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EDITH STEIN

“SCIENTIA CRUCIS,,
Studio su
S. GIOVANNI DELLA CROCE

«fO£MPTO^JS M/\T£|?
ài LUGANO

EDITRICE ÀNCORA MILANO


POSTULAZIONE GENERALE DEI CARMELITANI SCALZI
Titolo originale dell’opera
Edith Stein: KREUZESWISSENSCHAFT
Studie liber Joannes a Croce
Edith Steins Werke - Band I, Ed. Nauwelaerts, Louvain, 1950
Traduzione italiana di P, Edoardo di S. Teresa, O, C. D.
Prov. Longobardiae

CENSURA EX PARTE ORDINIS


Nihil obstat quominus imprimatur
Romae, 11 iulii 1960
Fr. Vdlentinus a S. Maria, 0. C. D.
Fr. Joannes a Jesu Maria, O. C. D.

IMPRIMI POTEST
Romae, 12 iulii 1960
Fr. Anastasius a SS. Rosario
Praepositus Generalis O. C. D.

IMPRIMATUR
in Curia Arch. Mediolani die 19-9-1960
t /. Schiavini, Vie. Gai.


PROPRIETÀ RISERVATA EDITRICE ÀNCORA - MILANO
(N. A, 1585 - Novembre 1960)

Scuole Grafiche Artigianelli Pavoniani - Milano


PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA

La « Scienza della Croce » è la prima grande opera di Edith Stein


che appaia in Italia.
Va da sé che non abbiamo la pretesa di presentare un’edizione
critica, bensì una pubblicazione a carattere divulgativo e pratico-
spirituale.
Il libro è diseguale, nello stile e nella ripartizione della materia.
Non dimentichiamo che è un’opera postuma, lasciata incompleta e pub­
blicata da altri, su manoscritti in parte estratti dalle rovine d’un con­
vento bombardato nel 1944.
Questo fa comprendere come anche alcune posizioni filosofiche e
teologiche non abbiano quell’articolazione chiara e precisa che certa­
mente avrebbero avuto in un ripensamento ulteriore in vista della
redazione definitiva. Queste sfumature di pensiero, dalle quali si può
liberamente dissentire, non tolgono nulla al valore essenziale dell’opera
che va vista e considerata soprattutto come una testimonianza.
La materia trattata - la più alta Mistica cristiana - sembrerà forse
ostica, oppure bella ma irrealizzabile nella vita pratica...
Sentite cosa dice in proposito quella bella figura di studioso che
fu il P, Silverio di S. Teresa O.C.D., un uomo che conosceva S. Gio­
vanni della Croce veramente a fondo, e che ha lavorato tutta la vita
attorno alle Opere dei Mistici Carmelitani:
« Nessuno può allegare a sua discolpa l’incapacità di intendere
questi libri. La dottrina del Santo, per quel che si riferisce alla puri­
ficazione dei sensi e delle potenze dell’anima, è semplice e trasparente.
Ma la pratica è difficile - si dice. Sta bene; ma il Santo che colpa ne
haP Non sappiamo forse che il regno di Dio si conquista con la
violenza? Si legga - per esempio - il cap. XIII del Primo Libro della
Salita (che tutti dovremmo sapere a memoria) e poi diteci chi può
lamentarsi per la oscurità della sua dottrina. Non è la difficoltà di
dottrina che intralcia, ma la mancata volontà di esecuzione... Dire
poi che gli insegnamenti del Santo sono impraticabili, equivale ad
affermare che i passi più delicati e sublimi del Vangelo non hanno
altro significato fuorché quello teorico o millanta torio, e sono privi
di praticità.
Uno dei mali oggi più estesi e più frequentemente deplorati è
la dilagante frivolità nella devozione. Per curare questa piaga della
8 Prefazione alVedizione italiana

pietà moderna, quale medico offre maggiori garanzie di S, Giovanni


della Croce? » P. Silverio di S. Teresaf Introduzione, Obras de S. Juan
de la Cruz, Burgos, 1940 (pag. XXVIII-XXIX).
Queste parole si riferiscono a S. Giovanni della Croce. Ma pos­
sono benissimo applicarsi anche a Edith Stein, che del S. Dottore ha
dato un’interpretazione acuta e attualissima.
Per quanto concerne la traduzione in italiano possiamo fare Ì
seguenti rilievi:
1) L’Autrice è una scolara di E. Husserl, fondatore della feno­
menologia. Molti termini a lei famigliari e da lei abbondantemente
usati, non sono invece altrettanto noti ai semplici lettori tedeschi, e
quindi tanto meno lo sono a quelli italiani. Ho cercato di semplificare
e di chiarire con circonlocuzioni i concetti più difficili, ma non sem­
pre è stato possibile farlo, sotto pena di perdere il sapore fresco e
leggermente esotico dell’espressione originaria.
2) I testi di S. Giovanni della Croce, li ho tradotti diretta-
mente dallo spagnolo, ma aggiornandone un pochino la terminologia
antiquata e troppo scolastica (appetiti, parte superiore e inferiore, di­
letto, ecc.) come fa l’Autrice. Da notare tuttavia - come rileva il P.
Etienne de S. Marie O.C.D. - « che Edith Stein non leggeva corrente-
mente lo spagnolo, ma lo traduceva aiutandosi con delle versioni
francesi... Per altro si rendeva conto delle divergenze esistenti fra le
traduzioni e l’originale ». Per questa ragione, tante delle sue argomen­
tazioni sono basate su certe sfumature di colore - che del resto intac­
cano solo la forma, non la sostanza della dottrina del Santo. Così per
non snervare le sue deduzioni, talvolta - pur tenendo presente il
testo spagnolo - ho seguito il testo tedesco in certe sue piccole libertà.
3) Le edizioni di S. Giovanni della Croce che Edith Stein aveva
in mano, sono materiale piuttosto vecchiotto (Cfr. Bibliografia), e
quindi bene spesso lacunoso o interpolato (Cfr. i due cap. 45 e 46
della Salita). Malgrado questo, l’essenziale c’è tutto. E se i libri
sono solidi, reggono anche in veste vecchia.
4) Come un tempo a proposito di rapporti tra Autori e Com­
mentatori si diceva: « Si vis intelligere Cajetanum, lege Thomam »,
così possiamo dire oggi: « Se vuoi capire Edith Stein, leggi S. Gio­
vanni della Croce». Essa ha scritto per far conoscere il S. Dottore:
è quindi più che giusto leggere l’opera originale se si vuol gustare
quella della Commentatrice (*).
Il Traduttore
„ . P. Edoardo di S. Teresa OCD
Monza, 15 Settembre I960.
*) Per gli scritti completi del S. Dottore in versione italiana, cfr. S. Giovanni
della Croce, Opere, Roma, Postulazione Generale 0. C. D., 1959.
PRESENTAZIONE

L’albero della Croce, l’unico in perenne fioritura, produce con­


tinuamente nuovi frutti. E ciò avviene perché la Croce di Cristo, in
virtù della sua efficacia, è qualcosa di molto più profondo d’un
semplice segno: è un vero simbolo. Essa rappresenta « l’unione nuziale
deiranima con Dio, fine ultimo per il quale è stata creata; unione che
si ottiene con la croce, si consuma sulla croce, e verrà sigillata con la
croce per tutta l’eternità ».
Ef così che va intesa la « Scienza della Croce » che Edith Stein -
già allieva ed assistente di Edmond Husserl, fondatore della Feno­
menologia - ci ha lasciata come suo ultimo testamento. Seguendo le
orme di S. Giovanni della Croce, anche lei si carica in spalla la sua
croce, nella quale riconosce la massima conformità alle più ìntime
leggi e alla più sublime vocazione della sua vita. Studiando le opere
del S. Dottore e Padre essa arriva a concepire la Scienza della Croce
nella sua doppia accezione di teologia della Croce e di scuola della
Croce, ossia di vita militante sotto il segno della Croce.
'Tutta l’opera è indirizzata alla elaborazione di quest’idea; vista
così, sì presenta come un’acuta e penetrante interpretazione della dot­
trina della Croce, come una analisi personale nonché come una moderna
presentazione del Dottor Mistico.
Un’acuta e penetrante interpretazione, perché Edith Stein - obbe­
dendo al forte impulso religioso della sua anima - ha battuto lei stessa
la via tracciata dal Santo; perché fattasi suora carmelitana ha avuto
modo di familiarizzarsi col linguaggio del S. Padre; e poi ancora
perché, essendo lei stessa una grande pensatrice, possiede una profonda
esperienza nel campo psicologico e pedagogico.
Una analisi personale, perché qui non è la voce della tradizione
dell’Ordine che parla, bensì quella di una figlia del Carmelo che si
sforza di spiegare dal suo punto di vista la vita e la dottrina del S.
Padre.
A un certo punto della sua opera, Sr. Benedetta afferma’. « E’
necessario controllar bene se quello che si dice si accorda con il suo
10 Presentazione

insegnamento, e se è realmente adatto a metterlo in luce ancor più


chiaramente ».
Una moderna presentazione, perché Edith Stein - dall’alto della
sua ricerca fenomenologica - sbozza la figura di S. Giovanni della
Croce in una forma assai gradita agli uomini dell’età moderna.
Per quanto concerne il valore intrinseco e l’apporto dottrinale,
dobbiamo riconoscere nell’interpretazione dell’atteggiamento e degli
scritti di S. Giovanni della Croce, data dalla nostra scrittrice, una nuova
conferma dell’insegnamento di cui l’Ordine è sempre stato antesignano;
e ciò indipendentemente dalle divergenze che vi si riscontrano nei
confronti del commento di stampo classico. Tale interpretazione riflette
con eccezionale nitidezza e straordinaria forza convincente i punti
chiave dell’idea carmelitana-, che la dottrina della Croce è una auten­
tica realtà.
Amore e abbandono dell’anima a Dio costituiscono la porta d’in­
gresso preliminare ad ogni mistica; la vanità del mondo, a noi uomini
impastati di senso, dev’essere continuamente messa in evidenza. La
fede non serve soltanto a preparare il terreno ad accogliere il mes-
saggio della Croce\ essa costituisce invece una partecipazione della
Via Crucis e alla Crocifissione, arrivando poi a trovare il suo traguardo
finale nella perfetta unione amorosa con Dio.
Possa il verbo della Croce, annunziato da Sr. Teresa Benedetta
della Croce, divenire per tutti noi il granello di frumento che rende il
cento per uno.
P, Fr. Romeo Leuven O.C.D.
Provinciale della Prov, d’Olanda
curatore dell’Edizione Tedesca
delle Opere di EDITH STEIN
BREVI CENNI BIOGRAFICI SULL’AUTRICE

EDITH STEIN nacque da una famiglia ebrea di Breslavia, il 12


ottobre 1891. Terminati gli studi ginnasiali, dall1 ottobre 1911 sino a
Pasqua del 1913 frequentò l’Università di Breslavia, proseguendo poi
la scuola per quattro semestri alVUniversità di Gottinga, ove studiò
filosofia, psicologia, storia e filologia germanica. Nel gennaio 1915,
sempre a Gottinga - sostenne l’esame dì stato prò facilitate docendi, in
propedeutica alla filosofia, in storia e in lingua tedesca. Dopo un breve
periodo d’insegnamento nelle scuole di Breslavia, nell’estate 1916
ottenne il Dottorato in filosofia alVUniversità di Freiburg in Breisgau,
ove si stabilì definitivamente come assistente universitaria del suo
maestro Edmond Husserl.
Dal 1922 al 1932 Edith Stein lavorò come insegnante nel Liceo e
alla Scuola Magistrale delle Domenicane di S. Maddalena nella città
di Spira. Nel 1932 venne chiamata in qualità di Docente all’Istituto
Tedesco di Pedagogia scientifica a Munster; posto che perdette a causa
della sua origine israelitica al momento della rivoluzione nazionalso­
cialista nel 1933. Durante gli anni 1928-1933 svolse, contemporanea­
mente alle sue mansioni, una intensa attività scientifico-divulgativa
partecipando a numerose giornate di studio e congressi di pedagogia,
tenendo conferenze in patria e all’estero. In quest’epoca vedono la
luce anche le sue pubblicazioni nello Jahrbuch fiir Philosophie und
Phànomenologische Forschung, come pure le sue traduzioni di S.
Tommaso d’Aquino e di Newfman, che contribuiscono ad affermare
la sua fama nel campo filosofico facendola conoscere ad un largo
pubblico.
Il profondo senso di serietà a cui è improntata la sua esistenza, sia
nel corso precedente come nel cammino successivo a questo periodo,
si svela nettissimo dalla sua evoluzione religiosa. Nata da genitori
ebrei, e quindi allevata in quell’ambiente di fervida religione mosaica,
verso i trent’anni Edith Stein sente a poco a poco la mano della Prov­
videnza che dirige i suoi passi verso la Chiesa Cattolica. Il V gennaio
1922 si converte, ricevendo nel battesimo il nome di Teresa,
Poi spiccando il volo dalla vetta della sua ricerca fenomenologica,
psicologica e pedagogica, lasciandosi alle spalle l’attività d’insegnante
12 Brevi cenni biografici sull’autrice

e una brillante carriera per seguire un desiderio accarezzato da lungo


tempo, il 15 aprile 1934 entra nel Carmelo di Lindenthal a Colonia.
Sotto rincalzare delle persecuzioni razziali antiebraiche del Nazio­
nalsocialismo, Edith Stein - ora divenuta S. Teresa Benedetta della
Croce - il 31-12-1938 per ordine delle autorità religiose viene trasfe­
rita al Carmelo di Echt in Olanda. Qui vive e lavora fino al 2 agosto
1942, quando viene arrestata dalla Gestapo (Geheime Staats-Polizei,
Polizia segreta di stato tedesca). Dopo una breve sosta nel Lager di
Westerbor\ (Drente, Olanda), il 7 agosto 1942 viene deportata ad
Auschwitz (Slesia). In questo triste famigerato campo di concentra­
mento o in qualche località vicina, viene asfissiata e bruciata nella
camera a gas, intorno al 10 agosto 1942 (#).

*) Per notìzie biografiche più ampie, cfr. Jole G alo jaro, Dalla cattedra al
Lager - Edith Steint Roma, Postulazione Generale 0. C. D., 1959.
GENESI DELL’OPERA

Il presente studio su S. Giovanni della Croce costituisce l'ultima


opera che Edith Stein ebbe modo di scrivere. La incominciò nell'a­
gosto 1941 e vi stava ancora lavorando, quando venne tratta in arresto
il 2 agosto 1942.
Sembra quindi che la sua composizione sia durata appena undici
mesi. La sorprendente brevità del periodo di redazione non si può
spiegare che supponendo un lavoro intenso, continuo e assillante, tutto
consacrato alla elaborazione d'un òpera già matura da lunga data. Se
lo studio delle fonti di S. Giovanni della Croce rappresenta inconte­
stabilmente un compito nuovo per Edith Stein, lo spirito della di lui
dottrina fermenta ormai da lungo tempo in fondo al suo cuore. Ne fa
fede Vattestazione della stessa Edith Stein, contenuta in una delle let­
tere da lei scritte nel 1941 e rimaste tuttora inedite:
« Il lavoro di cui mi occupo, mi fa vivere continuamente im­
mersa nel pensiero di S. Giovanni della Croce. E’ una grande
grazia, questa. Oso chiedere a Vostra Reverenza di pregare per­
ché io riesca a far qualcosa di bene in occasione del suo Giu­
bileo ».
Gli studi immediatamente preparatori a questo lavoro datano,
come ce lo indica la stessa corrispondenza, sin dal 1940. Nel settembre
di quell'anno Edith Stein scrive:
« Sono attualmente occupata a raccogliere il materiale per una
nuova opera. La nostra cara Madre desidera che io riprenda il
lavoro intellettuale^ nei limiti compatibili col nostro genere di
vita ».
A prezzo di innumerevoli sforzi riesce finalmente - nell'agosto
1941 - ad ottenere le principali opere necessarie alla elaborazione del
suo studio. Vi allude nella citata corrispondenza. Sarà utile riportare
qui alcuni accenni rivelatori, che ci danno modo di conoscere il punto
di vista dell'Autrice sulle fonti da lei utilizzate:
« So benissimo che il Baruzi è uno scrittore miscredente. Ma -
a mio modesto avviso - non si può ignorarlo scrivendo sul N. S.
P. Giovanni della Croce » (13 ottobre 1941).
14 Genesi dell’opera

Ora sono in possesso dell’opera del Baruzi... un libro che conta


più di 700 pagine a caratteri piccoli, fornito di tutto l’apparato
scientifico. Leggendo la prefazione alla seconda edizione, ho già
potuto individuare dove si trovano i punti deboli. Ma è scritto
con grande affetto e simpatia, per cui non Io si può sostituire
con nessun altro, se si vuol fare uno studio più approfondito »
(21 ottobre 1941).
Mi hanno appena portato il grosso volume del P. Bruno.
Ne sono rimasta molto contenta, perché il Baruzi presenta delle
spaventevoli lacune e quindi deve necessariamente essere com­
pletato » (11 novembre 1941).
Per spiegare la genesi della « Scienza della Croce » esistono diver­
si fattori altamente significativi che convergono in quest'opera: l’evo­
luzione religiosa e l’attività intellettuale dell’Autrice. Essi ci dimo­
strano che con questo suo ultimo lavoro, la scrittrice ci ha offerto il
frutto più maturo e sostanzioso della sua personalità.
Il primo fattore sta nell'evoluzione spirituale di Edith Stein. In­
fatti, se fu la lettura degli scruti di S. Teresa d’Avila che la spinse ad
entrare nella Chiesa Cattolica, fu la meditazione della dottrina della
Croce, che la conquistò alla vita carmelitana. Che dietro questa evolu­
zione religiosa agisse da catalizzatore uno studio indefesso della let­
teratura mistica, non c’è bisogno di dimostrarlo: basta considerare
l’autonomia e l’incisività del suo pensiero. L’abitudine caratteristica
che Edith Stein aveva di utilizzare persino le lettere ricevute per scri­
vervi delle annotazioni, ce ne dà del resto una pi'ova tangibile. Tra
i suoi estratti da S. Agostino, attualmente in possesso dell’Archivum
Carmelitanum Edith Stein, si trova un foglietto datato Heidelberg, 27
novembre 1930, con queste parole:
« Mi permetto inviarle, qui accluso, un lavoretto sulla poe­
tessa cattolica Ruth Schaumann, Nel caso vi risultasse sconosciu­
ta, spero di farvi conoscere una donna dotata di un forte spirito
d’interiorità, che senz’altro è molto vicina a noi su più d’un
punto. Mi piace ricordare, per esempio, la conversazione che io
e Lei abbiamo avuto in casa... a Ludwigshafen; conversazione
che mostrava la Sua inclinazione per la mistica... ».
Nello stesso senso agisce l’evoluzione filosofica di Edith Stein.
Inizialmente orientata verso la psicologia del profondo, in un
secondo tempo essa si dirige verso la filosofia moderna, nella quale
attrae in partìcolar modo la sua attenzione la tendenza fenomenologica.
Sopravviene poi un periodo dì intenso lavoro, nel campo della sociolo-
Genesi dell’opera 15

già e pedagogia, caratterizzato da un graduale accentuarsi - nelle sue


considerazioni - del fattore religioso.
Ma ben presto il suo interesse devia verso la filosofia scolastica,
di cui cerca di conciliare i punti di vista con il pensiero moderno.
Finalmente, dopo un periodo di studi, traduzioni e interpretazioni
dei principali pensatori cattolici, vengono ad occupare il primo posto
nella sua mente i problemi cardine della filosofia religiosa. Volendo
inquadrare organicamente la presente opera in rapporto all' evoluzione
da noi descrittar dobbiamo situarla al termine della fase evolutiva e
contemporaneamente all'inizio di una nuova fase ascensionale sia
religiosa che filosofica.
Un terzo fattore indicativo e costituito dagli stessi scritti dell'Au­
trice. 1 preparativi preliminari alla ideazione del presente studio, comin­
ciano dieci anni prima che lei si metta all'opera. E' possibile scorgere
il tracciato, quasi una scala formata di gradini successivi, che va a
sfociare nel poderoso lavoro sul Principe dei Mistici Spagnoli. Diamo
soltanto i tìtoli degli articoli e dei saggi da lei compilati in quel
decennio. Per la maggior parte sono rimassi soltanto manoscritti in
dotazione deH'A-rch. Carm. Edith Stein, o «//'Husserl-Archiv, che ne
sta attualmente curando la pubblicazione (1960). Da essi appare già
chiarissima la preparazione interiore dell'Autrice, che sta impostando
la sua mentalità verso la nuova opera. Eccone i principali-.
L’Espiazione mistica, per la Festa di S. Giovanni della Croce
(redatto probabilmente nel 1934); L’esaltazione della Croce: Ave Crux
Spes Unica (1939); L’erezione della Croce (1941).
Trattati che stanno in relazione piu o meno immediatamente con
la Scienza della Croce, sulVinteriorità e il significato dell'essere umano:
Struttura della persona umana (1932-33); Antropologia teologica
(1933); Fede, Scienza e Conoscenza (1932-33); Essere finito e infinito
(1936); Vie della conoscenza di Dio (1941); Sul problema dell’intrc-
patia (1917); Contributo al fondamento filosofico della psicologia e
delle scienze aventi per oggetto lo spirito umano (1922).
Traduzioni: Canti di S. Giovanni della Croce e S. Tommaso
d’Aquino: Quaestiones disputatae de ventate (1931-32), nonché dal-
fAreopagita e dal Card. Newman,
FINALITÀ’ DELL’OPERA

Il fine per cui la Scienza della Croce è stata composta è duplice.


Prima di tutto per contribuire con un lavoro di polso alle celebra­
zioni del IV* Centenario della nascita di S. Giovanni della Croce
{1542-1942). Edith Stein ricevette dai Superiori l’incarico di elaborare
la parte letteraria del Giubileo. Che questo corrispondesse ad un vivo
desiderio dell’Autricef risulta evidente dall’opera stessa da lei offerta
al suo Ordine ed al mondo intero, nonché dalla corrispondenza di cui
si è già fatto cenno precedentemente. Nel settembre del 1940 scrive'.

« Grande è la mia gratitudine per esser stata messa in grado


di produrre qualche cosa, prima che il mio cervello s’arrugginisca
del tutto... ».

...Ma dietro questo fine principale e immediato, ne esiste anche


un altro, non meno importante. Studiando S. Giovanni della Croce,
essa tende a dare un’interpretazione personale e modernizzata delle
leggi che regolano l’essere e la vita spirituale. Difatti, riassume queste
leggi persino nel titolo Scienza della Croce, sviluppandole armonica-
mente e lasciando fluire dalla vita e dalle opere del Santo - come da
una limpida e perenne fonte - i principi fondamentali della sua pro­
pria dottrina. Per altro, affinché la sua presentazione resti in tutto e
per tutto fedele alla verità, essa non omette mai di distinguere premu­
rosamente gli asserti suoi personali dal pensiero autentico del Santo.
E’ questo un tratto caratteristico della personalità di Edith Stein.
Studiando il pensiero altrui, pur applicandosi coscienziosamente a
seguirne gli sviluppi} èssa si sente irresistibilmente trascinata a dare
al suo lavoro un’impronta personale, Stimolata dalla forza creativa del
suo spirito e dalla gioia che ne trae, questa figlia di S. Giovanni della
Croce allarga in un piu ampio respiro il suo metodo dì lavoro. Ecco
perché invece di limitarsi a commentare i testi del Santo, essa sviluppa
ulteriormente la di lui dottrina della Croce fino ad enuclearne la
filosofia della persona. Nella sua rassegna delle leggi fondamentali
che reggono l’essere spirituale, la sua attenzione si polarizza special-
mente sulle questioni concernenti l’essenza e il destino della creatura
umana: l’io, la persona e la libertà - e parallelamente - lo spirito, la
fede e la contemplazione.
LA PERSONALITÀ’ DI EDITH STEIN
COME APPARE ALLA LUCE DELLA SCIENZA DELLA CROCE

Prima di concludere queste brevi note, cerchiamo di tratteggiare


la personalità dell'Autrice quale si riflette nella presente opera. La
sua figura vi si delinea realmente viva balzando allo sguardo in tutta
la sua tragica austerità, dandoci così modo di cogliere l'autentica
fisionomia d’una potente personalità.
Tenuto conto delle circostanze immediate - il centenario di S.
Giovanni della Croce - e del clima ideologico - la dittatura nazional­
socialista - che senz'altro influenzò l'atteggiamento psicologico di Edith
Stein al momento di compilare il lavoro, la scelta del tema e la conce­
zione dell'opera ci appaiono come la più alta espressione del suo incon­
dizionato attaccamento all'ideale carmelitano. Rappresentano inoltre
una sublimazione della sofferenza umana, un ammirevole distacco
dalla vita e un poderoso slancio al di là del finito. Nel suo progressivo
sforzo ascensionale, Edith Stein supera il suo attaccamento alla vita
fìsica, trasferendone il centro di gravità oltre la sfera del dominio e
dell'attività terrena. Il sereno atteggiamento con cui si esprime negli
ultimi capitoli del suo studio, tradisce la sicurezza della sua anima in
rapporto aH'Eternità e conseguentemente la superiorità d'uno spirito
che ormai spazia Ubero, fuori tiro dagli sconvolgimenti del mondo.
Risulta pure evidente che essa non rompe le relazioni col mondo
per rassegnazione o per stanchezza della vita, bensì per convinzione
religiosa e impegnandovi tutta la sua matura vitalità. La sua anima,
centro propulsore e sede dell’unione mistica, anela ad ancorarsi in Dio
che è il principio e il traguardo finale d'ogni vita.
Ecco ora le fasi progressive del cammino di Edith Stein.
Per farsene un'idea basti considerare i seguenti fattori:
1) Nella sua opera vengono intavolati dei problemi che com­
portano un allargamento del disegno originario; mediante la loro
trattazione, VAutrice integra ed amplia Vedificio intellettuale del S.
Padre Giovanni della Croce.
2) L’analisi della Notte, della Salita, ^//'Unione con Dio, ecc.
non viene da lei condotta col metodo logico e deduttivo, bensì con
sistema intuitivo e induttivo.

2. - Scientia Crucis.
18 La personalità di Edith Stein

3) La vicenda di Edith Stein, specialmente nel suo ultimo de­


cennio, è stata vissuta tutta sotto il segno della Croce; per cui ci opre
un fulgido esempio di quell1 unità tra dottrina e vita, che costituisce
Vìdea fondamentale dell1interpretazione steiniana.
Tutto questo suppone una maestria non comune. Innanzitutto
una maestrìa oggettiva, intellettuale, nella maniera d’impostare e di
dominare i problemi; poi una maestria soggettiva, fatta di convinzione
e di pratica spirituale, mediante la quale essa segue di persona Vulne­
rario della Croce, unica via per raggiungere il fine ultimo.
Edith Stein, da vera figlia di S. Giovanni della Croce, ha lavorato
in entrambi i settori, armonizzandoli in se stessa, e riuscendo a
raggiungere questa doppia finalità: penetrazione della dottrina c tra­
duzione in pratica delle realtà studiate. A questo proposito si può
benissimo applicare a lei stessa quello che sin dalle prime pagine
ella afferma di S. Giovanni della Croce\ il teologo che elabora la
Scienza della Croce è agevolato dal Santo che vive i principi scientifici
enunciati... La vita personale intima della creatura che ha raggiunto
l’unione mistica è un geloso segreto tra l’anima e Dio... Le opere del
S. Dottore sono state manifestamente composte da un anima già arri­
vata al traguardo... (Cfr. pag. 37 e 209 del presente lavoro).
Per quanto concerne l’orientamento religioso e filosofico di Edith
Stein, possiamo chiederci quali siano gli aspetti più salienti che VAu­
trice coglie nella figura e nella dottrina del Santo restandone affasci­
nata e facendone il tema delle sue riflessioni.
In questo settore, il suo interesse si concentra soprattutto nello
sviscerare i problemi centrali della Scienza della Croce: prima la
salita dell’anima verso Dio mediante la crocifissione, che essa subisce
nella Notte attiva e passiva; poi l’unione sponsale delVanima con Dio.
In stretta connessione con questi motivi base, essa trova sempre
nuovi agganci per inserirvi digressioni che elaborano una filosofia
della persona, tema conduttore della ricerca e della creazione steiniana.
Analizzata la dualità della persona umana (spirito vincolato al corpo
- volontà lìbera), il suo sguardo scrutatore punta immediatamente
sull’esigenza metafisica della verità che ne consegue: creare prima
l’unità tra la conoscenza filosofica e la concezione del mondo; poi,
l’unità tra la dottrina e la vita, impegnando la vita in funzione della
dottrina.
Edith Stein ha intrapreso la composizione del presente lavoro a
servizio di Dio e a glorificazione di S. Giovanni della Croce, Padre
del Carmelo. Prima ancora di poter darvi l’ultima mano, venne chia­
mata dalla Divina Provvidenza a divenire olocausto della mano di­
struttrice dell’uomo, assurgendo così a modello vivo e reale della dot­
La personalità dì Edith Stem 19

trina della croce. Stroncata prematuramente dal martirio, ci ha lasciata


in eredità - stroncata anch’essa - la sua esposizione della Scienza della
Croce.
Curando la pubblicazione dell'opera di Edith Stein, ci slamo sen­
titi in dovere di integrare la sua vita vissuta ed ora fissata nella beata
eternità, facendo echeggiare la sua voce, che ne è il formale comple­
tamento. Così la mano dell'uomo ha ora la grazia di poter ristabilire
l'unità tra dottrina e vita, presentando al mondo - integra, finalmente
- la viva e vitale Scienza della Croce del S. P. Giovanni e della sua
autentica figlia Teresa Benedetta della Croce #).

P, Fr. Romaeus Leuven, O.C.D. Dr. L. Gelber *)

*) Chi volesse avere più ampi schiarimenti circa i manoscritti della Scienza
della Croce e sulle vicende dell’opera - pubblicata postuma - consulti il testo
originale tedesco, che ha una lunga appendice di cui le presenti pagine - per
ovvie ragioni editoriali - sono solo un breve riassunto (N. d'. T.).
PREFAZIONE

Queste pagine hanno di mira un unico scopo: cogliere Gio­


vanni della Croce nell’unità del suo essere tal quale essa si esprime
nella sua vita e nelle sue opere, considerando il tutto da un punto
di vista che renda possibile afferrare con un sol colpo d’occhio
questa unità. Quindi niente biografìa, niente esposizione integrale
e analitica della dottrina. Sarà tuttavia necessario citare gli episodi
della sua vita e il contenuto dei suoi scritti, per arrivare così a ve­
dere quell’unità che forma il nostro assunto.
Le testimonianze addotte sono frequenti e minuziose; ma
dopo averle fatte parlare si valuta il loro significato. Ed è proprio
in questa analisi del significato che viene in luce ciò che la Scrit­
trice, dopo lunga fatica, crede di aver capito circa le leggi da cui è
retta l’esistenza e la vita spirituale. Quanto si è detto ora vale in­
nanzitutto per le dissertazioni sullo Spirito, la Fede e la Contem­
plazione, intercalate nelle varie parti del lavoro, specie nel capi­
tolo intitolato: «L'anima nel regno dello spirito e degli spiriti».
Ciò che si afferma in quei passi sull’/*?, la libertà, la persona, non
proviene dagli scritti del S. P. Giovanni. In lui si trovano certa­
mente, e ben rilevabili, degli accenni a questi argomenti; tuttavia,
esposizioni particolareggiate di tal genere vanno molto al di là
delie sue intenzioni e della sua linea di pensiero.
L’elaborazione di una filosofia della persona, quale viene svi­
luppata nei passi sopra citati, è un prodotto tipico della filosofia
moderna.
Per quanto riguarda l’apporto delle testimonianze ci sono
state di grande sussidio direttivo: libri del nostro P. Bruno di Gesù
Maria, Saint Jean de la Croìx, Paris 1929, (Ed. Ital. S. Giovanni
della Croce, Vita e Pensiero, Milano 1938) e Vie d'amour de Saint
Jean de la Croix, Paris 1936, come pure Jean Baruzi, Saint Jean
de la Croix et le Problème de l’Expérience Mystique, Paris 1931,
che ci ha offerto ottimi suggerimenti. Per altro, da lui si è tratto
piuttosto poco in materia, perché non è possibile appoggiarsi alle
sue affermazioni senza un attento esame critico. Logicamente un
tale esame critico esula dai limiti del presente lavoro. Chi conosce
il Baruzi saprà anche individuare le tracce del suo influsso nonché
22 Prefazione

i punti suscettibili di critica. Va ascritto a suo incontestabile merito


lo zelo indefesso col quale si è impegnato a scoprire le fonti e a
valorizzarne la portata. Mentre è molto discutibile la sua opinione
concernente le due redazioni manoscritte in cui si presentano il
Cantico Spirituale e la Fiamma Viva d'amore, delle quali - per
la Fiamma probabilmente, per il Cantico quasi certamente - la co­
pia più tardiva sarebbe da considerarsi apocrifa. Sempre secondo
lui, della Salita e della Notte Oscura giunte a noi in una copia
redazionale unica, probabilmente avremmo solo una versione apo­
crifa e mutilata J).

■*•) Cfr. J. Baruzi, Saint Jean, voi. 1° Les Textes, pag, 3 sgg. e le Introduzioni
a ciascuno dei trattati nella recente edizione spagnola: Obras de San Juan de la
Cruz Doctor de la Iglesia, editadas y anotadas por el P. Silverio de Santa Teresa
C. D., Burgos 1929, sgg.
INTRODUZIONE

Significato e fondamenti genetici


della scienza della croce

Nel settembre od ottobre 1568, il giovane carmelitano Juan


de Yepez, sino allora noto in religione sotto il nome di Giovanni
di S. Mattia, faceva la sua entrata nella poverissima casetta di
Durvelo, nella quale avrebbe dato Tavvio alla Riforma Teresiana,
divenendone il fondamento e la pietra angolare* Il 28 novembre,
s’impegnò, insieme con due compagni, alla osservanza della Regola
Primitiva, adottando come un titolo nobiliare l’appellativo della
Croce. Era l’emblema di ciò che aveva cercato abbandonando il suo
convento di prima e staccandosi ufficialmente dall’osservanza mi-
tigata che vi era in uso; era poi ancora ciò che s’era proposto di
raggiungere nel vecchio Carmelo allorché, in virtù d’un privilegio
personale, s’era messo a vivere secondo la regola primitiva. Con
esso si sottolineava inoltre una caratteristica essenziale della nuova
Riforma: imitazione di Cristo, sulla via della Croce, partecipa­
zione alla Croce di Cristo, che avrebbero dovuto costituire la nor­
ma di vita dei Carmelitani Scalzi.
Come è stato rilevato poco sopra, Giovanni in quel momento
non era ormai più un novizio nella scienza della croce. Il titolo
nobiliare da lui assunto nell’Ordine sta ad indicare come Dio
abbia voluto legare a sé quell’anima nel segno d’un misterioso
segreto. Cambiando il suo nome, Giovanni veniva a dimostrare
che ormai la croce avrebbe adombrato la sua vita come un’inse­
gna. Quando noi si parla d’una scienza della croce, la parola
scienza non va intesa nel senso abituale solito : non si tratta d’una
teoria, vale a dire d’un semplice complesso di proposizioni vere -
reali o ipotetiche - né d’una costruzione ideale congegnata da un
progresso logico del pensiero. Si tratta, invece, d’una verità già
ammessa - una Teologia della croce - ma che è una verità viva,
reale e attiva : seminata nell’anima come un granello di frumento,
vi getta radici e cresce, dando all’anima un’impronta speciale e
determinante nella sua condotta, al punto da risultare chiaramente
24 introduzione

discernibile all’esterno. E’ in questo senso che si parla di scienza


dei Santi e che noi parliamo di scienza della croce. Da questo stile
e da questa forza - elementi vitali agenti nel più profondo delFa-
nima - scaturisce anche la concezione della vita, l’idea che un uomo
si fa di Dio e del mondo, sicché tali cose possono riassumersi in
un sistema di pensiero, in una teoria. Nella dottrina del S. P.
Giovanni noi ci troviamo davanti ad un prodotto di questo genere.
Perciò, ci proponiamo di ricercare nei suoi scritti e nella sua vita
ciò che determina la loro caratteristica unitaria.
Domandiamoci innanzitutto come si possa formare una scien­
za nel senso da noi precisato. Esistono dati, rilevabili anche na­
turalmente, i quali dimostrano che la patura umana nella sua
concretezza si trova nello stato di natura decaduta. Tra questi
segni possiamo elencare l’incapacità di afferrare le cose - con le
facoltà interne - nel loro giusto valore e di dare poi ad esse la
giusta risposta. Tale incapacità può essere originata da uno stato di
nativa ottusità presa in senso letterale, oppure da un ottundi­
mento verificatosi nel corso della vita, oppure ancora da un’insen­
sibilità verso determinate impressioni troppo frequentemente ripe­
tute. Ciò che si è udito spesso, ciò che è arcinoto « ci lascia fred­
di ». Vi si aggiunge inoltre molte volte una abnorme, esagerata
sollecitudine rivolta alle nostre vicende personali interne, che ci
rende refrattari a tutto il resto. Sentiamo la nostra immobilità inte­
riore come sconveniente e ne soffriamo. Il fatto che questo stato
corrisponda ad una legge psicologica non ci aiuta affatto ad
uscirne.
D’altro canto ci sentiamo riempire di felicità quando, me­
diante l’esperienza, riusciamo a persuaderci d’essere ancora suscet­
tibili d’una gioia più profonda, più pura; e anche il dolore pro­
fondo, puro, è per noi una grazia nei confronti dell’insensibilità
costituita dal nostro potere ricettivo bloccato.
L’insensibilità ci è dolorosa soprattutto nel settore religioso.
Molti fedeli si sentono tormentati dal fatto che le realtà concer­
nenti l’economia della salvezza non fanno su di essi impressione
alcuna (o non ne fanno piu nessuna) mentre dovrebbero farla;
dal fatto che esse non agiscono più - come dovrebbero - da ener­
gia formativa nella loro vita. L’esempio dei Santi dimostra loro
come dovrebbero effettivamente stare le cose: dove ce veramente
una fede viva, gli insegnamenti e le « meraviglie » di Dio infor­
mano davvero la sostanza della vita, mentre il resto passa in se­
conda linea e riceve l’impronta da quei fattori. Il realismo dei
Introduzione 25

Santi è questo: una nativa ricettività interiore della loro anima,


rinata sotto Fazione dello Spirito Santo,
Qualunque cosa le s’avvicini, viene da essa accolta nella ma­
niera corrispondente e con la dovuta profondità, incontrandovi una
forza libera da qualunque freno inceppante, viva, dinamica, pronta
all’azione, facilmente e gioiosamente plasmabile e regolabile dal
fattore nuovo in arrivo. Non appena l’energia vitale d’un’anima
santa accoglie in questo modo la verità della fede, questa arriva
alla Scienza dei Santi, E quando è il mistero della Croce a darle
la sua fisionomia interiore, eccola giunta alla Scienza della Croce.
Una certa affinità al realismo dei santi la possiede il realismo
del bambino, che pure riceve le impressioni con tutta la loro forza
nativa, con vivacità, con aperta disinvoltura e vi reagisce. Natu­
ralmente, la sua reazione non sarà affatto sempre in accordo con
la ragione: gli manca ancora la maturità di giudizio per arrivare
a tanto... D’altro canto, appena la sua facoltà intellettiva entra in
attività, non gli mancano fonti interne ed esterne di errore e di
illusione, che la deviano su false piste. Ma l’influsso dell’ambiente
in cui vive, se tempestivo, può agire da elemento rettificante, per­
ché l’anima del bambino è tenera e malleabile: ciò che vi penetra,
può facilmente esserle determinante per tutta la vita. Quando le
realtà spirituali aventi per oggetto la salvezza sono penetrate sin
dalla più tenera infanzia e in forma appropriata dentro un’anima,
le basi di una futura vita santa si possono dire bell’e gettate. Tal­
volta troviamo anche una straordinaria grazia di elezione così
precoce, che realismo infantile e realismo di santità risultano col­
legati. Così si narra di S. Brigida: a 10 anni aveva sentito per la
prima volta parlare della passione e della morte di Gesù; la notte
seguente le apparve il Salvatore in Croce.
Ebbene, da quel momento essa non potè mai più contemplare
la passione del Signore senza versare un profluvio di lacrime.
Nel caso di Giovanni della Croce va messo in rilievo anche un
terzo elemento: la sua natura artistica. Tra le varie arti e mestieri
da lui tentati da ragazzo c’era anche la scultura in legno e la
pittura. Possediamo anche disegni suoi di data più tardiva (Notis­
simo il suo schizzo della Salita al Monte Carmelo). Da Priore
del Convento di Granada ebbe ad abbozzare il disegno di un
convento per contemplativi. Oltre che artista figurativo, era poi
anche poeta. Era per lui una necessità l’esternare nel canto poetico
quello che passava nella sua anima. I suoi scritti mistici non sono
che delle spiegazioni supplementari, aggiunte all’immediatezza del­
l’espressione poetica. Così, trattando di lui, dobbiamo pure tener
26 Introduzione

conto di quest'altra particolare realtà costituita dalla sua natura


d’artista.
Nel campo vergine dell’impressionabilità, l’artista è imparen-
tato col bambino e col santo. Ma - in opposizione al realismo della
santità - si tratta d’una impressionabilità che vede il mondo nella
luce d’un determinato settore estimativo, facilmente a spese di
altri. Ad esso corrisponde una tipica singolarità di comportamento
e di reazione. E’ caratteristico nell’artista che appena una cosa lo
tocca interiormente gli si materializzi dentro in un’immagine, che
esige di essere formulata anche aH’esterno. Il termine « immagine »
qui non s’intende limitato solo al settore visivo e alle arti figura­
tive; sotto la qualifica di tale concretizzazione artistica va com­
presa anche la creazione poetica e musicale. Anche qui si ha un’im­
magine, con cui una cosa raggiunge lo stadio di rappresentazione,
una creazione che è qualcosa di completo e chiuso in se stesso,
qualcosa di finito come un vero piccolo mondo a sé stante. Inoltre,
ogni autentica opera d’arte è anche un simbolo: è indifferente se
ciò rientri o no nell’intenzione dell’artista, se egli sia naturalista o
simbolista. Un simbolo, ossia qualcosa che è stato afferrato ed
enunciato, dalla infinita pienezza del sentimento su cui fa leva
ogni nozione intellettiva umana, e di cui egli parla; e proprio in
modo che tale pienezza di sentimento, inesauribile com’è per ogni
intelletto umano, vi riecheggi misteriosamente.
Così ogni autentica estrinsecazione artistica è una specie di
rivelazione, e ogni creazione artistica una forma di servizio divino.
Tuttavia resta assodato che nel travaglio artistico sussiste sempre
un pericolo e non limitato al caso in cui l’artista non capisca af­
fatto la santità della sua missione. E’ il pericolo che egli, nella rap­
presentazione di una immagine, s’accontenti di creare e basta,
quasi non esistessero per lui altre esigenze. Quel che intendiamo
dire risulta chiaramente proprio riferendoci all’esempio offertoci
dalla rappresentazione della croce. Non esiste forse alcun artista
credente, che non abbia sentito l’impulso a raffigurare un Cristo
in croce o un Cristo in atto di portare la croce. Ma il Crocifisso
esige anche dall’artista qualcosa di più di un semplice ritratto. Egli
chiede a lui, come ad ogni uomo del resto, l’imitazione : ch’egli si
conformi e si lasci plasmare a immagine e somiglianza di Colui
che porta la croce e ci viene confitto sopra. L’esteriorizzazione del­
la figura può persino risultare un impedimento alla reale confor­
mazione di se stessi al modello, mentre non deve affatto essere
così; per fortuna la cosa può anche servire alla propria forma­
zione, perché la stessa immagine interiore viene perfettamente ri­
Introduzione 27

finita e intimamente assimilata all’originale proprio attraverso la


traduzione all’esterno. Quando non c’è qualche ostacolo a sbar­
rare la strada, essa si trasformerà in un elemento guida interiore,
in un incentivo a riprodursi nella realtà ossia in un impulso del-
rimitazione. Sì, la riproduzione artistica esterna da lui creata può
servirgli continuamente di sprone a lavorare su se stesso e sulla sua
mentalità sino a rispecchiare il modello.
Abbiamo le più solide ragioni per credere che nel caso di
Giovanni sia avvenuto così. In lui il realismo del fanciullo, del­
l’artista e del Santo risultarono armonicamente collegati, prepa­
rando così il terreno più favorevole al messaggio della croce che
si sarebbe poi sviluppato fino a diventare la scienza della croce.
Abbiamo già accennato come il temperamento artistico si fosse
rivelato in lui fin dalla fanciullezza. E non mancano nemmeno
testimonianze che parlano d’una sua precoce vocazione alla santità.
Sua madre, in un secondo tempo, ha raccontato alle Carmelitane
Scalze di Medina del Campo, che suo figlio da ragazzo si era
sempre comportato come un angelo. Questa mamma, ricca di
religiosa pietà, gli aveva istillato nell’anima un profondissimo
amore per la Madonna; da buone fonti veniamo a sapere che il
ragazzo non una ma due volte venne salvato dalla morte per
annegamento mediante intervento personale di Maria. Tutto quel
che sappiamo insomma della sua infanzia e gioventù sta ad indi­
care che egli, sin dai primi anni di vita, è stato un figlio della
grazia.
PARTE PRIMA

IL MESSAGGIO DELLA CROCE


CAPITOLO PRIMO

Precoci incontri con la croce

Domandiamoci come sia stato piantato in questa fertile terra


quel granello da semina che è il messaggio della croce. Non ab­
biamo alcuna testimonianza che ci dica quando e come Giovanni
abbia assorbito per la prima volta Timmagine del Crocifisso. E’
probabile che sua madre, profondamente pia, Tabbia portanto an­
cor piccolissimo nella chiesa parrocchiale di Fontiveros, sua città
nativa. Là si poteva vedere il Cristo in Croce, il volto disfatto dal
dolore, due matasse di autentici capelli fluenti lungo le gote fino
alle spalle coperte di lividii). La giovane vedova, che ebbe spesso
a soffrire la povertà e il dolore, parlando ai suoi bambini della
Mamma celeste, li avrà certamente condotti anche davanti all’Ad­
dolorata che sta ai piedi della croce.
Pur col massimo rispetto dovuto al mistero della grazia effi­
ciente, possiamo supporre anche che Maria stessa abbia insegnato
molto presto al suo protetto la scienza della croce. E chi potrebbe
conoscerla così a fondo e apprezzarla in tutto il suo valore meglio
della sapientissima Vergine?
Ad ogni modo, Giovanni incontrò certo il Crocifisso anche
nella bottega artigiana in cui lavorava. Forse s’è anche ingegnato
sin d’allora ad intagliare delle croci, come ebbe a fare più tardi.
Ammesso pure che per quanto abbiamo detto sin qui ci siamo
basati su congetture, certo è però che troviamo un buon argomento
atto a farci ammettere in lui un precoce incontro con la croce:
nel fatto sicuramente attestato del suo eccezionalmente precoce
amore alla penitenza e alla mortificazione. Ancora in età di nove
anni, sdegna il suo letto fabbricandosi una cuccia di sarmenti.
Alcuni anni dopo, si decurta anche le poche ore di riposo su quel
già abbastanza duro stramazzo, passando parte della notte a
studiare. Scolaretto appena, va in giro a chiedere l’elemosina per
i suoi compagni ancor più poveri di lui, e più tardi per i poveri *)

*) Cfr. P. Bruno, Saint Jean de la Croix, Paris 1929, p. 4 e sg.


32 Parte prima - lì messaggio della Croce

dell’ospedale. Dopo una serie di tentativi per abbordare altre


professioni, tutti andati a vuoto, si dedica al gravosissimo lavoro di
servire i malati, perseverandovi con totale dedizione. Stando a
quanto afferma suo fratello Francisco, quello in cui doveva prestare
la sua opera di assistenza era un lazzaretto di vaiolosi (al Aospitai
de las bubas — all’ospedale delle pustole)2). Ma si è anche espressa
la supposizione che si trattasse d’una casa adibita al ricovero di
sifilitici3). Vero o no, sta di fatto che il ragazzo ha imparato a
riconoscere nei suoi pazienti non solo le malattie corporali, ma
anche le miserie spirituali e morali. L’adempimento esatto e
fedele di quella missione deve avere assai spesso richiesto al suo
cuore puro, tenero e profondamente sensibile, dolorosissimi atti di
abnegazione. Che cosa gliene dava la forza? Naturalmente nul-
l’altro che l’amore al Crocifisso, ch’egli voleva seguire per la sua
strada dura, ripida e stretta. Il desiderio di imparare a conoscerlo,
conformandosi sempre più e sempre meglio al suo Modello, con­
dusse quindi Giovanni alla determinazione d’intraprendere, con­
temporaneamente al servizio di infermeria, gli studi nel collegio
dei Gesuiti preparandosi così al sacerdozio. Per penetrare ancor
più a fondo il messaggio della croce egli avrebbe poi anche decli­
nato Fincarico ben retribuito di cappellano nel suo ospedale, pre­
ferendovi la povertà dell’Ordine4). Sarà poi la stessa brama che
non gli farà trovar pace nell’osservanza mitigata dei Carmelitani
d’allora, e finirà per condurlo alla Riforma.

2) P. Bruno, Ibid., p. 10 e 337.


3) Cfr. Baruzi, Saint Jean de la Croix et le Problcme de l’Expénence My-
stìque, Paris 1931, p. 77 sg.
4) lbid. p. 91.
f
CAPITOLO SECONDO

Il messaggio della S. Scrittura

E’ probabile che il giovane allievo dei Gesuiti sia stato sin


d’allora indirizzato allo studio della S. Scrittura. Anche prima egli
era venuto sicuramente a contatto - nelle prediche, nel catechismo,
nella liturgia, - con le parole del Signore, e tra esse anche con
quelle riferentesi alla croce. Presso i Carmelitani rinsegnamento
quotidiano della S. Scrittura era all’ordine del giorno. Quando poi
il giovane religioso venne mandato a studiare a Salamanca, l’ap-
profondimento dei sacri testi sotto la guida di dotti esegeti, diven­
ne parte integrante del suo dovere. In seguito veniamo a sapere
come egli sia vissuto sin dai primordi della sua vita religiosa in
stretta familiarità con la S. Scrittura. Essa è uno dei pochi libri
che ebbe sempre in cella. Le sue opere non sarebbero nemmeno
immaginabili senza le frasi scritturali. Esse costituiscono per lui
la naturale espressione della sua esperienza interiore, tanto che gli
verranno sotto la penna senza nemmeno pensarci. Il P. Giovanni
Evangelista, suo segretario e confidente degli ultimi anni, racconta
che Giovanni della Croce non aveva si può dire neppur bisogno
di consultare la S. Scrittura, perché la conosceva quasi a memo­
ria l). Perciò siamo autorizzati a pensare che il messaggio della
croce contenuto nella parola di Dio abbia permeato la sua vita
intera, suscitando nel suo cuore sempre nuova eco. Analizzare
esaurientemente questa fonte - la più importante forse - della sua
scienza della croce, è cosa impossibile. Difatti dobbiamo premet­
tere come scontato che tutta la S. Scrittura, Vecchio e Nuovo Te­
stamento, era il suo pane quotidiano. Le citazioni scritturali sono
talmente numerose nelle sue opere, che risulterebbe impresa inat­
tuabile il volerle esaminare tutte. D’altro canto non avrebbe senso
limitarsi a quelle riportate, supponendo che gli altri concetti da
lui direttamente citati non avessero invece una reale vitalità con- * 3

J) P. Bruno, op. cit. , p. 269.

3. - Scientia Crucis,
34 Parte prima - Il messaggio della Croce

tinuamente operante in lui. Non ci resta che dimostrare - addu-


cendo alcuni tipici esempi - come possiamo immaginare, a un
dipresso, il processo di penetrazione in lui del messaggio della
croce.
Il Salvatore stesso, in diverse occasioni e sotto diversi aspetti,
ha parlato della croce. Quando predisse la sua Passione e Morte 2),
Egli aveva davanti agli occhi letteralmente il legno deU’infame
patibolo su cui la sua vita sarebbe finita. Mentre quando diceva :
...« Chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di
m e » 3 ) oppure «Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso,
prenda la sua croce e mi segua » 4), la croce è assunta come sim­
bolo di tutto ciò che è difficile, gravoso e così fortemente contrario
alla natura da risultare per chi se lo addossa quasi una marcia
verso la morte. E questo peso, il discepolo di Gesù deve caricarselo
in spalla ogni giorno5).
L'annuncio della morte presentava al vivo davanti agli occhi
dei discepoli l’immagine del Crocifisso, e la presenta ancor oggi
a chi legge o ascolta il Vangelo. Da esso si sprigiona un silenzioso
richiamo che invita a una risposta. Gli inviti a seguirlo sulla via
crucis della vita ci danno anche in mano l’adeguata risposta, of­
frendoci pure modo di penetrare il significato della morte in
croce; infatti, alle parole d’invito, si collega immediatamente l’av­
vertimento : « Chi vorrà salpare la sua vita, la perderà; mentre chi
avrà perduta la sua vita per amor mio, la salverà » 6). Cristo fa
dono della sua vita per aprire agli uomini l’entrata alla eterna
vita.
Quindi, per conquistare la vita eterna devono anch’essi sacri­
ficare quella terrena. Devono morire con Cristo, per risuscitare con
Lui: devono sobbarcarsi la sfibrante, continua morte della soffe­
renza e dell’abnegazione nonché la morte reale del martire - se
necessario - spargendo il proprio sangue per il messaggio di
Cristo.
L’immagine del sofferente e del Crocifisso, delineata già in
antecedenza nelle parole del Signore, ci viene poi ripresentata dif­
fusamente in tutti i suoi particolari dai racconti della passione. Su
un cuore tenero e puro di fanciullo, sulla fantasia di un’artista, è

2) Mt., 20, 19; 26, 2.


3) Mt., 10, 38.
4) Mt., 16, 24; cfr. Me., 8, 34; Le, 9, 23; 14, 27.
5) j 23.
6) Le!, 9, 24; Mt., 10, 39; Le., 17, 33; Gv., 12, 25.
IL 11 messaggio della S. Scrittura 35

pressoché impossibile pensare che tali immagini non si siano


stampate in modo indelebile. Non dobbiamo poi dimenticare che
il ragazzo ha partecipato attivamente alle solenni funzioni della
Settimana Santa, e precisamente come chierichetto. Nella dome­
nica delle Palme e nella Settimana Maggiore, la liturgia fa rivi­
vere annualmente davanti ai fedeli gli ultimi giorni della vita di
Gesù, la sua morte e sepoltura con icastica drammaticità, impie­
gandovi parole e melodie così toccanti che trascinano irresistibil­
mente a prendervi parte con tutta l’anima. Ora, se persino uomini
freddi, magari miscredenti e immersi nelle cose terrene, non vi
possono assistere restando indifferenti, quanto più forte dev’es-
ser stata l’impressione esercitata sul giovane santo che - sappiamo
da fonti posteriori - riusciva a malapena a mettersi a parlare di
cose spirituali senza sentirsi rapito; su lui che solo ascoltando un
canto cadeva in estasi!
Frequentando i corsi di S. Scrittura, ai testi Evangelici vide
aggiungersi poi le Profezie del Vecchio Testamento, e innanzi­
tutto la personificazione del servo di Dio coperto di dolori conte­
nuta in Isaia, da cui il giovane religioso s’era sentito attratto già
da tempo scorrendo le letture del breviario durante la Settimana
Santa. Qui non si trattava di trovare soltanto nuove descrizioni,
crudamente realistiche, della Passione, ma gli si parava davanti il
grande retroscena universale e salvifico del dramma del Golgota.
Dio, l’onnipotente Creatore e Signore del mondo, che fa cozzare
insieme i popoli come vasi di creta, è nello stesso tempo il Padre
che abbraccia con la più fida sollecitudine il suo popolo eletto; è
ancora l’amante appassionato e geloso che nel corso dei secoli
circonda di premure « la sua sposa ch’è Israele », venendone sem­
pre ripagato col disprezzo e il disdegno come ebbe a cantare Gio­
vanni nel suo « Canto del Pastore » 7 8).
Profezie e Vangeli, completandosi a vicenda, tracciano il qua­
dro del Messia che obbediente ai voleri del Padre viene a ricon­
quistarsi la sposa; che si addossa il giogo per liberarne lei; che
non indietreggia davanti alla morte pur di procurarle la vita. Lo
stesso tema riaffiora nelle Romanzasi).
Il fatto che le relazioni nuziali d’Israele vi siano applicate a

7) Edición Critica, Toledo 1914, voi. 3, p. 173 sg. Il Canto del Pastore è il
lamento deH’amore disprezzato del Salvatore. Che Giovanni intenda come Sposa
Israele, non deve essere troppo sopravvalutato. L’allusione alla singola anima è
quasi altrettanto plausibile.
8) Ibìd, voi. Ili0, p. 174 sgg.
36 Parte prima - // messaggio della Croce

tutta l’umanità, non fa che corrispondere esattamente alla rivela­


zione del Regno di Dio, contenuta sia nei Profeti che nei Vangeli.
Ma ce dell’altro, che nei libri profetici doveva essere della massima
importanza per Giovanni: la relazione intercorrente tra lo stesso
Profeta e Dio suo Signore; la vocazione, la selezione speciale d’un
uomo, sul quale l’Onnipotente posa la sua mano. Uno stato par­
ticolarissimo, questo, che fa di un tale uomo l’amico e il confidente
di Dio, l’iniziato e l’araldo dei suoi eterni decreti. Questo però è
anche uno stato che esige dal soggetto un abbandono senza riserve
e una illimitata prontezza all’azione, strappandolo dalla comunità
degli uomini cosiddetti naturalmente benpensanti e trasformandolo
in un segno di contraddizione nei suoi confronti. E questo fatto
non era soltanto la S. Scrittura a dimostrarglielo in modo lam­
pante, bensì anche la interpretazione tradizionale dell’Ordine.
Nel Carmelo - anche sotto la Regola mitigata - era sempre
vivo il ricordo del Profeta Elia, « Duce e Padre dei Carmeli­
tani »9).
La « Institutio primorum monachorum » l0 *) lo poneva davanti
agli occhi dei giovani religiosi come modello di vita contemplativa.
Il Profeta cui Dio comanda di andare nel deserto, nascondendosi
nel torrente Carith di fronte al Giordano, bevendo l’acqua del
torrente e mangiando il cibo che Iddio avrebbe pensato a man­
dargli 11 ), è il prototipo di tutti quelli che si ritirano nella soli­
tudine, rinunciando al peccato e a tutti i piaceri del senso ossia
ad ogni cosa terrena (così va intesa la frase « sulla riva opposta
del Giordano ») nascondendosi nell’amor divino (Carith viene
interpretato come Cantai). Il fiume della grazia divina li ineb-
brierà di delizie e l’insegnamento del Padre offrirà un forte nutri­
mento per la loro anima: il pane del pentimento e della compun­
zione, la carne della vera umiltà.
Giovanni non vi trovò forse la chiave di ciò che Dio stava
operando nella sua anima? Vero è che i piani di salvezza di Dio
si estendono a tutta l’umanità, e solo per amor di lei al suo Popolo
eletto. Ma egli ha anche a che fare con ogni singola anima. O-
gnuna di esse al pari d’una sposa viene da Lui assediata di tenere

9) S. Propheta Dei Elias Ord. Carmelttarum Dux et Pater - Liturgia dell’Or­


dine.
10) Stando ai nostri Cronisti l’originale era stato scritto in greco. Ce n’è
stata tramandata la traduzione latina del Patriarca Aimsrico D’Antiochia (Edita
a Salamanca nel 1559. Una traduzione francese è riportata dalla Rivista «La Voix
de Notre Dame du Mont Carmel » Voi. I - II (1932-33).
u) III Reg., 17, 2-3.
IL II messaggio della S. Scrittura 37

attenzioni, circondata di paterne cure. Pian piano, questa paterna


sollecitudine amorosa diventa un tormento che non lascia più in
pace Tanima; anche per designare tale stato, la S. Scrittura offriva
Pespressione adatta: il Cantico dei Cantici, di cui il Cantico Spiri­
tuale è una eco fedele.
Come il motivo della croce vi sia in esso ripetuto e ribadito
insistentemente, verrà da noi dimostrato più dettagliatamente
in seguito.
Se è vero che come poeta trovava una ricca ispirazione dalle
brillantissime immagini del cantore dell’Antico Testamento, non
è meno vero che come teologo era in grado di attingere da un’altra
inesauribile fonte. L’anima diventa una cosa sola con Cristo,
giungendo a vivere della Sua vita: ma soltanto, nella dedizione al
Crocifisso, soltanto dopo che avrà battuto l’intera Via Crucis ac­
canto a Lui: è un concetto che in nessun luogo è espresso con
maggior chiarezza e precisione come nel messaggio di S. Paolo.
Questi infatti possiede una scienza della croce già ben sviluppata,
una teologia della croce che scaturisce dalla sua intima espe­
rienza.
« Cristo mi ha... mandato... ad evangelizzare, non in sapienza
di parole, ma perché non sia resa vana la croce del Cristo. Infatti
la parola della croce per quei che si perdono è una pazzia; ma
per chi si salva com’è di noi, è la virtù di Dio »...
« Poiché e i Giudei vogliono dei miracoli, e i Greci cercano la
sapienza; ebbene, noi annunziamo Cristo crocifisso, scandalo a’
Giudei, stoltezza per i Gentili, ma per quelli chiamati - siano
Giudei, siano Greci - Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio.
Giacché questa pazzia di Dio è più sapiente degli uomini e la
debolezza di Dio è più forte degli uomini » u).
Il vangelo di Paolo è proprio questo : la dottrina della Croce,
il messaggio ch’egli annuncia ai Giudei e ai Gentili. Si tratta
d’una testimonianza lineare, senza alcun artifìcio oratorio, senza
alcuno sforzo di convincere facendo leva su argomenti di ragione.
Essa attinge tutta la sua forza da ciò che annunzia. Ed è la Croce
di Cristo, ossia la morte di Cristo in croce, lo stesso Cristo croci­
fisso. Cristo è la potenza di Dio, la sapienza di Dio non soltanto
perché inviato di Dio, Figlio di Dio e Dio lui stesso, ma precisa-
mente perché Crocifisso.
Infatti la morte di croce è il mezzo di redenzione prescelto 12

12) I Cor., 1, 17 e 22, 24 (Trad. Ricciotti - Ed. Salani 1955).


38 Parte prima - Il messaggio della Croce

dall’insondabile sapienza di Dio. Per dimostrare che la forza e la


sapienza umana non sono assolutamente all’altezza di operare la
redenzione, Egli dà forza redentiva a colui che - misurato su
scala umana - appare debole e pazzesco; a colui che non vuol
essere nulla per conto suo, ma lascia invece agire in se stesso la
forza di Dio; a colui che « sJé annientato » da sé « facendosi obbe­
diente fino alla morte in croce » 13 *).
La forza redentiva: è il potere di risvegliare alla vita coloro
nei quali la vita divina era stata uccisa dal peccato. Tale energia
redentiva della croce è implicita nel verbo della Croce, ma attra­
verso questa parola investe tutti coloro che raccolgono aprendosi
alla sua azione, senza esigere né miracoli né ragioni di sapienza
umana; in loro, essa si trasforma in quella energia radiante vitale
e formativa che noi abbiamo già designato col nome di Scienza
della Croce. E’ lo stesso Paolo che l’ha perfettamente formulata:
« Ma io per seguire la legge son morto... alla Legge, per vivere
a Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e vivo non più io, ma vive
in me Cristo, e quel che vivo nella carne, vivo nella fede che ho
nel Figliuol di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per
me »] 4).
Nei giorni in cui era notte attorno a lui, ma la luce brillava
nella sua anima, rinfiammato zelatore della Legge aveva ricono­
sciuto che l’antica Legge non era che una guida sulla strada che
conduceva a Cristo. Essa poteva preparare Tavvento della vita, ma
non poteva affatto darla. Cristo s’era addossato lui stesso il giogo
della Legge, osservandola e adempiendola perfettamente, tanto
da morire per la Legge e vittima della Legge. Nello stesso tempo,
tuttavia, Egli ha esonerati dalla Legge tutti quelli che avrebbero
accettata la vita da Lui. I quali però avrebbero potuto riceverla
solo disfacendosi della propria. Infatti «quanti sono stati battez­
zati in Cristo, sono stati battezzati nella morte di Lui » 15). Essi si
immergono nella sua vita per divenire membri del suo corpo, e
sotto questa qualifica soffrire e morire con Lui; ma anche per
risuscitare con lui alla eterna vita divina.
Questa vita sorgerà per noi nella sua pienezza soltanto nel
giorno della glorificazione. Tuttavia, sin da adesso « nella carne »
noi vi partecipiamo, in quanto crediamo: crediamo che Cristo è
morto per noi, per dare la vita a noi. Ed è proprio questa fede che

13> Filip., 2, 7-8.


H) Gal, 2, 19-20.
15) Rotn., 6, 3 sgg.
IL II messaggio della S, Scrittura 39

ci fa diventare un tutto unico con Lui, membra collegate al capo,


rendendoci permeabili alle effusioni della sua vita. Così la fede
nel Crocifìsso - la fede viva, accompagnata dalla dedizione amorosa
- è per noi la porta d’accesso alla vita e l’inizio della futura gloria.
Per di più, la croce è il nostro unico vanto: «Quanto a me sia
lungi il gloriarmi d’altro che della croce del Signore nostro Gesù
Cristo, per la quale il mondo è stato per me crocifìsso, ed io pel
mondo » 16). Chi si è messo dalla parte del Cristo risulta morto
per il mondo, come il mondo risulta morto per lui. Egli porta
nel suo corpo le stimmate del Signore17 *); è debole e disprezzato
nell’ambiente degli uomini, ma appunto per questo è forte in
realtà, perché nelle debolezze risalta potentemente la forza di
Dio '*).
Profondamente convinto di questa verità il discepolo di Gesù
non solo abbraccia la croce che gli viene offerta, ma si crocifìgge
da sé : « I seguaci di Cristo hanno crocifìsso la carne con le sue
passioni e le sue concupiscenze » 19). Essi hanno ingaggiato una
lotta spietata contro la loro natura, per liquidare in se stessi la vita
del peccato e far posto alla vita dello spirito. E’ quest’ultima sola
quella che importa. La croce non è fine a se stessa. Essa, si staglia
in alto e fa da richiamo verso Talto. Quindi non è soltanto un’in­
segna - è anche l’arma potente di Cristo, la verga da pastore con
cui il divino Davide esce incontro all’infernale Golia, il simbolo
trionfale con cui Egli batte alla porta del cielo e la spalanca. Al­
lora ne erompono i fiotti della luce divina, sommergendo tutti
quelli che marciano al seguito del Crocifisso.

16) Gal., 6, 14.


17) Gal., 6, 17.
1S) 2 Cor., 12, 9.
19) Gal, 5, 24.
CAPITOLO TERZO

II Sacrificio della Messa

Il morire con Cristo sulla croce per risorgere con Lui, si tra­
duce in una realtà - per ogni fedele e specialmente per ogni sacer­
dote - nel Sacrificio della Messa. In base ai dati della fede, esso è
il rinnovamento del Sacrificio della Croce. In chi lo celebra o vi
partecipa con fede viva, si verifica esattamente quello che è acca­
duto sul Golgota. Giovanni ha servito Messa fin da bambino,
ed è fuor di dubbio avrà fatto lo stesso anche nelPOrdine, sino
alla sua consacrazione sacerdotale. Sappiamo dalle testimonianze
concernenti la sua vita che la sola vista di un crocifisso bastava
per mandarlo in estasi. Ora, come deve averlo rapito il sacrificio
vero e reale, sia da chierichetto, sia allorché più tardi lo ebbe lui
stesso a celebrare!
Sulla sua Prima Messa siamo ben informati. La celebrò nel
convento di S. Anna a Medina del Campo nel settembre 1567,
forse durante l’ottava della Natività di Maria, presenti sua madre,
suo fratello maggiore e famiglia. Un santo timore Paveva dap­
prima fatto indietreggiare di fronte alla sacra Ordinazione, e sol­
tanto l’obbedienza e le rimostranze dei superiori erano riuscite
a farlo ritornare sulle sue decisioni. Adesso però, mentre stava
per iniziare il S. Sacrificio, il pensiero della sua indegnità tornava
a farsi vivo, acutamente vivo, risvegliando in lui un ardente strug­
gimento di essere assolutamente puro per toccare il Santissimo
con mani immacolate. Così sboccia dal suo cuore la preghiera che
il Signore voglia proteggerlo al punto da non giungere mai ad
offenderlo mortalmente. Era disposto a sopportare la pena di tutti
i peccati nei quali sarebbe caduto senza l’aiuto di Dio, pur di non
commettere la colpa. Alla consacrazione egli percepì queste pa­
role: «Ti accordo quanto mi chiedi». Da allora fu confermato
in grazia, ottenendo la purezza di cuore d’un bambino di due
anni!). Esser puro da ogni peccato eppur sentirne ugualmente il
x) Cfr. P. Bruno, Ioc, cit., p. 54 sg. e Vida del P. Gerardo de S. Juan de
la Cruz in E. Cr. I, 36 sg.
III. Il Sacrificio della Messa 41

dolore - non è forse trovarsi sullo stesso piano dell’Agnello imma­


colato, che si è addossato i peccati del mondo? Non è forse il
Getsemani e il Golgota insieme? L’impressionabilità davanti alla
grandezza sublime del S. Sacrificio certamente non s’è mai atte­
nuata in Giovanni. Sappiamo che a Baeza, una volta, colto da
un rapimento abbandonò l’altare senza finire la S. Messa. Una
persona presente gridò che avrebbero dovuto venire gli angeli
a terminare quella Messa, perché il S. Padre non si ricordava
affatto di non averla finita. A Caravaca, durante un’altra S. Messa,
lo si vide circonfuso da raggi di splendore che uscivano dall’Ostia
Santa. Egli stesso ebbe a confessare, confidenzialmente, di dover
rinunciare talvolta per più giorni alla celebrazione della S. Messa,
perché la sua natura era troppo debole e non ce la faceva a sop­
portare l’abbondanza delle celesti consolazioni2).
La Messa che più gli piaceva dire era quella della SS. Trinità.
Infatti esiste la più stretta connessione tra questo altissimo mistero
e il S. Sacrificio, che è stato istituito per decisione delle tre Divine
Persone, che si compie in loro onore aprendoci la strada verso
la loro vita in eterno fluire. Non possiamo nemmeno immaginare
quale profusione di lumi soprannaturali siano stati concessi al
Santo nel corso del suo ministero all’altare. E’ certo ad ogni modo,
che il suo progresso nella scienza della Croce, la sua graduale
misteriosa trasformazione nel Crocifìsso sono avvenuti in massima
parte mentre officiava alFaltare,

2) P. Bruno, ibìd., p. 225.


CAPITOLO QUARTO

Visioni della Croce

Con la parola, con l’immagine, con le funzioni liturgiche, il


messaggio della croce bussa e si presenta al cuore d’ogni uomo che
vive in ambiente cristiano, e naturalmente in modo ancor più
incisivo al cuore del sacerdote. Soltanto che non tutti sono così
idonei e pronti ad accoglierlo e a corrispondervi con la alacrità
d’un Giovanni della Croce. Non dimentichiamo poi, anche facendo
astrazione dalle specialissime grazie ricevute nel S. Sacrificio della
Messa, che a lui è stato comunicato in forma straordinaria. Il
Crocifisso gli è ripetutamente apparso in visione. Su due di queste
visioni abbiamo delle precise relazioni. Nelle sue opere, Giovanni
ha trattato di visioni, locuzioni e rivelazioni come di accessori non
essenziali della vita mistica. Anzi, ha sempre cercato di mettere
in guardia di fronte a tutto questo, perché vi è latente il pericolo
d’illusione; in ogni caso, si subisce un arresto sulla via dell’u­
nione, dando molto peso a tali fatti. Per di più egli è stato sempre
molto restìo a parlare della sua vita, sia esteriore che interiore. Se
ha accennato a queste due visioni, vuol dire che annetteva ad esse
un significato eccezionale. Infatti ad entrambe seguì poi nella sua
vita una raffica di persecuzioni e di sofferenze. Perciò non si va
molto lontani dalla realtà considerandole come autentici presagi.
La prima apparizione gli fu concessa ad Avila, nel convento
deirincarnazione, dove la S. M. Teresa l’aveva chiamato come
confessore delle monache. Un giorno, mentre egli era profonda­
mente assorto nella contemplazione del dolore patito da Gesù
in croce, gli comparve, in forma visibile agli occhi del corpo, il
Crocifisso, coperto di ferite e irrorato di sangue. L’apparizione
era stata così chiara, da permettergli di fissarla in un bozzetto a
penna, non appena ritornato in sé. Quel piccolo foglio ingiallito
è stato conservato fino ai nostri giorni nel convento della Incar­
nazione !). Il disegno fa un’impressione molto moderna. La croce
*) Una sua buona riproduzione si trova nel libro del P. Bruno a p. 136.
Anche le fonti dei rapporti sono riportate in quel volume.
IV. Visioni della Croce 43

e ii corpo sono rappresentati in potente scorcio, come visti di


prospettiva; il corpo in vigoroso movimento, fortemente staccato
dalla croce, appesantito tutto sulle mani (quelle mani, trapassate
da robusti chiodi di lunghezza sorprendente, sono particolarmente
espressive); la testa è inclinata in avanti, così che i tratti del viso
non sono discernibili, mentre invece si vede bene il collo e la
parte superiore del dorso coperti di livide striatine. Il Santo aveva
regalato il foglietto a Sr. Anna Maria dì Gesù confidandole il
suo segreto. (La cosa è ben comprensibile, poiché il Signore stesso
aveva comunicato a quest’anima uno dei suoi più intimi segreti:
la grazia che gli era stata concessa durante la prima S. Messa).
Non sappiamo se il Salvatore gli abbia anche parlato, nel mo­
mento in cui egli si inchinava così profondamente in avanti da
sembrare staccarsi dalla croce. E’ certo però che si verificò in
queiristante un muto ma infiammato colloquio cuore a cuore. Si
era nel periodo immediatamente precedente alle lotte dei Calzati
contro la Riforma; lotte delle quali Giovanni più ancora degli
altri sarebbe stato la vittima.
La seconda apparizione ebbe luogo a Segovia, verso la fine
della sua vita. Egli aveva chiamato là il suo amato fratello Fran­
cisco. E’ a lui che dobbiamo il seguente ragguaglio: « ...Saranno
stati due o tre giorni che ero là, quando gli domandai di lasciarmi
partire. Mi rispose che mi fermassi ancora alcuni giorni perché
non sapeva se ci saremmo più riveduti. E fu Tultima volta che lo
vidi. Una sera, dopo cena, mi prese per mano e mi condusse in
giardino, e allorché fummo soli mi disse: «Voglio confidarti una
cosa che mi è capitata con nostro Signore. Nel convento avevamo
un Crocifisso2) e un giorno - trovandomici davanti - mi sembrò
che sarebbe stato molto più convenientemente collocato in chiesa.
Era mio desiderio che fosse venerato non soltanto dai frati ma
anche dalla gente di fuori. Feci dunque come mi era venuto in
mente. Dopo che lo ebbi sistemato in chiesa nel posto più conve­
niente che potei trovare, mentre un giorno mi trovavo in preghiera
davanti ad esso, mi indirizzò queste parole: Fra Giovanni, doman­

2) P. Bruno pensa che si trattasse di un Cristo in atto di portar la croce,


dipinto su cuoio (Vie d'Amour de Saint Jean de la Croix, Paris 1936, p. 238).
Egli ha riprodotto questa immagine nel libro Saint Jean de la Croix (p. 336). Ma
ii Santo avrebbe davvero adoperato la parola crucifijo, per designare una imma­
gine di quel genere?
44 Parte prima - Il messaggio della Croce

dami quel che vuoi che ti accordi per il servizio che mi hai reso!
Ed io gli dissi per parte mia : Signore, quel che voglio è che Tu
mi dia dei patimenti da sopportare per Te, e che io sia disprezzato
e contato per nulla » 3).
Allorché Giovanni espresse questo desiderio, la sua situazione
era precaria a tal punto che Tadempimento della richiesta avrebbe
già potuto dirsi effettuato in base alle pure circostanze naturali
del momento. Alla testa del Carmelo Riformato stava allora in
qualità di Provinciale Nicolò Doria, Tuomo troppo focoso e ze­
lante che voleva improntare alle sue idee l’opera di Teresa. Gio­
vanni difese con decisione l’eredità della S. Madre e le vittime del
fanatismo: il P. Gerolamo Graziano e le Carmelitane. Il 3 Maggio
1591 si apri a Madrid il Capitolo degli Scalzi. Prima di avviarvisi,
il Santo prese congedo dalle Carmelitane di Segovia. La Priora,
Maria della Incarnazione, esclamò piena di entusiasmo: «Padre,
chi sa se Vostra Reverenza non ne uscirà Provinciale di questa
provincia? ».
— « Mi si getterà in un angolo come uno straccio vecchio,
come uno strofinaccio da cucina » - fu la risposta. E così avvenne
in realtà.
Egli non solo non ottenne nessun incarico, ma venne relegato
nella solitudine de La Penuela. Là gli arrivarono gli echi dei

3) Tomds Perez de Molina ha trascritto la deposizione di Francesco sotto sua


dettatura, dato che egli non sapeva scrivere. A suo ricordo le parole suonavano
cosi: « Signore, che tutti mi disonorino e non facciano nessun conto di me per
amor Vostro » (Cfr. Vie d'Amourj p. 239). Abbiamo riportato tutto il racconto
alla lettera, per quanto ci è stato possibile, per non intaccare minimamente la
sua commovente semplicità e nello stesso tempo per mettere in rilievo l’intimità
esistente tra i due fratelli. Furono sempre strettamente uniti, per tutta la vita.
AH’inizio della Riforma Giovanni aveva chiamato a Durvelo sua madre e suo
fratello con la moglie, per sbrigare le faccende di casa. La madre badava alla
cucina, la cognata lavava la biancheria, il fratello spazzava le celle. A prima vista
ciò può sorprendere, trattandosi di un Santo che inculcava così severamente il
distacco da tutte le creature. In realtà non c’è nessuna contraddizione. Se Giovanni
faceva così, vuol dire che poteva bene permetterselo: egli non considerava come
un intralcio alla vita contemplativa il fatto di essere insieme ai suoi cari. I loro
rapporti erano stati sollevati, probabilmente sin dalla più tenera età, ad uno
stadio di soprannaturalità tale da non rappresentare più alcun ostacolo.
E quando il prossimo secondo il sangue è anche prossimo secondo lo spirito,
si crea una facilità d’intesa che è quasi una degustazione anticipata della beati­
tudine celeste.
Così si spiegano anche le confidenze vicendevoli tra i due fratelli.
IV. Visioni della Croce 45

soprusi ai danni delle Carmelitane. Venivano fatte oggetto di


interrogatori per raccogliere materiale incriminante contro di lui.
Si cercavano motivi per espellerlo dairOrdine. Non molto tempo
dopo, la sua ultima malattia lo costrinse ad abbandonare La Pe-
nuela, dove non era possibile avere alcuna assistenza medica. Così
egli arrivò airultima stazione della sua Via Crucis: Ubeda. Co­
perto di piaghe in suppurazione, egli trova nel Priore, P. Francisco
Crisòstomo, un avversario spietato che colmerà la misura della
sua brama di spregi e maltrattamenti.
La vetta del Golgota è raggiunta.
CAPITOLO QUINTO

Il Messaggio della Croce

Esiste ancora una terza prova che Giovanni ha ricevuto


straordinarie impressioni dalle immagini della Croce ]). E proba­
bilmente ciò è accaduto molto più frequentemente di quanto ci è
espressamente attestato. Noi qualifichiamo tutte queste impres­
sioni come messaggi che lo hanno animato e preparato a portar
la sua croce. Tutto ciò, quindi, che simbolicamente noi compren­
diamo sotto il nome di Croce, tutte le sofferenze e i dolori della
vita, devono essere annoverati anch’essi sotto il denominatore co­
mune di messaggio della croce, perché è da qui che si attinge la
più profonda scienza della croce.
Il Santo aveva sin dalla sua prima infanzia imparato a cono­
scere il dolore e l'afflizione. La prematura morte del padre la
lotta della madre per procurare il pane quotidiano ai suoi figli,
i suoi continui e sempre vani tentativi di contribuire almeno
in qualcosa al mantenimento della sua famiglia; tutto questo deve
aver lasciato una profondissima traccia nel suo tenero cuore di
bambino, ma nessuno ce ne dice niente. Altrettanto poco sappiamo
circa il modo con cui superò la crisi spirituale nei primi anni
della sua vita religiosa.
Per quanto riguarda il periodo più tardivo invece, esistono
delle relazioni che permettono di gettar qualche sguardo sulla
sua vita interiore. Una sera Giovanni arrivò ad Avila al suono
dell’Angelus, proveniente dalla chiesa del convento dove era stato
a confessare, e imboccò la viuzza conducente alla casetta che abi­
tava insieme al suo compagno P. Germano. Improvvisamente un
uomo si gettò su di lui caricandolo di bastonate, al punto da farlo
stramazzare a terra (Era la vendetta d’un innamorato, cui egli
aveva strappato la preda). Quando raccontò quest’avventura, egli
aggiunse di non aver mai provato una simile consolazione in
tutta la sua vita : era stato trattato come lo stesso Salvatore e aveva
sperimentato la dolcezza della croce. 1
1) Cfr, P, Bruno, Saint Jean, p. 329.
V. II messaggio della Croce 47

Una straordinaria occasione di sperimentarla gli fu offerta


dal periodo di prigionia subito a Toledo. Il Santo, dopo aver
gettate le basi della Riforma a Durvelo, si era trasferito, con la
sua Comunità, che andava ormai crescendo, a Mancera; indi
aveva esplicato la sua attività al Noviziato di Pastrana, giungendo
infine a dirigere la prima casa di studio dell’Ordine al Alcalà*
Nel 1572 la S. Madre lo richiamò ad Avila, per assisterla in un’im­
presa molto diffìcile. Essa aveva ricevuto l’ingiunzione di tornare
in qualità di Priora nel Convento deU’Incarnazione da cui si era
staccata; pur mantenendo in vigore la regola mitigata, avrebbe
dovuto eliminare le gravi irregolarità introdottesi nel monastero,
indirizzando la grossa Comunità ad una vita veramente spirituale.
Le era sembrato quindi indispensabile provvedere ad affiancarsi
dei buoni confessori. E non ne poteva trovare uno più adatto di
Giovanni, di cui conosceva la vasta esperienza nel campo della
vita interiore. Dal 1572 al 1577 egli dunque lavorò qui, con gran­
dissimo profitto delle anime. Mentre egli si prodigava nell’ombra,
l’opera della Riforma si espandeva sempre più facendo passi da
gigante. La S. Madre passava da una fondazione all’altra. Ed
erano sorti anche nuovi conventi di religiosi riformati. Brillanti
personalità erano entrate nell’Ordine, prendendone in mano anche
la giurisdizione esterna: tra esse facevano spicco il P. Gerolamo
Graziano e il P. Ambrogio Mariano. Non privi di colpa da parte
loro, i Calzati - i Padri della Regola Mitigata - si sentirono toccati
sul vivo ed organizzarono una violenta controffensiva. Perché
poi la persecuzione si scagliasse anche contro Giovanni, la cui
attività era in quel momento meramente spirituale, infierendo
contro di lui con particolare accanimento, non tocca a noi inda­
garlo.
Sta di fatto che nella notte dal 3 al 4 dicembre 1577 alcuni
Calzati con un drappello di complici fecero irruzione nella casetta
dei due confessori delle monache, portandoli via prigionieri. Da
quel momento Giovanni sparì dalla circolazione.
La S. Madre venne sì a sapere che era stato il P. Maldonado
a toglierlo di mezzo. Ma dove fosse finito lo si seppe soltanto 9
mesi dopo, a liberazione avvenuta. Era stato condotto, ad occhi
bendati, attraverso un sobborgo deserto, nel Convento di N. S. di
Toledo, il più importante che i Mitigati possedevano in Castiglia.
Sottoposto a interrogatorio, siccome rifiutava di abbandonare la Ri­
forma, venne trattato come un ribelle. La sua prigione consisteva
in uno stambugio di 10 piedi per 6 (m. 3 x 2 ) « nel quale, pur
essendo così piccolo di statura, riusciva a malapena a stare in
48 Parte prima - Il messaggio della Croce

piedi » - scriverà in seguito Teresa2). Questo bugigattolo non


aveva né finestre né aperture d’areazione, eccettuata una feritoia
in cima alla parete. Il prigioniero « per poter recitare il breviario
doveva montare in cima allo sgabello che gli serviva da inginoc­
chiatoio e aspettare che un raggio di sole cadesse di riverbero sul
muro » 3). La porta era assicurata da un catenaccio esterno. Quando
poi nel marzo 1578 era giunta la notizia che P. Germano era
fuggito, venne chiusa a chiave anche la sala antistante la cella del
carcerato.
Dapprima ogni sera, poi tre volte alla settimana e infine
saltuariamente ogni venerdì, il prigioniero veniva condotto in
refettorio, dove - seduto per terra - gli si dava da mangiare pane
e acqua. In refettorio riceveva anche la disciplina. Si inginocchiava,
denudato fino alla cintura, con la testa piegata in avanti; tutti gli
sfilavano accanto picchiandolo con una verga.
Dato che sopportava tutto « con pazienza ed amore » lo si
chiamava « lima sorda ».
Però egli si mostrava « immobile come una roccia » quando
gii si domandava di rinunciare alla Riforma, promettendogli per­
sino un priorato come esca. Allora schiudeva le sue labbra silen­
ziose, affermando che non sarebbe tornato più indietro, « dovesse
costargli la vita ».
I giovani novizi, testimoni di tali oltraggi e brutali angherie,
piangevano di compassione, dicendo ammirati della sua infinita
pazienza : « E’ un santo » 4). Il suo abito, per effetto delle flagel­
lazioni, era tutto intriso di sangue - ma egli doveva rimetterselo
com’era, tenendoselo così per tutti i 9 mesi della sua prigionia.
Si può immaginare quanto ne abbia avuto a soffrire durante gli
infuocati mesi estivi. Il cibo che gli si portava provocava a lui
tali sofferenze da indurlo a pensare che lo si volesse avvelenare.
Ad ogni boccone emetteva un atto di carità, per sfuggire alla
tentazione di calunniare i suoi carnefici.
Sappiamo quanto strettamente si sentisse legato a suoi parenti.
S’era anche dedicato con tutto il cuore all’Opera della Riforma,
alla S. Madre e a tutti quei molti altri che, unitisi a lui in questa
grande impresa, avevano come lui consacrata la vita - in massima

2) 247° Tetterà, dell’agosto 1578, diretta al P. Gerolamo Graziano. [Cfr. S.

Teresa di Gesù - Lettere - Roma, Postulazione O. C. D., 1957].


3) Gerolamo di S. Giuseppe, Hìstoria del V. P, Juan de la Cruz, Madrid,

1641, lib. Ili, cap. 7.


4) Cfr. le fonti citate da P. Bruno, Saint Jean, p. 407 sgg.
V. Il messaggio della Croce 49

parte sotto le sue personali direttive - all’ideale del Carmelo pri­


mitivo.
Più tardi, allorché il dovere lo trattenne per tanti anni in
Andalusia egli ebbe a dar aperto sfogo alla sua nostalgia della
Castiglia e della cerchia dei suoi fedeli : « Da quando quella
balena m’ha ingoiato e vomitato su questa lontana spiaggia, non
mi è più stata concessa la gioia di rivederla e nemmeno i santi
che vivono là » 3).
Ed ora egli era così tagliato fuori da tutti, da non poter dar
loro notizia di sé per mesi e mesi. « In certi momenti mi angu­
stiavo pensando si potesse dire di me che avevo voltato le spalle
al lavoro intrapreso, e immaginavo il dolore della S, Madre » 5 6).
Poi vennero delle privazioni ancor più dolorose.
Il 14 agosto 1578, il Priore Maldonado capitò nel suo carcere
assieme a due altri frati. Il prigioniero era così debole da potersi a
malapena muovere. Non alzò nemmeno gli occhi, credendo fosse
entrato il suo carceriere. Il Priore gli diede un calcio, doman­
dandogli perché non si alzasse in piedi alla sua presenza. Avendo
egli chiesto scusa e assicurato che non s’era accorto chi fosse en­
trato, il P. Maldonado gli chiese : « A che pensava, da esser così
assorto? » - Pensavo che domani ricorre la festa di N. Signora,
e mi sarebbe di gran consolazione poter dire la Messa » 7). Come
doveva essergli stato duro il non poter mai celebrare il S. Sacri­
ficio per nove eterni mesi] Lo stesso giorno del Corpus Domini,
in cui aveva un tempo l’abitudine di inginocchiarsi per delle ore
in preghiera davanti al Santissimo, dovette passarlo senza Messa
e anche senza Comunione.
Essere dato, indifeso, in balìa di acerbi nemici, torturato nel
corpo e nell’anima, privato di ogni consolazione umana e persino
di quelle sorgenti di energia vitale che sono i sacramenti della
Chiesa: poteva esserci una scuola della Croce più dura di questa?
Eppure la sua sofferenza più tremenda non stava nemmeno qui.
Tutto ciò infatti non avrebbe mai potuto strapparlo dalla triplice

5) Lettera a Caterina de Jesus, da Baeza in data 6 VII 1581; E. Crii., Ili,


79. La S» Madre si rivolse in favore suo anche al P. Graziano, per ottenere lo si
richiamasse in Castiglia.
(Lettera 359 da Palencia, diretta al P. Gerolamo Graziano, 23 o 24 marzo
1581).
6) Così confidò egli in seguito alla Sr. Anna di S. Alberto (P. Bruno, Saint

Jean, p. 174).
7) Si ebbe una risposta brutalmente negativa, ma la Madonna gli venne

immediatamente in aiuto di persona.


Cfr. P. Bruno, Saint Jean, p. 183 sgg.

4. - Scientia Crucis.
50 Parte prima - Il messaggio della Croce

sorgente di cui si sentiva sicuro nella fede8). Il suo spirito non era
incarcerato: poteva ancora innalzarsi a quella fonte che sgorga
perenne, immergersi nel suo insondabile abisso, in quei flutti che
saziano tutto il creato e quindi anche un cuore come il suo.
Nessuna potenza umana l’avrebbe potuto separare dal suo Dio:
ma Dio stesso poteva ritrarsi da lui. E* questa l’oscurissima notte
che il prigioniero ha provata per esperienza nel suo carcere.

^ « Adonde te escondiste, « Dove ti sei nascosto,


« Amado, y me dejaste con gemido? » «o Amato, lasciandomi in pianto?

Questo il grido di dolore deH’anima che è echeggiato nella


segreta di Toledo9).
Non abbiamo testimonianze che ci indichino quando Gio­
vanni abbia conosciuta la prima volta la dolcezza della presenza
di Dio. Malgrado ciò, tutto sta ad indicare che la vita mistica è
dovuta cominciare in lui molto presto. Pur di trovarsi libero per
Dio, egli si era staccato dai suoi cari, aveva rinunciato alla carriera
degli studi, giungendo sino ad abbandonare il convento del suo
paese. Liberare altre anime per Dio e guidarle sulla via dell’u-
nione fu il compito da lui esplicato ad Avila : tutta la sua attività
nell’Ordine si ridusse a questo. Fu per questo ideale ch’egli ebbe a
soffrire le pene dell’incarcerazione. Aveva accolto con gioia malat­
tie e maltrattamenti, tutto per amore del suo Dio. Ed ecco che ora
la soave luce sembrava essersi spenta nel suo cuore: Dio lo aveva
lasciato solo. Era questo il dolore più lancinante, di fronte al quale
nessuna sofferenza terrena poteva reggere al paragone. Eppure
ciò costituiva da parte di Dio la prova suprema d’un amore ecce­
zionale. Pareva conducesse alla morte, mentre era la strada verso
la vita.
Nessun cuore umano è mai piombato in una notte così oscura
come quella che avvolse l’Uomo-Dio nel Getsemani e sul Golgota.
Nessuno spirito umano, per avido di ricerca che sia, potrà mai
penetrare nelhimmenso mistero dell’abbandono divino da cui fu
afflitto TUomo-Dio alle soglie della morte. Ma Gesù può dar modo

8) Cfr. La poesia Qué bien sé yo la fonte... [Conosco bene la fonte], E.


Crit., III, p. 172 sgg. Il P. Gerardo ammette che questo poema - tranne alcune
strofe aggiunte più tardi - sia nato nella prigione.
9) Cfr. l’introduzione al Cantico Espìritual - E. Crit., Il, 137 sgg. Le strofe

del canto (Er Crit., II, p. 161 sgg. e III, p. 158 sgg.) in questo stesso libro, parte
11% § 3, 2».
V. Il messaggio della Croce 51

a certe anime elette di provare almeno parzialmente questa estrema


amarezza. Sono i suoi amici più fedeli, ai quali chiede l’ultima
prova del loro amore. Se essi non indietreggiano, ma si lasciano
trascinare volentieri nella notte oscura, quest’amore diventa la
loro guida:
« O notte che m’hai guidata,
« O notte più amabile dell’aurora;
« O notte che hai congiunto
« L’Amato con l’Amata,
« L’Amata trasformata nell’Amato! 10).

Questa è la grande esperienza della croce da lui fatta a To­


ledo: estremo abbandono e, proprio in mezzo a quest’abbandono,
l’unione col Crocifìsso. Così si comprende forse il fatto che testi­
monianze concernenti il tempo della sua prigionia sembrino suo­
nare contraddittorie n). Ci si dice da un lato che egli non ha mai
o ben raramente provata qualche consolazione, che egli ha sof­
ferto nel corpo e nell’anima; mentre dall’altro si afferma che una
sola delle grazie da lui ottenutevi da Dio non si riuscirebbe a
pagarla nemmeno con anni e anni di carcere.
Dimostreremo più diffusamente in seguito come l’anima
giunga - precisamente mediante l’esperienza della sua nullità e
della sua impotenza provata nella notte oscura - a conoscere vera­
mente se stessa e ad essere illuminata sulla smisurata grandezza
e santittà di Dio; come essa venga quindi purificata, corredata di
virtù e preparata per TUnione.
Ora, queste son tutte grazie così preziose da non aver alcuna
contropartita che le paghi abbastanza care: noi possiamo quindi
ben capire come Giovanni, dopo la sua fuga dal carcere conclusasi
presso le Carmelitane di Toledo, abbia potuto parlare dei suoi
carnefici come di grandi benefattori.
Ma dato che egli, nella stessa occasione, ebbe ad assicurare di
non aver mai goduto una abbondanza di luce e di consolazione
soprannaturale paragonabile a quella avuta in prigionia, dobbiamo
anche ammettere che egli abbia là oltrepassati i limiti delle grazie
incluse nella sofferenza.
Persino le strofe della Notte Oscura e del Cantico Spirituale,
che sono nate in carcere, stanno ad attestare una unione beati­
ficante. Croce e notte sono la strada che guida alla luce del cielo:
ecco il lieto messaggio della croce.

10) Notte Oscura (E, Crit., Ili, p. 157 sgg.) str. 5.


1X) P. Bruno, Saint Jean, p. 179.
CAPITOLO SESTO

Significato del messaggio della Croce

Abbiamo esaminato per quali vie il messaggio della Croce sia


potuto arrivare a Giovanni. I capitoli seguenti ci mostreranno co­
me questo messaggio abbia influito sulla dottrina e sulla vita del
nostro Santo. A tal fine è necessario avere chiaro davanti agli oc­
chi il contenuto del messaggio, sia pure condensato in un breve
schema abbozzato a grandi linee.
« Quanto stretta è la porta e angusta la vìa che conduce alla
vita e pochi son quelli che la trovano » (Mt. 7, 14).
In questo passo non si può sottovalutare quale peso e quale ac­
cento venga messo sulla particella quanto. E’ come ci si dicesse: è
veramente stretta, più stretta di quello che pensate...
Questa via che s’inerpica verso Talto monte della perfezione
è transitabile soltanto a viaggiatori non onerati da gravami che
tendono a trascinarli in basso... E siccome il fine da cercare e rag­
giungere in questa marcia è unicamente Dio, non si può far
altro che cercare Dio e puntare su di Lui... Ora, dato che il Si­
gnore ha voluto additarci questa via, ci ha anche offerto... quel
mirabile insegnamento, inspiegabilmente tanto meno praticato
dalle anime spirituali quanto più sarebbe loro necessario... « Se
qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la
sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la per­
derà; e chi perderà la sua vita per amor mio... la salverà! » (Me.
8, 34-35). Oh! chi potrebbe far capire, praticare e apprezzare il
significato di questo altissimo insegnamento ?... Estromissione d’o-
gni dolcezza in Dio... aridità, disgusto, fatica... il che è la pura
croce spirituale, la nuda povertà dello spirito di Cristo... Perché
il vero spirito cerca in Dio ciò che urta il gusto prima di ciò che
lo asseconda. Esso tende più alla sofferenza che alla consolazione,
più alla rinuncia ad ogni bene che al possesso, più all’aridità e
alle afflizioni che alle dolci comunicazioni, ben sapendo che ciò
significa seguire Cristo, negando se stessi, mentre l’altra maniera
di agire non è che un ricercare se stessi in Dio... Cercare Dio in
VL Significato del messaggio della Croce 53

Dio vuol dire... tendere a scegliere per amore di Cristo proprio


quello che c’è di più insipido, sia per quanto riguarda Dio che
per quanto riguarda il mondo».
La rinuncia voluta dal Salvatore « deve essere una morte e
una distruzione di tutto ciò che la volontà apprezza nel campo
temporale, naturale e spirituale ». Però chi porta la croce in questo
modo, arriva anche a capire che essa è un « giogo soave » e un
« peso leggero » (Mt, 11, 30), perché « troverà in tutte le cose gran­
de sollievo e molta dolcezza ».
« Appena l’anima sarà giunta, nella più profonda umiltà, ad
essere formalmente annichilita, la sua unione con Dio sarà un fatto
compiuto... Essa consiste infattti... unicamente in una viva morte
di croce sia nel settore sensibile come in quello spirituale, esteriore
ed interiore » *).
E non può accadere altrimenti perché in base al meraviglioso
piano salvifico di Dio, Cristo « redime l’anima e se la sposa con
gli stessi mezzi coi quali la natura umana è stata abbattuta e rovi­
nata: come infatti nel Paradiso terrestre la natura umana fu rovi­
nata e votata alla perdizione assaporando il frutto dell’albero proi­
bito, così essa fu da Dio redenta e riabilitata mediante l’albero
della croce » 2).
Se vuol essere partecipe della sua vita, dovrà passare con Lui
attraverso la morte in croce, come Lui crocifiggendo la propria
natura con una vita di mortificazione e di rinuncia, abbandonan­
dosi ad una crocifissione piena di dolore e foriera di morte, come
Dio disporrà o permetterà. Quanto più perfetta sarà tale crocifis­
sione attiva e passiva, tanto più intensa ne risulterà l’unione col
Crocifisso e tanto più ricca la sua partecipazione alla vita divina.
In tali accenti possono dirsi sintetizzati i motivi conduttori
della Scienza della Croce. Ci si ripresenteranno continuamente man
mano che andremo analizzando la dottrina e seguendo le tappe
del nostro Santo. Avremo la dimostrazione che essi sono le forze
attive più profonde che abbiano improntato la sua esistenza e la
sua opera.

3) Salita del Monte Carmelo, lib. 2, cap. 7 - E. Crii,, I, 120 sgg.


2) Cantico spirituale, commento alla str. 23 - E. Crii., II, 282.
PARTE SECONDA

LA DOTTRINA DELLA CROCE


INTRODUZIONE

Giovanni della Croce Scrittore

Se si vuol arrivare a capire la dottrina di S. Giovanni della


Croce sin nelle sue più intime radici, bisogna innanzitutto rendersi
conto deH’originalità, anzi della specializzazione dei suoi scritti,
della loro origine e delle loro vicende.
Siccome la S. Chiesa ha elevato il Santo alla dignità di Dot­
tore della Chiesa, chiunque voglia essere edotto - nel quadro della
dottrina cattolica - sui problemi della mistica, deve indirizzarsi a
lui. E anche fuori della Chiesa cattolica, egli è considerato come
un genio trascinatore, come una delle guide più sicure alle quali
non può mancare di appellarsi chiunque desideri onestamente pe­
netrare a fondo nel misterioso campo della vita interiore.
Eppure Giovanni della Croce non ha dato una formulazione
sistematica della mistica. Il suo intento di scrivente non era af­
fatto teoretico, benché egli fosse un teorico sufficientemente dotato,
sì da lasciarsi trasportare talvolta dalle circostanze concrete al di
là dello scopo che s’era prefìsso inizialmente. Ciò ch’egli aveva di
mira era propriamente questo : « condurre per mano » (come di­
ceva di se stesso YAreopagita)]), ossia completare attraverso gli
scritti la sua opera di direttore di anime.
Purtroppo non tutto ciò ch’egli ha scritto ci è pervenuto. Tut­
to ciò ch’era stato redatto prima della sua prigionia è stato di­
srutto, da lui o da altri. Anche la sua seconda persecuzione (subita
all’interno della Riforma) ci ha tolto parecchio, p. es. i preziosi
appunti presi dalle Carmelitane durante le sue istruzioni orali.
Delle sue lettere ce ne è stata conservata appena una minima
parte. E dei quattro voluminosi trattati rimastici - Salita al Monte
Carmelo, Notte Oscura, Cantico Spirituale, Fiamma piva d’amore -
la Salita e la Notte ci sono pervenute incomplete * 2). Malgrado que­
ste lacune e i conseguentemente numerosi insolubili problemi che

De dìvlnts nominibus, cap. II, parag. 2, Migne, P. Gr., Ili, 640.


2) Non ci addentriamo di proposito nella questione controversa se esse
siano rimaste così non finite oppure siano state mutilate in seguito.
58 Parte seconda - La dottrina della Croce

vi si ricollegano, in queirinestimabile tesoro che il nostro Santo


Padre ci ha lasciato in eredità, le idee chiave sono così limpide da
autorizzarci ad ottenere una risposta esauriente alla questione da
noi formulata.
Per quanto riguarda gli scritti giunti sino a noi, ne va ricerca­
ta l’origine al tempo della prigionia di Toledo. La fonte da cui
scaturiscono è l’esperienza intima. Beatitudine e gemito doloroso
di un cuore ferito e pieno di nostalgia di Dio trovano la loro
prima espressione nell’effusione lirica: le prime 30 strofe del
Cantico spirituale sono nate in carcere, e forse anche la poesia
della Notte Oscura che a sua volta sta alla base tanto dello scritto
di questo nome quanto della Salita3).
Giovanni le portò con sé uscendo dal carcere (solo fissate
nella memoria o scritte su un quaderno - le testimonianze non
concordano) e ne rivelò l’esistenza a un gruppo di intimi. Dobbia­
mo poi i commenti esplicativi all’insistente preghiera dei suoi
figli e delle sue figlie spirituali. In tali trattati l’esperienza misdca
viene trasferita dall’espressione del poeta in quella del pensatore
erudito nel campo filosofico e teologico, contrassegnata però da un
uso molto moderato del frasario scolastico e da un impiego invece
abbondante d’immagini tolte dalla vita. I dati fondamentali del­
l’esperienza vengono ulteriormente allargati: ciò che egli ha vis­
suto di persona viene completato con ciò che egli ha appreso in
qualità di maestro direttore di anime, scrutando profondamente
la vita interiore di altri. Questo lo mette al riparo dall’unilateralità
e nello stesso tempo da false generalizzazioni. Egli tien sempre
conto della grande varietà di vie possibili, come pure della soavità
e facilità di adattamento della grazia conduttrice alle condizioni
particolari d’ogni singola anima. Una sorgente sempre attiva di
insegnamento nel settore delle leggi che governano la vita inte­
riore è infine per lui la S. Scrittura. Egli vi trova la più sicura
conferma di quanto gli è già noto per esperienza intima. Dal
canto suo, l’esperienza personale gli apre lo sguardo facilitandogli
la percezione del senso mistico dei Libri Santi. Il vivido linguag­
gio immaginifico dei Salmi, le parabole del Signore, persino le
narrazioni storiche del Vecchio Testamento, tutto diviene per lui
trasparente, accordandogli una visione sempre più ricca e pro­
fonda dell’Unica cosa che gli interessa: il cammino delVanima
verso Dio e razione di Dio nell1 anima.

