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Capitolo quinto

Il genocidio impunito della Cambogia


Nel gennaio del 1979 l'invasione della Cambogia da parte del Vietnam pose fine a 3 anni di potere khmer rosso e
segno l'inizio di un regime che per anni ha basato la propria legitimità contestata dalla comunità internazionale sulla
denuncia della "cricca genocidaria Pol Pot – Ieng Sary"e sull'inaugurazione di un "museo del Genocidio". Tuttavia negli
accordi di Parigi del 1991 che ristabilivano la pace in Cambogia, omettevano questo termine in un atto finale che
menzionava solo un "conflitto tragico e sanguinoso". Solo nel 1997 l'ONU riconobbe come "atti di genocidio" le
atrocità che provocarono la scomparsa di un quarto della popolazione cambogiana tra 1975 e 1979. Questo mancato
riconoscimento del genocidio non solo penalizzo l'istruzione di un processo per giudicare i responsabili di questa
politica omicida ma questo silenzio della comunità internazionale lascio un'intera generazione di cambogiani soltanto ai
propri ricordi individuali di un passato traumatico, impedendo cosi la ricostruzione di una memoria collettiva attraverso
una chiara identificazione delle responsabilità e l'incriminazione dei colpevoli.

1. Le vittime della Kampuchea democratica


Il bilancio complessivo delle perdite di vite umane sotto il regime dei khmer rossi è stato stabilito progressivamente
dall'inizio degli anni 90', a mano a mano che gli apparati di sicurezza hanno sequestrato gli archivi e che sono state
scoperte le tracce tangibili del genocidio - centinaia di prigioni, migliaia di fosse comuni – e corrisponde a una cifra a
circa un milione e mezzo di vittime ossia il tasso di mortalità oscillava tra il 20%e il 30%. Queste cifra non includono
tuttavia le perdite umane del periodo di guerra 1970-75 nei combattimenti fra le truppe repubblicane del regime di Lon
Nol e quelle dei khmer rossi, appoggiati dai vietnamiti.
Ma la distruzione di un quarto di una popolazione nazionale rappresenta un genocidio in quanto tale. La risposta è si, e
l'elenco delle categorie di vittime e dei tipi mortalità rivela l'intenzione politica e ideologica di questa morte in massa. Il
fatto che la percentuale delle vittime vari a seconda del gruppo cui esse appartenevano, da una parte permette di
stabilire quali fossero i gruppi più vittimizzati, e dall'altra indica anche che i dirigenti khmer rossi mirassero a colpire
alcune categorie.
Una volta eliminati innanzitutto i nemici politici dichiarati, le probabilità di morire o di sopravvivere nella Kampuchea
democratica erano determinate dall'appartenenza a precise categorie socioterritoriali (etnia). I coefficienti di mortalità
più elevati riguardano i dirigenti del regime repubblicano, gli ufficiali (82%), i poliziotti (66%), i funzionari (60%) e
soprattutto i magistrati: nel 1979 solo 4 sono encora vivi su 550. Ma se consideriamo tutta la popolazione, questi gruppi
"politici" non superano il 5% del totale e quindi l'incidenza della loro mortalità è del tutto secondaria rispetto alla
mortalità generale.
Le aree urbane, con tutte le loro attività specifiche (mercato, management, amministrazione), il loro stile di vita e le
loro abitudini culturali influenzate dai paesi stranieri, sono inevitabilmente prese di mira in quanto tale. Al contrario
nelle regioni rurali - dove il movimento comunista aveva stabilito le proprie basi e che rapprsentavano per il regime un
territorio modello – connobbero condizioni di vita meno dure in campo sanitario e alimentare e le detenzioni e le
esecuzioni furono meno numerose che altrove.
Alcune categorie particolari sono state colpite prima di altre; per esempio gli "intellettuali" delle città sono una delle
categorie più vittimizzate: mori circa il 50% dei laureati tra cui 402 medici su 450. Nelle campagne il clero buddista
scomparve quasi completamente ma furono colpiti anche altri gruppi religiosi o etnici: i musulmani cham (33%), i
cattolici (48%), i cinesi (38%), i vietnamiti (37%) e poi molto meno i khmer loeu (5%) e i montagnard del Nord-Est.
Questi gruppi erano perseguitati in quanto tali o in quanto rappresentanti di categorie essenzialmente cittadine e di
commercianti (cinesi e vietnamiti).

Esiste un piano strategico dell'eliminazione che risponde a un'intenzionalità omicida di natura "sociologica". Le vittime
appartengono cosi in maggioranza a 3 categorie stigmatizzate, che il regime definisce e considera come entità
malefiche: il "nuovo popolo", il "sottopopolo" e i "traditori".
