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STORIA

UN NUOVO CICLO ECONOMICO:


L’inizio del XX secolo iniziò all’insegna dell’ottimismo.
Questo clima di fiducia nel progresso era dovuto sia alla fine della guerra franco-
prussiana sia a una fase di espansione economica.
Questa espansione economica fu determinata dall’impiego di nuove risorse
energetiche quali l’elettricità, petrolio, ma anche nuovi metalli come l’acciaio
L’uso dell’elettricità permise di ampliare la rete ferroviaria e la raffinazione della
benzina portò al funzionamento del motore a scoppio utilizzato sia per le
automobili (la diffusione avvenne soprattutto negli USA) sia per l’aeroplano.
Tra il 1890 e 1914 il volume degli scambi internazionali crebbe e ci fu una ripresa
del protezionismo, dovuto alla crescente concorrenza tra paesi in via di
industrializzazione e alla necessità di garantire alle nascenti industrie spazi
adeguati nel mercato interno.
All’incremento degli scambi internazionali contribuì il consolidamento del Gold
Standard, ovvero un sistema monetario basato sulla convertibilità aurea di ogni
moneta nazionale. Il cuore pulsante di questo sistema era Londra con la sterlina,
ma quando l’economia della Gran Bretagna perse il primato, ci fu un forte
apprezzamento per il dollaro.
Il fatto di disporre sia di materie prime a prezzi molto convenienti rappresentò un
vantaggio per i paesi colonizzatori. Tuttavia va considerato che i principali partner
commerciali nono erano le loro rispettive colonie, ma regioni periferiche in via di
sviluppo o stati indipendenti come Cina e impero ottomano.
Si trattava di una sorta di imperialismo informale, che non mirava alla conquista
diretta del territorio, ma al controllo della sua economia.
Con la nuova fare di espansione economica si verificò un processo di
ristrutturazione delle aziende, sia dal punto di vista delle dimensioni, sia per le
capacità lavorative e cominciò così a diffondersi l’idea di una nuova
organizzazione del lavoro. Il maggior esponente di questa idea fu Tylor che mise a
punto un sistema chiamato cronotecnica, ovvero elaborò un metodo di calcolo
per definire in quanto tempo un operaio dovesse svolgere un determinato lavoro.
La più efficace applicazione dei metodi di Tylor è conosciuto come fordismo
poiché fu proprio nelle officine Ford che lo studio dei tempi venne introdotto alla
catena di montaggio. Grazie a questi metodi ci fu una riduzione drastica dei tempi
di lavorazione, ma allo stesso tempo venne fortemente criticato poiché il suo
sistema spogliava l’operaio di qualsiasi autonomia e capacità professionale,
facendogli svolgere mansioni ripetitive e standardizzate.
LA GERMANIA DI GUGLIELMO III:
All’inizio del XX secolo la Germania era all’avanguardia dal punto di vista
economico. A differenza della Francia e Gran Bretagna, nella Germania di
Bismarck non si verificò un vero e proprio imperialismo, poiché il cancelliere
tedesco aveva preferito mantenere l’egemonia germanica in Europa, mentre
l’economia delle colonie rappresentava solo una risorsa secondaria. La forza di
questa potenza si basava soprattutto sul suo potenziare industriale e
finanziario, con indici di sviluppo superiori persino all’Inghilterra.
Questo sviluppo impetuoso aveva per anche elementi di debolezza, infatti da un
lato c’era l’insufficienza delle risorse agricole, dall’altro le materie prime erano
importate dall’estero.
L’imperialismo iniziò ad affermarsi con la salita al trono di Guglielmo III che aveva
l’intenzione di fare della Germania una grande potenza a livello internazionale.
Con la weltpolitik Guglielmo III pose fine al sistema di alleanze create da Bismark,
i legami con l’Italia e impero austro-ungarico, ovvero la Triplice Alleanza, non
vennero toccati, mentre decise di non rinnovare il trattato segreto stipulato a
Berlino con la Russia per assicurarsi la sua neutralità in caso di guerra con la
Francia.
Nel frattempo la Francia sempre più preoccupata dei progetti espansionistici
della Germania iniziò a cooperare in campo economico con la Russia che divenne
una vera e propria alleanza: la Duplice Intesa, con la quale le due potenze si
assicuravano reciproco aiuto in caso una delle due venisse attaccata dalla
Germania.
La politica di Guglielmo III allarmò anche la l’Inghilterra poiché venne messa in
discussione la sua supremazia sui mari in seguito a un sistema di riarmo navale
della Germania.
In Germania il nazionalismo stava assumendo un’impronta aggressiva, infatti la
nuova ideologia nazionalista si basava sul militarismo e sull’impostazione del
diritto al più forte.

