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Angela Pellicciari

Martin Lutero
Angela Pellicciari

Martin Lutero
© 2012 Edizioni Cantagalli S.r.l. – Siena
Grafica di copertina: Alessandro Bellucci
Redazione: Maria Chiara Basile
Stampato da Edizioni Cantagalli nell’ottobre 2012
ISBN: 978-88-8272-855-7
Introduzione

«La scienza storica sembra essere una congiura


degli uomini contro la verità», così scriveva Leone
XIII il 18 agosto 1883.
Da quando la storia si fa per slogan e da quando
in Italia gli slogan sono anticattolici (il che significa,
con qualche parentesi, dall’unità politica della peni-
sola), il grande pubblico, a cominciare dai cattolici,
ha un’immagine positiva di Lutero. Il nostro mondo
intellettuale, diviso su tutto, è unanime nel lamentare
le sorti dell’Italia tagliata fuori dalla linfa vitale della
riforma protestante. Alla cultura della controriforma
sarebbero imputabili un’ostilità preconcetta ai valo-
ri della modernità, la mancanza di ethos civico, un
particolarismo antisociale collegato alla faciloneria
con cui affronteremmo le responsabilità individuali
e chiuderemmo per quieto vivere un occhio più o
meno su tutto.
Non sono d’accordo con questa valutazione. Pen-
so, al contrario, che siamo debitori alla cultura cat-
tolica di un sano realismo, della ricerca della bellezza
come valore, di un profondo senso di appartenenza
comunitaria, un grande attaccamento alla famiglia,

5
una spiccata tendenza alla moderazione, all’apertura
verso il prossimo, all’esercizio della carità. Qualità,
queste, direttamente collegate al tessuto sociale ca-
pillarmente cattolico che ci ha caratterizzati per tanti
secoli.
È vero che il mondo cattolico ha subito un attac-
co frontale dall’epoca del risorgimento ed è vero che
della violenza coloniale che è stata esercitata contro
di noi da alcuni di noi (Savoia, liberali e massoni),
praticata per conto delle grandi potenze straniere,
sono rimaste tracce profonde. Penso però che se è
ancora possibile un vivere civile in Italia ciò è dovuto
a quel resto di popolo cattolico che rimane ancorato,
nonostante tutto, alle radici millenarie della propria
fede.
Con questo scritto mi ripropongo di esaminare le
ragioni del pensiero filo-protestante. Lo faccio, come
mia abitudine, a partire dai documenti, analizzando
da vicino gli scritti di Lutero – anche quelli che stam-
pa e manuali guardano con serena distanza – pun-
tando a far emergere le idee forti del credo luterano
a partire dall’analisi puntuale dei testi.
Succede al tempo di Lutero come all’epoca
dell’islam: in venti, trenta anni, tutto cambia. Per ca-
pire come mai, dopo millecinquecento anni di cri-
stianesimo, la pretesa di un monaco tedesco di ritor-
nare alle origini possa aver avuto qualche credibilità,
bisogna tenere presenti le caratteristiche della chiesa

6
all’inizio del Cinquecento. È quello che mi accingo a
fare prima di entrare nel vivo dell’argomento.

Nota Bene
Queste pagine vogliono essere un servizio nel
senso proprio del termine: servono a tratteggiare le
coordinate essenziali per capire la riforma.
In appendice pubblico alcuni scritti ed immagini
ideate da Lutero, utili per controllare di persona la
veridicità delle tesi illustrate.

7
Una precisazione

Chiesa cattolica apostolica romana


La chiesa è romana perché Pietro è il vicario di
Cristo e perché Pietro è stato martirizzato a Roma
dove riposano le sue ceneri. Abituati da centocin-
quanta anni a considerare Roma capitale d’Italia (e,
quindi, non caput mundi), abbiamo scordato che Roma
è l’Urbe, la città eterna, la città per antonomasia, la
città che incarna la storia dell’universo come 50 anni
prima della nascita di Gesù ben sintetizzava lo sto-
rico greco Diodoro Siculo: «tutto il mondo come se
fosse una sola città».
La chiesa cattolica eredita e realizza appieno la pre-
tesa universalità romana. Paolo lo dice con chiarez-
za: «non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo
né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti
voi siete uno in Cristo Gesù»1. Cristo è tutto in tutti:
l’uomo nuovo predicato dal vangelo, fa sua l’eredità
greco-romana ed evangelizza e romanizza i barbari
che per otto secoli si riversano sui territori dell’impe-

1
  Cfr. la lettera ai Galati, capitolo 3,28-29.

9
ro romano d’occidente. Il risultato dell’evangelizza-
zione paziente, eroica e tenace dei monaci e dell’in-
tera comunità cristiana, è l’Europa: un insieme di
popoli che hanno in comune la religione, la lingua,
la cultura. Al volgere del primo millennio quasi tutte
le popolazioni europee hanno abbandonato il paga-
nesimo e, grate alla chiesa e a Pietro per la speranza
della vittoria sulla morte, offrono al papa il proprio
regno in feudo. Così fanno, per esempio, il re di Po-
lonia Miezko I nella seconda metà del X secolo e S.
Stefano di Ungheria poco dopo il Mille. Il fatto è
simbolico e tuttavia straordinariamente eloquente.
Al potere universale del papa, corrisponde la pre-
tesa universalità dell’impero. Ma così non è: a oriente
c’è Bisanzio, ad occidente il sacro romano impero,
più una costellazione di regni e potentati locali. Il
conflitto papato-impero, la lotta per le investiture,
l’eclettica figura di Federico II, l’interregno imperia-
le, creano le premesse per un evento traumatico che
mette fine al medioevo cristiano: la cattività avigno-
nese.
Da Roma ad Avignone! C’è poco da dire. La
chiesa è romana e solo la romanità garantisce la sua
universalità e, quindi, il suo essere imparziale e al di
sopra delle parti2. «Quando venne la pienezza del

2
 Il 29 giugno 2008, festa dei santi Pietro e Paolo, Benedetto XVI
così tratteggia la funzione del vescovo di Roma: «è questa la missione
permanente di Pietro: far sì che la Chiesa non si identifichi mai con

10
tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato
sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto
la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli»3: cosa
intende dire Paolo con l’espressione «pienezza del
tempo»? I padri e i dottori della chiesa hanno identi-
ficato la «pienezza del tempo» con l’impero romano
in ragione della sua universalità. Spostare il papato
da Roma equivale a togliergli la caratteristica di esse-
re “per tutti”, che è la traduzione dal greco dell’ag-
gettivo “cattolico”.

una sola nazione, con una sola cultura o con un solo Stato. Che sia
sempre la Chiesa di tutti. Che riunisca l’umanità al di là di ogni frontie-
ra e, in mezzo alle divisioni di questo mondo, renda presente la pace
di Dio, la forza riconciliatrice del suo amore».
3
  Cfr. la lettera ai Galati, capitolo 4,4-5.

11
Qualche antefatto

Ostaggi del re di Francia


Fra i due litiganti il terzo gode: nello scontro fra
papato ed impero vince, momentaneamente, un re.
Del resto il sacro romano impero nasce con un impe-
ratore franco, Carlo Magno, e da tempo la Francia è
alla rincorsa della perduta autorità universale passata
in mani tedesche. Quando Filippo IV detto il Bello di-
venta re nel 1285, è subito chiaro cosa succederà: una
lotta durissima col papato retto dal 1294 dal giurista
Bonifacio VIII. Filippo pretende di dettare legge sulle
decime spettanti al papa. Le guerre contro l’Inghilter-
ra e le Fiandre costano, il re ha bisogno di soldi e si
muove come un padrone in casa d’altri. Il papa non
cede all’usurpazione violenta dei diritti della chiesa e
invia al re due bolle per esortarlo al rispetto delle nor-
me e della sua autorità come capo della chiesa.
In risposta ai richiami di Bonifacio, Filippo pensa
di piegarne la volontà imprigionandolo. Con questo
intento invia ad Anagni il plenipotenziario Gugliel-
mo di Nogaret (discendente da una famiglia di cata-
ri4), mentre Giacomo Sciarra Colonna schiaffeggia il

4
 I catari, o albigesi, gnostici che si definiscono “puri”, sono
diffusi prevalentemente in Europa meridionale tra il dodicesimo e il
quattordicesimo secolo. Benedetto XVI così li caratterizza parlando
di San Domenico nella catechesi del 3 febbraio 2010: «un gruppo ere-

12
pontefice in pubblico. Siamo nel 1303 e lo scandalo
ha proporzioni inaudite. Bonifacio VIII, pur difeso
e liberato dalla popolazione, muore poco dopo e il
nuovo papa, Benedetto IX, vive solo un anno. Ben
undici mesi dura il conclave per l’elezione di Ber-
trand de Got, vescovo di Bordeaux, diventato papa
nel 1305 col nome di Clemente V. Nel frattempo Fi-
lippo minaccia di convocare un concilio (solo il papa
può farlo5) che condanni Bonifacio come eretico e
simoniaco. Le sue sono minacce credibili: Filippo
IV è, forse, il primo sovrano dell’epoca moderna ad
organizzare scientemente una campagna di diffama-
zione ai danni del papa tentando di mobilitare contro
di lui la pubblica opinione. Sta di fatto che Clemente
V non mette mai piede a Roma inaugurando una se-
rie ininterrotta di pontefici francesi e di cardinali in
grande maggioranza francesi o limosini (provenienti
dalla Francia centro-meridionale).
Settanta anni, il tempo biblico della devastazione:
tanto, all’incirca, dura l’esilio avignonese. Dal 1309 al
1377. Se, formalmente, il papa non è suddito perché il

tico che sosteneva una concezione dualistica della realtà, cioè con due
principi creatori ugualmente potenti, il Bene e il Male. Questo gruppo,
di conseguenza, disprezzava la materia come proveniente dal principio
del male, rifiutando anche il matrimonio, fino a negare l’incarnazione
di Cristo, i sacramenti nei quali il Signore ci “tocca” tramite la materia,
e la risurrezione dei corpi».
5
  Così stabilisce il Dictatus papae di Gregorio VII redatto nel
1075.

13
territorio di Avignone gli appartiene (il papa è proprie-
tario del Contado Venosino dal 1274, mentre Avigno-
ne città è acquistata nel 1348)6, nella sostanza il papa è
sotto scacco e subisce la pressante influenza del re di
Francia. Gli intellettuali di corte e i giuristi del re, nel
frattempo, discettano sulla centralità geopolitica della
Francia e di Parigi, e sulla necessità che in questa terra
benedetta si concentrino tutti i poteri. Qualche secolo
più tardi Napoleone cercherà di realizzare il sogno.

Fiscalismo e commenda
Cosa fa il papa ad Avignone? Quello che può. Sta
di fatto che ha bisogno di molti soldi per contrastare
l’anarchia che regna a Roma e nello stato pontificio,
sottoposto a spinte disgregatrici, e per costruire ad
Avignone una sede degna del successore di Pietro.
Palazzi, corti, chiese, per sé e per i cardinali. Soldi.

6
 All’epoca della repubblica romana, quando il mondo protestan-
te e massonico sferra un attacco frontale alla chiesa cattolica, Pio IX
così spiega perché è importante che il papa non sia suddito ma sovra-
no: «i fedeli, i popoli, le nazioni ed i regni non presterebbero mai piena
fiducia e rispetto al Romano Pontefice se lo vedessero soggetto al do-
minio di qualche Principe o Governo, e non già pienamente libero. Ed
invero i fedeli, i popoli ed i regni non cesserebbero mai dal sospettare
e temere assai che il Pontefice medesimo non conformasse i suoi atti
al volere di quel Principe o Governo nel cui Stato si trovasse, e perciò,
con questo pretesto, sovente non avrebbero scrupolo di opporsi agli
stessi atti» (Quibus quantisque, 20 aprile 1849).

14
Come trovarli? La soluzione più conveniente sem-
bra quella di tassare ogni funzione ed ogni attività
ecclesiastica.
Fino a Lutero, e nei territori rimasti cattolici fino
a Napoleone, la chiesa si è sempre organizzata col
sistema dei benefici. Ad ogni “officio”, ad ogni ca-
rica ecclesiastica, corrispondeva un “beneficio”. Un
beneficio, cioè una rendita che consentiva al titolare
dell’officio di mantenersi e di svolgere il compito af-
fidatogli. Durante il papato avignonese si decide che
la persona incaricata di un officio debba anticipare la
rendita di un anno del beneficio annesso. Poca cosa?
No. Più l’incarico è prestigioso, più i benefici sono
consistenti, maggiore è la somma di denaro da versa-
re alla Santa Sede. Stando così le cose è evidente che
diventa vescovo, cardinale, arcivescovo, parroco, vi-
ceparroco e via dicendo, solo chi dispone di risorse
finanziarie. Non basta. Dal momento che i ricchi non
sono tanti, si concentra nelle loro mani un enorme
numero di offici e a coloro che possono anticipare le
rendite di un anno viene affidato un numero esorbi-
tante di incarichi. Succede così che alcuni vescovi e
parroci diventino titolari di decine – a volte centinaia
– di diocesi e di parrocchie. Non possedendo il dono
dell’ubiquità, costoro affidano a vicari (assegnati col
medesimo criterio, ovverosia l’anticipo di un anno
del beneficio) la cura dei fedeli. A loro volta i vicari,
titolari di numerosi vicariati, nominano sostituti.

15
Fiscalismo e commenda (concessione di un bene-
ficio a chi già ne possiede un altro): queste due pa-
role sintetizzano la dura realtà della chiesa cattolica
all’epoca della cattività avignonese. I danni prodotti
da questa cattività sono incalcolabili. Innanzi tutto
per un problema di giustizia. La chiesa ha costruito
nel corso dei secoli una comunità in cui si parla la
stessa lingua, il latino, e si possiede la stessa fede.
Quando la Francia riesce a portare il papa in terra
francese, si forma una prima spaccatura all’interno
dell’ecumene cattolica che aveva in Roma la capita-
le naturale. Un incipiente nazionalismo è implicito
nella pretesa della Francia di avere il papa a casa sua.
E perché in Francia e non in un altro luogo? E per-
ché le decime di tutta la cristianità avrebbero dovuto
arricchire una sola nazione? Con tutta evidenza si
tratta di un’ingiustizia macroscopica. La nascita delle
chiese nazionali è contestuale allo spostamento del
papato ad Avignone: non è un caso se al concilio di
Vienne7, convocato da Clemente V nel 1312, per la
prima volta i prelati si riuniscano divisi per nazioni.
Nel frattempo, lungo tutto il XIV secolo, in conco-
mitanza con il trasferimento del papato ad Avignone,
la corona inglese emette una serie di provvedimenti
per arginare l’influenza della Santa Sede sul regno: si
tratta di difendere i benefici, cioè le ricchezze, e gli uo-

7
  Concilio passato alla storia per la soppressione dell’ordine dei
Templari.

16
mini, cioè gli inglesi, dall’influenza della chiesa romana
francesizzata.
Quanto all’impero, al “sacro” romano impero,
privato della sua principale funzione8, cerca la giu-
stificazione del proprio potere nell’investitura dal
basso invece che dall’alto: nel 1328 Ludovico il Ba-
varo9 scende a Roma per farsi incoronare imperatore
da Sciarra Colonna, capitano del popolo romano. A
suggerire la rivoluzionaria iniziativa è Marsilio da Pa-
dova10 che teorizza la totale sottomissione del potere
spirituale al potere temporale.
Il fenomeno cui Lutero dà una giustificazione teo-
logica, quello delle chiese nazionali, è una delle conse-
guenze di lungo corso della cattività avignonese.

«Questo è quello ch’io voglio vedere in voi»11


In tanti sostengono che Gregorio XI abbia tro-
vato il coraggio di tornare a Roma nel 1377 grazie
alla santità e alla determinazione di Caterina da Sie-

8
  Da quando Teodosio con l’editto di Tessalonica del 380 dichia-
ra la religione cattolica religione di stato, spetta all’imperatore il com-
pito di difendere la chiesa dai nemici esterni (barbari ed invasori in
generale) ed interni (eretici).
9
  Ludovico il Bavaro (Monaco 1282 – Fürstenfeldbruck 1347).
10
  Marsilio da Padova (Padova 1275 – Monaco di Baviera 1342),
esiliato, segue Ludovico il Bavaro in Germania.
11
  Caterina da Siena (Siena 1347 – Roma 1380), lettera n. 185 a
Gregorio XI precedente l’anno 1376.

17
na. Quando, finalmente, il papa si decide a tornare,
la morte lo coglie quasi subito. Dopo di lui, come
ovvio per non esacerbare le giuste attese della popo-
lazione romana, viene eletto un papa, se non roma-
no, perlomeno italiano: la scelta cade su Bartolomeo
Prignano, arcivescovo di Bari, che prende il nome
di Urbano VI. La Francia non accetta di rinunciare
al papato, pretende che il papa torni ad Avignone,
e nel giro di pochi mesi mette in piedi uno scisma
che dura quaranta anni. Uno scisma non teologico
ma politico. La cristianità si divide in due. Due ob-
bedienze: l’una romana l’altra avignonese. Due papi,
due collegi cardinalizi, gli ordini religiosi spaccati a
metà. Una devastazione.
L’imperatore Sigismondo di Lussemburgo12 rie-
sce a mediare fra le parti e rende possibile la convo-
cazione di un concilio a Costanza. Il concilio depone
i tre papi (alle due obbedienze se ne è nel frattempo
aggiunta una terza, quella pisana) e nel 1417 elegge
un nuovo pontefice: Martino V Colonna. A Costan-
za trionfa il conciliarismo, ovvero la teorizzazione
della superiorità del concilio sul papa: l’autorità della
Santa Sede è messa in discussione alla radice. L’affi-
damento delle chiavi del regno dei cieli a Pietro e la

12
  Sigismondo di Lussemburgo (Norimberga 1347 – Znojmo
1437), principe elettore di Brandeburgo, re d’Ungheria, Rex Romano-
rum dal 1410, imperatore dal 1433.

18
promessa della sua infallibilità13 sono aggirati: troppo
urgente è la necessità di porre rimedio alla spaccatu-
ra della cristianità. Il conciliarismo, inventato dagli
intellettuali parigini, serve benissimo alla bisogna. La
sete di potere è, come spesso succede, mascherata
dalle impellenti necessità del momento.
All’inizio del Quattrocento la chiesa, se vuole so-
pravvivere, ha urgente bisogno di riforma. Fiscalismo
e commenda vanno eliminati; la vita nei conventi e
nei monasteri deve tornare a svolgersi secondo i det-
tami delle rispettive regole; la pastorale va rifondata;
l’evangelizzazione va rilanciata; gli uomini di chiesa
devono essere uomini di Dio e non faccendieri intri-
ganti. Si muove per prima l’Italia dove il movimento
dell’osservanza, benedetto dai pontefici, parte dal
basso e si diffonde a macchia d’olio a cominciare dal
monastero di S. Giustina di Padova. Segue la Spagna
dove l’iniziativa parte dall’alto, anche in questo caso
con l’aperto sostegno della Santa Sede. A promuo-
vere la riforma con grande convinzione ed energia
sono i “re cattolici” Isabella di Castiglia e Ferdinando
di Aragona, sposi nel 1469. In Spagna scompaiono
commenda e fiscalismo, diventano vescovi uomini
retti e colti, tutta la vita della chiesa è radicalmente

13
  Cfr. il vangelo di Matteo 16,19: «A te darò le chiavi del regno
dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto
ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

19
rinnovata. Non è un caso se Italia e Spagna siano
rimaste immuni dal contagio luterano.

Una divagazione filosofica


L’uomo è un animale razionale: questa la definizio-
ne suggerita da Aristotele. La ragione umana (quella
del grande filosofo) risolve tutti i principali interro-
gativi e misteri dell’universo di cui facciamo parte: un
motore immobile, perfettamente autosufficiente, pen-
siero di pensiero, attira a sé tutto ciò che esiste, perché
tutto ciò che esiste ama la perfezione del motore im-
mobile e cerca, per quanto può, di somigliargli.
Il fascino di questa dottrina, resa compatibile da
Tommaso d’Aquino14 con la visione del mondo cri-
stiana, informa la filosofia del XII e XIII secolo e
porta i teologi alla costruzione di grandiose catte-
drali del pensiero che si sviluppano parallelamente
alle leggiadre e complesse costruzioni in pietra. È il
mondo della scolastica. Medioevo oscuro, irraziona-
le e magico? L’esatto contrario. Medioevo costrutto-
re di certezze razionali pervasive dei più piccoli spazi

14
 Tommaso d’Aquino (Roccasecca 1225 – Fossanova 1274),
da molti considerato il più grande filosofo cristiano, definito Doctor
angelicus per la sublimità della propria dottrina, autore di una Summa
theologiae caposaldo del pensiero razionale cristiano. Leone XIII ne
ripropone il pensiero come baluardo contro il relativismo gnostico
imperante in epoca moderna.

20
dell’esistenza. La fede nella ragione rischia però di
costruire un mondo a sé. Un mondo in cui anche
il male ed il peccato, certamente contemplati, sono
come resi inoffensivi perché razionalizzati, inqua-
drati in un rigido schema logico, spiegati e resi per-
fettamente intelligibili.
Succede che il mondo non sia una cattedrale. Il
mondo è anche male ed infelicità, peccato ed ingiu-
stizia. Il mondo è anche resistenza del pensiero alla
verità. Dubbio e angoscia. L’insofferenza per le me-
ravigliose costruzioni della logica aristotelica porta
all’eccesso opposto: gli universali non esistono. Sono
parole vuote. L’uomo non è in grado di conoscere la
realtà. Conosce solo quanto sperimenta qui ed ora.
Guglielmo da Ockham15, francescano inglese, man-
da in frantumi l’impianto aristotelico: la metafisica
non è più la prima né la più importante delle scienze
e la probabilità vince sulla certezza.
Il rifiuto del pensiero metafisico porta con sé la
perdita di interesse per la speculazione relativa alle
sostanze e alle qualità. Non si parla più di essenze.
Scomparse le essenze, l’uomo, ogni uomo, non è più
per definizione «immagine e somiglianza»16 di Dio.
Con la conseguenza che vengono poste le premesse

15
  Guglielmo (Ockham 1288 – Monaco di Baviera 1349), scomu-
nicato, segue in Germania Ludovico il Bavaro.
16
  Cfr. il libro della Genesi 1,26: «Facciamo l’uomo a nostra im-
magine, a nostra somiglianza».

21
per scavare un fossato fra uomo e uomo: fra chi è
sapiente, illuminato e scienziato, e chi sapiente, illu-
minato e scienziato non è. Fra salvati e dannati. Fra
predestinati alla salvezza e predestinati alla danna-
zione. De potentia absoluta: non analogia ma abisso fra
ragione umana e ragione divina.
Diciamolo con le parole di papa Ratzinger. A giu-
dizio di Benedetto XVI il patrimonio della filosofia
greca che, criticamente purificato, è «parte integran-
te della fede Cristiana», viene messo in discussione
dalla teologia moderna in tre ondate successive che
iniziano con la riforma: «La deellenizzazione emer-
ge dapprima in connessione con i postulati della Ri-
forma del XVI secolo. Considerando la tradizione
delle scuole teologiche, i riformatori si vedevano di
fronte ad una sistematizzazione della fede condizio-
nata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una
determinazione della fede dall’esterno in forza di un
modo di pensare che non derivava da essa. Così la
fede non appariva più come vivente parola storica,
ma come elemento inserito nella struttura di un si-
stema filosofico»17.

17
  Cfr. Benedetto XVI, Lectio magistralis Ratisbona 2 settembre
2006.

22
Nel vivo della vicenda

Un impero decentrato
Dopo la parentesi rivoluzionaria della prima metà
del XIV secolo, l’impero riprende forza con Carlo
IV di Boemia18 (il padre di Sigismondo) che fissa le
modalità per l’elezione dell’imperatore. La massima
carica politica dell’occidente è elettiva e compete a
sette grandi elettori, quattro laici e tre ecclesiastici:
così prescrive quella che viene chiamata Bolla d’Oro
redatta nel 1356. Alla fine del XV secolo mentre i re-
gni europei, tutti i regni europei, vanno rafforzando
il potere del re con marcata tendenza all’assolutismo,
in Germania le cose vanno alla maniera antica, se-
condo l’uso feudale: il potere è ripartito in una mol-
titudine di soggetti laici ed ecclesiastici.
E così, per avere valore di legge, un provvedi-
mento deve essere approvato dall’imperatore e
dall’assemblea imperiale, la dieta, che comprende
tre banchi: il banco dei principi elettori, quello dei

18
  Carlo IV di Boemia (Praga 1316 – 1378). Imperatore dal 1355,
rende Praga una delle più belle città europee.

23
nobili e quello delle città. Ciononostante l’ultima pa-
rola spetta sempre al potere locale perché un prin-
cipe non può essere obbligato a sottoscrivere un
provvedimento che non condivide. Per dare un’idea
delle complessità della situazione, basti pensare che
la dieta di Worms che nel 1521 condanna Lutero, è
composta dai sette grandi elettori, da120 prelati, 140
nobili e 85 città di cui 20 libere.
La vita culturale tedesca è vivace: nel giro di cen-
tocinquanta anni, dal 1348 al 1506, vengono fondate
17 università. Molte. Segno sicuro di una forte vi-
talità economico-sociale: i Fugger e i Welser sono
alcune fra le famiglie di banchieri e commercianti più
potenti al mondo.
Dalla ricca, colta, esoterica Firenze, si è diffuso
l’umanesimo, mentre la fine drammatica di Bisanzio
nel 1453 ha riversato sull’occidente una schiera di
studiosi, filosofi, teologi e rabbini, che rende fami-
liare lo studio filologico delle lingue: latino, greco,
ebraico. Non si tratta, come con Ockham, di sepa-
rare fede e ragione a tutto vantaggio (perlomeno in
teoria) della fede. Si tratta di filosofare prescindendo
dalla fede. Prescindendo dalla Rivelazione. Anche se
molto spesso questo aspetto è sottaciuto e perfino
negato: così, con Pico della Mirandola19 e il suo Di-
scorso sulla dignità dell’uomo, scompare il concetto di

19
  Giovanni Pico della Mirandola (Mirandola 1463 – Firenze
1494), noto per la grande erudizione e la prodigiosa memoria.

24
peccato, concetto cardine della filosofia ebraico-cri-
stiana. L’uomo, indipendentemente dalla grazia, può
diventare ciò che vuole: bruto o angelo.
Lo studio delle fonti, il ritorno alla Scrittura e ai
Padri, la critica della scolastica, l’attacco alla fede su-
perstiziosa e alle mille forme di religiosità popolare,
in una parola l’umanesimo, in Germania si colora di
nazionalismo. Ukrich von Hutten, poeta e cavalie-
re, per esaltare l’eroismo del popolo tedesco, a suo
giudizio sempre combattuto da Roma sia nella sua
versione pagana che pontificia, compone l’Arminius20
e, grazie ad una piccola casa editrice, pubblica in te-
desco opuscoli violentemente anticattolici.
La letteratura di lingua tedesca nasce antiromana
e il Dante locale si chiama Lutero che nel 1534 com-
pleta la traduzione della Bibbia21.

20
 Arminio è il barbaro che nel 9 d.C. annienta le legioni romane
comandate da Publio Quintilio Varo nella foresta di Teutoburgo.
21
  Quella di Lutero non è la prima traduzione della Bibbia in
tedesco: è però quella più efficace, scritta benissimo, frutto della
collaborazione di studiosi e linguisti; la versione definitiva esce nel
1545 e fino ad allora Lutero non cessa di migliorarne il testo. Il pa-
dre della riforma scrive nella “lingua comune”, quella che capiscono
tutti, in Germania meridionale come in Germania settentrionale, ed
è il primo a dare dignità letteraria alla lingua tedesca: così pensano
in molti, fra cui Nietzsche e Hitler. Quest’ultimo, nei suoi Discorsi a
tavola (relativi alla notte fra il 21 e il 22 luglio 1941) sostiene: «grazie
alla sua traduzione della Bibbia, Lutero ha sostituito ai nostri dialetti
la lingua tedesca!».

25
La curia romana e la chiesa tedesca
Negli ultimi decenni del Quattrocento e i pri-
mi del Cinquecento la chiesa romana è sfarzosa e
mondana. I papi rinascimentali, gran signori, quasi
tutti provenienti da nobili e ricche famiglie italiane,
sono dotti mecenati che vivono nel lusso e colgono
ogni possibile occasione per fare festa, partecipare a
battute di caccia, gale e banchetti. I carnevali roma-
ni sono famosi in tutto il mondo così come le feste
mitologiche per la glorificazione dei papi. Alla cor-
te pontificia non fanno difetto i divertimenti e non
mancano nemmeno i giochi d’azzardo, con Giulio II
della Rovere e i cardinali impegnati a puntare grosse
somme di denaro. Nepotismo, mondanità, mecena-
tismo, sete di potere, vita spesso dissipata: queste le
caratteristiche non proprio esemplari del papato di
quei tempi.
La chiesa tedesca, dal canto suo, è molto ricca: si
calcola che all’inizio del Cinquecento le appartenga
un terzo dell’intero patrimonio fondiario naziona-
le. Per ridurre il potere dei feudatari il cui incarico
è diventato ereditario, Ottone, primo imperatore di
Sassonia22, inventa la figura dei vescovi-conti: non
potendo sposarsi, perlomeno ufficialmente, i vesco-
vi-conti non creano problemi di successione. L’im-

22
 Ottone I (912 – 973), duca di Sassonia, nel 936 diventa re di
Germania e nel 962 sacro romano imperatore.

26
peratore sceglie i conti, li nomina vescovi, e questi,
in definitiva, sono debitori a lui della propria auto-
rità e dei propri privilegi: l’obbedienza al papa entra
in conflitto diretto con quella all’imperatore. Di qui
l’asprezza della lotta per le investiture combattuta
dal papato contro l’impero.
All’epoca di Lutero i vescovi-conti hanno anco-
ra molto potere: sono a capo delle maggiori città
dell’impero e tre di loro (i vescovi di Colonia, Ma-
gonza e Treviri) sono grandi elettori. Tutti i vescovi
sono nobili, come nobili sono gli abati delle maggiori
abbazie: la chiesa tedesca ha una struttura rigidamen-
te feudale. Fiscalismo e commenda si accompagna-
no a immoralità, assenteismo e carenza di spirito
missionario. Il commercio di reliquie è fiorente: si
ritiene che basti una visita per lucrare indulgenze23
per milioni di anni.
L’indulgenza plenaria promossa da Giulio II Della
Rovere e da Leone X Medici per la sontuosa ricostru-
zione della basilica di San Pietro viene fatta riscuo-
tere in Germania dal ventiquattrenne affettivamente

23
 Il canone 992 del diritto canonico definisce la indulgenza «la
remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi
quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determina-
te condizioni, acquista per intervento della Chiesa (papi e vescovi) la
quale, come ministra della Redenzione, dispensa ed applica autorita-
tivamente il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi»; il canone
994 specifica: «Ogni fedele può lucrare per sé stesso o applicare ai
defunti a modo di suffragio indulgenze sia parziali che plenarie».