Nel cosiddetto "nuovo popolo" rientrano le classi popolari delle città (impiegati, operai, contadini rifugiati). Questa
massa che consisteva quasi la metà della popolazione totale è stata deportata ed unita al "vecchio popolo" – ovvero la
popolazione contadina delle aree "liberate" dal 1970, ritenuta più "pura" e quindi più sicura – per essere rieducata con il
lavoro forzato e con trattamenti estremamente umilianti.
Il "sottopopolo" è invece formato dalle categorie socioprofessionali più legate al vecchio ordine, e quindi considerate
quasi sempre non rieducabili, indegne di vivere e destinate alla progressiva eliminazione: gli intellettuali in senso
ampio, i liberi professionisti, i commercianti, il clero.
Infine i "traditori", condannati all'"annientamento" immediato, erano militari e funzionari del regime precedente.
La sovramortalità di quel periodo puo essere ricondotta a 2 cause ben distinte: alle condizioni di vita disastrose delle
"comuni popolari" -dove fu deportato il "nuovo popolo" per lavorare duramente ed essere trattato altrettanto duramente
dal "vecchio popolo" – e quindi alla morte provocata direttamente o indirettamente da una politica deliberata; oppure
alle esecuzioni di massa o individuali, cosi come alla morte per torture o d'inedia nelle prigioni – falsamente chiamae
"centri di rieducazione". Se per molto tempo gli studiosi hanno calcolato un numero piuttosto basso di morti inflitte
direttamente (tra 100.000 e 200.000), ora invece tendono ad aumentare molto queste cifre, aggiungendovi anche le
vittime rinchiuse in centinaia di carceri, di cui per molto tempo si è ignorata l'esistenza. Se in base alla stima più alta,
800.000 cambogiani furono assassinati direttamente, quasi una vittima su due, dobbiamo ammettere di trovarci
chiaramente di fronte a una deliberata politica di sterminio su vasta scala. Dobbiamo analizzare dettagliamente questi 2
universi di morte: le "comuni popolari" e le prigioni.
La comune popolare – concepita per "impadronirsi delle masse", in modo tale che "il nemico" non potesse insinuarsi al
suo interno – è organizzata come un gulag: lunghi lavori forzati (10-12 ore al giorno), regole estremamente rigorose,
pasti collettivi insufficienti, sedute di autocritica e delazione istituzionalizzata (chlop), separazione dei coniugi e
ricongiungimento dei bambini, adolescenti e celibi mandati ai cantieri più duri.
Il lavoro massacrante, la malnutrizione (600g di riso al giorno) e le malattie non curate perchè non riconosciuti come
tali, provocarono, combinandosi insieme, una mortalità spaventosa (1 milione di vittime) molto simile a una selezione
naturale pianificata.
In che misura questa catastrofe demografica fu intenzionale? Sicuramente le pessime condizioni alimentari e sanitarie
sono in buona parte da attribuire al caos provocato, in principio, dai trasferimenti in massa della popolazione, all'avvio
delle grandi opere idrauliche che in breve tempo sacrificarono i raccolti e alle negligenze dovute al numero inizialmente
esiguo dei dirigenti khmer rossi, cosi come alla loro incompetenza. Ma queste condizioni sarebbero dovute migliorare
con il tempo se l'intenzione fosse stata veramente quella di rieducare la popolazione con il lavoro, in modo tale da
riqualificare le classi dirigenti del passato fornendo loro quelle competenze tecniche utili alla rivoluzione. Invece è
avvenuto esattamente il contrario: la situazione alimentare peggiora sia perchè le opere d'irrigazione sono state
progettate e realizzate male sia a causa dell'esportazione "politica" in Cina dell'esiguo surplus. I pochi "ospedali"
esistenti – privi di personale qualificato e di farmaci moderni – si trasformano in luoghi in cui i malati sono eliminati
più rapidamente. Nel frattempo gli ingegneri erano liquidati in massa e i medici manadati nelle risaie o a svolgere lavori
domestici. Il fine implicito è allora quello di annientare lentamente il "nuovo popolo".
Tuttavia il fatto che nelle varie regioni le situazioni fossero diverse smentisce l'esistenza di un piano centrale di
sterminio per fame. D'altra parte, lo Stato non ha cercato di portare aiuto alle aree sovrappopolate organizzando delle
spedizioni di riso. A livello locale, non è stato permesso alle popolazioni di sfruttare tutte le risorse alimentari: per
esempio era vietato cacciare, pescare o raccogliere la frutta dagli alberi perchè costituiva un "crimine contro la
rivoluzione". L'arma alimentare fu usata in modo consapevole, probabilmente non per uccidere in massa, ma per punire
alcuni, incoraggiare altri, mostrare ad ognuno il proprio posto nel nuovo ordine. Lasciare i Nuovi nell'ossessiva
incertezza di potersi nutrire significava privarli delle energie fisiche e mentali per opporsi al potere.
