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Presentazione OC

Cronologia principali:

 Nascita dell’agricoltura

- Codice di Hammurabi XVIII a.C. (1750)

 Età moderna

 1° abolizione

 L’abolizione della tratta degli schiavi

- Il divieto inzernazionale del commercio

 diritti umani

Lo schiavismo è quel sistema sociale ed economico basato sulla schiavitù, e quindi dell'imposizione di diritti
di proprietà sulla persona. Secondo definizione dell’ONU, la schiavitù è:
«lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o taluni di
essi, e lo «schiavo» è l’individuo che ha tale stato o condizione”. Storicamente il proprietario di uno schiavo
aveva diritto di vita e di morte su di esso e sulla sua famiglia, e aveva diritto a sfruttarne il lavoro senza
fornire nessun compenso; spesso il costo per il lavoro degli schiavi era limitato al necessario per la loro
sopravvivenza. Uno schiavo poteva nascere in questa condizione, se figlio di schiavi, oppure poteva perdere
la libertà in determinate situazioni, le più comuni delle quali erano la cattura in guerra o la schiavitù per
debiti, per cui un debitore, se non era in grado di rimborsare il proprio creditore, diventava egli stesso una
sua proprietà.
La definizione dello schiavismo comporta innumerevoli problemi: infatti esistono le più svariate forme di
transizione tra rapporti di semplice sfruttamento e rapporti di schiavitù vera e propria (un caso classico di
forma di transizione, assai diffuso del Medioevo, era ad esempio la servitù della gleba). La complessità del
problema rende perciò arduo valutare statisticamente il fenomeno nelle varie società (tra cui quella attuale).

Il commercio
L'espressione commercio di schiavi si riferisce alla tratta atlantica verso l'Oceano Atlantico fra il XVI e il
XIX secolo. La pratica di deportare schiavi africani verso l’America fu un elemento fondamentale della
nascita e dello sviluppo delle colonie europee prima del Sud e Centro America e poi anche del Nord
America.
Il trasferimento degli schiavi attraverso l'Atlantico, dalla costa occidentale dell'Africa al Nuovo Mondo era il
tratto intermedio del viaggio che le navi compivano dopo essere partite dall'Europa con prodotti commerciali
(stoffe, liquori, tabacco, perline, conchiglie particolari, manufatti di metallo, armi da fuoco) che servivano
come merce di scambio per l'acquisto degli schiavi da traghettare nelle Americhe, da dove le navi ripartivano
cariche di materie prime, completando così quello che è chiamato il "commercio triangolare".

