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IL COMMERCIO ATLANTICO DEGLI SCHIAVI

CAPITOLO 1 - Il ruolo della schiavitù nello sviluppo dell'Occidente 


Pochi furono i popoli che sfuggirono alla schiavitù. Questa pratica era largamente utilizzata non tanto per il tipo di mansioni da svolgere, che poco si
differenziavano da quelle degli altri lavoratori, ma per l'assenza di legami familiari e comunitari che caratterizzava queste persone rendendole la
manodopera più mobile e versatile sul mercato. Gli schiavi erano completamente dipendenti dalla volontà dei loro padroni e il loro costo era assai
inferiore a quello di qualsiasi altro gruppo. 

EUROPA 
La schiavitù ha avuto origine nei secoli immediatamente precedenti all'era cristiana, nelle città-stato greche e nell'emergente Impero Romano. Al
contrario della Grecia classica, in cui il lavoro schiavo aveva un impiego limitato alle zone rurali e dunque non poté diventare un'istituzione economica
sviluppata, a Roma la schiavitù giocò un ruolo cruciale nell'economia. Qui, dove l'esercito assorbiva il 10% della forza lavoro contadina e circa il 30%
della popolazione era urbanizzata, per riuscire a sfamare anche questa parte di popolazione non rurale, risultò naturale la nascita di grandi latifondi
basati sul lavoro degli schiavi. 
In epoca imperiale la popolazione italiana arrivò a contare dai 2 ai 3 milioni di schiavi (40% del totale). 
I romani crearono un sistema schiavista moderno, simile a quelli che si sarebbero instaurati nell'emisfero occidentale e, inoltre, la definizione romana
dello status giuridico degli schiavi influenzò le relative norme legali delle società schiaviste americane: una serie di restrizioni al potere che i padroni
potevano esercitare sui loro schiavi (in termine di diritti e sicurezza) aiutò a mantenere una forza lavoro stabile. 
La schiavitù romana rimase un'istituzione solida fino al crollo dell'impero, e questo perché i mercati urbani andarono in declino, il commercio a lunga
distanza collassò e l'agricoltura divenne autosufficiente. Tornò quindi a predominare il lavoro agricolo contadino e la schiavitù si ritirò in ambito
domestico. 
Nel primo Medioevo assunsero importanza la difesa e la sicurezza, facendo nascere una nuova manodopera, quella dei servi. Nella maggior parte dei
casi questi erano contadini che rinunciavano a parte della loro libertà in cambio di protezione dalle élite locali. Ciononostante, la schiavitù non
scomparve mai del tutto dall'Europa. 
La ripresa del commercio a lunga distanza determinata dalle prime Crociate tornò a coinvolgere l'Europa cristiana nel commercio degli schiavi; è in
questo periodo che fiorì il mercato degli schiavi slavi, da cui appunto deriva il nome. Ma anche nell'Europa cristiana, la schiavitù era quasi
esclusivamente confinata alle attività domestiche. 
Soltanto nel mondo mediterraneo islamico gli schiavi ripresero ad essere acquistati in quantità grandi a tal punto da rivitalizzare l'istituzione della
schiavitù come fondamentale fattore di produzione. Questo mercato crollò però con il declino degli stati iberici islamici. 
Alla fine del Medioevo, in Europa l'impiego su larga scala di manodopera schiava nell'agricoltura era scomparso e l'economia dipendeva dalla
manodopera contadina. 

AFRICA 
Anche qui la schiavitù esisteva già da tempi molto antichi. Prima della tratta però, come in Europa, rappresentava un'istituzione poco rilevante. 
Nel corso dell'VIII secolo, con l'espansione dell'Islam, assunse una nuova dimensione; i mercanti islamici cominciarono ad assumere ruoli sempre più
importanti e le savane subsahariane, la regione del Mar Rosso e i porti sull'Oceano Indiano divennero fulcri dell'espansione musulmana per i quali si
sviluppò un flusso internazionale di schiavi piuttosto costante. Nonostante ciò, a parte gli Stati Wolof e quelli islamizzati sul confine subsahariano in cui
gli schiavi lavoravano sia per il consumo locale che per l'esportazione (in Niger per farina e riso, in Sudan per l'oro e le raffinerie di sale nel Sahara),
nella maggioranza delle nazioni africane la schiavitù continuò ad esistere come istituzione minoritaria; gli schiavi in questi contesti coprivano ruoli vari,
dalle concubine alle vittime sacrificali, dai soldati ai braccianti, ma non erano fondamentali per il processo di produzione e non avevano uno status
giuridico definito. 
Prima dell'arrivo degli europei esisteva in Africa una duplice tratta di schiavi, una verso nord e l'altra verso est. Queste tratte pre-atlantiche differivano
dai traffici europei sia per la maggiore presenza di donne e bambini, sia perché erano meno intense. 
Con l'arrivo dei portoghesi, la tratta degli schiavi in Africa ebbe una svolta: anche se inizialmente non erano molto diversi dai commercianti musulmani
del Nord Africa e avevano come obiettivo primario l'oro e non gli schiavi, con l'introduzione della produzione di zucchero nel 1400 nelle isole
dell'Atlantico, cominciarono a 
dare agli schiavi impieghi fondamentali. 
Dopo il 1500 con l'effettiva colonizzazione di isole come Sao Tomè (che divenne un deposito di schiavi e il centro delle piantagioni di zucchero) e
l'intensificarsi dei rapporti commerciali con il Congo, l'Africa centro occidentale venne attirata per la prima volta nell'orbita della tratta. Quando poi gli
spagnoli conquistarono le isole caraibiche e i portoghesi si insediarono in Brasile, il mercato degli schiavi africani si aprì ulteriormente e il loro lavoro
venne sperimentato per la prima volta nelle piantagioni caraibiche. 
In seguito, una serie di invasioni del Congo da parte di potenze africane nemiche scatenarono l'intervento militare portoghese in aiuto del regime
locale, che si sviluppò poi nella fondazione di un insediamento permanente nel porto di Luanda. L'ascesa di Luanda determinò il declino di Sao Tomè
come deposito di schiavi, che cominciarono ad essere spediti in America direttamente dalla costa africana. 
Anche Lisbona e Siviglia diventarono centri del commercio di schiavi, che però qui non divennero mai la principale forza lavoro di nessuna economia
locale (meno del 15% della popolazione). La schiavitù africana in Europa durante la prima era moderna si fuse con un sistema schiavistico già esistente
e a mano a mano che gli altri gruppi di schiavi si estinguevano, gli africani predominavano in questa fetta di popolazione. Alla fine del XVI secolo, a
Lisbona si contavano circa 15mila schiavi. 
Non arrivando mai a costituire una quota maggioritaria della popolazione locale, gli schiavi africani adottarono rapidamente la cultura, lingua e
religione dei loro padroni; si integrarono così facilmente da venire chiamati “ladinos”, ossia europeizzati, per distinguerli dai “bozales”, e furono loro
ad accompagnare i loro padroni nel nuovo Mondo diventando così i primi abitanti neri del continente americano. 
Con le operazioni di popolamento delle isole atlantiche conquistate (Azzorre, Madeira, Sao Tomè e Capo Verde), ci si rese conto che alcune di esse
erano ideali per la coltivazione dello zucchero, così vennero introdotte le tecniche di produzione sviluppate nel Mediterraneo e in poco tempo venne
aperto in Europa un importante mercato di consumo dello zucchero. Le tecniche e i modelli di organizzazione usati qui vennero poi adottati nel Nuovo
Mondo. Anche la struttura sociale era la stessa del Nuovo Mondo: al vertice la minoranza dei proprietari ricchi, seguita da uno strato intermedio di
piantatori europei, troppo poveri per diventare proprietari autonomi, e poi dallo strato più basso, gli schiavi neri che componevano la maggioranza
della popolazione. 
Fu proprio la manodopera degli schiavi neri ad essere usata in questo periodo perché:
→ la popolazione europea del 1500 si stava riprendendo lentamente dalla Peste Nera e dunque le risorse demografiche erano esigue
→ l'espansione dei mercati del lavoro portava con sé anche un aumento dei salari;
→ la crescita dei corpi militari in seguito alle guerre mediterranee contro gli Stati islamici toglieva ulteriori risorse alla manodopera locale;
→ il viaggio nel Nuovo Mondo era caro e pericoloso e non tutti erano disposti a rischiare;
→ i nativi amerindiani erano fisicamente troppo deboli per sopportare una tale mole di lavoro. 
CAPITOLO 2 - La domanda di manodopera nelle Americhe 
Il lavoro degli schiavi africani non fu applicato fin dall'inizio del Nuovo Mondo. Rappresentava, infatti, una parte relativamente minoritaria, poiché
inizialmente gli indios americani erano circa 25milioni e la crescita demografica europea faceva pensare ad una possibile emigrazione dei contadini per
soddisfare le necessità di manodopera in America. 

