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STORIA DELLA CHIESA- 4.

ETA’ CONTEMPORANEA
PARTE I: ALLA RICERCA DI UNA RISPOSTA ALLO “CHOC” DELLA RIVOLUZIONE
CAP.1: LA CULTURA CATTOLICA NELL’ETA’ DELLA RESTAURAZIONE
1.1 Le ferite della Rivoluzione e i possibili rimedi
La Rivoluzione ha lasciato una traccia indelebile, una tradizione millenaria è stata
bruscamente interrotta, soprattutto in Francia con la scristianizzazione. Si è ricorso alla
violenza per costringere i sacerdoti ad abbandonare lo stato clericale, per impedire ai
fedeli le pratiche religiose, si è cercato addirittura di cancellare la memoria del
cristianesimo (es. l’adozione di un nuovo calendario). Un altro fenomeno preoccupante è
la nascita di nuove religioni secolari che pretendono di sostituirsi al cattolicesimo: basti
pensare alla dea Ragione, l’Essere Supremo o la sacralizzazione di Napoleone. La
sconfitta di quest’ultimo, il Congresso di Vienna e la Restaurazione potevano forse
rallentare il processo messo in moto dalla Rivoluzione, ma non sopprimere la sua capacità
eversiva. La Rivoluzione non si è accontentata di modificare il sacramento del matrimonio
introducendo il divorzio o di sottrarre alla Chiesa il controllo del sistema educativo, ha fatto
di più: ha concesso la libertà di culto. Certo, alcuni aspetti sono stati cancellati dalla
Restaurazione, e si è ritrovata la concordia tra trono e altare, ma i cattolici ritengono che il
nuovo rapporto tra cristianesimo e società abbia instillato nella mentalità contemporanea
una dinamica che spinge verso la costruzione di un mondo antitetico rispetto a quello
cristiano. Gli uomini hanno iniziato a sentirsi liberi o meno di sottomettersi all’autorità
cattolica, si sono sentiti più liberi e alla ricerca di più ampi spazi personali.
1.2 Nostalgici dell’antico regime
Vi è un gruppo di cattolici che ritiene che basti tornare al rapporto Chiesa/società
instauratosi nell’Ancien Regime per bloccare l’impeto rivoluzionario. Di questa idea è
acceso sostenitore Monaldo Leopardi, padre di Giacomo, che esprime queste sue idee
nel volumetto Dialoghetti sopra le materie correnti (1832). Fin dalle prime pagine, si critica
la Restaurazione per non aver ripristinato gli assetti precedenti: il Contado venassino non
è stato restituito al papa, non sono state riformate le repubbliche di Genova e Venezia,
non si è restituita Parma ai Borboni. La monarchia francese ha conservato l’”aberrante”
carta costituzionale, i beni ecclesiastici incamerati sono rimasti allo Stato. Per Leopardi,
tutto ciò fomenta i principi rivoluzionari: basti pensare alla Grecia, alla Russia o a tutte le
insurrezioni del periodo 1820/31. Bisogna ricostruire esattamente l’ordinamento esistente
prima dell’Ottantanove. Leopardi non è totalmente chiuso ad alcuni aspetti moderni:
caldeggia l’obbligo di vaccinazione antivaiolosa, promuove lo sviluppo economico
attraverso moderne tecniche agricole. Ma sostiene che la libertà costituisca un vizio al pari
dei sette capitali, e vada combattuta con il sostegno delle pubbliche istituzioni e della
religione. Se Leopardi non riesce a diffondere le sue idee, concezioni simili ottengono
successo grazie a esponenti conosciuti. Un caso importante è quello di Clemente Solaro
della Margherita, che nel 1835 diventa ministro degli esteri di Carlo Alberto in Sardegna.
Una sua opera importante è Questioni di Stato (1854): qui sottolinea come la politica del
regno di Sardegna debba essere esclusivamente cattolica. Questo per due ragioni
storiche: la Francia, dopo la sua “religione civile” e Napoleone, sta decadendo; e inoltre
bisogna riconoscere la grandezza vissuta dal Piemonte durante l’ancien regime e provare
a restaurarla.
1.3 Controrivoluzionari
Al contrario dei nostalgici dell’antico regime, i controrivoluzionari sono convinti che per
sconfiggere il tarlo della Rivoluzione non basti tornare agli assetti dell’’89: essa ha radici
più profonde, nella Riforma protestante che ha dato vita al mondo moderno e ha portato
alla nascita dell’Illuminismo. Da esso, poi, si è sviluppata la Rivoluzione che ha portato alla
divisione tra Stato e Chiesa e che la Restaurazione non è riuscita a risolvere. Essi,
dunque, sostengono che si debba tornare a prima della Riforma di Lutero, ad una
cristianità medievale. I sostenitori di questa tesi sono per lo più francofono. Louis de
Bonald, in un memorandum indirizzato al Congresso di Vienna, presenta la cristianità
medievale come il modello paradigmatico per ogni assetto stabile e pacifico del
continente. Ma forse l’esponente più rilevante è Joseph de Maistre, ambasciatore presso
lo zar di Russia, e autore dell’opera Du Pape (1819). La società cristiana medievale, si
legge nell’opera, è un modello ordinato, felice e pacifico. Solo il romano pontefice può
garantire l’ordine della società, giudicando tutti ma senza essere giudicato da nessuno.
Egli poi sostiene che la Rivoluzione non sia un segno dell’apocalisse inviato dalla
Provvidenza, ma che l’uomo abbia ancora la possibilità di ravvedersi. In Italia, le idee
controrivoluzionarie si diffondono grazie alla società segreta delle “Amicizie cattoliche”
(nata in Piemonte tra 1778/80) e il periodico modenese Memorie di religione, di morale e
di letteratura (1822).
1.4 Cattolici liberali
Il movimento cattolico-liberale ha un punto di riferimento preciso: l’indipendenza del
Belgio, ottenuta nel 1830/31 grazie all’alleanza tra liberali (che volevano una costituzione)
e cattolici (che miravano alla libertà di scuola). Nella costituzione, la separazione tra Stato
e Chiesa fece felici i cattolici, perché pone fine alle interferenze dello Stato nella nomina
dei vescovi. La Chiesa Belga esprime immediato supporto a questo modello, e anche il
papa lo accetta, vedendolo come un male minore. In Francia, Luigi Filippo d’Orleans viene
proclamato re nel 1830 a discapito di Carlo X di Borbone, e decide di mettere fine alle sue
politiche assolutiste. In questo contesto, uno dei maggiori esponenti controrivoluzionari,
l’abate Félicité de Lamennais, evolve verso posizioni liberali, fondando anche un
giornale. Per l’abate, l’incoronazione di Filippo mostra che il movimento della storia
contemporanea va verso la conquista delle libertà moderne, che avverrà con la Chiesa o
senza. Dato che l’assolutismo monarchico ha sempre cercato di asservire la religione ai
propri scopi, all’anacronistica alleanza tra altare e trono è preferibile la separazione
completa tra Stato e Chiesa. Si tratterebbe, però, di una situazione momentanea, solo
finché il papa non ricostituirà nuovamente l’unità cattolica. Egli sostiene dunque i principi di
separazione e libertà garantiscano notevoli vantaggi alla Chiesa. I sostenitori di
Lamennais, però, divergono sul punto della libertà religiosa. Da questa linea se ne
sviluppa un’altra che, oltre ad accettare l’ordinamento liberal-costituzionale, chiede una
riforma della Chiesa. Ne è un esponente Antonio Rosmini col suo Delle 5 Piaghe della
Chiesa (1848): l’assenza di partecipazione laicale alle attività ecclesiastiche; l’insufficiente
formazione del clero; la carente collegialità episcopale; l’intervento politico nella nomina
dei vescovi e la “schiavitù” della Chiesa verso i beni materiali.
CAP. 2: GLI ORIENTAMENTI DI ROMA
2.1 La stagione di Ercole Consalvi
Negli anni successivi a Vienna, a dettare la politica della Sede fu il cardinale Ercole
Consalvi. Già capo della Segreteria di Stato (1800/06) dove si distinse per le trattative sul
Concordato con Napoleone, ricoprì nuovamente quel ruolo dal 1814. Il personaggio è
innanzitutto un diplomatico di estremo valore. Lo dimostrano i buonissimi risultati ottenuti a
Vienna da una Santa Sede oggettivamente priva di reale potere: Roma cede solamente
Avignone e il Contado venassino, ma ottiene che i nunzi pontifici continuino a godere di
una preminenza onorifica su tutti gli altri membri del corpo diplomatico. Consalvi è anche
un sagace amministratore: è consapevole che la Rivoluzione abbia portato, oltre a
numerosi cambiamenti negativi per la Chiesa, anche degli aspetti positivi. Non si può
dunque tornare al vecchio assetto. Nel 1816 egli tenta di riorganizzare i tribunali e lo Stato
della Chiesa sulla base di alcune norme contenute nel Codice Civile, anche se i risultati
saranno scarsi per le forti resistenze. Ma Consalvi è ricordato soprattutto per i Concordati:
oltre a quelli con Napoleone e la Repubblica Italiana, vi sono quelli col Granducato di
Toscana (1815), Baviera e Francia (1817) e Regno delle Due Sicilie (1818). Consalvi è
convinto che lo Stato moderno, portato ad ampliare sempre di più la sfera della
laicizzazione, necessiti di consenso popolare e dell’adesione della popolazione . La Chiesa
gode di grande consenso tra la popolazione, e ciò può portarla a negoziare con l’autorità
civile i suoi spazi d’influenza. In questa prospettiva, Consalvi è convinto si possano
raggiungere accordi anche con gli Stati liberali. Non si tratta di discutere di dottrina, ma di
accettare temporaneamente una specifica situazione, in vista di futuri vantaggi. Certo, il
“consalvismo” ha anche alcuni limiti: il cardinale, formato dall’antico regime, è estraneo ad
alcuni temi come l’autodeterminazione dei popoli, la libertà totale di stampa, di riunione e
di associazione.
2.2 Da Leone XII a Pio VIII
Nel conclave che si apre nel 1823, Consalvi avrà la peggio. Verrà eletto papa Leone XII,
da sempre favorevole all’assolutismo politico e all’intransigenza dottrinale, e che
rimuoverà subito Consalvi dal suo ufficio. Dopo poco, si rende conto che non può fare a
meno di una personalità così di spicco e gli offre l’ufficio del Propaganda Fide. Leone
sperimentò una linea più dura: con le encicliche Ubi primum (1824) e Quo graviora (1825)
denunciò i mali scaturiti per la Chiesa dalla Rivoluzione, spingendo per un ritorno
all’alleanza tra trono e altare, evocando immagini medievali che si avvicinano ai
controrivoluzionari. Con una bolla del 1825 indice un giubileo, che viene organizzato con
grande cura e perizia. Una continua serie di prediche, funzioni, processioni
accompagnano i pellegrini provenienti da tutto il mondo. Se la sua politica interna si
caratterizza per l’autoritarismo e la chiusura (vedi le repressioni poliziesche di Agostino
Rivarola in Romagna), nell’ultimo periodo di pontificato la politica estera riprende le idee di
Consalvi, come testimoniato dal Concordato coi Paesi Bassi (1829). Al successivo
conclave (1829) questa linea sembra dettare la scelta del successore, che cade su Pio
VIII. Con la prima enciclica condanna in particolare le società segrete, ma in politica
internazionale dimostra che la censura non comporta, in senso pratico, un totale rifiuto
delle libertà moderne. Riconosce, infatti, la Francia liberale di Filippo e lascia libertà
d’azione alla Chiesa belga.

2.3 La condanna delle libertà moderne


Nel 1831 è eletto a pontefice Gregorio XVI, scelto dai cardinali “moderati” dopo un
conclave molto complesso. Le sue idee sono ben chiare se pensiamo al suo Il trionfo della
Santa Sede e della Chiesa contro gli assalti dei novatori (1799): egli esprime la certezza
della vittoria finale della Chiesa contro i nemici, oltre che il carattere monarchico,
l’infallibilità e la supremazia politica del pontificato romano. Fin da subito deve affrontare
l’insurrezione che scuote gli Stati pontifici (Romagna, Marche, Umbria) in collegamento ai
moti carbonari. Il papa chiede subito l’intervento dell’esercito austriaco. I rappresentanti
delle più grandi potenze, spaventati, redigono un memorandum con alcune idee di riforma
e lo consegnano al papa. La lentezza della sua applicazione porta a nuove agitazioni, una
nuova occupazione austriaca (1832) a cui la Francia risponde occupando il porto di
Ancona (fino al 1838). All’interno della curia, la situazione è tesa, anche a causa delle
tensioni politiche e della volontà di unità, che si esprime in 2 correnti: quella mazziniana
(una repubblica democratica in seguito ad una rivoluzione popolare) e quella neo-guelfa
(es. Gioberti, propone una confederazione di Stati con a capo il papa). Dal punto di vista
teologico-politico, nel 1832 emana l’enciclica Mirari vos: vieta le società segrete e il diritto
d’insurrezione, riafferma l’indissolubilità del matrimonio e dell’alleanza trono/altare e (pur
senza affermarlo esplicitamente) stigmatizza la separazione Stato/Chiesa. L’abate
Lamennais lo accusa di non volere una riforma della Chiesa solo per tutelare i suoi
interessi temporali, e nel 1834 pubblica un opuscolo col quale si allontana dalla Chiesa e
si avvicina al socialismo cristiano.
2.4 Pio IX. Un papa “liberale e nazionale”?
Nel 1846 si apre il conclave e a spuntarla è il Segretario di Stato di Gregorio, che prende il
nome di Pio IX. La Chiesa, con questa scelta, mostra un cambio di rotta: Pio, dopo essersi
distinto in giovane età per le opere caritatevoli e aver maturato diverse esperienze
diplomatiche, ottiene la berretta cardinalizia (1840) e manifesta più volte la volontà di
riformare le arcaiche istituzioni dello Stato pontificio. Un mese dopo la sua elezione,
pubblica un provvedimento di amnistia per i reati politici, che si presenta come un atto di
grazia della suprema autorità per rinsaldare il vincolo di fiducia con i suoi sudditi. L’atto è
accolto con grande giubilo, e nel giovane papa iniziano ad accumularsi le speranze di
cambiamento che la Restaurazione aveva disatteso. In questo momento, però, in Pio IX
non c’è alcuna apertura alle libertà moderne: nel Qui pluribus (1846) condanna il
razionalismo e stigmatizza il liberalismo. Ciò non significa però una rinuncia alle riforme:
nel 1847 riforma il Consiglio dei ministri aprendolo ai laici, istituisce il municipio di Roma,
promuove una controllata libertà di stampa, favorisce un’unione doganale tra gli Stati
italiani. La sua popolarità cresce a dismisura, anche grazie all’apertura alla costruzione di
ferrovie e all’illuminazione a gas. Le minoranze religiose vedono in lui la possibilità di
ottenere una certa libertà di culto e manifestazione; mentre i ceti borghesi individuano in
Pio il garante dei mutamenti auspicati all’interno della loro classe sociale. Pio IX e gli
ecclesiastici riformatori fanno leva su questo consenso per superare le resistenze
“gregoriane”. Nel 1848 il papa in un discorso esclama “Benedite, gran Dio, l’Italia”. Agli
occhi dei fautori dell’unificazione, è un messaggio chiaro: il papa appoggia la loro causa. A
seguito delle rivoluzioni del ’48, Pio concede una carta costituzionale che dichiara: il
cattolicesimo religione di Stato e impone la censura preventiva della Chiesa, ma allo
stesso tempo tutela le libertà personali, la separazione dei poteri, l’accesso dei ministri
laici all’esecutivo. Essa arriva nel momento in cui Carlo Alberto, re di Sardegna, dichiara
guerra all’Austria. Pio IX invia l’esercito in supporto delle truppe piemontesi, dando un
chiaro segnale. In effetti, all’interno della Chiesa si delinea un movimento di adesione alla
guerra d’Indipendenza. Tra di essi figurano anche noti vescovi e arcivescovi. In ordine
all’unificazione nazionale, il pensiero del pontefice è chiaro: si deve promuovere una lega
difensiva degli Stati italiani, col pontefice come autorità morale suprema, per liberare la
penisola dalla presenza austriaca. Su questo punto si consuma la rottura, con Carlo
Alberto che vuole assumere la direzione politica del movimento e delle truppe. Pio
convoca dunque un concistoro (1848) nel quale dichiara di non poter sostenere la guerra
contro uno stato cattolico come l’Austria. La popolarità del papa è ormai compromessa.
Nel novembre 1848 viene assassinato il primo ministro dello Stato pontificio, un liberale
moderato ostile alla guerra tra Piemonte e Austria. Il giorno successivo scoppia una rivolta
e il papa fugge nel Regno delle due Sicilie. Si costituisce intanto la Repubblica romana,
guidata da Garibaldi, che proclama la decadenza del papa. Quest’ultimo esorta le potenze
europee ad intervenire, e nel 1849 sconfessa tutte le riforme del biennio precedente,
condannando gli usurpatori che le avevano sfruttate per deporlo. A luglio, le truppe
francesi giungono a Roma, dove il pontefice rientra nel 1850.
PARTE II: L’EGEMONIA DELL’INTRANSIGENTISMO (1850-1925)
CAP. 3: LA CHIESA CONTRO IL MONDO MODERNO
3.1 L’assunzione papale della cultura intransigente
Confinato in esilio a Portici durante l’occupazione di Roma (1849), il papa invia ai vescovi
italiani un’enciclica: denuncia l’introduzione delle libertà costituzionali, che cela il “diabolico
progetto” di distruggere la religione cattolica; e analizza la situazione europea, dove la
libertà di stampa e di parola stanno trascinando gli uomini “negli esecrandi sistemi del
socialismo e del comunismo” e rischiano di sovvertire l’ordine civile. Questo è il risultato di
tutto ciò che è accaduto dopo Lutero, e dunque bisogna ritornare a prima della Riforma. Si
ripropone uno schema di lettura della storia in chiave controrivoluzionaria, e si sviluppa
una corrente “intransigente” in seno alla curia che sostiene vi sia una radicale
incompatibilità tra la Chiesa e la società contemporanea, le cui ideologie tentano di
emancipare l’uomo dalle direttive ecclesiastiche. Per gli intransigenti, dunque, la Chiesa
nel mondo contemporaneo è come una cittadella assediata da una società che vuole
distruggerla. Essi però sono convinti che, alla fine, la Provvidenza interverrà riportando
tutti all’obbedienza ecclesiastica e riconducendo la società sotto la guida morale del papa.
3.2 La civiltà cattolica
Alla diffusione di questa corrente contribuisce la Compagnia di Gesù, ordine ripristinato nel
1814. Dal 1850 essi iniziano a pubblicare un periodico in lingua italiana, La civiltà cattolica,
a cui contribuiscono eminenti e preparati gesuiti. Esso ha uno stretto rapporto col
pontefice, tanto che molte volte è il papa stesso a suggerire i temi da trattare, e ogni
numero prima della pubblicazione viene revisionato dalla Segreteria di Stato. Col tempo,
nascono anche altri periodici simili in Francia, Germania, Spagna… La linea della rivista è
chiara: nella libertà di stampa si condensano tutti i mali del mondo moderno, e la rivista,
con i suoi articoli, vuole sfruttare l’autorità della Chiesa per tornare ad un modello
medievale di vita cristiana.