27
vivace Alberto di Brandeburgo che, già vescovo di
Magdeburgo e Halbertstadt, nel 1514 si indebita con
i Fugger per acquistare il vescovato di Magonza che
gli permette di diventare principe elettore.
Il giovane arcivescovo si ripromette di pagare i
propri debiti con la predicazione dell’indulgenza
di cui avrebbe trattenuto la metà dei proventi. Un
bell’affare, non c’è che dire. Nell’Instructio summaria
che redige per l’occasione, il desiderio di fare cassa
è palpabile: si arriva a prospettare l’acquisto dell’in-
dulgenza plenaria per i morti senza bisogno di pen-
timento e senza confessione, essendo sufficiente un
semplice versamento di denaro.
Come la chiesa abbia potuto sopravvivere alle
persecuzioni e alla vita scandalosa di numerosi suoi
prelati è un vero miracolo.

Soldi, soldi e ancora soldi


Si è abituati a credere che la riforma luterana na-
sca dallo scandalo delle indulgenze. Non è così.
Se il comportamento di Alberto di Brandeburgo
non è esemplare, non lo è nemmeno quello di Fede-
rico il Saggio, principe elettore di Sassonia, fondato-
re dell’università di Wittenberg e potente protettore
di Lutero. Federico non concede la predicazione
dell’indulgenza in Sassonia non per particolari esi-
genze di purezza di fede, ma per non contribuire,

28
anche se indirettamente, al rafforzamento del casato
degli Hohenzollern cui Alberto di Brandeburgo ap-
partiene, casato rivale del proprio, i Wettin.
Ecco cosa scrive lo storico della chiesa Hubert
Jedin a proposito della quantità di reliquie e di in-
dulgenze accumulate nella chiesa di Ognissanti di
Wittemberg dall’elettore sassone: «Ancora nell’an-
no 1516 Federico il Saggio fece richiedere a Roma
un aumento delle indulgenze per la chiesa del suo
castello […] La collezione di reliquie fu accresciuta
coerentemente fino al 1520. Per l’anno 1518 Spala-
tino24 registra 17.443 frammenti, e 18.970 per l’anno
1520. In una visita si poteva guadagnare per ogni
volta un’indulgenza di 1.902.202 anni, 270 giorni e
1.915.983 quarantene».
Di tutto di più: fra le reliquie compaiono quattro
capelli di Maria, tre parti del suo manto, un pezzetto
delle fasce di Gesù Bambino, una particella dell’oro
portato dai Magi, un po’ dei peli della barba di Cri-
sto, un avanzo del pane dell’ultima cena, uno dei
chiodi infitti in una mano del Redentore. Cosa de-
durne? Che l’abbondanza e la varietà delle reliquie
non scandalizza nessuno. Caso mai fa male la deci-
sione di Leone X di sospendere, durante la riscossio-

24
  Georg Burckhardt (1484 – 1545), detto Spalatino, umanista,
tutore dei principi di Sassonia, consigliere di fiducia di Federico il
Saggio.

29
ne delle indulgenze per la costruzione di San Pietro,
la riscossione di tutte le altre.
Soldi, soldi e ancora soldi. Nelle tesi che Martin
Lutero (a detta di Melantone25) avrebbe affisso il 31
ottobre 1517 alla porta della chiesa del castello di
Wittenberg, l’argomento soldi ricorre con frequenza.
Le tesi 84, 85 e 86 sono centrate sul tema del denaro.
La 86 suona così: «perché il papa, le cui ricchezze
oggi sono più opulente di quelle degli opulentissimi
Crassi, non costruisce una sola basilica di S. Pietro
con i propri soldi invece che con quelli dei poveri
fedeli?».
I soldi hanno un ruolo di primo piano nello scop-
pio e nella diffusione della riforma.

Martin Luther
Lutero nasce in un piccolo centro della Sasso-
nia, Eisleben, il 10 novembre 1483 da una famiglia
di contadini poi diventati piccoli imprenditori nelle
miniere di rame. Frequenta la facoltà delle arti di Er-

25
  Philipp Melanchthon (1497 – 1560), umanista, amico e colla-
boratore di Lutero, parla dell’episodio dell’affissione delle 95 tesi nella
prefazione al secondo volume delle opere di Lutero (1546), comparse
dopo la morte del riformatore. Lutero invece afferma di aver inviato
le tesi ai vescovi interessati e di averle poi fatte recapitare a «persone
dotte, dentro e fuori di Wittenberg» nell’intento di suscitare un dibat-
tito fra dotti.

30
furt, impara a conoscere e ad apprezzare la filosofia
di Ockham, poi si iscrive a giurisprudenza. Il 1505
è per lui un anno decisivo perché lascia l’universi-
tà ed entra nel convento degli agostiniani di Erfurt
nonostante la ferma opposizione del padre. Lo fa in
seguito ad un evento drammatico: mentre sta rien-
trando in città lo sorprende un violento temporale e
un fulmine lo getta a terra. Terrorizzato si rivolge a
sant’Anna cui fa voto: aiutami e mi farò monaco.
Nel 1507 diventa teologo e sacerdote e inizia una
brillante quanto rapida carriera sia in campo accade-
mico che ecclesiastico. Nel 1510 è a Roma: rimane
scandalizzato dai costumi della curia, come alcuni di-
cono? Di fatto si comporta come un pellegrino pio:
lucra indulgenze connesse alle visite delle basiliche
e sale in ginocchio la Scala Santa. Nel 1512 a venti-
nove anni è professore all’università di Wittenberg e
nel 1515 è vicario di distretto per 11 conventi rifor-
mati: anche se deve sostenere dure lotte contro la
concupiscenza e la tentazione della disperazione è
sicuramente un uomo di successo.
Questo il contesto in cui quasi all’improvviso tro-
va il fondamento della propria teologia: la dottrina
della giustificazione per la fede. Nella prefazione alla
pubblicazione delle sue opere composta a un anno
dalla morte, nel 1545, Lutero così parla del suo «odio»
per la giustizia di Dio, del Dio che punisce i pecca-
tori: «Nonostante l’irreprensibilità della mia vita di

31
monaco, mi sentivo peccatore davanti a Dio; la mia
coscienza era estremamente inquieta, e non avevo
alcuna certezza che Dio fosse placato dalle mie ope-
re soddisfattorie. Perché non amavo quel Dio giusto
e vendicatore, anzi, lo odiavo, e se non lo bestem-
miavo in segreto, certo mi indignavo e mormoravo
violentemente contro di lui». I dubbi e le angosce di
Lutero svaniscono alla scoperta della nuova esegesi
che, a suo modo di vedere, bisogna fornire del ver-
setto 17 del primo capitolo della lettera ai Romani
di San Paolo che dice: «È in esso [nel vangelo] che
si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta
scritto: Il giusto vivrà mediante la fede». Lutero scopre
che con l’espressione «giustizia di Dio» bisogna in-
tendere «la giustizia che Dio dona, e per mezzo della
quale il giusto vive, se ha fede». La consapevolezza
della giustizia di Dio come misericordia gli spalanca
«la porta del paradiso».
Come a questa intuizione sulla giustificazione
dovuta alla fede possa essere ricondotta la violenta
ribellione contro la chiesa romana e la condanna di
quindici secoli di vita cristiana, come a questa posi-
zione teologica possa essere fatta risalire la rivolu-
zione protestante resta, perlomeno per chi scrive, un
mistero.
Nel frattempo ha cominciato a scrivere: è del 1513
il Commento sui Salmi e del 1515-16 il Commento all’Epi-
stola ai Romani. Seguono la Lettera ai Galati (1516-17)

32
e la Lettera agli Ebrei (17-18). Nel 1517 compone 97
tesi in occasione del baccellierato di Franz Gunther:
è rottura aperta con l’occamismo semipelagiano e
polemica durissima con la teologia di matrice aristo-
telica. Qualche saggio: «l’uomo, diventato simile ad
un albero marcio, non può volere né fare altro che
male» (tesi n. 3); «È falso dire che la volontà è libe-
ra di decidersi per il bene e per il male. La volontà
non è libera, è schiava» (n. 5); «Non diventiamo giu-
sti facendo quello che è giusto, ma è quando siamo
stati resi giusti, che compiamo la giustizia. Contro i
filosofi» (n. 40); «tutto Aristotele nei riguardi della
teologia è come le tenebre nei confronti della luce»
(n. 50).
Di provocazione in provocazione l’esperienza
luterana procede come una valanga. Nel 1519 è la
volta della Disputa di Lipsia col teologo umanista
Johannes Eck. Il monaco agostiniano si avventura
a sostenere che il primato romano risale a quattro-
cento anni prima. Così scrive nella tredicesima tesi:
«Con frigidissime decretali dei pontefici romani si di-
mostra la superiorità della Chiesa romana sulle altre
Chiese. Ma contro queste stanno il testo della divi-
na Scrittura, la storia degna di fede di mille e cento
anni, e il decreto del Concilio di Nicea, il più sacro di
tutti». Anche se definisce il concilio di Nicea «il più
sacro di tutti», Lutero non crede affatto nell’infallibi-
lità dei concili.

33
I rivoluzionari di tutti i tempi hanno in comune
il linguaggio: un linguaggio semplice, chiaro, popo-
lare, lapidario. Un linguaggio che corrisponde alle
esigenze della propaganda, facile da ripetere, che fa
breccia e si impone con la forza delle immagini. Un
linguaggio che punta al cuore più che all’intelletto
e alle viscere più che al cuore. Un linguaggio che,
facendo leva sulle emozioni, genera indignazione e
disprezzo e scatena odio. Lutero, il grande rivoluzio-
nario dell’epoca moderna, non fa eccezione.
La sua retorica da predicatore convinto, ciecamen-
te convinto del possesso della verità, di una verità di
inestimabile valore, sprezzante delle opinioni diver-
se dalle sue, si accompagna all’arma tipica dei tempi
moderni: la propaganda a mezzo stampa. Inventata
da Gutenberg qualche decennio prima, la stampa è
fondamentale per la riuscita della rivoluzione prote-
stante: consente la diffusione in brevissimo tempo di
migliaia di copie di libelli propagandistici scritti per
suggerire parole d’ordine da ripetere meccanicamen-
te, da urlare e poi da mettere in pratica.
Una visita al castello-ex convento degli agostinia-
ni di Wittenberg dove Lutero alloggia con famiglia,
amici, parenti e studenti paganti, è, al riguardo, istrut-
tiva. Vi si scopre la vita agiata che la famiglia Lutero
conduce, si ammirano i piatti di porcellana utilizza-
ti per i pasti, si possono osservare, esposti in bella
mostra, una serie di libelli dai titoli semplici, chiari,

34
quanto faziosi e falsi, accompagnati da disgustose
immagini caricaturali che faranno scuola ai giacobini
francesi. L’attacco a Roma è violento, condotto con
tutti i metodi della retorica e della propaganda, a co-
minciare dalla calunnia.
Nel 1520, l’anno della condanna pontificia, com-
paiono, in tedesco e in latino, tre pamphlets. Nell’or-
dine: Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca in tedesco;
La cattività babilonese della chiesa in latino; La libertà del
cristiano in latino (una copia è spedita al papa con una
lettera di accompagnamento) e in tedesco. La lingua
dei dotti serve sempre di meno. La rivoluzione è co-
minciata. Non si tratta di far discutere i saggi, si tratta
di convincere il popolo per schierarlo a battaglia.
Le cose vanno avanti da sole, come per un impul-
so interno: scomunica, contro-scomunica, condanna
imperiale, rifugio nel castello dell’elettore sassone
a Wartburg. E poi la guerra: guerra dei cavalieri e
guerra dei contadini (Contro le bande ladre e assassine
dei contadini). Il matrimonio, la polemica con Erasmo
(De servo arbitrio, 1525), una miriade di opuscoli, il
chiarimento sul ruolo del principe e sull’organizza-
zione della chiesa, il pericolo dei turchi considera-
to minimo rispetto a quello rappresentato dal papa
e dalla curia romana, il Piccolo e il Grande catechismo,
il completamento della traduzione della Bibbia26, I

26
  La traduzione di Lutero è spesso libera al punto che, per esplici-
tare meglio o enfatizzare alcuni passaggi ritenuti fondamentali, non esi-

35
Discorsi a tavola 27 e, nell’imminenza della fine, un vio-
lento affondo contro gli ebrei (Degli ebrei e delle loro
menzogne) e la ripresa dell’attacco al papato (Contro il
papato istituito a Roma dal diavolo).
Alla fine giunge, inesorabile come sempre, la
morte. È il 18 febbraio 1546. Ad Eisleben. Il cerchio
si è chiuso.

Carlo V d’Asburgo, Sacro Romano Imperatore


Nato il 24 febbraio 1500 a Gand, di madrelingua
francese, Carlo è figlio di Filippo d’Asburgo, detto il
Bello, e di Giovanna di Castiglia, detta la Pazza, ed
è nipote per parte di padre dell’imperatore Massi-
miliano e di Maria di Borgogna, ultima discendente
dell’omonimo ducato, e per parte di madre dei re
cattolici Ferdinando ed Isabella.
In una parola Carlo è di gran lunga l’uomo più po-
tente al mondo: gli appartengono Austria, Borgogna,

ta a modificare il testo introducendo parole non presenti nell’originale.


Così, per esempio, il versetto 28 del terzo capitolo della lettera ai Romani
(«Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede indipenden-
temente dalle opere della legge»), è tradotto con l’aggiunta dell’aggettivo
“sola” che non è irrilevante ai fini della retta comprensione del testo. Il
testo di Paolo diventa così il seguente: «Noi riteniamo infatti che l’uomo
è giustificato per la sola fede indipendentemente dalle opere della legge».
27
  Si tratta di 7.075 paragrafi redatti dai commensali di Lutero pre-
valentemente in latino: è la fedele trascrizione dei discorsi conviviali te-
nuti dal riformatore negli anni che vanno dal 1531 alla morte nel 1546.

36
gran parte dell’Italia, Spagna, America. Dal 1516 è
re di Spagna e dal 1519, a diciannove anni, sacro ro-
mano imperatore: i grandi elettori, lautamente com-
pensati, votano per lui all’unanimità. Il papa Leone
X Medici, figlio del granduca di Toscana Lorenzo,
è contrario; contrarissimo è il re di Francia France-
sco I: entrambi stretti dall’abbraccio territoriale dei
possedimenti del giovane sovrano. Eppure Carlo è
forse l’ultimo imperatore a tentare di svolgere con
convinzione il ruolo di difensore della chiesa dai suoi
nemici interni ed esterni28.
Tutta la vita in armi: grande come l’impero è la
quantità di nemici che Carlo deve combattere. Su
tutti i fronti. La sua opera è instancabile: dalla guerra
contro i Turchi a quella contro i pirati barbareschi
a Tunisi ed Algeri, all’eterno conflitto con l’infido
Francesco I di Francia, alla guerra in casa provoca-
ta da Lutero e dai principi ribelli. L’imperatore ha
bisogno di tutte le forze tedesche per combattere il
pericolo turco e non può affrontare di petto il pro-
blema della riforma. Per di più resta anni lontano
dalla Germania impegnato sui vari fronti di guerra.
Se Lutero e le sue idee si affermano con relativa fa-
cilità ciò dipende anche da condizioni esterne a lui
favorevoli, che impediscono a Carlo V di agire con
determinazione.

28
  Cfr. la nota n. 7.

37
Per di più c’è il papa. Roma, prima di Napoleo-
ne e della conquista militare da parte dei Savoia, è
saccheggiata quattro volte nella sua storia: nel 410
dal visigoto Alarico, nel 455 dal vandalo Genserico,
nel 1084 dal normanno Roberto il Guiscardo, nel
1527 dalle truppe del cattolico Carlo V. Un evento
traumatico ed incredibile. Un imperatore cattolico,
che difende la chiesa da una molteplicità di nemici,
che il papa si ostina a non incoronare preferendogli i
francesi (alleati dei Turchi in funzione antimperiale),
che permette ai soldati luterani, i lanzichenecchi, di
mettere Roma a ferro e fuoco. Uno dei drammi più
incomprensibili della storia. Aveva ragione Carlo a
disprezzare la corte romana intrigante e mondana, o
i papi, legittimi sovrani dello stato pontificio e, per di
più, successori di Pietro vicario di Cristo?
Sia coma sia, i lanzichenecchi saccheggiano, deru-
bano, violentano, distruggono, incendiano, profana-
no. La popolazione romana è dimezzata. Il papa, un
altro Medici, Clemente VII, fuggito a Orvieto e poi
a Viterbo, rimette piede in città solo dopo un anno
e mezzo. Le finanze dello stato pontificio sono ro-
vinate. I benefici degli ordini religiosi compromessi.
Una tragedia. Sta di fatto che, dopo undici anni dalla
sua elezione, il papa incorona Carlo sacro romano
imperatore nel 1530. A Bologna.
Nonostante tutti gli sforzi, nonostante tutta la
vita passata a combattere, Carlo V non riesce a di-

38
fendere la religione cattolica, a riportare la pace in
Germania, a frenare l’avanzata turca: prende atto che
è inutile continuare a combattere contro un nemico
che ha già vinto. Con la pace di Augusta del 1555
riconosce ai principi protestanti la liceità di impor-
re il culto luterano nei propri territori: cuis regio ejus
et religio. Un assolutismo fino ad allora sconosciuto
nell’Europa cristiana impone ai sudditi, pena l’esi-
lio, di condividere la professione religiosa dei propri
signori. L’imperatore stabilisce il 1552 come annus
normalis: il saccheggio dei beni ecclesiastici è tollerato
fino a quell’anno, vietato per il futuro29.
Dopo la stipula della pace Carlo, unico o fra i po-
chissimi nella storia di tutti i tempi, lascia spontane-
amente l’enorme potere che detiene ed abdica. Nel
1556 l’imperatore si ritira a vita privata in convento:
ha capito che l’epoca del sacro romano impero è fi-
nita perché è finita l’unità religiosa d’Europa. Muore
il 21 settembre 1558 nel monastero di San Gerola-
mo a Cuascos de Yuste, una località del centro della
Spagna.

29
  La prassi di continuare impunemente a derubare i beni della
chiesa cattolica è all’origine dello scoppio e della prosecuzione della
guerra dei Trent’anni (1618-48) che riduce la Germania a campo di
battaglia degli eserciti tedeschi, danesi, svedesi e, da ultimo, francesi.
La Germania che, con la riforma luterana, dà inizio al periodo delle
cosiddette guerre di religione, esce distrutta e disintegrata dalla pace di
Westfalia che mette fine alla guerra nel 1648.

39
Ai principi cristiani della nazione tedesca
Il fondatore dell’idealismo Johann Gottlieb Fichte,
per esaltare la purezza e la forza dello spirito tedesco
umiliato da Napoleone, nel 1808 scrive un testo dal ti-
tolo evocativo: Discorsi alla nazione tedesca. Il riferimento
manifesto è ad un libretto di battaglia scritto dal padre
della nazione tedesca Martin Lutero nel 1520: Ai prin-
cipi cristiani della nazione tedesca30. Il massone Fichte31 si
limita ad eliminare dal titolo dell’opera il riferimento al
cristianesimo. Se, all’epoca di Lutero, c’era da liberar-
si dalla satanica influenza romana, al tempo di Fichte
bisognava rivendicare l’unicità linguistica e culturale
della Germania, sconfitta dalla Francia.
«Svegliamoci, miei cari tedeschi», scrive Lutero.
Il nazionalismo da lui evocato è pervaso di odio, ma
di un odio per così dire santo perché nobilitato dalla
Parola di Dio. Chi chiama alla rivolta, alla guerra, alla
ribellione, alla rivoluzione contro Roma, è un’autori-
tà spirituale, è un monaco: il nazionalismo promosso
in Germania scaturisce quindi da una sorgente no-
bile perché spirituale. Proviene da quella che viene

30
  Cfr. il testo parzialmente riproposto in appendice alle pp.
127-149.
31
  Johann Gottlieb Fichte (Rammenau 1762 – Berlino 1814) di-
venta massone nel 1793 e nel 1800 tiene in loggia a Berlino conferenze
sulla massoneria, successivamente pubblicate in una rivista dell’ordine.
Sono stampate in due edizioni: Lezioni sulla massoneria e Filosofia della
massoneria.

40
sbandierata come la retta fede, l’unica fede accettabi-
le perché voluta direttamente da Dio32.
«Perché mai non dovrebbe meritare onore chi de-
nuncia il nemico diabolico e desta e chiama a raccolta
i cristiani?». Tradotto: perché mai non dovrei meritare
onore io che denuncio la chiesa romana come chiesa
dell’anticristo? Che rinnego, e lo faccio nel nome di
Cristo, millecinquecento anni di storia cristiana?
Vale la pena di analizzare da vicino questo scritto
perché è un esempio significativo del modo di pro-
cedere del monaco rivoluzionario.
Si parte da un assunto che sarebbe da dimostrare
e che, invece, viene dato per scontato. Si passa quin-
di a dedurre da quel particolare, singolare, persona-
lissimo assunto, le conseguenze politiche, religiose,
materiali, che si ritiene interessino la nobiltà tedesca
da vicino. Le affermazioni sono tutte apodittiche: le
dimostrazioni non sono necessarie. Ipse dixit. Quan-
do l’argomentazione non parte da manifeste falsità,
si prende le mosse da mezze verità per piegarle ad
un’interpretazione faziosa.
Innanzi tutto il titolo: quando mai un uomo di
chiesa si può rivolgere in nome della chiesa e della
sua difesa a principi di una sola nazione? Per defini-

32
 Il nazionalismo tedesco antiromano è ben esplicitato da alcune
caricature ideate da Lutero come efficace mezzo di propaganda. In ap-
pendice ne riproduciamo una relativa al supposto trattamento inflitto da
papa Alessandro III all’imperatore Federico Barbarossa. Cfr. p. 165.

41
zione il messaggio di Gesù è cattolico. Cioè riguarda
tutti. Per non dire dell’odio e del disprezzo che viene
sparso a piene mani contro Pietro, cioè contro colui
che Cristo ha scelto per guidare la chiesa.
Lutero si muove come un elefante senza alcuna
reminiscenza dottorale: il pamphlet serve a scate-
nare, in nome dell’odio, una rivoluzione destinata a
sconvolgere l’assetto politico-culturale-economico-
religioso dell’impero tedesco.

Dalle chiavi di Pietro alle chiavi di Martino


«Se Iddio vorrà concedere a qualcuno tanto ani-
mo da stendere una mano a questa miserevole nazio-
ne»: questa espressione è chiaramente retorica. Dio
ha già trovato qualcuno che salverà la povera Ger-
mania dalle grinfie di Roma. Dio ha suscitato Lutero
e Lutero lo sa. Ma la lotta non è facile perché non si
tratta di combattere contro un uomo, per quanto po-
tente egli sia, si tratta di combattere contro il diavolo:
«in questa contesa non lottiamo contro uomini, ma
contro il principe dell’inferno». E infatti: «se finora i
papi e i loro seguaci con l’aiuto del demonio hanno
potuto confondere i re, ugualmente lo potranno se
proseguiremo senza il soccorso di Dio, ma solo con
la nostra forza e capacità».
Nei suoi scritti Lutero procede molto spesso per
antitesi, mescolando con disinvoltura verità e men-

42
zogna: in questo caso l’aiuto di Dio è invocato per
ribellarsi al papa voluto da Dio, proprio come la Pa-
rola di Dio è evocata per affermare la necessità della
ribellione. Ribellione che Gesù, venuto a fare la vo-
lontà del Padre, rigetta categoricamente per sé come
per i suoi.
Il testo della Bibbia cui Lutero implicitamente si
riferisce è la lettera di Paolo agli Efesini, capitolo 6,
versetto 12, un brano noto col nome di «combatti-
mento spirituale»: «La nostra battaglia infatti non è
contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro
i Principati e le Potestà, contro i dominatori di que-
sto mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che
abitano nelle regioni celesti». Paolo sta descrivendo
la natura dei nostri nemici e sta affermando nella ma-
niera più drastica che questi non sono gli uomini ma
i diavoli.
Per quanto riguarda gli uomini, infatti, Paolo se-
gue la più perfetta ortodossia cattolica: non bisogna
odiarli, ma amarli. «Ma io vi dico: amate i vostri ne-
mici e pregate per i vostri persecutori»33: i cristiani
hanno come modello colui che ha assunto su di sé
i peccati del mondo morendo in croce. Che, nella
storia, le cose non siano sempre andate così, che, nel
corso dei secoli, non tutti gli uomini di chiesa abbia-

33
  Cfr. il vangelo di Matteo 5,44.

43
no amato i propri nemici, non è un buon motivo per
cambiare surrettiziamente la dottrina.
«Se Iddio vorrà giovare alla sua Chiesa per mezzo
dei laici, poiché gli ecclesiastici, ai quali ciò in verità
spetterebbe, sono diventati del tutto indegni»: Lute-
ro si erge a giudice insindacabile e ritiene di essere
in grado di decidere lui a chi competa autorità all’in-
terno della chiesa. Non più agli ecclesiastici perché
ne sono diventati indegni, afferma senza avvertire la
necessità di spiegarne il motivo. A suo giudizio gli
ecclesiastici sono indegni e tanto basta.
Eliminati gli ecclesiastici, chi svolgerà i compiti
di loro competenza? I principi: «Perciò io sostengo
che, poiché l’autorità temporale è stata preordinata
da Dio per proteggere i buoni e punire i malvagi,
si deve lasciarla libera nei suoi uffici, perché penetri
indisturbata in tutto il corpo della cristianità, senza
guardare in faccia a nessuno, sia pur esso papa, ve-
scovo, prete, frate, monaco o quello che vuole». An-
cora: «il suo [del principe] ufficio e l’opera sua, che
esso ha da Dio sopra chiunque, devono procedere
liberi là dove sia utile e necessario intervenire».
Con un tratto di penna il monaco agostiniano can-
cella le infinite lotte combattute dal potere spirituale
per mantenersi autonomo dall’autorità temporale.
Lutero riporta indietro l’orologio della storia can-
cellando i quindici secoli di indipendenza rivendicati
dalla chiesa di Cristo e difesi anche col sangue. La

44
libertas ecclesiae è annullata perché negata alla radice:
«Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che
è di Dio»34 diventa date a Cesare quel che è di Cesare
e dategli anche quello che è di Dio. Date a Cesare sia
il potere temporale che quello spirituale.
Cosa spinge Lutero ad avventurarsi in questa di-
rezione? La considerazione che «poiché le autorità
terrene sono battezzate come noi ed hanno la mede-
sima fede e Vangelo, dobbiamo ammettere che siano
vescovi e sacerdoti e considerare il loro ufficio un
ufficio appartenente ed utile alla comunità cristiana»;
«Perciò – ribadisce – l’autorità cristiana temporale
deve esercitare libera e indisturbata il suo ufficio». I
principi non se lo faranno ripetere due volte.
A sostegno della propria tesi Lutero arruola la
Bibbia: «Ora vediamo come essi [i cattolici romani]
si comportano verso la cristianità, le tolgono la liber-
tà senza alcuna giustificazione nella s. Scrittura, ma
con vero sacrilegio, mentre Dio e gli apostoli l’hanno
sottoposta all’autorità temporale».
La storia della chiesa dai suoi esordi va in direzio-
ne opposta a quella indicata da Lutero. Il 17 marzo
2007, parlando di S. Clemente I35, Benedetto XVI
così tratteggia la necessaria autonomia del potere

34
  Cfr. il vangelo di Matteo 22,21.
35
 Terzo successore di Pietro, Clemente I (88 – 97), martire e san-
to, è autore di una Lettera ai Corinti che è la prima espressione dell’eser-
cizio del primato petrino.

