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Rosenblat riassunto

Letterature e culture ispanoamericane (Università degli Studi di Genova)

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ANGEL ROSENBLAT – LOS CONQUISTADORES Y SU LENGUA

CAPITOLO 1
IL LIVELLO SOCIALE E CULTURALE DEI CONQUISTADORES E DEGLI ABITANTI
(16°ESIMO SECOLO)

Lo spagnolo americano ha posto le sue basi nel 16°esimo secolo a livello fonetico, morfologico -
sintattico e lessico.
Studiando la sua formazione, il primo problema è la provenienza regionale dei conquistatori e degli
abitanti: il contributo delle due Castiglie, dell’Andalusia, dell’Estremadura e di altre regioni. Viene
messo in gioco il cosiddetto andalusismo dello spagnolo americano.
Un altro problema in questione è il livello economico, sociale e culturale di dei primi conquistatori ed
abitanti.

E’ luogo comune affermare che la conquista e la colonizzazione dell’America è stata ad opera


prevalentemente popolare. Secondo questa ipotesi quindi, lo spagnolo americano sarebbe un
prolungamento dello spagnolo popolare della penisola. E’ evidente che si assume per popolo, il senso di
strato sociale inferiore della popolazione. Posta in questi termini l’affermazione è troppo generale e
ingannevole.
L’errore sta nel proiettare sui coloni e i soldati le nostre connotazioni attuali e pensare che quei coloni e
soldati costituissero il settore più basso della società spagnola.
Dal carcere di Palos sopraggiunsero quattro persone:

1. Bartolomé Torres  ha ucciso un banditore per “alcune parole”


2. Juan de Morger (suo amico)
3. Alonso Clavijo
4. Pero Izquierdo

I quattro esiliati sono tornati con Colombo nella Penisola. Torres viene perdonato dai parenti del defunto
che rinunciarono all’accusa e gli altri quattro sono stati perdonati dalla Cedola Reale nel 1493.
L’unico che ci interessa tra di loro è Juan de Morger che è ritornato nel secondo viaggio di Colombo
come marinaio della nave madre.
Eccedevano volontari per le 17 navi, le migliori dell’Andalusia dove vi erano più o meno 1500 uomini
selezionati severamente. Fu un insuccesso.
Per il suo terzo viaggio, Colombo pensò nuovamente ai detenuti del carcere. L’ammiraglio temeva che i
Re si seccassero di così tante spese, perciò gli concessero 2 scorte.

La prima con qualsiasi uomo o donna che avesse commesso un crimine mortale o ferite o qualsiasi altro
delitto (ad eccezione di eresia, alto tradimento, crimine per lesa maestà, sodomia, falsificazione di
banconote). Sarebbero stati al suo fianco per due anni quelli che avrebbero meritato la pena di morte e
gli altri un anno soltanto. Terminato il periodo, sarebbero stati finalmente liberi di tornare in Castiglia.

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La seconda raccoglieva delinquenti che avrebbero meritato l’esilio in un’isola o a estrarre metalli per un
tempo definito a discrezione del re.

Le due prime caravelle salparono da Santlucar nel febbraio del 1498 al comando di Pero Hernandez.
Contava 90 uomini: 9 scudieri (cioè hidalgos), 12 contadini, 68 braccianti, 10 assassini, una coppia di
gitani.
Non c’è nessuna notizia che confermi che ci fossero delinquenti. Anche se ci fossero stati, non dovevano
essere molti. Erano più che altro clandestini, più che delinquenti.
La vita marittima richiedeva persone che sapessero affrontare ogni tipo di pericolo. Era possibile che
alcuni fossero vittime della severità dei giudizi: servire i re in galea era un’abitudine. Successivamente i
sospettati di fede (ebrei, mori, eretici) erano considerati più pericolosi degli assassini.

All’interno della colonia, era stato inviato il commendatore Bobadilla per ristabilire l’ordine e la pace in
nome dei re. Rimasero solo 300 spagnoli a quali assegnò encomiendas.
Nell’armata di Ovando (1502) c’era anche un esiliato: Sebastian de Ocampo, hidalgo galiziano,
cresciuto dalla regina Isabella, la Cattolica. La sua impresa fu quella di circumnavigare l’Isola di Cuba.

Una cedola reale revocava l’autorizzazione ad inviare malviventi nelle Indie. Una ordinanza tardiva poi,
prevedeva che un governatore potesse portare gente che avesse un’occupazione, anche se avevano
commesso delitti che non fossero di accusa privata. Nell’effettivo non fecero al passo per quanto
riguarda la colonizzazione.

II
Studio sull’estrazione sociale dei Conquistadores e abitanti del 16°esimo secolo  visione parziale

L’armata del 1493 porta gente importante, famiglie di alto lignaggio di Siviglia, alti funzionari, persone
educate dalla casa reale, cavalieri, commendatori, chierici.
Fu necessario diminuire il numero e che non si desse il permesso a così tanta gente che si arruolava. Las
Casas parla di 1500 uomini. E’ probabile che esageri nella quantità di hidalgos. Insieme a loro fu fondata
nel 1494 la Isabela, un centro per iniziare la colonizzazione americana.

La prima spedizione fu un insuccesso. La gente non sopportava il lavoro troppo duro, non si riusciva ad
abituare all’alimentazione diversa, si disperava di fronte alle difficoltà. Colombo imponeva agli hidalgos
lavori che loro consideravano non adeguati alla loro condizione sociale. Pochi sono sopravvissuti. Il
primo a ribellarsi fu l’ufficiale giudiziario della corte Bernal de Pisa denominato “ragioniere delle
indie”. Il malcontento diventò generale e il giuramento era: “che Dio mi riporti in Castiglia”.

Colombo intraprese una spedizione dall’interno e al suo ritorno Isabella riscontro che c’erano moltissimi
morti e i sopravvissuti erano malati e trasandati.
Colombo tornò in spagna in cerca di aiuti. Gli spagnoli che si portò con lui credevano nel sogno
americano e nell’ozio, credevano di andare là a trovare ricchezze e che non bisognasse che metterle sulla
nave. A tutto questo si ribellò Francisco Roldán, sindaco della regione spagnola. I suoi uomini si
addentrarono nei territori interni, si unirono con gli indios e poi si imposero su di loro con le buone o le
cattive, decisi a sopravvivere. C’era un gran numero di hidalgos, tuttavia sopravvivevano soltanto quelli
più forti a resistere alle circostanze difficili.

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Torniamo alla Española. Con il commendatore Bobadiglia erano rimasti più o meno 300 spagnoli,
includendo funzionario e religiosi che aveva portato (anno 1500). In un anno e mezzo si appropriarono
delle migliori terre, fecero lavorare gli indios nelle haciendas e si unirono alle figlie dei cacicchi,
trasformandosi in ereditari.
Ma la corona era molto più ambiziosa, nel 1502 arrivo Nicolas de Ovando con 2500 uomini, per la
maggior parte nobili e persone importanti. In più c’erano un medico, un chirurgo e uno speziale.
Comincia una nuova tappa: la fondazione di dieci popoli, conquista violenta dell’isola, suddivisione
degli indios.
Ovando istaura un regime di severa giustizia e di pace fino al 1509. Prima il male peggiore era essere
inviati nelle Indie, ora il male peggiore era essere rinviati in Castiglia. Nel 1508 l’America esiste già.
Con Ovando arrivarono anche Cortés e Pizarro. La española e in generale le Antille erano le prime
fondamenta delle prime grandi imprese della conquista e della colonizzazione. Cominciano a sentirsi
uniti alla nuova terra e a considerarla propria. Si sviluppa un senso di disprezzo per i nuovi arrivati, i
chapetones.