3.3 L’Immacolata Concezione


Fin dal 1300, la tesi secondo la quale Maria è stata concepita senza il peccato originale è
stata oggetto di dispute tra francescani (favorevoli) e domenicani (contrari). In età
moderna, il papato non si è mai espresso in maniera chiara sulla questione. Mentre si
trova in esilio nel Regno delle Due Sicilie, Pio IX trova una corte borbonica che insiste
sulla devozione all’Immacolata come modo di sconfiggere le rivoluzioni liberali in atto. Il
papa è molto preso e istituisce una commissione teologica per occuparsi della questione
(1848). Al termine, con un’enciclica, egli invita il mondo cristiano a pregare Maria come
“l’Immacolata”. Tornato a Roma, nel 1852 istituisce una nuova commissione al fine di
individuare tutti gli errori del mondo moderno e le verità ad essi contrapposte. Il
ragionamento è molto complesso: il tratto tipico dell’uomo moderno è la deificazione della
ragione, che sul piano politico/sociale si traduce con una sempre maggiore richiesta di
autonomia. Ora però, con la proclamazione del dogma dell’Immacolata, si riconosce
l’incompletezza umana, dato che tutti (eccetto Maria) nascono con la macchia del peccato
originale. Dunque, la pretesa moderna di autodeterminarsi è completamente infondata. La
nuova commissione, alla fine, convince il papa a separare i due elementi che egli voleva
dividere: la proclamazione del nuovo dogma e la condanna degli errori moderni.
L’8/12/1854, a San Pietro, il papa proclama il nuovo dogma dell’Immacolata. Sebbene non
ci sia un riferimento diretto da parte del pontefice, in molti rimane la convinzione che ci sia
un’antitesi tra il culto dell’Immacolata e la modernità politica, tanto che quest’ultima è
spesso rappresentata come un serpente ai piedi di Maria.
3.4 La “rivoluzione” italiana
Nell’estate del 1857 Pio IX viaggia fino a Modena e Firenze, per rafforzare i legami politici
con i suoi vicini. In realtà però, in politica internazionale, lo Stato della Chiesa è visto con
diffidenza. Al Congresso di Parigi che chiude la Guerra di Crimea (1856), Camillo Benso di
Cavour convince tutti che ormai si tratti di un relitto del passato, la cui esistenza potrebbe
minare il mantenimento dell’ordine pubblico nella penisola. Nell 1858 a Plombiers, Cavour
e Napoleone III concordano un piano per sottrarre l’Italia all’influenza austriaca, creando
una confederazione sotto il controllo del pontefice. Le due guerre d’Indipendenza
(1859/60) portano ad una soluzione diversa: gran parte dei territori è annessa al Piemonte
(eccetto Triveneto e Lazio), nel 1861 si forma il Regno d’Italia e si proclama Roma come
futura capitale, oltre a introdurre lo Statuto Albertino. La reazione del papa è durissima:
chiede la restituzione dei territori a lui sottratti e emana una bolla di scomunica contro gli
usurpatori. Il papa vede nella costituzione di uno Stato unitario la volontà di ridurre, e
persino eliminare, l’influenza sociale e politica della Chiesa. E in effetti la proposta di
Cavour sui rapporti tra Chiesa e Stato tende al separatismo, convinto che ciò gioverebbe
anche alla Chiesa, libera da qualsiasi vincolo governativo nell’azione apostolica. Dopo la
sua morte, però, questa idea viene applicata con scarsa attenzione, e il papato trova
qualsiasi occasione per delegittimare il nuovo Stato nazionale. Lo scontro si acuisce
anche visti i continui tentativi garibaldini di rovesciare lo Stato pontificio, e raggiunge
l’apice con la pubblicazione del Sillabo.

3.5 Il Sillabo
Nel 1861 il pontefice nomina una nuova commissione al fine di redigere un documento che
raccolga tutte le deviazioni del mondo moderno. La bozza viene sottoposta al Sant’Uffizio,
che nel 1862 propone un parere assai cauto: considerate le difficoltà della materia,
bisognerebbe prima sottoporla agli ordinari diocesani. Essi, 225 in tutto, si recano a Roma
e i pareri sono contrastanti: su 150 risposte, circa 1/3 non è favorevole all’emanazione, e il
resto propone diverse modifiche. Al Congresso di Malines (1863) in Belgio, il cardinale
Engelbert Sterckx propone che i cattolici debbano servirsi delle libertà costituzionali per
difendere e diffondere la loro fede, ed è sostenuto dal conte Charles de Montalembert, che
invita la Chiesa a sfruttare le potenzialità insite nelle libertà moderne. Il contrasto con il
papa è chiaro, e Pio decide di affidare al giovane barnabita Luigi Maria Bilio il compito di
redigere il documento con gli errori dell’epoca moderna. Egli stila 82 proposizioni di errori
raggruppate in 10 paragrafi, sulla base delle precedenti censure della Chiesa: errori
filosofici, dottrine politiche, rapporti Chiesa/Stato, concezione della Chiesa… Nelle ultime 4
proposizioni, si condannano la libertà di espressione e di culto. Il testo è pubblicato nel
1864, e il significato è chiaro: solo ritornando ad assoggettarsi alla direzione ecclesiastica
la società civile può salvarsi, dopo essere sprofondata nell’abisso dovuto alla volontà di
autodeterminazione. Tuttavia, molti cattolici liberali, vista l’assenza di provvedimenti
formali, continuano comunque ad esprimere e diffondere la loro idea.
3.6 Il Concilio Vaticano I
Nel 1867 Pio IX prepara la convocazione di un nuovo concilio ecumenico, con un
regolamento assai rigido da seguire: solo al papa spetta la possibilità di proporre temi da
trattare, non è lecito intervenire spontaneamente nel dibattito. Alla fine, preoccupato dai
malumori che tale organizzazione potrebbe sollevare, il pontefice sottolinea come tali
procedimenti siano presi solo per velocizzare le procedure. La convocazione, emanata nel
1868, richiama, oltre ai vescovi residenziali e ai superiori degli ordini religiosi, anche i
vescovi titolari. L’assemblea si apre l’8/12/1869 e sono presenti 774 padri conciliari (più di
200 italiani) su circa 1000 aventi diritto. Nel 1870 viene approvata la costituzione Dei filius:
non esiste contraddizione tra dottrina religiosa e scienza (in caso di conflitto o la dottrina
non è stata ben compresa o si ha una falsa idea sulle conclusioni scientifiche) e le verità
possono essere raggiunte anche dalla ragione umana. Il reale motivo della convocazione
dell’assemblea, però, è stabilire l’infallibilità pontificia. Viene proposto un decreto, che è
poi sottoposto a varie modifiche. Il 18/7/1870 i 535 padri presenti votano all’unanimità il
Pastor aeternus: il papa è depositario di un primato di governo sulla Chiesa universale, è
infallibile (con alcuni limiti su forma e materia) e le sue definizioni sono dichiarate
irriformabili. Vengono liquidati sia il gallicanesimo ecclesiologico che politico, la Chiesa si
riorganizza in maniera verticistica, come una monarchia, con un solo sovrano al suo
comando. Ora lo scontro si sposta sul piano ideologico: se l’uomo moderno rivendica
libertà, la Chiesa ricorda che il cristianesimo consiste nella subordinazione all’autorità. A
fine ‘800 aumenta dunque la devozione nei confronti del papa, visto come la vittima della
rivoluzione, e ci si reca a Roma per andare in udienza da lui, e si diffonde sempre di più
l’idea che la sua voce sia la voce della stessa rivelazione divina.

