettacolo mi afferra brivido di una divina volutta»). Cosi Lucrezio, contemplan- do i segreti del cosmo svelati dal genio di Epicuro, con- densava il suo ambiguo sentimento in un ossimoro: una misteriosa (quaedam) volutta — il fine della filosofia epicu- —, quale hanno gli dei assorti in una perenne contem- plazione mista a un brivido di religioso timore (horror)! davanti a uno spettacolo che trascende i limiti_umar "La connessione di Horror con timor & frequent no: eft, in particol alla formido divum del v. 1218, ¢ 1, 65, dove la religio incombe luomini horribili aspectu, «col suo as me», Proprio. picureo dovrebbe essere pacatu posse om ‘wert (5, 1203: [Nega Po 1 volupuas. Studi sw nots ad foc. i Lae 7 Su per git nello stesso scorcio di tempo, poco prima del- la meta del I secolo a.C., un altro poeta latino apparent mente tontanissimo dal severo epicureo ricorreva a ui naloga coppia ossimorica per chiarire a se stesso il suo contraddittorio vissuto: Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris? / Nescio, sed fieri sentio, et excrucior (c. 85: «Odio e amo. Vuoi sapere come mai? Non lo so, ma lo sento, ¢ sono in croce»). Era Catullo; e il distico citato —. Di fi a pochi anni la guerra civile inghiowir’ il mondo ¢ la generazione di Catullo: l'amico Cinna come il rivale Celio. Aveva ragione il Pasquali a parlare di una jeunesse dorée consapevole di danzare sul- Forlo di un abisso.> 3, La provenienza da un’agiata famiglia provinciale (67, 34: Verona mea), che aveva una villa a Sirmione & un podere a Tivoli, lascid Ie sue tracce in Catullo. Gli rimase un fondo di moralita, ¢ anche di moralismo, pro- vinciale, la nostalgia di una perduta purezza (quon- dam...)° che sara, paradossalmente (ma Catullo & poeta paradossale) la base della sua «tivoluzione». Perché, di- ciamolo subito, il «rivoluzionario» Catullo un conser- vatore frustrato. L’estrazione sociale gli diede i mezzi per il suo otiwn di giovin signore, ¢ forse quella im- pronta aristocratica che ne fece uno dei pid raffinati poeti latini ~ anche quando indulge alla scatologia. A Verona il padre di Catullo ospitava Giulio Cesare in viaggio per la Gallia (Svetonio, Div. Tul. 73); ospitd an~ che il proconsole della Cisalpina del 62, Q. Cecilio Me- tello Celere, con la moglie Claudia — non ancora Clo- dia? C’8 chi Jo ha pensato, A ogni modo, se la provincia si affaccia in qualche carme col suo piccolo mondo di pettegolezzi, il vero orizzonte della poesia catulliana (a prescindere dai grandi paesaggi marini dei carmina docta) ® Roma: Romae vivimus, illa domus, / illa mihi sedes, illic mea carpitur aetas (68, 34 sg.: ,!? @ a rivalsa del privato sul politico, dell’individuale sul sociale, del principio di piacere sul principio di realta. Impegnando la totalita dell’essere, rovescia Ia gerarchia dei valori: ¢ questo la morale quiritaria non poteva per- metterlo, Esorcizzava l’eros 0 integrandolo nella struttu- ra sociale mediante il matrimonio, liberum quaesundum causa —® @ il bonus amor del c. 61 ~, 0 emarginandolo come sfogo sessuale con partner socialmente degradati, schiave e liberte (e incontrandosi in questo con la sapien- tia epicurea di Lucrezio). Le ragazze di cui s'innamora- no i giovani della commedia sono cortigiane che quasi sempre, per un provvidenziale «riconoscimento», si tive- leranno libere e potranno convolare a giuste nozze. L’eti- ca della Palliata, che sara valida ancora per Orazio, @ in- cisa in un distico di Plauto: dum ted abstineus nupta, vi- dua, virgine, / inventute et pueris liberis, ara quidluber (Cure. 37 sg.: «purché lasci stare donne sposate, vedove, vergini ~ noi diremmo, o avremmo detto: ragazze di buo- na famiglia -, giovani e ragazzi liberi, ama chi ti pare e piace»). Gia: Clodia non era né schiava né liberta; era una matrona, prima nupta poi vidwa. Il suo rapporto con Abitavano entrambi sul Palatino, forse in ease contigues eft. L. Pepe, Studi catulliani, Napoli 1963, p. 70. "'P. Grimal, L'amour d Rome, Paris 1963 (1980*), p. 36 [trad i Milano 1964, p. 24]. gPeravere figli: la formula ufficiale del matrimonio romano, uM Catullo, dal punto di vista della morale quiritaria, non avrebbe potuto