45
spirituale da quello temporale: «all’indomani della
persecuzione, i cristiani, ben sapendo che sarebbero
continuate le persecuzioni, non cessano di pregare
per quelle stesse autorità che li avevano condannati
ingiustamente. Il motivo è anzitutto di ordine cristo-
logico: bisogna pregare per i persecutori, come fece
Gesù sulla croce. Ma questa preghiera contiene an-
che un insegnamento che guida, lungo i secoli, l’at-
teggiamento dei cristiani dinanzi alla politica e allo
Stato. Pregando per le autorità, Clemente riconosce
la legittimità delle istituzioni politiche nell’ordine sta-
bilito da Dio; nello stesso tempo, egli manifesta la
preoccupazione che le autorità siano docili a Dio e
“esercitino il potere che Dio ha dato loro nella pace
e la mansuetudine con pietà” (61,2). Cesare non è
tutto. Emerge un’altra sovranità, la cui origine ed
essenza non sono di questo mondo, ma “di lassù”:
è quella della Verità, che vanta anche nei confronti
dello Stato il diritto di essere ascoltata».
Riprenderemo più avanti le ricadute della sban-
dierata evocazione della libertà, da Lutero sempre
riferita ai principi. Per ora teniamo per fermo che di
libertà si parla molto spesso («Dobbiamo diventare
arditi e liberi e non permettere che le false parole del
papa mortifichino lo spirito di libertà»)36 e ricordiamo

36
 Nel testo che stiamo commentando Lutero fa un uso martellan-
te della parola libertà: non sembra improbabile un’influenza luterana
sulla massoneria moderna (libera-muratoria: free-mason, franc-maçon,

46
solo un’ultima, ma significativa, citazione: «perché
sono così liberi il tuo corpo, la tua vita, i tuoi beni e
il tuo onore, ed i miei no?». Qui troviamo esplicitata
con inusuale franchezza – al di là del desiderio di
giustizia pubblicamente ostentato – la molla di tutte
le rivoluzioni: l’invidia. Così faranno i giacobini, così
i comunisti. Così prima di tutti aveva fatto Eva su
suggerimento di Satana: il frutto dell’albero del bene
e del male era stato colto per invidia nei confronti
di Dio. Per diventare come Dio. Per diventare Dio:
«Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero
i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo
il bene e il male»37.

Sacerdozio Universale
Ogni cristiano partecipa al sacerdozio universale
di Cristo perché ogni cristiano è, in Cristo, sacerdo-
te, re e profeta: questa convinzione della chiesa cat-
tolica è assolutizzata da Lutero che nega l’esistenza
del sacerdozio ministeriale.
Per scardinare la dottrina dell’ordine, per negare
l’esistenza del sacerdozio come sacramento, il mo-
naco rivoluzionario è costretto ad intorbidare un po’

libero-muratore) le cui costituzioni sono redatte nel 1723 dal pastore


presbiteriano James Anderson.
37
  Cfr. il libro della Genesi 3,5.

47
le acque ed è quello che fa. Seguiamone il ragiona-
mento: «se un gruppo di pii cristiani laici caduto in
prigionia fosse abbandonato in un deserto e, non
avendo con sé alcun sacerdote consacrato da un ve-
scovo, di comune accordo eleggessero uno di loro,
sposato o no, e gli affidassero l’ufficio di battezzare,
di celebrare messa, di assolvere e di predicare: costui
sarebbe in verità sacerdote tanto come se l’avessero
consacrato tutti i vescovi e i papi».
Lutero è un cultore dei periodi ipotetici: le ipotesi
che escogita sono però spesso inconsistenti, quando
non blasfeme. Ecco cosa scrive, tanto per fare un
esempio, nella tesi numero 75 delle 95 affisse a Wit-
tenberg nel 1517: «Ritenere che le indulgenze papali
siano tanto potenti da poter assolvere un uomo, an-
che se questi, per un caso impossibile, avesse violato
la madre di Dio, è essere pazzi».
In questo caso l’ipotesi dei “pii” (sottolineiamo
l’aggettivo “pii”) cristiani che eleggono a loro pia-
cimento preti e vescovi per l’amministrazione dei
sacramenti è manifestamente falsa sia alla luce della
Scrittura che di tutta la storia della chiesa.
L’elezione degli apostoli viene dall’alto: è Gesù
che li sceglie. Così si legge nel vangelo di Marco:
«Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli vol-
le ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che
stessero con lui e anche per mandarli a predicare e

48
perché avessero il potere di scacciare i demoni»38.
Asceso Gesù al cielo, con quale criterio gli apostoli
individuano il successore di Giuda che si è autoe-
scluso dal loro numero? Col concorso dello Spirito
Santo, come racconta il libro degli Atti: «Ne furono
proposti due, Giuseppe detto Barsabba, che era so-
pranominato Giusto, e Mattia. Allora essi pregarono
dicendo: “Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti,
mostraci quale di questi due hai designato a prendere
il posto in questo ministero e apostolato che Giuda
ha abbandonato per andarsene al posto da lui scelto”.
Gettarono quindi le sorti su di loro e la sorte cadde
su Mattia, che fu associato agli undici apostoli»39.
I cristiani “pii” si comportano in maniera molto
diversa da quella immaginata da Lutero.
È invece vero che, in situazioni di emergenza, e
cioè nell’imminenza della morte, qualsiasi battezzato
può impartire il battesimo. Ma battezzare qualcuno
in punto di morte è un conto, amministrare il sa-
cramento della confessione, come surrettiziamente
supposto da Lutero, un altro: «Ne viene che in caso
di necessità chiunque può battezzare ed assolvere,
ciò che non sarebbe possibile se non fossimo tutti
sacerdoti».
«Nei tempi antichi i cristiani eleggevano dalla
moltitudine i loro vescovi o sacerdoti»: ancora una

38
  Cfr. il vangelo di Marco 3,14-15.
39
  Cfr. il libro degli Atti 1,23-26.

49
volta un miscuglio di verità e menzogna. Se in alcuni
casi così succedeva (i casi di Ambrogio, Agostino e
Cipriano, che Lutero ricorda, per esempio), le elezio-
ni dovevano sempre essere confermate con l’imposi-
zione delle mani.
Nella storia della chiesa ci sono esempi meravi-
gliosi di eroismo collegato all’insostituibilità del sa-
cerdozio ministeriale. Così, per esempio, quando la
riforma sarà passata all’Inghilterra dove i cattolici sa-
ranno torturati, imprigionati e uccisi e, ciononostan-
te, molti di loro resisteranno eroicamente, nel 1568
il futuro cardinale William Allen fonderà a Douai un
seminario con 4 alunni preparati al martirio con il
preciso obiettivo di consentire ai cattolici inglesi l’ac-
cesso ai sacramenti.
Di straordinaria fedeltà cattolica alla verità rivelata
hanno dato prova i giapponesi: perseguitati con or-
ribili torture e satanica determinazione, hanno con-
servato intatta la loro fede nelle catacombe per più di
due secoli senza clero40, cioè senza sacramenti.
Un’ultima osservazione: in tutti i tempi, e in par-
ticolare durante la rivoluzione francese, la lotta alla
chiesa inizia dalla rivendicazione dell’elezione di par-
roci e vescovi ad opera di tutta la comunità. Perché
tanta premurosa attenzione? Perché, separata da
Roma e dalla successione apostolica, la chiesa non è

40
  Per l’esattezza dal 1639 al 1867.

50
più cattolica e diventa una chiesucola nazionale sot-
toposta a tutti i dictat del potente di turno.

Niente gerarchie religiose: una visione


democratica?
Gesù ha espressamente incaricato Pietro di gui-
dare la chiesa ed ha promesso al primo degli apostoli
che le porte degli inferi non avrebbero prevalso. La
promessa è fatta a Pietro, non a tutti i fratelli e nem-
meno ai dodici: «E io ti dico: tu sei Pietro e su questa
pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi
non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi
del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra
sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla
terra sarà sciolto nei cieli»41.
Lutero non è d’accordo e scrive: «le chiavi non
furono consegnate al solo s. Pietro, ma invece all’in-
tera comunità». Il suo è uno schema democratico:
tutti uguali davanti a Dio. Il Dio di Lutero non fa
preferenze: «Tutti i cristiani appartengono allo stato
ecclesiastico, né esiste fra loro differenza alcuna, se
non quella dell’ufficio proprio a ciascuno». Specifi-
cando: laici, preti, principi o vescovi «sono tutti nella
medesima condizione religiosa e veramente tutti pre-
ti, vescovi e papi, sebbene non coi medesimi uffici».

41
  Cfr. il vangelo di Matteo 16,18-19.

51
L’apparenza per così dire democratica della posi-
zione luterana è in realtà ingannevole perché, lo ab-
biamo visto, la negazione dell’autorità del papa, dei
vescovi e del magistero, rende dispotico il potere del
principe. Oltre a questo, c’è un altro aspetto ancora
più oscuro, per non dire torbido. Già nel 1517, in
occasione del baccellierato di Franz Gunther, Lutero
aveva a tinte fosche dipinto le caratteristiche della
volontà umana: “schiava”. Se la volontà umana non
è libera però, se l’uomo non è responsabile delle pro-
prie azioni, in che modo Dio, giusto giudice, potrà
premiarlo portandolo in paradiso o punirlo mandan-
dolo all’inferno?
«Io non riconosco nessun mio scritto come vera-
mente mio», tranne «il De servo arbitrio e il Catechismo»,
scrive Lutero a Capitone42 nel 1537. Conviene anti-
cipare qui alcune delle considerazioni contenute nel
De servo arbitrio del 1525, libro che Lutero riconosce
come veramente suo e che scrive su sollecitazione
della moglie Caterina Bora43 per rispondere al De li-
bero arbitrio che Erasmo44 aveva composto l’anno pri-
ma contro di lui.

42
  Wolfang Capito (1478 – 1541), uno dei principali riformatori
di Strasburgo.
43
  Katharina von Bora (Lippendorf 1499 – Torgau 1552), monaca
cistercense. Nel 1523, aiutata da Lutero, fugge dal convento di Nimb-
schen e nel 1525 lo sposa.
44
 Erasmo da Rotterdam (Rotterdam 1466 – Basilea 1536), uma-
nista fra i maggiori, scrive il De libero arbitrio nel 1524.

52
Nel De servo arbitrio Lutero espone la sua conce-
zione della natura umana. A suo giudizio l’uomo è
come un cavallo conteso da due cavalieri: «se sale
Dio in sella l’uomo vuole e va dove vuole Dio […]
Se vi sale invece il diavolo, l’uomo vuole e va dove il
diavolo vuole che egli vada. Non dipende da lui cor-
rere da uno piuttosto che dall’altro dei due cavalieri,
e offrirglisi; sono i cavalieri che combattono fra di
loro per farsi padroni del cavallo».
L’uomo è un cavallo pazzo che corre da una parte
e dall’altra, strattonato ora dall’uno ora dall’altro pa-
drone: da Dio come dal demonio. De potentia absoluta
di occamiana memoria: «Dio muove la volontà colla
sua azione universale, per opera della quale l’uomo
vuole necessariamente questo o quello, come Dio lo
determina a volere e come lo trascina colla sua po-
tenza ad operare».
L’uomo non è responsabile delle proprie azioni,
proprio come recita il titolo De servo arbitrio. Quindi
non c’è per lui né ci può essere alcuna ricompensa
o alcuna condanna. C’è semplicemente l’imperscru-
tabile volontà di Dio che dall’eternità destina qual-
cuno all’inferno, qualcun altro al paradiso. Doppia
predestinazione: Dio non predestina tutti alla sal-
vezza, come afferma la dottrina cattolica, Dio salva
o condanna gli uomini senza che questi abbiano al-
cuna possibilità di sfuggire al proprio destino: «Chi,
dici tu, s’impegnerà a correggere la propria vita? Ri-

53
spondo: nessuno può né potrà farlo», ma «gli eletti e
gli uomini pii verranno corretti mediante lo Spirito
santo; gli altri periranno senza essere corretti».
Un simile Dio, si converrà, non è né il Dio Pa-
dre della tradizione biblica veterotestamentaria, né,
tantomeno, il Dio di Gesù Cristo. Un Dio che crea
qualcuno solo per precipitarlo all’inferno nella morte
eterna non è un Padre buono, è un mostro.
Abbiamo inserito il discorso sulla doppia prede-
stinazione commentando l’apparente modernità de-
mocratica di Lutero: tutti uguali, nessuna gerarchia
ecclesiastica. Tutti uguali: il grido rivoluzionario che
ha riempito di cadaveri le città e le campagne negli
ultimi secoli, anche nel caso del monaco agostiniano
ottiene il risultato opposto a quello auspicato. Tut-
ti uguali? In Lutero la diseguaglianza fra gli uomini
è così radicale da diventare metafisica: alcuni sono
creati per la salvezza, altri per la dannazione. Così,
mentre nella chiesa cattolica l’autorità consegna-
ta a Pietro non cancella affatto la reale uguaglianza
di tutti gli uomini di fronte a Dio e fra di loro, la
visione protestante, che nega l’autorità spirituale (il
papa è servus servorum Dei 45), finisce per teorizzare un
abominio.

45
  Prima dell’ultima cena Gesù lava i piedi agli apostoli per signi-
ficare come questi debbano esercitare la loro autorità: «Se dunque io,
il Maestro e Signore, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi
i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho

54
Lutero è influenzato dal pensiero gnostico? Se si
parte dal radicale pessimismo sulla natura umana e
dalla visione delle due forze contrapposte che si con-
tendono il dominio sull’uomo, l’interrogativo non
sembrerebbe infondato46.

Il papa è l’anticristo
Dicevamo che Ai principi cristiani della nazione tede-
sca parte da un assunto che viene dato per scontato,
mentre avrebbe dovuto essere dimostrato. L’assunto
è il seguente: i «romanisti», detto diversamente i cat-
tolici, «hanno eretto intorno a sé con grande abilità
tre muraglie, con le quali essi si sono fino ad ora dife-

fatto io, facciate anche voi» (Giovanni 13,14-15). L’espressione servus


servorum Dei è utilizzata per la prima volta dal papa Gregorio Magno
(590 – 604).
46
 All’interno della catechesi su San Domenico di Guzman
che abbiamo già citato, Benedetto XVI sottolinea alcuni aspetti
dell’eresia catara che presentano analogie col pensiero di Lutero
che stiamo analizzando. Scrive il papa: «il movimento dei Catari o
Albigesi ripropose antiche eresie, come la svalutazione e il disprez-
zo del mondo materiale – l’opposizione contro la ricchezza diventa
velocemente opposizione contro la realtà materiale in quanto tale
– la negazione della libera volontà, e poi il dualismo, l’esistenza di
un secondo principio del male equiparato a Dio». Il papa specifica:
«Questi movimenti [i movimenti pauperistici medioevali] ebbero
successo, specie in Francia e in Italia, non solo per la solida or-
ganizzazione, ma anche perché denunciavano un disordine reale
nella Chiesa, causato dal comportamento poco esemplare di vari
esponenti del clero».

55
si di modo che nessuno ha potuto riformarli, e in tal
modo l’intera cristianità è orribilmente decaduta».
Quella delle muraglie è un’immagine molto effica-
ce. È un’immagine plastica, che rende subito l’idea di
cosa si debba fare: assaltare le muraglie. Distrugger-
le. Lutero sembra ritenere che la principale occupa-
zione dei papi lungo un millennio e mezzo di storia
sia stata quella di costruire intorno a Roma una cinta
muraria capace di rendere la città inespugnabile. Ca-
pace di difendere la roccaforte da quanti avrebbero
potuto salvare la chiesa riformandola.
L’immagine delle muraglie è chiaramente un pre-
testo. È una provocazione. Una provocazione per
indurre i «cari tedeschi» a seguire Lutero nella ribel-
lione antiromana sotto la guida dei nobili principi,
naturalmente «cristiani».
Quanto alle muraglie, sono le seguenti:
la prima: i pontefici «hanno stabilito e proclamato
che l’autorità secolare non aveva alcun diritto sopra
di loro ma al contrario che la spirituale era superiore
al temporale»;
la seconda: il papa ha evocato a sé «l’interpreta-
zione della Scrittura»;
la terza: «hanno inventato che nessuno può con-
vocare un concilio se non il papa».
Nella sostanza Lutero rimprovera ai papi di aver
svolto il proprio ruolo con coscienza: di aver difeso

56
la libertas ecclesiae dalle ripetute intromissioni del po-
tere temporale.
Con questo scritto Lutero guadagna le seguenti
posizioni di principio:
� a Roma c’è l’anticristo;
� Roma è nemica della Germania;
� il ceto dirigente tedesco deve prendere coscien-
za di questa situazione e regolarsi di conseguenza.
Le espressioni utilizzate per tratteggiare il com-
portamento dei vescovi di Roma mirano a suscitare
sdegno: «ci ingannano», «cose orribili temono per la
loro pelle», «hanno reso paurosi re e principi», «ci
hanno proditoriamente sottratto tutte e tre le ver-
ghe». In particolare, chi è il papa per Lutero? La ri-
sposta è semplice: il papa è l’anticristo. La dichiara-
zione è senza incertezze anche perché il 15 giugno
1520 Leone X ha emanato la bolla Exurge Domine
con cui ha intimato a Lutero di ritrattare entro ses-
santa giorni, pena la scomunica47. Ritenendosi Lu-
tero un alter Christus è evidente che il papa che osa
condannarlo, che osa cioè andare contro Cristo, è un
anticristo.
A questa posizione di principio se ne aggiungono
altre, generiche quanto si vuole, che non dimostrano

47
 Il 10 dicembre 1520, a Wittenberg, Lutero brucia in piazza
come «nemici di Dio» i libri di diritto canonico e la bolla Exurge Do-
mine. Il 31 gennaio 1521 Leone X emette la bolla di scomunica Decet
Romanum Pontificem.

57
nulla, ma che contribuiscono a suscitare malessere,
malanimo e pregiudizio. Eccone alcune: «Il papa non
ha sbagliato in moltissimi casi?»; «la maggior parte
dei papi fu senza fede»; «E perché non potremmo
sentire altrettanto bene quanto un papa miscredente
ciò che conviene o no alla fede?»; «Allora Dio per
mezzo di un’asina parlò contro un profeta48, perché
ora non potrebbe parlare per mezzo di un uomo pio
[Lutero], contro il papa?»; «e come può essere che
dovremmo arrestarci o tacere allorché il papa od i
suoi compiono opere o tengono discorsi diabolici?».
Con Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca Lutero
stacca la Germania, una parte significativa della Ger-
mania, dalla comunione con Roma, cioè dall’univer-
salità cristiana che porta a compimento l’universali-
tà greco-romana, la cultura greco-romana. Il danno
per il popolo tedesco, implicitamente abbandona-
to alla solitudine della propria mitologia pagana e
all’estremismo settario, è incalcolabile. Altrettanto
grave è il danno procurato a tutta l’Europa (e, più
tardi, all’epoca di Hitler, al mondo) con la perdita
della Germania, di parte della Germania, dal novero
dell’ecumene cattolica.

48
  Cfr. il libro dei Numeri 22,22-34 in cui si racconta di un’asina
che, dopo aver visto l’Angelo del Signore, impedisce al proprio padro-
ne, l’indovino Balaam, di maledire Israele.

58
De captivitate Babylonica ecclesiae
Dopo aver suscitato, in tedesco, odio e disprezzo
verso Roma, Lutero passa al latino per illustrare alla
sua maniera, e cioè in modo apodittico, quali e quan-
ti siano i sacramenti: «Io», scrive, «Io nego i sette
sacramenti; per il momento se ne devono conservare
solo tre: il battesimo, la penitenza, l’eucaristia», così
scrive nel De captivitate Babylonica ecclesiae. La chiave
per comprendere il pensiero di Lutero sui sacramen-
ti è la dialettica libertà-schiavitù che caratterizza gran
parte della sua predicazione. Anche in questo caso
ritiene ci sia un abuso, una «cattività», cui ci si deve
ribellare e una libertà da riconquistare: i sacramenti
«sono stati falsati in modo miserabile dalla curia ro-
mana, mentre tutta la chiesa è stata spogliata della
sua libertà».
Cominciamo dalla messa, cioè dal «sacramento
del pane, il primo di tutti». In cosa consiste la riven-
dicazione della libertà della chiesa (tedesca) rispetto
alla celebrazione dell’eucaristia? «L’abuso maggiore»,
scrive Lutero, è connesso «alla fermissima persuasio-
ne che la messa è un’opera buona ed un sacrificio»,
un sacrificio per di più «efficace per se stesso»49. A

49
 Al concilio di Trento (1545 – 1563) la chiesa cattolica ribadisce
che i sacramenti sono sette, di istituzione divina, che hanno valore di per
sé (ex opere operato) e che l’Eucaristia è un «vero e singolare sacrificio»:
«E poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella messa, è con-
tenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che si offrì una

59
questo riguardo Lutero riconosce di trovarsi a com-
battere contro un abuso «confermato dall’uso di tan-
ti secoli e affermato dal consenso unanime», per sra-
dicare il quale sarebbe necessario «mutare o abolire
la maggior parte dei libri». Ciononostante il monaco
agostiniano si accinge all’impresa nell’intento, così
scrive, di salvare le anime.
Tanto per cominciare si tratta di abolire tutti i se-
gni di esteriorità che nel corso del tempo gli uomini
hanno aggiunto «alla pura e semplice istituzione di
Cristo». A cosa si riferisce Lutero? Ai «paramenti sa-
cri, gli ornamenti, i canti, le preghiere, l’organo, le
candele e tutta la pompa delle cose visibili»50. Si tratta

sola volta in modo cruento sull’altare della croce, il sacro sinodo insegna
che questo sacrificio è veramente propiziatorio, e che per mezzo di esso,
se con cuore sincero e retta fede, con timore e rispetto, ci accostiamo a
Dio contriti e pentiti, possiamo ricevere misericordia e trovare grazia ed essere
aiutati al momento propizio. Placato, infatti, da questa offerta, il Signore,
concedendo la grazia e il dono della penitenza, perdona i peccati e le
colpe, anche le più gravi. Si tratta, infatti, di una sola e identica vittima
e lo stesso Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un
giorno offrì se stesso sulla croce: diverso è solo il modo di offrirsi. I
frutti di quella oblazione (cioè di quella cruenta) vengono ricevuti in ab-
bondanza per mezzo di questa, incruenta, tanto è lontano il pericolo che
con questa si possa in qualche modo sminuire quella. Per questo motivo
giustamente, secondo la tradizione degli apostoli, essa viene offerta non
solo per i peccati, le pene, le soddisfazioni e le altre necessità dei fedeli
viventi, ma anche per coloro che sono morti in Cristo e non sono an-
cora pienamente purificati». Cfr. il secondo capitolo della ventiduesima
sessione (17 settembre 1562) del concilio di Trento.
50
 A questo riguardo il concilio di Trento stabilisce: «La natura
umana è tale che non può facilmente elevarsi alla meditazione delle

60
di restituire al culto la sua purezza. Ma che cos’è la
messa? «È la promessa della remissione dei peccati»
e quindi, dal momento che si tratta di una promes-
sa, l’unica cosa che si richiede per parteciparvi è la
fede. La fede nella promessa fatta da Dio: «non ci si
accosta ad essa né con le opere, né con le forze, né
con i meriti, ma per mezzo della sola fede. Dove c’è
la parola di Dio che promette è necessaria la fede
dell’uomo che accetta perché sia chiaro che il princi-
pio della nostra salvezza è la fede». La messa dunque
«per sua essenza non è proprio altro che le parole di
Cristo: “Prendete e mangiate ecc.”». Verità e men-
zogna procedono anche in questo caso di pari pas-
so. Così, per esempio, la rivendicazione del calice ai
laici, giusta a parere di chi scrive, è accompagnata da
una grossolana menzogna: «se la chiesa può togliere
ai laici la specie del vino, può togliere anche quella
del pane, e potrà togliere ai laici tutto il sacramento
dell’altare distruggendo completamente l’istituzione
di Cristo».

cose divine senza aiuti esterni: per questa ragione la chiesa come pia
madre […] ha introdotto cerimonie, come le benedizioni mistiche, le
luci, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegna-
mento e dalla tradizione apostolica, per rendere più evidente la maestà
di un sacrificio così grande, e per indurre le menti dei fedeli, con questi
segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle su-
blimi realtà nascoste in questo sacrificio». Cfr. il capitolo quinto della
ventiduesima sessione (17 dicembre 1562) del concilio.

61
Per quanto riguarda il battesimo, Lutero ricono-
sce che Dio, nella sua misericordia, «ha conservato
nella sua chiesa almeno questo sacramento imma-
colato e incontaminato da interventi umani e lo ha
reso libero per tutte le genti e per gli uomini di tutte
le condizioni». Purtroppo però ritiene si sia persa la
fede nell’efficacia di questo meraviglioso sacramento
al punto che si ricorre alla penitenza per espiare le
cadute ad esso successive e, invece di tornare «alla
forza e alla fede del battesimo», alla promessa che ci
è stata fatta da Dio che chi crederà e si farà battezza-
re sarà salvo, ci si affida ad infinite «specie di voti, di
ordini religiosi, di opere buone, di soddisfazioni, di
pellegrinaggi, di indulgenze, di confraternite».
A proposito del sacramento della penitenza – il
terzo che, per il momento, come scrive Lutero, si
deve conservare – è di grande eloquenza e chiarezza
quanto scritto nel Sermone sul sacramento della penitenza
composto anch’esso nel 1520: «Ne consegue che nel
sacramento della penitenza e nella remissione della
colpa nulla di più fa il papa e un vescovo di quello
che fa l’ultimo prete, anzi, dove non vi è un prete,
lo fa altrettanto qualsiasi cristiano, foss’egli pure un
bambino o una donna. Un cristiano qualsiasi, infat-
ti, che ti dicesse: “Dio ti perdona i tuoi peccati […]”
sempreché tu potessi coglierne la parola con ferma
fede, come se ti parlasse Dio, nella fede medesima tu
puoi essere certo di essere assolto. Ogni cosa dipende
quindi assolutamente dalla fede nella parola di Dio».

62
A Wittenberg c’è un papa: viva la libertà
Lutero è l’uomo del paradosso. Eccone uno che
compare nell’ultimo degli opuscoli composti nel
1520, La libertà del cristiano: «voglio porre queste due
proposizioni capitali: 1) Un cristiano è libero signore
sopra tutte le cose e non soggetto a nessuno. 2) Un
cristiano è servo di tutte le cose ed è soggetto ad
ognuno». La chiave per capire questo paradosso è,
secondo Lutero, un secondo paradosso: «ogni cri-
stiano è di duplice natura, spirituale e corporale».
Questo è un punto di grande rilevanza: l’asserita
doppia natura dell’uomo, corpo e anima contrappo-
sti, corpo rigidamente separato dall’anima, il duali-
smo manifesto di Lutero che nella sostanza richiama
la visione platonica del corpo come male, della mate-
ria come limite, questa visione che ha poco a che fare
con l’impianto biblico e molto con quello gnostico,
dualista, è all’origine di una serie di contraddizioni e
difficoltà, teoriche prima che pratiche, che caratte-
rizzano la posizione di Lutero.
Sembra proprio che Lutero abbia confuso il
concetto di corpo con quello di carne. Nella lectio
divina di Benedetto XVI ai seminaristi di Roma del
22 febbraio 2009, il papa ricorda come Lutero sia
partito dall’affermazione paolina «siete stati chiama-
ti alla libertà»51.Seguiamo il ragionamento del papa

51
  Cfr. la lettera ai Galati 5,13.

63
perché è di una chiarezza esemplare: «Ci chiediamo
stasera: che cosa è la libertà? Come possiamo essere
liberi? San Paolo ci aiuta a capire questa realtà com-
plicata che è la libertà inserendo questo concetto in
un contesto di visioni antropologiche e teologiche
fondamentali. Dice: “Questa libertà non divenga un
pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la
carità siate al servizio gli uni degli altri”52». A questo
punto il papa specifica cosa bisogna intendere con la
parola «carne», perché carne in questo contesto non
è sinonimo di corpo: «carne – nel linguaggio di San
Paolo – è espressione della assolutizzazione dell’io,
dell’io che vuole essere tutto e prendere per sé tutto.
L’io assoluto, che non dipende da niente e da nes-
suno, sembra possedere realmente, in definitiva, la
libertà. Sono libero se non dipendo da nessuno, se
posso fare tutto quello che voglio. Ma proprio que-
sta assolutizzazione dell’io è “carne”, cioè è degra-
dazione dell’uomo, non è conquista della libertà: il
libertinismo non è libertà, è piuttosto il fallimento
della libertà».
Tornando a Lutero e alla sua contrapposizione
spirito-corpo, il monaco rivoluzionario che in un
primo momento aveva pensato alla chiesa come ad
un’assemblea di puri spiriti, di anime, accentuando-
ne l’invisibilità, nel corso degli anni, man mano che

52
 Ivi.

64
vengono alla luce le implicazioni poco spirituali della
sua dottrina, passa dall’interesse per l’invisibile chie-
sa dei cuori e delle anime a quello per la visibile chie-
sa dei corpi. L’immoralità diffusa, la proliferazione
dell’estremismo settario, la scomparsa delle opere di
carità e di educazione, inducono Lutero a sottoporre
la vita della chiesa al rigido controllo del potere tem-
porale incaricato di far rispettare il vero culto punen-
do, anche con la morte, chi se ne fosse discostato.
Se nel 1525 Lutero asserisce: «L’autorità non
può impedire che ognuno insegni e creda quello che
vuole», cinque anni dopo, nel 1530, sostiene l’esatto
contrario: chi si discosta dalla dottrina di Wittenberg
va punito: «L’autorità deve raccomandare questa ca-
naglia al buon maestro, che si chiama Mastro Gio-
vanni». Mastro Giovanni è il boia. Nel 1531, com-
mentando le norme stabilite da Melantone per pu-
nire con la morte gli anabattisti, Lutero scrive: «Non
è permesso che un Tizio qualunque venga fuori di
sua testa, crei una sua propria dottrina, si spacci per
maestro Pallottola e voglia farla da maestro e biasi-
mar chi gli piaccia». Continuando su questa strada a
partire dal 1535 tutti i predicatori e i parroci usciti
dalla facoltà di Wittenberg devono sostenere un esa-
me sulla fede e giurare di uniformarsi alla dottrina
insegnata all’università locale, definita propria della
“Chiesa Cattolica di Cristo”. Nei Discorsi a tavola Lu-
tero dichiara: «Chi disprezza la scuola di Wittenberg

65
è un eretico e un uomo cattivo; infatti Dio ha rivela-
to la sua Parola in questa scuola».
Separando rigidamente lo spirito dal corpo si fini-
sce col fraintendere la natura di entrambi. Nella lectio
appena citata, Benedetto XVI sostiene: «Sappiamo
che Lutero si è ispirato a questo testo della Lettera ai
Galati e la conclusione è stata che la Regola monasti-
ca, la gerarchia, il magistero gli apparvero come un
giogo di schiavitù da cui bisognava liberarsi». Di fat-
to Lutero è passato dalla teorizzazione della “libertà
del cristiano” all’imposizione della dottrina luterana
insegnata a Wittenberg. Non è un caso che sia stato
definito il “papa di Wittenberg”.