3.7 La fine del potere temporale e l’isolamento della Santa Sede


Dopo il concilio ecumenico, scoppia la guerra franco-prussiana. Approfittando della caduta
di Napoleone III, il Regno d’Italia decide di procedere alla conquista di Roma. Pio IX non
accetta la resa militare, e dopo aver aperto una breccia in Porta Pia, un reparto di
bersaglieri entra a Roma e mette fine al potere secolare del papa (20/9/1870). A novembre
Pio emana un’enciclica con cui si dichiara in uno stato di prigionia e scomunica chi ha
occupato la città. Il governo risponde con le “leggi delle guarentigie”, assicurando la tutela
alla persona del papa ma separando i poteri di Chiesa e Stato. Il papa le rifiuta duramente
e con l’enciclica Ubi nos (1871) denuncia l’ipocrisia del governo e invita tutti i principi della
terra ad aiutarlo a ripristinare la sua condizione. Le potenze europee optano però per il
non-intervento: aiutando il papa, avrebbero avvallato il principio (enunciato nell’enciclica
Ubi nos) per cui il papa ha supremo potere sulla vita collettiva di tutti gli uomini. In
Germania, un gruppo di professori ha rifiutato le decisioni del Vaticano I sull’infallibilità,
creando una Chiesa vetero-cattolica. Bismarck, protestante, si è rifiutato di rimuovere i
professori, aprendo uno scontro con Roma. Lo scontro culmina quando Bismarck mette in
moto una dura repressione nei confronti della Chiesa, imponendo dure condizioni per i
candidati al presbiterato, lasciando molte sedi episcopali vacanti. Questa resistenza da
parte della comunità cattolica porta il governo tedesco ad attenuare la legislazione.
CAP. 4: LA MODERNIZZAZIONE DI LEONE XIII
4.1 La tesi e l’ipotesi
Nel 1878, alla morte di Pio IX, viene eletto papa Leone XIII. Più volte, in passato, aveva
espresso in alcune lettere pastorali una generica volontà di adattamento della Chiesa al
mondo moderno, motivo per cui la linea “intransigente” gli preferirebbe Bilio (autore del
Sillabo). E sono proprio gli ambienti intransigenti, dopo la sua elezione, a dimostrare
alcune rimostranze. Nonostante ciò, Leone XIII prevede una ristrutturazione della curia
romana, anche perché la fine del potere temporale ha reso diversi uffici privi di compiti
effettivi. Istituisce subito una commissione per dare vita alla riforma ma, viste le resistenze
suscitate, decide di mantenere la struttura istituzionale adottata dal predecessore.
Ovviamente non mancano gli aggiustamenti organizzativi. In particolare, si ricorda il
riordino della Congregazione dell’Indice: viene rivisto l’indice dei libri proibiti, attenuati i
divieti per la lettura, mitigate le pene spirituali e materiali. Per quanto riguarda
l’organizzazione curiale, per le questioni ritenute decisive Leone preferisce affidarsi a
commissioni temporanee composte da uomini di fiducia, piuttosto che a istituzioni
esistenti. Gli affari generali sono invece affrontati con un ristretto gruppo di collaboratori,
suoi fedeli fin dal tempo dell’episcopato. Il tema più innovativo rimane quello del rapporto
dei cattolici con la modernità. Anche per Leone è necessario ritornare ad un
cattolicesimo medievale per risolvere i problemi contemporanei, ma bisogna rimodulare
questa prospettiva in modo da renderla attraente per gli uomini moderni. Per questo inizia
un’opera di modernizzazione della Chiesa. Ad esempio, si organizza in modo
centralizzato l’informazione, cercando di creare una vera e propria agenzia di stampa. Ma
l’idea più interessante è il contrasto tra tesi e ipotesi. Per il pontefice, l’impegno dei
cattolici nella vita deve sempre mirare alla realizzazione della tesi (l’ideale cristiano
rappresentato dal modello dello Stato confessionale); ma, come tappa intermedia sulla via
del raggiungimento di questo obiettivo finale, si può accettare in via temporanea l’ipotesi,
ovvero le condizioni poste dagli ordinamenti liberal-costituzionali. Con l’enciclica Libertas
(1888) concede, infatti, ai cattolici di partecipare alla vita politica degli Stati che
riconoscono le libertà moderne, anche se li invita a non accettare la libertà di culto, ma
solo a tollerarla temporaneamente.
4.2 La modernizzazione politica
Dal punto di vista pratico, con due encicliche (1884-92) il papa invita i cattolici transalpini
ad abbandonare la prospettiva di restaurare una monarchia, a favore della creazione di
una Repubblica dove, in Parlamento, essi potrebbero votare leggi più favorevoli alla
Chiesa. Le sue richieste sono disattese, ma formano una giovane generazione di “abbés
democrates”, che introducono in ambienti cattolici una cultura politica democratica. Alla
base di questo orientamento vi è l’idea che i fedeli possano incidere nella vita pubblica, e il
partito rappresenta lo strumento per intervenire nella vita pubblica. Ma Leone XIII
sottolinea che spetta solo a Roma la decisione di prendere o meno la strada della
formazione di un partito. Ciò si riferisce inevitabilmente al rapporto tra Roma e lo Stato
italiano, con Leone che conferma la censura verso un’unificazione avvenuta a danno della
sovranità territoriale del papato. Dagli anni ’80, tuttavia, si moltiplicano gli ambienti
ecclesiastici favorevoli ad una conciliazione. In questo contesto, non solo Leone è
contrario alla formazione di un partito in Italia, ma non vuole che i cattolici partecipino alla
vita politica di uno Stato che la Santa Sede non riconosce. I fedeli sono invitati a
promuovere un intenso associazionismo civile e religioso. Ne è un esempio l’Opera dei
congressi, nata nel 1874 e caratterizzata dalla protesta contro i fatti compiuti nel processo
unitario. Essa inoltre sostiene che la soluzione della “questione romana” sarebbe l’unico
rimedio alla debolezza istituzionale italiana. La questione del partito è un problema anche
perché molto spesso gli ideali politici cattolici non coincidono, come accade col Zentrum in
Germania, che ribadisce la piena autonomia da Roma in più occasioni. All’interno
dell’Opera dei congressi si era formata una corrente, capitanata da Romolo Murri, che
promuoveva la formazione di un partito (la Democrazia Cristiana) per democratizzare le
istituzioni del Regno d’Italia e trasformare i rapporti economici in senso egualitario. Nel
1901 Leone li richiama con un’enciclica, ribadendo la loro dipendenza dagli ordinari locali.
4.3 La modernizzazione sociale
Anche per combattere i mali della rivoluzione industriale ed evitare la propaganda
socialista la Chiesa si rifà ad una nostalgia medievale: l’aggravamento delle condizioni
operaie è dovuto alla soppressione delle corporazioni di arti e mestieri avvenuta durante la
Rivoluzione, e si dovrebbero ricostituire questi organi. La corporazione medievale sembra
l’unica risposta ad un mondo del lavoro sempre più drammatico. Solo qualche raro
esponente cattolico ha idee diverse. Ad esempio, per il vescovo di Magonza von Ketteler
la corporazione ha progressivamente assunto la forma di un sindacato, simile ai trade
unions inglesi. Solo l’organizzazione sindacale, sostiene Ketteler, può tutelare i lavoratori
all’interno di questo nuovo mondo capitalistico. Nel 1855 nasce l’Unione di Friburgo, che
riunisce annualmente studiosi cattolici per la discussione dei problemi sociali. Nel 1891
Leone pubblica l’enciclica Rerum Novarum che tratta temi sociali riguardo le grandi
trasformazioni in atto (2° Riv. Industriale). Si sollecitano tutti i cattolici a intervenire senza
alcun timore nelle relazioni industriali, dal momento che solo la Chiesa può fornire una
soluzione ai problemi e ai mali che si sono creati. Nasce così una dottrina sociale della
Chiesa, e si delinea una “terza via”, in contrapposizione alle soluzioni liberali e socialiste.
Contro i socialisti, il papa rivendica l’intangibilità della proprietà privata, mentre a differenza
dei liberali egli sostiene la necessità dell’intervento statale nel mercato. Leone sollecita poi
i cattolici ad impegnarsi nella fondazione di associazioni che tutelino gli interessi dei
lavoratori: dei veri e propri sindacati di categoria cattolici, seppur con delle restrizioni.
Ovviamente, alla base di tutto c’è il richiamo alla cristianità: solo tornando all’obbedienza
cristiana si possono risolvere i mali sociali. Si crea, in seno alla curia, una
contrapposizione: da un lato gli “innovatori” (spesso legati alla Dem Cr) che si impegnano
nell’attivazione di sindacati e non escludono l’utilizzo di strumenti conflittuali; dall’altro il
settore più conservatore continua a favorire un associazionismo cattolico a carattere
corporativo. Essi si scontreranno a lungo.
4.4 La modernizzazione culturale
Anche dal punto di vista culturale, si cerca un ritorno al passato. Con un’enciclica del 1879
si assume la filosofia di Tommaso d’Aquino come base d’insegnamento in tutte le
istituzioni educative cattoliche, e i professori che la rifiutano vengono allontanati. Vengono
create nuove istituzioni, si promuove la diffusione dell’edizione critica delle opere di
Tommaso. Leone vuole costruire una base culturale unitaria, dalla quale partire per
ricostruire una solida cultura cristiana. Con una lettera del 1883 Leone conferma l’apertura
a tutti gli studiosi dell’archivio segreto vaticano e potenzia la Biblioteca Vaticana, al fine di
promuovere le ricerche storiche. Ovviamente, alla storiografia è affidato il compito di
giungere ad una glorificazione del passato; anche se il papa ricorda a tutti gli storici di
cercare di ricostruire esattamente ciò che è successo, avvicinandosi dunque alla moderna
scienza storica. In realtà, il mondo cattolico è abbastanza carente di uomini preparati per
svolgere studi storico-filosofici. Questo gesto di Leone, però, stimola gli studi storici anche
esterni al mondo ecclesiastico: vengono fondate diverse istituzioni per la pubblicazione dei
documenti dell’archivio, si affina la metodologia e nascono riviste di critica storica. Sorge
però un limite: la diffusione di tutti questi metodi porta alcuni ambienti a ritenere opportuna
l’applicazione della critica storica anche al Nuovo e Vecchio Testamento. Il papa interviene
con un’enciclica (1893) nella quale invita a prendere in considerazione solo la Vulgata
Latina e cercando di limitare la libertà interpretativa di chi si pone alle Scritture. Nel 1897 il
Sant’Uffizio pone un limite alla libertà d’indagine, vietando di mettere in dubbio l’autenticità
del “comma giovanneo”, un passo della Prima Lettera di Giovanni.
4.5 Dall’antigiudaismo all’antisemitismo
L’età leonina vede un certo adattamento alla modernità, e anche un passaggio
dall’antigiudaismo all’antisemitismo. La chiesa, fin dalla tarda antichità, ha espresso ostilità
nei confronti del “giudaismo rabbinico”, per una serie di convinzioni teologiche: gli ebrei
erano tutti colpevoli dell’uccisione di Gesù e dunque sul loro popolo è caduta una
maledizione, essi devono dunque scontare una punizione collettiva che li condanna ad
una dispersione senza ritorno, che la loro emancipazione sia la testimonianza visibile della
verità detenuta dalla Chiesa. Su queste convinzioni si fondano poi dei pregiudizi e
stereotipi di vario tipo, che per tutta l’età medievale/moderna hanno favorito
l’antigiudaismo a carattere religioso. Con la Rivoluzione, però, si diffonde l’idea di
uguaglianza dei cittadini indipendentemente dall’appartenenza religiosa, e ciò pone fine
all’emancipazione degli ebrei. Gli intransigenti cattolici, al posto di rivedere i propri
concetti, accusano gli ebrei per la nascita della modernità politica che ha dissolto la
società cristiana: dato che loro ne traggono vantaggio, non possono che esserne i
colpevoli. Questa teoria si unisce a quella del complotto: alla base dei cambiamenti
mondiali ci sarebbero delle logge composte da ebrei, i quali si servirebbero della
massoneria e dei movimenti liberali per distruggere la Chiesa. Non tutti gli intransigenti
supportano tali teorie, ma tutti sono convinti che la fine dell’emancipazione ebraica abbia
provocato grandissimi cambiamenti, e che dunque non si debba riconoscere loro gli stessi
diritti dei cristiani. Lo dimostra la ricezione, all’interno della Chiesa, del termine
“antisemitismo”, in una prospettiva aconfessionale, per indicare l’atteggiamento da tenere
verso gli ebrei. Ora li si considera su base culturale (come popolo) e non religiosa, e sono
una minaccia per la fede. Su questo tema, i cattolici trovano una certa convergenza con i
movimenti nazionalisti: basti pensare alla mobilitazione di molti cattolici francesi contro
Dreyfus, o la propaganda antisemita del partito cristiano-sociale austriaco. Nel 1900 Leone
si rifiuta di condannare apertamente l’antisemitismo.
4.6 La risemantizzazione delle devozioni
Il pontificato di Pio IX ha visto una grande politicizzazione dei culti: basti pensare al culto
dell’Immacolata o all’Apostolato della preghiera. Vi era la capacità di orientare i cattolici
attraverso le devozioni ad assumere le posizioni politiche di Roma. Leone XIII si assesta
sulla stessa linea, ed emblematico è l’esempio del culto di Giuseppe. Con un’enciclica
(1889) propone di seguire il modello di vita dell’artigiano di Nazaret, che diventa un
esempio di operaio sobrio, frugale, rispettoso della proprietà, contento del suo poco ma
comunque capace di rivendicare la giustizia salariale. Vi è poi il caso del Sacro Cuore. In
un’enciclica del 1899, stilata per il giubileo, la devozione al Sacro Cuore è presentata
come la via attraverso cui i fedeli devono riconoscere i poteri regali di Cristo (trasmessi poi
alla Chiesa da lui fondata) sull’intero regime umano. Vi è poi il caso del culto mariano di
Lourdes, incitato continuamente da Leone soprattutto dopo le apparizioni. Infine, il rosario
assume una grande valenza simbolica, dato che era legato alla vittoria della flotta cristiana
a Lepanto contro gli infedeli: per Leone, ottobre diventa il mese del rosario, ed egli
pubblica ben 11 encicliche che lo riguardano, sperando che questa pratica possa
nuovamente portare ad una vittoria cristiana contro i nemici della Chiesa.
4.7 Missioni, migrazioni, rapporti interconfessionali
Il papato di Leone corrisponde ad un intenso sviluppo del colonialismo europeo, come
testimoniato di due congressi di Berlino (1878-84/85) da cui Roma è però tenuta lontana.
Leone si concentra sull’incremento delle missioni, a cui dedica l’enciclica Sancta dei
Civitas (1880): il motivo è la paura dettata dall’aumento delle missioni protestanti. Il
papato, però, fatica ad inserirsi nei rapporti internazionali. Questo perché Leone
concepisce la missione come attività evangelizzatrice e civilizzatrice, sia religiosa che
politico-sociale. La missione deve diventare, dunque, elemento fondamentale del processo
coloniale. Se da un lato la Francia protegge le missioni cattoliche, dall’altro la GB (dove
vige la libertà di culto) non vuole concedere trattamenti di favore ad una dottrina piuttosto
che un’altra. Nel 1888 il governo brasiliano decide di abolire la schiavitù, e chiede al
papa di incitare il mondo a farlo. Leone l’anno successivo pubblica l’enciclica In plurimis,
dove presenta il cattolicesimo come fonte del progresso civile, fondato sul riconoscimento
della dignità umana, e che non conosce né schiavitù né crudeltà. In realtà però molti stati
guardano con diffidenza a questa scelta, e la ignorano. Un’altra questione interessa il
papa: la migrazione di lavoratori oltreoceano, dove, privi di assistenza religiosa, sono
lasciati alla mercé di idee socialiste. Nel 1888 invita, in un’enciclica, tutti i vescovi
nordamericani a moltiplicare gli sforzi per accogliere i migranti nelle loro diocesi, non
risolvendo il problema ma dando un chiaro segnale. Egli tenta di sanare le fratture con le
altre confessioni cristiane, invitando le Chiese orientali a tornare alla comunione con Roma
(1894) assicurando loro alcune prerogative, ma senza grande successo. Non va molto
meglio il tentativo di riconciliazione con anglicani.
CAP. 5: PIO X E LA CONDANNA DEL MODERNISMO
5.1 L’enciclica Pascendi Dominici gregis
Nel 1903 il conclave elegge papa l’allora patriarca di Venezia, Pio X. Si tratta di un uomo
con un profilo esclusivamente pastorale, privo di esperienze diplomatiche o esterne alla
sua regione natia. In realtà, le preferenze di molti cardinali erano dirette a Rampolla,
segretario di Stato di Leone XIII. Ma il vescovo di Cracovia, suddito dell’impero austro-
ungarico, ricorrendo ad un diritto concesso ai sovrani cattolici pone un veto su di lui, a
causa delle sue politiche filo-francesi. Alla fine, la scelta ricade su Pio X, che, come primo
provvedimento, rimuove il diritto di veto dei sovrani cattolici. È il primo di una lunga serie,
che punta a ricostruire la società cristiana, unico rimedio contro i mali moderni. In
quest’ottica si colloca la celebre enciclica Pascendi (1907). Con la modernizzazione
avviata da Leone XIII, molti studiosi cattolici avevano avviato ricerche sui testi sacri e le
Scritture, arrivando a formulare alcune conclusioni antitetiche alla dottrina tradizionale. Nel
luglio 1907 il Sant’Uffizio emana il decreto Lamentabili, dove condanna i “principali errori
del riformismo o modernismo”, citando 65 proposizioni che sono però sconnesse, senza
una visione compatta e unitaria. Per questo, Pio pochi mesi più tardi pubblica l’enciclica
Pascendi, presentandola come la sintesi di tutte le eresie. Divisa in 3 parti (dottrinale,
morale e misure disciplinari), parla del modernismo come di una corrente compatta, che
col pretesto di rinnovare la Chiesa mira in realtà a distruggerla. Quanti aspirano ad un
adeguamento della Chiesa ai tempi moderni, finiscono per accettare le definizioni del
papa, pur tralasciando il fatto che esse sono elencate in maniera semplicistica. I veri
“modernisti”, però, sostengono che la dottrina della Chiesa sia solo una delle varie
interpretazioni che si danno nel tempo alla verità cristiana, sempre irraggiungibile nella sua
interezza. In quest’ottica, essa si sottrae alle pretese di assolutezza della scienza
moderna. Si apre così la possibilità di dialogo tra Chiesa e mondo moderno. Inizia una
vera e propria repressione contro chi non concorda con le proposizioni del Pascendi
anche se con un notevole margine di arbitrio alla formulazione dei sospetti e delle accuse.
Si formano due poli all’interno della Chiesa: quello modernista e quello antimodernista.
Pio irrigidisce i provvedimenti: determina la scomunica automatica per chi contraddice il
Pascendi o il Lamentabili e introduce per molti ecclesiastici un giuramento
antimodernistico (1910), che rimarrà in vigore fino al 1967.
5.2 La razionalizzazione istituzionale
La condanna al modernismo non significa che Pio non voglia rinnovare alcuni aspetti della
Chiesa. Anzi, il pontefice è molto attivo: pone fine alla musica profana nelle cerimonie
religiose a favore del canto gregoriano (1903); riduce le feste religiose nel calendario per
dare più importanza alla messa domenicale; promuove una più intensa partecipazione alla
comunione, anche quotidiana; abbassa l’età della prima comunione a 7 anni. Nonostante
le innovazioni, non lo si può certo definire un papa moderno. Anzi, tutti i suoi decreti e la
riorganizzazione ecclesiastica mirano a combattere la modernità e la società moderna. Lo
testimonia la costituzione apostolica Sapienti consilio (1908), che ha l’obbiettivo di
razionalizzare l’apparato centrale della Chiesa: vengono assegnati determinati compiti a
ciascun dicastero e ufficio, cancellate le sovrapposizioni giurisdizionali, eliminate le
funzioni obsolete e burocratizzato il personale. Egli dota anche la Santa Sede di un
periodico (1909). Istituisce 11 congregazioni, 3 tribunali e 5 uffici. Particolarmente
importante diventa la Congregazione concistoriale. Il papa ne assume direttamente la
prefettura, e ha il compito di eleggere i vescovi, erigere diocesi e capitoli dei canonici e
vigilare sul governo delle diocesi e dei seminari. Essa diventa presto il vertice
dell’organismo curiale e il vettore della repressione antimodernista. Pio X diffida dalla
Segreteria di Stato, che considera troppo “politica”, e tratta gli affari più importanti
attraverso la sua segreteria personale. Nel 1917 viene pubblicato il Corpus iuris canonici.
Diviso in 5 libri (norme generali, persone, cose, procedimenti giudiziari, delitti e pene) fissa
le regole di comportamento per la Chiesa latina. L’intento è chiaro: al pari dello Stato
moderno, il papato afferma la sovranità su tutti i membri della Chiesa universale attraverso
la codificazione. La volontà di rendere il corpo ecclesiale omogeneo si riflette anche con
alcuni provvedimenti sulla catechesi.
5.3 Il problema della laicità
Nel 1905 la Terza repubblica francese, dopo aver espulso dall’insegnamento i cattolici,
emana una legge di ulteriore separazione tra Stato e Chiesa: maggiore libertà di culto (ci
si può anche dichiarare atei) e stabilisce la neutralità confessionale dello Stato (che non
avrebbe più finanziato, salariato o riconosciuto alcun culto), violando il Concordato con
Napoleone. Il papa reagisce duramente con una serie di encicliche e rifiuta qualsiasi
accomodamento. Il culto di Dio non può limitarsi alla sfera privata: dato che lui ha creato le
comunità politiche, esse devono rendergli onori pubblici e ufficiali. Inoltre, la separazione
tra Stato e Chiesa impedisce a quest’ultima di svolgere il suo ruolo di “suprema e sovrana
regolatrice dei diritti e doveri dell’uomo”. Pio rifiuta la laicità dello stato, e si scontra col
gruppo dirigente dell’Opera dei congressi (che viene poi sciolta) e condanna il movimento
francese Le Sillon, che aveva il compito di mobilitare i giovani cattolici. Il messaggio è
chiaro: in politica i cattolici sono soggetti alle disposizioni dell’autorità ecclesiastica.
5.4 La nascita dell’integrismo
In contrapposizione al modernismo, si sviluppa la corrente dell’integrismo, diffusasi grazie
a diversi periodici (come La corrispondenza romana a partire dal 1907). All’origine di
queste iniziative pubblicistiche vi è il sacerdote umbro Umberto Benigni. Insegnante di
storia ecclesiastica e sottosegretario della Congregazione per gli affari straordinari, è
convinto che serva un efficiente sistema di comunicazione per mobilitare in senso
antimodernista la società. Fonda dunque alcune testate giornalistiche (come La
corrispondenza) e l’associazione Sodalitium pianum, con l’obiettivo di raccogliere notizie
da pubblicare. Il primo articolo del programma dell’associazione (1913) mette le cose in
chiaro: “noi siamo cattolici romani integrali”. Centrale è l’aspetto “controrivoluzionario”, e
l’integralismo può dirsi un’evoluzione dell’intransigentismo, con cui condivide la critica alla
Rivoluzione, il fatto che essa voglia distruggere la comunità ecclesiastica. Secondo loro, la
Chiesa si trova doppiamente sotto attacco a inizio ‘900: dall’esterno (gli uomini moderni
che rivendicano libertà) e dall’interno (la corrente modernista). Questa idea è
accompagnata da una visione cospirazionista della storia, che richiama spesso i complotti
a guida giudaico-massonica. L’associazione ha due livelli: un primo, con una serie di
sezioni in tutta Europa e aperte a chiunque; e un secondo, una “segreta rete” chiusa
guidata da Benigni e i suoi compagni. Il loro compito è scovare chiunque non manifesti
pubblicamente il suo antimodernismo e fare il suo nome a Roma, indipendentemente dalla
sua posizione (anche vescovi o arcivescovi). Il Solidatium opera quindi come una sorta di
“polizia segreta” dedita a delazione e spionaggio. Con Benedetto XV si ridimensiona
l’attività dell’associazione, che è poi sciolta nel 1921, anche se fino alla morte (1934)
Benigni intrattiene una fitta rete di relazioni/corrispondenze e periodici, e tenta di formare
un’altra società.