III

Il livello sociale e culturale degli uomini.

La proporzione era un uomo nobile di sangue per 10 uomini di basso lignaggio. Sarebbe importante
stabilire la proporzione numerica degli hidalgos e delle persone secondo le classi sociali. Il catalogo dei
passeggeri verso le indie però è molto frammentario in questo.
Las Casas così come tutte le testimonianze dell’epoca segnalano una maggioranza di hidalgos, cioè
scudieri.
Anche ammettendo l’esagerazione stiamo molto lontani dall’immagine che si fa normalmente su quegli
uomini. Nella lettura delle cronache e dei documenti del 16°esimo secolo non appaiono che hidalgos e
cavalieri, che furono senza dubbio i condottieri e i capitani delle spedizioni.
Indubbiamente la proporzione di hidalgos reali era alta e si convertì ben presto in un problema con la
costruzione della società coloniale.
La presenza massiccia di hidalgos contrasta con la scarsità di contadini. Si dovrebbe pensare che la
colonizzazione sia stata fatta da soldati e contadini. Invece, fu soprattutto di soldati. I re si sforzarono di
inviare dal 1493 braccia per l’agricoltura, ma era difficile prelevarli dalle loro terre, specialmente a
causa dell’opposizione dei loro signori.
Difficilmente si adattavano alle condizioni climatiche tropicali e alle nuove terre, quindi fu un
insuccesso.
Inoltre, molti dei contadini che arrivarono tra i primi, si trasformarono in soldati.

Bisogna tutta via escludere che lo spagnolo americano sia un prolungamento del linguaggio contadino
del 16°esimo secolo. La colonizzazione ebbe un carattere eminentemente urbano. La conquista era a
carico dei settori della nobiltà inferiori.
Un compito assegnato prettamente ai capitani delle spedizioni fu la fondazione di città (es Sebastian de
Benalcazar). Con il passsare del tempo, la borghesia urbana grazie alle “mercedes de tierra” si trasformò
ben presto in proprietari terrieri.

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I marinai avevano tendenzialmente un livello sociale e culturale basso. Non tutti i conquistatori erano
hidalgos o cavalieri. Tutti diedero il loro contributo alla conquista e alla popolazione dell’America.
Bisogna vedere in che proporzioni.
Colombo fu costretto a ricorrere all’aiuto degli hidalgos per lavori che consideravano indegni della loro
condizione, perciò significa che non aveva abbastanza persone. Bisogna tenere in conto che le spedizioni
avevano un carattere privato e che erano finanziate dai capitani; persino i soldati si associavano con la
speranza di guadagni.

Vi erano anche alcuni immigrati che prestavano i loro servizi in cambio del trasporto. Il lavoro in
miniera attraeva moltissime persone, ma pare che non fossero molte. Gli oficiales de mano non volevano
fare questi lavori perché li consideravano umilianti. Vi furono anche schiavi, in minime proporzioni agli
inizi.
Numerosi erano anche i funzionari reali sia contabili, amanuensi, segretari, sindaci, ma anche relatori,
giuristi, vicari giudiziali. Non tutti erano hidalgos (per la maggior parte settori medi della borghesia
peninsulare fino alle classi basse), tuttavia la funzione li rendeva nobili.
Per esempio in Perù si proibì la presenza di avvocati e procuratori. Questo evitò litigi, però non evitò
guerre civili. La creazione dei tribunali significo l’implemento della vita giuridica spagnola

Il clero a quell’epoca rappresentava la classe più colta di Spagna ed è evidente il suo ruolo nella
formazione culturale della società ispanoamericana, poiché aveva il monopolio dell’insegnamento.

VII

Quando si parla di soldati si pensa al termine comune, al soldato semplice e contemporaneo.


Analizziamo il soldato del 1500 della conquista.
Non era necessariamente di classe sociale inferiore, né con un livello sociale e culturale più basso. I re
cattolici organizzarono l’esercito reale costituito da volontari, soprattutto da hidalgos.
Tuttavia, la conquista delle indie non la fecero i capitani dell’esercito reale, ma le spedizioni di
composizione molto complessa: in genere un condottiero arruolava volontari e nominava capitani.
Ciò nonostante dal punto di vista culturale e sociale si è insistito molto sull’analfabetismo di 3 dei grandi
conquistatori: Francisco Pizarro, Diego de Almagro e Sebastian de Benalcázar. L’analfabetismo non era
raro a quell’epoca, anche nelle classi sociali alte (l’istruzione era diffusa solo nelle città).
“No puede ser caballero, quien no sea hombre de letras”.
Una cedola ordina che d’ora in poi si scelgano persone d’onore, abili e sufficienti, che sappiano leggere
e scrivere e che abbiano tutte le qualità necessarie.
Gli atti della Giunta comunale mostrano che la maggior parte sapeva almeno firmare e che altri avevano
imparato facendo esercizio nelle loro nuove funzioni (1 su 27 non sapeva firmare).
Però, sapere firmare è una cosa, saper scrivere è un’altra.
Con l’analfabetismo contrastano tutte le opere scritte da autori come Cortes, Cabeza de Vaca, Alvarado
e un centinaio di capitani della conquista che lasciarono lunghe e brevi carte di valore inestimabile e
memoriali.
Il soldato del XVI Secolo era molte volte come il famoso soldato di Lepanto e letterato, ad esempio, Las
Casas che partecipò dal 1502 alle spedizioni della Española e poi alla conquista di Cuba.
E’ veramente impressionante la quantità di soldati cronisti, cioè semplici soldati che hanno preso
coscienza di essere attori o testimoni di un avvenimento storico singolare.

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Alcuni dei soldati di Cortes al posto di essere vittime dei Conquistadores dedicandosi alla raccolta
dell’oro, si fecero frati mendicanti o eremiti.
Gli atti di violenza non sono stati né scarsi né piccoli, così come quelli di pazzia o di cannibalismo.
Di alcuni soldati ricordiamo anche tratti umani commoventi: Pizarro fermò la corrente di un fiume per
salvare dalle acque un indio, mettendo a rischio la sua vita.
Come parlavano i soldati? Contrariamente a quello che si crede davano molta importanza al parlare
bene.
Il termine conversazione non alludeva solamente alla comunicazione verbale, ma anche alle maniere del
comportamento e alla affabilità. E’ evidente che parlare bene era segno di prestigio. Tra i conquistatori
c’erano sicuramente alcuni colti e altri volgari.

VIII
Cosa è un hidalgo e che cosa apportava socialmente, culturalmente e linguisticamente alla vita ispano-
americana.