definirsi che stupri consuerudo." Catullo lo chiamava foedus, «patto» (76, 3; 87, 3; 109, 6): un termine della lingua politica e giuridica. Cicerone, evo- cando Pombra del pitt celebre antenato di Clodia, Appio Claudio Cieco, gli fa rivolgere alla degenere nipote Paccu- sa: ideone ego pacem Pyrrhi diremi, ut tu amorum turpis- simorum cotide foedera ferires? (pro Cael, 34: «e io ho. impedito che si patteggiasse con Pirro proprio perché tu ‘ogni giomo stringessi patti di scandalosi amori?»). Se la metafora non nascesse dalla ripresa retorica di pacem, si direbbe quasi che Cicerone ritorce contro Clodia il lin- guaggio di Catullo. Ma il foedus catulliano conserva il suo Jegame etimologico con fides, «fedelt3» (due volte ad es- so associata) e ne eredita intrinseca sacralith:!5 aeternum "Dice Sallusto di una situazione simile a quella di Catllo: erat et ‘cum Fulvia, muliere nobili,stupri vetus conswetudo (Cat, 23,3: ) T giuristdistingueranno: proprie adulterium in nupta committiaur, ‘stuprum vero in virginem viduamgue (Dig. 48, 5, 6, 1; eft. W. Kroll, Die Kultur der ciceronischen Zeit, Leipzig, 1933 = Darmstadt 1963, p. 175). [Cit A. Rousselle, Pomneia, Paris 1989, p. 105: «La lot indique ‘que tout homme qui a des relations sexnelles avec un jeune gargon, une fille de famille ou une veuve, est coupable de stuprums; p. 108: «Dans tous les autres cas (cio’ quando non si tratti di liberta o meretrice), le Romain ne peut avoir de relation sexuelle avec une femme libre qu’en Inj demancant de ?’épouser ou de devenir sa concubine.) ' Esplicita nel ¢. 30, 11: situ oblitus es, at di meminerunt, meminit Fides («se tu lo hai dimenticato, s¢ 10 ricordano gli dei, se lo ricorda la Fides»), Vit tipicamente romana: «sin dall'epoca pit antica, la fides significa labbandono, al tempo stesso fiducioso e completo, di uma persona a un’altra» (M. Meslin, L'uomo romano, trad. ital., Milano 1981, p. 216. [Cit.G. Freyburger, Fides. Brude sémantique et rel se depuis les origines jusqu’a I'époque augustéenne, Pacis 1986.)), ‘Aveva un tempio a Roma sin dal 250 a.C. e compare come dea gid in Plauto e in Ennio. A questa fides Catollo si appellaripetutamente anche 4 proposito dell’amicizia (vd. § 8). Aver pensato a una fides misterica, in particotare dionisiaca, che nel . 76 avrebbe aperto al poeta una pro spettiva eseatologica, é stato uno dei pitt grossi abbeeli della eritica ca- tulliana, a cui hanno inizialmente abboccato anche studiosi di vagha. (Cit. Poet iaxin (e neolatini), 1, Bologna 1986 (19754), pp. 93-129 € 15 sanctae foedus amicitiae (109, 6: «eterno patto di inviola- bile affétto»), Questo vincolo morale, che impegna i due amanti a una fedelt’ lunga quanto la vita (109, 5) e che i poeta affida alla garanzia degli dei (109, 3), ci appare il surrogato di un altro vincolo, giuridico e religioso, che sarebbe potuto essere ~ Clodia era vedova - ¢ che forse egli avrebbe voluto, il matrimonio.** Nei versi del c. 68, rievocanti Pinizio del loro amore, sembra affiorare un rimpianto: nec tamen illa mihi dextra deducta paterna / fragrantem Assyrio venit odore domum (143 sg. «ma lei non @ venuta a me condotta per mano del padre, alla mia casa odorosa di profumi orientali>). Certo il tema nuziale & dominante nei carmina docta, addirittura a livello di io (i cc. 61 € 62 sono epitalami), e se il tolo di Epithalamium Pelei et Thetidis & spurio ed el vo, di nozze mitiche si parla nel c. 64, vedremo poi in che senso, e, in modo pid! tangente ma non meno emble- matico, nel c, 68. II tema compare in negativo persino nel lamento di Aus sulla virilith perduta (63, 69: ego vir ste- rilis ero?). B quando Catullo mette in bocca a Lesbia un giuramento a ascendenza letteraria (70, 1 sg. Nulli se di ‘Aleramo presenta la sua relazione con Giovanni Cena: «Era qualeoso di molto pit. grave del matrimonio, per noi. Senza consacrazione religiosa né ci senza figli, 'avevamo citenuto sin dal principio. intangible» (B. Conti, A Morino, 5. Aleramo e il suo tempo, Milano 1981, p. 36). Poi, come isa, le part si invertirono. 