Le specifiche condizioni del lavoro americano definirono però lo sviluppo della tratta atlantica degli schiavi: 
→ per quanto riguarda l'America spagnola, il governo si oppose alla schiavizzazione delle popolazioni amerindiane per una serie di motivi politici,
culturali e religiosi, in favore del lavoro libero e salariato. Inoltre, gli imperi che avevano trovato in America erano a base contadina e potevano essere
sfruttati attraverso l'aristocrazia india senza bisogno di distruggerne la struttura politica e sociale. 
→ Nel caso portoghese, gli impedimenti posti dalla Corona furono minori, ma le popolazioni che trovarono 
si rivelarono poco abituate al lavoro agricolo sistematico, inaffidabili e costose. 

Gli iberici rinunciarono dunque a fare ricorso alla schiavitù india e dovettero fare a meno anche di quella dei lavoratori europei, poiché gli spagnoli
erano già impiegati negli eserciti professionisti e nell'agricoltura locale, che stava conoscendo un grande sviluppo, mentre il Portogallo contava già di
per sé pochissimi abitanti (meno di 1milione) e, inoltre, rispetto all'Africa e all'Asia, l'America portoghese era inizialmente un'offerta assai poco
allettante. 
Nelle province centrali dell'impero ispano-americano, come si è visto, il bisogno di manodopera europea o africana era limitato. Quando però le
malattie europee cominciarono a fare stragi tra gli indios, si ricorse 
all'importazione di schiavi dall'Africa, potendo contare sulla grande offerta di metalli preziosi che stavano offrendo le nuove terre. Gli africani erano più
utili e mobili rispetto agli indigeni e non avendo un gruppo culturale dominante, a contrario degli indios, si adattarono facilmente alle norme di
comportamento europee. 
Nel caso portoghese, le popolazioni che si incontrarono nel Nuovo Mondo non erano solo poco adattabili ad un lavoro agricolo sistematico, ma erano
anche molto più vulnerabili alle malattie europee. Così, la disponibilità portoghese di un accesso diretto ai mercati del lavoro africani fece sì che in
poco tempo le importazioni di schiavi dei portoghesi eguagliarono e superarono quelle spagnole. 
I nordeuropei, che seguirono gli iberici dopo alcuni decenni, disponevano di ancor meno indigeni e neppure avevano accesso a metalli preziosi con cui
pagare l'importazione di schiavi dall'Africa. In questo caso, grazie anche alla crisi dei salari dell'inizio '600 europeo, la manodopera europea si rivelò più
numerosa e a buon mercato. Dato che i lavoratori poveri non potevano permettersi il viaggio se non vendendo il proprio lavoro agli impresari, il
metodo più utilizzato fu quello dei servi a contratto. La fine della crisi determinò però lo sviluppo del mercato europeo e il conseguente rialzo dei costi
della servitù a contratto. Divenne dunque inevitabile che anche inglesi e francesi ricorressero agli schiavi africani. 
Così, dal momento che tutte le potenze europee se ne servivano, gli schiavi africani nel '500 avevano ormai soppiantato ogni altro gruppo etnico o
religioso sul mercato europeo: i guanci e gli indiani erano stati liberati dopo un periodo di schiavitù e i turchi avevano chiuso le tradizionali fonti slave e
balcaniche di approvvigionamento di schiavi. 

Il primato di importazione venne detenuto prima dagli spagnoli (76%), poi dai portoghesi e infine, nel 1700, da inglesi e francesi. 
Perù → gli schiavi africani non venivano solamente impiegati nelle miniere d'oro, ma anche nell'agricoltura 
soprattutto per l'approvvigionamento delle nuove grandi città e nell'allevamento del bestiame. Finirono per assumere ruoli fondamentali persino nel
settori delle comunicazioni, lavorando come mulattieri o marinai. Fu però nelle città dell'impero continentale spagnolo che gli schiavi ebbero il ruolo
economicamente più attivo: si specializzarono nella lavorazione dei metalli, nell'edilizia e nell'abbigliamento, arrivando anche a ricoprire lo status di
”mastro” senza suscitare opposizioni; lavoravano a fianco dei bianchi, con cui spesso entravano in competizione per ottenere i lavori migliori. Non
c'era istituzione che non disponesse di almeno una decina di schiavi. A metà '600, Lima contava 20mila schiavi africani, come le altre città interne e
costiere delle Ande; le cifre andavano diminuendo verso sud, nelle aree indie più densamente popolate (Cuzco e Potosí). 

In Messico, data la presenza di un maggior numero di indios, gli africani furono utilizzati meno che in Perù (2%-15%). 
La società iberica non fece nulla né per sostenere né per ostacolare l'affrancamento degli schiavi: poteva avvenire per autoriscatto, oppure per la
liberazione da proprietari caritatevoli. In entrambe le regioni, il 1650 segnò la fine delle importazioni di schiavi su grande scala. Da allora, la domanda
principale cadde in mano portoghese e delle isole caraibiche, fino ad allora trascurate: qui non esisteva una stabile popolazione india da sfruttare e
quindi venne impiegata quella africana. 

BRASILE 
In un primo tempo, i portoghesi mostrarono scarso interesse per questo territorio poiché si erano aperti una rotta marittima che aveva messo a loro
disposizione il Pacifico. Solo quando le altre potenze europee cominciarono a mirare al Brasile e in alcuni casi fondare insediamenti permanenti, i
portoghesi rivalutarono questa zona. Nel 1550 nacque così il primo sistema di piantagioni del Nuovo Mondo, che prendendo esempio dalle tecniche
impiegate nelle Azzorre, Madeira e Sao Tomè, si impose molto rapidamente sui mercati europei ponendo fine anche al primato dei produttori delle
isole atlantiche. I terreni migliori e le tecniche più recenti di macinazione portarono il Brasile a produrre annualmente 6 volte tanto quello che veniva
prodotto nelle isole. 
In queste piantagioni vennero inizialmente impiegati gli indios, che però con l'arrivo delle malattie epidemiche come il vaiolo, vennero sostituiti dagli
africani. 
Questa enorme produzione brasiliana che arrivava a toccare le 20mila tonnellate annue, attirò l'attenzione delle altre potenze europee. Gli olandesi,
partner commerciali storici dei portoghesi, fondarono la Compagnia delle Indie Occidentali per strappare a questi ultimi le loro colonie africane e
americane. Dopo il fallimento dei primi tentativi, riuscirono a conquistare Recife e ad usarla come base di produzione saccarifera, diventando così
diretti concorrenti dei portoghesi. La conquista dei possedimenti portoghesi in Africa permise agli olandesi di affermarsi come potenza anche nel
commercio degli schiavi. Quando i 
portoghesi riconquistarono i loro territori in Brasile, gli olandesi migrarono in massa verso le isole di Barbados, Martinica e Guadalupa, portando con
sé schiavi e tecniche di produzione. Con il loro arrivo, la produzione saccarifere divenne molto più redditizia: piantagioni esistevano già sulle isole da
anni, ma non si era mai riuscito a farle fruttare proficuamente. Solo gli olandesi, fornendo credito per importare macchinari costosi e schiavi africani,
riuscirono a fare diventare questo mercato redditizio. 
Nonostante il sistema di piantagioni da zucchero brasiliane assorbisse quasi la metà degli schiavi africani che arrivavano in America, non fu comunque
l'unica destinazione d'impiego degli schiavi: nel '700 si sviluppò infatti un nuovo grande sbocco, l'industria estrattiva di oro e diamanti. L'estrazione
diamantifera necessitava di un numero minore di schiavi rispetto a quella aurifera e presentava unità produttive molto più sparse. Questo carattere
caotico portò inevitabilmente alla nascita di nuclei di schiavi emancipati (nella regione del Minas Gerais, nel 1800 il numero di ex schiavi superò quello
di schiavi). L'economia di estrazione dell'oro diede invece vita ad un'importante cultura urbana (sempre Minas Gerais, presentava una dozzina di città
tra i 10 e i 20mila abitanti). 
Il boom minerario del Brasile centrale portò anche ad una crescita della schiavitù in altre parti del Brasile: Rio de Janeiro divenne il porto fondamentale
per le miniere delle province interne e le regioni montuose intorno a San Paolo iniziarono ad allevare bestiame e a produrre generi alimentari per
rifornire le miniere e gli schiavi in cui vi lavoravano di carne, pelli e muli. Se però gli schiavi africani erano solo una minima parte dei mandriani,
rappresentavano invece la totalità dei lavoratori nelle charqueadas e furono utilizzati largamente anche per la pesca e la caccia alla balena. 
Il Brasile intratteneva ormai rapporti con l'Africa diretti, senza bisogno di triangolazioni con il Portogallo. 
All'inizio dell'800 la produzione mineraria subì un calo e gli schiavi impiegati nel settore vennero spostati nella produzione di generi alimentari e tessuti
grezzi per il mercato nazionale. In questo modo, il flusso di schiavi non si esaurì. 
Anche inglesi e francesi cominciarono ad insediarsi nel Nuovo Mondo, prendendo possesso dei territori che non furono mai del tutto colonizzati dagli
iberici, come l'estuario del Rio delle Amazzoni e i territori a Nord della Florida, importando però questo caso lavoratori bianchi, spesso sotto contratto
di servitù debitoria. 
Dalla metà del 1600, le isole francesi cominciarono a sviluppare una produzione saccarifera che in pochi anni arriverà ad 1/3 circa delle esportazioni
brasiliane. La crescita coloniale francese proseguì anche in termini di annessioni territoriali (fine '600 Santo Domingo). 
La produzione saccarifera delle Indie Occidentali cominciò dalla Martinica e dalle Barbados, ma non vide un grande sviluppo a causa della qualità del
suolo e della conformazione collinosa dei terreni; agli inizi del '700 si spostò così verso aree più aperte, come Santo Domingo e la Giamaica dando vita
a piantagioni gigantesche di circa 80 ettari l'una. L'afflusso di schiavi che videro queste due isole fu impressionante: la Giamaica nel 1760 contava
175mila schiavi ed era la colonia schiavista più popolosa delle Indie Occidentali, con un rapporto di neri-bianchi superiore a 10 a 1 (dovunque ci
fossero piantagioni), il 75% di questi schiavi era impiegato nelle produzioni saccarifere, mentre la schiavitù urbana e la produzione diversificata ebbero
minore importanza (l'isola dipendeva dalle importazioni straniere). 
Lo sviluppo di Santo Domingo fu molto simile e quest'isola diventò la maggiore colonia produttrice di zucchero e di caffè. 
Anche la tratta degli schiavi nelle colonie ispano-americane ricevette un grande impulso alla fine del '700 in seguito all'apertura di un commercio libero
promosso dalla Corona, che permise anche agli inglesi di ottenere l'asiento per il commercio di schiavi nell'America spagnola. Ciò portò inoltre alla
nascita di nuovi centri schiavisti a Cuba, che vide a fine '700 una crescita enorme. Questa crescita fu possibile anche grazie alla rivoluzione haitiana che
eliminò il produttore del 30% dello zucchero mondiale portando ad un allargamento del mercato e aumento dei prezzi. A metà '800 fu proprio Cuba a
prenderne il posto e divenne anche un grande produttore di caffè. La crescita di questi mercati significò l'incremento demografico dell'isola che,
contrariamente a ciò che successe nei Caraibi, toccò tutti i settori della popolazione e non solo quello schiavistico. A Cuba non vennero solo importati
schiavi africani, ma anche maya e coolie cinesi, oltre che servi a contratto creando una manodopera mista. 