3) Anche altre poesie provengono dalla cattività, ma per il momento ci


interessano solo quelle che segnarono il punto di partenza per i trattati.
Giovanni della Croce Scrittore 59

Dio ha creato le anime umane per SE stesso. Egli desidera


riunirle a sé, nonché offrir loro la immensa pienezza e l’ineffabile
beatitudine della propria vita divina ancora in questa vita. Questo
è il fine a cui le guida e al quale esse da parte loro devono ten­
dere con tutte le forze. Ma la via per arrivare è stretta, erta e
faticosa. I più restano per strada. Pochi riescono a passare le tappe
preliminari, e solo uno sparutissimo numero raggiunge il traguar­
do finale. Colpa dei pericoli della strada; pericoli originati dal
mondo, dal perverso nemico, dalla nostra natura, ma ancora
dall’ignoranza e dalla deficienza di direzione appropriata. Le ani­
me non comprendono quel che accade loro; e difficilmente si trova
qualcuno che sia in grado di aprire loro gli occhi. Giovanni si
presenta loro come una saggia guida. Compatisce chi sbaglia
e soffre per l’opera di Dio che viene frustrata da simili ostacoli.
Egli vuole aiutarle ed è all’altezza di farlo, perché del misterioso
regno della vita interiore egli sa le strade e i sentieri. Non gli
è possibile dire tutto ciò di cui è al corrente; deve continuamente
frenarsi per non sorpassare i limiti dell’assunto.
Il Santo non ha scritto le sue opere per tutti. Certo non inten­
de escludere nessuno; ma sa molto bene di poter prevedere di es­
sere capito solo da una ristretta cerchia di persone, che hanno già
una certa esperienza di vita interiore. In primo luogo pensa ai
Carmelitani e alle Carmelitane, la cui vocazione precipua è la
orazione interiore. Ma egli sa anche che la grazia di Dio non è
vincolata a un abito religioso o alle mura di un convento. E’ in­
fatti ad una delle sue figlie spirituali « nel mondo » che siamo de­
bitori del suo libro sulla Fiamma viva d’amore.
Egli scrive quindi per le anime contemplative e le vuol pren­
dere per mano ad un punto ben determinato del loro cammino;
al bivio, in cui la stragrande maggioranza si ferma perplessa senza
saper più che fare. Sulla strada da esse battuta sinora si presen­
tano ora degli ostacoli insormontabili. D’altra parte la nuova via
che s’apre loro dinanzi si addentra in un’oscurità impenetrabile.
Chi ha il coraggio di avventurarvisi ? Il bivio di cui si tratta è
quello che si sdoppia dalla meditazione alla contemplazione. Fino
a questo momento nelle ore di meditazione si erano esercitate -
forse secondo il metodo ignaziano - le forze dell’anima: sensi,
immaginazione, memoria, intelletto, volontà. Ora però esse rifiu­
tano il loro servizio. Ogni fatica è vana. Gli esercizi spirituali,
invece di essere fonte di intima gioia, diventano un vivo tormento
insopportabile, arido e infruttuoso. E tuttavia non si sente alcuna
propensione ad occuparsi delle cose del mondo. L’anima preferi-
60 Parte seconda - ha dottrina della Croce

rebbe starsene li tranquilla, senza muoversi, lasciando riposare


tutte le sue facoltà. Però questo le sembra una specie di ozio e
uno sciupìo di tempo. Press a poco così succede neirànima allor­
ché Dio la vuol introdurre nella Notte Oscura.
Secondo il frasario usuale cristiano, un tale stato' vien chia­
mato « una croce ». Abbiamo già accennato sopra come Croce e
Notte abbiano degli elementi in comune. Tuttavia la vaga consta­
tazione di una certa affinità di significato non ci aiuta poi gran
che.
Negli scritti del S. Padre Giovanni si parla a più riprese della
importanza della croce, con tale insistenza da giustificare appieno
la nostra affermazione che si può considerare la sua vita e la
sua dottrina come una scienza della croce. Ma si tratta di passi
relativamente poco numerosi. Il simbolo predominante, sia nelle
sue poesie come nei suoi trattati, non è la croce bensì la Notte:
nella Salita e nella Notte esso costituisce il tema centrale : nel Can­
tico e nella Fiamma d'amore (che trattano principalmente dello
stato che sta al di là della notte), il simbolo riecheggia ancora 4).
E’ necessario quindi - se si vuol afferrare il significato della croce
in Giovanni - rendersi esattamente conto dei rapporti intercorrenti
tra croce e notte.

4) Non meno significativo è il simbolo della « sposa »; ma qui non entra in

gioco. Se ne tratterà diffusamente commentando il Cantico Spirituale.


CAPITOLO PRIMO

ha Croce e la Notte (Notte dei sensi)

1. - Distinzione inerente al carattere stesso del simbolo:


segno rappresentativo ed espressione cosmica.
Dobbiamo innanzi tutto chiederci se croce e notte siano dei
simboli sullo stesso piano letterale. Questa parola è stata usata con
significati assai diversi. Talvolta viene presa in un senso molto
largo, così da comprendervi tutto ciò che cade sotto i sensi, me­
diante cui però si designa qualcosa di spirituale; oppure tutto ciò
che è noto per esperienza naturale, mediante cui però si allude a
qualcosa di sconosciuto o magari a qualcosa di non sperimentabile
dalla conoscenza naturale. In questo senso lato, sia la croce che la
notte possono chiamarsi simboli. Ma non appena consideriamo la
distinzione tra segno e figura, si presenta un contrasto. La figura -
intesa come immagine - richiama la cosa figurata per intrinseca
somiglianza: chi la vede viene da essa immediatamente riportato
all’originale, che egli vi riconosce o che v’impara a conoscere. Tra
il segno e la cosa designata invece non è necessaria una conformità
sostanziale. Il rapporto esistente tra loro è fissato su una base
arbitraria: quindi per capire il segnale bisogna conoscere prima
questa base. La croce evidentemente non è affatto una figura in
senso proprio. (Quando si dice che è un emblema (Sinnbild) ciò
non significa poi molto più della parola simbolo nel senso lato
sopra descritto : una cosa intuitiva., che richiama a un senso sovrap­
posto ad essa). Tra la croce e il dolore non esiste una somiglianza
immediatamente percepibile, ma non c’è nemmeno una relazione
puramente arbitraria. La croce ha acquistato la sua importanza at­
traverso la sua storia. Essa non è un oggetto fatto da madre natura;
bensì un ordigno fabbricato, congegnato dalle mani degli uomini
e adoperato per uno scopo ben preciso. Come strumento ha rap­
presentato nella storia una parte di incomparabile importanza. Di
questa parte da essa sostenuta, chiunque viva in ambiente cristiano
ne sa qualcosa. Ecco perché la croce richiama immediatamente,
62 Parie seconda - La dottrina della Croce

solo lasciando libero corso all’intuizione, la folla di sensazioni che


vi è unita. E’ quindi un segno sì, ma un segno speciale a cui il
significato non è aggiunto artificialmente, ma gli deriva veramente
a causa della sua azione e della sua storia. La forma visibile richia­
ma la vasta gamma di sentimenti e di idee in mezzo alle quali si
erge. Siamo quindi a posto chiamandola un emblema.
La notte invece è qualcosa di naturale: il contrario della luce
che avviluppa noi e tutte le cose. Nemmeno essa è un oggetto in
senso letterale: non si oppone a noi e non sussiste per se stessa,
Non è neppure un 'immagine, se si intende parlare d’una forma
visibile. E’ invisibile e inafferrabile. Eppure la percepiamo bene,
anzi ci è molto più congeniale di tutte le altre cose e figure, è
molto più strettamente legata al nostro essere. Come la luce fa
risaltare le cose con le loro caratteristiche visibili, così la notte le
inghiottisce, minacciando di inghiottire anche noi. Ciò che s’im­
merge in essa non è annientato; continua ad esistere, ma indi­
stinto, invisibile e informe come la notte stessa, oppure sotto
forma di ombre, di fantasmi e quindi gravido di minaccia. Inoltre
il nostro essere non è minacciato soltanto esteriormente dai peri­
coli in agguato nella notte, ma colpito anche interiormente dalla
notte in se stessa. Ci toglie l’uso dei sensi, ci blocca i movimenti,
ci paralizza le energie, ci confina nella solitudine, riducendo anche
noi ad ombre e a fantasmi vaganti nel buio. E’ quasi un presagio
della morte. Tutto questo complesso quindi non incide soltanto
sul settore vegetativo ma anche su quello psicologico e spirituale.
La notte cosmica agisce su di noi allo stesso modo di quella
che si chiama notte in senso traslato. O inversamente: ciò che
provoca dentro di noi delle reazioni similari alla notte cosmica,
viene chiamato notte in senso figurato. Prima però di arrivare
a capire questo qualcosa, dobbiamo tener presente che già la
notte cosmica ha un doppio aspetto.
Alla notte oscura e inospitale fa riscontro la notte incantata
del chiaro di luna, bagnata di mite e tenera luce. Questa non
inghiotte le cose, ma fa invece risaltare il loro aspetto notturno.
Ogni durezza, angolosità e tagliente spigolosità delle cose risulta
smussata e addolcita; si rivelano le linee essenziali che nella luce
chiara del giorno non si riescono mai a cogliere. Si riescono anche
a percepire delle voci che la rumorosità del giorno soffoca. Ma
non è unicamente la notte chiara ad avere un suo apprezzabile
valore: ce l’ha anche la notte oscura. Mette fine all’affanno e ai
rumori del giorno, portando riposo e pace. Il che si avvera anche
nella psiche e nell’anima.
L La Croce e la Notte (Notte dei sensi) 63

Ce un dolce chiarore notturno dello spirito, nel quale - libero


dal lavoro e dalle occupazioni della giornata, distaccato e raccolto
nello stesso tempo - esso è attirato nel profondo armonioso accordo
di tutto il suo essere vitale, del mondo e dell’al di là. E si gusta
un profondo riposo ristoratore, nella pace della notte. Bisogna
pensare a questo, volendo capire il simbolismo della notte in S.
Giovanni della Croce.
Dalle testimonianze concernenti la sua vita nonché dalle sue
poesie veniamo a sapere quanto fosse sensibile alla notte cosmica
con tutte le sue sfumature. Egli ha passato intere notti alla fine­
stra, con lo sguardo perduto neirimmenso paesaggio, oppure
all’aria aperta.
Trova per la notte delle parole che non sono mai state superate
da nessun altro autore di notturni!). L’anima paragona il suo
Amato alla notte:

La noche sosegada, La notte assopita,


En par de los levantes de la aurora, simile al chiarore che precede l’aurora,,
La mùsica callada, la musica silenziosa,
La soledad sonora, la solitudine sonora,
La cena, que recrea y enamora. la cena che rifocilla e innamora.

Quando nei suoi commenti il pensatore Giovanni parla della


notte vi si sente come sfondo tutta la gamma infinita di ciò che
questa parola rappresenta, per Tuomo e per il poeta. Trattandosi
di un’espressione simbolica, abbiamo tentato di descriverla in
alcuni dei suoi tratti, senza tuttavia esaurire l’argomento. Sforzia­
moci ora di comprendere ciò che costituisce la materia da espri­
mere sotto l’allegoria del simbolo.
Giovanni l’ha trattata assai diffusamente, per cui dovremo
ritornarci su. Per adesso si tratta solo di gettarvi un primo sguar­
do, per enucleare e mettere in luce le caratteristiche del rapporto
simbolico.
La notte mistica non va intesa in senso cosmico. Infatti non
ci piomba addosso dal di fuori, ma sorge invece alPinterno dell’a­
nima e interessa unicamente l’anima nella quale si verifica. Tut­
tavia, gli effetti da essa prodotti interiormente sono similari a
quelli della notte cosmica: attua una sommersione del mondo
esteriore, per quanto esso possa risultare, al di fuori, immerso
nella chiara luce del giorno.

1) Cantico spirituale, str. 15 - E1. Crii., III, 160 sgg.


64 Parte seconda - La dottrina della Croce

Relega l’anima nella solitudine, nell’isolameiito e nel vuoto,


bloccando l’attività delle sue energie, mettendola in stato di ansia
con la minaccia dei terrori che nasconde in sé.
Però c’è anche qui un chiarore notturno, che dischiude, nel
fondo intimo dell’anima, un nuovo mondo rischiarando dall’inter­
no anche il mondo esteriore: cosicché questo le viene ritornato
completamente diverso. Cerchiamo ora di mettere in luce le rela­
zioni intercorrenti tra la notte cosmica.e quella mistica, - per
quanto ci è possibile - sulla scorta di queste prime considerazioni
introduttive. Evidentemente non si tratta qui di rapporto tra
segni, dato che niente è stato nel caso nostro fissato dall’esterno
o in modo arbitrario; così pure non si tratta di una concordanza
formata dall’assommarsi di fatti reali o storici, quali si hanno
nell’emblema. Esiste invece un perfetto accordo sostanziale, che
autorizza ad adoperare, sia qui che là, lo stesso nome.
Quando si parla della notte in quanto figura s’intende sicu­
ramente affermare che tale nome conviene innanzitutto alla notte
cosmica; da questa è stato traslato alla notte mistica, per spiegare -
mediante qualcosa di universalmente noto e familiare - qualcosa di
ignoto e difficilmente afferrabile, ma che gli somiglia. Tuttavia
non si può parlare qui di relazione di somiglianza: difatti, uno
non è copiato dall’altro. Bisogna piuttosto pensare al rapporto di
espressione simbolica, quale esiste generalmente tra il sensibile
e lo spirituale, come la fisionomia e la mimica sono l’espressione
caratteristica dell’indole e della vita psichica, come si manifestano
nella natura il fattore spirituale e persino quello divino.
Si ha di fatto una comunanza d’origine e una reale omoge­
neità, che rende atto il sensibile a far comprendere lo spirituale.
Della relazione figurativa resta quindi solo la somiglianza: una
somiglianza, d’altro canto, in cui non si sa dire quale sia esatta­
mente la «uguaglianza» esistente tra i due termini; la si può
solo abbozzare, facendo leva su certi particolari affini. Caratteri­
stica, nei confronti della relazione figurativa, non è solo l’assenza
di similitudine interdipendente, bensì anche il fatto che non ci
troviamo davanti a figure dai contorni precisi.
Inoltre è insita in essa anche un’opposizione all’espressione mi­
mica: ad una ben determinata alterazione di fisionomia, che l’ar­
tista può riprodurre con la matita o col pennello, corrisponde una
altrettanto ben determinata reazione psichica.
Invece la notte, sia cosmica che mistica, è un che di indeter­
minato e vago, che nella vastità delle sue sensazioni, si riesce a
cogliere parzialmente, ma non ad esaurire. In essa è inclusa tutta
I. La Croce e la Notte (Notte dei sensi) 65

una visuale del mondo, tutto un modo particolare di considerare


le cose.
Sta proprio qui il loro lato in comune: nella realtà e nella
caratteristica di questa visuale del mondo e di questa particolare
modalità di considerare gli oggetti. Qualcosa di inafferrabile nei-
runa e qualcosa di inafferrabile nell’altra; eppure il tutto è così
chiaro e intelligibile che uno può rimpiazzare l’altro servendo da
via introduttiva a questo altro, sulla base non di una scelta
arbitraria, o d’una comparazione pianificata, ma su quella d’un’e-
sperienza simbolica. Quest’ultima incontra un complesso d'intui­
zioni primitive c originali, scoprendo così un*espressione figurata
necessaria per capire ciò che risulterebbe inesprimibile concet­
tualmente.
A questo punto siamo in grado di riassumere brevemente il
divario esistente nel simbolismo della croce e della notte', la Croce
è Yemblema di tutto quanto si riferisce - sul piano di causalità o
di vicenda storica - alla croce di Cristo. La Notte invece è la
insostituibile espressione cosmica riferentesi al mondo mistico, di
S. Giovanni della Croce. La prevalenza del simbolo notte sta ad
indicare che negli scritti del S. Dottore della Chiesa ha parlato non
il teologo, quanto piuttosto il poeta e il mistico; anche se il
teologo sorvegliava coscienziosamente pensieri ed espressione.

2 . - 1 1 canto della Notte oscura.


Ci accingiamo ora ad esaminare la notte mistica per risentirvi
l’eco del messaggio della croce. Per raggiungere il nostro scopo
scegliamo come punto di partenza il Canto della notte oscura: esso
infatti forma la base di ambedue i grossi trattati aventi per ogget­
to la notte mistica2).

NOCHE OSCURA NOTTE OSCURA

I I
En una nuche oscura, In una notte oscura,
Con ansias, en amores inflamada, Con ansie, d’amor tutta infiammata,
|Oh! dichosa ventura!, O felice ventura!
Sali sin ser notada, Uscii né fui notata,
Estando ya mi casa sosegada. * 5 Stando già la mia casa addormentata.

2) Testo deirE. Crii., Ili, 157 - Cfr. Opere di S. Giov. della Croce. Trad.

It. di P. Nazareno dell’Addolorata O. C. D, - Roma 1959, pp. 3-4. La traduzione


italiana dei versi è del P. Egidio di Gesù O. C, D,

5. - Scientia Crucis.
66 Parte seconda - La dottrina della Croce
li II
A oscuras, y segura, Nel buio, e ben sicura
Por la secreta escala, disfrazada, Per la segreta scala, trasformata,
jOh dichosa ventura!, O felice ventura!
A oscuras y en celada, Nel buio, e ben celata,
Estando ya mi casa sosegada. Stando già la mia casa addormentata.

Ili III
En la noche dichosa, In quella venturosa
En secreto, que nadie me vela, Notte, in segreto che nessun vedea,
Ni yo miraba cosa, Né io mirava cosa,
Sin otra luz, ni gufa, Né luce o guida avea
Sino la que en el corazón ardia. Fuori di quella che nel cor mi ardea.

IV IV
Aquésta me guiaba Sicura mi guidava,
Mas cierto que la luz de mediodia, Essa che il sol meridi'an vincea,
Adonde me esperaba Là dove m’aspettava
Quien yo bien me sabia, Chi ben io conoscea,
En parte donde nadie parecia. In parte dove alcun non si scorgea.

V V
[Oh noche que guiaste! O notte che adducesti,
iOh noche amablc mas que la albo- Notte amabile più che mattinata,
[Oh noche que juntaste [rada! Notte che congiungesti
Amado con amada, L’Amato con l’Amata,
Amada en el Amado transformada! Poi che l’Amata in luì fu trasformata!

VI VI
En mi pecho florido, Sul mio petto fiorito,
Que entero para él solo se guardaba, Che per Lui solo intatto io serbava,
A1H quedó dormido, Ei ristette addormito,
Y yo le regalata, Ed io Io vezzeggiava,
Y el ventallc de cedros aire daba. E il ventaglio de’ cedri il ventilava.

VII VII
El aire del almena, Allor che l’aura aprica
Cuando ya sus cabellos esparcia, Agitargli i capelli Ei si sentia,
Con su mano serena Con la sua mano amica
En mi cu elio heria, Al collo mi feria,
Y todos mis senddos suspendia. E tutti i sensi miei seco rapìa.
1. La Croce e la Notte (Notte dei sensi) 67

Vili Vili
Quedéme y olvidéme, Io giacqui c m’obliai,
E1 rostro recliné sobre el Ara ado, Chino il volto su quello deH’Amato;
Ceso todo, y deiéme, Tutto disparve, ed io m’abbandonai,
Dejando mi cuidado Anco il pensier lasciato
Entre las azucenas olvidado. Per entro a’ gigli perdersi obliato.

3. - La Notte oscura dei sensi.

a) Introduzione al significato della Notte.


Il quadro poetico è perfettamente delineato, ma non ci si
trova una parola di carattere dottrinario che ne interrompa la
linea. La chiave per capirlo ci vien data dai due trattati che lo
commentano: la Salita e la Notte oscura.
L’anima che canta questo carme ha ormai attraversato la
notte, giungendo così al traguardo finale, all’unione con il divino
Amato. Donde lmno di gloria alla notte, che si è tramutata in
una via verso la beata felicità. Il grido di giubilo: « O felice ven­
tura! » vi echeggia a più riprese. Tuttavia l’oscurità e l’angoscia
non sono ancora dimenticate.
E’ tuttora possibile voltarsi indietro con lo sguardo, tornare
ad immergervisi.
La casa abbandonata dalla fidanzata è la parte sensitiva del­
l’anima3). Ormai essa è in uno stato di riposo, perché tutti i
suoi desideri grossolani sono stati ridotti al silenzio. L’anima è
riuscita a sottrarvisi perché Dio stesso ne l’ha liberata. Contando
soltanto sulle sue proprie forze, non ci sarebbe riuscita.
Premessa questa breve chiarificazione, si è già individuata
l’importante differenza esistente fra la notte attiva e passiva.
Ne tratteremo ancora più diffusamente in seguito, toccando
anche i rapporti reciproci tra queste due forme di notte. Per af­
francarsi definitivamente dai legami derivanti dalla sua natura
sensibile, Tanima deve buttarsi al lavoro tendendo al massimo tutte
le sue forze; ma Dio le deve venire in aiuto con la sua energia
operativa, anzi la deve prevenire: l’azione divina, quindi, stimola
l’attività personale e la completa.
Il distacco viene descritto come una notte che l’anima deve at­

3) Salita, lib. 1, cap. 1 - E, Crìi. I, 36.


68 Parte seconda - La dottrina della Croce

traversare. E lo è realmente sotto un triplice aspetto : come punto


di partenza, come via, come fine.
Il punto di partenza è la bramosia delle cose di questo mondo
cui Tanima deve sottrarsi. Tale rinunzia però la immerge nell’o­
scurità, nel nulla, quasi. Ecco perché le si dà l’appellativo di notte.
Il mondo che percepiamo coi nostri sensi è - su un piano pura­
mente naturale - il saldo terreno che ci sostiene, la casa in cui ci
sentiamo sul nostro, quella che ci alimenta e ci correda di tutto
il necessario, la fonte delle nostre gioie e dei nostri piaceri! Se ci
viene tolta o ci vediamo costretti a sloggiare, abbiamo veramente
l’impressione che ci manchi il terreno sotto i piedi, che la notte ci
avviluppi da ogni lato; ci sembra di affondare, di esser finiti. Ma
non è così. In realtà stiamo per essere sistemati su una via più
sicura, benché si tratti di una strada buia, immersa nella notte:
la via della Fede. E’ senz’altro una via perché conduce al tra­
guardo dell’unione. Ma è però una via notturna, perché - parago­
nata alla chiara visuale della ragione naturale - la fede* è una
conoscenza oscura: ci porta sì a conoscenza di qualche cosa, ma
questo qualcosa non arriviamo a vederlo. Ecco perché si deve
dire che anche il fine che noi raggiungiamo battendo la via della
fede è anch’esso una notte: Dio, sulla terra - anche neH’unione
estasiarne - ci resta nascosto. L’occhio del nostro spirito non è
assolutamente in grado di sostenere la sua sfolgorante luce, per
cui annaspa come nel buio notturno.
Tuttavia, come la notte cosmica non è sempre oscura allo
stesso modo per tutta la sua durata, così anche la notte mistica
possiede le sue varianti temporali accompagnate da corrispettive
gradazioni. Il progressivo sommergersi del mondo dei sensi asso­
miglia al cadere della notte, allorché sussiste ancora una luce cre­
puscolare, margine estremo della chiarezza del giorno. La fede
invece è il buio della mezzanotte, perché a questo punto non solo
è eliminata ogni attività dei sensi, ma persino ogni conoscenza
intellettiva naturale.
Al momento però in cui l’anima incontra Dio, comincia già
a spuntare nella sua notte la luce dell'alba, preludio al nuovo
giorno dell’eternità!
Un certo punto di contatto tra la notte e la croce si potrebbe
già enucleare da questa breve e sommaria analisi; lo stretto rap­
porto che le lega, però, risulterà molto più evidente quando avremo
esaminate, ciascuna in particolare, le fasi della notte.
L La Croce e la Notte (Notte dei sensi) 69

b) La penetrazione attiva nella notte equivale a seguire la


croce.
Il punto di partenza o piuttosto la prima parte viene chia­
mata dal nostro Santo la notte oscura dei sensi*). Ciò di cui qui
in realtà si tratta è la mortificazione della gioia che si prova
desiderando tutte le cose. Evidentemente non si può trattare di
sopprimere la percezione a mezzo dei sensi. Essi sono le finestre
attraverso le quali entra la luce della conoscenza nella buia pri­
gione della nostra vita legata al corpo; di essi non possiamo far
senza., fintanto che si vive. Ma dobbiamo imparare a vedere, a
sentire, ecc., come se non si vedesse e non si sentisse. E’ il nostro
atteggiamento di fronte al mondo sensibile che deve cambiare.
Tale atteggiamento nell’uomo vivente su un piano puramente
naturale, normalmente non è affatto una attitudine di puro conte­
nuto conoscitivo: egli tende ad affermarsi nel mondo come indi­
viduo impastato di desideri e come uomo d’azione.
Risulta così vincolato al mondo con una miriade di legami,
perché questo gli offre appunto ciò che placa le sue brame; lo
incita all’azione appunto perché esso è la materia della sua attività.
Generalmente nelle sue azioni e nelle sue imprese egli si lascia
guidare dalle sue tendenze e dalle sue voglie, nel cibo e nella fog­
gia del vestire, nel lavoro e nel riposo, nel gioco e nella distra­
zione, e infine nei rapporti con gli altri. Si sente felice e con­
tento quando non intoppa in nessun ostacolo straordinario. Di­
ciamo straordinario perché, in questo mondo, vivere del tutto senza
intralci non è possibile.
Questo modo di comportarsi gli diviene così connaturato fin
dalla giovinezza, da trasformarsi per lui in una seconda natura.
Sa per educazione e per esperienza che un appagamento incontrol­
lato dei suoi piaceri è nocivo alla sua natura e quindi viene indotto
dalla retta ragione a una certa quale autolimitazione normativa.
Parallelamente sente agire in sé il rispetto dovuto agli altri, che si
impone - in una vita naturalmente imperniata sulla società - come
incontrovertibile esigenza, trovando espressione nel diritto naturale
e nelle relative leggi etiche e morali.
Malgrado queste strettoie, il diritto naturale della tendenza al
piacere non viene intaccato: viene solo messo in accordo con altri
diritti.

4)E’ trattata nel lib. 1 della Salita al Monte Carmelo e nella Ia parte della
Notte Oscura, intitolata appunto Notte Oscura dei sensi.
70 Parte seconda - La dottrina della Croce

Con l’introdursi della Notte oscura invece, comincia un fatto


interamente nuovo. Il sentirsi a proprio agio nel mondo, la sa­
zietà data dai piaceri da esso offerti, il desiderio anelante a questi
piaceri nonché la conseguente accettazione di questo desiderio -
tutto ciò che per un uomo affezionato alla natura costituisce la
bella vita d ogni giorno - agli occhi di Dio è una tenebra5), incon­
ciliabile con la luce divina. Deve venir strappato alla radice, se si
vuol fare spazio a Dio nell’anima. Corrispondere a questa esi­
genza, significa intraprendere una lotta senza quartiere contro
la propria natura, prendere la prozia croce e abbandonarsi alla
crocifissione.
Il S. P. Giovanni a questo proposito cita la parola del Signore:
« Chi non rinunzia a tutto ciò che possiede (col desiderio), non
può essere mio discepolo» (Le. 14, 33). Che il predominio del
fattore appetitivo nell’anima sia davvero la tenebra, viene dimo­
strato dettagliatamente: le concupiscenze stancano e tormentano
l’anima, la offuscano, la macchiano e Tindeboliscono; inoltre, la
derubano dello spirito di Dio, dal quale essa si stacca abbando­
nandosi cosi all’istinto animale. Dichiarare questa guerra o pren­
dere la propria croce equivale ad entrare attivamente nella notte
oscura.
Il Santo offre all’uomo alcuni brevi e stringati avvisi, dei
quali egli stesso afferma : « Chi li metterà in pratica con ogni
cura, non ne avrà bisogno di altri, perché in essi troverà la
sostanza di tutto».
Sono questi:
1) Primieramente bisogna che l’anima nutra un continuo
desiderio di imitar Cristo in ogni cosa, conformandosi alla di Ini
vita, la quale si deve ben considerare per poterla imitare, di­
portandosi in ogni incontro come Egli si diporterebbe.
2) Per riuscire in questo, deve rinunziare a qualsiasi gusto
sensibile che non sia puramente a gloria e onore di Dio.
E deve far questo per amore di Gesù il quale in questa vita
non ebbe e non cercò altra soddisfazione che adempire la volontà
del Padre, da lui chiamata suo cibo. Porto qualche esempio. Quando
le si offrisse il piacere di udir cose che niente importano al ser­
vizio e alla gloria del Signore, rinunzi a tal gusto e non si curi
di udirle... E nello stesso modo si regoli riguardo agli altri sensi,

5) Questa tenebra, conseguenza del peccato, è nettamente differente éilVoscu­


rità che ha la sua origine in Dio e conduce aireliminazione della tenebra.
I. ha Croce e la Notte (Notte dei sensi) 71

cercando per quanto le sarà possibile di eliminare le loro impres­


sioni. Non potendo far questo, sarà sufficiente che egli non assa­
pori il diletto di quelle percezioni sensibili, ma quanto prima lo
mortifichi e ne vuoti i sensi, lasciando questi - per così dire -
all’oscuro di tutto; con questa diligente cautela farà in breve
molti progressi.
Come energici mezzi per mortificare ed ordinare armonica-
mente le quattro passioni naturali, cioè la gioia, la speranza, il
timore, il dolore, possono servire i seguenti criteri di guida. Infatti,
quando tali passioni sono in stato di pace e d’ordine, possono svi­
lupparsi i beni ai quali abbiamo sopra accennato e molti altri
ancora. Inoltre, queste direttive sono di grande valore e sorgente
di grandi virtù.

Sforzati sempre di tendere:


— Non al più facile, ma al più difficile;
— Non al più saporito, ma al più insipido;
— Non ai più dilettevole, ma al più disgustoso;
— Non al riposo, ma alla fatica;
— Non a ciò che consola, ma a ciò che sconforta;
— Non al più, ma al meno;
— Non alle cose più nobili e preziose, ma alle più vili e spregevoli;
— Non a voler alcuna cosa, ma a non voler niente;
— Non all’andar in cerca del meglio, nelle cose temporali, ma
del peggio.
E desidera per amore di Cristo, di raggiungere uno stato di
totale nudità, di vuoto, di povertà, staccandoti da tutto ciò che
c’è nel mondo. Tutte queste operazioni le devi abbracciare a cuore
aperto, sforzandoti di adeguare ad esse la tua volontà...
Praticato bene, quanto s’è detto è sufficiente per entrare nella
notte dei sensi... » 6),
Siccome questo entrare attivamente nella notte dei sensi equi­
vale ad addossarsi volontariamente la croce e a portarla poi con
perseveranza, non c’è bisogno di commenti. Portando la croce però
non si muore. E per attraversare completamente la notte, l’uomo
del peccato deve morire. Egli può abbandonarsi alla crocifissione,
ma non può autocrocifiggersi. Ecco perché l’operazione iniziata
dalla notte attiva deve venir portata a termine dalla notte passiva f
vale a dire da Dio stesso.

6) Salita, lib, 1, cap. 13 - E. Crii., I, 87 sgg.


72 Parte seconda - ha dottrina della Croce

« Per quanto l’anima si affatichi, non potrà mai mediante i


suoi sforzi purificarsi così a fondo da divenire né poco né tanto
atta alla perfetta unione amorosa con Dio, se Egli stesso non vi
mette mano purificandola sotto l’azione di questo oscuro fuoco » 7).

c) La notte passiva è una crocifissione.


Abbiamo affermato precedentemente che la penetrazione dei-
l’anima nella notte oscura è resa possibile soltanto perché la grazia
di Dio la previene, la conduce e l’appoggia lungo tutto il
cammino.
Ma questa grazia preveniente e coadiuvante, nei principianti,
non ha ancora il carattere della notte oscura. Essi anzi, vengono
trattati da Dio come vengono trattati i bambini da una tenera
mamma, che li porta in braccio nutrendoli del suo dolce latte: in
tutte le pratiche spirituali - nella preghiera, nella contemplazione,
nelle mortificazioni - vengono loro elargite abbondantemente gioia
e consolazione* Tale gioia diventa per loro un motivo che li spinge
a dedicarsi alle pratiche spirituali. Essi non afferrano quale im­
perfezione v’è inclusa e in quante colpe incappano nei loro eser­
cizi virtuosi. Il Santo, a base di vivide esemplificazioni, mostra
come nei principianti si trovino tutti e sette i vizi capitali tra­
piantati sul terreno spirituale: Vorgoglio dello spirito che si libra
ancora bene al di sopra delle loro grazie e virtù, guarda dall’alto
in basso gli altri e tende molto più volentieri a insegnare che a
lasciarsi istruire; l'avarizia spirituale, che non ne ha mai abba­
stanza di libri, croci, rosari, ecc.8).
Per liberarci di tutti questi difetti, dobbiamo svezzarci dal
latte delle consolazioni nutrendoci d’un alimento più solido.
« Essi si sono esercitati per qualche tempo nella via della virtù,
perseverando nella meditazione e nell’orazione; grazie alla dol­
cezza e al gusto che vi hanno trovato, si sono disaffezionati dalle
cose del mondo acquistando in Dio un po’ di forze spirituali, me­
diante le quali riescono ad imbrigliare un pochino le loro brame
di creature, giungendo anche a poter sopportare un po’ di pena
e aridità per amor di Dio, senza battere in ritirata sul più bello.
Orbene, quando essi stanno viaggiando a loro piacere e capriccio
in queste pratiche spirituali; quando, stando alla loro impressione,
più chiaro brilla il sole dei divini favori, appunto allora Iddio

7) Notte oscura, La notte dei sensi, cap. 3 - E. Crit., II, 13.


8) Ibtd., 2 sgg. - E. Crii., Il, 8 sg.
I. La Croce e la Notte (Notte dei sensi) 73

oscura loro tutta questa luce, chiudendo loro la porta e la sorgente


della dolce acqua spirituale che avevano sinora gustato in Dio tutte
le volte e per tutto il tempo da essi voluto... Ora invece... Il Si­
gnore li lascia così al buio che essi non sanno più dove andare,
né con la facoltà immaginativa né con il pensiero »9).
Tutte le pratiche spirituali sembrano loro insipide, anzi, per­
sino contraggeniali.
Che non si tratti qui delle conseguenze di peccati o di imper­
fezioni, ma invece delYaridità purificatrice, lo si deduce da tre
caratteristiche :
1) L’anima non trova ormai nessun gusto nemmeno nelle
creature.
2) « Essa pensa a Dio con sollecitudine e con ansia penosa,
convinta di non servirlo affatto bene e di star tornando indietro,
come risulta dal disgusto che prova nelle cose di Dio » 10 *). Non si
darebbe alcuna pena, se la sua aridità avesse per causa la sua
tiepidezza. Invece, nella aridità purificatrice domina sempre la
preoccupazione di servire Dio. Così lo spirito si rinforza, mentre
la parte sensitiva deiressere si sente abbattuta e priva di energie.
« Dio trasferisce i beni e la forza dei sensi sullo spirito; i sensi e
le energie naturali, a loro volta, non essendo più all’altezza ne
restano digiuni e vuoti. Perché la parte sensitiva non è atta ad
afferrare ciò che è puro spirito; sicché, mentre lo spirito gode, la
carne si disgusta e si affloscia di fronte al lavoro. Ma lo spirito,
che va gradualmente alimentandosi, marcia sempre più spedito,
energico e premuroso di prima, concentrato nel pensiero di non
staccarsi da Dio»11). Siccome però esso non è ancora abituato
alla dolcezza spirituale, dapprincipio non ne ricava null’altro che
aridità e dispiacere.
3) L’aridità purificatrice si riconosce anche dal fatto « che
l’anima non riesce più, malgrado tutti i suoi sforzi, a meditare
né a discorrere nel settore della immaginazione, come era abi­
tuata a fare prima... A questo punto Iddio incomincia a comu­
nicarsi a lei non più attraverso i sensi, come faceva in precedenza,
per mezzo del discorso intellettuale... ma attraverso lo spirito puro,
in cui non v’è discorso successivo. Le si comunica con un atto
di semplice contemplazione, non raggiungibile dai sensi, né ester-

9) Ibid., cap. 8 - E. Crii., II, 26.


10) Ibid., cap. 9 - E. Crii., II, 28.
n) Ibid„ cap. 9 - E. Crìi., II, 29.
74 Parte seconda - La dottrina della Croce

ni, né interni, del settore sensitivo umano ». Questa contemplazione


oscura, quanto mai arida per l’uomo impastato di sensi, è « qual­
cosa di segreto e nascosto, misterioso anche per chi lo possie­
de.,. » 12).
Ordinariamente essa conferisce « all’anima una inclinazione
e un desiderio di starsene sola e in stato di riposo, senza potere
né voler pensare mai a qualcosa di preciso » 13). Se le anime se ne
stessero davvero così in posizione di riposo « esse, in questo rilas­
samento e in questo oblio di tutte le cose, sentirebbero deliziosa­
mente quella refezione interiore. La quale è così delicata, che, in
via ordinaria, se si ha voglia o preoccupazione di sentirla non la
si percepisce nemmeno... Assomiglia all’aria, che nel chiudere il
pugno sfugge via... Dio infatti colloca 1*anima in tale stato e la
porta su una strada così diversa che - se essa vuole operare con le
sue potenze - disturba invece di assecondare l’opera di Dio...»,
La pace che Iddio intende offrire mediante l’aridità del com­
plesso sensitivo umano, è « tutta spirituale ed estremamente deli­
cata ». Essa quindi « ha un operare quieto, delicato, solitario,
satisfattolo e pacificatore, ben diverso da tutti i precedenti gusti
che erano grossolanamente palpabili e sensibili » I4). Con questo
si dà a capire che qui siamo davanti solo alla morte dell’uomo
sensitivo e non all’aurora d’una nuova vita che giace ancora na­
scosta sotto i detriti.
Non è un’esagerazione quindi il qualificare le sofferenze delle
anime in questo stato come una crocifissione. NeH’impossibilità di
usare le proprie energie, esse risultano come inchiodate. Per di
più, all’aridità si aggiunge l’ansietà prodotta dalla paura di tro­
varsi su una strada sbagliata.
« Vivono credendo di aver perduto tutti i beni spirituali e
d’essere abbandonate da Dio». Si sforzano di agire come nello
stadio precedente, ma non riescono a combinare nulla disturbando
anzi la pace che Iddio crea in loro. Invece non dovrebbero far
altro che « conservare la pazienza perseverando nell’orazione, senza
far nulla di propria iniziativa. L’unica cosa che hanno da fare è
lasciare la loro anima libera, sgravata e franca da ogni nozione
conoscitiva e da ogni pensiero, non curandosi di ciò che avranno
da pensare o da meditare, contentandosi di un’attenzione amorosa
e sopita in Dio, senza preoccupazione né tentativo né desiderio
alcuno di gustarlo o di sentirlo».
12)Ibid., cap. 9 - E. Crii., II, 31.
13)Ibid., cap. 9 - E. Crit., II, 30.
u) Ibid., cap. 9 - E. Cnt., II, 31.
1. La Croce e la Notte {Notte dei sensi) 75

Mancando di competente direzione si angustiano forse ulte­


riormente, fìsse nel pensiero di non far altro che sciupare il loro
tempo nell’orazione che sembrerebbe loro forse meglio abbando­
nare. Se invece si lasciassero andare tranquillamente alla contem­
plazione oscura, comprenderebbero di colpo ciò che afferma il
secondo verso del Cantico della Notte: l'avvampare dell'amore.
« Perché la contemplazione altro non è che una infusione segreta,
pacifica e amorosa di Dio che, se le lasciano campo d’azione, in­
fiamma l’anima con lo spirito di amore » 15).
Inizialmente, quest’avvampare dell’amore non si percepisce
affatto. L’anima prova per lo più soltanto aridità e vuoto, angoscia
e inquietudine. E, se intravvede una traccia di questa fiamma in
via di sviluppo, ciò costituisce per lei una penosa tensione nostal­
gica verso Dio. Una dolorosa ferita d’amore. Solamente più tardi
riconoscerà che Iddio la voleva purificare attraverso la notte dei
sensi, sottomettendo questi sensi allo spirito.
Allora esclamerà: «Oh felice ventura! ». E le apparirà chiaro
quale progresso abbia rappresentato per lei « l’uscire senza esser
notata ». L’ha affrancata dalla schiavitù in cui i sensi la tratte­
nevano, svincolando a poco a poco le sue tendenze inclinate alle
creature e indirizzandole ai beni eterni.
La notte dei sensi aveva funzionato nei suoi riguardi da porta
stretta (Mt. 7, 14) che conduce alla vita.
Ora, essa dovrà marciare sulla via angusta, attraverso la notte
dello spirito. Per altro, a posizioni così avanzate arrivano soltanto
pochi; ma già i vantaggi ricavati dalla prima di queste due notti
sono estremamente forti. L’anima acquista la conoscenza di se
stessa; giunge a scandagliare la propria miseria; non trovando più
niente di buono dentro di sé, impara quindi a camminare incontro
a Dio col massimo timo-re reverenziale. Infatti, solo adesso essa
comincia a intravvedere la grandezza e la sublimità di Dio, E a
renderglielo possibile è stata precisamente la liberazione da ogni
spunto sensibile, che l’ha portata a ricevere l’illuminazione e a
divenire ricettiva nei confronti della verità. Ecco perché nel Salmo
si dice: «Nella terra deserta, impraticabile e senz’acqua, io a te
mi presentavo nel tempio santo, per contemplare la tua potenza
e la tua gloria » {Salmo 62, 3). Il salmista fa così capire « che non
le delizie spirituali e le molte soddisfazioni... erano state per lui la
premessa e il mezzo per conoscere la gloria di Dio, ma invece la

15) Ibidcap. 10 - E. Crit.} II, 33 sg.


76 Parte seconda - ha dottrina della Croce

aridità e le privazioni del settore sensitivo... » 16). Sotto la qualifica


di « terra impraticabile » Giovanni intende delineare l’incapacità di
farsi un concetto di Dio mediante il pensiero discorsivo, o di avan­
zare mediante ricerche operate dalla facoltà immaginativa.
Nell’aridità e nel vuoto l’anima diventa poi umile. L’orgoglio
d’un tempo sparisce, quando in se stessi non si trova più nulla
che dia l’autorizzazione a guardare gli altri dall’alto al basso.
Anzi, gli altri ci appaiono ora molto più perfetti e logicamente
nel cuore si desta l’amore e la stima nei loro riguardi. Adesso poi
si è troppo impegnati con la propria miseria per prestare atten­
zione agli altri. Preso atto della propria impotenza l’anima diviene
inoltre sottomessa e ubbidiente; anela infatti all’istruzione, per
mettersi sulla buona strada. Anche l’avarizia spirituale trova una
guarigione radicale: siccome non si prova più gusto in nessuna
azione, si diventa molto regolari, e si fa quel che si fa unicamente
per amor di Dio, senza cercarvi alcuna soddisfazione personale.
Lo stesso succede per le imperfezioni. Con esse va scomparendo
anche ogni forma di disordine e di inquietudine.
Al loro posto subentra una profonda pace, e un continuo
ricordo di Dio. Quella di far dispiacere a Lui è l’unica preoccu­
pazione che resti. La notte oscura diventa una scuola di tutte le
virtù : allena alla rassegnazione, alla pazienza, dal momento che si
è fedeli alla vita spirituale, senza trovarvi consolazione e ristoro.
L’anima perviene ad un alto grado nelVamor di Dio, in quanto
agisce unicamente secondo il Suo Volere. La perseveranza in tutte
le contrarietà le conferisce forza e coraggio. La piena purifica­
zione da tutte le tendenze e piaceri sensibili la conduce alla libertà
spirituale, in cui maturano i dodici frutti dello Spirito Santo. Tale
libertà appronta un ottimo riparo contro i tre nemici : il demonio,
il mondo e la carne, che non possono tramare più nulla contro lo
spirito: ormai l’anima è loro « sfuggita senza essere notata». In­
fine, dato che le passioni sono state ridotte al silenzio, la sensibi­
lità anestetizzata dall’aridità, « la casa è davvero addormentata ».
L’anima è scivolata via raggiungendo la strada dello spirito,
la strada dei proficienti, detta anche via illuminativa, in cui Dio
stesso l’andrà istruendo senza che essa deva preoccuparsi di pren­
dere riniziativa. Viene quindi a trovarsi in uno stadio di passaggio.
La contemplazione le offre delle pure gioie spirituali, alle quali
possono prender parte anche i sensi, ormai depurati. Talvolta però,
a intervalli, l’anima ritorna ancora alla meditazione. E anche le

16) Ibid., cap. 12 - E. Crit. II, 42.


1. La Croce e la Notte (Notte dei sensi) 77

sue gioie si alternano a dolorose frecciate di nostalgia. Prima della


sua entrata definitiva nella notte dello spirito, all’aridità e al senso
di vuoto si aggiungono anche dolorose prove suscitate da penose
tentazioni: lo spirito dell’impurità e della bestemmia s’impadro­
niscono della sua facoltà immaginativa; mentre uno spirito di
vertigine la abbatte in mille scrupoli, nella confusione e nella per­
plessità,
Sotto l’azione di queste bufere, le anime devono essere messe
al banco di prova e temprate. Per altro non tutte vengono tor­
chiate con la stessa intensità. Molte del resto non arriveranno mai
a sorpassare questo stadio di transizione. Ma quelle che devono
raggiungere il traguardo, dovranno sopportarne una quantità.
Quanto è più elevato il grado dell’unione amorosa a cui Dio la
destina, tanto più profonda e persistente dovrà esserne la purifi­
cazione. Infatti anche i proficienti sono affetti da numerose imper­
fezioni ormai divenute loro abituali, dalle quali essi devono pur
venire liberati attraverso la Notte dello spirito. Verranno minu­
ziosamente depurati anche i sensi, insieme allo spirito. Però è in
quest’ultimo che le imperfezioni hanno le loro radici17).
L’esame a cui abbiamo assoggettato la via purgativa dimostra
chiaramente come questa notte non sia del tutto priva di luce,
quantunque gli occhi dell’anima non si siano ancora abituati a
percepirla. Nel relativamente breve commento dedicato da Gio­
vanni alla Notte dei sensi, i frutti preziosi di tale notte vengono
messi in forte rilievo, senza che ciò sia in contraddizione col Mes­
saggio della croce. E’ già stato notato in precedenza come il Sal­
vatore, all’annunzio della sua passione e morte di croce, abbia
allegato il lieto presagio della sua Risurrezione,
Stando alla Liturgia della Chiesa, la trafila obbligata è ap­
punto questa: per passionem et crucem ad resurrectionis gloriarti.
Con la morte dell’uomo sensitivo si attua la formazione dell’uomo
spirituale. Ma questa meravigliosa rinascita è stata finora abbozzata
a grandi linee. Giovanni si è soffermato poco sulla presentazione
analitica della prima notte, perché ha fretta di arrivare alla Notte
dello spirito. Il soggetto che gli preme è infatti questo. Perciò
è meglio, prima di esaminare i rapporti intercorrenti fra morte e
risurrezione, trattare della Notte oscura dello spirito.

17) Cfr. Notte dello Spirito, cap. 3 - E. Crii., II, 55.


CAPITOLO SECONDO

Spirito e fede - Morte e Risurrezione


(Notte dello spirito)

INTRODUZIONE

Come s'inquadra il problema

La Notte dello spirito è stata designata da Giovanni col nome


di via angusta. Precedentemente invece l’aveva chiamata via della
fede, qualificando la sua oscurità come buio di mezzanotte. In
base a questi accenni, nella notte dello spirito è la fede che fa da
protagonista. Per afferrare chiaramente quanto il S. Dottore dice,
bisogna innanzitutto rendersi conto di che cosa egli intenda per
spirito e fede.
Non è un’impresa facile. Dietro tutto ciò che scrive, fa da
sfondo una ontologia dello spirito. Però noi manchiamo d’un
trattato che analizzi a fondo questo settore; egli stesso, forse, non
s’è mai preoccupato di rielaborare in una vera e propria teoria
ciò che per lui era una scienza abituale e improntava le sue espres­
sioni occasionali. Probabilmente mai si sarà chiesto da quali
fonti provenisse il suo sapere. Per lo scopo da lui perseguito non
aveva nessuna importanza saperne qualcosa. D’altronde la trat­
tazione di questo importantissimo problema, concernente la storia
della spiritualità, porterebbe anche noi molto lontano dal nostro
assunto. Ma messi di fronte all’interrogativo concreto - che cosa
abbia inteso Giovanni parlando di spirito e fede - non possiamo
sfuggire accantonando la cosa. Solo che vi daremo una risposta
basandoci su quanto egli ci dirà sulla Notte dello spirito. V’è
insita una certa qual difficoltà perché la Notte oscura è trattata due
volte - nella Salita e nella Notte - e per di più ambedue queste
opere ci sono rimaste incompiute.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 79

1. - Purificazione delle energie spirituali nella Notte attiva.

a) La natte della fede come via aU’unione,


La seconda notte è più buia della prima, perché questa ultima
va a toccare nell’uomo solo la parte inferiore, sensitiva e si trova
quindi ad essere più esterna, più superficiale. Mentre la Notte della
fede ne investe il settore più alto, quello razionale, risultando più
interiore al punto da sottrarre all’anima la luce della ragione, acce­
candola quasi.
« I teologi definiscono la fede una disposizione abituale (ha­
bitus), certa ma oscura, dell’anima ». Oscura perché « ci fa credere
delle verità rivelate da Dio in persona; verità che, elevandosi al
di sopra di ogni luce naturale, sorpassano ogni intelletto umano
senza ammettere proporzioni. Ne deriva che questa luce eccessiva
proveniente dalla fede è per l’anima un’oscura tenebra, perché il
più spazza via e supera il meno »... « Così la luce della fede, con
la sua strapotenza, opprime e vince quella deH’intelletto; giacché
quest’ultima per sé si estende solo alla scienza naturale » *).
Tuttavia l’intelletto può diventare atto a percepire il sopran­
naturale, nel caso Iddio voglia elevarlo alla conoscenza sopranna­
turale. Di per se stesso, non può acquistare che una conoscenza
naturale, per la via ad esso connaturale, cioè mediante l’aiuto dei
sensi, che gli presentano un oggetto, « Per cui esso deve ricevere le
immagini e le figure degli oggetti presenti in sé o nelle loro sem­
bianze » * 2). Se si parla ad un uomo di una cosa che non ha mai
vista, ed egli non ne conosce un’altra press’a poco simile, capace
di metterlo sulla buona strada, egli riuscirà sì a capirne il nome
ma non mai ad immaginarsela quale è in realtà. Succede così per
esempio ad un cieco dalla nascita, nei confronti dei colori. Altret­
tanto capita a noi nei riguardi della fede: ci fa conoscere delle
cose che non abbiamo mai viste né sentite e di cui per di più non
conosciamo neppure qualcosa di somigliante. Possiamo soltanto
accettare ciò che ci vien detto, astraendo dalla luce della nostra
conoscenza naturale. Non dobbiamo che dare il nostro assenso a
ciò che udiamo, senza pretendere di vedercelo avvicinato alla por­
tata dei nostri sensi. Ecco perché la fede è per l’anima una notte
buia pesta. Ma è proprio in tale modo che la fede porta la
luce: una conoscenza dotata di certezza assoluta, che sorpassa

q Salita, lib. 2, cap. 3 - E. Crit., I, 102.


2)Ibid., lib. 2, cap. 3 - E. Crii., I, 103.
80 Parte seconda - La dottrina della Croce

ogni altro sapere e ogni altra scienza, al punto che solo nella
perfetta contemplazione si può giungere ad un’esatta nozione del­
la fede. Difatti sta scritto: Si non credideritis, non intelligetis (Se
non crederete non arriverete a capire. Is. 7, 9 - Versione dei Set­
tanta) 3 4).
Da quanto s’è appena detto risulta chiaro non solo che la fede
è una notte oscura, ma che è pure una via: la via verso il fine
cui l’anima tende, la via verso l’unione con Dio. Infatti è essa
sola che dà modo di conoscere Dio. E come si potrebbe arrivare
all’unione con Dio senza conoscerlo? Ma per esser condotta dalla
fede a tale traguardo, l’anima deve comportarsi in maniera giusta.
Deve addentrarsi di sua libera scelta e mediante le sue proprie
forze nella notte della fede. Dopoché nella Notte dei sensi essa ha
rinunziato ad ogni desiderio delle cose create, per arrivare a Dio
deve ora morire alle sue energie naturali, ai sensi e persino al suo
intelletto. Infatti, per raggiungere la trasformazione soprannaturale,
deve abbandonare dietro di sé ogni traccia di naturalismo.
Ma non basta. Bisogna che si stacchi addirittura da tutti i
beni soprannaturali, nel caso che Iddio gliene accordi qualcuno. E’
obbligata a svincolarsi da tutto ciò che cade nel dominio della sua
facoltà intellettiva. « E deve rimanere al buio come un cieco, ag­
grappandosi alla fede oscura, prendendola come guida e luce, senza
appoggiarsi ad alcuna delle cose che intende, gusta, sente e im­
magina. Tutto ciò infatti è tenebra che la farà errare o l’arresterà;
la fede invece è superiore a tutto quell’intendere, gustare, sentire
e immaginare » ■ *). Di fronte a tutto questo l’anima deve diventare
completamente cieca e restare così, per conseguire ciò che insegna
la fede. In effetti, chi non è ancora perfettamente cieco non si
lascia condurre volontariamente dalla sua guida, ma si fida tuttora
del poco che intravvede. « Così succede anche all’anima. Se essa
si appoggia su qualcuna delle conoscenze o gusti o sentimenti con­
cessigli da Dio... andando per questa strada erra o si arresta molto
facilmente, perché non vuole fidarsi ciecamente della fede che è
la sua vera guida».
Per raggiungere Punione con Dio si deve solo « credere al­
l’essere di Dio, che non cade né sotto l’intelletto, né sotto il desi­
derio, né sotto l’immaginazione, né sotto alcun altro senso; perché
in questa vita non si può concepire come sia. Anzi, il più elevato
grado di sentimento e di gusto di Dio raggiungibile in essa, dista

3) lbid.} lib. 2, cap. 3 - E. Crii., I, 104.


4) Ibid.j lib., 2, cap. 4 - E. Crìi., I, 107.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 81

infinitamente da Dio e dal puro possesso di Lui ». « Se l’anima


cerca di unirsi ancora in questa vita mediante la grazia a Colui
col quale mediante la gloria dovrà essere unita nell’altra, che -
come dice S. Paolo - nessun occhio ha mai visto, nessun orecchio
ha mai udito e nessun cuore umano ha mai compreso » (1 Cor., 2,
9; Is., 64, 4), essa deve « per quanto le è possibile, restar comple­
tamente insensibile a quanto possa percepire con l’occhio, acco­
gliere con l’udito, immaginare con la fantasia, abbracciare col
cuore, che qui sta a simboleggiare l’anima »5). Se essa s’appoggia
ancora alle sue proprie forze, non fa che accumulare difficoltà ed
ostacoli uno sull’altro. Nei confronti dello scopo ultimo, abbando­
nare la strada propria equivale ad imboccare la strada giusta. O
per meglio dire, puntare al fine abbandonando il proprio metodo
è già un arrivare a quel fine che non ha modalità, ossia Dio. In­
fatti l’anima che giunge a questo stato, non ha più né metodi né
sistemi, e tanto meno si attacca o riesce ad attaccarsi ad essi, « vale
a dire a determinati modi di intendere, di gustare, di sentire: ora
infatti i modi li possiede in blocco, come uno che non ha niente
ma che possiede tutto » 6).
Sfuggendo ai propri limiti naturali, interni ed esterni, « essa
entra nel campo soprannaturale che non ha modalità alcuna, pos­
sedendo esso nella sua sostanza tutte le modalità ». Deve adergersi
sopra ogni dato spirituale da essa conoscibile o comprensibile per
via naturale; persino sopra ogni elemento spirituale gustabile e
concepibile in questa vita a mezzo dei sensi. Quanto più essa
apprezzerà ancora queste cose, tanto più si svierà dal bene mas­
simo. Mentre sottovalutando tutto in vista del massimo bene, « l’a-
nima, immersa nell’oscurità, s’avvicinerà progressivamente all’u­
nione per mezzo della fede » 7).
A questo punto il Santo, per farsi meglio capire, inserisce
una breve digressione esplicativa su ciò che in tutti questi sviluppi
egli intende per unione: non quella unione essenziale di Dio con
tutte le cose, per cui esse vengono mantenute nel loro essere, ma
invece « una unione e una trasformazione dell’anima in Dio ad
opera delPamore». L’unione di questo tipo non sussìste sempre
come quell’altra, bensì soltanto « allorché l’anima perviene ad
avere similarità d’amore ». Quella è un’unione naturale, questa
soprannaturale.

5) Ibid. - E. Crii., I, 108.


6) lbid. - E. Crii., I, 108.
7) lbid. - E. Crii., I, 108 sg.
82 Parte seconda - ha dottrina della Croce

L’unione soprannaturale si verifica allorquando le due volontà


- quella dell’anima e quella di Dio - sono fuse in una sola, cosic­
ché in una non c’è assolutamente nulla che ripugni all’altra. Per­
ciò allorché l’anima « si sarà sbarazzata di tutto quel che contrasta
la volontà divina, giungendo a rassomigliare a Dio, essa resta
trasfigurata in Lui per amore. Va da sé che non si tratta solo di
ciò che ripugna alla volontà di Dio in modo attuale, ma anche in
modo abituale... E siccome nessuna creatura, né tanto meno
le sue azioni o le sue abitudini quadrano o hanno possibilità di
contatti con ciò che è Dio, perciò stesso 1’anima deve scuotersi di
dosso ogni creatura, ogni azione ed ogni attitudine sua propria...
Così si attua la trasformazione in Dio». La luce divina dunque
palpita già nell’anima. Ma soltanto al momento in cui essa per
amor di Dio si alleggerisce di tutto ciò che non è Dio - ed è questo
l’amore! - potrà essere illuminata e trasfigurata in Dio. « Dio le
comunica allora il suo stesso essere soprannaturale, al punto da
sembrare anche lei Dio, avendo a disposizione ciò che ha lo stesso
Dio ». L’unione è portata così avanti « che le cose di Dio e del­
l’anima diventano un tutto unico nella trasformazione parteci­
pante; e l’anima sembra più Dio che anima ». E’ Dio per parteci­
pazione; eppure, malgrado questa metamorfosi « essa conserva il
suo proprio essere naturale altrettanto ben distinto di prima da
quello di Dio » 8),

b) Purificazione delle facoltà spirituali, vista come via e


morte di croce.
Lo spogliamento che si esige per questa unione trasformante
viene attuato nt\Y intelletto dalla fede, nella memoria dalla spe­
ranza, nella volontà dalla carità.
Abbiamo già dimostrato a proposito della fede, come essa
fornisca all’intelletto una conoscenza certa ma oscura. Infatti ci
mostra Dio come luce inaccessibile, come essere incomprensibile
e infinito di fronte al quale ogni forza naturale crolla. Ed è
proprio per questo motivo che la fede riconduce la ragione al
suo nulla intrinseco:, alla constatazione della sua impotenza e
della grandezza di Dio.
Così la speranza crea il vuoto nella memoria costringendola ad
occuparsi di qualcosa che non possiede ancora. « Perché, chi già

s) Ibid.j cap. 5 - E. Crii., I, 113 sg.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 83

vede una cosa, che spera più? » (Rom., 8, 24). Essa c’insegna a
sperare tutto da Dio e nulla da noi stessi e dalle altre creature; a
sperare da Lui una felicità senza fine, e quindi a rinunciare in
questa vita ad ogni godimento e ad ogni possesso.
La carità infine libera la volontà da tutte le cose, imponendo
come dovere di amare Dio sopra tutto. Ciò però è possibile solo
quando il desiderio affannoso verso le creature è tolto di mezzo.
Questa strada della rinuncia totale è già stata indicata pre­
cedentemente come la via stretta che soltanto pochi trovano (Mt.,
7, 14). E’ la via che conduce sull’alto monte della perfezione; può
essere battuta soltanto da quelli che non sono oberati e trascinati
in basso da nessun carico. E’ la via della croce cui il Signore invita
i suoi discepoli : « Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso,
prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua
vita, la perderà; e chi perderà la sua vita per amor mio... la
salverà » (Me., 8, 34 sg).
Ciò che si chiede in questo passo non è soltanto un po’ di
ritiro e una certa migliorìa sotto tale o tal’altro aspetto; un po’
di prolungamento del tempo dedicato alla preghiera e un po’ di
mortificazione per poi bearsi di consolazioni e di piaceri spirituali.
Quelli che si vogliono accontentare di ciò « fuggono come di
fronte alla morte, appena si presenta loro qualche barlume di quel­
la solida perfezione che è rannullamento di ogni soavità in Dio,
nell’aridità, nel disgusto, nella fatica. Eppure tutto ciò costituisce
la vera croce spirituale, la nudità dello spirito povero di Cristo».
L’altro atteggiamento « non è che ricercare se stessi in Dio, il che
è esattamente il contrario deH’amore. Cercare se stessi in Dio si­
gnifica cercare in Lui soltanto i doni e le delizie... Mentre cercare
Dio in se stesso significa non solo desiderare di essere privi di
entrambe le cose per Dio, ma persino tendere a scegliere per
Cristo quanto v’ha di più insipido, sia nel settore del mondo
come in quello di Dio. Questo è amore di Dio »9). Odiare la
propria anima salvandola, vuol dire rinunciare per amor di Cristo
a tutto ciò che « la volontà tende a desiderare e gustare in con­
tinuità, riservandosi invece tutto ciò che ha più affinità con la
croce... ».
« Bere il calice del Signore (Mt., 20, 21) vuol dire morire alla
natura, sia nella sfera sensibile che in quella spirituale. Solo a
queste condizioni si può imboccare la via sfretta, « che è lastri­
cata solo di mortificazione... e segnata dalla croce. Questo è il ba­

9) Ihii., cap. 7 - E. Crit., I, 122.


84 Parte seconda - ha dottrina della Croce

stone per arrancarvi, l’appoggio che allevia e facilita la marcia.


Ecco perché il Signore afferma per bocca di S. Matteo: «Il mio
giogo è soave e il mio peso leggero (Mt., 11, 30). Si tratta della
croce. Perché se l’uomo si decide ad assumersi questa croce...
ossia a cercare e a sobbarcarsi fatica in ogni cosa per amor di
Dio, in esse troverà un grande sollievo e persino della soavità per
avanzare, spogliato di tutto e privo di desideri, su questo sentiero.
Infatti, se egli nutre la pretesa di possedere qualcosa con diritto
di proprietà, sia nel campo di Dio come in quello delle cose, non
cammina nudo e completamente staccato da tutto; di conseguenza
non potrà progredire e tanto meno salire fino in cima a questo
angusto sentiero». Le anime tendenti alla spiritualità devono ri­
conoscere « che questo sentiero diretto verso Dio non consiste in
una serie di considerazioni, di modi particolari, di gusti perso­
nali..., ma in un’unica cosa necessaria..., cioè nel saper rinnegare se
stessi - esteriormente e interiormente - buttandosi al patire di
Cristo e annientandosi del tutto. Difatti, allenandosi in questo set­
tore, si attua tutto il resto e ci si trova anche qualcosa di più. Se
invece in tale pratica si difetta..., tutti gli altri esercizi di virtù non
sono che un andar per le frasche senza guadagnarci nulla, anche
godendo il privilegio di considerazioni e comunicazioni sublimi
come quelle degli angeli ».
E’ Cristo la nostra vita. Tutto sta a capire come dobbiamo
camminare per seguire il suo esempio. « In primo luogo, è certo
che Egli mori ai suoi sensi: spiritualmente durante la sua vita,
naturalmente al momento della sua morte* Difatti - come ebbe
Lui stesso a dire - nella vita non ebbe dove reclinare il capo (Mt.
8, 20), e nella morte lo ebbe meno ancora. In secondo luogo, è
altrettanto certo che all’istante di sua morte restò annientato nel­
l’anima, assolutamente privo di consolazione e di sollievo, perché
il Padre ebbe a lasciarlo nella più terribile aridità interiore... Tanto
è vero che sentì l’impulso incoercibile di gridare: «Dio mio, Dio
mio, perché mi hai abbandonato? » (Mt. 27, 46). Fu il massimo
abbandono da Lui provato nella sfera sensitiva in tutta la sua
vita. Ma con esso realizzò l’opera più grande della sua vita,
un’opera che superava tutti i miracoli e le imprese da lui com­
piute : quella di riconciliare e ricollegare il genere umano con Dio,
mediante la grazia. E questo si verificò nell’istante in cui il Si­
gnore era all’estremo delPannientamento... : nella riputazione degli
uomini, che vedendolo morire in croce lo deridevano invece di
stimarlo; nel suo complesso naturale che morendo si sfasciava;
nella considerazione e nel conforto spirituale di cui era stato og-
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 85

getto da parte del Padre, che in quel momento lo abbandonava da


solo a pagare il debito e a riunire l’uomo a Dio, lasciandolo così,
distrutto, annientato...
Capisca dunque, chi ci tiene davvero alla spiritualità, il miste­
ro delia porta e del sentiero di Cristo; e sappia che quanto più si
sarà annientato per Dio - nella doppia sfera, sensitiva e spirituale -
tanto più si stringerà a Dio e tanto più valida sarà l’opera da lui
realizzata. E allorché arriverà allo stato di perfetto annientamento,
che sarà anche quello della suprema umiltà, sarà un fatto compiuto
anche l’unione spirituale tra anima e Dio; unione che è il più
sublime stato cui si possa giungere in questa vita. Difatti esso
non è un complesso di soddisfazioni, piaceri, sentimenti spirituali;
ma consiste invece in una autentica e vitale morte di croce nella
sfera sensitiva e spirituale, ossia interiore ed esteriore » 10).

c) Inabilità d’ogni creatura a servir di mezzo all'unione. Insuf­


ficienza della conoscenza naturale e soprannaturale.
Siamo ormai giunti ad un punto in cui si sente già pulsare
il cuore del nostro Padre. Egli parla delle grandi verità da lui
rintracciate, e che formano l’oggetto della sua missione dottrinale:
nostro fine è l’unione con Dio; la strada che dobbiamo battere è
Cristo crocifisso; fare tutt’uno con Lui vuol dire venir crocifissi.
L’unico mezzo adatto è la fede. Bisogna suffragare quest’afferma­
zione con delle prove, e lo si farà provando come nessuna cosa,
né reale né pensata, possa servire allo scopo. Ogni mezzo dev’es­
sere proporzionato al fine. Mezzo per raggiungere Punione con
Dio può essere solo « ciò che mette in collegamento con Dio ed
ha la massima somiglianza con Dio ». E ciò non si può dire di
nessun essere creato. Sì, tutte le creature stanno in una certa rela­
zione con Dio, tutte hanno un certo qual barlume o una certa
qual traccia di Dio in sé.
« Però, tra Dio e le creature non ce nessun rapporto, nessuna
somiglianza essenziale: anzi, la distanza intercorrente tra il Suo
essere divino ed esse è infinita. Perciò è impossibile che l’intel­
letto possa sfociare in Dio servendosi delle creature, celestiali o
terrene che siano... ». Gli stessi Angeli e Santi sono così lontani
dall’essere divino, che nemmeno per loro mezzo l’intelletto riesce
ad avvicinarsi a Dio.

10) Ibid., cap. 7 - E. Crii., I, 123 sgg.


86 Parte seconda - La dottrina della Croce

La stessa cosa vale per tutto « ciò che la fantasia può rappre­
sentare e l’intelletto concepire in questa vita»11). Già, perché la
facoltà in parola afferra il mondo naturale soltanto per via delle
forme e delle immagini assorbite dai sensi. I quali a loro volta
non ci fanno progredire d’un passo sulla via di Dio. Inoltre,
anche quel tanto di mondo soprannaturale che qui sarebbe ac­
cessibile, non può affatto aiutare a raggiungere una più esatta
nozione di Dio. L'intelligenza quindi, malgrado il suo lavoro di
penetrazione, non può formarsi un concetto adeguato di Dio; la
memoria, pur lavorando di fantasia, non può creare forme od
immagini, atte a rappresentare Dio; la volontà non può provare
nessuna gioia e nessuna delizia uguale a quella costituita da Dio
in se stesso. Ecco perché, per arrivare a Dio, è necessario « sfor­
zarsi, con sempre maggior intensità, a camminare senza capire
anziché pretendendo capire... accecandosi e immergendosi nella
tenebra... anziché aprendo gli occhi... ».
Per questo motivo VAreopagita chiama la contemplazione col
nome di teologia mistica, ossia segreta sapienza di Dio e raggio
di tenebra * 12).
L’oscurità che conduce a Dio è - come già sappiamo - la
fede. Essa è l’unico mezzo che conduca all’unione, dato che ci
pone Iddio davanti agli occhi quale è: infinito, uno e trino.
La fede assomiglia proprio a Dio, da questo lato: entrambi
accecano l’intelletto sì da apparirgli come tenebra. « Pertanto,
quanta più fede ha l’anima, tanto più è unita a Dio». La S. Scrit­
tura allude alla sua oscurità con la figura della nube, nella quale
Iddio si avvolgeva al momento delle Rivelazioni vetero-testa-
mentarie: davanti a Mose sul monte13 14); nel tempio di Salomo­
ne H). La luce della verità è nascosta in questo buio. E brillerà sve­
lata soltanto quando la vita di fede sarà finita 15).
Frattanto, nell’attesa, noi siamo indirizzati esclusivamente ad
essa. Quel che essa ci dona è la contemplazione: una conoscenza
oscura e generica. La quale conoscenza si oppone non soltanto
all’attività intellettiva naturale, ma altresì alle svariate forme in
cui all’intelletto possono venir comunicate alcune determinate e
ben discernibili conoscenze soprannaturali: visioni, rivelazioni,
locuzioni intaHori e sentimenti spirituali. Si dà il caso che appaiano

n) Salita, cap. 8 - E. Cnt., I, 128 sgg,


12) Mystica Theol., I, 1; - Salita, lib. 2, cap. 8 - E. Crìi,, I, 130.
13) Ex., 19, 9; 16 e 24, 15 sg.
14) III Rcg. 8, 12.
15) Salita, lib. 2, cap, 9 - E. Crit„ I, 133.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 87

agli occhi del corpo delle figure ultramondane: Angeli, Santi,


splendori o luci straordinarie; che si odano parole strane, che si
percepiscano profumi gradevolissimi, che si provino sapori sensi­
bili squisiti, oppure si abbiano delle sensazioni piacevolissime al
tatto.
Tutto ciò va scartato, senza nemmeno esaminare se sia buono
o cattivo in sé. E’ molto più consono a Dio comunicarsi allo spi­
rito piuttosto che ai sensi; l’anima trova qui una sicurezza molto
maggiore e progredisce molto di più, mentre ai dati offerti dai
sensi va normalmente collegato un pericolo molto serio. I sensi
infatti si arrogano la pretesa di trinciar giudizi sui fatti spirituali,
mentre in realtà essi sono in materia ignoranti come una bestia
da soma nei confronti dell’attività razionale. Per di più, in questo
settore, pure il demonio può spiegare le sue arti, perché sul com­
plesso corporeo un influsso lo ha anche lui. Inoltre, ammesso pure
che tali straordinari fenomeni rappresentativi provengano da Dio,
essi sono tanto meno utili allo spirito quanto più appaiono all’e­
sterno. Favoriscono meno lo spirito di preghiera, suscitando l’im­
pressione di rivestire maggior importanza e di saper guidare me­
glio della fede. Inducono poi l’anima ad una più alta stima di se
stessa; e di questo approfitta molto volentieri il demonio per
danneggiare le anime.
Per tutti questi motivi, la cosa migliore da farsi è rifiutare
tali rivelazioni. Se partono da Dio, l’anima non ci perde nulla;
tanto più che ogni comunicazione proveniente da Dio « all’istante
stesso in cui si verifica, produce il suo effetto nello spirito', senza
che l’anima abbia nemmeno il tempo di deliberare se la voglia
o no». All’opposto delle visioni diaboliche «che suscitano nella
volontà i primi moti soltanto, senza portarla oltre se essa non
ne vuol sapere », quelle divine « penetrano nell’anima, smuovono
la volontà ad amare e lasciano una traccia tale della loro azione,
che l’anima non può resistervi anche volendo ». Malgrado questi
salutari effetti, l’anima non deve aver nessun desiderio di tali
apparizioni, perché:
1) fanno un torto alla fede, che si eleva sopra tutto ciò che
è percettibile ai sensi, sviando così l’anima dall’unico mezzo diretto
all’unione con Dio;
2) bloccano lo spirito, impedendogli di slanciarsi nell’invisi­
bile;
3) non lasciano arrivare l’anima alla vera rinunzia e allo
spogliamente spirituale;
88 Parte seconda - La dottrina della Croce

4) con la sua avidità di fatti sensibili, l’anima diventa assai


meno ricettiva per lo spirito di pietà;
5) le vanno perdute le grazie che Iddio vorrebbe accordarle,
dal momento che essa anela egoisticamente alle visioni;
6) tale bramosia incontrollata spalanca le porte al demonio
che diviene così libero di circuirla con apparizioni similari. Tut­
tavia, se Tanima persiste nella rinunzia, « ed è contraria a tali
apparizioni, il demonio abbandona il campo davanti a lei, visto
che non la può danneggiare. Mentre Dio va aumentando di nu­
mero e di intensità le grazie e i favori a quell’anima umile e disin­
teressata, costituendola dominatrice di molte cose come il servo
che era stato fedele nel suo poco (Mt., 25, 21)... Se l’anima perse­
vererà fedele e riservata, il Signore non si fermerà più, sinché
non l’avrà portata gradualmente all’unione e trasformazione di­
vina » 16).
Oltre le percezioni dei sensi esterni, vanno esclusi anche i
pi*adotti dei sensi interni, della immaginazione e della fantasia.
La prima rappresenta le immagini, la seconda fìssa e dà una con­
sistenza a tali rappresentazioni. Ambedue sono importanti per la
meditazione, che è una riflessione collegata a tali elaborazioni
figurative. (Si può immaginare p. es. Cristo in croce o alla colonna,
oppure Dio sul suo trono di gloria). Tutte queste immagini val­
gono altrettanto poco quanto gli oggetti dei sensi esterni, quali
mezzi prossimi riferibili all’unione con Dio, perché « l’immagina­
zione non può né creare né rappresentare cosa alcuna aH’infuori
di quelle da essa sperimentate con i sensi esteriori...; tutt’al più
può ricostruire per similitudine gli oggetti visti, uditi, provati a
base di sensazioni », ma tutto ciò non appartiene affatto ad una
categoria più alta di quella delle cose percepite coi sensi.
« Ora, siccome... tutti gli enti creati non possono avere nessuna
proporzione con l’essere di Dio », ne consegue che niente di ciò
ch’è immaginabile a loro somiglianza può servire di mezzo pros­
simo all’unione con Dio.
Per i principianti può anche esser necessario rappresentarsi
Iddio sotto forma d’un grande fuoco, d’un folgorante splendore o
alcunché di simile, per muovere l’anima all’amore od infiammarla
sotto l’azione di ciò che tocca i sensi. Ma tali raffigurazioni sono
soltanto mezzi remoti; le anime devono però « far in modo di
passarvi attraverso per raggiungere il fine e la sede del riposo

16) Salita, lib. 2, cap. 11 - E. Crit., I, 137 sgg.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 89

spirituale ». Ma esse hanno facoltà « soltanto di passarvi attraverso


senza sostarvi, diversamente, non arriverebbero mai al traguar­
do... » I7).
Il momento esatto di abbandonare il gradino della meditazione
sarà giunto soltanto quando s’incontrano riuniti i tre segni speci­
fici che già conosciamo dalla Notte oscura dei sensi18). Sono i
seguenti: l’anima, nella meditazione riflessiva, non trova più né
gusto né soddisfazione; Tanima si sente ben poco propensa ad
occuparsi di altre cose; l’anima preferisce soprattutto rimanere in
stato di completo riposo presso Dio, in una conoscenza vaga ma
amorosa di Lui. Questa conoscenza amorosa è normalmente il
frutto di molte meditazioni precedenti, ottenuto attraverso labo­
riose riflessioni sopra nozioni singole, trasformatosi poi in abitu­
dine stabile e duratura per via di lungo esercizio.
Per altro, Iddio può provocare in molte anime questo stato
senza far ricorso a tanti esercizi preliminari, « trasportandole di
peso nello stato di contemplazione e d’amore ». Questa conoscenza
generica e amorosa non lascia più campo a sottilizzazioni, non si
ferma più su particolari. « Perciò l’anima, mettendosi in orazione,
si trova nello stato di uno che ha l’acqua a portata di mano: beve
senza fatica e se la gode senza essere obbligato ad estrarla attraver­
so le condutture delle considerazioni, forme e figure cui era legato
in passato. Di modo che, ponendosi innanzi a Dio, si mette dav­
vero in atteggiamento di conoscenza confusa, amorosa, pacifica
e sopita, e se ne sta lì immobile bevendo la sapienza, ramare e
la soddisfazione ».
Tutte le inquietudini e le pene provengono dall’incompren­
sione di questo stato e dall’ostinarsi a tornare alla riflessione ormai
divenuta sterile.
Nella contemplazione, le facoltà spirituali - memoria, intel­
letto e volontà - agiscono in serie collegata. Nella meditazione e
nella riflessione, Giovanni della Croce vede ancora una attività
delle facoltà sensitive. Più la conoscenza generica è pura, semplice,
perfetta, spiritualizzata e interiore - e lo è allorché si effonde in
un’anima dalla purezza cristallina, libera da impressioni estranee

17) Ibid., lib. 2, cap. 12 - E. Crii., I, 146 sg.


18) Nella Salita (lib. 2, cap. 13 e 14) vengono presentati in una maniera un
po’diversa. (Quello che è primo nella Notte è il secondo nella Salita; il secondo
nella Notte passa al terzo posto nella Salita; mentre il terzo segno nella Notte è
il primo nella Salita. Nella Notte questi segni caratteristici denotano l’azione
purificatrice di Dio neH’anima ad opera della contemplazione infusa che sta
iniziando. Nota degli Editori).
90 Parte seconda - La dottrina della Croce

e da nozioni frammentarie - più è libera, più è soave, più tende


a sottrarsi all’osservazione. L’anima si sente come in un profondo
oblìo, vivendo quasi fuori del tempo. La preghiera le sembra
corta, anche se è durata per delle ore. Questa «breve» preghiera
« penetra i cieli, perché l’anima è divenuta un tutto unico con
intelletto celestiale » 19).
Lascia poi come effetto una certa elevazione della mente verso
l’intelligenza celestiale, un’alienazione e una astrazione da tutte
le cose, incluse le loro forme ed immagini. Logicamente, quella
che ne è più toccata è la volontà: immersa nel piacere di amare,
senza nemmeno sapere esattamente quale sia l’oggetto del suo
amore. L’unica attività deiranima giunta a questo stadio consiste
nel ricevere « ciò che le vien dato, come avviene nelle illumina­
zioni, rivelazioni o ispirazioni di Dio».
E’ una chiara e limpida luce che s’effonde in lei. Non c’è nulla
che uguagli tale luce, e ogni attenzione rivolta a soggetti o a
considerazioni particolari « formerebbe... un ostacolo a quella lim­
pida e semplice luce dello spirito, come se vi si interponessero
delle nubi »... « ...Questa luce, nell’anima non viene mai a mancare;
però, se l’anima è obnubilata e impacciata da forme e veli di
creature, non le viene infusa. Mentre, se si sbarazzasse definitiva­
mente da questi impacci e sovrastrutture, restando in schietta
nudità e povertà di spirito, l’anima - ormai semplice e pura -
si trasformerebbe in quella semplice e pura sapienza che è il
Figlio di Dio ». Allora s’effonderebbero in lei « il sopore e la pace
di Dio... con meravigliose e repentine conoscenze di Dio, impre­
gnate d’amor divino »20). In questo stadio così avanzato della
unione amorosa, Dio non si comunica più all’anima « sotto il
travestimento d’una visione immaginaria, o d’una apparenza o
d’una figura... ma... bensì bocca a bocca (Num., 12, 6 sgg.), ossia
nella pura e nuda essenza di Dio - che è quasi la bocca di Dio
in amore - con la pura e nuda essenza dell’anima - che funge
da bocca dell’anima nei confronti delPamor di Dio » 2l).
Prima di arrivare qui però ce molta strada da lasciarsi alle
spalle. Dio conduce l’anima a questa vetta soltanto per gradi.
Inizialmente, adattandosi alla sua natura, Egli comincia « a comu­
nicarle valori spirituali attraverso le cose esteriori, palpabili... »,
poi la dirozza « mediante forme, immagini e vie sensibili... ora

19) Sdita, lib. 2, cap. 14 - E. Crit.} I, 154sgg.


20) Ibid., cap. 15 - E. Crii., I, 164 sg.
31) Ibid., cap. 16 - E. CriiI, 168 sgg.
IL Spìrito e fede - Morte e Risurrezione 91

naturali ora soprannaturali, e quindi col discorso mentale la porta


a questo altissimo spinto di Dio ». In tale programma educativo
divino, anche le visioni immaginarie hanno la loro funzione or­
dinata. Tuttavia, per quanto le co-ncerne, bisogna aver l’avvertenza
di scegliere « solo ciò che Dio pretende ed ama, ossia lo spirito
di devozione; difatti è questo lo scopo principale per cui le dà.
Si lasci invece quel che Egli tralascerebbe di dare se si fosse capaci
di riceverlo nello spirito senza la mediazione... dei sensi »22).
Nel Vecchio Testamento era permesso, anzi addirittura con­
forme al disegno divino, desiderare visioni e rivelazioni, lasciandosi
poi guidare da esse. Era questo infatti il sistema adoperato da Dio
per rivelare i misteri della fede e manifestare la sua volontà.
Però « quello che Egli un tempo aveva detto frammentariamente
ai profeti, ce lo ha detto in un colpo solo dandoci il tutto, che è
Suo Figlio ». Se Dio anticamente parlava, era per promettere Cri­
sto. Ora invece, in Lui ci ha dato tutto, dicendo: «Ascoltatelo...! »
(Mt., 17, 5).
Per cui, il desiderare ancora rivelazioni sarebbe un mancare
di fede. « In Lui sono riposti tutti i tesori della sapienza e della
scienza » (Col., 2, 3).
« Così dobbiamo lasciarci guidare in tutto e per tutto dalla
legge di Cristo fatto uomo, dalla sua Chiesa e dai suoi ministri,
in modo umano e visibile, rimediando per questa via alla nostra
ignoranza e alle nostre debolezze spirituali... Non si deve credere
nulla di ciò che ci arriva per via soprannaturale; va creduto unica­
mente dò che è insegnamento di Gesù Cristo, Dio e uomo, e dei
suoi ministri, uomini pure loro... Tutto il resto è nulla, e non va
creduto se non nel caso in cui concordi con la dottrina di Cristo ».
Del resto, anche nel Vecchio Testamento non era mica permesso
a tutti di interrogare Dio, né egli rispondeva a tutti, ma soltanto
ai Sacerdoti e Profeti.
« Dio preferisce spiccatamente vedere gli uomini governati e
diretti da altri uomini... e che l’uomo si lasci reggere e comandare
dalla ragione naturale. Egli vuole quindi che, alle cose da lui
comunicateci soprannaturalmente, noi non diamo pieno assenso...
sinché non siano passate attraverso quell’acquedotto appropriato...
che è la bocca dell’uomo. Così, ogniqualvolta Egli concede o rivela
qualcosa aH’anima, le immette anche una certa inclinazione a
manifestare quanto ha ricevuto a coloro i quali hanno diritto di
conoscerlo ». « Infatti, quando un gruppo di uomini si radunano

22) Ibid., cap. 17 - E. Crìi., I, 174 sgg.


92 Parte seconda - La dottrina della Croce

a trattare la verità, Iddio si affianca ad essi per lumeggiarla e


confermarla in loro... » 23).
A ciò che l’intelletto concepisce con l’aiuto dei sensi interni
ed esterni, si aggiungono le pure comunicazioni spirituali. Esse si
presentano senza la mediazione d’alcun senso esterno od interno
e anche senza la sua attiva partecipazione, ma « chiaramente e
distintamente, per via soprannaturale; e passivamente, ossia senza
che l’anima vi collabori con nessun atto od operazione attiva, da
parte sua ».
Giovanni distingue tra visioni spirituali, rivelazioni, locuzioni
e sentimenti spirituali: ma le aggruppa tutt’e quattro, sotto il
nome di visioni intellettuali, perché tutte presentano un vedere
spirituale. In senso stretto, si chiama visione ciò che si contempla
con lo spirito in modo analogo alla vista corporale. Allo stesso
modo si usa chiamare rivelazione ciò che viene appreso dall’in­
telligenza come cosa nuova a modo di valore mai prima afferrato.
Si chiama locuzione ciò che si apprende come attraverso l’udito;
mentre tutto ciò che si percepisce come attraverso gli altri sensi
porta il nome di sentimento {o sensazione) spirituale. In tutto
questo complesso di fenomeni spirituali, nessuna forma, nessuna
immagine, nessuna figura vi esercita una funzione di qualche
importanza: si tratta di una comunicazione mediante intervento
soprannaturale, fatta con mezzi soprannaturali.
Quantunque le percezioni di questo tipo siano d’una categoria
molto superiore, e di molta maggiore utilità rispetto a quelle offerte
dai sensi corporali o dall’immaginazione, non bisogna farne as­
solutamente caso. Perché anche sotto la loro azione « l’intelletto
si appesantisce e si smussa... sbarrandosi la strada della solitudine
e dello spogliamento... » 24).
Le visioni possono presentare all’occhio dello spirito tanto
esseri naturali quanto soprannaturali. Nell’alone d’una certa luce
soprannaturale, l’anima riesce a vedere tutte le cose corporee,
esistenti in cielo e sulla terra. Gli esseri incorporei (Dio, Angeli,
anime) si possono contemplare soltanto nel lume della gloria, e
quindi non in questa vita. « Difatti, se Iddio volesse comunicarli
all’anima tal quali sono nella loro essenza, essa sfuggirebbe dal
corpo abbandonando la vita mortale ».
Tali visioni quindi, possono venir concesse a qualcuno unica­
mente in via transitoria; e allora Dio lo fa dispensando o salvando

23) Ibid., cap. 22 - E. Crit., I, 210 sgg.


24) Ibid,, cap. 23 - E. Crit, I, 223 sg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 93

le condizioni della vita naturale, astraendo completamente lo spi­


rito da essa in modo che la sua azione supplisca le funzioni natu­
rali dell’anima nei confronti del corpo ». Così, p. es., S. Paolo,
allorché ebbe la visione del terzo cielo, venne sottratto alla vita
naturale (2 Cor., 12, 2). Inoltre, tali visioni si verificano estrema-
mente di rado e soltanto in uomini che - come Mose, Elia e Paolo
- sono « fonti dello spirito ecclesiale e della legge divina ».
Stando all’ordinario andamento delle cose, gli esseri spirituali
« in questa vita non si possono svelare e vedere chiaramente con
l’intelletto; si possono tuttavia sentire nella sostanza dell’anima,
mediante una conoscenza amorosa, accompagnata da tocchi e
contatti soavissimi di Dio ».
Questa « oscura conoscenza piena d’amore » - che è la fede
- funge, nella vita presente, da mezzo alla divina unione, come il
lume della gloria serve nell’altra di mezzo per la chiara visione di
Dio » 25).
Siamo così venuti ad anticipare qualcosa su un argomento
che verrà trattato poi in seguito. Per adesso, ci interessa però far
luce sulle visioni aventi per oggetto delle cose corporee. Queste
vengono contemplate aH’interno deU’intelletto mediante luce so­
prannaturale, allo stesso modo in cui gli occhi vedono le cose
per interposizione della luce naturale. Ma la visione spirituale è
molto più nitida e precisa di quella corporale. E’ come il folgorìo
d’un lampo, che in una notte scura fa per un istante risaltare
chiaramente e con nettezza di contorni le cose.
Sotto l’azione della luce spirituale, le cose s’imprimono così
profondamente nell’anima che - ogniqualvolta essa, con la grazia
di Dio, ne ridiviene cosciente - le riconosce esattamente come le
aveva viste la prima volta. Nell’anima, esse producono senso di
riposo e luminosità, gioia celeste, amore puro, umiltà ed elevazione
dello spirito a Dio. Per questi loro effetti si distinguono bene dalle
scimmiottature che ne possa inscenare il demonio.
Eppure, malgrado tutto, di fronte ad esse bisogna conservare
un atteggiamento di ripulsa. Se l’anima le vuol immagazzinare
in se stessa come materiale prezioso, quelle impressioni, quelle
immagini e quelle persone s’impadroniscono del suo interno,
creandole un intoppo sulla via che porta a Dio per la rinuncia
a tutte le cose create. E’ vero che il ricordare tali visioni può anche
far conseguire un certo grado di amor di Dio, ma lo stesso effetto
è raggiunto in un grado molto maggiore della pura fede. Quando

25) ìbid., cap. 24 - E. Crìi. I, 225 sgg.


94 Parte seconda - La dottrina della Croce

- sotto Tazione dello spogliamelo, dell’oscurità e della nullate­


nenza spirituale - la fede pianta neiranima salde radici, in essa
si riversano pure la speranza e la carità; una carità che logica­
mente non si manifesta dando la sensazione d’una certa soavità,
bensì producendo nell’anima una forza, un coraggio più deciso,
un’ardire finora sconosciuto. Dio, l’inconoscibile, Colui che tro­
neggia su tutto, « dobbiamo andar ad incontrarlo battendo la via
della completa rinuncia » 26).
Sotto il nome di rivelazioni, Giovanni comprende due diverse
specie di comunicazioni spirituali: nozioni intellettuali, in cui si
scoprono occulte verità (che possono riferirsi a cose materiali o
spirituali) e rivelazioni nel vero senso della parola, mediante cui
vengono rivelati dei misteri. La conoscenza di verità pure è com­
pletamente diversa dalla contemplazione di oggetti corporei cui
si accennava sopra. Con essa si vengono a sapere verità concer­
nenti il Creatore o il creato, alle quali s’accompagna un godimento
impareggiabile e inesprimibile. « Infatti queste nozioni hanno per
oggetto diretto Dio, facendo provare un altissimo sentimento di
qualcuno dei Suoi attributi... e ciò che si sente si imprime dure­
volmente nell’anima. Trattandosi di pura contemplazione, l’anima
vede chiara anche un’altra cosa: come non si possa dirne pres­
soché nulla, tranne pochi concetti generici... E non si può assolu­
tamente pretendere che con essi si riesca ad esaurire la compren­
sione di ciò che Tanima vi ha gustato e sentito».
Quando poi si tratta di una conoscenza di Dio stesso, non si
riesce a distinguervi nulla di particolare. « Queste altissime amo­
rose nozioni non si possono ottenere che quando l’anima è arrivata
all’unione con Dio, perché si identificano con la stessa unione ».
Sono un certo contatto della divinità con Tanima,... contatto che
« penetra la sostanza dell’anima ».
« Alcune nozioni e tocchi di quelli che Iddio opera nella
sostanza dell’anima, la arrichiscono in maniera tale, che non solo
ne basta uno a purificare istantaneamente l’anima da tutte le
imperfezioni attorno alle quali aveva lavorato indarno per tutta
la vita, ma a lasciarla colma di virtù e di beni celesti ». Per di più,
tali fenomeni sono così permeati di intimo piacere, che all’anima ne
basterebbe uno solo « per sentirsi risarcita da tutte le sofferenze
sopportate in vita, per innumerevoli che abbian potuto essere... ».
L’anima però si trova nell’impossibilità di raggiungere così elevate
conoscenze con la sua sola attività. E’ Dio che le opera in lei,

26) Ibìd., cap. 24 - E. Crit. I, 231.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 95

senza nessuna sua collaborazione, anzi, sovente quando essa


meno vi pensa o vi aspira. E siccome esse capitano all’anima così
improvvisamente e senza sua partecipazione attiva, essa non può
« né cercarle, né respingerle; si comporti invece con umiltà e
rassegnazione nei loro confronti, che Dio farà la sua opera come
e quando vorrà ».
Il Santo quindi non consiglia di rifiutare le conoscenze di
questo tipo come lo fa invece per tutte le altre, passate preceden­
temente in rassegna. Infatti, esse fanno ormai parte di quell’u-
nione a cui egli vuol guidare le anime. « Il mezzo perché Iddio
ce le conceda ha da essere l’umiltà e la sofferenza per amor di
Dio, rassegnandoci anche a far a meno d’ogni retribuzione; questi
favori, infatti, non vengono concessi all’anima « avara di roba »,
in quanto son dati da Dio per un particolarissimo amore ch’Egli
ha verso la tal anima, e appunto perché l’anima s’attiene a Lui
con disinteresse... Dio si manifesta all’anima che s’abbandona a
Lui e Lo ama veramente » 27).

Molto diverse da queste sono le altre conoscenze, quelle rife-


rentisi a cose o ad azioni ed avvenimenti che si verificano nell’u­
manità. Fanno parte dello spirito profetico e di ciò che S. Paolo
designa col nome di « discernimento degli spiriti » (1 Cor., 12, 10).
Si imprimono profondamente nelPanima provocandovi una incrol­
labile convinzione della loro verità. Tuttavia bisogna sottomettere
anch’esse al giudizio del direttore spirituale, perché la via della
fede conduce all’unione con Dio con molta più sicurezza di quella
dell’intelligenza. Avviene quindi che molti uomini arrivino per
via soprannaturale alla conoscenza della natura e delle sue forze.
Talvolta si tratta solo di singole e transitorie illuminazioni, mentre
per i proficienti si giunge frequentemente a nozioni universali e
durature.
Esistono uomini dediti alla spiritualità che, grazie a tale
illuminazione spirituale, sono in grado di rilevare da indizi spesso
del tutto impercettibili, ciò che avviene all’interno di altri uomini.
Inoltre viene loro comunicata la conoscenza delle azioni e della
sorte degli assenti. Tali cognizioni si ricevono senza propria coo-

27) ìbid., cap. 26 - E. Crit. I, 235 sg.


96 Parte seconda - La dottrina della Croce

perazione. Può capitare che, senza minimamente pensarci, si


acquisti una perfetta comprensione di ciò che si sta leggendo o
ascoltando, molto più chiara di quella che potrebbe offrire uno
spiegandone il significato. Così pure avviene di udire delle parole
d’una lingua sconosciuta afferrandone perfettamentjq il senso.
Però in questo settore (a differenza di quello precedente) il demo­
nio ha ancora larghe possibilità di gioco. Anche prescindendo da
ciò, tali fenomeni hanno ben poca importanza per il fine propo­
stoci, che è l’unione divina, e portano con se numerosi pericoli;
per cui la miglior cosa da farsi sarà tenerli alla larga, rendendone
edotto il direttore spirituale e seguendo i suoi consigli. Queste
cose infatti vengono partecipate all’anima passivamente e « ne resta
in essa l’effetto voluto da Dio, senza che l’anima si preoccupi di
concorrervi » 2S).
Le rivelazioni in senso stretto vertono sui misteri della fede:
sull’essenza di Dio (Unità e Trinità), come pure sxAYagire divino
nella creazione. Alla seconda categoria appartengono le promesse
e le minacce espresse da Dio per bocca dei profeti, e inoltre « ciò
che Iddio rivela ordinariamente sia sull’universo in genere, sia
in particolare su regni, provincie, stati, famiglie e persone singole ».
Quando al nostro spirito vengono presentati dei misteri della
fede, - strettamente parlando - non si ha una rivelazione, perché
sono già rivelati: si ha invece una nuova modalità di presenta­
zione e una spiegazione di verità già rivelate. Siccome però tutto
ciò avviene con la mediazione di parole e segni, può facilmente
essere scimmiottato anche dal demonio. Quindi sentendosi rivelar
qualcosa che stona con la fede, non va accettato in nessun caso.
E persino trattandosi d’una nuova esibizione di verità già rivelate,
l’anima « non deve crederle perché in quel momento le vengono
ripresentate sotto nuova forma, ma perché esse sono già sufficien­
temente rivelate alla Chiesa ». Per l’anima sarà « molto meglio
non voler capire troppo chiaro nelle cose della fede, per conser­
varne puro e intatto il merito e anche per arrivare, in questa
notte dell’intelletto, alla divina luce dell’unione con Dio ».
L’anima quindi agirà con la massima prudenza, diffidando di
tutte queste comunicazioni; « solo così l’anima potrà, pura ed
esente da errori, marciare nella notte della fede verso l’unione
divina »28 29).

28) Ibid,, cap. 26 - E. Crii. I, 243,


29) Ibid., cap. 29 - E. Crii. I, 245 sgg.
11. Spinto e fede - Morte e Risurrezione 97

Nel terzo gruppo di comunicazioni puramente spirituali, Gio­


vanni mette le locuzioni, che vengono percepite dall’intelletto senza
la mediazione di alcun, senso corporale. Egli le suddivide in suc­
cessive, formali e sostanziali.
Le prime (.successive) sono parole e conclusioni che lo spirito
formula in se stesso quando è in raccoglimento. Il fenomeno si
verifica quando « esso è perfettamente raccolto, attento e assorto
in qualche considerazione ». Esso « va passando di pensiero in
pensiero, formulando parole e ragionamenti appropriati con tanta
facilità e precisione da scoprire cose a lui prima sconosciute ». Ha
quasi l’impressione che sia un altro a dargli una risposta e ad
istruirlo nel suo interno. In realtà è lui stesso che parla tra sé,
pone i quesiti e vi risponde, ma servendo da strumento allo Spi­
rito Santo sotto l’influsso del quale egli pensa. « Infatti, in quel
momento l’intelletto è raccolto e unito con la verità di quel che
pensa; e anche lo Spirito Divino è unito a tale verità, come lo è
sempre ad ogni verità. Ne deriva che l’intelletto - essendo così in
comunicazione con lo Spirito Divino mediante quella verità -
va formulando successivamente nel suo interno le ulteriori verità
collegato a quella che stava considerando; mentre lo Spirito Santo,
come maestro interiore gli apre la strada e gli fa luce ».
Malgrado tale luce, non si è affatto pienamente assicurati
contro l’errore: innanzitutto perché la luce è così tenue e spiri­
tuale che l’intelletto non vi si trova del tutto a suo agio; poi anche
perché le conclusioni razionali le trae esso stesso e può anche
sbagliare. Inizialmente esso « ha preso per così dire in mano il
filo della verità, ma poi ci mette qualcosa di suo, l’abilità o la
rozzezza della sua intelligenza... ». Può anche accadere che un
intelletto vivace e acuto per natura arrivi ad una attività spiri­
tuale di questo tipo senza aiuto soprannaturale, per poi credersi
illuminato da Dio. A tali pericoli se n’aggiunge poi un altro:
l’anima pensa che con queste sedicenti locuzioni divine si sia
avverato in lei qualcosa di grande, lasciandosi così strappare al­
l’abisso della fede. Perciò bisogna guardarsene, anche quando
l’intelletto è sicuro di andarne debitore aH’illuminazione dello
Spìrito Santo.
L’intelligenza infatti viene illuminata dallo Spirito Santo
secondo il grado del suo raccoglimento. Ma non trova da nessuna
98 Parte seconda - La dottrina della Croce

parte un raccoglimento maggiore di quello che trova nella fede.


« Quanto più pura e raffinata è un’anima nella fede, tanta più
carità infusa da Dio essa possiede; e quanta più carità possiede,
tanto più lo Spirito Santo la illumina e le comunica i suoi doni ».
La luce da essa ricevuta nella fede, rispetto a quella che vien con­
cessa mediante l’illuminazione di singole verità, si trova nello stes­
so rapporto che passa tra l’oro più fino e il metallo più vile, tra
l’oceano e una goccia d’acqua, « Infatti, nel primo caso l’anima si
vede comunicare la penetrazione di una, due o tre verità; mentre
nell’altro le viene concessa tutta la sapienza di Dio in una volta:
vale a dire è il Figlio stesso di Dio che si comunica all’anima nella
fede ». Ora, questa pienezza viene logicamente sottovalutata, ane­
lando a tali comunicazioni soprannaturali. Si deve piuttosto, in
tutta purità e semplicità di cuore, « applicare la propria volontà ad
amare Dio... fissandola in un umile amore, lavorando realmente,
imitando cioè il Figlio di Dio nel suo vivere e nel suo patire, e
mortificandoci in ogni cosa: ché questo è il solo cammino verso
la totalità dei beni spirituali, e non tanti discorsi interiori ». Questi
ultimi, infatti, possono essere un prodotto dell’attività congeniale
alla nostra natura, non solo, ma persino delle suggestioni diabo­
liche. D’altro canto, a seconda della loro provenienza, lasciano
nell’anima conseguenze diverse; da notare che è possibile indivi­
duarli e distinguerli con sicurezza solo quando si ha una grande
esperienza della vita interiore. Per cui la miglior cosa da farsi è
di non dare ad essi alcun peso. « Contentiamoci di conoscere i
misteri e le verità della fede con la semplicità e la schiettezza usate
dalla Chiesa nel proporceli.
Basta questo per infiammare potentemente la volontà... »30).

Le locuzioni formali si distinguono da quelle successive per il


fatto che lo spirito le riceve senza contribuirvi personalmente,
ma anche senza esser raccolto e senza aver nemmeno pensato a
ciò che percepisce. A volte ben delineate, a volte invece sono sol­
tanto come dei concetti mediante i quali si comunica qualcosa ad
una persona. Talvolta si tratta d’una parola sola, talaltra di pa­
recchie; si giunge pure a lunghe istruzioni. Molta impressione

30) ìbìdcap. 29 - E. Crii. I, 251 sgg.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 99

non lasciano, poiché normalmente hanno lo scopo di istruire o


illuminare l’anima soltanto su qualche punto particolare. Per lo
più infondono anche sollecitudine ad eseguire ciò che impongono.
Tuttavia può anche avvenire che neH’anima sussista della ripu­
gnanza ad accingersi a far quel che deve. Dio permette questo
specialmente allorché sì tratta di opere importanti, che possono
conferirle lustro e distinzione. Quando sono in gioco cose ordi­
narie e umilianti invece, Egli concede all’anima una sciolta pron­
tezza.
Proprio il contrario accade allorché le locuzioni provengono
dal demonio. In questo caso Tanima è piena di zelo per le cose
grandi e straordinarie, mentre prova ripugnanza per quelle ordi­
narie. Anche qui però è difficile distinguere ciò che proviene dal­
lo spirito buono e da quello maligno. « Perciò l’anima deve dare
a queste parole formali altrettanto poco peso di quello dato alle
successive ». Non bisogna poi mai accingersi ad eseguire subito ciò
che le locuzioni esigono; vanno invece discusse con un esperto
maestro di spirito, di cui si seguiranno i consigli. Non trovando
alcuno che abbia sufficiente esperienza, meglio di tutto sarà atte­
nersi a quanto le locuzioni affermano di sicuro e dì essenziale,
senza preoccuparsi di andar oltre e senza raccontarle a nessuno31).

Le locuzioni sostanziali hanno in comune con quelle formali


la caratteristica di imprimersi in maniera chiaramente percettibile
neH’anima; ma si differenziano da quelle per il loro effetto forte
e sostanziale, realizzando nell’anima quello che dicono. Mettiamo
che il Signore dica all’anima: Amami! se si tratta duna parola
sostanziale, essa possiederà immediatamente il vero amore di Dio,
provandone gli effetti. Le parole: Non temere! susciteranno istan­
taneamente in un’anima paurosa un grande coraggio e una gran
pace.
Tali locuzioni sono per l’anima «vita, virtù e bene incompa­
rabile. Infatti, una parola di queste le fa più bene di tutto quel
che ha fatto lei durante l’intera sua vita ».
Essa, da quel momento, non ha nulla da fare, nulla de desi­
derare, nulla da temere. Ed è anche indifferente che voglia o re­
spinga le locuzioni. Non ha nemmeno bisogno di darsi da fare

31) Ibid., cap. 30 - E, Crii. I, 258 sgg.


100 Parte seconda - La dottrina della Croce

per tradurre in realtà attiva ciò che ha sentito, perché lo attua


Dio stesso. Le locuzioni le vengono concesse senza che neppur
le desideri. « Tenga nei loro confronti un atteggiamento di rasse­
gnazione e d’umiltà. Non è tenuta neanche a controbatterle, per­
ché il loro effetto perdura nell’anima sostanziato e pieno di favori
divini; siccome poi essa lo riceve passivamente, la sua azione in
rapporto ad esso è del tutto insignificante ». Inoltre, qui non ci
sono da temere illusioni, né da parte dell’intelletto né da parte del
demonio, perché entrambi sono incapaci di influssi così sostan­
ziali. Soltanto nel caso che un’anima avesse sottoscritto un patto
volontario consegnandosi al demonio, costui potrebbe stampare in
lei i suoi pensieri e le sue parole. Ma ne risulterebbero degli ef­
fetti malvagi, ed egli sarebbe sempre impossibilitato a produrne di
paragonabili a quelli divini.
« Così queste parole sostanziali contribuiscono molto all’u­
nione dell’anima con Dio; e quanto più interiori sono, tanto più
incidono la sostanza dell’anima e risultano profittevoli »32).

