Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
“SCIENTIA CRUCIS,,
Studio su
S. GIOVANNI DELLA CROCE
«fO£MPTO^JS M/\T£|?
ài LUGANO
IMPRIMI POTEST
Romae, 12 iulii 1960
Fr. Anastasius a SS. Rosario
Praepositus Generalis O. C. D.
IMPRIMATUR
in Curia Arch. Mediolani die 19-9-1960
t /. Schiavini, Vie. Gai.
★
PROPRIETÀ RISERVATA EDITRICE ÀNCORA - MILANO
(N. A, 1585 - Novembre 1960)
*) Per notìzie biografiche più ampie, cfr. Jole G alo jaro, Dalla cattedra al
Lager - Edith Steint Roma, Postulazione Generale 0. C. D., 1959.
GENESI DELL’OPERA
2. - Scientia Crucis.
18 La personalità di Edith Stein
*) Chi volesse avere più ampi schiarimenti circa i manoscritti della Scienza
della Croce e sulle vicende dell’opera - pubblicata postuma - consulti il testo
originale tedesco, che ha una lunga appendice di cui le presenti pagine - per
ovvie ragioni editoriali - sono solo un breve riassunto (N. d'. T.).
PREFAZIONE
■*•) Cfr. J. Baruzi, Saint Jean, voi. 1° Les Textes, pag, 3 sgg. e le Introduzioni
a ciascuno dei trattati nella recente edizione spagnola: Obras de San Juan de la
Cruz Doctor de la Iglesia, editadas y anotadas por el P. Silverio de Santa Teresa
C. D., Burgos 1929, sgg.
INTRODUZIONE
3. - Scientia Crucis,
34 Parte prima - Il messaggio della Croce
7) Edición Critica, Toledo 1914, voi. 3, p. 173 sg. Il Canto del Pastore è il
lamento deH’amore disprezzato del Salvatore. Che Giovanni intenda come Sposa
Israele, non deve essere troppo sopravvalutato. L’allusione alla singola anima è
quasi altrettanto plausibile.
8) Ibìd, voi. Ili0, p. 174 sgg.
36 Parte prima - // messaggio della Croce
Il morire con Cristo sulla croce per risorgere con Lui, si tra
duce in una realtà - per ogni fedele e specialmente per ogni sacer
dote - nel Sacrificio della Messa. In base ai dati della fede, esso è
il rinnovamento del Sacrificio della Croce. In chi lo celebra o vi
partecipa con fede viva, si verifica esattamente quello che è acca
duto sul Golgota. Giovanni ha servito Messa fin da bambino,
ed è fuor di dubbio avrà fatto lo stesso anche nelPOrdine, sino
alla sua consacrazione sacerdotale. Sappiamo dalle testimonianze
concernenti la sua vita che la sola vista di un crocifisso bastava
per mandarlo in estasi. Ora, come deve averlo rapito il sacrificio
vero e reale, sia da chierichetto, sia allorché più tardi lo ebbe lui
stesso a celebrare!
Sulla sua Prima Messa siamo ben informati. La celebrò nel
convento di S. Anna a Medina del Campo nel settembre 1567,
forse durante l’ottava della Natività di Maria, presenti sua madre,
suo fratello maggiore e famiglia. Un santo timore Paveva dap
prima fatto indietreggiare di fronte alla sacra Ordinazione, e sol
tanto l’obbedienza e le rimostranze dei superiori erano riuscite
a farlo ritornare sulle sue decisioni. Adesso però, mentre stava
per iniziare il S. Sacrificio, il pensiero della sua indegnità tornava
a farsi vivo, acutamente vivo, risvegliando in lui un ardente strug
gimento di essere assolutamente puro per toccare il Santissimo
con mani immacolate. Così sboccia dal suo cuore la preghiera che
il Signore voglia proteggerlo al punto da non giungere mai ad
offenderlo mortalmente. Era disposto a sopportare la pena di tutti
i peccati nei quali sarebbe caduto senza l’aiuto di Dio, pur di non
commettere la colpa. Alla consacrazione egli percepì queste pa
role: «Ti accordo quanto mi chiedi». Da allora fu confermato
in grazia, ottenendo la purezza di cuore d’un bambino di due
anni!). Esser puro da ogni peccato eppur sentirne ugualmente il
x) Cfr. P. Bruno, Ioc, cit., p. 54 sg. e Vida del P. Gerardo de S. Juan de
la Cruz in E. Cr. I, 36 sg.
III. Il Sacrificio della Messa 41
dami quel che vuoi che ti accordi per il servizio che mi hai reso!
Ed io gli dissi per parte mia : Signore, quel che voglio è che Tu
mi dia dei patimenti da sopportare per Te, e che io sia disprezzato
e contato per nulla » 3).
Allorché Giovanni espresse questo desiderio, la sua situazione
era precaria a tal punto che Tadempimento della richiesta avrebbe
già potuto dirsi effettuato in base alle pure circostanze naturali
del momento. Alla testa del Carmelo Riformato stava allora in
qualità di Provinciale Nicolò Doria, Tuomo troppo focoso e ze
lante che voleva improntare alle sue idee l’opera di Teresa. Gio
vanni difese con decisione l’eredità della S. Madre e le vittime del
fanatismo: il P. Gerolamo Graziano e le Carmelitane. Il 3 Maggio
1591 si apri a Madrid il Capitolo degli Scalzi. Prima di avviarvisi,
il Santo prese congedo dalle Carmelitane di Segovia. La Priora,
Maria della Incarnazione, esclamò piena di entusiasmo: «Padre,
chi sa se Vostra Reverenza non ne uscirà Provinciale di questa
provincia? ».
— « Mi si getterà in un angolo come uno straccio vecchio,
come uno strofinaccio da cucina » - fu la risposta. E così avvenne
in realtà.
Egli non solo non ottenne nessun incarico, ma venne relegato
nella solitudine de La Penuela. Là gli arrivarono gli echi dei
Jean, p. 174).
7) Si ebbe una risposta brutalmente negativa, ma la Madonna gli venne
4. - Scientia Crucis.
50 Parte prima - Il messaggio della Croce
sorgente di cui si sentiva sicuro nella fede8). Il suo spirito non era
incarcerato: poteva ancora innalzarsi a quella fonte che sgorga
perenne, immergersi nel suo insondabile abisso, in quei flutti che
saziano tutto il creato e quindi anche un cuore come il suo.
Nessuna potenza umana l’avrebbe potuto separare dal suo Dio:
ma Dio stesso poteva ritrarsi da lui. E* questa l’oscurissima notte
che il prigioniero ha provata per esperienza nel suo carcere.
del canto (Er Crit., II, p. 161 sgg. e III, p. 158 sgg.) in questo stesso libro, parte
11% § 3, 2».
V. Il messaggio della Croce 51
I I
En una nuche oscura, In una notte oscura,
Con ansias, en amores inflamada, Con ansie, d’amor tutta infiammata,
|Oh! dichosa ventura!, O felice ventura!
Sali sin ser notada, Uscii né fui notata,
Estando ya mi casa sosegada. * 5 Stando già la mia casa addormentata.
2) Testo deirE. Crii., Ili, 157 - Cfr. Opere di S. Giov. della Croce. Trad.
5. - Scientia Crucis.
66 Parte seconda - La dottrina della Croce
li II
A oscuras, y segura, Nel buio, e ben sicura
Por la secreta escala, disfrazada, Per la segreta scala, trasformata,
jOh dichosa ventura!, O felice ventura!
A oscuras y en celada, Nel buio, e ben celata,
Estando ya mi casa sosegada. Stando già la mia casa addormentata.