Sola fede
Uno dei capisaldi del sistema luterano è il prin-
cipio della “sola fede”: «soltanto la fede senza alcu-
na opera rende pio e beato», scrive ne La libertà del
cristiano.
Il punto è, per limitarci al Nuovo Testamento,
che numerosi sono i passi in cui la Bibbia afferma
l’esatto contrario: le opere sono necessarie alla sal-
vezza. Il testo più esplicito al riguardo è la lettera di
Giacomo che sembra quasi anticipare ante litteram le
posizioni di Lutero per confutarle alla radice: «Che
giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma
non ha le opere? Forse che quella fede può salvar-

66
lo?», scrive Giacomo. Sulla scorta di alcuni esempi
tratti dalla storia della salvezza fra cui, emblematico,
il caso di Abramo padre della fede («Abramo, nostro
padre, non fu forse giustificato per le opere, quando
offrì Isacco, suo figlio, sull’altare?»), l’autore sacro
ribadisce: «la fede senza le opere è morta», e ancora:
«uno potrebbe dire: Tu hai la fede e io ho le opere;
mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie
opere ti mostrerò la mia fede»53.
Come fa Lutero a non prendere in considerazio-
ne questo testo? Definendolo «una lettera di paglia»,
ovvero liberandosene con una battuta54.
Per capire come il monaco rivoluzionario pos-
sa ignorare testi biblici espliciti sulla necessità del-
le opere, l’unica strada è quella di partire dalla sua
antropologia e, in particolare, dalla convinzione che
la volontà umana sia “schiava”. Se si ritiene che la
natura umana sia radicalmente corrotta, la conclu-
sione è obbligata: l’uomo non può compiere nessuna
opera meritoria. E infatti Lutero afferma: «l’anima

53
  Cfr. la lettera di Giacomo 2,14-21.
54
 Nel Prologo all’edizione del Nuovo Testamento pubblicata nel
1546, Lutero scrive che la lettera di Giacomo «non è che paglia, per-
ché non ha nessun carattere evangelico». Lutero pensa sia necessario
«fare distinzione fra libro e libro» all’interno della Bibbia. Questo, per
esempio, il giudizio sull’Apocalisse: «non trovo in questo libro niente di
apostolico né di profetico». Tenendo conto di considerazioni come
questa, i criteri di lettura della Bibbia utilizzati da Lutero sono stati
ritenuti soggettivi ed arbitrari.

67
soltanto per mezzo del dono nuziale [matrimonio
con Cristo], cioè per la fede, è resa pura e libera da
tutti i suoi peccati e dotata di eterna giustizia dal suo
sposo Cristo». Se ne deduce che un’anima credente
non può diventare dannata perché i suoi peccati «ri-
posano sul Cristo e sono in esso assorbiti». In una
parola le opere non servono per il semplice motivo
che fa tutto Cristo. Ai cristiani compete solo di ade-
rire alla promessa di Gesù con fede ferma.
Ma che cos’è la fede per Lutero?
Oltre ad essere, come abbiamo visto, l’unica con-
dizione per accostarsi all’eucaristia che non ha biso-
gno di alcuna opera da parte dell’uomo ma, appunto,
della “sola fede”, la fede è anche, come scrive ne
La libertà del cristiano, l’adempimento del primo co-
mandamento e, quindi, così ritiene, l’adempimento
di tutti gli altri: «chi osserva il primo gran comanda-
mento, adempie certamente e facilmente anche tutti
gli altri comandamenti». Ancora: «la fede, in cui si
riassume l’osservazione di tutti i comandamenti, giu-
stificherà sovrabbondantemente tutti coloro che la
possiedono, talché non hanno bisogno di nulla più
per essere giusti e pii». Dalla lettura di questi testi
sembrerebbe giustificata una conclusione paradossa-
le: la fede è essa stessa un’opera, l’opera che ci mette
in grado di compiere i comandamenti.
Lutero pensa, lo abbiamo appena visto, che chi
osserva il primo “gran” comandamento obbedisca

68
anche a tutti gli altri. Gesù però non dice esattamen-
te così: allo scriba che gli domanda quale sia «il pri-
mo di tutti i comandamenti», risponde, sì, il primo,
ma immediatamente dopo aggiunge: «E il secondo è
questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è al-
tro comandamento più importante di questi»55. Non
c’è dubbio che il secondo comandamento implichi
l’osservanza di quelle opere che Lutero nega come
necessarie alla salvezza.
Lutero recupera il valore delle opere, e non po-
trebbe non farlo, ma lo fa a modo suo inserendo la
loro necessità nel contesto della dicotomia anima-
corpo. Ne La libertà del cristiano scrive: «Sebbene
l’uomo interiormente, secondo l’anima, sia baste-
volmente giustificato per mezzo della fede […] egli
resta nondimeno in questa vita corporale in terra,
e deve governare il proprio corpo e avere relazioni
con uomini. Ora, qui hanno inizio le opere».
Questa divisione meccanica fra “interno” ed
“esterno”, come se a noi fosse possibile una vita
fuori del corpo, a prescindere da esso, non è solo
poco conforme all’immagine biblica dell’uomo, è in-
conciliabile con l’incarnazione di Gesù, con la sua
ascensione al cielo col suo corpo glorioso, con la
teologia paolina del corpo – del Paolo tanto amato
e studiato da Lutero – e la sua definizione del corpo

55
  Cfr. il vangelo di Marco 12,29-30.

69
come tempio dello Spirito Santo: «O non sapete che
il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in
voi e che avete da Dio?», «Glorificate dunque Dio
nel vostro corpo!»56.
Lutero è convinto che la massima “sola fede” ri-
guardi solo l’anima, ma questa massima non resta
affatto disincarnata, non è per nulla relegata in cam-
po teorico, astratto, perché ad essa è riconducibile il
più completo e concreto stravolgimento della vita di
tutta la chiesa. Lo vedremo in dettaglio a proposito
degli ordini religiosi e della pietà popolare.

Libero esame
«Non posso soffrire che s’impongano limiti o
modi di interpretare la Scrittura, poiché la Parola di
Dio, che insegna ogni libertà, non deve né può essere
captiva [schiava]», così scrive Lutero a Leone X in
una lettera in latino con cui – così dicono – compie
un estremo tentativo di riconciliazione con Roma
dopo che la Santa Sede aveva minacciato di scomu-
nicarlo. La lettera è annessa al testo La libertà del cri-
stiano e contiene, fra le altre, queste parole: «Non è
forse vero che non vi è nulla sotto il vasto cielo di più
malvagio, pestifero, odioso della corte romana? Essa
supera di molto l’empietà dei turchi». Lutero prova

56
  Cfr. la prima lettera ai Corinti 6,19-20.

70
a separare le supposte responsabilità della curia da
quelle del papa («tu siedi, santo padre Leone, come
una pecora tra i lupi, o come Daniele tra i leoni, o
come Ezechiele tra gli scorpioni»), ma l’operazione
è poco credibile perché a governare è papa Medici
figlio, lo abbiamo ricordato, di Lorenzo il Magnifico,
un personaggio che per storia personale e familiare
non è sospettabile di lasciarsi facilmente influenzare.
«Errano tutti quelli che dicono che sei superiore ai
concili e alla cristianità universale. Errano quelli che
danno a te solo il potere di interpretare la Scrittura;
essi non cercano altro, tutti insieme, che il modo di
consolidare, sotto il tuo nome, le loro empie imprese
nella cristianità, come purtroppo lo Spirito maligno
ha fatto per mezzo di molti tuoi predecessori»: Lute-
ro ritiene che la libera interpretazione della Scrittura
non debba essere limitata da alcuno perché «l’anima
può fare a meno di ogni cosa, fuorché della Paro-
la di Dio». Quando il cristiano «ha la Parola di Dio
non ha bisogno di alcuna altra cosa; anzi ha nella
Parola a sufficienza cibo, allegrezza, pace, luce, inge-
gno, giustizia, verità, sapienza, libertà e ogni bene a
esuberanza».
Verità e menzogna: il vero e proprio canto che
Lutero eleva alla Paola di Dio, cioè a Cristo, non va
disgiunto dall’ammonimento di Pietro alle comunità
da lui fondate. Nella sua seconda lettera Pietro scrive:
«Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profe-

71
tica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da
volontà umana fu creata mai una profezia, ma mossi
da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di
Dio»57. Ha ragione Pietro o ha ragione Lutero che,
negando il magistero, rivendica per ogni credente la
libera interpretazione della Scrittura? A giudicare dai
frutti sembrerebbe che avesse ragione Pietro, ovvero
proprio quella Parola di Dio che Lutero, a parole,
difende a spada tratta.
Eliminata la funzione del magistero, negato l’or-
dine sacerdotale, esaltata la libertà individuale, negata
l’importanza delle opere ai fini della salvezza, ognu-
no si regola come crede. Ognuno legge la Bibbia e la
interpreta a modo suo, fidando sull’assistenza dello
Spirito Santo. Succede che le letture della Parola di
Dio si moltiplichino all’infinito perché ciascuno pen-
sa di aver un’interpretazione migliore, più vera, di
quella degli altri58. Succede anche che concretissime
motivazioni personali spingano uomini senza scru-

57
  Cfr. la seconda lettera di Pietro 1,20-21.
58
 Nell’udienza generale del 28 agosto 1974 Paolo VI afferma:
l’interpretazione biblica protestante «resta esposta al pericolo, quanto
mai reale, d’essere abbandonata all’interpretazione individuale, indefi-
nitamente centrifuga e pluralistica, cioè a quel “libero esame”, che ha
polverizzato l’unità della fede nell’innumerevole molteplicità di opi-
nioni personali […] la dottrina protestante del libero esame, o dell’uni-
ca autorità dello Spirito Santo, quale autentico interprete della Scrittu-
ra, apre la via al più radicale soggettivismo filosofico-religioso».

72
poli ad impadronirsi del potere in nome della corret-
ta interpretazione della Bibbia.
Il caso limite è quello di un sarto, Giovanni da
Leida59, che nel 1534 dà vita al fantomatico “regno
millenario di Münster” e che, dopo essersi procla-
mato re di Münster si dichiara anche re del mondo.
Giovanni vuole aiutare Dio a realizzare il suo piano
di salvezza e lo fa con il terrore. Il suo regno millena-
rio si ripromette di fare “vendetta”. Vendetta contro
i falsi cristiani. Vendetta per conto di Dio60. I mille-
nari di Münster credono di essere i discendenti dei
figli di Giacobbe e combattono all’arma bianca con-
tro i figli di Esaù. Ordinano la fine della proprietà
privata, vietano la castità e impongono la poligamia:
non dice forse la Bibbia crescete e moltiplicatevi61?

59
  Jan Bockelson, detto Giovanni da Leida (1500 – 1536), di-
scepolo del fornaio Jan Matthys che indica in Münster la nuova Ge-
rusalemme e forma un collegio di dodici apostoli di cui Giovanni è
membro.
60
 Il tema della vendetta, importante nella cultura moderna e
nell’impianto massonico (i fratelli ritengono di dover vendicare la
morte del loro mitico fondatore, Hiram, ucciso a tradimento), è cen-
trale nello scritto Sulla vendetta e sul castigo dell’atrocità babilonica redatto
da Bernardo Rothmann, cappellano luterano passato all’anabattismo.
Rothmann scrive fra l’altro: perciò, fratelli cari, armatevi «per la ven-
detta, per sterminare con la forza di Dio e con il suo aiuto ogni poten-
za babilonica e ogni creatura empia».
61
  Cfr. il primo capitolo del libro della Genesi versetto 28: «Dio
li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la
terra […]”».

73
In obbedienza al dettato biblico Giovanni prende in
moglie una quindicina di donne.
I millenari pensano che l’acqua non sia sufficiente
per battezzare: bisogna usare il fuoco e il battesimo
fatto col fuoco, il «battesimo di fuoco», si fa con l’or-
gia. Giovanni ed i suoi credono che «da millequattro-
cento anni non c’è stato in tutto il mondo un vero
cristiano», come decreta il nono dei diciannove arti-
coli promulgati nella Nuova Sion, e in obbedienza
a questa convinzione bruciano sulla pubblica piazza
tutti i libri ad eccezione della Bibbia. Il regno di fuo-
co finisce come era cominciato: nel sangue. Circa un
anno e mezzo dopo il suo inizio, il 25 giugno del
1535, un’alleanza di cattolici e luterani mette fine al
terrore dello spietato comunismo poligamo.
Ho citato il caso del sarto di Leida perché è un
caso limite ma, proprio per questo, mostra con
particolare evidenza le conseguenze, inevitabili, dei
principi luterani. Se tutti sono uguali e tutti possono
ugualmente, senza alcun limite ed alcun criterio fis-
so, senza alcuna norma oggettiva, rivendicare la ve-
rità dei propri pensieri sulla natura dell’uomo e della
società nonché sull’interpretazione della Bibbia62, a

62
 Il libero esame ha importanti conseguenze anche sul piano filo-
sofico. L’impianto scolastico medioevale prevedeva che l’elaborazione
del sapere procedesse in forma ascendente dalla filosofia alla teologia,
considerata il culmine della conoscenza umana. Le cose non stanno più
così da quando, a rigore, non si può più parlare di teologia come scienza
perché, col libero esame, è negato il suo fondamento razionale. Esplosa

74
contare è, in ultima analisi, solo la forza di cui i sin-
goli o i gruppi dispongono e la mancanza di scrupoli
con cui la impongono. Il magistero di Giovanni Pa-
olo II e di Benedetto XVI ha ripetutamente indicato
nell’abbandono della verità e del diritto naturale l’ori-
gine delle violenze senza numero perpetrate in epoca
moderna in nome della libertà e dell’uguaglianza.

Sola Scrittura
I sacramenti non sono sette ma, a parlare “col
linguaggio della Scrittura”, uno solo con tre segni sa-
cramentali, scrive Lutero nel De captivitate Babylonica
ecclesiae. Il sacramento dell’ordine, lo abbiamo visto,
non è contemplato dal momento che tutti sono sa-
cerdoti. Papa, vescovi e preti non hanno ricevuto da
Dio alcun incarico particolare perché ogni cristiano
può svolgere le funzioni loro attribuite dalla chiesa
cattolica63, come ogni cristiano legge ed interpre-

la verità teologica in una galassia di visioni contrapposte, la ricerca della


verità ricade tutta e per intero sulle spalle della filosofia non più guidata,
aiutata, illuminata, dalla rivelazione. È il dramma di tanta parte della fi-
losofia moderna. Da questo punto di vista non è di particolare interesse
stabilire – come pure alcuni fanno – se Lutero fosse o no uno gnostico:
è invece importante sottolineare come il suo pensiero abbia contribuito
in maniera determinante allo sviluppo della gnosi moderna.
63
 A riguardo del sacramento dell’ordine il Catechismo della chie-
sa cattolica specifica: «l’Ordine è il sacramento grazie al quale la mis-
sione affidata da Cristo ai suoi Apostoli continua ad essere esercitata

75
ta la Bibbia senza bisogno dell’aiuto di Pietro e del
magistero.
La dottrina luterana che siamo venuti elencando
in queste pagine riceve il sigillo ufficiale il 18 aprile
1521 alla dieta di Worms quando Lutero è chiamato
a ritrattare le eresie che gli vengono imputate. Da-
vanti all’imperatore Carlo V, invitato a rispondere
con chiarezza («Riprovi, sì o no, i tuoi libri e gli errori
che contengono?»), Lutero afferma: «Poiché Vostra
Maestà e le vostre signorie desiderano una risposta
univoca, risponderò senza ambiguità e senza asprez-
za. A meno che io non sia convinto con la Scrittura
e con chiari ragionamenti – poiché non accetto l’au-
torità dì papi e concili che si sono contraddetti l’un
l’altro –, la mia coscienza è vincolata alla parola di
Dio. Non posso e non voglio ritrattare nulla perché
non è giusto né salutare andare contro coscienza. Id-
dio mi aiuti. Amen».
Siamo di fronte ad una delle parole d’ordine lu-
terane passate alla storia, forse a quella che le com-
pendia tutte: Sola Scrittura. «A meno che io non
sia convinto con la Scrittura», dichiara. Con questa
espressione Lutero azzera mille e cinquecento anni
di storia della chiesa. A suo giudizio la chiesa avrebbe
dovuto ricominciare tutto daccapo. Daccapo senza

nella Chiesa sino alla fine dei tempi: è, dunque, il sacramento del mi-
nistero apostolico. Comporta tre gradi: l’episcopato, il presbiterato e
il diaconato» (n. 1536).

76
tradizione; daccapo senza magistero. Daccapo: sen-
za storia. Come se mille e passa anni fossero svaniti
in un istante.
L’indomani, davanti ai principi elettori e ai gran-
di dell’impero, il ventunenne imperatore Carlo V
ha chiara la natura del problema e solennemente
dichiara: «Voi sapete che io discendo da un lungo
lignaggio di imperatori cristiani di questa nobile na-
zione tedesca, dai re cattolici di Spagna, dagli arci-
duchi d’Austria e dai duchi di Borgogna. Essi sono
stati tutti fedeli sino alla morte alla Chiesa di Roma
e hanno difeso la fede cattolica e l’onore di Dio.
Ho deciso di seguire i loro passi. Un solo frate che
va contro tutta la cristianità di un migliaio di anni
deve essere nell’errore. Perciò ho deciso di rischiare
le mie terre, i miei amici, il mio corpo, il mio sangue,
la mia vita e la mia anima. E non soltanto io, ma
anche voi di questa nobile nazione tedesca, su cui
cadrebbe eterna vergogna se per negligenza vostra
dovesse sopravvivervi non dico l’eresia, ma il mero
sospetto di eresia».
Sola Scrittura: la chiesa di Lutero non conosce
mediatori fra Dio e l’uomo. Ogni credente è in rap-
porto verticale e diretto con Dio. «Come ha potuto
svilupparsi l’idea che il messaggio di Gesù sia stret-
tamente individualistico e miri solo al singolo?», si
chiede Benedetto XVI nella Spe salvi. Ha potuto per-
ché Lutero ha scambiato per schiavitù a Roma il ca-

77
risma universale di Pietro e la sua funzione in difesa
di tutta la chiesa. In difesa del «corpo di Cristo» che è
la chiesa cattolica. Con la conseguenza che il «corpo»
è stato abbandonato. Il corpo è stato abbandonato a
favore, così parrebbe, dell’anima, cioè della parte più
intima di ognuno di noi, che corrisponde alla nostra
coscienza. Come se l’anima e il corpo fossero con-
trapposti e andassero ciascuno per conto proprio.
Come se l’obbedienza alla coscienza fosse alternati-
va all’obbedienza a Pietro.
Siamo di fronte allo snodo fondamentale della
modernità. Alle contraddizioni insanabili della mo-
dernità che, sganciata la libertà dalla verità, esige e
pretende il solo rispetto per il dettato della coscienza
individuale.
Il rinnegamento della storia dell’Europa cristiana,
il rinnegamento, da pare di Lutero, monaco agosti-
niano, della sua stessa storia personale, lasciano un
vuoto. Un vuoto che sarà presto riempito, ma non
da Cristo. Il 12 ottobre 1952, rivolgendosi ai membri
dell’Azione Cattolica, Pio XII così sintetizza il dram-
ma dell’apostasia dell’occidente che inizia col prote-
stantesimo, continua con l’illuminismo e approda al
conclamato ateismo: «Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio
sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è mor-
to; anzi: Dio non è mai stato».

78
Avanti con l’anticristo
L’apostolo della Germania Bonifacio, di naziona-
lità anglosassone, lascia la tranquilla vita del conven-
to e dell’insegnamento per dedicarsi alla missione a
quaranta anni, muore martire a ottanta, ed evange-
lizza le popolazioni germaniche in strettissima co-
munione con Roma dove si reca ben tre volte per
essere certo di «non aver corso invano», per usare
l’espressione di Paolo64. Bonifacio così scrive nella
sua cinquantesima lettera: «Io non cesso mai d’invi-
tare e di sottoporre all’obbedienza della Sede Apo-
stolica coloro che vogliono restare nella fede catto-
lica e nell’unità della Chiesa romana e tutti coloro
che in questa mia missione Dio mi dà come uditori
e discepoli». L’evangelizzazione, quando non è diret-
tamente promossa da Roma, avviene in stretta co-
munione con Roma. Da sempre la comunione con
Roma rappresenta una garanzia di verità e di liber-
tà, libertà dai capricci, le prepotenze e le ingerenze
dell’autorità politica.
A partire dagli anni Venti del Cinquecento, in al-
cune zone della Germania, Roma non è più la sede di

64
  «Dopo quattordici anni andai di nuovo a Gerusalemme in
compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in
seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i
pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per
non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano»: così scrive
Paolo ai Galati (2,1-2).

79
Pietro, la madre di tutte le chiese, ma la sede dell’an-
ticristo. Roma non è più l’amata città eterna, meta di
pellegrinaggi da tutti i luoghi della cristianità; Roma
diventa al contrario una città satanica da disprezzare,
aborrire, odiare.
L’odio è una macchina da guerra. Un’efficiente,
oleata, ben rodata macchina da guerra. All’epoca
di Lutero circolavano già caricature antiromane: la
guerra per le investiture prima, il papato avignonese
poi, i vari tentativi di riforma finiti male, con la sco-
munica o nel sangue, avevano lasciato traccia.
Il genio della propaganda che certamente è Lutero
si inserisce in questo contesto. Lutero dà ai vari semi
dell’odio antiromano la possibilità di unificarsi, di coa-
gularsi e di esplodere. Lo fa con una campagna pub-
blicitaria molto ben orchestrata. Lo fa sapendo, cosa
d’altronde nota, che per fare la rivoluzione bisogna
mobilitare le popolazioni con canti ed immagini. Fin
dai primi anni del suo impegno rivoluzionario Lutero
si serve di immagini blasfeme per suscitare odio e con
l’odio il disprezzo e con il disprezzo l’irrisione della
chiesa romana. Il calderone antiromano prende fuoco
e Lutero accompagna il fuoco e lo mantiene acceso
con brevi commenti che a mo’ di poesiole illustra-
no le immagini disegnate dal pittore e incisore Lucas
Cranach il Vecchio65, suo coetaneo ed amico.

65
 Uno dei massimi pittori tedeschi, Lucas Cranach il Vecchio
(Kronach1472 – Weimar1553) si stabilisce a Wittenberg alla corte dei

80
Nel 1521, subito dopo la condanna di Worms,
subito dopo aver composto di getto, in un giorno,
L’Anticristo66, Lutero scrive le didascalie per le imma-
gini composte da Cranach: «Luca mi ha ordinato di
scrivere sotto queste immagini», scrive a Spalatino
nel 1521, e commenta: «L’antitesi illustrata di Cristo
e del Papa è ormai pronta, un buon libro per laici».
L’antitesi illustrata della vita di Cristo e dell’Anticristo67,
ovvero il «buon libro per i laici» cui si riferisce Lu-
tero, è un pamphlet composto da ventisei xilografie
in cui a tredici illustrazioni sulla vita di Cristo cor-
rispondono altrettante immagini su quella dell’an-
ticristo, identificato col papa. Il libretto stampato a
Wittenberg va a ruba: in pochi anni se ne tirano die-
ci edizioni in lingua volgare. E d’altronde L’Antitesi
è concepita proprio per il volgo: per quei «laici» di
bocca buona, con poco senso del limite e della misu-
ra, non particolarmente istruiti, facili da convincere
con immagini grossolane e commento ai limiti della
brutalità.

principi elettori sassoni nel 1505. Seguace della dottrina luterana, ritrat-
tista di Lutero e di sua moglie, è il fondatore dell’iconografia luterana.
66
 Il titolo completo è: L’Anticristo, Replica ad Ambrogio Catarino, il
francescano che l’anno precedente aveva scritto una Apologia pro veri-
tate Catholice et Apostolice fidei ac Doctrine. Adversus impia ac valde pestifera
M. Lutheri Dogmata.
67
  L’opuscolo esce anonimo, in tedesco, col titolo Passional Christi
und Anticristi, ed è immediatamente seguito dalla versione latina: Anti-
thesis figurata vitae Christi et Antichristi.

81
Per capire l’efficacia della catechesi per immagi-
ni e didascalie offerta dalla coppia Lutero-Cranagh,
basti citare le parole che accompagnano la decima
xilografia, dedicata all’anticristo. In alto, verso il
cielo, su una specie di baldacchino sormontato da
un drappo, si affacciano il papa e alcuni del suo
seguito. In basso, chiusi nelle loro armature, cavalli
e cavalieri in atteggiamento ossequioso. Lutero at-
tribuisce al papa le seguenti parole: «per quanto è
possibile, dobbiamo dominare con severità sopra
gli sciocchi tedeschi, così ci rispettano di più».
Le immagini del papa-anticristo acquistano
ancora più valore se si tiene conto che, nelle fat-
tezze dell’anticristo, è ben riconoscibile Leone X,
il pontefice cui Lutero solo un anno prima si era
rivolto con mielosa deferenza dicendo: «Tu siedi,
santo padre Leone, come una pecora tra i lupi, o
come Daniele tra i leoni, o come Ezechiele tra gli
scorpioni»68.
Forse lupi, leoni e scorpioni non sono di casa
solo a Roma.

Una lettera al padre


Per capire il giudizio di Lutero sui religiosi, lui
religioso agostiniano, conviene partire dalla lettera-

68
  Cfr. l’appendice a p. 163.

82
dedica-prologo al padre nel libro De votis monasticis
iudicium composto nel 1521 e pubblicato nel 1522.
All’epoca Lutero ha trentanove anni, e non si tratta,
lo vedremo, di un piccolo dettaglio.
Amore filiale, certo. Ma forse anche qualcosa di
più e di diverso. Come nel caso dei sacramenti che,
scrive Lutero, «per il momento» sono solo tre, così
nel caso della contestazione radicale dei voti, c’è bi-
sogno di un po’ di tempo e di qualche tappa di av-
vicinamento. Non si può fare tutto e subito. Que-
sto il contesto in cui Lutero firma una lettera a suo
padre Giovanni che, sedici anni prima, aveva fatto
di tutto perché il figlio Martino desistesse dall’idea
di diventare monaco, prospettandogli un «onesto
ed opulento matrimonio». Non era servito a nulla.
Non era nemmeno servita la considerazione che il
suo voto non era libero ma coatto, perché dettato
dal «terrore» del fulmine e della morte.
Quanto al padre non era riuscito a suo tempo, a
tempo opportuno, riesce a Lutero con sedici anni di
ritardo: il monaco agostiniano si pente della propria
scelta e a trentanove anni riconosce che il padre
aveva ragione: «dalla tua parte sta l’autorità divina,
dalla mia la presunzione umana». Sembra quasi una
burla: Lutero, a scelte fatte da tanto tempo, a vita
monastica per così dire consumata, afferma di sot-
tomettersi alla volontà paterna perché questa è la
volontà di Dio: «né il mio voto valeva alcunché,

83
perché io mi sottraevo all’autorità paterna stabilita
da Dio»69.
A giudizio di Lutero l’obbedienza al padre sareb-
be quindi imperativa anche nel caso del foro interno
che riguarda le scelte più intime e personali della no-
stra vita, quale è certamente quella della vocazione
religiosa. Anche nel caso sia coinvolta la coscienza,
quella coscienza cui Lutero non smette mai di appel-
larsi, e anche quando l’obbedienza riguarda un figlio
giovane (adulescens) di ventidue anni! Se la scelta di
Lutero non avesse provocato tanti drammi, devasta-
zioni e ingiustizie, si potrebbe fare una facile ironia
su un simile genere di obbedienza filiale.
Lutero ha deciso di farla finita con la vita mo-
nastica: l’affermazione «ormai sono monaco e non
monaco, nuova creatura, non del papa ma di Cristo»,

69
  Delio Cantimori (Russi 1904 – Firenze 1966) è un grande sto-
rico e un grande narratore. Sfogliando in occasione della stesura di
questo libro la sua corposa introduzione ai Discorsi a tavola (Torino
1983) l’ho fatto col sorriso sulle labbra – nonostante l’evidente pregiu-
dizio anticattolico – per la bellezza e la maestria della scrittura. Fino a
quando mi sono imbattuta nella seguente affermazione: «Martin Lu-
tero, pubblicando nel 1522 il suo De votis monasticis iudicium, lo dedica
al padre: sono entrato in convento disubbidendo alla vostra volontà,
ma così ho potuto mettermi al servizio della parola divina, che mette
l’autorità di Dio sopra l’autorità dei genitori». Il testo di Lutero – per
quanto sconcertante ciò possa apparire – dice esattamente il contrario:
la volontà di Dio si manifesta attraverso la volontà dei genitori. Quin-
di bisogna obbedire ai genitori. Questo il testo latino: «Neque enim
meum votum valebat hunc floccum, quo me subtrahebam parentis
autoritati».

