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Fra il 1815 e il 1870 il nazionalismo era collegato all’idea di sovranità popolare ed era alleato con il
liberalismo e la democrazia.
Dopo l’unificazione tedesca e l’imperialismo coloniale, che legava la grandezza nazionale alle
guerre, il nazionalismo si spostò a destra e si legò alle matrici romantiche e tradizionaliste e alle
teorie razziste, che dividevano tra “razze superiori” e “razze inferiori”.
Nazionalismo francese:
era appoggiato da nostalgici del militarismo bonapartista e da gruppi reazionari che volevano il
ritorno alla monarchia e ad una società cattolica e rurale. Il nazionalismo era rivolto verso i nemici
interni, soprattutto gli ebrei.
Nazionalismo tedesco:
aveva una forte componente antiebraica ed una vena anticapitalistica e borghese; cercava anch’esso
le sue basi nel mito del popolo, che alimentò i movimenti pangermanisti, che auspicavano la
riunificazione in un unico Stato di tutte le popolazioni tedesche.
Un movimento simile fu il panslavismo, nato in Russia e diffuso poi nei Paesi slavi dell’Europa
orientale.
Contro questo antisemitismo diffuso nacque il sionismo, un movimento che voleva dare un’identità
nazionale alle popolazioni israelite sparse per il mondo e costituire uno Stato ebraico in Palestina.
La Prussia di Bismarck
Al centro dell'Europa acquistava sempre maggiore influenza la Prussia, che aveva voluto
l'evoluzione industriale più intensa dell'intero continente. Sotto la guida del cancelliere Otto von
Bismarck e del re Guglielmo I di Hohenzollern, lo Stato prussiano assunse sempre più i caratteri di
potenza militare, mentre il Parlamento venne progressivamente esautorato dei suoi poteri. Lo scopo
basilare della politica di Bismarck era realizzare l'unità tedesca sotto l'egemonia della Prussia:
questo provocò il conflitto con l'Austria del 1866, in cui anche l'Italia si schierò a fianco della nuova
potenza tedesca. La vittoria della Prussia e i successivi tentativi per allargare la propria egemonia,
attraverso accordi commerciali e trattati di alleanza militare con gli Stati tedeschi del Sud,
provocarono la reazione della Francia e le due potenze arrivarono ben presto a scontrarsi, dando
inizio a un conflitto che, passando da fasi di guerra aperta a farsi di ostilità latente, avrebbe
interessato per molti decenni il cuore dell'Europa.
La Comune di Parigi
Il popolo parigino non accettò la resa del governo repubblicano e il 18 marzo del 1871 insorse
costituendo un governo rivoluzionario e democratico, impegnato nella realizzazione di uno Stato
federale (la Comune) all'interno del quale tutte le comunità cittadine avrebbero goduto di una piena
autonomia. La Comune però fu ben presto dilaniata da forti contrasti interni tra l'ala moderata,
borghese-repubblicana, e quella socialista più radicale. Alla fine prevalse quest'ultimo gruppo, che
il 26 marzo 1871 realizzò il primo regime proletario della storia. La radicalità delle posizioni dei
cosiddetti comunardi facilitò la dura reazione dei conservatori, che in una settimana (21-28 maggio)
riconquistarono Parigi, dopo una sanguinosa lotta che lasciò sul campo oltre 20.000 morti.
L'Inghilterra vittoriana
La vera potenza egemone era ancora l'Inghilterra che, grazie allo sviluppo economico, si estraniò
dai conflitti europei dedicandosi al consolidamento della propria organizzazione statale, economica
e sociale e all'espansione dei propri domini coloniali, riuniti sin dal 1867 in una confederazione di
Stati dipendenti dalla corona britannica, il Commonwealth. Avvantaggiata dall'esser stata la culla
della prima rivoluzione industriale e dall'aver scelto il liberismo economico, l'Inghilterra dominava
il commercio internazionale grazie alla propria organizzazione finanziaria e all'imponente flotta
mercantile. Durante il suo lungo regno (1837-1901) la regina Vittoria collaborò sapientemente con
il Parlamento e con due grandi primi ministri, Benjamin Disraeli e William Gladstone. Essi
favorirono la modernizzazione dello Stato inglese potenziando servizi sociali e istruzione e
promuovendo l'integrazione delle masse lavoratrici attraverso il riconoscimento delle associazioni
dei lavoratori (Trade Unions, 1871) e la concessione del diritto di voto. Le loro riforme garantirono
all'Inghilterra una lunga pace sociale.
Il commercio e le industrie
Agli inizi del regno, anche l'industria italiana si trovava in condizioni decisamente arretrate: le
materie prime erano molto limitate ed esportate grezze; l'industria metallurgica quasi inesistente per
la carenza del combustibile fossile necessario alla lavorazione; l'industria meccanica si limitava alla
cantieristica, che però entrò ben presto in crisi per l'inadeguatezza tecnologica e strutturale a
produrre moderne navi a vapore. esisteva solo la piccola industria, per lo più alimentare o tessile,
nelle campagne, dove era diffuso il lavoro a domicilio. Le scelte liberiste dei primi governi della
Destra non riuscirono a mutare la situazione, anzi la peggiorarono, nonostante gli investimenti in
infrastrutture (strade, ferrovie, ponti, porti, poste e telegrafi ecc.).
Questi, però, attrassero capitali esteri, che favorirono lo sviluppo del settore del commercio e la
partecipazione estera alle imprese pubbliche italiane.
Sotto il governo della Sinistra, nell'ultimo ventennio del XIX secolo l'industria italiana compì un
vero progresso, favorita dagli investimenti stranieri e dalla nascita di nuove banche, sorte
appositamente con il fine di concedere prestiti a questo settore.
Dopo il 1897 sorsero le grandi industrie prevalentemente nel Nord, tessili (Rossi, Marzotto,
Cantoni), siderurgiche e meccaniche (Falck, Ansaldo, Breda, Acciaieri di Terni), complessi quali
quello idroelettrico della Edison, quello chimico della Montecatini, quello automobilistico della
Fiat.
La questione sociale
Le difficili questioni economiche e sociali delle popolazioni italiane non trovarono inizialmente una
forma di rappresentanza politica, dato che alla vita pubblica partecipava un numero ristretto di
persone: aristocratici, notabili, proprietari. I movimenti più presenti erano il mazzinianesimo e
l'anarchismo di Bakunin, fino a quando, nell'ultimo decennio dell'Ottocento sorsero, quasi
contemporaneamente, il Partito socialista italiano (1892-1895), i cui primi leader furono l'avocato
milanese Filippo Turati (1857-1932) e la sua compagna russa Anna Kuliscioff (1857-1925), e il
primo movimento sindacale: le numerose società operaie di mutuo soccorso diedero vita, infatti,
alle prime Camere del lavoro, finalizzate alla tutela dei diritti dei lavoratori.
L'Italia e l'Europa
In politica estera la Sinistra scelse il non impegno internazionale, che condusse l'Italia a un
pericoloso isolamento. Per uscirne Depretis si avvicinò alla Germania di Bismarck e quindi
all'Austria, dato che tra le due nazioni esisteva un patto (Duplice Alleanza, 1879). Nel 1882 si
giunse così alla firma della Triplice Alleanza. Il patto, rinnovabile ogni cinque anni garantiva
all'Italia l'aiuto austro tedesco nel caso di un aggressione francese, la liberava dalla minaccia
austriaca, favoriva le esportazioni in Germania e rappresentava un grave scacco per il pontefice,
posto di fronte all'alleanza tra la cattolica Austria e il regno d'Italia.