La rivoluzione haitiana ebbe effetti anche sulla produzione brasiliana, che vide una ripresa della produzione saccarifera e divenne primo esportatore
mondiale di caffè (inizio 1800). 
In coincidenza con il boom economico del Brasile del 1700, negli US del sud si stavano sviluppando le piantagioni di cotone. Dato che la servitù a
contratto ebbe una crescita dei costi, la manodopera principale in queste coltivazioni fu africana. I principali centri erano il Chesapeake, che
comprendeva la Virginia e la Carolina del Nord (che sviluppò anche una grande produzione di tabacco) e la Carolina del 
Sud che insieme alla Georgia divennero grandi produttrici di riso. L'introduzione nel 1790 della separazione meccanica dei semi dalle fibre corte del
cotone per mezzo della sgranatrice permise alle piantagioni di estendersi nelle aree interne del paese e di diventare competitive sul mercato mondiale.
A metà '800 divenne la prima esportazione degli US, con un impiego di mezzo milione di africani. Nella maggior parte delle regioni lo squilibrio degli
schiavi in sesso e età impedì però loro di riprodursi. 
Per via della loro dipendenza dal lavoro schiavo per la produzione di colture da esportazione, gli US erano per definizione una società schiavista.
Possedevano però molti abitanti liberi e in ciò erano simili al Brasile; era però la composizione di questa quota di persone libere a differenziare i due
stati: infatti, mentre in Brasile la maggioranza della popolazione libera era di colore, negli US questa era bianca. 
Dal 1808 la situazione cambiò poiché le colonie statunitensi ed inglesi chiusero la tratta, mentre Cuba, Portorico, Brasile e parte dei Caraibi
continuarono ad assorbire un flusso costante di importazioni di manodopera schiava. A metà del secolo anche il Brasile fu costretto a chiudere la
tratta. La chiusura definitiva fu dovuta però ad interventi esterni e non a contrazioni di domanda di manodopera da parte dei mercati americani. 