Fino al 1500 la nobiltà spagnola era costituita da un piccolo settore chiamato “primos del rey”, un altro
piccolo di nobili con titolo (duchi e conti), un numero abbastanza grande di cavalieri e membri di diversi
ordini militari e gentiluomini ed, infine, gli hidalgos = classe inferiore della nobiltà, prolungamento dei
vecchi infanzones.
L’istituzione del maggiorasco (il primogenito ereditava il titolo e il grosso del patrimonio, diseredava
praticamente i secondogeniti. Ereditavano socialmente la nobiltà con le sue prerogative e suoi doveri, ma
non gli permetteva di vivere.
Un hidalgo si considera nobile, non paga tributi, la sua testimonianza e giuramento avevano valore di
prova, ed era al sicuro dalla prigione per debiti o pene infamanti.
Erano preferiti nelle cariche municipali ed avevano un posto nel Tribunale Reale e nella Cancelleria.
Questi privilegi si compensavano tradizionalmente con il servizio militare: erano il braccio armato della
monarchia.
Di fronte al plebeo, l’hidalgo aveva l’orgoglio dei suoi stemmi, segno della sua stirpe e del suo onore.
Cervantes nel Don Chisciotte: chi vuole essere ricco o valere segua la Chiesa o navighi o eserciti l’arte
della mercanzia, o entri a servire i re nella loro casa.
L’hidalgo scelse più volte la via della Chiesa, ma ancora di più quella della casa reale: la milizia, le
cariche della Corte o dell’Amministrazione. Pian piano conquistarono posti nelle Università, nelle libere
professioni, nella milizia, nel clero e nelle cariche pubbliche.
Poi l’impresa americana apri la strada a questa classe sociale.
Anche se le cifre non si possono prendere come verità rivelate, si dice che in Castiglia ci fossero 541.790
hidalgos.
L’hidalgo era un settore della nobiltà e a quella quindi era dedicata fondamentalmente l’educazione.
La nobiltà spagnola del XVI Secolo fu sensibile al rinnovamento umanistico. Se dal punto di vista
economico l’hidalgo era ad un livello inferiore, dal punto di vista culturale non si può dire lo stesso.
Abbiamo detto molte volte che in America non arrivò l’alta nobiltà ed è la verità, ma il secondogenito
non era nell’aspetto culturale e linguistico inferiore al maggiorasco. Forse si potrebbe pensare il
contrario.

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IX
La proporzione di Hidalgos era evidentemente alta nella società ispano-americana, almeno fino al 1570.
Possiamo pensare almeno un 15%. C’era anche una buona proporzione di funzionari reali, provenienti
dai settori medio alti della borghesia urbana e una grande quantità di clericali di livello culturale molto
elevato.
Però, ancora più importante è il fatto che al primo contatto con la vita americana le vecchie strutture
sociali si sono sgretolate e si produsse un livellamento ugualitario.
Le condizioni drammatiche della conquista e la colonizzazione a partire dalle esperienze della Isabela
hanno favorito senza dubbio questo livellamento (Dios hizo hombre, no linajes). Si può affermare che
non ci fu una maggioranza di hidalgo bensì una hidalguizzazione generale. Cominciavano tutti a
considerarsi hidalgos.
Colombo mantenne le distinzioni sociali dividendo peonias y caballerías de tierra: peonia era il terreno
dove si potevano coltivare la yucca.
Fu decisiva la ribellione di Francisco Roldan del 1497: partivano da Siviglia per “ganar la honra” e
conquistare una nuova posizione sociale. Tuttavia la corona volle mantenere nelle Indie la
gerarchizzazione della società spagnola: non si fa differenze nel dare e segnalare una persona piuttosto
che un’altra bensì si dà al lavoratore ed alla gente comune tanto quanto le persone importanti.
La conquista e la colonizzazione rappresentano la strutturazione di un ordine nuovo. I conquistatori dalle
differenti classi sociali, si sovrapposero alla popolazione indigena come classe dominante e si
suddivisero tra di loro le terre, gli Indios e i bottini di guerra.
Di fatto erano tutti signori. Da lì la costante presunzione di hidalguía negli uomini della conquista e
ancora di più nei loro discendenti (suddivisione primi conquistadores e secondi conquistadores). Questa
nuova nobiltà che considerava sua la terra entrò in conflitto con le nuove ondate di popolazione spagnola
(los chapetones, los cachupines) che credevano che le Indie erano patrimonio della corona.
In realtà, la corona concesse la hidalguía solo eccezionalmente. Avevano sopportato dolori e pericoli
mettendo a repentaglio la loro vita ed era normale quindi che sentissero signori di quello che avevano
vinto.
Quando Pizarro tornò dalla Spagna disse a tutti che la conquista era un modo per acquistare lignaggio.
Se avevano potere sui cacicchi e i re indigeni come non potevano considerarsi nobili anche loro? La
monarchia senza dubbio fu ostile a rendere nobili tutti in maniera generale. Le pretese si scontravano
contro inclinazioni regie che non volevano una nobiltà potente né nelle Indie, né in Spagna.
I discendenti dei primi conquistatori (beneméritos de Indias) perderanno le encomiendas e il potere
economico, ma manterranno il vecchio spirito della hidalguía. Quando arrivarono i funzionari reali e le
Autorità dalla metropoli per frenare la classe signorile della conquista, incontrarono una società
costituita, con una aristocrazia orgogliosa e ricca, padrona del potere municipale e delle terre.
Considerandosi nobili adottarono forme di vita superiore, a volte esagerando per quanto riguarda
l’ostentazione della ricchezza, che si poteva notare a Città del Messico o in Perù.

X
Possiamo affermare che la base dello spagnolo americano è quello che parlavano i settori medi e i
superiori della penisola. Abbiamo già visto la scarsità di contadini e al grande quantità di hidalgos,
funzionari e clericali. Bisogna tenere in conto che la Spagna non ha mai avuto una distinzione radicale
tra classe superiore o illustre e popolo (vs. Francia) e che non c’è mai stata grande distanza tra
castigliano colto e popolare.

