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L’IMPERO AUSTRO-UNGARICO
Sebbene all’inizio del XX l’impero austro-ungarico aveva avuto una fase di
espansione economica, al suo interno vi erano profonde differenza, infatti si
alternavano aree urbane popolose e aree completamente rurali.
Inoltre i rapporti con l’Ungheria stavano diventando sempre più difficili,
nonostante il Compromesso firmato nel 1867. Con questo trattato l’impero
austriaco diventava una duplice monarchia formata dall’impero d’Austria e dal
regno d’Ungheria, i due stati avevano le proprie leggi, ma condividevano la sfera
politica ed economica.
La più grave minaccia per l'unità dello Stato asburgico proveniva senza dubbio
dai Balcani. Si trattava di un'area caratterizzata dalla compresenza di una
popolazione riconducibile a una grande varietà di etnie lingue e religioni e una
guerra in questa zona avrebbe causato l’intervento della Russia, da sempre
considerata la protettrice dei popoli slavi.
L’IMPERO OTTOMANO
A inasprire i contrasti tra la Russia e l'impero asburgico nella regione balcanica
sopraggiunse una nuova crisi sul fronte turco.
Nel luglio 1908 a Istanbul scoppio una rivoluzione: la rivoluzione dei Giovani
turchi, guidati da Mustafà Kemal, che portò ad una nuova ideologia, ovvero al
Panturchismo.
Questa ideologia prevedeva che non ci fossero etnie diverse sul suolo turco poiché
volevano amalgamare il popolo per quanto riguarda le caratteristiche etniche.
Nella notte tra il 24-25 Aprile 1915 ebbe inizio il genocidio armeno.
La comunità armena viveva in Anatolia da millenni, ma in Turchia tutti coloro
che non erano mussulmano erano considerati cittadini di serie B.
L’obiettivo dei Turchi era proprio l’eliminazione fisica degli armeni, comunità
cristiana insediata in Anatolia.
Gli armeni dovettero affrontare le marce della morta in vista del deserto per
raggiungere Aleppo.
Ma come arrivano al confine con la Siria per iniziare le parce della morte?
La deportazione avveniva attraverso i treni, in quanto doveva essere una cosa
silenziosa e veloce.
LE GUERRE BALCANICHE
Nel 1912, la vittoria conseguita dall'Italia contro la Turchia per il possesso della
Libia e delle isole del Dodecaneso ribadì la vulnerabilità dell'impero ottomano.
Nei primi mesi del 1912, con l'incoraggiamento della Russia, si formò un'alleanza
in funzione anti-turca tra la Serbia, la Grecia, la Bulgaria e il Montenegro, che
intrapresero la cosiddetta, prima guerra balcanica.
La loro vittoria li portò a mettere le mani su una fetta consistente dell'impero
ottomano.
La spartizione tra gli alleati non fu però pacifica: la Bulgaria, che aveva
sostenuto il maggior peso della guerra, attaccò la Serbia e la Grecia, così che
scoppiò una seconda guerra balcanica nella quale si inserì anche la Romania.
Isolata e attaccata da ogni parte, alla Bulgaria non restò che chiedere la pace.
A conclusione del conflitto la Macedonia venne divisa tra Serbia e Grecia e la
Tracia fu restituita all'impero ottomano, venne inoltre creato un autonomo Stato
albanese.
LE CRISI MAROCCHINE
Il piano di riarmo navale e la penetrazione economica nell'impero ottomano della
Germania causarono l'inasprimento delle tensioni con la Gran Bretagna e un
legame sempre più forte tra britannici e francesi. Nel 1904 i due governi
stipularono un accordo: l’Intesa Cordiale, un’alleanza anti-tedesca.
L'accordo franco-britannico ebbe come prima conseguenza quella di irrigidire le
posizioni della Germania, che aveva sviluppato interessi economici in Marocco.
Alla conferenza internazionale di Algeciras, convocata per risolvere la questione
ed evitare un conflitto franco-tedesco, la Francia ricevette l'appoggio
dell'Inghilterra, della Russia, della Spagna e dell'Italia, mentre la Germania poté
contare solo sul sostegno dell'impero austro-ungarico.
Nel frattempo la Gran Bretagna si avvicinò alla Russia e la Duplice Intesa
franco-russa del 1894 si trasformò nella Triplice Intesa, che di fatto si
contrapponeva alla Triplice Alleanza (Italia-Germania-Austria).
La Germania si trovò ben presto a constatare quanto fosse isolata in Europa,
mentre il suo alleato austriaco era-assorbito dalle tensioni nella regione dei
Balcani.