16 non voler essere daltri che mia, neppure se la corteg- giasse Giove>), usa insolitamente i verbo del matrimo- nio, nubere," dove, svolgendo il medesimo topos, Me- leagro aveva detto: orégyety, «voler bene» (Anth, Pal. 5, 8, 3). Ancorando il suo legame con Lesbia alla sacralita della fides e del foedus, Catullo ricorreva alla pid vene- randa tradizione latina per dare un valore positivo, una legittimita psicologica a un rapporto che di quel codice etico-sociale era la pit flagrante infrazione. 6. Liinsistente appello alla fides non era immotivato. Ri- costruire Ja cronologia interna di questa storia d'amore con le sue alterne fasi sarebbe s} romanzesco. Ma una co- sa certa: Lesbia non ricambid la «fedelta» di Catullo. I rara furta, che il poeta si dice rassegnato a tollerare nel ¢. 68, 136, diventano i .” Lepidus & il primo aggettivo del libeltus, riferi- to programmaticamente al Zibellus stesso (1, 1). Siccome Ie ricorrenze assolute dicono poco, le mettiamo a con- fronto con quelle di Orazio, per quel che pud valere un confronto che necessariamente prescinda dalle differenze contestuali ¢ cronologiche (si tenga presente che il rap- porto numerico fra i versi catulliani e oraziani 2 circa di 13,3): famiglia di lepos 12 (1), di bellus 15 (2), di deli- ciae 10 (2), di duleis 26 (55), di elegans 4 (0), di facetiae 6 (4), di iocus 10 (27), di iucundus 15 (10), di mellitus 3 (1), di mollis 19 (30: qualitativamente contrassegnata in Catullo da due diminutivi assenti in Orazio, l’«hapax» mollicellus © molliculus), dii mundus. 5 (15), di tener 10 (17), di urbanus 5 (10), di verustus 12 (0). Era questo il lessico della «cerchia cortese»?* Ut convenerat esse de- licatos, scrive Catullo a uno degli amici pit cari (30, 3: «come sera d’accordo di far delle cose chic»). Giusta- mente si é affermata I’importanza di questa cerchia come destinataria dei carmi di Catullo ela sua incidenza nel condizionare'i modi espressivi. Altrettanto giustamente, mi pare, si era osservato che molte di queste voci sono % P, Monteil, Beau et laid en latin, Paris 1964, p. 163. © M, Citront, Funzione comunicativa occasionale ¢ modalita dé at teggiamenti espressivi nella poesia di Catullo, Fitenze 1919, p. 57 {estratto anticipato degli «Stud. Ital. Filol. Class»). Del medesimo an- che Destinarario e pubblico nella poesia dé Catullo: i motivi funerari, «Mat. Disc.» p. 1979, pp. 43-100 [ristampati in Poesia e lettari in Ro- ma antica, it, p. 57 58.1 22 comuni al mondo dell’amore ¢ della galanteria della commedia: un mondo, si sa, riprovato dalla gravitas, e accettato a Roma solo sotto la maschera greca e col pas- saporto del riso. Tant’? vero che Cicerone, aecennando alle scappatelle giovanili di Celio, ricorre alla prosopo- pea di un padre da commedia (pro Caei. 37); quello stes- so Cicerone che definisce proprio pueri tam lepidi ac delicatt gli scapestrati giovanotti di Catilina (in Cat. 2, 23). I valori si rovesciano. Al vir gravis del mos maiorum subentra, come ideale d’uomo, il vir lepidus: un uomo la cui raffinatezza rischia di sconfinare nella frivolezza, se, a dargli spessore esistenziale, non interve- nisse la passionalita di Catullo con le sue drammatiche tensioni. Come in Saffo. Anche nella poetessa che fa ver- si per la «cerchia delle fanciulle» di Lesbo un impetuoso € spesso doloroso sentimento coesiste con un'atmosfera di delicata grazia femminile. L’accostamento non @ solo letterario. C’e nella psiche di Catullo, quale si rivela nel- le forme e nei simboli della sua poesia, una forte compo- nente femminile, non smentita, (utt’altro, dalle crude esi- bizioni di virilita (si pensi al c. 16). I fitti diminutivi dan- no a questi versi la mollezza del loro suono e del loro senso: sono yeramente versiculi molliculi (16, 3 sg.). Al centro delle sue proiezioni mitiche ci sono il frustrato amore di due eroine, Arianna ¢ Laodamia, ¢ l'ambiguo sesso di Attis (vd. infra, § 15). Non vogliamo fare della psicanalisi a buon mercato — ne abbiamo avuto esempi scoraggianti -, ma saremmo tentati di definire Catullo un poeta dell’ «anima» in senso junghiano.