Commercio triangolare
Né in America settentrionale, né in America meridionale fu possibile sfruttare la mano d'opera locale durante
il periodo del colonialismo europeo.
Gli indios sudamericani non avevano i requisiti fisici necessari per svolgere i lavori più pesanti e non
avevano resistito alle epidemie di vaiolo introdotte dagli spagnoli.
I neri d'Africa, per loro natura più resistenti, costituivano da questo punto di vista un'alternativa.
Venivano reclutati sul posto, il più delle volte acquistati da mercanti arabi. Il contesto più ampio in cui si
introduceva la tratta degli schiavi era quello del cosiddetto commercio triangolare che, intorno al XVII
secolo/fine 1660 ruotava tra i vari continenti affacciati sull'oceano Atlantico su grandi e moderne navi.
Una volta comprati o catturati, gli schiavi attraversavano l'oceano (ci sono degli schiavi che si suicidavano
cioè si buttavano in mare) verso il continente americano per svolgere lavori negli orti.
Dall'Europa alcuni prodotti tessili venivano poi esportati, per esser barattati con nuovi schiavi.
Scopo dell’immensa rotazione era anche quello di creare ricchezza pagando i mercanti di schiavi africani con
merce di poco valore, ma tecnologicamente abbastanza interessante (forbici, bigiotteria, stoffe ecc.).
Questo sistema conosceva una triste e ricca gamma di variazioni: ad esempio, dall'Africa gli schiavi
raggiungevano i paesi dell'America Latina e lavoravano per l'agricoltura, la quale forniva zucchero da
esportare in Nordamerica.
Dal Nordamerica, i beni prodotti con queste risorse (ad esempio i liquori come il rum) attraversavano
l'Atlantico, venendo trasportati dal nuovo mondo: essi erano destinati ai mercanti di schiavi in Africa o alla
vendita in Europa, e così si chiudeva il ciclo, quest’ultimo aveva una durata annuale.
Ogni percorso veniva coperto da navi diverse.
Dal punto di vista sociale, la detenzione ed il commercio degli schiavi fiorirono proprio anche perché in
Africa erano attività legali.
Una parte degli schiavi era infatti destinata al mercato interno africano: soprattutto, era in voga l'esportazione
di schiavi destinata ai porti mediterranei dell'Africa del Nord.
Nonostante il commercio fosse in buona parte legale, la Chiesa Cattolica condannava l'intero commercio
costruito dagli europei (che facevano uso della cosiddetta tratta atlantica), attraverso l'emissione di bolle
papali.
Il commercio degli schiavi sulla tratta occidentale era controllato da compagnie francesi, olandesi, tedesche
ed inglesi.
Abolizionismo
Abolizione della tratta degli schiavi
L'abolizione della tratta degli schiavi si riferisce all'approvazione, con iniziative sia nazionali che
sovranazionali, di leggi che hanno vietato il commercio di schiavi, ma non la schiavitù in sé.
Primi paesi abolizionisti
Il primo paese a proibire la tratta degli schiavi fu la Repubblica Serenissima di Venezia nel 960, con la
promissione del XXII Doge Pietro IV Candiano.
Abolizione negli altri paesi
Alla fine del XIX secolo, tutta l'Africa era stata spartita in colonie, e praticamente tutti i regimi coloniali
avevano imposto l'abolizione della schiavitù.
Nel continente africano, tuttavia, il commercio continuava in paesi come l'Etiopia, che lo proibì solo nel
1932.
Un'altra pietra miliare fu la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, il cui articolo 4 vietava la
schiavitù in tutte le sue forme.
Il primo paese arabo-musulmano ad abolire la tratta di schiavi fu la Tunisia nel 1846, ma ciò avvenne di fatto
solo nel 1881, con l'occupazione francese. Yemen e Arabia Saudita
l'abolirono nel 1962. La Mauritania nel 1980 è stato l'ultimo paese ad abolire ufficialmente ogni forma di
schiavitù.
Dichiarazione universale dei diritti
<<Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza
e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.>> (Il primo articolo della Dichiarazione
universale dei diritti umani.)
La Dichiarazione universale dei diritti umani, spesso indicata con la sigla DUDU è un documento sui diritti
individuali, firmato a Parigi il 10 dicembre 1948, la cui redazione fu promossa dalle Nazioni Unite perché
avesse applicazione in tutti gli stati membri.
La Dichiarazione universale dei diritti umani è composta da un preambolo e da 30 articoli che sanciscono i
diritti individuali, civili, politici, economici, sociali, culturali di ogni persona. I diritti dell'individuo vanno
quindi suddivisi in due grandi aree: i diritti civili e politici e i diritti economici, sociali e culturali.
Nel testo originale della Dichiarazione la parola "individuo" è ripetuta in molti articoli.
La Dichiarazione può essere suddivisa in 7 argomenti:
• il preambolo enuncia le cause storiche e sociali che hanno portato alla necessità della stesura della
Dichiarazione;
• gli articoli 1-2 stabiliscono i concetti basilari di libertà ed eguaglianza;
• gli articoli 3-11 stabiliscono altri diritti individuali;
• gli articoli 12-17 stabiliscono i diritti dell'individuo nei confronti della comunità;
• gli articoli 18-21 sanciscono le cosiddette "libertà costituzionali", quali libertà di pensiero, opinione, fede e
coscienza, parola, associazione pacifica dell'individuo;
• gli articoli 22-27 sanciscono i diritti economici, sociali e culturali dell'individuo;
• i conclusivi articoli 28-30 stabiliscono le modalità generali di utilizzo di questi diritti, gli ambiti in cui tali
diritti dell'individuo non possono essere applicati, e che essi non possono essere ritorti contro l'individuo.