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I conquistatori che si sentivano nobili adottarono forme espressive della classe aristocratica, come le
forme di cortesia e segni di classe. Ed esempio, il trattamento con il vos, era abituale nella prima epoca
da inferiore a superiore, tra uguali e poi da superiore ad inferiore, sia in Spagna che nelle Indie.
Si manifestò tuttavia una preferenza per il trattamento di vuestra merced che viene dal XV Secolo.
Successivamente il voseo comincia ad essere considerato eccessivamente familiare o come trattamento
da superiore ad inferiore (nel 1583 vos può essere offensivo, mentre vuestra merced è più cortese).La
reazione contro il vos era in generale in Perù e nella nuova Spagna a metà del XVI Secolo.
L’America era ipersensibile ai diversi trattamenti che erano sentiti come segno di considerazione sociale
e questione di onore. Invece la Spagna si trasformò sempre di più cerimoniosa e sensibile ai trattamenti,
titoli e distinzioni sociali. Da lì la rapida svalutazione del vos e il trionfo di vuestra merced (da cui nasce
usted). Secondo Croce, i trattamenti di señor, señora, merced, don (riservato al re, non bastava la
higalguía) li hanno introdotti i soldati spagnoli in Italia. Anche se agli italiani il don sembrava vanitoso,
il señor maleducazione, m alla fine hanno finito per imporsi. Di quello che in Spagna si faceva uso, in
Italia se ne faceva abuso.
Il trattamento di doña si è generalizzato molto di più che il don, anche per la donna spagnola ed era solo
cortesia. Il don era generalizzato fra gli encomenderos ed era un segno in più dello spirito signorile (es.7
fratelli).
La democratizzazione dei trattamenti si è prodotta in tutte le lingue moderne in maniera diversa come
segno della trasformazione sociale degli ultimi tempi. Quello che è chiaro è che nelle Indie la
generalizzazione è stata più rapida che in Spagna.
La hidalguizzazione generale si manifesta non solo nei trattamenti e nelle forme di cortesia, bensì anche
nello stile generale del linguaggio. Tutti quelli nati nel nuovo mondo erano di acuto e delicato ingegno.
Comparazione tra prosa di Bernal Diaz, con quella del creolo Dorantes de Carranza: gli scrittori
peninsulari si esprimono con chiarezza anche se sanno di dar fastidio al monarca o ad altre persone.
Scrivono senza procedimenti retorici, in forma diretta e spontanea. Invece gli autori creoli tendono
costantemente a mascherare, non si aprono totalmente, non esprimono le loro idee e sentimenti, poiché
sono coperti da procedimenti retorici.
Croce crede che gli spagnoli con la loro cerimoniosità e attaccamento alle cose esterne furono un
incentivo per lo sviluppo di uno stile solenne e vuoto che si limitò prima alle lettere e agli scritti
cortigiani e poi si estese al romanzo alla commedia e alla tragedia per arrivare alle lettere familiari.
Ovviamente, bisogna lasciare da parte il linguaggio delle nuove generazioni di meticci che usavano un
castigliano mescolato a indigenismi.
I discendenti dei primi conquistatori tendevano nel linguaggio non verso forme popolari e volgari, ma
verso l’espressione superiore.
La colonizzazione fu quasi esclusivamente ad opera di uomini soli e si conosce il ruolo moderatore e
normativo delle donne nel linguaggio della società (5,6% di donne nella prima epoca, 6,3% nella
seconda). E’ possibile che il linguaggio usato da soli uomini sia più volgare, crudo, procace e sporco
rispetto a quello della penisola, come fosse la continuazione del linguaggio dei soldati e dei marinai del
XVI Secolo. Per esempio, l’espressione caramba! è diventato nel linguaggio maschile americano una
parola universale e unica, capace di esprimere a seconda del tono l’approvazione entusiasta o il rifiuto
indignato.
Al contrario, il linguaggio di carattere sociale e anche la lingua scritta era pudica fino all’esagerazione di
fronte ad una certa audacia e crudezza del linguaggio peninsulare. Negli scrittori ispano-americani
manca la parolaccia che a volte compare nel Chisciotte. La società ispano-americana era meno tollerante

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che quella spagnola. Si riflette un certo contrasto maggiore che nella penisola tra linguaggio maschile (o
di strada) rispetto al linguaggio sociale o pubblico (femminile).
Vi era una grande proporzione di donne poiché anche gli altri funzionari e clericali portarono molte volte
donzelle per farle sposare con i conquistatori. Nacquero così piccoli nuclei familiari più o meno chiusi di
carattere esemplare.

XII
Il livello sociale e culturale dei conquistadores si manifesta anche indirettamente. Certi episodi della
conquista che non possono essere negati né essere giustificati hanno fatto credere che furono ad opera di
avventurieri, senza legge, che rappresentavano il peggio della popolazione spagnola. Questo è
assolutamente falso: al contrario, le spedizioni erano formate da settori medio e alti (le classi inferiori o
povere della nobiltà). Solo così si spiega che nuclei così ridotti arrivano a strutturare rapidamente un
ordine nuovo con una organizzazione municipale, politica, amministrativa, giudiziaria, ecclesiastica.
Successivamente con l’idea di “ennoblecer las Indias” nacquero all’interno di essi scuole, seminari,
università con ampia affluenza di alunni spagnoli, creoli, meticci e indios.
Tra di loro, è esistito fin dal primo momento il culto del libro, con opere di cultura classica ed europea
dell’epoca, oltre ad opere religiose e profane che circolò liberamente nonostante certe proibizioni.
Si coltivò anche il latino, strumento universale della cultura che fu lingua di ispirazione degli Indios
illustri. In questo contesto si sviluppò l’attività intellettuale ed artistica, inaugurata dagli stessi
conquistatori. Un’altra testimonianza è la diffusione di palazzi, chiese e conventi (70.000 chiese e 500
conventi).
Il desiderio catechistico ed evangelizzatore che domina in un primo momento si sostituisce con la
coltivazione della poesia, del teatro e della prosa colta. La proporzione di letterati nella popolazione
bianca era maggiore che nella popolazione peninsulare, si può quindi parlare di un’impetuosa fioritura
letteraria (nel 1585 Città del Messico si chiamava l’Atene del Nuovo Mondo).

Riassunto

La società ispanoamericana del XVI Secolo fu costituita da una proporzione molto alta di hidalgos,
clericali, laureati, diplomati e gente colta. Giunsero anche altri settori della popolazione: contadini
(quantità piccola), gente con differenti funzioni e soprattutto marinai e soldati dei diversi settori sociali.
Si produsse una hidalguizzazione generale. L’impresa della conquista fece sì che tutti si sentissero
signori, con diritto di titoli ed adottarono come modelli linguistici quelli delle classi superiori. La base
dello spagnolo americano è il castigliano parlato dai settori medio altri della vita spagnola, come si vede
nell’uso del lessico comune e delle forme di cortesia.

II
L’ISPANIZZAZIONE DELL’AMERICA: IL CASTIGLIANO DELLE LINGUE INDIGENE
DAL 1492

Il processo di ispanizzazione o castiglianizzazione è iniziato il 12 ottobre 1492 e non è ancora terminato


dopo quasi 500 anni.
Colombo portava con sé due interpreti: Rodrigo de Jerez e Luis de Torres, un ebreo che sapeva l’ebreo,
il caldeo e qualcosa di arabo. Colombo prese di forza 7 indios e li portò a Castiglia per farli “deprender
nuestra fabla”.