** Certo non ubbi- =P. Pucci, 1? carme 50 di Catutio, «Maia» 1961, p. 255. Da te anche I osservazione dip, 252, che «nella commedia venustus ( venustus) si riferiscono sempre e soltanto a donne oa Venere, mentte in Catullo venustus designa la classe pid raffinata d’uomini (2, 1)» ® Studiando lo spostamento di genere dal maschile al femuninile, ‘A, Lunelli sospetta «nei neoteri una tendenza inconscia... la preferenza per cid che & raffinato e insomma femonineo» (Aerius. Varia neoterica, Roma 1969, p. 170). Se questa estensione é legittima, ¢ pud esserlo, si 23 diva solo a una scelta culturale quando poneva il suo amore sotto la scorta di Saffo. 9. Valtra ¢ complementare faccia della passionalita ca- talliana & inimicizia: nemici personali, rivali in arte o in amore, € nemici del gruppo. La sua espressione letteraria 2 Vinvettiva, i rruces iambi, come li chiamava il poeta (36, 5), anche quando giambi metricamente non erano. Ca- tullo, ’abbiamo detto, é un estroverso che si proietta co- stantemente fuori di sé, nell’amore nell’amicizia nell’o- dio, Persino il monologo interiore prende forma di dialo- 0, non col proprio cuore o la propria anima secondo un, antichissimo topos greco (comune all’epica, alla lirica, alla tragedia),¥* ma con un se stesso sdoppiato e chiama- to per nome: mixer Catulle... (8 ricorrenze del vocativo in autoallocuzione: Orazio non ne ha nessuna).** Ben pit dell’ Ariosto satirico si pud affermare di Catullo: <2 io che ha bisogno di tu per dirsi>.** Percid trovd un adegua- to mezzo espressivo nella struttura allocutiva della lirica tratterebbe di un oscuramento della figura paterna in tempo di crisi. Ne sappiamo qualcosa. {Torna a pitt riprese su questo tema JK. Newnan, Romar: Catullus and the Modification of the Alexandrian Sensibility, Hildesheim 1990, eft. Index, p.475, x. Carullus feminized. Va. infra, § 15,sul ¢ 63) unico esempio catulliano & 63, 61 (anime, ma in bocca ad Attis), probabile caico sul greco. Stranamente questo topos, ben aoto a tutte le letterature, &, nonostante il suo prestigio omerico (Od. 20, 18: «soppor- te, mio cuore..», goffamente tradotto da Calcio, r.7 BL: quin toleras, ‘mea mens?),esttanco alla poesia latina épica e lirica, ma non alla tragi- c2 (Accio, fr. 284 R3, forse Pac. 284 R3,¢ Seneca, almeno 30 occorren- 2e), per influsso, forse, di Euripide. Cf. Angela Maria Negri, Gli psico- nin in Virgilio, Roma 1984, p. 300, 5 Rarissimi anche i precedent lirici greci: oft. Asclepiacle, Anh. Pal 12,50,1, un epigramma probabilmente noto a Catullo (a toeto,inveee,si sono fatti i nomi di Ipponatte e di Corinna; cfr. D. Page, Cormna, Lon: don 1953, p.29). G. Williams, sottolineando la novita di questo procedi mento catulliano, ha pensato ai personaggi euripidei ¢ menandrei che si chiamano pernome (Tradition and Originality in Roman Poetry, Oxford 1968, p.461 se.). °C. Segre, Semiotica flologica, Torino 1979, p.126. antica, tradizionalmente legata alla presenza di un part- ner.” Quasi due terzi dei carmi catulliaai, 81 su 113, na- scono da una situazione dialogica. Anche in Orazio; ma nel lirico di Venosa questa tradizione & molto pit conven- zionale, molto meno vincolata a una funzione comunica- tiva.™ Una delle strutture portanti del «discours», il modo per eccellenza della funzione conativa, l’imperativo, ha tuna frequenza quasi doppia in Catullo: approssimativa- mente? 1 ogni 16 versi, contro 1 ogni 26 in Orazio. La parola si fa azione. Se poi scaviamo nella sostanza se- tmantica di questo procedimento morfosintattico, affiora- no altre differenze significative. In Orazio quasi la met degli imperativi sono cultuali, conviviali o gnomici. So- no, cio’, invocazioni o richieste agli dei, secondo gli schemi del Du-Stil innologico; sono i gesti del convito, i comandi al servo, ’invito agli amici: i gesti sempre ugua- li della poesia simposiaca. Comportamenti ritualizzati, gli uni e gli altri, che rassicurano contro il trauma del di- Yenire, contro la minaccia dell’imprevisto ¢ dell’ ignoto. Sono, ancora, gli ammonimenti della stanca saggezza oraziana: memento. Ebbene: se la prima categoria ha in Catullo una percentuale inferiore di quasi due terzi, la se- conda rappresentata da un solo esemplare (27, 2: inger) ¢ la terza @ addirittura assente. I dialoghi catulliani non si realizzano dunque nella tradizionale cornice del convito; ¢, soprattutto, rifiutano