La schiavitù nell’età moderna

Tra le conquiste di civiltà compiute nel corso dell’Ottocento si annovera l’abolizione della schiavitù.
Istituzione di centrale importanza nel mondo antico, nei secoli dell’età moderna la schiavitù conobbe una
nuova e drammatica stagione con la formazione degli imperi coloniali.
La necessità di manodopera per lo sfruttamento minerario e soprattutto agricolo delle terre di nuova
conquista, condusse infatti le potenze coloniali europee (Spagna, Portogallo, Inghilterra, Francia e Olanda) al
sistematico impiego degli schiavi, che divennero presto oggetto di un lucroso e disumano commercio
internazionale: la tratta degli schiavi di provenienza africana.

Due aspetti della questione

Nel considerare le tappe principali attraverso cui si giunse, nel corso del XIX secolo, all’abolizione della
schiavitù, si devono distinguere due aspetti della questione:

• il commercio degli schiavi (la famigerata “tratta”)


• la schiavitù come forma di sfruttamento di individui privi di ogni diritto e libertà.
L’abolizione e il divieto della tratta, ovvero della compravendita degli schiavi (vero e proprio traffico
internazionale di esseri umani), non comportava di per sé l’abolizione della schiavitù, prospettando piuttosto
un suo graduale esaurimento per mancanza di nuovi acquisti.
Si deve dunque distinguere tra divieto della tratta e abolizione della schiavitù, per quanto il primo
preparasse in genere il terreno alla seconda.
La Francia rivoluzionaria, per esempio, nel 1791 vietò la tratta, ma non abolì la schiavitù nelle proprie
colonie d’oltremare. L’abolizione giunse nel 1794, per essere poi revocata da Napoleone nel 1802, sotto la
pressione dei proprietari delle piantagioni delle Antille.
Alla fine fu il governo provvisorio della Seconda Repubblica a decretare definitivamente l’abolizione della
schiavitù nelle colonie francesi, nel 1848.

Ragioni morali ed economiche

Sia nel Seicento che nel primo Settecento si erano levate voci di condanna morale della schiavitù, che
tuttavia ebbero scarso seguito: se è pur vero che Gran Bretagna, Francia e Portogallo l’avevano soppressa nei
propri territori europei già dal 1770, essa continuava a prosperare nelle relative colonie (come negli Stati del
sud degli Stati Uniti dopo l’indipendenza), laddove era funzionale al sistema della produzione economica.

La cultura illuminista e la duplice esperienza rivoluzionaria americana e francese contribuirono certa- mente
alla maturazione di una nuova sensibilità per i diritti umani. Era ormai evidente l’incompatibilità tra
l’istituto della schiavitù e gli ideali di libertà e uguaglianza che ispiravano le nuove Costituzioni. Furono
poi gli sviluppi e gli effetti della rivoluzione industriale sul mercato capitalistico mondiale a fare della
schiavitù un istituto superato e controproducente. L’economia internazionale non aveva più bisogno di
masse di schiavi impegnate nelle piantagioni, ma di lavoratori salariati che producessero ricchezza e
consumassero merci, di nuovi mercati per lo smercio della produzione industriale e l’investimento di
capitali. “La schiavitù era ormai antieconomica, una pietra di inciampo: doveva venire abolita”.

La Gran Bretagna apre la strada

Il primo vasto movimento per l’abolizione della schiavitù si sviluppò in Inghilterra, grazie al coraggio e
all’impegno profusi da uno straordinario personaggio e uomo politico: William Wilberforce (1759-1833).