L’IMPERO AUSTRO-UNGARICO
Sebbene all’inizio del XX l’impero austro-ungarico aveva avuto una fase di
espansione economica, al suo interno vi erano profonde differenza, infatti si
alternavano aree urbane popolose e aree completamente rurali.
Inoltre i rapporti con l’Ungheria stavano diventando sempre più difficili,
nonostante il Compromesso firmato nel 1867. Con questo trattato l’impero
austriaco diventava una duplice monarchia formata dall’impero d’Austria e dal
regno d’Ungheria, i due stati avevano le proprie leggi, ma condividevano la sfera
politica ed economica.
La più grave minaccia per l'unità dello Stato asburgico proveniva senza dubbio
dai Balcani. Si trattava di un'area caratterizzata dalla compresenza di una
popolazione riconducibile a una grande varietà di etnie lingue e religioni e una
guerra in questa zona avrebbe causato l’intervento della Russia, da sempre
considerata la protettrice dei popoli slavi.
L’IMPERO OTTOMANO
A inasprire i contrasti tra la Russia e l'impero asburgico nella regione balcanica
sopraggiunse una nuova crisi sul fronte turco.
Nel luglio 1908 a Istanbul scoppio una rivoluzione: la rivoluzione dei Giovani
turchi, guidati da Mustafà Kemal, che portò ad una nuova ideologia, ovvero al
Panturchismo.
Questa ideologia prevedeva che non ci fossero etnie diverse sul suolo turco poiché
volevano amalgamare il popolo per quanto riguarda le caratteristiche etniche.
Nella notte tra il 24-25 Aprile 1915 ebbe inizio il genocidio armeno.
La comunità armena viveva in Anatolia da millenni, ma in Turchia tutti coloro
che non erano mussulmano erano considerati cittadini di serie B.
L’obiettivo dei Turchi era proprio l’eliminazione fisica degli armeni, comunità
cristiana insediata in Anatolia.
Gli armeni dovettero affrontare le marce della morta in vista del deserto per
raggiungere Aleppo.
Ma come arrivano al confine con la Siria per iniziare le parce della morte?
La deportazione avveniva attraverso i treni, in quanto doveva essere una cosa
silenziosa e veloce.

LE GUERRE BALCANICHE
Nel 1912, la vittoria conseguita dall'Italia contro la Turchia per il possesso della
Libia e delle isole del Dodecaneso ribadì la vulnerabilità dell'impero ottomano.
Nei primi mesi del 1912, con l'incoraggiamento della Russia, si formò un'alleanza
in funzione anti-turca tra la Serbia, la Grecia, la Bulgaria e il Montenegro, che
intrapresero la cosiddetta, prima guerra balcanica.
La loro vittoria li portò a mettere le mani su una fetta consistente dell'impero
ottomano.
La spartizione tra gli alleati non fu però pacifica: la Bulgaria, che aveva
sostenuto il maggior peso della guerra, attaccò la Serbia e la Grecia, così che
scoppiò una seconda guerra balcanica nella quale si inserì anche la Romania.
Isolata e attaccata da ogni parte, alla Bulgaria non restò che chiedere la pace.
A conclusione del conflitto la Macedonia venne divisa tra Serbia e Grecia e la
Tracia fu restituita all'impero ottomano, venne inoltre creato un autonomo Stato
albanese.
LE CRISI MAROCCHINE
Il piano di riarmo navale e la penetrazione economica nell'impero ottomano della
Germania causarono l'inasprimento delle tensioni con la Gran Bretagna e un
legame sempre più forte tra britannici e francesi. Nel 1904 i due governi
stipularono un accordo: l’Intesa Cordiale, un’alleanza anti-tedesca.
L'accordo franco-britannico ebbe come prima conseguenza quella di irrigidire le
posizioni della Germania, che aveva sviluppato interessi economici in Marocco.
Alla conferenza internazionale di Algeciras, convocata per risolvere la questione
ed evitare un conflitto franco-tedesco, la Francia ricevette l'appoggio
dell'Inghilterra, della Russia, della Spagna e dell'Italia, mentre la Germania poté
contare solo sul sostegno dell'impero austro-ungarico.
Nel frattempo la Gran Bretagna si avvicinò alla Russia e la Duplice Intesa
franco-russa del 1894 si trasformò nella Triplice Intesa, che di fatto si
contrapponeva alla Triplice Alleanza (Italia-Germania-Austria).
La Germania si trovò ben presto a constatare quanto fosse isolata in Europa,
mentre il suo alleato austriaco era-assorbito dalle tensioni nella regione dei
Balcani.
La Francia occupò militarmente alcune città marocchine e Guglielmo Il reagì
immediatamente con una dimostrazione di forza, inviando nella rada di Agadir,
una grossa cannoniera tedesca.
Il primo ministro inglese Lloyd George avvertì la Germania che se intendeva
provocare una guerra la Gran Bretagna era pronta ad affrontarla.
Guglielmo Il fu dunque costretto a cedere ancora una volta, ottenendo, in cambio
del riconoscimento alla Francia del protettorato su tutto il Marocco, solo una
striscia di terra nel Congo francese.