Le esecuzioni di "capitalisti", "imerialisti" e "feudatari" furono massicce ed avvenivano quasi sempre di notte, in
silenzio, per asfissia, con un sacchetto di plastica infilato in testa. Nei carceri furono rinchiusi indistintamente donne
incinte e bambini e la funzione principale della prigione dei khmer rossi era quella di ottenere la confessione di
"crimini" e di "complotti" che giustifichino l'arresto. Forse all'inizio l'obiettivo era veramente la rieducazione ma
l'incompetenza di chi conduceva gli interrogatori, la mancanza di tempo e il clima paranoico fecero si che l'unico scopo
da raggiungere fosse la confessione, che comportava poi, nella maggior parte dei casi, la condanna a morte. In media,
l'aspettativa di vita dei prigionieri era di circa 3 mesi. Esisteva un'area riservata alle esecuzioni attigua al carcere, dove
alla vittima veniva fracassato il cranio con l'impugnatura del piccone (per risparmiare le cartucce) mentre la musica
rivoluzionaria diffusa dagli altoparlanti cercava di coprire le urla dei connati, che un servizio speciale della prigione
aveva già spogliato dei loro abiti, distribuiti poi nei villaggi abitati dal "vecchio popolo". Lo sterminio diretto ha
provocato non meno di 400.000 o 600.000 vittime. Queste cifre rimarranno comunque sempre molto approssimative,
dato che i khmer rossi bruciavano molti cadaveri in fosse gigantesche, i "forni" e poi dispersero le ceneri usandole come
concime nelle vicine risaie.

2. L'Angkar e i suoi esecutori


La grande massa dei cambogiani delle comuni popolari identificava facilmente la misteriosa "Organizzazione" con i
piccoli quadri locali da cui venica sfiancata e terrorizzata quotidianamente, e per molto tempo ignoro chi fosse ai vertici
del potere. Solo nel settembre 1977 l'Angkar rivelo di essere il Partito comunista della Kampuchea e Pol Pot, il suo
segretario generale, apparve pubblicamente durante un viaggio in Cina compiuto in qualità di primo ministro della
Cambogia.
L'iter, le posizioni sociali e le esperienze fondamentali dei cosiddetti "Grandi fratelli", non più di 20 o 30 individui,
sono estremamente simili. Scelsero la clandestinità, anche una volta giunti al potere, perché dovevano dissimulare il
fatto di non essere dei contadini (ad eccezione di Ta Mok) ma degli intellettuali francesizzati provenienti da famiglie
benestanti e ben inserite. Pol Pot, pseudonimo di Saloth Sar, il cosidetto "Fratello Numero Uno", era il figlio di un ricco
proprietario terriero legato alla famiglia del re Monivong e fu allevato nell'ambiente del palazzo reale da una cugina di
suo padre che faceva parte del corpo di ballo del re prima di andar a studiare in Francia. Infatti Pol Pot ha considerato
come nemici da eliminare per primi: i proprietari terrieri, i rappresentanti della vecchia società monarchica, il clero e gli
intellettuali.
Molti dirigenti dell'Angkar divennero comunisti tra il 1949 e il 1958, ossia durante i loro studi a Parigi. Partecipavano
ai dibattiti marxisti organizzati dal Partito comunista francese e alcuni di essi, tra cui Pol Pot, si iscrivono proprio a quel
partito. Il loro soggiorno in Francia risulta dunque determinante.
Ma i futuri dirigenti khmer rossi si avvicinano al comunismo soprattutto attraverso un PCF profondamente staliniano.
Infatti, è proprio a Parigi che essi hanno letto i libri sacri del comunismo che sono alla base di una certa visione del
mondo e di una certa fraseologia: Il manifesto del partito comunista di Marx, L'imperialismo fase suprema del
capitalismo di Lenin, il marxismo e la questione nazionale di Stalin e, soprattutto, la Storia del partito comunista
bolscevico dell'URSS in cui si vede Stalin trionfare senza pietà su tutti i nemici interni.
Tornati in Cambogia, quasi tutti vivono modestamente con i loro stipendi di insegnanti. I rappresentanti di quella
generazione di sinistra sperano di poter partecipare allo sviluppo del paese, dividendosi per questo tra l'impegno
clandestino per creare una rete di militanti e l'opposizione dichiarata alla monarchia. Ma essi vivono soprattutto
l'esperienza della repressione quando, tra il 1955 e il 1960, i servizi di sicurezza della monarchia, con la loro caccia
all'uomo, fanno sparire l'80% circa dei dirigenti comunisti, arrestandoli o assassinandoli, e a partire del 1962, quando il
Pracheachon (Partito popolare) dietro il quale si nascondono i comunisti, viene dichiarato fuori legge.