La quarta ed ultima categoria di apprensioni intellettuali ab­


braccia i sentimenti spirituali. Possono essere di due specie: senti­
menti spirituali radicati nell’affetto della volontà; sentimenti spi­
rituali con sede nella sostanza stessa dell’anima. Già i primi, al­
lorché provengono da Dio, sono qualcosa di molto alto. Ma i
secondi « li sorpassano in altezza e sono di grande utilità e pro­
fitto ». Sia per l’anima che per il suo direttore risultano insonda­
bili nelle loro cause; ed essi non riescono a comprendere come e
perché Dio le conceda queste grazie. Infatti, non dipendono né
dalle sue meditazioni né dalle sue opere. E’ sottinteso che a tali
grazie si può anche disporsi ; ma Iddio le concede « a chi vuole,
come vuole e per lo scopo che vuole ». A molti, che pure si sono
allenati in molte opere, questi tocchi non vengono concessi; ad
altri invece, che hanno fatto molto meno, verranno concessi con al­
tissima intensità e frequenza. Certe di queste scosse sono discer­
nibili a prima vista, ma passano subito; altre sono meno distinte,
ma durano però più a lungo.
Da tutti questi sentimenti - sia della volontà come della so­

32) ìbid.j cap. 31 - E. Crii. I, 261 sgg,


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 101

stanza delPanima - deriva all'intelletto una certa conoscenza e


una certa perspicacia. Questa consiste ordinariamente in un’altis­
sima percezione di Dio, sommamente piacevole airintelletto. Non
di meno è impossibile definirla esattamente; e ciò vale anche per
i sentimenti da cui è originata. Le conoscenze sono più o meno
elevate e chiare a seconda della diversità dei tocchi divini da cui
i sentimenti e conseguentemente le nozioni stesse promanano. Co­
noscenze e sentimenti vengono concessi all’anima passivamente.
« Per eliminare ogni possibilità di errore e non impedire l’e­
ventuale profitto, nemmeno l’intelletto deve far qualcosa in pro­
posito... né immischiarvi la sua capacità naturale... Perché con la
sua attività finirà facilmente per disturbare, anzi per distruggere
quelle conoscenze così delicate... Esse consistono infatti in una
gustosa comprensione soprannaturale a cui l’itelletto naturale non
è assolutissimamente in grado di giungere... Non si deve né pro­
curarle né desiderarle, per evitare che Tintelleto ve ne aggiunga
altre per conto suo e il demonio trovi la porta aperta riuscendo a
intrufolacene altre strane o false... L’anima deve quindi « tenersi
in atteggiamento rassegnato, umile e passivo ». Iddio « le conce­
derà queste grazie... vedendola umile e disinteressata »33).

d) Purificazione della memoria.


Nelle dilucidazioni sin qui esposte, il Santo si è occupato
soprattutto dei rapporti intercorrenti tra conoscenza e fede, sem­
pre in vista dello scopo da raggiungere che è l’unione con Dio.
Davanti al nostro sguardo s’è così spalancata un’immensa distesa;
il regno dello spirito. Una quantità di fenomeni psichici assoluta­
mente ignoti alla comune esperienza è stata da lui rivelata, de­
scritta con mano maestra e analizzata nei suoi riflessi sul settore
evolutivo spirituale. Nel nostro caso sarebbe impossibile anche
solo sfiorare la serie di problemi e di prospettive che da essi de­
rivano. Ci limiteremo quindi ad enucleare ciò che riveste maggior
importanza per il nostro assunto. Prima però dobbiamo seguire
ancora un passo più in là il pensiero del nostro Santo.
Già con quanto precede egli ha fortemente sottolineato come
la via della fede abbia da passare per la notte oscura e sia real­
mente una via crucis. D’altro canto s’è tanto parlato di luce e di
beatitudine, che a momenti si può anche aver avuta l’illusione che
il tema della notte e della croce sia stato abbandonato. Ma siccome

33) Ibtd., cap. 32 - E. Crii. I, 264 sgg.


102 Parte seconda - La dottrina della Croce

non si trattava di una anticipazione del line - che del resto bisogna
conoscere per capirne la strada - tutto questo mondo di illumina­
zione e di grazia è stato squadernato sotto i nostri occhi solo per
mostrare che bisogna abdicarvi. Unicamente chi è arrivato al pos­
sesso di questa ricchezza può misurare quanto una simile spolia­
zione volontaria risulti dolorosa: come diventi buio allorché si
chiudono gli occhi nel bel mezzo di una vivida luce; come si
patisca una autentica crocifissione allorché si incatena la vita dello
spirito sottraendogli tutto ciò che lo soddisfa.
Abbiamo già rilevato come a questa purificazione non venga
assoggettato soltanto l’intelletto ma anche le altre facoltà spirituali :
la memoria e la volontà. Al loro assestamento in vista della divina
unione è dedicato l’ultimo libro della Salita.
Dato che « l’anima deve imparare a conoscere Dio da ciò che
Egli non è, piuttosto che da ciò che Egli è..., essa deve necessaria­
mente arrivare a Lui proprio rifiutando tutte le sue conoscenze sia
naturali che soprannaturali, invece che accettandole ».
Per quanto riguarda la memoria, dobbiamo rovesciare fuori
strada tutti gli sbarramenti naturali che interrompono la via, per
poi risollevare questa facoltà sopra se stessa - ossia sopra ogni
conoscenza limitata, sopra ogni patrimonio sensibile - fino a farle
raggiungere « la suprema speranza dell’incomprensibile Iddio ».
Bisogna quindi innanzitutto svestirla da tutte le conoscenze ed
immagini acquisite a mezzo dei sensi corporei. « Siccome non
esiste forma o immagine mediante cui la memoria possa compren­
dere Dio », va da sé che è necessario svincolarsi da ogni forma
estranea a Dio. Ciò vuol dire che, « sin tanto che essa sta unita
a Dio..., resta nell’indistinto senza forma né figura. L’immagina­
zione è assorta, la memoria inebbriata in un sommo bene, im­
mersa nell’oblìo, priva di ogni ricordo ».
Il vuoto assoluto che si produce nell’unione, non è - come del
resto l’unione stessa - frutto unicamente della propria attività.
Siamo già davanti « a qualcosa di straordinario ». « Quando Iddio
opera questi tocchi d’unione nella memoria, capita spesso di
sentire improvvisamente nel cervello... come una scossa così vio­
lenta che sembra di perdere la testa, di smarrire il giudizio e l’uso
dei sensi. E’ questo il momento in cui... la memoria... si svuota,
depurandosi da ogni conoscenza... » La paralisi dell’immaginativa e
l’oblìo della memoria sono spesso così forti da richiedere molto
tempo prima che si riesca a tornare in sé e si sappia che cosa sia
successo allora » 34).
34) Ibidlib. 3, cap. 2 - E. Crii. T» 271 sgg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 103

Un tale arresto delle facoltà si verifica per altro solo nel primo
stadio dell’unione, mentre nei perfetti non succede più. Nel loro
caso tutto si svolge sotto la guida dello Spirito Santo; Egli li av­
verte a tempo di ciò che devono fare, cosicché nella loro condotta
esteriore restano immuni dagli errori dello stadio di transizione.
La purificazione definitiva è quindi passiva, e come tale si
sa per esperienza che è operata da Dio. Ciò che ranima deve fare
è preparatisi. Tutto ciò che 1 sensi le offrono « essa abbia l’avver­
tenza di non archiviarlo né immagazzinarlo nella memoria, lo
lasci perdere, sforzandosi di fare ciò - se necessario - con lo
stesso impegno che altri mettono nel ricordare. Di modo che
non gliene resti nella memoria alcun ricordo o figura, come se
non esistessero nemmeno al mondo. Lasci la memoria libera e
scarica, senza impegnarla in nessuna considerazione né celeste né
terrena... Lasci affondare tutto questo nell’oblìo, come cosa che
disturba... » 35).
Un’anima che tende alla spiritualità, ostinandosi « ad usare
le conoscenze e i procedimenti discorsivi naturali della memoria
per arrivare a Dio », va soggetta ad un triplice svantaggio. Dalle
cose del mondo avrà da soffrire una quantità di miserie: « illusioni,
imperfezioni, tendenze volgari, giudizi temerari, perdite di tempo
ecc... ». Basta lasciare che la memoria si occupi di ciò che ha
appreso attraverso i sensi, « per cadere in imperfezioni ad ogni
passo. Finisce infatti per attaccatesi addosso qualche apprensione,
ora di dolore, ora di paura, ora di odio, ora di vana speranza o
di vano piacere o di vana gloria..., tutte cose che impediscono la
perfetta purezza dell’anima nonché la incipiente unione con Dio...
A tutto ciò si ovvia magnificamente, una volta per tutte, liberando
la memoria da tutto quanto ». D’altronde « non è necessario rifiu­
tare ciò che si riferisce unicamente a Dio e contribuisce a quella
conoscenza oscura e generica, pura e semplice, di Dio; va eli­
minato invece solo ciò che ha la pretesa di avvicinarcelo per via
immaginativa o per via di paragone affiancandoLo ad una crea­
tura ».
Il meglio di tutto è ancora « ridurre le potenze dell’anima
all’immobilità e al silenzio, per lasciar parlare Dio».
Allora « un fiume di pace si riverserà su di lei... liberandola
da tutte le ansie e i sospetti, da tutti i turbamenti e le tenebrosità
che le incutevano la paura di essere ormai perduta o di stare per
perdersi » 36).
35) ìbidcap, 2 - E. Crit. I, 277.
36) lini., cap. 3 - E. Crit. I, 280.
104 Parte seconda - ha dottrina della Croce

Danni ancor maggiori si profilano da parte del demonio. Egli


« è in grado di suscitare nell’anima nuove impressioni, cognizioni
e procedimenti discorsivi, e - per loro mezzo - di infettarla di
superbia, avarizia, ira, invidia, ecc., iniettandovi un odio ingiusto,
un amore vano... La maggior parte insomma degli imbrogli e dei
mali che il demonio fa all’anima, s’introducono in essa attraverso
le nozioni e i processi discorsivi della memoria. Se invece questa
facoltà crea dentro di sé l’oscurità e si annienta nell’oblìo, chiude
ermeticamente la porta a questa nefasta influenza del demonio
affrancandosi da tutte queste cose: il che è un gran bene...»37 38).
Il terzo svantaggio consiste nel fatto che, nelPanima, le gia­
cenze naturali della memoria « possono sbarrare il passo al bene
morale privandola del bene spirituale ». Il bene morale « consiste
nell’imbrigliamento delle passioni e nelPimposizione d’un freno
alle tendenze disordinate », al punto che senza di esso risulterebbe­
ro inattuabili la tranquillità, la pace, il rilassamento dell’anima e
conseguentemente le virtù morali. Ogni disordine, ogni subbuglio
che turba la pace dell’anima proviene dal materiale accumulato
nella memoria. Ma l’anima che vive nell’agitazione, priva della
base del bene morale, è anche « inerte al reagente spirituale, che
non s’imprime se non nell’anima regolata e in assetto di pace».
Basta che l’anima accordi un valore ai ricordi immagazzinati nella
memoria rivolgendo ad essi la sua attenzione, perché essa non sia
ormai più libera nei confronti delPincomprensibile, che è Dio».
Se invece vuol raggiungere Dio, deve « barattare i valori instabili
e comprensibili contro quelli stabili e incomprensibili » 3S). Allora,
invece degli effetti dannosi da noi descritti, proverà i vantaggi
opposti : pace e tranquillità di spirito, limpida purezza di coscienza
e di anima. Il che è logicamente la migliore preparazione « ad ac­
cogliere la sapienza umana e la sapienza divina e a praticare le
virtù ». Si trova così al riparo dalle suggestioni, dalle tentazioni
e dalle agitazioni del perverso nemico, a cui tali pensieri offrivano
un punto d’attacco.
Diviene così accessibile agli impulsi e alle ispirazioni dello
Spirito Santo39).
Al pari delle percezioni sensorie naturali, anche le visioni,
rivelazioni, locuzioni e sentimenti spirituali lasciano bene spesso

3T) Ibid.j, cap. 4 - E. Crit. I, 283.


38) Ibid.j cap. 5 - E. Crit. I, 285 sgg.
39) Ibid., cap. 6 - E, Crit. I, 287 sg.
IL Spinto e fede - Morte e Risurrezione 105

vivida impressione nella memoria e nella fantasia. Anche nei loro


riguardi è quindi sempre valido il principio che Fanima non deve
riflettere su particolari chiari e distinti per fissarseli nella memoria.
« Quanto più Fanima s’attacca ad apprensioni naturali o sopran­
naturali distinte e chiare, tanto minor capacità e disposizione pos­
siede ad entrare nell’abisso della fede, ove tutto il resto viene
inghiottito. Infatti... nessuna di quelle forme e di quelle nozioni
è Dio, né ha con Dio proporzioni di sorta; per cui non possono
assolutamente servire di mezzo prossimo per l’unione con Dio ».
Bisogna perciò liberare la memoria da tutta questa farraggine « per
unirsi a Dio nella pura speranza mistica. Ogni possesso infatti è
contrario alla speranza... Ne consegue che quanto più la memoria
è a disposizione in fase di rinunzia, tanta più speranza possiede;
quanta più speranza possiede, tanto più intimamente Fanima ri­
sulta unita a Dio... Quando sarà perfettamente disposta, sarà an­
che giunta al perfetto possesso di Dio nell’unione divina...»40).
Il fermarsi su conoscenze soprannaturali trae con sé cinque
svantaggi: in primo luogo, Fanima si illude frequentemente nel
suo giudizio, prendendo per divina rivelazione ciò che è puro
scherzo della fantasia; oppure considerando invece le cose divine
come illusioni diaboliche ecc. Per questo motivo, Fanima deve
« rinunciare al suo giudizio personale, anzi scacciare persino il
desiderio di sapere ciò che le accade...
Per grande che sia il valore di queste percezioni, non pos­
sono aiutarla nell’amor di Dio quanto il più piccolo atto di fede
viva, di speranza, compiuto nel vuoto e nella rinunzia totale»41).
Il secondo danno è costituito dal pericolo di cadere nella pre­
sunzione e nella vanità. Si pensa di essere ormai in fase molto
avanzata sulla via delFunione, dato che si ricevono delle comuni­
cazioni soprannaturali, e si è portati a guardare dall’alto in basso
con la spocchia del fariseo gli altri che non sperimentano tali
trattamenti di favore. Eppure, se vuol controbattere questa sfasa­
tura, Fanima deve tener presenti due cose:
1) « La virtù non consiste nelle apprensioni e nei sentimenti
di Dio - per sublimi che siano - e neppure in qualcos’altro del
genere che certi soggetti sperimentano in se; essa consiste invece
proprio in ciò che quelli non sentono affatto, ossia nella profonda
umiltà, nel disprezzo di se stessi e di tutte le proprie cose... e

40) Ibidcap. 7 - E. Crit. I, 289 sg.


41) Ibid.j cap. 8 - E. Crii. 1, 291 sg.
106 Parte seconda - La dottrina della Croce

anche nel provar piacere vedendo gli altri pensare la stessa cosa
sul conto nostro...
2) Bisogna convincersi che tutte le visioni, rivelazioni e
sentimenti del Cielo... non valgono il più piccolo atto dumiltà; la
quale produce gli stessi effetti della carità: quello di non stimare
né cercare le proprie cose, quello di non pensare male che di sé
solo: il bene si attribuisce non a sé ma agli altri...»42).
Il terzo danno proviene dal perverso nemico. « Esso ha il
potere di proiettare nella memoria e nella fantasia molte nozioni
e immagini false, che sembrano realmente vere e buone... ». Si
presenta all’anima come angelo di luce. E’ capace anche, in oc­
casione di comunicazioni che realmente provengono da Dio, di
eccitare disordinate percezioni sia nella sfera sensoria che in
quella spirituale, seducendo così l’anima e facendola cadere nella
golosità spirituale. Essa allora, accecata dal piacere, bada più alla
soddisfazione sensibile che all’amore. Non è più capace di avere
quel distacco e quell’amore che le virtù teologali richiedono. La
causa di tutti questi mali va ricercata nel fatto « che ranima non
ha voluto negarsi fin dal principio il gusto di quei fenomeni so­
prannaturali... » 43).
Il quarto danno è già stato menzionato a più riprese: il pa­
trimonio della memoria è un ostacolo all’unione con Dio mediante
la speranza.
In ultimo luogo, le forme e figure della facoltà immaginativa,
conservate nella memoria, conducono facilmente « a giudicare l’es­
sere e la sublimità di Dio con meno dignità e con minor elevatezza
di quanto convenga alla sua incomprensibilità », e quindi « non
così altamente e come c’insegna la fede, che ce lo presenta incompa­
rabile e incomprensibile». In questa vita l’anima è in grado di
percepire chiaramente e distintamente solo ciò che è compreso in
un genere o in una specie. Ora, siccome Dio non cade sotto al­
cuna di queste categorie, è logico non possa venir paragonato a
nessuna creatura terrena, a nessuna immagine o nozione che ri­
sulti afferrabile dalle facoltà dell’anima. « Pertanto, chi stiva nella
memoria e nelle altre potenze dell’anima tutto il materiale che
esse possono ricevere, non riesce più a stimare Dio per quel che
vale né a sentire di Lui come si deve »44).

42) Ibidcap. 9 - E. Crìi. I, 293 sg.


43) Ibid., cap. 10 - E. Crit. I> 295 sg.
44) Ibid., cap. 12 - E, Crit. I, 298 sg .
77 . Spirito e fede - Morte e Risurrezione 107

A tutti questi danni si oppongono per fortuna altrettanti van-


taggi, purché si adotti il metodo del perfetto distacco. Alla tran­
quillità e alla pace che già apporta all’anima Fautospoliazione dal­
le percezioni naturali, s’aggiunge il sollievo dalla preoccupazione
di sapere se le comunicazioni soprannaturali siano buone o cat­
tive. « Non c’è più nemmeno bisogno di perdere tempo e fatica in
sedute consiliari coi maestri spirituali per assicurarsi della cosa...
dato che non se ne fa più caso. Così Fanima... può impiegare il
suo tempo e la sua energia in quell’altro esercizio migliore e più
vantaggioso, che è quello di sottomettere la sua volontà a quella
di Dio, cercando di acquistare la nudità e la povertà dello spirito
e dei sensi ». Il che vuol dire lavorare realmente a staccarsi da
ogni appoggio interno ed esterno costituito da consolazioni e
sensazioni. Questo rifiutare le comunicazioni divine non significa
affatto «soffocare lo spirito». In base alle sue forze, Fanima è
idonea solo ad un’attività naturale. Alle opere soprannaturali, con
le sue forze non ci arriva; soltanto Dio può portarla al loro li­
vello. Perciò l’anima, « con le sue operazioni attive non farebbe
che impedire Fazione passiva che Dio sta effettuando in lei me­
diante la comunicazione dello spirito. L’anima s’impastoierebbe
nella sua azione, che è di tutt’altro genere e di grado molto più
basso di quella comunicatale da Dio; poiché quella di Dio è pas­
siva e soprannaturale, mentre quella dell’anima è attiva e natu­
rale. Facendo così si spegnerebbe davvero lo spirito ».
« Le potenze delFanima, di loro iniziativa, non possono che ri­
flettere ed operare su forme, figure e immagini; e questo non è
altro che la superficie esterna e la variante accidentale (corteza
y accidente) sotto cui si nasconde la realtà sostanziale lo spirito
(sustancìa y espiritu). Questa realtà sostanziale e questo spirito
non si uniscono alle potenze delFanima trasformandosi in vera
intelligenza e amore, se non al momento in cui Fazione delle
potenze cessa. Infatti, la mira e lo scopo di tale azione è soltanto
quella di arrivare a ricevere dentro l’anima la realtà sostanziale
intesa e amata sotto le accidentalità di quelle forme. Ecco quindi
come la differenza esistente tra operazione attiva e passiva,., è la
stessa che c’è tra ciò che si sta facendo e ciò che è già fatto, tra
ciò che s’intende raggiungere e ciò che è ormai stato raggiunto ».
Far uso attivamente delle facoltà proprie, trattandosi di percezioni
Far uso attivamente delle facoltà proprie, trattandosi di per-
108 Parte seconda - La dottrina della Croce

cezioni soprannaturali, equivarrebbe quindi... « a lasciare il già


fatto per tornar a farlo un’altra volta ». Perciò l’anima « nel campo
delle manifestazioni provenienti dalFalto,.., deve preoccuparsi di
non badare alla lettera e alla corteccia esterna (ossia a ciò che essa
indica, o rappresenta, o dà ad intendere), procurando invece di
trattenere soltanto l’amor di Dio da esse suscitato dentro di lei...
Unicamente in vista di questo effetto potrà talvolta rammen-
tare tale o tal’altra immagine o percezione che per l’addietro aveva
acceso in lei l’amore: e ciò per somministrare allo spirito un ul­
teriore motivo di amore. Infatti, benché ricordate in un secondo
tempo esse non facciano più tanto effetto come la prima volta che
la investirono..., tuttavia l’amore si rinnovella, la mente si risolleva
a Dio, specialmente quando si tratta di figure, immagini o senti­
menti soprannaturali soliti a imprimersi e a stamparsi nell’anima
per lungo tempo o addirittura in modo indelebile ».
Tali ricordi, « quasi ogni volta che l’anima li rammenta, pro­
ducono in essa divini effetti d’amore, di soavità, di luce ecc...; è
infatti per questo che si sono impressi nell’anima. Così, per chi
l’ottiene da Dio, risulta un grande favore : significa possedere den­
tro di sé una miniera di beni ». Le figurazioni così vitali nei loro
effetti « sono impresse al vivo nell’anima, e non assomigliano
affatto alle altre forme ed immagini conservate nella fantasia ».
Dimodoché l’anima non è obbligata a ricorrere a questa potenza
per riesumarne il ricordo: «le vede addirittura in sé stessa come
si vede un’immagine nello specchio ». Quando l’anima se ne
rammenta per rinfocolare l’amore, esse non costituiscono più un
impedimento « per l’unione amorosa nella fede; purché però essa
non si lasci assorbire dalla figura, ma ne estragga l’amore lasciando
poi perdere la figurazione... ». Immagini formali di questo tipo sono
tuttavia assai rare, e per di più - per quanti non ne hanno ancora
^esperienza - diffìcilmente distinguibili da quelle situate solo
nella fantasia. « Di qualunque tipo siano, per l’anima sarà meglio
non cercar nemmeno di capircene qualcosa, puntando invece su
Dio nella fede e nella speranza » 45).

La memoria non conserva solo immagini figurative, ma anche


conoscenze puramente spirituali. « Allorché l’anima ha assorbito
qualche conoscenza di questo genere, può rievocarla quando vuo-

45) ìbid.j cap. 13 - E. Crii. I, 300 sgg.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 109

le », perché essa lascia nell’anima una forma, una immagine o un


concetto di natura spirituale. Si tratta in questo caso di quelle
conoscenze, già da noi precedentemente esaminate, che vertono
su certe perfezioni inoreate o su cose create. Ricordi di questa se­
conda specie si possono rievocare per ravvivare Tarnore. « Se però
il rammentairle non le portasse nessun effetto buono, le allontani
dalla memoria. Per quanto riguarda invece le cose increate, se le
rammenti pure tutte le volte che può... Si tratta infatti di tocchi
e sentimenti collegati all’unione con Dio, verso la quale stiamo
dirigendo l’anima ». La memoria non se ne ricorda mediante
qualche forma o figura, perché quelli non ne hanno, ma per gli
effetti da essi prodotti: luce, amore, gioia, rinnovamento spiritua­
le. Ogniqualvolta si rievocano, parte di questi effetti si ripetono 46).

Facendo il riassunto conclusivo, il Santo rammenta una volta


ancora che gli interessa soltanto guidare la memoria all’unione con
Dio. Dato che si può sperare unicamente ciò che non si possiede,
la speranza risulterà tanto più piena, quanto meno si avrà di
proprio.
Perciò, quanto più l’anima esproprierà la memoria dalle forme
e dalle cose rievocabili diverse da Dio, tanto meglio arriverà ad
inserirla in Dio, svuotandola da ogni ingombro e tenendola pronta
a sperare da Lui ben altro riempimento di questa sua memoria ».
Tutte le volte dunque che si presentano immagini o conoscenze
distinte, è meglio scartarle per rivolgersi a Dio. L’anima può quin­
di dedicarsi a tali ricordi solo in quanto le bastano per capire ed
eseguire il proprio dovere. E curare che tutto questo si realizzi
senza badare alla soddisfazione personale in essi implicita, dimo­
doché non abbiano ad assorbire completamente l’anima47).

e) Purificazione della volontà,


« Purificando l’intelletto per radicarlo nella virtù della fede,
la memoria per stabilirla nella speranza, non avremmo fatto un

46) ìbìd., cap. 14 - E, Crit. I, 306 sg.


47) Per quanto riguarda il concetto tomistico di passio, cfr. S. Tommaso
D’Aqufno, Quaestiones disputatile de Veritate, tradotte da Edith Stein (Edizione
Tedesca delle sue opere, voi. I, p. 329, Nota 1; voi. IV, p. 501).
110 Parte seconda - La dottrina della Croce

bel niente se non lavorassimo anche a depurare la volontà nei


confronti della terza virtù che è la carità ».
Tutto quel che ci vuole perché anche questa facoltà sia infor­
mata dalbamore di Dio, è espresso perfettamente nelle parole del
Deuteronomio : « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze » (Dt. 6, 5).
« La forza attiva dell’anima consiste nelle sue potenze, nelle sue
passioni e nelle sue tendenze (potencias, pasiones y apetitos); tutto
un complesso governato dalla volontà. Allorché dunque la volontà
indirizza a Dio tali potenze, passioni e tendenze, facendole de­
viare da tutto ciò che non è Dio, allora conserva davvero l’energia
dell’anima per Lui, arrivando ad amarlo con tutte le sue forze».

Passioni

L’ostacolo principale che sbarra la strada è dato dalle quattro


passioni dell’anima: gaudio, speranza, dolore e timore. «Ordi­
nando ragionatamente queste passioni verso Dio, sicché l’anima
non goda che deH’onore e della gloria di Dio, non nutra speranza
d’altro, non senta dolore tranne per ciò che a Lui dispiace, non
abbia timore se non di Dio: è chiaro che la forza e labilità del-
l’anima vengono ad essere conservate ed indirizzate a Dio. Infatti,
più l’anima si lascia andare a godere d’altro che non sia Dio, meno
fortemente la sua gioia di trasferirà su di Lui... ».
Depurando la volontà dalle sue tendenze affettive « la volon­
tà, da umana e bassa che è, si trasforma in volontà divina, ossia in
un tutto unico con la volontà di Dio». Quando non vengono
imbrigliate, le passioni generano nell’anima un’infinità di imper­
fezioni; mentre se ben ordinate e sottomesse, divengono genera­
trici di tutte le virtù. Sono tutte quattro cosi strettamente colle­
gate, che l’assoggettamento di una fa arrendevoli anche le altre.
Reciprocamente: basta che la volontà si compiaccia d’una cosa,
perché in essa si desti la scintilla della speranza, del dolore e del
timore sempre in riferimento a quella stessa cosa. Una passione
trascina seco prigioniere anche le altre, la volontà e l’anima nel
suo complesso, arrestando il suo volo « verso la libertà e il riposo
della dolce contemplazione e dell’unione »48).

48) Ibid., lib. 3, cap, 16 - E. Crit, I, 311 sgg.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 111

Nella trattazione che fa seguito, dedicata al gaudio, viene


sin dall’inizio ribadito questo principio : « La volontà non deve
godere se non di ciò che torna a onore e gloria di Dio. Ora, il
massimo onore che noi possiamo tributargli è quello di servirLo
nella perfezione evangelica; e ciò che esula da questo assunto, non
è di nessunissimo valore e profitto per l’uomo »49).
Ci dà in seguito una precisazione esplicativa: «...Tutto ciò
di cui la volontà può godere in maniera chiara e distinta, è qual­
cosa di soave e dilettevole; ora nessun oggetto soave o dilettevole
è Dio. Siccome Dio è irraggiungibile per le apprensioni (aprehen-
siones) delle altre facoltà, lo è anche per i conati e le tendenze
della volontà. E poiché l’anima in questa vita non ha il potere di
gustare Dio nella sua essenza, nessuna soavità e nessun godimento
quaggiù sperimentabile - per sublime che possa essere - sarà mai
Dio. E’ vero che la volontà può anche, in un certo qual modo,
gustare e desiderare un oggetto, in quanto lo riconosce come ap­
partenente a questa piuttosto che a quest’altra categoria. Tuttavia
la volontà, non avendo mai gustato Dio tal quale Egli è, né
essendo mai riuscita a raggiungerlo mediante qualche percezione
della sua facoltà appetitiva, non potrà mai conoscere a fondo ciò
ch’Egli sia e neppure cosa significhi gustarlo... E’ quindi chiaro
che nessuna cosa fruibile dalla volontà è Dio». Si impone dunque
la necessità di ripudiare il desiderio d’ogni godimento avente per
oggetto sia cose naturali che soprannaturali, se si vuol raggiun­
gere l’unione con Dio. L’unione è effettuabile solo attraverso
l’amore. « E siccome le gioie, la soavità, i diletti - eventualmente
concessi alla volontà - non sono affatto l’amore, ne consegue che
nessuna di queste gradevoli sensazioni può servire alla volontà di
mezzo adatto per l’unione con Dio. Ci vuole invece Y azione della
stessa volontà; il che è un fattore completamente diverso dalle sue
sensazioni. Attraverso la sua azione diretta sì che la volontà si
unisce a Dio, prendendoLo come fine ultimo neH’amore; essa non
ci arriva a quest’unione per via di sensazioni e di percezioni della
facoltà appetitiva, le quali hanno la loro sede, il loro scopo e la
loro conclusione dentro l’anima stessa. Le sensazioni, nei confronti
dell’amore, possono servire soltanto da causa movente..., e nulla
più ».
Esse infatti « non fanno uscire l’anima da se stessa per gui­
darla a Dio, ma pretendono che lei trovi la sua sufficienza dentro
di sé. L’azione della volontà, invece, essendo costituita dall’amore

49) ìbid., cap. 17 - E. Crii. 1, 314 sg.


112 Parte seconda - La dottrina della Croce

di Dio, dirige ranima esclusivamente verso di Lui, sollevandosi


al di sopra di tutte le cose e amandolo in modo totalitario. Per­
ciò, se qualcuno viene mosso all'amore di Dio da un sentimento
di piacevolezza, sormonti questa sensazione e volga il suo amore
direttamente a Dio, che non riuscirà mai ad afferrare per via di
sentimentalismo ». Lasciarsi allettare da tale sentimento, signifi­
cherebbe « sviare l’amore su qualcosa di creato... scambiando la
causa movente col polo finale. L’attività del potere volitivo ne ri­
sulterebbe invertita. Soltanto nell’oscurità e nel vuoto assoluto di
tutto ciò che la volontà può sentire e l’intelletto conoscere, l’anima
si dà all’amore in piena sicurezza e in effettivo spirito di fede »50).
« Sarebbe quindi una enorme stoltezza il pensare che, quando
ad uno manca la sensazione di soavità e di godimento, gli manchi
Iddio; oppure che, quando uno prova tale piacere, sia senz’altro in
possesso di Dio. E ancora più pazzesco il cercare tale soavità in
Dio e compiacersene. Vorrebbe dire andar in cerca di Dio con una
volontà fondata non sui vuoto della fede, bensì sul godimento spi­
rituale che è qualcosa di creato... Allora Iddio non verrebbe affatto
amato sopra tutte le cose, poiché ciò significa riporre in Lui solo
tutta l’energia della volontà... La volontà quindi si trova impossi­
bilitata ad arrivare alla soavità e al godimento della divina unione,
dal momento che il suo potere affettivo non è depurato da qua­
lunque gusto particolareggiato. E’ quello che vuol dire il Salmo:
Dilata os tuum et implebo illud (« Apri la tua bocca e io la riem­
pirò », Salmo 80, 11). Il desiderio è come la bocca della volontà,
che si spalanca soltanto quando non c’è di mezzo qualche altro
boccone fatto di diverso materiale... La bocca della volontà va te­
nuta aperta in direzione di Dio, vuota da ogni altro boccone fatto
di altri desideri, affinché Iddio la riempia con la soavità del suo
amore... » 51 ),
*

Beni Temporali

Tutto questo riceverà un’ulteriore conferma esaminando le


varie categorie di oggetti a cui il desiderio può rivolgersi per sod­
disfazione. Il gaudio può indirizzarsi verso i beni temporali: ric­
chezze, onori, discendenza e simili. Tali cose non necessariamente

50) ìbid., cap. 45 - E. Crii. I, 402 sgg. (parte sinora inedita). Cfr. Lettera

41, cd. ital.


51) ìbid., cap. 46 - E. Crii. I, 406. (pure inedita sinora). Cfr. Lettera

11, ed. ital.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 113

conducono al peccato, ma in via generale portano di certo all’in­


fedeltà nei confronti di Dio. Si può goderne quindi solo in quanto
per loro tramite si arrivi a servire meglio Dio od a raggiungere
con più sicurezza la vita eterna. Siccome però « non si riesce a
sapere esattamente se in questo modo Dio si serva davvero meglio,
sarebbe una futilità fermarsi a godere di determinate cose... »52).
Il danno maggiore, provocato dairinclinazione della volontà
verso queste cose, è Yalienazione da Dio. Questa si verifica in
quattro fasi successive, compendiate nel seguente passo scritturale:
« Il diletto (Israele) s’è ingrassato, ed ha tirato calci; s’è ingrassa­
to, impinguato, dilatato; ha abbandonato Dio suo Creatore, alie­
nandosi da Lui ch’era la sua salvezza » (Deut. 32, 15).
L’ingrassare denota un ottundimento dell'intelletto nei riguar­
di di Dio. Dal momento che « l’anima tendente alla spiritualità
mette la sua felicità in qualcosa d’altro.,., nei confronti di Dio si
immerge nell’oscurità, e il suo giudizio, prima così trasparente, si
copre come d’una cortina di nubi... Né la santità né il retto giu­
dizio dell’uomo bastano ad impedire di cadere in questo pericolo,
se si lascia libero corso alla concupiscenza e al piacere delle cose
temporali »53).
«S’è ingrassato e dilatato». Siamo già alla seconda fase: una
dilatazione della volontà, « che ci concede ormai una maggiore
libertà nelle cose temporali », Siccome non si è saputo imbrigliare
il gaudio fin dall’inizio, la volontà si estrania dalle cose divine e
dagli esercizi di pietà e non vi trova più gusto. Al punto che
l’uomo finisce per abbandonare « le solite e continue pratiche che
prima faceva; mentre tutta la sua mente e la sua bramosia si
rovescia sulle cose mondane ». Adesso non è più soltanto la sua
intelligenza e il suo potere discretivo ad essere oscurato « al punto
da non riconoscere più il vero e il giusto, ma vi si aggiunge in
più una pigrizia, una tiepidezza e una indifferenza enorme nello
scoprirlo e nell’operarlo... » 54).
La terza fase consiste in un completo allontanamento da Dio :
«Ha abbandonato Dio suo Creatore». Quelli che sono arrivati a
questo stadio non hanno più occhi per ciò a cui li obbligherebbe la
legge di Dio. « Dimenticano e trascurano quanto concerne la loro
salvezza, mentre sono forniti d’una avvilente e sottile attenzione
per le cose del mondo », Sono insamma i « figli di questo secolo »,

52) Ibidlib. 3, cap. 18 - E, Crit. I, 316 sg.


53) Ibidcap. 19 - E. Crit, I, 320 sg\
5*) Ibid., cap. 19 - E. Crit, I, 322.

8. - Scientia Crucis.
114 Parte seconda - La dottrina della Croce

di cui dice il Signore « che nelle loro mosse sono molto più pru­
denti e perspicaci dei figli della luce » (Le, 16, 8). Sono degli
autentici avari, che « non sono mai sazi. La loro fame e la loro sete
crescono in proporzione di quanto s’allontanano dall’unica sor­
gente capace di ristorarli, che è Dio». Vanno quindi a cadere « in
una miriade di peccati, tutto per amor dei beni temporali; e i
danni che ne soffrono sono innumerevoli ».
Così s’arriva alla quarta fase, in cui si dimentica Dio; qua­
si che Egli non esistesse più. Questa totale dimenticanza di Dìo
sopravviene per il fatto che « mentre si sarebbe dovuto mettere
il proprio cuore in Dio senza alcuna riserva, lo si è collocato in­
vece senza alcuna riserva nel denaro e nei beni temporali, come
se altro Dio non esistesse ». Tali uomini elevano i beni temporali
al grado di una divinità, arrivando sino a sacrificar loro la vita,
se si profila la minaccia di perderli. Il loro idolo, naturalmente, li
gratifica con quello che ha : « disperazione e morte. E quando non
li perseguita sino a questo estremo costituito dalla morte, li co­
stringe a vivere morendo di pena... Il minor danno che possa loro
fare è quello di coinvolgerli in un disastro... facendo terribilmente
retrocedere la loro anima sulla via di Dio » 55).
Chi invece si sa svincolare da ogni attaccamento a beni tempo­
rali, acquista magnanimità, libertà d’animo, chiarezza d’intelletto,
tranquillità profonda, pacifica confidenza in Dio, attitudine al
Suo culto e reale ossequio della sua volontà ai postulati di quella
divina. Per di più, con tale distacco, s’acquista anche un maggior
godimento e un maggior sollievo nei riguardi delle creature stesse :
una gioia che non si può provare quando si desiderano con la
mentalità imbevuta dall’esclusivismo di proprietà. Perché questo è
una preoccupazione che lega lo spirito alla terra come un laccio,
privandolo della necessaria larghezza di cuore. Chi ne è esente
riconosce ai beni il loro giusto valore sia dal lato naturale che da
quello soprannaturale. « Questi ne gusta la verità, la parte mi­
gliore, la sostanza..., mentre l’altro - che li guarda con gli occhi
dei sensi - ne gusta solo il lato menzognero, la parte più deteriore,
l’aspetto accidentale ». « Chi ha il cuore disimpegnato non viene
molestato da ansietà, né durante l’orazione né fuori di essa; sicché,
senza perder tempo, lavora facilmente e molto nel campo spiri­
tuale; mentre invece per quell’altro, tutto finisce per risolversi in
giravolte a corto raggio sopra il laccio a cui sta legato e incatenato

55) Ibidcap. 19 - E. Crìi. I, 323 sg.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 115

il suo cuore... Perciò colui che tende alla spiritualità, alla prima
mossa che il godimento fa slittando verso le creature, deve repri­
merlo... ». Così si conserva il cuore «libero per Dio: il che è la
premessa dispositiva essenziale per tutte le grazie che Dio sta per
concedergli... ». Dio ricompensa « la rinunzia anche ad una sola
gioia, lasciata per amor suo e per amore della perfezione evange­
lica, col cento per uno ancora in questa vita... ». D’altro canto
« dobbiamo star certi che, ogniqualvolta ci buttiamo in braccio al
piacere, Iddio ci stia preparando qualche amara e ben meritata
punizione... » 56).

Beni Naturali

S. Giovanni cataloga un secondo gruppo di beni, che egli


qualifica col nome di beni naturali. Sono le prerogative del corpo
e delFanima: per esempio, la bellezza e la grazia del corpo, l’in-
telligenza pronta e un forte quantitativo di buon senso. Per colui
che li possiede e anche per gli altri, essi costituiscono una tenta­
zione ad affezionarvi si e a vantarsene. Volendo ovviare a tale
eventualità, basti « ricordare che la bellezza e tutti gli altri fattori
naturali non sono che terra: dalla terra provengono e alla terra
ritornano. La grazia e le belle doti esteriori non sono che fumo e
aria terrena... ». In questo campo quindi « l’importante è indiriz­
zare il cuore a Dio con gioia ed allegria, convinti che Dio riassume
in sé tutte le bellezze e le attrattive in grado eminentissimo, infi­
nitamente superiore a qualsiasi creatura » 57).
I danni caratteristici originati dal gaudio per i beni naturali,
sono : « la vanagloria, la presunzione, la superbia e il disprezzo
per il prossimo ». Ad essi s’aggiunge l’eccitazione della sensualità
e relativo compiacimento; la ricerca delle adulazioni e delle vane
lodi, che provocano effetti disastrosi; un intorpidimento dell’intel­
letto e del potere discretivo ancor più accentuato che nel godi­
mento per i beni temporali; e infine la tiepidezza e il languore
spirituale, che può arrivare fino all’avversione per le cose divine.
Il Santo sottolinea specialmente i pericoli derivanti dalla seduzione
esercitata dal piacere sensuale: «Non c’è penna capace di descri­

56) Ibid., cap. 20 - E. Crit. I, 326 sg.


57) Ibid., cap. 21 - E. Cnt. I, 330 sg.
116 Parte seconda - La dottrina della Croce

verla né parole abbastanza forti per esprimerla; non è allatto un


enigma né un mistero fino a che estremi giunga e quanta sia la
portata della sciagurata compiacenza posta nelle attrattive e nella
bellezza naturali,.. » « ...Anche tra i Santi stessi, se ne trovano
ben pochi che poco o tanto non siano stati affascinati, sedotti da
questa ebbrezza data dal piacere e dal gusto della bellezza e delle
attrattive naturali ». Il vino del piacere sensuale annebbia la ra­
gione.
Se non si prende subito qualche contravveleno, « la vita dell’a­
nima è in pericolo »... « Appena il cuore si sente afferrare da questo
vano piacere avente per oggetto i beni naturali, si ricordi che razza
di futilità sia quella di compiacersi d’altra cosa invece che di ser­
vire Iddio, e quanto tale inversione di valori sia pericolosa e in­
fettiva; consideri quale catastrofe fu per gli Angeli il godere e
compiacersi della loro bellezza, delle loro magnifiche doti natu­
rali, se proprio per questo motivo precipitarono nell’orrendo abis­
so... » 58).
Rinunziando a tutte le compiacenze di questo genere, l’anima
« fa posto dentro di sé all’umiltà e all’amore universale nei con­
fronti del prossimo. Infatti non affezionandosi a nessuno a causa
delle doti naturali, che sono apparenze ingannatrici, l’anima resta
libera e con la visuale chiara per amare tutti ragionatamente e spi­
ritualmente come Dio vuole siano amati... Quanto più aumenta
l’amore, tanto più cresce l’amor di Dio; e quanto più s’irrobustisce
barnar di Dio, tanto più si rafforza l’amor del prossimo ».
Rinnegando questo genere di piacere « si crea nell’anima una
atmosfera di riposo, si eliminano le distrazioni, si attua il racco­
glimento dei sensi, specialmente degli occhi », Quando si è portata
a termine l’operazione di filtratura in questo settore, nemmeno le
cose indecenti fanno più alcuna impressione. Si acquista « limpi­
dezza d’anima e di corpo, vale a dire di spirito e di sensi, rag­
giungendo un angelico stato di convenienza con Dio, trasformando
la propria anima e il proprio corpo in un degno tempio dello
Spirito Santo». Di questo passo si arriva «a quel promettentissimo
bene delPanima, tanto necessario per ben servire Dio: la libertà
dello spirito. Con essa si vincono facilmente le tentazioni, si sop­
portano le fatiche e si dà modo alle virtù di crescere prospero­
samente »59).

58) Ibid.j cap. 22 - È. Crii. I, 332 sgg,


fiS) Ibid., cap. 23 - E. Crii. I, 336 sgg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 117

Beni Sensibili

Sotto il nome di beni sensibili, Giovanni comprende tutto ciò


che può essere percepito dai sensi esterni o elaborato da quelli
interni. Siccome Dio non è afferrabile da nessuno dei sensi, « sa­
rebbe per lo meno impresa inutile » cercare il piacere negli og­
getti sensibili. Alla volontà « verrebbe impedito di occuparsi di
Dio, di cercare la sua gioia soltanto in Lui». Tuttavia, non fer­
mandosi di proposito a questi prodromi, ma sapendo invece - non
appena si prova un godimento in queste cose - indirizzare la
propria soddisfazione a Dio, per sé non è affatto obbligatorio
respingere tali impressioni : « Esistono infatti delle anime che ven­
gono fortemente sospinte verso Dio dagli oggetti sensibili ». Molti
però, sembra che abbiano Pintenzione rivolta a Dio, mentre in
realtà « l’effetto che ne traggono agisce da ricreazione sensitiva,
dalla quale raccolgono più fiacchezza e imperfezione che un
vero stimolo della volontà e una spinta verso Dio ».
Colui invece che viene davvero portato a Dio sin dalle prime
impressioni di quei piaceri, « non si dà alcuna pena di andarne
in cerca; quando poi gli si presentano spontaneamente, la sua
volontà se li scrolla di dosso, li lascia da parte per fissarsi in
Dio »60).
L’abbandonarsi ai beni sensibili, oltre ai danni generici ch’esso
ha in comune con ogni piacere tratto dalle cose create, ne tra­
scina con sé molti altri ancora. Il gaudio connesso alle cose visibili
provoca « vanità d’animo, distrazione della mente, brama disordi­
nata, disonestà, scompostezza interiore ed esteriore, impurità di
pensieri e invidia. Dal piacere di udire cose inutili, nasce diretta-
mente distrazione dell’immaginativa, loquacità, gelosia, giudizi
temerari e una ridda instabile di pensieri, nonché molti altri pe­
stiferi danni. Il dilettarsi dei profumi ingenera disgusto verso i
poveri - il che è contro la dottrina di Cristo - renitenza alla sotto-
missione, poca arrendevolezza di cuore nelle umili cose e infine
insensibilità spirituale in proporzione diretta all’intensità della
ricercatezza. Il piacere insisto nel senso del gusto, conduce alla
golosità e all’ubriachezza, all’ira, alla discordia, alla mancanza di
carità verso il prossimo ed i poveri... Da qui proviene anche lo
sfacelo corporale, le malattie, gli impulsi sessuali sregolati, perché
crescono gli incentivi alla lussuria. Si viene poi a creare uno stato

6t>) Ibid., cap. 25 - E. Crii. I, 339 sgg.


118 Parie seconda - La dottrina della Croce

di grande torpore nello spirito, il desiderio delle cose spirituali si


affloscia... Infine, nasce da questo piacere la dissipazione che in­
veste tutti gli altri sensi, compreso il cuore, nonché il malcontento
per un’infinità di cose».
« Il piacere del tatto di cose gradevoli.... perverte addirittura
il sentimento dello spirito, spegnendo violentemente la sua forza
e la sua vigoria. Da esso si sviluppa l’abbominevole vizio della
mollezza... La sua azione crea la lussuria, rende l’animo effemi­
nato e pusillanime, i sensi... proclivi a peccare e a far del male.
Infonde nel cuore un’allegria vanesia, provocando incontrollata
disinvoltura di linguaggio e libertà di occhi... Intralcerà il giudi­
zio, alimentando al suo posto l’insipienza e la neghittosità spiri­
tuale. Nel campo morale ingenera vigliaccheria e incostanza, otte­
nebrando l’anima, rammollendo il cuore e ispirando paura anche
dove non c’è ragione di averne. Questo piacere crea talvolta la
confusione spirituale e l’insensibilità nella coscienza e nell’animo.
Per di più, debilita pericolosamente la ragione riducendola allo
stato di non saper più né accettare né dare un buon consiglio;
sicché essa resta inerte di fronte ai beni spirituali e morali, inutile
come un’anfora fracassata»61). Da rilevare però che tutti questi
danni risultano più o meno ingenti a seconda dell’intensità con cui
il piacere viene assorbito, nonché a seconda dell’impressionabilità
dei vari temperamenti.
Meravigliosi sono i vantaggi che l’anima trae dal rifiuto di
questo piacere...: si fortifica nella lotta contro le distrazioni... rac­
cogliendosi in Dio. Conserva poi intatto lo spirito e le virtù a
suo tempo acquisite, anzi, queste aumentano ed essa va progre­
dendo». Ben presto si verifica una sublime trasformazione'. «Pos­
siamo affermare senza tema di smentite che Pilorcio da sensuale si
fa spirituale, da animale si fa razionale, persino che dal piano
umano si trasferisce su quello angelicale, divenendo - da temporale
e umano - divino e celestiale ». Alla volontà viene concesso ancora
in questa vita il dividendo del cento per uno promesso dal Sal­
vatore (Mt. 19, 29). Essa baratta il godimento sensibile contro quel­
lo spirituale, restando stabilmente unita a Dio. Come per i nostri
primogenitori nel Paradiso Terrestre, tutte le impressioni sensitive
servono adesso ad aumentare la contemplazione. Senza dire che
in fase conclusiva, nella vita di gloria, a titolo di ricompensa per la
rinunzia, « le doti corporali, quali l’agilità e la chiarezza, saranno
- in chi le ha a suo tempo rinnegate - molto più eccellenti che in

61) Ibid.j cap. 25 - E. Crii. I, 343 sg.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 119

chi non le ha respinte. Così sarà per l’aumento della gloria essen­
ziale dell’anima, corrispondente all’altezza del suo amor di Dio...:
per ogni piacere momentaneo e caduco da essa rifiutato, si accu­
mulerà in lei un immenso peso di gloria che durerà in eterno »
(2 Cor., 4, 17)62).

Beni Morali

Contrariamente ai beni esteriori, naturali e sensibili, i beni


morali hanno già in se stessi un certo valore che dà sollievo.
Inoltre sono dei mezzi, degli strumenti in vista dei beni che
essi procurano all’uomo. Le virtù meritano stima ed amore per se
stesse; d’altronde apportano anche dei vantaggi temporali. Perciò
« - umanamente parlando - l’uomo può anche aver piacere di pos­
sederle, di esercitarle per quel che sono e per quel tanto di bene
che dal lato umano e temporale gli procurano ». E’ ciò che face­
vano i principi e i sapienti dell’antichità : stimavano e praticavano
le virtù, e Dio li ricompensava con le benedizioni temporali, per­
ché « causa la loro mancanza di* fede, erano incapaci di premio
eterno ». Il cristiano tuttavia, pur essendo tenuto a rallegrarsi dei
beni morali e delle buone opere fatte quaggiù - in quanto sono
causa dei beni temporali suaccennati - non deve arrestare qui la
sua compiacenza... Dato che ha il lume della fede e perciò spera
la vita eterna, - senza la quale tutto quanto esiste quaggiù e nel­
l’aldilà non gli serve un bel niente - deve compiacersi principal­
mente ed essenzialmente per il possesso e la pratica di tali beni
morali nell’altra maniera, ossia in quanto le opere fatte per amor
di Dio gli procacciano la vita eterna. Così deve sempre aver di
mira e cercare soddisfazione nel servire e nell’onorare Dio con le
sue virtù e la sua buona condotta. Senza questo indirizzo le virtù
non hanno alcun valore davanti a Dio, come dimostra il Vangelo
con la parabola delle dieci vergini... » (Mt., 25, 1 sgg). « Il cristiano
dunque deve trovare il suo piacere non nel fare opere buone e
nel comportarsi bene, ma nel farle unicamente per amor di Dio,
prescindendo da qualunque altra considerazione »63).
Dalla vana compiacenza posta nelle proprie opere buone na­

62) Ibid., cap, 26 - E, Crii. I, 346 sgg.


63) Ibid., cap. 27 - E. Crit., I, 350 sgg.
120 Parte seconda - La dottrina della Croce

scono l’orgoglio farisaico, la millanteria, il disprezzo verso gli altri,


l’avidità della lode umana: tutte cose con le quali ci si gioca il
premio eterno. La compiaciuta soddisfazione per il proprio lavoro
è un’ingiustizia e un implicito rinnegamento di Dio, che è l’Au­
tore principale d’ogni opera buona. Le anime che fanno così,
non avanzano sulla via della perfezione. Allorché nelle loro pra­
tiche non trovano più alcuna soddisfazione, perché Iddio dà loro
il duro pane dei forti, si abbattono e non sono capaci di man­
giarlo : « perdono la perseveranza, in cui stava racchiusa la vera
soavità dello spirito e la consolazione interiore ». Ordinariamente
poi cadono anche vittime delPillusione : essa le porta a giudicare
gli esercizi e le opere che van loro a genio, migliori di quelle che
loro dispiacciono. Dio invece preferisce molto di più, specie nei
proficienti, le opere che richiedono maggior abnegazione. Infine,
il vano gaudio delle proprie opere rende « recalcitranti ad accettare
consigli e direttive ragionevoli in materia di ciò che si deve fare »,
« Tali anime si afflosciano fortemente nella carità verso Dio e il
prossimo; perché l’amor proprio di cui circondano le loro opere
raffredda la loro carità » 64).
Rinunziando a questo vanesio compiacimento, ci si mette al
riparo « dal cadere in molte tentazioni e imboscate del demonio,
abilmente camuffato proprio sotto il piacere di tali opere buone... »
Già la vana compiacenza è di per sé sola un’illusione. Non basta.
Vi si aggiunge un secondo vantaggio « cioè, che l’anima eseguisce
le sue opere con più calma e precisione », Infatti, la gioia passio­
nale pregiudica l’influsso della ragione, rendendo l’anima instabile
nei suoi propositi e nelle sue azioni; essa si lascia guidare soltanto
dal suo mutevole umore, piantando magari incompiuti i lavori più
importanti non appena quella tale attrattiva che c’era in essi sia
sparita. Se invece la volontà si nega alle soddisfazioni, riesce dav­
vero a perseverare e a raggiungere lo scopo prefisso. Così s’arriva
anche alia povertà di spirito, che il Salvatore proclama beata. Si
diventa buoni, miti e prudenti in tutto il proprio comportamento,
senza mai agire con impeto e frettolosità, senza lasciarsi andare
alla presunzione. Così il rinnegare la vana compiacenza « rende
graditi a Dio e agli uomini, libera l’anima dall’avarizia, dalla gola,
dall’accidia e dall’invidia spirituale, nonché da un’infinità di altri
vizi » 65).

64) Ibid., cap. 28 - E. Crìi. I, 353 sgg.


65) Ibìd., cap. 29 - E. Crii. I, 357 sg.
II. Spirito e fede - Morte e Risurrezione 121

Beni Soprannaturali

Cóme quinto gruppo, S. Giovanni elenca i beni soprannatu­


rali, ossia « tutti quei doni e grazie di Dio che sorpassano le fa­
coltà ed energie naturali e che si chiamano dona gratis data, come,
per esempio, la sapienza e la scienza ricevute da Salomone, le
grazie di cui parla S. Paolo...: «la fede, il dono delle guarigioni,
il dono dei miracoli, la profezia, la conoscenza e il discernimento
degli spiriti, il dono delle lingue e quello della loro interpreta­
zione » (I Cor,, 12, 9-10).
La loro sfera d’azione concerne « il bene degli uomini, ed è
a questo preciso scopo che Iddio li concede ». (I doni spirituali
invece, di cui si tratterà più avanti, hanno per oggetto i rapporti
tra Dio e Tanima).
I doni soprannaturali hamio come effetto temporale la guari­
gione dei malati, la restituzione della vista ai ciechi, la resurrezione
dei morti ecc.; come effetto spirituale la diffusione della conoscenza
di Dio e la sua glorificazione attraverso colui che li opera o attra­
verso i testimoni sotto gli occhi dei quali tali prodigi avvengono.
Ammesso pure come buono il loro effetto temporale, non va an­
nessa nessuna compiacenza alle opere soprannaturali, per la semr
plice ragione che esse sotto questo aspetto non sono affatto un
mezzo che porti aH’unione con Dio. Si può persino « compierle
senza nemmeno possedere la grazia santificante e la carità » : Dio
può concederle anche in tali condizioni (come capitò a Balaam
e a Salomone). Si possono inoltre eseguire con la collaborazione
di Satana o per tramite di oscure forze naturali. S. Paolo ci ha
insegnato che tutti questi carismi non valgono nulla senza la
carità (I Cor., 13, 1-2).
Senza dire che alla fine del mondo, a tanti che si presente­
ranno a chiedere la ricompensa per i prodigi compiuti, Cristo darà
questa risposta: «Via da me, operatori d’iniquità». (Mt., 7, 23).
Bisogna dunque godere soltanto del profitto spirituale originato
da questa concessione di poteri, ossia del fatto che con essi « si
serve Dio con vera carità, la quale racchiude in sé il frutto della
vita eterna » 66).
La vana compiacenza per cose soprannaturali trascina l’ani-
ma «a ingannare e ad essere ingannata».
Nella vita di fede viene a retrocedere, cadendo vittima della

66) Ibid., cap, 30 - E. Crii. I, 359 sgg.


122 Parte seconda - ha dottrina della Croce

vanagloria e di altre scempiaggini di cui è sempre in cerca. Gli


errori di valutazione provengono dal fatto indiscutibile che solo
mediante un’alta dose di discernimento e di illuminazione divina
s’arriva a riconoscere se tali opere « siano false o vere, e come e
quando vadano fatte ». A questa esattezza estimativa si oppone
invece la sopravvalutazione delle opere: il piacere turba il giu­
dizio e la passione spinge a procurarsi tale godimento quanto
prima, senza aspettare il momento giusto. E’ vero che Iddio,
contemporaneamente a tali graziosi doni, elargisce anche la neces­
saria illuminazione assieme al dovuto impulso per discernere come
e quando si debba usarne. Ma gli uomini, nella loro limitatezza,
non prestano attenzione alla volontà divina e non si attengono
aifatto alle modalità e al tempo in cui il Signore vuol vedere
realizzate tali opere. Così risulta possibile un uso cattivo e sba­
gliato dei doni concessi da Dio, Per di più, il vano godimento
annesso alle realizzazioni prodigiose trascina anche a compierle
con l’aiuto di forze che non provengono affatto da Dio. « Sic­
come il demonio li vede affezionati a questo genere di cose, offre
loro un vasto campo d’azione, fornendo pure loro un ricco assor­
timento di materiale e intromettendosi in mille maniere ». « Per­
ciò, chi è stato insignito di tale grazia e dono soprannaturale deve
scartare la bramosia e il piacere nel servirsene...; perché Iddio,
che gliela dà soprannaturalmente per Futilità della Chiesa o dei
suoi membri, gli ispirerà soprannaturalmente anche come e quando
deva farne uso...
Egli infatti vuole... l’uomo attento a verificare che sia Iddio
l’operatore principale, movendo Lui stesso il cuore, giacché è solo
in sua virtù che s’ha da operare ogni prodigio ».
L’arretramento nella fede in conseguenza di tali opere tocca
in primo luogo il prossimo. Chi vuol fare un miracolo, senza che
il tempo e le circostanze lo richiedano, commette un grave peccato
perché tenta Dio. Se l’operazione non riesce, la fede può subire
un indebolimento nei cuori altrui e finire per essere disprezzata.
Si può subire anche personalmente del danno, vedendosi sminuire
il merito della fede. « Infatti... quanto maggiore è il numero dei
segni e delle testimonianze, tanto minor merito c’è nel credere ».
Tutto sta ad indicare che Iddio non ama rivelarsi attraverso i
miracoli. Se li fa, è « per condurre qualcuno alla fede o per altri
motivi collegati alla Sua propria glorificazione e a quella dei
Suoi Santi ». « Perciò, quelli che amano compiacersi di queste
opere soprannaturali, perdono assai del merito della fede »67).
67) Ibidcap. 31 - E. Crii. I, 362 sgg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 123

L’anima che si nega il godimento in questa materia, glorifica


Dio e si eleva sopra se stessa. Si verifica infatti una vera esalta­
zione di Dio neH’anima stessa, allorché « il cuore... si stacca da
tutto ciò che non è Dio... ». E contemporaneamente anche l’anima
ne risulta esaltata, per il solo fatto di volgersi unicamente a Dio.
Egli le rivela la Sua eccellenza e la Sua grandezza, facendole cono­
scere ciò ch’Egli è in se stesso. « Se è vero che si esalta Dio già
estraniando il proprio piacere da ogni cosa, lo si esalta ancora
di più sottraendolo a questi fatti meravigliosi... ». Iddio poi viene
tanto più esaltato quanto più si confida in Lui, servendolo senza
bisogno di prodigi e miracoli. « Infatti, Fanima crede in Dio molto
più di quanto segni e miracoli le possano mai far intendere ».
Così Fanima perviene ad una fede molto più pura. Dio gliela
infonde con una pienezza sconfinata, aumentandole anche la
speranza e la carità. Sicché essa arriva a fruire « di divine e altis­
sime conoscenze appunto per via dell’oscuro e nudo abito della
fede; di grandi delizie d’amore per via della carità, grazie alla
quale la volontà non trova il suo piacere che in Dio vivo; e
infine di soddisfazione nella memoria6 * * 68) per via della speranza.
Tutte cose queste, che costituiscono uno stupendo utile, capace
di contribuire in modo essenziale e diretto alla perfetta unione
dell’anima con Dio » 69).

Beni Spirituali

Meglio di tutti gli altri beni, conducono all’unione con Dio i


beni spirituali. Sono « tutti quelli che muovono ed aiutano nella
sfera delle cose divine, nei rapporti dell’anima con Dio e nelle
comunicazioni di Dio con Fanima». Possono essere di due specie:
gradevoli o penosi; e riferirsi a cose chiare e distinte od a cose
confuse e oscure. Il Santo precisa qui che intende parlare solo dei
beni gradevoli aventi per oggetto cose chiare e distinte. (Gli altri
li rimanda a più tardi)70).

6S) Nelle vecchie edizioni (compresa l’antica Edición Critica, citata da

Edith Stein) al posto di memoria stava la parola volontà. Ora la fedele rico­
struzione del testo, data da P. Silverio ha rettificato tale inesattezza (Cfr. Ed.
Burgos, 1940, Subida, III, cap. 32, 4) (N. d. T.).
69) lbid., cap. 32 - E. Crit. I, 367 sg.
70) lbid,, cap. 33 - E. Crit. I, 369 sg.
124 Parte seconda - La dottrina della Croce

Per tutte le impressioni sperimentabili dalla volontà, vale


la stessa regola di condotta a suo tempo enunciata per l’intelletto
e la memoria, precisamente perché queste facoltà non sono in grado
né di accettare né di respingere nulla senza che la volontà ne
risulti interessata. E’ chiaro che negli oggetti da cui esse devono
venir purificate, nemmeno la volontà può riporre la sua compia­
cenza71).
I beni atti a dare alla volontà una gioia chiara e cosciente
possono avere un’azione motiva, provocatoria, direttiva o per­
fettiva.
Ai beni motivi appartengono le immagini e i ritratti dei santi,
gli oratori e le cerimonie. « Le immagini e le statue possono essere
occasione di grande vanità e frivolo piacere »... quando gli uomini
« badano più all’artisticità della pittura e deirornamentazione che
non a quanto essa rappresenta ». In tal caso sono soltanto i sensi
ad esserne incantati, « per cui l’amore e il godimento della volontà
s’arresta alla superficie». Si arriva al punto di bardare i Santi
caricandoli di vestiti all’ultima moda, « cosa che ai Santi stessi era
stata a suo tempo tanto odiosa, e che lo permane loro ancora
attualmente ». Si rivolge la propria devozione al « corredo del
manichino », attaccandosi ad esso come ad un idolo. Alcuni non
finiscono mai di aggiungere alla loro collezione, immagini su
immagini di questa o di quella precisa forma...; tutto per con­
tentare i sensi, mentre la devozione del cuore resta a bassissimo
livello... ».
Se usate col dovuto criterio invece, le immagini « sono di
grande importanza per il servizio divino e necessarie anche per
stimolare la volontà alla devozione ». La Chiesa infatti ha appro­
vato il loro uso per questo scopo, oltre che per onorare i Santi.
« E’ appunto per lo stesso motivo che si deve sempre dar la pre­
ferenza alle immagini più fedeli e più vive del soggetto che rap­
presentano, giacché son quelle che meglio portano la volontà alla
devozione ». « Chi è veramente pio, indirizza la sua devozione
principalmente all’invisibile e così ha bisogno di ben poche
immagini. Preferisce quelle che mettono in rilievo più il divino
che l’umano, intonandole - e se stesso in esse - alla loro reale
condizione, alla moda deirai tra vita e non a quella della presente ».
Una persona saggia nella sua pietà « non attacca il suo cuore alle
immagini di cui si serve, e se gliele tolgono se ne affligge ben
poco, perché cerca dentro se stessa l’immagine vivente che è

71) lbid., cap. 34 - E. Crìi. I, 371.


IL Spirito e jede - Morte e Risurrezione 125

Cristo crocifìsso... al punto di aver anzi piacere che le portino


via tutto il resto... Perfino la sottrazione di quei mezzi che più
facilmente l’avrebbe avvicinata a Dio, non turba affatto la sua
pace ». Da quanto serve ad elevare il cuore a Dio,.. « bisogna
subito deviare lo sguardo, affinché il senso non si abbia a consu­
mare tutto lui, ingolfandosi nello sfruttamento edonistico dei
beni strumentali. I quali, mentre mi dovrebbero servire soltanto
di aiuto, finiscono invece - causa la mia imperfezione - per essermi
di disturbo, non meno delPattaccam.en.to e delPistinto di proprietà
che mi lega a qualsiasi altra cosa ».
Ancora più esiziale delPabuso dell’immagine è l’imperfezione
« con la quale comunemente ci si affeziona ai rosari. Se ne incon­
trano ben pochi liberi da ogni debolezza a questo proposito. Si
mostrano preferenze per tale forma piuttosto che per quell’altra,
per tale colore o metallo piuttosto che per quell’altro. ...Eppure
l’uno non ha più importanza dell’altro agli effetti che Iddio ascolti
la preghiera che si fa col rosario. Anzi, Egli gradisce quel tipo di
preghiera fatto con cuore semplice e veritiero, senza badare se si
adopera questo o quelPaltro rosario... »72).
E’ grande anche l’insipienza di quegli uomini « che pongono
la loro confidenza in certe immagini piuttosto che in certe altre,
pensando che Dio li abbia ad esaudire meglio per tramite di queste
che di quelle, anche se entrambe rappresentano lo stesso perso­
naggio... Eppure, Dio guarda solo alla fede e alla purità di cuore
di colui che prega ». Se talvolta Egli accorda più favori attraverso
un’immagine che attraverso un’altra, ciò è dovuto al fatto « che
i fedeli si sentono più portati alla devozione da certune che da
certe altre. Se essi invece avessero la stessa devozione verso l’una
come verso l’altra (e anche senza tutt’e due), riceverebbero da
Dio le stesse grazie». Quando la devozione assopita si sveglia
sotto l’azione dei miracoli soliti ad avvenire davanti a qualche
immagine; quando i fedeli ne vengono infiammati e incitati a
perseverante preghiera - « e son le due condizioni perché Iddio
ascolti e conceda ciò che Gli si chiede - allora Dio, per tramite di
queU’immagine, mosso dall’orazione e dal fervore che la circonda,
continua la serie delle grazie e dei miracoli... ».
« L’esperienza ci dimostra che, se Iddio fa grazie ed opera mi­
racoli, ordinariamente li fa servendosi d’immagini tutt’altro che
finemente lavorate..., proprio perché i fedeli non ascrivano questi
fatti alla loro forma artistica. Spesso, Nostro Signore usa operare

72) Ibtd., cap. 35 - E. Crit. I, 372 sgg.


126 Parte seconda - ha dottrina della Croce

tali grazie utilizzando quelle immagini che sono situate in luoghi


appartati e solitari, affinché l’andarvi in pellegrinaggio accresca la
devozione... e poi affinché i fedeli, per pregare si allontanino
dal fracasso e dalla gente, come faceva il Signore ». Perciò, chi
intraprende un pellegrinaggio, fa bene a scegliere un tempo in cui
non ci va altra gente, anche se è fuori dell epoca giusta... Quando
c’è affollamento, « ordinariamente si torna più distratti di quando
s’è partiti ». « ...Purché dunque si abbia devozione e fede, qualun­
que immagine servirà allo scopo; mentre mancando quelle, nes­
suna basterà. Che immagine vivida era Nostro Signore nel mondo!
eppure, malgrado tutto, quelli che non avevano fede potevano
ben andare con Lui e vedere le sue meravigliose opere, ma non
ne ricavavano alcun profitto » 73).
Tuttavia anche dove c’è devozione, nell’uso delle immagini
possono manifestarsi dei pericoli. Il demonio infatti le adopera
volentieri per ridurre le anime incaute in suo potere, a mò d’esem­
pio per via di apparizioni soprannaturali abilmente simulate da
lui (le immagini cominciano a muoversi, a far segni, a parlare
e via di seguito). Per ovviare tali effetti nocivi, nelle immagini è
doveroso « cercare solo un movente impulsivo verso l’amore, e
mettere la nostra gioia.., nella figura viva da esse rappresentata ».
Se un’immagine « ridesta la devozione sensitiva o spirituale, op­
pure opera dei segni soprannaturali »... l’anima « non faccia alcun
caso di questi fenomeni accidentali..., ma tributi invece all’imma­
gine soltanto quella venerazione che è conforme allo spirito della
Chiesa. E subito innalzi la mente dal punto di partenza a dò che
rappresenta, indirizzando il nerbo e il gaudio della volontà a
Dio in una pia orazione interiore... » 74).
L’affezione morbosa alle immagini o ai sontuosi luoghi de­
stinati alla preghiera è forse ancor più pericolosa che non quella
rivolta alle cose terrestri, perché su questo terreno ci si sente
sicuri e non si temono illusioni. Ci sono degli uomini che dedicano
airabbeliimento delle loro cappelle private tutto il tempo « che
dovrebbero impiegare nella preghiera a Dio e nel raccoglimento
interiore... Questa soddisfazione dei loro gusti... li porta ad inquie­
tarsi ogni momento, specialmente nel caso che si cerchi di toglier
loro gli oggetti accarezzati » 75).
Per i principianti è indubitabilmente « utile e conveniente

73)Ibid., cap, 36 - E. Crìi. I, 376 sg.


74)lbid.r cap. 37 - E Crii. I, 379 sg.
75) Ibid., cap. 38 - E. Crìi. I, 381 sgg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 127

provare qualche gusto e soddisfazione sensibile per le immagini,


gli oratori e altri oggetti di devozione visibili ». Ciò li aiuta a
svezzare il loro gusto dalle cose del mondo. Lo spirito puro invece
non conosce che « il raccoglimento interiore e le trattative spiri­
tuali con Dio». Sta bene: bisogna pregare in un luogo convenien­
te; le chiese e i posti solitari sono di per sé consacrati alla pre­
ghiera. Eppure, per « pregare Iddio in spìnto e verità » (Gv., 4,
23-24), è necessario non scegliere alcun luogo che solletichi i sensi.
Anzi, « il posto migliore è proprio... un luogo solitario, selvaggio
persino, affinché lo spirito s’innalzi decisamente e per direttis­
sima a Dio, senza esser impedito e impastoiato nelle cose visibili...
E’ proprio per questo motivo che il Salvatore sceglieva per pre­
gare dei luoghi solitari e che non occupassero affatto i sensi (per
dare buon esempio a noi). Luoghi che elevassero l’anima a Dio,
come le montagne che si sollevano dalla terra e che ordinaria­
mente sono brulle e sprovviste di materia atta a offrire un diver­
sivo sensibile »76).
Dio utilizza di preferenza tre tipi di luoghi per incitare la
volontà alla devozione: ambienti suggestivi (diaria aperta, che per
la conformazione del terreno, per la loro alberatura, per la loro
quiete indisturbata suscitano naturalmente un sentimento di devo­
zione. Ma anche lì bisogna « ...sforzarsi di stare sul posto come
se non ci si stesse nemmeno, procurando di raccogliersi con Dio
nel proprio interno ». E’ a questo patto che Iddio concede a certi
uomini, in determinati luoghi - deserti o meno, non interessa -
grazie spirituali squisitissime. Logicamente nasce allora dentro
di loro una simpatia speciale per quel dato posto, accompagnata
dal desiderio di tornarvi. Niente di anormale in questo fatto,
purché avvenga senza un attaccamento troppo interessato : Dio
infatti non è legato ad alcun luogo; ma sembra quasi voglia esser
lodato, da quella tal anima, proprio là ove le ha già elargito quella
grazia. Là è ancora il luogo in cui l’anima ricorda più sentita-
mente il dovere della gratitudine verso il Suo Benefattore; e tale
ricordo è un forte stimolante alla devozione.
Infine ci sono dei luoghi « che Dio si è riservati in modo tutto
speciale per esservi invocato e servito. Così il monte Sinai, ove
consegnò la Legge a Mosè (Esod., 22, 2)... Così il monte Horeb,
ove Egli apparve ad Elia (3 Reg., 19, 8)... Il motivo per cui Iddio
abbia scelto questi luoghi a preferenza di altri, per esservi lodato,
76) Ibid., cap. 39 - E. Crii. I, 384 sg.
128 Parte seconda - La dottrina della Croce

lo sa soltanto Lui, Quel che ci basta sapere, è che tutto avviene


per nostro bene e che Dio lo fa per esaudire le nostre preghiere,
là e in tutti i luoghi in cui lo pregheremo con piena fede. E5
sottinteso però che nei luoghi ormai consacrati al Suo servizio
ci sia anche maggior probabilità di esser esauditi, dato che la
Chiesa stessa li ha segnalati e dedicati a questa precisa funzio­
ne »77).
Le deviazioni sin qui esaminate « sono per fortuna abbastanza
tollerabili, dato che molti ci cascano così, in buona fede ». Risulta
invece insopportabile rattaccamento incontrollato di molti « a
un’infinità di cerimonie inventate da gente di corte vedute e
priva di semplicità nella fede». Costoro attribuiscono a determi­
nate pratiche una tale efficacia da arrivar a pensare « che se manca
o sfugge un punto solo di tutto quel cerimoniale, non otterranno
alcun effetto e Dio non li ascolterà. Hanno più fiducia in quei
metodi e sistemi che non nella vitalità dell’oirazione, con grande
irriverenza e offesa di Dio. Così una Messa dovrà essere celebrata
con un dato numero di candele, né più né meno, e dovrà dirla
quel tal sacerdote, e alla tal ora, né prima né dopo... E se manca
qualcosa di ciò che hanno stabilito, non se ne fa niente,,. Ma quel
che c’è di peggio e di più intollerabile ancora, si è che certuni
pretendono di sentirne qualche effetto, nel loro interno, o di veder
avverarsi ciò che chiedono, o di constatare come l’esaudimento che
par loro di aver ottenuto, sia una immediata conseguenza di
quelle loro orazioni superstiziose » 78).
« Sappiano invece, che quanta più fiducia ripongono in tali
cerimonie formalistiche, tanta meno confidenza hanno in Dio, e
non riusciranno mai ad ottenere ciò che desiderano. Ce ne sono
alcuni che pregano accampando pretese, invece che per l’onore
di Dio... ». « Sarebbe molto meglio per loro impiegare le energie
-spirituali in cose più importanti, come per esempio nello sbrattare
davvero la loro coscienza, o nel pensare sul serio alla loro salvez­
za... Questa è infatti l’avvertenza data dal Signore per bocca dell’E­
vangelista : « Cercate innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia
c tutto il resto vi verrà dato per soprappiù » (Mt. 6, 33). Questa è la
preghiera a lui più gradita; e per ottenere di veder esaudite le ri­
chieste che teniamo in cuore, non esiste mezzo migliore di quello
di riporre l’efficacia della nostra orazione nel domandare ciò che
a Dio fa più piacere. Allora Egli ci concederà non soltanto quanto

ni) Ibid., cap. 42 - E, Crit. I, 390 sgg.


78) Ibtd., cap. 43 - E. Crit. I, 393 sg.
II. Spinto e fede - Morte e Risurrezione 129

gli chiediamo, ossia la salvezza, ma anche quanto Egli riterrà


buono e conveniente per noi... « Il Signore è vicino a quanti Lo
invocano nella verità » (Salmo 144, 18). Orbene, Lo invocano
nella verità coloro che Gli chiedono i beni più alti e più veri, come
sono quelli che si riferiscono alla salvezza eterna...
Bisogna quindi indirizzare a Dio le forze della volontà e
far sì che essa trovi la sua compiacenza nelle preghiere, avendo
cura di non lasciarsi mai andare ad inventar cerimonie che la
Chiesa cattolica non usa e non approva... Non surroghino il di­
ritto d’instaurare nuove liturgie, come se ne sapessero più dello
Spirito Santo e della Chiesa. Che se Iddio non li ascoltasse per
questa via della semplicità, si convincano pure che Egli non li
ascolterebbe nemmeno se architettassero trovate su trovate». «Dio
è di tale natura che se lo si prende bene e come conviene, si fa di
Lui quel che si vuole; ma se ci si presenta a Lui per interesse, è
inutile parlarGli »... « ...Quando i discepoli lo supplicarono di in­
segnar loro a pregare, disse loro certamento tutto ciò che ci vuole
per essere esauditi dal Padre Eterno... Ed insegnò loro soltanto
le sette petizioni del Pater noster, in cui sono incluse tutte le
nostre necessità spirituali e temporali; e non parlò affatto di tanti
altri sistemi di parole e di cerimonie. Anzi, in altra occasione disse
loro che pregando non si ostinassero a parlar molto, perché, tanto,
il nostro Padre Celeste sa bene quel che ci occorre (Mt. 6, 7-8). Rac­
comandò unicamente con molta insistenza di perseverare nell’o-
razione... » Per quanto concerne le cerimonie esterne, Egli ha dato
soltanto due avvertenze : « ..jQuando vuoi pregare, entra nella
tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo in segreto » (Mt.
6, 6); oppure dobbiamo «ritirarci come faceva Lui, nei posti de­
serti, solitari, nel tempo migliore e più quieto della notte». Di
tempi e giorni stabiliti, di cerimonie e formule verbali Egli non
ha fatto parola79).
Giovanni parla infine dei Predicatori, che possono stimolarci
ad arruolarci al servizio del Signore. Per essere davvero utile al
popolo e non cadere vittima della propria compiaciuta vanagloria,
il predicatore deve « sentire che il suo è più un lavoro spirituale
che un puro esercizio vocale». Per l’efficacia della predica si pre­
suppone poi un certo grado di ricettività da parte degli uditori;
ma il fattore più importante è la perfetta formazione dell’oratore.
Se egli non è pervaso di vero spirito, l’insegnamento più sublime
e lo stile più impeccabile non servono un bel niente. Quanto più 9

79) Ibid., cap. 44 - E. Crii. I, 395 sgg.

9. - Scientia Crucis.
130 Parte seconda - ha dottrina della Croce

esemplare sarà la sua vita, tanto maggiore frutto produrrà, anche


se il suo stile è piatto e il suo modo di porgere ordinario. Uno stile
fiorito, una dottrina elevata e un ottimo linguaggio incantano
realmente, allorché vi si sente, sotto, lo spirito di pietà. « Ma senza
di esso, anche se il discorso accarezzerà dolcemente i sensi e la
mente, ridottissima o affatto nulla sarà la sua azione sulla volon­
tà... La voce non ha il potere di resuscitare un morto dalla sua
sepoltura ». Per altro il Santo non intende affatto escludere il buo­
no stile, la forbita eloquenza e l’opportuna scelta delle parole.
Tutto ciò «anzi, è di grande importanza per il predicatore, come
del resto per ogni persona che ha da trattare affari.
Infatti, la proprietà di linguaggio e lo stile sostenuto innal­
zano e rifanno presentabili persino le cose decadute e strapazzate;
esattamente come la cattiva presentazione deprezza e rovina
persino le cose buone... » 80),

2. - Illuminazione vicendevole tra spirito e fede.


a) Sguardo retrospettivo e prospettico.
A questo punto, la Salita del Monte Carmelo s’interrompe
improvvisamente81), Non sappiamo se sia l’opera che realmente
non è stata finita, o se invece non ce ne sia giunto alcun mano­
scritto completo. La trattazione concernente il gaudio certo non
è finita, e le altre passioni non sono nemmeno trattate. Le parti
enunciate a proposito della purificazione passiva vengono svilup­
pate nella Notte Oscura. Per di più è sorprendente come, nell’e­
sposizione della materia, si abbia soltanto agli inizi un vero e
proprio commento alla poesia che fa da intestazione-guida; mentre
poi si vada gradualmente staccandosene sempre più, per attenersi
invece obiettivamente alla successione logica dei problemi intavo­
lati. Anche per questo motivo la Notte Oscura ci offre materiale
complementare. Nelle ultime parti di quest’opera i versi fanno
realmente da filo conduttore. D’altro canto', il commento espli­
cativo si interrompe al 1° verso della 3a strofa, altrettanto brusca­
mente come la Salita nel bel mezzo della trattazione sul gaudio.

80) Ibid., cap. 45 - E. Crit. I, 339 sgg.


81) In alcuni manoscritti vi fanno seguito ancora i due frammenti, pub­
blicati per la prima volta nell’#. Crit. 1 sotto il nome di cap., 45 e 46. Ne
abbiamo usato il contenuto precedentemente, là dove quadrava con l’argo­
mento (airinizio del capitolo testé concluso sulla purificazione della volontà).
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 131

La frammentarietà di questi scritti e la loro ineguaglianza


riscontrabile sotto vari aspetti, si spiega facilmente con la circo­
stanza e il modo in cui essi sono nati. Giovanni non li ha redatti
come un artista intenzionato a creare un tutto unico, equilibrato
e ben articolato nelle sue parti. E non aveva neppure ridea di
elaborare in qualità di teologo un vero e proprio Sistema di Mi­
stica82); né di formulare in qualità di filosofo o di psicologo un
trattato completo ed esauriente sui fenomeni affettivi deiranima.
Egli scriveva in qualità di Padre e Maestro, per i suoi figli e
figlie spirituali. Intendeva acconsentire alla loro richiesta di dare
una spiegazione dei suoi poemi spirituali. Riferendosi alla sua
propria esperienza interiore che aveva creato quella prima modalità
espressiva, voleva tradurre le immagini poetiche in un linguaggio
intellettualmente comprensibile. Ma appena messosi al lavoro ebbe
subito a rilevare quante considerazioni preliminari fossero neces­
sarie, quante precisazioni andassero via via aggiunte per facili­
tarne la comprensione. Così egli si può esser lasciato condurre a
numerose digressioni, forse anche più in là di quello che era stata
sua intenzione iniziale; ma non ha mai perso di vista il filo
conduttore dello scopo propostosi. Ha saputo tenere a freno con
mano ferma la vivace mobilità del suo spirito, difedendosi bene
dalla folla di pensieri che lo pressavano. Bisogna poi considerare
che egli scriveva le sue trattazioni proprio negli anni in cui era
oberato di incarichi e di affari esteriori. Non gli restava certamente
molto agio per comporre con calma, per revisionare e confrontare
a breve scadenza i suoi scritti. Si è anche autorizzati a supporre
che, dopo certe dissertazioni un po’ più lunghe delle altre, egli * lo
aa) Come piccola guida mistica (intesa sotto l’aspetto di disciplina teolo­
gica) possiamo segnalare il Trattato sulla oscura conoscenza positiva e negativa
ài Dio. Il P. Gerardo l’ha inserito per primo tra le opere del nostro Santo
(E. Cnt. Ili, 287 sgg.), allegando nell'Introduzione (p. 271 sgg.) alcune ragioni
prò c contro l’autenticità di questo scritto. A mio modesto avviso, parlano
contro la sua autenticità ancora una serie di argomenti interni che il P. Ge-
rarj>o non cita. Perciò non posso ammettere che lo scritto provenga dal Santo
stesso, c penso si debba usarlo con grande circospezione. Ad ogni modo il
suo autore ha conosciuto senz’altro a fondo gli scritti del S. Padre; ne dà dei
concentrati riassuntivi chiari e penetranti. Ma mi sembra ch’egli in complesso
lo faccia con una certa insistenza a puntare suH’eleinento puramente naturale e
attivo, senza possedere un’esperienza propria sul terreno più elevato e puramente
passivo dell’orazione; il che è esattamente il contrario di quanto succede al
nostro Santo.
(Da uno studio del P. Simeone della S. Famiglia O. C. D. risulte­
rebbe che il Trattato è un estratto di un’opera incompleta del Ven. Tommaso
di Gesù O. C. D. d'ai titolo: Camino espiritual de oración y eontemplación -
Cfr. E1 Monte Carmelo di Burgos 60 [1952] p. 5 - N. d. T.).
132 Parte seconda - La dottrina della Croce

non ritrovasse più il filo del discorso* al punto esatto in cui gli
era sfuggito, e quindi, invece di ricuperare questo, mettesse il
secondo lavoro al posto del primo. E’ tassativo ricordare ancora
una volta tutto ciò, per esser in grado di iniziare a valorizzare ret-
tamente le surriferite dissertazioni del nostro Santo.
Abbiamo riportato quel che dice Giovanni nella Salita circa
l’ingresso nella Notte dello spirito, per dedurre con chiarezza che
cosa egli intendesse per spirito e fede. Siccome la fede è la via
che attraversa la notte per condurre al traguardo dell’unione con
Dio, in essa si opera la dolorosa rinascita dello spirito, la sua
trasformazione da essere naturale in essere soprannaturale. I
ragionamenti che vertono su spirito e fede s’illuminano quindi a
vicenda. La fede esige la rinunzia all’attività naturale dello spi­
rito. In tale rinunzia consiste la notte attiva della fede, il nostro
personale seguire la Croce. Per rendere comprensibile questa
rinunzia - e conseguentemente la fede -, bisogna analizzare l’at­
tività naturale dello spirito. Dal canto suo la fede, con la sua
stessa esistenza, prova la possibilità di un’esistenza e di un’attività
che sorpassano quella naturale; così l’analisi di ciò ch’essa è,
porta ad un nuovo modo di considerare lo spirito. Va da sé quin­
di, che si dovrà parlare dello spirito in momenti diversi e sotto
accezione diversa.
Ad un osservatore superficiale, tutto ciò potrà apparire come
una contraddizione e una incoerenza. In realtà si tratta invece di
una obiettiva necessità. Siccome l’« essere spirituale » in quanto
tale significa vita ed evoluzione, la nozione di esso non si lascia
imprigionare entro la staccionata di definizioni rigide; ma dovrà
essa pure essere un moto progressivo, cercandosi un’espressione
fluida. E ciò vale anche per la fede. E’ già di per se stessa un
modo di essere spirituale, e quindi logicamente un moto, una
salita verso altezze sempre più inesprimibili, e una discesa verso
profondità sempre più abissali. Ecco perché la conoscenza deve
cercare di farla sua mediante un’espressione polivalente, per quel
tanto, d’altronde, che riesce ad afferrarla.

b) Attività naturale dello spirito - L’anima, le sue parti e le


sue potenze.
Prima di tutto va quindi lumeggiata l’attività naturale dello
spirito. Essa risulta dalla struttura complessiva dell’essere dotato
di costituzione psichico-spirituale. Giovanni cerca di esprimerlo
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 133

coi concetti tradizionali della psicologia scolastica, che in ogni


caso gli erano familiari sin dal tempo dei suoi studi a Salamanca.
L'anima è una realtà fornita di svariate potenze: inferiori e
superiori, oppure sensibili e spirituali. Tanto nella parte inferiore
che in quella superiore, le potenze si suddividono in conoscitive e
appetitive. (Notare che questo non è detto espressamente in S.
Giovanni della Croce, ma è un presupposto della sua trattatistica).
I sensi sono organi corporali, ma sono nello stesso tempo le fine'
stre dell’anima, mediante le quali essa viene a conoscenza del
mondo esteriore. La sensibilità è quindi comune al corpo e alfa-
nima. Il lato corporeo è stato però relativamente poco toccato da
Giovanni. Alla sensibilità appartengono, oltre le impressioni che
ci danno una conoscenza del mondo sensibile, anche il godimento
e il desiderio, che vengono suscitati nelPanima dalle impressioni
dei sensi. Come è già stato rilevato, la Notte dei sensi ha in prima
linea a che fare con la sensibilità presa in questa seconda acce­
zione: è dal desiderio o dall’appetito del godimento sensibile che
l’anima deve liberarsi, cioè purificarsi, in questa prima notte. Tale
limitazione è giustificata, perché godimento e desiderio sono pos­
sibili sin dal primo stadio della pura vita sensibile dell’anima (e
quindi anche nell’animale). La conoscenza invece, persino nella
forma più bassa della percezione sensoriale, non è affatto possibile
senza una attività spirituale. Ne deriva dunque, che ciò che l’a­
nima veramente e propriamente « assorbe » è il desiderio e il
godimento.
La conoscenza sensibile non è possibile senza attività spiri­
tuale: questo sta ad indicare la stretta connessione tra parte supe­
riore e parte inferiore dell’anima. Non si tratta di due piani
sovrapposti. La terminologia di parte superiore e inferiore è sol­
tanto un’immagine spaziale applicata ad un modo di essere che è
fuori da ogni spazio. Giovanni afferma espressamente che « nel­
l’anima in quanto spirito non si può parlare né di alto né di
basso... come si fa per i corpi suscettibili di quantità... » 83). L’a­
zione dei sensi e quella dello spirito, sul piano naturale, sono
strettamente intrecciate.
Come le finestre dell'anima non conducono a nessuna cono­
scenza del mondo sensibile se lo spirito non vi guarda fuori,
così reciprocamente lo spirito ha assoluto bisogno di queste finestre
per spaziare sul mondo. Per dirla in modo diverso: i sensi gli
offrono la materia su cui agire.

83) Viva fiamma d’amore, commento alla 1“ strofa, verso 3, Obras IV, 12, 114,
134 Parte seconda - La dottrina della Croce

In accordo con S. Agostino e staccandosi in questo punto


da S. Tommaso, all’intelletto e alla volontà Giovanni affianca co­
me terza potenza spirituale la memoria. Non è necessario vedere
in questo fatto una profonda consistente opposizione, perché qui
non ci troviamo davanti ad un’effettiva suddivisione dell’anima,
bensì di fronte a diverse modalità d’azione e all’impostazione del­
la unica energia dell’anima in questa o in quell’aitra direzione.
Per ambedue i tipi di suddivisione si possono addurre ottimi
argomenti.
Senza il lavoro basilare della memoria - il ritenere - non sa­
rebbe possibile né un’espressione sensibile, né un’attività spirituale
d’alcun genere.
Infatti le due operazioni si realizzano in tempi successivi, e
perciò è tassativo che il loro contenuto attuale ed istantaneo (per
parlare così alla buona), non venga disperso ma accuratamente
conservato. Per quanto riguarda la vera e propria attività intellet­
tuale (il confrontare, il generalizzare, il concludere, eco.), è fa­
cile dimostrare come anche le altre prestazioni della memoria -
il rammentare e la libera associazione delle idee mediante la
fantasia - siano indispensabili. Questo però è un argomento che
qui non è il caso di sviluppare più a lungo. Ci basta soltanto ac­
cennarlo, perché subito si capisca come nella memoria le funzioni
di ordine sensibile e spirituale siano ben differenziate, tanto da
autorizzare e pensarle incluse in un’altra facoltà 84 85).
D’altro canto le sue prestazioni non sono delle vere e auten­
tiche funzioni conoscitive, ma soltanto degli espedienti ausiliari
per raggiungerle. (Analogamente si può provare la stessa cosa
per quanto concerne i rapporti tra memoria e volontà). Ecco quin­
di che si è giustificati a considerare la memoria come una facoltà
a sé stante.
In S. Agostino, il fattore decisivo per la sua suddivisione tri­
partita delPanima era inoltre il riferimento alla struttura trini­
taria dello spirito; mentre in S. Giovanni della Croce, si tratta
piuttosto dei rapporti scambievoli fra le tre potenze spirituali e

84)De Trinitate, XII, 4 e 7.


85) S. Tommaso include la memoria propriamente intesa nella sensibilità,
perché essa conosce il passato in quanto passato, distinguendolo quindi dal pre­
sente: e ciò apparterrebbe alla sensibilità. Ma siccome l’intelletto non conosce
soltanto il presente, ma anche dì conoscere e quindi di aver posseduta questa
conoscenza sin da prima, si può anche ascrivere la memoria al settore spirituale
dell’anima, Quaestiones disputate de peritate, q. 10, a. 2 corp.: Op. di E. Stein,
voi. III.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 135

le tre virtù teologali. E’ qui che si va a toccare il punto essen­


ziale, determinante, della sua dottrina.

c) Elevazione soprannaturale dello spirito - Fede e vita di fede.


Nella sua attività naturale, lo spirito è vincolato ai sensi.
Assorbe quel che essi gli presentano, conserva ciò che ha assorbito,
rievocandolo dinanzi al suo sguardo quando è il caso, associan­
dolo ad altro materiale raccolto. Poi prosegue, e arriva per via di
confronti, generalizzazioni e consequenzialità, ecc. a delle no­
zioni astratte, ai giudizi e alle conclusioni ultime, che sono le vere
e proprie funzioni intellettive.
Alla stessa maniera, la volontà si occupa naturalmente di ciò
che le viene offerto dai sensi, trovandovi il suo piacere, cercando
di trarlo in suo potere, provando dolore per la sua perdita, spe­
randone il possesso e temendone la privazione.
Ma la vocazione dello spirito non sta nel conoscere e nel
godere le cose create. Il fatto che esso ne sia sempre inceppato
è uno stravolgimento del suo originario e autentico essere. Da que­
sta prigionia deve venir liberato ed innalzato alla vera esistenza
per cui è stato creato. Il suo sguardo deve venir indirizzato verso
il Creatore. E’ a Lui ch’esso deve abbandonarsi, insieme a tutte
le sue potenze. Questo fine si raggiungerà con un lavoro di edu­
cazione e di spogliamento graduale e progressivo. Dio gliene dà
l’impulso iniziale e la rifinitura ultima; ma l’opera complessiva
richiede la collaborazione dell’uomo con la sua propria attività
spirituale.
Allo spirito deve essere strappato tutto ciò, di cui si occupa
sul piano naturale; così può poi venire educato a conoscere Dio,
ponendo in Lui solo ogni sua compiacenza.
Questo si viene a realizzare, innanzitutto, perché alle potenze
naturali si presenta qualcosa che le attira più fortemente e le sod­
disfa meglio di quanto esse riescano a conoscere e a godere nel
campo naturale. La fede dirige l’intelletto verso il Creatore, che
ha tratto tutte le cose all’esistenza e che è infinitamente più grande,
più alto e più degno d’amore di tutto il resto. Essa lo istruisce
sugli attributi di Dio, su quanto Egli ha fatto per l’uomo e su
quanto l’uomo Gli deve.
Che cosa denota la fede in tutto questo complesso? Evidente­
mente ciò che ci è proposto a credere, il compendio di tutte le
verità rivelate, insegnate dalla Chiesa: fides, quae creditur. Nel­
l’istante in cui l’intelletto accetta quanto gli è proposto, senza poter­
136 Parte seconda - La dottrina della Croce

lo conoscere mediante il proprio lume, esso fa il primo passo den­


tro la notte oscura della fede. Questa è però soltanto la fides, quae
ereditar, ossia un atto vitale dello spirito, cui fa riscontro un at­
teggiamento stabile corrispondente (habitus oppure virtù della
fede) la convinzione che Dio esiste (credere Deum)y e l’accetta­
zione convinta di ciò che Dio insegna per tramite della Chiesa
(credere Deo)g6). Con questa vita di fede lo spirito si solleva al
di sopra del suo agire naturale, ma non se ne separa ancora in
nessun modo. Spesso, nel nuovo mondo loro spalancato dalla
fede, le potenze naturali trovano una quantità di materiale nuovo
su cui lavorare.

Questa attività nella quale lo spirito fa intimamente suo il


contenuto della fede, è la meditazione. Qui l’immaginativa pre­
senta ai nostri occhi le varie fasi della economia di salvezza sotto
forma di quadri plastici, cercando di impregnarne tutti i sensi,
scandagliando con l’intelletto il loro valore e le loro esigenze che
conseguentemente s’impongono a ciascuno di noi in quanto per­
sona. In seguito a ciò la volontà viene stimolata ad amare e a
decidere di improntare la vita allo spirito di fede.
Giovanni conosce anche una forma ancor più alta di medi­
tazione86 87): che si ha quando* uno spirito vivace per natura
e riccamente dotato, penetra profondamente nelle verità della
fede, ruminandole da tutti i lati come in un dialogo con se stesso,
sviluppandone le conseguenze razionali e scoprendone le intime
connessioni. Questa attività sarà ancor più intensa, più facile e
redditizia, nel caso che lo Spirito Santo doni le ali allo spirito
umano sollevandolo verso l’alto. L’uomo si sente allora saldamente
afferrato da una potenza superiore e da essa così potentemente
illuminato, da aver l’impressione di non esser più lui ad agire ma
di venir invece ammaestrato dalla divina rivelazione.
Ciò che lo spirito ha elaborato nella meditazione sia d’un
tipo che dell’altro, resta poi un suo stabile possesso. Ed è qualcosa
di più d’un tesoro di verità immagazzinate, che a richiesta pos­
sono venir prelevate dalla memoria. Lo spirito - che inteso in

86) Per la chiarificazione delle diverse accezioni di cui è suscettibile la parola


fede, seguo qui le distinzioni date da S, Tommaso nelle Quacstiones disputatile de
ventate, (q. 14, a. 7, ad 7).
87) Cfr. Salita, lib. 2, cap. 28 - E, Crìt. I, 251 sgg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 137

senso largo e obiettivo non significa soltanto l’intelligenza ma


anche il cuore - grazie alla diuturna attività meditativa, se
familiarizzato con Dio, Lo conosce e Lo ama. Tale conoscenza
e tale amore sono divenute parte integrante del suo essere:
press’a poco come avviene nei rapporti con un uomo col quale
si vive da lungo tempo in compagnia e si è quindi in stretta
confidenza. Due uomini così legati non hanno più bisogno di
prendere informazioni uno sulPaltro o di pensarsi lungamente
l’un l’altro, per conoscersi a fondo vicendevolmente e per convin­
cersi di esser degni dell’amore che si portano. Tra di loro si può
dire che non c’è quasi più nemmen bisogno di parole. Va da sé,
che ogni loro nuovo incontro frutta un nuovo risveglio e un nuovo
rafforzamento dell’amore, forse anche un’ulteriore conoscenza di
qualche nuovo particolare: ma questo si verifica quasi automa­
ticamente, senza che ci sia bisogno di sforzi in tal senso.
Suppergiù così avviene anche nei rapporti d’un’anima con
Dio dopo un lungo allenamento nella vita spirituale. Non ha
nemmeno più bisogno di meditare, per conoscere Dio ed impa­
rare ad amar Lo. La strada l’ha già fatta e quindi lasciata assai
indietro: ormai riposa sul traguardo. Non appena si mette in
orazione, essa è già accanto a Dio, cullandosi nell’abbandono
amoroso in Sua presenza. Il suo silenzio, è a Lui più caro delle
parole.
#

Siamo allo stadio che oggi si chiama contemplazione acquisita.


(Giovanni della Croce non usa questa espressione, ma conosce
perfettamente il concetto da essa inteso) 88). Questa è frutto della
nostra propria attività, logicamente stimolata e sostenuta dall’aiu­
to di numerose grazie. E’ una grazia il nostro raggiungere il
messaggio della fede, verità rivelata di Dio. E’ una grazia quella
che ci dà la forza di accogliere il messaggio della fede e di dive­
nire credenti, anche se questo lo dobbiamo poi condurre a ter­
mine con un atto di libera determinazione. Senza il soccorso
della grazia non è possibile alcuna preghiera né alcuna medita­
zione. Eppure tutto ciò è compito della nostra libertà e si realizza
con la collaborazione delle nostre energie. Dipende pure da noi

flS ) C£r. Salita, lib. 2, cap. 12 - E. Crìi. I, 154 sgg. - Il breve Trattato sulla
conoscenza oscura positiva e negativa di Dio... (E. Crit., Ili, 287 sgg.) parla di
contemplazione naturale (Per questo breve scritto, Cfr. la nota 82 precedente).
138 Parte seconda - La dottrina della Croce

il darci all’orazione, nonché la durata del tempo in cui si estende


il nostro permanere nella contemplazione acquisita.
Osservando ora per se stessa questa contemplazione, silente,
amoroso abbandono in Dio, possiamo a buo-n diritto considerarla
anch’essa una forma della fede, della fides qua creditur. Non si
tratta di un credere Deum (quantunque la fede nell’esistenza di
Dio sia in essa presupposta e inclusa), e nemmeno di un credere
Deo (sebbene questa sia come un concentrato di tutto ciò che
noi abbiamo accettato fedelmente come verità rivelata da Dio),
ma di un credere in Deum, cioè di un credere in Dio, gettandosi
a corpo morto in Lui per mezzo della fede.
Questo è il più alto stadio della vita di fede raggiungibile
mediante la propria attività personale. Lo si tocca allorché, basan­
dosi su questi principi fondamentali, si perviene alla conclusione
pratica di abbandonare la propria volontà alla volontà divina,
allineando integralmente la propria condotta al volere di Dio.
Ne risulta immediatamente anche una elevazione dello spirito al
di sopra delle condizioni naturali proprie del suo essere. Le verità
della fede, dapprima ci avvicinano a Dio per tramite d'immagini,
di paragoni e di concetti desunti dalle cose create. In un secondo
tempo però, esse ci insegnano che Dio si erge sopra tutto il
creato, sorpassando ogni comprensione e ogni concetto. Ecco per­
ché noi dobbiamo lasciarci addietro ogni cosa creata e ogni nostra
potenza che ci serva a comprendere e ad impadronirci delle crea­
ture, se vogliamo elevarci nella fede sino a Dio, lmafFerrabile
e l’ineomprensibile (#).
Sono impossibilitati ad arrivarvi tanto i sensi quanto l’intel­
letto, sia pur inteso come facoltà suscettibile d’un pensiero astratto.
Col nostro abbandonarci all’incomprensibile Iddio nello slancio
della fede, diventiamo quasi dei puri spiriti, liberi da tutte le
immagini e da tutti i concetti. Ma appunto in conseguenza di
questo, veniamo a trovarci nelPoscurità, giacché il nostro mondo
visuale solito è impastato di immagini e di concetti. Veniamo
anche liberati dal meccanismo complesso fatto d’una quantità di
energie diverse, risultandone unificati e semplificati in un modo
di vivere dove conoscere, ricordare e amare formano un tutto
unico. Allora siamo ormai arrivati alle soglie della vita mistica,
agli inizi di quella totale trasformazione che deve essere raggiunta *)

*) Qui non si espone che la contemplazione negativa, della quale S. Giovanni


■della Croce tratta specificatamente, mentre non si fa parola della via che conduce
alla contemplazione affermativa {Nota dell’Editore Tedesco).
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 139

attraversando la Notte dello spirito. Ma siamo arrivati anche a


qualche cosa che, malgrado la sospensione delle potenze, non è
ancora stato toccato. Sì, deve restare ancora qualcosa, se l’unione
con Dio e la trasformazione in Lui risulta possibile soltanto dopo
la sospensione delle potenze.
Ebbene, questo qualcosa situato al di là della sensitività e
deH’intelletto vincolato ai sensi, non può che essere lo spirito
propriamente detto.
Riferendosi a questo, Giovanni parla anche della cosidetta
sostanza dell anima. L’anima, per sua essenza è spirito, e per sua
natura intima è ricettiva nei confronti d’ogni valore spirituale:
rispetto a Dio, ch’è puro spirito, e anche rispetto a tutto ciò ch’Egli
ha creato e che per sua intima essenza è spirituale. Ma essa è
immersa nella corporeità, e possiede sensi legati al corpo con
funzione di organi percettivi rispetto a ciò che è materiale. Dal
momento della prima colpa questi organi sono divenuti dei tiran­
nici dittatori. Perciò lo spirito deve quanto prima venire liberato
dalla loro stretta soffocante, se si vuol avere l’energia per un’esi­
stenza spirituale nonché il dominio su di loro.
Abbiamo seguito l’azione della fede, in questo processo di
liberazione, soltanto fino a un dato punto: come essa faccia a
guidare lo spirito verso Dio, elevandolo infine ad un rapporto
puramente spirituale con Lui. Ma a tale relazione con Dio deve
ancora aggiungersi qualcosa d’altro: il distacco da tutto ciò che
non è Dio. Ecco quindi il lavoro principale che va eseguito nella
Notte attiva dello spirito.

d) Grazie straordinarie e distacco da esse.


Dicevamo che fede attrae a sé le potenze dell’anima e le
stimola ad occuparsi di Dio e delle cose divine. Con questo però
siamo ancora ben lontani dall’aver conseguito lo svincolo dal
mondo creato. Anche uomini seriamente intenzionati a darsi alla
vita spirituale nonché a perseverarvi, dedicano però solo una parte
più o meno considerevole della loro giornata alla preghiera e alla
meditazione. Per il resto stanno piantati solidamente con ambo
i piedi sul terreno del mondo creato. Si sforzano di penetrare
questo mondo con la loro conoscenza, di sottometterlo al loro
dominio, di procurarsi beni temporali e di goderseli. Sono ancora
in balìa del fascino ammaliatore dei beni naturali, e non sono
ancora affatto insensibili a ciò che alletta i sensi, anche se - sotto
l’influsso della loro vita di preghiera - sanno già imporsi larga-
140 Parte seconda - La dottrina della Croce

mente dei limiti in quella direzione. Sicché il loro intelletto è


sempre affaccendato con le cose di questo mondo, vi sciupa la
sua energia; la loro immaginazione ne è piena; la volontà ne è
predeterminata in ogni sua mossa, e quindi legata a doppio filo
assieme alle passioni di cui è dotata.
Tutto ciò ha un’azione frenante anche nella sua vita d’orazione^
e giungerebbe forse fino a liquidarla del tutto se Iddio non ve­
nisse in aiuto all’anima soccorrendola con una grazia speciale.
Questo però avviene non soltanto tramite il messaggio della
fede, quanto piuttosto per mezzo di elargizioni straordinarie atte
a farle vincere l’attrazione esercitata dal mondo naturale, neutra­
lizzandola del tutto. Ai sensi e aH’immaginativa si presentano
delle immagini che sorpassano ogni forma terrena. L’intelletto,
mediante un’illuminazione soprannaturale, viene messo all’altezza
di concepire delle idee che col solo suo lavoro investigativo non
sarebbe mai stato in grado di creare. Il cuore è inondato di conso­
lazioni celesti, in confronto alle quali ogni gaudio e piacere mon­
dano impalhdiscono. In questo modo l’anima viene preparata a stac­
carsi con tutte le sue forze dai beni terreni per puntare su quelli
celesti.
Malgrado tutto, siamo ancora appena a metà del lavoro. Non
s’arriverebbe mai al fine, alla unione con Dio, se ci si fermasse
alle comunicazioni soprannaturali addormentandosi sugli allori
del loro sfruttamento. Infatti, visioni, rivelazioni e sentimenti
deliziosi non sono affatto Dio né a Lui conducono, eccezion fatta
per quegli altissimi tocchi spirituali, tali per eccellenza, mediante
cui Dio stesso si comunica alla sostanza deH’anima impiegandoli
per realizzare l’unione. L’anima dunque è obbligata ancora una
volta a sbarazzarsi di ogni valore ultraterreno, persino dei doni di
Dio, se vuol conquistare il Donatore invece dei doni.
E che cosa la deciderà a dar volentieri l’addio a beni cosi
sostanziosi? Sarà ancora la fede ad entrare in gioco. Quella fede
che insegna come Dio non sia nulla di ciò che si possa afferrare
e comprendere e invita l’anima a imboccare la strada scura, l’unica
che conduce al traguardo89).
Tuttavia anch’essa otterrebbe ben poco se si rivolgesse all’in­
telletto soltanto per via di ammaestramento a base di parole. La
potente realtà del mondo naturale e dei doni soprannaturali deve

89) Salita, lib, 2, cap. 4 - E. Crit. I, 106 sgg.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 141

venire scardinata da una realtà più potente ancora. Il che avviene


sotto l’azione della Notte passiva. Senza di essa - e Giovanni lo
sottolinea con sempre maggiore insistenza - la notte attiva non
arriverebbe mai allo scopo. E’ la stessa forte mano del Dio vivente
che deve intervenire a liberare l’anima dalle pastoie del creato,
attirandola a Sé.
Questo intervento costituisce la contemplazione oscura, la con­
templazione mistica, intimamente collegata alla spoliazione da
tutto ciò che fino a questo punto è stato fonte di luce, di ristoro e
di consolazione.