IL SISTEMA GIOLITTIANO
Verso la fine dell’Ottocento, l’Italia aveva affrontato una crisi politica dovuta sia
dalla fine dell’ultimo governo Crispi, sia dalla sconfitta ad Adua da parte
dell’esercito abissino che segnò la fine della campagna coloniale del corno
d’Africa.
Nella primavera del 1898 l'intero paese fu scosso da un ondata di proteste
popolari, causate de un forte rincaro del prezzo del pane.
Il governo rispose violentemente ricorrendo all'artiglieria, infatti i cannoni del
generale Bava-Beccaris fecero decine di morti e centinaia di feriti.
Nel timore di altri disordini, il nuovo presidente del consiglio Luigi Pelloux
presentò in Parlamento una serie di leggi che limitavano drasticamente le libertà
di stampa, di associazione e di sciopero.
Socialisti, radicali, repubblicani e le forze liberali progressiste che facevano capo a
Giovanni Giolitti (1842-1928) e a Giuseppe Zanardelli (1826-1903)
organizzarono una strenua opposizione parlamentare, che ebbe successo.
Dopo le elezioni, il re Umberto I affidò il nuovo governo a Giuseppe Saracco.
Fu l'ultimo atto del sovrano perchè 29 luglio 1900 fu assassinato dall'anarchico
Gaetano Bresci, che intendeva vendicare cosi i morti del 1898.
Salito al trono dopo l'uccisione del padre, il giovane Vittorio Emanuele IlI affidò
pertanto la guida del governo a Giuseppe Zanardelli, leader di quella sinistra
liberale.
Egli nominò Giolitti come ministro degli interni e il suo pensiero si basava sulla
neutralità dello stato nei conflitti fra capitale e lavoro, inoltre riconobbe il diritto
di scioperare e la libertà di associarsi.
Con lui ci fu una ripresa economica e l’aumento dei salari, oltre all’emanazione di
provvedimenti volti a tutelare il lavoro femminile e minorile.
In seguito, Zanardelli gravemente malato diede l'incarico di formare il nuovo
esecutivo a Giolitti.
Per formare il su governo Giolitti invitò il leader del Partito socialista
Filippo Turati.
Nel PSI vivevano due anime una riformista, l'altra rivoluzionaria.
La partecipazione al governo del più autorevole esponente socialista avrebbe
consentito di isolare la corrente rivoluzionaria, tuttavia il leader socialista rifiutò
l’invito consapevole che parte del suo partito non lo avrebbe seguito.
Dopo il rifiuto, Giolitti cercò comunque di avere una solita maggioranza
parlamentale per perseguire un riformismo pragmatico in cui convivevano un
forte razionalismo e la fiducia nel progresso.
Successivamente venne criticato da alcuni settori della stampa e soprattutto da
Gaetano Salvemini che lo accusò di metodi malavitosi per assicurarsi il
consenso elettorale.
Nel 1904 i massimali, ovvero coloro che facevano parte dei rivoluzionari,
organizzarono per la prima volta uno sciopero generale, in seguito all’ennesima
uccisione di alcuni lavoratori da parte delle forze dell’ordine.
Giolitti agì con cautela per evitare che la manifestazione sfociasse in episodi
tragici.
Nel 1906 nacque la confederazione generale del lavoro (CGDL) che divenne fin da
subito una roccaforte riformista.