CAPITOLO 3 - L'Africa all'epoca della tratta atlantica degli schiavi 


Nel XV secolo, quando gli europei aprirono la costa dell'Africa occidentale al commercio internazionale, l'Africa subsahariana presentava strutture
politiche, economiche e sociali già ben sviluppate. Queste si svilupparono dopo le società del Nord Africa, ma comunque dopo il 500 d.C. possiamo
individuare in tutta l'Africa società complesse che, malgrado la barriera costituita dal Sahara, riuscirono a far proseguire lo scambio di merci, idee e
uomini ad un ritmo lento ma costante. 
L'unica area di cui si conosce bene la storia politica è quella sudanese, e questo grazie ai suoi contatti con il mondo Mediterraneo. Per tutta l'età
cristiana, questa zona fu infatti legata strettamente al Maghreb anche grazie all'addomesticamento del cammello che assunse un ruolo fondamentale
per le tratte sahariane. Anche i cavalli e il bestiame assunsero una grande importanza in questa cultura, permettendo lo sviluppo di una cultura di
pastorizia transumante. 
Fu però la produzione d'oro che distinse quest'area. Gli imperi subsahariani si basavano tutti sul controllo delle esportazioni d'oro verso il nord e sulle
rotte carovaniere; il più famoso fu quello del Ghana, soppiantato poi da quello del Mali con centro a Timbuktu, che divenne il principale “porto del
deserto” sudanese con un'economia basata su oro, sale e tessuti destinata sia al commercio locale sia a quelli lontani. L'impero del Mali, durato circa
100 anni, crollò lentamente e venne sostituito da quello fondato dai songhai, che mantenne però come capitale commerciale Timbuktu. All'arrivo dei
portoghesi, questa era dunque un'area ben organizzata e integrata nel mondo mediterraneo. Fu poi lo Stato marocchino a porre fine a quest'ultimo
impero, scacciando gli europei da molte città costiere e conquistando Timbuktu. 
Il Portogallo già dal 1400 cominciò a penetrare in Nord Africa, conquistando importanti centri come Ceuta e Tangeri e poi procedendo sulla costa
occidentale verso sud. Nonostante i locali gruppi berberi e arabi alleati con il Marocco o con i turchi, i portoghesi riuscirono a riconquistare la maggior
parte delle città ed entrarono in contatto con le rotte carovaniere del Sahara, diventarono i primi europei ad espandersi sulla costa africana centro
occidentale e a spingersi in mare aperto nell'Atlantico, usando come basi i porti del Nord Africa, le Azzorre e Madeira. 
L'Africa occidentale venne così aperta al contatto diretto con l'Europa. I portoghesi, inizialmente, trattarono gli africani di quest'area come avevano
fatto con i Nordafricani, ossia saccheggiando e organizzando incursioni per catturare schiavi. Durante una spedizione rapirono diversi berberi, poi un
paio di anni dopo tornarono per scambiare due nobili del gruppo rapito con oro e schiavi neri: fu così che nacque la tratta atlantica. Quando i berberi
reagirono violentemente alle loro incursioni, i portoghesi si videro però obbligati a cambiare strategia e passarono così ad un commercio pacifico. 
Inizialmente, era l'oro ad interessare ai portoghesi. Nei primi 20 anni del 1500 comprarono 1/4 dell'intera produzione dell'Africa occidentale e ciò ebbe
un impatto profondo sulle finanze delle Corone europee. I portoghesi non si limitarono alla costa, ma risalendo i fiumi penetrarono nell'entroterra e i
contatti tra loro e le varie aree africane divennero così intensi che per il commercio veniva utilizzato un creolo a base portoghese in tutta la regione. 
Ciò che fu fondamentale per la riuscita della cosiddetta espansione occidentale non furono i primi contatti, ma il loro mantenimento. Una volta aperto
un mercato, infatti, i portoghesi potettero investire grandi capitali per organizzare le successive spedizioni e creare così un commercio regolare e
sistematico. Il consolidamento dei contatti con l'Africa avvenne non solo grazie al commercio, ma anche grazie al processo di conversione religiosa: il
Portogallo, come il resto dell'Europa, era infatti impegnato in una guerra contro i musulmani dell'Impero Ottomano. In Congo essi riuscirono a
convertire temporaneamente la 
famiglia reale e soprattutto Alfonso I, che impose il Cattolicesimo come religione di Stato e ottenne un vescovo locale nominato da Roma. Alla fine
però, gran parte di questa politica di conversione fallì, come i tentativi successivi, e il Congo tornò ai suoi tradizionali sistemi di credenze. L'unico
risultato, peraltro non voluto, di questi sforzi di penetrazione e conversione fu la formazione di una classe di liberi mercanti afro- portoghesi che
rivendicarono l'identità portoghese e adottarono il Cattolicesimo, ma rifiutarono la sovranità della Corona. 
Dato l'alto tasso di mortalità europea e la loro conseguente incapacità di addentrarsi troppo nell'entroterra, soltanto queste nuove comunità di
commercianti furono in grado di sopravvivere; altre di queste comunità si insediarono però anche sulla costa e crearono dei veri e propri mini-Stati.
Questo modello fu poi replicato sia nel caso inglese che in quello francese e in ognuno di essi si trattava di élite etnicamente miste che strinsero
alleanze matrimoniali con membri delle élite locali africane. 
La grande spinta alla cristianizzazione dell'Africa si esaurì con questi tentativi portoghesi, come anche finirono tutte le idee di reale colonizzazione e
conquista. 
L'arrivo degli europei dunque non modificò cultura e religione locali, ma nemmeno i fondamenti dell'economia: semmai vennero integrate novità. Ad
esempio, nonostante il nuovo trasporto via mare fosse più economico di quello via terra, le relazioni tradizionali non vennero mai a meno. Molte rotte
commerciali tradizionali rimasero dunque immuni dal contatto europeo. 
Anche per quanto riguarda l'Africa orientale i portoghesi non riuscirono mai a prendere il controllo totale del Mozambico e a spingersi più a nord, dato
che lì i commercianti swahili e arabi dominavano le rotte commerciali. 
La stessa tratta atlantica degli schiavi, finché rimase di ridotte dimensioni, ebbe un impatto limitato e fu nettamente più esigua di quella transahariana,
Soltanto nel 1600 si impose, ma comunque fino al 1700 l'esportazione africana più importante fu l'oro, seguito dall'avorio. Con l'apertura di nuove
piste carovaniere e nuovi porti si riuscirono poi ad aumentare le quantità di schiavi e stabilire i flussi dell'offerta. Grandi produttrici di schiavi furono
soprattutto le guerre locali e questo spiega perché alcune regioni entrarono e uscirono dalla tratta nel corso del tempo, indipendentemente dalla
domanda europea. Diverso fu il caso del Benin: questa regione avrebbe potuto sfruttare la sua posizione geografica per diventare un importante
intermediario nella tratta, ma decise prima di ridurre le esportazioni di schiavi e poi di chiuderne definitivamente il commercio. Le economie di altri
Stati invece, come quella del Congo, a causa del continuo incremento della domanda americana e delle guerre su larga scala volte alla cattura di schiavi
per la tratta, si trovarono a dipendere sempre di più dall'economia atlantica. 
La tratta atlantica non influenzò solo le zone costiere, ma anche le aree più interne: ad esempio, singoli commercianti portoghesi si insediarono lungo il
corso navigabile del fiume Gambia dando vita ad una serie, come si è citato prima, di comunità afro-portoghesi, che nonostante si dichiarassero
portoghesi, erano del tutto autonome dalla madrepatria e commerciavano liberamente con tutti gli europei. Questo sistema interessò tutto il
Senegambia. 
Andando più a sud, gli europei si imbatterono nelle zone dell'Alta Guinea e della Sierra Leone. Qui era presente una serie di mini-Stati e l'Islam non
aveva avuto una presa profonda: quest'area non riuscì mai a garantire grandi rifornimenti di schiavi, almeno fino a quando le guerre religiose
musulmane non li resero il primo prodotto di esportazione. 
Procedendo ad est, si trovava la foresta pluviale e la cosiddetta Costa d'Oro. Questa era un'area facilmente approdabile ed è per questo che in un
primo momento fu la maggiore attrazione degli europei. Qui vennero costruiti numerosi forti in pietra per difendere l'oro, i quali nella maggior parte
dei casi erano state autorizzati dalle autorità locali, a cui gli europei pagavano tasse per accedervi. Il primo ad essere costruito fu quello di Elmina e
insieme agli altri luoghi strategici, fu conteso spesso dalle varie potenze europee. Nel tardo '600 furono inglesi e olandesi a trionfare in questa zona,
che fino ad allora fu quasi esclusivamente esportatrice di oro; la diminuzione dei quantitativi di questa risorsa e le concomitanti guerre crearono poi
l'opportunità di esportare schiavi. La Costa d'Oro fu inoltre una delle prime regioni africane ad adattare le coltivazioni americane alle condizioni locali
(manioca, mais, tabacco, ecc), cosa che avrebbe rivoluzionato la produzione africana di cibo. 
Continuando verso est si aprivano poi i due golfi del Benin e del Biafra: questa fu una delle aree maggiormente segnate dalla tratta. Chiamata anche
“Costa degli Schiavi“, comprende gli attuali Togo, Benin e Nigeria ed era anche connessa alle rotte carovaniere del Sahara. Il golfo del Biafra, in
particolare, era già ben sviluppato dal punto di vista commerciale anche prima dell'arrivo degli europei; erano presenti anche insediamenti urbani di
2mila abitanti che supportavano importanti attività di pesca e navigazione. 
Andando verso sud si incontravano invece lunghi tratti di costa poco popolata che poco interessarono gli europei, nonostante al largo si trovassero le
isole di Sao Tomè e Principe, diventate nel corso del '500 grandi 
produttrici di zucchero, togliendo il primato a Madeira e poi cedendolo al Brasile. Sao Tomè rimase comunque un importante scalo di
approvvigionamento per le navi negriere. 
Nonostante la grande quantità di schiavi partiti dall'Africa occidentale, fu quella centrale a rappresentare per l'America la maggiore fornitrice di schiavi
dal 1500 al tardo 1800. La costanza di questo flusso fu frutto di iniziative politiche e militari: venivano resi schiavi infatti i prigionieri di guerra, coloro
che venivano rapiti in scorrerie e gli individui condannati dalle rispettive comunità. Ciò si verificò soprattutto nel Congo e in Angola. 
Ad est (Mozambico) invece la tratta degli schiavi si sviluppò tardivamente. Anche qua, l'oro fu il primo interesse dei portoghesi, che ne inviarono grandi
quantità in India per pagare le importazioni in Europa di spezie e altre merci asiatiche. Non raggiunsero mai però il pieno controllo della produzione
aurifera e, come ad ovest, si erano sviluppate comunità di commercianti afro-portoghesi. Anche qui le missioni gesuitiche non ebbero successo nella
conversione, come non ebbero successo le armate di conquista, poiché gli Stati locali erano troppo piccoli e numerosi da conquistare. In molti casi
queste spedizioni furono sconfitte dalla malaria. Ciononostante i portoghesi strinsero solide relazioni con gran parte dei principali Stati regionali e
imposero la loro influenza in molte aree dell'entroterra (qui grazie agli afro-portoghesi), stabilendo sulla costa orientale una base europea radicata che
nessuna potenza concorrente fu mai in grado di eguagliare. 
L'arrivo di inglesi e olandesi all'inizio del '600 produsse un costante stato di guerriglia; i portoghesi seppero difendere la costa e rivitalizzare il
commercio dell'oro con la scoperta di nuovi giacimenti nello Zambesi. Per quanto riguarda la schiavitù, queste coste si inserirono nella tratta
internazionale solamente a metà '700 con l'invio di alcuni schiavi sull'isola di Reunion, mentre gli invii sistematici in America cominciarono solo nel
1800. La mortalità degli schiavi durante questa traversata era però eccessivamente alta (24%) data la lunghezza del viaggio; una serie di grandi siccità,
combinate all'afflusso di bande di guerrieri, però favorì un incremento delle catture di schiavi e dal momento che la domanda americana stava
crescendo ininterrottamente, il governo portoghese consentì ai trafficanti brasiliani di commerciare liberamente su queste coste, tanto che nell'800 il
Mozambico diventò il terzo fornitore di schiavi della tratta. 
Dalla seconda metà del '700, il movimento di schiavi crebbe costantemente e ciò produsse alcuni cambiamenti nelle modalità e nei canali di
approvvigionamento: le regioni dei golfi del Biafra e del Benin ampliarono il loro raggio della tratta per poter reperire schiavi più nell'entroterra e, in
generale, nuove reti di scambio si svilupparono per per garantire un flusso più regolare di schiavi verso la costa. 
La reazione a questa domanda crescente fu diversa da zona a zona: alcuni Stati come il Senegambia e la Costa d'Oro cessarono di commerciare schiavi,
mentre alcuni altri gruppi usavano scendere in guerra proprio per reperire schiavi destinati alla tratta. 
Dal momento che una tratta di schiavi era già presente in Africa prima dell'arrivo degli europei, questa non si spense con la chiusura della tratta
atlantica; i commercianti dovettero solamente compensare le mancate vendite di schiavi con l'esportazione di altri prodotti. 
CAPITOLO 4 - L'organizzazione della tratta in Europa 
La tratta atlantica degli schiavi fu una delle più complesse imprese economiche dell'era preindustriale, che coinvolse uomini, beni e capitali in quantità
senza precedenti. 
Nei primissimi anni della tratta, dati gli alti costi d'avvio e l'iniziale mancanza di informazioni precise sui vari mercati, il ruolo dello Stato fu
fondamentale. Sebbene fossero presenti alcuni appaltatori privati europei in grado di accollarsi una parte degli investimenti iniziali, il controllo statale
esercitato sotto forma di tassazioni e contratti monopolistici (asientos) fu indispensabile per avviare il commercio e controllare il flusso di manodopera
coatta in America. In Spagna fu addirittura dichiarato fin dal primo momento il monopolio della Corona. 
Lo sviluppo dei vari flussi dipendeva dalla capacità delle colonie importatrici di pagare gli schiavi: era un commercio sottoposto a rigidi controlli,
finalizzati però unicamente al prelievo fiscale. 
La posizione di predominio nel mercato africano del Portogallo gli assicurò un netto vantaggio nello sviluppo della tratta schiavistica, e tutto ciò fu
spinto ulteriormente dal rapido sviluppo della produzione saccarifera brasiliana, che permise di generare il capitale necessario per importare schiavi
africani. 
In tutti gli altri casi, la tratta richiese il ricorso a compagnie monopolistiche. 
Il monopolio portoghese in Africa cominciò a fare acqua alla fine del '500, con l'arrivo dei francesi e dei britannici, il cui iniziale interesse non erano gli
schiavi, ma oro e avorio. I primi però a sfidare sul serio i portoghesi furono gli olandesi, che con la Compagnia Olandese delle Indie Occidentali presero
di mira 
prima le navi mercantili, poi Bahia in Brasile e Elmina (senza successo) e, in fine, con successo, una decina di anni dopo, la regione del Pernambuco e
alcuni forti costieri in Angola, diventando la potenza europea dominatrice della tratta. 
Con il successo degli olandesi, seguirono anche i francesi che si stabilirono in Senegambia e gli inglesi, nella Costa d'Oro. 
I commercianti africani però, essendo a conoscenza della concorrenza tra i paesi europei, non avevano interesse ad accettare il monopolio
commerciale di una singola potenza e così nessun tratto costiero divenne commerciante esclusivo di un unico paese. Si venne così ad instaurare un
commercio basato sulla tolleranza reciproca e, talvolta, sulla collaborazione. 
I costi d'entrata nella tratta erano così elevati che solo un particolare tipo di sostegno governativo sembrava in grado di avviare un traffico costante e
redditizio. Fu così preso a modello il metodo di inglesi e olandesi, che creavano compagnie commerciali sotto forma di spa. Il fallimento fu rapido però,
e tutte le potenze furono costrette a cedere il mercato a mercanti autonomi con licenze concesse dai vari Stati. 