la parénesi di un’ astratta sapien- tia. Catullo da ai suoi imperativi un contenuto preciso, at- 2 [Cte M. Vetta, Poesia e simposio nella Grecia anvica, Bati 1983.) [Come «il condizionamento del rapporio comunicat difficile da reperire in Orazio che in Catullo appare bene dalle ricerche del Citroni, op. cit, p. 271 seg.) » Ho fatto sondaggi provvisori, che andranno controllati ed estesi ad altee forme iussive come gli esoztativ, i faturi vo gative retoriche volitive, nonché ad aleuni tipi di performativi. Dal Corpus catulliano ho esciuso i ce. 61-68, da quello oraziano il carme secolare. #4 occorrenze. tuale, radicato nell’hic ef nunc. I suo carpe diem, che Orazio ripetera in tante varianti e circondera di tanti di- vieti («non chiedere... non tentare... non sperare... non fi- darti...»),*' si determina subito in una concretissima ri- chiesta: da mi basia mille (5, 7). E qui scopriame un’altra differenza. La percentuale degli imperativi sintatticamen- te o semanticamente negativi @ molto piit alta in Orazio: il 30% circa contro il 13% di Catullo. Si direbbe che Ora- zio tenda a inibire l'azione. Perché Ia sua poesia & nutrita di saggezza, ed & saggezza di rinunzia, di rifugio dail’ an- goscia del tempo e della morte. L’invito a chiudersi nel- Voggi @, in fondo, un invito a non pensare al domani. La saggezza, lo sappiamo purtroppo, @ il surrogato della gio- vinezza. Catullo & un poeta giovane, cha ha da chiedere | tutto alla vita - anche la morte. La sua poesia ha una pre- sa diretta sulla realta, 8 veramente poesia d’ occasione, in- | scindibile dalla situazione extralinguistica. Si prendano due celebri ritorni della primavera, I'uno allusivo all’ al- tro, il ¢, 46 di Catullo e Pode 4, 7 di Orazio, Entrambi si innestano su un logoro topos letterario, di cui si ripetono anche stilemi, come I'uso iniziale di iam (46, 1: lam ver egelidos refert tepores, «gid primavera rimena il bel tem- po»; 4, 7, 1: Redeunt iam gramina campis, «torna gid e Verba ai piani»). In Orazio i ritorno della bella stagione | scandisce il ritmo circolare del tempo cosmico, in antitesi con Virreparabile Tinearita della nostra vita;* e Piniziale visione del paesaggio primaverile con quel bianco di ne- ve fuggito dal verde dei prati si fa meditazione della con- dizione umana, svincolata da ogni contingenza. Circo- ca del carpe diem, «Riv. Filol. Class.» 1973, pp. 5-21 (= Poet lazini I, cit, pp. 227-251). Ma il discorso varrebbe anche per la pit lizz0 parzialmente I"analisi contrastiva che ho fatto in Orazio & Catul- Jo, in Poet latin, 1, cit, pp. 263-265, © sema della rieorsivita (¥, 1 Parant) & negato al v.23 sg.: nom. 26 stanza e destinatario del carme sono irrilevanti. Ma si ve- da Catullo: il ricorrere del preverbio nel ritorno della sta- gione (il re-fert dell’inizio) e nel ritorno a casa (il re-por- tant della fine) isola l'evento stagionale dalla sua serie ci- clica ¢ laggancia all’ unicita dell’occasione, il commiato dai compagni di viaggio: «dolci brigate di compagni, ad- dio». Lo stato d’animo del poeta, sintonizzato coi dati meteorologici mediante 1a doppia anafora di iam nei wv. 12 ¢ 7-8, é di gioiosa impazienza (iam mens practrepi- dans avet vagari), che si proietta nel futuro ¢ anticipa I'a- Zione (linquantur... volemus) con unt intensit2 quasi fisi- ca, Questa di Catullo & una primavera che si sente nel sangue € mette le ali ai piedi (iam laeti studio pedes vige- scunt), Come le primavere dei giovani. Quella di Orazio la perduta primavera di chi la contempla dall’autunno della vita, gia abbuiato dalla morte, che nullifica tutti i valori: nos, ubi decidimus / quo pius Aeneas, quo Tullus dives et Ancus, / pulvis et umbra sumus (14-16: «noi, una volta caduti dove sono il pio Enea, il ricco Tullo ed Anco, non siamo che polvere ed ombra»). La diversa Stimmung si fa suono nel contrasto ritmico fra il dinamismo dei fa- leci catulliani e la lenta, solenne musica di Orazio.* 10. L’immediatezza & 1a qualita pitt concordemente rico- nosciuta alla poesia di Catullo. Ma stiamo attenti a non cadere nel tranello.