84
al di là dell’ambiguità del testo, sembra andare drit-
ta verso l’abbandono del voto di obbedienza (a Dio
e, quindi, al superiore, non al padre) solennemente
pronunciato davanti a Dio. E infatti: «Cristo mi ha
sciolto dal voto monastico, e mi ha donato tanta li-
bertà […] che sono solo suddito suo, non di altri. È
lui infatti il mio immediato (così lo chiamano) Ve-
scovo, Abbate, Priore, signore, padre e maestro».
Lutero lascia definitivamente l’abito nel 1524, ma
l’anno prima ha scritto Perché le vergini possono abban-
donare il chiostro con pace del Signore. Nelle zone in cui
la riforma prende piede la vita monastica è distrutta
e proibita perché Lutero pensa che i voti siano con-
trari alla libertà del cristiano, contrari alla Scrittura,
contrari alla prassi della chiesa primitiva, contrari ai
comandamenti divini (invece di glorificare Dio glo-
rificano l’uomo per le buone opere che riesce a com-
piere), contrari infine, soprattutto quello di castità,
alla stessa ragione naturale dal momento che uomini
e donne sono fatti per la procreazione. L’unica for-
ma di voto che potrebbe essere ammessa è quella
fatta per un tempo: «Io faccio voto di castità fino
a quando essa mi sarà possibile, ma qualora io non
riesca a conservarla, mi sia permesso di sposarmi».
La chiesa cattolica, all’opposto, ha sempre difeso
la libertà e la responsabilità del singolo e non ha mai
fatto ricadere sulla famiglia il peso delle scelte indi-
viduali. La chiesa ha sempre affermato che non solo

85
è possibile ma è anche necessario scegliere e sceglie-
re “per sempre” fidando nella libertà della volontà
umana e nell’aiuto che Dio invariabilmente concede
a quanti invocano la sua misericordia. Questo vale
in ogni stato della vita: sia in quello sacerdotale che
religioso che matrimoniale. I cristiani sono chiamati
a scelte fatte in vista della vita eterna e quindi fatte
per sempre: nella buona e nella cattiva sorte. Nella
gioia e nel dolore. Ogni uomo è chiamato ad essere
figlio di Dio e su questa chiamata riposano le scelte
fatte per sempre. Scelte assolute.
Con Lutero, al contrario, il per sempre scompare
dalla vita degli uomini. Compare il: fino a quando vor-
rò, fino a quando mi piacerà, fino a quando mi sarà
possibile. All’uomo la cui volontà è schiava non pos-
sono essere richieste scelte assolute. Questo tipo di
uomo non è libero perché dipende in toto dalle scelte
altrui: dalla lotta che per la sua anima combattono Dio
e satana. Che senso abbia in questo contesto rivendi-
care la “libertà evangelica” rimane incomprensibile.
Dal 1522 i conventi sono assaltati, i monaci co-
stretti ad abbandonare le proprie case ed i beni degli
ordini religiosi soppressi passano ai principi che hanno
aderito alla riforma. Come si possa in nome della liber-
tà negare a monaci e frati di vivere come liberamente
hanno scelto di fare è una contraddizione insanabile.
Peggio, un crimine. Un crimine che si diffonde a mac-
chia d’olio in tutte le zone conquistate alla riforma.

86
Il culto deve essere puro
Se il sacerdozio ministeriale non deve più esistere
perché è contrario alla Scrittura e quindi alla volontà
di Dio, la ricchezza mobiliare e immobiliare posse-
duta dal clero secolare nella varietà delle sue fun-
zioni (cardinali, vescovi, arcivescovi, parroci) resta
senza padrone. Proprio come nel caso degli ordini
religiosi.
La sottrazione della personalità giuridica a religio-
si e secolari, e cioè la finzione giuridica dell’inesisten-
za di proprietari legittimi, rende lecito, così perlome-
no si fa finta di credere, un colossale passaggio di
ricchezza dalla chiesa ai nobili. Ulisse, quando ha la
felice idea di farsi chiamare “Nessuno” da Polifemo,
usa uno stratagemma simile a quello di cui si servono
i principi tedeschi per trasformare gli ecclesiastici in
signori Nessuno ed impadronirsi dei loro beni.
I soldi hanno un ruolo di primo piano nell’affer-
mazione della riforma perché l’entità dei beni di cui
i principi riformati vengono in possesso dall’oggi al
domani è pari a circa un terzo della ricchezza nazio-
nale. Non un fiume, un oceano di denaro. Per giusti-
ficare l’urgenza morale del cambiamento epocale in
atto, per asserire che il passaggio in mani private della
ricchezza collettiva, donata alla chiesa e da lei ammi-
nistrata, è benefico e voluto da Dio, viene smantellata
anche la vita liturgica nella molteplicità delle sue ma-
nifestazioni. Le proprietà ecclesiastiche che cambiano

87
padrone non devono più portare il segno delle vec-
chie abitudini cattoliche come non devono più avere
traccia delle opere d’arte che le hanno impreziosite.
Altrimenti la loro soppressione apparirebbe per quel-
lo che è: un furto. Furto della peggior specie perché
furto delle donazioni e delle elemosine fatte dal popo-
lo per amore di Dio e per gratitudine alla chiesa.
Niente più bellezza di chiese, palazzi, conventi, pa-
ramenti. Tutti gli oggetti meravigliosi, tutta la splendida
devozione popolare con cui i cattolici rendono lode a
Dio e fanno festa nel giorno del Signore e nelle solen-
nità religiose, di tutto questo non deve restare nulla. Il
culto – si dice – deve diventare puro. E così, insieme ai
beni, anche tutta la ricchezza di immagini sacre, croci e
icone, miniature e campane, statue ed affreschi, calici
ed oggetti liturgici, paramenti, processioni, adorazioni,
salmodie, sacre rappresentazioni e confraternite, tutto
va riformato nel senso di abolito. Tutto deve essere
puro. Puro, cioè inesistente. La stessa sorte subisce
l’impurità per eccellenza che corrisponde al culto dei
santi («impudente menzogna di quell’asino del papa»70)
per non parlare di quello riservato alla Madonna. C’è
un solo Dio in cielo, non una varietà di idoli. L’idola-
tria è peccato grave e va estirpato.

70
  Così scrive Lutero nell’opuscolo Lettera circolare di Martin Lutero
intorno ai traduttori ed al culto dei santi composto durante il periodo passa-
to a Coburgo all’epoca della Dieta di Augusta del 1530.

88
Primo iconoclasta dell’epoca moderna71, nemico
giurato di tutte le icone, Lutero è convinto che l’eli-
minazione delle immagini sacre renda la vita della
popolazione più spirituale. Il monaco rivoluzionario
che distrugge le immagini della tradizione e della fede
cattolica, è però la stessa persona che utilizza a piene
mani le immagini da lui ideate. Lutero sa che, soprat-
tutto dopo l’invenzione della stampa, la propaganda
si fa con le immagini e di queste si serve. Pensa che
le incisioni realizzate nel corso degli anni con la col-
laborazione di amici artisti abbiano un grande valore
pedagogico e siano particolarmente adatte a far com-
prendere ai fedeli quale sia la vera natura della chiesa
cattolica. È convinto che il popolo sia più disposto a
seguirlo se contempla tutti i giorni ben visibile sulle
pareti domestiche la realtà della chiesa romana con
la sua congerie di papi-anticristi, papi-dragoni, dia-
voloni e monaci crapuloni. Insieme alle immagini

71
  L’eresia iconoclasta si diffonde nell’impero romano d’oriente
imposta dall’imperatore Leone III Isaurico nel 727. Le icone sono
distrutte e i monaci che le custodiscono uccisi, torturati, mutilati. San
Giovanni Damasceno – il più illustre difensore della liceità del culto
delle immagini sacre – dimostra come sia l’incarnazione (uno dei dog-
mi fondamentali del cristianesimo) a rendere possibile la pittura e la
venerazione delle icone, al contrario di quanto prescritto nel Vecchio
Testamento («Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù
nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque
sotto la terra»: Esodo 20,4). Numerose sono le analogie fra la distru-
zione delle immagini all’epoca dell’iconoclastia bizantina e all’epoca
della riforma protestante.

89
catechetiche sulla chiesa romana, Lutero compone
nuovi inni72 di musica sacra in tedesco perché il cul-
to riformato deve essere completamente rinnovato,
radicalmente diverso da quello cattolico-latino.
Se il danno al patrimonio artistico tedesco è enor-
me, ancora peggiore è la miseria che si diffonde a
macchia d’olio fra la popolazione. Le ricchezze della
chiesa servono sì a rendere facile e bella la vita dei
suoi principi, ma servono anche per le infinite opere
di misericordia cui la carità cristiana ha dato vita nel
corso dei secoli. Senza quella concreta, spicciola e
pervasiva carità, le persone povere perdono il soste-
gno che rende loro possibile la vita. Per non parlare
di quanti, e sono tanti, vivono e lavorano nelle pro-
prietà già appartenute alla chiesa e che sono ormai
gestite con criteri molto diversi da quelli del passato.
È il pauperismo, inevitabile compagno degli espro-
pri dei beni ecclesiastici amministrati nell’esclusivo e
privato interesse di chi se ne è impadronito. Il feno-
meno si presenta invariabilmente in tutte le nazioni
europee in cui vengono messi in pratica i principi
luterani.

72
 Attento fin da giovane alla funzione liturgica del canto ed
avendo personalmente sperimentato l’efficacia della musica contro la
depressione, dal 1523 fino alla morte Lutero compone inni religiosi.
Il canto avvalora la predicazione evangelica e chiama a battaglia la
popolazione. Così, per esempio, l’inno composto nel 1537 che recita:
«Trattienici, o Signore, nella tua fede – Manda al papa ed ai Turchi il
dì fatale».

90
È la rivoluzione
I principi che abbiamo elencato sono obietti-
vamente i più rivoluzionari: in nome di Dio sman-
tellano la chiesa, portano a un mutamento radicale
nella vita del clero (eliminato), dei religiosi (aboliti),
della comunione con Roma (distrutta), della vita
del popolo con le sue consuetudini di pietà secolari
(azzerata). Alla vita religiosa sconvolta, ma sempre
in nome della vita religiosa, in nome della libertà e
dell’uguaglianza73, fa seguito una scossa spirituale di
enorme portata che porta alla sollevazione in nome
di Dio di tutte le classi sociali.
Un terremoto. La sensazione che tutto sia lecito,
che tutto si possa fare. La convinzione di essere i pri-
mi a capire qualcosa sull’uomo e su Dio, la volontà
di cambiare, di rifare tutto. Tutto nuovo. Lo stra-
volgimento del giusto e dell’ingiusto, del bene e del
male. Uno slancio verso la libertà, che coincide con
la libertà di fare gli affari propri. La rivoluzione.
Quella dei principi è una rivoluzione che avviene
senza spargimento di sangue. È il riformatore per
eccellenza, è Lutero, che attribuisce loro i compiti
spettanti ai vescovi. È Lutero che autorizza e bene-
dice la nascita di un potere assoluto, un potere che

73
  Libertà, uguaglianza, fratellanza: del sacro trinomio che trionfa
durante la rivoluzione francese a Lutero manca, curiosamente, solo la
rivendicazione della fratellanza.

91
assomma sia l’aspetto temporale che spirituale, man-
dando in frantumi la libertà ecclesiastica. I principi
ringraziano: insieme alla totale autonomia da Roma
e alla nascita delle chiese di stato da loro controllate,
aumentano sia il loro potere, che le loro ricchezze,
che l’indipendenza dall’imperatore.
I cadetti invece, i cavalieri, i non primogeniti, co-
loro che rimangono esclusi dall’asse ereditario, si ri-
bellano. Perché solo i principi? Perché di tutta la ric-
chezza ecclesiastica avrebbero dovuto trarre beneficio
soltanto loro? È una questione di giustizia, e non è
giusto. Per di più i cavalieri hanno perso importanza
perché in guerra si tende a preferire la fanteria dotata
di artiglieria alla cavalleria di stampo medioevale. La
perdita di influenza sociale, l’impoverimento e l’ansia
di accaparrarsi qualcosa delle proprietà ecclesiastiche
spingono alla rivolta. A guidarla nel 1522 – 1523 sono
l’umanista antiromano Ulrich von Hutten e Franz
von Sickingen, un avventuriero mercenario capitano
di ventura. L’esercito dei cavalieri si mobilita in nome
della «libertà evangelica tedesca» e muove «guerra ai
preti» attaccando i territori del vescovo grande elet-
tore di Treviri. L’esito dello scontro è devastante: i
principi di Treviri, Assia e Palatinato alleati della lega
sveva, mettono in rotta l’esercito dei cavalieri, von Si-
ckingen è ucciso e von Hutten costretto alla fuga.
Nel frattempo la situazione si è radicalizzata ovun-
que. Spuntano nuovi profeti e riformatori, i conven-

92
ti sono assaliti, la questua proibita, imposto il lavoro
manuale a monaci, frati e studenti. La vita culturale è
sconvolta al punto che l’università di Wittenberg ri-
schia la chiusura. In tanta novità, tanta violenza, tanta
follia rivoluzionaria, si fa strada il desiderio di costrui-
re in terra il regno di Dio. Non bisogna aspettare la
morte ed il paradiso per vedere il trionfo del Signore:
la fede degli eletti deve dare vita ad una nuova real-
tà sociale più giusta e più cristiana. La guida spetta ai
principi, ma se questi esitano o rifiutano di porre mano
alla spada, il compito deve essere assolto dal popolo
guidato dai predicatori: «la spada sarà loro tolta e data
al popolo fervoroso per l’annientamento degli empi».
Ad esprimersi così è Thomas Müntzer, antico parroco
poi divenuto pastore, in un primo momento luterano
e quindi implacabile avversario del monaco riforma-
tore cui rimprovera di fare gli interessi dei principi a
scapito delle giuste esigenze del popolo74, morto nel
1525 durante la terribile guerra dei contadini.
Libertà, libertà, libertà: il suono di questa parola, il
grido di questa parola, il contenuto di questa parola, è
drammaticamente evocato da tutti i rivoluzionari della
seconda metà del secondo millennio. Riformati, giaco-
bini, comunisti, negano alla radice qualsiasi forma di li-
bertà ma lo fanno in nome della libertà perché ognuno

74
 Nel 1524 Müntzer fonda una Lega – un’associazione segreta
composta prevalentemente da artigiani – che ha come obiettivo la co-
munione dei beni.

93
di loro cerca di affermare (ed imporre) il proprio con-
cetto di libertà, dando per scontato che sia l’unico.

Il dramma dei contadini


La propaganda luterana coi suoi fogli volanti, le
sue parole d’ordine semplici ed orecchiabili, la dif-
fusione a tappeto delle rozze e violente incisioni
antiromane e anticattoliche, fa breccia e raggiunge
tutti gli strati della popolazione, anche i più popo-
lari. Succede così che nel 1524 – 1525 i contadini di
molte zone della Germania si sollevino contro prin-
cipi e vescovi, e contro le amministrazioni munici-
pali saldamente in mano alla borghesia. Nel corso
del Quattrocento, per l’esattezza dal 1431 al 1512,
c’erano già state dodici sollevazioni di contadini che
cercavano di contrastare la perdita dei diritti e delle
consuetudini medioevali dovute ad un tendenziale
accentramento del potere padronale. Tutte e do-
dici miseramente fallite. Questa volta il discorso è
diverso. Questa volta c’è un profeta di mezzo, un
uomo che ha già scritto e predicato tanto contro gli
abusi di papi e cardinali, un uomo che ha difeso a
spada tratta la libertà cristiana. Un uomo dietro al
quale, in nome della libertà evangelica della chiesa
tedesca, si sono mossi principi, religiosi, cavalieri e
predicatori. Questa volta la questione è molto più
seria.

94
I contadini si muovono nella direzione indicata
da Lutero. Vogliono – e come dare loro torto – giu-
stizia. Giustizia in nome, anche, della fede. Chi sono
i contadini? Non solo quanti lavorano in campagna:
con l’espressione guerra dei contadini si intende in
realtà la sollevazione del popolo. Popolo formato sì
da contadini ma anche da artigiani e lavoratori che
vivono in città. Popolo guidato dalla parte più ricca
e stimata dei contadini. La sollevazione inizia nella
parte meridionale della Germania ma si estende subi-
to al centro e all’Austria: Svevia, Franconia, Turingia,
Alsazia, Sassonia, Tirolo e Carinzia sono in fiamme,
con borghi, conventi, chiese e castelli saccheggiati e
distrutti. I contadini svevi stendono il proclama del-
la rivolta: «I dodici articoli dei contadini»75. Dietro
la bandiera della riforma, della libertà e del vangelo,
passa la rivendicazione della restituzione dei «terreni
appartenenti alla comunità» di cui i nobili si sono ap-
propriati insieme alle proprietà ecclesiastiche, la di-
fesa delle «buone leggi antiche» che rendono la vita
dei campi tollerabile, un fisco più equo.
Il primo e l’ultimo articolo rivendicano l’ispira-
zione luterana della sollevazione e solennemente
professano obbedienza alla parola di Dio. Nel pri-
mo viene esigito il diritto di ciascuna comunità ad
eleggere i propri parroci che dovranno «predicare

75
  Cfr. il testo in appendice alle pp. 150-151.

95
la parola di Dio unicamente secondo il Vangelo», e
cioè in modo riformato, nell’ultimo viene umilmente
asserita la propria sottomissione a chi è in grado di
giudicare rettamente sulla Parola di Dio: «Noi vo-
gliamo, quando uno di questi articoli sia contrario
alla Parola di Dio e sopra tale fondamento sia op-
pugnato, che s’intenda abrogato». Il nome di Lutero
non è mai menzionato ma è indubitabile il riferimen-
to a lui quale suprema autorità per la valutazione del
giusto e dell’ingiusto. Del giusto e dell’ingiusto se-
condo Dio.
Chiamato in causa Lutero interviene. Lo fa
nell’aprile del 1525 con l’Esortazione alla pace, sopra i
dodici articoli dei contadini di Svevia. Riconosce che le ri-
chieste dei contadini sono «richieste giuste», ricorda
a quanti detengono il potere che «Non sono i con-
tadini a sollevarsi contro di voi, miei cari signori76, è
Dio stesso che si pone contro di voi per castigare la
vostra iniquità», nel contempo però intima alla popo-
lazione in rivolta di non abusare del nome cristiano:
«il nome di cristiani dovete lasciarlo stare, e non far-
ne una indegna copertura alla vostra intrapresa non
paziente, non pacifica, non cristiana». La mediazione
luterana non va lontano. Ad Einsleben, sua città na-

76
 I cari signori cui Lutero si rivolge sono, oltre ai principi, i «ve-
scovi ciechi e parroci e frati sciocchi, che ancora induriti e testardi,
non smettete di strepitare e di infuriare contro il santo Vangelo», vale
a dire contro il vangelo predicato da Lutero.

96
tale, Lutero si sente rinfacciare di avere lui per primo
incitato alla guerra contro papi, cardinali, conventi e
vescovi. Il popolo non gli obbedisce e va avanti con
le sue evangeliche richieste di libertà, uguaglianza e
giustizia: il «papa di Wittenberg» non perdona l’insu-
bordinazione in nome della riforma e scrive un testo
di straordinaria violenza a cominciare dal titolo: Con-
tro le bande brigantesche e assassine dei contadini 77. Siamo
nel maggio 1525. Nel luglio di quell’anno la guerra
di popolo è finita: hanno vinto i principi benedetti,
ancora una volta, da Lutero78.

Contro le bande brigantesche e assassine dei contadini


A giudizio di Lutero le imprese «non pazienti e
non pacifiche» non possono definirsi cristiane per-
ché il cristiano sopporta l’ingiustizia e non insorge
contro l’autorità. Così scrive nell’Esortazione pur es-

77
  Cfr. il testo in appendice alle pp. 152-160.
78
 Nei confronti del popolo – in particolare dei contadini – Lu-
tero utilizza spesso nei suoi scritti opinioni sprezzanti: in una predica
del 1526 afferma che le autorità hanno da Dio il compito di «incalza-
re, battere, strangolare, impiccare, abbruciare, decapitare, storpiare la
plebaglia, il signor Tutti, per essere temuti»; come «si conducono al
macello i porci e si uccidono le bestie feroci”, così i principi devono
far osservare le proprie leggi; allo stesso modo pensa che il catechismo
serva «per i rozzi pagani», cioè per il popolo, perché «il mondo e la
massa sono e rimangono non cristiani, anche se tutti si dicono pari-
menti battezzati e cristiani».

97
sendosi lui in tutta la sua vita pubblica comportato
in modo opposto.
Lo scritto contro le bande dei contadini evidenzia
una volta di più le insanabili contraddizioni del pen-
siero e della pratica luterani. È redatto a nemmeno
un mese di distanza dalla Esortazione, ma rivela un
Lutero giudice implacabile dei contadini che si com-
portano «come i cani furiosi». Cosa fanno di male i
contadini che già non facessero prima? Si sono mac-
chiati di «tre orrendi peccati contro Dio e contro gli
uomini». Nell’ordine: nonostante abbiano promesso
il contrario, hanno infranto l’obbedienza dovuta ai
loro signori confondendo così «anima e corpo come
fanno i perfidi, traditori, infidi, spergiuri, mentitori
e ribelli»; hanno rapinato e saccheggiato «con em-
pietà conventi e castelli che non erano loro»; hanno
coperto «con il Vangelo questi loro delitti» e voluto
«che divengano comuni i beni altrui, pur continuan-
do a tener per sé i propri».
Di questo scritto luterano sembrano rilevanti al-
cuni punti:
– la necessità che i contadini obbediscano ai loro
signori è motivata con la considerazione che «il bat-
tesimo non rende comuni corpo e beni, ma solo
l’anima» dal momento che «Cristo ci pone corpo e
beni sotto l’imperatore e il diritto secolare». A que-
sto riguardo Lutero ricorda come Cristo prescriva
di dare a «Cesare quel che è di Cesare» (cioè, a suo

98
modo di vedere, sia il potere spirituale che quello
temporale) e come sia Paolo che Pietro predichino
l’obbedienza all’autorità. Siamo nel 1525 e, vale la
pena di ricordarlo, Lutero si è già apertamente ribel-
lato sia al papa che all’imperatore.
L’obbedienza rivendicata per il solo potere tem-
porale, a prescindere da qualsiasi valutazione di me-
rito, esigita per di più in nome di Dio, raggiunge delle
vette di dispotismo che possono sembrare disumane.
Vette che riposano sulla distinzione-contrapposizio-
ne anima-corpo che ritiene possibile l’esistenza di un
uomo bifronte, scisso fra lo spirito, considerato libe-
ro, e il corpo ritenuto schiavo;
– l’orrore del vandalismo rivoluzionario porta Lu-
tero a giustificare, anzi ad esaltare, la vendetta privata.
Ecco cosa scrive per incitare all’uccisione degli insorti:
«chiunque lo possa deve colpire, strozzare, accoppare
in pubblico o in segreto, convinto che non esiste nulla
di più velenoso, nocivo e diabolico di un sedizioso,
appunto come si deve accoppare un cane arrabbiato,
perché, se non lo ammazzi tu, esso ammazzerà te e
tutta la contrada con te». La rivoluzione luterana ge-
nera mostri e lo stesso Lutero deve difendersi dalle
aspettative di libertà ed uguaglianza da lui suscitate
condannando senza appello le ansie di comunismo
giustiziere («Neppure è utile ai contadini protestare
che tutte le cose sono state create libere e comuni e
che tutti siamo stati battezzati allo stesso modo»);

99
– Lutero si comporta come se incarnasse la som-
ma potestà che tanto critica nel papa. Lo sfacelo
economico-sociale prodotto dalla diffusione delle
sue idee non lo mette minimamente in discussione
e, dopo aver azzerato in Germania l’autorità del papa
e della chiesa, incarna lo spirito dei profeti che, nel
Vecchio Testamento, si rivolgono ai re in nome di
Dio e indicano loro la strada da percorrere: «devo a
mia volta indicare all’autorità civile come deve com-
portarsi in questa situazione. Si devono offrire ai folli
contadini, benché non lo meritino, proposte giuste
e ragionevoli. Ma se dopo un attimo tutto ciò non
serve, bisogna mettere mano senz’altro alla spada».
La spada va utilizzata senza esitazioni: «Il momento è
talmente eccezionale che un principe può, spargendo
sangue, guadagnarsi il cielo. Perciò cari signori ster-
minate, scannate, strangolate, e chi ha potere lo usi».
Nel gennaio 1533, otto anni dopo che circa cen-
tomila contadini sono stati uccisi, impalati, brucia-
ti e accecati, Lutero, a pranzo con i suoi discepoli,
così rievoca quei giorni terribili: «I predicatori sono
i più grandi assassini. Essi infatti esortano l’autorità
a disporre risolutamente e a proprio talento del suo
ufficio e a punire gli elementi nocivi. Nella solleva-
zione io ho ammazzato tutti i contadini, tutto il loro
sangue è sul mio collo. Ma io lo rovescio su nostro
Signore Iddio; egli mi ha imposto di parlare in modo

100
siffatto»79. Negata la libertà della volontà nessuno è
responsabile delle azioni che compie e il peso di tutti
i misfatti viene in ultima analisi a ricadere su Dio.

E fu la Prussia
«Vedi miracolo! Il vangelo entra rapidamente ed a
piene vele nella Prussia»: così scrive Lutero al vesco-
vo Giorgio Polentz di Samland nell’aprile del 1525.
Il miracolo di cui si parla è il passaggio al luteranesi-
mo del gran maestro dei Cavalieri Teutonici Alberto
di Hohenzollern.
Fondato all’epoca delle crociate per curare ed as-
sistere i tedeschi pellegrini in Terra Santa, l’ordine
Teutonico è formato, come dice la parola, da tede-
schi. Caratteristica senza dubbio singolare trattan-
dosi di un ordine religioso cattolico, cioè universale.
Incaricati da Andrea II di Ungheria di proteggere i
propri possedimenti in Transilvania all’inizio del tre-
dicesimo secolo, i Cavalieri sono in seguito utilizzati
da Federico II di Svevia per la colonizzazione e cri-
stianizzazione delle regioni baltiche: gli imperatori,
a cominciare dai franchi di Carlo Magno, si servono
spesso della diffusione del vangelo come strada mae-

79
  Subito dopo la repressione delle «bande contadine» Lutero scri-
ve un testo dal titolo significativo: Se le soldatesche possano andare in para-
diso. La tesi sostenuta è, ancora una volta, che l’autore della violenza è
Dio: «Iddio impicca, mette alla ruota, decapita, strozza e fa la guerra».

101
stra per estendere il proprio dominio a nuovi territo-
ri e nuove popolazioni.
Nella missione loro affidata i Cavalieri Teutonici
hanno successo e stabiliscono una forte egemonia te-
desca fra le popolazioni slave della Prussia e del Baltico.
Soccombono però ai polacchi che nel 1410 li vincono
nella battaglia di Tannenberg e finiscono col perdere
la Prussia occidentale che viene annessa alla Polonia
mentre rimane sotto il loro controllo la Prussia orien-
tale, anche se sotto una nominale sovranità polacca.
Nel 1525 la svolta: il trentasettesimo gran maestro Al-
berto di Brandeburgo si avvale della riforma per seco-
larizzare a suo favore i beni dell’ordine ed assumere il
titolo ereditario di Duca di Prussia. Uno scandalo. Il
«miracolo» di cui parla Lutero. La Prussia che cono-
sciamo, la Prussia che ha avuto un ruolo di primaria
importanza nella storia mondiale dal Settecento ad
oggi, nasce dall’apostasia di Alberto di Hohenzollern
e dalla rapina da lui compiuta dei beni dell’ordine dei
Cavalieri Teutonici di cui pure è gran maestro.
La formazione del ducato di Prussia secolarizzato
mi offre l’occasione per accennare ad alcune caratte-
ristiche di questa nazione di ispirazione protestante.
Due secoli dopo Lutero, ormai assurta al rango di
regno, la Prussia diventa con Federico II80 la patria di
elezione del dispotismo illuminato. Ovvero di quel

80
  Federico II di Hohenzollern, detto il Grande (Berlino 1712 –
Potsdam 1786), re dal 1740.

102
novero di sovrani che, distaccatisi dall’universalità
cattolica, abbracciano l’universalità massonica dei
“lumi”. Sovrani che proclamano di agire in nome di
quella che la rivoluzione francese trasformerà in dea:
la ragione. Convinti che la ragione (la loro ragione)
possegga la chiave per guidare i popoli verso il pro-
gresso e la felicità, impongono dispoticamente alle
popolazioni – ma lo fanno in nome della libertà e
della tolleranza – le ragionevoli massime che i filoso-
fi illuminati sono andati elaborando.
Questo il contesto in cui nel 1784 Immanuel
Kant81, il massimo filosofo prussiano, compone un
testo chiave per spiegare a tutti cosa sia l’illumini-
smo, cioè la filosofia che fa grande il re di Prussia
Federico II, despota illuminato. La Risposta alla do-
manda: cos’è l’Illuminismo? è uno scritto polemico che
ha come bersaglio la chiesa cattolica che pure non è
mai nominata. A giudizio di Kant la chiesa di Roma
rende gli uomini schiavi perché impedisce loro di
pensare con la propria testa vincolandoli all’obbe-
dienza a dogmi immutabili: «se io ho un direttore
spirituale che ha coscienza per me», allora «io non ho
più bisogno di darmi pensiero di me». Ancora: «Non
ho bisogno di pensare, purché possa solo pagare:
altri si assumeranno per me questa noiosa occupa-
zione». Partendo da queste premesse Kant invita gli

81
 Immanuel Kant (Königsberg 1724 – 1804), fondatore del
criticismo.

103
uomini a diventare adulti facendo libero uso della
propria intelligenza: «Abbi il coraggio di servirti della
tua propria intelligenza». Il Kant che tesse le lodi dei
«liberi pensatori», di quanti cioè «hanno scosso da sé
il giogo della tutela», è però lo stesso Kant che esi-
ge obbedienza, e obbedienza cieca, nei confronti del
sovrano e delle sue decisioni. Questa la conclusione
cui perviene in nome del libero pensiero: gli «stu-
diosi» devono godere di tutta la libertà di discussio-
ne che vogliono, devono però obbedire: «Ragionate
quanto volete e su tutto ciò che volete; solamente
obbedite»82.
Filosofo di ispirazione protestante, Kant pervie-
ne alla stessa dicotomia di Lutero, alla stessa conce-
zione dell’uomo scisso in due componenti: corpo ed
anima. L’anima libera e il corpo suddito. Suddito del
principe. È la statolatria moderna, figlia primogenita
della riforma luterana83.