L’ECONOMIA ITALIANA PER OPERA DI GIOLITTI


Le riforme di Giolitti portarono ad una fase economica espansiva e l’Italia compì
passi avanti nella strada dell’industrializzazione.
Il decollo industriale avvenne soprattutto grazie all’intervento dello stato che
attuò una politica protezionistica per riparare le nuove industrie dalla
concorrenza straniera.
Fu riorganizzato il sistema bancario accresciuto da risparmi privati provenienti
principalmente dal settore agricolo e industriale, inoltre il sostegno del capitale
finanziario fu determinante per la nascita di nuovi settori e per la diffusione
delle ciminiere.
Anche l’industria meccanica ebbe degli sviluppi sia per i gruppi esistenti, ma
soprattutto per le aziende automobiliste nuove come Lancia, Alfa, Fiat.
Con Giolitti al governo ci fu anche un aumento dell’occupazione nelle industrie
e nei servizi pubblici, infatti gli operai raddoppiarono e nel 1910 nacque la
Confindustria, un’associazione istituita da imprenditori affinchè regolasse i
rapporti tra il governo e la CGDL.

Divario fra Nord e Sud


Lo sviluppo economico si era concentrato soprattutto nel Nord-ovest, dove era
andato delineandosi quello che sarebbe sta rito il "triangolo industriale",
compreso fra le città di Torino, Genova e Milano.
Il Sud si trovava invece in una situazione di arretratezza.
Non si può dire che il mezzogiorno fosse stato abbandonato del tutto poiché nel
1904 Giolitti emanò una legge per lo sviluppo di Napoli, questi provvedimenti si
rivelarono però insufficienti. Ad esempio in puglia, così come in Calabria e in
Sicilia vi erano ancora antiquati metodi di coltivazione che ostacolarono la
formazione di una base aziendale.
Avvenne così che molta gente del Sud emigrò all’estero.

INIZIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


Il 28 giugno 1914 l'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo, erede al trono
austriaco, fu ucciso dallo studente diciannovenne Princip.
Il governo di Vienna attribuì subito la responsabilità organizzativa dell'assassinio
alla società segreta "Mano nera", che agiva dalla vicina Serbia rivendicando
l'indipendenza dei popoli slavi dal dominio imperiale.
L'Austria ritenne fosse giunta l'occasione per impartire una severa lezione alla
Serbia.
Al governo di Belgrado fu inoltrato un ultimatum con il quale Vienna esigeva una
dichiarazione di condanna per l'accaduto.
L'ultimatum fu respinto e l'impero austro-ungarico il 28 luglio 1914 dichiarò
guerra alla Serbia.
La scintilla della prima guerra mondiale scoccò dunque nei Balcani, zona da
tempo contesa fra l'Austria e la Russia.
Una volta aperte le ostilità, i vari trattati d'alleanza stipulati negli anni precedenti
scattarono quasi automaticamente e si ebbe così una sorta di "effetto domino".
Per prima si mosse la Russia che mobilitò immediatamente le proprie truppe a
sostegno della Serbia. La risposta della Germania, alleata dal 1878 dell'Austria-
Ungheria, non si fece attendere: dichiarò guerra alla Russia e alla Francia.
Le truppe tedesche invasero il Belgio, violandone la neutralità, per procedere
direttamente verso Parigi.
Questa aggressione spinse la Gran Bretagna a schierarsi a fianco degli alleati
francesi, dichiarando guerra alla Germania.
Il 6 agosto anche l'Austria-Ungheria aprì formalmente le ostilità contro la Russia
e si unì all'alleanza antigermanica anche il Giappone.
Da guerra di movimento a guerra di posizione
Era opinione comune, che la guerra sarebbe durata solo qualche settimana, al
massimo fino a Natale.
Il piano segreto elaborato fin dal 1905 da Alfred von Schlieffen prevedeva, in
caso di conflitto, di cogliere di sorpresa la Francia, passando attraverso il Belgio,
per colpirla al cuore il più rapidamente possibile; una volta conclusa la partita sul
fronte occidentale, la Germania sarebbe stata cosi in grado di concentrare tutte le
proprie forze a est, contro l'esercito russo.
L'esercito tedesco, sembrava invincibile, ma la sua avanzata attraverso il Belgio fu
ostacolata da un'inattesa resistenza da parte delle truppe del re Alberto I, cui si
aggiunsero atti di sabotaggio che ritardarono di quasi due settimane la
penetrazione tedesca entro le linee difensive francesi.
Alla fine, di fronte alla potenza di fuoco delle truppe tedesche, lo schieramento
militare fu costretto ad arretrare.
Ai primi di settembre l'esercito tedesco si trovava a pochi chilometri da Parigi, ma
il suo potenziale si era indebolito, così le forze anglo-francesi, riuscirono a
bloccare l'offensiva nella battaglia della Marna  sconfitta dei tedeschi.
Da quel momento il fronte occidentale si stabilizzò lungo una linea che correva
per delle trincee 800 chilometri dal Mare del Nord fino ai confini della Svizzera.
Si iniziarono a costruire le trincee scavate dai soldati nel terreno, dove si
proteggevano dal fuoco nemico in attesa di nuove battaglie campali.
La guerra di movimento si era così trasformata in una guerra di posizione.
Le trincee finirono per diventare il simbolo stesso della guerra.
In questi fossati puntellati da travi di legno e circondati da reticolati di filo
spinato, i soldati non erano solo esposti al tiro dei cecchini nemici, ma anche
alle prese con le intemperie, la malnutrizione e pessime condizioni igieniche.
Inoltre, la guerra di posizione non significò affatto un risparmio di vite umane e
ogni volta migliaia di soldati, non appena si gettavano all'assalto fuori dalle loro
postazioni, cadevano sotto il fuoco dei cannoni e delle mitragliatrici.
Nel frattempo l'avanzata dell'esercito russo nella Prussia orientale, aveva costretto
lo Stato maggiore tedesco a distogliere uomini e mezzi dal teatro di guerra
francese.
Nelle due battaglie di Tannenberg e dei laghi Masuri i tedeschi uscirono
vittoriosi, ma a loro volta i russi sconfissero un'armata austro-ungarica a Leopoli
occupando la Galizia.