La Francia occupò militarmente alcune città marocchine e Guglielmo Il reagì
immediatamente con una dimostrazione di forza, inviando nella rada di Agadir,
una grossa cannoniera tedesca.
Il primo ministro inglese Lloyd George avvertì la Germania che se intendeva
provocare una guerra la Gran Bretagna era pronta ad affrontarla.
Guglielmo Il fu dunque costretto a cedere ancora una volta, ottenendo, in cambio
del riconoscimento alla Francia del protettorato su tutto il Marocco, solo una
striscia di terra nel Congo francese.
IL SISTEMA GIOLITTIANO
Verso la fine dell’Ottocento, l’Italia aveva affrontato una crisi politica dovuta sia
dalla fine dell’ultimo governo Crispi, sia dalla sconfitta ad Adua da parte
dell’esercito abissino che segnò la fine della campagna coloniale del corno
d’Africa.
Nella primavera del 1898 l'intero paese fu scosso da un ondata di proteste
popolari, causate de un forte rincaro del prezzo del pane.
Il governo rispose violentemente ricorrendo all'artiglieria, infatti i cannoni del
generale Bava-Beccaris fecero decine di morti e centinaia di feriti.
Nel timore di altri disordini, il nuovo presidente del consiglio Luigi Pelloux
presentò in Parlamento una serie di leggi che limitavano drasticamente le libertà
di stampa, di associazione e di sciopero.
Socialisti, radicali, repubblicani e le forze liberali progressiste che facevano capo a
Giovanni Giolitti (1842-1928) e a Giuseppe Zanardelli (1826-1903)
organizzarono una strenua opposizione parlamentare, che ebbe successo.
Dopo le elezioni, il re Umberto I affidò il nuovo governo a Giuseppe Saracco.
Fu l'ultimo atto del sovrano perchè 29 luglio 1900 fu assassinato dall'anarchico
Gaetano Bresci, che intendeva vendicare cosi i morti del 1898.
Salito al trono dopo l'uccisione del padre, il giovane Vittorio Emanuele IlI affidò
pertanto la guida del governo a Giuseppe Zanardelli, leader di quella sinistra
liberale.
Egli nominò Giolitti come ministro degli interni e il suo pensiero si basava sulla
neutralità dello stato nei conflitti fra capitale e lavoro, inoltre riconobbe il diritto
di scioperare e la libertà di associarsi.
Con lui ci fu una ripresa economica e l’aumento dei salari, oltre all’emanazione di
provvedimenti volti a tutelare il lavoro femminile e minorile.
In seguito, Zanardelli gravemente malato diede l'incarico di formare il nuovo
esecutivo a Giolitti.
Per formare il su governo Giolitti invitò il leader del Partito socialista
Filippo Turati.
Nel PSI vivevano due anime una riformista, l'altra rivoluzionaria.
La partecipazione al governo del più autorevole esponente socialista avrebbe
consentito di isolare la corrente rivoluzionaria, tuttavia il leader socialista rifiutò
l’invito consapevole che parte del suo partito non lo avrebbe seguito.
Dopo il rifiuto, Giolitti cercò comunque di avere una solita maggioranza
parlamentale per perseguire un riformismo pragmatico in cui convivevano un
forte razionalismo e la fiducia nel progresso.
Successivamente venne criticato da alcuni settori della stampa e soprattutto da
Gaetano Salvemini che lo accusò di metodi malavitosi per assicurarsi il
consenso elettorale.
Nel 1904 i massimali, ovvero coloro che facevano parte dei rivoluzionari,
organizzarono per la prima volta uno sciopero generale, in seguito all’ennesima
uccisione di alcuni lavoratori da parte delle forze dell’ordine.
Giolitti agì con cautela per evitare che la manifestazione sfociasse in episodi
tragici.
Nel 1906 nacque la confederazione generale del lavoro (CGDL) che divenne fin da
subito una roccaforte riformista.
1915-1916
Le truppe italiane furono schierate su due fronti: in Trentino e in Venezia Giulia,
Il comandante supremo dell’esercito Luigi Cadorna aveva puntato soprattutto sul
secondo e continuò a impartire caparbietà per abbattere le forze austriache lungo
il tratto meridionale del fiume Isonzo.
L'unico risultato tangibile degli attacchi italiani, costati un numero elevatissimo
di vite umane, fu la conquista di Gorizia nell'agosto 1916.
Nel frattempo la situazione sul fronte occidentale era rimasta sostanzialmente
inalterata.
Nel corso del 1916 la battaglia di Verdun e la battaglia della Somme, si risolsero
in autentiche carneficine: più di un milione e mezzo di uomini persero la vita.
Sul versante orientale nel corso del 1915 le vittorie austro-tedesche proseguirono
e i russi furono costretti ad abbandonare buona parte della Polonia.