Al tempo di Wilberforce... la schiavitù era normale come la nascita, il matrimonio e la morte... La stessa
idea di civilizzazione senza la schiavitù era inimmaginabile.
L’idea di abolire la schiavitù in quel tempo era talmente fuori discussione che Wilberforce e i
proabolizionisti non potevano neanche parlarne in pubblico. Focalizzarono la loro attenzione su un livello
inferiore, l’abolizione del commercio degli schiavi. Mai si permisero di parlarne apertamente. La speranza
che segretamente custodivano era infatti che una volta abolito il commercio di esseri umani, sarebbe stato
possibile muovere un ulteriore passo in avanti. (E. Metaxas)
La lunga battaglia di Wilberforce, iniziata nel 1787 con una proposta di legge per l’abolizione della tratta
degli schiavi, si concluse 46 anni dopo con pieno successo:

 il 25 marzo 1807 venne promulgata la legge che, a decorrere dal 1° gennaio 1808, aboliva
formalmente la tratta;
 il 26 luglio 1833 (tre giorni prima che Wil- berforce si spegnesse) il Parlamento di Lon- dra approvò
la legge che aboliva definitiva- mente la schiavitù nelle colonie britanniche.

Il movimento di opinione promosso e animato da Wilberforce ebbe dunque alla fine partita vinta, riuscendo a
superare ostacoli, opposizioni, pregiudizi e minacce.

Fu vinta anche la resistenza di quanti, nello stesso Parlamento, temevano le conseguenze economiche di
un’abolizione della schiavitù compiuta unilateralmente dalla sola Gran Bretagna.

Al Parlamento sembrava del tutto impensabile che la Gran Bretagna potesse prosperare senza i prodotti
forniti dalle piantagioni nelle Indie Occidentali.
C’era, poi, la questione della politica internazionale, e della posizione della Gran Bretagna rispetto alla
Francia, al Portogallo, al Brasile e alla nuova nazione, gli Stati Uniti d’America. Se una sola nazione, la
Gran Bretagna, avesse abolito unilateralmente la schiavitù, ma gli altri Paesi non l’avessero fatto, l’effetto
sarebbe stato semplicemente così sostenevano gli oppositori che il potere e la ricchezza sarebbero passati
alle altre nazioni, e che il Paese si sarebbe indebolito a livello internazionale. (J. Piper)

Le altre nazioni europee e gli Stati Uniti finirono invece, presto o tardi, col seguire l’esempio inglese.
L’impero economico e politico di sua maestà britannica continuò a prosperare per tutto il secolo.

Il divieto internazionale del commercio di schiavi

Per quanto riguarda il divieto posto al commercio degli schiavi, se i primi passi furono compiuti dai singoli
Paesi intervenendo sul proprio ordinamento giuridico (diritto interno), presto si avvertì l’esigenza di agire
sul piano degli accordi fra Stati, vista la dimensione internazionale del traffico che si svolgeva lungo le
rotte marittime

Si avviò così una normativa internazionale volta ad estirpare la vergogna della tratta:
• 1815. Il Congresso di Vienna, riunito per definire l’assetto europeo dopo le guerre napoleoniche, approvò
una Dichiarazione relativa all’abolizione universale della tratta degli schiavi. Si trattava di una condanna
morale, priva di valore vincolante, ma comunque di dimensione internazionale.
• 1885. La Conferenza di Berlino, convocata dalle potenze europee per regolare l’espansione colo- niale in
Africa, con l’articolo IX dell’Atto generale del 26 febbraio 1885 vietò la tratta degli schiavi e le operazioni
per mare e per terra dirette a consentirla.
• 1890. Gli Stati partecipanti alla Conferenza di Bruxelles conclusero un accordo internazionale
(Convezione di Bruxelles) che vietava ogni commercio di schiavi da parte dei loro cittadini o tramite navi
battenti la propria bandiera, stabilendo inoltre il diritto reciproco di ispezione delle navi in determinate zone
di mare.