82
  Viene in mente un paradosso relativo all’obbedienza, proprio
della massoneria: anche i massoni condannano l’obbedienza dei cat-
tolici come fonte di schiavitù, pur imponendo una rigida obbedienza
all’interno delle logge. Quale la giustificazione di una contraddizione
tanto vistosa? La seguente: «la libertà dei massoni è l’obbedienza ra-
gionata opposta all’obbedienza passiva, segno di schiavitù», così scrive
nel 1853 il luminare della massoneria francese Jean Marie Ragon.
83
  Divenuta calvinista all’inizio del Seicento, la Prussia (che nel
frattempo è riuscita ad unificare la Germania) è però sempre memore
delle proprie origini luterane tanto che, nel 1873, l’imperatore Gu-
glielmo I (proclamatosi tale nel 1871 a Versailles, la reggia dei re di
Francia) fa ristampare ed inviare a Pio IX una nuova edizione della

104
L’ordine non regna sovrano
«Non vi è più né timor di Dio né alcuna disci-
plina, poiché non vi è più la scomunica del papa e
ognuno fa soltanto quello che vuole», così scrive Lu-
tero al principe elettore Giovanni di Sassonia il 22
novembre 1526. Difficile pensare che le cose sareb-
bero potute andare diversamente una volta negata la
libertà della volontà e, di conseguenza, la responsa-
bilità personale, una volta affermato il principio della
sola fede, negata la verità del magistero e distrutta
l’autorità religiosa. Lutero così prosegue: «Poiché
ogni costruzione spirituale se ne è andata e tutti i
conventi e tutte le fondazioni sono cadute nelle mani
del principe», è al principe che compete «il dovere e
il peso di riordinare queste cose, perché altrimenti
nessuno se ne incaricherebbe».
Lutero è convinto che la sua dottrina avrebbe
spontaneamente suscitato la miriade di opere di ca-
rità un tempo svolte dagli ordini religiosi soppressi.
Non è così. I beni della chiesa passano di mano ma
non vengono più utilizzati per occuparsi del bene
comune: «Nel passato noi davamo molto denaro e
molte sostanze ai papisti. Ora però che dobbiamo

Antitesi illustrata. Guglielmo fa precedere il testo luterano dalla lettera


che il papa gli aveva indirizzato il 7 agosto per scongiurarlo di desistere
dalla persecuzione anticattolica chiamata Kulturkampf, unitamente alla
propria risposta datata 3 settembre.

105
aiutare i ministri della chiesa e il Vangelo con un solo
centesimo, non abbiamo nulla», scrive nel 1529.
Dall’inizio, ma soprattutto dopo la guerra dei
contadini, il riformatore tedesco è costretto a far
fronte allo sfacelo socio-economico-morale che la
sua predicazione ha suscitato e che si è diffuso a va-
langa anche nelle zone rimaste cattoliche. La libertà
inizialmente lasciata alle varie comunità è sfociata
nell’anarchia e Lutero cerca di mettere ordine nel
disordine ecclesiale. Affronta temi che vanno dalla
dottrina, ai sacramenti, alla liturgia. Si tratta di stabi-
lire canoni per la celebrazione dei battesimi, per le li-
turgie eucaristiche – la cosiddetta “messa tedesca” –,
per i riti matrimoniali, per l’erezione ed il manteni-
mento delle scuole. Bisogna anche fornire le diretti-
ve fondamentali per l’istruzione religiosa ed istituire
una qualche forma di controllo per dare uniformità
alla vita ecclesiale dello stato.
La situazione è sfuggita di mano. Bisogna prov-
vedere e l’unico modo per farlo è mettere tutta la
vita della chiesa in mano al principe. Solo il principe
ha la forza per impedire che si continui a praticare
il culto cattolico, considerato «pubblica bestemmia
di Dio», solo lui ha l’autorità e il potere di vietare la
celebrazione della messa secondo il rito latino che
Lutero considera alla stregua di un peccato capita-
le («l’omicidio, il furto, l’assassinio e l’adulterio non
sono tanto perniciosi quanto l’abominio della messa

106
papista»), solo il principe infine può impedire il dif-
fondersi del settarismo e dell’eresia in campo evan-
gelico: «essi [gli eretici] si credono qualche gran cosa,
che è poi la causa o l’origine di tutte le eresie, come
dice anche sant’Agostino. La sete d’onore e di gloria
è la madre di tutte le eresie»84.
In mancanza ed in sostituzione del vescovo è il
principe che nomina i parroci, controlla il patrimo-
nio ecclesiastico, la liturgia e l’insegnamento scola-
stico, supervisiona le comunità locali e lo fa con lo
strumento delle ispezioni, chiamate visite. È il prin-
cipe che sceglie e nomina i visitatori (teologi e fun-
zionari, sia laici che ecclesiastici) che ricevono da lui
«potere e mandato» e a lui rispondono. I visitatori
vigilano sulla retta dottrina (chi dissente è costretto
alla vendita dei beni e all’emigrazione), sul sostenta-
mento dei parroci e sulla moralità pubblica.
È per chiarire la propria dottrina che nel 1529 Lu-
tero scrive due catechismi: il Piccolo catechismo dedica-
to ai bambini e alle persone semplici, molto chiaro,
redatto in forma di domande e risposte, e il Grande
catechismo rivolto ai parroci e alle persone istruite85.
Per evitare la totale dipendenza dal potere temporale

84
  Così scrive il 26 marzo 1542 al predicatore Probst, residente a
Brema. Difficile crederlo, ma l’uomo che descrive gli eretici con que-
ste parole è proprio Lutero.
85
 Nei suoi catechismi Lutero non fa riferimento ad alcuni aspetti
portanti della propria dottrina come la doppia predestinazione e la
schiavitù della volontà.

107
e costituire un organismo ecclesiastico per il governo
delle chiese, alla fine degli anni Trenta viene istituito
il concistoro. La sua indipendenza dal potere tempo-
rale è però solo apparente perché i componenti del
concistoro sono nominati dal principe, è lui che lo
convoca e ne redige gli ordinamenti, è ancora al prin-
cipe che spetta l’ultima parola in tutte le decisioni. La
giurisdizione ecclesiastica è diventata un’appendice
di quella civile.
Chi sono i principi che appoggiano la riforma?
Innanzitutto Filippo d’Assia, che segue Lutero dal
1524, poi l’elettore Giovanni di Sassonia succeduto
al fratello Federico nel 1525. Federico, amico e pro-
tettore di Lutero, si converte ufficialmente al vange-
lo luterano solo in punto di morte, mentre Giovanni
è il vero fondatore della chiesa di stato sassone, mo-
dello di tutte le chiese evangeliche.
Leghe, alleanze antimperiali – e quindi antitede-
sche – con Francia ed Inghilterra, tradimenti della
patria, credi contrapposti, compromessi e trattati di
pace, guerre: tutto questo non rientra negli obiet-
tivi del presente lavoro. Un’unica considerazione:
l’epoca compresa fra il 1517 e il 1648, il tempo delle
cosiddette guerre di religione, ha poco di religioso
e molto di lotta sfrenata per il potere e l’accaparra-
mento delle consistenti ricchezze donate alla chiesa
cattolica nel corso dei secoli. Le motivazioni religio-

108
se che in molti adducono per giustificare la propria
violenta condotta sono solo un pretesto86.
L’opinione corrente che le questioni riguardanti
la fede debbano essere espunte dallo spazio pubblico
perché di per sé divisive e pericolose è pertanto, a
giudizio di chi scrive, del tutto falsa e strumentale.

Filippo D’Assia87, un bigamo benedetto


Se il sacerdozio non è un sacramento, se i voti
perpetui non sono leciti perché il cristiano è sem-
pre libero, se il matrimonio non è un sacramento,

86
  Questo è chiaro dall’inizio, come risulta indirettamente dalla
stessa lettera che Melantone scrive a Lutero il 29 agosto 1530 dalla
Dieta di Augusta dove la parte protestante presenta una Confessione
conciliativa che non menziona alcune delle più importanti posizioni
luterane: «Ci siamo attirati grande biasimo da parte dei nostri, perché
restituiamo ai vescovi la loro giurisdizione. Infatti la plebe che si è abi-
tuata alla libertà ed è riuscita a scuotersi di dosso il giogo dei vescovi,
accetta malvolentieri di nuovo quel vecchio peso e soprattutto le città
imperiali odiano quell’autorità. Esse non si preoccupano della vera
dottrina e della religione, ma mirano soltanto al potere e alla libertà».
87
  Filippo d’Assia, detto il Magnanimo (Marburgo 1504 – Kassel
1567), insieme a Giovanni di Sassonia guida la fazione dei luterani
che il 19 aprile 1529 protesta (di qui il nome “protestanti”) contro le
decisioni della Dieta di Spira che – in attesa della convocazione di un
concilio – vietano ulteriori innovazioni religiose. Successivamente è a
capo della Lega di Smalcalda che si costituisce nel 1531 in funzione
antimperiale ed antiasburgica per opporsi alla decisione della Dieta di
Augusta del 1530 di restituire i beni alla chiesa e ripristinare la giuri-
sdizione ecclesiastica.

109
ne consegue che parlare di indissolubilità matrimo-
niale è un non senso. E infatti Lutero in alcuni casi
(l’abbandono intenzionale, una grave malattia o la
lontananza a motivo della guerra) ammette la cele-
brazione di un secondo matrimonio.
Il “Mosè tedesco” ritiene che il matrimonio sia
un qualcosa di esterno e terreno, proprio come il
vestirsi o il nutrirsi, e che come tale cada sotto la
giurisdizione del potere temporale: «il matrimonio e
lo stato matrimoniale sono un affare terreno, non
spetta ai preti o ai ministri della chiesa darci alcuna
disposizione o dirigerci in questa faccenda»88. È tut-
tavia lecito che gli sposi chiedano una benedizione
che viene loro impartita all’altare mentre le nozze
sono celebrate all’esterno dell’edificio ecclesiastico.
Come si vede la posizione luterana oscilla fra
concezioni diverse ed antitetiche, mentre la posizio-
ne del Nuovo Testamento al riguardo è chiarissima:
il matrimonio è un sacramento indissolubile, come
eterno e indissolubile è l’amore di Cristo per la sua
chiesa: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua
madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno
una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in
riferimento a Cristo e alla Chiesa», scrive Paolo agli
Efesini89.

88
  Così nel Libricino sul matrimonio del 1529.
89
  Cfr. la lettera agli Efesini 5,31-32.

110
Rifiutando le scelte fatte per sempre90, Lutero
apre la strada a quel relativismo affettivo-sentimen-
tale che rende l’uomo schiavo della volubilità del-
le passioni. Il caso limite è quello del langravio Fi-
lippo d’Assia, luterano della prima ora, definito da
Lutero il “nuovo Arminio”. Sposato nel 1523 con
Cristina di Sassonia da cui ha sette figli, vizioso e
lussurioso, vuole sposare, consenziente la moglie, la
diciassettenne damigella di corte Margherita di Saale.
Il 9 dicembre 1539 Filippo scrive a Lutero e a Me-
lantone perché consentano alle nozze e permettano
un secondo, pubblico, matrimonio: non hanno forse
già approvato l’eventuale bigamia di Enrico VIII di
Inghilterra?91 In caso contrario Filippo fa balenare
l’ipotesi di essere pronto a cambiare fronte e passare
dalla parte dell’imperatore e del papa.
Tempo un giorno e i due riformatori rispondo-
no: non si può fare nulla di pubblico per lo scandalo
che ne deriverebbe. Se però il langravio insiste, può
essere data una dispensa perché il «matrimonio sup-
plementare» non ha nulla contro la legge di Dio, può
essere determinato da una «necessità di coscienza», e
«l’uomo può col consiglio del suo pastore, prender-

90
  Cfr. il capitolo “Una lettera al padre”, pp. 82-86.
91
 In una lettera del 3 settembre 1531 Lutero scrive ad Enrico
VIII per confermare che, sì, il matrimonio è indissolubile, che però,
col permesso della regina, «avrebbe potuto sposarne una seconda,
sull’esempio dei patriarchi che avevano parecchie mogli».

111
si ancora un’altra donna»92. A patto che il consiglio
resti segreto. Si tratta infatti di un «parere di confes-
sione» che viene dato facendo affidamento sulla sua
riservatezza.
Il 4 marzo 1540 Filippo e Margherita si sposano,
presente Melantone, ma la cosa non rimane segreta.
Si dà il caso che nel 1540 fossero in vigore le leggi
Caroline approvate nel 1532 che condannavano i bi-
gami alla morte per decapitazione. La questione è
seria. Cosa fa Lutero? Consiglia di negare tutto e di
raccontare una bugia93: non c’è stato nessun secondo
matrimonio, la presunta seconda moglie è solo una
concubina. Ecco cosa scrive il 17 luglio 1540: «Dire
una bugia necessaria, utile e che ti aiuta, non è andare
contro Dio, che anzi se la piglia volentieri sopra di
sé». Lutero trasforma la menzogna in virtù: «Essa è
una virtù se mira al raggiungimento di un fine che
resista alla malizia del diavolo, e salvi l’onore, la vita,
il vantaggio del prossimo».
La vicenda del langravio bigamo, luterano ferven-
te, arresta la penetrazione della riforma in Germania
perché, a parte lo scandalo, Filippo d’Assia è costret-
to a riavvicinarsi a Carlo V.

92
 In un passaggio dei Discorsi a tavola relativo all’aprile 1532 Lutero
afferma: «Arriverà il giorno in cui un uomo avrà più di una moglie».
93
  «Non cadrà il mondo – così si legge nel protocollo dell’incon-
tro svoltosi il 15 luglio ad Eisenach fra Lutero, i consiglieri di Filippo e
quelli del principe elettore Giovanni di Sassonia – se si dirà una buona
e grossa bugia per amor del meglio e della Chiesa cristiana».

112
Forse non è inutile ricordare come la posizione
di Gesù sul matrimonio sia inequivocabile: «Per la
durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di
ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu
così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria
moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa
un’altra commette adulterio»94. Lutero invoca la Sola
Scrittura e la purezza del vangelo, ma dimentica van-
gelo e Scrittura. Cantore della libertà, pur di non cen-
surare il comportamento dissoluto di un importante
protettore, ritorna alla legge mosaica ed approva la
bigamia. Sostiene di averlo fatto con un “consiglio
di confessione” ma, non essendo la confessione un
sacramento in senso proprio, non si capisce in cosa
mai consista un simile consiglio. Come se non ba-
stasse, per scusare la propria condotta, santifica la
bugia: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di
più viene dal maligno», comanda Gesù95.

Contro gli ebrei


Agli inizi della sua vita pubblica Lutero non ha un
atteggiamento ostile nei confronti degli ebrei, tutt’al-
tro. È convinto che la predicazione del vero vangelo
da lui incarnato avrebbe avuto il suo suggello con la

94
  Cfr. il vangelo di Matteo 19,8-9.
95
  Cfr. il vangelo di Matteo 5,37.

113
conversione al cristianesimo del popolo ebraico. Se
così non era fino ad allora avvenuto era per colpa
dell’indegnità del papato che rappresentava la reli-
gione di Gesù Cristo.
Quando gli ebrei rifiutano di convertirsi al puro
vangelo luterano, la condanna è senza appello e spie-
tata: «cani sanguinari, ed assassini di tutti i Cristiani,
in perfetta coscienza e volontà, adesso e da mille e
quattrocento anni; e lo sarebbero volentieri anche nei
fatti»; «evita i Giudei come se fossero la peste, e sappi
che ovunque hanno le loro Sinagoghe, lì non c’è al-
tro che un covo di demoni»; tutte le volte che vedrai
un Giudeo, ricordati «che con il solo sguardo infet-
ta e uccide gli uomini»; «Nessun popolo, per quanto
barbaro e crudele, ha mai fatto nulla in modo così
delittuoso e sacrilego. Nessun essere umano, nessu-
na creatura mai ha fatto queste cose, tranne Satana,
oppure i forsennati e gli indemoniati posseduti da
Satana»96.

96
  L’illuminismo francese riprenderà quasi alla lettera la violenza
antigiudaica di Lutero. Così scrive Voltaire nel Dizionario filosofico alla
voce “ebrei”: si tratta del «più abominevole popolo del mondo», «non
troverete in essi che un popolo ignorante e barbaro, che unisce da mol-
to tempo la più sordida avarizia alla più detestabile superstizione e al
più tenace odio per tutti i popoli che li tollerano e li arricchiscono». La
ferocia antisemita di Voltaire si riversa anche contro il dettato biblico,
cosa che Lutero, come ovvio, non ha fatto: «Voi affermate che le vo-
stre madri non hanno avuto rapporti con dei caproni, né i vostri padri
con delle capre. Ma ditemi un po’, signori, come mai voi siete l’unico
popolo della terra al quale la legge abbia imposto un simile divieto?

114
Abbiamo tratto le citazioni antigiudaiche di Lu-
tero dal libro Contro gli ebrei la cui edizione in Italia è
stata curata da Attilio Agnoletto nel 1997. Agnoletto
sottolinea come il suo lavoro presenti «per la prima
volta al pubblico italiano ed europeo» il testo Degli
ebrei e delle loro menzogne scritto in tedesco nel 154397
e subito tradotto in latino dall’amico Justus Jonas98
che ne rende accessibile la lettura ai dotti di tutta
Europa.
«Cosa potremo fare noi Cristiani con l’odioso e
maledetto popolo dei Giudei?», si domanda Lutero.
Questa la risposta articolata in sette punti che sinte-
ticamente riassumiamo:
� primo: «è cosa utile bruciare tutte le loro Sina-
goghe, e se qualche rovina viene risparmiata dall’in-
cendio, bisogna coprirla di sabbia e fango, affinché
nessuno possa vedere più nemmeno un sasso o una
tegola di quelle costruzioni»99;

Quando mai a un legislatore sarebbe venuto in mente di promulgare un


precetto così bizzarro, se il reato non fosse stato pratica comune?».
97
  Von den Juden und ihren Lügen.
98
  De Iudaeis et eorum mendaciis, 1544. Umanista e giurista, Jonas è
rettore dell’università di Erfurt, stretto collaboratore di Lutero di cui
traduce in tedesco le 95 tesi e in latino Contro il papato di Roma fondato
dal diavolo. Presente alla morte del riformatore tiene il discorso funebre
in suo onore.
99
 A questo riguardo Lutero stabilisce uno stretto parallelismo fra
ebraismo e cattolicesimo: «Il volto di Mosè è coperto a tal punto dal
fango delle tradizioni da renderlo del tutto irriconoscibile. Allo stesso

115
� secondo: «siano distrutte e devastate anche le
loro case private. Infatti, le stesse cose che fanno
nelle Sinagoghe, le fanno anche nelle case»;
� terzo: «siano privati di tutti i libri di preghiere e
i testi talmudici, nei quali si insegnano idolatrie, men-
zogne, stupidaggini e bestemmie»100;
� quarto: «sia tolto ai Rabbini, sotto pena di mor-
te, il compito di insegnare»;
� quinto: «siano negati ai Giudei la fiducia pub-
blica e i salvacondotti in tutte le province e i ducati».
A questo riguardo Lutero si spinge, come già aveva
fatto molti anni prima con i contadini, a sollecita-
re la vendetta privata: «Se voi principi e signori non
prendete l’iniziativa di sbarrare nel modo consueto
le vie pubbliche a questi usurai, allora forse alcuni
cavalieri […] potrebbero trattarli come selvaggina in
una qualche loro battuta di caccia a cavallo»;
� sesto: «con severissimi decreti dei signori sia
loro proibita l’usura e sia loro sequestrato tutto il de-

modo sotto il Papato la Bibbia è tanto soffocata dal fango dell’idola-


tria, da non permettere di riconoscere più la parola di Dio».
100
 Nel 1509 l’ebreo Pfefferkorn, convertitosi al cattolicesimo, ot-
tiene dall’imperatore un decreto di distruzione del Talmud e dei com-
mentari rabbinici perché, a suo giudizio, ostacolano la conversione
degli ebrei al cristianesimo. Di parere opposto l’umanista Reuchlin che
suggerisce la distruzione dei soli passi offensivi per la religione cristia-
na. Processato dall’Inquisizione Reuchlin è condannato con sentenza
definitiva nel 1520: gli viene imposto il silenzio ed il pagamento delle
somme processuali.

116
naro contante», dal momento che «tutto quello che
loro posseggono è frutto dei furti e dei saccheggi
compiuti ai nostri danni attraverso l’usura»;
� settimo: «sia imposta la fatica ai Giudei giovani
e robusti, uomini e donne, affinché si guadagnino il
pane col sudore della fronte»101.
Dicevamo che quella curata da Agnoletto è la pri-
ma traduzione del testo De Iudaeis et eorum mendaciis,
ma è un’imprecisione, come lo stesso Agnoletto spe-
cifica fra parentesi, perché la prima traduzione com-
pare in tedesco, in Germania, nel 1936. All’epoca del
nazismo.
L’avversione per gli ebrei accompagna Lutero an-
che nella vita quotidiana, nella psicopatologia della
vita quotidiana. In una lettera alla moglie Caterina
del primo febbraio 1546, così scherzosamente rac-
conta e spiega i problemi di salute che gli sono capi-
tati mentre si recava ad Eisleben: «Alla mia carissima
sposa Caterina, luterina, dottorina», «mi prese una

101
 Nel 2000, ad appena tre anni di distanza dalla traduzione cura-
ta da Agnoletto, è comparsa una nuova edizione del testo luterano cu-
rata da Adelisa Malena, con una lunga prefazione di Adriano Prosperi.
Dopo secoli di dimenticanza un così vivo e improvviso interesse per
l’opera antigiudaica viene motivato dalla necessità che la traduzione
muova dal testo originale di Lutero in tedesco (Malena), piuttosto che
dalla traduzione latina di Jonas (Agnoletto). Entrambi i curatori sotto-
lineano come la versione di Jonas sia più chiara ma anche, se possibile,
più fieramente antigiudaica. Io mi sono avvalsa della traduzione di
Agnoletto perché mi è sembrata più efficace: quanto al contenuto dei
brani proposti è praticamente identico.

117
grande debolezza»: se tu «fossi stata lì ne avresti in-
colpati gli Ebrei e il loro Dio»; prima di arrivare ad
Eisleben ho dovuto attraversare un villaggio pieno
di ebrei «i quali forse soffiarono con forza contro di
me. Oggigiorno vivono ad Eisleben più di cinquanta
ebrei. E a dire il vero, quando io passavo per quel vil-
laggio nel carro, mi arrivò un vento freddo sulla nuca
attraverso il berretto, come per fare del mio cervello
un blocco di ghiaccio».
Lutero torna ad occuparsi di ebrei nell’ultima pre-
dica pronunciata ad Eisleben il 15 febbraio 1546, tre
giorni prima della morte. L’Ammonimento ai Giudei102
può essere considerato una sorta di testamento spiri-
tuale: se i giudei non si convertono «non dobbiamo
tollerarli» perché non dobbiamo renderci complici
dei loro peccati. Gli ebrei sono «i nostri pubblici ne-
mici» che «se potessero ucciderci tutti, lo farebbero
volentieri, anzi lo fanno spesso, specialmente quelli
che si spacciano per medici»103. Queste le raccoman-
dazioni finali: «Siate dunque decisi con loro, poiché
non sanno fare altro che bestemmiare il nostro amato
Signore Gesù Cristo in modo mostruoso e vogliono
privarci del nostro corpo, della nostra vita, del nostro

102
  Eine Vermahnung wider die Juden.
103
 Ancora una volta Lutero accomuna nella condanna ebrei e cat-
tolici: «i Giudei conoscono anche la medicina che viene praticata nella
terra di Roma; i Welschen, gl’italiani, sanno bene come si produce un
veleno che fa morire in un’ora, un mese, un anno: l’arte la conoscono».

118
onore e dei nostri beni». Ho voluto dare questo am-
monimento a voi, conclude Lutero, «come tedesco».
Lutero è passato alla storia come l’uomo della
riforma, della purezza liturgica e della lettera evan-
gelica (“Mosè tedesco”). Lutero è anche il padre
dell’identità tedesca104, il padre della lingua e dello
spirito tedeschi (Hercules Germanicus, Propheta Ger-
maniae) e, come tale, ha condizionato la storia della
Germania anticattolica e antiromana. Una storia con
molte tragedie.

Contro il papato di Roma fondato dal diavolo


L’odio di Lutero per il papato è scoppiettante,
straripante, fiammeggiante. Esagerato. Un odio che
gli fa compagnia lungo tutti gli anni della vita pubbli-
ca. Un odio che si esprime non solo in fogli volanti,
scritti estemporanei, opuscoli e prediche. Un odio
che trova una valvola di sfogo nella realizzazione di
immagini sempre più violente, volgari, e oscene. Una
vera ossessione.
Asino, cane, re dei ratti, drago, coccodrillo, larva,
bestia, drago infernale, queste alcune delle variazio-
ni del bestiario luterano contro il papa. Avvalorate,
sottolineate, ingigantite dalla forza delle immagini.

104
  Lo è esplicitamente dal 1520 con lo scritto Alla nobiltà cristiana
della nazione tedesca.

119
Il lavoro paziente di ricerca di questa testimonianza
visiva, dimenticata per tanto tempo e difficile da re-
perire, è stato fatto nei primi decenni del Novecento
dai gesuiti Hartmann Grisar e Franz Heege nel loro
Figure di battaglia di Lutero. Riproduciamo in appendi-
ce alcune delle icone luterane realizzate a Wittenberg
da Lucas Cranach il Vecchio e riprodotte dai padri
gesuiti unitamente ai commenti pedagogico-esplica-
tivi composti da Lutero per l’occasione.
Dal 1520 al 1545 il filo rosso antipapale è con-
tinuo. Ricapitoliamone brevemente lo sviluppo nel
corso degli anni:
� 1520: scrive l’Anticristo;
� 1521: compone l’Antitesi illustrata che si ripro-
mette di mostrare visivamente come Cristo e il papa
siano agli antipodi: Cristo e anticristo. Cristo in cie-
lo, il papa all’inferno. Istruttiva l’ultima coppia di xi-
lografie: a sinistra Cristo che ascende in cielo con
un semplice mantello che ne copre parzialmente il
corpo, a destra Leone X che precipita a testa in giù
all’inferno con tanto di paramenti sacri, circondato
da mostri orrendi. A commento della sorte del papa
Lutero cita l’Apocalisse (19,20-21: «la bestia fu cat-
turata e con essa il falso profeta…») e la seconda
lettera ai Tessalonicesi (2,8: «allora sarà smascherato
l’iniquo e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio

120
della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua
venuta»)105;
� nel 1522 esce la traduzione in tedesco del Nuo-
vo Testamento e il testo dell’Apocalisse che parla del
drago a sette teste e dieci corna106 è illustrato con
l’immagine del papa e della sua corte, mentre la ca-
duta di Babilonia107 è raffigurata con la distruzione di
San Pietro e di Castel Sant’Angelo;
� 1523: insieme a Melantone pubblica il pamphlet
Significato delle due orribili figure, del papa-asino a Roma e del
vitelmònaco a Freiberg in Meissen, un ritornello dell’im-
pianto teorico-linguistico luterano. Le immagini assi-
curano una rapida e penetrante diffusione108;
� 1526 compare Il papato coi suoi messo in figura e in
scrittura;
� dal 1534 tutte le edizioni della Bibbia sono cor-
redate da immagini che illustrano le tesi luterane.
Negli ultimi anni della vita, Lutero moltiplica i
fogli volanti con caricature antipapali e antiromane
nell’intento di creare una specie di Bibbia per i pove-
ri, meglio, un catechismo per l’indottrinamento del

105
  Cfr. l’appendice a p. 173.
106
  Cfr. Apocalisse 17,2: «Là vidi una donna seduta sopra una be-
stia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna».
107
  Cfr. Apocalisse 18,2: «È caduta, è caduta Babilonia la grande
ed è diventata covo di demoni, carcere di ogni spirito immondo, car-
cere d’ogni uccello impuro e aborrito e carcere di ogni bestia immonda
e aborrita».
108
  Cfr. l’appendice a p. 164.