3. - Morte e Risurrezione.
a) Notte passiva dello spirito.
Fede - Contemplazione ascura - Spogliamento

Sappiamo già, dalla Notte dei sensi, che viene il momento in


cui l’anima si vede sottratto persino il gusto delle pratiche spiri­
tuali, oltre a quello di tutte le cose terrene. Essa viene così a tro­
varsi completamente immersa nel buio e nel vuoto. Non le rimane
più nulla cui possa attenersi, tranne la fede. La fede le presenta
allo sguardo il Cristo: povero, annientato, crocifisso, abbandonato
dallo stesso Padre celeste nell’istante cruciale del supplizio. Nella
di Lui povertà e nel di Lui abbandono, essa ritrova il parallelismo
perfetto al suo stato attuale. Aridità, disgusto e afflizione formano
la « croce spirituale pura » che le viene offerta.
Accettandola, essa constata per esperienza come si tratti di
un giogo soave e d’un peso leggero. La croce le serve da bastone
per accelerare la marcia verso la vetta. Quando si rende conto che
il Cristo ha effettuato la sua opera più eccelsa nell’avvilimento
supremo, nell’annientamento della croce, realizzando così l’espia­
zione e la riunione dell’umanità a Dio, allora si ridesta anche in
lei la convinzione che « la morte di croce subita da vivi, sia nel
campo sensitivo che in quello spirituale » 90), sia l’unica via imboc-
cabile per l’unione con Dio. Come Gesù, nel suo abbandono di
morte, si consegnò nelle mani dell’invisibile e incomprensibile
Iddio, così dovrà fare lei, gettandosi a capofitto nel buio pesto
della fede, che è l’unica via battibile verso l’incomprensibile Iddio,
Allora le verrà concessa la contemplazione mistica, il « raggio

SCt) Salita, lib. 2, cap. 7 - E. Crit. I, 123 sgg.


142 Parte seconda - La dottrina della Croce

di tenebra»91), la misteriosa sapienza di Dio, la conoscenza o-


scura e generica. Questa è la sola adatta airincomprensibile Iddio,
che accieca l’intelletto e gli si presenta sotto forma di tenebra.
Tale altissima contemplazione dilaga nell’anima e lo fa con tanto
maggior trasparenza quanto più depurata è l’anima da ogni altra
impressione. Essa è qualcosa di molto più puro, delicato, spirituale
e intimo in rapporto a tutto ciò che è noto alla conoscenza naturale
e vitale dello spirito; e per di più, elevata come al di là di ogni
ordine di tempo, risulta per noi un vero principio della vita eterna.
Non è una mera accettazione del messaggio della fede, da noi
udito, né un semplice scatto di conversione nei confronti di Dio
- conosciuto solo per sentito dire - ma un'intima presa di contatto
e mi esperienza di Dio. Talché possiede la forza di staccare l’anima
da tutte le cose create, sollevandola in alto, sommergendola con­
temporaneamente in un amore che non conosce il suo oggetto.
Per adesso non stiamo a decidere se questa conoscenza oscura e
amorosa, in cui l’anima viene sfiorata da Dio - « bocca a bocca »,
sostanza a sostanza - si possa ancora dire appartenente alla fede 92).
E’ la dedizione dell’anima, mediante la volontà (considerata come
sua bocca), al convegno amoroso di Dio pur sempre avvolto nel
mistero. Un amore che non è sensazione di piacere ma disposi­
zione all’azione e al sacrifìcio, inserzione della volontà propria in
quella divina sì da lasciarsi dirigere in tutto e per tutto da Lui.
Ora, nel caso che all’anima vengano ancora comunicate sal­
tuarie illuminazioni, rivelazioni e consolazioni particolari - come
avviene pure spesso durante il periodo della notte dello spirito, di
solito abbastanza lunga - essa è ormai preparata a non fermarvisi.
Lascerà a Dio mano libera di operare in lei ciò ch’Egli mira ad
ottenere con tali largizioni soprannaturali. Essa invece si conten­
terà di starsene nell’oscurità della fede, perché ormai non solo ha
imparato ma anche sperimentato che tutto ciò non è Dio né è
in grado di porgerle Dio; mentre essa possiede nella fede tutto ciò
che le è necessario: Cristo stesso, ch’è l’eterna Sapienza, e in Lui
l’incomprensibile Iddio. A questa rinunzia e alla perseveranza
nella fede essa sarà tanto più disposta, quanto più a fondo sarà
stata prima depurata nella Notte oscura.

91) Dionisio Areopagita, Mystica Theologia, I, 1.


92) A proposito di rapporti tra fede e contemplazione, Giovanni parla in
modo diverso a seconda delle occorrenze diverse. Ne riparleremo alla fine del
presente paragrafo.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 143

Abbiamo più volte rilevato come 1’anima, anche dopo lunga


pratica della vita spirituale, sia tuttora piena d’imperfezioni e
abbisogni d’una purificazione più radicale per diventare idonea
all’unione. Abbiamo anche dimostrato come tali imperfezioni
possano benissimo sussistere assieme a comunicazioni spirituali
d’ogni specie, e inoltre come nell’anima non ancora perfettamente
depurata, gli stessi doni della grazia divina possano degenerare
in causa di imperfezione, specialmente d’orgoglio, di vanità e di
avidità di godimento spirituale. Tutte queste debolezze le guarisce
Dio mediante lo spogliamente* che si effettua nella Notte oscura,
« lasciando l’intelletto al buio, la volontà nell’aridità, la memoria
nel vuoto, le affezioni deH’anima nella più tremenda afflizione,
nell’amarezza e nell’angoscia... » 93). E’ qui che lo spirito e i sensi
subiscono contemporaneamente la loro purificazione definitiva,
dopoché nella prima Notte i sensi sono già stati irrobustiti -
mediante la conversione, l’imbrigliamento delle loro brame e la
relazione con Dio - al punto da poter sopportare ora la pressione
di questa seconda depurazione fatta in profondità. Anche questa
purificazione è opera della contemplazione oscura.
Finora abbiamo considerato la contemplazione specialmente
dal punto di vista del vantaggio da essa apportato all’anima, in
quanto essa dirige le energie spirituali verso Dio, conducendo
perciò stesso al distacco da tutto il creato. Tale vantaggio risultava
già chiaro nelle spiegazioni offerte dalla Salita, sulla Notte attiva
dello spirito. Ora viene nuovamente riassunto nella spiegazione
che il Santo dà alla strofa iniziale del Canto della Notte, comin-
ciando a trattare della Notte Oscura dello spìrito: «E’ in mezzo
alla povertà, all’abbandono, al fallimento di tutte le percezioni
della mia anima, ossia nella oscurità del mio intelletto, nell’an­
goscia della mia volontà, nell’afflizione e nell’affanno della mia
memoria, ch’io sono uscita.
Mi sono abbandonata nel buio della fede pura, che è una notte
oscura per le potenze naturali.
Mentre la mia volontà era colpita soltanto dal dolore, dall’af­
flizione e dalla nostalgia dell’amor di Dio, io uscii da me stessa
- ossia dal mio abbietto modo di pensare, dalla mia fiacca abitu-

93) Notte oscura, Notte oscura dello spirito, cap. 3 - E. Crii. II, 56.
144 Parte seconda - ha dottrina della Croce

dine di amare, dal mio povero e scarso impegno nel gustare Dio
- senza che né la sensualità né il demonio me ne sbarrassero la
strada. Tutto questo è stato per me una grande fortuna... Infatti,
mentre andavano annullandosi nell’asso pimento le potenze, le
passioni, le brame, e gli alletti della mia anima - sotto la cui
influenza avevo sentimenti e gusti così volgari nei confronti di
Dio - mi sono svincolata dalla mia impostazione e attività umana,
per sollevarmi ad un’impostazione e ad un’attività divina. Vuol
dire che l’intelletto è uscito da se stesso, cambiandosi da naturale
e umano in divino. Unendosi con Dio... non agisce più per vigo­
ria e luce naturale sua propria, bensì in virtù della divina Sapienza
a cui se accoppiato. Anche la mia volontà è uscita da se stessa,
divinizzandosi. Unita all’amor divino, non ama più in modo così
meschino con la sua forza naturale, bensì con la forza e la pu­
rezza dello Spirito Santo...
Allo stesso modo, la memoria ha permutato tutto il suo mondo
interiore con le apprensioni eterne di gloria... Infine, tutte le
energie e gli afletti dell’anima, attraversando questa notte e questa
purificazione dell’uomo vecchio, ne escono rinnovellati in un
accordo armonico e in una soavità divina »94).
La purificazione però non è soltanto notte: è anche pena e
tormento. Ciò è causato da due fatti: «La prima causa è la subli­
mità della Sapienza divina, che supera la portata deiranima e
quindi le appare come una tenebra. La seconda è la bassezza e
l’impurità dell’anima stessa, che le risulta penosa, affliggente ed
essa pure oscura »95).
Sotto l’azione della luce straordinaria e soprannaturale « la
forza conoscitiva naturale dell’anima viene vinta e soffocata ».
Sicché ne deriva che « quando Dio fa dardeggiare, sull’anima non
ancor trasformata, questo lucente raggio della sua misteriosa Sa­
pienza, provoca nel suo intelletto una tenebra oscura ».
La pena e il tormento dell’anima provengono dal fatto che
« la divina contemplazione infusa implica un’infinità di altissime
e salutari doti di perfezione; fiamma non purificata che la riceve,
invece, è carica di miserie e di pessime imperfezioni. Ne consegue
che due enti contrari non possono sussistere nello stesso sogget­
to... ». Ecco perché, proprio nell’alone di questa fulgida luce,
« l’anima si sente così impura e miserabile da sembrarle che Dio
sia contro di lei e lei contro Dio... al punto di essere da Lui
respinta ». E* tormentata dalla paura di non arrivare mai più ad
94) Ibid, Str. 1, cap. 4 - Edr Crìt, II, 57 sg.
95) lini., cap. 5 - E. Crii. II, 59.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 145

essere degna di Dio e di avere perduto per sempre tutti i suoi


tesori di grazie. Infatti, quella oscura luce divina le rivela chiara­
mente tutta la miseria del peccato, sicché l’anima « vede con
evidenza che di veramente suo potrà avere solo quello e niente
altro » 96).
#

Ma c’è un’altra forma di afflizione che colpisce Tanima a


causa della sua debolezza naturale, morale e spirituale. Quando
« la divina contemplazione la investe con una certa irruenza, per
fortificarla e dominarla, essa, debole com’è, soffre tanto, che per
poco non sviene. Particolarmente allorché la investe con violenza
inusitata, sensi e spirito soffrono, agonizzano, come se fossero
oppressi sotto un oscuro peso schiacciante... », tanto da augurarsi
la morte come un sollievo e una soluzione. E lo strano si è,
« che la debolezza e la impurità dell’anima giunta a questo stadio
è così grande, che essa - pur essendo la mano di Dio di per sé
tanto blanda e soave - finisce per sentirla pesante ed ostile, anche
se non grava né immobilizza, ma sfiora appena appena con tutta
misericordia, con l’intento di fare afl’anima un favore e non di
castigarla » 97).
Allorché i due estremi, la contemplazione proveniente da
Dio e l’anima stessa, vengono a contatto, « Dio ne sgretola e macera
la sostanza spirituale assorbendola in una così profonda e opaca
tenebra che l’anima ha l’impressione di andare in disfacimento,
in liquidazione..., vittima d’una crudele morte di spirito... ». La
sensazione più dolorosa ora provata dalPanima angosciata « è il
pensiero che, stando alle apparenze, Iddio l’abbia respinta e
aborrendola l’abbia relegata nelle tenebre... Sente attorno a sé
l’ombra della morte, i gemiti dell’agonia, i dolori dell’inferno...
Si sente senza Dio, castigata, ripudiata, indegna di Lui, oggetto
della sua collera... E per colmo di misura, le sembra che tutto ciò
debba durare per sempre ».
Infine, data la sublimità e l’eccellenza della contemplazione
oscura, Tanima diviene cosciente della sua profonda povertà e
della sua estrema miseria. Sente in sé un terribile vuoto, una
assoluta carenza di beni temporali, naturali e spirituali. Si vede
immersa nei mali opposti : « miserie d’imperfezioni, aridità e

96) ìbid.j. cap. 5 - E. Crii. II, 60.


97> lini., cap. 5 - E. Crìi. Il, 61.

10. - Sdentici Crucis.


146 Parte seconda - La dottrina della Croce

vuoti paurosi nella facoltà percettiva delle potenze, abbandono


dello spirito avvolto nelle tenebre... Ha la sensazione che prova
chi è impiccato o sospeso in aria in modo da non poter respirare.
Ma Iddio intanto sta depurando l’anima, annientando, estromet­
tendo o consumando in essa tutte le affezioni e le abitudini im­
perfette da essa contratte nella vita, come fa il fuoco con la
ruggine o l’ossido del metallo. Siccome esse sono duramente
abbarbicate alla sostanza deiranima, questa va soggetta a patire
una grave demoralizzazione e un vero tormento interiore, oltre
al suaccennato senso di indigenza, di vuoto naturale e spirituale... ».
Per estirpare ed eliminare la ruggine delle sue incarnate tendenze,
l’anima deve in un certo qual senso « prima di tutto annientarsi
e dissolversi; dato che queste passioni e imperfezioni sono dive­
nute per lei quasi una seconda natura». Ed essa «sente questa
radicale distruzione fin nella propria sostanza... sicché le sembra
quasi di andar incontro alla morte per inedia ». « Siamo al punto
in cui Dio umilia intensamente Tanima per esaltarla altrettanto
intensamente in seguito». Se tale situazione dovesse durare, «essa
ne morirebbe in pochi giorni ». Per fortuna queste impressioni
si manifestano in lei solo a brevi intervalli, con una incisività
così eccezionale. Ma a volte sente la sua abbietta indegnità con
tanta vivezza che le sembra di vedersi l’inferno aperto davanti
agli occhi... Queste anime fanno parte di coloro che effettivamente
discendono vivi neH’inferno, depurandosi ancora in questa vita
come avverrebbe nell’al di là... E così l’anima che lo attraversa
quaggiù, o non entra in quel luogo o vi si trattiene molto poco,
perché acquista più in un’ora passata qui che non in tante passate
là dentro » 9S).
#

Le sofferenze vengono ulteriormente acuite dal ricordo della


felicità goduta nella fase precedente, poiché ordinariamente tali
anime « prima d’entrare in questa notte, hanno trovato molte
soddisfazioni in Dio e fatto molto al suo servizio»; mentre ora
sono tanto lontane da questo bene e non riescono più a raggiun­
gerlo. Per di più la contemplazione getta l’anima in una solitudine
e in un abbandono così tremendo, « che essa non può più trovare
consolazione e appoggio né nell’istruzione né in alcun direttore
spirituale. Si ha un bello sciorinarle davanti agli occhi i motivi
di consolazione che può avere...; a lei sembrerà sempre che gli
9S) Ibid., cap. 6 - E. Crii. II, 61 sgg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 147

altri non vedano affatto ciò che vede e sente lei, per cui parlano
senza capirla; e invece che consolazione essa prova nuovo dolore,
perché - a suo parere - al suo male non ce rimedio. E in realtà
è così. Infatti, finché il Signore non avrà finito di purificarla nel
modo che vuole, non ce cura né rimedio che sia adatto ed effi­
cace per il suo dolore ». Questo stato di cose durerà « finché
lo spirito si sarà umiliato, addolcito, purificato, diventando così
sottile, semplice ed evanescente da giunger a fare un tutto unico
con lo spirito di Dio, in proporzione al grado d unione amorosa
che la Sua misericordia vorrà concedergli... ».
E' infatti in base a... questo grado che è fissata l’intensità e la
durata della purificazione. Il più delle volte dura degli anni, ma
con delle interruzioni « durante le quali la contemplazione oscu­
ra, invece di agire in senso purgativo, investe l’anima in forma
illuminativa e amorosa. Allora l’anima, come uscita da un carcere
sotterraneo, svincolata dai ceppi, rimessa in libertà all’aria aperta,
prova e gusta una grande pace, una soavità di amichevole intimità
con Dio, accompagnata da una quantità di comunicazioni spi­
rituali facilmente raggiungibili ». A questo punto si pensa ormai
che tutte le angustie siano finite per sempre, esattamente come in
precedenza si pensava che le pene non sarebbero mai terminate.
Ciò succede perché « nello spirito il possesso attuale di un dato og­
getto esclude di per sé il possesso e il sentimento attuale del suo
contrario.
Nella parte sensitiva dell’anima, però, questo non si verifica,
perché la sua facoltà percettiva è debole. Ma siccome lo spirito non
è ancora ben depurato e affrancato dalle affezioni contratte dalla
sua sfera inferiore, potrà ancora andar soggetto a vedersi tutto
cambiato in dolore..., anche se lo spirito come tale non va soggetto
a cambiamenti ».
Purtroppo però l’anima non prova tanto di frequente la dolce
sensazione che tutte le tribolazioni siano ormai acqua passata. « In­
fatti, sinché la purificazione spirituale non sia un fatto compiuto,
le accade ben di rado che le soavi comunicazioni soprannaturali
siano talmente abbondanti da arrivar a coprire la radice maligna
che le resta infissa addosso; l’anima sente tuttora nel suo interno
che le manca qualcosa... Tale sentimento non le lascia godere
senza riserve quel sollievo, perché essa ha paura, fiutando dentro
di sé il nemico che - quantunque addormentato e assopito - può
sempre svegliarsi e farne qualcuna delle sue. Capita proprio così:
quando l’anima più si crede al sicuro e meno sta in guardia,
esso ritorna alla carica abbattendola e sprofondandola in uno
148 Parte seconda - La dottrina della Croce

stato peggiore, più duro, più buio e doloroso del precedente... ».


Ecco allora che essa crede nuovamente di aver perduto per sem­
pre la piena gioia goduta in precedenza, giacché « l’attuale ap­
prensione dello spirito... distrugge completamente ciò che le è
contrario... Per la stessa ragione anche le anime del purgatorio
sono angustiate dal dubbio che le loro sofferenze non abbiano mai
a finire. Sono sì in possesso delle virtù teologali e coscienti di
amare Dio, ma non vi trovano consolazione alcuna, « perché han­
no l’impressione di non essere amate da Dio né di esser degne di
tale amore... Così l’anima, in questo stadio purgativo, pur ve­
dendo di amare Dio al punto di esser pronta anche a dar mille
volte la vita per Lui..., non ne ricava nessuna consolazione, anzi
ne risente un aumento di afflizione. Volendogli tanto bene, essa
non ha altra preoccupazione che questa... Tuttavia, vedendosi così
miserabile non riesce a credere che Dio la ami né ch’Egli abbia
mai più motivo di amarla; è convinta anzi di dover essere a buon
diritto aborrita per sempre e non solo da Lui ma anche da ogni
creatura, E prova un profondo dolore, scorgendo in sé delle ra­
gioni per meritare di essere scacciata da Colui che tanto ama e
desidera » ").
#

La paralisi delle potenze, caratteristica di questo stadio, fa


sì che l’anima non sia più in grado di innalzare il suo cuore e la
sua mente a Dio nella preghiera, come invece riusciva a fare
prima.
Se talvolta si mette a pregare, « lo fa con tale mancanza di
forza e di gusto da sembrarle che Iddio né l’ascolti né si curi della
sua preghiera... In realtà questo non è il tempo di parlare con Dio,
ma quello di piegare il volto nella polvere... sopportando con pa­
zienza la purificazione. E’ Dio, che in questo momento sta pas­
sivamente operando nell’anima, che appunto per questo motivo
non può far nulla: né pregare, né assistere con attenzione alle
funzioni religiose, e nemmeno badare alle cose o agli affari tem­
porali. E non è ancora tutto qui. Spesso la sorprendono certe crisi
di alienazione mentale e di svuotamento della memoria, dimo­
doché passa lunghi periodi senza sapere ciò che abbia fatto e
pensato, ciò che stia facendo o s’accinga a fare ». Questo fenomeno
si verifica perché anche la memoria va depurata dalle sue ope­
razioni discorsive e dalle nozioni di cui è ripiena.

") Ibid.j cap. 7 - E. Crit. II, 66 sgg.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 149

L’alienazione spirituale e la freddezza sono causate dal pro­


fondo raccoglimento interiore, in cui la contemplazione assorbe
ranima con tutte quante le sue potenze per svincolarla da ogni
attaccamento e da ogni conoscenza creaturale. Tale crisi dura
più o meno a lungo secondo il grado d’intensità della contempla­
zione. Quanto più limpido e puro è il raggio divino che investe
l’anima, tanto più la ottenebra, la svuota e l’annienta. « E quando
l’anima si trova cosi svuotata e avvolta nel buio, viene depurata
ed illuminata » dal divino raggio della contemplazione, senza che
essa nemmeno avverta la penetrazione della luce superiore. L’a­
nima permane nell’oscurità, perché si avvera in lei un fenomeno
simile a quello del raggio di sole « che, quantunque brilli in
mezzo ad un locale, se è limpido e privo di oggetti rifrangenti,
non si vede. Quando però la luce spirituale, da cui l’anima è
investita, trova degli oggetti che fan da riverbero - quali una
conoscenza spirituale di perfezione... oppure un tentativo di giu­
dizio sulla verità o falsità delle cose - l’anima vede ed intende tutto
ciò molto più chiaramente che non prima di esser sommersa in
questa oscurità. Così pure percepisce la luce spirituale che piove
in lei, quando questa l’aiuta ad individuare facilmente qualche
imperfezione insorgente... Siccome... questa luce spirituale è tanto
cristallina, pura e universale da non limitarsi ad alcuna nozione
particolare..., ne consegue che l’anima è in grado di penetrare
bene addentro in ogni evento, sia nella sfera superiore che in
quella inferiore...: «Lo spirito penetra tutte le cose, anche le
profondità di Dio » (I Cor., 2, 10) e « La Sapienza... penetra
dappertutto a causa della sua purezza» (Sap., 7, 24); ciò signi­
fica che essa non si concentra su alcun particolare né intellettivo né
affettivo.
E’ una proprietà caratteristica dello spirito depurato e sbrat­
tato da ogni affezione e conoscenza particolareggiata, quella di
non gustare né intender nulla di particolare. Arrestandosi nel
suo vuoto assoluto, nella sua oscurità tenebrosa, egli abbraccia
tutto quanto con grande apertura d’animo... » 10°).

Così la notte beatificante, sprofondando lo spirito nelle tene­


bre, non ha altro scopo « che quello di fargli luce su tutte le cose » ;
umiliandolo e annegandolo nella miseria, non mira ad altro che

l0°) Ibid., cap. 8 - E. Crit. II, 71 sgg.


150 Parte seconda - La dottrina della Croce

ad innalzarlo e ad esaltarlo...; impoverendolo ed espropriandolo


di ogni possesso e affezione naturale, non tende che a spianargli la
strada a godere e a gustare divinamente le cose naturali e sopran-
naturali con tutta libertà di spirito ». Siccome la ragione naturale
non può afferrare la luce divina, è giocoforza che venga som­
mersa nell’oscurità mediante la contemplazione. « Questo oscura­
mento deve durare esattamente il tempo necessario ad espellere e
a cancellare dall’anima l’abitudine ormai inveterata di concepire
le cose a modo suo.,, ». La liquidazione *) della potenza conosci­
tiva naturale è radicale, tremenda e quanto mai dolorosa. « In
effetti la si sente nella più intima sostanza dello spirito, e quindi
sembra che le tenebre impregnino realmente l’essenza stessa del­
l’anima ».
*

Ce poi la volontà che dev’essere anch’essa ripulita e demo­


lita, se si vuol arrivare - tramite la fase unitiva - a quell’amore
perfetto, puro, divino e spirituale che sorpassa ogni affezione, ogni
sentimento e ogni avidità naturale. « Anch’essa dovrà macerare
nell’aridità e nell’angoscia per un bel pezzo, esattamente quanto
richiede il suo grado d’incancrenimento nell’abitudine fatta alle
apprensioni naturali, sia nel campo divino che in quello umano ».
Perciò, crogiolandosi nel fuoco della contemplazione oscura, essa
dovrà essere asciugata, svuotata e completamente affrancata da
ogni cattivo influsso, affinché la sua disposizione pura e cristal­
lina, il suo palato sensibilizzato e sano, siano all’altezza di perce­
pire i sublimi e squisitissimi contatti dell’amor divino... Per en­
trare in relazione con Dio, Tanima... dovrà anche essere dotata
di una certa qual magnificenza gloriosa. Dio infatti racchiude in
sé innumerevoli tesori e delizie che eccedono le possibilità ricettive
naturali dell’anima, per larghe che esse siano; in un complesso così
debole e impuro qual’è il suo, essa non sarebbe in grado di acco­
glierli... Ecco perché nell’anima va fatto il vuoto, va instaurata la
povertà di spirito...: perché, spogliata dell’uomo vecchio, possa
vivere quella vita nuova e felice... che è lo stato d’unione con Dio...
L’Anima deve pervenire ad una visuale molto alta e ad una divina
conoscenza assai squisita di tutte le cose divine ed umane... Ef-

i*) L’Autrice usa spesso questa forte espressione: Zerstórung (= distruzione,


liquidazione) sulla scorta di S. Giovanni della Croce, che usa il termine aniqui-
lacion (= annientamento) in senso traslato e relativo (N. d. T.)
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 151

fettivamente ora guarda le cose con occhio tutto diverso da prima:


c’è la stessa differenza che esiste tra lo spirito e il senso», tra il
settore umano e quello divino dell’attività ».

Resta poi ancora da liberare la memoria. « Il suo potere ri­


cettivo deve diventare molto più interiorizzato, improntandosi ad
un senso di transitorietà e di estraniamento da tutte le cose...
in modo che tutto le sembri strano e diverso da quel che era
prima. Siamo al punto in cui la notte agisce enucleando lo spirito
dal suo modo ordinario e volgare di sentire le cose per trasferirlo
sul piano divino, che è di tutt’altro genere, diverso da ogni moda­
lità umana. L’anima ha qui l’impressione di dar fuori per il
dolore. A volte pensa persino che si tratti di un incantesimo o
di una fattura magica; si meraviglia delle cose che vede e sente,
e che adesso le sembrano strane e peregrine, pur essendo sempre
le stesse di cui si occupava comunemente».

« Son tutte depurazioni afflittive dello spirito, queste, che l’a­


nima deve necessariamente subire per rinascere alla vita dello
spirito. Sono dolori in mezzo ai quali essa partorisce lo spirito di
salvezza... Inoltre, sotto l’azione di questa notte contemplativa, l’a­
nima si prepara a raggiungere quella tranquillità e quella pace
interiore che è così profonda e piena da sorpassare ogni imma­
ginazione (Filip., 4, 7). Per arrivarci, però, l’anima deve dire ad­
dio alla pace precedente che - essendo intessuta di imperfezioni -
non era affatto una pace, benché a lei sembrasse realmente tale,
anzi pace due volte... Essa infatti era già in possesso della pace
del senso e dello spirito, considerandosi ormai definitivamente
stabilita nella pienezza di tale pace, sia nel campo sensibile che
in quello spirituale. Ma invece le tocca sobbarcarsi subito in una
nuova purificazione, che gliela fa abbandonare e persino distrug­
gere, per vivere sino in fondo l’affermazione scritturale : « La
mia anima è stata violentemente strappata alla pace » (Tren. 3, 17).
In questa fase l’anima è torturata da un’infinità di timori, di
lotte, di incubi. Assillata dalla sensazione di esser per sempre
perduta, « essa prova nello spirito un dolore così lancinante e pro­
fondo che le strappa singhiozzi ed urli spirituali, che le escono a
152 Parte seconda - La dottrina della Croce

volte persino dalla bocca e la fanno scoppiare in lacrime, quando


ha la forza di farlo: ma il più delle volte non riesce nemmeno
ad avere questo sollievo ». Le sembra di essere in balìa di una
inondazione. « Questo ruggito e questa dolorosa sensazione del-
ranima diviene talvolta così grande da annegarla e sommergerla
del tutto, inzuppando di angustia e sofferenza spirituale ogni suo
affetto più intimo, ogni sua energia, ogni sua fibra affettiva. Tale
è l’effetto prodotto in lei da questa notte che avviluppa le spe­
ranze e la luce del giorno ». La volontà viene quasi crivellata da
una miriade di dolori, di dubbi, di ansietà che sembrano non
voler mai finire. « Questa guerra accanita è profonda, perché ancor
più profonda è la pace che se ne attende. Il dolore spirituale è
intimo e penetrante, perché l’amore che l’aspetta deve essere an-
ch’esso assai intimo e puro. E ciò che si verifica perché quanto
più intima e raffinata deve essere Papera che ha da restare, tanto
più raffinato e puro dev’essere il lavoro che vi va speso... Siccome
l’anima, nello stato di perfezione cui è incamminata in mezzo
al buio della notte, deve arrivare a possedere e gustare innume­
revoli tesori di grazie e di virtù, bisogna innanzitutto che si veda
e si senta staccata, sbarazzata, svuotata da tutto... Tali beni, anzi,
le devono apparire così lontani da suscitare in lei la convinzione
di non arrivar mai a raggiungerli... »,01).

Incandescenza nell’amore e trasformazione

Nelle angosce mortali della Notte dello spirito, le imperfe­


zioni dell’anima sono passate alla prova del fuoco, come il legno
che nelle fiamme viene essiccato da ogni traccia di umidità, per
poi accendersi anch’esso dello splendore del fuoco. La fiamma che
dapprima ha avvolto l’anima e poi l’ha incendiata è l’amore. Con
questo passo in avanti, può dirsi ormai un fatto compiuto ciò
cui allude il 2° verso del Cantico della Notte : « con ansie, d’amor
tutta infiammata ». E’ un amore appassionato quello di cui è
infiammata, ma è un’incandescenza tutta spirituale, tanto diversa
da quella che arde nel settore sensitivo quanto differiscono tra loro
lo spirito e il senso. E5 ancora un amore infuso, il quale si esplica
più nella passività che nell’attività. Porta già in sé « qualcosa che
prelude all’unione con Dio, e di conseguenza partecipa già in
certo qual modo alle sue proprietà ». Ciò significa che dentro

10*) Ibid,, cap. 9 - E. Crit. II, 75 sgg.


II. Spirito e fede - Morte e Risurrezione 153

l’anima « ormai sta lavorando più l’azione di Dio che non quella
deiranima stessa; azione che opera in lei passivamente, quantun­
que il consenso essa lo debba pur dare attivamente. Sta di fatto
però che la caloria, la forza, la tempra e la passione dell’amore -
detta anche incandescenza - ...le vengono somministrate soltanto
dall’amor di Dio, che si va man mano unendo con lei ».
Sotto la morsa della purificazione oscura, l’anima è stata me­
ravigliosamente preparata all’unione. In questo stato che vi fa
seguito, « l’anima deve amare con tutte le sue energie e con tutte
le sue facoltà appetitive, spirituali e sensitive». Siamo di fronte
ad un immenso incendio d’amore, in cui « Dio ha concentrate
tutte le forze, potenze, propensioni spirituali e sensitive deirani­
ma, affinché tutte quante le facoltà in perfetta armonia s’appli­
chino in pieno a quest’amore, così da osservare integralmente il
primo comandamento »... (Deut., 6, 5). Allorché l’anima si sente
già così infiammata e ferita dall’amore, pur rimanendo ancora
nel buio e nel dubbio, priva del possesso beatificante dell’amore,
si ridesta in lei un impulso nostalgico che tende a Dio con tutta
la forza dell’affetto.
« ...In ogni cosa e in ogni pensiero che essa medita, in ogni
aliare e in ogni avvenimento che le capita, essa ama e brama in
mille maniere, struggendosi così in un desiderio pieno di soffe­
renza... dappertutto e sempre, senza trovar riposo...». «Tutto di­
venta angusto per Tanima ingaggiata in questa prova, che non sta
più in sé, non trova più pace né in cielo né in terra, tormentata
com’è da un dolore quasi forsennato e tenebroso... Con questo si
vuol dire che è travagliata da sofferenze estremamente penose,
senza consolazione, senza alcuna anche minima speranza di luce
o di sollievo spirituale... ».
Il suo impulso affettivo e il suo tormento vanno continuamente
crescendo: prima a causa delle tenebre in cui si vede confinata,
poi a causa dell’amor divino che la brucia. Malgrado tutto, in
mezzo a questo martirio essa sente in sé una forza che svanisce
man mano che la pressione delle tenebre si allenta e si stacca da
lei. Ciò proviene dal fatto che questa forza dell’anima « viene
arsa passivamente dal fuoco tenebroso dell’amore che l’aveva inve­
stita in pieno. Ne consegue che col cessare dell’azione investitrice,
cessa subito anche la tenebra, la forza e il calore dell’amore den­
tro Tanima » l02).

102) lbid.f cap. 11 - E. Crìi. II, 84 sgg.


154 Parte seconda - ha dottrina della Croce

La purificazione delPanima ad opera di questo fuoco d’amore


oscuro e spirituale fa il parallelo con la purificazione degli spiriti
che si verifica anche nell’al di là mediante un fuoco tenebroso,
però materiale. Essa raggiunge così la purezza di cuore che si
identifica con la grazia di Dio e col suo amore. E’ la Sapienza
divina che purifica e illumina le anime per mezzo della contem­
plazione oscura. E’ la stessa Sapienza che affranca anche gli angeli
dalla loro limitatezza intellettuale. E’ la stessa luce divina che il­
lumina le menti angeliche, scendendo attraverso i più alti gradi
delle gerarchie sino agli infimi, raggiungendo infine gli uomini.
L’uomo però, essendo 1’ultimo, « deve per forza ricevere questa
amorosa contemplazione a modo suo, coartata da penosi limiti.
La luce di Dio, infatti, che illumina l’angelo colmandolo di ful­
gore e di soavità amorosa - perché spirito puro e già predisposto
a tale infusione - illumina naturalmente l’uomo, che è impuro e
debole... precipitandolo nell’oscurità, nel tormento e nell’angoscia,
come fa il sole che lambisce un occhio ammalato. Quella luce lo
innamora appassionatamente, ma infliggendogli una sensazione
di dolore, finché questo fuoco amoroso lo avrà spiritualizzato, pu­
rificato al punto da poter subire con piacere il contatto di questa
azione amorosa come fanno gli angeli... ».
C’è da dire però che questa incandescenza amorosa non è
sentita dall’anima in continuità, e per lo più non subito agli inizi
della purificazione, bensì in un secondo tempo, allorquando il
fuoco divino l’ha già surriscaldata. Talora l’intelletto « viene illu­
minato così gradevolmente e con tanta precisione da questa teo­
logia mistica ed amorosa, che, facendo leva su di essa, la volontà
si infervora meravigliosamente sentendo ardere in sé, spontanea,
la vampa di questo divino fuoco d’amore. L’anima, data l’acuta
percezione di cui è ora dotata, ha l’impressione netta di un fuoco
vivo... Tale incendio d’amore, comune ad entrambe le potenze
collegate... è qualcosa di straordinariamente squisito e piacevole
per l’anima; è infatti un certo qual tocco della divinità, principio
ormai di quella perfezione d’amore unitivo da lei tanto attesa ».
Nel campo di queste comunicazioni soprannaturali capita pe­
rò talvolta « che la volontà ami senza che l’intelletto comprenda,
e viceversa che l’intelletto comprenda senza che la volontà ami.
Siccome questa notte oscura della contemplazione è un composto
di luce divina e di amore divino, come il fuoco è dotato di luce
e calore, non c’è contraddizione se talvolta la luce amorosa col­
pisce maggiormente la volontà arroventandola d’amore e quindi
lasciando l’intelletto all’oscuro...; mentre tal’altra inonda di luce
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 155

l’intelletto, lasciando la volontà nell’aridità. Tutto dipende dal


Signore, che agisce e si comunica nel modo che vuole »103 104). Egli
infatti non è legato alle leggi naturali che reggono la vita dell’a-
nima. Attenendosi a tali leggi, sarebbe evidentemente « impossi­
bile amare un oggetto mai prima conosciuto. Malgrado ciò, Iddio
può per via soprannaturale infondere e intensificare l’amore nel­
l’anima, senza infondere né aumentare la conoscenza distinta... E’
un’esperienza che tanti uomini incamminati sulla via della spi­
ritualità hanno fatto... ». Molti « che non hanno un’intelligenza
gran che progredita per quanto riguarda Dio, ne sono invece
molto più avvantaggiati nella volontà. Nel loro caso, alla scienza
intellettiva supplisce la fede infusa, mediante la quale Dio infonde
loro la carità, aumentandone anche l’intensità dell’atto, senza che
ciò implichi un aumento della loro conoscenza »1<H).
Quest’ultima affermazione, naturalmente, non va intesa nel
senso che la fede generalmente risvegli soltanto l’amore, senza
concederne la conoscenza. Anzi: di per sé essa si riferisce in
primo luogo all’intelletto, schiudendogli l’accesso alla verità db
vina. Tuttavia ciò si verifica sempre in forma velata, non sulla
falsariga della conoscenza naturale. Perciò essa non è obbligata a
sciorinare sotto gli occhi del credente sempre delle verità parti­
colari e ben definite. Credere vuol dire anche occuparsi di quella
Realtà superiore di cui tutte le verità della fede parlano: Dio
stesso. E occuparsene fissandovi lo sguardo, in modo da conside­
rare non Lui nella luce di una qualunque singola verità di fede,
ma direttamente Lui nei suoi attribuiti che lo qualificano come
l’Incomprensibile in quanto racchiude in sé il riassunto di tutte
le verità di fede sorpassandole e donandosi nella sua incompren­
sibilità, nell’oscurità e neH’indistinto. Allorché l’anima, in questo
suo abbandono totale, sperimenta l’abbraccio dell’oscuro e ine­
sprimibile Iddio, abbiamo la contemplazione oscura, che Lui
stesso elargisce all’anima sotto forma di luce e di amore contem­
poraneamente. Tale contemplazione è «confusa e oscura per
l’intelletto... E come questa conoscenza che Dio impartisce alPintel-
letto è generica, oscura e indistinta, cosi la volontà ama in una
maniera generica, senza mettere a fuoco nei suoi particolari nes­
suna singola cosa percepita».
Talvolta però « Dio, durante questa soave effusione di sé,
si fa sentire più in una potenza che nell’altra;... spesso si sente

103) lbid., cap. 12 - E. Crìi. II, 88 sgg.


104) Cantico spirituale, spiegaz. alla Strofa 26, V. 2 - E. Crii. II, 299.
156 Parte seconda - La dottrina della Croce

più conoscenza che amore, altre volte invece più amore che cono­
scenza... Dio infatti può agire in una potenza dell’anima senza
nemmeno sfiorare l’altra; così può infiammare la volontà col tocco
rovente del suo amore senza che l’intelletto nulla intravveda, allo
stesso modo - del resto - che una persona può essere scaldata dal
fuoco senza nemmeno vederlo » 105).
Quando però irrompe nell’intelletto quella misteriosa cono­
scenza, l’anima, « pur in mezzo alle tenebre, risulta stupenda­
mente illuminata », e « la luce brilla nelle tenebre » (Gv. 1, 5)... I
sensi dell’anima riposano allora in una semplicità così serena, così
delicata e soave, che non si sa con quale nome esprimere, dato
che ora si sente Dio in un modo, ora in un altro ».
Malgrado la contemporaneità di purificazione dell’intelletto e
della volontà, la contemplazione viene percepita con maggior fre­
quenza nella volontà sotto forma d’amore, anziché nell’intelletto
sotto forma di conoscenza. Ciò si spiega con l’opposizione esistente
tra l’amore sperimentato come stato di ansiosa sofferenza (pas­
sione), e lo stesso amore in quanto atto libero della volontà. Quel­
la « incandescenza amo-rosa è più una passione d’amore, che un
atto libero della volontà ». Essa infatti « ferisce l’anima nella sua
sostanza intima, suscitandovi passivamente dei moti affettivi. Ecco
perché si chiama passione amorosa anziché atto libero della vo­
lontà. Quest’ultimo si chiama atto di volontà appunto in quanto è
libero. Ma siccome questi tipi di passioni e di affettività si ridu­
cono alla volontà, si dice che quando l’anima è appassionata per
qualche cosa è poi in realtà la volontà ad esserne appassionata. Ed
è verissimo, perché è appunto in queste circostanze che la volontà
viene fatta prigioniera e perde la sua libertà, trascinata com’è dal­
l’impeto e dall’irruenza della passione. Possiamo quindi affermare
che questo arrovellamento d’amore si verifica nella volontà, ossia
arroventa la brama della volontà, sicché - come abbiamo detto po­
c’anzi - si chiama più esattamente passione amorosa che libera
operazione della volontà. Giacché il potere ricettivo delPintelletto
è capace unicamente di accogliere una conoscenza depurata e
passiva (e non riesce nemmeno a far questo senza esser purificato),
è logico che - prima della sua definitiva purificazione - l’anima
sperimenti meno di frequente la scossa neH’intelletto che non la
passione amorosa. Per tale evenienza infatti non è necessario che

105) Fiamma Vìva d'amore, spieg. alla Strofa 3, verso 3, 49 - E. Crii. II,
45 sg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 157

la volontà sia purificata così a fondo dalle sue passioni, perché


le sue passioni stesse l’aiutano a sentir Famore appassionato.
Questa incandescenza e questa sete d’amore, dato che qui
investono lo spirito, sono completamente diverse da quelle de­
scritte nella notte dei sensi ». Si sperimentano nello spirito, quan­
tunque anche i sensi vi abbiano la loro parte. Ora, ciò che si
prova e ciò di cui si soffre la privazione, vengono sentiti così al
vivo, che ogni sofferenza dei sensi è nulla al confronto, benché
essa pure sia adesso molto più vasta di quella provata nella prima
notte, detta dei sensi. « Il motivo è questo : l’anima sente nel suo
interno la mancanza d’un gran bene, e non vede coìrne si possa
rimediarvi ».
Sin dagli inizi di questa notte dello spirito « prima ancora che
il fuoco d’amore abbia incominciato ad ardere..., il Signore con­
cede all’anima un così grande amore estimativo di Dio, che la
maggior sofferenza e il maggior tormento prodotto dai travagli
di questa notte è l’ansioso pensiero di aver perduto Dio e di esser
stata da lui abbandonata... Difatti, se in mezzo alle sue traversìe
essa potesse avere la certezza che tutto non sia affatto perduto e
finito, ma che invece lo stato penoso attuale si risolva a suo van­
taggio - com’è in realtà - e che Dio non sia in collera con Lei,
non le importerebbe nulla di tutte quelle pene, anzi, finirebbe per
provarne piacere sapendo di servire Dio proprio nel far leva su
di esse. Effettivamente, l’amore estimativo che lei ha nei confronti
di Dio è così grande... da portarla non solo a questo, ma persino
alla determinazione di esser pronta gioiosamente a morire mille
volte pur di soddisfarlo. Però, non appena la vampa ha infiammato
l’anima aggregandosi all’amore estimativo di Dio che vi esiste
già, essa trae - da quel calore amoroso e comunicativo - una tale
energia, un tale brio, una tale ansia di Dio da sentirsi spinta con
grande audacia - senza badare a intralci né aver soggezione di
nulla, incalzata e infiammata d’amore e di desiderio - a far le
cose più strane e inusitate... pur di poter incontrare colui che tanto
ama ».
Nella sofferenza della notte spirituale « la giovinezza dell’a­
nima si rinnova come quella deH’aquila» (Salmo 102, 5). L’in­
telletto umano, unito a quello di Dio per via d’illuminazione
soprannaturale, si divinizza; altrettanto succede alla volontà sotto
Fazione unitiva della volontà e dell’amor divino. La memoria,
gli affetti e le tendenze appetitive risultano anch’esse cambiate e
trasformate divinamente. « Così l’anima sarà ormai un’anima ce­
lestiale... più divina che umana ». Allora potrà volgere lo sguardo
158 Parte seconda - ha dottrina della Croce

indietro, apostrofando la notte con quel grido : « O felice ven-


tura!»106). _ 1 li;£:
Essa è ormai « uscita senza esser notata, stando già la sua
casa addormentata ». La sua casa, sta qui a significare la condotta
ordinaria delPanima, i suoi desideri, le sue brame, insomma tutte
le sue potenze. Esse costituiscono « la gente di casa » e dove­
vano necessariamente esser ridotte al silenzio per non disturbare
ed ostacolare P unione amorosa. Ora riconosce « di esser stata bene,
così nascosta nel buio ». Infatti, ogni errore è provocato nelPanima
« dalle sue cupidigie, dai suoi gusti, dai suoi procedimenti discor­
sivi o dalle sue conoscenze... Una volta bloccate tutte queste ope­
razioni e queste attività, è evidente che Panima si trova al sicuro,
certa di non commettere più sbagli per quella strada. Così facendo,
si libera non soltanto da se stessa, ma anche dagli altri suoi nemici
che sono il mondo e il demonio, i quali - una volta soffocate le
affezioni e le operazioni dell’anima - non le possono più far
guerra su alcun altro fronte». Adesso i suoi desideri e le sue
facoltà non si perdono più in cose futili o pericolose; essa è al
riparo « dalla vanagloria... dalla falsa compiacenza e da molte
altre tare... ». « Ne consegue che, camminando nell’oscurità, non
soltanto è ben lontana dallo smarrirsi, ma addirittura ci guadagna,
in quanto è sulla buona strada ove sta rifornendosi di virtù ».
Il fatto che la notte oscura privi l’anima anche del godimento
di tante cose buone, persino soprannaturali e divine, è originato
da una causa molto comprensibile: le potenze delPanima, non an­
cor ben purificate, possono accogliere le cose e i fatti sopranna­
turali soltanto in maniera ordinaria e naturale. « Una volta svez­
zate, purificate, disgregate... esse perderanno definitivamente quel
piatto e umano sistema di concepire e di agire, disponendosi e
temprandosi così da risultar atte ad accogliere, sentire, gustare
il divino e il soprannaturale in modo elevato e sublime. Ora, ciò
non si potrà mai verificare se prima non muore l’uomo vecchio.
Ne consegue che, se il complesso dei fenomeni spirituali non
viene comunicato dalPalto - dal Padre dei lumi - al libero arbitrio
e alla volontà umana, l’uomo avrà un belPesercitare il gusto e le
potenze nel tentativo di raggiungere Dio, immaginandosi di
assaporarne la dolcezza. In realtà non gusterà i suoi doni in ma­
niera divina e spirituale, bensì soltanto umana e naturale, come
fa con tutto il resto, perché i favori della grazia non vanno dal-

106} Notte dello spirito, cap. 13 - E. Crii, li, 91 sgg.


IL Spìnto e fede - Morte e Risurrezione 159

Fuorno a Dio ma da Dio all’uomo ». Sicché molti provano una


grande soddisfazione occupandosi di Dio e di cose spirituali « ri­
tenendo magari tutto ciò come qualcosa di soprannaturale e spi­
rituale, mentre non si tratta che di atti e di affetti puramente
naturali e umani».
Perciò l’anima deve considerare l’aridità e il buio come fausti
presagi; come segni che Iddio le sta al fianco, liberandola da se
stessa, strappandole di mano l’iniziativa. D’accordo, essa avrebbe
potuto far molto in questo campo; ma non sarebbe certo arrivata
ad un’azione così completa, radicale e stabile come quella che
subisce ora, mentre Iddio stesso la prende per mano. Egli la guida
come cieca attraverso vie oscure, senza che essa nemmeno sappia
dove stia andando. Però è sicura di viaggiare su strade che, mal­
grado tutto il suo affannoso scarpinare e il suo guardare dapper­
tutto, non avrebbe mai scoperte. Va facendo grandi progressi senza
neppur accorgersene, anzi, fissa nell’idea di essere perduta.
Essa infatti non conosce ancora la nuova fase in cui è entrata,
e s’accorge soltanto « di andar perdendo terreno su tutto ciò che
sapeva e gustava ». Pian piano, invece, volgendo lo sguardo in­
dietro, riconosce di « esser stata bene, così nascosta nel buio ». Era
una strada molto sicura, appunto perché passava per il dolore. « Il
sentiero del dolore, in effetti, è più sicuro e anche più profittevole
di quello del godimento e dell’attivismo. Prima di tutto, perché
nella sofferenza s’ha l’aiuto energico di Dio, mentre nell’attività e
nel godimento affiorano tutte le debolezze e le imperfezioni del-
Fanima; poi perché nel patire si esercitano e si aumentano le
virtù, e contemporaneamente l’anima si va purificando e facendo
più saggia, più cauta ». Ma è soprattutto la stessa luce o sapienza
oscura, che noi possiamo indicare quale causa prima della sua
sicurezza. « La notte oscura della contemplazione assorbe e in­
ghiottisce l’anima in maniera tale, avvicinandola a Dio così, da
difenderla e da liberarla da tutto ciò che non è Dio. L’anima
infatti è qui come sottoposta a un periodo di cura per riacquistare
la salute, che è poi Dio stesso. Così Sua Maestà la tiene a dieta,
a regime, a digiuno di tutte le cose, togliendole l’appetito di tutto
quanto... ». Essa è quindi davvero « nascosta, al riparo del volto
di Dio, dalle umane congiure » (Salmo 30, 21). Ciò significa che
mediante la contemplazione oscura » è fortificata contro tutti gli
occasionali danneggiamenti che le possono essere inflitti dagli
uomini ».
Fonte di sicurezza è per lei anche « la forza di resistenza che
questa oscura, penosa e torbida acqua di Dio suscita neH’anima,
160 Parte seconda - La dottrina della Croce

Quantunque nera e tenebrosa, in fin dei conti è sempre acqua, e


quindi non può non ristorare e rinforzare l’anima proprio nel
settore che più le è indispensabile... Di conseguenza l’anima vede
sbocciare in sé una vera ed efficace decisione di non far mai qual­
cosa che possa offendere Dio, né di tralasciar mai qualcosa che
sembri utile al suo servizio. Quell’amore oscuro le si appiccica
addosso permeandola di una vigile attenzione e sollecitudine inte­
riore per ciò che farà o tralascerà di fare pur di accontentarlo...
Adesso infatti, tutte le tendenze, le energie, le potenze dell’anima
risultano ormai sottratte aH’influenza delle cose terrene, concen­
trando i loro sforzi unicamente al servizio di Dio». Così l’anima
si stacca da se stessa e da tutte le cose create, avviandosi « nel buio
e ben sicura », incontro alla dolce e immensamente piacevole unio­
ne amorosa con Dio : « Per la segreta scala, trasformata » 107).

La scala segreta

La scala segreta è la contemplazione oscura. E’ segreta, come


la teologia mistica (detta appunto sapienza segreta) (N.d.T.), infu­
sa nell’anima in modo misterioso, tramite l’amore. Come tutto ciò
avvenga, non lo sa « né l’anima, né alcuna persona, né lo stesso
demonio. Per altro, il Maestro che la insegna, abita sostanzial­
mente all’interno dell’anima, ove non può giungere né il demonio,
né il sentimento naturale, né l’intelletto».
Segreta e misteriosa è questa sapienza anche nei suoi effetti:
nelle tenebre e nelle angoscie della purificazione, come nell’illumi­
nazione che vi fa seguito. L’anima non sa « né individuarla, né
spiegarla e neppur trovare un nome per esprimerla ». Del resto
« non prova alcun desiderio di darle un nome, né sa scoprire
un modo, un mezzo, un concetto qualsiasi che quadri per espri­
mere una conoscenza così sublime e un sentimento spirituale così
squisito... Tale sapienza interiore, infatti, è così semplice, così
generale, così spirituale, che non è mai entrata nella mente, nem­
meno avvolta o palliata sotto forma d’una qualsiasi specie o im­
magine soggetta ai sensi... Succede qui ciò che avviene ad un
individuo che veda una cosa mai vista, e di cui non abbia mai
visto neppure qualcosa di somigliante... Malgrado tutti suoi sforzi,
non la saprebbe qualificare con un nome, né dire che cosa sia:

107) Ibìd., cap, 16 - E. Crii. II, 99 sgg.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 161

eppure non si tratta che cl’un oggetto percepito coi sensi. Tanto
meno, quindi, si riuscirà ad esprimere ciò che non è entrato per
la porta dei sensi! ».
Siccome Dio parla all'anima proprio nell'intimo e in un modo
assolutamente spirituale, questo fatto sorpassa ogni possibilità dei
sensi sia interiori che esteriori, e finisce per farli ammutolire. I
sensi non capiscono tale lingua, e quindi né riescono ad esprimerla
a parole, né sentono il desiderio di ascoltarla.
La sapienza mistica viene chiamata segreta per un altro mo­
tivo ancora : « perché ha la proprietà di nascondere Fanima dentro
di sé... A volte infatti assorbe e inghiottisce Fanima nel suo inson­
dabile abisso, aspirandovela con tanta forza che l’anima vede chia­
ramente a quale remotissima distanza si trovi da ogni creatura.
Essa ha allora l’impressione di venir immersa in una profondissima
e sterminata solitudine, ove non ce creatura umana che possa
giungere; come in un immenso deserto senza orizzonte.
Ma questo deserto le torna tanto più gradito, più gustoso,
più ricco di effusioni amorose, quanto più è profondo, vasto,
solitario. L’anima vi si sente tanto più nascosta, quanto più si
vede sollevata sopra ogni creatura di quaggiù. Sembrerà un pa­
radosso, ma questo abisso di sapienza tonifica e arricchisce Fanima
in altissimo grado: le apre la vena della scienza amorosa, facen­
dole constatare quanto siano in ribasso le creature nei confronti
della conoscenza e della sensazione di Dio. La porta inoltre a
riconoscere quanto siano opachi, insufficienti, impropri persino,
tutti i termini e i vocaboli di cui ci si serve in questa vita per
designare le cose divine, e come per via naturale sia addirittura
impossibile arrivare a capirle tal quali sono...». Solo la luce della
teologia mistica può dar qualche schiarimento in proposito. Sic­
come « si tratta di cose umanamente incomprensibili, bisogna av­
vicinarle rinunciando ad ogni concetto umano e ignorando divi­
namente tutto ».
Impiegando il linguaggio mistico..., le cose e perfezioni di­
vine non si conoscono né si capiscono tal quali sono, mentre se
ne va in cerca e si esercitano, bensì quando ormai si son già
trovate e sperimentate... « I sentieri e le piste battute da Dio nelle
anime che vuol far arrivare sino a Lui, gratificandole dell’ampio
respiro della sua unione e della Sapienza, hanno la caratteristica
di sfuggire alla noistra conoscenza » I0S). 11

10S) lbid.t cap. 17 - E. Crìi, II, 105 sgg.

11. - Scientia Crucis.


162 Parte seconda - La dottrina della Croce

Il Canto della Notte chiama la contemplazione oscura una


scala. Prima perché « allo stesso modo con cui montando una
scala ci si porta in alto e si dà la scalata ad una fortezza per
impadronirsi delle ricchezze, dei tesori e del materiale che vi si
trova, così mediante questa segreta contemplazione Fanima sale -
senza nemmeno accorgersene - a dar la scalata alla conoscenza e
al possesso dei beni e tesori del cielo ». Poi perché « come gli
stessi gradini duna scala servano tanto per salire quanto per
discendere, così questa segreta contemplazione impiega le stesse
comunicazioni che sollevano l’anima a Dio per sprofondarla nel­
l’umiltà... Infatti le grazie effusive che veramente provengono da
Dio hanno appunto la caratteristica di umiliare e contemporanea­
mente elevare l’anima ». Su questa rampa, l’anima va soggetta a
continui sbalzi, a incessanti alternative. Ad un momento di pro­
sperità « succede improvvisamente qualche tempesta e qualche
spossante prova; sembra quasi che le sia stata concessa quell’ab­
bondanza per prevenirla e rafforzarla contro la penuria in ag­
guato al periodo successivo. Allo stesso modo, passata la miseria
e la tormenta, le viene poi concessa l’abbondanza e la calma. In
questo avvicendarsi continuo, l’anima ha l’impressione di vedersi
immersa in un’atmosfera da vigilia, mentre le stanno preparando
una festa. Ebbene, questo -non è che l’ordinario stile, la prassi
usuale dello stato di contemplazione... Non si rimane mai stazio­
nari fino al momento in cui si sarà raggiunta la fase di quiete, ma
si continua a salire e scendere. Eccone la causa. Siccome lo stato
di perfezione, consistente nel perfetto amore di Dio e nel disprezzo
di se stessi, non può sussistere senza queste due componenti - co
noscenza di Dio e di se stessi - l’anima deve necessariamente venir
allenata alFuna e all’altra operazione. Quindi, ora le sarà concesso
di gustare Dio (il che la rialza di morale), ora dovrà provare la
dura contropartita (restandone tremendamente umiliata). E ciò
fino al momento in cui - acquistata l’abitudine perfetta - l’alterna­
tiva di alti e bassi si esaurisca, avendo Fanima ormai raggiunta
l’unione con Dio, il quale sta in cima a quella scala che s’appoggia
e aggancia a Lui ».
La contemplazione vien però detta una scala soprattutto per­
ché « è una scienza d’amore, una nozione amorosa di Dio, ma
infusa, che va gradualmente illuminando ed innamorando l’anima
sino a sollevarla a Dio suo Creatore. Effettivamente c’è solo l’a­
more che sia capace di unire e far aderire l’anima a Dio».
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 163

I gradini della scala (sulla scorta di S. Bernardo e di S. Tom­


maso) si distinguono in base ai loro effetti : « appunto perché que­
sta scala deH’amore... è così segreta, che Dio solo è all’altezza di
misurarne e valutarne la portata, e quindi sarebbe impossibile dar­
ne una valutazione per via naturale » l09).

« Il primo gradino fa ammalare Fanima, ma per suo bene...


L’infermità da cui viene colpita non porta alla morte, bensì alla
gloria di Dio. Nel corso di questa malattia, infatti, Fanima muore
al peccato e a tutto ciò che non è Dio, precisamente per amor
Suo...
II secondo gradino sospinge Fanima ad una ricerca assillante
e continua di Dio... Su questo scalino Fanima si muove con tanta
ansiosa premura da cercare in ogni cosa FAmato, da parlare e
trattare dell1 Amato in ogni occupazione che intraprende.,.
Il terzo gradino della scala amorosa è quello che sprona Fa­
nima ad agire e le infonde calore perché non si demoralizzi... In
questo stadio Fanima considera piccole anche le opere grandi fatte
per FAmato, ritenendole poche anche se molte, stimando breve
anche se lungo il tempo in cui lo serve, sempre a causa dell’in­
cendio d’amore che ormai la arroventa... Dato il grande amore
che ha verso Dio, Fanima è afflitta da un’acuta e penosa sofferenza
per il poco che riesce a fare per Iddio; tanto che, se le fosse
lecito sopprimersi mille volte per Lui, ne proverebbe grande con­
solazione. Ragion per cui si ritiene una creatura inutile malgrado
tutto quello che fa, sembrandole quasi di vivere parassitariamente.
C’è poi un altro mirabile effetto che essa subisce: la persuasione
intima e cosciente di essere peggiore di tutti gli altri, innanzi tutto,
perché l’amore le va insegnando quanto essa debba a Dio; poi
anche perché, sembrandole pieno di difetti e d’imperfezioni il
quantitativo pur ingente di opere che fa per Dio, non ne ricava
che confusione e pena in quanto riconosce l’irrisoria portata di
tutto il suo arrabattarsi per un Signore così grande...
Il quarto gradino... provoca nell’anima un abitudinario stato
dì sofferente tensione verso FAmato, stato che pure non stanca
mai ». L’amore « le fa sembrare lievissime, quasi un nulla, anche
le cose più grandi, impegnative e gravose... Lo spirito acquista qui

109) Ibid.j cap. 18 - E. Crii. II, 109 sgg.


164 Parte seconda - La dottrina della Crocè

una tale forza, da tener soggetta la carne, tenendola Inoltre in co­


sì poca considerazione come fa un albero con una delle sue
foglie. L’anima qui non cerca assolutamente più la sua consola­
zione e il suo piacere, né in Dio né in alcun’altra creatura; non
desidera e non pretende chiedere favori a Dio, vedendo chiara­
mente quanti gliene ha già fatti. Tutta la sua preoccupazione è
ormai concentrata nel far piacere a Lui, servendolo almeno in
qualcosa per il tanto che Egli merita e per il tanto che da Lui
essa ha ricevuto, anche se tutto ciò le viene a costar caro... Questo
grado d’amore è già assai alto. Infatti, dato che l’anima realmente
infiammata d’amore insegue sempre Dio anelante di patire per
Lui, Sua Maestà le accorda bene spesso... la gioia, visitandola nello
spirito e inondandola di soavità e di piacere. E’ un fatto ormai
constatato, che l’immenso amore del Verbo, Gesù Cristo, non è
capace di veder soffrire l’anima amante senza andarle incontro e
consolarla...
Il quinto gradino di questa scala d’amore stimola l’anima a
desiderare, a bramare Dio impazientemente. Giunta a questo pun­
to, tanta è la veemenza che l’anima amante prova di possedere
l’Amato e di unirsi con Lui, che ogni ritardo - per minimo che
sia - le sembra lunghissimo, doloroso e insopportabile, fissa com’è
nel pensiero di andar a trovare l’Amato... Sicché su questo gradino
all1 amante non sembra restare che questa alternativa: o vedere
Colui che ama, o morire...» n0).
« Il sesto gradino ha la caratteristica di far correre veloce­
mente l’anima verso Dio sino ad avere frequenti contatti istan­
tanei con Lui. Essa corre incalzata e sostenuta dalla speranza: l’a­
more che l’ha fortificata rende leggero il suo volo... ». L’agilità, di
cui qui l’anima risulta dotata, le viene dalla dilatazione della ca­
rità verificatasi in lei, nonché dalla sua purificazione da tutte le
cose create, che è ormai quasi un fatto compiuto.
Così essa passa ben presto al settimo gradino. « Qui l’anima
diventa straordinariamente audace. Ora l’amore non impiega più
la ragione per attendere, né accetta i suggerimenti dell’intelletto
che le consiglierebbe di ritirarsi, né si lascia frenare dalla vergo­
gna... Tali anime ottengono da Dio tutto ciò che piace loro do­
mandargli... Da quest’audacia e libertà d’azione, che Dio concede
all’anima in questo settimo gradino, per tutto osare con Lui sotto
la spinta inarrestabile dell’amore, sale al grado seguente.
Nell’ottavo gradino l’anima raggiunge ormai il suo Amato e

uo) lini., cap. 19 - E. Crii. II, 112 sgg.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 165

s’unisce a Lui... : « Incontrai l’Amato del mio cuore, l’abbracciai


e non lo lascerò più » (Cant. 3, 4). « Pervenuta a questa fase uni­
tiva, ramina vede soddisfatto il suo desiderio, non però in modo
stabile e continuo. Alcuni infatti arrivano sì a posarvi il piede, ma
poi ve lo ritraggono di nuovo... Se questo fenomeno mistico du­
rasse, sarebbe in certo qual modo la gloria della visione beatifica
in questa vita...
Il nono gradino... è già il grado dei perfetti, che ormai ardono
soavemente d’amore in Dio, Questo ardore soave e dilettevole è
causato in loro dallo Spirito Santo, in virtù dell’unione che ormai
li lega con Dio... Non esistono parole adatte ad esprimere i doni
e le ricchezze di Dio che l’anima gode in tale stato; anche scri­
vendo una quantità di libri sull’argomento, il più resterebbe an­
cora da dire ».
Il decimo ed ultimo gradino della scala segreta dell’amore
non appartiene nemmeno più a questa vita. Esso « produce una
completa assimilazione dell’anima con Dio, in forza della chiara
visione di Dio ora posseduta in modo immediato daH’anima, la
quale - giunta quaggiù al nono grado - lascia per sempre la carne.
Tali esseri fortunati, molto pochi per altro, essendo ormai comple­
tamente purificati dall’azione dell’amore, non entrano nemmeno
in purgatorio. Ecco cosa ne dice S, Matteo: «Beati i puri di
cuore, perché vedranno Dio » (Mt., 5, 8). Questa visione è appunto
la causa efficiente della totale similitudine dell’anima con Dio...
Non già che Tanirna diventi uguale a Dio, perché ciò è impossibile;
ma nel senso che tutto ciò ch’essa è diventerà simile a Dio. Per
cui si potrà chiamare, e sarà in realtà, Dio per partecipazione...
Su quest’ultimo gradino, quello della chiara visione, che è poi
l’estremo della scala... non resta più nulla di nascosto all’anima,
sempre per via della totale assimilazione... Tuttavia fino a quel
giorno, per quanto l’anima si libri in alto, qualcosa di velato e
coperto le resterà pur sempre: precisamente quel tanto che le
manca per raggiungere la integrale assimilazione alla divina
essenza.
Ecco le fasi successive che l’anima attraversa nel regno della
teologia mistica e dell’amore segreto, svincolandosi dalle cose e
da se stessa per raggiungere Dio. Sì, perché l’amore assomiglia al
fuoco, che sale sempre verso l’alto e tende a ingolfarsi ruggendo
verso il centro della sua sfera» m).

in) lbid.f cap. 20 - E. Crìi. II, 116 sgg.


166 Parte seconda - La dottrina della Croce

La veste tricolore dell'anima

L’anima ha affermato (nella prima strofa della Notte oscura)


di essere sì uscita di soppiatto attraverso la scala segreta, ma
camuffata o travestita. Travestirsi vuol dire nascondere il proprio
abito e la propria fisionomia sotto altra figura. E ciò lo si fa
« per manifestare, mediante quella trasformazione o travestimento,
la volontà e il desiderio covato nel cuore di conquistarsi le grazie
e l’affetto di chi si ama, oppure per sfuggire alla vista dei rivali,
e così realizzare meglio i propri progetti... Orbene, l’anima ferita
dall’amore del suo Sposo Cristo ...in questo momento esce tra­
vestita sotto quelle spoglie che rappresentano più al vivo gli
affetti del suo spirito, e che le danno opportunità di protezione
contro i suoi avversari e nemici, costituiti dai demonio, dal mon­
do e dalla carne... ». E a tal fine la veste da lei adottata consta
prevalentemente di tre colori: bianco, verde e rosso, simboli delle
tre virtù teologali. Con essi 1’anima si conquista i favori del suo
Amato, passando con assoluta sicurezza davanti ai suoi tre ne­
mici.
« In realtà, la fede è una veste d’un bianco così spiccato da
abbacinare la vista d’ogni intelletto. Sicché, muovendosi vestita di
fede, l’anima non può né esser vista né rischiar di essere ostaco­
lata dal demonio... ». Non c’è veste più adatta di quella bianca
accecante della fede, che forma la base di tutte le altre virtù,
per acquistare il favore dell’Amato e raggiungere l’unione con
Lui. « E’ questo fulgido candore della fede, che l’anima indossa
al momento della sua evasione », quando si mette in cammino at­
traverso le tenebre e le angosce della notte oscura. Ormai nessuna
nozione di carattere naturale riesce più a soddisfarla, e nemmeno
i lumi soprannaturali le bastano più, perché il Cielo le sembra
impenetrabilmente chiuso. « Ma nonostante tutto, essa soffre con
rassegnazione e perseveranza, passando attraverso a quelle tribola­
zioni senza demoralizzarsi né abbandonare l’Amato». E’ precisa-
mente con le afflizioni e con le spossanti lotte interiori che Egli
prova la sua fede.
Sopra la sottoveste bianca della fede, l’anima indossa il far­
setto verde della speranza. Con questa virtù « l’anima si libera
e si difende dal secondo nemico, che è il mondo. Il verde della
viva speranza in Dio conferisce all’anima una vivacità, un coraggio
e uno slancio tale verso i tesori della vita eterna, che confrontando
quanto si attende nell’al di là con il resto, tutto il mondo le ap­
pare - e lo è poi in realtà - arido, appassito, morto, privo di qua-
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 167

lunque valore. L’anima viene quindi a denudarsi, spogliandosi


di tutti gli abiti e capi di vestiario del mondo, non attaccando il
suo cuore a nulla, non sperando più nulla di ciò che v’è o vi sarà
di sfruttabile quaggiù sulla terra, riducendosi a passare i suoi
giorni vestita solo di speranza nella vita eterna. Di conseguenza,
su un cuore così staccato il mondo non può né far presa, né eser­
citare un’attrattiva, anzi neppure fermarne uno sguardo. Sicché,
protetta da questa livrea verde che la traveste così bene, l’anima
viaggia al sicuro da questo secondo nemico che è il mondo... ».
E’ appunto « funzione tipica della speranza quella di sollevare
gli occhi dell’anima facendole puntar lo sguardo unicamente su
Dio », in modo che essa non si attenda alcun bene da qualsiasi
altra provenienza. Con questo vestito essa piace tanto aH’Amato,
da ottenere da Lui tutto ciò che vuole. Mentre invece, senza il
bell’abito verde, « non otterrebbe nulla, perché il fattore decisivo
che muove e convince Dio è appunto la speranza ostinata ».
« Sopra la veste bianca e verde, ranima indossa infine - oer
rendere integrale il suo travestimento - quella del terzo colore,
che è una magnifica toga rossa », simbolo della carità. Drappeg­
giandosi in essa, « l’anima trova difesa e colore di protezione
contro il terzo suo nemico che è la carne (perché, dove regna il
vero amore di Dio, non può penetrare Tamor di sé né l’interesse
personale).
La carità che ora entra in gioco... produce anche l’effetto di
incrementare le altre virtù, conferendo loro vigoria e forza per
difendere l’anima, aureolandole di bellezza e di fascino per ren­
derle gradevoli all’Amato: perché senza la carità nessuna virtù
è ben accetta davanti a Dio ».
Ecco quindi completato il travestimento sotto il quale l’ani­
ma, attraverso la notte della fede, si solleva incontro a Dio.
Fede, Speranza e Carità sono gli elementi che danno l’ultimo e
perfettivo tocco alla sua preparazione al grande atto dell’unione.
« La fede svuota e oscura l’intelletto da ogni sua operazione
intellettiva naturale, disponendolo così ad unirsi con la Sapienza
divina; la Speranza svuota e ripulisce la memoria da ogni attac­
camento alle creature.... mettendola in possesso di ciò che spera...;
la carità infine svuota e disintegra le affezioni e le tendenze della
volontà verso qualunque cosa che non sìa Dio, indirizzandole tutte
verso di Lui solo... E questo perché le virtù in parola hanno ap­
punto il compito di staccare l’anima da tutto ciò che vai meno
di Dio, e conseguentemente di metterla a contatto con Lui ». « E5
quindi impossibile raggiungere la perfetta unione amorosa con
168 Parte seconda - La dottrina della Croce

Dio, senza portare l’abito costituito da queste tre virtù...». «Per


ranima è quindi una grande fortuna l’essere riuscita a indossare
quel vestito, continuando a portarlo sino a raggiungere il traguar­
do tanto ambito delPunione amorosa...» lI2).
Adesso è chiaro come sia stato davvero un felice evento per
l’anima Tesser riuscita in un’impresa difficilissima al par di questa.
Si è liberata dal demonio, dal mondo e dalla propria sensualità,
conquistandosi la preziosa libertà dello spirito, trasfigurandosi da
terrena in celestiale, pervenendo infine ad uno stato di familiarità
ambientale con la Divinità 113),

Nascosta nell’oscurità, in profondo riposo

Per l’anima è stata una fortuna anche Tesser riuscita a scivo­


lar via « nel buio e ben celata ». Nell’oscurità essa ha pututo
avanzare in tutta sicurezza sul terreno fortificato e pien-o di
agguati tesi dal demonio. La contemplazione infusa, in effetti, le
viene concessa in modo misterioso, passivo, senza che sia richiesta
la sua cooperazione, mentre tutte le facoltà della sua componente
sensitiva restano avvolte nella tenebra. Ma il demonio non riesce
ad afferrare ed a comprendere « ciò che si svolge nell’anima » se
non servendosi della parte sensitiva. « Ne segue che quanto più
la comunicazione è spirituale, intima, fuori della portata dei sensi,
tanto meno il demonio arriva a percepirla. Ecco perché è della
massima importanza, per la sicurezza dell’anima, che i suoi rap­
porti intimi con Dio si svolgano in modo che... il lato debole,
costituito dalla componente sensitiva, non abbia ad impedire la
libertà dello spirito, facilitando così un’effusione spirituale più
abbondante ». Poi ancora per via della sicurezza contro il perverso
nemico. Di ciò che sta avvenendo nel settore più alto dell’anima,
quello inferiore non deve saper nulla. « Deve restare un segreto
tra l’anima e Dio ».
Per altro, il demonio può anche arrivar a dedurre - sia pur
indirettamente - che nell’anima si verificano davvero delle comu­
nicazioni interiori e spirituali. E ciò argomentando « dalla grande
e silenziosa calma che talune di esse vanno provocando nei sensi
e nelle potenze sensitive dell’anima... Vedendo allora di non essere
all’altezza di ostacolarle nel più profondo dell’anima ove si mani- * 1

112) Ibìd., cap. 21 'E. Crìt. II, 119 sgg.


1IS) lbid., cap. 22 - E. Cnt. H, 123 sg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 169

festano, egli fa tutto il fattibile per turbare e mettere in agitazione


la parte sensitiva che è nella sua sfera d’influenza. Vi scatena
quindi dolori, moti d’orrore e di paura, nell’intento di inquietare
e turbare con questo mezzo il settore superiore e spirituale del-
raniima, ove sta operando il bene che essa riceve ed assapora.
Spesso tuttavia, quando Tinfusione della contemplazione investe
unicamente lo spirito manifestandosi con violenza, il demonio,
pur mettendoci tutto l’impegno, non riesce a disturbarlo. L’anima,
anzi, ne ricava allora nuovo vantaggio e maggior pace. Infatti,
sentendo la presenza conturbante del nemico, essa - fatto ammi­
revole! - senza sapere cosa stia avvenendo e senza far nulla di sua
propria iniziativa, si ritira nel suo più profondo intimo, consa­
pevole di essere in un rifugio sicuro e quindi lontano al massimo,
nonché fuori tiro dal suo nemico... Allora tutto quel fuoco mar­
tellante di terrori finisce per pioverle addosso di sbieco scivolando
via all’esterno. Essa lo avverte chiaramente, felice di trovarsi al
sicuro, intenta ad assaporare, in compagnia dello Sposo nascosto,
quella pace quieta e soave che né il mondo né il demonio sono
all’altezza di dare o di togliere...
Altre volte invece, allorché la comunicazione spirituale non
agisce tanto direttamente sullo spirito ma investe anche la com-
oonente sensitiva, il demonio riesce molto più facilmente a tur­
bare lo spirito, impiegando i sensi per metterlo in subbuglio con
in suoi orrori. Allora sì è grande il tormento e la pena da lui pro­
vocata nello spirito, spesso anzi è indicibilmente grande. Siccome
la lotta s’ingaggia apertamente tra spirito e spirito, è addirittura
intollerabile Torrore che quello cattivo ispira a quello buono, cioè
all’anima, quando riesce a raggiungerla con la sua azione sov­
vertitrice...
Altre volte invece avviene che il demonio pervenga a scorge­
re per altra via un certo numero di favori, che Dio accorda all’ani­
ma tramite l’angelo buono. Ordinariamente, infatti, Dio permette
che l’avversario venga a conoscere le grazie dì questo tipo...,
soprattutto per lasciargli la possibilità di intralciarle con tutti i
mezzi a sua disposizione, come esige un certo qual postulato di
giustizia..., sicché il demonio non possa poi lamentare calpestato
il suo diritto, dicendo che non gli è stata data facoltà di conqui­
stare l’anima... La cosa starebbe appunto in questi termini, nel
caso che Iddio non lasciasse sussistere una certa parità tra i due av­
versari, vale a dire tra l’angelo buono e quello cattivo che si stanno
disputando Tannila. Così invece, la vittoria di chiunque abbia il
170 Parte seconda - La dottrina della Croce

sopravvento sarà molto più gloriosa, e Fanima vincitrice, rimasta


fedele nella tentazione, ne sarà meglio ricompensata.
Ecco perché... Iddio concede al demonio il permesso di com­
portarsi nei confronti dell’anima alla stessa maniera come si com­
porta Lui ». Dal momento che Egli, tramite l’angelo buono, le
presenta una visione vera.,,, anche l’angelo cattivo è autorizzato
a presentargliene di quelle false, che sono stranamente simili a
quelle vere. Costui riesce anche a simulare delle comunicazioni
spirituali operate dall’angelo buono. Ma se si tratta di comunica­
zioni spirituali pure, che non hanno forma e figura determinata,
esso non è assolutamente all’altezza di contraffarle. « Così - per
attaccare Fanima con la stessa tecnica impiegata da Dio per visi­
tarla con i suoi favori - le si presenta davanti con il suo terrificante
spirito, intenzionato a controbattere e a distruggere un fattore
spirituale con un altro fattore spirituale. Quando ciò si verifica
al momento in cui l’angelo buono sta per comunicare all’anima
la contemplazione spirituale, questa non fa in tempo a ritirarsi
nel nascondiglio segreto della contemplazione senza essere notata
dal demonio e quindi esso la raggiunge investendola con raffiche
di orrori e di turbamenti spirituali spesso estremamente penosi.
Talvolta Fanima riesce a liberarsi alla svelta, senza che i
predetti orrori dello spirito maligno abbiano modo di impres­
sionarla. Essa si rifugia in sie stessa, favorita in questo dall’inter­
vento spiritualmente efficace dell’angelo buono. Purtroppo, altre
volte prevale invece il demonio; il turbamento e l’orrore stringono
Fanima come in una morsa, provocando in lei una sofferenza
maggiore di quella che potrebbe suscitarvi qualunque altro tor­
mento di questa vita. Il perché è facilmente intuibile: siccome
questo orrendo influsso si esercita tra spirito e spirito, astraendo
completamente dal fattore corpo, esso risulta doloroso oltre ogni
dire. Per fortuna tale influenza nefasta perdura sì nello spirito,
ma non molto, perché diversamente lo spirito umano finirebbe
per separarsi dal corpo sotto la spinta dello spirito avverso...
Tutto ciò che abbiamo detto, si verifica nell’anima passiva­
mente, senza che essa vi partecipi né prò né contro. Ed avviene
unicamente « per purificare Fanima e disporla - come attraverso
una vigilia spirituale - a quella gran festa e sagra spirituale che
Dio intende farle... In proporzione alla tenebrosa e orribile puri­
ficazione subita, Fanima godrà poi la meravigliosa e saporitissima
contemplazione spirituale, sovente così sublime da non trovar
espressioni per descriverla ». I terrori del periodo precedente l’han­
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 171

no resa oltremodo atta a riceverla. « Tali visioni spirituali, in


effetti, sono più dell’altra vita che di questa, e quando se ne
vede una, ci si prepara all’altra».
Quanto si è detto, è valido soltanto per le grazie concesse per
tramite deH’angelo buono. Allorché invece è Dio stesso a visitare
l’anima, essa rimane « nel buio e ben celata », perché « Sua Mae­
stà abita in modo sostanziale nell’anima, dove né l’angelo né il
demonio possono giungere a rilevare ciò che sta accadendo. D’al­
tronde essi sono incapaci di conoscere gli intimi e segreti rapporti
che intercorrono tra Dio e l’anima. Tali relazioni effusive... sono
integralmente divine e assolutamente sovrane, perché si tratta di
tocchi sostanziali inerenti alla divina unione tra l’anima e Dio.
In uno solo di questi contatti, che costituiscono il supremo grado
raggiungibile nella vita di orazione, l’anima riceve maggior be­
nefìcio che non in tutto il resto... Perciò l’anima apprezza e anela
un contatto della Divinità molto più di tutti gli altri favori fat­
tile da Dio...
Allorché quelle comunicazioni effusive si verificano nell’anima
di nascosto, ossia soltanto nello spirito, le avviene a volte di
sentirsi - senza neppure saper come - con la componente spiri­
tuale e superiore così nettamente staccata da quella inferiore e
sensitiva, da riscontrare in se stessa come due fattori compieta-
mente diversi. Ha così l’impressione che questi due elementi non
abbiano nulla a che veder l’uno coll’altro... In certo qual modo
è proprio così, perché, essendo l’operazione che si sta realizzando
nell’anima, di carattere prettamente spirituale, non ha alcun rap­
porto con la sfera sensitiva. Sicché l’anima si va facendo sempre
più integralmente spirituale, e nel segreto della contemplazione
unitiva le passioni e le brame spirituali finiscono per esserle
strappate di dosso in modo definitivo». Ecco perché, alludendo
alla sua sfera superiore, l’anima dice : « Stando già la mia casa
addormentata » IH).
Con questa espressione essa vuol dire: «Mentre ormai la
sfera superiore della mia anima - come quella inferiore, del resto
- era addormentata con tutte le sue brame e facoltà, io sono sgu­
sciata via verso l'unione con Dio». Tanto la componente sensitiva
quanto quella spirituale sono state attaccate a mano armata
durante la notte oscura. Entrambe hanno dovuto « esser portate

1M) lbidcap. 23 - E. Crit. II, 124 sgg.


172 Parte seconda - La dottrina della Croce

al riposo e alla pace insieme alle loro potenze e brame appetitive ».


Si giustifica così la ripetizione di questo verso.
« L’anima perviene a raggiungere questo assopimento e que­
sta quiete della sua casa spirituale in modo abituale e perfetto
(per quanto è possibile durante la presente vita), appunto mediante
i contatti sostanziali operati dall’unione divina ». Sotto la loro
azione l’anima ha dovuto esser depurata, pacificata e portata ad
un alto grado di resistenza, per poter essere avviata a quella unione
« che costituisce il matrimonio divino tra Taiunia e il Figlio di
Dio. Appena le due case dell’anima finiscono di addormentarsi e
di fortificarsi con tutto il loro servidorame di potenze e di brame
appetitive, immergendo nel sonno e nel silenzio tutti i loro rap­
porti con le cose celesti e terrene, la divina Sapienza si unisce
all’anima con un nuovo vincolo: quello del possesso amoroso im­
mediato, diretto...
A quest’unione non si può arrivare senza una radicale puri­
ficazione... Pertanto, chi si rifiutasse di uscire nella notte in cerca
dell’Amato, opponendo resistenza allo spogliamento e alla morti­
ficazione della propria volontà, pretendendo invece di trovarlo
nella comodità del suo letto... finirebbe per non trovarlo mai... » ll5).
Nella notte beatificante, l’anima è -stata favorita di una con­
templazione indisturbata e segreta, così estranea e inafferrabile nei
confronti della sfera sensitiva, che nessuna creatura ha mai
potuto intaccarla né deviarla daH’unione amorosa. Tutte le facoltà
superiori deH’anima sono state precipitate nel buio dalla tenebra
incombente di questa notte. Così essa non riesce più a percepire
nulla, e sulla strada per arrivare a Lui non esiste più alcuna cosa
capace di trattenerla. Si svincola da tutte le. forme, figure e nozioni
apprensive naturali, che costituiscono un ostacolo alla sua unione
stabile con Dio. Non può più far leva su alcuna luce proiettata
dall’intelletto, né su alcun'altra guida esteriore, per trovarvi un
barlume di consolazione soddisfacente.
«Le oscure tenebre l’hanno privata di tutto quanto. Ora esiste
solo Tamore che arde, sollecitandole il cuore verso l’Amato; esso
è l’unico elemento che adesso muove e guida l’anima, facendola
volare al suo Dio per un sentiero solitario, senza che essa nemmeno
sappia come, né con quale sistema » 116).

115) Ibidcap. 24 - E. Crii. II, 131 sg.


lle) Ibid., cap. 25 - E. Crit. Il, 133,
11. Spìrito e fede - Morte e Risurrezione m

Qui s'interrompe il trattato della Notte oscura. Delle otto


strofe del poema, il nostro S. Dottore ne ha commentate soltanto
sei. Questa trattazione riveste per noi un doppio significato: ci
offre i più ampi dettagli sulla essenza dello spirito, e ci dimostra
come la contemplazione oscura sia l’equivalente della ,norie e
della risurrezio>ne a nuova vita. Invece, una vera e propria tratta­
zione esplicativa su questa nuova vita - la vita deUunione - non
si ha né qui né nella Salita.

b) L'anima: spirito nel regno degli spiriti.


Struttura dell’anima - Spirito divino e spiriti creati

L’anima, in quanto spirito, fa parte del regno dello spirito


e degli spiriti. Ha per altro una conformazione sua propria: non
è soltanto la forma vitale del corpo, quindi la parte interna di
qualcosa di esterno, ma racchiude in se stessa l’opposizione ogget­
tiva tra interno ed esterno117). Essa si trova veramente a casa sua
soltanto nel suo intimo, nella sua essenza o nel suo estremo sfondo.
Mediante l’attività naturale delle sue facoltà, essa esce incontro
al mondo esterno, con un processo puramente sensitivo che le è
inferiore. Ciò verso cui si muove, essa Tassorbe in sé, ma ne
resta a sua volta assorbita. Esso la determina nella sua azione, limi­
tando in certo qual senso la sua libertà; non può penetrare nel
suo intimo, ma può giungere a trattenerla lontana dal suo
intimo.
Nella sua salita verso Dio, Tanima si solleva da sé, oppure
vien sollevata, sopra se stessa. Ed è precisamente così che essa
penetra realmente nel suo intimo. Sembra una contraddizione;
eppure corrisponde ad una realtà di fatto, in quanto si fonda sul
rapporto in cui il regno dello spirito si trova nei confronti di
Dio.
Dio è puro spirito, prototipo di ogni essere spirituale118).

117) Bisogna ricordare qui, che in tutte queste distinzioni si fa uso d’un’im-

magine spaziale riferita a qualcosa che non ha spazio. In senso proprio « l’anima
non è composta di parti, e quindi in essa non esiste distinzione tra esterno e
interno... ». (Viva Fiamma, Str. I, V. 3, Obras IV, 12 sg.).
11B) Quello che qui, a proposito dell’essere spirituale, è accennato solo con
174 Parte seconda - La dottrina della Croce

Perciò, solamente rifacendosi a Dio è possibile capire esattamente


dò che sia uno spirito. In altre parole, si tratta d’un mistero che ci
attira insistentemente, perché è appunto il mistero del nostro
proprio essere. Abbiamo una certa possibilità di accesso a questo
mistero pressamente in quanto il nostro proprio essere è spiri­
tuale. Abbiamo anche altre vie di penetrazione, prendendo come
punto di partenza qualunque essere, in quanto ogni essere - ap­
punto perché sensibile e afferrabile spiritualmente - possiede qual­
cosa di spirituale. Esso si va svelando a noi con sempre maggior
precisione, proporzionata alla nostra conoscenza di Dio, pur tut­
tavia senza svelarsi mai del tutto, ossia senza cessar di restare un
mistero.
Lo spirito di Dio è perfettamente trasparente a se stesso; può
disporre di se stesso in piena libertà, in quella assoluta e illimitata
autonomia che è implicita nell’essere per se stesso; si manifesta
all’esterno, con tutta indipendenza uscendo da se stesso eppur ri­
manendo sempre in sé. Esso fonda ogni altro essere al di fuori
di sé, lo raggiunge, lo compenetra e lo domina.
Lo spirito creato è un’immagine limitata di Dio (in tutti i
settori precedentemente nominati): in quanto immagine è simile
a Dio, in quanto limitato è il contrapposto di Dio. Esso è più
o meno ricettivo nei confronti di Dio; ma nella sua forma più
alta è atto all’unione con Dio, in un vicendevole abbandono libero
e personale.
Parliamo qui di un regno dello spirito e degli spiriti, in quanto
ogni ente spirituale ha, almeno in linea di possibilità, un legame
con gli altri, e fa parte di un tutto. Lo chiamiamo poi regno dello
spirito, perché il termine spirito abbraccia qualcosa di più che
non tutti gli spiriti soltanto e precisamente ogni elemento spiritua­
le: il che è in certo senso tutto ciò che esiste. Ma vi aggiungiamo
regno degli spiriti, perché in questo campo, gli spiriti - ossia gli
esseri personali e spirituali - sono realmente i protagonisti.
Alla testa di questo regno sta Dio, che sovrasta a distanza in­
finita qualunque elemento spirituale e qualsiasi spirito. Uno
spirito creato può elevarsi fino a Lui soltanto sollevandosi sopra
se stesso. Dio insomma, come creatore e conservatore degni es­
sere è il fondamento che li sostiene tutti. Ciò che sale a Lui,
discende nello stesso tempo fino al suo centro di gravità più
sicuro.

poche parole, si trova esposto dettagliatamente in:


Endliches und Etvtges Sein. Vcrsuch eines Aujsiiegs zum Sinn des Seins,
O pere di Edith Stein, V oi. II.
11. Spirito e fede - Morte e Risurrezione 175

Rapporti dell'anima con Dio e gli Spiriti creati

Il nostro Santo designa Dio come il centro più profondo del­


l’anima, ricorrendo ad un’immagine spaziale desunta dalla con­
cezione scientifico-naturale del suo tempo119). Secondo tale con­
cezione, i corpi vengono attratti a tutta forza verso il centro della
terra, considerato quale punto donde emana la più forte energia
gravitazionale. Una pietra posta all’interno della terra sarebbe già
ad un certo punto di riposo, non però ancora al centro più pro­
fondo, perché avrebbe ancora la capacità, la forza e la tendenza
a precipitare più in basso fino a raggiungere il centro effettivo.
Così succede all’anima. Essa avrà trovato la sua ultima e più
profonda posizione di riposo in Dio « allorché con tutte le sue
forze conoscerà, amerà e godrà Dio ». Questa eventualità, per
altro, non si realizza mai completamente nella vita di quaggiù.
Per cui, anche quando per opera della grazia l’anima si trova
in posizione di riposo, non è ancora al suo centro definitivo, po­
tendo essa penetrare Dio sempre più in profondità. Infatti la
forza che l’attrae a Dio è l’amore, e questo può sempre raggiunge­
re una gradazione più alta. Quanto più forte è la sua intensità,
quanto più profondamente esso risulta ancorato nell’anima, tanto
più intrinsecamente Tanima risulta posseduta da Dio. Servendosi
dei gradini della scala, l’anima sale verso Dio, vale a dire all’u­
nione con Lui. Più s’innalza verso Dìo, più scende sprofondan­
dosi in se stessa: l’unione avviene nell’intimo dell’anima, nel suo
estremo fondo. Se ciò può apparire una contraddizione, basti tener
presente che siamo davanti a una serie di immagini spaziali, com-
pletantisi a vicenda, e poste a simboleggiare qualcosa che è com­
pletamente fuori dello spazio, e come tale non può essere esatta­
mente rappresentato da nessuna nozione desunta dal bagaglio del­
l’esperienza naturale.
Dio abita nell’intimo dell’anima e quindi nulla di ciò che c’è
in lei gli è nascosto. Non esiste dunque alcuno spirito creato ca­
pace d’introdursi di sua iniziativa in questo giardino sbarrato, o
di gettarvi lo sguardo. Per spiriti creati, s’intendono tanto quelli
buoni quanto quelli cattivi (chiamati anche puri spiriti, perché
privi di corpo), quanto ancora le anime umane. Circa i rapporti
delle anime umane tra di loro si trova ben poco in S. Giovanni
della Croce. In pratica non ce che una relazione umana, sulla

119) Viva Fiamma, Str. 1., V. 3 - Obras, IV, 13 e 114 sg.


176 Parte seconda - La dottrina della Croce

quale egli ritorna con insistenza: quella tra l’anima tendente alla
spiritualità e il suo direttore. Ma non rientra nelle sue intenzioni
nemmeno stabilire su quali direttive intellettuali tale intesa deve
basarsi. Una volta sola egli fa notare che gli uomini, ai quali è
stata data la grazia del discernimento degli spiriti, sono all’altezza
di arguire da quasi impercettibili segni esteriori quello che passa
nell’intimo altrui 12°). Ecco indicata la via conoscitiva normale
per giungere alla vita spirituale del prossimo: si comincia da
manifestazioni esterne sensibili, si oltrepassano, e si arriva così in
profondità da riuscir a dedurre come si comporta l’intima vitalità
dell’anima. Infatti ogni esteriorizzazione che si concretizza in
fenomeni espressivi di ordine corporale, in sensazioni e parole,
in azioni ed opere, presuppone una fonte emanativa interiore -
volontaria o involontaria, cosciente o inconscia. Perciò, se tutto ciò
scaturisce dall’interno, qualcosa di tale interno vi affiora senz’al­
tro. Ma non sarà mai uno schema dai contorni netti, mai nulla
di preciso e di afferrabile con sicurezza, fìntanto che si resterà
confinati sulla via puramente naturale senza esser guidati dalla
straordinaria illuminazione di Dio; intorno a tutto ciò rimarrà
pur sempre un alone di Etto mistero. Siccome l’intimo dell’anima
è sbarrato, non c’è sguardo umano che abbia forza sufficiente per
scandagliarlo.
L’anima non è in relazione soltanto con i suoi simili, ma
anche con i puri spiriti creati, sia buoni che malvagi. Sulla scìa
dt\YAreopagita, Giovanni ammette che l’illuminazione divina ven­
ga concessa all’uomo tramite gli angeli; d’altra parte, però la
discesa scalare della grazia attraverso i gradini della Gerarchia
Celeste per lui non è l’unica via possibile. Egli riconosce un’unione
immediata di Dio con l’anima, ed è proprio questa che riveste ai
suoi occhi la massima importanza. Molto più dell’influenza del­
l’angelo buono, egli analizza le insidie del demonio. Egli lo vede
circuire insistentemente le anime, per sviarle dal cammino verso
Dio.
Quali possibilità di contatti esistono tra le anime umane e gli
spiriti puri, ossia privi di corpo? Anche qui esiste una via cono­
scitiva possibile, che sorpassa i dati espressivi corporali e le altre
esteriorizzazioni. Nei confronti degli uomini, i puri spiriti in
quanto tali, per farsi comprendere da loro, hanno il potere di
apparire loro in forma visibile e di render?! presenti mediante
parole percettibili. Ma questo dato di fatto è una strada molto

120) Salita, lib. 2, cap. 24 - E. Crìi. I, 241.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 177

pericolosa, perché ci si viene ad esporre a innumerevoli illusioni


ed errori: si rischia di scambiare per apparizioni spirituali i pro­
dotti illusori dei sensi o le immaginazioni della fantasia; il demo­
nio può presentarsi sotto l’aspetto radioso d’un angelo buono per
poter così meglio disorientare; e ramina, per paura di tali illusioni,
va soggetta a respingere, come mistificazioni dei sensi o del
diavolo, anche autentiche visioni celestiali.
D’altro canto, è peschile si o no considerare l’esteriorità
sensibile come varco d’accesso all’interiore, anche per i puri spi­
riti? I racconti dei libri di Giobbe e di Tobia a malapena si spie­
gherebbero, non ammettendo che il demonio e gb angeli osservino
minuziosamente e sorveglino attentamente il comportamento e-
steriore dell’uomo.
Il fatto poi che gli angeli posseggano una conoscenza dd
mondo sensibile e perciò stesso anche dd lato esteriore dell’uomo,
è perfettamente in linea con la dottrina della fede, in quanto la
cosa è presupposta dai servizi che essi devono prestare all’uomo l21).
Che nel far questo essi non abbiano bisogno dei sensi corporei,
sta a dimostrare come debbano esistere altre possibilità di com­
prensione aventi per oggetto la natura corporea, e precisamente
una «conoscenza del sensibile senza la mediazione dei sensi» 122).
Non è nostro compito esaminare qui tali possibili modalità.
In ogni caso è assodato che per essi i fattori esterni non sono
affatto l’unica via d'accesso alla vita interiore; ad essi risultano
captatili anche le locuzioni spirituali interiori oltre alle manife­
stazioni esteriori. L’Angelo Custode sente la preghiera che sale
verso di lui dai cuori, anche se priva di espressione vocale. Il
perverso nemico afferra certi moti dell’anima che possono costituire
per lui un appiglio per le sue suggestioni. Gli spiriti hanno a loro
volta la facoltà di farsi sentire alle anime per vie nettamente
spirituali: con parole prive di risonanza esterna che vengono sug­
gerite e percepite interiormente senza la mediazione dei sensi
esteriori, oppure mediante azioni influitive che si sentono in se
stessi come determinate da fattori esterni, p, es., improvvisi cam­
biamenti d’umore o impulsi della volontà, e che in realtà risul­
tano inesplicabili badando solo al proprio comportamento nor­
male. Ciò che non cade sotto i sensi esterni, non è affatto detto sia
completamente immune da ogni elemento sensibile; quindi non
è affatto puramente spirituale, nel senso che Giovanni della Croce

121) Cfr. Quaestiones disputatele de ventate, q. 8, a. 11, corp.


122) Op. di., q. 98, a. 8, ad 7.

12, - Scientia Crucis.


178 Varie seconda - La dottrina della Croce

intende parlando di pura spiritualità. E’ bensì vero che egli chiama


la memoria, l’intelletto e la volontà col nome di facoltà spirituali;
ma la loro attività naturale è ancora condizionata dai sensi e con­
seguentemente ancora vita sensitiva. Puramente spirituale è sol­
tanto ciò che si verifica nell’intimo del cuore ossia la vita dell’a­
nima vissuta in derivazione da Dio e immersa in Dio,23). Dentro
il cuore invece, gli spiriti creati non hanno possibilità di accesso.
I pensieri del cuore risultano loro naturalmente inavvicinabili -
ripetiamo, naturalmente, perché Iddio può anche manifestarli loro.

L'intimo dell'anima e i pensieri del cuore

I pensieri del cuore: ecco la vita originaria dell’anima nelle


sue linee essenziali. Questa struttura basilare è situata nella psiche
più profonda e precede l’articolazione deiranima nelle varie sue
potenze ed attività. L’anima ci vive, tale e quale è in se stessa,
al di là di tutte le reazioni suscitate in lei dalle creature. Benché
tale intimo rifugio sia la dimora di Dio e il luogo ove si attua
l’unione dell’anima con Dio, prima che tale unione vi si verifichi
vi fermenta la vita personale propriamente detta, anche quando
a tale untone non si arriverà mai. Ogni anima possiede dunque
un suo intimo, la cui esistenza è già una forma di vita. Questa
vita primordiale però non è ignota soltanto agli altri spiriti, ma
persino all’anima stessa. E ciò per varie ragioni.
Innanzitutto la vita primordiale è informe. I pensieri del
cuore non sono ancora affatto pensieri nel senso abituale del ter­
mine: non hanno contorni precisi, non sono dati articolati ed
esprimibili deirintelletto pensante. Essi devono passare attraverso
varie fasi formulative avanti diventare creazioni ideali. Devono
dapprima staccarsi dal fondo del cuore. Fatto questo, pervengono
ad una prima soglia, ove si fanno percettibili. Questa percezione
è più una primitiva modalità del divenir coscienti, che non una
conoscenza adeguata all’intelletto. Siamo ancora nello stadio pre­
cedente alla suddivisione delle potenze e delle attività. Le manca
tuttora la chiarezza della pura conoscenza intellettiva; per altro,
già la percezione che stiamo analizzando è molto più ricca della
semplice conoscenza intellettuale. Ciò che sale all’interno deira­
nima viene dunque percepito come provvisto d’un indice di valore,

123) Cfr. Vìva Fiamma, commento alla str. 2, V. 6 - Obras, IV, 43 e 150 sgg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 179

il quale offre all’anima stessa la possibilità di decidere se si senta


obbligata, spinta dalla volontà a lasciarlo affiorare o no. Da notare
inoltre che tutto questo complesso insorgente e già resosi percet­
tibile, non appartiene ormai più alla vita puramente interiore
dell’anima, ma è già una risposta al richiamo che l’ha messa in
moto. Ciò che stiamo dicendo però, ci condurrebbe in ima dire­
zione che per il momento non possiamo seguire.
Proprio dalla soglia su cui i movimenti insorgenti nell’anima
si rendono percettibili, comincia la suddivisione delle potenze
dell’anima riconoscibili nelle loro specialità, nonché la formula­
zione delle immagini afferrabili. A questa categoria appartengono
i pensieri elaborati dall’intelletto con la loro articolazione razio­
nale (sono le cosi dette parole interiori, per le quali si possono poi
trovare le parole esteriori); vi appartengono anche i moti dell’ani-
mo, nonché le risoluzioni della volontà, che entrano come forze
attive nel complesso della vita psichica. La vera e propria vita
deiranima non è quindi ormai più la vita primordiale che fer­
menta nel profondo, ma qualcosa di afferrabile tramite la perce­
zione interiore. E la percezione interiore è già una modalità cono­
scitiva completamente diversa da quel primo aver sentore di ciò
che si sprigiona dal profondo; come poi a sua volta questo affio­
rare di elementi vitali dalle profondità interiori è diverso dall’emer­
sione d’una immagine già nettamente stagliata, a suo tempo im­
magazzinata nella memoria ed ora rimessa in ciclo con la sua
vitalità.
Di ciò che inizia la salita diventando percettibile, non tutto
viene realmente afferrato. Buona parte emerge, trasformandosi
in parola interiore, in parola esternata, in desiderio, in atto volon­
tario, in operazione « ancor prima che il soggetto se ne accorga ».
Orbene, soltanto chi vive completamente raccolto in se stesso presta
una vigile attenzione a questi moti primo-primi.
Siamo così arrivati al secondo motivo per cui il proprio intimo
risulta nascosto aH’uomo, Abbiamo già detto come Fanima si
trovi al suo posto proprio in questo nascondiglio fondo e buio.
Sembrerà strano, ma è purtroppo un dato di fatto che l’anima
ordinariamente non sta al suo posto. Esistono solo poche anime
che vivono davvero rinchiuse nel loro intimo e attingendo la linfa
dal loro intimo; e ne esistono ancora meno che ci vivano e ne
vivano in modo stabile e duraturo. In via normalmente naturale
- ossia in corrispondenza alla loro natura decaduta - gli uomini
soggiornano negli ambienti esterni del castello costituito dalla loro
180 Parte seconda - La dottrina della Croce

anima. Ciò che proviene loro dall’esterno, li trascina allesterno;


per cui Dio è obbligato a chiamarli e ad allettarli con un appello
ben chiaro e distinto se vuole indurli a « rientrare in se stessi » ì24).