*° Questa immediatezza @ una conqui- sta che dissimula una sapiente elaborazione formale. Questo poeta tutto calato nelle cose — quelle che sono © (Cf. M.O. Lee, Word, Sound, and Image in the Odes of Horace, ‘Ann Arbor 1969, p. 23.] [Ci & caduto un critico poeta come E. Sanguineti, che in una re ‘conte conferenza su If mio Catullo (in N. Criniti (ed.), Insula Sirmie. Brescia 1997, pp. 199-205) ha parlate di «una sorta di iegolarita ¢ ‘immediatezza» della lingua di Catullo, esemplificandola con la tredu- zione di quattro carmii in un italiano informale che involgarisce Ia st _ Tizzata e sorvegliata «Umgangssprache» catulliana. Catullo, caro San ‘inet, non parla come Tramalchione,] 27 fuori e quelle che sono dentro di noi, diceva il Pascoli — & un artista colto © consapevole (anche i carmi pitt «oc- casionali» hanno i loro precedenti letterari: il «grido del- Tanima», odi et amo, porta a perfezione espressiva una lunga tradizione topica;* il c. 56 innesta una salace av- ventura su un incipit archilocheo, fr. 107 D.;il ¢. 108 in- nesta su un fatto storico il repertorio delle dirae, cfr. Ovidio, Ibis, 165 sgg.). Varrebbe la pena di verificare la misura di questa elaborazione formale sul testo di un carme che abbiamo citato come emblematico della «) che isola ¢ scandisce i termini del comando: Pimperativo @ valorizzato dalla collocazione incipitaria e dall'eco fonica che fino al v. 11 ne ripropone il fonema iniziale (anche in secun-da), soprattutto a principio di verso. Nei vv. 8-9 (dein mille altera, dein secunda cen- tum, / deinde usque altera mille, deinde centum, « poi altri mille, e poi altri cento, ¢ poi di seguito altri mille, ¢ "poi cento») i tempi dell”enumerazione sono scanditi dal- la regolare alternanza dein / deinde (che coinvolge anche _ ivy. Ze 10) e dal chiasmo dei numerali (mille altera /se- cunda centum), mentre Vammucchiarsi delle somme & evidenziato dalla eccezionale ripetizione della medesima clausola (centum) in tre versi consecutivi. II bilancio fi- nale nel v. 10 (Dein, cum multa milia fecerimus, 13. Abbiamo parlato della lirica come se fosse un con- cetto pacifico per noi e per gli antichi. Non é cosi. La de- * GB. Pighi, Scrittori latin’ di Verona romana, in AANV., Verona ¢ il suo territorio, 1. Verona 1960, p. 292. (Cfr. anche A. La Penna, I generi letterariellenistici nella tarda repubblica romana: epillio, ele- ia, epigramma, lirica, «Maia» 1982, p. 119, e sull'attificiosa lingua dei poeti alessandrini G, Giangrande, Problem! testwali nei poet ales- sandrini, in B. Flores (ed.), La critica restuale greco-lating, oggi. Me ‘odie problemi, Roma 1981, p. 383 sgg. Recente analisi dei due livel della tingua catulliana in V. Cremona, Sermo catidiaus e sermo poeti- cus in Catullo, «Aev. Ant 1989, pp. 97-127.] % Op. cit p. 173, Tutte le Considerazioni finali del Lunelii sulla lingua neoterica sono da leggere. finizione di «forma poetica in cui si esprime il sentimen- to personale dell’ autore>® vale per noi, eredi di una poe- tica del soggetto di matrice romantica e idealistica (defi- aizione rinverdita da Jakobson, che lega la lirica, in quanto orientata verso la prima persona, alla funzione emotiva). Ma non vale per gli antichi. Per un greco, la definizione era facile: «indicava semplicemente un canto accompagnato dalla lira». Per un latino, era pili diffici- Je. La tripartizione del grammatico Diomede, spesso ci- tata e fraintesa,® pone la lirica, assieme all’epica, come sottospecie del «genere misto, in cui parla il poeta in pri- ma persona e sono introdotti personaggi a parlare» (I 482 K.: il genere «in cui parla il poeta stesso senza inter vento di personaggi» & quello narrativo, per esempio di Lucrezio); passa poi a definire elegia e giambo senza tomare pitt sulla lirica. Legarla alla poesia soggettiva non era possibile per I’esistenza sia di una lirica oggetti- va come quella corale (liturgica o drammatica), sia di forme poetiche egualmente soggettive come la satira ¢ Vepigramma. II criterio distintivo era metrico: & lirica quella che si esprime in versi «ditici», gli colici per esempio. Non per nulla Orazio non riconosce suo prede- cessore Catullo (commentandone I’ode 3, 1, 2 Porfizione fara solo il nome di Levio), e Quintiliano, come il citato Diomede (I 485 K.), lo pone tra i giambografi, non tra i lirici (10, 1, 96). Del Jibedlus catulliano un antico avreb- © A. Marchese, Dizionario di retorica ¢ di stlistica, Milano 1978, p. 152 5 CM, Bowra, Miro e modemitd della letteratura greca, tad. ita Milano 1968, p. 83; Id., La lirica greea, trad, ital., Firenze 1973, p. 2 sag, ® Anche da O. Ducrot, T. Todorov, Dizionario enciclopedieo delle selene del linguaggio, trad, ital, Milano 1972, p. 171, [Sulla ascen- 1987, p. 847 sg. (punta sul modello callimacheo); P. Claes, La concaténation comme principe de composition chez Catt Etud, Class.» 