CAP. 6: IL PROBLEMA DELLA PACE NELL’EPOCA DELLA GUERRA TOTALE


6.1 L’eredità del passato
Nel 1914 scoppia la Prima Guerra Mondiale, e si comprende subito che è qualcosa di
nuovo: una guerra “totale”, che coinvolge tutti gli Stati che mobilitano gran parte della
popolazione, combattuta con nuove tecniche e armi distruttive. La Chiesa vi si affaccia
attrezzata con la tradizionale dottrina della guerra giusta. Essa deriva dalle elaborazioni
teologiche di s. Agostino e s. Tommaso, volte a moralizzare la violenza bellica, ritenuta
inevitabile data l’inclinazione al male degli uomini, marcati dal peccato originale. Si
sviluppa in età moderna, e di solito è suddivisa in due parti: lo ius ad bellum (enumera le
cause che rendono lecita la dichiarazione di guerra) e lo ius in bello (stabilisce le modalità
di conduzione di guerra affinché rispetti i valori cristiani). A questa millenaria costruzione
dottrinale, negli ultimi decenni dell’Ottocento, si aggiunge un nuovo elemento. Si
diffondono i nazionalismi che, oltre ad aspirare alla costruzione di Stati unitari e
dipendenti, giungono a rivendicare la supremazia della nazione d’appartenenza sulle altre.
Leone XIII ritiene che questa situazione offra l’opportunità per restituire all’istituzione
ecclesiastica un ruolo direttivo sul consorzio umano. L’idea di base è che nella cristianità
medievale il papa abbia garantito una vita pacifica collettiva, dato che gli era assicurato il
potere d’arbitrato nelle controversie tra sovrani, il ruolo di “giudice dei popoli”. La linea di
Leone entra in conflitto con il pacifismo laico, che auspica l’abolizione della guerra
tramite organizzazioni multilaterali tra gli Stati nazionali. Leone, però, trova un inaspettato
successo: nel 1885 Bismarck chiede la mediazione pontificia per un conflitto con la
Spagna per la sovranità sulle isole Caroline. Nonostante l’esito positivo dell’operazione,
però, il papato non viene ammesso alla Conferenza internazionale all’Aja (1899) con i
diplomatici delle maggiori nazioni del mondo, che istituisce un tribunale internazionale. Nel
frattempo, Leone XIII aggiorna la posizione di Roma sul rapporto tra cattolicesimo e
nazione. Lo fa con un’enciclica del 1890, dove dichiara che l’amore per la Chiesa deve
venire prima di quello per la patria, ma è comunque dovere del cittadino sacrificarsi per la
sua patria. In questo modo, apre all’organizzazione dei cattolici in partiti politici. I cattolici
iniziano ad avvicinarsi agli ambienti più intrisi di nazionalismo, per i quali ogni diversità
(religiosa, etnica, linguistica) interna ad una comunità nazionale è un disvalore, e non può
condurre alla tanto desiderata compattezza. Una coesa “nazione cattolica” diventa dunque
l’ottica su cui si cerca di convergere. La beatificazione di Giovanna d’Arco (1909) dimostra
come ormai Roma conceda piena legittimazione alla prospettiva di un patriottismo
cristiano. Allo scoppio della WW1, dunque, il papato si trova a dover esprimere un giudizio
in base ad una complessa eredità culturale e politica.
6.2 Benedetto XV tra guerra giusta e crociata
Pochi mesi dopo lo scoppio della guerra, viene eletto papa Benedetto XV: di nobile
famiglia genovese e formato nei migliori istituti educativi di Roma, ha percorso la carriera
ecclesiastica nella diplomazia vaticana, allineandosi alla posizione della Santa Sede nel
rifiuto di considerare l’invasione in Libia come una guerra santa. Nel novembre 1914
pubblica subito un’enciclica: ribadisce i comportamenti dei modernisti, ma allo stesso
tempo censura alcuni comportamenti integristi, oltre a ribadire la difficile situazione della
Santa Sede, che viene già esclusa dall’Italia e dall’Intesa dalle future trattative di pace al
momento dell’entrata in guerra. Al centro dell’enciclica, comunque, vi è la questione della
guerra: il pontefice riprende la secolare tradizione teologica che individua nella guerra il
castigo inviato da Dio agli uomini per punirli dei loro peccati. A ciò, però, aggiunge un
nuovo elemento, dettato da idee intransigenti. Oltre ai tradizionali peccati individuali, ve n’è
uno collettivo molto più grave: l’apostasia della società moderna dalla Chiesa cattolica,
iniziata con la secolarizzazione post-Rivoluzione francese e che ora è sfociata nell’uso di
terribili armi di distruzione. Se la guerra è un flagello della modernità, la pace diventa
l’inevitabile conseguenza del restauro della guida ecclesiastica. Questa visione della
guerra permette di prendere le distanze dalla sua sacralizzazione, basata sulla religione
politica della nazione. Questa sacralizzazione, diffusa negli ambienti nazionalisti, inizia a
coinvolgere anche alcuni cattolici, che vedono la guerra come una crociata voluta e
benedetta da Dio, e la morte sul campo come un martirio. Su queste visioni convergono
sia intellettuali che figure di primo piano (cardinali, arcivescovi). La presentazione del
conflitto da parte del papa, se evita la divinizzazione della nazione, non implica una
delegittimazione della partecipazione dei cattolici ad esso: agli occhi di Roma, l’impegno
bellico dei fedeli costituisce un mero dovere politico, un esercizio della virtù di obbedienza.
Da questo punto di vista, sembrerebbe quasi una legittimazione. Il papa in realtà fa quanto
possibile per arrestare o alleviare il massacro: invita alla tregua in trincea per il Natale
1914, sollecita l’avvio di negoziati nel 1915, mobilita la capillare rete ecclesiastica per
attivare forme di assistenza e carità per aiutare militari e civili. Egli invia anche tre
suppliche al sultano Mehmet V per chiedere di fermare il genocidio degli armeni. Il papa
sottolinea che se anche i cattolici sono tenuti a combattere per obbedire all’autorità, non
devono dimenticare che la pacificazione tra le parti è un fine sempre da inseguire per un
credente.
6.3 L’”inutile strage”
Man mano che il massacro diventa evidente, si differenziano le posizioni in seno alla
Chiesa. Solo da ambienti molto ristretti si manifestano opposizioni verso la sua
legittimazione religiosa, mentre il nucleo integrista non è certo contrario a santificarla. Del
tutto isolate sono posizioni che ritengono incompatibili autentica fede cristiana e
partecipazione alla guerra (es. il barnabita Alessandro Ghignoni). La grande maggioranza
dei cattolici è allineata all’idea di obbedienza agli ordini dell’autorità. In questo contesto, i
cattolici dei vari Stati rispondono al richiamo all’unità politica: in Italia, ad esempio, nel
1916 per la prima volta un esponente cattolico entra nel governo. Il messaggio del papa,
però, sembra essere mal interpretato: alla sottomissione al potere si sostituisce spesso
l’esaltazione del fattore religioso per il conseguimento della vittoria. Alcune volte si esalta il
soldato cattolico non perché obbediente, ma perché la sua fede stimola le virtù eroiche.
Altri sacralizzano la guerra e definiscono martiri i caduti. La linea del papa non trova molto
riscontro, e in questo contesto si può collocare il mutamento di pensiero avvenuto con la
nota ai capi delle nazioni belligeranti (1917). Vari fattori intervengono nella sua
composizione (il conflitto prosegue senza che si profili un vincitore, timore di un esito
sovversivo della Rivoluzione russa…) ma il motivo principale è uno: ribadire il nesso tra
cristianesimo e pace di fronte ad un monto cattolico sempre più permeato di bellicismo.
Certo, il papa non rinuncia a porsi sopra le parti in causa e ribadire la supremazia politico-
morale di Rom, ad esempio elencando i principi che avrebbero dovuto garantire una pace
duratura: disarmo, istituzione dell’arbitrato per la risoluzione di dispute tra gli Stati,
definizione dei futuri assetti europei sulla base dell’aspirazione dei popoli, ecc… Alla fine,
però, sottolinea “la guerra ogni giorno apparisce più inutile strage”. La dottrina papale
sostiene che spetti alle autorità dichiarare guerra e che si debba obbedire, ma descrivendo
la guerra come “inutile” gli ordini non appaiono più giustificabili sul piano etico, e dunque i
cattolici non sono più tenuti ad obbedire. Bisogna però ricordare che il messaggio è
indirizzato, più che alle popolazioni, alle cancellerie dei vari stati, e che quindi il conetto di
“strage inutile” sia stato inserito più come un messaggio implicito, una sfumatura. Il
pontefice sembra voler ricordare alle autorità civili che se non dovessero ascoltare il suo
invito a deporre le armi, egli avrebbe sempre uno strumento per ottenere l’obbedienza e
raggiungere la pace, rivolgendosi direttamente ai cattolici. Il passo del pontefice non ha
alcun esito tra i diplomatici delle potenze belligeranti, e anche nelle chiese nazionali si
registrano casi di disobbedienza al papa. D’altro canto, Benedetto non si espone più (dato
anche l’insuccesso del suo messaggio) e le sorti della guerra, tra ’17 e ’18 sembrano
ormai definite. In questo quadro, la Santa Sede ripropone la visione tradizionale della
guerra giusta, ad esempio non pubblicando un’enciclica di denuncia dei bombardamenti
aerei.
6.4 Pacem Dei munus pulcherrimum
Come voluto dall’Italia, la Santa Sede viene esclusa dalle trattative di pace di Parigi. Una
questione, però, porta al coinvolgimento di Roma: le missioni nelle colonie tedesche. Gli
inglesi vorrebbero allontanare i missionari tedeschi e devolvere le loro proprietà ad alcuni
enti umanitari internazionali, per evitare che possano essere un vettore di diffusione per
l’influenza politica della Germania in quelle aree; la Santa Sede rivendica il possesso di
quelle proprietà in base al Codice di diritto canonico. Per la Chiesa, si tratta di far
riconoscere i propri diritti sul piano internazionale, di essere riconosciuta come soggetto
politico dalle potenze mondiali. Inoltre, Benedetto era particolarmente impegnato nel
governo delle missioni: vuole affermare l’indipendenza di Roma dagli stati coloniali,
istituisce delegazioni apostoliche per Australia, Nuova Zelanda, Tasmania e Giappone
(1914-17). Nel 1917 crea la Congregazione per le chiese orientali, per gestire le missioni
nei territori tradizionali (Medio Oriente, Europa Orientale, Africa). L’attenzione del papa si
rivolge a evitare una stretta identificazione tra cattolicesimo e latinità, e ciò è evidente con
la concessione dell’autonomia alla comunità ecclesiastica greco-cattolica (1919). Il papa
esprime le sue opinioni riguardo la materia missionaria nell’enciclica Maximum illud
(1919): ribadisce la dipendenza delle opere missionarie da Roma, richiede ai missionari
indipendenza dalla nazione di provenienza e sostiene la necessità di formare un clero
indigeno. La Sede aveva inviato monsignore Ceretti alla conferenza di Parigi per risolvere
la questione delle missioni tedesche, ma anche per uno scopo segreto: intavolare un
dialogo col primo ministro italiano per trovare una soluzione alla questione romana. I due
si incontrano in un hotel, e sono concordi sulla necessità di trovare una soluzione. Si
prospetta l’idea di riconoscere al papa un piccolo territorio sul quale possa avere piena
autorità. Vittorio Emanuele III, però, blocca le trattative. La conferenza di Parigi lascia
aperto un altro problema: la situazione di Gerusalemme e i luoghi santi. Nel 1920 si era
affidato al Regno Unito un mandato in Palestina. Benedetto XV espresse i propri dubbi sia
per l’intensa attività dei missionari protestanti, sia per l’ingente affluenza di ebrei in Terra
Santa. Agli occhi del pontefice, la conferenza di Parigi lascia aperto anche il problema più
generale della pace: i trattati sono stati firmati solo dai vincitori, e c’è il rischio che si
riaprano le ostilità. La società delle Nazioni, istituita nel 1919 col compito di mantenere la
pace, si rivela inefficace. In questo contesto, sul tema della pace il pontefice pubblica il
Pacem Dei… (1920). Qui rivendica l’opera di pacificazione tentata dal papa durante il
conflitto, invita a perdonare le offese e a riconciliarsi e, anziché invocare il ritorno ad una
società cristiana, il papa sottolinea il supporto alla Società delle Nazioni. È un netto
spostamento rispetto all’ottica intransigente: la pace è un dono divino, ma per mantenerla
serve la cooperazione degli uomini.

6.5 Pio XI e “la pace di Cristo nel regno di Cristo”


Nel 1922 viene eletto Pio XI, il quale ha alle spalle una lunga carriera ecclesiastica con
diversi incarichi di rilievo. La sua adesione alla cultura più intransigente è cosa nota, anche
se dal punto di vista degli atteggiamenti politico-diplomatici egli dimostra di voler dare
continuità al suo predecessore. Ciò è testimoniato dall’invio di un rappresentante alla
conferenza di Genova (1922), voluta dagli inglesi per affrontare i problemi del dopoguerra.
La presenza dell’Unione Sovietica al congresso fa storcere il naso ad alcuni ambienti
ecclesiastici per la scelta del papa. Egli, però, sostiene che Roma non possa sottrarvisi. La
conferenza, però, non ottiene alcun effetto concreto. A fine 1922 Pio pubblica l’enciclica
Ubi arcano Dei: sottolinea come la pace, dopo 4 anni dalla fine del conflitto, non sia
ancora ritornata, a causa del fatto che gli uomini hanno ricostruito la loro vita in maniera
autonoma, senza riconoscere che solo il rispetto delle leggi stabilite da Dio può assicurare
ordine e pace. Se si vuole ristabilire la pace, occorre restituire alla Chiesa il potere di
arbitrato di cui aveva goduto nel Medioevo. Il sostegno di Benedetto XV alla Società delle
Nazioni viene quindi abbandonato a favore della riproposizione del modello di società
cristiana medievale. Non mancano nel corso degli anni personalità cattoliche che rifiutano
questa visione, come gli 8 teologi che pubblicano il “Documento di Friburgo” (1932), nel
quale si proclama il dovere morale di tutti i cattolici di aderire alla Società delle nazioni. Pio
XI, però, non viene toccato da queste critiche, ed è convinto a ritornare ad una linea più
intransigente, riassunta con “la pace di Cristo nel regno di Cristo”. Nel 1925 egli rafforza
ulteriormente la sua linea con l’enciclica Quas primas: introduce per l’ultima domenica di
ottobre la celebrazione della nuova festa di Cristo, invita alla costruzione di una società
soggetta alla sovranità di Cristo, ricorda l’antitesi tra il regno di Cristo e “la peste del
laicismo” (dove il cattolicesimo è uguale ad ogni altra religione), sostiene la necessità di
evitare parità giuridica tra le religioni e libertà religiosa. Condanna, inoltre, quei regimi
dove vige, come ordinatore della vita pubblica, “la religione dell’irreligione”. La critica, non
troppo velata, è rivolta al comunismo.
6.6 Regno sociale di Cristo e nazionalismo
Per il papa, gli ostacoli al regno di Cristo sono dunque le grandi correnti del dopoguerra:
comunismo, liberal-democrazia e nazionalismo. Per quanto riguarda l’ultimo, Pio
distingue un giusto amor di patria (che segue i dettami cattolici) e un “immoderato
nazionalismo”. Sono dunque possibili convergenze tra cattolicesimo e nazionalismo, ma
solo quel nazionalismo che implichi la religione cattolica come tratto essenziale
dell’identità di un popolo. Liberal-democrazia e comunismo, invece, sono considerati
incompatibili alla formazione del regno di Cristo.

PARTE III: IL CONFRONTO CON LE MODERNITA’ POLITICHE (1926-58)


CAP. 7: ALLA RICERCA DI UN NUOVO BRACCIO SECOLARE
7.1 La convergenza col fascismo
La convergenza tra Chiesa e nazionalismo si sperimenta per la prima volta in Italia. Qui
Benito Mussolini ha maturato la convinzione che l’appoggio della Chiesa è fondamentale:
all’interno, per ottenere consensi in un paese a stragrande maggioranza cattolica;
all’esterno, in vista della diffusione del cristianesimo, per rilanciare l’Italia. Nel periodo
1922/26, dunque, vi sono una serie di misure a favore della Chiesa: introduzione del
crocifisso in tribunali, scuole e caserme; obbligo d’insegnamento religioso alle primarie;
pacificazione tra istruzione pubblica e cattolica privata; introduzione del reato di vilipendio
alla religione cattolica… La Chiesa apprezza questi interventi, e dal canto suo asseconda
la formazione del regime dittatoriale di Mussolini. Si manifesta sempre di più la possibilità
di un accordo. Vi sono, però, alcune difficoltà e tensioni. Nel 1926 il papa dedica
un’enciclica al settecentesimo anniversario della morte di Francesco d’Assisi. Anche
Mussolini la ricorda, decretando la data dei festeggiamenti, ed esaltando la figura del
santo che possiede i tratti costitutivi del genio italiano, tutto proteso alla conquista di nuovi
mondi. La strumentalizzazione della figura di Francesco da parte di Mussolini cozza con la
visione del papa, che nell’enciclica ne prende le distanze. In realtà, però, la Chiesa
approva la valorizzazione del santo come modello esemplare dell’identità italiana. Così
Chiesa e regime organizzano, il 4/10/1926, una solenne celebrazione ad Assisi, che per la
prima volta unisce un legato vaticano e un rappresentante del governo italiano. Ciò
evidenzia come Pio XI voglia intervenire nella vita politica degli anni ’20. L’obbiettivo della
Chiesa è realizzare il regno sociale di Cristo, un regno con ordinamenti di tipo ierocratico.
Si può ricorrere, almeno temporaneamente, all’accordo con le forze politiche nazionaliste,
a patto che non assolutizzino la patria e la elevino a religione di Stato. La convergenza è
determinata dal fatto che, nel primo dopoguerra, cattolicesimo e nazionalismo hanno gli
stessi nemici: il socialismo-comunismo e l’esaltazione dell’individualismo da parte dei
democratici liberali.
7.2 La condanna dell’Action Francaise
Nel 1926 sembra profilarsi un ostacolo nella collaborazione Chiesa/nazionalismi. Il papa,
infatti, condanna la rivista L’Action Francaise, organo di stampa di un movimento di
“nazionalismo integrale”, che vorrebbe un ritorno alla monarchia cattolica, considerata
tratto formativo della nazione. Il loro leader, Maurras, si dichiara agnostico e sostiene
l’autonomia della politica dalla morale. Già Pio X aveva preparato una censura per alcune
sue opere, poi sospesa (1914). Dopo la WW1, la Francia ripristina le relazioni
diplomatiche con la Santa Sede. In Francia, però, la vittoria del blocco delle sinistre porta
ad un aumento di consensi nei confronti dell’Action e il papa decide di condannare il suo
leader e i suoi periodici, ottenendo larghe resistenze nella curia transalpina e nel mondo
cattolico. Il papa censura la strumentalizzazione della religione, la proclamazione
dell’autonomia della politica dalla religione, la sottomissione a dirigenti agnostici o atei.