Pol Pot e Ieng Sary, iscritti sulla lista nera del governo, si danno alla macchia nel 1963, seguiti l'anno dopo da Son Sen.
Ma nel 1967, accusati di "tradimento" in quanto "khmer rossi" (nome coniato allora) e filocinesi, anche gli ultimi
intellettuali-leader si rifugiano a loro volta nelle foreste del Nord-Est. Quel periodo di clandestinità sono gli anni in cui
il comunismo cambogiano cambia radicalmente strategia, e questo sarà fondammentale per gli avvenimenti successivi.
Cominciava allora una "rivoluzione della foresta" in cui una massa di contadini emarginati adotta un'ideologia
antiurbana e antioccidentale. Ma soprattutto, il gruppo dirigente si chiude sempre più in se stesso, nelle seue certezze e
nella sua paranoia, esaltando la propria situazione miserevole e la propria "autosufficienza".
Infine il periodo in cui il movimento dei Khmer rossi si costituisce, si consolida e si espande, coincide con quello della
rivoluzione culturale cinese (1966-75), promossa dallo stesso Mao. Essa ha esercitato un'enorme influenza politica e
intellettuale, diretta o indiretta, su un gran numero di dirigenti comunisti cambogiani. Nel 1966 e nel 1970 lo stesso Pol
Pot compie i suoi primi viaggi in Cina, appena uscito dalle meditazioni utopiche del suo rifugio di montagna.
Queste molteplici esperienze sono alla base di un complesso di odio accumulato che quei dirigenti, una volta al potere,
non fecero che far esplodere: l'odio per la classe dirigente corrotta, per il regime monarchico che li aveva braccati, per la
repubblica che li aveva combattuti, l'odio per le città in quanto simbolo di un'economia parassitaria e oppressiva.... Ma i
dirigenti dell'Angkar nutrono anche un altro odio, in cui confluiscono gli altri 2: quello per il mondo occidentale
(Imperialismo), sia neocoloniale sia americano. Un odio che spinge i khmer rossi a chiudersi in un'autarchia assoluta, a
troncare ogni legame con i paesi stranieri e i loro germi di contaminazione, ma soprattutto, alimenta la loro volontà di
eliminare la borghesia e gli intellettuali occidentalizzati.
Si accedeva al cuore del partito per merito, progressivamente, e in 3 fasi, partendo come semplici appartenenti alla
Lega della gioventù comunista, per diventare poi membri candidati e infine militanti con "pieno diritto". Il profilo di
questi candidati, militanti e "compagni" mostra come 3 gruppi d'importanza diversa rappresentano l'Organizzazione:
comunisti idealisti provenienti per la maggior parte dall'ambiente studentesco e liceale degli anni 60', emarginati e
poveracci delle campagne, giovani contadini tra 14 e 20 anni.
Pol Pot, con una retorica buddista piena di esempi immaginosi, sapeva conquistare il proprio uditorio, soprattutto
quando evocava la "nuova società" futura, dove non ci sarebbero state più imposte da pagare, perchè tutti avrebbero
lavorato... A partire del 1967 quando esso diventa sempre più radicalmente un movimento contadino, e ancora di più
dopo la vittoria del 1975, quando il mito dell' "uomo che ritorna alla purezza del chicco di riso" diventa la norma
ideologica superiore, tutta una categoria di quadri medi fu poco a poco sospettata di nascondere una "natura borghese" e
furono vittime di purghe violente.
Alcune di questi si trasformano da carnefici del proprio popolo in vittime del loro stesso partito, come un certo Bu
Phat. Nel frattempo gli emarginati proveninenti dai villaggi acquisirono un'importanza sempre maggiore all'interno
dell'apparato repressivo dei khmer rossi. Anche il PCK comincio a reclutare vagabondi, trafficanti, alcolisti, violenti,
analfabeti, insomma tutta la feccia della Cambogia rurale che era convinta di aver trovato una nuova dignità nella cieca
esecuzione degli ordini dell'Angkar.
I khmer rossi avevano sovvertito l'ordine dei valori. Colui che non aveva legami familiari, né proprietà era ben
considerato e infatti ricopriva una posizione piuttosto importante nella gerarchia rivoluzionaria. L'ubriacone,
disintossicato e trasformato dall'Angkar subiva una vera e propria metamorfosi e grazie all'educazione rivoluzionaria
ritrovava una personalità, ma una finta personalità, inoculata dai lavaggi di cervello.