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Presto Colombo apprese le parole che significavano oro o che lui credeva che lo significassero (canoa al
posto di almadía, cacique invece di reyzuelo, maíz invece panizo).
Si disperava perché non li capiva e molte volte gli Indios che erano con lui prendevano una cosa per
un’altra e lo attribuiva ad intenzioni maligne. La sua preoccupazione costante era tomar lengua, haber
lengua.
Portò in Spagna una decina di Indios con la speranza che gli servissero poi. Cercò di studiare la loro
lingua e vide che con lettere latine si poteva riprodurre senza difficoltà le loro parole. Nel viaggio di
ritorno morirono quasi tutti i sopravissuti.
Il procedimento di prendere degli indios prigionieri affinché servissero da interpreti, da intermediari,
seguì Colombo in tutti i suoi quattro viaggi.
Un’ordinanza reale sul buon trattamento degli indios autorizzava a catturare ad ogni scoperta una o due
persone per la lingua. In questo caso, la donna indigena nel contatto delle lingue fu una collaboratrice
efficacissima (doña Maria mediatrice della pace). Fin dall’inizio si seguì un altro procedimento:
familiarizzare con gli indiani e imparare la loro lingua. Las Casas menziona un marinaio spagnolo che
aveva vissuto diversi anni tra gli indios, senza comunicare con nessun cristiano e con il proposito di
imparare il taino.
Solo la semplice convivenza favorì l’intercambio tra lingue in tutti e due i sensi.
Questa indianizzazione dello spagnolo è uno degli aspetti più romanzeschi della storia americana degli
primi secoli. L’interprete indiano o spagnolo rappresenta una prima tappa, quella di approssimazione. Ha
tre forme: il lavoro, il meticciato e la catechizzazione.
Dalle prime lettere Colombo parlava di cristianizzazione. Annuncia che farà apprendere la lingua degli
indiani e che si preoccuperà si rendere cristiani tutti i nuovi popoli.
Durante il secondo viaggio i re inviano padre Boyl e con lui altri incaricati di trasmettere la fede agli
Indios. Egli afferma in una lettera ai re che l’evangelizzazione è lenta per mancanza di lingue.
L’istruzione reale del 1503 dispone che si raggruppino gli indios in popoli (“perché siano indottrinati
come persone libere che sono e non come servi”) e che ognuno di loro abbia una chiesa ed un
cappellano. Il cappellano deve istruire i bambini, insegnargli a leggere e scrivere, a farsi il segno della
croce e a confessarsi.
Le leggi di Burgos (1513) raccolgono le disposizioni anteriori e ne aggiungono di nuove: portare agli
indios l’istruzione e a messa, istruire ragazzi indigeni alla lettura ed alla scrittura perché la insegnino ad
altri e che le persone importanti portino i loro figli minori di 13 anni ai francescani affinché gli insegnino
a leggere e scrivere e li indottrinino per 4 anni.
Il castigliano era lo strumento generale della catechizzazione. Il suo insegnamento comportava
l’apprendimento del latino: una cedola reale dispone che i figli dei cacicchi ricevessero l’insegnamento
della grammatica, cioè della lingua e della letteratura latina.
A volte la catechizzazione seguiva altre vie. Si creò un legame familiare tra spagnoli e indios, che
mischiavano le lingue degli uni e degli altri.
L’ispanizzazione delle isole delle Antille fu rapida, così rapida che non si è nemmeno prodotta una
lingua mista. Non ebbero altro rimedio che adottare la lingua spagnola ed ispanizzarsi totalmente.
L’indiano antillano si estinse rapidamente decimato dalle epidemie. Persistevano tuttavia ancora piccoli
nuclei indigeni interamente ispanizzati fino al secolo scorso a Cuba e Santo Domingo. La così chiamata
atomizzazione linguistica dell’America favoriva l’imposizione dello spagnolo, unica lingua realmente
generale.

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II

La conquista comporta di fatto l’ispanizzazione, che doveva essere necessariamente lenta. Il regime
coloniale si sovrappose alla società indigena che continuò a mantenere i suoi vecchi modelli. Nella
conquista la giustificazione religiosa appare sempre come il fine supremo: estirparla idolatria, convertire
gli indios al cristianesimo.
La impresa di catechizzazione era la salvezza delle anime, per la quale per qualsiasi spagnolo entrava in
gioco la salvezza della propria.
In tutto il primo periodo la predicazione fu mezzo di interpreti o con il linguaggio dei gesti. Quando i
francescani sono arrivati a Tlaxcala siccome non potevano parlargli, lo facevano per segni, ad esempio,
segnando il cielo e facendogli intendere che venivano ad insegnargli i tesori e le grandezze che c’erano
in alto. Potevano anche ricorrere a rappresentazioni grafiche: grandi quadri catechismo in immagini,
geroglifici. La confessione avveniva necessariamente con l’aiuto di interpreti.
I missionari capirono che questa situazione non poteva andare avanti e che non era possibile ispanizzare
gli Indios violentemente (come nelle Antille) però ancora meno aspettare che si ispanizzassero nel corso
dei secoli. Era importante che i missionari imparassero quanto prima la lingua per poter predicare,
confessare e somministrare i sacramenti nella loro lingua.
Per essere un vero cristiano non era imprescindibile parlare spagnolo, perché la Chiesa è universalista,
supernazionale come diremmo oggi.
L’evangelizzazione per gli ordini medicanti del nuovo continente era un’impresa anche maggiore di
quella dei primi apostoli.
Filippo II pensa di essere campione della vera fede, ma non pensa mai ad una vera lingua.
I missionari considerarono l’apprendimento della lingua indigena come una continuazione
dell’apostolato religioso. Bisognava penetrare in quel mondo misterioso e terribile, conoscere gli usi,
capire la mentalità, decifrare sentimenti e pensieri, non con uno spirito scientifico, ma per capire meglio
gli Indios.
L’introduzione della stampa in Messico fu per opera di un padre francescano nel 1539. Fu stampata una
dottrina trilingue in spagnolo, quechua e aimara.
Successivamente alternarono il lavoro missionario con l’insegnamento delle lingue con altri frati.
Tradussero vangeli, lettere, proverbi, sermoni, vite dei santi, fino ai registri parrocchiali.
La maggior parte dei monaci nella nuova Spagna, appresero il nahuátl. Per gli augustini fu obbligatorio
lo studio delle lingue, perché la congregazione praticava 10 lingue diverse.
Apprendere una lingua indigena, a causa della fonetica estranea e la complessa struttura grammaticale
era per un castigliano un’impresa notevole, nella quale molti fallirono. Altrettanto difficile tradurre verso
quelle lingue il complesso mondo spirituale dei testi sacri e incorporarci concetti simboli della nuova
fede. Successivamente compresero la necessità di adottare una lingua ausiliare, il nahuátl dell’impero
atzeco, tra gli spagnoli e gli indigeni.
Il viceré Velasco si rivolse a Filippo II per chiedergli la fondazione in Guadalajara, una scuola che
raccogliesse giovani da diverse regioni per insegnargli il nahuátl.
Filippo II ordina nel 1580 che nelle Università di Lima e Messico si stabilissero cattedre di “lingua
generale (lingua dominante) degli Indios” e che non si desse a sacerdoti il diploma se non conoscevano
la lingua generale degli Indios o della Provincia. Nel 1584 la lingua generale era il nahuátl che si parlava
da Zacatecas fino al Nicaragua. Anche il quechua raggiunse la sua maggiore espansione sotto la
dominazione spagnola.