L'anima, l'io e la libertà

E’ molto importante capire bene - quanto più nettamente, spi­


ritualmente e astrattivamente possibile - ciò che qui s’esprime a
base d’immagini spaziali. Tali figure infatti si stentano ad elimi­
nare; ma sono equivoche e facili ad esser fraintese. Ciò che da]
di fuori raggiunge l’anima, appartiene al mondo esterno. Vi si
intende compreso tutto ciò che non appartiene airanima stessa,
e normalmente neanche al suo corpo; infatti, quantunque il corpo
stesso venga designato col nome di esterno, nei suoi confronti,
questo suo esterno costituisce con essa un tutto unico di unita
essenziale, sicché non le risulta affatto cosi esterno come ciò che
le si fa incontro dal di fuori, e le è completamente estraneo e
staccata ’25).
Tra questi elementi estranei e separati, bisogna poi fare una
ulteriore distinzione, tra cose provviste di un modo di essere
puramente esteriore - ossia un’estensione spaziale - e cose che
invece sono fornite di un modo di essere puramente interiore,
quale è p. es., ranima stessa.
Inoltre si dovrebbe parlare di un interno e d’un esterno per­
sino nei confronti deiranima stessa. Infatti, allorché essa viene
attirata all esterno, non per questo esce da se stessa; viene soltanto
allontanata dal suo centro, e quindi contemporaneamente data
in braccio al mondo esteriore. Il richiamo dell’esteriore ha anche
un certo qual diritto di attirare la sua attenzione; e corrisponderà
al suo proprio peso - al valore e al significato ch’esso ha in sé e
in rapporto all’anima - la esatta profondità in cui meriterà di
venir assorbito. Sicché esso risulterà realmente adeguato solo
quando l’anima lo accetti in base a quelle caratteristiche. Ma per
far questo non si esige eh'essa abbandoni quel suo centro pro­
fondo: dato che essa è uno spirito, e il suo Castello è un regno
sDirituale, vigono qui leggi del tutto diverse da quelle in vigore * 125

m) La nostra S. M. Teresa dì Gesù, nella sua più importante opera mistica

« Il Castello interiore », ha paragonato Panama a un castello fornito di molti


appartamenti, da lei detti le Sette Mansioni.
125) La S. Madre lo designa col nome di cinta del Castello.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 181

nello spazio esteriore. Mantenendosi nel più profondo intimo di


questo suo regno interiore, essa lo domina tutto ed ha la libertà
di recarsi in qualunque luogo le torni gradito, pur senza abban­
donare il suo posto, il luogo del suo riposo.
La possibilità di muoversi su se stessa, fa perno sulla struttura
deiranima che ha la conformazione dell’IO. L’io costituisce per
l’anima la caratteristica mediante la quale essa possiede se stessa
e tutto ciò che in lei si muove come dentro la sua cerchia spaziale.
Il punto più profondo è contemporaneamente la sede della sua
libertà: il luogo in cui essa può abbracciare integralmente il suo
proprio essere e decidere in materia. Libere decisioni di portata
secondaria possono in un certo senso esser prese anche da un
punto situato molto più lontano, vicino alla periferia. Ma si tratta
sempre di decisioni superficiali. E’ un puro caso che la decisione
risulti adeguata al suo oggetto, perché è soltanto nel punto più
profondo che sussiste la possibilità di commisurare tutto a scala
esatta; senza dire poi che non si tratta nemmeno di una decisione
definitivamente libera, perché colui che non tiene salde in mano
le redini di tutto se stesso, non è affatto all’altezza di determinarsi
in modo realmente libero: anzi, si lascierà sempre influenzare.
L’uomo è chiamato a vivere nel suo intimo, prendendo in
mano la regìa di tutto se stesso, per quanto è possibile operando
da questo punto. Soltanto prendendo le mosse da qui è attuabile
poi l’esatto confronto col mondo: soltanto movendo da qui l’uomo
può trovare nel mondo il posto assegnatogli.
Malgrado tutto questo, l’uomo non esplora mai integral­
mente il suo intimo. E’ un segreto di Dio, un segreto che unica­
mente Lui può rivelare nella misura che Gli piace, tuttavia que­
sto intimo è affidato all’uomo; egli può deciderne nella più perfetta
libertà, ma ha pure il dovere di conservarlo come un bene prezioso
datogli in consegna. Nel regno degli spiriti esso acquista un va­
lore ancor maggiore: gli angeli hanno il compito di proteggerlo;
gli spiriti malvagi cercano di impadronirsene; mentre Dio stesso
lo ha scelto a sua dimora preferita.
Buoni e cattivi spiriti però non hanno affatto libero accesso
all’intimo. Tanto gli spiriti buoni come quelli cattivi, per via
puramente naturale, sono capaci di leggere i « pensieri del cuore »;
quelli buoni però vengono illuminati da Dio su ciò che essi de­
vono sapere in fatto di segreti del cuore. Inoltre, esistono a favore
dell’anima certe vie per mettersi in relazione con gli altri spiriti
creati. Ciò che in essa è arrivato allo stadio di parola interiore, può
servirle di mezzo per rivolgersi ad un altro spirito. Così si figura
182 Parte seconda - La dottrina della Croce

S. Tommaso la lingua con cui gli angeli si tengono in rapporto


tra loro: come un sistema puramente spirituale di rivolgersi uno
all’altro nell’intento di comunicarsi a vicenda ciò che si ha in se
stessi126). Così va immaginato anche l’appello silenzioso lanciato
all’Angelo custode, nonché il richiamo interiore degli spiriti mal­
vagi. Sicché, anche senza la nostra intenzione di metterci in
contatto con loro, gli spiriti creati hanno una certa entratura nei
confronti di ciò che avviene dentro di noi : non a ciò che è nascosto
nel nostro intimo beninteso, ma senz’altro a ciò che è entrato a
far parte in forma valorizzabile del complesso interiore deiranima.
Basandosi sui poco che qui riescono a conoscere, essi sono poi in
grado di congetturare ciò che può verificarsi di celato al loro
sguardo. Per quanto riguarda gli Angeli, dobbiamo ammettere
che essi fanno buona guardia, proteggendo con rispettoso riguardo
il santuario gelosamente serrato della nostra anima. Essi hanno un
solo desiderio: quello di portare l’anima a ritirarsi là dentro per
donarsi a Dio.
Tutti gii sforzi di Satana, invece, sono diretti ad arraffare
ciò che fa parte del regno di Dio. Facendo leva sulle soie sue forze
non vi riesce; purtroppo però Panima può arrendersi a lui. Non
10 farà, purché si mantenga ridrata nel suo intimo e abbia imparato
a conoscerlo a fondo, come avviene nell’unione divina. In tal caso
infatti essa è così immersa e nascosta in Dio, che nessuna tenta­
zione riesce più a raggiungerla. Ma - diciamo noi - come è possi­
bile che essa si butti allo sbaraglio, se non ha ancora il pieno
possesso di se stessa, fatto che può verificarsi unicamente pene­
trando nel proprio intimo? Lo si può concepire in un solo modo:
che l’anima, pur standosene ancora al di fuori, prenda il suo
intimo e in un cieco impeto rabbioso Io consegni al demonio. Essa
si butta via, senza neppur sapere che cosa abbandoni con questo
atto. E dire che il demonio non riesce nemmeno lui ad infrangere
11 sigillo di ciò che gli vien dato in mano ermeticamente serrato!
Difatd egli può soltanto distruggere quell’oggetto che gli rimarrà
precluso per l’eternità.
Il diritto di autodeterminazione è una proprietà inalienabile
dell’anima. Esso costituisce il grande mistero della libertà persona­
le, davanti alla quale Dio stesso si arresta. Egli infatti vuole il
dominio sugli spiriti creati unicamente sotto forma di un libero
dono offertogli dal loro amore. Egli conosce i pensieri del cuore,
scruta le profondità e gli abissi dell’anima, anfratti vertiginosi che

126) Quaestìones dispida;ac de vcrìtate, q. 9, a. 4.


IL Spinto e fede - Morte e Risurrezione 183

lo sguardo di quest ultima non riesce nemmeno a sondare, se Dio


non le offre un’illuminazione adatta. Però egli non vuole pren­
derne possesso senza che essa vi dia il suo assenso. Malgrado
questo, fa di tutto per cattivarsi il libero assenso della di lei
volontà alla sua, ma cercando di ottenerlo come un dono del suo
amore, per avere così modo di condurla all’unione beatificante.
Questa è la Buona Novella che Giovanni della Croce ha l’incarico
di diffondere; questo lo scopo a cui tendono tutti i suoi scritti.

Ciò che in quest’ultima parte si è detto sulla struttura deU’ani-


ma, e in particolare sui rapporti intercorrenti tra la libertà e il suo
fondo intimo, non proviene direttamente dagli esposti del S.P.
Giovanni. Dobbiamo quindi controllare che il nostro assunto si
accordi con la sua dottrina, anzi che sia davvero atto a metterla
meglio in risalto. Soltanto in questo caso infatti risulterebbe giu­
stificata l’inserzione di questo nostro « excursus » nel contesto. A
prima vista, parecchie affermazioni da noi fatte possono sembrare
addirittura inconciliabili con certe posizioni del Santo. Ogni
uomo è libero; giorno per giorno, ora per ora, viene messo di
fronte a decisioni da prendere. L’intimo fondo dell’anima è il
luogo ove Dio abita « completamente solo », finché l’anima non
sarà arrivata alla perfetta unione amorosa ]27), La S. Madre Teresa
chiama questo luogo la 7a mansione, quella che si schiude all’ani-
ma soltanto nel matrimonio mistico 128). Si può dunque asserire
che soltanto l’anima arrivata all’ultimo stadio della perfezione sia
in grado di decidere in piena libertà? Non bisogna qui dimen­
ticare che l’attività tipica dell’anima diminuisce a vista d’occhio
man mano che essa si avvicina al suo fondo intimo. E allorché
lo ha raggiunto, è Dio che opera tutto in lei, al punto che essa
non ha più altro da fare fuorché mantenersi in atteggiamento
ricettivo l29). Ed è precisamente in questa azione accoglitiva che
si esprime la compartecipazione della sua libertà. Inoltre, tale
libertà entra in gioco in un momento ancor più decisivo: tutto
ciò che Dio va qui operando, lo fa perché Tanima gli si abbandona * 216

127) Cfr. Viva Fiamma, comm. alla Str. 4, V. 3 - Obras IV, 166 sgg., c
216 sgg.
12a) Castello Interiore, 7a Mansione, cap. L
J29) Viva Fiamma, comm. alla Str. 1, V. 3 - Obras, IV, 12 sgg. e 113 sgg.
184 Parte seconda - La dottrina della Croce

senza riserve. Ora, tale abbandono è l’atto più sublime della sua
libertà. Giovanni stesso descrive le mistiche nozze come un mutuo
volontario abbandono di Dio e dell’anima, attribuendo allo spirito
umano pervenuto a questo grado di perfezione un ascendente
tale da permettergli di far assegnamento non solo su se stesso ma
persino su Dio I30).
Circa questo supremo stadio della vita personale, esiste quindi
un perfetto accordo tra la dottrina mistica dei nostri Santi Rifor-
matori dell’Ordine Carmelitano e la tesi che il fondo intimo del-
l’anima sia la sede della più assoluta libertà.
C’è però da chiedersi: come vanno le cose per la gran massa
degli uomini, che non arriva né arriverà mai al matrimonio spiri­
tuale? Possono anch’essi arroccarsi nel loro intimo e di là sganciare
le loro decisioni, o non sono atti ad emettere che delie decisioni
più o meno superficiali? La risposta al quesito non si può dare
con un sì o con un no reciso.
La struttura dell’anima - la sua maggiore o minore profondità,
il suo intimo - è un dono di natura. In essa ha la sua radice, sem­
pre per costituzione naturale, il movimento dell’Io considerato
come possibilità essenziale di agire dentro questa cerchia. L’io
prende posizione or qua or là, a seconda dei moventi che lo
sollecitano. Logicamente esso prende le mosse da quella certa
sede in cui soggiorna di preferenza. Orbene, questo sito preferen­
ziale non è affatto sempre lo stesso, anzi è tipicamente diverso
per ogni campione umano.
L’uomo sensuale, edonista, è per lo più immerso in qualche
piacere sensibile o tutt’al più occupato a procurarsene qualcuno.
Il suo posto d’emissione decisiva è molto lontano dal suo intimo.
L’uomo che va in cerca della verità vive soprattutto nel cuore
della sua ricerca intellettiva; se mira effettivamente alla verità,
come tale, (e non semplicemente a collezionare singole nozioni
particolari), egli è forse più vicino a Dio - ch’è la stessa verità -
e conseguentemente al suo proprio centro intimo, di quello che
non pensi. A questi due esempi aggiungiamo un terzo, che a
nostro parere riveste una grande importanza : quello dell’« uomo
conscio del suo io », ossia di colui per il quale il proprio io
costituisce il centro di gravità. Considerandolo superficialmente,
può anche sembrare che tale uomo risulti particolarmente vicino
al suo proprio fondo intimo. Invece, per nessun altro tipo umano
forse la strada che vi conduce è così sbarrata come lo è per lui.

130) ìbid., - Obras IV, 84 sgg. e 195 sgg.


IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 185

(Qualcosa del genere lo racchiude in sé ogni uomo, finché non


ha sostenuto fino in fondo la prova della Notte Oscura). Dob-
biamo ora esaminare, per ciascuno di quesd tipi, le possibilità di
spostamento dell’io, le possibilità di una libera decisione e quindi
le possibilità che ciascuno di essi possiede di raggiungere il proprio
fondo intimo.
Allorché ad un uomo sensuale, dedito ad un piacere, si pre­
senta la possibilità di procurarsene un’altro ancor più grande, egli
passerà probabilmente senza indugi, senza riflessione e senza tante
speculazioni deliberative, dal godimento precedente aH’azione
seguente. In lui si determina un movimento, che non è però affatto
una libera decisione, né un impulso incitante ad un’interiorizza­
zione più profonda, dato che le attrattive si trovano sullo stesso
piano. Tuttavia può capitare anche all’uomo sensuale di vedersi
presentare qualcosa che appartiene ad un ordine di valori comple­
tamente diverso; nessun tipo umano infatti è legato esclusiva-
mente ad una data categoria di valori: in lui ce ne sarà talvolta
qualcuno che prenderà il sopravvento nei confronti degli altri.
Per esempio, costui potrà sentirsi spinto a rinunciare ad un pia­
cere per andare in aiuto ad un’altro uomo. In tal caso l’appigliarsi
alla seconda alternativa risulterà molto più difficile senza l’inter­
vento preparatorio d’una libera decisione. In ogni caso l’uomo
sensuale non arriverà alla rinunzia così, spontaneamente, ma dovrà
invece avere un’improvviso scatto di ripresa. Se egli vi si rifiuta -
a seguito di qualche attimo di riflessione o dopo un secco « non
va neanche preso in considerazione » - siamo già davanti ad una
decisione della volontà.
Si può ammettere solo come caso-limite quello di uno che si
ostini a guazzar nel piacere senza nemmeno scartare l’ipotesi
della rinunzia: in tal caso vuol dire che lo spirito è così sommerso
nella vita dei sensi, da non lasciar più adito al richiamo di rag­
giungerlo; le parole vengono, sì, sentite, e forse ne viene anche
appreso l’immediato significato, ma il posto profondo di capta­
zione del loro vero senso intrinseco è ostruito. In questo caso-
limite, non è solo la libera decisione singola che non può più
sbocciare, ma è la stessa libertà che è stata ormai da un pezzo
sacrificata. Se si declina l’appello, vuol dire che il senso del
richiamo lo si è compreso, anche se probabilmente non se ne è
afferrata tutta l’estensione. Proprio questo « non averne afferrata
completamente la portata » dà origine al carattere superficiale
della decisione e conseguentemente alla limitazione della libertà.
Si impedisce a certi moventi di influire sul proprio io con tutto il
186 Parte seconda - La dottrina della Croce

loro peso, guardandosi bene dal rientrare in quella sede profonda


in cui tali moventi potrebbero attecchire toccandoci sul vivo. Così
facendo, però, ci si lascia determinare e guidare in una direzione
sola, senza prendere in mano le redini di se stessi ossia gli strati
più profondi del proprio essere, abdicando alla possibilità di pren­
dere una posizione coerente alia situazione reale dei fatti, ossia
una posizione veramente razionale e libera.
Accanto a questo rifiuto superficiale, è possibile logicamente
immaginarsene un altro più oggettivo : un rifiuto che la richiesta
di aiutare qualcun altro provoca nell’anima, proprio agendovi con
tutto il suo peso e saltandole agli occhi, ai punto che - pesato il
prò e il contro - essa si vede costretta a respingerla come ingiusti­
ficata. Una negazione di tal genere sta sullo stesso piano di un
atto di adesione accondiscendente emesso dopo aver considerato
le ragioni favorevoli e sfavorevoli nei confronti di una data even­
tualità. Entrambe queste prese di posizione sono possibili soltanto
se l’uomo sensuale abbandona il suo atteggiamento caratteristico
di edonista, adottando un comportamento etico, vale a dire una
mentalità pronta a riconoscere ed a fare ciò che è moralmente
giusto. A tal fine egli dovrà però prendere posizione molto ad­
dentro nel suo intimo: così addentro, da far equivalere questo
moto di retrocessione ad una radicale trasformazione dell’uomo.
Ne deriva che forse un atto simile non è neppur possibile
per via puramente naturale, ma lo sarà esclusivamente ad opera
di una resurrezione straordinaria. Possiamo ben dirlo: una deci­
sione adeguata, definitiva, è possibile solo prendendo l’avvio dalla
più remota profondità dell’anima. Nessun uomo infatti è all’al­
tezza di abbracciare col suo sguardo tutti i prò e i contro che
intervengono in una decisione. Si arriva a decidere in perfetta
scienza e coscienza solo in base all’ampiezza dei proprio orizzonte
visivo.
# Il

Il credente sa però che esiste Uno il cui sguardo non è limitato


da nessun orizzonte. Uno che tutto abbraccia e tutto compenetra.
Chi vive nella certezza di questa fede, sente in coscienza di non
potersi più accontentare della propria scienza, per vasta che sia.
Egli deve necessariamente sforzarsi di conoscere ciò che è giusto
agli occhi di Dio. (E’ appunto questo il motivo per cui soltanto
un atteggiamento imperniato sulla religiosità è una condotta ve­
ramente etica. Certo esiste una ricerca e una tendenza naturale
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 187

verso il giusto e verso il bene, e in casi particolari si potrà anche


giungere a trovarlo; ma solo nella ricerca della volontà divina si
airiverà realmente allo scopo). Una volta che un individuo è
stato attirato nell'orbita di Dio, ritraendosi nel proprio intimo
e abbandonandosi a Lui nella unione amorosa, ha per sempre
risolto il problema. Basta che si lasci dirigere e guidare dallo
Spirito di Dio - che ormai lo muove ostensibilmente - perché egli
abbia sempre e dappertutto la certezza di agire rettamente. Nella
suprema decisione da lui presa in piena libertà, stanno implicita
mente incluse anche quelle a venire, le quali defluiscono da essa
volta per volta quasi automaticamente. Tuttavia, tra la semplice ri-
cerca della giusta decisione da prendere nei casi particolari e la
vetta della suprema decisione, ci corre una lunga strada - se esiste
poi, una strada! Colui che «hic et nunc» cerca il vero bene se­
condo retta ragione, decidendo in base a ciò che crede di aver
intravvisto, si trova già sulla strada che conduce verso Dio e con­
seguentemente verso se stesso, anche se non lo sa. E' chiaro però
che non ha ancora in mano le redini di tutto se stesso come avvie­
ne quando si è raggiunta la propria definitiva interiorizzazione.
Non può quindi disporre interamente di sé e, nei confronti delle
cose, non possiede ancora una assoluta libertà di decisione.
Uno che per principio vada alla ricerca del bene, con l’in­
tenzione di compierlo sempre e dappertutto, ha già deciso di se
stesso, e inserito la sua volontà nel volere di Dio, quantunque a
lui non appaia ancora chiaro come quel lume - tale secondo retta
ragione - in pratica coincida esattamente con ciò che vuole Iddio.
Ed è appunto per questa mancanza di perfetta chiarezza nella
sua visuale che a lui manca ancora la via sicura per trovare il
vero bene; egli s’è azzardato a disporre di se stesso, come se tutto
il mondo interiore fosse già nelle sue mani, mentre in realtà le più
remote profondità del suo intimo non gli si sono ancora rese ac­
cessibili. La decisione suprema è possìbile soltanto a quattr’occhi
con Dio. E allora, se uno è arrivato tanto avanti nella via della
fede da aver deciso di darsi completamente a Dio, non volendo
ormai nulì’altro alFinfuori di ciò che vuole Dio, non ha forse rag­
giunto il suo fondo intimo? O resta ancora un ulteriore distacco
tra il suo stato e la suprema unione amorosa? Certo, è molto dif­
ficile tracciare una linea di demarcazione tra questi due stadi, e
ancor più difficile vedere come la tracci il S, P. Giovanni. Mi
sembra quindi indispensabile - dal lato realistico e da quello dei
suoi intendimenti - individuare tale linea cercando di metterla in
evidenza. Colui che con cieca fede non desidera più altro che quan­
188 Parte seconda - La dottrina della Croce

to vuole Iddio, ha ormai raggiunto l’ultimo stadio raggiungibile


dall’uomo affiancato dalla grazia di Dio, La sua volontà è ormai
completamente purificata, liberata da ogni legame di fascino ter­
restre: egli, a seguito della sua spontanea dedizione, è definitiva­
mente coagmentato al volere divino. Eppure, gli manca ancora
qualcosa di determinante per arrivare alla sublimità dell’unione
amorosa : il matrimonio mistico.

Le differenti modalità’ dell'unione con dio

Va qui ricordato innanzitutto, che Giovanni distingue tre


specie d’unione con Dio 131). Per la prima Dio inabita sostanzial­
mente in tutte le cose, conservandole così nell’essere; per la
seconda abbiamo l’inabitazione di Lui nell’anima mediante la
grazia; per la terza si ha l’unione trasformante, divinizzante, che
si realizza tramite l’amore perfetto. Tra la seconda e la terza
modalità, Giovanni avrebbe potuto - nel passo citato - aimmettere
soltanto una differenza di grado. Se però ci aiutiamo con altri
passi, vagliando la sua dottrina nel contesto complessivo, vi ve­
diamo affiorare una differenza specifica e sussistere una grada­
zione aU’interno di ogni specie. Nel Cantico Spirituale - per
esempio - il Santo ribadisce la stessa triplice suddivisione, senza
nemmeno accennare a una semplice distinzione di grado tra la
presenza per via di grazia e quella per via d’amore. Là anzi, egli
sottolinea la netta sensazione sperimentabile della presenza del
bene supremo e dell’effetto da tale presenza prodotto nell’unione
amorosa : il bruciante desiderio della contemplazione di Dio faccia
a faccia, della visione beatifica 132 133).
Anche la S. Madre Teresa se occupata molto del problema.
Nel Castello Interiore 333), essa afferma di essere arrivata con l’o­
razione unitiva alla conoscenza di questa verità di fede: che Dio
è in ogni cosa per essenza, per presenza e per potenza. Prima
d’allora invece conosceva soltanto l’inabitazione per la grazia. Dice
di aver consultato diversi teologi per aver qualche schiarimento

131) Salita, lib. 2, cap. 5 - E. Crìt. I, 111 sgg. Logicamente ci si riferisce


solo a questa vita, non all'unione beatifica della gloria, che resta sempre ben
distinta dall’unione realizzabile quaggiù.
132) Cani, spir., commento alla str. 11 - Obras III, 245 sgg.
133) Castello Interiore, 5a Mansione, cap. 1.
II. Spirito e fede - Morte e Risurrezione 189

circa la sua scoperta. Un tale, che era un « mezzo dotto », cono­


sceva pure lui unicamente rinabitazione per la grazia. Altri invece
furono all’altezza di confermarle come verità di fede ciò che per
lei era stato un lampo d’illuminazione colto neiresperienza uni­
tiva.
Probabilmente riusciremo a cavare maggior luce circa il nostro
assunto, cercando di raffrontare gli esposti - apparentemente così
diversi - di entrambi i Santi Riformatori. Ambedue concordano su
questa verità di fede, che per un teologo come Giovanni era ma­
teriale ordinario, mentre Teresa se l’era dovuta scoprire per conto
suo: che Dio Creatore è presente in ogni cosa, conservandola nel­
l’esistenza; che Egli le cose le ha previste in antecedenza una per
una, ed attualmente le conosce a fondo con tutte le loro trasfor­
mazioni e vicende. In virtù della Sua Onnipotenza, Egli può in
ogni istante fare di ciascuna di esse ciò che Gli pare e piace: può
lasciarle viaggiare secondo le loro proprie leggi seguendo il corso
normale degli avvenimenti, come può anche intervenirvi con mi­
sure straordinarie.
In ogni anima umana, Iddio abita anche in questa maniera.
Le conosce sin dall’eternità, una per una, con tutti i segreti del
loro essere, con tutte le fluttuazioni della loro vita. Esse sono in
suo potere. Dipende da Lui abbandonarle a se stesse, al corso nor­
male degli eventi terreni, oppure inserirsi con mano forte nel loro
destino. Un miracolo di questo genere, operato dalla sua onnipo­
tenza, è la rinascita d’un’anima sotto l’azione della grazia san­
tificante.
Giovanni e Teresa concordano nuovamente nell’ammettere che
Tinabitazione di Dio nell’anima è tutt’altra cosa della presenza
conservatrice nell’essere, che è comune a tutte le creature. Con la
sua « essenza, presenza e potenza » Iddio può essere neU’anima
senza che essa nemmeno lo sappia e lo voglia, anche quando essa
vive indurita nel peccato ed estremamente lontana da Lui. E’
persino possibile che essa non avverta nessunissima traccia della
Sua presenza. L’inabirazione mediante la grazia non è possibile
che negli esseri personali e spirituali, perché esige da parte di colui
che la riceve la libera accettazione della grazia santificante. (Nel
battesimo dei bambini, questa libera accettazione viene espressa
per rappresentanza dagli adulti, mentre più tardi verrà realizzata
personalmente mediante la vita di fede del battezzato, ed espressa
a parole nella rinnovazione delle promesse battesimali). Ciò im­
plica che Dio non può abitare in questa seconda maniera dentro
nessuna anima affetta dal peccato e alienata da Dio. La grazia
190 Parte seconda - La dottrina della Croce

santificante trae il nome appunto dal suo effetto di cancellare il


peccato.
Che l’inabitazione di Dio mediante la grazia sia impossibile
negli esseri impersonali, ossia infra-umani, è insito nella sua es­
senza stessa. Essa comporta un flusso permanente dell’essenza e
della vita divina nell’anima favorita da questa grazia. Siccome
questo modo di essere è una vita personale, va da sé che può effon­
dersi soltanto là ove gli venga aperto personalmente. E’ poi la
stessa ragione per cui la ricezione della grazia è assolutamente im­
possibile senza una libera accettazione. Mediante essa, infatti, si
viene a realizzare una certa fusione di esseri che è possibile sol­
tanto dove già sussista precedentemente un vero essere interiore,
ossia spirituale. Bisogna che un essere sia spiritualmente vivo per
assimilare la vita spirituale. L’anima in cui Dio abita mediante la
grazia, non è una ribalta inerte e impersonale ove la vita divina
agisce per conto suo, ma viene lei stessa attratta nell’orbita di
questa vita. La vita divina è una vita trinitaria; è l’amore stra­
bocchevole con cui il Padre genera il Figlio comunicandogli il
suo Essere e col quale a sua volta il Figlio abbraccia questo Essere
ridonandolo al Padre; è l’Amore in cui Padre e Figlio formano
un’inscindibile unità, un’unità così stretta da portarli come a re­
spirare insieme, dando così origine alla Terza Persona appunto
« per spirazione ». E’ questo lo Spirito che mediante la grazia viene
riversato nei cuori. Così l’anima vive la sua vita di grazia in virtù
dello Spirito Santo, amando in Lui il Padre con l’amore del Figlio
e il Figlio con l’amore del Padre.
Questa convivenza assieme alla vita trinitaria può effettuarsi
senza che l’anima neppure avverta dentro di sé l’inabitazione delle
Persone divine. E badando alla realtà dei fatti, solo un piccolo
numero di eletti arriva a rendersi conto di questo incontrovertibile
dato, a sentire la presenza della Trinità divina nel proprio intimo.
Nella maggioranza dei casi invece, è una fede illuminata quella
che conduce alla conoscenza vivente di questa inabitazione, alla
relazione amorosa col Dio Trino nella fede pura. Chi non ha
ancora raggiunto questo alto grado, è per altro collegato a Dio
mediante la fede, la speranza e la carità; e lo è quantunque non
si renda conto del come Iddio viva nel suo intimo e quindi sia
appunto là dentro ch’egli lo può trovare, come tutta la sua vita
di grazia e di virtù sia precisamente un effetto di questa vita divina
pulsante dentro di lui per compartecipazione.
La fede vitale è una ferma convinzione che Iddio esiste, un
II. Spirito e fede - Morte e Risurrezione 191

accettare per vero tutto ciò ch’Egli rivela, un’amorevole prontezza


a lasciarsi guidare dal volere di Dio, Essa in quanto conoscenza
soprannaturale, infusa da Dio stesso, è un « principio della vita
eterna in noi » 13*) - ma unicamente un principio. Con la grazia
santificante è stata deposta in noi quasi una piccola semente; con
le nostre vigili premure essa deve germogliare e crescere fino a
diventare un grande albero carico di magnifici frutti. Siamo già
sulla via che sin da questa vita deve condurci all’unione con Dio,
benché la congiunzione suprema si venga a realizzare solo nell’al­
tra vita.
#

Eccoci ora di fronte al problema di stabilire quali siano gli


elementi per i quali l’unione per via d’amore si distingue dall’ina-
bitazione per via di grazia. Su questo punto l’esposizione della
S. Madre Teresa si distacca da quella del S. P. Giovanni.
La S. Madre pensa di aver colto la prima specie d’inabitazione
nell’orazione unitiva che è distinta daH’inabitazione per grazia;
mentre - stando alla Salita - l’unione per vìa d’amore va conside­
rata come un grado superiore dell’unione per via di grazia. Per
altro, anche la Santa conosce una unione con Dio raggiungibile
esclusivamente attraverso un’indefessa collaborazione da prestare
alla grazia, vale a dire attraverso la mortificazione della natura e
la pratica perfetta della carità verso Dio e verso il prossimo. Lo
sottolinea energicamente, a consolazione di quanti non arrivano a
quello stadio che si chiama orazione unitiva134 135).
Eppure, in precedenza essa aveva affermato altrettanto energi­
camente ed esplicitamente, che Yorazione unitiva non si può asso­
lutamente conseguire con le proprie forze per quanto si sprema­
no 136). Tale orazione consiste in un rapimento dell’anima in Dio,
rapimento che la rende completamente insensibile alle cose della
terra, facendola invece restare attentamente vigile nei confronti
di Dio. Essa è « come priva di sensi » al punto di non riuscire a
pensare a nulla. « ...Perfino nell’amare, quando lo fa, essa non
capisce come ami né che cosa ami... L’intelletto vorrebbe impie­
gare tutte le sue forze per afferrare almeno un barlume di ciò che
l’anima prova; ma non riuscendovi finisce per restare così allibito,
che il soggetto non ha più la forza nemmeno di muovere una

134) Quaestiones disputatele de ventate, q. 19, a. 2, corp,


135) Castello Interiore, 5e. Mansioni, cap. 3.
136) Castello Interiore, 5e. Mansioni, cap. 1 e 2.
192 Parte seconda - ha dottrina della Croce

mano o un piede... ». Adesso Dio opera nell’anima « senza che


alcuno, neppure noi stessi, ne disturbi il lavoro ». « E ciò che Id­
dio vi immette, supera tutte le gioie, tutte le delizie che possano
far felice l’ànima». Questo stato però non dura che un breve
intervallo di tempo (una mezz’ora o poco più). Ma il modo con
cui Iddio, in quei brevi momenti, si sofferma neH’anima è tale
« che, rientrando in se stessa, non può assolutamente dubitare di
essersi trattenuta in Dio e di aver sentito Dio in sé. Questa verità
le resta impressa con tanta certezza, che - passassero pure anni
prima di riottenere da Dio tale favore - non riuscirà più a dimen­
ticarla né ad aver quelche dubbio sulla di lui presenza constatata
quella volta. E ciò anche prescindendo dagli effetti da essa lasciad
come strascico nell’anima... ».
Per tutta la durata di quel misterioso fenolmeno, essa Dio non
l’ha sentito*). Dopo, invece, ha riconosciuta la Sua realtà effet­
tuale. Non Lo ha visto con chiarezza, « ma gliene resta una cer­
tezza che Dio solo è all’altezza di offrire». Non si tratta qui d’un
fatto corporeo, come nella presenza invisibile di Cristo nel SS.
Sacramento. E’ soltanto la Divinità che è presente. « Ma come fa,
ciò che non abbiamo visto, a restarci dentro con tanta certezza?
Proprio non lo so; sono affari di Dio: so però di dire la verità...
ci basti sapere che chi fa tutto questo è onnipotente. Infatti, per
quanti sforzi facciamo, non saremo mai all’altezza di raggiungerlo
per conto nostro. E’ Dio che lo fa; non pretendiamo di arrivar a
capirlo ».
Senza volerlo, però la S. Madre ha fatto anche lei qualche
tentativo d’interpretazione. Uno di questi lo si intravvede nel suo
concepire l’inabitazione di Dio, da lei sperimentata con incontro­
vertibile certezza, come quel tipo di inabitazione che è comune a
tutte le creature. Un’altra interpretazione la si può rilevare anche
nella osservazione seguente, pure sua : « Se uno non ne trae questa
certezza, sarei propensa ad affermare che quella provata da lui non
è una unione di tutta l’anima con Dio, bensì una unione limita­
ta a qualche sua potenza oppure una delle tante specialità di favori
che Iddio concede all’anima ».
Quando si tratta di autentica unione, Dio si mette diretta-
mente in contatto con l’essenza dell’anima.
Per noi, quel che soprattutto importa è il fatto che Teresa ci

*) Stando al testo spagnolo di S. Teresa, si potrebbe forse intendere il tutto


•come riferito al fenomeno, non a Dio. Cfr. Cast. Interiore, 5e, Mans,, cap. 1-2.
<N. d. T.).
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 193

descriva con tutta disinvoltura quanto lei stessa ha provato, incu­


rante di esaminare la possibilità d’una spiegazione teorica da
dare alla sua esperienza, incurante inoltre anche del giudizio cui
la sua narrazione sarebbe andata incontro. La fedeltà della sua de­
scrizione ci potrà forse essere d’aiuto per individuare a quale tipo
d’inabitazione ci troviamo di fronte, facilitandoci anche un giu­
dizio nei confronti dei suoi saggi interpretativi.
L’anima possiede la certezza di essersi trovata in Dio e di
aver posseduto Dio dentro dì sé. Tale certezza le è rimasta in
seguito all’esperienza unitiva con Dio, da lei vissuta.
Essa ha avuto parte - contribuendovi realmente in modo atti­
vo - a quell’esperienza, quantunque abbia potuto accorgersene sol­
tanto a fatto avvenuto. La coscienza che essa ha dell’unione, non
è un elemento estraneo, un accessorio aggiunto a quest’unione dal
di fuori, ma ne fa parte integrante. Dove una tale consapevolezza,
e quindi la conseguente certezza che ne deriva, è impossibile -
come per esempio nel caso d’una pietra o duna pianta - non
può aver luogo quel tipo di unione q di inabitazione. Si tratta
dunque realmente d’un altro genere d’inabitazione, diverso da
quello comune a tutte le creature, che Teresa ha provato nell’o-
razione unitiva. E anche dove è possibile in linea di principio,
nella realtà dei fatti questa nuova forma d’inabitazione non è af­
fatto sempre presente in modo attuale. La Santa stessa lo afferma
espressamente dicendo che l’anima è sicura di esser stata in Dio,
e Dio in Lei. Era dunque uno stato, ma transitorio. L’inabitazione
per « presenza, essenza e potenza » invece non cessa nemmeno per
un istante, finché una cosa esiste. La sua cessazione infatti - per
quella cosa - significherebbe il ritorno nel nulla.
Perciò teniamo per vero, sulla scorta di S. Giovanni della
Croce, che l’inabitazione per via d’unione amorosa è diversa da
quella che mantiene le cose nel loro essere. D’altronde anche dal­
l’esposto della S. Madre risulta con tutta chiarezza e precisione che
si tratta d’una inabitazione differenziata da quella per via di
grazia specificamente e non soltanto per grado d’intensità. Ella
infatti invita insistentemente le sue figlie a tendere con tutte le
loro forze aH’ultimo gradino della vita di grazia, che va raggiunto
mediante la fedele cooperazione alla grazia stessa. Tale supremo
stadio consiste nella completa adesione della volontà umana a
quella divina, attraverso il perfetto esercizio dell’amor di Dio e
del prossimo.
Però essa ci tiene a dichiarare con altrettanta energia che è

13, - Scientia Crucis.


194 Parte seconda - La dottrina della Croce

assurdo affannarsi per raggiungere quella unione che Dio solo ha


il potere di concedere. Non si arriverà mai con i propri sforzi -
sia pur coadiuvati dalia grazia - a sentire la presenza di Dio e la
coesione con Lui come una realtà vitale. Giammai il lavorìo della
volontà appoggiato dalla grazia produrrà il meraviglioso effetto
che si verifica nel breve intervallo in cui avviene Tunione : quello di
trasformare banana al punto di farla stentare a riconoscersi, quello
di cambiare un bruco in una farfalla. Il lavoro fatto per conto pro­
prio, in questo campo, richiede lunghi anni di dura lotta, per poi
ottenere solo qualcosa di similare.
E notare che l’orazione unitiva non è ancora l’unione che S.
Giovanni della Croce tiene sempre davanti agli occhi come tra­
guardo finale della Notte oscura. Ne è solo un preannuncio e un
preliminare. Serve unicamente allo scopo di preparare Tanima a
darsi perdutamente a Dio, risvegliando in lei un ardente desi­
derio di provare nuovamente il piacere dell’unione, di possederla
in modo stabile e duraturo. Ciò si rileva chiaramente nelle quinte
e seste Mansioni del Castello Interiore, dove ci vien descritta la
preparazione e la ratifica del fidanzamento spirituale. L’esposizione
parallela si trova nel Cantico Spirituale nel commento alla 13a e
14a strofa. In entrambi questi passi, sia Giovanni che Teresa con­
cordano nell’affermare che il fidanzamento si verifica nel corso
d’un’estasi. Iddio rapisce a sé l’anima con un impeto così violento,
che la sua natura sembra esser lì lì per soccombere. La S. Madre
sottolinea come ci voglia un grande coraggio per concludere questo
fidanzamento. E nel Cantico Spirituale, allorché Dio improvvisa­
mente abbassa sulla promessa sposa lo sguardo tanto a lungo de­
siato e implorato, dalle sue labbra sfugge la preghiera « che l’A­
mato volga altrove lo sguardo ».
A tutto ciò sembra in certo qual modo contraddire quanto si
legge in altri passi di Giovanni, dove si afferma che il possesso per
via di grazia e il possesso per via di unione stanno tra loro come
fidanzamento e matrimonio. L’uno starebbe ad indicare ciò che
è raggiungibile mediante la volontà e la grazia, cioè la piena con­
formità della volontà umana con quella di Dio, ottenuta nella
perfetta purificazione deH’anima. Mentre l’altro indicherebbe il vi­
cendevole abbandono senza riserva e la conseguente unione 137).
Questa contraddizione si può spiegare almeno parzialmente
analizzandone la terminologia : nei due passaggi, il termine fidan­
zamento evidentemente non è usato nello stesso senso. Ma, pre­

137) Viva Fiamma, comm. alla Str. 3., V. 3 - (Obras IV, 54 sgg. e 160 sgg.).
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 195

scindendo da questa, vi si nota anche una differenza reale: i fatti


propriamente mistici sembrano, in un passo, riservati allo stadio
ultimo; mentre nell’altro vi sono inseriti molto prima l3S).
Malgrado tutto - per quanto concerne il problema centrale di
tutte le nostre presenti considerazioni - è decisivo il fatto che
Giovanni affermi categoricamente l’esistenza d’una distinzione net­
ta, essenziale, riscontrabile in ogni caso, tra il supremo stadio che
può esser raggiunto mediante la grazia in coppia con la volontà,
e il matrimonio mistico. Così risulta evidentemente superata quel-
rinterpretazione della Salita che pretendeva vedere, tra l’unione
per via di grazia e l’unione mistica, soltanto una differenza di
grado. Inoltre, in tutti gli scritti del Santo, si possono allegare
dei passi che mostrano chiaramente come l’entrata in gioco di fe­
nomeni propriamente mistici sia rintracciabile sin dagli stadi molto
più bassi, molto lontani dall’ultimo. Ricordiamo solo quei tocchi
o contatti che si verificano nella sostanza dell’anima, di cui si
parla nella Salita 138 139). Di essi si dice che l’intelletto sente Dio in
un modo elevato e sommamente piacevole; che non stanno affatto
in relazione con il lavoro fatto dall’anima; che si può prepararvisi,
ma non si può affatto procurarseli; che si debbono ricevere in
modo puramente passivo e hanno lo scopo di condurre aH’unione
con Dio. Tutto ciò allude a qualcosa che si stacca dal normale
cammino della grazia: siamo davanti ad una unione transitoria,
istantanea, che offre quasi un piccolo saggio di quella stabile e
duratura che sopravverrà poi.
Come si può spiegare il fatto che Giovanni della Croce non
si sia espresso chiaramente e senza equivoci proprio su questo
problema fondamentale?
Per darvi una risposta esatta, dovremmo conoscere - circa la
vita intima dei Santo così devoto del silenzio - molto più di quanto
egli non abbia lasciato detto nei suoi scritti e confidato ai suoi
contemporanei. Ragion per cui, possiamo soltanto allegare come
ipotesi ciò che la storia del suo tempo e le recenti ricerche sulle
vicende storiche dei testi delle sue opere ci mettono a disposizio­
ne 140).
Le grandi lotte religiose di quelPepoca, gli errori dottrinali

138) Vedremo in seguito come anche nel Cantico spirituale l’esposizione non

sia sempre lineare e priva di discontinuità,


139) Salita, lib. 2, cap. 32 - E. Crit. I, 264 sgg,
14°) C£r. Baruzi, Lib. I: I testi, nonché l’Introduzione all’edizione critica

del P. Silverio.
196 Parte seconda - La dottrina della Croce

che si accavallavano uno sull’altro, i pericoli di un malsano misti­


cismo, avevano condotto ad una stretta sorveglianza su tutta la
letteratura religiosa. Chiunque si fosse proposto di scrivere qual­
cosa intorno alia vita interiore, doveva tener presente che l’Inqui-
sizione avrebbe poi messo le mani su di lui e sulle sue opere. E’
pensabile che anche Giovanni, per prudenza, sia stato molto at­
tento a mantenere la sua dottrina nettamente immune da ogni
traccia d’illuminismo (come appare evidente da numerosi passaggi
dei suoi scritti), riportando nei limiti del possibile la evoluzione
mistica in stretto collegamento con la vìa normale della grazia.
Che nella pubblicazione dei suoi scritti questa intenzione sia stata
determinante ce lo dimostra l’esame delle edizioni più antiche alla
luce dei manoscritti, nonché il raffronto tra i manoscritti stessi.
La Fiamma viva d'amore e il Cantico Spirituale ci restano
manoscritti in duplice stesura. I rimaneggiamenti posteriori dimo­
strano lo sforzo di ovviare a qualunque possibilità di una falsa
interpretazione, smussando e addolcendo le espressioni più audaci,
interpolando nel testo delle spiegazioni. Ora, tali varianti risalgono
al Santo stesso oppure vi sono state apportate da mano estranea?
La Salita e la Notte invece ci sono state tramandate in un’unica
versione manoscritta. Ma la differenza tra questi manoscritti e
tutte le edizioni a stampa più antiche sino alla prima edizione cri­
tica pubblicata dal P. Gerardo (esattamente come la differenza
esistente tra le antiche edizioni stampate della Fiamma viva d'a­
more e la sua prima stesura manoscritta su cui si basano) è così
rilevante, da farvi risultare innegabile la mutilazione per mani
estranee.
La Salita e la Notte sono arrivate fino a noi incomplete. In
entrambe mancano la parti in cui si sarebbe dovuto trattare diffu­
samente dell’unione, e in cui i problemi che ora ci assillano avreb­
bero dovuto trovare una soluzione. Tali parti, non sono mai state
scritte oppure sono state invece soppresse nelle copie dagli ama­
nuensi? (Tutti e quattro i trattati maggiori ci permangono solo
in trascrizioni: di nessuno di essi ci resta l’originale autografo.
C’è una trascrizione sola, quella del Cantico Spirituale, che con­
tiene delle correzioni apportatevi dalla mano del Santo). Inoltre,
la soppressione di cui si discute, è stata fatta su indicazione del­
l’Autore oppure è stata una volontà estranea a imporla? Tutte
questioni alle quali non troviamo risposta.
Nell’intento di giungere a qualche schiarimento abbiamo po­
tuto ricorrere alle descrizioni non coartate della nostra S. Madre.
Queste sì che ci danno sicuro affidamento, mentre le varie formula­
IL Spirito e fede - Morie e Risurrezione 197

zioni che troviamo in S. Giovanni della Croce lasciano adito a


dubbi.
In quanto relazioni non manomesse di fatti assolutamente
autentici, non sono soltanto una base d’incomparabile valore per
arrivar a capirne il pensiero anche dal punto di vista teorico; sia­
mo autorizzati ad ammettere che ambedue i Santi - malgrado le
divergenze di carattere, di stile, di tipo di santità, di valorizzazione
delle grazie mistiche eccezionali - nella concezione essenziale della
vita interiore erano dello stesso pensiero. Tanto il Castello Inte­
riore quanto gli scritti del S. P. Giovanni sono stati composti dopo
che i due Santi erano vissuti per parecchi anni insieme, ad Avila,
in un familiare ed intimo scambio di idee. E’ proprio per questo
motivo che la S. Madre darà poi al suo giovane collaboratore il
titolo di « Padre della sua anima » H1); mentre Giovanni rinvierà
occasionalmente i suoi lettori agii scritti di Lei, per risparmiarsi
delle spiegazioni che essi avrebbero potuto trovarvi, già chiare ed
esaurienti* l42 143). Se noi dunque troviamo nella presentazione dei
diversi stadi deH’unione mistica, fatta da S. Teresa, qualcosa che
ce la mostra come indiscutibilmente differenziata dall’unione per
grazia, possiamo star certi dì trovarci di fronte ad una affermazio­
ne approvata da S. Giovanni della Croce. Riassumendo quindi gli
esposti di entrambi i nostri S. Fondatori, arriviamo a veder con­
fermata l’idea che le tre modalità d’inabitazione divina sin qui
studiate, non hanno unicamente differenze graduali bensì diffe­
renze specifiche. Ecco perché ci sforzeremo ora di metterne ancor
meglio in risalto la reale e intrinseca diversità.
E’ sempre lo stesso Unico Dio in Tre Persone, sempre il
suo stesso Essere immutabile, che è presente in tutti e tre i modi
d’inabitazione. Eppure tale inabitazione è diversa, perché la sede
in cui la stessa, unica e immutata Divinità viene a stabilirsi cam­
bia fisionomìa di volta in volta, per cui anche la natura delPina-
bitazione stessa viene a cambiare !43).
La prima specie d’inabitazione - o meglio anzi la Presenza
divina, perché non si tratta ancora d’inabitazione in senso proprio -

14 L) Lettera ad Anna di Gesù - Cfr. S. Teresa di Gesù - Lettei'c - Roma,


1957, n. 262.
142) Cantico spirituale, commento alla Strofa 12 (13), V. 2 - Obras III,
59 e 262. La numerazione delle strofe è diversa nelle due versioni, perché nella
B è stata aggiunta una strofa, quella N°. 11.
143) Quando in uno stesso essere creato si muta il modo d’inabitazione si

ha realmente un cambiamento, non una giustapposizione di un modo all’altro.


198 Parte seconda - La dottrina della Croce

esige dal soggetto in cui Dio è presente, nient’altro che la sotto­


missione alla Sapienza e alla Potenza di Dio nonché il suo condi­
zionamento da parte dell’Essere divino. Son tutte caratteristiche
comuni ad ogni creatura. In queste condizioni i due esseri, il Di­
vino e Fumano, rimangono completamente distaccati. Tra di loro
sussiste unicamente la relazione di dipendenza nell’essere, dipen­
denza per di più unilaterale, che non comporta affatto una vera
e propria inserzione dell’uno nell’altro, e quindi nessuna inabita­
zione in senso stretto. Difatti, è tipica dell’inabitazione l’esigenza
in entrambe le comparti di un essere interiore, ossia di un essere
capace di comprendere intimamente se stesso e di accoglierne un
altro dentro di sé, sicché, senza sopprimere l’individualità né del
ricevente né del ricevuto, ne risulti un’unità essenziale. Ciò è
possibile soltanto ad un essere spirituale. Solo l’essere spirituale è
all’altezza di penetrare in se stesso e di accogliere un altro essere -
spirituale anch’esso - dentro di sé. E la vera inabitazione si ha
unicamente in questo caso.
L’inabitazione mediante la grazia è già qualcosa del genere.
Chi non soltanto è soggetto all’Essere, alla Sapienza e alla Potenza
di Dio senza nemmeno saperlo e volerlo, ma dona il suo volon­
tario assenso a questo fatto, accoglie Dio dentro di sé : il suo esse­
re viene compenetrato dall’Essere divino. Ma questa compenetra­
zione non è ancora completa. Per venire imbevuta sino a satura­
zione dall’Essere divino - e la perfetta unione amorosa consiste
precisamente in questo - l’anima deve essere svincolata da qua­
lunque altro essere: svuotata da ogni altra creatura e perfino da se
stessa, come ribadisce insistentemente il S. P. Giovanni.
L’amore, nella sua più alta espressione, è una fusione di es­
seri in un mutuo e volontario abbandono: tale è la vita intima
trinitaria di Dio. Mirano a questa consumazione, tanto l’amore
creato che si strugge e desidera {amor, éjsw;), quanto l’amore di
Dio che si piega misericordioso sulla creatura {caritas, àyahtY}},
Quando questi due amori s’incontrano, l’unione incomincia pro­
gressivamente a realizzarsi: tutto a spese dei detriti che ancora
intralciano la strada, e nella misura in cui tali ostacoli vengono
rimossi. Quest’operazione avviene, come già sappiamo, in modo
attivo e passivo, nel corso della Notte Oscura. Mediante l’autopu-
rificazione, la volontà umana affonda sempre più in quella divi­

Allorché un’anima riceve la grazia santificante, non è che Dio inabiti in essa in
due diversi modi: l’inabitazione per essenza e quella per grazia sono fuse in uno.
II. Spinto e fede - Morte e Risurrezione 199

na; ma lo fa in maniera che il volere divino non viene sentito


come una realtà presente, bensì accettato con fede cieca. Qui sì
che effettivamente esiste solo una differenza di grado tra l’inabita-
zione per via di grazia e l’unione per via d’amore. Nella dolorosa
purificazione operata dal rovente fuoco amoroso di Dio, invece, è
la volontà di Dio che penetra sempre più dentro quella dell’uomo,
fino al punto di lasciarsi percepire come una genuina realtà pre­
sente, E qui, a mio modesto avviso, ci troviamo già di fronte ad
un nuovo tipo di inabitazione, diverso, e non solo differente in
gradazione dall’inabitazione per via di grazia. Tale diversità ri­
salta ancor più evidente se ci riferiamo al commento fatto da
S. Agostino alle parole del Vangelo di S, Giovanni: «Molti
credettero nel suo nome... Ma lui, Gesù, non si affidava loro... » 144).
S. Agostino applica questo passo ai catecumeni: essi si pro­
fessano credenti in Gesù Cristo, ma Egli non si concede ancora
loro nel SS. Sacramento. Noi possiamo applicarlo ai due modi
d’inabifazione, di cui vogliamo cogliere la differenza, deducendone
poi la distinzione tra fede e contemplazione.
L’inabitazione per grazia conferisce la virtù della Fede, vale
a dire la forza di accettare come reale ciò che attualmente non si
percepisce, ritenendo per vero ciò che non è rigorosamente dimo­
strabile basandosi su argomenti di ragione. E’ una posizione pres-
s’a poco simile a quella di un uomo, del quale si è sentita magni­
ficare la bontà e la grandezza; mettiamo che ad uno egli abbia
già fatto del bene, abbia già dispensato favori; per cui, di fronte
a lui questi si sente incline all’amore e alla gratitudine, provando
un desiderio sempre crescente di farne la conoscenza di persona.
Tuttavia egli, al suo protetto non ha ancora dato confidenza : non
gli ha né accordato il piacere d’un incontro, né tanto meno rive­
lato il suo intimo o donato il suo cuore. Ebbene, tutto ciò - sempre
in scala progressiva - viene partecipato da Dio all’uomo attraverso
la terza specie d’inabitazione : la vocazione mistica. Dio gli con­
cede un incontro personale mediante un tocco, che è una presa
di contatto nell’intimo; gli schiude il suo proprio intimo mediante
speciali grazie che illuminano la Sua natura e i suoi segreti di­
segni; gli dona il Suo cuore, dapprima come fuggevole abbraccio
d’un attimo nel corso d’un convegno personale (nell’orazione d’u­

144) « ...Multi crediderunt in nomine ejus... Ipse autem Jesus non credebat
semetipsum cis... » (Gv., 2, 23-24). Cfr. Aug,, Tract, in Jo., 11-12; Migne, Pl.,
XXXV, 1474 sgg.
200 Parte seconda - ha dottrina della Croce

nione145), poi come possesso stabile nel fidanzamento146) e nel


matrimonio mistico 147 148).
Tutto ciò evidentemente non costituisce affatto una visione
faccia a faccia; ma a questo punto la figura analogica del processo
di avvicinamento tra due creature umane non basta più. C’è da
dire però che un incontro da persona a persona, e quindi una
conoscenza sperimentale, si ha realmente sin dallo stadio inferiore.
Dio sfiora leggermente con la Sua Essenza Tintimo dell’anima
(quell’intimo che il S. P. Giovanni denomina la sua sostanza).
L’Essenza di Dio però si identifica col Suo Essere, e con Lui
stesso. Egli stesso poi è Persona; il Suo Essere è un Essere perso­
nale. Dal canto suo, poi, l’intimo dell’anima è come il cuore, la
sorgente prima della di lei vita personale, e contemporaneamente
la sede propria del suo incontro con qualunque altra vita perso­
nale. Un contatto tra persona e persona è possibile solo nel fondo
intimo dell’anima; tramite tale contatto, una persona dà all’altra
segno delia sua presenza 14S). Se dunque ci si sente toccati interior­
mente in questo modo, vuol dire che si è in contatto vitale con
una persona. Non si è ancora all’unione, ma ad uno scatto di in­
serimento verso di essa.
Nei confronti dell’Inabitazione per via di grazia siamo però
allo sbocciare di qualcosa di nuovo. Là è l’Essere divino che vien
comunicato all’anima; ma la scaturigine fondamentale della sua
Persona resta nascosta, senza ancora entrare in azione in questo
processo comunicativo essenziale. Qui invece è il principio emana-
tivo della vita divina (se così si può dire) che viene a contatto
entitativo con il principio originante della vita umano-spirituale,
rendendosi percettibile come presenza. Restando però ancora na­
scosto nell’ombra e chiuso in se stesso. E’ solo in virtù delle illu­
minazioni concernenti i misteri divini, che ^intimo di Dio gelosa­
mente chiuso, si apre: allorché l’anima, nella comunicazione ope­
rata dalla grazia sente l’irruzione dell’essere divino nel suo pro­
prio essere come una elevazione entitativa, è la volta che essa pe­
netra nell’essere divino. Nel corso deH’unione (caratterizzata dal­

145) Cfr. Castello Interiore, 5° Mansioni, cap. 1; Notte oscura, Str. 2, V. 2,


cap. 19 - E. Crit. Il, pag. 112; Cantico spirStr. 13; E. Crit. II, p. 227,
146) Castello Interiore, 6® Mansioni, cap. 4; Cant. spir,, Str. 14 e 15 - E,
Crit, II, pag. 227.
147) Castello Interiore, 7® Mansioni, cap. 1; Cantico Spir., str. 22. E. Crit.
II, pag. 227.
148) Non possiamo qui addentrarci ad esaminare a fondo la validità di questa
affermazione anche nei rapporti tra persone umane.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 201

le sue diverse gradazioni) si realizza davvero una fusione di esseri*


che va dalla scaturigine prima della vita personale fino al mutuo
abbandono dell’intera personalità.
C’è ancora però qualcos’altro da rilevare: il semplice contatto
operantesi nell’intimo non presuppone affatto come necessaria
l’inabitazione per via di grazia. Può anche venir concesso ad un
incredulo, come richiamo alla fede, come atto preparatorio al con­
seguimento della grazia santificante. Può anche servire da mezzo*
per rendere idoneo un infedele a fungere da strumento per rag­
giungere un determinato scopo. Queste due eventualità sono valide
ancora nei confronti delle illuminazioni particolari. L’unione vera
e propria, invece, essendo un dono vicendevole, non si può avere
senza la fede e la carità, ossia senza la grazia santificante.
Ammettiamo il caso che essa venga e verificarsi in un’anima
non in stato di grazia: sin dal primo istante della sua apparizione
le dovrebbe immediatamente venir concessa anche la grazia san­
tificante e - come condizione previa - la contrizione perfetta.
Queste possibilità eventuali non fanno che ribadire la diver­
sità capitale sussistente tra l’unione per via di grazia e l’unione
mistica e di conseguenza tra le relative specie di inabitazione. Si
tratta proprio di due strade differenti, ciascuna con gradi progres­
sivi. Con ciò tuttavia non si esclude affatto che la vita di grazia
possa ottimamente preparare la via allunione mistica.
Che l’intimo dell’anima sia fondamentalmente la sede del­
l’incontro personale e dell’unione, lo dà a capire il fatto - per
quanto si può parlare di comprensione, trattandosi di misteri di­
vini - che Dio abbia voluto scegliere questo intimo come sua spe­
ciale dimora. Se l’unione è il fine per cui le anime sono state
create, vuol dire che deve prima sussistere una proporzione atta
a render possibile tale unione.
Allo stesso modo è comprensibile come questo fondo intimo
sia stato dato in dotazione all’anima con la completa libertà di
disporne come meglio crede, perché la dedizione amorosa è possi­
bile soltanto ad un essere libero. Ora, questo abbandono in un
trasporto d’amore che si verifica nel matrimonio mistico, è anche
da parte dell’anima qualcosa di diverso dall’incondizionato abban­
dono della sua volontà a quella divina ? Evidentemente sì.
E’ qualcosa di diverso sotto l’aspetto della conoscenza.
Dal momento che Dio le si dona nel matrimonio mistico, essa
apprende a conoscerlo in un modo come prima d’allora non l’ha
mai conosciuto, come per nessun’altra via l’avrebbe mai imparato
a conoscere; senza dire che nemmeno la sua propria profondità
202 Parte seconda - La dottrina della Croce

intima era mai stata da lei scoperta prima d’allora. Essa quindi
non. ha mai saputo, come sa adesso, a chi abbandoni la sua
volontà, che cosa abbandoni, quale dedizione esiga da lei questa
volontà divina,
E’ qualcosa di diverso anche sotto l'aspetto della volontà. In­
nanzitutto nel fine, poiché la donazione della volontà perviene sì
all’unificazione del proprio volere con quello dì Dio, ma non rag­
giunge il cuore di Dio e tanto meno le Persone divine. Poi nella
causa motiva, poiché soltanto ora si viene a toccare il nucleo pri­
mordiale da cui scaturisce la persona; soltanto ora la volontà
abbraccia tutta se stessa, per il fatto di abbracciare tutta la sua
personalità appunto prendendo le mosse dal suo centro originario.
Infine nella effettuazione, poiché nellabbandono amoroso del ma­
trimonio spirituale non è soltanto la propria volontà che si subor­
dina e si sottomette a quella divina: è addirittura la donazione
divina che ci si fa incontro. Ecco perché la dedizione incondizio­
nata della propria persona è contemporaneamente il più ardito ac­
quisto d’un titolo di proprietà, un titolo che sorpassa ogni intendi­
mento umano. Giovanni della Croce lo sottolinea molto chiara­
mente, affermando che l’anima è qui messa in grado di dare a
Dio ancor più di quanto vale lei stessa : arriva a offrire Dio a Dio
che sta dentro di lei,49).
Siamo quindi di fronte a qualcosa'che entitativamente è di­
verso da ciò che avviene nella unione per via di grazia. Infatti,
si ha un assorbimento nell’essere divino, che divinizza fiamma
stessa; una fusione essenziale di persone che pure non toglie loro
l’individualità ma anzi la presuppone; una mutua compenetrazio­
ne che è sorpassata in entità soltanto dalla cosiddetta circuminces-
sione delle Persone divine che ne sono il prototipo.
Questa è l’unione che Giovanni tiene incontrovertibilmente
davanti allo sguardo in tutti i suoi scritti, additandola come scopo
da raggiungere. Ciò è un dato di fatto, anche se frequentemente
egli usa il termine unione in altro senso; anche se non ne ha pre­
cisato teoricamente i contorni caratteristici che la staccano dalle
altre modalità similari, come ora abbiamo tentato di fare noi.
L’abbiamo già affermato precedentemente: il matrimonio mi­
stico è una unione col Dio trino. Finché però Iddio si limita a
sfiorare leggermente l’anima nel buio e in segreto, questa non
riesce a percepire che il contatto personale solo, senza arrivare a

149) Viva Fiamma, comm, alla strofa 3, V. 5 e 6 - Obras. IV, 88 sgg, e


129 sgg.
II. Spinto e fede - Morte e Risurrezione 203

individuare se sia una sola persona ad agire su di lei o se siano


in più. Quando invece essa, nella completa unione amorosa, viene
del tutto assorbita nella vita divina, non può più sfuggirle che si
tratta ormai d’una vita trinitaria, e quindi di una presa di con-
tatto con tutte e tre le Persone Divine150).

F ede e contemplazione - morte e risurrezione

La differenza fra Tinabitazione di Dio per via di grazia e


quella per via di unione mistica, ci si presenta come base appro­
priata per raggiungere una netta e chiara delimitazione tra il fat­
tore Fede e il fattore Contemplazione.
Il S. P. Giovanni parla assai spesso dell’una e dell’altra, ma
non ne dà mai un raffronto vero e proprio, che autorizzi a fissare
una definizione univoca dei rapporti intercorrenti tra le due.
Molte volte le sue spiegazioni assumono un tono tale da far
pensare che in fin dei conti non sia assolutamente possibile trac­
ciare tra di esse una netta linea di demarcazione: entrambe fun­
gono da strada verso l’unione, entrambe sono designate col nome
di conoscenza oscura e amorosa.
DeU’oscurità della fede si fa parola soprattutto nella Salita
al Monte Carmelo l51). In essa, la fede viene indicata come oscu­
rità di mezzanotte, perché noi siamo obbligati a rinunciare com­
pletamente al lume della conoscenza naturale per conquistare la
sua luce. La contemplazione viene spesso definitita da Giovanni
con le espressioni dclY Areopagita : mistica Teologia (Sapienza se­
greta di Dio), oppure raggio di tenebra152). Ambedue s’accavallano
a vicenda quando ci si dice che Dio, comunicandosi all’anima,
s’ammanta nell’oscurità della fede153).
D’altro canto, dalle stesse dissertazioni della Salita balza evi­
dente come Fede e Contemplazione non possono affatto avere lo
stesso significato, in quanto vi si afferma che la Notte della fede
funge da guida verso il gaudio della contemplazione pura e del­
l’unione. Una distinzione si presuppone poi anche dal momento

IS0) NeH’analisi della Vìva Fiamma d’amore combatteremo dì nuovo in

questo. La S. M. Teresa descrive l’intervento della SS. Trinità nel caso del matri­
monio mistico, nel Castello Interiore, 7® Mansioni, cap. L
161) Lib, 2 cap, 1 sgg. - E. Crii. I, 100 sgg.
152) Cfr, p. es. Salita lib. 2, cap. 8, in fine - E. Crit. I, 130 - Dionigi usa
l’espressione Raggio di tenebra nel cap. I della Teologia Mistica (Migne, P. Gr.,
Ili, 999 sg.
153) Salita, lib, 2, cap. 9 - E. Crit. I, 132.
204 Parte seconda - La dottrina della Croce

che nel prologo al Cantico Spirituale si aiferma come la sapienza


mistica non richieda alcuna conoscenza determinata, per cui sotto
questo aspetto risulta poi simile alla fede, mediante la quale noi
amiamo Dio pur senza comprenderlo con precisione l54). Se i due
valori s'identificassero tra loro, viene da sé che non si potrebbe
parlare di similarità.
Distinzione e nello stesso tempo stretta affinità vengono affer­
mate, forse nei modo più incisivo, in un passo in cui la contem­
plazione è contrapposta come conoscenza indistinta, oscura e gene­
rica, alle conoscenze intellettive soprannaturali, nettamente distin­
guibili e limitate al particolare : « La conoscenza oscura e generale
e d’una sola specie: è la contemplazione che ci vien data nella
fede »155).
Per capire questa asserzione e i rapporti tra fede e contempla­
zione, bisogna ricordare quanto ci è stato detto nei passi precedenti
circa i numerosi significati necessariamente inclusi nella parola
fede, come pure circa le varie accezioni del termine contempla­
zione. Si chiama fede il contenuto della rivelazione divina, l’accet­
tazione di questo complesso di rivelazioni e infine la dedizione
amorosa a Dio, del quale la rivelazione ci parla e al quale ne an­
diamo debitori.
Il contenuto della fede ci fornisce il materiale per la medita­
zione: attività delle potenze dell’anima incentrata su ciò che ab­
biamo accolto in qualità di credenti. Ce lo raffiguriamo presente
per via d'immagini, vi riflettiamo mediante la ragione e infine
decidiamo in conseguenza tramite la volontà. Come frutto della
meditazione si giunge ad acquistare uno stato duraturo di cono­
scenza amorosa l56). L’anima, a questo punto, permane alla pre­
senza di Dio, in una posizione di rilassamento calmo e riposante,
tranquillo ed affetuoso, rivolta a quel Dio che ella ha imparato
a conoscere mediante la fede; adesso però, senza addentrarsi a
meditare alcuna verità di fede in particolare. Frutto di questo
tipo di meditazione è la contemplazione acquisita. Sotto l’aspetto
del contenuto su cui agisce, quest’ultima non differisce dalla fede
come è intesa nella terza accezione : ossia dal credere in Deum, dal
devoto ed amoroso addentrarsi in Dio.
Tuttavia, S. Giovanni della Croce intende per lo più qualcosa

154) Qui abbiamo anche un argomento per presentare la fede come una
conoscenza amorosa: per quanto riguarda la contemplazione, cfr. Salita, loc. cit.,
cap. 13 e 14 - E. Crit. 1, 153 e 163.
155) Salita, ibid., cap. 10 (verso la fine) - E. Crit. I, 136.
156) Cfr. Salita, ibid., cap. 13 - E. Crit. II, 154 sgg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 205

d’altro quando parla di contemplazione. Iddio può concedere al­


l’anima un’oscura e amorosa conoscenza di Se stesso, anche senza
queH’allenamento preparatorio che è la meditazione. Egli può
portarla di peso, improvvisamente, nello stato di contemplazione e
d’amore, vale a dire infonderle la contemplazione.
Ma anche questo evento non si realizzerà senza un collega­
mento con la fede. Normalmente la contemplazione di questo tipo
viene concessa ad anime già preparate da una fede vigorosa, da una
profonda vita di fede. Se dunque un non credente venisse sorpreso
da questo stato, la dottrina della fede ch’egli finora non ha ancora
accettato, dovrebbe venirgli necessariamente in aiuto per portarlo
a raggiungere la conoscenza del fenomeno dal quale ora viene
afferrato. Va da sé poi, che l’anima già fedele ed affezionata,
emergendo dall’oscurità delia contemplazione potrà sempre far
ricorso alla limpida e sicura luminosità delle verità di fede per
trarne dei lumi atti a farle comprendere quanto le sta accaden­
do 157).
Tuttavia, il fenomeno in cui s’imbatte, malgrado ogni appa­
rente somiglianza, resta sempre qualcosa di fondamentalmente di­
verso dalla contemplazione acquisita e dalla volontaria dedizione
a Dio nella pura fede, il cui contenuto vitale coincide con la
stessa contemplazione infusa. La sua novità sta nel sentirsi affer­
rare da Dio presente in maniera sensibile, oppure - durante quella
tremenda esperienza ch’è la Notte oscura, in cui l’anima si sente
derubata di tale presenza - nella dolorosa ferita d’amore, nello
struggente desiderio che resta nell’anima allorché Dio le si sot­
trae. Entrambe sono esperienze mistiche, fondate su quella pecu­
liare inabitazione che costituisce un contatto da persona a persona
nell’intimo deH’anima. La fede invece, e con essa tutto ciò che
fa parte della vita di fede, si fondano sull’inabitazione per via di
grazia.
Il contrasto tra presenza sensibile e privazione sensibile di
Dio, che si verifica nella contemplazione mistica, è significativo
anche per un altro verso, alludendo ad un fatto che può servire
a segnare una linea di demarcazione nei confronti della fede. La
fede è in primo luogo una faccenda che riguarda l’intelletto. Quan­
tunque nell 'accettazione della fede entri in gioco anche una com­
partecipazione della volontà, resta però sempre l’accettazione d’una
conoscenza. TJ oscurità della fede denota una proprietà caratteri­
stica della fede.

157) Cfr. Cantico spirituale, comm. alla Strofa 11 (12). - E. Crii. II, 221.
206 Parte seconda - La dottrina della Croce

La contemplazione invece è un affare di cuore, ossia dell’m-


timo deli’anima, ed implica quindi tutte le facoltà. La presenza e
l’apparente assenza di Dio si sentono nel cuore, ove provocano ri­
spettivamente felicità o lancinante nostalgia. Qui, nel suo intimo
centro ove l’anima è veramente a casa sua, è il posto in cui essa
percepisce se stessa e la propria struttura 15S).
Per conseguenza, finché non è definitivamente purificata si
autopercepisce - con una sensazione penosa - come antitesi oppo­
sitiva alla santità di cui sente ammantato il Dio presente in sé.
Sicché la Notte della contemplazione non esprime soltanto oscurità
nella conoscenza, ma anche tenebra prodotta dalla impurità e
sofferenza purificatrice.
Tanto nella fede come nella contemplazione, l’anima subisce
sempre l’iniziativa di Dio. L’accettazione delle verità rivelate non
avviene sulla base d’una decisione puramente naturale della vo­
lontà. Il messaggio della fede, infatti, perviene anche a molta gente
che non lo accoglie. Possono contribuire a questa ripulsa anche dei
fattori naturali; ma si dà anche il caso in cui alla base di tutto
sussista una misteriosa impotenza: Fora della grazia non è an­
cora suonata. L’inabitazione per via di grazia non ha nemmeno
avuto inizio. Nella contemplazione, invece, l’anima incontra quello
stesso Dio che la ghermisce.
Dio è amore. Logico quindi che essere afferrati da Dio vuol
dire venir incendiati dall’amore, purché beninteso lo spirito vi
sia preparato. Per tutto ciò che è finito ed effimero, l’amore eterno
è un fuoco divoratore. Materiale effimero sono tutti i movimenti
suscitati nell’anima dalle creature. Volgendosi alle cose create, essa
tenta sottrarsi alla presa dell’amor divino, ma non può sfuggirvi
lo stesso. Ecco perché l’amore diviene anche per lei un fuoco di­
voratore.
Lo spirito umano, in quanto spirito, è progettato sullo schema
d’un essere fìsso e intramontabile. Lo si rileva dall’immutabilità
che esso attribuisce alle condizioni in cui viene a trovarsi: egli
pensa di dover rimanere sempre nello stato in cui versa attual­
mente 15 * * 159). E’ un’illusione, perché a causa del suo essere nel tempo
15&) Questa percezione di se stessi che si sente in profondità, è qualcosa di
diverso dalia semplice conoscenza di sé, alla quale la S. Madre nel suo Castello
interiore assegna la prima Mansione. E’ un addentrarsi in se stessi, senza però
venire a confronto con se stessi. Qui il proprio essere rimane avvolto nel mistero,
esattamente come la presenza divina che vi svolge la sua azione. L1 ìntimo non
è relegato soltanto alla 7a Mansione, ove ha luogo il matrimonio spirituale, ma
entra in gioco in ogni settore del processo mistico.
159) Notte dello spirito, commento alla Str. la, V. 1, cap. 7 - E. Crii. II, 69.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 207

va soggetto al cambiamento. Tuttavia ciò esprime il presentimento


della coscienza che il suo essere non termini nel tempo, bensì
affondi le sue radici nell’eternità. Per sua natura esso non può dis­
solversi come gli aggregati materiali. Sta di fatto però, che vol­
tandosi deliberatamente alle cose temporali, incomincia a sentir
pesare su di sé la mano del Dio vivente, il quale - in virtù della
Sua onnipotenza - può annientarlo, bruciandolo nel fuoco vendi­
catore delramor divino conculcato, oppure mantenendolo in vita
sotto una continua tempesta di fuoco come gli angeli decaduti.
Questa seconda e autentica morte sarebbe il destino di noi tutti,
se Cristo - con la Sua passione e morte - non si fosse interposto
tra noi e la giustizia divina, aprendo il varco alla misericordia.
In Cristo, data la Sua natura e la Sua libera determinazione,
non c’era nulla che facesse opposizione all’amore. Egli visse ogni
istante della Sua esistenza in abbandono senza riserve all’amore
divino. Facendosi uomo, Egli però ha preso su di sé tutto il far­
dello del peccato umano, abbracciandolo con il Suo amore miseri­
cordioso e nascondendolo nella Sua anima: ntìYEcce venia, con
cui iniziò la sua vita terrena, rinnovando poi espressamente questa
Sua missione nel Suo battesimo e nel Fiati del Getsemani. Il fuoco
dell’espiazione avvampò dapprima nel Suo intimo, poi in tutte
le sofferenze che accompagnarono la Sua vita; avvampò inarre­
stabile nell’Orto degli Ulivi e sulla Croce, perché allora la sensa­
zione di felicità datagli dall’indissolubile unione col Padre scom­
parve gettandolo in braccio al dolore per infliggerGli l’ultima
dolorosissima prova: l’estremo abbandono da parte di Dio. Nel
Consummatum est si scorge l’ultimo guizzo del fuoco espiatorio;
nel Pater, in manus tuas commendo spiritum meum si ha il defi­
nitivo ritorno nelheterna, imperturbabile, unione amorosa.
Nella passione e morte di Cristo i nostri peccati sono stati
arsi. Se accogliamo con fede questa verità, accettando fedelmente
e senza riserve il Cristo tutto intero in modo da scegliere e da
battere la via dell’imitazione di Cristo, Egli « attraverso la Sua
passione e morte ci condurrà alla gloria della risurrezione ». E’
appunto ciò che si prova nella contemplazione: come, attraver­
sando il fuoco dell’espiazione, si arrivi alla beatificante unione
d’amore. Alla luce di questa realtà si spiega anche il suo carattere
apparentemente contradditorio. Essa è nello stesso tempo, morte
e risurrezione. Dopo la Notte oscura sorge radiosa la Viva Fiam­
ma d’Amore.
CAPITOLO TERZO

La gloria della Risurrezione

1. - Nelle fiamme del divino Amore,

LLAMA DE AMOR VIVAI) FIAMMA VIVA D’AMORE

I I
jOh llama de amor viva, O fiamma d’amor viva,
Que tiernamente hieres Che sì dolce ferisci
De mi alma en el mas profundo cen- L’alma, ed al centro più profondo
Pues ya no eres esquiva, [tro! poiché non sei più schiva [vai;
Acaba ya si quieres; L’opra, se vuoi, finisci,
[Rompe la tela de este dulce en- Rompi la tela al dolce incontro ornai.
[cuentro!

II II

jOh cauterio sua ve 1 O inceso dolce! O interna


jOh regalada llaga! Piaga per me gradita!
jOh mano blanda!; Oh toque deli- O blanda mano! O tocco delicato,
Que a vida eterna sabe, [cado, Che sa di vita eterna,
Y toda deuda paga! E sconta ogni partita!
Matando, muerte en vida la has tro- Morte in vita, uccidendo, hai tu can-
[cado. [giato.

Ili Ili

jOh lamparas de fuego, O lampade di puro


en cuyos resplandores Foco, nel cui splendore
Las profundas cavernas del sentido, Del senso mio l’ime caverne estreme,
Que estaba oscuro y ciego, Che cieco era ed oscuro,
Con extranos primores Con mirabil valore
Calor y luz dan junto a su Querido! 1 Al caro Ben dàn caldo e luce insieme!

1) Obtas, IV, 6 e 108 sg. La traduzione italiana dei versi è di P. Egidio di

Gesù. Ed. Post. Gem Carm. Scalzi - Roma, 1959.


III. La gloria della Risurrezione 209

IV IV
jCuan manso y amoroso Quanto dolce c amoroso
Recuerdas en mi seno, Ti svegli entro il mio seno.
Donde secretamente solo moras! Ove in segreto c solo hai tua dimora!
[Y en tu aspirar sabroso, Il tuo aspirar gustoso,
De bien y gloria lleno, Di beni e gloria pieno,
Cuan delicadamente me enamoras! Quanto soavemente m’innamora!

a) Alle soglie della vita eterna.


L’anima è ormai sfuggita alla notte. Ciò che ora le avviene
va molto più in là di quanto si possa esprimere a parale. Le voci
esclamative « O » e « Quanto », rotte dalla bramosia, cercano in
qualche modo di manifestarne l’ardore e l’impazienza. Ecco perché
il Santo ha indugiato parecchio prima di acconsentire alla richiesta
della sua figlia spirituale Anna di Penalosa, che gli chiedeva un
commento esplicativo alle quattro strofe del poema. Egli sentiva
quanto fosse povera e inefficace la parola ad esprimere qualcosa
di così spirituale ed intimo. Dbpo un po’ di tempo però, gli sembrò
che il Signore « gli avesse aperto uno spiraglio di conoscenza e
infuso un po’ di calore », anzi lo avesse addirittura animato ad
accingersi all’opera 2).
«Un po’ di calore»! In realtà si ha l’impressione che non
solo le quattro strofe del poema, ma l’intero commento siano
un’esplosione della Fiamma viva d'amore. Al punto che noi pos­
siamo avvicinare solo con religioso timore questi segreti divini che
avvampano neirintimo d’un'anima eletta. Ma ora che il velo è
stato un po’ sollevato, non ci è permesso di passarli sotto silenzio.
Ci troviamo ora di fronte ciò di cui la Salita e la Notte - nello
stato in cui ci sono pervenute - ci hanno lasciati privi: la storia
deH’anima giunta al traguardo della « via crucis », all’unione bea­
tificante.
Abbiamo rilevato in precedenza come anche gli scritti an­
tecedenti siano stati evidentemente composti da un autore già
arrivato alla meta. Il Cantico della Notte Oscura non sarebbe com­
prensibile se fosse altrimenti. Nella rielaborazione esplicativa
delle strofe però, il Santo si è reimmerso nel tempo della notte,
descrivendola come se egli ne fosse stato tuttora prigioniero. E’
soltanto di sfuggita ch’egli ha detto qualcosa sul traguardo finale.

2) Fiamma viva, prologo dedicato ad Anna de Penalosa. - Obras, IV, 3 sg.

e 105 sg.

14. - Scientia Crucis.


210 Parte seconda - La dottrina della Croce

Ora invece egli è immerso nella radiosa luce dell’alba di risur­


rezione. Se parla ^ancora di croce e di notte, lo fa unicamente
sotto l’aspetto retrospettivo. Per il nostro assunto è proprio tale
sguardo retrospettivo quello che dà a questo scritto la massima
importanza: la nuova vita è nata dalla morte: la gloria della
risurrezione è la ricompensa concessa all’anima per la fedele per­
severanza da lei dimostrata nella notte e nella croce. Al punto
che « essa paga ogni debito »,
L’anima « sente come fluire dal suo intimo dei fiumi di acqua
viva »3), e « le sembra di essere trasformata in Dio, posseduta da
Lui con tanto energica stretta, corredata da Lui con tanta abbon­
danza di doni e di virtù, da esser giunta al punto in cui soltanto
una lieve tela ormai la separa dalla felicità », Ogni volta che
quella delicata fiamma d’amore, che le brucia dentro, la investe,
« la va quasi aureolando di una soave e forte gloria... » tanto da
lasciarle l’impressione che la tela della sua vita mortale stia per
rompersi, e che ormai ben poco le manchi per raggiungere il
possesso della beatitudine e della vita eterna. Anelante di desi­
derio, essa implora la liberazione dal suo involucro terreno4).
La Fiamma vìva d'amore è lo Spirito Santo, « che l’anima
sente ormai dentro di sé... come un fuoco che la arroventa, trasfor­
mandola tutta in soave amore », ma anche « come un fuoco che
arde davvero dentro di lei, lanciando delle fiammate. Orbene,
ogniqualvolta quella vampa fiammeggia, irrora l’anima di gloria,
rinfrescandola in un bagno tempratore di vita divina ». Lo Spirito
Santo provoca in lei un arroventamento amoroso, per cui la
volontà dell’anima viene a confondersi in un amore solo con la
fiamma divina. La trasformazione in amore è un « habitus »,
vale a dire uno stato permanente in cui Tanima viene posta; è il
fuoco che arde continuamente in lei. I suoi atti invece « sono le
fiamme che si sprigionano dal fuoco amoroso, e che salgono con
tanto maggiore impeto quanto più è intenso il fuoco dell’unione ».
In questo stato, l’anima è impossibilitata ad agire di sua iniziativa.
Tutti i suoi atti vengono eccitati e compiuti dallo Spirito Santo,
per cui sono del tutto divini. Sicché, ad ogni avvampare di questa
fiamma, all’anima sembra di star ricevendo la vita eterna : « per­
ché essa la solleva all’altezza operativa di Dio in Dio ».
Data questa sua trasformazione in fiamma d’amore, si comu­
nicano a lei il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; ed essa arriva

3) Gv., 7, 38.
4) Fiamma viva, commento alla Str. 1 - Obras, IV, 7 e 109 sg.
III. La gloria della Risurrezione 211

così vicina a Dio da pregustare un piccolo saggio della vita eterna;


anzi ha l’impressione che quella sia già la vita eterna5).
Da fiamma della vita divina tocca l’anima con la tenerezza di
Dio e la ferisce nel suo più profondo intimo con tanta forza da
provocarne la liquefazione in amore* Ma come è possibile al
punto in cui siamo, parlare ancora di ferimento?
In realtà, queste ferite sono « come delle carezzevoli vampe
di delicatissimo amore », giochi d’amore della eterna Sapienza,
« fiammelle che lambiscono l’anima con il delizioso contatto di
quel fuoco amoroso continuamente attivo.*. » 6).
Tutto ciò avviene nel centro piu profondo dell’anima, ove né
il demonio né la sensibilità possono penetrare; per cui è un’azione
indisturbata, sostanziale e piacevolissima. « ...Quanto più è inte­
riore, tanto più è pura; quanta maggior purezza si ha nella
sostanza d’un’anima, tanto più abbondante e frequente ed ampia
sarà la comunicazione di Dio : senza dire che tanto maggiore sarà
il piacere e il godimento dell’anima... E’ Dio l’operatore di tutto,
senza che l’anima ci metta niente di suo». E’ vero che l’anima
può agire soltanto tramite i sensi corporei; ma in questo stadio
essa è ormai completamente affrancata dalla loro schiavitù, per
cui «la sua unica occupazione è quella di ricevere da Dio, il
quale è il solo che - senza l’aiuto dei sensi - possa agire dentro
l’anima e metterla in movimento... ». Sicché tutti i moti dell’anima
sono divini, sono atti di Dio, pur restando sempre atti dell’anima:
« perché Iddio li compie in lei, ma insieme a lei, che vi dà il suo
beneplacito e il suo consenso ».
Quando l’anima dice che lo Spirito Santo la ferisce nel suo
più profondo centro, intende affermare che in lei esistono anche
dei punti meno profondi, corrispondenti ai vari gradi dell’amor
divino; adesso però è la sua sostanza, la sua capacità, la sua forza,
che viene toccata e investita. Con questo non vuol dire « che tutto
ciò si verifichi così sostanzialmente e con tanta perfezione come
nella visione beatifica delPaltra vita...»; ma dice così semplice­
mente « per manifestare la copiosità, la sovrabbondanza di piacere
e di gloria da lei sentite in questa comunicazione dello Spirito
Santo. Il piacere è tanto più intenso e tenero, quanto più forte­
mente e sostanzialmente essa è concentrata e trasformata in Dio ».
Logicamente, ciò non si verifica quaggiù con la perfezione tipica
della vita eterna. «Tuttavia, può darsi anche il caso fortunato che

5) Jbìd., Str. 1, V, 1 - Obrus IV, 85 sgg. e 110 sgg.


6) Ibid., Str. 1, V. 2 - Obras IV, Il sg. e 112 sg.
212 Parte seconda - La dottrina della Croce

l’anima arrivi a possedere ancora in questa vita l’abito della carità


così perfetto come nell’altra: certo però, non la sua operazione e
tanto meno il suo frutto,.. ». Ma è un fatto, che questo stato può
diventare così simile a quello delTal di là, che l’anima abbia
l’impressione di esservi già arrivata, tanto da osare esclamare: nel
più profondo centro della mia anima. Chi non ha esperienza di
simili cose, potrà ritenerlo un’esagerazione. Eppure « il Padre dei
lumi, la cui mano non è avara, si effonde con profusione...
Non è poi da escludere che dentro un’anima ormai esaminata,
provata, depurata nel fuoco delle tribolazioni, e trovata fedele
nell’amore, si venga ad avverare ancora in questa vita, ciò che il
Figlio di Dio aveva promesso, ossia che « se qualcuno Lo amasse,
la S,S. Trinità sarebbe venuta in lui e vi avrebbe fissato la sua
dimora » (Gv., 14, 23). 'Questo Egli lo attua illuminandole divina­
mente l’intelletto con la sapienza del Figlio, riempiendole di
gaudio la volontà con lo Spirito Santo, mentre il Padre la afferra
in un abbraccio forte e poderoso, assorbendola nell’abisso della
sua dolcezza ».
Nell’anima arroventata dalla viva fiamma d’amore, lo Spirito
Santo opera poi qualcosa di ancora più sublime della comunica­
zione e trasformazione amororsa. « Nella prima di queste effusioni
l’anima assomiglia ad una bragia; nella seconda invece... essa
pare un carbone acceso che non soltanto arde, ma lancia attorno
a sé delle lingue di fiamma ». La unione semplice assomiglia al
« fuoco di Dio che si alimenta in Sion » (Is., 31, 9), ossia alla
Chiesa militante, in cui il fuoco della carità è sì acceso, ma non
fino all’incandescenza; Yunione amorosa fiammeggiante invece,
assomiglia « alla fornace di Dio che c’è a Gerusalemme », ossia
a quella visione di pace costituita dalla Chiesa trionfante, ove il
fuoco arde davvero come in una fornace arroventata dalle vampe
del perfetto amore. E’ vero che l’anima non ha ancora raggiunta
la perfezione del cielo; tuttavia essa brucia come una fornace,
alimentata da una visione riposante, gloriosa e splendente d’amore.
Ora essa tocca con mano « come la fiamma amorosa le stia comu­
nicando in forma vitale tutti i beni ». Ecco perché esce in questa
affermazione: «O fiamma d’amor viva, che sì dolce ferisci!»
come volesse dire: «O infiammato amore, come mi stai glorifi­
cando generosamente con i tuoi slanci amorosi, che colmano la
capacità e la forza dell’anima miai Tu mi dai una conoscenza
divina che riempie tutta l’abilità e la capacità del mio intelletto;
Tu mi infondi l’amore sino al limite di capienza della mia
volontà, sommergendo la sostanza dell’anima mia con il torrente
III. La gloria della Risurrezione 213

del piacere provocato dal tuo contatto e dal tuo congiungimento


sostanziale, che sta in rapporto diretto con la purezza della mia
sostanza nonché con la capacità e apertura della mia memoria »,
Quando la purificazione di tutte le potenze è un fatto com­
piuto, « la Sapienza divina,., assorbe in sé l’anima con la sua
divina fiamma, in maniera delicata, profonda, sublime; e durante
questo processo di assorbimento deU’anima nella Sapienza, lo
Spirito Santo mette in gloriosa vibrazione la sua fiamma » 7). E'
10 stesso fuoco che, durante il tempo della purificazione, risultava
all'anima così oscuro e doloroso. Adesso invece le è radioso, ama­
bile e beatificante. Ecco perché Tanima dice: « Poiché non sei più
schiva» [ossia non sei più da schivare, da respingere]. Prima,
la luce divina le aveva fatto vedere soltanto la sua buia oscurità.
Ora invece che essa è illuminata e trasfigurata, vede dentro di sé
la luce. Nello stadio precedente, la fiamma era terrorizzante per
la volontà, perché le faceva sentire dolorosamente la sua incisività
e la sua forza essiccativa. Allora il soggetto colpito non poteva
percepire la soavità e la fascinosità della fiamma; né poteva assa­
porarne la dolcezza, perché il suo gusto era depravato da tendenze
sregolate. L’anima non poteva comprendere l’inesauribile ricchez­
za né la deliziosità della fiamma d’amore: sotto la sua azione
constatava unicamente la sua propria povertà e la sua miseria. E’
tutto questo che essa rammenta e intende esprimere con quella
breve e concisa frase: « Ora, tu non mi sei più oscura come prima,
ma sei invece per il mio intelletto la divina luce con cui posso
vederti. Ora, non solo tu non annienti del tutto la mia debolezza,
ma costituisci anzi la forza della mia volontà, con cui posso amarti
e goderti a fondo, data la sua completa trasformazione in divino
amore. Ora, non sei più in peso e un affanno per la sostanza del­
l’anima mia, ma sei anzi la sua gloria, la sua gioia e il suo ampio
respiro... »8). E siccome ella si vede così vicina al traguardo,
chiede confidentemente l’ultima concessione: «L’opra, se vuoi,
finisci! ». Questa è l’implorazione di consumare definitivamente
11 matrimonio spirituale con la sua vista beatificante. E’ vero che
l’anima, giunta a questo stadio, è completamente abbandonata ai
voleri dell’amato e quasi priva di desideri; ormai non avrebbe più
nulla da domandare. Siccome però vive tuttora nella speranza e

7) Ibid., Str. 1, V. 3 - Qbras IV, 12 sgg. c 113 sgg, - La precisazione a pro­


posito della gloria eterna e l’insinuazione del dubbio circa la possibilità di grazie
cosà eccezionali e sublimi, sono interpolazioni della seconda versione redazio­
nale (B).
®) Ibid., Str. 1, V. 4 - Obras IV, 15 sgg. e 119 sgg.
214 Parte seconda - La dottrina della Croce

non nel perfetto possesso dell’adozione divina, essa anela alla


stretta consumativa, tanto più che - nei limiti del possibile quaggiù,
- ne ha già pregustato il sapore e il diletto. L’intensità di questo
godimento è così alta, da portarla a pensare che la sua natura stia
per disgregarsi, perché la sua componente inferiore di creatura
umana non è all’altezza di sopportare un fuoco così potente e
sublime. Ed essa vi soccomberebbe per davvero, se Iddio non le
venisse incontro soccorrendo la innata debolezza della sua natura
e sostenendola con la Sua Destra. D’altro canto però gli sprazzi
luminosi intravvisti nella contemplazione sono tali, «che sarebbe
un dar prova di poco amore il non chiedere di entrare in quella
perfezione che costituisce la fase di consumazione dell’amore.
Inoltre essa sente che lo Spirito Santo stesso la invita alla felicità,
proprio come fa con la Sposa del Cantico dei Cantici, dicendole:
«Levati, amata mia, o bella mia, deh, vieni!...» (Cant., 2, 10).
« L’opra, se vuoi, finisci » - dice l’anima - e con questa esclama­
zione rivolge allo Sposo quelle due petizioni da Lui insegnateci
nel Vangelo: «Venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà»9).
Affinché Tunione perfetta possa realizzarsi, bisogna che la
tela fungente da schermo tra Dio e l’anima venga tolta. Per essere
esatti dovremmo dire che le tele sono tre : « una temporale, com­
prendente tutte le creature; una naturale, composta dalle operazioni
e inclinazioni puramente naturali;... una sensitiva, costituita dal­
l’unione tra l’anima e il corpo, includente quindi la vita sensoria
e animale... » La prima e la seconda sono già state necessariamente
lacerate per arrivare sin qui, all’unione. Ciò è avvenuto « sotto
l’urto tremendo di quella fiamma al tempo in cui essa era ancora
oggetto di paura ». Ora resta ancora da squarciare la terza cortina,
quella della vita sensitiva; la quale, dato che siamo già aH’unione
con Dio, è sottile e impalpabile come un velo. Alludendo alla sua
lacerazione, l’anima può davvero parlare di un dolce incontro.
Quantunque le condizioni naturali della morte siano - per
queste anime - simili a quelle degli altri, la loro morte è normal­
mente del tutto diversa. «Difatti, se gli altri muoiono per causa
di malattia e per vecchiaia, queste - benché muoiano anche loro
per infermità o per senilità - si vedono strappare l’anima unica­
mente in un impeto d’amore... molto più violento dei precedenti...;
questo trasporto amoroso ha la forza di squarciare la tela, portan­
dosi via quel prezioso gioiello che è Paniina, Cosicché la morte,
a tali anime, risulta molto più soave e dolce di quello che lo sia

D) ìbii., Str. 1, V. 5 ' Obras IV, 20 sgg. e 124 sgg.


111. La gloria della Risurrezione 215

stata la vita spirituale nel corso di tutta la loro esistenza. La


loro morte è causata dai più sublimi slanci e dai più deliziosi
incontri d’amore, perché esse rassomigliano al cigno che schiude
la gola al canto più soave proprio quando muore. Ecco quanto ne
dice Davide : « Preziosa agli occhi di Dio è la morte dei Santi »
(Salmo 115, 15). E’ questo infatti il momento in. cui si concentrano
tutte le ricchezze dell’anima; è qui che vanno a sfociare nel mare
tutti i fiumi del suo amore, ormai così larghi e maestosi da sem­
brare già dei mari ».
L’anima si sente « ormai pronta ad uscire per prendere defi­
nitivamente possesso del suo regno... Si vede pura, ricca, piena di
virtù e ben preparata all’azione di conquista... Dio, infatti, una
volta che essa è pervenuta a questo stadio, le lascia vedere la
bellezza di cui è adorna... Adesso tutto si trasforma in amore e
in inno di lode, senza più traccia di presunzione o di vanità, dato
che non esiste più fermento d’imperfezione capace d’inquinare la
massa... Vedendo che ormai nulla più le manca fuorché rompere
la tenue tela della vita naturale..., ardendo dal desiderio di scio­
gliersi per essere con Cristo, rammaricandosi che una vita così
bassa e inerte le escluda l’altra così alta e intensiva, ne implora la
rottura dicendo : « Rompi la tela al dolce incontro, ornai » 10).
Siccome essa percepisce ora « la forza dell’altra vita, constata
anche la debolezza di quella attuale, tanto che questa le sembra
una cortina sottilissima, quasi una ragnatela {Salmo- 89, 9), anzi...
ancor meno consistente.... ». A questo punto, in effetti, essa vede
le cose come le vede Dio : « Ai suoi occhi esse non contano più
nulla, come del resto nemmeno lei stessa conta più nulla; solo
Dio è per lei tutto ».
Chiede una lacerazione, non un taglio. Perché? innanzitutto
perché questo risponde meglio all’idea d’un incontro; poi « perché
l’amore ha simpatia per le maniere forti, per i gesti violenti e
impetuosi... In terzo luogo, perché l’amore brama che l’atto sia
brevissimo e si compia rapidamente... » Esso infatti ha tanta più
« forza e tanto più valore, quanto più è rapido e spirituale, perché
l’energia operativa concentrata è più potente che non frazionata... »
Gli atti spirituali che si producono istantaneamente nell’anima,
sono infusi da Dio; quelli invece che l’anima fa di sua iniziativa,
sono piuttosto dei desideri preparatori, delle operazioni dispositive,
che non arriveranno mai ad essere dei veri atti d’amore, a meno
che - come si è detto - Iddio « non li plasmi e li perfezioni

10) Ibid., Str. 1, V. 6 - Obras IV, 22 sgg. e 126 sgg.


216 Parte seconda - ha dottrina della Croce

istantaneamente all’interno dello spirito ». « ...Nell’anima ben di­


sposta, a tratti subentra l’atto d’amore, perché la scintilla scocca
attaccando puntualmente sull’esca asciutta; sicché l’anima inna­
morata preferisce la brevità istantanea d’una lacerazione.,. ». Essa
stenta a sopportare dilazioni e ad attendere la fine naturale della
vita. « La forza predominante dell’amore e la constatazione delle
buone disposizioni ch’essa incontra dentro di sé, destano in lei il
desiderio che la trama della sua vita si strappi, sotto l’azione d’un
urto o d’un impeto amoroso soprannaturale». Sa molto bene
« che Dio suole portarsi via con sé prima della scadenza le anime
che ama intensamente, perfezionandole in breve lasso di tempo
appunto con l’impiego di questo amore... ». « Ecco perché il com­
pito più importante dell’anima in questa vita è quello di emettere
gli atti d’amore: affinché, consumandosi in breve, non abbia ad
arrestarsi qua o là senza vedere Dio ».
L’anima designa questo strapotente abbraccio interiore dello
Spirito Santo col nome di incontro. Dio l’afferra con una vera ir­
ruenza soprannaturale, per elevarla oltre la carne e condurla alla
stretta conclusiva. Ci troviamo di fronte ad autentici incontri; lo
Spirito Santo compenetra infatti la sostanza delPanima, irradian­
dola e divinizzandola. « Sicché l’essere divino assorbe l’essere del-
l’anima al di là di ogni altro essere ». L’anima è quindi in grado
di gustare al vivo il buon Dio; per cui chiama dolce questo in­
contro, che è realmente più soave di tutti gli altri contatti ed
incontri, perché li sorpassa tutti in grado eminente. In questo mo­
do Iddio prepara l’anima alla perfetta beatitudine, ispirandole di
chiedere la lacerazione di quel sottile velo, per darle modo di a-
marLo sconfinatamente e interminabilmente nella pienezza e nella
saturazione da lei bramata n).

b) In unione con Dio Uno e Trino.


O inceso dolce! o interna
Piaga per me gradita!
O blanda mano! o tocco delicato,
Che sa di vita eterna,
E sconta ogni partita!
Morte in vita, uccidendo, hai tu cangiato.

Nella prima strofa, l’unione è stata considerata soprattutto


come opera dello Spirito Santo. Si è ricordato soltanto di sfuggita * IV,

n) Con questi concetti si chiude il commento alla Strofa 1 - Cfr. Obras


IV, 26 sgg. e 131 sgg.
IH. La gloria della Risurrezione 217

che tutte e tre le Persone divine s’insediano nell’anima. Ora in­


vece si cercherà di precisare quale parte ciascuna delle Tre Persone
sostenga « nell’opera divina dell’unione ».
La cauterizzazione, la mano e la carezza, sono in sostanza la
stessa cosa; vi si rivela unicamente una diversità di denomina­
zione basata sugli effetti da esse prodotti. « La scottatura cauteriz­
zante è lo Spirito Santo; la mano è il Padre; il tocco carezzevole
è il Figlio ». Ciascuna delle Persone apporta all’anima un dono
speciale. Allo Spirito Santo, che ha una dolce azione cauterizza-
trice, essa attribuisce la piaga soave e gradita. Il Figlio con il suo
carezzevole contatto le £a assaporare la vita eterna. Il Padre, con
la sua blanda mano, la trasforma in Dio. Eppure essa parla rivol­
gendosi all’unica Divinità, « perché tutte e tre le Persone agiscono
di conserva, dimodoché essa attribuisce tutto ad Una, e tutto a
Tutte »,2).
Conosciamo di già lo Spirito Santo come fuoco divoratore
(Deut. 4, 24), ossia « come fuoco d’amore, che - carico di energia
infinita - può consumare incoercibilmente, trasformando in sé l’a­
nima da Lui investita... E allorché questo fuoco ha trasfigurata in
sé l’anima, questa non solo sente la scottatura, ma diventa lei
pure tutta una scottatura bruciante. Ed è un fatto meraviglioso...,
che questo fuoco di Dio così impetuoso e divoratore, capace di
consumare mille mondi con maggior facilità di quanto non faccia
il fuoco terrestre con un batuffolo di lino, non consuma né di­
strugge ranima... ma anzi la divinizza e la colma di delizie... ».
Esso è per lei « una rara fortuna, perché così sa tutto, gusta tutto
e fa tutto ciò che vuole; inoltre essa fa ottimi progressi, senza
che nessuno possa avere il sopravvento su di lei e nulla arrivi a
scalfirla ». A lei si possono ora applicare le parole dell’Apostolo :
« L’uomo spirituale giudica tutto, e non è giudicato da nessuno »
(1 Cor. 2, 15) e ancora: «Lo Spirito scruta tutto, anche le profon­
dità di Dio » (1 Cor. 2, 10). E’ infatti una caratteristica dell’amo­
re, il fare l’inventario di tutti i beni dell’Amato » ,3).
La cauterizzazione amorosa produce una piaga che dà un
senso di piacere, « perché trattandosi di un fuoco di amore soave,
anche la scottatura da esso provocata sarà una ferita d’amore soa­
ve, capace di inebbriare l’anima di dolcezza». Come il fuoco ma­
teriale trasforma le piaghe preesistenti, sulle quali si applica, in
vere e proprie scottature, la cauterizzazione amorosa finisce per 12 13

12) Ibid., Str. 2 - Obras IV, 28 sg, e 132 sg.


13) Ibid., Str. 2, V. 1 - Obras IV, 29 sg e 133 sgg.
218 Parte seconda - La dottrina della Croce

fare altrettanto con le piaghe della miseria e del peccato, curan­


dole e trasformandole in bruciature d’amore.
Essa anzi, risana persino le ferite che produce - ed in questo
si differenzia dal fuoco materiale - tanto che esse non possono ve­
nir guarite se non dalla sua azione. Ma le guarisce per inferirne
altre. « Ogniqualvolta il cauterizzatore amoroso viene a contatto
con la bruciatura d’amore, allarga la piaga, col risultato di curare
e risanare quanto più estende i margini della ferita..., finché la
scottatura sarà così vasta che l’anima verrà ad essere tutta una
piaga d’amore. Così tutta cauterizzata e ridotta ad una piaga, essa
è effettivamente ristabilita nell’amore, appunto perché trasfigurata
in amore: completamente piagata e completamente sana». Mal­
grado le apparenze, la cauterizzazione non tralascia di produrre
il suo effetto; come un buon medico essa prende la ferita in cura,
trattandola amorosamente.
Questa sublime specie di ferimento amoroso « viene operato
nell’anima da un contatto immediato della Divinità, senza far ri­
corso ad alcuna forma o figura, né intellettuale né immaginaria ».
Esistono anche altri tipi molto elevati di arroventamento, nei quali
agisce una forma spirituale. Il nostro Santo riferisce qui una de­
scrizione particolareggiata del come l’anima possa venir trafitta
da un serafino con un dardo o con una freccia infuocata. E5 dif­
ficile ch’egli non si riferisca ad un fatto ben preciso, ossia alla
trasverberazione della nostra S. Madre Teresa. Però la descrizione
di S. Giovanni ci dà parecchi elementi notevoli, non registrati dal­
la S. Madre nel suo rapporto H). Ciò non può destare meraviglia,
perché essa aveva aperto interamente la sua anima a Giovanni
della Croce, esprimendosi allora indubbiamente con molto meno
reticenza di quello che non abbia fatto nella sua narrazione let­
teraria. L’anima - egli dice - « sente la sottile ferita e l’azione cu­
rativa dell’erba medicamentosa in cui era stato intinto il dardo
feritore, come una acuta puntura nella sostanza dello spirito, co­
me se le venisse trafitto il cuore dell’anima. Ed è in questo' intimo
punto ove s’è prodotta la ferita, situato, come sembra, in centro
al cuore dello spirito, che si sente la più alta intensità del godi­
mento. Ora, chi potrà parlarne come si conviene? L’anima infatti
sente là dentro come un minutissimo grano di senapa, ma fornito
di un’attività e d’una caloria formidabile, che irraggia attorno a
sé un vivo e rovente fuoco d’amore. Questo fuoco, sprigionato dal- 14

14) S. Teresa di Gesù, Vida, cap. 29 - (Cfr. S. Teresa di Gesù - Opere,


Roma, 1958).
Ili, La gloria della Risurrezione 219

la sostanza e dalla virtù di quel punto vivo dove agisce la sostanza


e la virtù curativa dell erba, si ha l’impressione di sentirlo diffon­
dersi sottilmente per tutte le vene spirituali e sostanziali dell’a-
nima... Sotto la sua azione, Tanima sente il suo ardore rinfoco­
larsi e crescere. In questa sensazione di bruciore, il suo amore va
così depurandosi da sembrarle d’essere invasa da un mare di fuo­
co che avvolge da cima a fondo gli elementi nelle sue vampe lin­
gueggiami, allagando tutto d’amore. Sicché l’universo intero pare
all’anima un oceano d’amore, in cui essa si trova sommersa, senza
vedere né l’orizzonte né la fine di questo mare d’amore... pur
continuando a sentire in sé il centro diffusore di tutto quell’amore.
Riferendosi al diletto che l’anima prova in questi frangenti,
non si trovano parole adatte. Si può solo dire che essa comprende
ora come, nel Vangelo, il regno di Dio sia così appropriatamente
paragonato al grano di senapa che quantunque tanto piccolo, per
la sua caloria vitale cresce sì da trasformarsi in grande albero
(Mt. 13, 31). L’anima infatti si vede trasformata in un immenso
fuoco d’amore, che nasce proprio da quel piccolo punto acceso
situato nel cuore dello spirito.
Poche sono le anime che giungono a tanto. Ma alcune vi sono
arrivate, specialmente quelle di certi uomini la cui virtù e il cui
spirito avrebbero dovuto poi trasmettersi ai loro discendenti. In
realtà Dio ha sempre dato ai capi ricchezza e valore primeggianti
nello spirito, a seconda della maggiore e minore figliolanza che essi
avrebbero poi avuta nella loro linea dottrinaria e spirituale». (An­
che questo rilievo allude alla S. Madre Teresa).
In certi casi, la ferita interna si manifesta anche all’esterno, nel
corpo. Giovanni rievoca le stimmate di S. Francesco, « infertegli
dal serafino anche nel corpo..., come gliele aveva inferte nell’anima
ferendolo d’amore15). Dio, infatti, ordinariamente non accorda al
corpo nessuna grazia, che prima e principalmente non abbia ac­
cordata all’anima ». Quanto più grande è il godimento e l’irruenza
dell’amore causato dalla ferita interna all’anima, «tanto più in­
tenso è il dolore provocato dalla ferita esterna riscontrabile sul
corpo; e crescendo l’uno cresce anche l’altro. Avviene così perché
queste anime, essendo già purificate e fissate in Dio, trovano dolce
e gradevole al loro spirito forte ciò che è invece causa di dolore
e di tormento alla loro carne corruttibile... Quando però la ferita

15) Giovanni scriveva queste righe circa due anni dopo la morte della S.
M. Teresa. Che la trasverberazione amorosa avesse poi lasciato tracce visibili sul
suo cuore, egli non lo sapeva ancora,
220 Parte seconda - La dottrina della Croce

si produce solo nelPanima, senza passare alPesterno, il piacere che


se ne prova può essere persino più intenso ed elevato.
Dato che la carne tiene imbrigliato lo spirito, allorché i beni
spirituali vengono comunicati anche ad essa, tira poi le redini e il
morso al leggero cavallo dello spirito smorzandone così il brio.
Infatti, se esso volesse usare la forza, la briglia finirebbe necessa­
riamente per rompersi »l6).
Questa piccola digressione avente per oggetto le varie specie
di ferite d’amore è molto importante, perché dimostra con quanta
diligenza il nostro Santo si sforzi di completare la sua propria
esperienza interiore mediante i dati desunti dalle anime degli
altri. Essa dimostra tuttavia con quanta precisione e chiarezza egli
ne metta in luce le particolarità tipiche, pur rimanendo fisso al
dato che per lui ha assunto ormai una evidenza fondamentale : per
sublimi che siano le ferite amorose subite durante Pesperienza di
visioni mistiche, esse non aggiungono nulla di speciale a quanto
di puramente spirituale si verifica nella sostanza dell’anima. Ciò
corrisponde alla caratteristica concezione dei rapporti tra anima
e corpo da lui enunciata nel seguente passaggio : Panima, in quan­
to spirito, è il fattore essenziale dominante, quantunque nello
stato di natura decaduta - persino nel più alto grado di eleva­
zione immaginabile sopra la terra - essa venga continuamente
appesantita dal corpo e compressa nel suo involucro terreno. A
questo ordinamento primordiale della natura, si adatta l’ordina­
mento della grazia, accordando i suoi doni preferenziali innanzi­
tutto alPanima - e solo in via derivata ed eventuale e sempre
tramite Panima - anche al corpo.
La mano che infligge la ferita, è il Padre amoroso e onni­
potente : « una mano..., che essendo tanto generosa e prodiga
quanto potente e ricca, darà alPanima magnifici e preziosi doni,
quando si apre per favorirla... ». L’anima sperimenta la sua amo­
rosa liberalità e la sua carezza, sentendola posarsi su di sé con
tanta tenerezza, conscia del fatto che quella mano potrebbe an­
nientare tutto il mondo se appena venisse posata con un po’ più
di energia. Essa uccide e vivifica, senza che nessuno possa sfug­
girle. « Ma tu, o vita divina, non uccidi che per dar la vita...
Quando castighi, tu sfiori lievemente, e basta questo per distrug­
gere il mondo; mentre quando offri un premio, lo sai fare con
tanta munificenza che il quantitativo delle dolcezze da te lar­
gite non ha numero. O divina mano! Tu mi hai piagata per

16) Fiamma vìva, Str. 2t V. 2 - Obras IV, 31 sgg. e 135 sgg.