Infine i giovani di età compresa tra i 14 e i 20 anni costituiscono una parte considerevole degli effettivi di base
dell'Angkar. Miliziani adolescenti e presto arroganti, bambini medici presuntuosi nella loro ignoranza: viene instaurata
una vera e propria dittattura dei giovanissimi. La maggior parte delle guardie carcerarie è costituita da adolescenti.
Troncando ogni rapporto con le loro famiglie e i loro villaggi, tenuti a distanza da una popolazione spaventata, privati
di qualsiasi punto di riferimento di una tradizione e di una religione che non esistevano più, riconosciuti dai "Grandi
fratelli" come eroi e messageri della rivoluzione. Migliaia di giovani militanti erano diponibili per eseguire senza tregua
gli ordini del misterioso Angkar, considerato un padre e una madre.
Inoltre, il sistema delle purghe, cosi profondamente radicato nel movimento khmer, faceva si che dopo ogni infornata
di quadri ne seguiva un'altra, che sostituiva e uccideva la precedente (paranoia). La vittoria dei khmer rossi, inaspettata
date le lloro scarse risorse e la loro breve storia, offri lo strumento dell'onnipotenza all'odio di alcune categorie
emarginate.
3. "Genocidio cambogiano" o "genocidio comunista" ?
Secondo gli Stati Uniti, che sacrificarono deliberatamente un piccolo popolo ai loro progetti strategici, la Cambogia
non sarebbe stata nient'altro che una pedina, e il suo annientamento sotto tonnellate di bombe dell'aeronautica
stztunitense, una "tragedia senza importanza". Il giornalista americano Shawcross ha mostrato per primo quanto il
partito di Pol Pot fosse nato dall' "inferno che la politica americana contribui ampiamente a creare", cioè dalle ceneri
della Cambogia rurale. Secondo lui, la guerra aerea avrebbe avuto conseguenze incalculabili: i bombardamenti a
tappeto, che rasero al suolo decine di villaggi, costituiscono un buon argomento per reclutare giovani contadini, accecati
dall'odio e fanaticamente devoti a un potere che si presenta in veste di vendicatore.
Inoltre, i combattenti khmer rossi di base erano sempre più prevenuti contro le città, fino a considerare la capitale
cambogiana, con il suo governo filoamericano e i suoi abitanti occidentalizzati, come l'incarnazione stessa del male
assoluto. Infine gli ultimi bombardamenti americani del 1973, mentre i vietnamiti si erano ritirati in seguito agli accordi
di Parigi, rafforza drammaticamente il desiderio di chiusura e la paranoia estrema di un piccolo gruppi di zeloti che
considera la prosecuzione e la conclusione della guerra oltanto una questione di vendetta asssoluta.
Un comunicato dei khmer rossi aveva accusato nel 1974 la politica americana dei bombardamenti di provocare... un
"genocidio". Dopo la vittoria, i compagni di Pol Pot sono stati sempre dominati psicologicamente dall'idea che nessun
partito comunista avesse sofferto tanto quanto il loro, cosa che lasciava intendere implicitamente che la ferocia di cui
avrebbe dato prova fosse il giusto contrappasso.
Il regime che essi instaurarono poneva il concetto di razza al di sopra di tutti gli altri: infatti "fu né una rivoluzione
proletaria comunista che privilegiava la classe operaia, né una rivoluzione contadina che favoriva i contadini. I privilegi,
sotto qualsiasi forma, andarono soltanto ai khmer riconosciuti come tali". L'ossessione di Pol Pot e dei suoi amici per la
razza – che si tradusse in una persecuzione morale, nella parziale eliminazione della minoranza musulmana o nella
caccia spietata ai cambogiani che avevano "un anima vietnamita in un corpo khmer" – non avrebbe equivalenti in
nessun regime che si ispira dichiaratamente al modello bolscevico. Questa interpretazione mira chiaramente ad allontare
l'esperienza cambogiana dal modello comunista ed a avvicinarla invece al nazismo.
Ma se il tasso di sterminio delle minoranze (36%) è superiore alla media nazionale (25%), e comunque nettamente
inferiore a quello di alcune categorie sociali o professionali vittimizzate (più del 50%). Inoltre le minoranze vengono
massacrate perché si oppongono più o meno apertamente al nuovo regime e qunato alla famosa krama blu (sciarpa blu
tradizionale khmer) che avrebbero indossato alcuni deportati "vietnamiti", non aveva certo la funzione di marchio
infamante che aveva la stella gialla imposta dai nazisti agli ebrei. Si tratterebbe semplicemente di un capo
d'abbigliamento, che lo stesso Pol Pot, avrebbe indossato in alcune occasioni.