L’entrata in guerra dell’Italia


Il governo italiano aveva scelto in un primo momento la neutralità, in quanto da
un lato, la questione delle terre irredente era rimasta viva tra l'opinione pubblica
italiana, alimentando una mai sopita avversione nei confronti dell'Austria;
dall'altro, la monarchia asburgica aveva dimostrato ben scarsa considerazione
per l'alleata non avvertendo in via preventiva il governo italiano della sua
decisione di dichiarare guerra alla Serbia.
In Italia dominò una polemica tra neutralisti e interventisti.
Tra i sostenitori della neutralità figurava il Partito socialista, tuttavia, all'interno
del PSI vi era l'atteggiamento contrario a un'entrata dell'Italia nel conflitto di
Benito Mussolini che dopo aver condotto una vigorosa campagna per la
"neutralità assoluta", si schierò nel novembre 1914 in favore della guerra.
Anche i cattolici, la maggioranza del parlamento e i liberali di destra erano
orientati a favore dell’opzione neutralista, mentre a favore dell’ingresso in guerra
vi erano oltre ai nazionalisti, anche i partiti della sinistra democratica, i
fuoriusciti dall’impero austro-ungarico e il re Vittorio Emanuele III che vedeva
nella guerra contro l’Austria un successo militare e un accrescimento del
prestigio dell’Italia.
L’Italia iniziò ad essere considerata l’ago della bilancia e dopo mesi di
consultazioni, il governo italiano stipulò con le potenze dell’Intesa (Francia-
Gran Bretagna-Russia) un trattato segreto, ovvero il patto di Londra, con il quale
l’Italia si impegnava a entrare in guerra al loro fianco entro un mese.
A fine guerra, il patto prevedeva che l’Italia acquisisse dall’Austria il Trentino e
l’Alto Adige, Trieste, Istria (NO FIUME), la Dalmazia e alcune colonie tedesche.
Il 24 Maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria.
L’entrata in guerra fu dovuto soprattutto da precarie condizioni economiche del
paese, privo di materie prime, si era interrotta la possibilità di migrare all’estero.
Apparve più vantaggioso eliminare la presenza del capitale tedesco schierandosi
accanto alla Francia e Inghilterra, le due potenze erano infatti in grado di
assicurare rifornimenti di carbone e materie prime.

