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Gli schiavi nella società e nella cultura romana

Per Aristotele, il grande filosofo greco del IV secolo a.C., la dis7nzione fra liberi e schiavi ha origine
nella natura stessa: vi sono uomini che nascono liberi, altri che sono des7na7 da sempre a essere
schiavi. L’esistenza degli schiavi sarebbe dunque una necessità naturale, e come tale impossibile da
contestare o modificare. L’opinione di Aristotele è l’opinione di tuEo il mondo an7co, quasi senza
eccezione. Per tuEa la loro storia, la società greca e quella romana furono società schiaviste, in cui
agli schiavi era affidata una quota consistente delle aGvità produGve; dove , a parte in casi rarissimi,
nessuno si sognava di meEere in discussione l’esistenza della schiavitù.

Gli schiavi erano presen7 a Roma dai tempi più an7chi, ma è nel periodo compreso tra la metà del III
e la metà del II secolo a.C., che il loro numero aumentò in modo esponenziale a causa delle grandi
conquiste territoriali. Per fare solo un esempio, Emilio Paolo, il vincitore di Pidna (168 a.C.), nei
rastrellamen7 segui7 alla campagna in Grecia ridusse in schiavitù 150.000 Molossi, una popolazione
che abitava la sponda orientale dell’Adria7co. Ed era una cifra modesta rispeEo agli sviluppi del secolo
successivo: Cesare e Pompeo, i due grandi protagonis7 della storia romana nel I secolo a.C.,
portarono con sé dai territori conquista7 rispeGvamente un milione e due milioni di schiavi.

Una volta caEurate, queste masse sterminate venivano immesse sul mercato. La loro vendita era
regolamentata da disposizioni che non si differenziavano, in sostanza, da quelle valide per altre merci:
per esempio, gli schiavi erano espos7 ai potenziali acquiren7 in modo che ques7 potessero
apprezzarne l’aspeEo e la robustezza, e il venditore era tenuto a informare l’acquirente di eventuali
“difeG della mercanzia”. Dalla metà del II secolo, il cuore del grande commercio internazionale fu
l’isola di Delo, al centro del mar Ego: qui il volume delle vendite si aggirava, secondo s7me, nei
momen7 di più intensa aGvità, a 10.000 schiavi al giorno.

La gran parte degli schiavi razzia7 in guerra finiva a col7vare i campi. Di conseguenza, nel corso del II
secolo a.C., la proprietà terriera tese sempre di più a scomparire a favore dei grandi la7fondi, nei
quali il lavoro era affidato a veri e propri eserci7 di schiavi. Sulla condizione di ques7 schiavi siamo
informa7 abbastanza bene grazie ad un’opera di Catone il Censore, il De Agri coltura, una sorta di
manuale di buona amministrazione des7nato al proprietario di una azienda agricola. Ecco alcuni dei
suoi consigli:
«Il padrone faccia vendite all’asta. Venda l’olio, se ha il prezzo alto; venda il frumento in sovrappiù,
buoi invecchia?, bes?ame e pecore in ca@vo stato, lana, pelli, carri vecchi, ferri vecchi, schiavi vecchi,
schiavi mala?; se ha qualcos’altro di superfluo, lo venda.»

Due cose colpiscono nelle parole di Catone. AnzituEo, gli schiavi sono inclusi in un elenco che li pone
sullo stesso piano di bes7ame, carri e ferri vecchi. In secondo luogo, il consiglio di vendere schiavi
vecchi e mala7 rivela una mentalità preEamente u7litaris7ca: dato che un servo in caGve condizioni
fisiche non è reddi7zio per il padrone, tanto vale che si cerchi di ricavarne un ul7mo guadagno,
vendendolo. In un altro punto del suo manuale Catone spiega che il padrone «quando gli schiavi sono
ammala?, non deve dare loro molto cibo»: ancora una volta, evidentemente, perché durante la
malaGa lo schiavo risulta improduGvo, e dunque “consuma” cibo senza res7tuirlo in forma di lavoro
prestato. Catone, del resto, aveva trovato il modo di rendere economicamente conveniente persino
l’aGvità sessuale dei propri schiavi, visto che organizzava, beninteso a pagamento, apposi7 incontri
fra i suoi servi e le sue ancelle. Tra l’altro, poiché i figli di una schiava erano essi stessi schiavi, con
questo meccanismo Catone incrementava anche a costo zero il numero dei suoi servi.