François Bizot, invece, suggeri che la teoria rivoluzionaria dei dirigenti khmer rossi si ispirasse piuttosto ai miti e alle
regole del buddismo: per sostenere questa tesi, cita la rinuncia ai beni materiali e ai legami familiari, l'adesione a una
tavola di "comandamenti morali" imperativi, l'obbligo di confessare i propri errori, il rituale della prova iniziatica, tutti
elementi che da una parte legittimano l'esigenza di un ordine fondato sulla disciplina, la sofferenza e il castigo e
dall'altra aiutano a capire la radicalità dell'impresa rivoluzionaria. A questo proposito, bisogna ricordare che in gioventù
molti quadri del movimento erano stati monaci o novizi buddisti, sull'esempio del primo fra loro, Pol Pot.
Alexander Hinton invece è stato il più convincente dimostrando come il diritto alla vendetta che permeava la società
cambogiana tradizionale ed è all'origine di una violenza cronica. La forma più estrema è l'uccisione dell'offensore e
della sua famiglia – per evitare che quest'ultimo compia ancora quest'atto o che a sua volta voglia esercitare il proprio
diritto alla vendetta. La forza dei khmer rossi consisteva nel catalizzare e strumentalizzare tutti i desideri di vendetta dei
contadini cambogiani, fornendo loro un punto fermo (la lotta di classe), un bersaglio (il capitalismo urbano) e
soprattutto un mezzo per appagare questo desiderio, l'Angkar: il tema della vendetta è sempre al centro dei discorsi e
delle pratiche dei khmer rossi.
I posti di maggior potere a livello locale sono assegnati alle categorie più assetate di vendetta: contadini senza terra,
giovani, emarginati, che tutti i giorni restituiscono centuplicati, allo sventurato "nuovo popolo" delle città, quegli
oltraggi che essi stessi hanno subito come classi dominate della vecchia società. Infine, viene messa in atto su vasta
scala la forma più estrema di kum: la distruzione non soltanto del nemico, ma anche della sua discendenza, la sua
famiglia, la sua classe, la sua "rete".
Cosi come il terrore in massa leninista intendeva purificare la terra russa eliminando gli "insetti nocivi", anche il
regime di terrore instaurato dai khmer rossi è fondato sullo stesso progetto igienista. Si tratta essenzialmente della
volontà esasperata di purificare la società khmer estirpando il suo tumore "borghese", per cominciare una nuova era
dall' "anno zero". Come recitava uno slogan del regime: "Non ci si guadagna nulla ad aiutare le persone contaminate
dalla cultura occidentale o dai regimi marci, non si perde nulla ad eliminarli". Fin dalle prime settimane il regime
procede all'eliminazione fisica della borghesia in quanto tale, cioè dei "traditori" che con le loro famiglie ammontavano
a circa 500.000 persone. Parallelamente venne avviata l'operazione destinata a trasformare in breve tempo tutte le
categorie contaminate dallo spirito borghese (3.500.000 persone) in contadini. Rispondere a un questionario o redigere
un'autobiografia diventa una routine per migliaia di cambogiani. La parte più importante dei questionari – intitolata:
"mezzi di sussistanza prima della rivoluzione" – serviva a determinare la "buona" o la "cattiva" origine sociale, dunque
il valore intrinseco della persona, o in altre parole, il suo potenziale rivoluzionario. L'istituzione dei pasti in comune
pressoi le mense collettive privo le famiglie delle possibilità di procurarsi cibo in altri modi, e, con la scomparsa
dell'ultimo angolo di privacy, di accelerare la disintegrazione sociale, l'isolamento con tutte le sue conseguenze
psicologiche: rassegnazione, fatalismo, rifiuto di vivere. L'ultima tappa di questa logica folle fu l'eliminazione delle
tendenze borghesi che avrebbero potuto essere ancora presenti nel "vecchio popolo" oppure che avrebbero potuto
riemergere all'interno del partito stesso. Infatti la metà dei componenti del partito sarebbe stata vittima delle purghe, in
un paese in cui progressivamente chiunque diventa sospetto e nessuno sembra essere al riparo dall'accusa d'infezione (la
metafora medica è infatti sempre al centro del discorso finale dei khmer rossi).