1915-1916
Le truppe italiane furono schierate su due fronti: in Trentino e in Venezia Giulia,
Il comandante supremo dell’esercito Luigi Cadorna aveva puntato soprattutto sul
secondo e continuò a impartire caparbietà per abbattere le forze austriache lungo
il tratto meridionale del fiume Isonzo.
L'unico risultato tangibile degli attacchi italiani, costati un numero elevatissimo
di vite umane, fu la conquista di Gorizia nell'agosto 1916.
Nel frattempo la situazione sul fronte occidentale era rimasta sostanzialmente
inalterata.
Nel corso del 1916 la battaglia di Verdun e la battaglia della Somme, si risolsero
in autentiche carneficine: più di un milione e mezzo di uomini persero la vita.
Sul versante orientale nel corso del 1915 le vittorie austro-tedesche proseguirono
e i russi furono costretti ad abbandonare buona parte della Polonia.
Anche sul fronte balcanico il conflitto risultò favorevole in un primo tempo agli
Imperi centrali, che avevano potuto contare sull'ingresso in guerra al loro fianco
dell'impero ottomano, legato alla Germania da un trattato segreto.
Intanto il conflitto si era allargato in altri paesi: la Bulgaria schieratasi con gli
imperi centrali (Germania-Austria-Impero Ottomano-Bulgaria) contribuì alla
sconfitta della Serbia e a fianco della triplice Intesa entrò oltre al Portogallo
anche la Romania.
A determinare gli insuccessi militari dei turchi sul fronte russo era stata
soprattutto la scarsa efficienza del loro apparato militare e amministrativo.
Il governo britannico scelse una strada diversa per colpire la Turchia: quella di
incitare gli arabi alla rivolta in Medio Oriente, facendo intravedere loro la
prospettiva della costituzione, a guerra conclusa, di un grande Stato arabo
indipendente, ma le promesse non sarebbero state mantenute.
Quel che giocava a favore delle potenze dell'Intesa era la supremazia della flotta
britannica sui mari.
L'unica grande battaglia navale, svoltasi nei pressi della penisola dello Jutland, in
Danimarca, nel maggio 1916, ebbe un esito incerto, le perdite subite dalla flotta-
tedesca furono tanto pesanti da consigliare all'ammiragliato tedesco di non
sfidare di nuovo la marina britannica.
La Gran Bretagna strinse un ferreo blocco navale gli Imperi centrali, impedendo
loro di approvvigionarsi all'estero di prodotti alimentari e di materie prime.
Al blocco navale imposto dalla flotta britannica, la Germania replicò e dopo la
morte di 1198 persone, di cui 123 cittadini statunitensi, provocata
dall'affondamento della nave passeggeri inglese "Lusitania" nel maggio 1915,
promise al presidente americano Woodrow Wilson che l'attacco di qualsiasi nave
sarebbe stato sempre preceduto da un preavviso, in modo che quanti erano a
bordo potessero trasferirsi sulle scialuppe di salvataggio.
Con l'aggravarsi degli effetti del blocco navale inglese, la guerra sottomarina
tedesca, divenne invece "totale" in quanto prevedeva l'affondamento di tutte le
navi, senza distinzioni di sorta.
Questa nuova strategia annientatrice mise in seria difficoltà la Gran Bretagna,
ma in realtà si trattava di una scelta che nel giro di poco si sarebbe rivelata
controproducente: proprio la guerra sottomarina, infatti, avrebbe spinto gli Stati
Uniti a rompere gli indugi e a entrare in guerra.

1917
La mancanza di cibo, di munizioni e di assistenza medica, aggravarono la
condizione di esasperazione dei soldati.
A Pietrogrado iniziò una manifestazione e nei giorni successivi uno sciopero
generale di protesta contro l’autorità zarista accusata di mandare inutilmente a
morire il proprio popolo.
La caduta del secolare regime degli zar e la nascita della "repubblica dei soviet"
ebbe come conseguenza pressoché immediata l'uscita della Russia dalla guerra.
Il trattato di Brest-Litovsk, firmato con le potenze dell’Intesa, comportò una
gravissima amputazione territoriale per l'ex impero russo: oltre a dover
riconoscere l'indipendenza della repubblica ucraina, la Russia venne privata di
Estonia, Lettonia, Lituania e di parte della Bielorussia.
Anche in altri paesi si diffusero vari moti di protesta e di ribellione.
Durante la notte tra il 23 e il 24 ottobre 1917 il fronte italiano dell'alto Isonzo
nei pressi di Caporetto venne sottoposto a un pesantissimo attacco da parte
dell'artiglieria austriaca e tedesca, i soldati austro-tedeschi, anziché assaltare in
massa tutto il fronte delle trincee italiane, si divisero in piccoli gruppi con il
compito di spezzare in punti diversi la prima linea nemica, infiltrandosi in
profondità lungo le vallate e prendendo alle spalle gli avversari.
La manovra riuscì e furono fatti prigionieri 300.000 soldati italiani.
Il risultato della disfatta di Caporetto fu che il Friuli e metà del Veneto caddero in
mano dell'esercito austriaco, rafforzato da numerosi contingenti tedeschi.
Con la sconfitta di Caporetto, il generale Cadorna abbandonò l’esercito e venne
affidato ad Armando Diaz che decise di abbandonare la tattica offensiva.
Nel corso del 1917, la ripresa in grande stile della guerra sottomarina da parte
della Germania ebbe una conseguenza decisiva per le sorti del conflitto.
Fino ad allora gli Stati Uniti si erano mantenuti neutrali, le simpatie del
presidente democratico Wilson andavano all'Intesa e in particolare alla Gran
Bretagna. Esistevano da tempo tra britannici e americani strette relazioni
commerciali e finanziarie, inoltre gli USA avevano venduto armi alla Francia e
all'Inghilterra.
Di fatto quando i sottomarini tedeschi affondarono tre navi mercantili
statunitensi il 2 aprile 1917 il presidente Wilson proclamò guerra alla
Germania.