7.3 I patti lateranensi


La convergenza tra Chiesa e regime fascista culmina con la firma dei Patti Lateranensi
(1929), divisi in 3 documenti: lo Stato italiano riconosce la sovranità del papa sulla Città
del vaticano e il papato riconosce la sovranità del governo sull’Italia, si prevede un
versamento da parte del governo italiano come risarcimento per l’occupazione dei territori
del papa, e si disciplinano i rapporti Stato/Chiesa. Nel primo articolo si proclama la
religione cattolica come l’unica dello Stato, e ciò conferisce alla Chiesa diversi benefici: dal
punto di vista dell’istruzione scolastica (insegnamento religione nelle scuole); della
disciplina matrimoniale e nel settore degli enti religiosi (detrazioni fiscali); del clero
(esenzione dalla leva militare, speciale trattamento in caso di condanna penale). In cambio
la Chiesa si impegna a proporre per il governo di diocesi e parrocchie ecclesiastici graditi
al potere civile, e che prestino giuramento di fedeltà al governo. Se da parte del papato vi
è grande soddisfazione e si vede nel fascismo il modo di ricattolicizzare il paese, Mussolini
tende a ridimensionare la portata degli accordi. La tensione esplode di nuovo nel 1931,
quando le organizzazioni di Azione Cattolica vengono accusate di prepararsi a costituire
un partito alternativo a quello fascista, e le squadre fasciste intervengono su sedi e
persone cattoliche. Mussolini, inoltre, scioglie alcune associazioni confessionali. Il papa
risponde con un’enciclica dove condanna la violazione dei diritti attribuiti alla Chiesa dal
concordato. Mussolini, conscio dell’influenza cattolica, decide di scendere a patti: limita le
libertà di Azione Cattolica ai contesti educativi e ricreativi.
7.4 L’accordo con i fascismi europei
Nonostante i punti di divergenza, molte Chiese nazionali, spaventate dalla loro posizione
emarginate, tentano di raggiungere un accordo con i governi nazionalisti disponibili ad
attuare misure che si avvicinino al modello di Stato confessionale. In questo contesto si
colloca il supporto della Chiesa ai regimi nazionalisti sudamericani, come nel caso del
colpo di Stato in Argentina (1943) e poi la dittatura peronista (1946). In Portogallo, si
instaurano buoni rapporti col generale Carmona dopo il suo colpo di stato (1926). Quando
sale al potere Salazar (1932), egli introduce una nuova costituzione che è una
commistione tra ideologia fascista e dottrina sociale cattolica. Alla Chiesa vengono
accordati specifici privilegi, allargati poi nel concordato del 1940, e la Chiesa fu un apporto
fondamentale alla dittatura di Salazar, durata fino al 1968. In Austria un membro del partito
cristiano-sociale, Engelbert Dollfus, raggiunge la cancelleria nel 1932 e, due anni più tardi,
assume poteri eccezionali e emana una costituzione “tedesca e cristiana”. Al suo interno
incorpora anche il concordato con la Santa Sede del 1933, modellato sui patti Lateranensi.
Egli viene però assassinato poco dopo. In Spagna, le truppe di Franco si sollevano contro
il governo di sinistra del Fronte Popolare (1936). Inizialmente, i franchisti sono su posizioni
separatiste, ma poi sottolineano l’importanza della riaffermazione del cattolicesimo per
restaurare una Spagna forte. Lo stesso Francisco Franco ostenta in pubblico il suo
orientamento cattolico. Nel 1937 i vescovi spagnoli, con una lettera, legittimano la sua
insurrezione militare, che si deve schierare contro le barbarie comuniste. La Santa Sede
invia un incaricato d’affari presso il governo di Franco e lo riconosce nel 1938. Nel 1941
viene siglato un accordo tra Roma e Madrid per regolamentare la scelta dei vescovi. La
tendenza della Chiesa a supportare il nazionalismo è evidente nel 1935, quando la Santa
Sede è la prima a manifestare pubblicamente entusiasmo per l’invasione dell’Etiopia, nella
speranza di diffondere la civiltà cattolica e romana.
CAP. 8: IL GOVERNO DELLA CHIESA UNIVERSALE
8.1 La morale sessuale e matrimoniale
In un’enciclica del 1929 il pontefice condanna l’insegnamento dell’educazione sessuale
nelle scuole. Si pongono poi altre questioni. Si inizia a diffondere una certa legittimazione
del divorzio oltre che i “matrimoni di prova” negli USA. In molti all’interno della Chiesa
(come il parroco Matthias Laros di Treviri) sostengono che la Chiesa debba trovare nuove
risposte, più adatte ai tempi che corrono. Il papa risponde a chi sostiene queste posizioni
con un’enciclica (1930) nella quale dichiara che la Chiesa è la suprema autorità e trae le
norme morali dalla legge naturale, e queste devono essere rispettate da tutti, in ogni luogo
e tempo. Il matrimonio ha come scopo principale la procreazione e l’educazione dei figli, e
ne consegue una condanna inappellabile degli “errori moderni” quali divorzio, aborto,
pratiche anticoncezionali.
8.2 La dottrina sociale
Il papa si occupa anche della questione sociale. Eleva all’onore degli altari alcune figure di
“santi sociali” che nell’’800 si sono distinte per carità, virtù, soccorso ai meno fortunati.
Canonizza Giuseppe Cottolengo (1934, fondatore di alcune congregazioni per
l’accoglienza ai malati), Giovanni Bosco (fondatore dei salesiani) e altri. Nel 1920 viene
fondata la Confederazione internazionale dei sindacati cristiani. Nel 1931 il papa emana
un’enciclica con la quale tenta di delineare la “dottrina sociale” della Chiesa. Egli afferma
che la Chiesa, al contrario di capitalismo e socialismo, possiede una proposta in grado di
risolvere i problemi del presente. Bisogna raggiungere la giustizia sociale. Pur ribadendo
l’esigenza di rispetto della proprietà privata, la sua funzione sociale può richiedere una
collettivizzazione dei beni quando si accumulano ricchezze nelle mani di una sola persona
e ciò può nuocere al bene comune. Si sottolinea poi che il “giusto salario” per un
lavoratore è quello che gli permette di mantenere non solo sé stesso, ma anche il suo
nucleo familiare. Si riconosce la legittimità morale delle associazioni sindacali. L’obiettivo
dell’enciclica è chiaro: mostrare una “terza via” cattolica tra il capitalismo e il socialismo.
8.3 I nuovi mezzi di comunicazione di massa
Nel 1932 Pio XI pubblica l’enciclica Caritate Christi compulsi, nella quale sottolinea che il
comunismo si diffonda grazie ai mezzi di comunicazione di massa: radio, cinema,
grammofono. Egli pone dunque l’attenzione su un argomento non scontato: i nuovi media.
Il papa ha già chiesto a Marconi di preparare una stazione radio in Città del Vaticano, che
viene inaugurata nel 1931 e la cui direzione è affidata alla Compagnia di Gesù, che
trasmette programmi in varie lingue su 3 temi principali: meditazione, notizie, conferenze.
Pio XI scrive anche la prima e finora unica enciclica sul cinema (1936), indirizzata negli
USA e che contiene apprezzamenti sulle autocensure compiute per mantenere la moralità
delle pellicole. Egli sostiene che un così potente mezzo di comunicazione possa essere
utile alla Chiesa, e tenta di controllarla, anche se i tentativi si riveleranno inefficaci.

CAP. 9: UNA CHIESA TOTALITARIA PER AFFRONTARE IL TOTALITARISMO?


9.1 L’enciclica mancata sull’antisemitismo
Negli anni ’20 si registra, nel mondo cattolico, un ritorno dell’antisemitismo, dovuto a
diverse ragioni: le migrazioni di gruppi di ebrei sionisti in Terra Santa; la presenza di
dirigenti ebrei nei gruppi comunisti. Inoltre, i gruppi integristi continuano a diffondere le
teorie secondo le quali gli ebrei guidano una cospirazione mondiale sfruttando la
massoneria, i comunisti e i liberal-democratici. Il fondamentale documento portato a
sostegno di questa tesi viene scoperto essere un falso clamoroso già nel 1921, ma
continua a diffondersi e ad essere utilizzato dai principali fautori dell’antisemitismo. Negli
ambienti cristiani, però, vi sono ancora uomini che esprimono idee contrarie. Alcuni
influenzati dai Lumi sono contrari ad una generalizzazione di stereotipi contro gli ebrei, altri
si chiedono se la resistenza degli ebrei alla conversione (la “dura cervice”) non sia
causata dall’atteggiamento ostile dei cristiani: su questa strada si muove la Società degli
amici di Israele, fondata a Roma nel 1926. Essa propone, nei rapporti con gli ebrei, di
abbandonare la millenaria inimicizia e fondare relazioni basate su rispetto, comprensione,
dialogo e fratellanza. Propone dunque di abbandonare il linguaggio denigratorio e le
calunnie superstiziose, e accantonare tesi infondate. Il Sant’Uffizio interviene nel 1928
imponendo lo scioglimento dell’associazione e disapprovando un atteggiamento più
benevolo con gli ebrei. A bilanciare questo aspetto, Pio XI afferma anche la necessità di
ripudiare “l’odio contro un popolo eletto da Dio”. In realtà, si rigetta solo l’antisemitismo
ritenuto “anticristiano” (basato su odio persecutorio) ma rimane legittima una sorta di
“segregazione amichevole”. Con l’avvento del nazismo, però, si inizia a ripensare a questa
distinzione. Il filosofo Jacques Maritain sottolinea l’antitesi tra cristianesimo e
antisemitismo (1937), seguito da monsignore Ernesto Ruffini. Roma affronta direttamente
l’argomento solo nel momento della pubblicazione delle leggi razziali: Pio XI sollecita
Mussolini a non seguire la strada tracciata dalla Germania. Non sortendo alcun effetto,
Roma accusa le leggi matrimoniali contro gli ebrei di violare i Patti Lateranensi, oltre al
fatto che le leggi razziali vadano a colpire anche i convertiti. Alla fine, si giunge ad un
accordo, una mediazione: la Chiesa si sarebbe astenuta dal manifestare il proprio
dissenso in cambio dell’utilizzo di “onesti criteri discriminativi”, ovvero simili a quelli
utilizzati anche dai papi romani contro gli ebrei. Pio XI, comunque, non è contento, e in un
discorso pronuncia la frase “non è possibile per i cristiani partecipare all’antisemitismo”. In
realtà la Chiesa, pur rifiutando il nazismo e il suo razzismo biologico, continua a
mantenere un certo atteggiamento discriminatorio verso gli ebrei, considerati un possibile
pericolo per la Santa Sede. Man mano che le leggi antiebraiche vengono emanate, la
Chiesa emana diverse note diplomatiche che accusano la violazione del Concordato. In
realtà, esse sembrano voler tutelare i diritti della Chiesa più che condannare le leggi
razziali, considerate accettabili. Pio XI sembra scostarsi da queste posizioni, tanto da
affidare ad un gesuita il compito di redigere un’enciclica sull’unità del genere umano e
l’antisemitismo. Esso però arriva a Pio mentre il pontefice è sul punto di morte, e il
successore lo manda in archivio. In quest’enciclica mai pubblicata si condannano
razzismo e antisemitismo in tutte le forme, in quanto incompatibili con la dottrina della
Chiesa. Il riserbo papale per le legislazioni razziali in Italia si manifesta durante il discorso
al concistoro, che Pio XI tiene nel 1938, dove manifesta preoccupazione per il diffondersi
di violazioni del concordato e leggi razziali. Ciò irrita notevolmente il governo italiano. Il
pontefice avrebbe dovuto tenere un altro discorso nel febbraio dell’anno successivo, per il
decennale del Concordato, ma muore prima. In questo discorso, come testimoniato da
appunti preparatori, vi sarebbe stata una critica del regime fascista.
9.2 Tra nazismo e comunismo
Nel 1938, ricevendo a Castel Gandolfo una delegazione di pellegrini francesi, Pio XI tiene
un discorso dove esprime la sua posizione sul totalitarismo. Già in precedenza aveva
trattato il tema, sostenendo che lo Stato poteva assumere un carattere totalitario solo in
quegli ambiti di vita collettiva che la Chiesa non riconosce come suoi campi d’azione. In
Germania, l’episcopato aveva inizialmente vietato il sostegno al partito nazionalsocialista
per le sue idee anticlericali e anticristiane. Ma parte del Zentrum, spaventata da una
possibile rivoluzione bolscevica, favorisce l’ascesa di Hitler alla cancelleria. Il Fuhrer, salito
al potere, abbandona l’anticlericalismo e proclama l’importanza delle chiese cristiane per
la rinascita tedesca. Nel 1933 viene dunque siglato un concordato, simile a quello italiano,
con notevoli vantaggi per la Chiesa. In realtà, ben presto iniziarono ad apparire misure
restrittive, come la chiusura delle scuole cattoliche, vessazioni contro gli ordini religiosi
ecc. Tutto ciò si iscrive nell’orizzonte della realizzazione di uno Stato totalitario.
L’intervento di Pio XI nel 1938 marca una presa di coscienza rispetto al rilievo assunto dal
fenomeno del totalitarismo nella società contemporanea. Il pontefice sostiene che la
proposta di uno “Stato totalitario” rappresenti una falsità, dato che si attribuisce allo Stato il
compito di disciplinare tutti gli aspetti della vita dell’individuo, compresi quelli spirituali e
religiosi. Egli non mette in discussione il totalitarismo, ma sostiene che la sua autentica
realizzazione si possa trovare solo nella Chiesa. L’intervento arriva alla fine di un lungo
processo, iniziato nel 1934, nel quale una commissione è stata incaricata di presentare un
testo di denuncia dei totalitarismi, sia fascista, che nazista, che comunista. Nel 1938 si
presenta la bozza del Sillabo, che contiene una serie di eresie dell’epoca moderna, anche
se la Congregazione preferisce eliminare alcune proposizioni preferendo che sia il papa a
parlarne attraverso encicliche. Nel marzo 1937 escono dunque 3 encicliche in rapida
successione: una sulla situazione della Chiesa in Germania, una contro il comunismo ateo
e una contro le misure anticlericali del governo messicano. Pur affrontando in maniera
particolare i vari problemi, c’è un filo conduttore che lega le 3 encicliche: la Chiesa ha il
compito di tutelare la dignità umana, e ogni persona possiede dei diritti fondamentali, che
lo Stato non può cancellare o creare, ma solo riconoscere e garantire. I diritti riguardano la
questione educativa (nell’enciclica tedesca), quella economico-sociale (nell’enciclica
comunista) e quella dell’”esercizio di diritti civili e politici” (in quella messicana, dove
alcune associazioni cattoliche erano state represse). Comunque, ogni uomo è titolare di
diritti iscritti nell’ordine naturale fissato da Dio, e in questo risiede l’antitesi (anche politica e
sociale) con i totalitarismi.
9.3 Diritti umani e democrazia
Ma quindi, qual è la posizione politica del papa? È ancora possibile un punto d’incontro
con i nazionalismi? In una lettera del 1938 all’episcopato statunitense, Pio XI, senza citarli
apertamente, allude al nazismo e al comunismo come alle forme di rivolta moderne contro
il mondo cristiano, e alla Chiesa come unico difensore dei diritti e delle libertà dell’uomo.
Nonostante la critica ai totalitarismi, la strada per un’alleanza con i liberal-democratici è
ancora in salita. Nel 1937 viene approvata la costituzione cattolica irlandese: viene
riconosciuto il ruolo pubblico della Chiesa ma, al contempo, viene sancita la libertà di
culto. Il primo ministro irlandese sottopone la costituzione al papa il quale, pur non
approvandola, decide di non disapprovarla pubblicamente. È un primo passo incontro ai
democratici.