Anche sul fronte balcanico il conflitto risultò favorevole in un primo tempo agli
Imperi centrali, che avevano potuto contare sull'ingresso in guerra al loro fianco
dell'impero ottomano, legato alla Germania da un trattato segreto.
Intanto il conflitto si era allargato in altri paesi: la Bulgaria schieratasi con gli
imperi centrali (Germania-Austria-Impero Ottomano-Bulgaria) contribuì alla
sconfitta della Serbia e a fianco della triplice Intesa entrò oltre al Portogallo
anche la Romania.
A determinare gli insuccessi militari dei turchi sul fronte russo era stata
soprattutto la scarsa efficienza del loro apparato militare e amministrativo.
Il governo britannico scelse una strada diversa per colpire la Turchia: quella di
incitare gli arabi alla rivolta in Medio Oriente, facendo intravedere loro la
prospettiva della costituzione, a guerra conclusa, di un grande Stato arabo
indipendente, ma le promesse non sarebbero state mantenute.
Quel che giocava a favore delle potenze dell'Intesa era la supremazia della flotta
britannica sui mari.
L'unica grande battaglia navale, svoltasi nei pressi della penisola dello Jutland, in
Danimarca, nel maggio 1916, ebbe un esito incerto, le perdite subite dalla flotta-
tedesca furono tanto pesanti da consigliare all'ammiragliato tedesco di non
sfidare di nuovo la marina britannica.
La Gran Bretagna strinse un ferreo blocco navale gli Imperi centrali, impedendo
loro di approvvigionarsi all'estero di prodotti alimentari e di materie prime.
Al blocco navale imposto dalla flotta britannica, la Germania replicò e dopo la
morte di 1198 persone, di cui 123 cittadini statunitensi, provocata
dall'affondamento della nave passeggeri inglese "Lusitania" nel maggio 1915,
promise al presidente americano Woodrow Wilson che l'attacco di qualsiasi nave
sarebbe stato sempre preceduto da un preavviso, in modo che quanti erano a
bordo potessero trasferirsi sulle scialuppe di salvataggio.
Con l'aggravarsi degli effetti del blocco navale inglese, la guerra sottomarina
tedesca, divenne invece "totale" in quanto prevedeva l'affondamento di tutte le
navi, senza distinzioni di sorta.
Questa nuova strategia annientatrice mise in seria difficoltà la Gran Bretagna,
ma in realtà si trattava di una scelta che nel giro di poco si sarebbe rivelata
controproducente: proprio la guerra sottomarina, infatti, avrebbe spinto gli Stati
Uniti a rompere gli indugi e a entrare in guerra.
1917
La mancanza di cibo, di munizioni e di assistenza medica, aggravarono la
condizione di esasperazione dei soldati.
A Pietrogrado iniziò una manifestazione e nei giorni successivi uno sciopero
generale di protesta contro l’autorità zarista accusata di mandare inutilmente a
morire il proprio popolo.
La caduta del secolare regime degli zar e la nascita della "repubblica dei soviet"
ebbe come conseguenza pressoché immediata l'uscita della Russia dalla guerra.
Il trattato di Brest-Litovsk, firmato con le potenze dell’Intesa, comportò una
gravissima amputazione territoriale per l'ex impero russo: oltre a dover
riconoscere l'indipendenza della repubblica ucraina, la Russia venne privata di
Estonia, Lettonia, Lituania e di parte della Bielorussia.
Anche in altri paesi si diffusero vari moti di protesta e di ribellione.
Durante la notte tra il 23 e il 24 ottobre 1917 il fronte italiano dell'alto Isonzo
nei pressi di Caporetto venne sottoposto a un pesantissimo attacco da parte
dell'artiglieria austriaca e tedesca, i soldati austro-tedeschi, anziché assaltare in
massa tutto il fronte delle trincee italiane, si divisero in piccoli gruppi con il
compito di spezzare in punti diversi la prima linea nemica, infiltrandosi in
profondità lungo le vallate e prendendo alle spalle gli avversari.
La manovra riuscì e furono fatti prigionieri 300.000 soldati italiani.
Il risultato della disfatta di Caporetto fu che il Friuli e metà del Veneto caddero in
mano dell'esercito austriaco, rafforzato da numerosi contingenti tedeschi.
Con la sconfitta di Caporetto, il generale Cadorna abbandonò l’esercito e venne
affidato ad Armando Diaz che decise di abbandonare la tattica offensiva.
Nel corso del 1917, la ripresa in grande stile della guerra sottomarina da parte
della Germania ebbe una conseguenza decisiva per le sorti del conflitto.