L’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti

Gli Stati Uniti, come la Gran Bretagna, avevano vietato la tratta degli schiavi dal 1808.
Negli Stati del sud, dove la schiavitù era ampiamente radicata, era sorto un movimento di ispirazione
umanitaria che intendeva promuoverne la graduale abolizione.
Nel 1816 venne fondata l’American Colonization Society che, con il sostegno del presidente Monroe, nel
1822 fondò in Africa la colonia della Liberia, dove si stabilirono circa 20.000 ex schiavi.
Tuttavia, gli Stati Uniti non giunsero in modo graduale all’abolizione della schiavitù, ma in seguito allo
scoppio della guerra civile fra gli Stati del nord a economia industriale e mercantile e gli Stati del sud a
economia agricola.
L’abolizione della schiavitù non fu la causa e nemmeno lo scopo originario della guerra, ma venne piuttosto
utilizzata dal Nord come arma contro gli Stati secessionisti. In effetti, il Proclama di emancipa- zione
elaborato nel 1862 ed ufficialmente emanato dal presidente Abraham Lincoln l’1 gennaio 1863 liberava gli
schiavi degli Stati ‘ribelli’ e non quelli degli Stati schiavisti fedeli all’Unione.

L’abolizione venne generalizzata e solennemente stabilita con l’approvazione del XIII Emendamento alla
Costituzione (1 febbraio 1865), ratificato a guerra terminata il 18 dicembre 1865.
Citazioni:

1) Né schiavitù né servitù involontaria potranno sussistere negli Stati Uniti, o in luogo alcuno soggetto alla
loro giurisdizione, se non per punizione di un crimine per il quale l’imputato sia stato debitamente
condannato.

1) Il Congresso è incaricato di emanare le norme necessarie per imporre l’osservanza di questo articolo.

Nelle intenzioni di Lincoln, che prima del conflitto non riteneva praticabile un’abolizione della schiavitù
senza indennizzo per i proprietari, l’emendamento avrebbe dovuto avere un’attuazione graduale.

Dopo il suo assassinio, la schiavitù venne invece abolita in modo immediato e senza indennizzo, lasciando
negli Stati del sud non pochi problemi e tensioni.

L’abolizione della schiavitù in Brasile

L’ultimo Paese del Nuovo Mondo ad abolire la schiavitù fu il Brasile, indipendente dal 1822 e anch’esso
terra di grandi piantagioni.
In seguito alla pressione politica ed economica esercitata dalla Gran Bretagna, nel 1850 venne abolita la
tratta.

Nei decenni successivi la dinamica dell’economia internazionale impose un ulteriore passo. La presenza
della schiavitù nel Paese scoraggiava l’arrivo dei capitali inglesi e dei migranti europei, risorse necessarie
alla valorizzazione del Paese.
Dal 1870 le regioni meridionali del Brasile iniziarono ad utilizzare dei salariati brasiliani e degli immigrati
stranieri. Nel Nord del paese le fabbriche soppiantarono progressivamente le piantagioni, riducendo così il
fabbisogno di schiavi. Nella principali città, numerosi imprenditori e banchieri assunsero posizioni
abolizioniste, progettando una trasformazione in senso industriale del Paese.

A differenza di quanto accaduto negli Stati Uniti, in Brasile l’abolizione della schiavitù venne attuata con
un processo graduale:

• Nel 1871 la Lei do Ventre Livre (“Legge del ventre libero”) stabilì che i figli di donna schiava nascevano li-
beri, mirando così a un progressivo esaurimento della schiavitù.

• Nel 1885 la Lei dos Sexagenários (“Legge dei Sessagenari”) accorda- va la libertà agli schiavi negri che su-
peravano i 60 anni di età.
• L’atto finale venne compiuto il 13 maggio 1888 con la promulgazione della Lei Aurea (“legge d’oro”) che
aboliva definitivamente e totalmente la pratica schiavistica in Brasile.

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