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Si ordinava che si insegnasse agli Indios la lingua nativa e le orazioni e il catechismo nella lingua
generale del Cuzco e in aimara.
L’aimara perse poco a poco il suo carattere di lingua generale a sue spese e si diffuse il quechua in
diverse parti del Perù.
Un documento di un frate parla delle gravi difficoltà del lavoro missionario e della diversità delle lingue.
Lo stesso succede con la lingua muisca o chibcha della meseta colombiana. C’era da parte degli Indios
una certa resistenza deliberata o incosciente ad apprendere la lingua del conquistatore. C’era anche
maggiore affinità tra la lingua particolare e la lingua indigena generale. Gli Indios apprendevano più
facilmente altre lingue indigene perche le imparavano per contatto diretto con altri Indios.
Ad ogni modo, la lingua generale evitava l’isolamento degli Indios in tribù e li incorporava in una
comunità più grande, sotto l’influenza spagnola.
I frati davano secondo le idee dell’epoca un’istruzione molto sommaria e generale alla gente bassa, con
l’aiuto di Indios di fiducia. I bambini erano indottrinati con più regolarità.
Misero più impegno nella formazione di gente importante: ai figli di re e signori si dava un’istruzione
completa. Li ricevevano all’interno dei conventi e li convertivano in ausiliari del lavoro missionario. I
bambini ben dotati di classi inferiori potevano accompagnare i missionari nelle visite perché sapevano
che potevano essere collaboratori più efficaci.
Fin da subito furono fondate scuole missionarie. Frate Pedro de Gante fu il fondatore dell’istruzione
scolastica in America e fondò una scuola per bambini indigeni nel 1523. A lui si deve anche la grande
scuola di San Francisco che riunì 1.000 alunni a partire dagli 8 anni.
I francescani fondarono il collegio di Santa Cruz di Tlateloco, con 60 alunni di Indios principali. Gli si
insegnavano le arti liberali, partendo dalla grammatica. In latino apprendevano retorica, poetica, logica,
filosofia e anche medicina.
Anche a Cuzco fu fondato il collegio di San Francisco de Borja dedicato ai figli dei re e dei cacicchi.
Il latino si diffondeva come parte della istruzione religiosa in tutta America.
L’insegnamento del latino faceva parte dell’insegnamento nei collegi e nei conventi: la grammatica era
la prima delle arti liberali, la chiave del sapere.
L’educazione coloniale non aveva per base la storia e la cultura della Spagna, bensì la letteratura
classica.
I monaci sostenevano che l’Indios non si potesse assimilare al castigliano. Gli Indios avevano poca
curiosità per apprendere la lingua spagnola (la imparavano solo per comunicazione ed uso).
Senza dubbio i missionari erano poco numerosi e non potevano dedicarsi all’insegnamento del
castigliano: un solo frate doveva battezzare, confessare, predicare, pregare, dire messa.
I re raccomandavano alle Autorità di concentrare gli Indios in borghi o mantenerli nelle loro città.
Questo raggruppamento favoriva l’indottrinamento e la protezione materiale (agricoltura, attività
artigiana) e l’attenzione per la salute (creazione di ospedali indigeni).
Così si creò una barriera tra gli spagnoli e gli Indios. I frati preferirono mantenere gli Indios nelle loro
comunità e proteggerli dal contatto con il resto della popolazione.
La lingua indigena era una specie di muraglia cinese protettrice. I missionari non erano strumenti dello
Stato e quindi si comportavano con criteri propri. I risultati delle Antille li indussero a sottrarre agli
Indios il potere temporale e a proteggerli contro l’abuso e l’incomprensione degli encomenderos e delle
Autorità. Per difenderli attuarono persecuzioni, calunnie, odio e prigioni. Cercarono persino di creare
una repubblica indigena che riuniva gli ideali del cristianesimo primitivo con la Utopia di Tommaso
Moro.

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III
Fin dall’inizio l’opera missionaria contava l’appoggio deciso della Corona. Carlo V insisteva
sull’indottrinamento come atto primordiale e si raccomandava che i religiosi e gli ecclesiastici si
dedicassero allo studio della lingua degli Indios per ridurla ad arte e facilitare l’apprendimento della
lingua per i bambini spagnoli per chiamarli al sacerdozio o alle cariche pubbliche.
Filippo II obbligò gli Indios a sapere la lingua spagnola senza che per questo i sacerdoti dovessero
imparare la loro lingua.

Due attitudini: Filippo II e Carlo III

Cedola di Filippo II: i viceré della nuova Spagna dovevano prendere misure affinché in tutte le città
indiane i preti insegnassero la lingua castigliana e la dottrina cristiana in castigliano, dimenticando la
loro lingua gravi pene contro i cacicchi negligenti fino alla perdita delle prerogative nobili.
Il Consiglio temeva che l’indottrinamento cadesse nelle mani dei creoli e dei meticci per la maggiore
affinità con la lingua degli Indios che non era appropriata secondo loro per questo tipo di lavoro. Però,
nell’ordinanza del re ci si raccomandava di trattare gli indiani con molta carità, prudenza e discrezione,
utilizzando i metodi più dolci, senza rimproverargli la poligamia e i loro idoli.
Nessun Indios poteva essere Sindaco o governatore del suo popolo senza sapere la lingua spagnola gli
si davano quattro anni per impararla e in tutte le città di Indios dovevano esserci scuole per insegnarla.
Tuttavia le scuole erano scarse e anche se i frati erano diligenti, bambini tornavano a casa dove
parlavano la loro lingua e dimenticavano tutto quello che gli era stato insegnato (poco e non chiaro).
Le difficoltà sembrano irrisolvibili. Il primo segno fu l’espulsione dei gesuiti. Gli antichi ordini restano
relegati nei conventi o in zone appartate. Il XVII secolo fu di ampia espansione gesuitica: acquisirono
importanza crescente a discapito degli altri ordini. Coltivavano e diffondevano le lingue indigene,
soprattutto quelle di carattere generale. Tuttavia con il XVIII secolo si diffonde in Europa uno spirito
nuovo sotto i Borbone che gli è ostile. L’educazione tende a secolarizzarsi, a trasformarsi in un’impresa
nazionale a carico dello Stato. Si parla di rinnovazione dell’insegnamento di coltivazione della lingua
spagnola. Successivamente la reazione assume un carattere più specifico. L’iniziativa partì dal Messico
grazie all’Arcivescovo Francisco Antonio de Lorenzana. Si lamenta che due secoli e mezzo dopo la
conquista si abbia ancora bisogno di interpreti; la comunità linguistica è alla base di uno Stato.
Lorenzana si rivolge a sua Maestà: gli espone l’impossibilità di insegnare la dottrina cristiana agli
indigeni per il poco interesse che loro stessi dimostravano per apprendere la lingua castigliana.
Sosteneva che era un errore pensare che i parroci dovessero dominare la lingua di ciascuna cittadina
d’America.
Fa una distinzione tra clero spagnolo e clero nativo. Quello nativo quando impara la lingua indigena
parla sempre con quella, apprezza poco il castigliano e insegna la dottrina nella sua lingua non poche
volte con errori, perché è difficile o quasi impossibile spiegare in un’altra lingua i dogmi della fede
cattolica.

Carlo III
Dispone di riunire tutti i precedenti sulla materia. Spedisce la famosa cedola di Aranjuez (1770). Ordina
a tutte le Autorità reali ed ecclesiastiche che per una volta che si riescano ad estinguere le differenti
lingue e si parli solo in castigliano.

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L’assolutismo rappresentato da Filippo II era di tipo liberale per quanto riguarda la lingua: “non sembra
conveniente fargli abbandonare la loro lingua naturale. Il liberalismo di Carlo III era assolutista poiché
voleva che si estinguessero le diverse lingue e si parlasse solo in castigliano.