111. La gloria della Risurrezione 221

guarirmi; tu hai ucciso in me ciò che causava in me la morte


e la privazione delia vita in Dio, in cui ora mi sento vivere...
E tutto questo hai fatto con la generosa liberalità della grazia di
cui mi hai favorita, facendomi provare il tocco splendido della
tua gloria e l’impronta della tua sostanza (Ebr. 1, 3), che è il
tuo, Unigenito Figlio. In Lui* che è la tua Sapienza, tu allarghi
il tuo potente raggio di influenza su di me da un capo all’altro
(Sap. 8, 1). E questo tuo Unigenito Figlio, o misericordiosa mano
del Padre, è la delicata carezza con cui mi hai sfiorata, la forza
cauterizzante con cui mi hai piagata. O delizioso contatto, Verbo
Figlio di Dio, che in virtù del delicato tuo essere divino penetri
sottilmente la sostanza dell’anima mia, e sfiorandola delicata­
mente l’assorbi integralmente in te sommergendola in un mondo
di delizie e di soavità, mai sentite nominare in Canaan, mai viste
in Teman (Bar. 3, 22)! O delicato, sovranamente delicato tocco
del Verbo, che ti sei concesso a me così, come dopo aver scosso
le montagne e sgretolato le pietre, sul monte Horeb con la sola
ombra della tua potenza e con la forza che ti precedeva, ti facesti
sentire ancor più soavemente e fortemente al profeta nell’alito ca­
rezzevole d’un’aura leggera (3 Re 19, 11-12). O brezza sottile,
appunto perché sei tale, dimmi: come mai accarezzi in modo
tanto tenero e delicato, o Verbo, Figlio di Dio, tu che sei così
terribile e potente? O felice, mille volte felice, l’anima che tu,
pur essendo così tremendo e potente, tocchi così delicatamente e
con tanto affettuosa tenerezza! Dillo al mondo! o piuttosto, non
dirglielo, perché il mondo non capisce questa brezza così deli­
cata... O mio Dio, mia vita, ti vedranno e sentiranno la tua deli­
cata carezza soltanto quelli che allontanandosi dal mondo si di­
rozzeranno raggiungendo la dovuta delicatezza spirituale; perché
solo la delicatezza s’accorda con la delicatezza, e quindi solo a
questa condizione ti potranno sentire e godere... O ancor mille
volte delicata carezza, tanto più forte e potente, quanto più te­
nera. Con l’energia della tua delicatezza tu strappi e distacchi
l’anima da tutte le sollecitazioni delle cose create, appropriando­
tela e unendola a te. Tu lasci in lei una traccia così marcata, un
deposito così attivo, che il contatto d ogni altra cosa... finisce per
sembrarle grossolano e bastardo, tanto da offenderla soltanto a
gettarvi uno sguardo e da riempirla di pena tormentosa solo a
trattarla o toccarla ».
Con la delicatezza, cresce la capacità comprensiva; con la
semplicità e la finezza, la forza diffusiva e comunicativa. Il Verbo
è infinitamente sottile e delicato; l’anima giunta a questo stadio,
222 Parte seconda - ha dottrina della Croce

per la sua limpida purezza, è un recipiente di grande capacità ed


ampiezza. Sicché, quanto più fine e delicato è il contatto, tanto
maggiore godimento esso procura. Questa carezza divina astrae
da ogni forma e figura, perché il Verbo divino non rientra in
nessuna modalità creata. E’ un fatto sostanziale, cioè che si
verifica nell’anima unicamente ad opera della semplicissima es­
senza di Dio; sicché risulta per noi inesprimibile.
E’ infinito, e quindi anche infinitamente delicato17 18). Eccola
allora giustificata neH’affermare «che sa di vita eterna». La cosa
non è impossibile, essendo la stessa sostanza di Dio che sfiora
l’anima nella sua sostanza intima. Il piacere che vi si prova è
indicibile. « Io non vorrei nemmeno parlarne, per non dar modo
agli altri di pensare che esso sia limitato al poco che se ne dice,
mentre non ci son parole capaci di esprimerlo », Per questi su­
blimi fatti divini, le anime hanno un linguaggio loro, un lin­
guaggio personalissimo, suscettibile d’essere inteso soltanto da
colui al quale vengono comunicati: ognuna è obbligata ad assa­
porarli e a tenerli per sé, come un segreto. Queste grazie sono
come il nome scritto sulla pietra bianca, di cui si parla nell’Apo­
calisse : « Nessuno lo conosce tranne colui che lo riceve » (Ape,
2, 17). Sicché il tocco divino offre all’anima un saggio della vita
eterna, quantunque la gioia da esso procurata non sia ancora così
piena come nella gloria eterna. L’anima prova ora « per compar­
tecipazione tutte le ricchezze di Dio: la forza, la sapienza, l’a-
more, la bellezza, la grazia, la bontà ecc.
E siccome Dio è tutto questo messo insieme, fiamma ha
modo di gustarlo integralmente sotto l’azione di un solo contatto
di Dio, godendo con tutte le sue potenze sin nell’intima sua
sostanza.
Da questa raggiante felicità dell’anima, l’unzione dello Spi­
rito Santo ridonda a volte anche sul corpo, dimodoché partecipa
al godimento anche tutta la componente sensitiva, le membra, le
ossa e il loro midollo... con una sensazione di grande delizia ed
esaltazione tale che si sente persino nelle ultime articolazioni dei
piedi e delle mani » !S). In questo saggio degustativo della vita
eterna, l’anima si sente largamente e abbondantemente ripagata,
oltre ogni attesa, di tutte le fatiche, tribolazioni, prove e peni­
tenze della vita passata. Ecco, come esso ricompensa ogni debito,
come « sconta ogni partita ».

17) Ibid., Str. 2, V. 3 - Obras IV, 35 sgg, e HO sgg.


18) IbidStr, 2, V. 4 - Obras IV, 37 sg. e 143 sg.
111. La gloria della Risurrezione 223

Se sono così poche le anime « che raggiungono un sì alto


stadio di perfetta unione con Dio », la causa non è da attribuirsi
a Dio, perché Lui vorrebbe vedere tutti perfetti. Purtroppo egli
invece trova soltanto « pochi recipienti capaci di sopportare la
necessaria alta e sublime operazione ». I più « rifiutano la pia-
smatura, non volendo assoggettarsi al minimo travaglio e alla
minima mortificazione, sicché non sono né forti né perseveranti...
Così Egli non prosegue nei loro confronti la sua opera di puri­
ficazione e di elevazione dalla polvere della terra... O anime che
pretendete marciare sicure e piene di consolazione nelle vie dello
spirito! Se sapeste quanto sarebbe meglio per voi patire e sof­
frire, per arrivare a questa sicurezza e consolazione...
Prendereste allora la croce e, inchiodate su di essa, vorreste
bere il fiele e l’aceto puro. E la stimereste una grande fortuna,
vedendo come morendo così al mondo e a voi stesse, perverreste
a vìvere in Dio in mezzo alle delizie dello spirito». Colui al
quale viene concessa « la specialissima grazia della prova e della
tentazione interiore », deve prima aver reso molti servizi a Dio,
deve aver dato prova di grande pazienza e perseveranza, condu­
cendo una vita e compiendo delle opere atte a rendersi accetto
agli occhi di Dio. Ecco il motivo per cui « sono così pochi quelli
che meritano di essere bruciati dalla sofferenza, sopportando le
raffiche del dolore per arrivare ad uno stato così alto»]9).
Riandando il suo passato, l’anima constata che tutto ha con­
tribuito alla sua salvezza, e che quanto furono più profonde le
sue tenebre altrettanto è più chiara la sua attuale luce. Adesso,
non soltanto è ripagata di tutto, ma c’è di più: tutte le tendenze
scorrette che miravano a derubarla della sua vita spirituale, sono
state ormai ammortizzate. Così è proprio vero che la mano di
Dio « uccìdendo, ha cambiato la morte in vita ».
Nel campo spirituale esistono due specie di vita : una è quel­
la beatifica, che consiste nel vedere Dio direttamente, e non si
raggiunge se non passando attraverso la morte corporale; l’altra
è la vita spirituale perfetta, che consiste nel possesso di Dio per
via d’unione amorosa, e si raggiunge mediante la mortificazione
di tutti i vizi e di tutti i conati appettitivi. Ciò che l’anima designa
qui sotto il nome di morte, è « tutto l’uomo vecchio... l’uso della
memoria, dell’intelletto, della volontà occupata affannosamente
nelle cose di questo mondo..., nonché i desideri e le inclinazioni
verso le creature ». Di tutta questa colluvie è impastata la vecchia

19) lbid„ Str. 2, V. 5 - Obras IV, 3$ sgg. e 144 sgg.


224 Parte seconda - ha dottrina della Croce

vita, che va quindi considerata come morte nei confronti della


nuova, quella spirituale. In questa nuova vita, caratterizzata dal­
l’unione, tutti gli istinti e le potenze dell’anima, tutte le sue incli­
nazioni e attività operative sono ormai divinamente trasfigurate.
Essa vive « quasi la vita di Dio, sicché la sua morte è stata cam­
biata in vita, la sua vita animale in autentica vita spirituale ». Il
suo intelletto s’è trasformato in intelletto divino; la sua volontà, la
sua memoria, le sue affezioni naturali, tutto è divinizzato. « La
sostanza (sustancia) di siffatta anima - pur non essendo sostanza
di Dio perché impossibilitata a convertirsi sostanzialmente (su-
stancialmenté) in Lui - unita e assorbita com’è in Lui, diventa Dio
per partecipazione ». Può quindi a buon diritto affermare: « Io
vivo, ma non son più io che vivo, è Cristo che vive in me »
(Gal. 2, 20). Essa è ora « sia interiormente che esteriormente sem­
pre in festa, e dalla gola del suo spirito sgorga a fiotti un solenne
inno a Dio, come un canto nuovo sempre rinnovantesi, intessuto
di gioia, d’amore e di consapevolezza del suo felice stato ». Dio,
che rinnova tutto, rinnovella continuamente anche Tanima. Non
la lascia diventare vecchia com’era... prima, ma moltiplica i suoi
meriti.
« ...Oltre ad avere la coscienza delle grazie ricevute, l’anima
sente in questo momento Dio così pieno di sollecitudine nel lar­
gheggiare con lei di preziose, delicate e affettuose parole, nel-
l’arricchirla di ogni sorta di grazie, da darle l’impressione che
Egli non ne abbia proprio nessun’altra al mondo da favorire, né
abbia altro da fare che conservare tutto per lei sola. Piena di
questi sentimenti, prorompe in un grido di gioia, come la Sposa
dei Cantici: «Il mio Amato è tutto per me ed io sono tutta
sua » (Cant. 2, 16)20).

c) Neil'alone radioso della gloria divina.


« O lampade dì puro
« Foco, nel cui splendore
« Del senso mio Time caverne estreme,
« Che cieco era ed oscuro,
« Con mirabil valore
« Al caro Ben dàn caldo e luce insieme!

L’anima trabocca di riconoscenza per le grazie ricevute nel


corso e in virtù deH’unione. I suoi sensi e le sue potenze, un

20) Fine del comme nto alla 2" Strofa - Qbras IV, 43 sgg. e 150 sgg.
III. La gloria della Risurrezione 225

tempo cieche e immerse nella tenebra, ora sono immerse nella


luce e avvolte dalle fiamme, sotto Fazione della conoscenza amo­
rosa. Così essa è in grado di ricambiare l’Amato con luce ed
amore; fatto di cui non può che essere ultrafelice.
Nell’unione sostanziale con Dio, l’anima acquista la no­
zione degli splendori, della portata di tutti gli attributi divini,
inclusi nella semplicissima essenza di Dio: l’Onnipotenza, la Sa­
pienza, la Bontà, la Misericordia ecc. « Ognuno di questi attri­
buti è l’essenza stessa di Dio in ciascuna delle sue Persone..., nel
Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo.
Essendo ciascun attributo lo stesso Dio, ed essendo Dio una
infinita luce e un infinito fuoco divino,... ne consegue che cia­
scuno di questi innumerevoli attributi irraggia luce e calore come
Dio stesso. Per cui ognuno è una lampada che illumina l’anima
riempendola di calore amoroso ». Siccome l’anima percepisce la
nozione di tali attributi in un solo atto delPunione, « lo stesso Dio
le appare contemporaneamente come un insieme di molte lam­
pade, che la illuminano in sapienza e le comunicano calore cia­
scuna per conto suo ». Dimodoché essa viene irraggiata da ogni
singola lampada e da tutte insieme complessivamente. «Tutti
questi attributi, infatti, costituiscono un solo essere...; sicché tutte
le lampade sono poi una lampada unica, che suddistinta nelle sue
virtù e attributi arde e illumina come una lampada sola ». Lo
splendore di questa lampada dell’Essere di Dio, in quanto onni­
potente, le dà luce e calore amoroso verso Dio Onnipotente. Ma
la riempie anche di splendore in quanto Onnisciente, per cui è
anche una lampada di sapienza. E così si dica con tutti gli altri
attributi, che si vanno rivelando all’anima tutti insieme.
E’ meraviglioso e immenso il godimento che l’anima trae
dalla luce di queste lampade, perché è intenso come se provenisse
da molte lampade convergenti, delle quali ciascuna arroventa d’a­
more. « Dato che il calore di una si assomma al calore dell’altra,
la fiamma di una alla fiamma dell’altra, la luce di una alla luce
dell’altra, dato che un attributo qualunque fa conoscere l’altro,
tutte insieme formano una luce e un fuoco solo...».
L’anima viene profondissimamente immersa in queste fiam­
me delicate, ognuna delle quali le inferisce una sottile ferita d’a­
more che risulta a sua volta moltiplicata quasi all’infinito dall’a­
zione di tutte le altre insieme. E’ un amore vitale quello che le
viene iniettato, per cui « essa arriva a riconoscere perfettamente
come quell’amore provenga dalla vita eterna, che è la somma di
tutti i beni ». Dio concede all’anima il suo amore e i suoi favori

15. - Scientia Crucis.


226 Parte seconda - ha dottrina della Croce

per tramite di tutti i Suoi attributi: la colma di grazie e la ama


con la Sua onnipotenza e sapienza, con la Sua bontà e santità,
con la Sua giustizia e misericordia, con la Sua purezza e limpi­
dità ecc. Egli le accorda la massima stima, giungendo a mettersi
sul suo stesso piano e a mostrarsi allegramente a lei neirintimità
conoscitiva dell’unione, Sono fiumi d’amore ch’Egli rovescia su
di lei, sicché essa si sente immensamente felice nella piena armo­
nia dell’anima e del corpo, trasformata in un paradiso costruito
apposta da Dio.
Questo immenso fuoco è così soave da assomigliare alle acque
vive che saziano a dismisura la sete dello spirito. Ne abbiamo una
figurazione allusiva in quel prodigio di cui parlano i libri dei
Maccabei: il fuoco sacro che un dì era stato nascosto in una ci­
sterna, si era trasformato in acqua; portato sull’altare del sa­
crificio, si trasformò di nuovo in fuoco21 ). Lo Spirito di Dio è
come una dolce e deliziosa acqua, finché resta nascosto nelle vene
delPanima; ma appena viene alla luce per essere impiegato nel­
l’offerta sacrificale dell’amor divino, divampa in vivide fiamme.
Siccome in questo momento l’anima è infiammata e intenta a
concedersi nelPabbandono amoroso, ecco che giustamente parla
più volentieri di lampade piuttosto che di acqua.
Resta però sempre un fatto incontestabile: che tutte queste
descrizioni non sono che timidi tentativi di esprimere ciò che si
sta verificando in realtà; « poiché la trasfigurazione dell’anima in
Dio è qualcosa di indicibile » 22).
Sotto il nome generico di splendori, di cui è irraggiata l’ani­
ma, si intendono qui le nozioni sfavillanti d’amore degli attri­
buti divini. L’anima, messa a contatto con questi attributi, viene
essa stessa trasformata in sfavillìo di luce amorosa sì da splen­
dere come splendono loro. Notare poi che il brillare delia fonte
luminosa divina è completamente diverso da quello delle lampade
materiali. Queste rischiarano con i loro guizzi luminosi gli og­
getti circostanti esterni; mentre il fattore diffusivo divino fa bril­
lare le cose che si trovano all’interno dei suoi raggi. L’anima si
trova realmente immersa negli splendori, per cui risulta trasfigu­
rata e tramutata essa stessa in una fiamma luminosa: assomiglia
all’aria resa incandescente e trasformata in fuoco che si scorge
dentro la fiamma. Le oscillazioni della fiamma, le sue vibrazioni
e i suoi scintillìi, non dipendono soltanto dall’anima, ma anche

21) 11 Mach., 1, 19-22


22) Fiamma viva, Str. 3, V. 1 - Ohras IV, 4$ sgg. e 155 sgg.
III. La gloria della Risurrezione 227

dallo Spirito Santo; « non sono soltanto raggi luminosi, ma anche


azioni glorifìcative dell’anima stessa, giochi e festeggiamenti amo­
rosi che lo Spirito Santo fa nell’anima », ai quali s’è già accen­
nato in precedenza. Sembra quasi che Egli le stia per dare la
vita eterna e la glorificazione definitiva. A questo scopo ultimo
tendono tutte le grazie a lei concesse, sia le prime che le ultime.
Ma per quanto forti siano gli impulsi dello Spirito Santo, l’assor­
bimento nella pienezza della beatitudine sarà possibile solo « al­
lorquando l’anima uscirà dalla sfera di questa vita mortale en­
trando nel centro dello spirito, ossia nella perfetta vita in Cristo ».
Si è parlato, poco sopra, anche di movimenti della fiamma.
Evidentemente questi non si possono attribuire a Dio, ma piut­
tosto all’anima, perché Dio è immobile, si ha solo l’impressione
che Egli si muova nell’ambito dell’anima. Gli splendori che
stiamo descrivendo si possono anche chiamare obumbrazioni, co­
me ha fatto l’Arcangelo Gabriele nell’annunciazione (Le. 1, 35).
Infatti il termine obumbrare o far ombra significa « proteggere,
favoreggiare, accordare dei benefici ». Appena l’ombra di una
persona cade su qualcuno, è segno che quella persona sta presso
di lui pronta a difenderlo e ad aiutarlo. Ora l’ombra proiettata
da una cosa corrisponde alla natura della cosa stessa. « Se la cosa
è opaca e oscura, fa un’ombra scura; se la cosa è trasparente e
sottile, fa un’ombra chiara e tenue».
Ecco perché le ombre proiettate dalle lampade divine sono
trasparenze luminose: la lampada della bellezza proietterà nel­
l’anima l’ombra di un’altra bellezza; la lampada della fortezza
quella d’un’altra fortezza, l’ombra della sapienza quella d’un’al-
tra sapienza. Per dirla in parole più chiare: la sapienza, la bel­
lezza e la fortezza di Dio sono circonfuse d’una zona d’ombra,
perché quaggiù l’anima non è ancora in grado di comprenderle
perfettamente. Siccome però queste ombre di Dio corrispondono
esattamente alla Sua Essenza e ai Suoi attributi, l’anima - sia
pure in ombra - vi riconosce chiaramente l’eccellenza di Dio.
L’Onnipotenza di Dìo, la Sua Sapienza, la Sua infinita Bontà
e la Sua Gloria l’attraggono nell’orbita « delle luminose e fiam­
meggianti ombre di quelle lampade accese e brillanti » che danno
modo all’anima di conoscere e gustare le sublimi doti di Dio.
Sicché essa intravvede e sperimenta tutte le inesauste ricchezze
inerenti all’infinita unità e semplicità dell’Essere divino. La cono­
scenza di una di esse non esclude né la conoscenza né il godi­
mento dell’altra; anzi, ogni bella caratteristica ed ogni eminente
virtù costituiscono una luce che svela sempre nuovi bagliori. La
228 Parte seconda - La dottrina della Croce

purezza della divina Sapienza fa sì che si intravvedano in essa


malte cose mentre se ne scorge solo una23).
Questo torrente di luce riempie « le profonde caverne del
senso » (« del senso mio Time caverne estreme »). Sotto tale qua­
lifica s’intendono le potenze delPanima, la memoria l’intelletto e
la volontà, « le quali sono tanto più profonde quanto più capaci
di accogliere grandi beni », Sicché non c’è che l’infinito, che sia
all’altezza di riempirle. Se hanno sofferto tanto allorché erano
vuote, altrettanto godono ora, che sono colmate da Dio. Esse non
hanno sentito il desolante vuoto della loro capacità comprensiva,
finché non sono state svuotate, depurate e rese immuni da ogni
attacco alle creature. Basta che la minima cosa resti loro appic­
cicata, per renderle così refrattarie e impenetrabili « da non sen­
tire la loro privazione, da non rilevare la mancanza di immensi
beni, da non conoscere la loro capacità... Pur essendo suscettibili
di accogliere tesori infiniti, basta il minimo intralcio a incepparle
in modo tale da non poterli assolutamente incassare... Quando in­
vece hanno ormai fatto il vuoto dentro di sé depurandosi da ogni
scoria, si accende in esse intollerabile e ansiosa la fame e la sete
del loro sentimento spirituale. Siccome queste caverne sono dotate
- per così dire - di uno stomaco molto profondo, esse sentono una
profonda pena, perché il cibo che loro manca è anch’esso quan­
titativamente ingente, dato che... si tratta di Dio stesso. Questa
sensazione (di fame e sete) si percepisce ordinariamente verso la
fine deirilìuminazione e purificazione deiranima... ». Quando l’ap­
petito spirituale è depurato da ogni cosa creata e da ogni affe­
zione ad essa; quando ha ormai perduto ogni traccia di tempra
naturale per adottare quella divina, esso ha già preparato il vuoto
necessario. Siccome però il fattore divino non le viene ancora
comunicato per via di unione, « esso prova dentro di sé, per que­
sto vuoto e questa sete, una sensazione di pena che è più crudele
della morte, specialmente quando, attraverso qualche fessura o
spiraglio, filtra sino a lui qualche raggio divino senza che Dio
gli si comunichi. In questa situazione sono le anime impazienti
e sitibonde d’amore, che non possono restare a lungo così, senza
ricevere o morire » 24).
La prima caverna è l’intelletto, il cui vuoto è provocato dalla
sete di Dio che anela alla Sapienza divina. La seconda caverna è
la volontà il cui vuoto è la fame di Dio, che anela alla perfezione

23) Ibid., Str. 3, V. 3 - Obras IV, 54 sgg. c 160 sgg.


24) Ibid., Commento alla Str. 3, V. 3 - Obras IV, 58 sgg. e 165 sgg.
///. La gloria della Risurrezione 229

dell’amor e. La terza caverna è la memoria, il cui vuoto è lo


struggimento anelante al possesso di Dio. Ciò che queste caverne
sono in grado di contenere è Dio. E Dio è profondo ed infinito,
sicché sotto un certo aspetto anche la loro capacità, la loro sete,
la loro fame saranno infinite; come pure il loro struggimento e
Ja loro sofferenza saranno una morte senza fine. Quantunque
questa sofferenza non sia cosi acuta come quella dell’altra vita, ne
offre però una vivida immagine, perché l’anima possiede già la
disposizione necessaria per accogliere dentro di sé la pienezza
della vita eterna. Tuttavia, dato che questa angoscia ha la sua
sede nell’amore, non trova sollievo. « Difatti, quanto è più grande
l’amore, tanto maggiore è l’impazienza che essa risente di posse­
dere Dio, verso il quale essa sospira ogni istante con nostalgica
bramosia »25).
Però, allorché l’anima desidera Dio per davvero, ormai pos­
siede realmente Colui che ama; per cui sembra non sia più su­
scettibile di alcun dolore. « Come il desiderio che hanno gli an­
geli di vedere il Figlio di Dio... (1 Pietr. 1, 12) è libero da qual­
siasi pena e da qualsiasi ansia, in quanto essi lo posseggono di
già... il possesso di Dio dà all’anima piacere e sazietà... Per cui
l’anima, in questo suo desiderio, dovrebbe provare tanto mag­
giore piacere e sazietà, quanto più intenso esso è, perché ormai
possiede Dio con tanta maggior validità e quindi non sente do­
lore e pena ».
Va qui rilevato però che esistono due modi di possedere Dio :
quello che si ha per via di grazia e quello che si ha per via di
unione. Tra queste due modalità esiste il rapporto che c’è tra
fidanzamento e matrimonio26). Nel fidanzamento si ha un mutuo
accordo; i fidanzati si fanno qualche visita, si scambiano regali;
ma la vicendevole comunicazione delle persone e la loro unione
si verifica soltanto nel matrimonio. Allo stesso modo, avvenuta
la purificazione dell’anima, la volontà di Dio e quella di lei si sono
fuse in un mutuo e libero consenso : essa possiede ora « tutto ciò
che si può ottenere per via di volontà e di grazia. Ciò vuol dire
che Dio ha risposto dando al sì dell’anima il suo proprio sì sin­
cero e totale, completo anche della grazia. Questo è un sublime
stato di fidanzamento dell’anima col Verbo, nel quale stato il

Ibid. - Gbras IV 59 sg. e 166 sg,


25)

Abbiamo già accennato precedentemente come il termine Fidanzamento


26)

non sia qui usato nella stretta accezione di fidanzamento mistico, come invece si
fa nel Cantico spirituale, Str. 13 e 14 - Obras III, 63 sgg.
230 Parte seconda - La dottrina della Croce

fidanzato le fa dei grandi regali, la visita spesso amorosissima­


mente..* ».
E’ un fatto però che tutto quanto le viene dato in materia
di sublimi favori spirituali, non ha niente a che vedere con il
matrimonio spirituale e mistico: si tratta soltanto di preparativi
preliminari. Per arrivare ad esso, ci vuole non solo la purifica­
zione da ogni attaccamento alle creature, ma anche la preparazio­
ne prossima a mezzo di visite e regali, affinché essa - facendosi
sempre più bella, più pura e più spiritualizzata - sia resa dav­
vero degna d’una unione così sublime. Questa fase per certuni
dura di più, per altri meno.
La preparazione prossima viene operata dalle unzioni dello
Spirito Santo. Quando tali unzioni « sono molto generose ed ele­
vate... le ansie delle caverne dell’anima tendono ordinariamente
a farsi molto acute e penetranti... Infatti, siccome queste unzioni
balsamiche sono ormai dei mezzi dispositivi prossimi all’unione
con Dio, perché più vicini a Lui e continuamente in atto ad
allettare e ad ingolosire l’anima della Sua venuta, il desiderio che
la punge è più acuto e profondo; il desiderio di Dio è anch’esso
una disposizione per unirsi a Lui » 2?).
Le unzioni dello Spirito Santo « sono così sublimi e tenere,
che penetrano sin nel più profondo intimo dell’anima..., facen­
dola sciogliere in dolcezza; cosicché la sofferenza e il deliquio
prodotti dal desiderio e dal vuoto pauroso di queste caverne è
quasi infinito ». Quanto più raffinata sarà stata la preparazione,
tanto più pieno sarà nel matrimonio spirituale il possesso e il
godimento del suo senso. « Per senso dell’anima s’intende qui la
capacità e la forza, che la sostanza deH’anima ha in sé, di sentire
e godere gli oggetti delle sue potenze spirituali; d’altronde è per
loro tramite che essa gusta la sapienza, l’amore e le altre comu­
nicazioni di Dio ». L’anima chiama le sue facoltà « profonde ca­
verne del senso », perché mediante esse e in esse ella sente, bean­
dosi profondamente, la sublimità della sapienza e delle perfezioni
di Dio. « Avvertendo che in esse sono contenute profonde no­
zioni e bagliori di lampade accese, essa riconosce di avere in
sé tante capacità e tanti anfratti suscettibili di ospitare altrettante
nozioni distinte costituite da conoscenze, sapori, godimenti, pia­
ceri ecc., riferentisi a Dio». Come il senso comune della fantasia
funziona da deposito e da archivio per le forme e le figure dei

27) Ibtd. Commento alla Strofa 3, V. 3 - Obras IV, 60 sgg. e 167 sgg.
HI. La gloria della Risurrezione 231

sensi corporei, « così il senso comune dell’anima, divenuto quasi


un ricettacolo e un archivio per le grandezze di Dio, sarà tanto
più illuminato e fornito, quanto più materiale avrà raccolto in
questo altissimo e sfolgorante possesso » 28).
Per l’addietro il senso era oscuro e cieco; lo era prima che
Dio lo illuminasse rischiarandolo. L’occhio del corpo è impossi­
bilitato a vedere o perché immerso nel buio o perché cieco. Così
succede anche all’anima, che - malgrado sia fornita di acutissima
potenza visiva - non riesce a discernere nulla se Iddio, sua luce,
non la illumina. Reciprocamente: se l’occhio spirituale dell’a-
nima è accecato dal peccato o dalla bramosia di qualche creatura,
la luce divina lo investe sì, ma invano. Essa non avverte affatto
la sua oscurità, vale a dire la sua ignoranza.
Bisogna però distinguere tra la tenebra; del peccato e Voscu­
rità, che è un’ignoranza non colpevole delle cose naturali o so­
prannaturali. Prima deirunione, il senso dell’anima era anch’es-
so immerso nel buio e sotto un duplice aspetto. In primo luogo
perché sino al momento in cui il Signore non ebbe proferite le
parole: «Fiat lux», le tenebre aleggiavano sopra l’abisso caver­
noso costituito dal senso deH’anima. E quanto più abissali sono
il senso e le sue caverne, tanto più fìtte e nere sono le tenebre in
cui questo naviga nei confronti delle cose soprannaturali, dato
che Dio - unica sua luce - non lo illumina ancora. Esso è impos­
sibilitato ad innalzare il suo sguardo verso la luce; e non può
nemmeno immaginarsela, perché non sa come sia. E non aven­
dola mai vista, non può neppure nutrirne il desiderio, anzi, con­
tinuerà a desiderare le tenebre, perché quelle sa come sono. Una
volta però che Iddio avrà concesso all’anima la luce della grazia,
allora Tocchio del suo spirito sarà illuminato e conseguentemente
si aprirà alla luce divina. E allo stesso modo che, nella fase ante­
cedente, un abisso di tenebre ne richiamava un altro (Salmo 18, 3),
ora un abisso di grazia ne richiama un altro, invocando la tra­
sformazione dell’anima in Dio. Adesso la luce di Dio si fonde
in un composto unico con la luce dell’anima, la luce naturale
dell’anima si combina con la luce soprannaturale di Dio, per cui
risplende soltanto quella soprannaturale.
Il senso dell’anima era cieco - in secondo luogo - anche per­
ché si beava di qualcosa di diverso da Dio. La tendenza appetitiva
si frapponeva come una cateratta o una nube, oscurando l’occhio
della ragione; così esso risultava cieco per le sublimi bellezze e le

2S) Ibìd. Commento alla Strofa 3, V. 3 - Obras IV, 83 sg. e 194 sg.
232 Parte seconda - La dottrina della Croce

inesauribili ricchezze di Dio. La minima cosa messa davanti al­


l’occhio, è sufficiente ad annullare la vista degli oggetti giacenti
in secondo piano, per grandi che siano. Ecco perché basta il più
lieve appetito a bloccare nell’anima la visione delle magnificenze
divine. In tale condizione, « l’occhio del giudizio razionale » vede
soltanto quella nuvoletta, ora d’un colore ora d’un altro, a seconda
di come quella gli si presenta; arriva persino a scambiarla per
Dio, semplicemente perché quella aderisce al senso; ma Iddio
non cade sotto il dominio dei sensi. Gli uomini dunque che non
sono ancora del tutto liberi da impulsi e tendenze appetitive, de­
vono convincersi una buona volta di avere completamente fal­
sata la loro capacità giudicativa. Essi infatti ritengono grande ciò
che per lo spirito è volgare e insignificante, ma accontenta i sensi;
mentre fanno ben poca stima di ciò che per lo spirito è davvero
sublime e consistente, ma dice ben poco ai sensi. Nell’uomo ani­
male, vale a dire in colui che vive completamente in balla dei
suoi istinti e delle sue voglie naturali, anche i desideri che sboc­
ciano dallo spirito si degradano al livello naturale. Persino il fatto
che l’anima aneli a Dio non è sempre il prodotto di un desiderio
soprannaturale: lo è soltanto allorché Iddio infonde questo desi­
derio e lo corrobora.
Così il senso dell’anima, con tutte le sue tendenze ed affe­
zioni, era oscuro e cieco29). Ora invece esso è tutto illuminato
dalla luce derivante dall’unione soprannaturale con Dio. Diremo
di più: è ormai come trasformato in una sfolgorante luce, insie­
me con tutte le sue facoltà, tanto da essere ad un punto in cui
« Con mirabil valore
«Al caro Ben dan caldo e luce insieme».

Le caverne delle potenze dell’anima sono invase ormai dai


fiotti di luce delle divine lampade. Ardono anch’esse, riverbe­
rando in amorosa beatitudine lo sfavillìo ricevuto da Dio di nuo­
vo su Dio - come il cristallo che rifrange i raggi del sole cadenti
su di esso - ma in modo ancor più vivido, perché v’interviene la
volontà. Tutto ciò avviene in una maniera più unica che rara:
una maniera che sorpassa ogni concezione ordinaria e che sfugge
ad ogni tentativo di esprimerla a parole. Data la sovrabbondanza
con cui l’intelletto unito a Dio riceve la sapienza, non desta me­
raviglia che esso la rifletta. E data la perfezione con cui la volon-

2S) ìbid.j Str. 3, V. 4 - Obras IV, 84 sgg. e 195 sgg.


I1L La gloria della Risurrezione 233

tà è unita alla bontà di Dio, essa finisce per riverberarla ancor


su Dio in Dio.
L’anima infatti riceve soltanto per ridonare: tutta la luce e
tutto il calore amoroso datole dairÀmato, viene da lei ridato a
Lui. Mediante la sua trasformazione essenziale, essa è divenuta
quasi un’ombra di Dio, « sicché ormai ella fa in Dio per Dio
ciò che Egli opera dentro di lei per conto suo, e nello stesso modo
con cui lo opera Lui... Conseguentemente, come Dio le si dona
con libera e gratuita volontà, anche la di lei volontà - tanto più
libera e generosa quanto più strettamente unita a Dio - arriva al
punto di ridonare a Dio proprio Dio stesso, in Dio... L’anima
vede che ora Dio è veramente suo, che lo possiede a titolo eredi­
tario con proprietà di diritto, data la sua qualità di figlia adot­
tiva di Dio... Essendo Egli dunque sua proprietà, può disporne
come crede... Ed ecco che Lo offre al suo Amato, che è poi lo
stesso Dio donatosi a lei... Essa sperimenta una gioia e un con­
tento indicibile constatando di essere in grado di dare a Dio
qualcosa di suo proprio, ma realmente proporzionato all’Essere
infinito di Lui... Dio si sente pienamente ripagato da questo dono
dell’anima - con meno non potrebbe dirsi soddisfatto - per cui
lo accetta con gradimento, come cosa strettamente personale offer­
tagli dall’anima; nelhatto di questa donazione, essa Lo ama quasi
con uno slancio nuovo, ed Egli rinnova all’anima il volontario
dono di se stesso... Così, tra Dio e l’anima si è venuto a creare
un amore reciproco, fondato sull’unione e sul mutuo abbandono
matrimoniale, in cui i beni di entrambi, costituiti dall’essenza di­
vina e posseduti liberamente da ciascuno per via della vicende­
vole donazione dell’uno all’altro, sono ormai proprietà unica di
ambedue...
E’ proprio una grande soddisfazione e felicità per l’anima il
constatare di riuscire a donare a Dio più di ciò che essa è e vale
in se stessa, visto che in questo munifico atto di donazione essa
offre a Dio Lui stesso, divenuto sua proprietà personale... Ciò si
verifica nell’altra vita mediante il lume della gloria, in questa
mediante la fede giunta al più alto grado d’illuminazione. In
questo modo, le profonde caverne del senso « con mirabil valore
- al caro Ben dan caldo e luce insieme ». Insieme - dice - ossia
congiuntamente, perché all’anima si comunicano contemporanea­
mente il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, suscitando in lei luce
e fuoco amoroso.
L’amore tra Dio e l’anima è d’una perfezione davvero straor­
dinaria, e tale è anche il piacere che essa vi trova, nonché la
234 Parte seconda - La dottrina della Croce

lode e la riconoscenza che essa canta a Dio. « L’anima in questo


momento ama Iddio, non di sua iniziativa ma tramite Dio stes­
so... : attraverso io Spirito Santo, come il Padre ama il Figlio...».
Inoltre, Tanima ama Iddio in Dio : « in questa appassionata e
veemente unione, l’anima viene assorbita all’amor di Dio, ed Egli
si abbandona all’anima con possente slancio ». Infine « l’anima
ama Iddio per se stesso; non lo ama soltanto perché Egli è libe­
rale, buono e gloriosamente munifico nei suoi confronti, ma molto
più intensamente, perché Egli riunisce essenzialmente in sé tutte
queste prerogative ».
Il godimento che l’anima sperimenta è così intenso, appunto
perché si tratta di un godere Dio mediante Dio stesso. L’anima,
infatti, adesso tiene l’intelletto in contatto permanente con l’on­
nipotenza, la sapienza e la bontà di Dio; e sebbene questo fatto
non si realizzi quaggiù con la cristallina trasparenza propria del­
l’altra vita, la gioia ch’essa prova in tutte le cose da lei intese or­
mai così nettamente, è immensa. Va aggiunto poi, che Tanima
trova il suo piacere unicamente in Dio, senza che vi si immischi
più alcun’altra creatura. Ora, essa gusta Dio quale è in se stesso,
senza dover lamentare inframmettenze di soddisfazione personale.
La lode che l’anima canta a Dio è caratterizzata dal fatto
che essa Gliela tributa per dovere, conscia di essere stata da Lui
creata appunto per lodarlo e glorificarlo. Essa Gli canta un inno
dì gratitudine sia per i tesori di grazia di cui è stata ricolmata, sia
per il delizioso trasporto che prova nel lodarlo. Infine essa Lo
magnifica soprattutto per quello che Egli è in se stesso : « infatti,
anche dato il caso che l’anima non ne ricavasse alcun piacere, Lo
loderebbe egualmente soltanto perché è Lui » 30).

d) Vita amorosa nascosta.


« Quanto dolce e amoroso
« Ti svegli entro il mio seno,
« Ove in segreto e solo hai tua dimora!
« Il tuo aspirar gustoso,
« Di beni e gloria pieno,
« Quanto soavemente m’innamora!

L’anima parla d’un meraviglioso effetto delPattività di Dio,


ch’essa a volte risente in se stessa. Si presenta al suo sguardo l’im­
magine di qualcuno che si svegli dal sonno e si metta a respirare,

30) Fiamma viva, fine del comm. alla Str. 3 - Obras IV, 88 sgg. e 199 sgg.
1IL La gloria della Risurrezione 235

data Firn pressione che ha di assistere al verificarsi in lei d’un


fenomeno simile.
« Dio ha molte maniere di far sentire il suo risveglio nell’a­
nima; tanto numerose, che se volessimo accingerci a contarle,
non la finiremmo più. Ma il risveglio cui l’anima allude in questo
momento, operato dal Figlio di Dio, si presenta come uno dei
più sublimi e maggiormente benefici. Esso è infatti un movimento
provocato dal Verbo nella sostanza dell’anima, ed è insignito di
tanta grandezza, maestà, gloria e intima soavità, da dare all’anima,
l’impressione di sentir spargersi ed alitare tutti i balsami, le
essenze aromatiche e i fiori del mondo... Le sembra quasi che
tutti i regni e gli imperi del mondo, tutte le potenze e virtù del
cielo si mettano in moto... che addirittura tutte le virtù, le sostanze,
le perfezioni e le attrattive di tutte le cose create brillino insieme,
partecipando allo stesso movimento, concentrandosi in queU’unico
punto...
Ne consegue che movendosi dentro l’anima questo grande
Sovrano, che porta sulle spalle il triplice dominio dell’universo
[il cielo, la terra e il regno infernale], tutto sostenendo con la
sua onnipossente Parola, sembra quasi che tutto si metta al
passo con Lui: esattamente come seguono il movimento della
terra tutte le cose esistenti su di essa, quasi fossero un nulla...
Questo paragone è per altro assai improprio, perché nel
caso nostro le cose non solo sembrano muoversi, ma per di più
scoprono anche le bellezze del loro essere, la loro energia, le loro
attrattive e il loro fascino, nonché la radice ultima della loro
sussistenza e della loro vita. Adesso l’anima comprende come
tutte le creature, sia dell’ordine superiore che di quello inferiore,
traggano la vita, la forza e la consistenza da Lui...; essa, però,
capisce anche quanto Iddio sorpassi queste cose, riassumendole
tutte nella sua infinita eminenza: per cui arriva a conoscerle
meglio nel Suo Essere, che non in quello contingente di ciascuna
di esse. E’ appunto questa la immensa gioia suscitata dal grande
risveglio: conoscere le creature attraverso Dio, non Dio attra­
verso le creature.
...Come questo movimento si verifichi nell’anima, dato che
Dio è immobile, è un fatto che suscita meraviglia. Quantunque
Iddio in realtà non si muova affatto, sembra all’anima che Egli
si muova. Rimessa com’è a nuovo e mossa da Dio a contemplare
questa visione soprannaturale, scoprendo sotto un aspetto così
nuovo quella vita divina, che include l’essere, l’armonia di tutte
le creature e i loro movimenti in Dio, essa ha la netta impressione
236 Parte seconda - La dottrina della Croce

che sia Dio a muoversi, giungendo a dare alla causa il nome


dell’effetto da essa prodotto... ». Questa è anche la situazione in
cui si trova Tanima al momento del suo risveglio dal sonno della
visuale naturale al mondo del soprannaturale.
« A mio avviso, questo risveglio e questo cambiamento iute-
graie di prospettiva dell’anima si verifica nel seguente modo.
Trovandosi l’anima sostanzialmente inclusa in Dio - come ogni
altra creatura del resto - Egli acconsente a strappare alcuni dei
numerosi veli e cortinaggi che le fanno schermo dinanzi agli
occhi impedendole di poterlo vedere tal quale è. Allora traspare
qualcosa e si riesce a intravvedervi oscuramente (perché i veli
non sono stati eliminati tutti) quel Suo volto pieno di grazia, il
quale - essendo continuamente in attività, dedito a muovere tutte
le cose con la Sua energia virtuale - appare alla vista indissolu­
bilmente legato a ciò che sta facendo, dando l’impressione di
un’oscillazione in moto continuo, per via delle creature che si
muovono in Lui e di Lui che si muove nelle creature. Sicché
all’anima sembra sia stato Lui a muoversi e a svegliarsi, mentre
in realtà è lei ch’è stata mossa e risvegliata. E* un fatto, che gli
uomini attribuiscono a Dio ciò che invece sta avvenendo dentro
di loro. Sono essi gli addormentati e gli indolenti; ma dicono a
Dio di svegliarsi e alzarsi, mentre Iddio non dorme mai... Sic­
come però ogni bene proviene realmente da Dio, e l’uomo per
conto suo non è capace di far nulla di buono, è pur tuttavia con
una certa aderenza alla verità che si qualifica il nostro risveglio
come un risveglio di Dio, la nostra levata come una levata di
Dio... Dato che l’anima era immersa in un sonno dal quale non
avrebbe giammai potuto risvegliarsi di sua propria iniziativa,
perché solo Dio era all’altezza di aprirle gli occhi provocandone
il risveglio, a buon diritto chiama quest’operazione un risveglio
di Dio...
E’ assolutamente inesprimibile ciò che l’anima conosce e
sente al momento del risveglio della maestosa gloria di Dio.
Questa sovrana eccellenza si comunica nella sostanza stessa del­
l’anima (che essa chiama il suo seno\ manifestandosi con forza
strapotente, con la voce « di mille e mille virtù divine impossibili
da enumerare.
L’anima si ritrova là, immobile in mezzo ad esse, terribile
e ferma come un esercito schierato in battaglia, eppur nello
stesso tempo ricolma della soavità e del fascino dì tutte le crea­
ture ».
III. La gloria della Risurrezione 237

Il fatto che l’anima, pur nella debolezza della carne, durante


questo sublime risveglio non venga meno e non crolli per la
paura, trova una spiegazione unicamente nella fortunata coinci-
denza che ora l’anima si trova già in uno stato di perfezione.
La sua componente inferiore è pienamente purificata e sintoniz­
zata allo spirito, così da non provare più il disagio e la sofferenza
che pativa prima, durante le comunicazioni spirituali. A questo
si aggiunga poi che Dio si mostra nei suoi riguardi « blando e
pieno di premure amorose». Egli si preoccupa che Tannila non
subisca alcun danno, proteggendone l’involucro naturale, in con­
comitanza con l’effusione della sua possente vitalità. Ecco perché
l’anima percepisce in Dio tanta mitezza e affettuosità, quanta
potenza, gloria e maestà. Più il suo rapimento estatico è forte,
più è forte anche la difesa protettiva fatta di mansuetudine e di
amorevolezza largitale da Lui per sopportare questo potente
gaudio. Così Tanima si rafforza e irrobustisce anziché precipitare
in un collasso. Il Re dei Cieli si comporta nei suoi confronti come
un collega e come un fratello. Scende dal suo trono, si china
su di lei e la abbraccia, rivestendola di abiti regali, ossia con le
meravigliose virtù di Dio; la avvolge nello splendore dell’amore,
facendo scintillare in lei come pietre preziose le conoscenze delle
sostanze superiori e inferiori31).
Tutto questo lavorìo si attua nel più profondo intimo dell’a-
nima - nella sua sostanza, dice S. Giovanni - dove Egli «in
segreto e solo ha sua dimora ». E’ vero che Iddio abita misterio­
samente nascosto in ogni anima, diversamente esse non potreb­
bero sussistere. Ma in alcune Egli vi abita da solo, in altre invece
tutt’altro che solo; in quelle risiede con piacere, in queste malvo­
lentieri. In alcune dimora come a casa sua, organizzando e diri­
gendo ogni attività; in altre come un estraneo, cui non si per­
mette né di comandare né di fare assolutamente nulla. L’anima
meno imbrigliata da brame e tendenze soggettive sue proprie è
quella in cui Egli resta davvero padrone unico e incontrastato
come a casa propria, trattenendovisi tanto più nascosto quanto
più è solo. Dentro un’anima libera da ogni conato appetitivo,
spogliata da ogni forma e figura, da ogni altra affezione alle
creature, Egli abita nel più profondo segreto, nel più stretto
abbraccio affettuoso. Non c’è né demonio né intelletto umano
che sia alTaltezza di capire quanto vi sta avvenendo. AlTanima
giunta a questo stadio di perfezione, però, la cosa non rappresenta

31) IbidStr. 4, V. 1 e 2 - Obras IV3 93 sgg. e 204 sgg.


238 Parte seconda - La dottrina della Croce

più un segreto, perché oramai essa sente contìnuamente in sé la


stretta di questo abbraccio. Sussiste tuttavia ancora una distin­
zione: quella data dal sonno e dal risveglio. Avviene talvolta che
l’Amato sembri dormire nel suo seno, rendendo impossibile ogni
mutua effusione amorosa ed ogni scambio di conoscenza; poi
invece sembra si risvegli...
Felice Tanima che sente sempre Iddio rilassarsi e riposare nel
suo seno! Essa deve mantenersi in stato di imperturbata tran­
quillità, in modo da non disturbare l’Amato col minimo movi­
mento o rumore. Se Egli si mantenesse sempre sveglio dentro di
lei, effondendole i fiotti delle sue conoscenze e dei suoi amori, essa
si troverebbe ormai immersa nello stato di gloria.
Nelle anime non ancora giunte a questo stato di unione, Egli
vi resta per lo più in segreto. Esse ordinariamente non lo sentono
se non nei momenti in cui è Lui a svegliarle, eccitandole piace­
volmente. Tali sprazzi di risveglio però sono di tempra diversa
da quella che si sperimenta nello stadio unitivo. Inoltre il feno­
meno non resta così irrangiungibile al demonio e alla ragione
umana come lo è invece queiraltro, perché in tali anime tutto
non è ancora ben spiritualizzato; vi si possono infatti ancora
rintracciare degli impulsi sregolati di sensualità. Mentre nel
risveglio provocato dallo Sposo in persona dentro l’anima perfetta,
tutto ciò che avviene è perfetto, perché è Lui che fa tutto. Il
risvegliarsi e il respirare deH’anima assomiglia a quello di un
uomo che si desta e s’empie i polmoni; essa percepisce in questo
istante l’aspirazione di Dio32). Allora esclama:
« Di beni c gloria pieno
« Il Tuo aspirar gustoso
« Quanto soavemente m’innamora! ».

Di questa aspirazione di Dio non vorrei e non voglio assolu­


tamente parlare, perché vedo chiaramente che non riesco ad
esprimerla : finirebbe per apparire molto inferiore alla realtà,
se mi mettessi a parlarne. E’ una aspirazione operata da Dio; in
quel risveglio della sublime conoscenza della Divinità, è lo
Spirito Santo stesso che avvia e muove il ritmo aspirativo del­
l’anima; e in proporzione alla conoscenza intellettiva con cui
essa sprofonda nello Spirito Santo, viene anche tenerissimamente
infiammata d’amore, ad un grado corrispondente appunto a
quanto ella ha veduto in Dio. Siccome questa aspirazione è piena

32) lbìd. Str. 4, V. 3 - Obras IV, 100 sgg. e 21*0 sgg.


}
III. La gloria della Risurrezione 239

di grazia e di magnificenza, lo Spirito Santo la ricolma di felicità


e beatitudine. Essa allora si sente rapita fuor di sé per l’amore,,
sino a venire assorbita in modo inimmaginabile e inesprimibile,
dentro il profondo abisso di Dio. Per cui a questo punto inter­
rompo il mio lavoro » 33).

e) Originalità della Fiamma Viva d'Amore nei confronti


degli scritti antecedenti.

Se la sensazione d’impossibilità di fronte all’indicibile ha


imposto il silenzio al nostro Santo, come potremmo noi osare
aggiungere alle sue parole un commento qualsiasi? Dovremmo
soltanto ringraziarlo di averci dato modo di gettare uno sguardo
su un terreno meraviglioso, su questo paradiso terrestre che con­
fina con quello celestiale. Tuttavia dobbiamo sforzarci di met­
tere in relazione quanto egli d ha rivelato qui, con quello che ci
è già noto. E’ l’amore verso le anime che gli ha schiuso le labbra :
egli vuole infonder loro coraggio, incitandole ad incamminarsi
sulla dura Via Crucis, la strada erta e stretta, ma che va a sboc­
care su l’altura così luminosa e beatificante. In questa constata­
zione possiamo dire condensate le ragioni di stretta interdipen­
denza esistenti tra la Fiamma Viva d'Amore e gli altri due scritti
che avevano per oggetto la via della Croce: la Salita e la Notte.
Un vero e proprio studio comparativo del pensiero in esse con­
tenuto sarebbe possibile soltanto nel caso che noi fossimo in
possesso delle parti andate perdute o mai scritte di entrambe le
opere precedenti. A buon conto possiamo pur sempre affermare
questo: stando ai numerosi accenni e alle allusioni all’unione,
reperibili in diversi punti di ambedue quegli scritti, si ricava
la netta impressione di assistere al formarsi d’una nuova espe­
rienza.
La posizione fondamentale continua sempre ad essere la
stessa: per raggiungere l’unione non esiste altra via che quella
passante attraverso la croce, la notte, la morte dell’uomo vecchio..
D’altro canto non bisogna però nemmeno sottovalutare, in se­
guito a questo, ciò che è stato ripetutamente sottolineato: che il

33)Fine della Fiamma viva - Obras IV, 102 c 213.


Quesdultima parte del commento (alla 4a strofa) si basa probabilmente
su una seconda stesura, che è tradotta nel testo tedesco, ma ha molte varianti
daH’Edìz. Burgos (N.d.T.).
240 Parte seconda - La dottrina della Croce

Poeta commentatore della Notte oscura, al momento in cui scri­


veva, era già arrivato all’unione. La quale unione tuttavia sem­
brava verihcarsi nella notte* anzi sulla croce. Fino a che punto
il cielo possa spalancarsi all’uomo sin da questa vita* pare che il
Santo lo abbia sperimentato felicemente soltanto più tardi.
Anche le fortune, diciamo così, letterarie di quest’ultimo suo
scritto sono state molto più felici di quelle dei due precedenti.
Con questo non si vuol dire soltanto che esso è arrivato alla
conclusione e ci è stato tramandato come un tutto unitario. Se gli
altri trattati sono realmente rimasti incompiuti - abbiamo a bella
posta lasciato la questione aperta - la ragione va forse ricercata
nel fatto che il commento esplicativo è stato scritto in un secondo
tempo, in una data e in uno stato d’animo diversi da quello in
cui fu redatto il rispettivo poema. Salita e Notte hanno un carat­
tere molto più accentuatamente didattico che non il commento
alia Fiamma Viva. Il pensatore si trova davanti alla composizione
poetica, che costituisce il condensato della sua esperienza origi­
naria, come davanti a qualcosa di estraneo e staccato; in ogni
caso, come davanti ad un dato puramente oggettivo e realistico.
E la preoccupazione di spiegarne razionalmente i concetti fon­
damentali, le immagini e i motivi conduttori lo trascina così
lontano, che la sua intenzione primitiva di commentare il poema
strofa per strofa e verso per verso, nella Salita, è stata lasciata
cadere quasi subito, mentre nella Notte rispunta a guida tematica
solo nel corso avanzato dell’opera.
Nella Fiamma Viva invece, poesia e commento formano una
stretta unità. Il fatto che tra la stesura dell’una e dell’altro sia
intercorso qualche intervallo di tempo, non ne sminuisce affatto
l’unitarietà, anzi: Giovanni ha esitato a iniziare la spiegazione
proprio perché gli era sembrato un lavoro inestricabile per l’in-
telletto umano. Vi si era finalmente deciso quando la fiamma
viva d’amore era nuovamente esplosa in lui, inondandolo di luce
celestiale. Ciò che poco prima aveva scritto gli si presentò un’altra
volta, in tutta la sua profondità. Così gli venne alla penna, senza
sforzo, la stretta e ben aderente connessione che lo sviluppo del
pensiero presenta con le quattro strofe. L’unità di questo armo­
nico complesso è rotta soltanto in un punto, da una energica di­
gressione polemica contro i direttori spirituali ignoranti34).

34) Fiamma viva, commento alla Str. 3, V. 3 - E. Crii. Ili, 444 sg. Noi

.abbiamo qui omesso tale digressione per non spezzare il contesto. Essa però verrà
(Utilizzata nella IIIU Parte del presente lavoro.
IlL La gloria della Risurrezione 241

Tolta questa parentesi, l’opera è tutta di getto, permeata di


afflato poetico e mistico da principio alia fine come nessun’altra.
Dalla sovrabbondanza di luce che la pervade, gliene deriva anche
una spiccata proprietà stilistica. Il Santo è sempre vissuto nel
mondo della S. Scrittura. Figure e paragoni desunti dalla S.
Scrittura vi affiorano dappertutto correntemente, ed egli ha sem­
pre fatto volentieri ricorso ad essi per assicurare e confermare
mediante il verbo scritturale ciò che la sua esperienza personale
gli andava insegnando. Ma qui la concordanza tra la sua espe­
rienza, la Parola divina rivelata e i dati della Storia Sacra è
particolarmente accentuata35).
Si tocca con mano come per il Santo i veli si vadano solle­
vando ad uno ad uno, così da rendergli tutto quanto limpido e
trasparente per lumeggiare bene le segrete relazioni intercorrenti
tra Dio e l’anima. Ciò che allo sguardo annebbiato d’un lettore
ordinario è soltanto un avvenimento qualunque, egli sa leggerlo
come evidente espressione allusiva ad un fenomeno mistico. Ci­
tiamone solo un esempio. Mardocheo, che aveva salvato la vita
al re Ahasvero, per Giovanni rappresenta l’anima che serve al
Signore con fedeltà, senza riceverne nulla in compenso. Arriva
però il momento in cui essa, «come un dì Mardocheo, viene
ricompensato di tutte le sue fatiche e di tutte le sue prestazioni.
Non solo essa viene autorizzata ad entrare aH’interno del palazzo
e a comparire davanti al re in abiti regali, ma riceve anche il
diadema, lo scettro, il trono e persino l’anello del re, in modo
da poter fare tutto ciò che vuole nel regno del suo Sposo »36).

2. - Il canto nuziale delPanima.

a) Il Cantico Spirituale e i suoi rapporti con gli altri saetti


di S. Giovanni della Croce.
Quando Giovanni parla dell’unione dell’anima con Dio, gli
vengono spontaneamente alle labbra, in tutti i suoi scritti, le
parole del Cantico dei Cantici. Ma nei giorni in cui la sua anima

35) La nostra esposizione del contenuto della Fiamma viva ne offre soltanto

una pallida idea, perché del forte quantitativo di citazioni cd esempi scritturali
ne abbiamo allegati ben pochi (come abbiamo fatto anche negli altri scritti, del
resto). Chi vuol formarsene un concetto esatto deve prendere in mano lui stesso
le opere del Santo.
36) Fiamma vit/a, comm. alla Str. 2, V. 5 - Obras IV, 43 e 149 sg. - Libro

di Ester, 4, 1 sgg.

16. - Sdentici Crucis.


242 Parte seconda - La dottrina della Croce

si trova ad essere profondamente scossa sotto le raffiche di inni>


merevoli dolori e nello stesso tempo di gioie amorose - durante i
lunghi mesi della sua prigionia a Toledo - il primordiale eterno
epitalamio sboccia in forma tutta nuova dal suo cuore.
Ci è stato trasmesso in due redazioni diverse, le cui varianti
rivestono per noi una grande importanza.

CANCIONES ENTRE EL ALMA STROFE DEL CANTICO


Y EL ESPOSO TRA L’ANIMA E LO SPOSO

I. (37) 1.
Esposax Sposa:
1. 1.
d Adónde te escondiste, Ah! dove ti celasti,
Araado, y mi dejaste con gemido? Me in gemiti lasciando, o mio Dilet-
Como el ciervo huiste, Come cervo n’andasti; [to?
Habiéndome herido; Piagata io mi trovai:
Sali tras ti clamando, y eras ido. T’uscii dietro, eri gito, e invan gridai.

2, 2.
Pastores, los que fuerdes Pastori, o voi che andrete
Alla por Ias majadas al Otero, Lungo i vostri recinti all’alto Monte,
Si por ventura vierdes Se per sorte vedrete
Aquel que yo mas quiero, Chi più d'ogni altro adoro,
Decidle que adolezco, peno y muero- Ditegli che languisco e peno e moro.

3. 3.
Buscando mis amores, Cercando il caro amore,
Ire por esos montes y riberas, Andrò per questi monti e queste spon-
Ni cogeré las flores, Né coglierò mai fiore, [de,
Ni temere las fieras, né temerò di fiere,
Y pasaré los fuertes y frontcras. E passerò li forti e le frontiere.

Pregunta a las criaturas: Domanda alle creature:


4. 4.
jOh, bosques y espesuras, O folte selve oscure,
Plantadas por la mano del Amado! Qui con sua man dal caro Ben pian-
|Oh, prado de verduras, O voi prati, o verdure [tate,
de flores esmaltado, Di vaghi fior vestite,
Decid si por vosotros ha pasado! Se il suo bel pié per voi passò, mi
[dite!

37) I numeri romani I - II - III sono stati aggiunti soltanto nella seconda
redazione.
HI. La gloria della Risurrezione 243

Respuesta de las criaturas: Risposta delle creature:

5. 5.
Mil gracias derramando, Mille grazie versando,
Paso por estos sotos con presura, Passò per queste selve, agile e snello;
Y yéndolos mirando, Mentre le andò mirando,
Con sola su figura Solo col suo bel volto
Vestidos los dejó de hermosura. Fé’ ch’ogni bel rimase in esse accolto.

Esposa: Sposa:

6. 6.
Ay, quién podrà sanarme! Ahi! chi potrà sanarmi?
Acaba de entregarte ya de vero, Deh! tutto invero a me ti stringi e
No quieras enviarme Non voler inviarmi [dona;
De hoy màs ya mensa)ero, Più messaggeri, quando
Que no saben decirme lo que quiero. Non mi sanno essi dir quel che di-
[mando.

7, 7.
Y todos cuantos vagan, Ciascun che in te s’appaga,
De ti me van mil gracias refiriendo, Di te mille bellezze a me descrive;
Y todos mas me llagan, E ciascun più m’impiaga,
Y déjame munendo E mi sembra morire,
Un non sé qué que quedan balbu­ Sentendo un non so che, che non
tendo. [san dire.

8. 8.
Mas, i corno perseveras, Vita, e tu reggi ancora,
Oh vida, no viviendo donde vives, Se vivere non puoi dove tu vivi,
Y haciendo porque mueras, Bastando, onde tu mora,
Las flechas que recibes I dardi che hai nel seno,
De lo que del Amad'o en ri concibes? Per solo quel che in lui comprendi
[appieno?

9. 9.
jPor qué, pues has llagado Perché, se tu piagato
Aqueste corazón, no le sanaste? Hai questo cor, tu sano a me noi
Y pues me le has robado, E già che l’hai furato, [rendi?
,iPor qué asi le dejaste, Tal perché lo lasciasti,
Y no tomas el robo que robaste? Senza teco portar quel che rubasti?

10. 10.

Apaga mis enojos, Smorza mie pene; sei


Pues que ninguno basta à deshacellos, Quel solo tu che in me calmar le
Y véante mis ojos, Te veggan gli occhi miei; [puote,
Pues eres lumbre dellos, Ché lor sei lume e face,
Y sólo para ti quiero tenellos. E per te solo aprirli or a me piace.
244 Parte seconda - La dottrina della Croce

11.38) 11
Descubre tu presencia, Scopri la tua vezzosa
Y materne tu vista y hermosura; Faccia, e tua vista e tua beltà
Mira que la cloìencia Solo può l’amorosa [m’uccida.
De amor, que no se cura Sanar doglia sì dura
Sino con la presencia y la figura. Del caro Ben l’aspetto e la figura.

11 (12). 11 (12).
jOh, cristalina fuente, 0 fonte cristallina,
Si en esos tus sembiante? plateados, Se tra queste tue immagini d’argento
Formases de repente Formassi repentino
Los ojos deseados, 1 cari occhi bramati,
Que tengo en mis entranas dibujados! Che stanmi in cor, ma sol confusi e
[ombrati!

II. II.
12 (13). 12 (13).
Apartalos, Amado, Deh! gli allontana, Amato,
Que voy de vuelo. ch’io passo e volo...

Esposo : iSposo :
Vuélvete, paloma, Ah! mia colomba, torna;
Que el ciervo vulnerado Spunta il cervo piagato
Por el otero asoma, Dalla collina erbosa,
Al aire de tu vuelo, y fresco toma. E del tuo volo all’aura si riposa.

Esposa: Sposa:

13 (14). 13 (14).
Mi Amado, las montana?, L’Amato è come i monti
Los valles solitarios nemorosos Per me, come le ombrose erme val-
Las ìnsulas extranas, Le strane isole, i fonti [lette,
Los nos sonorosos, Di schiette acque sonore,
Ei silbo de los aires amorosos. E l’amoroso sibilar delPòre.

14 (15). 14 (15).
La noche sosegada La riposata e queta
En par de los levantes del aurora, Notte sul primo biancheggiar
La musica callada, La melodia segreta, [dell’alba,
La soledad sonora, Solitudin sonora,
La cena que recrea y enamora. La cena che conforta ed innamora.

3fl) Questa strofa è inserita solo nella seconda versione.


HI. La gloria della Risurrezione 245

TESTO B.
15. 15.
Nuestro lecho florido, Nostro letto è fiorito,
De cuevas de Ieones enlazado, Da tane di l'ion cinto d’intorno,
En pùrpura tendido, Di porpora vestito,
De paz edificado, In pace edificato,
De mil escudos de oro coronado. Di mille aurati scudi incoronato.

16. 16.
A zaga de tu huella Su tue care orme, mille
Las jóvenes discurren al camino, Discorrono il cammin giovani amanti,
Al toque de centella, Al tocco di faville,
Al adobado vino, Al rinforzato vino,
Emisiones de bàlsamo divino. Fuori versando balsamo divino.

17. 17.
En la interior bodega Nella più interna cella
De mi Amado bebi, y cuando salia Io bevei dell’Amato; e fuori uscita
Por toda aquesta vega, Alla pianura bella,
Ya cosa no sabfa, Obliando men già,
Y el ganado perdi que antes seguia. E la greggia perdei ch'io mi seguia.

18. 18.
Alla me dio su pecho, Quivi il suo petto diemmi,
Alli me ensenó ciencia muy sabrosa, E qui dolce scienza in sen m’infuse:
Y yo le di de hecho Ed io tutta sua femmi;
A mi, sin dejar cosa, Né serbando a me cosa,
Alli le prometi de ser su esposa. Quivi promisi a lui d’csser sua sposa.

19. 19.
Mi alma se ha empleado, Di lui tutta son io;
Y todo mi caudal en su servicio; Tutto il mio capitai per lui s’adopera.
Ya no guardo ganado, Già la mia greggia oblìo-,
Ni ya tengo otro ofìcio, Né ho più altro uffizio,
Que ya sólo en amar es mi ejercicio. Ma solo nell’amar è il mio esercizio.

TESTO J.
16, 16.
Cazadnos las raposas, Prendiam le volpiceli,
Que està ya florecidà nuestra vina, Poiché la nostra vigna ornai fiorio;
En tanto que de rosas Mentre di fresche e belle
Hacemos una pina, Rose intrecciam la pina,
Y no parezca nadie en la montina. Non vada errando alcun sulla collina.
246 Parte seconda - La dottrina della Croce

17. 17.
Detente, Cierzo muerto, T’arresta, o borea morto;
Ven, Austro, que recuerdas lo araores, Vieni, Austro, che i casti amori svegli,
Aspira por mi huerto, Soffia pel mio bell’orto ;
Y corran tus olores, Ne spirino gli odori,
Y pacera el Amado entre las flores. Ed il mio Ben si pascerà tra i fiori.

18. 18.

{Oh ninfas de Judea!, O ninfe di Giudea,


En tanto que en las flores y rosales Mentre tra i pinti fiori e bei roseti
El àmbar perfumea, L’ambra olezza e ricrea,
Mora en los arrabales, Dai borghi una non esca,
Y no querais tocar nuestros umbrales. Né fuor di queste soglie star
[v’incresca.

19. 19.

Escóndete, Carillo, Dentro, o Caro, ti cela,


Y mira con tu haz a las montanas, E la tua faccia alle montagne volgi.
Y no quieras decido; Deh taci e non lo svela,
Mas mira las companas Ma le compagne mira
De la que va por insulas extranas. Di chi per piagge estranc il piede
[aggira.

E sposo: Sposo:

20. 20.

A las aves ligeras, Lievi augelletti, bionde


Leones, ciervos, gamos saltadores, Léonze, cervi e saltatrici damme,
Montes, vallcs, riberas, Monti, vailette, sponde,
Aguas, airesj ardores Chiare acque, aure ed ardori,
Y miedos de las noches veladores: E voi notturni vigili timori:

20. 20.

Pues ya si en el ejido Che se all’aperto uscita


De hoy mas no fuere vista ni allada, Non fia che occhio mortai mi vegga
Diréis que me he perdido; Dite che son smarrita, [o trovi,
Que, andando enamorada, Amor seguendo. Oh quale
Me hice perdidiza, y fui ganada. Alla perdita mia guadagno eguale!

21. 21.

De flores y esmeraldas, Di smeraldi e di rose,


En las frescas mananas escogidas, Scelte nei freschi mattutini albori,
Haremos las guirnaldas, Ghirlandette vezzose,
En tu amor floridas, Nelhamor tuo fiorite,
Y en un cabello mio entretejidas. Intreccerem con un mio crine unite.
HI. La gloria della Risurrezione 247

22 . 22.
En sólo aquel cabello Da quel che contemplasti
Que en mi cuello volar consideraste, Solo crine ondeggiar sul collo mio
Mirastele en mi cuello, (sul mio collo il mirasti)
Y en él preso qued'aste, Preso fosti e legato,
Y en uno de mis ojos te llagaste. E in un degli occhi miei ti sei
[piagato.
23. 23.
Cuando tu me mirabas, Quando mi vagheggiavi.
Su grada en mi tus ojos imprimìan; In me tua grazia il guardo tuo im-
Por cso me adamabas, Quindi vieppiù mi amavi, [primea.
Y en cso meredan E degno il mio si fea
Los mios adorar lo que en ti vian. Quello adorare in te, che in te vedea.

24. 24.
No quieras desprcciarme, Ben mio, deh! non sprezzarmi,
Que si color moieno en mi aliaste, Se di bruno colore è il mio sembiante.
Ya bien puedes m ir arme, Or tu ben puoi mirarmi,
Después que me miraste, Se, dacché mi mirasti,
Que grada y hermosura en mi dejaste. Grazia, vezzo, beltade in me lasciasti.

21. 21.
Por las amenas liras, Per le soavi lire,
Y canto de sirenas os conjuro, Per le sirene io vi scongiuro intanto
Que cesen vuestras iras, Cessino le vostr’ire;
Y no toquéis al muro, Né sia percosso il muro,
Porque la Esposa duerma mas seguro. Onde il bel sonno suo sia più sicuro.

III. III.

22 . 22.
Entrado se ha la Esposa Entrò l'amante Sposa
En el ameno huerto deseado, Nel desiato giardinetto ameno,
Y a su sabor reposa, E lieta inchina e posa
El cuello reelinado Il bel collo beato
Sobre los dulces brazos del Amado. Sopra le dolci braccia dell’Amato.

23, 23.
Debajo del manzano, Sotto un melo ti scorsi;
Alli conmigo fuiste desposada, Qui mia sposa ti fei con dolce nodo,
Alli te di la mano, Qui la mia man ti porsi,
Y fuiste reparada E qui fosti difesa,
Donde tu madre fuera violada 39). 39 Dove la madre tua fu vinta e presa.

39) Qui si arresta la trasposizione delle strofe operata nella seconda reda-
248 Parte seconda - La dottrina della Croce

TESTO B. J.

Esposo: Sposo:
33 (34). 33 (34).
La bianca palomica La bianca colombella
Al arca con el ramo se ha tornado, Col pacifico ramo all’arca riede;
Y ya la tortolica E già la tortorella
Al socio deseado Sua compagnia bramata
En las riberas verdes ha allado. Per le verdi riviere ha ritrovata.

34 (35). 34 (35).
En soledad vivia, Nel deserto vivea,
Y en soledad ha puesto ya su nido, E nel deserto il nido suo ripose.
Y en soledad la guia Colà scorta le fea
A solas su Querido, Da solo a sol l’Amato,
También en soledad de amor herido. Pur nel deserto anch’ei d’amor
[piagato.
Esposa: Sposa:

35 (36). 35 (36).
Gocémonos, Amado, Deh! godiamoci, o Ben mio;
Y vàmonos a ver en tu hermosura Andiamo (e sia mio specchio il tuo
Al monte y al collado Al monte, al colle, al rio, [bel viso)
Do mana el agua pura; Dove umor puro è accolto;
Entremos mas adentro en la espesura. Penetrar non ti spiaccia ov’è più folto.

36 (37). 36 (37).
Y luego a las subidas Quindi all’alte caverne
Cavernas de la piedra nos iremos, Tosto il pié porterem dell’alma pietra,
Que estàn bien escondidas, Ben profonde ed interne.
Y alH nos entraremos, Là entro ne and rem poi
Y el mosto de granadas gustaremos. L’umor suggendo de’ granati tuoi.

zione. Abbiamo presentato entrambe le versioni giustapposte una all’altra per non
cancellare l’impressione offerta dal poema originale. Attenendoci ai manoscritti più
autorevoli, abbiamo contrassegnato la prima redazione con la lettera B (Barra-
meda■ ) e la seconda con la lettera J Qaén).
Messi a raffronto presentano il seguente prospetto:
B: 1-10, , 11-14, 15-24, 25-26, 27-28, 29-30, 31-32, 33-39.
J: 1-10, 11, 12-15, 24-33, 16-17, 22-23, 20-21, 18-19, 34-40.
Se si vuol giungere ad afferrare il senso della trasformazione subita dal
Cantico, bisogna leggere ciascuna delle due versioni come un tutto unitario la­
sciandone venire in luce l’intima coesione interna. Se sia stato il Santo stesso ad
operare questo rifacimento oppure esso sia opera d’un altro, non è un problema
che intendiamo affrontare, come già abbiamo detto in precedenza. Manchiamo
dei requisiti basilari per risolverlo. Non possiamo tuttavia passare sotto silenzio
gli intimi rapporti che legano tra loro le due elaborazioni redazionali.
III. La gloria della Risurrezione 249

37 (38). 37 (38).
Alli me mostrarias Qui tu mi mostrerai
Aquello que mi alma pretendla, Quel che l’anima mia da te pretender
Y luego me darias Qui tosto mi darai,
Alli tu, vida mia, O gioia, o vita mia,
Aquello que me diste el otro dia. Quel che Taltr’ier mi desti ed or
[vorria.
38 (39). 38 (39).
El aspirar del aire, L’aura che spira a noi,
El canto de la dulce filomena, Di filomena il dolce lieto canto,
El soto y su d'onaire, La selva e i fregi suoi.
En la noche serena, Nella notte serena,
Con llama que consume y no da pena. Con dolce ardor che strugge e non
[dà pena.
39 (40). 39 (40).
Que nadie lo miraba, Nessun mirarla osava,
Aminadab tampoco parecia, Né comparire Aminadabbo ardìa,
Y el cerco sosegaba, L’assedio alfin posava;
Y la cabaliena E a veder Tacque vive
A vista de las aguas descendia. Scendeano i cavalier lungo le rive *).

Questo Cantico, venuto alla luce nel buio del carcere, è pro­
digiosamente ricco di immagini e di pensieri. Appunto per questa
sua caratteristica si differenzia essenzialmente dalle strofe della
Notte oscura e della Fiamma Viva. Là ci troviamo di fronte, volta
per volta, semplicemente una immagine predominante che pola­
rizzava tutto: la fuga nella notte, la fornace incandescente che
sprizza fuoco e fiamme. E’ vero che anche qui esiste un filo con­
duttore conglobante - ne parleremo ancora in seguito - ma vi
gravita attorno un turbinio iridescente di altre figure. Là regna
la semplicità e il silenzio, mentre qui sia l’anima che il creato
tutto sono in movimento. Non si tratta solo di una semplice
diversità dello stile poetico: questa nasce da una profonda diver­
sità dell’esperienza interiore sulla quale si fonda. La Notte e la
Fiamma Viva presentano entrambi uno squarcio della vita mi­
stica, limitato ad un momento ben determinato del suo sviluppo
e precisamente all’istante in cui Tanima ha ormai abbandonato
dietro le sue spalle tutto il creato per occuparsi unicamente di
Dio. Le sue relazioni con le cose del mondo vengono trattate solo
da un punto di vista retrospettivo. Il Cantico Spirituale invece
rimette in gioco l’intero processo mistico, e non solamente nel

*) La traduzione dei versi è di P. Egidio di Gesù OrC.D, - Ed. Postulaz.


Carni. Se. - Roma 1959. (N.d.T.).
250 Parte seconda - La dottrina della Croce

commento ma persino nelle strofe. E’ stato scritto da un’anima


che è stata affascinata da tutte le attrattive della creazione visibile.
Chiuso nel suo oscuro stambugio, il prigioniero - che è un
poeta, un artista figurativo, ma è anche sensibile all’incanto della
musica - sente giungere sino a lui il mondo esteriore, quel mondo
da cui è tagliato fuori, che vi irrompe con immagini meravigliose
e affascinanti armonie. Vero è che egli non s’arresta né alle im­
magini né ai suoni. Questi costituiscono per lui un misterioso
codice figurato, col quale si esprime - ed è in grado di esprimere
esso stesso - ciò che sta avvenendo nel segreto della sua anima. Si
tratta realmente di un codice immaginifico misterioso. Esso rac­
chiude in sé una tale quantità di significati, da far apparire im­
possibile al Santo stesso il trovare le parole esatte per esternare
tutto ciò che lo Spirito Santo gli ha mormorato «nei suoi gemiti
inenarrabili ».
Queste strofe, infatti, le dobbiamo allo Spirito Santo. Sono
« ispirazioni d’amore e di misteriosa conoscenza » : lo Spirito di
Dio le ha accordate all’anima in cui ha preso dimora; ma colui
stesso che ne è stato favorito, non è in grado nè di descriverle
esattamente, né di renderle perfettamente comprensibili. Per que­
sta ragione il Poeta rinunzia anticipatamente a spiegare tutto. Egli
si limiterà « a darne alcune spiegazioni generiche », lasciando ai
versi « tutta la ricchezza del senso che hanno, affinché ognuno
vi possa attingere secondo le sue attitudini e le esigenze del suo
spirito...». Egli è convinto che «la sapienza mistica... non richiede
affatto una particolare penetrazione razionale... per suscitare nel­
l’anima l’amore e l’entusiasmo spirituale » 40).
Così lo Spirito, che ha infuso il suo amore in un’anima, a-
prirà ad altre anime amanti la strada verso altre misteriose mani­
festazioni di quell’amore. Il Santo non intende mettere dei limiti
al soffio dello Spirito. Perciò avverte subito che le sue spiegazioni
non sono affatto tassative e vincolanti. Una volta che si è letto
il suo commento, ci si sente davvero pieni di gratitudine verso di
lui per questa avvertenza preliminare. Il contrasto tra lo slancio
poetico-mistico del cantico e lo stile completamente diverso del
commento che lo segue infatti, è qui molto più sensibile di quanto
non sia nella Salita e nella Notte. Siamo poi addirittura agli anti­
podi rispetto alla Fiamma Viva, quantunque le due opere appar­
tengano suppergiù allo stesso periodo e alla stessa linea di pen­

40) Cantico spirituale, prefazione dedicata ad Anna di Gesù, che l'aveva


pregato di far seguire un commento alle strofe - Obras III, 3 sgg. e 183 sgg.
III. La gloria della Risurrezione 251

siero. Qui non solo succede quello che è successo con i due trat­
tati anteriori, ossia che il pensatore e maestro si viene a trovare
davanti alla composizione poetica come davanti ad un dato di fatto
oggettivo, staccato e quasi estraneo, (a ciò ha senz’altro contri­
buito l’intervallo di tempo intercorso tra la compilazione del
poema e quella del commento: la maggior parte delle strofe è
nata a Toledo nel 1578, mentre la prima stesura del commento
esplicativo è stata scritta a Granada nel 1584); ma si ha inoltre
l’impressione che, accanto all’intenzione principale di spiegare in
modo comprensivo e didattico il linguaggio immaginifico del poe­
ma, abbia influito sulla prosa da lui composta anche un altro
movente. Dietro i suoi figli e figlie spirituali, ai quali erano in
primo luogo destinati i suoi scritti, sembra insorgere davanti allo
sguardo del Santo un altro pubblico, parecchio meno generoso e
poco disposto ad accettare le sue idee. Già quando ci siamo occu­
pati di sviscerare la Salita e la Notte oscura, ci era balenato il
sospetto che, nei punti chiave concernenti lo sconfinare della vita
mistica propriamente detta da quella ordinaria della grazia, la
sua esposizione sia potuta anche non essere completamente li­
bera, bensì influenzata dal pensiero dell’occhiuta vigilanza del-
Tlnquisizione, nonché dal sospetto d’illuminismo che aleggiava
pieno di prevenzioni su tutto quanto odorava di mistica4').
Ebbene, il Cantico Spirituale sembra influenzato da questa
preoccupazione ancor più fortemente degli altri scritti. La tra­
sformazione poi da esso subita nella seconda rielaborazione sem­
bra sia stata essenzialmente determinata da questo fatto. Tale
trasformazione infatti non si è limitata al commento in prosa, ma
ha inciso addirittura sul testo poetico del Cantico.
Potremmo indicare subito quattro fatti che verosimilmente ne
dipendono e vanno messi in stretto rapporto con questo:
1) La seconda versione contiene una strofa che in origine
non esisteva. Ad ogni modo la strofa in questione apparve già
in alcune edizioni a stampa, le quali per tutto il resto si basa­
vano sulla prima versione; essa però è stata desunta probabil­
mente da un manoscritto riportante la seconda versione41 42).
2) La seconda versione suddivide il cantico in tre parti: I,
II, III.
41) Cfr. in proposito la realistica messa a punto riguardante l’Inquisizione,
contenuta in J. Brouwer, De acktergrond der Spaanse mysùe\, Zutphen 1935,
p. 79 sgg.
42) Cfr. P. Silverio nella sua Appendice al Cantico spirituale - Ohras III,

456.
252 Parte seconda - ha dottrina della Croce

3) Essa scombussola l’ordine delle strofe, intaccando cosi la


struttura primitiva del poema.
4) Introduce alla fine della poesia, prima di iniziare il
commento alla prima strofa, un argomento, ossia una breve espo­
sizione deH’idea conduttrice.
Stando a questo sommario, le strofe trattano il cammino bat­
tuto dall’anima dal momento in cui essa incomincia a dedicarsi
al servizio di Dio, sino al più alto stadio della perfezione, che
è il matrimonio spirituale. Perciò vi vengono toccati i tre stati
o le tre vie che conducono a questo fine: la via purgativa, illumi­
nativa e unitiva, vale a dire la via dei principianti, dei proficienti
- fino al fidanzamento spirituale - e quella dei perfetti: lo stato di
matrimonio spirituale. Le ultime strofe trattano ancora lo stato
beatifico, al quale aspirano i perfetti.
A questo sommario interpolato, che mette in rilievo la nota
distinzione esistente fra le tre vie, fa riscontro poi la conseguente
suddivisione del Cantico in tre parti. In conformità ad esso, anche
nello sguardo retrospettivo sul cammino già percorso, contenuto
alFinizio della seconda versione, è intercalata un’allusione alle
tre vie43).
La strofa 11, quella aggiunta, sottolinea il desiderio dell’ani­
ma che anela alla visione svelata di Dio nella vita eterna; pre­
parando in questo modo il terreno a fraintendere il senso delle
strofe 36-39 (35-38): queste strofe infatti, nella prima versione, si
riferiscono evidentemente allo stato di matrimonio spirituale;
mentre nella seconda versione, con qualche ritocco e qualche ag­
giunta fatta al commento, vengono costrette ad assumere un si­
gnificato allusivo riferentesi ad una descrizione della vita eterna.
Tutto ciò sta ad indicare che un’intenzione ben precisa ha
informato la seconda rielaborazione: quella di presentare il pro­
cesso mistico dell’anima in una forma quanto più possibile tra­
dizionale e al riparo da ogni sospetto, facendone sconfinare Io
stadio più alto - il matrimonio mistico - decisamente verso la
perfezione dell’anima riservata alla vita eterna.
Ci proponiamo ora di esaminare se anche il cambiamento
apportato all’ordine logico delle strofe serva all’identico scopo.
Se il rimaneggiamento del primitivo commentario è stato fat­
to visibilmente sotto il segno della cura meticolosa di mettere esat­
tamente a fuoco tutto ciò che poteva dar ansa a sospetti o ad

43) Cfr. Commento alla Str. 27 - (B, Obras III, 131 sg.) con quello della
strofa 22 (J, Obras III, 319 sg.).
III. La gloria della Risurrezione 253

errate interpretazioni, pare tuttavia che anche sulla prima ver­


sione tale preoccupazione abbia avuto il suo peso. Il Santo all’i­
nizio della Salita e della Fiamma Viva, ha fatto la dichiarazione
d’uso di sottomettersi in tutto e per tutto al giudizio della Chiesa
e di richiamarsi inoltre alla dottrina della S. Scrittura. Questo si
ripete qui ancor più esplicitamente. Verso la fine del Prologo44),
egli ribadisce di non voler azzardare assolutamente nulla di sua
iniziativa, né basandosi sulla propria esperienza né fidandosi di
quanto è venuto a conoscere attraverso l’osservazione delle anime
altrui. Egli si propone piuttosto di confermare e spiegare tutto
facendo ricorso a passi della S. Scrittura, almeno per quanto con­
cerne ciò che presenta qualche difficoltà di comprensione. Ed ef­
fettivamente i testi scritturali, nel Cantico Spirituale, non appaio­
no sempre così spontanei come quelli inclusi nella Fiamma Viva,
specialmente i numerosi passaggi paralleli desunti dal Cantico dei
Cantici. Spesso, anzi, danno l’impressione di voler provare che
certe espressioni audaci sono basate sulla S. Scrittura e usate qui
nello stesso senso ch’esse hanno là dentro.
Questa finalità estrinseca rende infine forse più compren­
sibile l’innegabile intervallo che si frappone tra il poema e la
sua interpretazione esplicativa, quantunque vi abbiano contribuito
certamente anche altre circostanze.
Abbiamo già fatto osservare che questo poema differisce da­
gli altri, pure commentati per iscritto, per la quantità e varietà
delle immagini. Il commento quindi costituisce quasi una specie
di dizionario di questo linguaggio figurativo. In un certo senso
è un’esigenza intrinseca di molte immagini. Esse non possiedono
una unità originaria che le leghi a ciò che devono rappresentare,
come invece la possiede il simbolo preso nel suo senso più stretto
e più proprio: per esempio quello della notte o della fiamma. Sì,
certo, esiste una certa qual similitudine, sotto qualche punto di
vista, tra la figura e ciò che essa deve rappresentare; per cui sus­
siste un fondamento reale per instaurare un rapporto significativo.
Ma questo fondamento non è sufficiente a rendere senz’altro in­
telligibile il senso deH’immagine. Il suo linguaggio deve essere
imparato, e oltrettutto nella scelta delle sue espressioni si presenta
molto più arbitrario duna lingua sostantiva naturale, anche se
non proprio così arbitrario come può esserlo una lingua artifi­
ciale o un sistema di segni scelto estrosamente a casaccio. Questa

44) Obras III, 5 sg.


254 Parte seconda - ha dottrina della Croce

libertà di selezione,, aggiunta alla larghezza con cui il rapporto


s’innesta sulla realtà, hanno per conseguenza che le figure im­
piegate non risultano univoche nel loro significato, ma lasciano
adito a una quantità di interpretazioni. Reciprocamente, ciò che
esse indicano, può anche esser rappresentato in altra maniera, dato
appunto che esse non ne sono adatto l’espressione necessaria.
Con queste caratteristiche noi abbiamo finito per descrivere
ciò che si chiama una allegoria. Questa è radicata nel gusto di
quel tempo, tanto da costituire una nota tipica della poesia ba­
rocca. Giovanni conosceva alla perfezione l’arte poetica del suo
tempo e si era formato alla sua scuola. Sicché l’uso di questo mez­
zo artistico gli era - si può dire - connaturale, ed egli pervenne
ad impiegarlo nelle sue composizioni poetiche con autentica mae­
stria *5). Allorché invece nel commento egli allinea spiegazioni su
spiegazioni, dando bene spesso molte analisi esplicative assai dif­
ferenti tra loro per una sola espressione figurata, egli passa molto
al di là di quanto richiederebbe l’allegoria come tale. Per esempio
nella seconda strofa, ci si dice che i pastori rappresentano le
brame, e le tendenze dell’anima, ma stanno pure a rappresentare
gli angeli. Frazionando l’unità della composizione primitiva in
una ridda di particolari e sottolineando il preziosismo e l’arbitra­
rietà delle immagini, finisce per nuocere all’impressione comples­
siva che dovrebbe offrire il poema.
Che anche dietro questa abbondanza di spiegazioni non si
acquatti l’intenzione di prevenire interpretazioni perplesse e peri­
colose? Il cuore del poeta si sarà forse sentito rivoltare, e più
d’una volta, contro quella pesante procedura dovuta adottare
da lui stesso come interprete. Per altro, la sua affermazione di
non voler assolutamente mettere - con le sue spiegazioni - delle
staccionate mortificanti al soffio dello Spirito nelle anime, può
esser presa come un invito ad attenersi soprattutto al testo poetico.

b) // tema guida ricavato dall’esposizione del Santo.


Se noi ci lasciamo conquistare senza preconcetti dal Cantico
quale ci appare nella sua prima redazione, esso ci si presenta
come una fedele espressione delFintera vita mistica. Sottolineiamo 45

45) Non si riesce a stabilire in quale misura egli stia qui creando in quanto

artista, e fino a che punto invece egli crei sotto ispirazione dello Spirito Santo.
Torneremo suU’argomento in seguito.
III. La gloria della Risurrezione 255

« mistica », perché il Santo stesso nello sguardo retrospettivo testé


citato, incluso nel commento alla Strofa 27 (22), dice46) che le
prime cinque strofe sono dedicate agli inizi della vita spirituale,
ossia al tempo in cui Tanima pratica la meditazione e la morti­
ficazione. La descrizione della vera e propria vita contemplativa
comincia invece soltanto alla sesta strofa, quella introdotta dalla
seconda versione. Tuttavia noi sentiamo sin dal primo grido
nostalgico, col quale il Cantico incomincia: ^ Adonde te escondi-
ste? (Dove ti sei nascosto?), il lamento di un’anima ferita nel­
l’intimo del cuore dalPamore di Dio. Decisamente ella non cono­
sce il suo Signore soltanto « per sentito dire », ma l’ha incontrato
personalmente, ne ha sperimentato la carezza soave che ha fatto
sussultare le sue più intime fibre. Il suo dolore è quello d’una
amante, che ha avuto la fortuna di godere la presenza estasiante
dell’Amato e che ora è costretta a starne lontana. Egli l’ha ab­
bandonata in un mare di sospiri. L’assenza dell’Oggetto amato
provoca « un continuo gemito nel cuore dell’amante », « special-
mente se essa ha provato qualche saggio delle dolci e saporose
effusioni dello Sposo, mentre ora ch’Egli si è assentato, essa è
rimasta improvvisamente sola, piombando nell’aridità... »47).
Non dovremmo forse pensare a grazie mistiche ormai molto
elevate, se ci si parla di « roventi contatti amorosi, che feriscono
e trapassano l’anima come frecce infuocate, lasciandola tutta co­
perta di scottature cauterizzanti provocate dal fuoco dell’amore » ?
La volontà ne resta così infiammata, che l’anima « ha l’impres­
sione di consumarsi in quella vampa, di uscir fuori di sé e di
sentirsi tutta rinnovata... come l’araba fenice che brucia e rinasce
dalle sue ceneri » 48).
In questa descrizione riconosciamo di nuovo l’unione amorosa
che - secondo l’abbozzo datone dalla S. Madre Teresa e dal S.P.
Giovanni stesso - prepara al fidanzamento e al matrimonio spiri­
tuale49). Questa costituisce per l’anima uno stato assolutamente
nuovo, uno stato di cui essa non afferra ancora bene la portata.
Ecco perché va cercando colui che è sparito, meditando sulle
creature senza trovarvi alcun sollievo. Tale situazione creatasi
in lei la distingue nettamente da quei principianti nella vita

46)Obras III, 131 sg. e 319 sg.


*7) Cantico spirit., commento alla Str. 1, V. 2 - Obras III, 17 e 204 sg.
4S) Cantico spirit., commento alla Str. 1, V. 4 - Obras ITI, 18 e 205 sg.
49) Cfr. le dilucidazioni sulle varie specie d’unione amorosa date in pre­
cedenza.
256 Parte seconda - La dottrina della Croce

spirituale, che trovano soddisfazione nei soliti esercizi di pietà


appunto perché non sono ancora entrati nella notte della con­
templazione, L’anima che Iddio ha sfiorato interiormente col
suo contatto, non riesce più a trovar pace in ciò che non è Dio:
Per le ferite d’amore non si può trovare rimedio se non rivol­
gendosi a chi le ha inferte».
Perciò l’anima ferita prende la rincorsa e si mette a gridare
verso l’Amato. « Questo slanciarsi fuori simboleggia due fatti :
l’uscita da tutte le cose... e l’uscita da se stessi mediante l’oblìo
di sé attuato per amor di Dio »50), In questo momento l’anima
non può più far altro che amare Dio, bruciando dalla nostalgia
di contemplarLo. A questa brama Iddio non può resistere a
lungo. L’amore da Lui acceso, Lo spinge a nuove e impensate
effusioni amorose. Egli appare improvvisamente, portando via
Panima con sé in un rapido volo51).
Questa descrizione del fidanzamento spirituale, accompagna­
to da un così agghiacciante sradicamento dell’anima da tutte le
condizioni naturali del suo essere, corrisponde esattamente a ciò
che abbiamo trovato descritto dalla S. Madre nelle ó9 Mansioni
del Castello Interiore. La povera e debole natura teme di soccom­
bere, per cui erompe nel grido: «Volgili altrove, Amore!»
(quegli occhi tanto desiati). Questa preghiera però non esprime
il suo genuino sentimento. L’anima infatti spera con sempre mag­
gior forza di essere liberata dai ceppi di questa vita, per riuscir
così a sopportare quella vicinanza estasiarne. Ma a questo passo
non è ancora arrivata.
L’invocazione Vuélvete, paloma («Ritorna, colomba») la
richiama alla sua esistenza terrena. Essa deve provvisoriamente
accontentarsi di ciò che le verrà accordato nello stato attuale.
Tanto, ce n’è più che abbastanza. Ora infatti hanno inizio i giochi
d’amore tra il Celeste Amante e l’anima amata. Questa non avrà
ormai più bisogno di buttarsi sulle creature per aprirsi in mezzo
ad esse una strada verso il Diletto. Viene continuamente lui stesso
a visitarla, rivelandole di volta in volta una parte sempre maggiore
della sua bellezza. Tutte le attrattive delle creature, quindi, le
devono servire adesso a cantare le lodi della bellezza divina. Nel
corso dell’unione col Celeste Sposo essa viene coperta di doni,
animata di straordinario coraggio e di forza, immersa nell’amore

50) Cantico spirit., comm. alla Str. 1, V, 5 - Obras III, 19 sg. e 207.
51) Cantico spirit., comm. alla Str. 12 (13) - Obras III, 56 sg. e 259 sg.
lìì. La gloria della Risurrezione 257

e nella pace. Siccome vive ormai la vita di Dio, essa gioisce


anche del fuoco amoroso che Egli accende nelle altre anime. Viene
persino introdotta nella « cantina interiore », ossia nel più remoto
santuario dell’amore, ove Dio in persona si comunica a lei tra­
sformandola in se stesso.
Tutta piena di immensa beatitudine per questa nuova vita
divina, dimentica ogni cosa di questo mondo, al punto che ogni
desiderio che ne aveva svanisce. E allo stesso modo in cui l’Amato
la circonda di tenerezze incomparabili, essa gli si abbandona senza
riserve, vivendo soltanto per lui, completamente morta per il
mondo. Durante l’unione amorosa sbocciano tutte le virtù. L’ani­
ma, riboccante di felicità, scopre la celestiale bellezza di cui
attualmente è adorna. Sa però molto bene che tutta questa ric­
chezza è opera dello sguardo munifico di Dio; per cui non
vuole impiegarla a nessun altro scopo tranne che a far felice il
Donatore.
Ogni elemento disturbatore deve esser tenuto lontano da que­
sta beata vita d’amore. Lo stesso Signore ha cura che venga
eliminato tutto quanto potrebbe esser ostacolo ad una unione
duratura. Così Egli può condurla nell’agognato giardino, dove
essa potrà rilassarsi presso di Lui in perfetto e indisturbato ripo­
so, In questa profonda solitudine Egli la introdurrà nei più na­
scosti segreti della Sua Sapienza, facendola arroventare nelle
fiamme dell’amore; e nessuna creatura riuscirà a intravvedere
ciò che Iddio tien preparato all’anima cui per sempre ha dato
rifugio in Se stesso.
In questo breve sguardo complessivo, pensiamo di esser riu­
sciti ad afferrare la struttura primitiva del Cantico. Esso si presen­
ta come una scalata che va da un gradino dell’unione amorosa
all’altro; oppure come un assorbimento graduale scendente in
profondità. Prima si ha un incontro fuggevole; poi - dopo la
nostalgia e il tormento della ricerca - una elevazione alla stretta
unitiva; un certo periodo preparatorio alla stabilizzazione in que­
sta stretta unitiva; e infine l’imperturbata pace del matrimonio.
Come si vede, e un’argomentazione un po’ forzata quella di
individuarvi una suddistinzione in tre vie o stadi, di purificazione,
illuminazione e unione. Si tratta piuttosto di tre fasi operative
che nel ciclo completo della vita di grazia e della vita mistica
sono intrecciate tra loro52), anche se nei vari gradi talvolta spicca

52) Questo corrisponde anche al pensiero dell’Areopagita, a cui risale la


suddivisione tripartita.

17. - Sdentici Crucis.


258 Parte seconda - La dottrina della Croce

di più l’una o l’altra. Nel Cantico Spirituale cosi com’è concepito,


l’unione è presente dal principio alla fine improntandolo tutto.
Della purificazione si parla specificatamente al momento del pas­
saggio dal fidanzamento al matrimonio mistico. L’illuminazione
marcia di pari passo con l’unione.
Ciò che sorprende nell’ordinamento delle strofe quale è offerto
dalla prima stesura è appunto il fatto che il passaggio dal fidan­
zamento al matrimonio sia così rapido e venga introdotto così
presto. Nella strofa 15 (24) la perfetta intimità unitiva è ormai
raggiunta. L’unica differenza che la separa ancora dal matrimonio
è costituita dal perdurare della possibilità di disturbi distrattivi,
che devono sparire per lasciar sussistere l’unione stabile e per­
manente.
Stando invece all’inversione delle strofe riscontrabile nella
seconda versione, la linea di demarcazione è molto più netta.
Prima si fa precedere l’eliminazione di ogni elemento di disturbo;
poi segue la descrizione dell’unione perfetta, che incomincia con
l’entrata nel giardino desiato (Str. 22). Questo è un reale vantag­
gio presentato dalla seconda versione, atto a compensare la lieve
mancanza di buon gusto che vi si nota. Infatti, dopo la bellissima
strofa n, 15, che rievoca l’incanto della notte, segue immediata­
mente la strofa 16 con la sua allusione alle « volpicelle che dan­
neggiano la vigna »,
E’ facile capire come nella prima redazione la successione
delle strofe non fosse davvero la più coerente ali’argomento. C’è
da tener presente che le strofe non sono nate tutte in blocco;
anche quanto è sbocciato nel tempo della prigionia, è stato sen­
z’altro raccolto a poco a poco, seguendo lo sviluppo delle suc­
cessive esperienze interiori. Abbiamo già accennato precedente-
mente al fatto che esistono testimonianze discordanti sulla que­
stione se i poemi siano stati composti in carcere oppure soltanto
dopo la fuga. Delle due, la prima ipotesi è ancor quella più
probabile; tuttavia non esclude che il prigioniero abbia dovuto
conservare a lungo i canti nel cuore, prima di riuscire ad avere
Ì mezzi per scriverli.
Egli può aver intonato il suo poema canticchiando ora questa
ora quella strofa, secondo l’estro del momento. E appena gli fu
possibile, le stese sulla carta, senza preoccuparsi di scegliere la
migliore successione logica delle strofe stesse, come invece accadde
neirultima rielaborazione.
Queste considerazioni ci fanno sembrare più razionale atte­
nerci, per l’esame critico del pensiero e della forma artistica della
11L La gloria della Risurrezione 259

disposizione, alla seconda versione53). Tuttavia non perderemo


di vista ciò che abbiamo affermato a proposito dell’intenzione
smussatrice che pervade la seconda versione, mettendo in luce
e valorizzando magari in polemica con essa il significato origi­
nario delle strofe.

c) La figura predominante e il suo significato in rapporto


al Cantico.

Lo sguardo sommano precedente aveva soltanto lo scopo di


enucleare il senso complessivo del Cantico. Per quanto invece
riguarda i moltissimi particolari, è già tanto se si è riusciti ad
accennarli. Se si vuol raggiungere questo intento, bisognerà sfor­
zarsi di penetrare il linguaggio figurato del poema. A tal fine
solo il vocabolario del Santo è la guida adatta, anche se non c’è
bisogno di restarvi pedissequamente aggrappati.
Il tono fondamentale del Cantico è caratterizzato dalla ten­
sione deU’anima innamorata, divisa tra il dolore della nostalgia
e la felicità del ritrovamento. Questa intonazione basilare ha tro­
vato la sua espressione nell’immagine - che impera poi su tutto,
indipendentemente dalla ridda di altre singole figure ad essa
collegate e subordinate l’immagine della sposa che brama l’A­
mato, mettendosi a cercarlo e riuscendo infine felicemente a
ritrovarlo. Nulla di nuovo per noi. Anche nel Canto della Notte
la Sposa abbandona la sua casa per rincorrere il suo Amore: anche
nella Fiamma viva d’amore, essa tende a lui. In esse però i rap­
porti amorosi non formano il tema centrale: ne costituiscono
piuttosto lo sfondo implicito. Qui invece essi sono l’asse intorno
a cui tutto ruota.
La figura che abbiamo davanti non è un’allegoria. Chiaman­
do l’anima sposa di Dio, non si sottolinea soltanto una relazione
di similitudine tra due elementi, che permette di designarne uno
per mezzo dell’altro. Vuol dire anzi, che esiste tra l’immagine
e la realtà una unità così stretta da permettere a stento di con­
siderarla ancora una dualità. Il che è appunto la caratteristica
del simbolo nel senso più stretto e proprio del termine.