CAP. 10: PIO XII


10.1 Nelle tragedie della Seconda Guerra Mondiale
Nel marzo 1939 viene eletto Pio XII, che già dal 1930 ricopriva l’incarico di segretario di
Stato. Visto il clima internazionale sempre più teso, c’era bisogno di una persona con
esperienza diplomatica. La sua capacità è testimoniata dalla nomina a nunzio in Prussia e
Baviera, oltre che dalla sua influenza nella firma di diversi concordati. Dopo l’invasione
tedesca della Polonia e il successivo effetto domino che porta alla guerra, il pontefice
ribadisce la neutralità e l’imparzialità della Santa Sede. Egli non esprime alcuna
deplorazione per l’attacco alla cattolica Polonia: vuole evitare che Roma si comprometta a
favore di una parte o l’altra, per dare maggior peso al suo sforzo pacificatore. In questa
prospettiva si inserisce anche il tentativo di recuperare buoni rapporti col regime fascista.
Pio XII, infatti, cerca di fare del fascismo un canale per la sua politica internazionale. Nel
1939, alla proclamazione di S. Franceso e S. Caterina come patroni d’Italia, il pontefice
tiene un discorso nel quale presenta Francesco come un modello da seguire per i
governanti in quel difficile frangente: è un invito a farsi promotori di una pacificazione tra le
nazioni coerente con le regole della morale cristiana. Pio interviene dunque sul piano
simbolico per aprire un terreno d’intesa col fascismo, proponendolo come pacificatore
internazionale e dunque protagonista della politica mondiale. Mussolini, ormai
indissolubilmente legato a Hitler, segue un’altra strada: nel 1940 dichiara guerra a Francia
e Inghilterra. Nel giro di un anno, la guerra si fa mondiale con l’ingresso di USA e
Giappone. Di fronte a questo contesto, la Sede ripiega sulla dottrina della guerra giusta:
propone quindi l’obbedienza alle autorità come una virtù cristiana da perseguire. Anche a
livello delle Chiese nazionali si ripropongono stilemi già visti in passato, come
l’eroicizzazione del soldato cristiano, al quale la fede dona incredibili virtù marziali. In
alcuni (rari) casi si presenta l’obiezione di coscienza come risposta evangelica alla
violenza bellica. In realtà, una delle tesi che si diffonde di più è una variante della guerra
giusta: il governo totalitario è privo di legittimità e dunque l’obbedienza è inapplicabile. La
Santa Sede si impegna, più che altro, a mettere in campo strumenti diplomatici per
giungere ad una composizione del conflitto. Soprattutto, si teme un’estensione del
comunismo in caso di sconfitta tedesca. La Chiesa, però, è giunta anche alla conclusione
che il nazismo non costituisca un pericolo minore del comunismo. Una parte della
storiografia, comunque, continua a definire Pio XII “il papa di Hitler”, per il silenzio sulla
questione ebraica, di cui comunque la Santa Sede era a conoscenza. Alcuni citano il
radiomessaggio del 1942 per smontare la tesi, in cui Pio cita “persone senza colpe”
destinate alla morte “per via della stirpe o della nazionalità”. Il riferimento può anche
esserci, ma di sicuro non è una pubblica denuncia alla shoah, anche perché il mondo
cattolico non è ancora a conoscenza di ciò che sta accadendo. Sicuramente Pio XII è
stato inorridito da ciò, ma ha semplicemente deciso di non prendere posizione in pubblico.
Nel frattempo, strutture e associazioni cattoliche aiutano gli ebrei, pur correndo grossi
rischi: è l’esempio di don Francesco Repetto, vescovo di Genova, o alcune associazioni
segrete che aiutano gli ebrei a fuggire. È molto probabile che il papa fosse anche a
conoscenza di questo, ma era deciso a mantenere sulla questione un rigoroso riserbo
politico-diplomatico. Alla luce delle tragedie della guerra, e fallito il tentativo di
avvicinamento al fascismo, Pio XII decide di tornare alla proposta del predecessore che
condanna i totalitarismi, invitando i cattolici ad edificare uno Stato che tuteli i diritti dei
cittadini. Nel radiomessaggio di Natale 1944, Pio elenca alcuni elementi che una
democrazia dovrebbe possedere: innanzitutto, essa può sussistere tanto in un sistema
monarchico quanto in uno repubblicano; sottolinea come essa “non implichi la
cancellazione delle ineguaglianze” che derivano dalla natura umana e possono essere
corrette solo dalla carità cristiana; infine i rappresentanti, per essere scelti, devono
manifestare la volontà di dare vita ad un assetto collettivo conforme all’ordine voluto da
Dio. Dunque, solo se dotati di virtù cristiane i futuri rappresentanti del popolo potranno
rendere il regime democratico un sistema politico corretto. Naturalmente, solo l’autorità
ecclesiastica può decidere se tali virtù si possiedono o meno. Se finora la Chiesa era stata
indifferente nei confronti di ogni regime, ora sposta il suo favore verso la democrazia, ma
solo se composta da uomini scelti dall’autorità ecclesiastica.
10.2 La lotta al comunismo: tra democrazia e franchismo
Dopo la WW2, il papato percepisce l’URSS come una grande minaccia, dato che in
Russia e nell’est Europa si scatenano grandi persecuzioni contro i cattolici. Nel 1947 gli
USA avviano il piano Marshall: l’obiettivo dichiarato è di aiutare i paesi più colpiti dalla
guerra, ma nella realtà dei fatti è più una strategia “coloniale”, per impedire l’avanzata del
blocco sovietico. Si impone anche in Europa il modello di vita statunitense, incentrato sul
consumismo, l’opulenza, il possesso di beni sempre nuovi. Agli occhi del papa questa
“civiltà atlantica”, che esalta gli aspetti tecnici ed economici, non coincide con la “civiltà
cristiana”, che invece mette al centro gli aspetti spirituali. Questa diversa etica sociale non
esclude una convergenza politica tra Chiesa e USA nella lotta al comunismo, con il
Sant’Uffizio che nel 1949 emana un decreto, col quale si scomunica chi professa il
comunismo o ne appoggia le attività. Dopo la morte di Stalin (1953), l’URSS adotta una
linea diversa, incentrata sulla “coesistenza pacifica” nel mondo e la richiesta di disarmo.
Alcuni, all’interno della Chiesa, sembrano aperti ad un dialogo, ma alla fine prevale l’idea
che quella sovietica sia solo una strategia architettata per far abbassare la guardia
all’Occidente. Se la denuncia di Chruscev a Stalin e ai crimini del partito comunista
sembra spianare la strada ad un dialogo (1956), la successiva invasione sovietica
dell’Ungheria irrigidisce nuovamente i rapporti. Dopo la WW2, Roma aveva imposto una
linea chiara per combattere il comunismo: i fedeli dovevano concentrarsi in un solo partito
democratico-cristiano, diffuso capillarmente sul territorio. Ciò porta ad uno strepitoso
successo elettorale della Democrazia Cristiana in Italia nel 1948. Pio XII, oltre a sostenere
l’intervento dei fedeli in politica, sollecita i governanti europei ad un’unificazione del
continente, creando una comunità politica in grado di affermare i valori cristiani e
contrapposta all’ateismo comunista e alla tecnocrazia americana. Alcuni leader cattolici
recepiscono l’invito e danno vita alla CECA (comunità Europea carbone e acciaio) e alla
Comunità economica europea. In Europa, i partiti cattolici seguono ideologicamente il
filosofo-tomista Jacques Maritain. Egli sostiene che ricostruire la cristianità medievale sia,
con i presupposti del mondo moderno, irrealizzabile. Si può dare vita ad una nuova
cristianità, nella quale la gerarchia diriga la vita religiosa dei credenti, mentre sono
quest’ultimi, con la loro autonoma responsabilità, a dover iscrivere nella città terrena quella
legge naturale che tutela la dignità di tutti gli uomini. In esilio negli USA durante la WW2,
Maritain collabora col generale De Gaulle e individua nel modello nordamericano una
concreta traduzione della legge naturale, grazie alla sua costituzione e alle libertà
garantite. Egli si mobilita in favore della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo,
approvata nel 1948. Esiste però un altro modello, esaltato da Alfredo Ottaviani
(prosegretario del Sant’uffizio): quello di Stato confessionale che si instaura nella penisola
iberica con la dittatura franchista. Un concordato tra Santa Sede e Spagna riconosce la
Chiesa come società perfetta, obbliga l’autorità civile a fornire a quella ecclesiastica tutti i
mezzi per eseguire le sue disposizioni, impone il controllo ecclesiastico sui libri e il divieto
di culto pubblico per ogni religione non cattolica. Dal mondo cattolico spagnolo molti
criticano la soluzione maritainiana, e questo concordato sembra avvalorare la loro tesi. In
realtà, alla base di questi due diversi rapporti Chiesa/politica c’è la medesima
impostazione dottrinale, ribadita da Pio XII in un discorso del 1953: lo Stato confessionale
rappresenta il modello ideale, ma i sistemi democratici possono rappresentare
temporanee concessioni. La Costituzione italiana (1948) vede la partecipazione di diversi
membri della Democrazia Cristiana nella redazione: infatti, oltre a tutelare i diritti di libertà
e uguaglianza, inserisce i Patti Lateranensi (art.7) che garantiscono notevoli privilegi alla
Chiesa.
10.3 Davanti al processo di decolonizzazione
Con la percezione che il maggior numero di cattolici sia ora insediato in aree extra-
europee, si assiste ad una internazionalizzazione del Sacro Collegio: con le nuove nomine
(1946 e 1953) i cardinali italiani rimangono in maggioranza (1/3), ma vi sono molti
rappresentanti di Chiese anche extra-europee, e nel 1960 è eletto il primo vescovo
africano. L’internazionalizzazione risponde ad un’esigenza politica: dopo la WW2 è iniziato
il processo di decolonizzazione, seguito dal raggiungimento dell’indipendenza di molti
paesi nel sud-est asiatico, in Africa settentrionale e subsahariana. Da Roma giunge una
netta opposizione all’indipendenza quando si paventa la possibilità di instaurazione di un
regime comunista. Ciò comunque non frena lo sviluppo di Chiese indigene nel continente
asiatico ed africano. Il problema è che nei processi d’indipendenza le religioni dei vari
popoli (musulmana, induista, buddhista…) vengono messe al centro, come fattore di
coagulo sociale e identità nazionale. La Congregazione di Propaganda Fide dimostra una
certa apertura, rimuovendo il divieto dei “riti cinesi” (1942), e riavviando dunque un
inserimento della pratica cristiana nella cultura cinese. Con due encicliche (1952 e 57) Pio
XII riconosce la legittimità dei processi di decolonizzazione, pur con la ferma indicazione
che ciò deve portare ad un’organizzazione della vita collettiva conforme alla “sana civiltà
cristiana”, di cui solo la Chiesa detiene le chiavi.
10.4 La gestione del religioso
Nel 1950 il papa proclama l’Assunzione di Maria ricorrendo all’infallibilità personale del
pontefice proclamata dal Concilio Vaticano I (prima e finora unica volta che un papa ne fa
ricorso). Ciò da un chiaro segnale: la comunità ecclesiale si riassume nel papato romano,
alla cui solo autorità spetta il compito di prendere le misure necessarie alla sua
espansione e difesa. Nel 1954 viene condannato il movimento dei preti operai, per paura
di una loro commistione col movimento comunista. Comunque, Pio XII è influenzato anche
dalla cultura intransigente: con un’enciclica del 1943 ribadisce che l’interpretazione
autentica della Scrittura spetta solo al magistero; e nel 1950 con l’enciclica Humani
generis affronta il ritorno del pericolo modernista. Una maggiore apertura si registra dal
punto di vista dei culti: l’enciclica Mediator Dei (1947) invita i fedeli ad una maggiore
partecipazione ai riti, favorendo l’uso della lingua nazionale e riformando il breviario. La
decisione di canonizzare l’integrista papa Pio X è sintomo della volontà di santificare un
atteggiamento di governo della Chiesa, che vede l’istituzione ecclesiastica come una
cittadella assediata che deve difendersi. Col giubileo del 1950, Pio XII vuole richiamare
tutti ad una più intensa pratica religiosa e a ritornare ad uno stile di vita conforme ai
precetti della Chiesa. Egli vuole anche chiudere un periodo storico caratterizzato da
violenza e guerre, e in ciò trova l’appoggio anche di diversi poteri pubblici. Il giubileo,
infatti, si rivela un successo.

PARTE IV: LA CRISI DELLA CULTURA INTRANSIGENTE (1958-2013)


CAP. 11: L’AGGIORNAMENTO ECCLESIALE (1958-68)
11.1 Il papato giovanneo
Alla morte di Pio XII (1958), la Chiesa si trova in una situazione delicata: in alcuni paesi
dell’Occidente cristiano si registra un sempre maggiore allontanamento dalle pratiche
religiose; nei Paesi di missione la decolonizzazione evidenzia le difficoltà della presenza
del cristianesimo; nei paesi comunisti, l’ateismo rende complessa la sopravvivenza di
nuclei cattolici. Inoltre, negli ultimi anni di vita di Pio XII le sue condizioni di salute precarie
hanno portato ad un rallentamento della funzione dell’istituzione ecclesiastica. Per questo
il conclave decide di affidarsi ad un papato di transizione, per rimettere in moto
l’amministrazione, scegliendo Giovanni XXIII, eletto al soglio ormai molto anziano (77
anni). Egli possiede però un’ottima conoscenza dei meccanismi istituzionali della Chiesa,
oltre a essere stato delegato in diverse missioni internazionali e professore di storia
ecclesiastica. Nel gennaio 1959 fa un annuncio inaspettato: oltre alla riforma del Codice di
diritto canonico, decide di convocare un’assise ecumenica, il Concilio Vaticano II. Mentre
questo viene organizzato, Giovanni è molto attivo nel governo della Chiesa: nomina un
Segretario di Stato (ruolo vacante dal 1944), ripristina le udienze di tabella e nomina nuovi
cardinali, completando il collegio cardinalizio che, causa decessi, si era svuotato. Alcuni
atti ricalcano orientamenti del passato: alcuni provvedimenti repressivi (contro i preti
operai e i comunisti) o la costituzione apostolica del 1962 che conferma il latino come
lingua più idonea per la diffusione del cristianesimo. In realtà, sotto alcuni punti di vista,
Giovanni è estremamente innovativo. Nel 1962, mentre si sposta in macchina a Roma,
incontra degli ebrei che escono dalla sinagoga: fa fermare il veicolo e impartisce loro la
sua benedizione, in un gesto dal grande carico simbolico. Egli inoltre appare molto più
bonario e accostante del suo predecessore, enfatizzando l’utilizzo dei mezzi di
comunicazione di massa e venendo spesso a contatto coi fedeli. Per la prima volta dopo
più di un secolo il pontefice si reca in pellegrinaggio; si impegna in atti di misericordia
presso i fedeli; accoglie una delegazione anglicana e una sovietica a Roma. Inoltre, egli
vuole riproporre la centralità del suo ruolo di vescovo di Roma: in una Chiesa moderna
sempre più centralistica e verticistica, egli suggerisce un ritorno alla Chiesa come
comunione di Chiese. Con l’enciclica Mater et Magistra (1961), il pontefice ribadisce che le
ideologie contemporanee (allude a socialismo e liberalismo) non sono state in grado di
raggiungere il proprio scopo, in quanto non tengono conto delle universali leggi impresse
da Dio nella natura umana. Sostiene che si debba adattare la dottrina sociale ai vari
contesti storici/geografici/culturali, e soprattutto che il tempo presente, sconvolto da mali e
disordini, offre anche “possibilità immense di bene”. Emerge uno sguardo ottimistico sulla
società contemporanea, diverso dalla precedente prospettiva intransigente. Certo, la
società contemporanea manifesta scarsa attenzione verso i veri valori dell’uomo (quelli
spirituali), ma in essa si colgono anche aspetti apprezzabili: i moderni mezzi di
comunicazione consentono di intensificare l’apostolato; nel mondo moderno si possono
trovare valori coerenti col Vangelo che, una volta messi in luce, possano rendere la
Chiesa attraente per i fedeli. L’obiettivo del Concilio Vaticano II è dunque chiaro:
aggiornare la Chiesa per ritrovare quella capacità apostolica e quella forza espansiva che
ormai mancano da molto.