Ili III
En la noche dichosa, In quella venturosa
En secreto, que nadie me vela, Notte, in segreto che nessun vedea,
Ni yo miraba cosa, Né io mirava cosa,
Sin otra luz, ni gufa, Né luce o guida avea
Sino la que en el corazón ardia. Fuori di quella che nel cor mi ardea.
IV IV
Aquésta me guiaba Sicura mi guidava,
Mas cierto que la luz de mediodia, Essa che il sol meridi'an vincea,
Adonde me esperaba Là dove m’aspettava
Quien yo bien me sabia, Chi ben io conoscea,
En parte donde nadie parecia. In parte dove alcun non si scorgea.
V V
[Oh noche que guiaste! O notte che adducesti,
iOh noche amablc mas que la albo- Notte amabile più che mattinata,
[Oh noche que juntaste [rada! Notte che congiungesti
Amado con amada, L’Amato con l’Amata,
Amada en el Amado transformada! Poi che l’Amata in luì fu trasformata!
VI VI
En mi pecho florido, Sul mio petto fiorito,
Que entero para él solo se guardaba, Che per Lui solo intatto io serbava,
A1H quedó dormido, Ei ristette addormito,
Y yo le regalata, Ed io Io vezzeggiava,
Y el ventallc de cedros aire daba. E il ventaglio de’ cedri il ventilava.
VII VII
El aire del almena, Allor che l’aura aprica
Cuando ya sus cabellos esparcia, Agitargli i capelli Ei si sentia,
Con su mano serena Con la sua mano amica
En mi cu elio heria, Al collo mi feria,
Y todos mis senddos suspendia. E tutti i sensi miei seco rapìa.
1. La Croce e la Notte (Notte dei sensi) 67
Vili Vili
Quedéme y olvidéme, Io giacqui c m’obliai,
E1 rostro recliné sobre el Ara ado, Chino il volto su quello deH’Amato;
Ceso todo, y deiéme, Tutto disparve, ed io m’abbandonai,
Dejando mi cuidado Anco il pensier lasciato
Entre las azucenas olvidado. Per entro a’ gigli perdersi obliato.
4)E’ trattata nel lib. 1 della Salita al Monte Carmelo e nella Ia parte della
Notte Oscura, intitolata appunto Notte Oscura dei sensi.
70 Parte seconda - La dottrina della Croce
INTRODUZIONE
ogni altro sapere e ogni altra scienza, al punto che solo nella
perfetta contemplazione si può giungere ad un’esatta nozione del
la fede. Difatti sta scritto: Si non credideritis, non intelligetis (Se
non crederete non arriverete a capire. Is. 7, 9 - Versione dei Set
tanta) 3 4).
Da quanto s’è appena detto risulta chiaro non solo che la fede
è una notte oscura, ma che è pure una via: la via verso il fine
cui l’anima tende, la via verso l’unione con Dio. Infatti è essa
sola che dà modo di conoscere Dio. E come si potrebbe arrivare
all’unione con Dio senza conoscerlo? Ma per esser condotta dalla
fede a tale traguardo, l’anima deve comportarsi in maniera giusta.
Deve addentrarsi di sua libera scelta e mediante le sue proprie
forze nella notte della fede. Dopoché nella Notte dei sensi essa ha
rinunziato ad ogni desiderio delle cose create, per arrivare a Dio
deve ora morire alle sue energie naturali, ai sensi e persino al suo
intelletto. Infatti, per raggiungere la trasformazione soprannaturale,
deve abbandonare dietro di sé ogni traccia di naturalismo.
Ma non basta. Bisogna che si stacchi addirittura da tutti i
beni soprannaturali, nel caso che Iddio gliene accordi qualcuno. E’
obbligata a svincolarsi da tutto ciò che cade nel dominio della sua
facoltà intellettiva. « E deve rimanere al buio come un cieco, ag
grappandosi alla fede oscura, prendendola come guida e luce, senza
appoggiarsi ad alcuna delle cose che intende, gusta, sente e im
magina. Tutto ciò infatti è tenebra che la farà errare o l’arresterà;
la fede invece è superiore a tutto quell’intendere, gustare, sentire
e immaginare » ■ *). Di fronte a tutto questo l’anima deve diventare
completamente cieca e restare così, per conseguire ciò che insegna
la fede. In effetti, chi non è ancora perfettamente cieco non si
lascia condurre volontariamente dalla sua guida, ma si fida tuttora
del poco che intravvede. « Così succede anche all’anima. Se essa
si appoggia su qualcuna delle conoscenze o gusti o sentimenti con
cessigli da Dio... andando per questa strada erra o si arresta molto
facilmente, perché non vuole fidarsi ciecamente della fede che è
la sua vera guida».
Per raggiungere Punione con Dio si deve solo « credere al
l’essere di Dio, che non cade né sotto l’intelletto, né sotto il desi
derio, né sotto l’immaginazione, né sotto alcun altro senso; perché
in questa vita non si può concepire come sia. Anzi, il più elevato
grado di sentimento e di gusto di Dio raggiungibile in essa, dista
vede una cosa, che spera più? » (Rom., 8, 24). Essa c’insegna a
sperare tutto da Dio e nulla da noi stessi e dalle altre creature; a
sperare da Lui una felicità senza fine, e quindi a rinunciare in
questa vita ad ogni godimento e ad ogni possesso.
La carità infine libera la volontà da tutte le cose, imponendo
come dovere di amare Dio sopra tutto. Ciò però è possibile solo
quando il desiderio affannoso verso le creature è tolto di mezzo.
Questa strada della rinuncia totale è già stata indicata pre
cedentemente come la via stretta che soltanto pochi trovano (Mt.,
7, 14). E’ la via che conduce sull’alto monte della perfezione; può
essere battuta soltanto da quelli che non sono oberati e trascinati
in basso da nessun carico. E’ la via della croce cui il Signore invita
i suoi discepoli : « Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso,
prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua
vita, la perderà; e chi perderà la sua vita per amor mio... la
salverà » (Me., 8, 34 sg).
Ciò che si chiede in questo passo non è soltanto un po’ di
ritiro e una certa migliorìa sotto tale o tal’altro aspetto; un po’
di prolungamento del tempo dedicato alla preghiera e un po’ di
mortificazione per poi bearsi di consolazioni e di piaceri spirituali.
Quelli che si vogliono accontentare di ciò « fuggono come di
fronte alla morte, appena si presenta loro qualche barlume di quel
la solida perfezione che è rannullamento di ogni soavità in Dio,
nell’aridità, nel disgusto, nella fatica. Eppure tutto ciò costituisce
la vera croce spirituale, la nudità dello spirito povero di Cristo».
L’altro atteggiamento « non è che ricercare se stessi in Dio, il che
è esattamente il contrario deH’amore. Cercare se stessi in Dio si
gnifica cercare in Lui soltanto i doni e le delizie... Mentre cercare
Dio in se stesso significa non solo desiderare di essere privi di
entrambe le cose per Dio, ma persino tendere a scegliere per
Cristo quanto v’ha di più insipido, sia nel settore del mondo
come in quello di Dio. Questo è amore di Dio »9). Odiare la
propria anima salvandola, vuol dire rinunciare per amor di Cristo
a tutto ciò che « la volontà tende a desiderare e gustare in con
tinuità, riservandosi invece tutto ciò che ha più affinità con la
croce... ».