121
popolo e, nel 1545, a concilio di Trento finalmente
convocato109, compare Contro il papato di Roma fondato
dal diavolo.
Paolo III aveva inviato a Carlo V una lettera
per deplorarne la politica religiosa e Lutero prende
spunto da questo intervento per rivolgersi al papa
con i nomignoli di “Santa Paola III”, “papa Paoli-
no”, “infernalissimo Padre”. Su Paolo III si riversa
una cantilena interminabile di insulti, monotona,
ripetitiva, deprimente: “carissimo asinello”, “apo-
stolo del diavolo”, “anticristo maledetto”, “porco
epicureo”, “escremento del diavolo” e via conti-
nuando. La preziosità di questo linguaggio è tradot-
ta in latino da Justus Jonas per volontà di Giovanni
Federico, principe elettore di Sassonia.
In questo ultimo scritto Lutero si ripromette di
riflettere su tre questioni:
� è vero che il papa di Roma è capo della
cristianità?
� è vero che nessuno lo può giudicare?
� è vero che il papa ha trasferito l’impero roma-
no dai bizantini ai tedeschi?

109
  Fortemente voluto dall’imperatore Carlo V per affrontare e ri-
solvere la questione luterana, il concilio di Trento (1545 – 1563) inizia
con gravissimo ritardo. I motivi del lungo rinvio sono essenzialmente
due: il timore dei pontefici di dover nuovamente fronteggiare il conci-
liarismo e la fermissima opposizione del re di Francia Francesco I: la
pacificazione religiosa della Germania avrebbe comportato un indub-
bio rafforzamento del potere imperiale.

122
La risposta è scontata: è falso. Il papato è stato
inventato da satana, qualsiasi persona può giudicare
il papa, «gli unici che eleggono gli imperatori sono
i principi elettori».
Il libro è corredato da una serie di nove cari-
cature dal titolo Ritratto del papato110 ideate dallo
stesso Lutero e realizzate da Cranach. Il 15 maggio
1545, a Matìas Wanckel che gli domanda il perché
della pubblicazione di quelle immagini, Lutero ri-
sponde: «So che non mi resta molto tempo» eppure
tanto devo scrivere ancora contro il papa. Ognu-
na delle immagini e delle figure che ho pubblica-
to vale un libro intero: «Queste figure sono il mio
testamento».
Lutero è stato profetico: il suo testamento è
stato raccolto e divulgato nei secoli successivi dal
pensiero gnostico, giacobino e liberal-massonico,
dominato dall’odio e dalla guerra contro la chiesa
cattolica. In nome della santità di questo odio non
solo la scienza storica è stata trasformata in una
congiura contro la verità111, ma il sangue è scorso
a fiumi.

110
 In appendice alle pp. 166-169 riproduciamo quattro delle nove
caricature.
111
  Questa l’espressione utilizzata da Leone XIII nella lettera Sae-
pe numero considerantes del 18 agosto 1883.

123
Appendice 1*

* I testi proposti sono tratti da G. Alberigo, La riforma protestan-


te, Garzanti, Milano 1959.
Ai principi cristiani della nazione tedesca

[…] I romanisti hanno eretto intorno a sé con


grande abilità tre muraglie, con le quali essi si sono
fino ad ora difesi di modo che nessuno ha potuto
riformarli, e in tal modo l’intiera cristianità è orribil-
mente decaduta.
In primo luogo, quando li si è voluti costringere
col potere secolare, essi hanno stabilito e proclamato
che l’autorità secolare non aveva alcun diritto sopra
di loro ma che al contrario lo spirituale era superiore
al temporale. In secondo luogo si è tentato di colpirli
con la sacra scrittura, ma essi hanno ribattuto che
l’interpretazione della scrittura non è di competenza
di nessuno se non del Papa. In terzo luogo, si è volu-
to minacciare un Concilio, ma essi hanno inventato
che nessuno può convocare un Concilio se non il
Papa. Dunque essi ci hanno proditoriamente sottrat-
to tutte e tre le verghe onde rimanere impuniti e,
chiusi dentro il sicuro riparo di queste tre muraglie,
compiono tutte le mascalzonate e scelleratezze che
ora noi vediamo; e se alla fine sono stati costretti
a convocare un Concilio, hanno saputo fiaccarlo in
precedenza obbligando in anticipo i principi median-

127
te giuramento a lasciarli stare così come sono, e inol-
tre a concedere al Papa piena potestà su tutto l’or-
dinamento del Concilio. Per cui fa proprio lo stesso
che vi siano molti Concili o che non ve ne siano,
dato che essi ci ingannano con finzioni e ciurmerie:
cose orribili temono per la loro pelle da un Concilio
vero e libero. Perciò hanno reso paurosi re e principi
così che questi credettero che non ubbidire il Papa
in tutte le sue maliziose e scellerate imposture fosse
contro Dio.
Ma Dio ci aiuti e ci dia una delle trombe con le
quali furono rovesciate le mura di Gerico, così che
anche noi suonandole facciamo crollare queste mura
di paglia e di carta e le verghe cristiane puniscano
i peccati e facciano luce sugli inganni e le astuzie
del demonio, affinché attraverso la penitenza ci mi-
glioriamo e possiamo ottenere nuovamente la sua
grazia.
In primo luogo vogliamo attaccare la prima mu-
raglia. Si è trovato conveniente che i papi, i vescovi,
i preti e gli abitanti dei conventi si chiamino ceto ec-
clesiastico e ceto secolare invece i principi, i signori, i
commercianti e i contadini; tal cosa è una finissima e
ipocrita costumanza, ma nessuno si lasci abbindolare
per le seguenti ragioni: tutti i cristiani appartengono
allo stato ecclesiastico, né esiste tra loro differenza
alcuna, se non quella dell’ufficio proprio a ciascuno;
come dice S. Paolo (1 Cor 12, 12 ss.), che noi tutti

128
insieme siamo un solo corpo, ma che ogni organo
ha il suo compito particolare con cui serve agli altri;
e ciò avviene perché tutti abbiamo il medesimo bat-
tesimo, il medesimo Vangelo, la stessa fede e siamo
tutti cristiani allo stesso modo. Il battesimo, il Van-
gelo e la fede, infatti, ci fanno tutti religiosi e tutti
cristiani. E la potestà del papa o del vescovo, cioè di
ungere, ordinare, consacrare e vestirsi diversamente
dai laici, può rendere uno fariseo o prete consacrato,
ma però non serve mai a rendere uno religioso o
cristiano. Infatti tutti quanti siamo consacrati sacer-
doti dal battesimo, come dice S. Pietro (1 Pietro 2, 9):
«Voi siete un regale sacerdozio ed un regno sacro»;
e l’Apocalisse: «Col tuo sangue ci hai fatti sacerdoti e
re». Giacché, se non fosse in noi una consacrazione
più alta di quella che ci dà il papa o il vescovo, giam-
mai uno sarebbe fatto sacerdote con la sola consa-
crazione del papa o del vescovo e non potrebbe né
celebrare messa, né predicare, né assolvere.
Dunque la consacrazione da parte del vescovo al-
tro non è se non questo, che cioè egli, in luogo ed a
nome dell’intera comunità, prende uno dalla massa,
dove tutti hanno la medesima potestà, e gli ordina di
esercitare cotesta medesima potestà per tutti; pro-
prio come se dieci fratelli, figli di re e tutti egualmen-
te eredi, eleggessero uno tra loro per amministrare
in vece loro l’eredità; essi rimarrebbero sempre tutti
re e di pari potenza, tuttavia ad uno solo sarebbe

129
commesso di governare. E, per parlare ancora più
chiaramente, se un gruppo di pii cristiani laici caduto
in prigionia fosse abbandonato in un deserto e, non
avendo con sé alcun sacerdote consacrato da un ve-
scovo, di comune accordo eleggessero uno di loro,
sposato o no, e gli affidassero l’ufficio di battezzare,
di celebrare messa, di assolvere e di predicare: costui
sarebbe in verità sacerdote tanto come se l’avessero
consacrato tutti i vescovi e i papi. Ne viene che in
caso di necessità chiunque può battezzare ed assol-
vere, ciò che non sarebbe possibile se non fossimo
tutti sacerdoti. Tale eccezionale grazia e potenza del
battesimo e del cristianesimo, essi con il loro diritto
canonico l’hanno quasi distrutta, così che la ignoria-
mo. Proprio così nei tempi antichi i cristiani elegge-
vano dalla moltitudine i loro vescovi o sacerdoti, i
quali in seguito venivano confermati da altri vescovi
e senza la pompa che invece oggi predomina. Così
divennero vescovi S. Agostino, S. Ambrogio e S.
Cipriano.
Ora, poiché le autorità terrene sono battezzate
come noi ed hanno la medesima fede e Vangelo,
dobbiamo ammettere che siano vescovi e sacerdoti
e considerare il loro un ufficio appartenente ed utile
alla comunità cristiana. Infatti, ciò che si riceve dal
battesimo ben si può vantare che valga come esse-
re consacrati sacerdoti, vescovi e papi; sebbene non
a ciascuno si addica di esercitare tali uffici. Perciò,

130
essendo noi tutti egualmente sacerdoti, nessuno
deve elevarsi da sé e ardire di compiere, senza nostra
elezione e approvazione, ciò su cui tutti abbiamo il
medesimo potere, perciò ciò che è comune nessuno
può prenderlo per sé senza il volere della comunità.
E se uno prescelto a tale ufficio viene poi deposto
per i suoi abusi, esso ritorna ad essere quel che era
prima. Per la qual cosa la condizione di un sacerdo-
te nella Chiesa non dovrebbe differire da quella di
un qualsiasi altro magistrato: finché adempie al suo
ministero è in posizione eminente, ma quando sia
deposto non è altro che un contadino o un cittadi-
no come gli altri. In verità dunque un sacerdote non
è più sacerdote quando sia stato deposto. Ma ecco
ch’essi vengono favoleggiando di carattere indelebi-
le e cianciano che un prete deposto è pur sempre
qualcosa di diverso da un cattivo laico; vaneggiano
addirittura che un prete non possa più essere altro
che prete, né tornare più laico; le quali tutte sono
chiacchiere e leggi inventate dagli uomini.
Deriva da tutto ciò che laici, preti, principi o ve-
scovi, o come essi dicono secolari o ecclesiastici, in
fondo non vi è tra loro differenza alcuna, se non
quella propria all’ufficio o al lavoro di ciascuno, non
già allo stato; infatti essi sono tutti nella medesima
condizione religiosa e veramente tutti preti, vesco-
vi e papi, sebbene non coi medesimi uffici; proprio
come anche tra i preti od i monaci ognuno ha incari-

131
chi diversi. E questo sta scritto in S. Paolo (Rom 12, 4
ss.; 1 Cor 12, 12 ss.) e in S. Pietro (1 Pietro 2, 9) come
ho detto più sopra, cioè che tutti noi siamo il corpo
del capo Gesù Cristo, e ciascuno è membro dell’al-
tro. Cristo non ha due corpi né due specie di corpi,
l’uno secolare e l’altro religioso. Egli è un unico capo
e non ha che un solo corpo. Proprio come coloro
che sono ecclesiastici, cioè preti, vescovi o papi, non
si distinguono dagli altri cristiani per altezza o per
dignità, ma perché hanno il dovere di amministrare
la parola di Dio ed i sacramenti, e questo è il loro
ufficio, così l’autorità secolare ha in mano la spada
e le verghe per punire con esse i malvagi e proteg-
gere i buoni. Un calzolaio, un fabbro, un contadino
ha il compito e il mestiere della sua corporazione, e
tuttavia essi sono tutti egualmente consacrati preti e
vescovi, e ciascuno deve essere utile e servizievole
agli altri con la sua opera e il suo mestiere, di modo
che tante opere diverse tutte concorrano ad uno sco-
po comune per alimentare l’anima e il corpo, giusto
come avviene tra le membra del corpo, che servono
le une alle altre.
Ora considera se è cristiana la loro legge e la loro
pretesa che l’autorità temporale non sia posta più in
alto di quella spirituale e non possa nemmeno pu-
nirla. Ma questo equivale a dire che la mano non
deve far niente, anche se l’occhio soffre una grave
necessità. Ma non è innaturale, per non dire anticri-

132
stiano, che un membro non aiuti l’altro e non debba
impedirne la rovina? Anzi, quanto più un membro
è nobile, tanto più gli altri debbono aiutarlo. Perciò
io sostengo che, poiché l’autorità temporale è stata
preordinata da Dio per proteggere i buoni e punire i
malvagi, si deve lasciarla libera nei suoi uffici, perché
penetri indisturbata in tutto il corpo della Cristianità,
senza guardare in faccia a nessuno, sia pur esso papa,
vescovo, prete, frate, monaco o quello che vuole. Se
per immobilizzare l’autorità secolare fosse sufficiente
ch’essa è l’ultimo tra gli uffici cristiani – mi riferisco
al predicare, al confessare e in genere alla condizione
di ecclesiastico – allora si dovrebbe anche impedire
a sarti, calzolai, scalpellini, domestici, cuochi, came-
rieri, contadini e quanti altri lavorano nel mondo, di
preparare per il papa, i vescovi, i preti, i monaci scar-
pe, vestiti, case, cibo e bevande, e ancora di pagare i
tributi. Ma se si permette a codesti laici di fare il loro
lavoro, che ci stanno a fare gli scrittori romani con
le loro leggi, con le quali si sottraggono all’autorità
della potestà temporale, così che essi soli possono
operare indisturbati il male, adempiendo così a ciò
che ha detto S. Pietro: «Scorgeranno tra voi falsi pro-
feti, e vi sfrutteranno con parole nate dalla cupidigia,
onde mettervi nel sacco»?
Perciò l’autorità cristiana temporale deve eserci-
tare libera e indisturbata il suo ufficio, senza guarda-
re se colui contro il quale agisce, sia papa, vescovo

133
o prete: chi è colpevole paghi. E tutto quello che
il diritto canonico ha sostenuto in contrario è mera
presunzione e ciurmeria romana. Infatti S. Paolo
parla così a tutti i cristiani: «Ciascun essere – (e io
intendo anche il papa) – sia sottoposto all’autorità,
poiché essa non tiene invano la spada; essa serve
Dio col punire i malvagi ed esaltare i buoni»; e an-
che S. Pietro: «Siate dunque soggetti ad ogni autorità
umana per amor del Signore, il quale vuole così». Ed
egli ha pure annunziato che verranno degli uomini i
quali mostreranno di sprezzare l’autorità terrena (2
Pietro 2, 10), come infatti è avvenuto con il diritto
canonico.
Dunque ritengo che questo primo muro di carta
giaccia rovesciato, poiché l’autorità civile è divenuta
membro del corpo cristiano, e benché essa abbia un
ufficio carnale, pure appartiene allo stato religioso;
per cui l’opera sua deve procedere indisturbata in
tutte le membra dell’intero corpo, punire o stimo-
lare dove la colpa lo meriti o necessità lo esiga, sen-
za tener conto di papi, vescovi e preti, tempestino e
scomunichino come vogliono. Ne viene che i preti
colpevoli, sottoposti alla giustizia terrena, perdono
innanzi tutto ogni dignità sacerdotale il che però non
sarebbe giusto se in precedenza e per volere di Dio
la spada terrena non avesse potere sopra di loro. È
anche eccessivo che il diritto canonico attribuisca
tanta importanza alla libertà, alla persona ed ai beni

134
ecclesiastici, come se i laici non fossero altrettanto
buoni e religiosi cristiani di loro, o non appartenes-
sero affatto alla Chiesa. Insomma, perché sono così
liberi il tuo corpo, la tua vita, i tuoi bene ed il tuo
onore, ed i miei no? Eppure siamo egualmente cri-
stiani ed abbiamo in comune il battesimo, la fede, lo
Spirito e tutte le altre cose. Quando un prete viene
ammazzato un paese intero viene colpito dall’inter-
detto: perché non succede altrettanto quando viene
accoppato un contadino? Donde proviene una tale
enorme differenza tra cristiani uguali? Solo da leggi
ed invenzioni umane.
E non deve aver la coscienza tranquilla chi ha in-
ventato tali eccezioni ed ha reso libera ed impunita la
colpa; infatti noi dobbiamo opporci allo spirito ma-
ligno, alla sua parola e alle sue opere, e scacciarlo col
potere che abbiamo, secondo il comando di Cristo e
dei suoi apostoli, e come può essere che dovremmo
arrestarci e tacere allorché il papa od i suoi compiono
opere o tengono discorsi diabolici? Dovremmo, per
compiacere agli uomini calpestare i comandamenti
di Dio e la verità che nel battesimo abbiamo giurato
di sostenere con la nostra vita? Saremo colpevoli di
tutte le anime che verrebbero così traviate e sedotte,
perciò dev’essere stato il capo dei demoni in perso-
na a stabilire quanto sta scritto nel diritto canonico;
cioè che se anche il papa fosse così svergognatamen-

135
te malvagio da condurre anime in gran quantità al
demonio, tuttavia non sarebbe lecito deporlo.
Su queste maledette e diaboliche basi costruisco-
no quelli di Roma, e pensano che è preferibile lascia-
re che il mondo se ne vada tutto al diavolo, piuttosto
che opposi alle loro ribalderie. Se bastasse il fatto
che uno è superiore agli altri perché non possa più
essere punito, nessun cristiano potrebbe castigarne
un altro. Cristo, infatti, impone ad ognuno di sentirsi
il più umile e sottomesso di tutti.
Dove v’è colpa, non è più difesa alcuna contro
il castigo, come scrive anche S. Gregorio, che cioè
siamo tutti uguali, ma la colpa rende l’uno inferio-
re all’altro. Ora vediamo come essi si comportano
verso la Cristianità, le tolgono la libertà senza alcuna
giustificazione nella S. Scrittura, ma con un vero sa-
crilegio, mentre Dio e gli apostoli l’hanno sottoposta
all’autorità temporale, tanto che si deve temere che
ciò sia un tranello dell’Anticristo od un suo prossi-
mo annunzio.
La seconda muraglia è ancor più malvagia ed as-
surda, perché essi soli vogliono esser maestri della S.
Scrittura, sebbene in tutta la loro vita non ne impa-
rino nulla e pretendono d’aver essi soli l’autorità, e
con parole sfrontate affermano buffonescamente di-
nanzi a noi che il papa non può sbagliare in questioni
di fede, sia esso pio o malvagio, mentre non possono
invocare a favore di ciò neppure una sillaba. Ne vie-

136
ne che tante norme eretiche, non cristiane e inna-
turali siano nel diritto canonico, delle quali ora non
è necessario discorrere. Costoro, credendo che lo
Spirito Santo non li abbandoni mai, siano pur igno-
ranti e malvagi quanto possono, si fanno temerari e
aggiungono ciò che essi solo vogliono. Ma se così
fosse, in che senso la Scrittura sarebbe necessaria o
utile? Possiamo bruciarla e accontentarci di quegli
ignoranti signori di Roma, che sono posseduti dallo
Spirito Santo; in verità solo un cuore pio possiede lo
Spirito dentro di sé. Se non l’avessi letto io stesso,
non avrei potuto credere che il diavolo potesse usare
di raggiri tanto stolti con Roma, e trovarvi seguaci.
Per non combatterli solo a parole, sentiamo la
Scrittura. S. Paolo (1 Cor 14, 30) dice: «Se qualcuno
ha una rivelazione migliore, anche se prima sedeva
ed ascoltava da altri la parola di Dio, taccia il pri-
mo che parlava e gli ceda il posto». Cosa servirebbe
questo comandamento se si dovesse credere solo
a quello che sta in cattedra e parla? Anche Cristo
dice (Giov 6, 45), che tutti i cristiani debbono essere
ammaestrati da Dio; così può ben accadere che il
papa ed i suoi siano malvagi e cattivi cristiani, e non
essendo ammaestrati da Dio, non abbiano un retto
giudizio. D’altra parte se un uomo inferiore ha un
retto sentire, perché non ascoltare lui? Il papa non
ha sbagliato in moltissimi casi? Chi vorrà aiutare la
Cristianità quando il papa fosse in errore, se non si

137
può credere ad un altro che abbia dalla sua la Scrittu-
ra, anteponendolo allo stesso papa?
Perciò si tratta di una favola sacrilega e fantastica,
né possono addurre neppure una sillaba per dimo-
strare che il papa deve essere il solo a spiegare la
Scrittura o a confermarne l’interpretazione; tale po-
tere se lo sono preso da sé. E se danno a intendere
che la potestà venne data a S. Pietro quando gli fu-
rono affidate le chiavi, è sufficientemente chiaro che
le chiavi non furono consegnate al solo S. Pietro, ma
invece all’intera comunità. E inoltre le chiavi furono
date solo per legare o rimettere i peccati e non per
esercitare autorità sopra la dottrina o il governo, ed
è pura invenzione tutto ciò che essi attribuiscono al
papa insieme alla potestà delle chiavi. Ciò che Cristo
dice a Pietro: «Io ho pregato per te, affinché la tua
fede non venga meno», non può in nessun modo es-
sere estesa al papa, perché la maggior parte dei papi
fu senza fede, come essi stessi devono riconoscere;
né Cristo ha pregato solo per Pietro, ma anche per
tutti gli apostoli e i cristiani, come dice Giovanni (17,
9 e 20): «Padre, io ti prego per questi che mi hai dato,
e non per questi soli, sibbene per tutti quelli che at-
traverso la loro parola crederanno in me». Ciò non è
forse abbastanza chiaro?
Rifletti dunque da te: essi devono riconoscere che
ci sono tra di noi dei pii cristiani, i quali possiedo-
no la retta fede, lo spirito, l’intelletto, la parola e il

138
pensiero di Cristo, e allora perché si deve respingere
la parola ed il giudizio di costoro e seguire il papa,
che non ha né fede né lo spirito? Ciò sarebbe come
rinnegare l’intera fede e la Chiesa cristiana. Ugual-
mente non deve aver ragione solo il papa, se è giusto
l’articolo: «Io credo la Santa Chiesa Cristiana». Altri-
menti dovremmo pregare così: «Io credo nel papa di
Roma», comprimendo così tutta la Chiesa cristiana
entro un solo uomo, il che non sarebbe altro che un
errore diabolico ed infernale.
Inoltre, poiché tutti siamo sacerdoti – come ho
detto più sopra – e tutti possediamo un Vangelo, una
fede e gli stessi sacramenti, come non saremmo an-
che in grado di sentire e giudicare quello ch’è giusto
o ingiusto nella fede? Dove va a finire altrimenti la
parola di Paolo (1 Cor 2, 15): «Un uomo spirituale
giudica tutte le cose e non è giudicato da nessuno»,
e (2 Cor 4, 13): «Non abbiamo tutti lo stesso spirito
di fede»? E perché non potremmo sentire altrettanto
bene quanto un papa miscredente, ciò che conviene
o no alla fede? In base a queste e a molte altre scrit-
ture dobbiamo diventare arditi e liberi e non per-
mettere che le false parole del papa mortifichino lo
spirito di libertà (come lo chiama S. Paolo) ma anzi
dobbiamo risolutamente giudicare tutto ciò che essi
fanno o omettono, secondo la retta comprensione
della scrittura che la nostra fede ci detta, e costrin-
gerli a seguire l’interpretazione migliore e non la loro.

139
A suo tempo Abramo dovette bene ascoltare Sara,
la quale gli era tuttavia più profondamente soggetta
di quel che noi non siamo ad alcuno sulla terra; ed
anche l’asina di Balaam fu più assennata del profeta
stesso. Allora Dio per mezzo di un’asina parlò con-
tro un profeta, perché ora non potrebbe parlare per
mezzo di un uomo pio, contro il papa? Ugualmente
S. Paolo riprende S. Pietro di errore (Gal 2, 11 ss.);
onde spetta a ciascun cristiano, che tenga alla fede,
di stare in guardia e combattere e condannare tutti
gli errori.
La terza muraglia crolla da sé quando crollano
queste due prime; infatti, se il papa si comporta in
modo contrastante con la Scrittura, noi dobbiamo
difenderla e punirlo e costringerlo secondo la parola
di Cristo (Matt 18, 15): «Se tuo fratello pecca contro
di te, va a parlargli da solo a solo, e se egli non ti
ascolta prendi con te ancora uno o due altri, e se an-
cora non ti ascolta dillo alla comunità, e se egli non
ascolta neppure la comunità, allora trattalo come un
pagano». Qui ne discende l’obbligo per ciascuno di
preoccuparsi per l’altro; quanto più dobbiamo preoc-
cuparci quando il membro che governa la comunità
agisce male ed è di danno e di scandalo grande agli
altri con le sue azioni. Ma se debbo accusarlo davanti
alla comunità, è necessario che la raduni tutta.
Non trova alcun fondamento nella Scrittura nep-
pure la tesi che solo al papa spetti indire o conferma-

140
re un Concilio, ciò esiste unicamente nelle loro leggi,
le quali hanno valore solo fino a che non siano dan-
nose alla Cristianità ed alle leggi divine. Ma quando
il papa è colpevole, quelle leggi cadono sull’istante,
perché sarebbe dannoso alla Cristianità non punirlo
per mezzo di un Concilio.
Leggiamo pertanto negli Atti degli Apostoli (15,
6) che non fu S. Pietro a convocare il Concilio de-
gli apostoli, ma bensì tutti gli apostoli e gli anziani;
qualora la convocazione fosse spettata solo a Pietro,
quello non sarebbe stato un concilio cristiano, bensì
un conciliabolo eretico. Anche il famosissimo Con-
cilio Niceno non fu convocato né confermato dal
vescovo di Roma, ma dall’imperatore Costantino, e
dopo di lui molti altri imperatori hanno fatto lo stes-
so; eppure furono i più cristiani di tutti i Concili. Ma
se solo il papa avesse tale potestà, quei Concili do-
vrebbero essere stati tutti eretici. Anche se io guardo
ai Concili tenuti dal papa, non trovo che si sia fatto
in essi nulla di speciale.
Pertanto, ove necessità lo richieda ed il papa sia
di scandalo alla Cristianità, il primo che lo può, come
membro fedele del corpo intero, deve promuovere
un Concilio libero e giusto, ma ciò nessuno può far-
lo bene quanto il potere temporale. Specialmente
perché esso è pure parte della Cristianità, parteci-
pa al sacerdozio, appartiene al ceto spirituale, con
uguale potestà in tutte le questioni, e il suo ufficio

141
e l’opera sua, che esso ha da Dio sopra a chiunque,
devono procedere liberi là dove sia utile e necessario
intervenire. Non sarebbe un atteggiamento strano
ed innaturale se, mentre si alza il fuoco in una città,
ogni cittadino stesse fermo lasciando bruciare via via
tutto ciò che può ardere unicamente perché non ha
l’autorità del borgomastro, o forse perché il fuoco
cominciò dalla casa del borgomastro? Ogni cittadino
non è invece tenuto a far muovere e a chiamare gli
altri? Quanto più ciò deve accadere nella città spi-
rituale di Cristo, quando si leva il fuoco dello scan-
dalo, sia nel governo del papa che in qualsiasi altro
posto. Le stesse identiche cose avvengono anche
quando i nemici assalgono una città, e riceve onore e
gratitudine chi chiama per primo gli altri. Perché mai
non dovrebbe meritare onore chi denuncia il nemico
diabolico e desta e chiama a raccolta i cristiani?
Non è affatto fondata la pretesa che essi non
abbiano il potere di muovere guerra. Nessuno nel-
la Cristianità può arrecare danno o proibire che si
combatta il peccato. La Chiesa non ha altro potere
che quello di emendare. Dunque, se il papa vuole
usare del suo potere per impedire che si tenga un
libero Concilio, con ciò egli ostacola la riforma della
Chiesa, perciò non dobbiamo più aver riguardo per
lui né per la sua potenza e, se egli tuona e scomunica,
disprezzare tutto ciò come l’agire di un pazzo e, con-
fidando in Dio, a nostra volta scomunicare e bandire

142
lui, come ne abbiamo il potere. Infatti questo suo
vantato potere non è nulla, anzi non lo possiede, e
può essere battuto da un passo della Scrittura dove
Paolo dice ai Corinti: «Dio ci ha dato potestà non per
danneggiare, ma per riformare la Cristianità». Ora,
chi vorrà passar sopra a queste parole? È la potestà
del demonio e dell’Anticristo che combatte quanto
serve per il miglioramento della Cristianità, perciò
non la si deve seguire, bensì opporvisi con il corpo, i
beni e tutto quanto altro abbiamo.
E quand’anche avvenisse un miracolo a favore
del papa contro l’autorità temporale, oppure qualcu-
no venisse colpito da una piaga, come essi pretendo-
no che sia avvenuto svariate volte, anche questo non
dovrebbe essere considerato che opera del diavolo
per spezzare la nostra fede in Dio, come lo stesso
Cristo ha annunziato (Matt 24, 24): «Verranno fal-
si Cristi e falsi profeti in mio nome, e compiranno
miracoli e prodigi, capaci di sedurre anche gli eletti»;
e S. Paolo dice ai tessalonicesi che l’Anticristo per
opera di Satana sarà potente nei suo falsi miracoli.
Perciò teniamo per sicuro che la potenza cristia-
na non può essere contro Cristo, come dice S. Pao-
lo: «Noi non possiamo far niente contro Cristo, ma
bensì a favore di Cristo». Che se invece essa compie
qualcosa contro Cristo, essa è potenza dell’Anticristo
e del diavolo, anche se sapesse far piovere miracoli
o cadere piaghe in gran copia. Miracoli e piaghe non