IV
La cedola reale di Carlo III che prevedeva la dotazione di maestri per insegnare il castigliano fu illusoria
tanto quanto le anteriori. Il potere spagnolo non aveva sufficienti elementi per una ispanizzazione così
violenta e radicale. Riuscì ad interrompere l’insegnamento di lingue indigene, evitare la stampa di libri
in queste lingue, spegnere la cultura indigena come attività pubblica e relegarla alla vita sotterranea.
Sparirono le cattedre di lingua indigena dall’Università. Adottarono mezzi repressivi, cercarono di
estirpare le lingue fino a proibire che le usassero i padroni delle haciendas.
Nel 1810 c’erano nel dominio ispanoamericano 3 milioni di bianchi spagnoli e creoli (molti di loro
meticci) e 9 milioni di Indios concentrati nelle zone rurali. Le Autorità creole, in tutta risposta,
proclamarono l’emancipazione degli Indios con manifesti stampati nella loro lingua.
Fu un errore la politica missionaria e il liberalismo linguistico della monarchia come sostenevano i
consiglieri reali e i giuristi?
Cortes entrò in Messico con 600 uomini contro una popolazione di circa 4,5 milioni di abitanti. 50 anni
dopo la conquista in Messico c’erano 35 cittadine spagnole e 1500 cittadine di Indios con 4 milioni di
abitanti.
E’ evidente che in queste circostanze l’azione scolastica doveva essere lenta, persino illusoria. Fu più
efficace il mestizaje. Senza la formazione immediata di una generazione di meticci che parteciparono
alla conquista e al popolamento di nuove terre, l’ispanizzazione non sarebbe stata possibile. Una parte
dei meticci si rifugiò nelle tribù; l’altra parte si incorporò alla società coloniale (o alla vita peninsulare).
Tra le due categorie si mantenne una certa relazione durante tutto il periodo coloniale. Furono i migliori
interpreti di tutto il continente e alcuni anche predicatori. E’ significativo che il vecchio termine di latino
(ladinos quelli che sapevano il latino) avesse lunga vita in America.
Fu applicato prima agli Indios che imparavano spagnolo, poi ai meticci ispanizzati ed infine ai neri e ai
mulatti che sapevano lo spagnolo. Oggi in America centrale designa ancora tutto quello che non è
Indios: gli abitanti si dividono in Indios e ladinos.
Abbiamo visto che la legislazione spagnola cercò di conservare intatte “le nazioni” indigene.
Ovviamente, il sistema tributario ed il servizio personale imposero agli Indios nuove forme di vita e
incorporarono una parte della popolazione e delle città spagnole (in quartieri separati o chiusi). In
generale, le autorità civili ed ecclesiastiche mantennero intatti i borghi indigeni, con i suoi cacicchi
ereditari ed i suoi costumi. Si può affermare che il regime coloniale sovrapponeva una repubblica di
spagnoli ad una repubblica di Indios. Ad ogni modo, i meticci tesero un ponte tra le due repubbliche che
le fuse ampiamente.
Nel 1810 la popolazione indigena costituiva la maggior parte della popolazione. E’ evidente che
l’ispanizzazione si è prodotta non per opera della scuola ma per opera dello sviluppo demografico e
sociale. L’ispanizzazione è stata progressiva e rapida. Prendiamo a campione il Messico: nel 1910
c’erano quasi 2 milioni di Indios che non sapevano spagnolo e altri 2 milioni bilingue. Ad oggi, presenta
meno di 1 milione che non sanno spagnolo, altri 2 milioni parlano spagnolo e la lingua indigena. Ci sono
altri 3 milioni che non sanno nessuna lingua indigena e parlano spagnolo. Se solo parlano spagnolo
possono chiamarsi indigeni?
Il problema degli indigeni è fondamentalmente un problema di lingua, ma anche un serio problema
sociale ed economico. Più che per i suoi tratti etnici (che sono sempre meno puri) una persona è indigena

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per la lingua, che a volte è lo strumento e la creazione fondamentale della sua cultura. Se non parla che
la sua lingua può dirsi un indiano puro.
La misura del suo essere meticcio la dà la sua assimilazione della lingua spagnola (oggi si parla di
mestizaje cultural).
Le lingue indigene presentano un estremo frazionamento: ce ne sono 20 distintel’America è un
mosaico di lingue e dialetti. A volte in una piccola regione coincidono popolazione indigene che parlano
5 o 6 lingue diverse.
Ci sono due eccezioni: la diffusione del quechua e del guaranì. Gli indiani stessi non si sentono
orgogliosi della loro lingua e la considerano come una prigione dalla quale vorrebbero scappare per
difendersi (gli intellettuali di sinistra hanno raggiunto finalmente l’ufficializzazione del quechua.
Ad oggi, educare o alfabetizzare gli indiani nella loro lingua fa sì che egli apprenda molto presto a
leggere in spagnolo; favorisce paradossalmente la sua castiglianizzazione.

Caso del Paraguay:


non ci sono più Indios (salvo 40.000 selvaggi) ma solo meticci. Un fatto così scandaloso si attribuisce
alle vecchie missioni gesuitiche: i gesuiti predicavano agli Indios in guaranì. Le autorità civili
rimproverano violentemente il fatto di tenere gli Indios al margine della legislazione spagnola. Senza
dubbio i gesuiti contribuirono al mantenimento del guaranì in Paraguay. Tuttavia l’estensione di questa
lingue per tutto il paese si deve al carattere peculiare della colonizzazione paraguayana.
Dal 1537 si costituì l’Assunzione, un nucleo ispano guaranì. Dal 1541 vennero accolti più o meno 400
spagnoli con le loro mogli indigene e con i loro indiani al servizio. Costituirono una società semi indiana
e semi ispanica, poligamica e bilingue che si mantenne per un paio di generazioni quasi interamente
isolata dalla selva tropicale.
L’Assunzione fu il centro di irradiazione di tutta la colonizzazione paraguayana e anche in gran parte di
quella del Rio de la Plata.
Ad oggi, tutti parlano guaranì, anche i figli degli immigrati, un guaranì abbastanza castiglianizzato. E
quasi tutti parlano spagnolo, anche se è uno spagnolo guaranizzato (lo capiscono anche se non lo parlano
e per questo dicono che metà della popolazione sia monolingue).
La Costituzione del 1967 dichiara che la lingua ufficiale è lo spagnolo e il guaranì la lingua nazionale.
Potrà il Paraguay con meno di 3 milioni di abitanti, mantenere in futuro la sua fisionomia di paese
bilingue?
Non c’è nessuno ostacolo per il suo mantenimento. Tuttavia, lo spagnolo prevale nell’insegnamento
scolastico, nelle università e nella vita pubblica.

V
La lingua spagnola è imposta in tutta l’ispanoamerica, anche se rimangono isole che conservano le
antiche lingue indigene.
Molte di queste isole stanno scomparendo rapidamente. L’ispanizzazione che prima era lenta, ora sta
prendendo un ritmo vertiginoso. Possono i nuclei indigeni sottrarsi a questo processo?
Inca Garcilaso ci dice che i predicatori in Perù che dovevano introdurre nel quechua voci come Dio,
Gesù Cristo, Nostro Signore non era sempre impossibile tradurli, quando in molti casi le voci indigene
corrispondenti evocavano le vecchie credenze che dovevano essere sradicate.
Quello che succedeva nel 16°esimo secolo con la terminologia religiosa succede anche oggi a grandi
linee con la politica e la tecnica. L’invasione del castigliano arriva fino alla morfologia e alla sintassi.