« Bere il calice del Signore (Mt., 20, 21) vuol dire morire alla
natura, sia nella sfera sensibile che in quella spirituale. Solo a
queste condizioni si può imboccare la via sfretta, « che è lastri
cata solo di mortificazione... e segnata dalla croce. Questo è il ba
La stessa cosa vale per tutto « ciò che la fantasia può rappre
sentare e l’intelletto concepire in questa vita»11). Già, perché la
facoltà in parola afferra il mondo naturale soltanto per via delle
forme e delle immagini assorbite dai sensi. I quali a loro volta
non ci fanno progredire d’un passo sulla via di Dio. Inoltre,
anche quel tanto di mondo soprannaturale che qui sarebbe ac
cessibile, non può affatto aiutare a raggiungere una più esatta
nozione di Dio. L'intelligenza quindi, malgrado il suo lavoro di
penetrazione, non può formarsi un concetto adeguato di Dio; la
memoria, pur lavorando di fantasia, non può creare forme od
immagini, atte a rappresentare Dio; la volontà non può provare
nessuna gioia e nessuna delizia uguale a quella costituita da Dio
in se stesso. Ecco perché, per arrivare a Dio, è necessario « sfor
zarsi, con sempre maggior intensità, a camminare senza capire
anziché pretendendo capire... accecandosi e immergendosi nella
tenebra... anziché aprendo gli occhi... ».
Per questo motivo VAreopagita chiama la contemplazione col
nome di teologia mistica, ossia segreta sapienza di Dio e raggio
di tenebra * 12).
L’oscurità che conduce a Dio è - come già sappiamo - la
fede. Essa è l’unico mezzo che conduca all’unione, dato che ci
pone Iddio davanti agli occhi quale è: infinito, uno e trino.
La fede assomiglia proprio a Dio, da questo lato: entrambi
accecano l’intelletto sì da apparirgli come tenebra. « Pertanto,
quanta più fede ha l’anima, tanto più è unita a Dio». La S. Scrit
tura allude alla sua oscurità con la figura della nube, nella quale
Iddio si avvolgeva al momento delle Rivelazioni vetero-testa-
mentarie: davanti a Mose sul monte13 14); nel tempio di Salomo
ne H). La luce della verità è nascosta in questo buio. E brillerà sve
lata soltanto quando la vita di fede sarà finita 15).
Frattanto, nell’attesa, noi siamo indirizzati esclusivamente ad
essa. Quel che essa ci dona è la contemplazione: una conoscenza
oscura e generica. La quale conoscenza si oppone non soltanto
all’attività intellettiva naturale, ma altresì alle svariate forme in
cui all’intelletto possono venir comunicate alcune determinate e
ben discernibili conoscenze soprannaturali: visioni, rivelazioni,
locuzioni intaHori e sentimenti spirituali. Si dà il caso che appaiano
non si trattava di una anticipazione del line - che del resto bisogna
conoscere per capirne la strada - tutto questo mondo di illumina
zione e di grazia è stato squadernato sotto i nostri occhi solo per
mostrare che bisogna abdicarvi. Unicamente chi è arrivato al pos
sesso di questa ricchezza può misurare quanto una simile spolia
zione volontaria risulti dolorosa: come diventi buio allorché si
chiudono gli occhi nel bel mezzo di una vivida luce; come si
patisca una autentica crocifissione allorché si incatena la vita dello
spirito sottraendogli tutto ciò che lo soddisfa.
Abbiamo già rilevato come a questa purificazione non venga
assoggettato soltanto l’intelletto ma anche le altre facoltà spirituali :
la memoria e la volontà. Al loro assestamento in vista della divina
unione è dedicato l’ultimo libro della Salita.
Dato che « l’anima deve imparare a conoscere Dio da ciò che
Egli non è, piuttosto che da ciò che Egli è..., essa deve necessaria
mente arrivare a Lui proprio rifiutando tutte le sue conoscenze sia
naturali che soprannaturali, invece che accettandole ».
Per quanto riguarda la memoria, dobbiamo rovesciare fuori
strada tutti gli sbarramenti naturali che interrompono la via, per
poi risollevare questa facoltà sopra se stessa - ossia sopra ogni
conoscenza limitata, sopra ogni patrimonio sensibile - fino a farle
raggiungere « la suprema speranza dell’incomprensibile Iddio ».
Bisogna quindi innanzitutto svestirla da tutte le conoscenze ed
immagini acquisite a mezzo dei sensi corporei. « Siccome non
esiste forma o immagine mediante cui la memoria possa compren
dere Dio », va da sé che è necessario svincolarsi da ogni forma
estranea a Dio. Ciò vuol dire che, « sin tanto che essa sta unita
a Dio..., resta nell’indistinto senza forma né figura. L’immagina
zione è assorta, la memoria inebbriata in un sommo bene, im
mersa nell’oblìo, priva di ogni ricordo ».
Il vuoto assoluto che si produce nell’unione, non è - come del
resto l’unione stessa - frutto unicamente della propria attività.
Siamo già davanti « a qualcosa di straordinario ». « Quando Iddio
opera questi tocchi d’unione nella memoria, capita spesso di
sentire improvvisamente nel cervello... come una scossa così vio
lenta che sembra di perdere la testa, di smarrire il giudizio e l’uso
dei sensi. E’ questo il momento in cui... la memoria... si svuota,
depurandosi da ogni conoscenza... » La paralisi dell’immaginativa e
l’oblìo della memoria sono spesso così forti da richiedere molto
tempo prima che si riesca a tornare in sé e si sappia che cosa sia
successo allora » 34).
34) Ibidlib. 3, cap. 2 - E. Crii. T» 271 sgg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 103
Un tale arresto delle facoltà si verifica per altro solo nel primo
stadio dell’unione, mentre nei perfetti non succede più. Nel loro
caso tutto si svolge sotto la guida dello Spirito Santo; Egli li av
verte a tempo di ciò che devono fare, cosicché nella loro condotta
esteriore restano immuni dagli errori dello stadio di transizione.
La purificazione definitiva è quindi passiva, e come tale si
sa per esperienza che è operata da Dio. Ciò che ranima deve fare
è preparatisi. Tutto ciò che 1 sensi le offrono « essa abbia l’avver
tenza di non archiviarlo né immagazzinarlo nella memoria, lo
lasci perdere, sforzandosi di fare ciò - se necessario - con lo
stesso impegno che altri mettono nel ricordare. Di modo che
non gliene resti nella memoria alcun ricordo o figura, come se
non esistessero nemmeno al mondo. Lasci la memoria libera e
scarica, senza impegnarla in nessuna considerazione né celeste né
terrena... Lasci affondare tutto questo nell’oblìo, come cosa che
disturba... » 35).
Un’anima che tende alla spiritualità, ostinandosi « ad usare
le conoscenze e i procedimenti discorsivi naturali della memoria
per arrivare a Dio », va soggetta ad un triplice svantaggio. Dalle
cose del mondo avrà da soffrire una quantità di miserie: « illusioni,
imperfezioni, tendenze volgari, giudizi temerari, perdite di tempo
ecc... ». Basta lasciare che la memoria si occupi di ciò che ha
appreso attraverso i sensi, « per cadere in imperfezioni ad ogni
passo. Finisce infatti per attaccatesi addosso qualche apprensione,
ora di dolore, ora di paura, ora di odio, ora di vana speranza o
di vano piacere o di vana gloria..., tutte cose che impediscono la
perfetta purezza dell’anima nonché la incipiente unione con Dio...
A tutto ciò si ovvia magnificamente, una volta per tutte, liberando
la memoria da tutto quanto ». D’altronde « non è necessario rifiu
tare ciò che si riferisce unicamente a Dio e contribuisce a quella
conoscenza oscura e generica, pura e semplice, di Dio; va eli
minato invece solo ciò che ha la pretesa di avvicinarcelo per via
immaginativa o per via di paragone affiancandoLo ad una crea
tura ».