11.2 Pacem in terris


Per rinnovare la Chiesa, Gregorio propone di sostituire la condanna punitiva degli errori
moderni con la “medicina della misericordia”. Mentre sta per iniziare il Concilio, il pontefice
ci tiene a indicare alcuni terreni sui quali potrebbe avvenire l’incontro tra Chiesa e mondo
moderno, e lo fa con l’enciclica Pacem in terris (1963). Dopo essere stati sull’orlo di una
guerra l’anno precedente (blocco navale di Cuba da parte degli USA), il papa era
intervenuto con un appello alla pace, convincendo l’URSS a ritirare le proprie navi militari.
Questa vittoria morale l’ha poi spinto a pubblicare un’intera enciclica sul tema della Pace.
Primo elemento innovativo: essa non è diretta ai vescovi in comunione con la sede
romana (come tutte le encicliche), ma a tutti gli uomini di buona volontà. Anche gli
“erranti”, coloro che hanno deviato dalla dottrina cattolica, possono essere difensori di
autentici valori umani. Si prospetta dunque, rispetto all’esclusivismo intransigente, una
collaborazione tra tutti gli uomini per il raggiungimento di determinati obbiettivi. Il primo è il
conseguimento della pace: nel mondo moderno, che possiede armi nucleari distruttive, è
irrazionale ricorrere alla guerra per ristabilire la giustizia nelle relazioni internazionali. Per
la prima volta la Chiesa non interviene per moralizzare la guerra, ma per promuovere la
pace. In secondo luogo, la Chiesa auspica l’introduzione negli ordinamenti politici di ogni
Stato degli inalienabili e inviolabili diritti della persona , sanciti dalla Dichiarazione
universale. Infine, l’enciclica ribadisce la preferenza per la democrazia, unico sistema in
grado di tutelare i diritti umani, e ne elenca le caratteristiche ideali (divisione dei poteri,
diritti civili dei cittadini, ecc…).
11.3 Il Concilio Vaticano II
Il Vaticano II inizia con una fase ante-preparatoria (1959/60) nella quale si invitano i futuri
membri dell’assise ecumenica ad esprimere in un votum gli argomenti che ritengono
necessario trattare. Questo sistema voluto da Giovanni ottiene un grande successo, e
sulla base dei suggerimenti si lavora sulla fase preparatoria (1960/62): si devono tradurre
i vota in schemi di documenti che vengono poi sottoposti ad una commissione centrale
(presieduta dal papa) che stabilisce in via definitiva i testi per l’assise ecumenica. Si
prospetta dunque un forte controllo romano sugli argomenti da trattare. I vota sono
generalmente espressione di una cultura intransigente, ma Giovanni XXIII aggiunge un
nuovo argomento di cui occuparsi: la riunificazione delle Chiese cristiane. Si istituisce un
organismo ad hoc, il Segretariato per l’unione dei cristiani. Il Concilio vero e proprio
inizia ad ottobre 1962 e a S. Pietro si recano oltre 2.300 padri conciliari su circa 2.700
aventi diritto, e appartenenti a 136 nazioni differenti (il 38% è europeo, il 15% italiano). Le
comunità cristiane acattoliche sono invitate a inviare loro “osservatori”. Per quanto non
abbiano diritto a prendere parola e a votare, partecipano alle congregazioni generali e la
loro permanenza a Roma, seppur sul piano informale, permette un continuo dialogo
interconfessionale. Vi sono anche degli “uditori laici” che, su richiesta dell’assemblea,
possono esprimere il loro parere. L’assemblea è scandita da 4 sessioni tra 1962/65, una
sessione tra ottobre e dicembre di ogni anno. Le sessioni si svolgono dal lunedì al venerdì
mattina a S. Pietro, mentre il pomeriggio si riuniscono le commissioni per analizzare i
documenti, mentre padri e periti organizzano altre attività (conferenze, seminari). Gli
interventi in aula devono essere pronunciati in latino, essere richiesti con alcuni giorni
d’anticipo e seguire l’ordine delle precedenze ecclesiastiche. Ciò impedisce che vi sia un
vero e proprio dibattito, dato che molte orazioni sono dei monologhi e non vengono
comprese. Viceversa, nel pomeriggio, durante le attività “informali”, molti padri si
aggiornano e discutono sulle principali questioni. Nella prima sessione si discute della
composizione delle commissioni e si decide di mantenere la struttura concordata nella
fase preparatoria. Nel novembre 1962 si sta discutendo lo schema relativo alle Due fonti
della Rivelazione. Il dibattito sul tema induce la commissione a porre una domanda sulla
continuazione della discussione. La maggioranza dei padri esprime parere negativo, ma
non si raggiunge il quorum. Per sbloccare questa paradossale situazione (si sarebbe
dovuto discutere su un documento non approvato dalla maggioranza) interviene
direttamente Giovanni XXIII, che ordina il ritiro dello schema. È un chiaro segnale: non
vuole una passiva approvazione, ma un’attiva discussione dei problemi della Chiesa
contemporanea. Con la morte di Giovanni (1963) si sospende in concilio, ma il successore
Paolo VI decide di proseguirlo e portarlo a termine. Le 3 sessioni che si tengono col nuovo
papa sono molto complesse. Gli interventi del papa si infittiscono: mentre il predecessore
lasciava una certa libertà, Paolo tende a cercare di far valere la propria autorità. Sottrae
alcuni argomenti giudicati di competenza pontificia e impone la formulazione di alcuni
documenti considerati più idonei. In secondo luogo, si diversificano le posizioni
nell’assemblea: dallo schieramento conservatore emerge un nucleo rigidamente
tradizionalista, e anche da quello innovatore si stacca una corrente propensa a richiedere
una riforma improntata sul franco radicalismo evangelico. Le aggregazioni informali tra
padri, dunque, diventano veri e propri gruppi di pressione trasversali. Un terzo
cambiamento riguarda i metodi di comunicazione: in teoria, i processi dovrebbero tenersi
sub secreto. Per combattere le molte indiscrezioni errate che fuoriescono, si crea un
Comitato per la stampa, col compito di fornire notizie ufficiali sulle novità dell’assemblea.
Si finisce dunque per coinvolgere l’opinione pubblica, di cui i padri difficilmente non
possono tenere conto.
11.4 I documenti conciliari
Alla fine del concilio sono approvati 16 documenti: 4 costituzioni, 9 decreti e 3 atti. Frutto di
spinte diverse, questo insieme di documenti non è privo di ambiguità e oscillazioni. La
costituzione Sacrosanctum concilium è approvata a grandissima maggioranza (solo 19
voti contrari): sostiene la possibilità di attribuire più largo uso alle lingue nazionali (pur
mantenendo il latino), adattare i testi liturgici alle caratteristiche dei singoli popoli, attribuire
un rilievo centrale alle Scritture nelle celebrazioni e sottolinea il carattere comunitario della
messa. La costituzione dogmatica Lumen Gentium viene approvata nel 1964 dopo
intense discussioni. Sostiene che la Chiesa assume talora le imperfezioni e i difetti degli
ambienti che incontra nel suo cammino. Per questo, essa ha bisogno di essere rinnovata
continuamente. Alla visione della Chiesa come “società perfetta”, dunque, se ne
sostituisce un’altra. Il testo proclama anche che la Chiesa, pur essendo una struttura
giuridica e istituzionale, è in primo luogo una comunione di fede, speranza e carità. Inoltre,
ridefinisce il rapporto tra Roma e le chiese nazionali, conferendo a quest’ultime più spazio
d’iniziativa; e riequilibra il rapporto tra primato petrino e poteri dell’episcopato. Paolo VI ci
tiene a sottolineare, in una nota, che il collegio dei vescovi può governare solo insieme al
romano pontefice. La costituzione Dei Verbum, approvata con soli 6 voti contrari, tratta il
tema della divina rivelazione. Segna la fine della secolare diffidenza cattolica verso la
Scrittura, e invita i fedeli ad entrare in comunione con la Parola di Dio attraverso una
frequente lettura. L’indagine storico-critica è libera, ma dev’essere poi sottoposta al
giudizio della Chiesa. La costituzione pastorale Gaudium et spes definisce
l’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli aspetti della vita sociale, e soprattutto il
suo rapporto con la modernità. Su questo aspetto si individuano 2 linee: da un lato, in
alcuni accenni si riconosce l’autonomo procedere della storia dell’uomo; dall’altro si
ribadisce che esso deve sottostare alle leggi intrinsecamente poste da Dio e interpretate
dall’autorità ecclesiastica. Si supera parzialmente l’ottica intransigente, pur lasciando
aperto uno spiraglio per le interpretazioni. Il decreto Unitati redintegratio, fortemente
influenzato da Paolo VI, afferma che è compito dei fedeli promuovere l’unità tra cristiani.
Esso poi sostiene che, per volontà di Dio, esiste una sola Chiesa. Essa sussiste, seppur
imperfettamente, anche nelle comunità cristiane diverse da quella cattolica. La
dichiarazione Dignitatis humanae, emanata nel 1965 dopo un acceso dibattito, tocca il
tema del rapporto tra libertà e verità. Il documento sostiene che la persona ha diritto di
libertà religiosa, intesa come immunità da ogni coercizione dell’autorità pubblica. Ci sono
però molte cautele nel fare questo grande passo. Il testo, infatti, asserisce anche che sia
individui che società mantengono dei doveri verso la “vera religione e la vera Chiesa”:
insomma, si può concedere la libertà religiosa (a patto che il suo esercizio non metta in
pericolo l’ordine pubblico) ma non l’uguaglianza religiosa. Anche la dichiarazione Nostra
aetate, sul tema del rapporto con le altre religioni, genera un vivace dibattito, soprattutto
quando si tratta del rapporto con la religione ebraica. In generale, si può dire che il
documento abbandona il tradizionale “insegnamento del disprezzo”. Il testo sostiene che
la definizione di ebrei come “popolo maledetto da Dio” non trova fondamento nel Nuovo
Testamento, e che agli ebrei moderni non può essere imputata la morte di Cristo. Inoltre,
esprime deplorazione per “ogni manifestazione di antisemitismo”. Insomma, nonostante
limiti e cautele, i documenti del Vaticano dimostrano la volontà di cambiare e, seppur la
prospettiva intransigente non venga del tutto abbandonata, è un primo passo.
11.5 Le “novazioni” di Paolo VI
L’elezione di Paolo VI (1963) è molto breve (2 giorni): la sua candidatura è sostenuta in
particolar modo dai cardinali innovatori, dato il suo orientamento riformatore. Nella sua
prima enciclica (1964) conferma la volontà di perseguire con un rinnovamento
ecclesiastico sia nella vita interna della Chiesa che nei suoi rapporti col mondo. Dopo il
Vaticano II, egli utilizza il termine “innovazione” per riferirsi al rinnovamento, per due
ragioni: in primo luogo, esso non indica una rottura col il passato, ma un aggiornamento
della tradizione cattolica rispetto ai tempi che corrono; in secondo luogo, egli non vuole
dare l’idea di dover ridefinire la Chiesa nelle sue fondamentali e intangibili strutture, ma
solo di ringiovanirla. Già nel 1964 viene creato un Consilium per l’applicazione della
costituzione Sacrosanctum concilium: la volontà di non attribuire questo compito alla
Sacra congregazione dei riti dimostra lo spirito innovatore del pontefice. Il Consilium
completa la traduzione in lingua volgare dell’intero canone della messa. Uno dei suoi
interventi più rilevanti è la sostituzione del messale romano (voluto da Pio V nel 1570) con
il Novus ordo missae (1969). La prima edizione incontra alcune critiche, la seconda (1970)
modifica alcuni testi, semplifica i gesti del celebrante, introduce nuovi canoni, valorizza la
partecipazione dei fedeli e permetta la comunione di due specie. Oltre all’ambito liturgico,
Paolo VI riforma la curia, introducendo nuovi organismi al fianco di quelli tradizionali: il
Segretariato per il dialogo con i non cristiani e quello per il dialogo con i non credenti; il
Pontificio consiglio per i laici e la Commissione giustizia e pace (1967). Nel 1967
attribuisce alla Segreteria di Stato il ruolo di coordinamento centrale di tutti gli organismi
curiali, e muta il nome di 8 Congregazioni. L’attività economica è affidata a due nuovi uffici:
la Prefettura degli affari economici, che deve coordinare la gestione dell’insieme dei beni
del papato; e l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica con il ruolo di banca
centrale. Non si chiarisce il loro rapporto con l’IOR (fondato nel 1942) e, pur essendo i
profitti cospicui, essi servono a colmare il deficit di bilancio della sede. In realtà, i controlli
sono pressoché assenti in questi uffici, e ne derivano imbarazzi e difficoltà. Anche il
personale della curia subisce una riforma: è posto un limite di 5 anni ai mandati (cardinali,
segretari, consultori) e la loro cessazione alla morte del pontefice. Si introduce la
possibilità di utilizzare lingue vive nell’amministrazione, e si fissa il principio di
reclutamento internazionale per la loro composizione. Si sciolgono i corpi militari pontifici
(eccetto 3 corpi di guardia) e nel 1970 Paolo stabilisce che i cardinali che abbiano
raggiunto l’ottantesimo anno di età siano esclusi dal conclave. Il 7/12/1965, ultimo giorno
del Vaticano II, viene letto in aula a S. Pietro e in contemporanea ad Istanbul un
documento che annulla la reciproca scomunica tra cattolici romani e ortodossi lanciata nel
1054. La linea “novatrice” di Paolo VI si concentra in particolar modo sul rapporto col
mondo moderno. Nell’enciclica Ecclesiam Suam sottolinea l’abbandono della prospettiva
intransigente: la Chiesa non vuole più rivendicare un dominio teocratico sulla vita degli
uomini, ma si pone in un’ottica di dialogo e servizio. Ne dà prova molte volte, come
quando si presenta e tiene un discorso davanti all’assemblea generale dell’ONU. Il
discorso fa epoca, e Paolo sottolinea la volontà della Chiesa di accompagnare e
sorreggere il cammino dell’uomo nella sua autonoma ricerca del miglior assetto per la
società, invece di imporne uno.
CAP. 12: LE DIFFICOLTA’ DEL “BALZO IN AVANTI” (1968-78)
12.1 La contestazione cattolica
Una delle prime difficoltà si presenta sul tema della costruzione della pace. Con
l’assassinio di Kennedy (1963), il governo USA passa in mano a Lyndon Johnson, il quale
intensifica il suo impegno a sostegno del Vietnam del Sud. Il papa cerca in tutti i modi una
composizione del conflitto, sia per vie diplomatiche che informali, ma ogni tentativo
fallisce. Parte del mondo cattolico chiede che le esortazioni pubbliche del papa si
trasformino in un atto diplomatico, e che egli inviti formalmente gli USA a cessare i
bombardamenti. Paolo VI, però, ha la sua visione: sa che la pace è il nucleo fondamentale
del messaggio evangelico, ma in un panorama politico così incerto la Chiesa, più che
costruire la pace attraverso rischiose collaborazioni, dovrebbe educare tutti gli uomini al
riconoscimento dei supremi valori di giustizia cristiana. In questo contesto, il dialogo
politico diventa difficile. Negli USA si diffondono movimenti di giovani pacifisti che rifiutano
l’invito alle armi e sostengono l’obiezione di coscienza. Il papa, che teme ancora
l’incombenza della minaccia comunista, denuncia “l’ignavia di coloro che rifiutano di dare
la vita al servizio del loro paese e dei loro fratelli quando questi sono impegnati in difesa
della giustizia e della libertà”. Ciò crea una spaccatura interna alla Chiesa, soprattutto con
coloro che sono favorevoli al movimento pacifista. Molti cattolici sono anche coinvolti in
movimenti di protesta che, a partire dagli anni ’60, vogliono modificare l’autoritarismo
all’interno delle Università, e che culminano in Italia con l’occupazione della Cattolica a
Milano (1967). Molti giovani cattolici sono anche iscritti a movimenti studenteschi che
chiedono profonde riforme nell’assetto dell’istruzione e della società. Il movimento
antiautoritario coinvolge anche intere Chiese. Nel 1966 il primate dei Paesi Bassi pubblica
il Nuovo Catechismo, che intende presentare il messaggio cristiano in modo idoneo per
l’uomo moderno. Egli non vuole insegnare nozioni o verità, ma insegnare a credere.
Roma, però, lo giudica erroneo e propone diverse modifiche, creando una crisi tra Santa
Sede e Chiesa olandese, con quest’ultima che non sopporta la pretesa romana di
controllare i suoi indirizzi pastorali. Oltre a questo, sono molti altri gli esempi di disordine
ecclesiale. Paolo, vedendo in questa situazione una minaccia, interviene con l’enciclica
Humanae Vitae (1968), nella quale sostiene che l’autodeterminazione dei comportamenti
ha insuperabili limiti etici, e che spetta all’autorità ecclesiastica definirli.