Tra le compagnie monopolistiche create all'inizio della tratta ricordiamo: 


a. la Compagnia Olandese delle Indie Occidentali (ebbe successo perché operò sia come compagnia commerciale sia come istituzione militare, dotata
di poteri quasi statali). Questa aveva sottratto ai portoghesi grandi territori, riuscendo così a diventare un produttore di zucchero e, allo stesso tempo,
un vettore schiavistico di spicco nella Costa d'Oro. Quando i portoghesi si ripresero però gran parte dei loro territori, la Compagnia perse molti
monopoli commerciali e dovette cedere il posto a commercianti autonomi. 
b. la Royal African Company d'Inghilterra, basata su capitale privato, era a fusione di una serie di precedenti compagnie monopolistiche britanniche.
Non avendo importanti colonie tropicali americane, questa compagnia non aveva nemmeno avuto particolari interessi ad inserirsi nella tratta; questa
situazione cambiò naturalmente con l'espansione delle Piccole Antille e la conquista della Giamaica. Dopo pochi anni fu però costretta a rinunciare al
suo monopolio a causa delle pressioni dei trafficanti indipendenti. 

Nel caso portoghese invece la tratta era sempre stata un'attività di libero commercio, pesantemente tassata, ma comunque aperta a tutti i
commercianti portoghesi e brasiliani. A metà 1700 vennero però create due Compagnie, per le due province brasiliane del Pernambuco e Maranhao,
che però fallirono sia per gli alti costi fissi a cui dovevano far fronte, sia per l'obbligo di consegnare un numero determinato di schiavi per ogni
determinata regione a prescindere dalla domanda e dalle spese. 
Nell'era del commercio libero tutte queste compagnie furono dunque rimpiazzate da associazioni temporanee di mercanti volte a finanziare singoli
viaggi: in questo modo la domanda veniva rispettata senza vincoli fissi riguardo le quantità. 
Le società per azioni erano solitamente composte da un ridotto numero di mercanti, non più di cinque, uno dei quali organizzava la spedizione in prima
persona e questi contratti avevano una durata massima di 7 anni. Per coprire i costi d'avvio, l'armatore (che riuniva in sé il ruolo di proprietario della
nave e di responsabile dell'esercizio) vendeva quote della spedizione o della nave ad investitori esterni. → l'acquisto concreto della nave, la raccolta del
carico, l’assicurazione e la messa in regola dei documenti di accompagnamento richiedevano 4/6 mesi. Dopo i proprietari, la figura più importante era
il capitano della nave, a cui andava il 2-5% della vendita degli schiavi poiché era su lui che ricadevano tutte le responsabilità. → ogni capitano compiva
in media 1,5 viaggi nella sua vita, 2 o più quando vennero resi più sicuri. A bordo della nave, inoltre, vi era bisogno di un largo numero di sottufficiali e
di personale specializzato, tra cui un medico, un carpentiere e un bottaio, che aveva la responsabilità delle botti d'acqua. Tra i 30 e i 40 uomini invece
erano semplici marinai mal pagati (che spesso venivano licenziati dal capitano una volta arrivati nelle Americhe e vedevano il resto del loro salario
liquidato nella sterlina coloniale svalutata): il rischio di violenze e rivolte a bordo durante la traversata portava le navi negriere ad avere il doppio
dell'equipaggio rispetto ai normali velieri mercantili. Negli equipaggi erano anche presenti schiavi addetti alla manutenzione, mentre alla sorveglianza
degli schiavi erano destinati marinai liberi, di qualsiasi colore fossero. 

La maggior parte delle spese era rappresentata dal carico (fino al 65%). → a rendere il costo così alto era la domanda africana di sofisticati beni
d'importazione, per lo più esteri, come i tessili delle Indie Orientali, conchiglie di ciprea, armi e liquori. → per questo motivo, Liverpool e Nantes, che
avevano legami stretti con i porti delle Indie Orientali, erano in una posizione dominante. 
Il viaggio dall'Europa all'Africa durava 3/4 mesi, e molte navi facevano scalo in altri porti europei per fornire il carico o per approvvigionarsi. Dal
momento che, come si è detto, nessuna area africana era preclusa del tutto da nessun commerciante europeo, i forti costieri non erano centri militari
nazionali, ma stazioni commerciali destinate a facilitare gli scambi locali con gli africani. 
Da nessuna parte c'erano però importanti accumuli europei di schiavi, poiché questi avevano costi di mantenimento esorbitanti, che avrebbero fatto
aumentare del doppio le spese; fino al momento della vendita, erano gli africani a sorvegliare gli schiavi e dato che fino a Ottocento avanzato non si
trovarono soluzioni per tenere gli schiavi sulla costa, erano pochi i casi in cui un capitano poteva acquistare un ingente numero di schiavi da un unico
venditore: venivano comprati a piccoli gruppi direttamente dai venditori africani e dunque diversi mesi si trascorrevano sulla costa o lungo i fiumi per
raccogliere poco alla volta i carichi. I trafficanti africani scendevano sulla costa, nei risaputi luoghi di scambio, secondo ritmi costanti e prevedibili;
trasferire le carovane di schiavi non comportava grandi spese in quanto questi potevano essere anche utilizzati per trasportare merci a costo zero
(avorio dal Gambia) oppure venduti a consumatori locali in qualsiasi momento del viaggio. 
Solitamente il capitano lasciava la nave al comando di un ufficiale e andava a commerciare all'interno, portando con sé il medico di bordo che appurava
lo stato di salute degli schiavi. Una volta comprati però, si cercava di tenerli a terra il più a lungo possibile per evitare epidemie a bordo, ma nonostante
ciò i tassi di morte erano comunque elevati durante questa fase. 
In alcune sedi commerciali ben avviate come Luanda e Elmina, lo scambio era più organizzato: degli intermediari acquistavano gli schiavi dai trafficanti
dell'entroterra, per poi rivenderli al capitano della nave. 
Nel 1700 comunque i tempi si erano allungati dal momento che nel secolo precedente si poteva fare affidamento sul personale locale della compagnia
per fare acquisti prima dell'arrivo della nave, oppure le navi che appartenevano ad una stessa compagnia commerciavano tra loro per far salpare in
tempi più rapidi quella arrivata per prima. 
Un altro problema della tratta erano le scorte d'acqua: in Africa, durante la stagione secca erano inesistenti, perciò i rifornimenti venivano fatti sulle
isole di Principe e Sao Tomè. Queste isole erano anche rifornitrici di cibo: carne e pesce essiccati o freschi, riso, farina e altri alimenti facilmente
consumabili. 
Per quanto riguarda la struttura, di solito una nave presentava tre ponti divisi (uomini, ragazzi, donne e bambini); chi cadeva malato veniva isolato
all'interno nel proprio compartimento. 
La notte gli schiavi venivano incatenati per evitare ribellioni e spostamenti mentre di giorno, tempo permettendo, venivano lasciati liberi sul ponte. Gli
uomini talvolta venivano lasciati nudi, mentre alle donne venivano dati abiti semplici. Si prestava molta attenzione all'igiene sia delle persone, che
venivano lavate frequentemente con l'acqua di mare, sia degli alloggiamenti per via della correlazione tra sporco e malattie. Nonostante ciò, le
malattie erano frequenti e i medici di bordo non avevano molte possibilità di combatterle. 
Inoltre, gli schiavi venivano obbligati a fare esercizio durante il giorno, a volte in forma di danza accompagnata da strumenti africani. 
Arrivati in America, la nave doveva passare la dogana e l'attestazione sanitaria, dopo di che si procedeva immediatamente alle vendite (un agente
locale annunciava l'arrivo della prossima nave affiggendo manifesti, cosicché si potesse commerciare da subito). Gli schiavi potevano essere venduti
direttamente dalla nave, oppure condotti in un apposito mercato allestito a terra; quando la domanda era forte, la maggior parte degli schiavi in salute
veniva venduta in pochi giorni. Nella Santo Domingo del '700, per esempio, vi erano donne libere di colore che dopo qualche settimana acquistavano a
prezzi stracciati gli schiavi malridotti per curarli e rivenderli al prezzo degli schiavi sani. 
I pagamenti venivano effettuati il più delle volte con beni coloniali, poiché la moneta scarseggiava nelle colonie americane. 
La nave ripartiva poi con un carico modesto per tornare in patria 15/18 mesi dopo essere salpata per la prima volta. 
La tappa America-Europa era in realtà quella meno importante. Non era, come si è soliti pensare, un vero e proprio commercio triangolare; i beni che
dall'America giungevano in Europa erano caricati la maggior parte delle volte su imbarcazioni apposite, e non su navi negriere, le quali appena
potevano salpavano per tornare in patria senza aspettare l'opportunità di trasportare merci. 
Per quanto riguarda i profitti, l'armatore ci metteva circa 3 anni per coprire le spese, mentre nei 3 anni seguenti ricavava il profitto (6-10%). Si pensa
che questa attività servisse solamente per generare profitti da investire poi nel mercato europeo: i costi d'avvio e gli investimenti a lungo termine
consentivano, infatti, l'accesso alla tratta solamente a compagnie altamente capitalizzate. 