Il meglio di tutto è ancora « ridurre le potenze dell’anima
all’immobilità e al silenzio, per lasciar parlare Dio».
Allora « un fiume di pace si riverserà su di lei... liberandola
da tutte le ansie e i sospetti, da tutti i turbamenti e le tenebrosità
che le incutevano la paura di essere ormai perduta o di stare per
perdersi » 36).
35) ìbidcap, 2 - E. Crit. I, 277.
36) lini., cap. 3 - E. Crit. I, 280.
104 Parte seconda - ha dottrina della Croce
anche nel provar piacere vedendo gli altri pensare la stessa cosa
sul conto nostro...
2) Bisogna convincersi che tutte le visioni, rivelazioni e
sentimenti del Cielo... non valgono il più piccolo atto dumiltà; la
quale produce gli stessi effetti della carità: quello di non stimare
né cercare le proprie cose, quello di non pensare male che di sé
solo: il bene si attribuisce non a sé ma agli altri...»42).
Il terzo danno proviene dal perverso nemico. « Esso ha il
potere di proiettare nella memoria e nella fantasia molte nozioni
e immagini false, che sembrano realmente vere e buone... ». Si
presenta all’anima come angelo di luce. E’ capace anche, in oc
casione di comunicazioni che realmente provengono da Dio, di
eccitare disordinate percezioni sia nella sfera sensoria che in
quella spirituale, seducendo così l’anima e facendola cadere nella
golosità spirituale. Essa allora, accecata dal piacere, bada più alla
soddisfazione sensibile che all’amore. Non è più capace di avere
quel distacco e quell’amore che le virtù teologali richiedono. La
causa di tutti questi mali va ricercata nel fatto « che ranima non
ha voluto negarsi fin dal principio il gusto di quei fenomeni so
prannaturali... » 43).
Il quarto danno è già stato menzionato a più riprese: il pa
trimonio della memoria è un ostacolo all’unione con Dio mediante
la speranza.
In ultimo luogo, le forme e figure della facoltà immaginativa,
conservate nella memoria, conducono facilmente « a giudicare l’es
sere e la sublimità di Dio con meno dignità e con minor elevatezza
di quanto convenga alla sua incomprensibilità », e quindi « non
così altamente e come c’insegna la fede, che ce lo presenta incompa
rabile e incomprensibile». In questa vita l’anima è in grado di
percepire chiaramente e distintamente solo ciò che è compreso in
un genere o in una specie. Ora, siccome Dio non cade sotto al
cuna di queste categorie, è logico non possa venir paragonato a
nessuna creatura terrena, a nessuna immagine o nozione che ri
sulti afferrabile dalle facoltà dell’anima. « Pertanto, chi stiva nella
memoria e nelle altre potenze dell’anima tutto il materiale che
esse possono ricevere, non riesce più a stimare Dio per quel che
vale né a sentire di Lui come si deve »44).
Passioni
Beni Temporali
50) ìbid., cap. 45 - E. Crii. I, 402 sgg. (parte sinora inedita). Cfr. Lettera
8. - Scientia Crucis.
114 Parte seconda - La dottrina della Croce
di cui dice il Signore « che nelle loro mosse sono molto più pru
denti e perspicaci dei figli della luce » (Le, 16, 8). Sono degli
autentici avari, che « non sono mai sazi. La loro fame e la loro sete
crescono in proporzione di quanto s’allontanano dall’unica sor
gente capace di ristorarli, che è Dio». Vanno quindi a cadere « in
una miriade di peccati, tutto per amor dei beni temporali; e i
danni che ne soffrono sono innumerevoli ».
Così s’arriva alla quarta fase, in cui si dimentica Dio; qua
si che Egli non esistesse più. Questa totale dimenticanza di Dìo
sopravviene per il fatto che « mentre si sarebbe dovuto mettere
il proprio cuore in Dio senza alcuna riserva, lo si è collocato in
vece senza alcuna riserva nel denaro e nei beni temporali, come
se altro Dio non esistesse ». Tali uomini elevano i beni temporali
al grado di una divinità, arrivando sino a sacrificar loro la vita,
se si profila la minaccia di perderli. Il loro idolo, naturalmente, li
gratifica con quello che ha : « disperazione e morte. E quando non
li perseguita sino a questo estremo costituito dalla morte, li co
stringe a vivere morendo di pena... Il minor danno che possa loro
fare è quello di coinvolgerli in un disastro... facendo terribilmente
retrocedere la loro anima sulla via di Dio » 55).
Chi invece si sa svincolare da ogni attaccamento a beni tempo
rali, acquista magnanimità, libertà d’animo, chiarezza d’intelletto,
tranquillità profonda, pacifica confidenza in Dio, attitudine al
Suo culto e reale ossequio della sua volontà ai postulati di quella
divina. Per di più, con tale distacco, s’acquista anche un maggior
godimento e un maggior sollievo nei riguardi delle creature stesse :
una gioia che non si può provare quando si desiderano con la
mentalità imbevuta dall’esclusivismo di proprietà. Perché questo è
una preoccupazione che lega lo spirito alla terra come un laccio,
privandolo della necessaria larghezza di cuore. Chi ne è esente
riconosce ai beni il loro giusto valore sia dal lato naturale che da
quello soprannaturale. « Questi ne gusta la verità, la parte mi
gliore, la sostanza..., mentre l’altro - che li guarda con gli occhi
dei sensi - ne gusta solo il lato menzognero, la parte più deteriore,
l’aspetto accidentale ». « Chi ha il cuore disimpegnato non viene
molestato da ansietà, né durante l’orazione né fuori di essa; sicché,
senza perder tempo, lavora facilmente e molto nel campo spiri
tuale; mentre invece per quell’altro, tutto finisce per risolversi in
giravolte a corto raggio sopra il laccio a cui sta legato e incatenato
il suo cuore... Perciò colui che tende alla spiritualità, alla prima
mossa che il godimento fa slittando verso le creature, deve repri
merlo... ». Così si conserva il cuore «libero per Dio: il che è la
premessa dispositiva essenziale per tutte le grazie che Dio sta per
concedergli... ». Dio ricompensa « la rinunzia anche ad una sola
gioia, lasciata per amor suo e per amore della perfezione evange
lica, col cento per uno ancora in questa vita... ». D’altro canto
« dobbiamo star certi che, ogniqualvolta ci buttiamo in braccio al
piacere, Iddio ci stia preparando qualche amara e ben meritata
punizione... » 56).
Beni Naturali
Beni Sensibili
chi non le ha respinte. Così sarà per l’aumento della gloria essen
ziale dell’anima, corrispondente all’altezza del suo amor di Dio...:
per ogni piacere momentaneo e caduco da essa rifiutato, si accu
mulerà in lei un immenso peso di gloria che durerà in eterno »
(2 Cor., 4, 17)62).
Beni Morali
Beni Soprannaturali
Beni Spirituali
Edith Stein) al posto di memoria stava la parola volontà. Ora la fedele rico
struzione del testo, data da P. Silverio ha rettificato tale inesattezza (Cfr. Ed.
Burgos, 1940, Subida, III, cap. 32, 4) (N. d. T.).
69) lbid., cap. 32 - E. Crit. I, 367 sg.
70) lbid,, cap. 33 - E. Crit. I, 369 sg.
124 Parte seconda - La dottrina della Croce
9. - Scientia Crucis.
130 Parte seconda - ha dottrina della Croce
non ritrovasse più il filo del discorso* al punto esatto in cui gli
era sfuggito, e quindi, invece di ricuperare questo, mettesse il
secondo lavoro al posto del primo. E’ tassativo ricordare ancora
una volta tutto ciò, per esser in grado di iniziare a valorizzare ret-
tamente le surriferite dissertazioni del nostro Santo.