Fino ad allora gli Stati Uniti si erano mantenuti neutrali, le simpatie del
presidente democratico Wilson andavano all'Intesa e in particolare alla Gran
Bretagna. Esistevano da tempo tra britannici e americani strette relazioni
commerciali e finanziarie, inoltre gli USA avevano venduto armi alla Francia e
all'Inghilterra.
Di fatto quando i sottomarini tedeschi affondarono tre navi mercantili
statunitensi il 2 aprile 1917 il presidente Wilson proclamò guerra alla
Germania.
Fra il 21 Marzo e il 15 Luglio 1918 lo stato tedesco sferrò cinque grandi offensive
arrivando a minacciare di nuovo Parigi.
Grazie al sostegno degli USA, l’Intesa passò all’offensiva battendo i tedeschi nella
battaglia di Amiens e la Germania subì la sua più grande sconfitta.
Al fronte, l'esercito italiano riuscì a opporre sul Piave, un'efficace resistenza a una
nuova offensiva intrapresa a metà giugno dall'esercito austriaco.
Quattro mesi dopo, a metà ottobre, fu la volta delle truppe italiane di passare all’
attacco contro le armate austriache.
Il 24 ottobre 1918, la battaglia che consentì di raggiungere Vittorio Veneto e di
penetrare in Cadore segnò la definitiva sconfitta degli austriaci.
Nei giorni seguenti furono conquistate Trento e Trieste.
I rappresentanti austriaci firmarono a Villa Giusti, presso Padova, un armistizio
con l'Italia.
Quando gli italiani lanciarono la loro ultima offensiva, l'impero asburgico stava
ormai sfaldandosi e qualche mese dopo anche l’impero ottomano si arrese e la
Germania firmò la resa ponendo fine al conflitto.
I TRATTATI DI PACE
Già nel gennaio 1918, quando gli Stati Uniti erano entrati in guerra, il presidente
americano Wilson aveva illustrato al Congresso un programma articolato in 14
punti, che enunciava i principi attorno ai quali costruire una pace giusta e
duratura.
Wilson aveva proposto un sistema di relazioni internazionali fondato non più
sulla competizione fra i singoli stati bensì sulla cooperazione, in uno scenario che
avrebbe dovuto prevedere l’emancipazione delle nazionalità oppresse.
Inoltre egli auspicava una "diplomazia aperta" in modo che gli accordi fra i
governi non fossero più celati nel segreto, ma sottoposti al controllo dell'opinione
pubblica. La rimozione delle barriere doganali, la libertà di navigazione su tutti i
mari avrebbero dovuto contribuire a rendere il mondo "un luogo sicuro per la
democrazia".
Wilson aveva proposto l'istituzione di una "Società delle Nazioni", con il compito
di risolvere pacificamente le controversie internazionali.
La conferenza di pace di Parigi si aprì il 18 Gennaio 1919 a Versailles.
L'aspirazione di Wilson si scontrò subito con le due potenze di Francia e
Inghilterra: rifiutarono infatti di applicare il principio di auto-determinazione
dei popoli in Africa e in Asia.
Ma fu soprattutto durante la discussione sul primo e più importante trattato di
pace, quello con la Germania, che apparve evidente quanto le intenzioni di
Francia e Inghilterra fossero distanti dall'idea di Wilson.
I rappresentanti francesi manifestarono infatti una risoluta volontà punitiva nei
confronti della Germania, dunque, nel 1919 la Francia era decisa ad avvalersi dei
trattati di pace per condannare la Germania a una condizione di definitiva e
irreversibile inferiorità.
Inizialmente la Gran Bretagna, temendo un eccessivo rafforzamento della potenza
francese, non si mostrò disposta a sostenere le pretese di Parigi, ma Lloyd George
fini poi per appoggiare Clemenceau perché contava di ottenere in cambio dei
vantaggi concreti nella parallela trattativa in corso con la Francia per la
spartizione del Medio Oriente.
La pace punitiva e le condizioni imposte alla Germania furono legittimate nel
trattato di Versailles, che attribuiva allo Stato tedesco la colpa dello scoppio del
conflitto.
Il trattato stabilì che il governo francese per quindici anni avrebbe avuto pieno
diritto allo sfruttamento del ricco bacino carbonifero della Saar.
Lo Schleswig settentrionale tornò alla Danimarca.
Alla Polonia, ricostituita come Stato nazionale, andarono alcune regioni orientali
tedesche; a queste si aggiungeva il "corridoio di Danzica", che assicurava alla
Polonia uno sbocco sul mar Baltico e separava perciò la Prussia orientale dal
resto della Germania.
Le clausole militari imposero alla Germania l’abolizione della leva militare
obbligatoria e la riduzione dell’esercito (non più di 100.000 uomini).