53) D’ora in poi quindi i numeri d’ordine premessi alle strofe si riferi­
ranno alia seconda versione. Aggiungeremo invece tra parentesi la numerazione
della prima versione. (Notare che sino a qui abbiamo adottato il procedimento
inverso).
260 Parte seconda - La dottrina della Croce

La relazione dell'anima con Dio, quale Egli l’ha prevista da


tutta l’eternità come scopo della sua creazione, non può davvero
venir delineata con maggiore incisività di quella che ci si mette
chiamandola un vincolo nuziale.
Reciprocamente, il concetto di rapporto nuziale propriamente
detto non trova da nessuna parte una realizzazione così piena
e perfetta come neirunione amorosa di Dio con Tanima.
Compresa a fondo questa verità, figura e realtà si scambiano
decisamente le parti : l’effusività amorosa di Dio vien riconosciuta
come Toriginario e autentico ideale dei rapporti nuziali; mentre
tutte le relazioni matrimoniali umane appaiono delle copie im­
perfette di questo prototipo, proprio come la paternità di Dio
è il modello primo di ogni paternità terrena. Sulla base di questo
rapporto di similarità, le relazioni matrimoniali umane possono
venire a loro volta trasposte ad esprimere simbolicamente quelle
di Dio verso le anime. Contrariamente a questa loro funzione,
ciò che nella vita reale costituisce in esse un puro rapporto uma­
no, passa in secondo piano.
Quel che il matrimonio è nella realtà, trova la sua più alta
ragione di essere nel fatto che esso è in grado di esprimere un
mistero divino 54).

d) Il simbolo della Sposa e le singole figure che Vattorniano.


Quale rapporto intercorre tra l’immagine principale - il sim­
bolo delia Sposa - e la pittoresca congerie di figurazioni allego­
riche che affollano il Cantico? Per rispondere a questa questione
dovremmo prima intavolarne un’altra, già posta precedentemente :
le immagini che abbiamo davanti, vanno considerate come fun­
zioni poetiche arbitrarie oppure come ispirazioni date dallo Spi­
rito Santo?
La domanda è già stata rivolta al Santo da Sr. Maddalena
dello Spirito Santo. Nella sua deposizione testimoniale essa scrive
che Giovanni avrebbe lasciato il quaderno, contenente i poemi
nati in carcere, nel convento di Beas; e che lei sarebbe stata incari­
cata di trascriverne alcune copie. Era rimasta altamente ammirata
della vividezza di linguaggio, della bellezza e della precisione
stilistica con cui egli centrava i problemi. Per cui un giorno si
si permise di chiedere al poeta se era stato Dio ad infondergli

54 ) Cfr. Efes. 5, 23 sgg.


ìli. La gloria della Risurrezione 261

quelle parole così dense di significato e così smaglianti di colori.


Egli rispose: «Figlia mia, parte me l’ha ispirata Dio, parte le
ho cercate io » 55). Una conclusione simile possiamo trarla anche
leggendo le sue opere. Nel prologo si ribadisce che le strofe sono
state ispirate dallo Spirito d’amore, e che appunto per questa
ragione risulta impossibile trovare parole adatte per spiegarle.
Questo fa subito pensare alla difficoltà della interpretazione espli­
cativa. L’espressione poetica sembra derivare dallo Spirito Santo,
e insieme ad essa anche il contenuto del poema. Ma subito dopo,
ci si avverte che persino l’espressione immediata non è in grado
di rendere ciò che lo Spirito di Dio fa sentire e comprendere
nell’intimo dell’anima. Ecco perché si ricorre ad immagini e para­
goni: per tentare di farne afferrare qualche traccia. Nell’esoerien-
za del mistico, dunque, esiste qualcosa di puramente spirituale
e interiore che va nettamente distinto dalla sua espressione, con­
cretizzata nelle parole. Sicché questa pienezza dello Spirito tra­
scendente ogni forma e modalità, non si lascerà mai imprigionare
completamente nella staccionata delle parole. 11 ricorso alle figure
e alle comparazioni si può interpretare come una ricerca perso­
nale dell’espressione più consona e centrata. Può tuttavia anche
essere indice di una esatta comprensione nei confronti di ciò che
lo Spirito di Dio presenta. Siccome Giovanni si richiama alle
figure della S. Scrittura, che assai spesso suonano così strane e
si prestano a fraintesi, possiamo pensare che anche nell’espres­
sione letteraria l’abbia assistito un aiuto soprannaturale.
Il concetto di ispirazione non va affatto interpretato nel senso
che non soltanto tutto ciò che gli autori sacri dicono, ma persino
tutte le loro figure e parole debbano essere attribuite alla sugge­
stione divina; ma è evidente che in molti passaggi, anche la
parola esterna deve essere accettata come parola di Dio nel senso
letterale. Come confessa lui stesso, in molti casi questo si è
verificato anche con Giovanni, E persino allorché egli andava in
cerca dell’espressione adatta, l’assistenza dello Spirito Santo non
è del tutto da escludere.
La vivida freschezza della sua immaginativa artistica, acuita
dall’innaturale e violenta segregazione da tutto ciò che avrebbe
potuto soddisfare i suoi sensi esterni, dovette far sorgere come
per incanto, davanti alla sua anima, una folla di immagini stupen­
damente colorate. Ma il fatto che queste immagini siano in per­
fetta armonia con ciò che egli prova interiormente, non si può

55) Obras I, 133.


262 Parte seconda - ha dottrina della Croce

più attribuire alla sua facoltà immaginifica, né ad una cervello­


tica interpretazione; vuol dire che egli trova veramente in queste
figure la tanto agognata forma espressiva adatta a dire l’indici-
bile: lo Spirito Santo gli svela il senso spirituale di quella vario­
pinta valanga di immagini sensibili, guidandolo nella scelta ch'e­
gli ne fa. E’ così che si spiega la stretta unità dell’intero com­
plesso e il vigore altamente convincente delle immagini di cui è
intessuto. Per altro questo apprezzamento non è valido proprio
per tutto. Ci sono delie immagini che son state scelte con criteri
puramente naturali, anzi, ricercate nel senso più faticoso della
parola. Al che, ancor più spesso delle figurazioni poetiche, va
soggetto il commento che vi fa seguito.
Il mondo in cui il Cantico ci introduce, è quello che si
presenta ad un’anima arsa dal desiderio nostalgico, ebbra d’a­
more. Essa si butta alla campagna unicamente per andare in
cerca delPAmato. Non fa che preoccuparsi di cercare dappertutto
le tracce di lui; tutto glielo ricorda, ed ai suoi occhi assume un
significato solo in quanto gliene può dare qualche notizia o vice­
versa può trasmetterne a lui. Come il cervo appare furtivamente
al bordo della foresta e sparisce di colpo non appena uno sguardo
umano lo scorge, così faceva il Signore nei suoi primi incontri:
si mostrava all’anima per un istante, ma era già sparito ancor
prima che essa ne avesse potuto avvertire la presenza.
La sorgente cristallina che rinfresca l’anima errabonda, è
la fede: la verità da essa profusa è pura, esente da ogni penoso
rischio d’errore. E’ appunto da questa fonte che sgorga per lei
l’acqua della vita zampillante fino alla vita eterna (Gv., 4, 14).
L’anima si piega bramosa su di essa: chissà se in quel limpido
specchio non riuscirà a trovare il riflesso degli occhi dell’Amato?
Quegli occhi - ossia i raggi divini - che l’hanno ferita nell’intimo
del cuore, illuminandola e infiammandola d’amore. Ella sente
continuamente quello sguardo puntato su di sé: tanto si sono
stampati in modo indelebile nel suo intimo.
Tutto ciò risulta evidente dall’esame complessivo della situa­
zione. Ma allorché il commento aggiunge che il viso (riflesso nella
fonte) sono gli articoli di fede che ci nascondono e ci presentano
solo imperfettamente le verità divine (i raggi); che questo viso
viene detto « argenteo », perché l’oro puro della verità ci viene
offerto nella fede come fosse placcato d’argento55), noi non riu­
sciamo più a seguire col nostro sguardo questo pensiero contorto,

&6> Comm. alla Str. 12 (11). V. 2 - Obras III, 252 sg. e 53.
III. La gloria della Risurrezione 263

né a scoprirvi più alcun nesso logico col simbolo principale. Ci


troviamo di fronte ad una interpretazione puramente intellettua­
listica e artificiale, che sulPautorità del poeta e del commentatore
possiamo anche accettare, ma possiamo anche rifiutare, visto che
egli stesso ce ne ha data la libertà.
Ed ecco infine che l’avvenimento sì a lungo desiato e implo­
rato si avvera. Improvvisamente e inaspettatamente, l’anima che
cerca, incontra lo sguardo lampeggiante degli occhi divini. Il suo
appassionato struggimento ha deciso l’Amato « a visitarla in modo
sublime, delicato e traboccante d’amore » 57). Egli è apparso di
nuovo come un cervo: sulla collina, ossia sull’altura della con­
templazione. Si limita a far capolino, perché « per elevate che
siano le conoscenze di Dio accordate all’anima in questa vita,
restano pur sempre simili ad istantanee ed evanescenti apparizio­
ni ». Per di più Egli è ferito. « Quando si tratta di innamorati,
infatti, la ferita di uno colpisce anche l’altro, sicché la risentono
tutt’e due ». L’aria mossa dal suo volo Gli apporta sollievo. Egli
la chiama colomba, perché essa sfreccia nel volo alto e leggero
della contemplazione, perché ha il cuore semplice e bruciante
d’amore. L’alitare del suo volo è lo spirito d’amore che essa esala
in questa sublime contemplazione conoscitiva di Dio, proprio
come il Padre e il Figlio spirano lo Spirito Santo.
Il volo rappresenta la conoscenza infusa di Dio; Varia agitata
dal volo, simboleggia invece l’amore che ne scaturisce. Ed è pro­
prio l’amore ad attirare e a ristorare l’Amato come una sorgente
d’acqua fresca. « Come lo spirare del vento rinfresca e ristora
chi è prostrato dal caldo, così questo alitare dell’amore dà refri­
gerio e sollievo a chi brucia di fuoco amoroso. Questa vampa
d’amore infatti ha la caratteristica di trarre frescura e refrigerio
proprio dall’intensificazione del fuoco amoroso; nell’amante, l’a­
more è una fiamma che arde tendendo sempre ad aumentare di
forza ». Siccome poi l’amore della Sposa attizza questa fiamma,
essa si trasforma in un soffio ristoratore58).
Adesso che l’anima gode la presenza del suo Amato, fini­
scono le sue invocazioni accorate. Essa incomincia a lodare con
sempre maggior entusiasmo le gioie sovrane ch’essa sperimenta
nell’unione con Lui. Nel volo dello spirito - come abbiamo detto
- si ratifica il fidanzamento col Figlio di Dio. In questa fase
« Iddio comunica all’anima meravigliose nozioni riguardanti la

57) Comm. alla Str. 13 (12) - Obras III, 259 sg. e 56 sg.
58) Comm. alla Str. 13 (12), ultimo verso - Obras III, 264 e 61.
264 Parte seconda - La dottrina della Croce

Sua Divinità, ornandola di grandezza e maestà, arricchendola di


doni e virtù, rivestendola di conoscenza e onore di Dio proprio
come una promessa sposa, nel dì del suo fidanzamento »59).
Essa entra così « in uno stato di pace, di piacere, di soavità
amorosa », e non sa più far altro che « contare e cantare le gran­
dezze del suo Amato»... Nelle estasi d’amore fa l’esperienza di
ciò che intendeva S. Francesco, allorché esclamava « Mio Dio e
mio tutto». In realtà, adesso Dio è davvero tutto per l’anima:
è il condensato del bene d’ogni spirito, per cui essa rintraccia
nelle creature un’immagine delle Sue perfezioni. Ognuna di que­
ste stupende perfezioni è Dio; e tutte queste insieme sono ancora
Dio. « E siccome in tale estasi l’anima s’unisce a Dio, ha l’im­
pressione che tutte le cose siano Dio, come l’ebbe S. Giovanni
quando disse : « Ciò che è stato fatto, in Lui era vita » 60),
Ciò non significa soltanto che l’anima vede le creature in
Dio « come si vedono le cose nella luce, ma piuttosto che, posse­
dendo Dio, essa ha davvero la sensazione che tutte le cose siano
Dio ». Questo però non vuol dire ancora esser giunti ormai alla
visione chiara ed essenziale di Dio. Si tratta tuttavia di « una
potente e generosa comunicazione », ma che è pur sempre « sol­
tanto un barlume di ciò ch’Egli è in realtà » 6I). Basta nero questa
debole luce perché le perfezioni delle creature si svelino all’anima.
La montagna, con i suoi picchi svettanti e l’incanto dei suoi
fiori profumati, dà anch’essa un’idea dell’altezza e della bellezza
dell’Amato. L’anima riposa nell’ambiente di pace da Lui creato,
come in una valletta fresca, amena e silenziosa. Nella conoscenza
di Dio le si spalanca davanti allo sguardo un mondo nuovo e me­
raviglioso come agli occhi di un navigatore si staglia un panorama
di strane isole lontane.
Come un torrente in piena, che straripa e sommerge tutto
quanto sotto le sue acque, riempiendo ogni depressione e cancel­
lando ogni altro rumore col suo ruggito, così l’anima « si sente
investire e travolgere dal torrente dello Spirito divino con tanta
violenza, da farle sembrare che tutti i fiumi del mondo si rove­
scino su di lei ». Eppure questa inondazione non le reca tormento,
perché si tratta di fiumi di pace, e il loro straripare « la colma di
pace e di gloria ». Con la sua acqua essa riempie le cavità del suo
umile atteggiamento, i vuoti delle sue aspirazioni meschine; e

59) Premessa dichiarativa alle Str. 14 (13) e 15 (14) - Obras III, 265 e 63.
60) Gv. 1, 4, secondo una variante molto in uso tempo addietro.
61) Spiegazione preliminare alla Str. 14 (13) - Obras III, 265 e 63.
III. La gloria della Risurrezione 265

nel mugghiare della impetuosa corrente, essa percepisce « una


voce spirituale, che... soffoca ogni altra voce, estinguendo ogni ru­
moreggiare del mondo...». E’ una voce interiore d’immensa riso­
nanza, che ricolma Tanima di forza strapotente, come avvenne
agli Apostoli al momento della venuta dello Spirito Santo sopra
di loro. Il potente rombo udito dagli abitanti di Gerusalemme non
era che un segno di ciò che gli Apostoli ricevevano interiormente.
Malgrado la sua formidabile potenza, questa voce è pur tanto
dolce da sentire. S. Giovanni Evangelista la udì « come lo scroscio
di molte acque, come il ruggito di un grande tuono ». Eppure
assomigliava contemporaneamente ad « un concerto di arpisti
che suonassero i loro strumenti » (Apoc. 14, 2)62).
Un delicato soffio d’aria che scherza sulle guance: tale è la
deliziosa maniera con cui le virtù e i favori deH’Amato vengono
infusi nelPanima. « Si tratta di una altissima e gustosissima cono­
scenza di Dio e delle Sue prerogative, che rifluisce suH’intelletto
in seguito alla presa di contatto di queste perfezioni divine con la
sostanza dell’anima... ».
« Come si avverte la carezza delFaria con il senso del tatto
e il suo mormorio coll’udito, così si avverte e si gusta il tocco
delle virtù dell’Amato con il tatto dell’anima situato nella sua
sostanza (ossia mediante la volontà); mentre la conoscenza della
prerogative di Dio si percepisce con l’udito deH’anima, che è
costituito dalla sua intelligenza »,
Questa comunicazione effusiva è straordinariamente piacevole
e benefica. « ...Come il mormorio dell’aria mossa penetra sottil­
mente nell’organo dell’udito, così questa sottilissima e delicata co­
noscenza penetra con ammirabile e deliziosa soavità dentro l’in­
tima sostanza dell’anima provocando un piacere molto più inten­
so di tutti gli altri,.. Ne è causa il fatto che, in quegli attimi, al­
l’anima viene somministrata una conoscenza sostanziale * *), nuda
di ogni accidente e formulazione fantastica».
« Questo mormorio divino, che entra nell’anima attraverso
l’udito, non è soltanto sostanza intellettualizzata..., ma è anche
una graduale manifestazione di verità concernenti la Divinità,
nonché una rivelazione dei Suoi più occulti misteri... In realtà,
ogniqualvolta nella S. Scrittura ci si imbatte in una comunica­
zione di Dio, che si afferma fatta attraverso l’udito, si trova che

62) Comm. alla Str. 14 (13), V. 4 - Obras III, 270 e 67.

*) «...Se le da sustancia entendida y desnuda de accidentes y fantasmas».


Cfr. Cantico spirti., comm. Str. 14, 14. (N.d.T.).
266 Parte seconda - La dottrina della Croce

si tratta ordinariamente di rivelazioni puramente spirituali o di


visioni concesse all’anima senza la mediazione coadiuvante dei
sensi. Per questa ragione, le comunicazioni di Dio... fatte tra­
mite l’udito... solo molto sublimi e sicure ». E’ pensabile che in
questo modo abbia contemplato Dio il nostro S. Padre Elia, che
Lo percepì « nel sussurro d’una aura leggera » (3 Re, 19, 12) e
anche S. Paolo, allorché « udì arcane parole che all’uomo non è
lecito pronunciare » (2 Cor., 12, 4). Sì, perché « udire con l’orec­
chio dell’anima equivale a contemplare con l’intelletto ». Certo,
non si tratta ancora della chiara visione quale si ha nella gloria;
resta pur sempre unicamente « un raggio di tenebra » 63).
Siccome l’anima riceve questa conoscenza oscura e insonda­
bile, godendosi un sonno ristoratore sul petto dell’Amato Bene,
essa Lo paragona alla notte immersa nel sopore; ma ad una notte
vicina ad essere illuminata dalla luce del mattino, perché il suo
« è un tranquillo riposo in grembo alla luce divina, in una nuova
conoscenza di Dio, ove lo spirito... è immerso in una quiete soa­
ve ». Questo spirito, riposato e calmo, si solleva dalla tenebra del­
la conoscenza naturale alla luce mattutina della conoscenza so­
prannaturale di Dio... Al momento in cui spunta l’alba, non è
né notte completa né giorno completo... è piuttosto una luce cre­
puscolare... » 64).
Nella calma e nel silenzio di questa notte soffusa di luce,
« l’anima è messa in grado di vedere la convenienza e le ammi­
rabili disposizioni della Sapienza divina, che splendono nella va­
rietà di tutte le creature e di tutte le opere di Dio. Tutte nel loro
complesso e ciascuna in particolare sono dotate d’una certa riso­
nanza nei confronti di Dio; per cui ognuna di essa riecheggia a
modo suo il segno della Sua presenza in Lei, dando all’anima
l’impressione d’una armonia musicale sopraffina, che copre e so­
vrasta ogni concerto e melodia del mondo ».
Ma si tratta d’una musica senza suono, perché questa calma
e silente conoscenza si comunica senza rumore di voci, sicché « in
essa si gode la soavità della musica e contemporaneamente la
quiete del silenzio65). Questa musica così gradevole è percettibile
soltanto nella solitudine e nell’isolamento da qualsiasi altro ri­
chiamo esteriore. Ecco perché anche la solitudine riceve l’appel­
lativo di « sonora ».

G3) Dionisio Arjeopagita, Mystica Theologia, cap. 1.


64) Cantico spirit., comm. alla Str. 15 (14), V. 1 - Obras III, 279 t 75.
e5) Ibìd., comm. alla Str. 15 (14), V. 3 - Obras III, 281 e 77.
III. La gloria della Risurrezione 267

La contemplazione di Dio è il cibo degli Angeli e dei Santi.


Così l’anima viene ristorata dalla conoscenza riconfortante della
notte purificatrice come da una cena. Essa la gusta con la lieta
sensazione che tutte le fatiche ed i travagli del giorno siano ormai
finiti. L’Amato Bene in persona « cena con lei » (Apoc. 3, 20). Egli
la fa compartecipe al godimento dei Suoi beni, infiammandola di
nuovo amore con la Sua prodigalità.
Ammantato delle virtù accordatele dalla inesauribile mise­
ricordia di Dio, il proprio intimo appare ora alla Sposa simile ad
un giardino pieno di fiori oppure ad un vigneto in fiore. Sente
nel suo cuore la presenza dell’Amato, come se Egli stesse riposan­
do nel suo letto. Vorrebbe abbandonarsi a Lui con tutta la sua
ricca fioritura, per dargli la gioia suprema e farlo contento, allon­
tanando ogni elemento di disturbo. Ma le tendenze sensuali, ri­
maste a lungo in letargo come volpi che si fingevano addormen­
tate, irrompono improvvisamente - sferzate dagli spiriti maligni
- mettendo a soqquadro il pacifico regno floreale deH’anima. Il
demonio infatti « prova molta più soddisfazione nel sottrarre a
quest’anima sia pur un milligrammo della sua ricchezza e del
suo glorioso piacere, che non nel farne cadere tante altre in nume­
rosi peccati gravi. Le altre, effettivamente, hanno poco o nulla da
perdere; mentre quella ne ha molto, avendo messo da parte un
capitale forte e prezioso » 66).
Perciò gli spiriti avversi portano le tendenze sregolate ad
un alto grado d’eccitazione, sempre con l’idea di turbare l’anima.
Se non riescono ad ottenere nulla per questa via, l’assalgono a
mezzo di sofferenze corporali e di urla frastornanti. Il tormento
diventa poi intollerabile allorché essi la perseguitano con visioni
spaventose e orrori spirituali. « E ciò è loro possibile, adesso, se
vien loro lasciata mano libera per agire. Intraprendendo questi
esercizi, infatti, l’anima si mette in stato di nudità spirituale, sic­
ché il demonio - nudo spirito pure lui - può facilmente presen­
tarsi a lei. Altre volte la investe con raffiche di orrori..., proprio al
momento in cui Dio incomincia a trarla fuori dalla casa dei suoi
sensi... per introdurla nel giardino dello Sposo. Il perverso ne­
mico sa benissimo che essa, una volta entrata in quell’oasi di
raccoglimento, si trova ad essere così ben protetta da non lasciar­
gli più possibilità alcuna di danneggiarla, per quanti sforzi egli
metta in atto. Spesse volte, quando il demonio fa la sua sortita
per tagliarle la strada, l’anima s’affretta a ritirarsi nel profondo

66) Prologo alla Str. 16 (appendice della seconda redazione) - Obrai III, 284.
268 Parte seconda - La dottrina della Croce

nascondiglio del suo intimo, ove trova immensa felicità e sicura


protezione. Allora essa* pur essendo presa di mira da quei terro­
ri, li sente così periferici e lontani, che non solo non le incutono
più paura, ma addirittura suscitano in lei allegria e piacere »57).
Se però cade lo stesso in preda aH’inquietudine, supplica gli
angeli a « cacciare le volpicelle », perché è precisamente loro
compito quello di liberare il terreno dagli spiriti cattivi.
Una volta allontanati i danneggiatori, lamina - unita al suo
Amato - può godere tutti i fiori delle virtù, che sbocciano sotto
il suo sguardo effondendo il loro profumo. Essa ne fa un mazzo
« offrendoli tutti insieme e uno per uno all’Amato, con grande
tenerezza amorosa, improntata di soavità». Tuttavia, per giun­
gere a questo, ha bisogno del suo aiuto; senza di Lui, non sareb­
be in grado di completare il mazzo.
S’aiutano quindi a vicenda a legare questo mazzo, che risulta
simile alla pigna, caratteristico frutto delle conifere, nel quale
tutte le parti che lo compongono sono forti e saldate assieme
strettamente. Così la perfezione dell’anima forma anch’essa un
blocco unitario che abbraccia una miriade di splendide virtù,
strettamente collegate in bell’ordine. Mentre l’anima lega questo
mazzo praticando le virtù, non deve mostrarsi nessun guastafeste
sulla collina; vale a dire, non deve infilarsi nelle facoltà dell’ani­
ma nessuna nozione distinta e nessun ricordo preciso, per non
distrarla dalle sue attenzioni amorose verso Dio.
Però ce un altro fattore che turba la sua felicità. Durante il
fidanzamento il Diletto non è ancora unito a lei in modo stabile.
E siccome il suo amore è immenso e sentito così profondamente
quando Egli si assenta da lei, ella prova una grande sofferenza.
Ecco perché teme l’aridità come la fredda tramontana che uccide
tutti i fiori. Allora essa si rifugia nella preghiera e nelle pratiche
spirituali, proprio per vincere l’aridità. Ma nell’alto gradino della
vita spirituale da essa or ora raggiunto, tutte le comunicazioni
della vita soprannaturale sono così intime ed elevate, che non pos­
sono esser conseguite da nessuna attività basata sulle proprie
energie. Essa invoca quindi in suo aiuto l’umido e caldo vento del
sud, sotto la cui carezza i fiori aprono la loro corolla ed effondono
il loro profumo: è lo Spirito Santo «che i casti amori sveglia».
Quando Egli la investe, « la infiamma sin nelle più intime fibre,
ristorandola, rianimandola, sollecitandone la volontà e indirizzan­
done gli affetti alFamore di Dio...». Essa Lo prega di soffiare at­

67) Ibìd., comm. alla Str. 16, V. 1 e 2 - Obras III, 286.


11L La gloria della Risurrezione 269

traverso il suo giardino, non dentro il giardino* « Sussiste effetti­


vamente una grande differenza tra lo spirare di Dio nell’anima
e il Suo spirare invece attraverso l’anima. Da parte di Dio, spirare
nell’anima equivale ad infondere in essa la gloria, i doni e le
virtù; mentre spirare attraverso l’anima equivale a sollecitare col
suo contatto ed a mettere in moto le virtù e le perfezioni che già
le erano state accordate precedentemente, rinnovandole e sommo-
vendole in modo da farne espandere verso Fanima la loro fragran­
za soave ed inebriante. Succede qui lo stesso fenomeno che si
verifica rimescolando delle sostanze aromatiche, le quali nella fase
di agitazione sprigionano intensi effluvi profumati che prima non
si avvertivano... ». Allo stesso modo, l’anima non gode sempre la
reale sensazione e il piacere delle proprie virtù. In questa vita
esse assomigliano più che altro a fiori ancora in boccio o ad es­
senze aromatiche in un recipiente tappato. Tuttavia, ci sono dei
momenti in cui lo Spirito divino soffia attraverso il giardino del-
l’anima; allora Egli fa sbocciare tutti i fiori delle virtù, solleva
il coperchio dei doni, delle perfezioni e delle ricchezze dell’ani­
ma. « E’ così che Egli, mettendone in luce i tesori e la ricchezza
interiore, scopre tutta la bellezza dell’anima ». Questi profumati
effluvi dei fiori di virtù a volte s’effondono nelFanima con tanta
intensità da darle la sensazione di sentirsi immersa nel piacere
e sprofondata in una gloria inestimabile. E qualcosa di tutto
questo « trapela anche all’esterno : lo riconoscono bene quelle per­
sone che lo sanno avvertire. Tale anima sembra loro un affasci­
nante giardino pieno di delizie e di tesori di Dio.
E anche quando questi fiori non sono ancora schiusi..., tali
sante anime sono come aureolate da un certo alone di grandezza
e dignità, che incute soggezione e rispetto agli altri... ».
Nello spirare dello Spirito Santo, però, si comunica sublime-
mente all’anima il Figlio di Dio. Ed è soprattutto Lui che si com­
piace della sua smagliante e profumata acconciatura floreale.
Essa d’altronde non la desidera che per farGli piacere. E’ Lui
che Fha nutrita e trasformata in sé; sicché ora tocca all’anima
« essere per Lui un pascolo maturo, stagionato e profumato con
i fiori di virtù, con i doni e le perfezioni... ». Gli amanti gustano
insieme il suo ottimo sapore e la sua dolcezza. « Perché è una
caratteristica dello Sposo, quella di unirsi all’anima tra la fra­
granza di questi fiori » 68).
Pure, in mezzo a tale felicità l’anima continua a soffrire, per

8B) Ibìd.j comm. alla Str. 17 (26) - Obras III, 299 sg. e 125 sg.
270 Parte seconda - La dottrina della Croce

il fatto di non aver ancora pieno dominio sulle sue facoltà infe­
riori. Nel settore dei sensi purtroppo hanno luogo tuttora fre­
quenti ribellioni nocive alla vita della grazia. L’anima si rivolge
quindi a questi elementi sovversivi della sua componente infe­
riore, pregandoli di non passare i limiti... Li chiama ninfe, perché
tendono a fuorviare la volontà con le loro smancerie importune.
Dà poi al suo settore sensitivo il nome di Giudea perché « esso è
per sua natura fiacco,, carnale e cieco, proprio come la nazione
giudaica » 69).
Mentre i rosai nel suo settore potenziale più nobile produ­
cono Lori di virtù, effondendo il profumo ambrato dello Spirito
Santo, le ninfe importune devono arrestarsi alla periferia o nei
sobborghi dei sensi interni, senza varcare la soglia che conduce
aH’interno, vale a dire quella dei primi movimenti del settore
superiore deH’anima. (Notiamo che in questo passaggio appare
evidente come non solo l’interpretazione, ma la stessa strofa poe­
tica sia artificiosa, troppo marcatamente, intrisa del gusto dell’e-
poca. La strofa che segue, invece, si inserisce nuovamente in modo
lineare nel quadro complessivo).
Il più vivo desiderio delPanima è quello di contemplare Dio
faccia a faccia. Ora l’ha trovato nel suo intimo, per cui bramereb­
be rimanervi per sempre nascosta con Lui. Mentre nella stanza se­
greta del suo cuore Egli le sta rivelando la magnificenza della Sua
Divinità, nulla di quanto avviene là dentro deve trapelare di fuori,
per evitare qualunque azione disturbatrice proveniente dall’ester­
no. L’anima sa che la debolezza della sua natura sensibile fini­
rebbe per soccombere sotto la vertiginosa sublimità di ciò che sta
avvenendo sulla montagna e questa eventualità impedirebbe allo
spirito di contemplare la faccia di Dio. Essa vorrebbe quindi sen­
tirsi liberare integralmente dal peso del proprio corpo, per spe­
rimentare così nel suo intimo il contatto dell’Essenza divina,
beandosi della meravigliosa acconciatura di cui Egli stesso l’ha
adornata: una conoscenza della Sua Divinità, assai superiore a
qualunque ordinaria via conoscitiva.
Ma anche lo Sposo anela al matrimonio. Egli intende accor­
dare alla Sposa una forza d’animo eccezionale, una purezza e un
amore unico nel suo genere, per metterla così in grado di sop­
portare la poderosa ed intima stretta unitiva di Dio. Stabilisce
quindi nella sua anima la più perfetta armonia. Ogni volubile
gioco della fantasia, ogni imperiosa brama delle passioni, ogni

60) Ibid,, comm. alla Str. 18 (31), V. 1 - Obras III, 299 e 146,
UL La gloria della Risurrezione 271

timidezza e sensazione di paura finalmente scompare. Monti e


valli vengono spianati allo stesso livello: tutto ciò che oltrepassa
la misura e tutto ciò che non la raggiunge. Le acque della tri­
stezza devono ritirarsi, i venti della speranza ridursi al silenzio,
il fuoco della gioia non deve più arroventarla; vengono banditi
tutti gli attacchi terroristici, con i quali il perverso nemico mira
a spargere la tenebra dentro l’anima, cercando di oscurarvi la
luce divina. Così la Sposa può riposare indisturbata tra le brac­
cia dell’Amato Bene, avendo ormai raggiunto una apertura spi­
rituale e una stabilità che non può più essere scossa da alcun
agente terreno. Quantunque possieda la più squisita facoltà d’in­
dividuazione delle colpe proprie e altrui, queste miserie non le
causano più alcun dolore. In questo stato infatti, l’anima ha per­
duto tutto « il lato debole delle virtù, mentre gliene resta il lato
forte, costante e perfetto. Come gli angeli valutano perfettamente
i fattori che provocano dolore pur senza provarne la sensazione,
esercitando le opere di misericordia senza il sentimento della
compassione, così fa l’anima in questa trasformazione d’amore » 70).
Se Iddio le lascia ancora provare il dolore, è soltanto per farle
acquistare dei meriti: ciò non ha nulla a che fare col matrimonio
mistico. Anche la sua speranza, a causa della sua unione con Dio,
è ormai del tutto soddisfatta, per quanto è possibile in questa vita,
per cui essa non spera più nulla dal mondo. « Il gaudio che essa
prova ordinariamente è così grande da assomigliare al mare: non
cala per quanti fiumi ne escano, né aumenta per quanti ne en­
trino ». E’ vero che non le mancano a volte delle gioie acciden­
tali, ma « la sua dotazione sostanziale con questo non cresce af­
fatto, perché tutto quel che di nuovo le potrebbe venir accor­
dato, essa lo possedeva di già... Qui l’anima sembra quasi parteci­
pare a un tipico attributo divino. Dio, infatti, pur compiacendosi
di tutte le cose, in realtà non gode tanto delle cose, quanto piut­
tosto di se stesso, perché possiede in sé tutto il bene di cui sono
dotate, in grado eminente». Così le nuove gioie servono all’anima
soltanto come incitamento ad abbandonarsi alla felicità dell’unio­
ne. Quando trova un po’ di piacere in qualche cosa, subito si ri­
sveglia in essa il pensiero di quel Bene, molto più prezioso ed
alto che è già presente in lei; per cui essa è a Lui che si rivolge
cercandovi il suo appagamento. Nei confronti di quest’ultimo, la
soddisfazione proveniente dai fattori accidentali « è così insigni-

70) Ibìd., comm, alla Str. 20 (29) - Obras III, 307 e 138.
272 Parte seconda - La dottrina della Crocè

ficante, che possiamo ritenerla addirittura nulla ». Eppure fiamma


ha ora la sensazione di provare sempre un piacere nuovo, perché
il Bene che essa va continuamente riassaporando le torna sempre
nuovo.
« Se poi volessimo parlare della illuminazione di gloria, pro­
dotta talvolta nell’anima da questo supremo abbraccio ormai di­
venuto abituale, non si troverebbero parole sufficienti a darne
un’idea. Si tratta di una certa qual conversione spirituale di Dio
verso l’anima, nella quale Egli le fa vedere e gustare in blocco
tutto l’abisso di delizie e di dovizie da Lui elargitole. Come il
sole al suo punto di culminazione investe il mare e ne illumina
le più riposte caverne e anfrattuosita, facendovi scintillare le perle,
i ricchissimi filoni d’oro e dei più svariati minerali preziosi..., così
quel divino Sole ch’è lo Sposo... svela alla Sposa... tutte le ricchez­
ze rinserrate nella di lei anima... Eppure durante quest’azione il­
luminante - per sublime che sia - l’anima non subisce nessun au­
mento del suo tesoro interiore; questo viene soltanto messo in
luce, affinché essa goda di ciò che già possedeva ».
Inondata così di luce, fortemente e stabilmente radicata in
Dio, fiamma non si lascia più impressionare dalle incursioni terro­
rizzanti degli spiriti maligni. « Ormai nulla può più turbarla o
sviarla ». Essa è entrata in Dio e gode d’una perfetta pace, che
supera ogni immaginazione e non è suscettibile di essere espres­
sa con nessuna parola umana»71). «La sposa è dunque entrata
nell’agognato giardino di delizie ». Ormai tutta la strada percorsa
è stata da lei lasciata alle spalle; la preparazione è finita; la fedel­
tà durante il periodo di fidanzamento è stata conservata. Ora Dio
la chiama alle nozze nel giardino smaltato di fiori: è Lui stesso,
il Desiderato, nel quale adesso lei è integralmente trasformata.
« A questo punto si verifica una così intima congiunzione delle
due nature, una comunicazione tale della natura divina a quella
umana, che - pur senza alcun cambiamento nell’essere di ciascuna
di esse - ognuna sembra Dio. Certo che tale unione, in questa
vita, non può avvenire in maniera perfetta e definitiva; eppure
resta sempre un fatto sublime, superiore a tutto ciò che si possa
dire e pensare » 72).
Giunta così finalmente al traguardo, l’anima gode d’una me­
ravigliosa abbondanza di grazie divine, incomparabilmente più
larga di quella goduta nel fidanzamento spirituale. La sua pace
_____________ ! T:

71) Ibid.j comm. alla Str. 21 (30) - Obras III, 315 e 144.
72) Ibid., comm. alla Str. 22 (27), V. 2 - Obras III, 321 e 133.
IH. La gloria della Risurrezione 273

è molto più profonda e duratura. Si sente unita a Dio in un auten­


tico, intimo abbraccio spirituale che le fa vivere la vita di Dio,
Il suo capo riposa tra le braccia deirAmato: Egli trasfonde in
lei la sua forza, per trasformare la sua dolcezza in energia divina.
Quello in cui è entrata, è un nuovo Paradiso Terrestre. Il ma­
trimonio vien consumato sotto il melo. Qui Tanima viene intro­
dotta nei meravigliosi segreti di Dio, specialmente nei soavi mi­
steri delllncarnazione e della Redenzione. Come nell’Eden - gu­
stando il frutto dell’albero proibito - la natura umana venne rovi­
nata e votata alla distruzione, così sotto l’albero della croce essa è
stata da Dio redenta e riabilitata. E5 stato proprio là, dall’alto del­
la croce, che lo Sposo le ha teso la mano della Sua grazia e della
Sua misericordia, mettendo fine - mediante i meriti della Sua pas­
sione e morte - all’inimicizia che sin dalla colpa originale separa­
va l’uomo da Dio. Sotto l’albero dell’Eden, la nostra comune ma­
dre (la natura umana) è stata violentata col peccato nella persona
dei nostri progenitori. Sotto l’albero della Croce invece l’anima
umana viene riportata alla vita. Il fidanzamento che si stipula
sotto la croce non coincide esattamente con l’equivalente mistico.
Quello si realizza una volta per sempre sin dal momento del
battesimo; mentre il fidanzamento mistico che è strettamente
collegato al lavoro di perfezionamento personale, ordinariamente
si verifica per gradi e dipende dalla generosità dell’anima. In fon­
do in fondo si tratta però sempre della stessa unione73).

e) Il simbolo della Sposa e la Croce.


(Matrimonio mistico - Creazione, Incarnazione e Redenzione)

Siamo giunti ad un punto d’importanza essenziale. Dobbia­


mo ora necessariamente cercare di penetrare un po’ più a fondo
nelle cose, per afferrare con la nostra intelligenza il pensiero del­
l’Autore, andando al di là di quanto ce ne dicono espressamente
i commenti espliciti del Santo.
Abbiamo visto nella Croce il simbolo della passione e morte
di Cristo, nonché di tutto ciò che sta in relazione d’origine e di
significato con esse. Logicamente, vien fatto di pensare innanzi­

73)
Questo commento alla Str. 23 (28), Obras III, 326 e 136, nella seconda
redazione del Cantico è sviluppato molto più in largo. Il raffronto tra fidanza­
mento battesimale e fidanzamento mistico v’è stato introdotto posteriormente.
Corrisponde alla tendenza a mettere in stretto rapporto l’unione per via di grazia
con quella mistica.

18, - Sdentici Crucis.


274 Parte seconda - ha dottrina della Croce

tutto al frutto della morte di croce: La Redenzione. Qui però


ci si fa notare, che rincarnazione sta in strettissimo rapporto
con essa, in quanto costituisce la necessaria condizione della
passione e morte redentiva, e inoltre che la caduta nel peccato è
la causa motiva di entrambe. Si è già espressa precedentemente
l’idea che le sofferenze della Notte Oscura sono una partecipa­
zione alla Passione di Cristo, specialmente al dolore più lan­
cinante: l’abbandono da parte di Dio. Questo concetto ha rice­
vuto un’ulteriore espressa conferma dal Cantico' Spirituale. In esso,
il desiderio bramoso di Dio, che si tiene nascosto, è effettivamente
il tormento predominante su tutta quanta la via mistica. Non s’ar­
resta neppure nella felicità deH’unione nuziale. Anzi - in un
certo senso - aumenta ancora di intensità man mano che cresce
la conoscenza e Tamore di Dio, perché il presentimento di ciò
che la chiara visione di Dio nel lume della gloria ci dovrà por­
tare, diventa ora sempre più vicino e sensibile. (Questo punto
viene acutamente ribadito e analizzato nella seconda versione).
Ma quale dolore umano provocato da un’assenza è para­
gonabile al dolore dell’Uomo-Dio, che per tutta la vita era stato
in possesso della visione beatifica di Dio, e per libera determi­
nazione in quella terribile notte dell’Orto degli Ulivi si strappò
da sé anche queirultima gioia? Non esiste spirito né cuore uma­
no capace di concepire e di provare cosa sia la beatidudine eter­
na; a maggior ragione noi non siamo all’altezza di penetrare
l’insondabile mistero costituito dalla privazione di questa beati­
tudine *). Soltanto Lui, l’unico che l’ha provata, può concedere a
certi fortunati eletti di provarne un saggio, neH’intimità dell’unio-
ne nuziale.
L’abbandono da parte di Dio in tutta la sua tragica desola­
zione fu esclusivamente riservato a Lui, e potè essere subito sol­
tanto da Lui perché era nel contempo Dio e Uomo: come puro
Dio non avrebbe potuto soffrire, come puro uomo Egli non
avrebbe potuto comprendere il Bene di cui si privava. * 3

*) Qualunque sia il senso voluto dare da Edith Stein a queste sue parole,
è da ritenersi, con S. Tommaso (Somma, 3, 46, 8; De peritate q. 10, a. 11, ad
3 e q. 26, a. 10; Comp. theol., c. 232) e con la dottrina sicura e comune della
Chiesa che il Verbo Incarnato durante tutta la sua vita terrena godette senza
interruzione la visione beatifica di Dio. Anche nell’agonia del Getsemani, come
nell’abbandono della Croce, immerso nel mistero di dolore della Passione, nella
regione superiore della sua anima Gesù godeva la gioia ineffabile della visione
di Dio. (Cfr. nella versione francese della Somma della Revue des Jeunes il voi. Ili
della Vie de Jésus (Paris 1931), la nota tecnica (pp. 216-229) su « La Passìon et
la vision béatifique dans le Christ » (N.d.T.).
HI. La gloria della Risurrezione 275

L’Incarnazione è dunque la condizione necessaria di questa


Sua sofferenza; la natura umana, in quanto capace di soffrire e
di fatto soggetta alla sofferenza, è lo strumento della Redenzione.
Causa motiva della passione redentrice - e perciò stesso anche deh
la Incarnazione - è ancora la natura umana, in quanto esposta
alla caduta e di fatto rimasta vittima di essa74). Con la caduta
nel peccato, essa aveva perduto nei suoi capostipiti ogni dignità:
la sua perfezione originaria, l’elevazione per tramite della grazia.
Ora essa viene di nuovo risollevata in ogni anima che, mediante
la grazia battesimale, rinasce alla filiazione di Dio; verrà poi
incoronata nelle anime privilegiate che raggiungono l’unione nu­
ziale col Salvatore. Tale incoronazione avviene « sotto l’albero
della Croce », in quanto costituisce il frutto della morte di Croce,
maturato nella compartecipazione alla sofferenza della morte in
croce.
Orbene, come dobbiamo intendere l’affermazione che il luo­
go del riscatto sia lo stesso della caduta, che l’albero della croce
si identifichi con quello del paradiso terrestre? A mio avviso la
soluzione del problema sta nel mistero del peccato. L’albero del­
l’Eden, i cui frutti erano vietati agli uomini, era in realtà l’al­
bero della conoscenza del bene e del male. Gli uomini avrebbero
potuto acquistare una vera conoscenza sperimentale del male e
della sua radicale opposizione al bene, soltanto facendolo. Sic­
ché possiamo considerare l’albero del paradiso come un simbolo
della natura umana nella sua penetrabilità da parte del peccato;
il peccato effettivo poi, (tanto il primo, come gli altri successivi)
con tutte le sue conseguenze, non ne sarebbe che il frutto. La più
atroce conseguenza del peccato e la rivelazione più lampante della
sua orrenda terribilità, è quindi la passione e morte di Cristo. Ec­
co allora come la redenzione è anch’essa un frutto dell’albero
dell’Eden, e sotto diversi aspetti. Innanzitutto perché la colpa ha
determinato Cristo ad accettare la passione e morte. Poi perché
è stato il peccato, in tutte le sue forme versipelli, a crocifiggere
Gristo. Infine perché, appunto per tale suo effetto, è divenuto
uno strumento della nostra redenzione. Orbene, l’anima unita a

74) Noi non vediamo però nel peccato e nella necessità d’una azione reden-
tiva Vunico movente dell’Incarnazione. Questa ci appare di già inclusa nell’eco­
nomia della creazione, che avrebbe dovuto essere a suo tempo completata da
Cristo. Anche Giovanni della Croce conosce un fondamento giustificativo del-
rincarnazione indipendente dalla caduta nel peccato. Cfr. Romanzas, Obras IVj
328 sgg,).
276 Parte seconda - La dottrina della Croce

Cristo, condividendo la passione del Crocifìsso (nella Natte oscura


della contemplazione), perviene anch’essa alla « conoscenza del
bene e del male », sperimentandola come forza redentiva. In real­
tà si ribadisce continuamente l’asserto, che Tanima arriva alla
purificazione integrale soltanto attraverso l’acuta sofferenza pro­
vocata dalla conoscenza di se stessa (ossia dalla sua accessibilità al
peccato).
Ci resta ancora da dimostrare come l’unione mistica sia da
considerare anche sotto l’aspetto di compartecipazione alla Incar­
nazione. Vi abbiamo già alluso parlando dello stretto rapporto
intercorrente tra i due misteri. Tale aspetto viene accennato an­
che dai passi in cui il Santo parla del matrimonio spirituale.
Quando egli parla di una « così stretta unione tra le due nature
e una tale comunicazione della natura divina con quella umana »
da far sì che Tanima sposata misticamente sembri Dio stesso 75 76),
allude certamente al legame vicendevole delle due nature esistenti
in Cristo per l’unione ipostatica. E’ un fatto che i teologi desi­
gnano volentieri l’assunzione della natura umana da parte del
Verbo come un matrimonio con l’umanità ^
Con essa l’Uomo-Dio s’è aperto un varco verso ciascuna delle
nostre anime. E ogni volta che un’anima si dà a Lui senza ri­
serve, al punto ch’Egli la possa elevare al matrimonio mistico, è
come se Egli si facesse uomo un’altra volta. Evidentemente,
permane sempre la differenza essenziale costituita dal fatto che
in Gesù Cristo le due nature sussistono in un’unica Persona,
mentre nel matrimonio spirituale si tratta di due persone che
entrano in intimi rapporti, pur conservando intatta la loro dua­
lità. Mediante il vicendevole abbandono dei due soggetti, però, si
viene a creare una unione che s’avvicina molto a quella iposta­
tica. Essa apre le anime a ricevere la vita divina, offrendo a Dio -
attraverso la piena sottomissione della loro volontà a quella divina
- la facoltà di disporre liberamente .di tali creature generose come
di membra del Suo corpo. Esse infatti non vivono più d’una loro
vita autonoma, ma vivono la vita di Cristo; non soffrono più i
loro dolori, ma i dolori di Cristo. E’ precisamente per questo
motivo che gioiscono anche per la vita di grazia che il Signore

Cantico spirita, comm. alla Str. 22, V. 2 - Ohras III, 321,


,5)
76)Giovanni della Croce ha trattato l’Incarnazione come matrimonio con
l’umanità nelle Rorrtamsas sulla Creazione (Obras III, 328 sgg.). Tale matri­
monio là si presenta addirittura come movente della creazione stessa. E’ sor­
prendente notare come la colpa sia completamente tralasciata, nelle Romanze.
La Redenzione vi appare come una liberazione dal giogo d’ella legge.
Ili, La gloria della Risurrezione 277

accende in altre anime, quando le tocca la scintilla dell’amore di­


vino e il vino generoso di quest’amore le immerge in una ebbrez­
za beata77 78).
L’anima che ha raggiunto il matrimonio mistico viene a tro­
varsi nella cantina piu riservata dell’Amato, vale a dire nello sta­
dio più elevato dell’amore. Il Santo distingue qui sette gradi del­
l’amore, in corrispondenza coi sette doni dello Spirito Santo,
considerando come dono ultimo e coronativo il dono del timore.
« Quando l’anima è arrivata a possedere perfettamente il dono del
timore, possiede ormai in modo definitivo lo spirito d’amore,
perché esso - ultimo dei sette doni - è il timore filiale. E il
perfetto timore del figlio nasce dal perfetto amore verso il Pa­
dre » 7S).
In questo intimo atto unitivo Lamina beve del suo Amato.
Come una bevanda « penetra nel corpo, diramandosi in tutte le
sue membra, così anche questa comunicazione di Dio si diffonde
sostanzialmente per tutta l’anima..., secondo la capacità della sua
sostanza e delle sue facoltà spirituali. Con l’intelletto beve la
scienza e sapienza; con la volontà beve l’amore più soave; con
la memoria beve la soddisfazione e il piacere, rammentando e
presentendo la gloria » 79).
Uscendo poi dal suo profondo rapimento - che non costituisce
un’interruzione dell’unione sostanziale in cui si trova, ma sol­
tanto un suo riflesso effettuale sulle potenze - essa ha « obliato
tutto », « La bevanda dell’altissima Sapienza di Dio di cui s’è
inebriata, le ha fatto dimenticare tutte le cose del mondo. Sem­
bra all’anima che quanto lei sapeva prima, e persino quanto co­
nosce il mondo intero, in confronto a quella scienza non siano
che pura ignoranza... D’altro canto, quella divinizzazione, quella
elevazione della mente in Dio,., non le permettono più di ricor­
dare le cose terrene; essa risulta estraniata non solo dalle cose del
mondo, ma addirittura da se stessa, annientata, come liquefatta e
risolta in amore,.. Lo stato di quest’anima assomiglia in certo qual
modo a quello di Adamo nella sua primordiale innocenza, che
non sapeva cosa fosse il male. E’ così innocente da non capire il
male e da non ritenere nulla per male. Le capiterà di udire e di
vedere coi suoi propri occhi delle cose cattive, ma non potrà dar­
si ragione perché lo siano...». (Ciò non è in contraddizione con

77) Cfr, Cantico spirit,, comm. alla Str. 25 (16) - Obras IH, 335 e 85.
78) Ibid., comm. alla Str. 26 (17), V. 2 - Obras III, 343 e 91.
79) lbid., comm. alla Str. 26 (17), V. 2 - Obras III, 345 e 92.
278 Parte seconda - La dottrina della Croce

quanto si è detto poco sopra, cioè che la contemplazione conferisce


la conoscenza del bene e del male. Quella conoscenza là appar­
tiene alla fase iniziale della via mistica, mentre il non sapere
attuale è tipico della rinnovata innocenza d’un'anima giunta alla
vetta della perfezione). Del resto, l'ignoranza felice dell’anima per­
venuta a questo stadio finale « non va intesa nel senso che essa
perda le nozioni acquisite in precedenza, le quali anzi vengono
ora perfezionate al più alto grado mediante la scienza sopranna­
turale che Dio le ha infusa. Quantunque però tali nozioni acqui­
site non abbiano nell’anima una prevalenza tale da costrìngerla
a servirsi di loro per sapere le cose, niente le vieta di farvi tal­
volta ricorso. In questa unione con la Sapienza divina, infatti, le
conoscenze acquisite sì accoppiano alla suprema Sapienza... Come
allorché una luce piccola si aggiunge ad una grande, quella che
ha il sopravvento e fa più chiaro è proprio la grande, pur non
facendo scomparire quella piccola, ma anzi perfezionandola... Nei
momenti però in cui si verifica l’assorbimento d’amore, Panini?
perde e ignora integralmente ogni nozione particolare e ogni
forma delle cose... Innanzitutto, perché stando assorta e tutta in­
tenta a dissetarsi alla fonte dell’amore, non può contemporanea­
mente occuparsi d’altro; poi - ed è questo il motivo principale -
perché l’attuale sua trasformazione in Dio la plasma sullo schema
della semplicità e purezza di Dio, in cui non trova posto alcuna
forma e figura immaginaria, lasciandola limpida, pura, svuotata
da qualsiasi forma e figura da lei precedentemente posseduta...80).
Questa inattività mentale però dura solo sinché è passato l’acme
più acuto del ratto amoroso. L'ebbrezza del bere in cantina ha
inoltre un altro effetto: al posto dell’uomo vecchio ne subentra
uno completamente nuovo. Prima che l’anima entrasse nello
stato di perfezione, malgrado la sua già elevata spiritualizza­
zione, restava ancora in circolazione dentro di lei un piccolo
gregge di tendenze affettive, di gusterelli sregolati e di imperfe­
zioni. « Essa gli va dietro procurando di tacitarlo, seguendone gli
estri pur di accontentarlo». L’intelletto mantiene ancora qual­
cosa delle sue vecchie curiosità di sapere; la volontà si lascia an­
cora trasportare da gusti e da vogliuzze personali. Si desidera
ancora di possedere certe cosucce, si accontentano certe inclina­
zioni, si va in cerca volentieri di complimenti e stima, si prova
facile rinsentimento nel vedersi accantonati. Si hanno poi piccole
preferenze nel mangiare, nel bere, nei gusti personali, lasciandosi

80) Ibid., comm. alla Str. 26 (17), V. 4 - Obras III, 345 e 95.
III. La gloria della Risurrezione 279

cogliere da preoccupazioni, gioie e dolori superficiali e inutili,


E’ questa la mandria, il gregge di imperfezioni seguito ancora da
tali anime « finché, entrando a bere nella cantina interiore, non
10 perdono del tutto, restando completamente liquefatte, trasfigu­
rate in amore...».81).
Nell’unione nuziale, Iddio circonda Panima d’un amore, che
neppure il più tenero affetto materno può eguagliare. Egli « le
offre il suo seno », ossia le rivela i suoi segreti, dandole la dolce
scienza della teologia mistica, la scienza segreta. E Panima, a
sua volta, gli si abbandona senza riserve. « L'anima ha un unico
desiderio: esser integralmente sua per sempre, senza trattener più
nulla di diverso da Lui... ». Siccome Dio ha allontanato da lei
ogni altro oggetto su cui il suo cuore si posava, essa può ora
cedergli tutto il suo essere fin nelle sue più intime fibre; non
soltanto affettivamente con la volontà, ma effettivamente nella
realtà. I loro due voleri sono coagmentati in uno, legati come
sono per sempre nella fedeltà e nella stabilità. Persino le reazioni
prime dell’anima non si ribellano più a ciò che essa riconosce come
volere di Dio. Ormai non conosce che l’amore e l’intimità con lo
Sposo divino, avendo essa « raggiunto quello stadio la cui sostanza
e forma... è l’amore». Essa è «tutta amore, se così si può dire.
Tutte le sue azioni sono amore; tutte le sue potenze ed energie
sono occupate ad amare... Nota che il suo Amato Bene non ap­
prezza e non gradisce altro che amore; per cui, desiderando ser-
virLo perfettamente, fa convergere tutto nel puro amore di Dio...
Come l’ape succhia da tutti i fiori il miele che contengono, e non
11 utilizza che per questo, così fa anche Fanima: sugge lieve­
mente da tutti gli avvenimenti dell’esistenza il nettare dell’amo­
re... »82),
Il fatto che Dio prediliga soltanto l’amore e le sue effu­
sioni, è giustificato per la semplice ragione che ogni nostra azione
e ogni nostra fatica ai suoi occhi non valgono nulla. Egli non
ha bisogno di niente e non esige niente. «Desidera una cosa sola:
elevare la dignità della nostra anima..., ingrandirla e arricchirla.
Siccome non esiste altro mezzo atto a nobilitarla fuorché quello
di renderla uguale a Lui, Egli utilizza questo. Basta che Fanima
Lo ami; perché è tipica proprietà dell’amore uguagliare il sog­
getto che ama con l’oggetto del suo amore. Dato che Fanima ora
possiede il perfetto amore, si chiama a buon diritto Sposa del

81) Ibìd., comm. alla Str. 26 (17), V. 5 - Obras III, 351 e 97.
82) Ibìd., coram, alla Str. 27 (19) in fine - Obras III, 356 e 104.
280 Parte seconda - La dottrina della Croce

Figlio di Dio; il che comporta uguaglianza con Lui, uguaglian­


za su un piano d’amicizia per cui tutti i beni dell’uno diventano
comuni a entrambi..» » S3).
Adesso l’anima, con tutto ciò che essa è e possiede, è dedi­
cata al servizio di Dio. E’ per lei una cosa tanto naturale lavo­
rare per Lui e per il Suo onore, che spesso lo fa senza nemmeno
pensarci, senza nemmeno aver la precisa coscienza di agire per
Lui. Prima di raggiungere questo stadio, essa si lasciava andare
« a molte occupazioni inutili... Possiamo infatti chiamare occu­
pazioni inutili tutte le abitudini imperfette cui andava soggetta:
la tendenza a parlare di futilità, a pensare e fare piccinerie, senza
alcun riferimento alla perfezione dell’anima... ». Al momento
attuale invece, questa congerie di occupazioni non entra più nelle
sue consuetudini, perché ormai « ogni suo pensiero, ogni sua pa­
rola ed azione è suggerita da Dio e indirizzata a Dio »83 84). Or­
mai non ha altro compito fuorché quello di amare. Tutte le Sue
facoltà sono mosse dall’amore e polarizzate suH’amore. Ciò è va­
lido tanto per la sua vita d’orazione quanto per Fattività nel set­
tore temporale. Prima dell’unione amorosa essa doveva fare uno
sforzo per esercitare l’amore, sia nella vita attiva che in quella
contemplativa. In questa fase invece, le risulterebbe contropro­
ducente occuparsi di altre attività e pratiche esteriori che potessero
anche minimamente ostacolare la sua vita amorosa in seno a Dio.
E ciò vale anche trattandosi di opere atte ad aumentare forte­
mente la Sua gloria. « Poiché, ai Suoi occhi e per Fanima, è più
prezioso e fa più bene alla Chiesa una minima frazione di questo
puro amore - anche se assomiglia all’inazione - che non tutte quel­
le altre opere messe insieme »85).
Se il mondo considera perduti tali uomini, che non vogliono
più saperne dei suoi affari e delle sue distrazioni, Fanima accetta
ben volentieri il suo rimprovero. Riconosce francamente e corag­
giosamente: è vero, mi sono perduta. Perdersi in questo modo
equivale a mettersi al sicuro; « non pretende né guadagno, né
ricompensa, ma ha un solo desiderio: perdere tutto, compresa se
stessa, pur di appartenere a Dio ». Tradotto in linguaggio spiri­
tuale, ciò significa che essa - nei suoi rapporti con Dio - ha abdi­
cato a tutti i mezzi e sistemi naturali, trattando con Lui soltanto
per via di fede e di amore. Così può veramente dire di essersi gua-

83) Ibid., prologo alla Str. 28 - Obras III, 356.


84) Ibid., comm. alla Str. 28 - Obras HI, 357.
85) Ibid. prologo alla Str. 29 - Obras III, 361.
t
III. La gloria della Risurrezione 281

dagnata per Iddio, « perché si è davvero perduta a tutto ciò che


non è Dio... » S6).
Adesso, anche per lamina tutto è ormai guadagnato. E’ or­
nata di virtù e di doni splendidi, come sotto un manto di fiori
e di smeraldi. Intrecciati in una ghirlanda, essi formano uno stu­
pendo vestito da sposa. Tutte le anime sante, poi, compongono a
loro volta una più vasta ghirlanda che la Chiesa Sposa di Cristo
intesse al suo Sposo. Tutti i fiori ornamentali di cui l’anima è
parata, sono regali del suo Amato Bene. Il capello che lega in­
sieme le virtù è la sua volontà e il suo amore, che è appunto il
vincolo della perfezione (Col. 3, 14). Senza questo legame, i fiori
delle virtù si sparpaglierebbero e andrebbero perduti. L’amore dun-
que dev’essere ben forte, per riuscire a tenere insieme la corona del­
le virtù. Quando esso è realmente tale, la fede leale e semplice, al­
lora Iddio guarda l’anima con occhio di compiacenza, e le si dà
prigioniero. « Grande è la potenza e l’audacia dell’amore, se riesce
a catturare e a legare lo stesso Dio... Egli è fatto così: se lo si
prende con le buone, con l’amore, gli si fa fare tutto ciò che si
vuole; se invece lo si vuol prendere in altro modo, non ci sono
discorsi o mezzi di sorta o insistenze che approdino a qualcosa
con Lui... L’anima, conoscendo questa verità, riconosce pure che
effettivamente è stato Lui ad accordarle questi grandi doni, supe­
riori ad ogni suo merito » 87). Non attribuisce quindi nulla e se
stessa, bensì tutto a Dio. Se è degna d’amore ai Suoi occhi, vuol
dire che è stato il Suo sguardo a renderla tale. Egli l’ha fatta
così bella mediante la Sua grazia, da poterla ora amare appas­
sionatamente. In effetti, Dio non può amare nulla fuori di sé.
Per Lui, « amare un’anima vuol dire in un certo senso accoglierla
in sé, equiparandola a Se stesso, così da amarla in un unico atto
con l’identico amore col quale ama Se stesso. Ne deriva che in
ogni sua azione, dato che è compiuta in Dio, 1’anima merita
l’amore di Dio. Elevata a questa grazia di vertiginosa altezza, in
ogni sua opera finisce per meritare Dio stesso ».
Operare nella grazia, equivale per l’anima a guardare Dio.
Illuminati dalla grazia, gli occhi del suo spirito sono in grado di
scorgere ciò che prima rimaneva nascosto alla loro cecità : « la
grandezza delle virtù, l’abbondanza della soavità, l’immensa bon­
tà, l’amore e la misericordia di Dio, gli immensi benefici da Lui
ricevuti...». Tutte queste meraviglie, prima non poteva né ve­

B6) ìbid., comm. alla Str. 29, V. 5 - Obras III, 365.


87) IbicL, prologo alla Str. 32 - Obras III, 380.
282 Parte seconda - La dottrina della Croce

derle, né adorarle, « perché sino a questo punto è grande l’ot­


tusità e la cecità dell’anima priva della grazia». Un’anima sif­
fatta non pensa al dovere di riconoscere i favori fattili da Dio e
di adorarlo; non le viene neppure in mente di farlo: «a questo
estremo giunge la miseria di coloro che vivono - o più esatta­
mente - sono morti nel peccato » 8S).
Una volta però che Dio abbia sbarazzata l’anima « dal pec­
cato e dalla bruttura, non glielo rinfaccia più e, malgrado un
trascorso del genere, le accorda grazie sempre crescenti ». L’anima
tuttavia non deve dimenticare gli errori passati. Così non cadrà
nella presunzione, vi troverà anzi motivo continuo di gratitudine
e si sforzerà di accrescere la sua fiducia per ricevere ancora di più.
Il ricordo della sua avvilente condizione passata finirà così per
aumentare ancora la felicità che essa prova a fianco dello Sposo.
Se precedentemente era coperta dalla patina scura del peccato,
ora invece è di nuovo fatta bella dallo sguardo gratificante di
Dio, e perciò stesso resa degna di ulteriori munifiche concessioni.
Egli le accorda «grazia su grazia» (Gv. 1, 16): «Quando Dio
trova l’anima gradevole ai suoi occhi, si sente dolcemente spinto
a concederle altri favori, visto che in lei trova gradita ospitali­
tà... Mentre, prima che essa fosse accolta nella Sua grazia, Egli
Tamava solo perché è Lui, ora che è in grazia di Dio la ama
non solo per Sé ma anche perché è lei. Innamorato della sua
bellezza..., il Signore va continuamente inondandola di nuovo
amore e di nuove grazie. Man mano che la colma d’onori e ne
allarga il respiro nel campo soprannaturale, Egli va sempre più
invaghendosi e innamorandosi di lei... Chi potrà dunque preci­
sare fino a che punto arrivi Dio nell’ingrandire un’anima, quando
incomincia a trovare in lei le sue compiacenze? E’ impossibile
addirittura immaginarlo; perché in fin dei conti Egli lo fa auten­
ticamente da Dio, per mostrar chi è Lui »89).
Per compiacere all’Amato, Tanima aveva volontariamente
scelto la solitudine, dicendo addio ad ogni cosa terrena. Ma in
questo isolamento essa viveva in mezzo all’angoscia e allo strug­
gimento. Ecco che ora Dio l’ha condotta in una nuova e perfetta
solitudine, ove trova finalmente riposo e appagamento. « Nella
integrale separazione da tutto il creato, ove essa si trova da solo
a solo con Dio, è Lui che la muove e la guida, sollevandola verso
le cose divine ». Ed « è ancora Lui solo ad operare in lei, senza

88) Ibid„ comm. alla Str. 32, In fine - Obras ITI, 384.
8S) Cant. Spir.j comm. alla Str. 33 - Obras III, 386 sgg.
HI. La gloria della Risurrezione 283

servirsi di alcun altro intermediario... E’ Dio che in lei agisce,


comunicandosi a lei direttamente e quindi non più con la me­
diazione degli angeli o della sua abilità naturale. I sensi esterni
ed interni, le creature tutte, persino l’anima stessa, servono ben
poco e danno un ben insignificante contributo alla ricezione dei
grandi favori soprannaturali che Dio dispensa in quello stato...
Egli la trova da solo a solo: non intende quindi lasciarle altra
compagnia che la sua, senza darne l’incarico né affidarla a nes­
suno' » 90).
Dalla più alta vetta di questa vita erompe dairanima il desi­
derio della visione eterna. Ella aspira al monte della conoscenza
essenziale di Dio attinta dal Verbo divino e alla collina che sim­
boleggia « la sapienza di grado inferiore esistente nelle Sue crea­
ture ed opere misteriose ». Questa sapienza divina, al pari d’un’ac-
qua limpida, deve mondarla da ogni macchia di ignoranza. Quan­
to più l’amore cresce, tanto più intenso si fa il desiderio di cono­
scere bene a fondo le verità divine, tanto più viva la brama di
penetrare più addentro negli abissi degli imperscrutabili disegni
e misteri di Dio. « Pur di raggiungere questo fine, proverebbe
grande consolazione e gioia anche a sobbarcarsi tutte le sofferen­
ze, tutti i travagli del mondo, tutto quanto avesse insomma qual­
che probabilità di servirle da mezzo atto allo scopo, per duro e
penoso che fosse... Il folto della foresta in cui l’anima esprime il
desiderio di entrare, può anche a buona ragione esser considerato
come simbolo delle sofferenze e tribolazioni che essa sarebbe
pronta ad addossarsi. Tale intrico di dolori le è fonte di vivissi­
ma gioia e dì altissimo profitto, perché è un mezzo che permette
la penetrazione dell’altra foresta: quella costituita dalla deliziosa
sapienza di Dio. Difatti, più il patire è puro, più è pura ed in­
tima la conoscenza da esso procurata e conseguentemente più è
puro e sublime il piacere che sgorga da tale conoscenza approfon­
dita. L’anima quindi, non accontentandosi di una sofferenza qua­
lunque..., è disposta ad accettare persino le angosce mortali... pur
di giungere a vedere Dio... Oh, se si arrivasse una buona volta a
capire come sia impossibile raggiungere la vergine foresta della
sapienza e multiforme ricchezza di Dio, senza prima buttarsi
allo sbaraglio nella spessa foresta della sofferenza in tutti i settori
facendo sì che l’anima li desideri come una consolazione! Quando
ci si renderà conto, un buona volta, che l’anima davvero avida
della sapienza divina deve prima di tutto desiderare il patire, ad-

90) Ibìd., comm. alla Str. 35 - Obras III, 393 sgg.


284 Parte seconda - ha dottrina della Croce

dentrandovisi così, immersa nel doloroso viluppo della croce?...


Poiché Tunica porta di accesso alle ricchezze della Sua sapienza
è la croce, e si tratta d’una porta stretta... » 91).
Questa conduce alle profonde caverne, vale a dire « ai subii'
mi vertiginosi e insondabili misteri della sapienza divina, rac­
chiusi nella Persona di Cristo in virtù dell’unione ipostatica tra
la natura umana e il Verbo Divino, come pure nella corrispon­
dente unione tra gli uomini e Dio... Ogni singolo mistero esistente
in Cristo è già di per se stesso un abisso di sapienza, rinserrando
in sé innumerevoli altre diramazioni abissali di occulti giudizi
in materia di predestinazione e di prescienza nei confronti dei
figli dell’uomo.......... Per quanti misteri e meraviglie abbiano in
essa scoperto i S. Dottori e intuito le anime sante in questa vita,
in pratica il più resta ancora da dire e da scandagliare: Cristo
è una miniera inesauribile^ e tale resta..., perché in Lui si trovano
« tutti i tesori della sapienza e scienza » (Col., 2, 3). A questi
tesori l’anima non può avvicinarsi né arrivare, se prima non
passa - come abbiamo detto - per la strettoia della sofferenza in­
terna ed esterna, raggiungendo così la sapienza divina. Persino
alla limitata conoscenza dei misteri di Cristo che è possibile
ottenere quaggiù, non si arriva senza aver prima molto sofferto,
senza aver ricevuto da Dio molte grazie intellettuali e sensitive,
senza aver sostenuto penosamente molte pratiche spirituali. La
ragione di tutto questo sta nel fatto che tali favori sono di molto
inferiori alla scienza dei misteri di Cristo, essendo essi nient’altro
che disposizioni per arrivarvi » 92).
Il godimento di queste conoscenze divine costituisce il vino
nuovo che gli amanti gustano insieme.
« Ciò che l’anima soprattutto brama, è l’uguaglianza d’amore
con Dio... L’amante non può restare soddisfatto se non sente di
amare quanto è amato. Siccome l’anima vede chiaramente che
malgrado la trasformazione in Dio da lei subita ancora quaggiù,
malgrado il suo amore immenso non arriverà mai ad eguagliare
la perfezione amorosa con cui è amata da Lei, desidera la trasfi­
gurazione gloriosa del cielo. Là essa amerà Iddio con la stessa
volontà e forza di Lui, perché sarà unita all’impulso energetico
dell’amore divino o dello Spirito Santo, nel quale si vedrà trasfor­
mata gloriosamente. Lo Spirito Santo si donerà a lei appunto
perché essa arrivi a possedere la potenza infinita di quest’amore,

91) Ibid,, comm. alla Str. 36 - Obras III, 398 sgg,


92) Ibid., comm. alla Str. 37., V 3 - Obras III, 406.
111. La gloria della Risurrezione 285

atto a supplire e a completare ciò che le manca pur nella sua su­
blime trasformazione gloriosa »93).
Contemporaneamente alla perfezione dell’amore, essa attende
anche la gloria eterna, ossia la visione dell’Essenza divina, cui
Dio l’ha predestinata sin daireternità. Ne parla solo in secondo
luogo, perché l’amore ha sede nella volontà e quindi ne costituisce
anche il fine primo. E’ infatti una caratteristica dell’amore quella
di dare piuttosto che ricevere; mentre è tipico dell’intelletto, sede
della gloria, ricevere anziché dare. « L’anima, ora ebbra d’amore,
non mira tanto alla gloria che Dio ha da darle, quanto piuttosto
all’abbandono amoroso di tutta se stessa a Lui, prescindendo com­
pletamente dal suo vantaggio personale ». Del resto, la prima
delle due implorazioni include anche la seconda : « perché è
impossibile raggiungere il perfetto amor di Dio, senza la perfetta
visione di Dio ». E’ precisamente la visione di Dio, il premio
da Lui preparato sin dall’eternità. Ma è una cosa « che nessun
occhio ha mai visto, nessun orecchio ha mai inteso, e che non è
mai penetrata in cuore d’uomo » (1 Cor., 2, 9; Is., 64, 4).
Ciò che l’anima ne presagisce è così sopraffacente che essa
non trova altra parola per indicarlo, e si appiglia alla parola
quello. Non è possibile dare una spiegazione a questo misterioso
tèrmine. Il Signore stesso, nell’Apocalisse, l’ha jimpiegato per
bocca di S. Giovanni in sette diverse espressioni e circonlocuzioni
comparative: «A chi vince, darò a mangiare dell’albero della
vita, ch’è nel paradiso del mio Dio » (Apoc., 2, 7) - « Sii fedele
sino alla morte e ti darò la corona della vita » (Apoc., 2, 10) -
« A chi vince, gli darò della manna nascosta, e gli darò un sas­
solino bianco, e nel sassolino sta scritto un nome nuovo, che
nessuno sa, se non chi lo riceve » (Apoc., 2, 17) - « A chi vince e
chi custodisce sino alla fine le opere mie, gli darò potestà sulle
genti, e le pascerà con bastone di ferro e come vaso d’argilla
saranno frantumate, a quel modo che ho ricevuto anch’io potestà
dal Padre mio. E gli darò la stella del mattino » (Apoc., 2, 26-28).
« Chi vince, sarà così vestito di bianco, e non cancellerò il suo
nome dal libro della vita, e confesserò il suo nome al cospetto de)
Padre mio, al cospetto dei suoi angeli » (Apoc., 3, 5) - « Chi
vince, lo farò colonna del tempio del mio Dio, e non ne uscirà
più fuori. E scriverò su di lui 'il nome del mio Dio, e il nome
della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme, che scende

93) Ibid., comm. alla Str. 38, Vr. 1 e 2 - Obras III, 410.
286 Parte seconda - La dottrina della Croce

giù dal cielo da presso il mio Dio, e il mio nome nuovo» (Apoc.,
3, 12) - « Chi vince, gli darò da sedere meco sul mio trono, come
anch’io ho vinto e mi sono assiso col Padre mio sul suo trono »
(Apoc., 3, 21) - « Tutte le frasi citate sin qui sono parole del Figlio
di Dio, dirette a farci capire che cosa sia quello. Quadrano per­
fettamente, ma però non ce lo spiegano ancora, perché... l’infi­
nito non si può imprigionare nelle parole... »94).
L’anima pervenuta allo stato di matrimonio mistico non si
può però dire completamente digiuna nel campo deirincommen-
surabile e dcirinesprimibile. La trasformazione in Dio le ha già
permesso qualche saggio in materia: lo spirar della brezza, di cui
è favorita dallo Spirito Santo. Esso non è altro che la stessa spira-
zione dello Spirito Santo, dello Spirito d’amore che il Padre e
il Figlio aspirano insieme. La Terza Persona della SS. Trinità
« aspira l’anima, così trasformata, nel Padre e nel Figlio per unirla
a sé. In realtà, non si tratterebbe di vera e totale trasformazione,
se l’anima non si trasformasse nelle Tre Persone della S.S. Tri­
nità in modo potente e manifesto. Orbene, questa spirazione dello
Spirito Santo nell’anima, mediante la quale Dio la trasforma in
Se stesso, produce in lei un piacere così sublime, delicato e pro­
fondo che non c’è lingua mortale adatta ad esprimerlo, né intel­
letto umano capace di farsene un concetto anche solo approssi­
mativo... Quando l’anima ancor quaggiù sulla terra è favorita da
questa trasformazione, la spirazione reciproca che va da Dio
all’anima e dall’anima a Dio si ripete assai frequentemente...
e con la più squisita delizia amorosa per l’anima stessa. Tuttavia,
tale piacere non raggiungerà mai la gradazione spiccata e bril­
lante dell’altra vita...
Tale sublime attività non ci deve sembrare impossibile...
Dato che Dio le fa il favore di unirla alla SS. Trinità, facendola
così diventare deiforme e Dio per partecipazione, cosa c’è d’in­
credibile nel fatto che essa esplichi anche la sua attività spirituale,
conoscitiva e amorosa... nella S.S. Trinità, a cui è strettamente
unita formando quasi un tutto unico con essa?...
Questo sì vuol dire essere trasformata nelle Tre Persone per
via di potenza, di sapienza e d’amore! In questo l’anima assomi­
glia davvero a Dio. Ed è precisamente perché essa potesse arrivare
ad uno stadio così sublime, che Dio l’ha creata a Sua immagine
e somiglianza » 95).

94) ìbid. comm. alla Str. 38, V. 5 - Obras III, 412 sgg.
95) ìbid., cornili, alla Str, 39, V. 1 - Obras III, 416 sgg.
III. La gloria della Risurrezione m
Nello spirare della mite brezza, l’anima percepisce nel suo
intimo la soave voce dello Sposo, congiungendo la sua propria
voce con quella di Lui in un eterno canto di giubilo. Come
l’usignolo (la dolce filomena) canta a primavera quando il freddo,
la pioggia e la variabilità della stagione invernale sono ormai
passati, così l’anima intona il suo canto d’amore nella novella pri­
mavera. Ormai essa è « esente da perturbazioni e vicissitudini
temporali, ripulita e depurata da imperfezioni, angustie e anneb­
biamenti penosi sia nel settore dei sensi come in quello' dello
spirito, respirando la nuova primavera nella libertà, nella dilata­
zione., nell’allegria spirituale... Rianimata, rimessa nel suo ambien­
te, inondata di gioia... essa intona assieme a Dio il suo nuovo
canto di esaltazione lirica... E’ Lui che le presta la sua voce, perché
essa si unisca a Lui in una comune lode a Dio... ». Egli infatti ha
appunto l’ardente desiderio « di udire la sua voce come un perfetto
inno di giubilo ». Per avere un peana di lode veramente perfetto,
bisogna che esso attinga la sua ispirazione nella conoscenza del
mistero deH’Incarnazione. Ora, tutto ciò che l’anima fa nello stato
d’unione è già perfetto. Ecco perché il suo canto di giubilo ri­
donda di dolcezza per Dio e per lei stessa, quantunque esso non
tocchi ancora la perfezione del cantico nuovo, che verrà intonato
nella vita eterna95).
Dio le si manifesterà inoltre come Creatore e Conservatore
esistenziale di tutti gli esseri (come una selva, con tutto il suo
brulichìo di animali e piante). Essa arriverà a conoscere il fascino,
la sapienza e la bellezza di Dio disseminata in ogni singola crea­
tura celeste e terrena; e in pari tempo giungerà a rilevarne i
mutui rapporti nella loro armonica coordinazione. Per adesso, ciò
si verifica nella notte fonda della contemplazione, tramite un
misterioso potere ricettivo su cui nemmeno lei stessa saprebbe dare
dei ragguagli. In un secondo tempo invece, ciò si verificherà
« nella notte serena » della chiara visione beatifica di Dio97).
Finalmente la fiamma dell’amor divino la trasformerà inte­
gralmente nell’amore, senza causarle più alcun dolore. « Ciò non
sarà possibile se non nello stato di eterna beatitudine, ove la
fiamma è composta unicamente di soavissimo amore... Ammesso
pure che l’afflato amoroso potesse anche variare d’intensità, in
più o in meno, l’anima non ne risentirebbe dolore, come invece
lo sentiva prima di raggiungere la capacità attitudinale a questo

96) Comm. alla Str, 39, V. 2 - Obras III, 419.


9V) Comm. alla Str, 39, Vs, 3 e 4 - Obras III, 421.
288 Parie seconda - ha dottrina della Crocè

.perfetto amore ». Purtroppo, in questa vita tale trasformazione


non va mai esente da sofferenza nemmeno nello stadio più ele­
vato dell’amore: la natura ne rimane sempre messa in subbuglio.
« La sensazione dolorosa deriva dall’assillante brama della
trasformazione beatifica... Mentre remozione, che affligge la com­
ponente naturale dell’anima, è causata dal fatto che i sensi -
fiacchi e facilmente usurabili - vanno soggetti a deperimento sotto
l’irruenza e la vertiginosa altezza d’un tale amore. Tutto quello
che è di per se stesso trascendentale e sublime provoca abbattimento
e dolore nella debolezza naturale... Nella vita beata invece Tanima
non proverà più né detrimento né pena, per profonda che sia la
sua conoscenza e per smisurato che sia il suo amore; Dio infatti
le concederà capacità attitudinali per conoscerLo ed energia ab­
bondante per amarLo, dando l’ultima rifinitura all’intelletto con
la Sua sapienza, alla volontà col Suo amore » 9&).
L’anima va incontro decisa a questa beatificante rifinitura
con una profonda tranquillità di coscienza, perché sa di esservi
pienamente preparata e di non avere ormai più da temere peri­
coli da nessuna parte. Il perverso nemico è già stato messo in fuga
definitivamente, tanto che egli non osa nemmeno più farsi vedere.
Nessuna creatura ha il minimo sentore di ciò che sta attualmente
godendo in segreto, nascosta in seno a Dio.
L’assedio delle passioni e delle tendenze appetitive, che prima
minacciava la sua sicurezza, è ormai tolto per sempre. Le potenze
sensitive sono così depurate e spiritualizzate, da poter compar­
tecipare alle concessioni fatte da Dio all’intimo dello spirito. Per
altro, non sono certo all’altezza di gustare direttamente il sapore
delle acque costituite dai beni spirituali: si devono contentare di
guardarle, « La componente sensitiva, infatti... non è in grado di
assaporare nella loro vera essenza i beni spirituali, né in questa
vita né in quella a venire. Tuttavia, per una certa qual ridondanza
dello spirito, può sentire di riflesso un po’ di piacere e un po’ di
soddisfazione sensibile. Sotto il fluire di questa gradevole sensa­
zione, i sensi e le potenze corporali vengono richiamati al racco­
glimento interiore, dove l’anima sta bevendo l’acqua dei favori
spirituali». Essi scendono, come cavalieri dai loro destrieri, «smon­
tando dalla loro attività naturale, abbandonandola definitivamente
per dedicarsi al raccoglimento spirituale » ").

98> Comm. alla Str. 39, V. 5 - Obras III, 423.


") Comm. alla Str. 40 - Obras III, 424 sgg.
III. La gloria della Risurrezione 289

In questa lunga fantasmagoria d'immagini ci è stata squader­


nata davanti agli occhi tutta la strada percorsa dall’anima. Con­
temporaneamente ci è stata anche offerta la possibilità di gettare
uno sguardo nei misteriosi disegni di Dio, che fin dagli albori
della creazione hanno progettato e tracciato questa via. Con­
statiamo ora come il segreto cammino dell’anima non sia che un
intreccio ordito con i misteri della fede. L’anima è stata prede­
stinata sin dall’eternità ad essere Sposa del Figlio di Dio, parteci­
pando alla vita trinitaria della Divinità. E’ stato appunto per
sposare la sua creatura, che il Verbo Eterno si è rivestito della
natura umana: Dio e l’anima dovevano essere due in una sola
carne.
Siccome però la carne dell'uomo peccatore è in stato di rivolta
contro lo spirito, ogni vita carnale è intessuta di lotta e do­
lore. Ciò è valido per il Figlio delVUomo più che per ogni altro
uomo; e lo è in misura ancor maggiore per tutti gli altri, quanto
più strettamente essi sono uniti a Lui. Gesù Cristo attira a sé
l’anima, offrendosi di sostituire la Sua vita a quella di lei nella
battaglia contro i di lei nemici, che sono poi anche i Suoi. Egli
sbaraglia e ricaccia Satana nonché tutti gli spìriti malvagi ovun­
que li incontri personalmente, sottraendo così le anime alla loro
tirannia. Mette spietatamente a nudo la cattiveria umana, che Gli
si fa incontro cieca, camuffata e ostinata. A tutti coloro che invece
riconoscono la propria colpevolezza, confessandola umilmente e
implorandone volonterosamente la liberazione, Egli tende la ma­
no; esige tuttavia in cambio che essi Lo seguano incondizionata­
mente, rinunciando a tutto quanto nella loro esistenza è in con­
trasto col Suo spirito.
Così facendo, egli provoca evidentemente l’ira dell'inferno,
l’odio della cattiveria e della piccineria umana, al punto che uo­
mini e demoni si scatenano contro di Lui preparandoGli la morte
di croce.
In quest’ora tragica, oppresso da inenarrabili tormenti nell’a­
nima e nel corpo, soprattutto durante la terribile notte dell’abban­
dono da parte di Dio, Egli paga alla Giustizia divina il prezzo
dell'ammasso di peccati accumulati da tutti i tempi. Apre così
le chiuse di deflusso alla misericordia del Padre in favore di tutti
coloro che hanno il coraggio di abbracciare la Croce e la Vittima
su di essa immolata.

19; - Sdentici Crucis.


290 Parte seconda - La dottrina della Croce

Su di essi riversa la Sua luce e la Sua vita, ma perché queste


distruggano irresistibilmente tutto ciò che ostacola la sua marcia;
ecco la ragione per cui dapprincipio le anime provano la sensa­
zione di notte e di morte. Siamo alla notte oscura della contempla­
zione, della crocifissione inflitta alYuomo vecchio. La notte è
tanto più oscura, la morte tanto più crudele, quanto più potente
è l’assedio amoroso che si stringe attorno all’anima, quanto meno
renitente essa si dimostra a cedere. Il successivo sgretolamento
della natura apre sempre maggiore spazio alla luce soprannatu­
rale e alla vita divina. Quest’ultima s’impadronisce delle energie
naturali, trasformandole in energie divinizzate e spiritualizzate.
Così ha luogo nella persona del cristiano una nuova Incar­
nazione di Cristo, che equivale ad una resurrezione dalla morte
di croce. Uuomo nuovo porta anche lui nel suo corpo le stimmate
di Gesù. Sono un ricordo della miseria del peccato da cui egli
è sorto a nuova vita, ma anche del caro prezzo con cui questa
è stata pagata.
Gli resta inoltre la dolorosa nostalgia della vita completa e
piena, che perdurerà in lui fino a quando non potrà entrare -
passando attraverso la porta della effettiva morte corporale -
nella luce sfavillante senza più ombre.
Concludendo : l’unione nuziale dell’anima con Dio - fine
per cui essa fu creata - è stata acquistata mediante la croce,
consumata sulla croce e sigillata con la croce per tutta l’eternità.
I

PARTE TERZA

SULLA VIA DELLA CROCE


(frammento)
La dottrina della croce di S. Giovanni non si potrebbe chia­
mare Scienza della Croce nel senso che intendiamo noi, se si
basasse esclusivamente su delle conoscenze di carattere intellet­
tuale. Ma essa porta impresso il marchio autentico della croce.
In realtà è la lussureggiante chioma d’un albero che affonda le
radici nel più profondo della sua anima, traendo la linfa dal
sangue stesso del suo cuore. I frutti di questa pianta li vediamo
nella sua vita.
Che egli portasse nel cuore uno speciale amore verso il Cro­
cifìsso, è dimostrato dalla sua predilezione verso le croci in ge­
nere. La croce impronta di sé la casetta di Durvelo. E5 nota la
profonda impressione che ne ricevette la S. Madre Teresa: «Ap­
pena entrata nella chiesina, rimasi spaventata constatando l’alto
spirito che il Signore vi aveva infuso. E quest’impressione non
toccava me sola: due amici commercianti, che mi avevano ac­
compagnata sin sul posto da Medina, non facevano che piangere.
Quante croci! Quante teste da morto! Non riuscirò mai a dimen­
ticare una piccola croce di legno, posta sull’acquasantiera con
sopra incollata una immaginetta di carta raffigurante un Cristo,
che davvero suscitava più divozione di qualunque altro oggetto
artistico » 1). E’ da supporre che il primo Carmelitano Scalzo,
il quale a suo tempo aveva fatto l’apprendista intagliatore e pit­
tore, abbia lui stesso fabbricato quelle croci destinate ad ornare
il suo chiostrino. Esse dopotutto erano perfettamente in linea
con ciò che egli avrebbe poi lasciato scritto a proposito della
venerazione delle immagini: il materiale prezioso e la fattura
artistica possono persino rappresentare un pericolo, in quanto è
facile lasciarsi per esse fuorviare dall’essenziale, cioè dallo spirito
di orazione e dal cammino verso l’unione con Dio 2). Egli invece,
dalla croce come da tutti gli altri oggetti di pietà, voleva unica­
mente lasciare guidare se stesso e i compagni proprio verso tale

]) S. Teresa di Gesù - Fondazioni, c, M.


2) Cfr, Salita del Monte Carmelo, Lib. 3, cap. 35.
294 Parte terza - Sulla via della Croce

unione. Sempre per lo stesso motivo, anche in seguito egli inta­


glierà e regalerà via molto volentieri delle croci. Al suo capo
carceriere di Toledo, P. Giovanni di S. Maria, che s’era dimo­
strato buono e amichevole con lui, per tutto ringraziamento dei
servizi prestatigli, non trovò di meglio da offrire che una croce.
Quel regalo dovette essere anche umanamente molto caro sia al
donatore che al ricevente, perché aveva una storia patetica: Gio­
vanni l’aveva ricevuta a Durvelo dalla S. Madre in persona. Era
quindi per lui una ragione di più per separarsene.
Quanto il suo amore alla croce fosse gradito ai Signore, e
quanto Gli piacesse lo zelo dimostrato dal nostro Santo nel fo­
mentarne premurosamente il culto, lo dimostrano in modo lam­
pante le apparizioni del Crocifìsso, di cui se parlato in prece­
denza 3). In ogni caso esse hanno certo contribuito a imprimere
ancor più profondamente nel suo cuore il sacro segno.
Durante l’ultima notte della sua vita, egli tenne continua-
mente tra le mani il suo crocifìsso. Poco prima di mezzanotte,
allorché l’istante della morte da lui predetta si avvicinava, lo diede
da tenere ad uno dei presenti per poter riassettarsi con entrambe
le mani, ricomponendo il suo corpo in perfetto ordine. Ma ap­
pena finito riprese il suo Santo Cristo, rivolgendoGli tenere pa­
role e baciandolo per l’ultima volta, prima di spirare dolcemente
e quasi inavvertito4).
Ottima cosa venerare il Crocifisso, come pure farne delle im­
magini atte a stimolarne il culto. Ma le sue immagini viventi
hanno un valore molto più alto di quelle di legno o di pietra.
Formare delle anime a immagine e somiglianza di Cristo, pian­
tare la croce nel loro cuore: ecco il suo grande compito esisten­
ziale di Riformatore dell’Ordine e di direttore spirituale. E’
appunto in appoggio di questa sua missione, che sono nati tutti i
suoi scritti; ed è in favore di essa, che parlano - con un timbro
ancor più personale - le sue lettere e le testimonianze concer­
nenti la sua attività.
Nel Carmelo dì Granada egli diede l’abito religioso ad una
delle sue figlie spirituali, Maria Machuca, assegnadole il nome di
Maria della Croce. A funzione finita gliela condussero davanti in
parlatorio. Qualcuno dei presenti osservò che essa avrebbe dovuto
essergli molto cara, dato che portava come lui l’appellativo della
Croce. Egli rispose che gli sarebbe stata senz’altro molto cara,

3) Cfr. sopra, I, 4.
4) Cfr. P. Bruno, Vìe d’amour, pag. 264.
Frammento 295

purché amasse davvero la croce5). Egli si preoccupava sentita-


mente di far penetrare nel cuore di quanti frequentava la persua­
sione « di avere un grande amore per la sofferenza unicamente
per amor di Cristo, senza cercare consolazioni umane». Spesso
diceva: «Figlia mia, non desiderare nient’altro che la croce, e
senza alcuna consolazione, poiché questo è davvero perfetto » 6).
Alla sua penitente Juana de Pedraza di Granada per tutta ri­
sposta ai lamenti da essa espressi per le sue sofferenze, scrisse:
«Tutte queste tribolazioni sono delle mazzate che si abbattono
sull’anima per portarla ad amare di più, dovendo esse suscitare
dentro di lei un fiotto di orazione e di sospiri spirituali verso Dio,
affinché Egli compia ciò che Fanima chiede per Lui... O gran
Dio d’amore e Signore! quali divine ricchezze Voi accordate a
colui che non ama né gusta che Voi! Gli date infatti Voi stesso,
facendo di lui una sola cosa con Voi per amore. In questo modo
gli date da gustare e da amare ciò che più l’anima brama in Voi
e più le fa profitto. E’ bene che non ci manchi la croce, come essa
non è mancata al nostro Amato fino alla sua morte d’amore. E’
Lui che dispone le nostre sofferenze in base all’amore di ciò che
più desideriamo, perché abbiamo a fare maggiori sacrifici e così
meritiamo di più. Ma tutto è di breve durata: basta attendere
sino al momento in cui si alza il coltello, e allora Isacco resta
vivo, non solo, ma scocca la promessa di una moltiplicata legione
di figli »7).
Una comunità alla quale stette mplto vicino, è quella delle
Carmelitane di Beas. Nella sua qualità di Superiore al Calvario
(subito dopo la sua fuga da Toledo), e come Rettore del Collegio
di Baeza, egli dimorava a breve distanza da loro, per cui ebbe la
possibilità d’incontrarle personalmente, influendo su di esse con
le sue prediche, le sue allocuzioni spirituali, nonché con le sue
esortazioni nel confessionale. Anche in seguito ebbe spesso oc­
casione di essere loro ospite. La nutrita corrispondenza epistolare,
ch’egli mantenne con loro, completava le sue istruzioni orali. In
una lettera del 18 Novembre 1586 sta scritto: «Colui che cerca
il piacere in una cosa qualsiasi, ormai ha finito di conservarsi
vuoto allo scopo di lasciarsi riempire da Dio con le sue ineffa­
bili delizie. Come si presenta a Dio, così se ne viene via; perché
ha le mani imbarazzate e non può prendere quel che Dio gli a­

5) P. Bruno, Saint }ean, pag. 307.


6) Otros Avisos sobre la vida espìritual, 10° aviso - E. Crit. Ili, 70.
7) 9a Lettera del 28. 1. 1589 - E. Crit. Ili, 89,
296 Parte terza - Sulla vìa della Croce

vrebbe dato... Servite Iddio, mie amate figlie in Cristo, seguendo


le sue orme sulla strada della mortificazione con imperturbabile
pazienza, con perfetto silenzio, con la più grande buona volontà
di patire. Siate spietati carnefici dei facili accontentamenti perso­
nali, mortificandone qualunque traccia superstite che ancora re­
sista alla risurrezione interiore dello spirito... »8).
Alla Madre Eleonora-Battista, priora di Beas, Giovanni scri­
veva l’8 febbraio 1588 : « ...Mi consolo pensando che, come Iddio
Tha chiamata a condurre una vita apostolica, ossia una vita di
disprezzo, così ora Egli la conduce davvero per questa strada.
In fin dei conti, Iddio vuole che il religioso sia effettivamente re­
ligioso al punto di farla finita con tutto e di vedere volentieri che
tutto sia finito per lui. E’ Lui stesso che desidera essere l’unica sua
ricchezza, la sua consolazione e la sua gloriosa fonte di piacere.
Iddio ha fatto a Vostra Reverenza un segnalato favore (La Ma­
dre Eleo n ora-Battista era scaduta dal suo ufficio di priora,
N.d.T.), perché adesso - dimentica di ogni cosa - potrà sola soletta
gustare a fondo Dio, senza darsi alcuna pena se altri faranno di
lei ciò che vogliono per amor di Dio. Lei non appartiene più a
se stessa ma a Dio... » 9).
Ad una postulante egli dà questo consiglio : « Per quanto ri­
guarda l’atteggiamento da tenere nei confronti della Passione del
Signore, si sforzi di trattare rigorosamente il suo corpo - sempre
con discrezione, è sottinteso - ami il disprezzo di se stessa e la
mortificazione, cercando di non seguire per nulla la sua volontà
e i suoi gusti, poiché precisamente questo attaccamento alla pro­
pria volontà è stata la causa della di Lui passione e morte... » 10).
Alla priora del monastero di Cordova da poco fondato, egli
scrive : « Il fatto che abbiate dovuto stabilirvi in case tanto po­
vere e proprio sotto un’ondata di caldo così intensa, è certo av­
venuto per disegno di Dio. Egli così ha voluto perché siate di
edificazione e dimostriate tangibilmente ciò che professate, vale
a dire la nuda povertà di Cristo. Così quelle aspiranti che sen­
tono inclinazione ad entrare tra voi, sapranno con quale spirito
debbano venire... State attente a conservare lo spirito di povertà
e un sovrano disprezzo di tutto, diversamente tenetevelo per
detto che cadrete in una miriade di necessità spirituali e tempo­
rali. Abbiate l’avvertenza di contentarvi di Dio solo. Sappiate che

9) Lettala 5® - E. Crit. Ili, 84.


9) Lettera 7“ - E. Crit. Ili, 86.
xo) Lettera IO5* - E, Crit. Ili, 90
Frammento 297

non diverrete schiave se non delle necessità alle quali vorrete spon­
taneamente assoggettare il cuore. Il povero di spirito, infatti, nelle
strettezze è più costante e più allegro del solito, perché si è già
assicurato stabilendo il suo tutto nel pochissimo o nel nulla, così
da mantenere in ogni circostanza una larga apertura di cuore. O
felice nulla, beato rifugio del cuore, che ha tanta energia da as­
soggettarsi tutto quanto senza bramare impadronirsi di niente
per conto suo e lasciando perdere ogni preoccupazione per me­
glio ardere d’amore... Le suore approfittino delie primizie di que­
sto spirito che Iddio elargisce sempre agli albori delle nuove fon­
dazioni monastiche, per iniziare con nuovo slancio il cammino
di perfezione in piena umiltà e assoluto distacco interiore ed este­
riore, non con spirito pusillanime ma con volontà robusta. Bat­
tano la strada della mortificazione e della penitenza, desiderose
che Cristo costi loro qualche cosa, evitando di fare come quelli
che cercano il proprio comodo e la propria consolazione, sia in
Dio che fuori di Lui. Si augurino di patire per Dio, in Lui e fuori
di Lui, nel silenzio, nella speranza e nel ricordo amoroso...»11).
La via più buia è anche la via più sicura. Questo assioma del­
la Notte Oscura viene da lui ribadito con la massima energia in
tutta la sua opera di direttore di anime : « Siccome lei cammina
nella tenebra e nel vuoto della povertà spirituale, pensa che tutto
e tutti la stiano abbandonando. Ciò non desta meraviglia, visto
che in queste traversie le sembra che persino Dio le venga a
mancare. Ma via, non le manca nulla... Chi non desidera altro
fuorché Dio, non cammina nelle tenebre, per quanto povero e
immerso nel buio si veda. Chi non si lascia irretire dalla presun­
zione e dal proprio gusto egoista, non andando a cercarlo né in
Dio né nelle creature, non facendo la propria volontà in alcuna
cosa, non ha ostacoli in cui inciampare, né occasione di questio­
nare... Lei non è mai stata meglio di adesso, perché non è mai
stata tanto umile, obbediente, convinta del poco valore suo e di
tutte le cose del mondo. Lei non si è mai riconosciuta così cattiva,
né ha mai considerato Dio così buono, né ha mai servito il Si­
gnore così puramentee disinteressatamente come ora... Che cosa
vuole di più?... Che cosa crede significhi servire Dio, se non
evitare il male, osservando i suoi comandamenti, occupandosi delle
proprie faccende meglio che si può? Se questo già avviene, che
bisogno ce di altre conoscenze, di altri lumi o soddisfazioni attin­
te qua e là, visto che tutto questo materiale ordinariamente non è

ll) Lettera 15a - E. Crii. Ili, 98 sgg.


298 Parte terza - Sulla vìa della Croce

scevro di pericoli e intralci nei confronti dell’anima?... Sicché è


un grande favore che Iddio fa quando avvolge l’anima neU’oscu-
rità, privandola di tutto in modo che essa non vada soggetta a
deviazioni errate... Cerchiamo di vivere quaggiù come poveri
pellegrini, esiliati, orfani, desolati, privi di orientamento e immer­
si nell’assoluta indigenza, aspettandoci tutto dalla vita futu­
ra... » 12).
Il Santo scrive alle sue figlie spirituali delle lettere piene di
affetto; ma si tratta d’un affetto costituito esclusivamente dal
suo cordiale desiderio della loro salvezza eterna. « Nell’attesa che
Dio ci faccia godere questo bene nel cielo, perseveri costantemente
nell’esercitare le virtù della mortificazione e della pazienza, desi­
derando assomigliare almeno un po’, nella sofferenza, a questo
nostro grande Dio umiliato e crocifisso. La vita presente, se non
si impiega nell’imitare Lui, non ha nessun significato... » 13 14).
Sempre per lo stesso motivo, egli non poteva credere all’au-
tenticità di sublimi grazie di orazione in un’anima che mancasse
di umiltà. Quando venne incaricato dal Vicario generale dei
Carmelitani Scalzi, P. Nicola Doria, di esaminare lo spirito di
una certa monaca che passava per altamente favorita dal cielo,
egli condensò la sua testimonianza in questo preciso parere : « Per
me il suo vizio capitale... sta nel fatto che nel suo comportamento
non si vedono per nulla segni di umiltà. Quando i favori sopran­
naturali sono autentici - come afferma lei - ordinariamente non
si comunicano mai all’anima senza prima smontarla, annientan­
dola neH’abbattimento interiore caratteristico dell’umiltà... Quan­
tunque gli effetti dell’umiltà non si manifestino sempre con tanto
rilievo in tutte le percezioni di Dio, tuttavia quelle cui ci tro­
viamo davanti ora - e che lei chiama unione - non ne vanno
mai disgiunte... Bisogna vederla alla prova nell’esercizio delle virtù
durante l’aridità, specialmente nella pratica del disprezzo di se
stessa, deH’umiltà, dell’obbedienza. Dal suono che essa emetterà
sotto questo urto, si potrà dedurre la duttilità deiranima in cui
si son verificati tanti fenomeni di grazie. Ma le prove cui va
sottoposta devono essere energiche, perché non esiste demonio che
per difendere il proprio onore non sia pronto a sopportare offen­
sive d’un certo peso » H).

12) Lettera 18a a Juana de Pedraza - E, Crit. Ili, 101 sg,


13} Lettera 21a alla M. Anna di Gesù in Segovia, del 6. 1. 1591 - E, Crit.,
Ili, 105.
14) E. Crit., Ili, 110 sg.
Frammento 299

La stessa aura ascetica spirano le Cautele indirizzate ai reli­


giosi in genere, che il Santo ha stilate in diverse occasioni. Tra
gli avvisi molto probabilmente scritti per le Carmelitane di Beas,
si trovano le seguenti tre cautele contro la carne:
« 1 - La prima cautela da prendere è che tu ti persuada di
non esser venuto in convento se non perché tutti abbiano a lavo­
rarti e ad esercitarti. Sicché, per liberarti dalle imperfezioni e dal­
le inquietudini che possono derivarti dal modo di vivere e di fare
dei religiosi, come pure per trar profitto da ogni avvenimento, ti
conviene considerare tutti gli abitatori del convento come altret­
tanti funzionari incaricati di metterti alla prova. E lo sono in
realtà: alcuni ti dirozzeranno con la parola, altri con le opere,
altri con pensieri contrari a te. A tutto questo devi assoggettarti,
come Timmagine sotto la mano di chi la plasma, la dipinge o
l’indora. Se non ti adatti a questo, non riuscirai a vincere la tua
sensualità o i tuoi risentimenti, né sarai capace di comportarti be­
ne con i religiosi del convento; non raggiungerai la santa pace, né
arriverai a liberarti dai molti ostacoli e mali che t’inceppano,
2 - Non tralasciar mai di fare un lavoro per mancanza di
gusto o di soddisfazione che vi ci trovi, se è bene farlo per il
servizio di Dio. E non farlo mai unicamente per la soddisfazione
o il gusto che esso ti dà; va anzi fatto mettendolo sullo stesso
piano del lavoro che di soddisfazioni non ne dà alcuna. Altri­
menti ti sarà impossibile abituarti alla costanza e vincere la tua
fiacchezza.
« 3 - ...La persona spirituale, nelle sue pratiche, non deve mai
fissare lo sguardo sul loro lato piacevole, attaccandovisi ed eser­
citandole soltanto per quello. E non deve nemmeno sfuggirne il
lato amaro: deve, anzi, cercare apposta quel che ce di più fati­
coso e deludente. Così facendo, s’imbriglia la sensualità; mentre
agendo in altro, modo, né ci si sbarazzerà deH’amor proprio, né
si raggiungerà l’amore di Dio» ,5).
Dio chiama le anime al chiostro « perché vengano provate e
depurate, come l’oro sotto l’azione del fuoco e del martello. E’
bene quindi che non manchino prove e tentazioni, da parte di
uomini e di demoni, che non venga lesinato il fuoco delle angu­
stie e delle desolazioni. Ecco il campo in cui il religioso deve alle­
narsi, sforzandosi sempre di sopportarle con pazienza e rassegna­
zione al volere di Dio. E non faccia lo sbaglio di trascinarsele
addosso malvolentieri, in modo che Dio - autore della prova - 1

1S) Cautele - E. Crit,, III, 6 sg.