Abbiamo riportato quel che dice Giovanni nella Salita circa
l’ingresso nella Notte dello spirito, per dedurre con chiarezza che
cosa egli intendesse per spirito e fede. Siccome la fede è la via
che attraversa la notte per condurre al traguardo dell’unione con
Dio, in essa si opera la dolorosa rinascita dello spirito, la sua
trasformazione da essere naturale in essere soprannaturale. I
ragionamenti che vertono su spirito e fede s’illuminano quindi a
vicenda. La fede esige la rinunzia all’attività naturale dello spi
rito. In tale rinunzia consiste la notte attiva della fede, il nostro
personale seguire la Croce. Per rendere comprensibile questa
rinunzia - e conseguentemente la fede -, bisogna analizzare l’at
tività naturale dello spirito. Dal canto suo la fede, con la sua
stessa esistenza, prova la possibilità di un’esistenza e di un’attività
che sorpassano quella naturale; così l’analisi di ciò ch’essa è,
porta ad un nuovo modo di considerare lo spirito. Va da sé quin
di, che si dovrà parlare dello spirito in momenti diversi e sotto
accezione diversa.
Ad un osservatore superficiale, tutto ciò potrà apparire come
una contraddizione e una incoerenza. In realtà si tratta invece di
una obiettiva necessità. Siccome l’« essere spirituale » in quanto
tale significa vita ed evoluzione, la nozione di esso non si lascia
imprigionare entro la staccionata di definizioni rigide; ma dovrà
essa pure essere un moto progressivo, cercandosi un’espressione
fluida. E ciò vale anche per la fede. E’ già di per se stessa un
modo di essere spirituale, e quindi logicamente un moto, una
salita verso altezze sempre più inesprimibili, e una discesa verso
profondità sempre più abissali. Ecco perché la conoscenza deve
cercare di farla sua mediante un’espressione polivalente, per quel
tanto, d’altronde, che riesce ad afferrarla.
83) Viva fiamma d’amore, commento alla 1“ strofa, verso 3, Obras IV, 12, 114,
134 Parte seconda - La dottrina della Croce
flS ) C£r. Salita, lib. 2, cap. 12 - E. Crìi. I, 154 sgg. - Il breve Trattato sulla
conoscenza oscura positiva e negativa di Dio... (E. Crit., Ili, 287 sgg.) parla di
contemplazione naturale (Per questo breve scritto, Cfr. la nota 82 precedente).
138 Parte seconda - La dottrina della Croce
3. - Morte e Risurrezione.
a) Notte passiva dello spirito.
Fede - Contemplazione ascura - Spogliamento
93) Notte oscura, Notte oscura dello spirito, cap. 3 - E. Crii. II, 56.
144 Parte seconda - ha dottrina della Croce
dine di amare, dal mio povero e scarso impegno nel gustare Dio
- senza che né la sensualità né il demonio me ne sbarrassero la
strada. Tutto questo è stato per me una grande fortuna... Infatti,
mentre andavano annullandosi nell’asso pimento le potenze, le
passioni, le brame, e gli alletti della mia anima - sotto la cui
influenza avevo sentimenti e gusti così volgari nei confronti di
Dio - mi sono svincolata dalla mia impostazione e attività umana,
per sollevarmi ad un’impostazione e ad un’attività divina. Vuol
dire che l’intelletto è uscito da se stesso, cambiandosi da naturale
e umano in divino. Unendosi con Dio... non agisce più per vigo
ria e luce naturale sua propria, bensì in virtù della divina Sapienza
a cui se accoppiato. Anche la mia volontà è uscita da se stessa,
divinizzandosi. Unita all’amor divino, non ama più in modo così
meschino con la sua forza naturale, bensì con la forza e la pu
rezza dello Spirito Santo...
Allo stesso modo, la memoria ha permutato tutto il suo mondo
interiore con le apprensioni eterne di gloria... Infine, tutte le
energie e gli afletti dell’anima, attraversando questa notte e questa
purificazione dell’uomo vecchio, ne escono rinnovellati in un
accordo armonico e in una soavità divina »94).
La purificazione però non è soltanto notte: è anche pena e
tormento. Ciò è causato da due fatti: «La prima causa è la subli
mità della Sapienza divina, che supera la portata deiranima e
quindi le appare come una tenebra. La seconda è la bassezza e
l’impurità dell’anima stessa, che le risulta penosa, affliggente ed
essa pure oscura »95).
Sotto l’azione della luce straordinaria e soprannaturale « la
forza conoscitiva naturale dell’anima viene vinta e soffocata ».
Sicché ne deriva che « quando Dio fa dardeggiare, sull’anima non
ancor trasformata, questo lucente raggio della sua misteriosa Sa
pienza, provoca nel suo intelletto una tenebra oscura ».
La pena e il tormento dell’anima provengono dal fatto che
« la divina contemplazione infusa implica un’infinità di altissime
e salutari doti di perfezione; fiamma non purificata che la riceve,
invece, è carica di miserie e di pessime imperfezioni. Ne consegue
che due enti contrari non possono sussistere nello stesso sogget
to... ». Ecco perché, proprio nell’alone di questa fulgida luce,
« l’anima si sente così impura e miserabile da sembrarle che Dio
sia contro di lei e lei contro Dio... al punto di essere da Lui
respinta ». E* tormentata dalla paura di non arrivare mai più ad
94) Ibid, Str. 1, cap. 4 - Edr Crìt, II, 57 sg.
95) lini., cap. 5 - E. Crii. II, 59.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 145
altri non vedano affatto ciò che vede e sente lei, per cui parlano
senza capirla; e invece che consolazione essa prova nuovo dolore,
perché - a suo parere - al suo male non ce rimedio. E in realtà
è così. Infatti, finché il Signore non avrà finito di purificarla nel
modo che vuole, non ce cura né rimedio che sia adatto ed effi
cace per il suo dolore ». Questo stato di cose durerà « finché
lo spirito si sarà umiliato, addolcito, purificato, diventando così
sottile, semplice ed evanescente da giunger a fare un tutto unico
con lo spirito di Dio, in proporzione al grado d unione amorosa
che la Sua misericordia vorrà concedergli... ».
E' infatti in base a... questo grado che è fissata l’intensità e la
durata della purificazione. Il più delle volte dura degli anni, ma
con delle interruzioni « durante le quali la contemplazione oscu
ra, invece di agire in senso purgativo, investe l’anima in forma
illuminativa e amorosa. Allora l’anima, come uscita da un carcere
sotterraneo, svincolata dai ceppi, rimessa in libertà all’aria aperta,
prova e gusta una grande pace, una soavità di amichevole intimità
con Dio, accompagnata da una quantità di comunicazioni spi
rituali facilmente raggiungibili ». A questo punto si pensa ormai
che tutte le angustie siano finite per sempre, esattamente come in
precedenza si pensava che le pene non sarebbero mai terminate.
Ciò succede perché « nello spirito il possesso attuale di un dato og
getto esclude di per sé il possesso e il sentimento attuale del suo
contrario.
Nella parte sensitiva dell’anima, però, questo non si verifica,
perché la sua facoltà percettiva è debole. Ma siccome lo spirito non
è ancora ben depurato e affrancato dalle affezioni contratte dalla
sua sfera inferiore, potrà ancora andar soggetto a vedersi tutto
cambiato in dolore..., anche se lo spirito come tale non va soggetto
a cambiamenti ».