CAPITOLO 5 - L'organizzazione della tratta in Africa 


L'idea che la tratta atlantica degli schiavi fosse totalmente in mano agli europei è sbagliata. Ad esempio, per quanto riguarda il rifornimento di schiavi,
gli europei dipendevano interamente dai venditori africani e dovevano rispettare loro e la via del commercio pacifico, se no venivano rapidamente
estromessi dal giro. 
Gli europei si trovarono a dover fare fronte a specifiche pretese di Stati solidamente organizzati: nel primo '700, per ogni nave dovevano pagare una
tassa dell'equivalente di 38 schiavi (circa 375 sterline), che comprendeva un'imposta regia sul commercio, il remunero per gli ufficiali che si
occupavano del trasferimento degli schiavi a bordo delle navi e le spese per gli interpreti; inoltre dovevano acquistare un piccolo lotto di schiavi del re
prima di iniziare le altre trattative e pagare una tassa sulle esportazioni. I trafficanti europei provarono a chiedere un prezzo fisso per tutte le navi, ma il
governo rifiutò: di norma, i prezzi variavano da schiavo a schiavo e tendevano a salire man mano che ci si avvicinava al completamento del carico. 
Gli europei potevano però anticipare merci ai mercanti locali perché acquistassero schiavi per loro nell'entroterra, oppure ottenere schiavi a credito.
Tuttavia, queste pratiche generavano conflitti. 
Il lato positivo di trattare con Stati potenti e autonomi erano però le relazioni commerciali stabili. 
In Africa esisteva, prima dell'arrivo degli europei, una tratta interna (e anche internazionale) di schiavi e dunque pratiche come il sequestro dei
prigionieri di guerra, la riduzione in schiavitù di criminali e debitori, le razzie contro i contadini, erano pratiche commerciali già ben conosciute. Gli
europei si limitarono quindi ad ampliare tratte preesistenti, in quanto man mano che la domanda europea saliva, si aprivano nuove rotte di scambi
sempre più nell'entroterra. 
Anche per quanto riguarda la produzione agricola, gli europei integrarono coltivazioni (anche americane) a quelle locali, contribuendo ad un aumento
demografico e al miglioramento delle condizioni di salute. L'esistenza in molte aree africane di un'economia di mercato già ben sviluppata spiega la
rapidità e l'efficacia della risposta africana al commercio europeo. 
Per quanto riguarda il prezzo degli schiavi, i calcoli che servivano erano complessi. Si deve innanzitutto tenere conto del prezzo primo, ossia il costo
delle mercanzie che gli europei dovevano acquistare e poi offrire ai venditori di schiavi. Le suddette merci, in Africa raddoppiavano di valore e al
momento di essere vendute agli africani, i loro prezzi venivano denominati "prezzi di scambio". Per quantificare questi prezzi, si poteva utilizzare la
valuta europea, quella africana, oppure il filo di rame, conchiglie, tessuto di palma, e più tardi anche le monete coniate in America (nel continente,
l'uso di queste valute non era affatto uniforme). Il prezzo degli schiavi variava in oltre per sesso, età e condizioni di salute, ma anche dalla concorrenza
locale e dalle condizioni dell'offerta. A variare era anche il valore delle merci europee utilizzate per gli scambi (ad esempio, nel '600 i braccialetti
d'ottone erano una delle merci più richieste, mentre nel secolo successivo persero del tutto d'attrattiva). 
Alcune regioni, come il Senegambia, persero col tempo addirittura interesse per tutte le merci europee, in favore del mercato nordafricano: dunque in
queste aree, il ridotto livello di partecipazione alla tratta non era dovuto alla diminuzione dell'offerta, ma al disinteresse per gli articoli europei. 
Una tendenza generale e a lungo termine fu che tra l'inizio della tratta e la fine del 1600 i prezzi degli schiavi rimasero bassi; questo perché, nonostante
la crescente domanda Americana, l'offerta, grazie alle guerre per l'espansione degli Stati, fu surclassante. Il prezzo medio per schiavò passo poi negli
anni a venire dalle 3£ alle 10£ del 1700; da qui i prezzi cominciarono a crescere sempre più rapidi, fino a quintuplicare nell'800. Questa crescita
rifletteva sia l'abbondanza di merci europee su suolo africano, sia l'inesauribile domanda americana e, oltretutto, la concorrenza tra paesi europei
contribuì a mantenere al rialzo la tendenza dei prezzi. Questa era la prima preoccupazione dei mercanti africani, tanto che alcuni re locali obbligarono i
mercanti a restare neutrali e incoraggiarono tutte le potenze europee a negoziare con loro. 
Gli africani non furono dunque passivi a questo commercio: erano già ben integrati in un'economia di mercato, lottavano contro i tentativi europei di
imporre monopoli e limitarono le loro richieste eccessive. 
I beni che più venivano utilizzati per gli scambi commerciali erano in primis i cotoni dell'India, seguiti da armi da fuoco e polvere da sparo, braccialetti
d'ottone che poi persero valore in favore delle scodelle che gli artigiani locali tagliavano per fabbricare gioielli, e cognac. Dopo il 1700, in seguito al
boom aurifero brasiliano, gli schiavi di prima scelta venivano venduti ai portoghesi solo in cambio di oro. 
Questo mercato era complesso; nessuna nazione poteva offrire beni per i quali non esisteva domanda e in mancanza di beni di qualità, gli scambi
declinavano. Per l'offerta di schiavi, nel primo secolo della tratta bastarono le popolazioni costiere; nel 1700 cominciarono invece ad essere presi
nell'entroterra, ma i gruppi da cui provenivano sono difficili da stabilire 
in quanto sui registri venivano solo precisati i luoghi da cui salpavano. Dalla seconda metà del '700, i mercanti di schiavi si dovettero spostare ancora
più all'interno poiché i flussi diminuirono sia a causa della protezione degli Stati più potenti, sia a causa della migrazione di alcuni gruppi proprio per
scappare dai trafficanti. 
Gli schiavi non provenivano solo dalle razzie, ma data la mancanza di un sistema carcerario, venivano messe in schiavitù anche tutte quelle persone
che avevano commesso reati civili (adulterio, sequestro di persona), religiosi (blasfemia, stregoneria) o per debiti; era anche possibile per gli individui
più ricchi pagare le tasse in schiavi. 
La schiavitù comunque agevolava la guerra, la rendeva economicamente più conveniente e la rendeva anche allettante in quanto la possibilità di
vendere prigionieri era un'aggiunta al bottino di terre e mercati conquistati. Quando le guerre erano il frutto di gruppi locali modesti contro un potere
centrale, allora potevano intensificare il traffico di schiavi senza intaccare reti di comunicazione o mercati tradizionali, ma nei casi di completa
disgregazione di uno Stato centrale, le ricadute sul traffico di schiavi potevano essere più deleterie che positive. A volte dunque le guerre erano
controproducenti poiché compromettevano le tradizionali rotte commerciali provocando il blocco dei mercati. 
Allo stesso modo, le razzie dei banditi sì producevano quote di schiavi, ma finivano per rendere insicure le rotte commerciali sfaldando le reti dei
mercati tradizionali. Le razzie avevano più successo nei sistemi di villaggi piccoli, dove il governo esercitava un'autorità blanda. In Stati ben integrati,
invece, difficilmente erano possibili continue incursioni. I rapimenti individuali, al contrario, erano più difficili da controllare ed erano presenti quindi in
tutte le regioni. 
Dato che la tratta coinvolgeva un largo numero di comunità e Stati, i costi d'entrata erano relativamente alti; inoltre, per assicurarsi un viaggio
tranquillo, si doveva coltivare una vasta rete di contatti personali su ampie porzioni di territorio e avere scorte armate per proteggere i propri acquisti.
Dunque, solamente associazioni ben organizzate si potevano dare al traffico di schiavi. Mai nessuno di questi mercanti esercitò un monopolio sugli
scambi e gli europei erano quindi liberi di commerciare su qualunque punto della costa e avere anche la possibilità di rifiutare scambi a prezzi troppo
alti (per questo motivo però i prezzi erano bene o male uguali in ogni zona). 