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Dal 1492 al contrario, la lingua spagnola ha subito le influenze della lingua indigena nell’intonazione,
nei tratti articolatori, suffissi, nomi della flora e della fauna, nomi della vita materiale e spirutale.
Questa indianizzazione è appena percettibile nella maggior parte del continente e più profonda in altre
zone. Non c’è motivo di preoccuparsi. In nessuna parte dell’ispanoamerica è nata una lingua creola
come quella che ha dato il francese ad Haiti. La formazione di un patois, osservata già nel 16°esimo
secolo, è sempre stata un fenomeno transitorio, limitato a la mobilità linguistica delle frontiere o alla
immobilità di certi nuclei isolati.
L’apporto indigeno arricchisce soprattutto il linguaggio regionale o locale e non arriva a colpire
sostanzialmente la lingua colta, che è la base dell’unità comunicativa.
Così dal 1492 ad oggi, assistiamo ad una progressiva ispanizzazione. Nel processo si sono incorporati
grandi contingenti di popolazione africana, che non hanno alterato l’unità della lingua spagnola, ma
l’hanno arricchita con una dozzina di voci peculiari.
Anche i galiziani, i catalani e i baschi hanno finito per castiglianizzarsi definitivamente nelle terre
americane.

III
LA PRIMA VISIONE DELL’AMERICA

Il conquistatore si scontrò con una natura nuova e con costumi e istituzioni nuove.

Colombo portava con sé due interpreti: Rodrigo de Jerez e Luis de Torres. Colombo e gli indios delle
Antille si capivano tramite gesti: “las manos les servían de lengua” dice Las Casas.
La realtà non corrispondeva sempre alle indicazioni e alle parole degli indios e quindi Colombo si
disperava e supponeva intenzioni maligne e disegni occulti.
All’arrivo nel nuovo mondo, comincia a dare nuovi nomi.

Canoa: navicelle di legno senza vele  almadía (tipo imbarcazione africana)


Cacicco: indegni delle piccole e grandi isole con titolo di re
Panizo (esp): graminacea di origini orientali che non esisteva in America  C. chiama panizo il grano di
mais
Piña: tipo di frutta scoperta sull’isola di Guadalupe  in America gli si davano diversi nomi a seconda
della varietà e della lingua

Faceva insomma rientrare la nuova realtà nella cornice tradizionale della propria lingua.
L’europeizzazione si riscontra anche nella denominazione dei luoghi, dei fiumi, delle terre americane.
Anche se credeva di trovarsi nel vecchio mondo orientale, battezzò tutti i luoghi con nomi europei
mescolando un sentimento poetico e desiderio di possesso (es. Nueva Castilla, Nueva Andalucia, Nueva
Granada, Nueva Venecia solo perché gli ricordava i canali).
C. compì 4 viaggi e morì con la convinzione di essere stato in Asia. Infatti soprannominava le nuove
terre o Indie o Indie occidentali.
La Española per lui era la regione Ofir famosa per le sue ricchezze delle Sacre Scritture.
Il mondo che vedeva Colombo non era quello che vedevano i suoi occhi, bensì la Geografia di Tolomeo,
e poi quella del Imago Mundi del cardinale Pierre d’Ailly, quello della famosa carta nautica dove era
raffigurata la leggendaria Antilia.

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Nel mare delle Antille crede di vedere le sirene, che però non sono così belle come le dipingono perché
hanno la faccia da uomo.
Più successo ebbe l’utopia dell’oro. Per C. era oro tutto quello che luccicava. Sempre attraverso segnali
(il calore), capì che c’era una quantità di oro infinito, miniere d’oro. Si raccoglieva con candele di notte
in spiaggia.
Eldorado aveva una collocazione ben precisa sulla mappa, la città di Manoa. Sir Walter Raleigh inizia la
spedizione nel 1617.
Colombo si basava anche su motivazioni geografiche (la forma della terra non era sferica, ma a forma di
pera), ma ancora di più sulle opinioni dei santi e dei saggi teologi.
I teologi affermavano che effettivamente Dio non aveva distrutto il paradiso terrestre e lo collocava nel
misterioso Oriente, in una terra o isola felice. Navigatori come San Brandán avevano potuto arrivare fin
lì. Centinaia di manoscritti in latino e in diverse lingue europee, diffondevano le diverse versioni e le
mappe rappresentavano la fantastica isola di San Brandán nell’ignoto Atlantico, all’occidente delle
Canarie, chiamate Isole felici.
Anche Amerigo Vespucci, nell’opera Mundus Novus, diceva che se il paradiso esisteva non doveva
essere molto distante da lì.
Prima di partire per il suo ultimo viaggio, C. promise alla regina di scoprire il paradiso. Tuttavia per
questo passaggio richiese l’aiuto di interpreti di lingua araba.
Alla credenza del paradiso terrestre se ne associava un’altra: scoprire la fonte dell’eterna giovinezza.
Colombo vedeva le sirene, perché le sirene erano rappresentate in tutte le mappe medioevali. Credeva
fermamente che stava percorrendo il mondo descritto da Marco Polo e a volte persino il mondo biblico.
Le incursioni dei cannibali contro gli Arauacos di Cuba, erano per lui la guerra del Gran Can cinese
contro il Giappone.
Nemmeno quella di Marco Polo era una innovazione. Già nel primo secolo nella Storia naturale di
Plinio, che fu l’enciclopedia europea fino al Rinascimento, menziona uomini con testa di cane, che
abbaiano al posto di parlare. Plinio parla anche di antropofagi e di uomini strani, uomini con un occhio
sulla fronte, uomini con piedi di cavallo.
Queste varietà “umane” passarono alla cartografia medioevale. Vivevano nella fantasia popolare di tutta
Europa.
Nulla è impossibile per Dio e tutto può credere l’uomo. Colombo proiettava queste immagini sulla realtà
americana. Leggevano mappamondi, carte geografiche e nautiche del 15°esimo secolo che
incorporarono alle loro rappresentazioni. La credenza si sovrapponeva alla realtà.
Anche i libri hanno la virtù divina di creare mondi. Conquistatori e viaggiatori si scontrarono in America
con giganti e pigmei, draghi, città incantate. Era l’epoca della letteratura cavalleresca (Don Chisciotte).
Islas de las Mujeres abitata da solo donne = amazzoni: utilizzano archi e frecce
La verità si mescola con la leggenda, la tradizione, con la credenza.
I nomi delle cose e de luoghi e la visione stessa del conquistatore dell’America rappresentano una
proiezione della mentalità europea, cioè disegnarono la propria architettura mentale. Non solo
proiettarono la realtà tangibile del mondo europeo, ma anche il nuovo, l’immensità del nuovo (conocer
es reconocer)
La prima visione dell’America è la visione di un sogno. Il conquistatore è sempre a grosso modo un
visionario che combina le esperienze e desideri quotidiani con le fantasie del passato.
Si può dire che l’America sia la nuova Europa.

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