12.2 Il ritorno della legge naturale


Un altro problema, reso evidente già dal 1963, è quello della dottrina cattolica del
matrimonio. È evidente, infatti, come molti governi (Nazioni Unite comprese) ritengono che
la sovrappopolazione sia un problema, che si può combattere con metodi artificiali di
contraccezione. A partire da quella data si formano diverse commissioni, composte da
teologi internazionali, per discutere il tema. Nel frattempo, però, tiene banco anche la
discussione sul tema del matrimonio: nel Gaudium et spes, infatti, emerge la
valorizzazione dell’amore coniugale come tratto distintivo del matrimonio cristiano,
ridimensionando la centralità della pratica d’insegnamento morale della Chiesa in materia
familiare. Si creano due posizioni diverse, e nel 1966 la commissione invia a Paolo VI due
documenti: uno (redatto dalla maggioranza) a favore di un cambiamento nelle posizioni
della Chiesa sulla contraccezione, e uno (minoranza) contrario per paura che venga meno
l’autorità dottrinale del papato. Paolo decide di approfondire l’argomento, e con un
documento dichiara che l’atto sessuale non ha solo fine procreativo, ma anche unitivo, ed
è espressione dell’amore coniugale. Si possono regolare le nascite seguendo i ritmi della
fecondità femminile, ma sono escluse le forme artificiali di contraccezione. Questo
documento solleva un’ondata di proteste ma, nonostante Paolo dichiari che esso non è
“né infallibile né irreformabile”, non interviene per modificarlo. L’Humanae vitae, però,
tratta anche altri temi: in generali, Paolo vuole attribuire all’autorità ecclesiastica la
fissazione degli ambiti in cui l’uomo deve sottomettersi alla Chiesa. Vi è dunque una
sottrazione all’autodeterminazione del soggetto in alcuni ambiti (sessuale, procreativo,
matrimoniale), senza però mettere in dubbio il supporto di Roma alle libertà rivendicate
dall’uomo moderno. Ciò è dimostrato dal Trattato di Helsinki (1975), voluto dalla
diplomazia vaticana e siglato da diversi paesi, i quali si impegnano ad accettare il diritto
alla libertà religiosa come fondamentale principio delle loro costituzioni. Ciò è rivolto
soprattutto ai paesi dell’est, dove Paolo vuole tutelare le comunità cristiane. Il pontefice,
però, si scaglia anche contro il regime franchista: sia per riappropriarsi della nomina dei
vescovi che per una democratizzazione del regime. Nel 1974, in Italia viene introdotta una
legge sul divorzio, e il pontefice sollecita una mobilitazione per abrogarla. Alcuni cattolici
sostengono che, nel mondo moderno, l’etica cattolica non debba essere imposta
giuridicamente: il credente deve manifestare liberamente la sua adesione. La gerarchia
italiana rifiuta questa visione, e invita la Democrazia Cristiana a combattere per abrogare
la legge, ma viene sconfitta. In uno dei suoi ultimi discorsi (1978), Paolo sottolinea che il
mondo contemporaneo compie degli errori nell’elencazione dei diritti umani. La Chiesa
apprezza lo sforzo dell’uomo, ma non si esime dal formulare il proprio giudizio morale sulla
liceità o meno dei diritti. In particolare, il papa censura il tentativo di mettere in questione il
diritto alla vita: ovviamente, egli allude alla legalizzazione dell’aborto. Ciò, comunque, non
mette in discussione il carattere riformatore di Paolo, che arriva anche a scontrarsi con
l’arcivescovo francese Marcel Lefebvre, il quale desiderava tornare alla liturgia messale di
Pio V e riteneva il Vaticano II una rivoluzione guidata da Satana per sovvertire la Chiesa.
12.3 L’aggiornamento della dottrina sociale
Pio è molto impegnato anche in materia sociale. Nel 1964 si reca in India, a Bombay, per
il Congresso eucaristico internazionale. Ma egli sfrutta l’occasione per denunciare i
problemi del sottosviluppo, proponendo di devolvere una quota di bilancio dei paesi più
ricchi per promuovere l’economia dei Paesi poveri. Egli ritorna sull’argomento in
un’enciclica del 1967 dove invita i Paesi ricchi a collaborare con quelli più poveri, per
garantire il benessere di cui ogni popolo ha diritto. L’enciclica ribadisce un concetto
tradizionale: la Chiesa ha la capacità di assicurare la giustizia sociale a livello
internazionale. Vi sono però, in questa concezione, degli elementi innovativi. Innanzitutto,
il papa subordina l’attività economica dei cattolici a criteri etici. In secondo luogo,
sottolinea come il ricorso alla violenza dei paesi poveri, nel caso in cui non venissero
aiutati per lungo tempo, non sarebbe eticamente illecito. In un certo senso, dunque,
legittima la rivoluzione sociale. La posizione dei cattolici verso il mondo contemporaneo
viene precisata in una lettera del 1971. Qui il papa sostituisce al termine “dottrina sociale”
quello di “insegnamento sociale”: occorre che l’autorità ecclesiastica e gli uomini di
buona volontà intraprendano iniziative di riforma sociale adatte alle circostanze del luogo
e del momento. Il riconoscimento dell’autonomia dei credenti, comunque, si accompagna
alla prescrizione dei limiti e delle condizioni in cui la si può esercitare da parte della
Chiesa. Paolo VI, in un discorso tenuto a Bogotà (1968), ci tiene comunque a ricordare
come la Chiesa, dopo il Vaticano II, intenda conformarsi a quell’atteggiamento di povertà
predicato da Cristo.
12.4 La teologia della liberazione
Così facendo, il papa sembra assicurare la sua adesione ad un indirizzo già espresso da
diversi vescovi sudamericani nel corso del Vaticano II. Egli intende costruire una Chiesa
latino-americana con un proprio specifico volto, che non sia più il riflesso delle Chiese
europee. Punto di partenza è la costatazione della disumana indigenza nella quale si
trovano le popolazioni di quell’area: il motivo, per i vescovi, risiede nell’economia di tipo
neo-coloniale e neo-capitalista, e perciò essi si schierano a fianco dei poveri, per favorirne
una promozione umana. Occorre dunque che la Chiesa si spogli dei propri beni, e che si
metta a servizio dei più poveri. Questa posizione è sintetizzata nell’opera Teologia della
liberazione del vescovo peruviano Gustavo Gutierrez (1971), che la diffonde in tutta
l’America Latina. Il punto di partenza di questa teologia è il riconoscimento della dignità
della persona, che si basa sull’emancipazione dalla miseria e dall’ingiustizia in cui vive.
Egli, dunque, cerca delle modalità per liberare l’uomo dalle condizioni che l’opprimono:
pone il problema di utilizzare l’analisi marxista delle forme di produzione (pur senza
condividerne i presupposti materialistici); affronta la questione della liceità morale del
ricorso alla violenza rivoluzionaria; propone il superamento della parrocchia territoriale a
favore di nuovi organismi, le Comunità credenti di base. Ciò che viene recepito è il
concetto: una Chiesa povera per i poveri. Nel 1975, con un’esortazione apostolica, Paolo
VI ridefinisce il suo indirizzo. Sostiene che l’annuncio della buona novella ai poveri è un
punto cardine dell’evangelizzazione, ma sottolinea che evangelizzazione significa in primo
luogo liberazione dal peccato. Il pontefice non esclude che l’evangelizzazione porti
all’emancipazione dalla povertà, ma il richiamo a quest’ultima diventa semplice
esortazione all’esercizio personale della virtù dell’umiltà, della rinuncia, del distacco dai
beni.
12.5 La riaffermazione del primato romano
Insomma, la concezione del pontefice è diversa da quella delle Chiese sudamericane:
spetta a Roma il controllo ultimo sulle forme di adattamento del rinnovamento ecclesiale ai
molteplici contesti culturali e storici in cui operano i cattolici. Paolo VI decide di convocare
un giubileo (1975), storicamente simbolo di affermazione del potere papale sulla Chiesa
universale. La sua apertura e la sua chiusura sono trasmessi in mondovisione per la prima
volta, e molti nuovi movimenti ecclesiali acclamano entusiasticamente il pontefice. Ma, per
quanto riguarda le Chiese europee, la situazione è drastica: si registra un netto calo delle
vocazioni, un aumento della rinuncia al sacerdozio e dell’abbandono delle pratiche
religiose. La linea rinnovatrice di Paolo VI non ha funzionato? In un discorso tenuto
durante le esequie di Aldo Moro (1978), il papa sembra interrogarsi sul mancato sostegno
divino al Vaticano II.
12.6 Un papato di 33 giorni
Nel 1978 il conclave elegge, con ben 101 voti, il patriarca di Venezia, Albino Luciani. Egli,
finora, ha svolto solo ruoli di tipo pastorale, e si è impegnato in missioni d’appoggio ai
cardinali del Terzo Mondo (es. in Brasile). La scelta del nome Giovanni Paolo I (per la
prima volta un doppio nome, per celebrare i suoi due predecessori) fa pensare ad un
indirizzo di governo innovativo, così come lo stile di esercizio del ministero papale sobrio,
incentrato sulla pastorale e sulla catechetica, e su una retorica colloquiale e accostante.
La morte (28/9), circondata da sospetti di omicidio, blocca tutto. Da ricordare una sua
espressione, nell’Angelus del 10/9: “Dio è papà, ma è ancora più madre”. Essa fa
presagire una revisione dell’atteggiamento cattolico verso la questione femminile:
sembrerebbe avviare una riconsiderazione della presenza delle donne nella società e
nella Chiesa (finora, erano sempre state subordinate al ruolo di mogli o comunque
seconde agli uomini). Anche in questo caso, sfortunatamente, non vi può essere
conferma.
CAP 13: DA GIOVANNI PAOLO II A BENEDETTO XVI (1978-2013)
13.1 Un disegno accentratore
Nel conclave del 1978, dopo lunghe discussioni, si fatica a trovare una soluzione. I
cardinali tedeschi propongono l’arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla. Egli sceglie il
nome di Giovanni Paolo II, in onore al predecessore. Alla sua presentazione, al posto di
limitarsi ad una benedizione, saluta anche calorosamente i fedeli. Egli manifesta fin da
subito la volontà di affermare la superiorità papale. Intervenendo alla Conferenza
dell’episcopato latino-americano (Messico, 1979), il papa ha criticato i teologi della
liberazione, sostenendo che riservare priorità alla giustizia sociale introduca
un’inaccettabile secolarizzazione e politicizzazione del messaggio cristiano. La priorità
della Chiesa, infatti, è liberare l’uomo dal peccato. Durante la Congregazione generale
della Compagnia di Gesù (1981), si deve scegliere un successore al generale Pedro
Arrupe, sotto la cui guida i gesuiti si erano indirizzati verso una dottrina sempre più vicina
alla teologia della liberazione. Per questo, Giovanni Paolo II decide di affidare il controllo
della Compagnia ad un suo delegato personale. Nel 1983 viene pubblicato un nuovo
Codice di diritto canonico, che sostituisce quello del 1917. Esso chiarisce come il romano
pontefice goda di una suprema, piena, immediata potestà sulla Chiesa universale che può
sempre esercitare. Nel 1998, con la lettera apostolica Ad tuendam fidem, si introducono
sanzioni per i fedeli che rifiutano di prestare intimo e pubblico assenso alle verità infallibili,
ai fatti dogmatici e alle verità che il magistero universale della Chiesa decida di
proclamare come definitive. La volontà di una chiesa unitaria è testimoniata da un nuovo
Catechismo della Chiesa cattolica (1992), che sostituisce quello del 1556. Viene poi
diffusa la lettera apostolica Laetamur magnopere (1997), divisa in 4 parti, che rappresenta
la “norma sicura” cui tutte le Chiese devono attenersi per l’esposizione di fede. Alla base di
ciò, c’è una precisa concezione del rapporto tra papato e Chiesa, sottolineata da Giovanni
Paolo II nel 1985: il ministero petrino ha il carattere di un servizio all’unità dei cristiani, ed è
dunque disposto a rivederne alcune forme di esercizio al fine di garantire l’unità. A queste
dichiarazioni se ne accompagnano alcune di contraddittorie, dove si sottolinea come il
papa sia un pastore universale, sacralmente investito del compito di guida e controllo
dell’intera comunità cristiana. Ad esempio, nella lettera Apostolos suos (1998), sottolinea
come la Chiesa universale non sia una somma o una federazione di Chiese locali. Le
conferenze episcopali, dunque, non possono considerarsi espressione della Chiesa
universale se non nella misura in cui i loro atti vengono approvati dal papa, e non possono
esprimersi in materia dottrinale. Nel 1998, con la costituzione Pastor Bonus, vengono
riorganizzati i vari dicasteri in 5 gruppi: il primo che riguarda la sola Segreteria di Stato; il
secondo le 9 Congregazioni più due Commissioni (per l’America Latina e per il patrimonio
artistico); il terzo riordina i 3 tribunali; il quarto istituisce 12 consigli pontifici; il quinto affida
l’area economica a tre uffici. Giovanni Paolo II apre anche dei dialoghi con il modernista
Lefebvre, sospeso a divinis da Paolo VI, concedendogli larghe concessioni in cambio di
sottomissione al papa. Egli rifiuta di sottomettersi e incorre in una scomunica dopo aver
consacrato 4 sacerdoti di sua spontanea iniziativa.
13.2 Il progetto di neo-cristianità
Giovanni Paolo II non vuole solo riaffermare la centralità del papato, ma anche riformulare
il rapporto tra Chiesa e società contemporanea, invitando a più riprese l’Europa a ritrovare
le proprie radici cristiane e ritornare il punto di riferimento per l’intero mondo. La sua
percezione matura e si sviluppa nel 1988 quando, in visita al Parlamento Europeo di
Strasburgo, tiene un discorso. Sostiene che la Chiesa sia stata emarginata da molti
ordinamenti democratici, ma che la soluzione non sia un ritorno alla cristianità medievale,
bensì riconoscere che i valori di libertà proclamati dall’uomo moderno non solo hanno
radici nel messaggio cristiano, ma trovano nella religione la più sicura garanzia e
l’incrollabile garanzia. Wojtyla respinge esplicitamente l’idea del ritorno ad un regime di
cristianità. L’Europa deve incarnare un modello ben preciso: ordinamento democratico,
libertà religiosa, diritti espressi nella Dichiarazione, fine dello Stato confessionale ed una
“sana” laicizzazione delle istituzioni. Resistono, però, alcuni elementi della cultura
intransigente: la Storia moderna viene ancora letta come una serie di errori, col punto di
inizio non più posto sulla Riforma ma sull’Illuminismo. Soprattutto rimane l’affermazione
che il riconoscimento del fondamento cristiano della vita collettiva comporta la traduzione,
nella legislazione civile, di alcune norme dell’etica cattolica. La Chiesa, dunque, si impone
come portatrice di autentici valori morali. Questa linea viene sostenuta nonostante alcuni
segnali di difficoltà d’accettazione nella società contemporanea. Il papa, comunque, ne
affida la realizzazione ad una “nuova evangelizzazione”. Da un lato, agiscono movimenti
ecclesiali come Comunione e Libertà, Opus Dei, Legionari di Cristo, fortemente sostenuti
dal pontefice. In secondo luogo, il pontefice moltiplica i viaggi apostolici: in 27 anni al
potere, sono oltre 200 in Italia e più di 105 internazionali. Questi spostamenti ottengono
grande risonanza mediatica (soprattutto grazie alla televisione) e diffondono l’immagine
(carica di forza evocativa) di Giovanni Paolo II come di un papa-pellegrino. Altro strumento
di evangelizzazione è lo straordinario impulso a canonizzazioni e beatificazioni: durante il
suo pontificato, vi sono 482 nuovi santi e 1.341 nuovi beati. Attraverso le canonizzazioni, si
deve mostrare che la santità è raggiungibile da qualsiasi tipo di persona, di ogni strato
sociale. Anche la promozione delle devozioni viene messa in primo piano: in particolare, il
pontefice è molto legato alla pietà mariana. Oltre ad essa, il pontefice incoraggia il culto
del Sacro Cuore.
13.3 Il crollo del comunismo
Fino alla caduta del muro di Berlino (1989), il papa si è concentrato su alcuni temi
importanti: la vita coniugale, la famiglia, le unioni matrimoniali, la condanna alle
contraccezioni artificiali, all’aborto. È indiscutibile, però, il suo contributo alla fine dei regimi
dell’Europa orientale: basti pensare al supporto del pontefice al movimento Solidarnosc
contro il governo polacco. Il pontefice auspica che il crollo sovietico e la fine delle divisioni,
in Europa, conducano all’adozione del suo modello di neo-cristianità. Tuttavia, già nel
1993, deve constatare il fallimento di questa speranza: la caduta del comunismo non porta
ad un ritorno all’etica cristiana, ma ad un riconoscimento ai singoli del diritto di
autodeterminazione in sfere sempre più ampie della vita, individuale e collettiva. In questo
contesto, la sua visione della modernità politica si fa sempre più cupa e negativa. Anche il
sostegno ai diritti umani si fa più problematico. In un messaggio del 1998, il papa continua
a manifestare un certo apprezzamento verso la Dichiarazione, pur criticando l’assenza
della tutela del diritto alla vita. Il progetto di neo-cristianità non si limita più alla sfera della
morale matrimoniale e sessuale, ma investe tutta la sfera pubblica. In merito alla dottrina
sociale, si assiste ad un ritorno alla cultura intransigente. Nel 1991, con l’enciclica
Centesimus annus (100° anniversario del Rerum novarum), Giovanni Paolo II tratta i nuovi
problemi della vita collettiva (paesi sottosviluppati, rivoluzione tecnologica, migrazione dei
lavoratori, esaurimento risorse naturali) e asserisce all’inadeguatezza del capitalismo e del
socialismo e alle loro soluzioni. Solo la Chiesa è in grado di fornire la “vera soluzione della
questione sociale”.
13.4 Il rigetto della Guerra Santa e la purificazione della memoria
Giovanni Paolo II si trova a dover affrontare diverse guerre nel suo pontificato: i conflitti
per le isole Falkland (1982), l’invasione degli USA in Iraq (1991), gli scontri nei Balcani
(1991-2001), gli scontri in Afghanistan (1979-89). In generale, la posizione del papato è
sempre la stessa: preghiera per la pace, invocazione del dialogo e del negoziato,
riproposizione del concetto di guerra giusta. Per quanto riguarda l’ultimo punto, una delle
novità riguarda la restrizione delle condizioni che rendono eticamente lecita l’apertura di
una guerra. Il pontefice si sofferma sui limiti di una “guerra umanitaria”, giustificabile solo
se una popolazione è sottoposta alla violenta privazione dei diritti umani; e condanna la
“guerra preventiva” (Usa vs Iraq ad esempio). In questo modo, pur non abbandonando il
concetto di guerra giusta, il pontefice si sposta sempre più verso una delegittimazione
religiosa del conflitto. Inoltre, in merito ad alcune correnti fondamentaliste cristiane e
induiste che parlano di “guerre sante”, il papa sottolinea con fermezza che non è mai
lecito, in nome della religione, giustificare la violenza delle armi. Per la prima volta,
dunque, Roma abbandona la possibilità di riservarsi il “bando della crociata”. In questo
contesto, il papa invita ad Assisi i rappresentanti delle principali religioni mondiali (1986),
affinché preghino per il mantenimento della pace e dell’ordine mondiale, e ottiene un
inaspettato successo. Con l’enciclica Tertio millennio adveniente (1994), in preparazione al
giubileo del 2000, il papa chiede che la Chiesa, in vista del passaggio di millennio, si volga
a guardare infedeltà e incoerenza con cui, nei secoli passati, ha palesato un
allontanamento dallo spirito di Cristo e dal Vangelo. Si tratta di una richiesta di perdono, di
purificazione per gli errori commessi dalla Chiesa. Con una suggestiva celebrazione a S.
Pietro, nel 2000, i capi di alcune congregazioni curiali chiedono perdono, per diverse
ragioni: l’utilizzo della violenza a servizio della verità, le sofferenze inflitte agli ebrei, i
peccati commessi che hanno minato l’unità, il misconoscimento dei diritti femminili e di
quelli fondamentali delle persone. Il pontefice, alla fine di ogni peccato, pronuncia con
forza un “mai più”, segno della volontà di evitarle questi peccati in futuro. Mettendo in
questione la convinzione che i credenti hanno sempre esercitato un’azione benefica sul
mondo, sollecita un confronto aperto con la storia, mettendo in discussione il principio di
indefettibilità della Chiesa.
13.5 Le dimissioni di Benedetto XVI
Benedetto XVI è il primo pontefice, dopo oltre 600 anni, a rassegnare le dimissioni. Voci di
dimissioni erano già circolate con Paolo VI al compimento dell’ottantesimo anno d’età, ma
non si era concretizzato nulla. Stupiscono, dunque, le dichiarazioni del 2013, in cui
Benedetto dichiara che, a causa dell’avanzata età che non gli permette più di svolgere
adeguatamente il suo ruolo, darà le dimissioni. Subito sottolinea il carattere libero della
sua scelta, anche se molti ambienti conservatori iniziano a sviluppare teorie del complotto.
Per gli ambienti più progressisti, invece, si tratta di un fatto epocale, di rottura col passato,
che cancella l’aura celeste che ha da sempre avvolto il papato e lo trasforma in un
“semplice” e umano potere secolare. Le dimissioni avvengono dopo un periodo di
profonda crisi per la Chiesa. Nel 2012 sono stati pubblicati documenti riservati della Santa
Sede che palesavano gravi irregolarità nella gestione delle finanze. A ciò si aggiungono le
continue denunce, a partire dagli anni 2000, di abusi sessuali su minori da parte del clero
e della tolleranza ad essi riservata da parte di Roma. È in questo difficile contesto che, nel
2005, il cardinale Ratzinger viene eletto col nome di papa Benedetto XVI. La scelta è
abbastanza scontata, data la sua importanza e i ruoli svolti nell’ambiente curiale. Alla base
del suo pontificato vi è l’idea che nulla di autenticamente umano può esistere se non si
fonda su quella verità definitiva e intangibile (nata dall’intreccio tra fede e ragione) di cui il
papa è depositario e interprete. Benedetto ritiene che, alla luce della sua analisi, si
debbano ripensare le conclusioni del Vaticano II sull’autonomia dell’uomo. Egli non è
contrario all’aggiornamento ecclesiale, ma occorre chiarire che tale aggiornamento non
comporta nessuna revisione della dottrina tradizionale della Chiesa. Egli punta a
ricomporre l’unità della Chiesa, e in questo contesto si pone il dialogo avviato con
monsignor Lefebvre e con i tradizionalisti. Nel 2009 la Congregazione dei vescovi revoca
la scomunica per Lefebvre. Le proteste sono molte, anche perché viene revocata pure la
scomunica di Richard Williamson, che più volte in pubblico aveva negato l’esistenza della
Shoah. I colloqui tra Chiesa e intransigenti si arenano, sia per le proteste interne
all’ambiente ecclesiastico sia per le proteste esterne.

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