Questa rivoluzione di cui parla Pol Pot si ispira dichiaratamente a 2 modelli: il piano di Stalin e il Grande balzo in
avanti della Cina, e a partire dalle idee fisse e di matrice staliniana che il gruppo dirigente coltivava da molto tempo:
collettivismo, volontà rivoluzionaria, autarchia, potere ai poveri. Infatti quando Pol Pot recito i suoi 2 elogi funebri di
Mao, riconobbe quanto i suoi scritti fossero stati importanti per la propria rivolizione. In ogni caso, su quelle basi, Pol
Pot cerco e trovo un economista terzomondista, che disprezzava duramente l' "imperialismo" e lo "sviluppo ineguale",
Samir Amin.
La cosa peggiore è che l'esperienza cambogiana mescola gli aspetti caratteristici delle 2 grandi febbri volontaristiche
del totalitarismo comunista: collettivizazzione, deportazione-abbandono dei nemici "obiettivi", segregazione e lavoro
forzato della popolazione nei comuni popolari, grandi opere idrauliche che necessitavano di tantissima manodopera e
discorso messianico di mobilitazione totale. Seguendo questi precedenti, che provocarono milioni di vittime dirette e
indirette, anche l'esperienza cambogiana sfocio nella carestia e nella caccia ai "sabotatori" o ai "nemici" nascosti.
Il 1976, anno in cui i dirigenti khmer rossi annunciano l'inizio della rivoluzione socialista e l'abolizione delle classi, è
sorprendentemente simile, in termini di conseguenze (l'uccisione di qualsiasi individuo appartenente al "vecchio
popolo", all'esercito o al partito sospettato di avere "cattive" origini sociali), al 1937-38 dell'URSS: quei 700.000 vittime
del principio di Stalin. In Cina, Vietnam e persino nella Russia, partiti più forti sul piano numerico avevano intrapreso
un processo di rieducazione di una parte degli ex dirigenti per integrarli alla nuova ideologia. In Cambogia, invece, la
mancanza di quadri, ma soprattutto di quadri competenti, spinge il PCK a sterminare subito tutti i dirigenti del vecchio
regime per paura sia di soccombere di fronte alla loro superiorità numerica sia che essi possano influenzare con le loro
idee i pochi effettivi rivoluzionari. Anche una volta conquistato stabilmente il potere, il gruppo rivoluzionario è indotto,
sempre per via della sua iniziale debolezza, a liquidare tutti coloro che avevano aderito al PCK dopo il 1970 e che gli
avevano permesso di inquadrare l'esercito.
Questo rapporto di forza sfavorevole fa si che nessuno venga rieducato o debba fare autocritica: tutti sono uccisi
subito. Infine l'inesperienza della maggior parte dei quadri (non più di 5 anni di lotta rivoluzionaria) e la loro scarsa
preparazione teorica fecero si che l'ignorantismo e l'antintellettualismo regnassero più che in qualsiasi altro regime
comunista, come testimonia il fatto che il potere fu delegato ai giovani e agli emarginati, cosa che ebbe conseguenze
brutali. Una seconda caratteristica specifica del comunismo cambogiano deriva dal fatto che esso è sempre rimasto in
una condizione di isolamento e segrecazione che alimento una mostruosa paranoia. Nell'ottica dei suoi dirigenti, la
radicalità della rivoluzione cambogiana era la garanzia di un'identità propria e dunque della sua sopravvivenza. Infine,
un'ultimo dato puo chiarire la logica eliminazionista a effetto immediato del comunismo cambogiano: la paura di essere
completamente eliminato per primo. Il regime dei khmer rossi era dunque profondamente comunista, ma l'applicazione
radicale e violenta della loro politica derivava dalla cultura della società da cui essi provenivano.

4. A quando il processo ai khmer rossi?


Nella risoluzione del 12 dicembre 1997 sulla situazione cambogiana, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite,
riferendosi agli anni 1975-79 parlo esplicitamente e per la prima volta di "atti di genocidio", ponendo cosi fine a 20 anni
di politica del silenzio. Uno dei risultati dell'occupazione della Cambogia da parte dell'esercito vietnamita, che in meno
di 2 settimane aveva sconfitto le forze khmer rosse, fu di trasformare quell'antico regno nel terreno di scontro della
guerra fredda, con tutte le conseguenze del caso. All'Assemblea generale dell'ONU, il timore di un nuovo
espansionismo sovietico attraverso il suo alleato vietnamita, porto infatti a costituire una strana coalizione, di cui
facevano parte la Cina, i paesi dell'ASEAN (Associazioni delle nazioni del Sud-Est asiatico) e gli Stati Uniti, per
costringere il Vietnam a ritirare il proprio esercito. Cio implicava sostenere da un punto di vista materiale – umanitario e
militare – le forze che resistevano sul campo, cioè essenzialmente i khmer rossi. E cio implicava anche che quegli stessi
khmer rossi, fossero accettati quali legittimi rappresentanti della Cambogia in seno all'ONU. Infine, cio comportava il
fatto di dover tenere nascosto i tentativi dei paesi occidentali di presentare una risoluzione su questo tema.