1996, pp. 163-170 (punta sulla ricorsivita lessicale al- interno del liber). Ma non si possono non condividere le parole di FB, Fracakel, Pindaro Sofocle Terenzio Catullo Petronio, Roma 1994, 1p. 96: «B possibile che Catullo dica del suo libro che & fatto di nugae? Jn reals nugae exano le poesie giovanili mostrate a Comnelio anni pri- sma: notate Timperfeto solebass. Nugae (0 inepriae, c. 14 b)& termine incompatibile con gli epilli dei cc. 63 e 64, in cui si esalta il virtosi- ssmo di Catulfo.] di Cinna (la Zmyrna, reclamizzata nel.c. 95). Pighi crede che il titolo originario fosse Ariadna. & difficile non pen- sare a una pubblicazione autonoma di quello che Catullo doveva ritenere il suo maggiore impegno poetico (408 versi, poco meno di un libro delle Georgiche, o dell’ Epi- stula ad Pisones di Orazio, 0 della Ciris, 0 del TI libro dei Tristia ovidiani, poco pid di Ero ¢ Leandro di Museo ¢ del Ratio di Elena di Colluto). E poi la varietas basta a spiegare la disseminazione di carmi appartenenti allo stesso ciclo? Ne dubito. E pitt ragionevole che, a parte il libellus dedicato a Nepote ¢ la diffusione di singoli carmi nella cerchia degli amici, la raccolta dell’ opera omnia di un poeta morto cosi giovane sia stata postuma, Come fu per Lucrezio, 14, Differenza di metro implica, inevitabilmente, una certa differenza di lingua: sia perché ogni metro ha il suo ethos vincolato a tanti echi e cadenze letterarie (si pensi al peso della clausola esametrica nella memoria poetica), sia perché obbliga a una selezione prosodica del lessico. L’esametro, per esempio, non ammette sequenze cretiche (__):me sono dunque escluse tante forme di comparati- vi-oppositivi che danno un’impronta catulliana alle clau- sole dei faleci (heatiores, severiores, venustiores...), tan- te forme di verbi popolari in -a- ¢ i loro derivati nominali (e:non sono verbi da poco: basiare / basiatio, irrumare / irrumatio / irrumator, osculari / osculatio, pipiare, sa- viari ¢ anche esurire / esuritio), tanti termini del lessico neoterico (delicatus, elegans / inelegans, facetiae / infi- | cetiae / infacetus, mollicellus, invenustus), in esametti Catullo non avrebbe potuto sorridere delle araneae del | suo borsellino (c. 13) né prendersela con Pimperator wi cus (cc. 29 ¢ 54). D°altra parte il trimetro giambico, quel- - lo almeno di Catullo, rifiuta di norma sequenze dattiliche (ov), tranne in clausola, € anapestiche (su) e quindi pa- ole-chiave come bene velle, pietas, desiderium e gli 37 astratti del tipo amicitia, laetitia, saevitia. Il falecio & me- tro meno condi ma, nel breve respiro delle sue 11 sillabe, non c’é spazio per pitt di una sequenza dattili- ca contro le cinque possibili dell’ esametro ¢ le quattro del pentametro: chiudere in un solo falecio patetiche antitesi come quelle di 72, 8 ¢ 76, 13 sarebbe stato difficile. ‘Un tempo si contrapponeva la spontaneita delle nugae, «suggerite dalla vita stessa>, alla letterarieta dei carmina docta, «prodotto della fantasia e del lavoro». Oggi si tende a sottolineare la fondamentale omogeneita espres- siva dell’opera catulliana, e, caso mai, a valorizzare le differenze tra polimetri ed epigram:ni.