Non tuG gli schiavi andavano incontro alla medesima sorte. Gli addeG al lavoro nelle miniere
vivevano in assoluto la condizione peggiore del mondo an7co; migliore, invece, quella di chi serviva
presso la residenza urbana di un aristocra7co. Qui confluivano normalmente schiavi dota7 di una
certa cultura, che potevano svolgere anche compi7 di responsabilità nella ges7one dei beni del
padrone, o divenire preceEore dei suoi figli.

TuG gli schiavi potevano essere impunemente picchia7, tortura7, uccisi, e non solo dai loro padroni;
durante le inchieste giudiziarie, per esempio, era normale impiegare la tortura per estorcere la
confessione a uno schiavo, mentre questa prassi era rigorosamente vietata nei confron7 di uomini
liberi. Inoltre, un’an7ca norma imponeva che, se un servo uccideva il proprio padrone, tuG gli schiavi
presen7 soEo lo stesso teEo dovevano essere messi a morte insieme al colpevole, sulla base del
presupposto che erano sta7 complici dell’assassino o, quanto meno, non gli avevano impedito di
agire. Ancora nel I secolo d.C. (più precisamente nel 57 d.C.), l’uccisione di un importante magistrato
da parte di un suo schiavo portò a gius7ziare tuG i suoi 400 servi; e a chi si lamentava dell’eccessivo
rigore della punizione, un senatore spiegò che «l’unico modo per tenere a freno questa accozzaglia
di schiavi è il terrore.»
Abbiamo parlato finora degli schiavi maschi, ma naturalmente esistevano a Roma anche mol7ssime
schiave. Le ancelle erano perlopiù al servizio personale della padrona come cameriere, truccatrici,
ecc.; in questo caso la loro condizione era per mol7 aspeG migliore di quella dei loro colleghi uomini,
ma anche qui non si può generalizzare: sappiamo dalle fon7 che una signora scontenta del lavoro
della sua schiava peGnatrice poteva punirla conficcandole nella carne le forcine e le spille usate per
reggere i capelli. Le schiave erano però anche oggeG sessuali a disposizione dei loro padroni, che
potevano goderne i favori in qualsiasi momento. D’altra parte, come si è già deEo, i figli delle schiave
ereditavano la condizione della madre: un modo come un altro per incrementare senza oneri
economici il numero dei propri servi.

Il lavoro forzato era diffuso nelle civiltà più an7che e a ogni la7tudine. È emblema7ca la storia di
Spartaco, gladiatore romano di origini tracie che nell’Impero del 73 a.C. guidò una rivolta di schiavi
che tenne testa alle legioni per oltre un anno, prima di essere soffocata nel sangue: furono 6mila i
ribelli crocifissi sulla strada tra Capua e Roma.

L’evoluzione…

La schiavitù era invece scomparsa nell’anno mille nell’occidente cris7ano, sos7tuita però dal
sistema feudale in cui le persone più modeste erano ridoEe in stato di servitù. E appena è riapparsa
una vera e propria domanda di schiavi, con la colonizzazione delle Americhe nel Cinquecento, gli
europei hanno cominciato ad acquistare schiavi dall’Africa, come gli imperi islamici di Medio
Oriente e India avevano con7nuato a fare.