Quando, in seguito al ritiro unilaterale delle forze vietnamite nel 1989, si prospetto un possibile negoziato per riportare
la pace in Cambogia, i dirigenti khmer rossi, sempre presenti nella sede dell'ONU, logicamente non poterono rimanerne
esclusi. Cosi, la loro presenza, giudicato "accettabile" ai lavori della conferenza di pace, impedi che la parola
"genocidio" comparisse nell'atto finale degli accordi di Parigi. L'insieme dei partecipanti acconsenti a questa omissione.
Cio impedi tuttavia qualsiasi lavoro di memoria da parte dell'intera società. Il movimento di Pol Pot,scegliendo di
ritirarsi dalle elezioni del 1993 per ritornare alla guerriglia delle proprie origini, si isolo nelle regioni occidentali e
settentrionali di confine, e questo lo condanno in breve tempo a una marginalisazione politica.
Una conseguenza della politica di amnistia e di ampia adesione al governo del primo ministro Hun Sen è stata la
massiccia infiltrazione di khmer rossi nell'ammonistrazione e nell'esercito. Cosi, quando nel 1996 il governo
cambogiano si vide consegnare dal Cambodian Genocide Program decine e decine di migliaia di documenti originali sui
crimini perpetrati dai khmer rossi al potere non bisogna stupirsi del suo imbarazzo.
Dopo la destituzione di Pol Pot nel giugno 1997 dai suoi stessi seguaci, e spinto dagli Stati Uniti, il governo chiede
l'aiuto dell'ONU per far processare l'ex dittatore, usato come un comodo capro espiatorio per cagionare i suoi ex
luogotenenti, che erano riusciti a riciclarsi nel nuovo governo. Con la morte di Pol Pot, nell'1998, viene rilanciata l'idea
di creare un tribunale internazionale ad hoc per processare tutti gli ex dirigenti khmer rossi ancora in vita. Il governo di
Hun Sen, che subisce pressioni in questo senso, adotta allora una strategia piena di ambiguità. Innanzitutto, chiede
ufficialmente un processo generale dei khmer rossi: il primo ministro cambogiano, in una lettera inviata nel 1999 al
segretario generale dell'ONU Kofi Annan, scrive molto esplicitamente che "la ragione fondamentale per nominare una
corte incaricata di process are i crimini del genocidio è quello di garantire che sia resa giustizia al popolo cambogiano e
che i responsabili siano puniti".
Ma questo impegno è immediatamente contraddetto da tutta una serie di decisioni: il processo avrebbe dovuto
riguardare gli anni compresi tra 1970 (colpo di Stato di Lon Nol) e 1998 e giudicare, mescolati insieme, i soprusi
dell'esercito repubblicano, i bombardamenti americani, l'occupazione vietnamita e, sepolti in questa lista, anche gli atti
dei khmer rossi, al solo scopo di scagionare o attenuare la colpevolezzadegli unici veri autori del genocidio.
In seguito si cerca implicitamente di addossare tutta la responsabilità dei crimini a 2 soli capri espiatori dei khmer
rossi, che certamente non potevano essere integrati nel nuovo governo (Ta Mok e Duch) e furono incarcerati, benchè
non fosse chiaro il principale capo d'accusa se non di essere dei khmer rossi. Il governo di Phnom Penh – ben
consapevole che le carenze della procedura penale cambogiana non avrebbero consentito di istruire questo processo –
ha posto rimedio al problema: la riapertura dei negoziati con l'ONU si conclude con la firma nel 2003 di un accordo di
cooperazione fra giudici internazionali e cambogiani.
L'istituzione di un tribunale penale internazionale per giudicare i responsabili degli "atti di genocidio" commessi tra ilo
1975 e il 1979 diventava un'occasione unica per chiarire molti problemi: cio avrebbe permesso di provare
l'intenzionalità politica e ideologica, e di non ridurre il fenomeno khmer rosso a una forma di contingenza come
tendono a fare alcune interpretazioni "culturaliste". Sarebbe poi stat possibile riformulare sul piano politico la categoria
del genocidio, aggiungendo i gruppi "politici" a quelli riconosciuti dalla Convenzione del 1948.
Nell'attesa di un processo che sembra non dover mai arrivare, al cambogiano di oggi non resta altro che ritrovare la
propria memoria in lutto nella grande opera del cineasta Rithy Panh, che mette in scena con passione "la terra delle
anime erranti", quelle di Bophana e dei milioni di altre persone stritolate dalla "macchina di morte khmer rossa".

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