LA FINE DEL CONFLITTO

Fra il 21 Marzo e il 15 Luglio 1918 lo stato tedesco sferrò cinque grandi offensive
arrivando a minacciare di nuovo Parigi.
Grazie al sostegno degli USA, l’Intesa passò all’offensiva battendo i tedeschi nella
battaglia di Amiens e la Germania subì la sua più grande sconfitta.
Al fronte, l'esercito italiano riuscì a opporre sul Piave, un'efficace resistenza a una
nuova offensiva intrapresa a metà giugno dall'esercito austriaco.
Quattro mesi dopo, a metà ottobre, fu la volta delle truppe italiane di passare all’
attacco contro le armate austriache.
Il 24 ottobre 1918, la battaglia che consentì di raggiungere Vittorio Veneto e di
penetrare in Cadore segnò la definitiva sconfitta degli austriaci.
Nei giorni seguenti furono conquistate Trento e Trieste.
I rappresentanti austriaci firmarono a Villa Giusti, presso Padova, un armistizio
con l'Italia.
Quando gli italiani lanciarono la loro ultima offensiva, l'impero asburgico stava
ormai sfaldandosi e qualche mese dopo anche l’impero ottomano si arrese e la
Germania firmò la resa ponendo fine al conflitto.

I TRATTATI DI PACE
Già nel gennaio 1918, quando gli Stati Uniti erano entrati in guerra, il presidente
americano Wilson aveva illustrato al Congresso un programma articolato in 14
punti, che enunciava i principi attorno ai quali costruire una pace giusta e
duratura.
Wilson aveva proposto un sistema di relazioni internazionali fondato non più
sulla competizione fra i singoli stati bensì sulla cooperazione, in uno scenario che
avrebbe dovuto prevedere l’emancipazione delle nazionalità oppresse.
Inoltre egli auspicava una "diplomazia aperta" in modo che gli accordi fra i
governi non fossero più celati nel segreto, ma sottoposti al controllo dell'opinione
pubblica. La rimozione delle barriere doganali, la libertà di navigazione su tutti i
mari avrebbero dovuto contribuire a rendere il mondo "un luogo sicuro per la
democrazia".
Wilson aveva proposto l'istituzione di una "Società delle Nazioni", con il compito
di risolvere pacificamente le controversie internazionali.
La conferenza di pace di Parigi si aprì il 18 Gennaio 1919 a Versailles.
L'aspirazione di Wilson si scontrò subito con le due potenze di Francia e
Inghilterra: rifiutarono infatti di applicare il principio di auto-determinazione
dei popoli in Africa e in Asia.
Ma fu soprattutto durante la discussione sul primo e più importante trattato di
pace, quello con la Germania, che apparve evidente quanto le intenzioni di
Francia e Inghilterra fossero distanti dall'idea di Wilson.
I rappresentanti francesi manifestarono infatti una risoluta volontà punitiva nei
confronti della Germania, dunque, nel 1919 la Francia era decisa ad avvalersi dei
trattati di pace per condannare la Germania a una condizione di definitiva e
irreversibile inferiorità.
Inizialmente la Gran Bretagna, temendo un eccessivo rafforzamento della potenza
francese, non si mostrò disposta a sostenere le pretese di Parigi, ma Lloyd George
fini poi per appoggiare Clemenceau perché contava di ottenere in cambio dei
vantaggi concreti nella parallela trattativa in corso con la Francia per la
spartizione del Medio Oriente.
La pace punitiva e le condizioni imposte alla Germania furono legittimate nel
trattato di Versailles, che attribuiva allo Stato tedesco la colpa dello scoppio del
conflitto.
Il trattato stabilì che il governo francese per quindici anni avrebbe avuto pieno
diritto allo sfruttamento del ricco bacino carbonifero della Saar.
Lo Schleswig settentrionale tornò alla Danimarca.
Alla Polonia, ricostituita come Stato nazionale, andarono alcune regioni orientali
tedesche; a queste si aggiungeva il "corridoio di Danzica", che assicurava alla
Polonia uno sbocco sul mar Baltico e separava perciò la Prussia orientale dal
resto della Germania.
Le clausole militari imposero alla Germania l’abolizione della leva militare
obbligatoria e la riduzione dell’esercito (non più di 100.000 uomini).

