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Esiste un piano strategico dell'eliminazione che risponde a un'intenzionalità omicida di natura "sociologica". Le vittime
appartengono cosi in maggioranza a 3 categorie stigmatizzate, che il regime definisce e considera come entità
malefiche: il "nuovo popolo", il "sottopopolo" e i "traditori".
Nel cosiddetto "nuovo popolo" rientrano le classi popolari delle città (impiegati, operai, contadini rifugiati). Questa
massa che consisteva quasi la metà della popolazione totale è stata deportata ed unita al "vecchio popolo" – ovvero la
popolazione contadina delle aree "liberate" dal 1970, ritenuta più "pura" e quindi più sicura – per essere rieducata con il
lavoro forzato e con trattamenti estremamente umilianti.
Il "sottopopolo" è invece formato dalle categorie socioprofessionali più legate al vecchio ordine, e quindi considerate
quasi sempre non rieducabili, indegne di vivere e destinate alla progressiva eliminazione: gli intellettuali in senso
ampio, i liberi professionisti, i commercianti, il clero.
Infine i "traditori", condannati all'"annientamento" immediato, erano militari e funzionari del regime precedente.
La sovramortalità di quel periodo puo essere ricondotta a 2 cause ben distinte: alle condizioni di vita disastrose delle
"comuni popolari" -dove fu deportato il "nuovo popolo" per lavorare duramente ed essere trattato altrettanto duramente
dal "vecchio popolo" – e quindi alla morte provocata direttamente o indirettamente da una politica deliberata; oppure
alle esecuzioni di massa o individuali, cosi come alla morte per torture o d'inedia nelle prigioni – falsamente chiamae
"centri di rieducazione". Se per molto tempo gli studiosi hanno calcolato un numero piuttosto basso di morti inflitte
direttamente (tra 100.000 e 200.000), ora invece tendono ad aumentare molto queste cifre, aggiungendovi anche le
vittime rinchiuse in centinaia di carceri, di cui per molto tempo si è ignorata l'esistenza. Se in base alla stima più alta,
800.000 cambogiani furono assassinati direttamente, quasi una vittima su due, dobbiamo ammettere di trovarci
chiaramente di fronte a una deliberata politica di sterminio su vasta scala. Dobbiamo analizzare dettagliamente questi 2
universi di morte: le "comuni popolari" e le prigioni.
La comune popolare – concepita per "impadronirsi delle masse", in modo tale che "il nemico" non potesse insinuarsi al
suo interno – è organizzata come un gulag: lunghi lavori forzati (10-12 ore al giorno), regole estremamente rigorose,
pasti collettivi insufficienti, sedute di autocritica e delazione istituzionalizzata (chlop), separazione dei coniugi e
ricongiungimento dei bambini, adolescenti e celibi mandati ai cantieri più duri.
Il lavoro massacrante, la malnutrizione (600g di riso al giorno) e le malattie non curate perchè non riconosciuti come
tali, provocarono, combinandosi insieme, una mortalità spaventosa (1 milione di vittime) molto simile a una selezione
naturale pianificata.
In che misura questa catastrofe demografica fu intenzionale? Sicuramente le pessime condizioni alimentari e sanitarie
sono in buona parte da attribuire al caos provocato, in principio, dai trasferimenti in massa della popolazione, all'avvio
delle grandi opere idrauliche che in breve tempo sacrificarono i raccolti e alle negligenze dovute al numero inizialmente
esiguo dei dirigenti khmer rossi, cosi come alla loro incompetenza. Ma queste condizioni sarebbero dovute migliorare
con il tempo se l'intenzione fosse stata veramente quella di rieducare la popolazione con il lavoro, in modo tale da
riqualificare le classi dirigenti del passato fornendo loro quelle competenze tecniche utili alla rivoluzione. Invece è
avvenuto esattamente il contrario: la situazione alimentare peggiora sia perchè le opere d'irrigazione sono state
progettate e realizzate male sia a causa dell'esportazione "politica" in Cina dell'esiguo surplus. I pochi "ospedali"
esistenti – privi di personale qualificato e di farmaci moderni – si trasformano in luoghi in cui i malati sono eliminati
più rapidamente. Nel frattempo gli ingegneri erano liquidati in massa e i medici manadati nelle risaie o a svolgere lavori
domestici. Il fine implicito è allora quello di annientare lentamente il "nuovo popolo".
Tuttavia il fatto che nelle varie regioni le situazioni fossero diverse smentisce l'esistenza di un piano centrale di
sterminio per fame. D'altra parte, lo Stato non ha cercato di portare aiuto alle aree sovrappopolate organizzando delle
spedizioni di riso. A livello locale, non è stato permesso alle popolazioni di sfruttare tutte le risorse alimentari: per
esempio era vietato cacciare, pescare o raccogliere la frutta dagli alberi perchè costituiva un "crimine contro la
rivoluzione". L'arma alimentare fu usata in modo consapevole, probabilmente non per uccidere in massa, ma per punire
alcuni, incoraggiare altri, mostrare ad ognuno il proprio posto nel nuovo ordine. Lasciare i Nuovi nell'ossessiva
incertezza di potersi nutrire significava privarli delle energie fisiche e mentali per opporsi al potere.
Le esecuzioni di "capitalisti", "imerialisti" e "feudatari" furono massicce ed avvenivano quasi sempre di notte, in
silenzio, per asfissia, con un sacchetto di plastica infilato in testa. Nei carceri furono rinchiusi indistintamente donne
incinte e bambini e la funzione principale della prigione dei khmer rossi era quella di ottenere la confessione di
"crimini" e di "complotti" che giustifichino l'arresto. Forse all'inizio l'obiettivo era veramente la rieducazione ma
l'incompetenza di chi conduceva gli interrogatori, la mancanza di tempo e il clima paranoico fecero si che l'unico scopo
da raggiungere fosse la confessione, che comportava poi, nella maggior parte dei casi, la condanna a morte. In media,
l'aspettativa di vita dei prigionieri era di circa 3 mesi. Esisteva un'area riservata alle esecuzioni attigua al carcere, dove
alla vittima veniva fracassato il cranio con l'impugnatura del piccone (per risparmiare le cartucce) mentre la musica
rivoluzionaria diffusa dagli altoparlanti cercava di coprire le urla dei connati, che un servizio speciale della prigione
aveva già spogliato dei loro abiti, distribuiti poi nei villaggi abitati dal "vecchio popolo". Lo sterminio diretto ha
provocato non meno di 400.000 o 600.000 vittime. Queste cifre rimarranno comunque sempre molto approssimative,
dato che i khmer rossi bruciavano molti cadaveri in fosse gigantesche, i "forni" e poi dispersero le ceneri usandole come
concime nelle vicine risaie.