La storia dei prodoG coloniali, zucchero, cacao, caffè, è resa amara dallo stridore delle catene di
milioni di esseri umani deporta7 come schiavi dall’Africa alle Americhe. Tra il XVI e il XIX secolo, gli
africani sbarca7 oltre Atlan7co furono circa 12 milioni. Le cose non andavano meglio in Oriente e
nella stessa Africa, furono 17 milioni gli africani resi schiavi nell’Impero OEomano e circa 14 milioni
quelli da parte di altri africani.
Dal XVII secolo si passò alla colonizzazione vera e propria. La base economica del nuovo mondo
divennero le piantagioni schiaviste, sopraEuEo quelle di canna da zucchero, caffè e cacao.

Il cammino verso la libertà è stato pieno di paradossi. Per esempio, gli schiavi neri americani
vennero sos7tui7 prima con forza7 cinesi e indiani, poi con immigra7 europei poveri, che magari si
trovarono a vivere in condizioni ancora peggiori. Nell’OEocento in America gli schiavi cominciarono
a ribellarsi. Alcuni Sta7 seEentrionali la proibirono, così mol7 cercarono di fuggire dove la schiavitù
era stata ormai abolita. L’aErito tra gli Sta7 seEentrionali e quelli meridionali innescò la Guerra di
secessione americana. Con la viEoria degli Sta7 dell’Unione, contrari, la schiavitù venne abolita in
tuG gli Sta7 Uni7 d’America, con la Dichiarazione di emancipazione che venne pronunciata dal
presidente Abraham Lincoln il 1° gennaio 1863. Da questo poi si passò alla Dichiarazione universale
dei DiriG Umani, firmata a Parigi il 10 dicembre del 1948, ma nonostante questo ancora oggi nel XXI
secolo la schiavitù è presente.

ATTUALIZZAZIONE

La schiavitù moderna in agricoltura


Solo dalla schiavitù in agricoltura, secondo le stime Ilo, si generano 9 miliardi di dollari di proventi
annui per gli sfruttatori.
Il settore agricolo, forestale e della pesca impiega globalmente circa 1,3 miliardi di lavoratori, ovvero
la metà della forza lavoro del mondo. In questo numero, è stimabile che 3,5 milioni di persone
lavorino in condizioni di schiavitù: in molti Paesi, infatti, il lavoro agricolo è poco regolato e la
protezione legale dei lavoratori è molto debole o del tutto assente. Quindi, dietro al cibo che ci arriva
in tavola possono esserci le mani fiaccate di lavoratori stagionali che operano in condizioni fuori da
ogni regola, da ogni dignità umana.

Questo fenomeno non riguarda solo aree disagiate e Paesi poveri. Ciò che accade nello stato del
Michigan, il più grande produttore di mirtilli degli Stati Uniti, è che bambini perlopiù immigrati dal
Messico vengono sfruttati nei campi per raccogliere i frutti perché hanno mani piccole, più adatte a
raccogliere le piccole bacche.

In Italia è scoppiato nel 2010 il caso di Rosarno, in Calabria: migranti impiegati nella raccolta degli
agrumi vivevano in acre condizioni di sfruttamento, costretti ad abitare in contesti degradanti, senza
alcune tutele igieniche.
Mi sono voluta concentrare sull’opera di Catone “De Agricoltura”, dove Catone propone una serie di
consigli e informazioni riguardanti la conduzione del terreno, dal momento che all’epoca l’attività di
contadino era considerata nobilitante per il pater familias perché rientrava perfettamente in linea
con il mos maiorum e con i suoi principi. In particolare, ho voluto porre l’attenzione sull’aspetto
secondo il quale il podere, per il Censore, doveva essere condotto e coltivato dagli schiavi considerati
come dei veri e propri oggetti che una volta malati o vecchi dovessero essere immediatamente
sostituiti, andando contro a quella specie di “Humanitas” che Terenzio aveva concepito frequentando
l’illuminato ambiente del Circolo degli Scipioni. Per questo vorrei parlare appunto della condizione
dello schiavo per Catone e le varie forme di sfruttamento che ancora oggi persistono anche e
soprattutto nel settore agricolo.

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