La fine dei grandi imperi


Gli imperi austro-ungarico e ottomano avevano cessato di esistere e al loro
posto nacquero vari stati indipendenti.
I nuovi confini vennero definiti tramite 4 trattati: trattato di Sant Germain con
l’Austria, del Trianon con l’Ungheria, di Sevres con la Turchia.
Con il trattato di Saint-Germain fu costituita la nuova repubblica d'Austria,
Vienna, la capitale dell'ex impero asburgico rimase così una grande città a capo
di uno Stato minuscolo.
Inoltre, per impedire qualsiasi spinta a un'eventuale unificazione con la
Germania, l'Austria venne posta sotto il controllo del Consiglio della Società delle
Nazioni.
Il Trentino, l'Alto Adige fino alla linea del Brennero, Trieste e l'Istria furono
annessi all'Italia.
Il resto dell'ex impero austro-ungarico venne smembrato.
L'Ungheria subì anch'essa numerose perdite territoriali; la Boemia e la
Slovacchia confluirono nel nuovo Stato della Cecoslovacchia, mentre le
popolazioni slave del Sud si unirono alla Serbia dando vita al Regno dei serbi, dei
croati e degli sloveni (che dal 1929 prese il nome Iugoslavia).
L'ex impero asburgico perse anche la Galizia, che andò alla Polonia, la Bulgaria
dovette cedere la Tracia alla Grecia.
Il trattato di Sèvres sancì la conclusione del lungo processo di disgregazione
dell'impero ottomano: cedute tutte le regioni arabe, perso il controllo sugli
Stretti, la Turchia venne assegnata alla Grecia.
L'impero zarista aveva cessato di esistere con la successiva pace di Brest-Litovsk
firmata con la Germania.
Il nuovo governo bolscevico aveva dovuto accettare la perdita dell'Ucraina, della
Polonia, della Finlandia e delle province baltiche dell'Estonia, della Lettonia e
della Lituania.
La conferenza di Parigi annullò le clausole di quel trattato, ma solo l'Ucraina
sarebbe tornata, nel 1920, sotto il controllo russo, mentre la Polonia, la Finlandia
e le province baltiche si trasformarono in repubbliche indipendenti.
Con il trattato di Versailles entrò in vigore anche il patto costitutivo della Società
delle Nazioni che aveva sede a Ginevra, si compose di un'Assemblea, alla quale
partecipavano su un piano di parità tutti i paesi aderenti, e di un Consiglio di
nove membri, di cui cinque permanenti (Gran Bretagna,
Francia, Stati Uniti, Italia e Giappone) e quattro eletti dall'Assemblea.
La Società delle Nazioni aveva per suo compito fondamentale quello di garantire
l'indipendenza e la sovranità di tutti gli stati membri in caso di contrasti
internazionali, si sarebbe fatto ricorso alla mediazione e all'arbitrato, se uno dei
paesi avesse dichiarato guerra prima dello scadere di tre mesi sarebbero scattate
a suo carico adeguate sanzioni economiche.
L'articolo 22 del protocollo della Società delle Nazioni introduceva anche una
nuova istituzione, i"mandati", ovvero una forma di "tutela temporanea" affidata
alle singole potenze con lo scopo di "avviare all'indipendenza" i territori ex-
ottomani. Fu attraverso i "mandati" che Francia e Gran Bretagna poterono dar
adito alle loro ambizioni egemoniche in Medio Oriente, la Francia impose il
proprio ruolo di potenza sulla Siria e sul Libano; la Gran- Bretagna sulla
Palestina, sulla Trans-giordania e sull'Iraq.
La Società delle Nazioni si trovò subito gravemente indebolita dalla mancata
adesione degli Stati Uniti.

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