Purtroppo però l’anima non prova tanto di frequente la dolce
sensazione che tutte le tribolazioni siano ormai acqua passata. « In
fatti, sinché la purificazione spirituale non sia un fatto compiuto,
le accade ben di rado che le soavi comunicazioni soprannaturali
siano talmente abbondanti da arrivar a coprire la radice maligna
che le resta infissa addosso; l’anima sente tuttora nel suo interno
che le manca qualcosa... Tale sentimento non le lascia godere
senza riserve quel sollievo, perché essa ha paura, fiutando dentro
di sé il nemico che - quantunque addormentato e assopito - può
sempre svegliarsi e farne qualcuna delle sue. Capita proprio così:
quando l’anima più si crede al sicuro e meno sta in guardia,
esso ritorna alla carica abbattendola e sprofondandola in uno
148 Parte seconda - La dottrina della Croce
l’anima « ormai sta lavorando più l’azione di Dio che non quella
deiranima stessa; azione che opera in lei passivamente, quantun
que il consenso essa lo debba pur dare attivamente. Sta di fatto
però che la caloria, la forza, la tempra e la passione dell’amore -
detta anche incandescenza - ...le vengono somministrate soltanto
dall’amor di Dio, che si va man mano unendo con lei ».
Sotto la morsa della purificazione oscura, l’anima è stata me
ravigliosamente preparata all’unione. In questo stato che vi fa
seguito, « l’anima deve amare con tutte le sue energie e con tutte
le sue facoltà appetitive, spirituali e sensitive». Siamo di fronte
ad un immenso incendio d’amore, in cui « Dio ha concentrate
tutte le forze, potenze, propensioni spirituali e sensitive deirani
ma, affinché tutte quante le facoltà in perfetta armonia s’appli
chino in pieno a quest’amore, così da osservare integralmente il
primo comandamento »... (Deut., 6, 5). Allorché l’anima si sente
già così infiammata e ferita dall’amore, pur rimanendo ancora
nel buio e nel dubbio, priva del possesso beatificante dell’amore,
si ridesta in lei un impulso nostalgico che tende a Dio con tutta
la forza dell’affetto.
« ...In ogni cosa e in ogni pensiero che essa medita, in ogni
aliare e in ogni avvenimento che le capita, essa ama e brama in
mille maniere, struggendosi così in un desiderio pieno di soffe
renza... dappertutto e sempre, senza trovar riposo...». «Tutto di
venta angusto per Tanima ingaggiata in questa prova, che non sta
più in sé, non trova più pace né in cielo né in terra, tormentata
com’è da un dolore quasi forsennato e tenebroso... Con questo si
vuol dire che è travagliata da sofferenze estremamente penose,
senza consolazione, senza alcuna anche minima speranza di luce
o di sollievo spirituale... ».
Il suo impulso affettivo e il suo tormento vanno continuamente
crescendo: prima a causa delle tenebre in cui si vede confinata,
poi a causa dell’amor divino che la brucia. Malgrado tutto, in
mezzo a questo martirio essa sente in sé una forza che svanisce
man mano che la pressione delle tenebre si allenta e si stacca da
lei. Ciò proviene dal fatto che questa forza dell’anima « viene
arsa passivamente dal fuoco tenebroso dell’amore che l’aveva inve
stita in pieno. Ne consegue che col cessare dell’azione investitrice,
cessa subito anche la tenebra, la forza e il calore dell’amore den
tro Tanima » l02).
più conoscenza che amore, altre volte invece più amore che cono
scenza... Dio infatti può agire in una potenza dell’anima senza
nemmeno sfiorare l’altra; così può infiammare la volontà col tocco
rovente del suo amore senza che l’intelletto nulla intravveda, allo
stesso modo - del resto - che una persona può essere scaldata dal
fuoco senza nemmeno vederlo » 105).
Quando però irrompe nell’intelletto quella misteriosa cono
scenza, l’anima, « pur in mezzo alle tenebre, risulta stupenda
mente illuminata », e « la luce brilla nelle tenebre » (Gv. 1, 5)... I
sensi dell’anima riposano allora in una semplicità così serena, così
delicata e soave, che non si sa con quale nome esprimere, dato
che ora si sente Dio in un modo, ora in un altro ».
Malgrado la contemporaneità di purificazione dell’intelletto e
della volontà, la contemplazione viene percepita con maggior fre
quenza nella volontà sotto forma d’amore, anziché nell’intelletto
sotto forma di conoscenza. Ciò si spiega con l’opposizione esistente
tra l’amore sperimentato come stato di ansiosa sofferenza (pas
sione), e lo stesso amore in quanto atto libero della volontà. Quel
la « incandescenza amo-rosa è più una passione d’amore, che un
atto libero della volontà ». Essa infatti « ferisce l’anima nella sua
sostanza intima, suscitandovi passivamente dei moti affettivi. Ecco
perché si chiama passione amorosa anziché atto libero della vo
lontà. Quest’ultimo si chiama atto di volontà appunto in quanto è
libero. Ma siccome questi tipi di passioni e di affettività si ridu
cono alla volontà, si dice che quando l’anima è appassionata per
qualche cosa è poi in realtà la volontà ad esserne appassionata. Ed
è verissimo, perché è appunto in queste circostanze che la volontà
viene fatta prigioniera e perde la sua libertà, trascinata com’è dal
l’impeto e dall’irruenza della passione. Possiamo quindi affermare
che questo arrovellamento d’amore si verifica nella volontà, ossia
arroventa la brama della volontà, sicché - come abbiamo detto po
c’anzi - si chiama più esattamente passione amorosa che libera
operazione della volontà. Giacché il potere ricettivo delPintelletto
è capace unicamente di accogliere una conoscenza depurata e
passiva (e non riesce nemmeno a far questo senza esser purificato),
è logico che - prima della sua definitiva purificazione - l’anima
sperimenti meno di frequente la scossa neH’intelletto che non la
passione amorosa. Per tale evenienza infatti non è necessario che
105) Fiamma Vìva d'amore, spieg. alla Strofa 3, verso 3, 49 - E. Crii. II,
45 sg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 157
La scala segreta
eppure non si tratta che cl’un oggetto percepito coi sensi. Tanto
meno, quindi, si riuscirà ad esprimere ciò che non è entrato per
la porta dei sensi! ».
Siccome Dio parla all'anima proprio nell'intimo e in un modo
assolutamente spirituale, questo fatto sorpassa ogni possibilità dei
sensi sia interiori che esteriori, e finisce per farli ammutolire. I
sensi non capiscono tale lingua, e quindi né riescono ad esprimerla
a parole, né sentono il desiderio di ascoltarla.
La sapienza mistica viene chiamata segreta per un altro mo
tivo ancora : « perché ha la proprietà di nascondere Fanima dentro
di sé... A volte infatti assorbe e inghiottisce Fanima nel suo inson
dabile abisso, aspirandovela con tanta forza che l’anima vede chia
ramente a quale remotissima distanza si trovi da ogni creatura.
Essa ha allora l’impressione di venir immersa in una profondissima
e sterminata solitudine, ove non ce creatura umana che possa
giungere; come in un immenso deserto senza orizzonte.
Ma questo deserto le torna tanto più gradito, più gustoso,
più ricco di effusioni amorose, quanto più è profondo, vasto,
solitario. L’anima vi si sente tanto più nascosta, quanto più si
vede sollevata sopra ogni creatura di quaggiù. Sembrerà un pa
radosso, ma questo abisso di sapienza tonifica e arricchisce Fanima
in altissimo grado: le apre la vena della scienza amorosa, facen
dole constatare quanto siano in ribasso le creature nei confronti
della conoscenza e della sensazione di Dio. La porta inoltre a
riconoscere quanto siano opachi, insufficienti, impropri persino,
tutti i termini e i vocaboli di cui ci si serve in questa vita per
designare le cose divine, e come per via naturale sia addirittura
impossibile arrivare a capirle tal quali sono...». Solo la luce della
teologia mistica può dar qualche schiarimento in proposito. Sic
come « si tratta di cose umanamente incomprensibili, bisogna av
vicinarle rinunciando ad ogni concetto umano e ignorando divi
namente tutto ».