CONSEGUENZE ECONOMICHE 
L'impatto delle importazioni europee dipende sostanzialmente dal tipo di bene importato e dell'effetto che ha avuto sull'economia locale. I nuovi beni
introdotti incrementarono i consumi, ma ebbero ripercussioni anche negative:
- le barre di ferro importate dal nord Europa diedero una svolta all'agricoltura, ma l'importazione di questo materiale di alta qualità ebbe ripercussioni
negative sulle miniere di ferro africane e sull'industria siderurgica.
- i cotoni importati dall'India furono di scapito per l'industria tessile africana, ma comunque l'artigianato tessile locale era ancora attivo dopo la fine
della tratta. - gli alcolici di importazione non batterono mai la produzione locale, mentre la domanda di tabacco si fece così forte da indurre la nascita
di piantagioni locali nello stesso continente africano. 
Le carovane di schiavi inoltre generarono nuovi vincoli commerciali e mercati locali, stabilendo connessioni tra la maggior parte delle regioni centro
africane. Queste strade servivano naturalmente anche per il commercio domestico, dando così un contributo all'economia generale. 

CONSEGUENZE DEMOGRAFICHE 
Altri fattori oltre alla tratta contribuirono al calo demografico africano, come le guerre, il banditismo che causò la migrazione di alcuni gruppi dalle
coste verso l'interno e l'abbandono dei terreni agricoli per lo stesso motivo. Questi fattori gravarono anche sullo sviluppo economico dell'Africa
Occidentale. 
Alla tratta, nel 1700, erano esposti circa 25milioni di persone; il tasso di mortalità (imputabile anche alle siccità, carestie e malattie) era alto, ma anche
quello di natalità e il saldo, alla fine, rimase positivo del 5 per mille. 
Tra il 1700 e il 1850, la popolazione africana è diminuita di 2milioni (da 25 a 23): quest'esperienza può essere paragonata alle grandi migrazioni
europee di ‘700 e ‘800, che videro coinvolti paesi come Italia, Irlanda, Inghilterra e Portogallo. Di per sé, lo sviluppo o meno di questi paesi ebbe poco a
che vedere con l'intensità dei flussi migratori e del calo demografico: da sola, la perdita di popolazione non comporta necessariamente il declino
economico, ma nel caso africano, a differenza di quello europeo, gli emigranti non conobbero migrazioni di ritorno. L'Africa si ritrovò così privata dei
propri giovani lavoratori e fu proprio questa perdita, unita alla violenza utilizzata per ridurre in schiavitù, a rendere l'impatto negativo del mutamento
demografico così massiccio. 

CAPITOLO 6 - Il passaggio intermedio 


Con questo nome viene chiamata la traversata atlantica degli schiavi. La letteratura popolare l'ha descritta come l'orrore più crudele che uno schiavo
abbia dovuto vivere e gli abolizionisti videro in questo passaggio la fase della schiavitù più vulnerabile alle critiche. Eppure di tutti i decessi che
costellavano la tratta, solo il 18% si verificava a bordo delle navi negriere, mentre il 71% si verificava nel trasferimento dall'entroterra alla costa. 
La traversata durava in media un mese per arrivare in Brasile e due in Nord America e nei Caraibi, ma tra la cattura e l'imbarco di mesi ne passavano
dai 6 ai 12. 
L'acquisto degli schiavi era una transazione tutt'altro che semplice e gratuita: più la domanda europea cresceva, più crescevano i prezzi degli schiavi.
Un'alta mortalità si traduceva dunque in deficit finanziario della spedizione. Questo non vuol dire però che gli europei fossero premurosi nei loro
confronti: gli schiavi venivano infatti pigiati nelle stive e avevano disposizione circa 0,50mq a testa. Dato che le navi negriere venivano progettate
apposta con piattaforme e falsi ponti per ottenere spazi maggiori, si potrebbe pensare che offrissero più spazio a ciascuno schiavo. Invece, il rapporto
tra schiavi e superficie presentava solamente una differenza del 21% a favore della nave più grande. Ciononostante, la carenza di spazio non
influenzava, almeno non direttamente, l'aumentare della mortalità. 

Il tasso di mortalità degli schiavi all'inizio della tratta si può paragonare a quello delle grandi migrazioni europee, con la differenza che a queste ultime
partecipavano anche individui più cagionevoli, come bambini e anziani. La mortalità degli schiavi, comunque, dipendeva da molti fattori: la durata della
navigazione, la stazza delle navi, la zona di imbarco e la distribuzione per sesso e età del carico. 
Inizialmente la mortalità toccava il 20%, ma nel tardo '700 scese a meno del 10%, andatura che venne riflessa anche per i diversi porti da cui le
imbarcazioni salpavano: il tasso più basso registrato è quello degli schiavi imbarcati in Congo e Angola, regione da cui i tempi di traversata erano più
brevi, ma ciò non basta a giustificare le differenze. Regioni come il Senegambia, ad esempio, erano più esposte a malattie epidemiche come la febbre
gialla, altre erano invece soggette a crisi ecologiche e politiche che danneggiavano la produzione e distribuzione alimentare, indebolendo la
popolazione migrante. Queste diversità regionali non si esprimevano solo in mortalità, ma anche nella composizione dei carichi per età e sesso. 

L'abbassamento del tasso di mortalità viene attribuito ai cambiamenti tecnologici e organizzativi, ma anche alle misure politiche e legislative prese in
merito: il primo passo fu costruire navi dalle dimensioni specifiche, adatte sia per commerciare lungo la costa e lungo i fiumi, sia per trasportare gli
schiavi con rapidità ed efficacia. I governi imposero poi un limite minimo di spazio per gli schiavi trasportati, ma comunque i trafficanti anticiparono in
gran parte questa legislazione. 

Un altro provvedimento preso fu per migliorare l'approvvigionamento lungo la rotta: una grande causa di mortalità era infatti legata a viaggi più lunghi
del previsto in cui i viveri venivano a mancare, così si cominciò a trasportare il doppio di acqua e cibo. I portoghesi, in questo contesto, furono i primi a
regolamentare le quantità di acqua e viveri da caricare a bordo (regio decreto del 1684). 
Il governo britannico emanò due leggi a riguardo. → la prima nel 1788 (Dolben's Act) che ridusse la capacità di carico per mezzo di una ridefinizione
del rapporto schiavi per tonnellata. → la seconda nel 1799, che diminuì ulteriormente questi limiti imponendo criteri basati sulle misure dello spazio
effettivamente esistente anziché sul tonnellaggio. 
Vennero anche fatti dei calcoli per il rapporto tonnellate\schiavi, secondo i quali per ogni tonnellata di imbarcazione potevano essere trasportati circa
3 schiavi. La cosa interessante è però che molte navi caricavano a bordo molti meno schiavi di quanti permettesse la legge. 
Le malattie che più colpivano schiavi e equipaggi delle navi erano quelle gastrointestinali, che però si manifestavano solitamente dal momento
dell'imbarco fino alle prime 5 settimane e perciò non erano imputabili al tempo trascorso a bordo, né al sovraffollamento. Dopo gli schiavi, i medici di
bordo e i loro assistenti erano coloro che si ammalavano più facilmente. 
Anche con molti viaggi alle spalle e dunque grande esperienza, gli equipaggi non riuscivano ad evitare in assoluto i decessi. 
Alta era invece la mortalità registrata nella fase di cabotaggio, ossia durante il periodo che gli schiavi trascorrevano sul litorale africano prima di essere
imbarcati, in una percentuale che va dal 18 al 30%. 
Alcuni modesti decessi erano anche registrati dopo l'arrivo in America, ma prima di essere venduti. 