300 Parte terza - Sulla vìa della Croce

invece di approvarlo, sia costretto a disapprovarlo per non aver


voluto portare pazientemente la croce di Cristo.,. » 16).
« Faccia attenzione... a non lasciarsi andare a scegliere ciò
che costituisce una croce di minor peso, perché è un carico leg­
gero: quanto più essa è pesante, tanto più è leggera, se portata
per amore di Dio » 17).
« E’ molto meglio essere carichi vicino al forte, che scarichi
vicino al debole. .Quando tu sei carico, sei vicino a Dio, ch’è la
tua forza e sta dalla parte dei tribolati; quando invece tu sei
scarico, sei vicino solo a te stesso, che sei la fiacchezza in per­
sona. La virtù e la forza dell’anima in mezzo alle fatiche che
esigono pazienza, cresce e si afferma»18).
« Dio apprezza in te la voluta propensione all’aridità e al
patire per amor suo, assai più di tutte le consolazioni, visioni spi­
rituali e meditazioni che tu possa vantare » 19).
« Non potrà mai raggiungere la perfezione colui che non si
sforza di contentarsi di poco o nulla, in modo che la sua concu­
piscenza naturale e spirituale s’appaghino del vuoto. Questa è
una insopprimibile esigenza per arrivare alla suprema tranquil­
lità e pace dello spirito; tanto più che così facendo, l’amore di
Dio si trova ad essere assai frequentemente in atto nell’anima pura
e semplice » 20).
Tutta una serie di massime si riferiscono direttamente alla
imitazione di Cristo:
« Il progresso nella vita spirituale non è possibile senza imi­
tare Cristo. Egli è la via, la verità, la vita; è inoltre anche la porta
per la quale deve passare chi vuole arrivare alla salvezza...21).
« La tua più grande preoccupazione sia quella di accendere
nel tuo cuore un ardente desiderio d’imitare Cristo in tutte le
sue azioni; sforzati dunque di compiere ciascuna di esse come la
compirebbe il Signore stesso » 22).
« A qualunque impulso o piacere, che non contribuisca ovvia­
mente all’onore e alla gloria di Dio, è necessario rinunciare, man­
tenendosi nel vuoto assoluto per amor di Colui che in questa vita

16) Consigli a un religioso... - E. Crit., HI, IL


17) Ibid. - E. Cnt., Ili, IL
18) Avvisi e massime spirituali, 1, 4 - E. Crii., Ili, 17.
19) lbid., 1, 14 - E. Crii., Ili, 17 sg.
20) lbid., 1, 51 - E. Crii., Ili, 22.
21) Otros avisos y scniendas, Aviso 76 - E. Crii. Ili, 24 sg.
Z2) lbid., 3, 2 - E. Crii., Ili, 25.
Frammento 301

non s’impegnò e non tese a far altro che la volontà del Padre
suo, che Egli chiamava suo cibo e nutrimento »23).
« Crocifisso interiormente ed esteriormente con Cristo, tu vi­
vrai in questa vita con soddisfazione e benessere dell’anima tua,
possendendola nella pazienza » 24).
«Ti basti Cristo crocifisso; soffri e rilassati con Lui; e per
raggiungere la meta, annientati in ogni settore, interno ed ester­
no »25).
« Se desideri arrivare a possedere Cristo, non cercarLo mai
senza la croce » 26).
« Chi non cerca la croce di Cristo, non cerca nemmeno la
gloria di Cristo » 27).
« Che cosa sa chi non sa soffrire per Cristo? Quanto più
grandi sono i carichi che gravano addosso a uno, tanto gliene
torna poi più riposante la liberazione » 28).
«Rallegrati continuamente in Dio, tua salvezza; e rifletti
quanto sia dolce soffrire almeno un pochino per Colui che è
davvero buono » 29).
« Se vuoi essere perfetto, vendi la tua volontà e dalla ai
poveri di spirito; vieni poi da Cristo nella mansuetudine e nel­
l’umiltà e seguilo fino al Calvario e al Sepolcro » 30).
« I travagli e le sofferenze per amore di Dio, sono come delle
perle preziose: quanto più sono grosse, tanto più sono di valore
e suscitano in colui che le riceve un amore più intenso verso il
donatore. Così capita anche con le sofferenze causate dalle crea­
ture: accettandole per amor di Dio, più sono grandi, più valore
hanno e più amor di Dio provocano. E per i dolori, che durano
solo un istante, sopportati sulla terra per amor di Dio, Sua Mae­
stà ci regala dei beni infiniti ed eterni nel cielo: ci regala Se
stesso, la Sua bellezza e la Sua gloria...»31).
Un giorno, una certa religiosa espresse in presenza del Santo
un giudizio poco benevolo sul conto di una persona, un civile, che
era piuttosto maldisposto verso il convento. Ricevette per tutta

23) Ibid., 3, 3 - E. Crii., Ili, 25.


24) Ibid., 2, 8 - E. Crii., III. 25.
25) Ibid., 2, 13 -E. Crii., Ili, 25.
26) Lettera 23* - E. Crii., Ili, 25.
27) Avvisi e massime spirituali, 2, 23 - E. Crìi,, III, 25.
28) Ibid., 4, 17 - E. CriiIli, 25.
29) Ibid., 2, 5 - E. Crii., Ili, 49.
30) Ibid, 4, 7 - E. Crii., Ili, 58.
31) Otros Avisos sabre la vida espiritual, Aviso 1 - E. Crii., Ili, 67.
302 Parte terza - Sulla vìa della Croce

risposta questo avvertimento: «Allora, sia lei che le altre suore


dovreste andargli incontro tanto più amichevolmente, così sareste
davvero discepole di Cristo». £ soggiunse ancora: «E’ molto più
facile tollerare la piccola amarezza derivante da un simile con­
trattempo, raccomandando a Dio gli uomini che ne sono la causa,
piuttosto che raddoppiare tale amarezza assecondando la nostra
volontà con risentimenti di questo genere nei confronti del pros­
simo »32).
Nel corso di un dialogo con un religioso, egli pronunciò
queste energiche parole : « ... Se ad un certo momento qualcuno -
fosse pure un prelato in carica - tentasse di conquistarLa all’idea
di seguire un sistema di vita più largo e comodo, non gli creda e
rifiuti di accettare tale proposta. Abbracci invece la penitenza e il
distacco da tutte le cose, non cercando mai Cristo senza la croce.
E’ per seguirLo con la croce, mediante la rinunzia a tutto - anche
a noi stessi - che siamo stati chiamati ad essere gli Scalzi della B.
Vergine, e non per seguire la corrente della nostra comodità e
della nostra imbelle mollezza. Stia attento a non dimenticare di
riaffermare questo concetto ogniqualvolta gliene si presenti l’oc­
casione, perché è per noi una cosa della massima importanza »33).
C’è una massima che esprime così bene l’amore a Cristo,
amore che spingeva questo discepolo della croce a indirizzare an­
che altri sulla via da lui trovata : « Non sapevate che io devo
attendere a ciò che riguarda il Padre mio? » (Le. 2, 49). Questa,
che è la prima parola del Salvatore trasmessaci dai testi sacri, viene
applicata da Giovanni alla principale missione esistenziale del
Signore e dei suoi fedeli : « Nell’accenno a ciò che riguarda il
Padre Celeste non si può sottintendere nuH’altro che la Redenzio­
ne del mondo o specificamente la salute delle anime, per cui
Cristo nostro Signore ha adottato i mezzi preordinati dal Padre
Eterno. S. Dionisio Areopagita, a conferma di questa verità, ha
scritto la seguente mirabile sentenza: Di tutte le opere divine
la più divina è quella di cooperare con Dio alla salvezza delle
anime34). In altre parole: la suprema perfezione d’ogni essere,
nel posto che occupa e nello stadio cui è giunto, consiste nel salire
e nel crescere - secondo le sue capacità e le sue possibilità - sino

32 ) Ibid., Aviso 2 - E. Crit., Ili, 68.


33 ) lbid., Aviso 5 - E. Crit., Ili, 69. - Questo brano concorda quasi alla
lettera con il frammento della Lettera 23“ (26) - E. Crit,, III, 109), desunto dalla
Historìa del Venerabile Padre Fray Juan de la Cruz, VI cap. 8.
34 ) Gerarchia celeste, cap. Ili, par. 3 - (Migne, P. Gr., Ili, 165). La citazione

per altro non è riportata testualmente.


Frammento 303

a raggiungere la somiglianza con Dio. Ma il fatto più portentoso


e divino è quello di diventare collaboratori di Dio nella conver­
sione e nella conquista delle anime; perché in quest’opera risplen-
de di nuovo fulgore Fazione di Dio, e quindi imitarla vuol dire
accapparrarsi la massima gloria. E’ appunto per questo che Cristo
nostro Signore Tha chiamata opera del Padre Suo, affare che ri­
guarda il Padre Suo, Inoltre è una lampante verità che la com­
passione per il prossimo cresce tanto più in intensità, quanto più
strettamente Tanima è unita a Dio tramite l’amore. Infatti, più
essa ama Dio, e più desidera di vederlo amato e onorato da tutti.
E quanto più desidera l’avveramento di questo suo voto, tanto
più energicamente si dà d’attorno, sia con la preghiera che con
tutte le altre pie pratiche necessarie e utilizzabili a tale scopo. La
vampa e la forza dell’amore, nelle anime possedute da Dio, è
così strapotente che esse non riescono affatto ad accontentarsi
e a ritenersi soddisfatte del loro proprio vantaggio. Sembra loro
troppo poco l’andare in cielo da sole, per cui s’affannano - piene
di struggimento, di brame celesti e di straordinario zelo - a cercar
di condurre in cielo quanti più possono. Ciò proviene dal loro
grande amore di Dio: il genuino frutto e l’impulso che scatu­
riscono dall’orazione e dalla contemplazione perfetta »35).
Se lo zelo per la salute delle anime viene considerato qui co­
me frutto delFunione, sta di fatto poi che l’amore del prossimo
costituisce a sua volta un utilissimo mezzo nella marcia verso
Tunione. « Due sono le cose... che servono all’anima come da ali
per sollevarsi alFunione con Dio: la compassione affettiva che si
riversa sulla morte di Gesù e sul prossimo. E quando l’anima
è tutta presa dalla sofferenza compassiva per i dolori e la croce
di Cristo, allora ricorda pure che Egli si è voluto addossare tutto
questo per la nostra redenzione » 36).
Dimodoché un’anima, la quale si sforzi di restare assorta
nella disposizione d’animo del Salvatore in croce - rapita nell’a­
more fino alFestremo abbandono di se stessa - per questo solo
fatto si unisce alla volontà di Dio. In effetti è precisamente il
volere redentivo del Padre quello che si adempie nell’amore e
nella dedizione salvifica di Gesù. E quindi si viene a formare un
tutto unico con l’Essere Divino, che è l’amore accondiscendente
per eccellenza: sia nel mutuo donarsi delle Persone divine nella
vita trinitaria, come nelle sue manifestazioni ad extra. Sicché

35) Avisos y sentencias espirtualest Aviso 10 - E. Crii., Ili, 63 sg.


36) Ibid. Aviso 11 - Er Crii., Ili, 64.
304 Parte terza - Sulla via della Croce

perfezione propria personale, unione con Dio e azione mirante


a perfezionare gli altri per unirli a Dio, vengono a formare un
solo complesso indivisibile. Ma il passaggio obbligato per arrivare
a fame parte è la croce. E il predicare la croce sarebbe cosa vana,
se non fosse in realtà espressione d’una vita vissuta in unione col
Crocifisso.
«Mio Amato Bene, tutto per Te e niente per me; niente per
Te e tutto per me. Tutto ciò che è duro e penoso lo voglio per
me, non per Te.
Oh! come mi torna dolce la Tua presenza, Tu che sei il som­
mo Bene. Voglio avvicinarmi a Te in silenzio e scoprirti i piedi,
affinché Tu ti degni di unirmi in matrimono con Te: non sarò
felice finché non godrò tra le Tue braccia. Ed ora Ti prego, o
Signore, di non lasciarmi nemmeno per un istante isolato nel
mio raccoglimento, perché finirei per dissipare l’anima mia »37).

Queste aspirazioni d’un cuore amoroso riflettono la via im­


boccata e battuta da S. Giovanni della Croce. Egli ha seguito le
orme dell’adorato Maestro sulla via della Croce, Coerente a se
stesso, fin da bambino ha scelto per dormire un duro giaciglio di
sarmenti. Da ragazzo ha fatto ^infermiere, servendo i malati con
infaticabile abnegazione: immagine vivente del Salvatore, che
non esitò né si risparmiò mai, allorché sofferenti e bisognosi del
suo aiuto lo assediavano da ogni lato. Questa predilezione per i
malati, membra sofferenti del Corpo Mistico di Cristo, è perdu­
rata in lui per tutta la vita. Quando più tardi - nella sua qualità
di Superiore e Visitatore - giungeva in un convento, dopo il
rituale saluto, la prima sua preoccupazione andava ai malati : pre­
parava loro il cibo di sua mano, vuotava i vasi, non tollerava che
in mancanza di denaro per curarli a casa si spedissero all’ospe­
dale, riprendeva severamente ogni negligenza38).
Per amor della croce, da giovane religioso egli era vissuto -
nel Convento di S. Anna a Medina del Campo e poi nel Collegio

37) Punti di amore, 45 - E. Crit., Ili, 57.


3li) P. Bruno, Vie ddamour, p. 218. Notare che, a quei tempi, andare all’o­
spedale significava pres’a poco esser ricoverati in un lazzaretto, senza cure spe­
ciali, con l’80% di probabilità di morire. Le lodevoli eccezioni nel servizio - di
solito mercenario - ai malati, di cui S. Giovanni della Croce stesso era stato un
fulgido esempio a Medina del Campo, erano una rarità! (N. d. T.)
Frammento 305

di S. Andrea - macerandosi in una penitenza così rigorosa e


severa, che la S. Madre Teresa diceva di lui agli inizi della Ri­
forma che - a differenza del suo socio molto più anziano P. An­
tonio de Heredia - « per lui non sarebbe stata necessaria alcuna
prova speciale, perché, ancora stando tra i Padri Calzati, aveva
sempre condotto una vita di alta perfezione e severa religiosi­
tà»39).
A Salamanca, ogni sera si flagellava a sangue e passava gran
parte della notte in preghiera, prendendo poi un breve riposo in
una specie di cassapanca che gli serviva da letto. La poverissima
casetta di Durvelo - di cui l’accompagnatrice della S. Madre, che
aveva avuto modo di vederla, disse: «Certo, madre, non ce spi­
rito, per buono che sia, capace di sopportarla... »40) - era per i
due Padri un Paradiso. Abbiamo già ricordato come essa fosse
tutta parata di croci e teste da morto. « Il coro era l’antica legnaia,
che al centro era abbastanza alta da poterci dire le ore canoniche,
ma per entrarci e per ascoltare la Messa dovevano chinarsi prò-
fondamente. Ai due lati verso la chiesetta c’erano due piccoli
vani-romitorio dove non potevano stare che sdraiati o seduti.
Questi due bugigattoli erano stivati di fieno, perché il posto era
molto freddo, e per di più il tetto sfiorava loro la testa. In essi
erano praticate due finestrucole che guardavano suH’altare, e due
pietre servivano loro da cuscino... Dopo il mattutino non se ne
andavano dal coro fino all’ora di Prima, ma restavano là immersi
in orazione. Questa era così profonda, che accadeva loro di levarsi
a recitare Prima con gli abiti coperti di neve, senza nemmeno
essersene accorti»41).
Per istruire la povera e ignorante popolazione dei dintorni.
« andavano a predicare completamente scalzi..., malgrado ci fosse
tanta neve e facesse un freddo tremendo. E dopo aver predicato
e confessato, tornavano sul tardi a mangiare a casa loro. Pro­
vavano tanta gioia, che tutti quegli strapazzi sembravano loro
poca cosa » 42).
Fin tanto che Giovanni ebbe presso di sé a Durvelo sua madre
e suo fratello, frequentemente Francisco lo accompagnava nelle
sue peregrinazioni apostoliche. Dopo la predica rientravano in
convento alla svelta senza accettare inviti a mangiare nelle cano­

39) S. Teresa di Gesù, Fondazioni, cap. 13, 1.


40) ìbid., cap. 13, 3.
41) ìbid,, cap. 14, 7,
42) ìbid., cap. 14, 8.

20. - Scientia Crucis.


306 Parte terza - Sulla via della Croce

niche. Lungo la strada si rifocillavano alla meglio con il pane e


formaggio che mamma Catalina aveva messo loro nella bisaccia 43).
Così viveva il Santo, fedele ai principi che più tardi avrebbe poi
lasciati in programma agli altri : « Non desiderare altro che di
raggiungere - per amore di Gesù Cristo - lo spogliamento, il di­
stacco assoluto e la povertà più squallida di tutte le cose del
mondo... » 44).
« ...Il povero in spirito è sempre contento e felice nell’indi-
genza; e chi non ha attaccato il suo cuore a nulla, trova pace e
benessere dappertutto » 45).
Le penitenze cui si sottoponevano i due primi Carmelitani
Scalzi erano così tremende che la Santa M. Teresa li pregò di
attenuarle almeno un po’. Le era costato « tante lacrime e pre­
ghiere » il riuscir a trovare due religiosi adatti per dare inizio alla
Riforma; per cui, ora temeva che il demonio trascinasse le sue
creature ad un eccesso di zelo, al fine dì stroncarli innanzitempo,
facendo così naufragare l’impresa ancora in sul nascere. Ma i
Padri prestarono poca attenzione alle sue parole, continuando
imperterriti la loro vita rigorosa. Qualche tempo dopo, allorché
attorno ai due eroici fondatori s’era già raccolta una piccola
famiglia religiosa, successe il seguente episodio : « Una sera il
Padre Giovanni della Croce, rotto dalla fatica e sofferente da
alcuni giorni, domanda al Priore P. Antonio, di poter prendere
più presto la colazione. Ma appena ha mangiato, eccolo tutto
afflitto di aver ceduto al povero fratello asino e di avere forse
dato cattivo esempio ai suoi fratelli. Va dal P. Antonio e lo
supplica di potersene accusare davanti alla comunità. All’ora
della colazione, Giovanni entra nel piccolo refettorio colle spalle
nude e la disciplina in mano. Si avanza fino in mezzo, cade in
ginocchio su un mucchio di pietre e tegoli rotti che ha sparsi sul
pavimento e si flagella a sangue. Poi si accusa a voce alta e com­
mossa. E la disciplina fischia ancora e i colpi cadono come grandine
sulla sua carne. Infine cade sfinito suoi cocci acuti; il pavimento
rosseggia. I frati sono atterriti di ammirazione e di sgomento.
Dopo un lungo silenzio, il Padre Antonio, in nome dell’obbe­
dienza, ordina a Giovanni di ritirarsi e di pregar Dio di perdo­
nare a tutti la loro miseria » 46).

43) P. Bruno, Vie d’amour, pag. 45.


44) Otros Avisos y Sentencias, Aviso 355 - E. Crii., Ili, 56.
45) Ibid.j Aviso 356 - E. CritIli, 56.
46) P. Bruno, Saint Jean, p. 92 - (Traduz. Ital., pag. 88-89).
Frammento 307

Anche in seguito, Giovanni non verrà mai ad alcuna con­


cessione indulgente con se stesso. La sua cella - anche quando
egli era Superiore - era sempre la più povera della casa. Nelle-
state del 1586, malato e ridotto ad uno stato di estrema debolezza,
su ordine del suo Provinciale girò la Spagna in lungo e in largo,
percorrendo ben 400 miglia di strada sotto il solleone, con in
dosso il suo pesante abito dalla tunica di lana ch’egli portava
sempre, estate e inverno. Eletto Priore a Segovia, iniziò la costru­
zione del nuovo convento. Qui non si limitò a dirigere i lavori,
ma prestò anche la sua opera facendo il manovale e il muratore,
trasportando pietre dalla cava, sfaticando tutto l’anno e sempre
coi piedi scalzi, infilati alla meglio nelle « alpargatas »47 48).
Durante il conflitto intestino che travagliò l’Ordine dei Car­
melitani Scalzi, egli si trova tra due fuochi, tra i due frati avver­
sari Nicola Dona e Girolamo Graziano, Col suo sguardo acuto
e penetrante scorge il bene e il male di entrambe le parti in
lizza, sforzandosi di fare da intermediario: ma le sue parole non
ottengono nessun risultato. Allora ricorre nuovamente a rudi
penitenze disciplinari.
Fra Martino, suo compagno di viaggio, non riuscendo più a
sopportare il suono delle spietate flagellazioni che Giovanni s’in­
fligge, una sera gli si presenta davanti con una candela accesa.
Il Santo gli spiega - con bonaria ironia - di avere un’età suffi­
cientemente matura per badare a se stesso. E’ ancora fra Martino
che lo cura durante una grave malattia e si vede costretto a
strappargli di dosso, senza ridargliela più, una catena ch’egli
portava per penitenza già da sette anni! E allorché gliela preleva,,
sprizza fuori il sangue]..
Il P. Giovanni Evangelista invece, nel corso di un viaggio in­
trapreso con lui, cercherà invano di persuaderlo ad abbandonare
il cilicio che portava. Aveva scoperto che il Santo indossava, di
nascosto sotto l’abito, uno strano paio di calzoni tutto pieno di
nodi. Gli fece le sue rimostranze, dicendo ch’era una crudeltà
infierire così contro se stesso, data la sua grave infermità cronica.
« Silenzio, figlio mio - rispose - a questa bestiola (così chiamava
la sua carne) è già abbastanza viaggiare a cavai dell’asino. Non
dobbiamo mica avere tutti i comodi »4S).

47) Sorta di scomodi sandali, fatti di corde intrecciate, molto usati dalla
povera gente del posto.
48) P. Bruno, op, cit., p. 312 sgg.; testimonianza del P. Giovanni Evange­

lista, (Obras, IV, 392).


308 Parte terza - Sulla vìa della Croce

Durante la sua ultima malattia, al buon Fra Pietro di S.


Giuseppe venne in mente di alleviargli un pochino i terribili
dolori che lafHiggevano, con della buona musica. Andò ad ingag­
giare i tre migliori strumentisti di Ubeda. Il suo biografo Giro­
lamo S. Giuseppe racconta che dopo qualche istante Giovanni
avrebbe voluto congedarli amichevolmente: pensava che non sa­
rebbe stata buona cosa mescolare i piaceri terreni con quelli ce­
lesti. Ma per non contristare i suoi confratelli, egli avrebbe lasciato
che i concertisti continuassero il loro pezzo. Quando gli fu chiesto
il suo parere, avrebbe detto: «Non ho udito la musica; un’altra
armonia, mille volte più bella, mi ha rapito in estasi’per tutto il
tempo » 49).
Comprendiamo perfettamente il Baruzi che preferisce prestar
fede alla testimonianza che riporta le parole dette dal Santo al
suo infermiere nella seguente forma : « Figlio mio, date loro un
rinfresco, ringraziateli per la carità che mi hanno fatta, e con­
gedateli pure. Non è ragionevole che io rallegri i dolori che
Iddio m’ha dati con la musica »50).
Ciò, del resto, quadra magnificamente con lo spirito del S.
Padre Giovanni: portare la propria croce sino in fondo, senza
attenuazioni. D’altro canto, anche la seconda parte della prima
deposizione ha il suo valore: il delicato riguardo verso i confra­
telli s’accorda in modo lineare con la tenera comprensività del
Santo. E la musica celeste non va nemmeno essa respinta come
inverosimile, perché il grande amante della croce era stato col­
mato di consolazioni d’ogni genere, accordategli dalla munifi­
cenza di Dio nel corso di tutta la sua vita.
Egli ebbe la fortuna di provare tante dolcezze spirituali, ap­
punto perché non aveva mai cercato che amarezze.
Per quante siano state le penitenze corporali fatte da Gio­
vanni, egli non le ha mai considerate come uno scopo a sé stante.
Erano per lui soltanto un mezzo, evidentemente indispensabile,
ma sempre un mezzo. Prima di tutto, per trattenere sotto il suo
completo dominio il corpo e la sensualità, evitando così di essere
ostacolato sulla via, molto più importante, della mortificazione

49) Girolamo di S. Giuseppe, Vita cd opere di S. Giovanni della Croce

(Ediz. francese, p. 252).


so) J. Baruzi, Saint Jean, pag. 221. Su questo episodio esistono inoltre

un’intera serie di altre testimonianze. Quella di Fr. Pietro è riportata da P. Bruno,


Saint Jean, pag. 358 sg.: « ...Se Iddio mi ha dato i grandi dolori che soffro, perché
volerli addolcire e diminuire con la musica?,.. Voglio sopportare i regali che Iddio
mi manda, senza alcun sollievo... ».
Frammento 309

interiore; poi, per raggiungere - mediante la sofferenza estenden-


tesi anche al settore corporale - l’unione col Salvatore sofferente.
Che egli attribuisse un’importanza ben maggiore alla morti-
lìcazione interiore, lo si rileva dal fatto che le esortazioni a prati­
carla occupano nei suoi scritti e nelle sue sentenze uno spazio
molto più esteso; come del resto tutto ciò che si riferisce al
corpo, passa per lui stranamente in seconda linea rispetto a ciò,
che si riferisce all’anima. E’ vero che parla abbastanza spesso
della loro influenza reciproca, specialmente della compartecipa­
zione del corpo alla vita di grazia e di gloria; ma l’uomo è per
lui sempre e soprattutto anima.
E’ sintomatico il sistemai che ha di parlare solo fuggevol­
mente di uomini, talvolta di persone, ma per lo più di anime.
Egli a anche lasciato detto in parole chiare come la pensi a
proposito di rapporti tra mortificazione esterna ed interna. « La
sottomissione e l’obbedienza sono una penitenza deirintelletto
e della facoltà giudicativa; perciò davanti a Dio costituiscono
un sacrifìcio più gradito e accettabile di tutte le altre penitenze
corporali » 51).
« La penitenza corporale senza obbedienza è molto imper­
fetta, perché i principianti vi si sentono portati soltanto dalla
soddisfazione e dal gusto che vi trovano. Siccome la praticano
a loro capriccio, finiscono per crescere nei vizi invece che nelle
virtù » 52 ).
Egli, coerente a se stesso, a buon diritto disapprovava questo
tipo di ascesi, quando si trattava di certi superiori che impone­
vano ai sudditi delle penitenze esagerate. In questo campo proce­
deva sempre con saggia moderazione; e più d’una volta gli toccò
ripristinare ciò che gli altri avevano rovinato col loro eccesso
di zelo. Così nel 1572, quando - su richiesta della S. Madre -
venne mandato' al Noviziato di Pastrana per metter fine alle esa­
gerazioni ascetiche instaurate dal maestro dei novizi P. Angelo.
Quando poi nell’autunno 1578, alcuni mesi dopo la sua fuga dal
carcere, venne inviato in qualità di Priore all’eremitaggio del
Calvario, trovò anche là una ascesi irragionevole e troppo spinta,
per cui si applicò ad attenuarla almeno un poco. Egli intrawide
al primo colpo d’occhio che dietro quelle violenze scriteriate si
nascondeva una insicurezza interiore. Al P. Pietro degli Angeli,
che stava partendo per Roma ed era insaziabile a proposito di

61) Otros Avisos y Sentencias, Aviso 286 - E. Crìi., Ili, 48.


52) ìbid., Aviso 287 - E. Crit„ IH, 48.
310 Parte terza - Sulla via della Croce

penitenze, predisse che sarebbe andato laggiù scalzo e sarebbe


ritornato calzato. E infatti l’ultrazelante asceta non riuscì a resi­
stere all’atmosfera effeminata della corte napoletana; mentre
Giovanni non subì mai il minimo tentennamento.
L’elemento decisivo in materia di rapporti tra mortificazione
esteriore ed interiore, va da sé che non è tanto la dottrina, quanto
piuttosto la vita vissuta. Quando consideriamo le pratiche peniten­
ziali cui il nostro Santo si sottomise per tutta la vita, forse abbia­
mo l’impressione che esse possano a stento dirsi superate dalla sua
croce puramente spirituale. Ma un confronto di tal genere è logi­
camente impossibile da intavolare. Per quanto concerne la morti­
ficazione interiore, nonché ogni altro fattore esclusivamente spiri­
tuale, non esiste unità di misura cui riferirsi, né tanto meno un
termine comune di paragone applicabile anche alle opere esteriori.
E’ tuttavia inegabile - se si pensa ai principi basilari sviluppati
dal Santo nella Salita 53) ; non godere nulla, non sapere nulla, non
possedere nulla, non essere nulla! - che noi possiamo ben dire con
sicurezza di trovarci davanti al non plus ultra dello spogliamento;
anche il più alto grado d’intensità delle opere esteriori non po­
trebbe portare sino a quel punto. Tali azioni esterne, infatti, da
sole finiscono piuttosto per rafforzare la coscienza di sé, anziché
condurre al nulla, alla morte dell’Io.
Ma dunque, come facciamo a provare che Giovanni sia effet­
tivamente arrivato al perfetto spogliamento spirituale da lui
indicato e richiesto agli altri? La vita intima di questo Santo
taciturno non rappresenta forse per noi un libro chiuso? Certo,
non possiamo leggere dentro di lui come invece riusciamo a fare
gettando lo sguardo nel cuore della S. Madre e di tanti altri,
che come lei furono obbligati a scrivere la storia della loro anima.
Malgrado tutto, il suo cuore si tradisce involontariamente
nei suoi scritti e specialmente nelle sue poesie. Vi si aggiungono
poi numerosissime testimonianze rilasciate da persone vissute con
lui, le quali ci offrono un quadro ben delineato e unitario della
sua personalità. Tra queste ce ne sono alcune che si basano su
vere e proprie amichevoli confidenze fatte da S. Giovanni in
persona. Ci furono quindi degli uomini vicini a lui e a lui così
uniti in Dio, che egli si permise di rivelare loro qualcuno dei
misteriosi segreti concernenti la sua vita intima: primo fra tutti
suo fratello Francisco, e poi anche alcune carmelitane54).

53) Cfr. il cap. II-, § 1, 3 b, e il cap. II, § 2, 1 del presente lavoro.


54) Sia il P. Bruno che il Baruzi hanno attinto abbondatemente da queste
Frammento 311

L’impressione più pura e inalterabile è però quella che ci


lasciano le sue poesie. E’ il cuore che parla in esse. E in certune
parla con accenti così sublimi, da far pensare che ormai nessun
elemento terreno lo toccasse più. In certune - abbiamo detto - non
in tutte. Il Canticp della Notte oscura è pervaso da una profonda
pace. Nel beato silenzio di questa notte, non ce più traccia del
rumore e dell’agitazione del giorno.
Nella Fiamma Viva dfAmore, il suo cuore brucia del più
puro fuoco celeste. Il mondo è ormai sparito. L’anima abbraccia
Dio solo, con tutte le sue forze. Resta ancora soltanto la ferita a
testimoniare l’esistenza d’un abisso da valicare tra il cielo e la
terra.
Il perfetto equilibrio raggiunto dall’anima da cui sbocciano
questi poemi, non si manifesta soltanto attraverso la linea del
pensiero, ma persino nella formulazione poetica. La loro quieta
semplicità è il tono naturale con cui si esprime un cuore che
prorompe in questi accenti senza la minima esitazione, senza la
minima forzatura, come canta l’usignolo, come si schiude il
fiore. Sono delle autentiche opere d’arte, proprio perché in esse
non si trova traccia di artificiosità 55).
Lo stesso apprezzamento è valido soltanto per due degli altri
poemi; Il canto del pastorello (pastorcico) e il Canto della sor­
gente 56). Ma, sia per il contenuto che per la forma, essi sono
completamente diversi dai due altri poemi, e differiscono molto
tra loro.
Nel canto del pastorello non è il movimento dell’anima che
viene espresso immediatamente, in forma diretta. Il poeta ha visto
un quadro e lo ha fatto suo in forma artistica. Vede Cristo croci­
fisso, ode i suoi lamenti per le anime che orgogliosamente dimen­
ticano il suo amore. Allora raccoglie i pensieri che gli sgorgano
dalla mente in un canto pastorale, come piaceva al suo tempo,
come poi - ma in grande stile - fa anche nel Cantico. Se è stato
il Cantico dei Cantici a offriglierne lo spunto, perché non dovrebbe

fonti: P. Bruno soprattutto dagli atti del Processo canonico di Roma; Baruzi
anche dal Ms. 12738 della Biblioteca Nacional di Madrid. Il P. Silverìo ha allegato
parte delle deposizioni alla nuova edizione spagnuola delle Opere di S. Giovanni
della Croce (Obras, IV , suppl., 354 sgg.).
55) Ciò non è per nulla in contraddizione con il fatto che Giovanni abbia
subito le influenze dei poeti del suo tempo, presentando con loro persino degli
accostamenti letterali. Per quanto concerne il valore letterario dei poemi in parola,
cfr. l’Introduzione di P. Silverìo al IV Voi. delle Opere {Obras, IV, pag, LXXIX
sgg.) e Baruzi, op. cit, pag. 107 sgg.).
56 ) Obras, IV, 323 sg.
312 Parte terza - Sulla via della Croce

avervi influito anche il pensiero del Buon Pastore che dà la vita


per le sue pecorelle? (Joh., 10). E il pianto del pastore per la
pastorella dura di cuore, non è forse una eco di quel doloroso
grido uscito dalle labbra del Salvatore piangente su Gerusalem­
me? (Matt., 23, 27).
La frase che ritorna continuamente El pecho del amor muy
lastìmado (« Il cuore profondamente tormentato dall’amore »),
è quella che ce ne svela l’impostazione. Son parole affioranti da
un cuore completamente dimentico di sé e lanciatosi a corpo
perduto nel cuore del Salvatore. Vi si sente la passione pura di
un’anima distaccata da se stessa e unita al Crocifìsso: sono ac­
centi di amore appassionato quelli in cui si effonde. Un’ulteriore
conferma di questa sua profondità affettiva ci viene data dal
rapporto di una fonte che ci narra come a Segovia, durante
un’intera Settimana Santa, egli sia stato incapace di uscir di
casa, tanto profondamente era compreso dai dolori della Pas­
sione 57).
Nel canto della Sorgente, l’anima riprende il tema di qual­
cosa che la commuove sin dalle sue più intime fibre, come nella
Notte Oscura e nella Fiamma Viva. Ma ciò che ora polarizza la
sua attenzione non è tanto il suo destino personale come nei due
poemi maggiori, quanto piuttosto l’intima vita della Divinità
come le viene rivelata dalla fede. Tale vita si presenta al suo
sguardo come la sorgente in eterno fluire, da cui sgorgano tutti
gli esseri, e da cui tutti attingono la luce e la vita. Questa fonte
viva dà origine ad un corso d’acqua sostanzialmente identica a
lei stessa; e dalle due correnti unite ne nasce un’altra della stessa
intensità.
La poesia che inneggia a questa verità non è però affatto
una composizione poetica di pensiero. Essa canta realmente, con
accenti purissimi e squisitamente musicali. La dottrina della fede
si trasfigura qui in una vita in continuo fluire. Il mare eterno
sciaborda placidamente nell’anima cantandovi la sua canzone. E
ogni volta che l’onda viene ad infrangersi sulla riva, ridesta un’eco
misteriosa: Aunque es de noche («Benché sia notte»). L’anima
è limitata, per cui non riesce ad abbracciare il mare infinito. Il
suo occhio spirituale non è all’altezza di sostenere la luce celestia­
le: ecco perché questa le appare oscura, buia. Sicché essa vive in
seno alla stessa unione con Dio Uno e Trino, nutrendosi del pane
di vita con cui Egli le si comunica, ma pressata continuamente

57) P. Bruno, Saint Jean, pag. 329.


Frammento 313

da un lancinante desiderio: Porque es de noche («Perché qui


è natte»). In questi versi è condensata l’essenza stessa della con­
templazione oscura.
La poesia Vivo sin vivir en mi5&) («Vivo, ma senza vivere
in me») esprime nel suo leitmotiv suppergiù lo stesso concetto:
Que muero porque no muero. (« Muoio perché la morte non mi
coglie »). ‘Qui però il verso ritornello non è - come nella Sorgente
e nel Pastorello - una melodia che s’eleva spontaneamente dal
fondo del cuore. E’ invece un tema, che viene rielaborato in una
catena di variazioni. Colui che compone queste artistiche strofe,
è conscio della sua arte. Ci gioca, col suo tema: la pena di morte
implicita nella presente vita, che in fin dei conti non è la vera
autentica vita. Quella che si esprime in questa poesia, non è la
vita vivente, ma piuttosto la sua immagine speculare proiettata
nel pensiero raziocinante, e colta dal poeta nel suo riflesso. Le
sue potenze sono ancora in attività. E siccome la sua anima non
è ancora del tutto intenta ad abbandonarsi senza riserve, in essa
regna tuttora la paura di perdere Dio; essa piange quindi sui
suoi peccati e li sente come delle robuste corde che la legano a
questa vita.
Sembra che qualcosa di formalmente simile sia rilevabile
anche in parecchie altre poesie, che sviluppano un leitmotiv e
lo ripetono uso ritornello. Ma non ci è possibile qui esaminarle
tutte.
Non possiamo però esimerci, a questo proposito, dal tornar
sopra al Cantico Spirituale. Il P. Silverio59) lo giudica la prima
e insieme la più bella delle sue composizioni poetiche: e in realtà
alcune strofe hanno un fascino incomparabile. Abbiamo rilevato
già in precedenza come la ridda di figure che vi compaiono man­
tenga tuttavia una certa unità, grazie al simbolo della Sposa da
cui riceve l’impostazione direttiva 60). Ma non si può asserire che
tutto il carosello d’immagini balzi su dal profondo deH’anima,
senza l’intervento spontaneamente plasmatore dell’artista. Molti
concetti sono qui elaborati intellettualmente e artisticamente; di­
verse similitudini sono piuttosto peregrine. E’ un fatto che questa
varietà d’immagini e di pensieri corrisponde, in fondo, alla realtà
oggettiva rappresentata nel poema: l’irrequietezza d’un processo
evolutivo interiore in fase di sviluppo. Mettiamo a confronto * * *

6S) Obras, IV, 320 sgg.


69) Obras, IV, LXXIX.
eo) Cfr. Gap. 11, § 3, 2 c) e d, del presente lavoro.
314 Parte terza - Sulla vìa della Croce

questo canto, dal punto di vista della materia e della forma, con
i quattro accennati sopra: tutti insieme ci daranno una risposta
alla questione del come il Santo abbia saputo praticare la morti­
ficazione interiore. La sua anima è sì arrivata al distacco perfetto
da se stessa, alla semplicità e alla calma sublime dell’unione con
Dio. Ma tutto questo è stato il frutto della sua purificazione inte­
riore, durante la quale la sua natura così riccamente dotata si è
spontaneamente caricata la croce sulle spalle, abbandonandosi alla
crocifissione sotto la mano di Dio. Questo spirito, caratterizzato da
un’energia e da una vitalità così alta, si era dato prigioniero;
questo cuore pieno di impulsi passionali roventi, era arrivato al­
la distensione pacificatrice attraverso la rinunzia più radicale. Ce
lo confermano i testimoni. Il P. Eliseo dei Martiri61) scrive che
Giovanni compiva tutto « con mirabile dignità e tranquillità d’a­
nimo ». « Nel suo modo di fare e di conversare era affabile, molto
spirituale ed edificante per coloro che l’ascoltavano o trattavano
con lui. Si comportava in modo così irreprensibile ed altamente
esemplare, che quanti venivano a contatto con lui finivano per
lasciarlo arricchiti spiritualmente, pieni di devozione ed entusia­
sti per la virtù. Teneva in grande concetto la preghiera e i rapporti
con Dio; a tutti i dubbi che in questa materia gli venivano espo­
sti, rispondeva con una sapienza così elevata, da congedare rap­
pacificato ed edificato chiunque si fosse a lui rivolto per consi­
gli, Amava il raccoglimento e la taciturnità; rideva poco e con
compostezza... ». « Perseverava costantemente nell’orazione e nella
presenza di Dio, nelle elevazioni d’animo e nelle giaculatorie » 62).
Non levava mai la voce, non si permetteva scherzi grossolani
e plateali, non dava mai soprannomi a nessuno. Trattava tutti con
lo stesso rispetto. In sua presenza, nessuno osava mai parlare de­
gli altri se non per dirne bene. Anche in ricreazione egli non par­
lava che di argomenti spirituali, e finché parlava lui, a nessuno
dei circostanti veniva in mente d’interromperlo aggiungendo qual­
che cosa. Frequentemente, alla fine dei pasti aggiungeva una esor­
tazione spirituale, tenendo incantati tutti quanti nell’atteggia-
mento assunto inizialmente.
Il suo ascendente sugli altri era di solito straordinario. Già
in precedenza, tra i Calzati, il suo solo apparire costituiva un’esor­

61) Obras, IV, 348.


62) Obras, IV, 349.
Frammento 315

tazione al silenzio. Con quattro parole egli era in grado di metter


per sempre a tacere inquietudini e tentazioni » 63).
Era un grande specialista nella discrezione degli spiriti: più
di una volta rimandò a casa dei postulanti che avevano chiesto
d’entrare nell’Ordine, quantunque ad altri sembrassero soggetti
adatti; oppure li accettò quantunque altri fossero di diversa opi­
nione, perché ai suoi occhi risultava chiaro ciò che al normale
giudizio umano rimaneva celato64).
Ad una Carmelitana ricordò in confessione una colpa grave
da lei commessa e accantonata da lungo tempo, perché non ci
aveva mai riflettuto e quindi nemmeno l’aveva conosciuta in tutta
la sua estensione65).
Richiamiamo ora anche il noto episodio riportato dalla S.
Madre. Un giorno in cui egli distribuiva la S. Comunione nel
monastero della Incarnazione, proprio a lei porse soltanto metà
dell’ostia, evidentemente per mortificarla, sapendo la sua predile­
zione per le ostie grandi66). Ancor più severamente agì nei con­
fronti della M. Caterina di S. Alberto a Beas. Essa aveva dichia­
rato categoricamente di esser sicura di fare la comunione un dato
giorno, in cui si usava accostarsi alla sacra mensa. Quando venne
il giorno fissato, Giovanni che distribuiva la comunione la saltò
via, e ripetè il gesto allorché essa gli si presentò per la seconda e
terza volta. Avendogliene qualcuno chiesto il motivo, egli repli­
cò: «La suora teneva la cosa per certa; ho fatto così appunto
perché essa impari a capire come ciò che c’immaginiamo non sia
poi affatto così certo » 67).
In entrambi i casi, il modo dì agire del Santo è basato eviden­
temente sulla conoscenza di ciò che alle anime è necessario per
liberarsi dalle loro imperfezioni. Questa penetrante facoltà discre­
tiva soprannaturale, andava in lui di pari passo con una risolu­
tezza inflessibile, tale da non poter nemmeno essa venir consi­
derata come una qualità puramente naturale. Sappiamo con quan­
to rispetto ed amore guardasse alla nostra S. Madre. Come avreb­
be osato, lui umile religioso ancor così giovane, resistere alla S.
Fondatrice - molto più anziana di lui - se la forza dello Spirito

63) Cfr. Baruzi, op. eie, p. 290 sgg. Testimonianze del P. Martino di 5.
Giuseppe in Obras, IV, 377.
64 ) Ibid.j pag. 290.
65) Ibid,, pag, 292.
66) Obras completas de S, Teresa, a cura di P, Silverio, Voi. II, Burgos

1915, pag, 63-64.


67) Baruzi, op, eie, pag. 293.
316 Parte terza - Sulla vìa della Croce

Santo non lo avesse sostenuto? Come avrebbe potuto un Santo


così buono e squisitamente sensibile, arrivare di sua iniziativa a
dare una lezione così significativa e umiliante quale dette nel caso
di Beas? Evidentemente, anche questa bontà e squisita sensibilità
d’animo non si possono considerare come dei doni puramente na­
turali. Deduciamo dalle sue mordaci espressioni contro i direttori
di coscienza incompetenti e troppo autoritari, da lui introdotte
nella Fiamma Viva d1Amore e rintracciabili anche altrove, come
Giovanni per natura non fosse affatto una colombella innocua. I
suoi bozzetti descrittivi di certi tipi di pietismo, negli ultimi capi­
toli della Salita, tradiscono un’ironia così sferzante che, adoperata
nei rapporti personali, sarebbe potuta risultare profondamente of­
fensiva, Se non l’ha mai usata, né come superiore nelle sue
relazioni coi sudditi, né durante le ore di ricreazione, vuol dire
che era arrivato a dominare completamente la sua indole. Egli è
vissuto fedele ai suoi propri principi dottrinali. Raffrontando le sue
massime concernenti le virtù e i doni naturali con le deposizioni
che ci illustrano la sua condotta, vi troviamo il più perfetto ac­
cordo.
Egli esigeva una fede che si attenesse puramente all’insegna­
mento di Cristo e della sua Chiesa, senza cercare pezze d’appoggio
in rivelazioni straordinarie. Durante il capitolo di Lisbona, vari
Padri, anche tra i più seri, se ne andarono a visitare una certa
monaca, le cui stimmate avevano sollevato molto rumore. E se
ne vennero via portando con sé dei pezzetti di tela imbevuti nel
sangue della stimmatizzata, conservandoli gelosamente come reli­
quie. Giovanni, non solo non prestò attenzione a quel fenomeno,
ma non ci andò neppure. Quando un po’ di tempo dopo, a Gra-
nada, gli fu chiesto durante la ricreazione se avesse visto anche
lui la stimmatizzata, rispose: «Non l’ho vista, e non l’ho voluta
vedere di proposito, perché rimarrei molto crucciato per la mia
fede, se essa avesse bisogno di vedere tali cose per crescere sia
pure di poco... »6S). La sua fede attingeva la linfa « dalle stim­
mate di Gesù Cristo, piuttosto che da tutte le altre cose insieme »,
e quindi non aveva alcun bisogno di altre stimmate68 69).
Giovanni voleva una speranza che « fosse incessantemente ri­
volta a Dio, senza mai abbassare Io sguardo ad altri oggetti »;
ed aveva la convinzione che un’anima decisa a questo « ottiene da
Dio quanto spera » 70).
68) Cfr. la deposizione di P. Martino di S. Giuseppe - Obras, IV, 377 sg.
69) Testimonianza del P. Giovanni Evangelista - Obras, IV, 390,
70) Avisos y sentencias, Aviso 119 - E. Crit. Ili, 29.
Frammento 317

Il P. Giovanni Evangelista attesta che durante gli otto o nove


anni da lui passati insieme al Santo, aveva sempre constatato co­
me egli vivesse totalmente nella speranza, anzi quasi portato di
peso da essa. Ed era davvero in grado di saperne qualcosa, lui,
che era stato procuratore-economo a Granada, proprio nel perio­
do in cui Giovanni della Croce vi era Priore. Un giorno venne
a mancare al convento persino il necessario, ed egli chiese il per­
messo di uscire per provvedervi. Si sentì esortare dal Priore ad
avere fiducia in Dio, che niente sarebbe loro venuto a mancare.
Dopo un po’ egli tornò alla carica, insistento a dire che si faceva
tardi, e per di più egli aveva dei malati da curare. Il Santo per
tutta risposta lo spedì in cella per domandare a Dio ciò di cui
aveva bisogno. Ubbidì anche questa volta. Ma dopo una breve
sosta? si presentò per la terza volta alla cella del Priore, dichia­
rando: «Padre, questo si chiama tentare Dio. Vostra Reverenza
mi dia il permesso di uscire..., è già tardi ». Stavolta ricevette l’au­
torizzazione, ma nella seguente forma: «Va’, ma vedrai come Dio
ti svergognerà per la tua mancanza di fede e di speranza ». In
realtà, quanto era necessario venne portato in convento nel mo­
mento preciso in cui egli stava per mettersi in strada. E di casi
simili, il teste affermò di averne conosciuti parecchi71).
Parlare della sua carità, non è quasi neppur necessario: tutta
la dottrina del Santo, è un insegnamento che verte sulhamore,
un’istruzione sul modo con cui l’anima può arrivarvi, trasfor­
mandosi in Dio che è l’Amore. Tutto si riduce aH’amore, perché
è appunto sull’amore che noi, alla fine, saremo giudicati. Tutta
la sua vita è stata una vita di carità : intima unione coi suoi pa­
renti prossimi neiramor di Dio; dedizione generosa, abnegazione
senza riserve per gli ammalati; bontà paterna nei confronti dei
suoi subordinati; pazienza instancabile con i penitenti di ogni
genere; sacro rispetto verso le anime e bruciante desiderio di
librarle allo sfrecciante volo verso Dio; acutissima facoltà di di-
scernimento per quanto riguarda le innumerevoli modalità con
cui Dio guida le anime. Da quest’ultima sua dote proviene poi
quella sua squisita facoltà di adattamento ad ogni singolo caso
e ad ogni impulso buono del momento: egli conduce i suoi no­
vizi fuori, all’aria libera, lasciando scegliere ad ognuno un posto
solitario a piacere, ove piangere, cantare o pregare secondo l’i­
spirazione di Dio72).

71) Testimonianze del P. Giovanni Evangelista - Obras, IV, 390 sg.


72) P. Bruno; Vie d’amour, pag. 218 sgg.
318 Parte terza - Sulla ma della Croce

Anche per i suoi nemici, non ha mai una parola risentita. Ciò
che gli fanno di male, vien da lui considerato unicamente come
opera di Dio. Ne riparleremo di questo suo modo di considerare
i nemici.
Però tutte queste forme diverse di amore del prossimo, affon­
dano le loro radici nell’amor di Dio e del Crocifisso. Abbiamo
già ripetutamente veduto, come per lui Tarnore sia sostanzial­
mente « un esercizio di perfetta rinuncia e un patire per l’A­
mato »73). Come egli abbia portato questo principio nella pra­
tica della vita è già stato dimostrato a più riprese, e apparirà ancor
meglio da quanto segue.
La sua coerenza tra dottrina e vita va messa a fuoco ancora
su un punto importantissimo. Giovanni ha sempre ribadito nei
suoi scritti, che non solo bisogna rinunciare a tutte le conoscenze
e soddisfazioni naturali, ma anche a tutti i favori soprannaturali
di Dio - visioni, rivelazioni, consolazioni e simili - per andare
incontro all’incomprensibile Iddio unicamente nella fede oscura,
saltando a piè pari tutto ciò che è comprensibile. Le attestazioni
riguardanti i vari periodi della sua vita sono concordi nell’affer-
mare che il Santo è stato colmato di grazie straordinarie. Ma la­
sciano anche capire che egli cercava con tutte le forze di sottrar­
sene. Quando a Segovia passeggiava per il convento, spesso an­
che durante una conversazione, senza farsi notare picchiava i
pugni contro i muri per difendersi dall’estasi e non perdere il
filo del discorso 74).
Alla M. Anna dì S. Alberto confidava un giorno: «Figlia
mia, io tengo la mia anima sempre in seno alla SS. Trinità, è
il mio Signore Gesù Cristo a volere che io ve la tenga ». Ma egli
prova spesso una consolazione così grande e intensa, da portarlo
a pensare che la sua debole resistenza fisica stia proprio per soc­
combere, sicché non osa nemmeno abbandonarsi al perfetto rac­
coglimento. Abbiamo già accennato al fatto che per giorni e gior­
ni si asteneva dal dire la Messa, per la paura che gli capitasse
qualcosa di staordinario75).
Egli continua a lamentarsi della sua « debole natura » : troppo
debole forse per sopportare un’effusione sovrabbondante della
grazia, ma forte abbastanza per cercare e desiderare la croce sotto

73) Puntos de Amor, Aviso 123 - E. Crii., Ili, 30.


74) P. Bruno, Vie d'amour, pag. 327.
75) P. Bruno, op. cit. pag. 225 e deposizione della M, Anna di S. Alberto -
}
Obras, IV, 402.
Frammento 319

qualsiasi forma. E il Signore non gli ha lasciato mancare nem­


meno questa.
Molto più efficace della mortificazione che si impone di pro­
pria scelta, è la croce esteriore o interiore che Dio stesso ci carica
sulle spalle. Come resistenza del Salvatore, così anche quella
del Suo fedele Servo è stata una via crucis dal principio alla
fine. Miseria nera e povertà negli anni della sua infanzia; poi
vani tentativi per aiutare sua madre nella dura lotta per resisten­
za; poi finalmente un impiego - quello d’infermiere a Medina
del Campo - che esigeva la posta in gioco di tutte le sue forze,
corporali e spirituali, nonché un continuo superamento di se stes­
so: ecco i primi passi nella scuola della croce. Ad essi fanno
seguito le delusioni circa lo spirito dell’Ordine in cui Dio l’aveva
chiamato, cui si aggiungono dubbi e lotte interiori quando decide
di passare alla Certosa, e infine - dopo il felice inizio della Riforma
a Durvelo - una catena ininterrotta di durissime e dolorosissime
prove, nella lotta per difendere il suo ideale.
Nella vita di Nostro Signore, le ore più felici erano certa­
mente quelle da lui passate nel silenzio della notte, in solitario
dialogo col Padre. Ma esse erano soltanto una pausa di respiro
di un’attività febbrile che lo sbalestrava in mezzo al tumulto degli
uomini, squadernandogli sotto agli occhi, giorno per giorno e
ora per ora, il triste impasto della miseria, della piccineria e del­
la cattiveria umana, presentandoglielo alle labbra come il famige­
rato miscuglio di fiele e aceto. Anche Giovanni conobbe la ripo­
sante felicità delle notti tranquille, il dialogo con Dio sotto la
libera volta del cielo. Quando era rettore nel Collegio di Baeza,
era riuscito ad acquistare un modesto appezzamento di terreno in
riva al fiume. Vi passava delle giornate intere, in compagnia di
Giovanni di S. Anna. La notte la passava in preghiera da solo;
ma talvolta prendeva il suo compagno, si portava vicino al fiume
e vi sostava a lungo parlando con lui della stupenda bellezza del
cielo, della luna, delle stelle76).
Anche allorché fu Priore a Segovia ebbe un’oasi preferita:
una specie di romitaggio su un’altura, da cui si godeva un vasto
panorama.
Là si ritirava, non appena i suoi incarichi glielo permette­
vano 77).

76) Céras, I, 105.


77) P. Bruno, Vie d’atrìour, pag. 325 sg.
320 Parte terza - Sulla via della Croce

Vivere raccolto e solo, abbandonandosi alla preghiera: questa


fu la sua ardente brama, dai primi anni della sua gioventù fino
alla fine. Ma per la maggior parte della sua vita, fu anch egli so­
vraccarico di impegni. È come aveva seguito le orme del Salva­
tore nella cura amorosa dei malati (possedendo anche lui il ca­
risma delle guarigioni miracolose), così lo seguì anche nelPinfa-
ticabile zelo pastorale per le anime. Per tutto il periodo in cui egli
fu Rettore a Baeza, là - seguendo il suo esempio - i frati confessa­
vano da mattina a sera. Egli poi era a disposizione di tutti. Un
giorno, il portinaio Fra Martino gli chiese di mandargli « un
padre comprensivo » per un certo capitano suo parente, dai co-
costumi piuttosto allegri. Ci andò lui in persona, e riuscì a con­
vertire quell’uomo di mondo, così radicalmente da fargli pren­
dere la risoluzione di rimanere in convento « notte e giorno » per
assistere agli esercizi spirituali della comunità78).
Aveva una pazienza inesauribile con glì scrupolosi, che or­
mai nessun altro voleva più ascoltare. Per il suo cuore così com­
prensivo, il più grande dolore era quello di vedere le anime fuor­
viate e tiranneggiate da direttori spirituali ignoranti e prepotenti.
Per bollarli, lui, il santo così dolce e buono, trova delle parole
sferzanti e taglienti come quelle del Salvatore contro i farisei.
Nella Fiamma Viva d'Amore, egli interrompe la trattazione delle
cosiddette unzioni operate dallo Spirito Santo sull’anima, come
preparativo ultimo per l’unione con Dio, inserendovi una lunga
digressione polemica sopra i direttori spirituali. Eccone i punti
più salienti : « ...La pietà e il disappunto che il mio cuore prova
nel vedere tante anime tornare indietro... è così grande, che non
posso astenermi dal metterle suH’avviso... Il direttore spirituale
oltre ad essere saggio e discreto, deve tassativamente avere anche
una buona esperienza...; se invece esperienza di dò che è puro e
genuino spirito non ne ha, non solo non riuscirà ad indirizzarvi
Panima che eventualmente ne sia favorita da Dio, ma non giun­
gerà nemmeno a capire di cosa si tratti...
In questo modo, molti maestri spirituali fanno ingenti danni
a tante anime... Siccome la loro scienza non va oltre i primi ru­
dimenti - e voglia il Signore che almeno questi li sappiano - non
vogliono lasciar avanzare le anime (quantunque sia Iddio che
le chiama) oltre quegli elementari e primitivi metodi di medita­
zione, che sono roba da debuttanti...79).

78) P. Bruno, op. cit., pag. 228.


79) Fiamma Viva, Str. 3, V. 3, - E. Crìi., II, 444 sg.
Frammento 321

« ...Se sopra un volto, dipinto su un artistico e finissimo


quadro cala una mano rozza, impiastricciandovi dei colori brutti
e volgari, il danno che ne risulta è maggiore, molto più. ingente e
disastroso di quello che si dovrebbe lamentare se si cancellassero
tanti volti da una pittura banale qualunque. Qui aveva lavorato la
mano maestra dello Spirito Santo, e ci è passata sopra a rovinare
tutto un’altra mano, una mano sciagurata. Chi riuscirà ora a re­
staurare ciò che è stato rovinato?...
...Quante volte Iddio sta frizionando Tanima contemplativa
con l’unguento delicatissimo di qualche nozione amorosa, serena,
pacifica, solitaria, molto lontana dai sensi e da ciò che è raggiun­
gibile col pensiero..., ed improvvisamente entra in scena un mae­
stro spirituale, che non sa far altro fuorché menare martellate e
mazzate usando le potenze come un fabbro ferraio! ...Costui dirà
magari alle anime: Via, piantatela con questo rilassamento, che è
oziosità e perdita di tempo... »80).
Se certi direttori di coscienza mancano delle cognizioni ne­
cessarie, « non sono affatto scusabili quando osano ingerirsi con
la loro mano maldestra in una cosa che non capiscono, mentre
dovrebbero lasciarla ad altri più istruiti di loro. E’ una responsa­
bilità non indifferente, una colpa non da poco, causare ad un’a­
nima la perdita di inestimabili tesori, lasciandola spesso terribil­
mente danneggiata con i temerari consigli a lei dati. Stando così
le cose, colui che per presunzione sbaglia - mentre avrebbe l’ob­
bligo di essere al corrente, come chiunque rivesta una carica -
non resterà impunito, ma la pagherà in proporzione al danno
causato'. Perché gli interessi di Dio vanno trattati con molta cir­
cospezione e prudenza; soprattutto quando sono in gioco fattori
così importanti come le anime e un ufficio così alto come la loro
direzione. Se si dà un’impostazione giusta, si prospetta un gua­
dagno favoloso; ma se si sbaglia direttiva, si può provocare un
disastro irreparabile »81),
Perciò è assolutamente inescusabile quel direttore « che aven­
do per le mani un’anima da guidare, non le permette più di
sottrarsi al suo potere, per malinteso senso di dignità e vanaglo­
ria... », mentre essa avrebbe bisogno di un insegnamento più alto
del suo.
« Non è detto che chiunque sa sgrossare il legno, sappia an­

80) ìbid. - E. Crìi., II, 450 sg.


81) ìbid. - E. Crit., II, 458 sg.

21. - Scientia Crucis.


322 Parte terza - Sulla via della Croce

che intagliare una figura; e'neppure che chi la sa intagliare, sap­


pia poi anche lisciarla e rifinirla; né chi sa rifinirla, sappia dipin­
gerla; né chi sa dipingerla, sia poi all’altezza di darle l’ultima
mano e il tocco definitivo... Se tu sei soltanto uno sgrassatore, os­
sia capace a malapena di inculcare all’anima il disprezzo del
mondo e la mortificazione dei suoi appetiti; oppure sei tutt’al
più un intagliatore, adatto a portarla alla santa meditazione, ma
non ne sai di più, come farai a condurre quest’anima sino all’ul­
tima perfezione, che consiste nel... preparare il terreno al lavoro
che Iddio deve eseguire in lei?... Dio conduce ogni anima per
una strada diversa... Dove si trova un uomo della statura di S.
Paolo, capace di farsi tutto a tutti, per conquistarsi tutti? (1 Cor.
9, 22). Bada, che nella tua pretesa di far così, tu tiranneggi le
anime, privandole della loro sacrosanta libertà... » 82).
Coerente a se stesso, Giovanni, che anche come superiore
riusciva con la sua altruistica bontà a guadagnarsi tutti i cuori,
che faceva anche i rimproveri necessari sempre con dolcezza e
paterno affetto, insorge decisamente contro ogni forma di brutale
disciplina da caserma: «Quando... in un Ordine religioso la gen­
tilezza cristiana e monastica è sparita, e al suo posto subentra nei
superiori un comportamento incivile e brutale..., l’Ordine si può
piangere come perduto » 83).
E’ la dolorosa preoccupazione per le anime che ispira al Santo
queste parole sì dure. Cristo ha riscattato le anime con la sua
passione e morte; ognuna di esse Gli è quindi infinitamente cara,
e tale è anche per il suo fedele discepolo. Lo scopo della Riforma
Carmelitana era quello di creare, per un gruppo d’anime elette
delle speciali condizioni di vita, in modo che la mano plasmatrice
di Dio potesse realizzarvi indisturbata la sua opera. Sappiamo
già quali sofferenze Giovanni abbia gioiosamente abbracciate, al­
lorché su quest’opera di Dio incominciò ad incombere la minac­
cia dei nemici esterni. Ma la sua anima ebbe forse a soffrire
ancor più allorché nel cuore stesso della Riforma sorse l’ombra
minacciosa di uno spirito autoritario che metteva a repentaglio
l’azione di Dio nelle anime.
Il pericolo si profilava da due direzioni opposte. Il P. Gero­
lamo Graziano caldeggiava l’attività apostolica verso le Missioni.
Evidentemente a Giovanni non mancava il senso dell’apostolato
nei paesi ancora pagani. Gli stava anzi molto a cuore, se affer-

82) Ibìd. - E. Crit., II, 460 sg.


83) Avisos y Sentencias, Scntencia 15 - E. Crit., ITI, 65.
Frammento 323

mava che « il nostro vero Signore Iddio » era ancora sconosciuto


in quasi tutte le parti del mondo, e conosciuto solo in un numero
di paesi così ristretto M). Tuttavia, egli non voleva alcuna attività
esterna che andasse a scapito dello spirito di raccoglimento.
Nicola Doria rappresentava invece l’altro estremo. Si batteva
ad oltranza per la solitudine e la penitenza; ma ostinandosi ad
imporre quest’ideale con la forza, veniva proprio a contraddire
lo spirito della S. Madre e del suo primo Collaboratore, andando
persino contro lo spirito di Dio, che soffia dove vuole.
S. Teresa aveva anche personalmente sofferto molto per la
mancanza d’istruzione e di comprensione di confessori inesperti;
per cui aveva avuto cura di assicurare alle sue figlie, nelle costi­
tuzioni che aveva compilate per loro, la massima libertà di parlare
con gli specialisti di spiritualità, che avessero meritato la loro
fiducia, Nicola Doria voleva togliere loro questa libertà. Eletto
Provinciale dal 1585, fornito da Roma di ampi poteri, egli intro­
dusse nell’Ordine una costituzione centralizzatrice : un Consiglio
generale, che avrebbe dovuto nominare i priori, i predicatori, i
confessori. Insieme alle figlie più autorevoli della S. Madre Te­
resa, Anna di Gesù e Maria di S. Giuseppe, come pure insieme ai
vecchi amici della Riforma Luis de Leon e L^omenico Banez, lottò
strenuamente anche Giovanni per mantenere intatta l’eredità della
S. Fondatrice. Erano in gioco inoltre anche delle figlie sue, e ne
andava della loro vita interiore. Ad Avila, a Reas, a Caravaca, a
Granada e Segovia, grazie alle sue solerti cure, sotto la sua mano
dolce e forte nello stesso tempo, era sbocciata in moltissime ani­
me quella splendida fioritura da lui descritta nel Cantico della
Sposa. Il fatto che ora la grandine della persecuzione si abbattesse
su questi giardini paradisiaci, non gli doveva forse apparire come
la rovina di tutto il lavoro fatto nella sua vita?
Nel capitolo di Madrid, egli si oppose con la massima riso­
lutezza al Provinciale, attenendosi fedelmente al suo stesso prin­
cipio che: « ...Se nessuno osa più richiamare i Superiori né far
loro obiezioni quando sbagliano; se quei padri, che sono più in­
fluenti e vi sono tenuti per legge di carità e giustizia... non si fida­
no più ad alzar la voce..., si consideri pure l’Ordine come per­
duto... ».
Per tutta risposta, gli furono tolti tutti gli incarichi e conse­
guentemente tutte le facoltà di poter fare intervenire qualche aiuto

84) P. Bruno, Vie d'amour, p. 300.


324 Parte terza - Sulla vìa della Croce

dall’esterno. Si giunse addirittura ad intaccare la sua onorabilità


personale e a manovrare per scacciarlo dal suo stesso Ordine. Ep­
pure egli mantenne sempre la sua imperturbabile equanimità.
Ora si dimostrava alla prova dei fatti come egli fosse realmente
sincero allorché aveva espresso la preghiera di patire ed essere
disprezzato per amore del Signore.
Si constatava ora coirne non fossero soltanto parole vuote le
sue, quando scriveva che Cristo ottenne il massimo risultato re-
dentivo proprio nell’istante in cui pendeva dalla croce85). Stando
alla testimonianza del P. Eliseo dei Martiri, spiegando una volta
il passo di S. Paolo; «1 segni dell’apostolato mio sono stati ope­
rati in voi con tutta pazienza, con miracoli e prodigi di virtù »
(2 Cor., 12, 12), Giovanni aveva fatto notare come l’apostolo ante­
ponesse la pazienza ai miracoli : « Con questo egli intendeva far
capire, che la pazienza è sempre stata un sintomo rivelatore del­
l’uomo apostolico molto più sicuro che non la resurrezione dei
morti. Ed io posso assicurare che Giovanni della Croce, nel cam­
po di questa virtù, è stato davvero un uomo apostolico. Ha sop­
portato infatti le disgrazie piombategli addosso, con incompara­
bile pazienza e rassegnazione; eppure si trattava di sciagure così
impressionanti, che avrebbero stroncato anche i cedri del Liba­
no »86).
Una lampante dimostrazione del suo stato d’animo, viene
data dalle lettere ch’egli scrisse dal capitolo di Madrid, dove non
aveva ricevuto nemmeno un voto. Il 6 Luglio 1591 scriveva alla
Mr Anna di Gesù87): «Se le cose non sono andate come lei desi­
derava, non ha che da rallegrarsene e da renderne grazie a Dio.
Poiché Sua Maestà ha disposto così, vuol dire che è proprio quel­
lo che meglio conveniva a noi tutti. Non ci resta altro che adat­
tarvi la nostra volontà, affinché l’accaduto ci si presenti davvero
sotto questa luce. Le cose che lasciano insoddisfatti, per buone e
opportune che siano, sembrano cattive e ostili. Ma questa si vede
benissimo che non lo è: né per me, né per gli altri. Per me risul­
ta molto vantaggiosa, in quanto ora posso - se voglio - in tutta
libertà e senza responsabilità di aniime, con l’aiuto di Dio, godere
la pace, la solitudine e il frutto squisito dell’oblio di me stesso e
di tutte le cose. Per gli altri poi è pure un bene tenermi da parte,

85) Salita, lib. 2, cap. 7 - E. Crit., I, 124.


86) E. Crii., Ili, 64, 13.
87) Non si tratta delia famosa collaboratrice di S. Teresa, ma della fonda­
trice del Carmelo di Segovia.
Frammento 325

che così saranno esenti dagli errori che avrebbero potuto commet­
tere a causa della mia miseria.,, »88). Anche a Maria dell’Incarna­
zione, figlia della M. Anna, che allora era Priora a Segovia, indi­
rizzò la seguente preghiera: «Per quello che è toccato a me,
figlia mia, non si dia pena, visto che la faccenda a me non ne
dà proprio nessuna. Quello che mi addolora assai è invece il fatto
che si butti la colpa addosso a chi non ce l’ha. In fin dei conti,
queste cose non le fanno gli uomini ma bensì Dio, il quale sa ciò
che ci vuole per noi, e le dispone tutte a nostro maggior bene.
Dove non esiste amore, imetta Tarnore, e ne ricaverà amore... »89).

Chi poteva parlare in questo modo, s’era ormai interiormente


conformato al Crocifisso. Era ormai giunto il tempo in cui avreb­
be dovuto conformarvisi anche esteriormente, incontrando la
morte di croce deiramore. Ora i suoi ultimi desideri stavano per
realizzarsi: «Desidero soltanto di morire in un luogo fuori ma­
no, lontano da qualunque consorzio umano, senza confratelli da
reggere, senza gioie capaci di consolarmi, provato da tutte le
pene possibili e immaginabili. Vorrei che Iddio, dopo aver con­
statato la refrattarietà del mio carattere al lavoro, mi provasse
come semplice servo; vorrei che mi mettesse alla prova con la
malattia, dato che mi ha messo in tentazione con la salute e la
robustezza; vorrei che mi lasciasse rischiare l’infamia, come mi
ha esposto alla seduzione col buon noime che ho sempre goduto
anche tra i miei nemici. Signore, degnati di coronare il capo del
tuo indegno servitore con l’aureola del martirio... » 90).
Nel capitolo di Madrid gli venne assegnato, quasi domicilio
coatto, il deserto de La Penuela. Per lui non era una punizione,
anzi: aveva tanto sperato e sperava ancora di trovare finalmente
l’agognata solitudine. Tuttavia non si può pensare che la presa
di posizione e la decisione di Madrid non l’abbiano colpito e
sconvolto interiormente. Nel viaggio da Madrid a La Penuela,
egli un giorno, alle quattro del mattino, giunse con P. Elia di
S. Martino a Toledo. Entrambi celebrarono la * messa e poi si
rinchiusero insieme in una stanza. Vi rimasero sino a tarda notte,

88) Lettera 21a - E. CriiIli, 104 sg,


89) Lettera 22a - E. Crii., Ili, 105 sg.
90) J. Brotjwer, De achtergrond der Spaansc mystick,, Zutphen, 1935, 217.
326 Parte terza - Sulla ma della Croce

senza toccar cibo. Allora Giovanni dichiarò di ripartire molto


consolato : e questo in virtù della grazia di Dio che in quel giorno
gli aveva riservato quell’ambito privilegio. Si disse poi pronto a
sopportare anche qualunque sofferenza » 9J).
Non era stata, quella, la sua notte del Getsemani, in cui il
Signore gli aveva mandato 1*Angelo consolatore? Tutte le dure
penitenze della sua vita, tutte le persecuzioni, inclusa Tinearce-
razione a Toledo e Tostile trattamento subito dal Priore di Ubeda,
tutte - a detta di P. Silverio91 92) - non erano che apparenze di do­
lore, in confronto a ciò che gli ebbero a infliggere le determina­
zioni della famigerata consulta. Dal punto di vista umano, par­
tendo per La Penuela, egli lasciava dietro le spalle rovinato il
lavoro di tutta la sua vita, proprio come il Salvatore allorché s’era
lasciato ammanettare e condurre dal Monte degli Ulivi a Geru­
salemme.
La solitudine impervia e remota de La Penuela non è che
un’ultima pausa, un attimo di respiro e di silenziosa preghiera
prima che cominci la salita del Calvario93). Per altro, anche qui
non lo lasciano affatto solo. I frati sono ben felici di avere con
sé il Padre della Riforma. Il Priore lo prega di assumere la dire­
zione spirituale di tutti i religiosi. Alla ricreazione partecipa con
loro; però si nota come sino a quell’ora egli se ne resti costan­
temente in preghiera. Prima ancora del sorgere dell’aurora, egli
si reca in giardino, s’inginocchia nascosto fra i salici sulla riva del
ruscello, restandovi in preghiera finché il sole già alto e scottante
non lo avverte che è ora di dire la S. Messa. Dopo aver celebrato,
si ritira di nuovo in cella dedicandovi tutto il tempo che gli atti
di comunità gli lasciano libero. Talvolta si reca invece in un
piccolo romitorio, fermandosi là rapito in Dio. Un testimone ci
informa inoltre che egli, anche in questo tempo, attese pure a
scrivere libri spirituali. (A quali lavori si alluda non lo sappiamo.
Certamente, i trattati maggiori che conosciamo erano già stati
stilati da tempo).
Le rocce rappresentavano per lui una cara compagnia. « Non
meravigliatevi se tratto con loro - diceva - perché dopo, ho molto
meno materiale da confessare di quando converso con gli uo­
mini 94).

91) P. Bruno, Vie d’amour, p. 243 sg.


92) Obras, I, 113 (Preliminares).
93) P. Bruno, Saint Jean, pag. 343 sgg. e Obras, V, 112 sgg. (Testimonianza

del P, Francesco di S. Jìarione).


9i ) P. Bruno, op. cit., pag. 344.
Frammento 327

Eppure, gli echi che a lui arrivavano dal mondo erano ài


natura tale da distruggere il suo raccoglimento e la sua imper­
turbabilità d’animo. Il P. Giovanni Evangelista lo informò per
lettera degli arbìtri che il P. Diego Evangelista, visitatore di An­
dalusia, si permetteva ai suoi danni nei monasteri di carmelitane
di laggiù. Costui era arrivato al punto di estorcere alle Suore delle
accuse infamanti contro di lui. Fu allora che, a Granada, Suor
Agostina di S. Giuseppe dovette bruciare una grossa raccolta di
lettere del Santo - che le suore tenevano da conto come se fossero
epistole di S. Paolo - come pure i quaderni contenenti gli appunti
presi alle sue conferenze e conversazioni spirituali. E tutto ciò per
evitare che quel materiale cadesse nelle mani di Diego. Alle
proteste che questo fatto sollevò da ogni parte, Nicola Doria
rispose che il Visitatore non aveva ricevuto alcuna autorizzazione
per comportarsi così; ma non punì affatto il P. Diego, Era suo
intimo amico, e tale rimase anche dopo.
Giovanni, tempo addietro, aveva richiamato severamente que­
sto Diego, perché era rimasto interi mesi fuori convento a predi­
care. Ora egli approfittava delPoccasione propizia per vendicarsi.
Alcuni mesi più tardi - dopo la morte del Santo - egli ebbe a
dichiarare : « Se non fosse morto, gli sarebbe stato tolto l’abito e
l’avrebbero scacciato dall’Ordine ».
Alcuni figli, fedeli al Padre della Riforma, avevano tremato
che la cosa avvenisse per davvero. E Giovanni di S. Anna gliel’a-
veva anche scritto. Ecco la risposta che ne ebbe: « ...Figlio mio,
non datevi pena di quanto dite: l’abito non si può togliere se
non a colui che rifiuta di correggersi o di obbedire; ora, dal canto
mio, sono perfettamente disposto a riparare a tutti i miei manca­
menti e ad obbedire, qualunque sia la penitenza che mi si dia ».
E a Giovanni Evangelista: «L’anima mia è ben lontana dal sof­
frire di tutto questo; ne ricava, al contrario, una lezione d’amore
. per Dio e per il prossimo » 95).
Sicché egli conservava inalterata la sua tranquillità di cuore
« in quella santa solitudine ». E quando la febbre lo costringeva
talvolta ad abbandonarla, egli lo faceva « con l’intenzione di ri­
tornarvi al più presto » 96).
Come egli, prima del suo trasloco a La Penuela, non aveva
scelto il suo soggiorno, lasciandoselo assegnare dall’obbedienza,

95) P. Bruno, op. cit,, pag. 347 sg,


86) Lettera 27a a Dona Ana de Pcnalosa, del 21 settembre 1591 - Obras, IV,
288 sgg.
328 Parte terza - Sulla vìa della Croce

così ora desiderava gli assegnassero anche il luogo dove avrebbe


dovuto rimettersi in salute. Gli si lasciò scegliere tra Baeza e U’be-
da. Baeza era il collegio da lui fondato, e di cui era stato il primo
Rettore. La c’era Priore uno dei suoi figli più fedeli, P. Angelo
della Presentazione che l’aspettava a braccia aperte. Alla testa del­
la recente fondazione di Ubeda, invece, sta il P. Francesco Criso­
stomo, che il Santo s’era inimicato allo stesso modo di Diego
Evangelista. Va da sé ch’egli sceglie Ubeda: innanzi tutto perché
il convento esiste da poco tempo ed è povero; poi perché in quella
città egli è sconosciuto, sicché può sperare di « sopportare laggiù
con maggior utilità e merito i travagli della malattia » 97).
Così, il 22 settembre 1591, egli inforca un muletto gentil­
mente messogli a disposizione da un amico, per l’ultimo viaggio
della sua vita. E’ un’autentica via crucis. Ormai da parecchi gior­
ni egli non può più mangiare, al punto che per la debolezza rie­
sce a malapena a tenersi in sella, E la gamba malata gli fa un
male terribile, come se gliela stessero amputando. La sede del
suo male sta appunto là: prima gli si era enfiata, poi vi si erano
aperte cinque piaghe purulente. Queste avevano dato al Santo
occasione per la seguente preghiera: «Vi ringrazio infinitamente,
o mio Signore Gesù Cristo, perché Vostra Maestà ha voluto ac­
cordarmi, tutte insieme su questo piede, le cinque ferite che Vo­
stra Maestà portava ai piedi, alle mani e al costato. Come ho
potuto meritare una grazia così grande? » E per i suoi dolori,
che si può immaginare quanto fossero lancinanti, non si lamentò
mai, anzi sopportò sempre tutto con la più serena pazienza98).
Orbene, era in queste condizioni che egli dovette cavalcare, per
ben sette miglia su per una mulattiera di montagna. Si avanza
molto lentamente; nel frattempo egli parla di Dio col fratello che
l’accompagna. Qundo hanno percorso circa tre miglia, il suo
accompagnatore propone una sosta in riva al Guadalimar : « Al­
l’ombra di questo ponte, vostra Reverenza potrà riposarsi; e la
gioia di vedere l’acqua le farà venire appetito per mangiare un
boccone». Giovanni acconsente: «Di buon grado mi riposerò,
perché ne ho bisogno; ma quanto a mangiare, non posso, perché
- di tutto quanto Dio ha creato - non ho appetito di nulla se non
di asparagi e per questi siamo fuor di stagione». Il fratello l’aiu­
ta a scendere dalla cavalcatura e a sedersi. Ed ecco che scorgono,

97) Deposizione del P. Pietro di S. Giuseppe - Obras, V, 99.


98) Deposizione del P. Diego della Concezione - Obras, IV, 355.
Frammento 329

su un sasso, un mazzo di asparagi legati con un vimine, come


quelli che si portano al mercato. Il fratello sta per gridare al
miracolo. Ma Giovanni non vuol sentire uscite del genere. Gli
dice di guardarsi attorno, per cercarne il proprietario; non tro­
vando nessuno, lo obbliga a lasciare su quella pietra una moneta
da un cuorto, per risarcimento a chi li ha perduti "). Ancora un
paio d’ore di strada, ed eccoli arrivati. Il Priore accoglie quel
povero malato a morte, assegnandogli la cella più povera e più
angusta del convento. Il medico, il licenciado Ambrosio de Villa-
reai, visita le piaghe. Diagnostica una risipola accompagnata da
intensa suppurazione. S’impone un intervento chirurgico assai do­
loroso. Il chirurgo vuole scoprire il focolaio del male, e lo fa col
bisturi, mettendo a nudo ossa e nervi dal tallone fino a metà pol­
paccio. Attanagliato dal tremendo dolore, il malato domanda:
« Cosa ha fatto, egregio signore? » Dà uno sguardo alla piaga,
esclamando: « Gesù, è questo che hai fatto! » In seguito il medico
racconterà al P. Giovanni Evangelista : « Ha sofferto i più terribili
patimenti che mai siano stati intesi con una pazienza senza egua­
li ». Anche di fronte ad altri, il dottore esprimerà spesso la sua
ammirazione per la tranquillità e serenità con la quale il nostro
Santo seppe soffrire. Arrivò persino a dichiarare che Giovanni
della Croce doveva essere un gran santo, perché a lui personal­
mente sembrava impossibile tollerare dei dolori così tremendi ed
estenuanti senza un lamento, a meno di non essere molto santi,
forniti d’una forte riserva d’amor di Dio, e certi di poter contare
suH’assistenza del Cielo 50°).
Questa era anche l’impressione di tutto l’ambiente. I religiosi
consideravano come una grande grazia l’avere in mezzo a loro un
esempio così fulgido. Il Priore soltanto si ostinò a lungo nella sua
scontrosa avversione. Quando faceva visita all’infermo, era per
rinfacciargli di averlo rimproverato nel periodo in cui lui - Gio­
vanni - era stato Vicario Proviciale di Andalusia, Egli non poteva
tollerare che i frati e persino i civili facessero a gara nel cercar di
alleviare le sofferenze del paziente. (Da notare a questo proposito',
come la precauzione avuta da Giovanni di scegliere un luogo scono­
sciuto, non fosse servita a niente: la santità non resta mai tanto
nascosta da non trovare ammiratori). Don Fernando Diaz, un
gentiluomo di Ubeda, l’aveva sentito una volta cantare il Vangelo,

") Cfr. P. Bruno, op. cìt., pag. 352 sg., Deposizione del P. Bartolomeo di
S. Basilio (Obfas, IV, 394) e del P. Francesco di S. llarione (Ohras, V, 114).
10°) Deposizione del P. Ferdinando della Madre di Dio - Obras, V, 331.

22. - Sdentici Crucis,


330 Parte terza - Sulla via della Croce

e precisamente durante la fondazione della Mancha; gli era


bastato questo, per riporre in lui tutta la sua fiducia. Appena
seppe l’arrivo del malato, si recò a fargli visita; e da quel mo-
mento venne a trovarlo giornalmente, talvolta anche due, tre,
fino a quattro volte al giorno. Una volta, anzi, lo incontrò il
Priore, mentre stava per portar via a lavare della biancheria e
dei bendaggi del Santo #). C’erano delle pie donne che si stimavano
felici di poter prestare questo gentile servizio al malato; e ne
vennero anche ricompensate con un meraviglioso profumo' che
esalava da quelle filacce intrise di pus. Orbene, il Priore proibì
seccamente a Don Fernando di occuparsene, dicendo che inten­
deva pensarci lui. Lo si sentì anche spesso lamentarsi delle spese
che la cura del povero Santo gli veniva a costare, nonché dei
viveri ch’egli consumava. Il P. Diego della Concezione, Priore
de La Penuela, gli fece allora raffronto di mandargli sei staia
di grano per la comunità e sei galline per il malato. P. Ber­
nardo della Vergine, suo infermiere, poteva raccogliere giorno per
giorno le prove dell’astio che animava il Priore contro il Pa­
ziente. Questi ordinò che nessuno osasse andare a fargli visita
senza suo speciale permesso e vietò infine al P. Bernardo di assi­
sterlo, perché a suo giudizio egli lo faceva con troppa sollecitu­
dine. L’infermiere avvisò immediatamente il Provinciale d’Anda-
lusia, che era il vecchio P. Antonio di Gesù, suo compagno ai
tempi eroici di Durvelo 103). Questi s’affrettò a venire per rime­
diare alla situazione, fermandosi cinque o sei giorni ad Ubeda.
Dopo aver fatto un solenne rimprovero al Priore, diede ordine a
tutti gli altri di visitare il malato e di assisterlo in tutti i modi
possibili. P. Bernardo venne reintegrato nel suo incarico, con l’ob­
bligo di provvedere a curarlo amorosamente. Se il Priore avesse
osato negargli il necessario, si rivolgesse subito al Provinciale,
prendendo pure denaro a prestito, nel frattempo. Anche nel corso
di questi pietosi contrattempi, dalla bocca di Giovanni non uscì
mai una parola di lamento a carico del Priore che lo osteggiava:
egli anzi, sopportò tutto « con la pazienza d’un santo » ,02).
P. Antonio aveva assistito anche alla prima operazione chi- * 101 102

*) Stando al P. Bruno, Saint Jean, cap. 20, 3, si tratterebbe dell’Oblato


Francesco Garda, non di Vernando Diaz (N.d.T.).
101) Il P. Antonio, che un tempo si era mostrato così generoso presentandosi
per primo alla Riforma, ebbe la insigne grazia di poter assistere in morte sia la
S. Madre che il S. P. Giovanni.
102) P. Bruno, Saint Jean, pag, 353 sgg.
Frammento 331

rurgica subita dal malato. Voleva parlargli; ma il paziente chiese


scusa se non poteva rispondere: si sentiva sfinito dal dolore. E
dire che, allora, le sue sofferenze fisiche non avevano ancora
raggiunto Tacine. Ora gli si formarono dei nuovi ascessi, alle
reni e alle spalle. Prima d’iniziare un altro intervento operatorio,
il medico gliene domandò perdono-. « Non fa nulla, se ne è il
caso» - rispose il novello Giobbe. E lo esortò ad operarlo subito.
Tutti i dolori e le sofferenze prendevano ai suoi occhi l’aspetto
di « benefìci regali di Dio ».
Nelle lettere ch’egli scrisse persino dal suo letto di dolore -
lettere che purtroppo non ci sono rimaste, ma che conosciamo at­
traverso testimonianze degne di fede - egli parlava della gioia
da cui era invaso, avendo la possibilità di soffrire per il Signore.
I tormenti corporali non riuscivano a distoglierlo dal suo rapi­
mento in Dio.
Talvolta chiedeva al suo giovane assistente, Luca dello Spirito
Santo, di lasciarlo solo : «non per dormire» - soggiungeva questi
nel suo rapporto - « ma per abbandonarsi con maggior foga alla
contemplazione delle cose celesti ». Quando l’infermiere si rese
conto della cosa, non solo si mostrò più riservato lui, ma a volte
si fece premura anche di allontanare dei visitatori. Lo notò per­
sino il medico: «Lasciamo pregare il Santo» - diceva - «Vuol
dire che lo cureremo quando... sarà tornato in sé ».
Quel medico, davanti al letto del suo paziente, « era dive­
nuto un altro ». Tanto è vero che il Santo gli regalò un esemplare
della Fiamma viva d’Amore, scritto di suo pugno, che egli più
tardi rileggerà spesso per sua consolazione 103). Ormai il velo, che
nascondeva a quell’anima la gloria del cielo, diventava sempre
più tenue; lo splendore che da esso filtrava si faceva sempre
più vivido. Il medico gli preannuncia vicina la morte. La risposta
del malato è un inno di giubilo: « Laetatus sum in bis quae dieta
sunt mihi: in domum Domini ibimus» (Salmo 122, 1). Ai con­
fratelli che gli propongono il Viatico, egli risponde che quando sarà
il momento avviserà lui. Dal giorno della Vigilia delTImmacolata
Concezione egli sa il giorno e l’ora della sua morte. Se lo lascia
scappare con queste parole: «Sia benedetta la Signora, la quale
vuol che io esca da questa vita in giorno di sabato». Poi viene
questa precisazione : « So bene che Dio Nostro Signore mi userà
la misericordia e il favore di andar a recitare Mattutino in cielo ».

103> P. Bruno, op. cit. , pag. 359.


332 Parte terza - Sulla via della Croce

Due giorni prima della sua morte, egli brucia alla fiamma
d’una candela tutte le sue lettere - un bel pacco che teneva sotto
il guanciale - «perché essere suo amico^era un delitto».
La sera del giovedì chiese e ricevette la S, Comunione. A
tutti quelli che si rivolgevano a lui per un ricordo, egli disse di
dirigersi al suo superiore, perché lui era povero e non possedeva
nulla. Fece chiamare il Priore, Francesco Crisostomo, e gli chiese
perdono di tutte le sue mancanze, aggiungendovi poi la seguente
preghiera: «Padre, l’abito della Vergine che ho portato e del
quale mi sono servito - poiché sono un povero mendicante e non
ho nulla con cui essere sepolto - per l’amor di Dìo, supplico Vo­
stra Reverenza di darmelo per carità ». Il Priore lo benedisse e
lasciò la cella. Sembra che persino in questo istante la sua avver­
sione interiore contro il Santo non fosse ancora incrinata. Ma
finalmente lo sciagurato superiore, pentito come un buon ladrone,
venne piangendo a inginocchiarsi ai piedi del morente, chiedendo
perdono se il suo « povero convento » non poteva offrire un
maggior sollievo alla sua malattia. Giovanni rispose: «Padre
Priore, io sono contento; ho anche più di quel che merito. Ab-
biate confidenza in Nostro Signore; verrà un tempo che questa
casa avrà tutto ciò che le è necessario ».
La mattina del 13 Dicembre egli chiese che giorno della set­
timana fosse; udito che era venerdì, s’informa ripetutamente del­
l’ora, nei vari momenti della giornata: non vedeva l’ora di andar
a recitare mattutino in cielo. In quest’ultimo giorno della sua vita,
si mantenne ancor più silenzioso e raccolto del solito. Teneva per
lo più gli occhi chiusi. Quando li apriva, era per concentrarli
amorosamente su un crocifisso di rame.
Verso le tre, chiede che prima della sua morte venga con­
dotto alla sua presenza il P. Sebastiano di S. llarione. E’ un
giovane padre, al quale egli aveva dato l’abito a Baeza. Ora giace
ammalato di febbre maligna in una cella poco distante dalla sua.
Viene introdotto da lui, rimanendovi per circa mezz’ora. Giovan­
ni ha qualcosa di importante da comunicargli : « Padre Sebastiano,
Vostra Reverenza deve essere eletto Priore dell’Ordine. Stia at­
tento a quel che le comunico, e cerchi di riferirlo ai superiori,
spiegando loro che glie l’ho detto in punto di morte ». Si trattava
di un affare molto importante per l’incremento della Provincia.
Alle cinque, il Santo prorompe in un’esclamazione gioiosa:
« Felice me, che senza averlo meritato, sarò questa notte in cielo ».
Poco dopo, volgendosi al Priore e a Fernando Diaz : « Padre -
dice Giovanni - voglia Vostra Paternità avvertire la famiglia del
Frammento 333

Senor Fernando che non l’aspettino. Questa notte egli deve restare
qui ». Poi domanda l’Estrema Unzione, che riceve molto devo­
tamente, rispondendo alle preghiere del sacerdote. Dietro sua ac­
corata richiesta, gli viene portato ancora un volta il Santissimo per
adorarlo: ed egli indirizza tante tenere parole verso il Dio na­
scosto. Congedandosi dal Sacramento, disse : « Signore, non Ti
vedrò più con gli occhi della carne ».
Il P. Antonio di Gesù ed alcuni altri padri anziani, volevano
vegliare presso di lui, ma egli non acconsentì. Li avrebbe fatti
chiamare, quando fosse giunta l’ora.
Quando suonarono le nove, disse avidamente : « Ancora tre
ore. Incolatus meus prolongatus est» (Salmo 119, 5). P. Sebastiano
lo intese aggiungere che Dio per sua consolazione gli aveva ac­
cordati tre favori da lui chiesti : « di non morire in carica di
superiore; di morire in un posto ove fosse sconosciuto; di spi­
rare dopo aver molto sofferto. Ora giace così tranquillo, immerso
così quietamente in orazione, che lo si crede morto. Ma ritorna
in sé, e bacia ripetutamente i piedi del suo Cristo.
Alle dieci, si sente suonare una campana. Egli domanda cosa
ce. Gli si risponde che son i frati che vanno a mattutino. « Ed
10 - dice egli - per la misericordia di Dio, devo andare a recitarlo
con la Vergine Nostra Signora in cielo». Verso le undici e mez­
za, fa chiamare i Padri. Arrivano circa 14 o 15 religiosi, che stan­
no preparandosi al mattutino. Appendono alla parete le loro
lampade, e domandano al Santo come sta. Egli s’aggrappa ad una
corda che pende appositamente dal soffitto, e si leva a sedere,
« Padri, volete recitare il De profundis? Mi sento molto bene ».
E in realtà, era « molto sereno, molto bello e molto allegro »,
attesta il sottopriore Ferdinando dì S. Maria. Intona il salmo, e gli
altri rispondono. Sempre alternatamente «si recitarono così non
so quanti salmi » - dice Francisco Garcia. Erano Ì salmi Peni­
tenziali, quelli che precedono la raccomandazione dell'anima. Se
questi salmi siano stati recitati tutti fino in fondo, oppure se ad
un certo punto Giovanni abbia interrotta la preghiera, è un
punto su cui le fonti non si accordano. Sta di fatto che egli si era
davvero stancato, tanto da doversi nuovamente riadagiare. Eppu­
re aveva ancora un desiderio: che qualcuno gli leggesse qualche
brano del Cantico dei Cantici. Stavolta è il Priore che lo fa. « Che
pietre preziose! » - esclama il morente104). Era il canto deH’amore,
11 canto che l’aveva accompagnato per tutta la vita.

104) P. Bruno, Vie d’ amour, p. 264.


334 Parte terza - Sulla ma della Croce

«Che ore sono? » - chiede di nuovo. Non era ancora suonata


mezzanotte. «A queirora sarò davanti a Dio a recitare mattu­
tino ». Il P. Antonio gli ricorda quanto abbia fatto per la Riforma,
sia agli inizi che più tardi da Superiore. Il Santo risponde: «Dio
sa tutto quanto è avvenuto». Ma non è su questo che vuole far
leva. « Padre Nostro105), non è il momento di parlarne; è solo per
i meriti del Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, che io spero
di salvarmi ».
I Confratelli gli domandano la sua benedizione; per ordine
del Provinciale egli la dà loro. Raccomanda loro di essere davvero
obbedienti e perfetti religiosi.
Qualche istante prima di mezzanotte, porge il suo Santo
Cristo ad uno dei presenti, probabilmente a Francisco> Diaz.
Vuole avere ambedue le mani libere per riassettare il suo corpo
per il grande trapasso. Ma subito dopo lo riprende in mano
facendo, con tenerissime parole, gli addii al Crocifisso, come poco
prima li aveva fatti al Salvatore nell’Eucarestia.
Suonano le dodici dal campanile. Il morente dice: «Fra
Diego, faccia segno di suonar mattutino, perché è già ora». Fran­
cisco Garcia, il campanaro di turno per quella settimana, esce
subito.
Udendo il suono della campana, Giovanni stringe il Croci­
fisso tra le mani e dice: «In tnanus tuas, Domine, commendo
spiritum meum ». Uno sguardo di addio agli astanti, un ultimo
bacio al Crocifisso... ed egli si trova davanti al trono di Dio, a re­
citare mattutino insieme ai cori celesti.

Questa morte non ha forse qualcosa della divina libertà con


la quale Gesù Cristo piegò il capo sulla croce? E come nel primo
venerdì Santo prodigi e miracoli annunziarono al mondo che il
Morto sulla croce era davvero il Figlio di Dio, così ora il cielo
rende testimonianza che un servo buono e fedele è entrato nella
gloria del suo Signore.
Tra le nove e dieci della sera, quando per desiderio del Santo
la maggioranza dei frati erano andati a coricarsi, Fr. Francisco
Garcia, si era infilato a capo del letto appiattandosi tra le sponde
e la parete per recitarvi il suo rosario. Gli era venuto in mente

105) Titolo onorifico usualmente attribuito ai Superiori dell’Ordine.


Frammento 33 5

che, chissà..., forse avrebbe potuto avere la fortuna di vedere


qualcosa di ciò che vedeva il Santo. Durante la recitazione dei
Salmi fatta dai Padri, egli vide tutt’a un tratto un globo di luce
sfolgorante tra il soffitto della cella e i piedi del letto. Brillava
così forte, che le 14 o 15 lampade dei frati e le cinque candele
dell’altare ne rimanevano oscurate. Al momento in cui il Santo
spirò senza che nessuno se ne accorgesse, fra Diego lo sosteneva
tra le braccia. E vide anche lui un grande splendore che avvolgeva
il letto. « Scintillava come il sole e la luna; i lumi che erano sul­
l’altare e i due ceri che erano nella cella, come soffocati da una
nuvola, parevano non mandar più lume ».
Soltanto ora Diego si rese conto che il Santo giaceva inerte
e senza vita tra le sue braccia. « Il nostro Padre se n’è andato in
cielo con questa luce » - disse con voce rotta agli astanti.
Allora aiutato da F. Francisco e da F. Matteo, si mise a rias­
settare il sacro corpo. Ne emanava un profumo soavissimo...106). * *)

106) Tutta la narrazione della morte del Santo segue il tracciato datone da

P. Bruno, Saint- Jean, p. 361 sgg. Le annotazioni aggiunte riportano parzialmente


le deposizioni fatte dai testimoni oculari.
*) Il trattato s’interrompe bruscamente. Forse era arrivata la Gcstapo?... E’
evidente che l’opera di Edith Stein non sarebbe dovuta finire qui. A questa sche­
letrica esposizione delle ultime fast della « Scienza della Croce » incarnata nella
vita di S. Giovanni della Croce - se l’Autrice ne avesse avuto il tempo e le possi­
bilità - avrebbe senz^altro fatto seguire un commento analitico, che ne mettesse in
rilievo la logicità e la coerenza con quanto il S. Dottore aveva sempre insegnato.
E ne avrebbe tratte le conclusioni.
Purtroppo, la furia razzista hitleriana si accanì anche contro Sr. Benedetta
della Croce, rea solo di chiamarsi Stein e di essere ebrea di nascita. (N.d.T.).
BIBLIOGRAFIA')

Baruzi }.: Saint Jean de la Croix et le problème de Vexpérience my-


stique - Paris, 1931. (Abbreviazione: J. Baruzi, Saint Jean).
Brouwer J.: De achtergrond der Spaansche mystic\ - Zutphen, 1935.
Bruno De Jesu Maria: Vie d’amour de Saint Jean de la Croix -
Paris, 1936. (Abbreviazione: P, Bruno, Vie d'amour).
Bruno D'e Iesu Maria: Saint Jean de la Croix - Paris, 1929 (Abbre­
viazione: P. Bruno, Saint Jean).
[Di quest’opera esiste un’ottima traduzione italiana: P. Fr.
Bruno di G.M., San Giovanni della Croce - Ed. Vita e Pensiero
- Milano, 1938, con prefazione di P. Gemelli OFM].
Dionysius Areopagita: De coelesti hierarchia - Migne, Patrologia
Graeca, Voi. Ili0 (Abbreviazione; Migne, P. Gr. ni).
Dionysius Areopagita: Mystica tteologia - Migne, Patrologia Grae­
ca, Voi. 111° (Abbreviazione: Migne, P. Gr. III).
Dionysius Areopagita; De divinis no-minibus - Migne, Patrologia
Graeca, Voi. III0 (Abbreviazione: Migne, P. Gr. III).
Joannes a Obras de San Juan de la Cruz, Doctor de la Igle-
Cruce:
sia. Editadas y anotadas por el P. Silverio de Santa Teresa C.D.
- Biblioteca Mistica Carmelitana, 10-14, Burgos, 1929 sgg. (Ab­
breviazione: Obras).
Joannes a Cruce: Obras del Mistico Doctor San Juan de la Cruz.
Edición critica... con introduciones y notas del P. Gerardo de
San Juan de la Cruz... - Toledo, 1912 sgg. (Abbreviazione:
E, Crii.). *)

*) Diamo qui la bibliografìa compilata dagli Editori Tedeschi che hanno


curato la pubblicazione delle Opere di Edith Stein. Essa comprende tutte le Opere
citate o menzionate dall’Autrice nel corso del presente lavoro. Per comodità dei
lettori vi abbiamo allegato anche le abbreviazioni normalmente usate per citare
le Opere,
338 Bibliografia

Joannes a Cruce: Vie {par le P. Jéràme de Saint-foseph) et oeuvres


spitìtuelles de Vadmirable docteur mystique, le bìenheureux P.
Jean de la Croix... Traduction nuovelle faìte sur fiédition de Sé-
ville, de 1702, publiée par les soins des Carmélites de Paris -
Paris, 1877.
Hieronymus a Sancto Joseph: Historia del V.P. Juan de la Cruz -
Madrid, 1641 (E* 1 originale della traduzione precedente).
Migne J. P.: Patrologia Latina - 221 Volumi, Paris, 1844 - 1855.
Migne J. P.: Patrologia Graeca - 166 Volumi, Paris, 1857 - 1866.
Stein Edith: Des hi. Thomas von Aquino Untersuchungen uber die
Wahrheit. - In deutscher Ùbertragung von E. Stein - [E’ la
traduzione dal latino in Tedesco delle Quaestiones disputatae di
S. Tomaso] - Cfr. Edith Steins Werke, Band III, Lovanio, 1950
(1953-1954) (Abbreviazione: Quaestiones disputatae de ventate)♦
Stein E.: Endliches und Ewiges Sein [Essere finito ed Essere Eter­
no], Versuch eines Aufstiegs zum Sinn des Seins. - Edith Steins
Werke, Band. II - Lovanio, 1950.
Teresia a Jesu: Obras de Santa Teresa de Jesus. Editadas y anota-
das por el P. Silverio de Santa Teresa C. D. - Biblioteca Mistica
Carmelitana 1-9, Burgos 1915 sgg. - Citazioni dalla Traduzione
Tedesca: Neue deutsche Ausgabe der Schriften, Band 1-2-3-4-5,
Miinchen (1935-1938) (Abbreviazione: S. Teresa, Opere: Vita,
Fondazioni, Castello Interiore, Lettere).
Versqhaeve C.: Sckoonheid en Christendom - Brugge, 1938.
« La Voix de Notre Dame du Moni Carmel ». (Rivista edita dai
Carmelitani Scalzi del Monte Carmelo). Voi. I - II, 1932-1933.
t

I N D I C E
Prefazione all’edizione italiana...................................... pag. 7
Presentazione . . . ,.................................................... » 9
Brevi cenni biografici sull’Autrice....................................» 11
Genesi dell’Opera....................................................................» 13
Finalità dell’Opera............................................................. » 16
La personalità di Edith Stein come appare alla luce della
« Scienza delta Croce »................................................... ....... » 17
Prefazione....................................................*.......................... » 21
introduzione'. Significato e fondamenti genetici della scien­
za della croce..................................................................» 23

Parte Prima

IL MESSAGGIO DELLA CROCE

Capitolo primo : Precoci incontri con la Croce ... » 31


Capitolo secondo: Il Messaggio della S. Scrittura . . » 33
Capitolo terzo : Il Sacrificio della Messa . . . . » 40
Capitolo quarto : Visioni della Croce . . . . . . . » 42
Capitolo quinto : Il Messaggio della Croce..................................... » 46
Capitolo sesto : Significato del Messaggio della
Croce ......... .................................................................. » 52

Parte Seconda

LA DOTTRINA DELLA CROCE

Introduzione : Giovanni della Croce Scrittore , . » 57


Capitolo primo : La Croce e la Notte (Notte dei Sensi)
1) Distinzione inerente al carattere stesso del simbolo:
segno rappresentativo ed espressione cosmica ... » 61
342 ^ Indice

2) Il canto della Notte oscura............................................» 65


3) La Notte oscura dei sensi
a) Introduzioneal significato della Notte........................................ » 67
b) La penetrazione attiva della notte equivale a seguire la
Croce ...................................................................................................» 69
c) La notte passiva è una crocifissione........................................ » 72

Capitolo secondo: Spirito e Fede - Morte e Risurre­


zione {Notte dello spirito)

Introduzione : Come s’inquadra il problema . . . » 78


1) Purificazione delle energie spirituali nella Notte
attiva
a) La notte della fede come viaall’unione........................................ » 79
b) Purificazione delle facoltà spirituali, vista come via e
morte di croce..................................................................................... » 82
c) Inabilità d’ogni creatura a servir di mezzo all’unione.
Insufficienza della conoscenzanaturale e soprannaturale » 85
d) Purificazione della memoria......................................................... » 101
e) Purificazione della volontà............................................. . » 109
Passioni............................................................................. » H O
Beni temporali...................................................................... » 112
Beni naturali......................................................................... » 115
Beni sensibili ............................................................... » 117
Beni morali ................................................................................ » 119
Beni soprannaturali . . . . . . . . . . . » 121
Beni spirituali................................................................................. » 123

2) Illuminazione vicendevole tra spirito e fede


a) Sguardo retrospettivo e prospettico . . . . . . . » 130
b) Attività naturale dello spirito - L’anima, le sue parti e te
sue potenze......................................................................................... » 132
c) 'Elevazione soprannaturale dello spirito - Fede e vita
di fede ....... ....................................................................................... » 135
d) Grazie straordinarie e distacco da esse.......................................... » 139

3) Morte e Risurrezione
a) Notte passiva dello spirito (Fede - Contemplazione oscura
- Spogliamelo) . » HI
Incandescenza nell’amore e trasformazione . . . . »1 5 2
La scala segreta.................................................................................» 1 6 0
La veste tricolore dell’anima.............................................................. »1 6 6
Nascosta nell’oscurità, in profondo riposo . . . . » 1 6 8
Indice 343

b) L’anima: spirito nel regno degli spiriti (Struttura del­


l'anima - Spirito divino e spiriti creati) . » 173
Rapporti dell’anima con Dio c gli Spiriti creati . . » 175
L’intimo dell'anima e i pensieri del cuore . » 178
L’anima,, l'io e la libertà . . ....................................» 180
Le differenti modalità dell’unione con Dio . . . . » 188
Fede e contemplazione - Morte e Risurrezione . . . » 203

Capitolo terzo : La gloria della Risurrezione

1) Nelle fiamme del divino Amore (La «Fiamma viva


d’Amore ») » 208
a) Alle soglie della vita eterna.........................................................» 209
b) In unione con Dio Uno e Trino................................................. » 216
c) Nell’alone radioso della gloria divina......................................... » 224
d) Vita amorosa nascosta ........... .......................................................... » 234
e) Originalità della Fiamma Viva d’Amore nei confronti
degli scritti precedenti....................................................................... » 239

2) Il canto nuziale dell’anima


a) Il Cantico Spirituale e i suoi rapporti con gli altri scritti
di S. Giovanni della Croce.................................................................. » 241
Strofe del Cantico ira l’anima e lo Sposo . . . . . » 242
b) Il tema guida ricavato dall’esposizione del Santo ... » 254
c) La figura predominante e il suo significato in rapporto al
Cantico............................................................................................... » 259
d) Il simbolo della Sposa e le singolefigure che l’attorniano » 260
c) Il simbolo della Sposa e la Croce (Matrimonio mistico -
Creazione, Incarnazione e Redenzione)........................................... » 273

Parte Terza

SULLA VIA DELLA CROCE

(Frammento).....................................................................................................................................................» 293
Bibliografia ......... ...................................................................................................... » 337
Indice .........................................................................» 339

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