Impiegando il linguaggio mistico..., le cose e perfezioni di
vine non si conoscono né si capiscono tal quali sono, mentre se
ne va in cerca e si esercitano, bensì quando ormai si son già
trovate e sperimentate... « I sentieri e le piste battute da Dio nelle
anime che vuol far arrivare sino a Lui, gratificandole dell’ampio
respiro della sua unione e della Sapienza, hanno la caratteristica
di sfuggire alla noistra conoscenza » I0S). 11
117) Bisogna ricordare qui, che in tutte queste distinzioni si fa uso d’un’im-
magine spaziale riferita a qualcosa che non ha spazio. In senso proprio « l’anima
non è composta di parti, e quindi in essa non esiste distinzione tra esterno e
interno... ». (Viva Fiamma, Str. I, V. 3, Obras IV, 12 sg.).
11B) Quello che qui, a proposito dell’essere spirituale, è accennato solo con
174 Parte seconda - La dottrina della Croce
quale egli ritorna con insistenza: quella tra l’anima tendente alla
spiritualità e il suo direttore. Ma non rientra nelle sue intenzioni
nemmeno stabilire su quali direttive intellettuali tale intesa deve
basarsi. Una volta sola egli fa notare che gli uomini, ai quali è
stata data la grazia del discernimento degli spiriti, sono all’altezza
di arguire da quasi impercettibili segni esteriori quello che passa
nell’intimo altrui 12°). Ecco indicata la via conoscitiva normale
per giungere alla vita spirituale del prossimo: si comincia da
manifestazioni esterne sensibili, si oltrepassano, e si arriva così in
profondità da riuscir a dedurre come si comporta l’intima vitalità
dell’anima. Infatti ogni esteriorizzazione che si concretizza in
fenomeni espressivi di ordine corporale, in sensazioni e parole,
in azioni ed opere, presuppone una fonte emanativa interiore -
volontaria o involontaria, cosciente o inconscia. Perciò, se tutto ciò
scaturisce dall’interno, qualcosa di tale interno vi affiora senz’al
tro. Ma non sarà mai uno schema dai contorni netti, mai nulla
di preciso e di afferrabile con sicurezza, fìntanto che si resterà
confinati sulla via puramente naturale senza esser guidati dalla
straordinaria illuminazione di Dio; intorno a tutto ciò rimarrà
pur sempre un alone di Etto mistero. Siccome l’intimo dell’anima
è sbarrato, non c’è sguardo umano che abbia forza sufficiente per
scandagliarlo.
L’anima non è in relazione soltanto con i suoi simili, ma
anche con i puri spiriti creati, sia buoni che malvagi. Sulla scìa
dt\YAreopagita, Giovanni ammette che l’illuminazione divina ven
ga concessa all’uomo tramite gli angeli; d’altra parte, però la
discesa scalare della grazia attraverso i gradini della Gerarchia
Celeste per lui non è l’unica via possibile. Egli riconosce un’unione
immediata di Dio con l’anima, ed è proprio questa che riveste ai
suoi occhi la massima importanza. Molto più dell’influenza del
l’angelo buono, egli analizza le insidie del demonio. Egli lo vede
circuire insistentemente le anime, per sviarle dal cammino verso
Dio.
Quali possibilità di contatti esistono tra le anime umane e gli
spiriti puri, ossia privi di corpo? Anche qui esiste una via cono
scitiva possibile, che sorpassa i dati espressivi corporali e le altre
esteriorizzazioni. Nei confronti degli uomini, i puri spiriti in
quanto tali, per farsi comprendere da loro, hanno il potere di
apparire loro in forma visibile e di render?! presenti mediante
parole percettibili. Ma questo dato di fatto è una strada molto
123) Cfr. Vìva Fiamma, commento alla str. 2, V. 6 - Obras, IV, 43 e 150 sgg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 179
127) Cfr. Viva Fiamma, comm. alla Str. 4, V. 3 - Obras IV, 166 sgg., c
216 sgg.
12a) Castello Interiore, 7a Mansione, cap. L
J29) Viva Fiamma, comm. alla Str. 1, V. 3 - Obras, IV, 12 sgg. e 113 sgg.
184 Parte seconda - La dottrina della Croce
senza riserve. Ora, tale abbandono è l’atto più sublime della sua
libertà. Giovanni stesso descrive le mistiche nozze come un mutuo
volontario abbandono di Dio e dell’anima, attribuendo allo spirito
umano pervenuto a questo grado di perfezione un ascendente
tale da permettergli di far assegnamento non solo su se stesso ma
persino su Dio I30).
Circa questo supremo stadio della vita personale, esiste quindi
un perfetto accordo tra la dottrina mistica dei nostri Santi Rifor-
matori dell’Ordine Carmelitano e la tesi che il fondo intimo del-
l’anima sia la sede della più assoluta libertà.
C’è però da chiedersi: come vanno le cose per la gran massa
degli uomini, che non arriva né arriverà mai al matrimonio spiri
tuale? Possono anch’essi arroccarsi nel loro intimo e di là sganciare
le loro decisioni, o non sono atti ad emettere che delie decisioni
più o meno superficiali? La risposta al quesito non si può dare
con un sì o con un no reciso.
La struttura dell’anima - la sua maggiore o minore profondità,
il suo intimo - è un dono di natura. In essa ha la sua radice, sem
pre per costituzione naturale, il movimento dell’Io considerato
come possibilità essenziale di agire dentro questa cerchia. L’io
prende posizione or qua or là, a seconda dei moventi che lo
sollecitano. Logicamente esso prende le mosse da quella certa
sede in cui soggiorna di preferenza. Orbene, questo sito preferen
ziale non è affatto sempre lo stesso, anzi è tipicamente diverso
per ogni campione umano.
L’uomo sensuale, edonista, è per lo più immerso in qualche
piacere sensibile o tutt’al più occupato a procurarsene qualcuno.
Il suo posto d’emissione decisiva è molto lontano dal suo intimo.
L’uomo che va in cerca della verità vive soprattutto nel cuore
della sua ricerca intellettiva; se mira effettivamente alla verità,
come tale, (e non semplicemente a collezionare singole nozioni
particolari), egli è forse più vicino a Dio - ch’è la stessa verità -
e conseguentemente al suo proprio centro intimo, di quello che
non pensi. A questi due esempi aggiungiamo un terzo, che a
nostro parere riveste una grande importanza : quello dell’« uomo
conscio del suo io », ossia di colui per il quale il proprio io
costituisce il centro di gravità. Considerandolo superficialmente,
può anche sembrare che tale uomo risulti particolarmente vicino
al suo proprio fondo intimo. Invece, per nessun altro tipo umano
forse la strada che vi conduce è così sbarrata come lo è per lui.
137) Viva Fiamma, comm. alla Str. 3., V. 3 - (Obras IV, 54 sgg. e 160 sgg.).
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 195
138) Vedremo in seguito come anche nel Cantico spirituale l’esposizione non
del P. Silverio.
196 Parte seconda - La dottrina della Croce
Allorché un’anima riceve la grazia santificante, non è che Dio inabiti in essa in
due diversi modi: l’inabitazione per essenza e quella per grazia sono fuse in uno.
II. Spinto e fede - Morte e Risurrezione 199
144) « ...Multi crediderunt in nomine ejus... Ipse autem Jesus non credebat
semetipsum cis... » (Gv., 2, 23-24). Cfr. Aug,, Tract, in Jo., 11-12; Migne, Pl.,
XXXV, 1474 sgg.