® Credo che non si debba esagerare in questa direzione. Non basta la pre- senza sporadica di qualche termine comune, come i la- bella di Lesbia, di Attis, di Arianna, delle Parche, La di- cotomia stilistica c”8, da un doppio punto di vista. TI tes- suto linguistico dei polimetri e degli epigrammi & usuale; quello dei carmi esametrici & incontestabilmente lettera- rio, coi suoi echi enniani ¢ lucreziani, coi suoi arcaismi, con le attese ricorrenze lessicali in sede fissa, anche a breve distanza (carmina, carmine: 6 occorrenze su un to- tale di 12; corpora, corpore: 9 su 13; flamine: 4 su 4; litora, litore: 5 su 5; lumina / limina, lamine / limine:® “ [A parte stanno i galliambi del c. 63, con la loro esig - be brevi che motva plural ran come sola marta sateid compo quadri- e pentasillabiei come hederigerae, properipedem, sonipedibus, erifugae, nemorivagus, arcaiche anatissi come gyminasiis, Ma di que sto altrove,} © A. Couat, Erde sur Catulle, Pacis 1875. p. 164. [Ma si fezea ‘quanto serive 1. Calvino, Eremita’a Porigi, Milano 1996, p. 250 sg - Arianna / Péleo, Lesbia > Té- seo / Teti. 1 finale del carme, agganciando il passato de- Libro segreto, Milano 1977, p. 268.11 ries du lundi, HL (Paris 1946, p. 121), poneva I'Arianna nella «serie delle testimonianze e delle pitture immortal della passione», Fedra di Buripide e alla Medea di Apollonio Rodio, Dedicando a Gallo le sue Pene d'amore, Partenio intendeva for- nirgli un repectorio per «epi ed elegie», come traduce L. Alfons, Poetae novi, Como 1945, p. 94, ma il greco dice: elc Eq, zai Beyelag (p. 42 Martini. Perla storia del termine «epillion va. A. Pe- tell, op. cit, p. 13 seg: M1 mito dé Orfea t¥a Virgilio e Ovidio, -cLoxis», 1995, p. 200; anche FM. Pontani, L'epilifo greco, Firenze 1973, pI ses. ite. 64 di Catullo i suoi pretesi original ellenistici, «Athen.» 1931, pp. 177-222 e 370-409 (= Cesare, Catullo, Orazioe altré saga Romi 1972, pp. 63-147). Per quanto segue rimando alla ria tattaxiow ne del c. 64 (Allusivia caruliana, in AA.VV., Studi Cataudelia, Cata- nia 1972, 1, pp. 99-114 = Poet! larin,T, cit, pp. 333-158, con biblio- ‘rafia) (fino al 1985: negli ultimi anni la bibliografia si & enarmemente ilatata; eft. ora Cupaiuolo cit. sopra, n. 69). 43 gli croi al presente di Catullo, ce ne di la chiave nell’ an- titesi, non solo temporale ma etica, fra il buon tempo del- Fumanita (quondam),*” quando gli dei erano garanti del- la fides, e V attuale distruzione dei valor religiosi e mora- li (W. 386: spreta pietate), culminamte nell’incesto. Di rapporti incestuosi tra Clodia ¢ il fratello correva voce fin dal 60 (Cicerone, ad Att. 2, 1, 5): poteva ignorarla il poeta?* Si 2 detto che I’uso dei diminutivi neoterici ser- ve a liricizzare lo stile dell’epillio, ed @ giusto; ma forse Catullo ha veramente «liricizzato> Pepillio facendone la metafora della propria storia, Quello che era implicito nel c. 64, l'esemplarita auto biografica del mito, si fa esplicito nel c. 68.%° Sul quale pesa lirrisolta e forse insolubile questione della sua unita. Peccato: perché & una vera e propria summa dei temi pid vitali della poesia catulliana: il dolore per la morte del fratello nella Troade, la vocazione poetica, Vamicizia, amore (rievocato nel suo inizio felice e gia minacciato dall"infedelta di Lesbia), la coscienza della illegittimita © precarieti del loro rapporto” e la sua proiezione nel mito di Laodamfa: che si uni, bruciante @amore (v. 73: flagrans amore) con Protesiléo prima che fossero celebrate le nozze, ¢ ne fu punita perdendo il marito sotto le mura di Troia, dove si era recato a combattere perché Paride non si godesse in pace l'adul- tera (v. 103: moecha) Elena. Il ripetuto paragone di Le- sbia con Laodamfa (vv. 73 e 131) in connessione con © Ho notato altrove la ricomrenza patetica di questo avverbio, «una volta», in cui si traducc la nostalgia di Catullo e dei suoi personagai per un passato felice (Poet larni I, cit, pp. 149-151). * Fa pensare, negli epigrammi, Pinsistenza sul tema dell’incest. ® [CfA La Penna, op. ci ‘© Esortandosi a tollerare, purché discreti i furta di Lesbia, Catullo Hicorre all'exempium mitico di Giunone, avvezza a reprimere Ia sua sgelosia di moglie tradita (vv. 135 sgg,):® significativo che il paragone avvenga con un rapporto matrimoniale e che ln parte in cui si identifi- ‘cal poeta sia quella feminil. Vadulterio di Elena getta un’ombra funesta sul futuro di questo amore. Ma il c. 68 fu anche il pid ricco di futuro letterario. Dilatando il BeBuopévoy, il

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