CAPITOLO 7 - L'impatto della tratta degli schiavi sulla società e sulla cultura americana 
COMPOSIZIONE PER ETA' E SESSO 
Furono i fornitori africani a decidere l'età e il sesso delle persone da imbarcare, anche se dovettero assecondare il carattere stagionale del
trasferimento di schiavi, dovuto sia alle correnti e ai venti (che influenzarono la tratta proveniente dalla costa Est), sia alla stagionalità dei fattori alla
base della domanda americana, legati alle esigenze di semina e raccolta. 
Nonostante tutto, ci furono degli andamenti di fondo nella distribuzione degli schiavi per regione d'origine che seguivano i tempi di partecipazione alla
tratta delle varie regioni: il Brasile e le colonie spagnole accolsero molti degli schiavi provenienti dal Senegambia, che partecipò alla tratta nel '500 e
'600; la Costa d'Oro rifornì invece le Indie Occidentali, mentre la tarda partecipazione della regione del Biafra fece sì che gli schiavi provenienti da
quest'area fossero destinati al Nord America. 
UOMINI: Non ci fu mai un'offerta regionalmente uniforme di questi schiavi. Erano naturalmente quelli più richiesti dai piantatori americani, soprattutto
quelli provenienti dal Senegambia e dalla Costa d'Oro perché si pensava fossero i migliori, ma si dovettero accontentare di quello che i mercanti
offrivano e quindi si trovarono spesso ad acquistare uno schiavo su due che non rientrasse in questa categoria. Essi costituivano comunque il 70% della
popolazione schiava. 
DONNE: Le donne, almeno nei primi secoli della tratta, non ebbero grande partecipazione nel Mondo Atlantico. Questo non dipendeva dalla domanda
americana, poiché nelle piantagioni le donne costituivano la metà degli schiavi e non soffrivano nemmeno di tassi di mortalità superiori a quelli degli
uomini. La ragione stava nel fatto che i venditori portavano ai mercati molti più uomini che donne, e questo perché in Africa, le donne sia libere che
schiave erano molto richieste nel mercato interno: diverse società africane erano, infatti, matrilineari e matrilocali e in quelle poliginiche, dato che le
donne schiave costavano meno, erano molto richieste per questi contratti matrimoniali. Inoltre, le donne erano impiegate largamente nell'agricoltura e
richieste da altri mercati, come quelli del Mar Rosso e del Mediterraneo orientale che, pur essendo piccoli avevano un'incidenza significativa. Vi fu poi
un afflusso improvviso di donne poiché i piantatori americani cercarono di fornire alla popolazione schiava residente il massimo potenziale di
riproduzione possibile. 
BAMBINI: L'offerta di bambini fu plasmata sia da interessi europei sia da vincoli africani, ma anche se i trafficanti europei erano meno interessati a
imbarcarli in ragione dei minori profitti ricavabili dalla loro vendita (stessi costi di trasporto, prezzi più bassi al momento della vendita), i piantatori
americani non si fecero poi scrupoli a sfruttarli come manodopera. Nei primi secoli la percentuale di bambini coinvolti nella tratta crebbe dal 12 al
46%, ma nell'ultimo secolo della tratta, a causa dei regolamenti che prevedevano più spazio minimo per ogni schiavo e provocarono quindi un
aumento dei costi di trasporto, il numero di bambini imbarcati venne ridotto. 
Gli schiavi africani ebbero un impatto profondo sull'evoluzione delle società del Nuovo Mondo. I 10milioni sbarcati prima del 1860 rappresentavano la
classica popolazione migratoria a prevalenza maschile e adulta. Questo creò però un problema nella riproduzione: essi erano incapaci di riprodursi
velocemente dato il numero modesto di unità familiari (33 donne ogni 100 uomini), il ritmo tipico africano della nascita di un bambino ogni tre anni a
causa dell'allattamento prolungato, l'alta mortalità infantile e l'ostacolo emotivo delle donne che erano state costrette a lasciare i loro bambini nel
continente africano. 
I tassi di crescita demografica nelle regioni a maggioranza schiava erano dunque negativi e ciò implicò naturalmente continui nuovi arrivi di
popolazione schiava dall'Africa. La popolazione creola registrava invece una crescita positiva, anche se comunque incapace di controbilanciare il
totale. 
Solo nell'Ottocento ci si stava avvicinando stabilmente ad un tasso di mantenimento. 
Questa incapacità di riprodursi rapidamente fu notata delle classi proprietarie americane, che esercitarono quindi pressioni per il mantenimento della
tratta (tranne nel Nord America, dove prevaleva l'abolizionismo). 
Quando la tratta terminò, finendo di influire sulla ripartizione per età e sesso, la popolazione iniziò a registrare tassi di crescita positivi. In alcune
regioni, questa crescita si verificò prima che entrasse in vigore l'abolizionismo, come il Paranà, Minas Gerias e il Nord America e il processo durò fino a
quando l'emancipazione non innescò ingenti flussi emigratori. 
L'impatto della tratta atlantica sullo sviluppo della popolazione americana non fu lo stesso in tutte le colonie e repubbliche del continente. Gli US, ad
esempio, nonostante il loro flusso modesto di esportazioni verso l'Europa e dunque anche di schiavi africani, vide un boom demografico finale che
superò quello di 
ogni altra società schiavista. Questo non perché gli schiavi venissero trattati in modo migliore, ma perché adottarono la pratica di allattamento
nordeuropea (che durava un anno) in sostituzione a quella africana (due anni). Inoltre, la popolazione statunitense, non solo schiava, viveva di media
più a lungo di quella nelle altre regioni del Nuovo Mondo. 
Gli schiavi che arrivarono in America erano per lo più analfabeti, parlavano un'ampia varietà di lingue diverse ed erano legati da scarsi vincoli comuni.
La tratta, da parte sua, smembrò gruppi culturali affini e in ogni piantagione si trovavano lavoratori originari di regioni nettamente diverse che si
trovarono così a dover parlare la lingua dei propri padroni, unica lingua franca. 
Per quanto possano aver lottato per conservare lingue e culture d'origine, i giovani africani furono lentamente incorporati in una più vasta cultura
afroamericana, dove le loro specifiche origini contribuirono a definire standard culturali e modelli di comportamento. 
Questa nuova cultura di radici africane, europee e americane era in parte anche condivisa dall'élite bianca; allo stesso tempo questi cercavano però di
formare gruppi di schiavi il più culturalmente eterogenei possibile sia per dividerli politicamente, sia per obbligarli ad interagire tra loro nella lingua
locale. 

RELIGIONE 
Gli africani arrivati in America, non disponendo più né di apparati statali, né di strutture claniche, dovettero abbandonare le loro credenze associate
all'attività di queste forme di organizzazione. A conservarsi furono invece credenze, divinità e l'atteggiamento di fondo legato al rapporto tra persona e
cosmo. 
Alcune credenze e norme di comportamento furono invece create deliberatamente in opposizione della cultura bianca che giustificava e razionalizzava
il loro asservimento. 
Nel contesto latino-americano, specialmente a Cuba, Haiti e in Brasile, si svilupparono potenti movimenti dediti a pratiche religiose fortemente ispirate
a rielaborazioni sincretiche di divinità africane; queste vennero alla luce nel periodo successivo all'abolizione e affondavano le loro radici nelle culture
dei primi gruppi africani, cosicché tutti quelli successivi si dovettero adattare. I più importanti di questi culti furono il voodoo, la santeria e il cadomblé,
che apparvero in tutta l'America latina, anche se alla fine in ogni determinata area se ne impose una soltanto (es, Bahia - cadomblé, Santo Domingo -
voodoo). Quando riconoscevano l'idolatria delle manifestazioni sincretiche, i ceti dominanti la estirpavano dalle comunità schiave con inflessibilità e
dunque, per dissimulare le proprie credenze più radicali, gli schiavi nascosero questi culti dietro una facciata cristiana. Integrando però pratiche e
credenze cristiane per non andare contro alle autorità, nel giro di qualche generazione un reale sincretismo divenne parte integrante delle credenze
degli stessi schiavi. 
Nelle società protestanti vennero per lo più integrati la storia di Mosè e della liberazione degli ebrei dalla schiavitù egizia e le esperienze di conversione
tipiche degli evangelici, mentre in quelle cattoliche vennero adottate parti del Cattolicesimo popolare, come i patroni delle comunità locali. Le autorità
bianche estesero poi la struttura delle confraternite laiche nel tentativo di controllare il sistema delle credenze degli schiavi, ma in questo contesto
fallirono. 
La religione fu importante in questo contesto sia per cementare i vincoli comunitari, sia perché il suo uso, ma soprattutto l'uso della stregoneria e la
fiducia nella sua efficacia servivano a mantenere i conflitti entro limiti accettabili, in comunità che non disponevano né di proprie forze dell'ordine, né
di un autogoverno. 
A plasmare la società schiava furono il lavoro e lo status giuridico. La percezione degli schiavi dei fattori che incidevano su quest'ultimo differiva spesso
da quella dei padroni: per loro non era tanto il controllo su risorse o altre persone a contare, ma l'autonomia e la conoscenza.
→ la prima si riferiva all'indipendenza dalla sorveglianza dei bianchi: la maggioranza degli schiavi (quelli domestici) era sottoposta a controlli rigidi, ma
circa 1/3 di loro era destinato a lavori moderatamente autonomi (es. mulattieri)
→ la seconda si riferiva sia al sapere generale, come il saper leggere la lingua dei bianchi o l'arabo e il Corano, oppure alla conoscenza delle dinamiche
del mondo bianco.
→ altri individui godevano invece di uno status rispettabile poiché provenienti da famiglie nobili africane. 
Cosa di cui i padroni non avevano la minima idea. 
Nonostante gli ostacoli posti da cultura e lingue e il fatto che essi non furono trasferiti in America per migliorare le loro condizioni di vita, gli africani
furono capaci di forgiarsi una propria cultura e creare una classe lavoratrice che lottò per costruirsi un'esistenza vivibile nel Nuovo Mondo.

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