143
provano nulla, in questi ultimi tempi tanto avversi, i
cui falsi miracoli sono preannunziati in tutta la Scrit-
tura. Perciò dobbiamo attenerci con ferma fede alla
parola di Dio, così che il diavolo cesserà certo con i
suoi miracoli.
Con ciò spero che il terrore falso e menzogne-
ro con il quale i romani ci hanno reso vili e miseri
per tanto tempo, sia stato distrutto; e che essi sa-
ranno ugualmente assoggettati, insieme a tutti noi,
alla spada né avranno più la forza di interpretare la
S. Scrittura fidando solo sul loro prepotere e senza
alcun studio. Né avranno più potestà di impedire un
Concilio o di gravare sul suo libero volere, di coar-
tarlo e togliergli la sua libertà e, qualora lo faccia-
no, siano riconosciuti come una comunità diabolica
dell’Anticristo, e non di Cristo del quale hanno preso
il nome.
Vediamo ora i problemi che si dovrebbero trat-
tare in Concilio e di cui papi, vescovi e tutti gli altri
dotti dovrebbero occuparsi giorno e notte, se amas-
sero Cristo e la sua Chiesa. Ma se costoro non lo fan-
no, agisca allora la gente e la spada temporale, senza
guardare alle loro scomuniche e maledizioni, perché
una scomunica ingiusta è meglio di dieci giuste as-
soluzioni, mentre una assoluzione ingiusta è peggio
di dieci giuste scomuniche. Perciò svegliamoci, miei
cari tedeschi, e temiamo Dio più che gli uomini, af-
finché non finiamo come tutte quelle povere anime

144
che così miseramente vennero perdute a causa del
peccaminoso e diabolico governo romano; e ogni
giorno il diavolo ne prende sempre più così che sarà
forse possibile che tale diabolico governo diventi an-
cora peggiore, ciò che io non posso né concepire né
credere.
In primo luogo è orribile e spaventoso vedere che
il capo della Cristianità, che si proclama vicario di
Cristo e successore di S. Pietro, viva tanto lussuosa-
mente e mondanamente che nessun re o imperato-
re può pretendere né ottenere l’uguale, e mentre si
fa chiamare «santissimo» e «spirituale» è più terreno
di quel che non sia la stessa terra. Porta la triplice
corona, mentre i re più grandi ne portano una sola,
si paragona alla povertà di Cristo e di S. Pietro, e
questo è davvero un paragone unico e singolare. Si
grida all’eresia se si parla contro di lui, ma non si
vuole comprendere quanto sia anticristiana e anti-
divina una simile costumanza. Io ritengo che se egli
volesse pregare e piangere davanti a Dio dovrebbe
deporre una simile corona, perché il nostro Dio non
può tollerare la superbia. Ora il suo ufficio non do-
vrebbe consistere in altro che piangere e pregare tut-
to il giorno per la Cristianità, e dare esempio di ogni
mortificazione.
Sia come egli vuole, ma una simile pompa scan-
dalizza, e per la beatitudine dell’anima sua il papa è
tenuto a tralasciarla, perché S. Paolo dice: «Astene-

145
tevi da tutte le pompe, le quali sono scandalose», e
ancora (Rom 12, 17) che noi dobbiamo praticare il
bene non solo agli occhi di Dio, ma davanti a tutti
gli uomini. Al papa dovrebbe bastare una comune
mitra da vescovo, e dovrebbe essere maggiore agli
altri solo per saggezza e santità e lasciare all’Anti-
cristo la corona della superbia, come fecero i suoi
predecessori, molte centinaia di anni fa. Essi dicono:
è un signore del mondo, ma mentono, perché Cristo,
del quale il papa si vanta di essere ministro e vicario,
disse a Pilato: «Il mio regno non è di questo mondo»,
e nessun vicario può regnare oltre quanto fa il suo
signore. Ancora egli non è vicario del Cristo erede,
ma del Cristo Crocifisso, come dice S. Paolo: «Io
non ho voluto conoscere presso di voi che Cristo, e
Cristo Crocifisso», e (Fil 2, 5 ss.): «Dunque abbiate
in voi i medesimi sentimenti che vedete in Cristo,
il quale si spogliò ed assunse condizioni di servo»,
e ancora (1 Cor 1, 23): «Noi predichiamo un Cristo
Crocifisso». Essi invece fanno del papa un vicario
del Cristo salito in cielo, e hanno talmente lasciato
che il demonio dominasse in loro, da ritenere che il
papa sia superiore agli angeli del Cielo e abbia potere
su di loro; le quali sono propriamente tutte le opere
del vero Anticristo.
In secondo luogo: qual vantaggio viene alla Cri-
stianità da coloro che sono chiamati cardinali? Ve lo
dirò io. Le terre tedesche e latine hanno molti ricchi

146
monasteri, conventi, feudi e parrocchie; ora non si è
trovato di meglio per darli in mano a Roma, se non
inventando dei cardinali e dando loro vescovadi,
conventi e prelature, col risultato che il servizio di-
vino fu trascurato. Per questo ora si vedono le terre
latine ridotte a deserto, i conventi cadenti, i vescova-
di sperperati, i redditi delle prelature e di tutte le altre
chiese andare a Roma, le città crollano, terre e genti
vanno in rovina, perché non si hanno più né servi-
zio divino né prediche. E perché? Perché i cardinali
devono possederne i beni; neanche il Turco avrebbe
potuto distruggere così le terre romane e calpestare
il servizio divino.
Ora che quelle terre sono state spremute a fondo
se ne vengono nelle terre tedesche; incominciano as-
sai pulitamente, ma vedrai che, ben presto le ragioni
tedesche saranno ridotte uguali a quelle latine. Già
abbiamo parecchi cardinali; dove i romani non vo-
gliono arrivare per tale via questi sciocchi tedeschi
non debbono capirlo, finché non avranno più alcun
vescovado, convento, parrocchia, beneficio, soldo né
centesimo. L’Anticristo deve avere i beni della terra,
come è stato preannunziato. Perciò quelli là hanno
l’acquolina in bocca per vescovadi, monasteri e bene-
fici; e poiché non osano ancora prendere tutto, come
hanno fatto con i latini, usano appunto di quella loro
sacra scaltrezza: cioè uniscono dieci o venti prelature
e da ognuna estorcono ogni anno qualcosa, così che

147
ne esce una bella somma. La prelatura di Würzburg
dà mille fiorini, quella di Bamberga circa altrettanto,
Metz e Treviri anche di più; così si mettono insieme
migliaia di fiorini e anche decine di migliaia, con cui
un cardinale può tenere poi a Roma un tenore di vita
uguale a quello di un ricco sovrano.
Se ora noi facessimo lo stesso, creeremmo in un
sol giorno trenta o quaranta cardinali e a uno daremo
il Munchberg presso Bamberga e ancora il vesco-
vado di Würzburg, al quale fossero aggiunte molte
ricche parrocchie, sino a che chiesa e città fossero
ridotte quasi ad un deserto, per poi affermare che
siamo vicari di Cristo e pastori del gregge di Cristo. I
tedeschi sciocchi e bonaccioni debbono sopportare
tutto volentieri.
Ma io consiglio che si facciano meno cardinali,
oppure che si lasci che li mantenga il papa con i suoi
beni. Dodici sarebbero certo sufficienti; e ciascuno
dovrebbe ottenere mille fiorini all’anno. Perché mai
noi tedeschi dobbiamo tollerare una tale ladroneria
e un tale sperpero dei nostri soldi da parte del papa?
E se il regno di Francia è stato capace di difendersi,
perché noi tedeschi dobbiamo lasciarci dileggiare e
divorare? Sarebbe tutto più sopportabile se essi ci
prendessero soltanto i beni: ma in questo modo de-
vastano le Chiese, e derubano il gregge di Cristo dei
suoi pii pastori, e riducono a nulla il servizio e la
parola di Dio, mentre, anche se non ci fosse neppure

148
un cardinale, la Chiesa non andrebbe certo in rovina.
Così invece non fanno nulla che serve alla Cristianità
e solo si agitano per il danaro e per contese a propo-
sito di vescovadi e prelature; ciò che oggi può fare
benissimo anche un qualunque ladrone.
In terzo luogo: se rimanesse solo la centesima
parte della corte papale, togliendone novantanove,
sarebbe sempre più che sufficiente per sbrigare le
questioni relative alla fede. Ora invece è un tal ver-
minaio e cancro in quella Roma, e tutto ciò si vanta
di essere papale, mentre un tale stato non si raggiun-
se neppure in Babilonia. Solo di scrittori del papa ve
ne sono più di tremila, e chi vorrà contare la gente
degli altri uffici, quando i soli uffici sono tanti che a
malapena si possono contare! Tutti costoro si aspet-
tano vantaggi dai conventi e dai benefici delle terre
tedesche come il lupo dalle pecore. Io credo che la
Germania paghi al papa oggi assai più che nei tem-
pi passati agli imperatori. Anzi molti ritengono che
ogni anno più di trecentomila fiorini vadano dalla
Germania a Roma, e proprio invano, perché non ne
riceviamo se non dileggio e beffe; eppure ancora ci
meravigliamo che principi, nobiltà, città, conventi,
campagne e genti diventano poveri; dovremmo me-
ravigliarci di aver ancora da mangiare […].

149
I dodici articoli dei contadini

I. Le nostre Comunità avranno diritto di eleggersi


i loro Parroci, e questi dovranno predicare la parola
di Dio unicamente secondo il Vangelo.
II. Non pagheranno se non le decime in grano da
servire al sostentamento dei parroci; l’avanzo andrà
a beneficio dei poveri.
III. Sarà soppressa la schiavitù, perché Cristo
col prezioso suo sangue ci ha tutti redento senza
distinzione.
IV e V. Saranno libere per il contadino l’uccella-
zione e la pesca, e così pure la caccia, perché la sel-
vaggina dei signori non danneggi e non consumi di
più il nostro, il che finora sopportammo in silenzio. I
boschi ritorneranno in possesso della Comunità.
VI e VII. Non saremo tenuti a dare maggiori
prestazioni personali che i nostri maggiori: tali pre-
stazioni saranno fissate con preciso contratto fra il
Signore e i soggetti, e non avrà più luogo l’ingiusto
arbitrio.
VIII. Il tributo dei beni feudali sarà stabilito su
basi più eque, acciocché non avvenga che noi lavo-
riamo le terre senza alcun vantaggio.

150
IX. Si osserveranno le buone leggi antiche e non
se ne faranno delle nuove arbitrariamente.
X. Chiunque si sarà ingiustamente appropriato
terreni appartenenti alle Comunità sarà tenuto a far-
ne restituzione.
XI. Cesserà la consuetudine chiamata «caso di
morte», per cui gli eredi debbano redimere la loro
eredità dalla signoria mediante una parte di quella
(per es., consegnando il miglior capo di bestiame:
Besthaupt), onde le vedove e gli orfani vengano cer-
tamente derubati. E finalmente:
XII. Noi vogliamo, quando uno di questi articoli
sia contrario alla parola di Dio e sopra tal fondamen-
to sia oppugnato, che s’intenda abrogato.

151
Contro le bande brigantesche e assassine dei contadini

Nel precedente libretto non ardivo giudicare i con-


tadini, perché avanzavano richieste giuste e chiedeva-
no ammaestramenti migliori, d’altronde anche Cristo
impone di non giudicare (Matt 7, 1). Ma in un batter
d’occhio essi hanno passato la misura e si scagliano
col pugno chiuso, dimenticando le loro richieste, e
predano e infuriano e fanno come i cani furiosi. Da
ciò si vede ora chiaramente che cosa avevano nelle
loro menti false, e come fosse solo menzogna e fal-
sità quello che avevano proclamato nei dodici articoli
sotto il nome del Vangelo. In breve, esercitano solo
opere infernali e in particolare è l’arcidiavolo [Tom-
maso Münzer] che li governa da Muhlhausen e non
va preparando che rapine, assassini e spargimento di
sangue, come dice di lui Cristo (Giov 8, 44), che sin
dall’origine egli fu omicida. E ora che questi conta-
dini e questa gente miserabile si lascia sedurre, e fa
altrimenti da come prima aveva detto, anch’io devo
scrivere diversamente di loro, e in primo luogo porre
loro davanti agli occhi le loro colpe, come Dio ordinò
a Isaia ed Ezechiele, se qualcuno volesse riconoscerle;
quindi dovrò indicare alla coscienza dell’autorità tem-
porale, come debba comportarsi in questa occasione.

152
Di tre orrendi peccati contro Dio e contro gli uomi-
ni si sono macchiati questi contadini, e per essi hanno
meritato più e più volte la morte del corpo e dell’anima.
Primo: avevano giurato fedeltà ed obbedienza alle loro
autorità e promesso d’essere obbedienti e sottomessi,
come comanda Dio quando dice (Luca 20, 25): «Date
a Cesare quel che è di Cesare» e (Rom 13, 1): «Ciascuno
sia soggetto all’autorità, ecc.». Perché volontariamente
e con empietà hanno spezzato quell’obbedienza, po-
nendosi inoltre contro i loro signori, con ciò hanno
confuso anima e corpo come fanno i perfidi, traditori,
infidi, spergiuri, mentitori e ribelli. Per questo anche
S. Paolo dà di loro questo giudizio (Rom 13, 2): «Chi
resiste alla potestà ne riceverà giudizio sopra di sé».
Questo versetto colpirà finalmente anche i contadini
a breve o lunga scadenza, perché Dio vuole che siano
mantenuti fedeltà e doveri.
Secondo: prepararono la rivolta, rapinarono e
saccheggiarono con empietà conventi e castelli che
non erano loro, perciò meritarono doppiamente la
morte del corpo e dell’anima come pubblici brigan-
ti e assassini da strada. Qualunque uomo che possa
essere accusato di sedizione è già al bando di Dio e
degli uomini, così che chi per primo voglia e possa
ucciderlo agisce chiaramente in modo giusto. Con-
tro chiunque sia manifestamente sedizioso qualun-
que uomo è insieme giudice e carnefice, così come,
quando divampa un incendio, migliore è colui che

153
riesce a spegnerlo. La sedizione infatti non è solo un
orrendo delitto, ma come un gran fuoco incendia e
devasta un paese; essa porta pertanto con sé in un
paese strage e spargimento di sangue, rende molti
vedove e orfani, distrugge tutto come la più tremen-
da delle disgrazie. Per la qual cosa chiunque lo possa
deve colpire, strozzare, accoppare in pubblico o in
segreto, convinto che non esiste nulla di più vele-
noso, nocivo e diabolico di un sedizioso, appunto
come si deve accoppare un cane arrabbiato, perché,
se non lo ammazzi tu, esso ammazzerà te e tutta la
contrada con te.
Terzo: essi coprono con il Vangelo questi loro
delitti spaventosi ed orribili, chiamandosi Fratel-
li Cristiani, pretendono giuramenti ed obbedienza
e costringono la gente a partecipare con loro a tali
empietà: perciò sono diventati i maggiori bestem-
miatori di Dio ed offensori del suo santo nome, e
così onorano e servono il demonio sotto la maschera
del Vangelo. Già per questo meritano dieci volte la
morte del corpo e dell’anima, perché non udii giam-
mai peccato più orrendo. Ritengo anche che il dia-
volo senta prossimo il giorno del Giudizio, poiché
ha messo fuori delitti così inauditi, come se dicesse:
siamo alla fine, deve dunque venire il peggio. E vuo-
le toccare il fondo e addirittura sfondare la terra: che
Dio voglia impedirglielo! Vedi dunque qual potente
principe è il demonio, come ha in mano il mondo, e

154
come può confonderlo a suo piacere. Egli può im-
provvisamente acchiappare, accecare, sedurre, indu-
rire e sollevare tante migliaia di contadini e compiere
per mezzo loro ciò che la sua rabbia feroce e maligna
si prefigge.
Neppure è utile ai contadini protestare (Gen 1 e
2), che tutte le cose sono state create libere e comuni
e che tutti siamo stati battezzati allo stesso modo;
Mosè non vale più né il Nuovo Testamento lo con-
serva; v’è solo il nostro maestro Cristo, che ci pone
corpo e beni sotto l’imperatore e il diritto secolare,
quando dice: «Date a Cesare quel che è di Cesare».
Analogamente anche Paolo (Rom 13, 1) dice a tutti
i cristiani battezzati: «Ciascuno sia soggetto all’auto-
rità», e Pietro: «Siate soggetti ad ogni potestà degli
uomini». Noi siamo tenuti a seguire questo insegna-
mento di Cristo, come il Padre celeste ordina e dice:
«Questi è il mio diletto Figliolo, ascoltatelo». Infatti
il battesimo non rende liberi corpo e beni, ma solo
l’anima; né il Vangelo rende comuni i beni, salvo
quelli che alcuno di sua volontà voglia rendere tali,
come fecero gli apostoli e i discepoli (Atti 4, 33 ss),
i quali non pretendevano che fossero comuni i beni
di Pilato e di Erode, come stoltamente vanno bla-
terando i nostri insensati contadini, ma solo i loro
propri. I nostri contadini invece vogliono che diven-
gano comuni i beni altrui, pur continuando a tener
per sé i propri: mi sembra che siano dei bei cristiani

155
davvero. Io credo che non vi sia più alcun demonio
nell’Inferno, ma che tutti siano andati nei contadini.
Il loro delirio è veramente al di là e al di sopra di ogni
misura.
Poiché ora i contadini eccitano contro di sé en-
trambi: Dio e gli uomini, e poiché per tante ragioni
sono già passibili della morte del corpo e dell’anima
né ammettono né rispettano alcun diritto, ma in-
furiano sempre più bestialmente, devo a mia volta
indicare all’autorità civile come deve comportarsi in
buona coscienza in questa situazione. In primo luo-
go non posso né voglio impedire a quest’autorità di
punire e colpire questi contadini, senza provvedere
contro di loro secondo giustizia ed equità, se pure
essa non osservasse il Vangelo. Essa ha comunque
dalla sua il buon diritto, dal momento che i contadi-
ni non combattono più per il Vangelo, ma sono di-
ventati chiaramente malfidi, spergiuri, ribelli, disub-
bidienti, assassini, predoni e bestemmiatori e quindi
anche una autorità pagana ha il diritto e il potere di
punirli, anzi vi è tenuta. Proprio per questo infatti,
essa porta la spada ed è ministra di Dio sopra coloro
che commettono il male (Rom. 13, 4).
Ma un’autorità che sia cristiana e soggetta al Van-
gelo, contro la quale dunque i contadini non pos-
sono avere alcunché, deve procedere con prudenza.
Innanzitutto rimetta la cosa a Dio, e riconosca che
certamente abbiamo meritato tutto ciò; e pensi che

156
forse Dio eccitò il demonio per punire tutta la nazio-
ne tedesca. Perciò supplichi umilmente aiuto contro
il demonio, perché in questa vicenda non combattia-
mo solo contro carne e sangue, ma contro gli spiriti
del male che sono nell’aria, che devono essere com-
battuti con la preghiera. Infine, dopo aver rivolto
così verso Dio il nostro cuore, lasciando che compia
la Sua divina volontà, sia che voglia o no conservarci
principi e signori, si devono per soprappiù offrire
ai folli contadini, benché non lo meritino, proposte
giuste e ragionevoli. Da ultimo, qualora tutto ciò non
giovi, bisogna mettere mano senz’altro alla spada.
Allora un principe e signore deve pensare d’esse-
re servo e ministro di Dio e del Suo sdegno (Rom. 13,
4), e che appunto contro tali mascalzoni gli è affidata
la spada. E qualora essa non punisca e non ponga
rimedio, non adempiendo così al suo ufficio, pecca
altrettanto gravemente davanti a Dio di chi uccide
senza che gli sia stato comandato. Là dove potreb-
be e non punisce, sia per assassinio che per spargi-
mento di sangue, è colpevole di tutte le uccisioni e
i mali perpetrati da quei ribaldi, perché, trascuran-
do volontariamente l’ordine del suo Dio, lascia che
quei mascalzoni compiano le loro malvagità, mentre
potrebbe e dovrebbe impedirle. Perciò non è ora il
tempo di dormire né di usare pazienza o misericor-
dia: questo è il tempo dell’ira e della spada, non quel-
lo della grazia.

157
Dunque ora l’autorità proceda fiduciosamente e
colpisca con buona coscienza finché può muovere
un muscolo; essa ha il vantaggio che i contadini sono
in cattiva coscienza e perseguono una causa ingiusta,
e qualunque d’essi venga per ciò ucciso, è perduto
anima e corpo ed è in eterno del diavolo. Ma l’autori-
tà ha una buona coscienza e un buon diritto dalla sua
e con tutta tranquillità di cuore può dire a Dio: «Vedi,
mio Dio, Tu mi hai posto come principe o signore,
di ciò non posso dubitare; Tu mi hai affidato la spada
contro i malfattori (Rom. 13, 4). Tale è la Tua parola e
non può essere tralasciata; per questo devo esercitare
tale ufficio, pena la perdita della Tua grazia. Inoltre è
chiaro che questi contadini hanno meritato più volte
davanti a Te e al mondo la morte, e che a me tocca
punirli. Ora, se Tu vuoi lasciare che essi mi uccidano
e che mi sia tolta l’autorità e lasciato perire, sia fatta
la Tua volontà e parola, così io morrò secondo la Tua
divina volontà e parola, e sarò stimato obbediente al
Tuo ordine e al mio ministero. Perciò voglio punire e
colpire finché avrò un filo di vita».
Ecco che così giudichi e agisci rettamente.
Dunque può accadere che chiunque dalla parte
dell’autorità sia ucciso divenga un vero martire per
Dio, avendo combattuto con la coscienza che abbia-
mo detto; egli, infatti, procede secondo la parola e
l’obbedienza di Dio. Al contrario quanti soccombe-
ranno tra i contadini, saranno destinati al fuoco eter-

158
no: infatti impugnarono la spada contro la parola e i
comandamenti di Dio e sono creature del demonio.
E se accadesse che i contadini avessero a prevalere
(ce ne guardi Iddio), perché a Dio tutto è possibile né
sappiamo se forse prima dell’ultimo giorno, che non
dev’essere lontano, Egli non voglia distruggere per
mezzo del diavolo ogni ordine e ogni autorità e ridurre
il mondo ad un cumulo di rovine; tuttavia morrebbero
sicuri e se ne andrebbero con buona coscienza coloro
che fossero colpiti nell’esercizio del loro ufficio della
spada, e lascerebbero il regno terreno al demonio, per
ricevere in cambio il regno dei Cieli. I tempi sono così
straordinari, che un principe spargendo sangue può
guadagnare il Cielo meglio che altri pregando.
Infine v’è ancora una cosa che deve giustamente
muovere l’autorità; i contadini non si contentano di
appartenere essi al demonio, ma spingono e costrin-
gono molta gente pia, che lo fa malvolentieri, a en-
trare nelle loro diaboliche bande, associandoli così a
tutta la loro iniquità e dannazione. Infatti chi si ac-
corda con loro va al diavolo, ed è colpevole di tutti i
misfatti che essi consumano, e tuttavia sono costretti
a far così per la debolezza della loro fede, che non dà
loro la forza di opporsi. Invece un pio cristiano do-
vrebbe soffrire cento morti anziché approvare anche
minimamente la causa dei contadini. Oh, quanti mar-
tiri potrebbero esserci oggi per mano dei sanguinari
contadini e dei profeti di morte. Ora l’autorità do-

159
vrebbe risparmiarli questi prigionieri dei contadini;
e se non avesse nessuna altra ragione per impugnare
di buon animo la spada contro i contadini, gettando
in tale impresa e vita e beni, questa sarebbe una ra-
gione ben sufficiente, vale a dire di salvare e aiutare
le anime tenute prigioniere dai contadini nelle loro
diaboliche bande e indotte, contro la loro volontà, a
peccare tanto gravemente insieme a loro e ad essere
dannate: tali anime infatti sono ormai nel purgatorio,
anzi nell’inferno e legate al demonio.
Perciò cari signori, liberate, salvate, aiutate e ab-
biate misericordia della povera gente; ma ammazzate,
scannate, strangolate quando potete; e se ciò facendo
sopraggiungerà la morte, buon per voi, non potreste
incontrare mai morte più beata, perché morite in ob-
bedienza alla parola ed al comando di Dio (Rom. 13,
5 ss.) ed in servizio della carità, per salvare il vostro
prossimo dall’inferno e dai lacci del demonio.
Vi prego, chi lo può fugga dai contadini come
dal demonio in persona. Io prego che Dio voglia il-
luminare e convertire quanti non fuggono. Coloro,
invece, che non sono da convertire, supplico Iddio
che non possano avere né felicità né fortune. Qui
ogni pio cristiano dica: Amen, perché la preghiera è
buona e giusta e gradita a Dio, questo ben so. E se
alcuno giudicherà tutto ciò troppo duro, pensi che
la sedizione è cosa insopportabile e che in ogni mo-
mento c’è da attendere la catastrofe del mondo.

160
Appendice 2*

Le immagini riprodotte sono tratte dal testo di Hartmann Grisar


S.J. e Franz Heege S.J., Luthers Kampfbilder, 4 voll., Freiburg im Breis-
gau 1921-1923.
I

163
II

164
III

165
IV

166
V

167
VI

168
VII

169
Note alle immagini

I
Da Antitesi illustrata (1521)
Anticristo
«E la bestia fu catturata e con essa il falso profeta che alla sua
presenza aveva operato quei portenti con i quali aveva sedotto
quanti avevano ricevuto il marchio della bestia e ne avevano ado-
rato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco,
ardente di zolfo. Tutti gli altri furono uccisi dalla spada che usci-
va di bocca al Cavaliere» Ap 19. «Solo allora sarà rivelato l’empio
e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo
annienterà all’apparire della sua venuta, l’iniquo 2Ts 2».
Il papa [Leone X] precipita all’inferno.

II
Da Il papa asino (1523)
Il papa asino a Roma.
Il papa asino nell’interpretazione di Melantone e di Lutero.

III
Foglio volante
Papa Alessandro III sembra schiacciare col piede l’imperatore
Federico Barbarossa, così come è raffigurato in un’incisione del
testo di Lutero titolato “La fedeltà di papa Adriano IV” etc.

170
IV
Da Contro il papato di Roma fondato dal diavolo (1545)
Il frontespizio del testo luterano “Contro il papato di Roma
fondato da Satana”. Il papa viene portato fuori dall’inferno
dai demoni e incoronato con una tiara che culmina con dello
sterco.
Scrive Grisar: «Il papa seduto sul trono viene portato in alto
dal diavolo, uscendo dalle paurose caverne infernali e viene fi-
nalmente impiccato. Mentre egli adora le potenze infernali, che
gli svolazzano davanti, esse lo incoronano con una tiara, che
termina in cima con dello sterco umano». Cfr. H. Grisar, Lutero
la sua vita e le sue opere, SEI, Torino 1933.

V
Lo scherno dell’autorità pontificia mediante l’irrisione dello
stemma del papa.
Scrive Grisar: «Lo scherno dell’autorità pontificia, mediante
un rozzo vilipendio delle armi papali, nelle quali uno fa i suoi
bisogni, mentre altri due sono pronti a succedergli. Le grosse
chiavi dello stemma pontificio sono qui raffigurate come due
grimaldelli da ladri».

VI
Nascita del papato.
Commenta Grisar: «La nascita del papa da una diavolessa com-
pletamente nuda».

VII
La giusta ricompensa per il satanissimo papa e i suoi cardinali.
Se il papa e i cardinali dovessero essere puniti sulla terra, la
loro lingua che bestemmia meriterebbe di essere punita pro-

171
prio come voi vedete raffigurato nell’immagine. Mart. Luther
D 1545.
[La traduzione letterale non permette di mantenere la rima del
testo originale, NdA].
Il papa e i cardinali sul patibolo.
Commenta Grisar: «Questa caricatura merita una parola spe-
ciale per il suo carattere sanguinario e provocatore. Nel papa si
riconosce Paolo III allora regnante. Gli è stata strappata dalle
fauci la lingua ed un carnefice è occupato ad inchiodarla alla
forca, come era già stato fatto colle lingue dei tre altri impiccati
[…]. Quattro diavoli portano all’inferno le anime dei quattro
impiccati».

172
Indice

Introduzione 5

Una precisazione 9
Chiesa cattolica apostolica romana 9

Qualche antefatto 12
Ostaggi del re di Francia 12
Fiscalismo e commenda 14
«Questo è quello ch’io voglio vedere in voi» 17
Una divagazione filosofica 20

Nel vivo della vicenda 23


Un impero decentrato 23
La curia romana e la chiesa tedesca 26
Soldi, soldi e ancora soldi 28
Martin Luther 30
Carlo V d’Asburgo, Sacro Romano Imperatore 36
Ai principi cristiani della nazione tedesca 40
Dalle chiavi di Pietro alle chiavi di Martino 42
Sacerdozio Universale 47
Niente gerarchie religiose: una visione democratica? 51
Il papa è l’anticristo 55
De captivitate Babylonica ecclesiae 59
A Wittenberg c’è un papa: viva la libertà 63
Sola fede 66
Libero esame 70
Sola Scrittura 75
Avanti con l’anticristo 79

173
Una lettera al padre 82
Il culto deve essere puro 87
È la rivoluzione 91
Il dramma dei contadini 94
Contro le bande brigantesche e assassine dei contadini 97
E fu la Prussia 101
L’ordine non regna sovrano 105
Filippo D’Assia, un bigamo benedetto 109
Contro gli ebrei 113
Contro il papato di Roma fondato dal diavolo 119

Appendice 1 125
Ai principi cristiani della nazione tedesca 127
I dodici articoli dei contadini 150
Contro le bande brigantesche e assassine
dei contadini 152

Appendice 2 161
Note alle immagini 170

174
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