200 Parte seconda - ha dottrina della Croce
intima era mai stata da lei scoperta prima d’allora. Essa quindi
non. ha mai saputo, come sa adesso, a chi abbandoni la sua
volontà, che cosa abbandoni, quale dedizione esiga da lei questa
volontà divina,
E’ qualcosa di diverso anche sotto l'aspetto della volontà. In
nanzitutto nel fine, poiché la donazione della volontà perviene sì
all’unificazione del proprio volere con quello dì Dio, ma non rag
giunge il cuore di Dio e tanto meno le Persone divine. Poi nella
causa motiva, poiché soltanto ora si viene a toccare il nucleo pri
mordiale da cui scaturisce la persona; soltanto ora la volontà
abbraccia tutta se stessa, per il fatto di abbracciare tutta la sua
personalità appunto prendendo le mosse dal suo centro originario.
Infine nella effettuazione, poiché nellabbandono amoroso del ma
trimonio spirituale non è soltanto la propria volontà che si subor
dina e si sottomette a quella divina: è addirittura la donazione
divina che ci si fa incontro. Ecco perché la dedizione incondizio
nata della propria persona è contemporaneamente il più ardito ac
quisto d’un titolo di proprietà, un titolo che sorpassa ogni intendi
mento umano. Giovanni della Croce lo sottolinea molto chiara
mente, affermando che l’anima è qui messa in grado di dare a
Dio ancor più di quanto vale lei stessa : arriva a offrire Dio a Dio
che sta dentro di lei,49).
Siamo quindi di fronte a qualcosa'che entitativamente è di
verso da ciò che avviene nella unione per via di grazia. Infatti,
si ha un assorbimento nell’essere divino, che divinizza fiamma
stessa; una fusione essenziale di persone che pure non toglie loro
l’individualità ma anzi la presuppone; una mutua compenetrazio
ne che è sorpassata in entità soltanto dalla cosiddetta circuminces-
sione delle Persone divine che ne sono il prototipo.
Questa è l’unione che Giovanni tiene incontrovertibilmente
davanti allo sguardo in tutti i suoi scritti, additandola come scopo
da raggiungere. Ciò è un dato di fatto, anche se frequentemente
egli usa il termine unione in altro senso; anche se non ne ha pre
cisato teoricamente i contorni caratteristici che la staccano dalle
altre modalità similari, come ora abbiamo tentato di fare noi.
L’abbiamo già affermato precedentemente: il matrimonio mi
stico è una unione col Dio trino. Finché però Iddio si limita a
sfiorare leggermente l’anima nel buio e in segreto, questa non
riesce a percepire che il contatto personale solo, senza arrivare a
questo. La S. M. Teresa descrive l’intervento della SS. Trinità nel caso del matri
monio mistico, nel Castello Interiore, 7® Mansioni, cap. L
161) Lib, 2 cap, 1 sgg. - E. Crii. I, 100 sgg.
152) Cfr, p. es. Salita lib. 2, cap. 8, in fine - E. Crit. I, 130 - Dionigi usa
l’espressione Raggio di tenebra nel cap. I della Teologia Mistica (Migne, P. Gr.,
Ili, 999 sg.
153) Salita, lib, 2, cap. 9 - E. Crit. I, 132.
204 Parte seconda - La dottrina della Croce
154) Qui abbiamo anche un argomento per presentare la fede come una
conoscenza amorosa: per quanto riguarda la contemplazione, cfr. Salita, loc. cit.,
cap. 13 e 14 - E. Crit. 1, 153 e 163.
155) Salita, ibid., cap. 10 (verso la fine) - E. Crit. I, 136.
156) Cfr. Salita, ibid., cap. 13 - E. Crit. II, 154 sgg.
IL Spirito e fede - Morte e Risurrezione 205
157) Cfr. Cantico spirituale, comm. alla Strofa 11 (12). - E. Crii. II, 221.
206 Parte seconda - La dottrina della Croce
I I
jOh llama de amor viva, O fiamma d’amor viva,
Que tiernamente hieres Che sì dolce ferisci
De mi alma en el mas profundo cen- L’alma, ed al centro più profondo
Pues ya no eres esquiva, [tro! poiché non sei più schiva [vai;
Acaba ya si quieres; L’opra, se vuoi, finisci,
[Rompe la tela de este dulce en- Rompi la tela al dolce incontro ornai.
[cuentro!
II II
Ili Ili
IV IV
jCuan manso y amoroso Quanto dolce c amoroso
Recuerdas en mi seno, Ti svegli entro il mio seno.
Donde secretamente solo moras! Ove in segreto c solo hai tua dimora!
[Y en tu aspirar sabroso, Il tuo aspirar gustoso,
De bien y gloria lleno, Di beni e gloria pieno,
Cuan delicadamente me enamoras! Quanto soavemente m’innamora!
e 105 sg.
3) Gv., 7, 38.
4) Fiamma viva, commento alla Str. 1 - Obras, IV, 7 e 109 sg.
III. La gloria della Risurrezione 211
15) Giovanni scriveva queste righe circa due anni dopo la morte della S.
M. Teresa. Che la trasverberazione amorosa avesse poi lasciato tracce visibili sul
suo cuore, egli non lo sapeva ancora,
220 Parte seconda - La dottrina della Croce
20) Fine del comme nto alla 2" Strofa - Qbras IV, 43 sgg. e 150 sgg.
III. La gloria della Risurrezione 225
non sia qui usato nella stretta accezione di fidanzamento mistico, come invece si
fa nel Cantico spirituale, Str. 13 e 14 - Obras III, 63 sgg.
230 Parte seconda - La dottrina della Croce
27) Ibtd. Commento alla Strofa 3, V. 3 - Obras IV, 60 sgg. e 167 sgg.
HI. La gloria della Risurrezione 231
2S) Ibìd. Commento alla Strofa 3, V. 3 - Obras IV, 83 sg. e 194 sg.
232 Parte seconda - La dottrina della Croce
30) Fiamma viva, fine del comm. alla Str. 3 - Obras IV, 88 sgg. e 199 sgg.
1IL La gloria della Risurrezione 235
34) Fiamma viva, commento alla Str. 3, V. 3 - E. Crii. Ili, 444 sg. Noi
.abbiamo qui omesso tale digressione per non spezzare il contesto. Essa però verrà
(Utilizzata nella IIIU Parte del presente lavoro.
IlL La gloria della Risurrezione 241
35) La nostra esposizione del contenuto della Fiamma viva ne offre soltanto
una pallida idea, perché del forte quantitativo di citazioni cd esempi scritturali
ne abbiamo allegati ben pochi (come abbiamo fatto anche negli altri scritti, del
resto). Chi vuol formarsene un concetto esatto deve prendere in mano lui stesso
le opere del Santo.
36) Fiamma vit/a, comm. alla Str. 2, V. 5 - Obras IV, 43 e 149 sg. - Libro
di Ester, 4, 1 sgg.
I. (37) 1.
Esposax Sposa:
1. 1.
d Adónde te escondiste, Ah! dove ti celasti,
Araado, y mi dejaste con gemido? Me in gemiti lasciando, o mio Dilet-
Como el ciervo huiste, Come cervo n’andasti; [to?
Habiéndome herido; Piagata io mi trovai:
Sali tras ti clamando, y eras ido. T’uscii dietro, eri gito, e invan gridai.
2, 2.
Pastores, los que fuerdes Pastori, o voi che andrete
Alla por Ias majadas al Otero, Lungo i vostri recinti all’alto Monte,
Si por ventura vierdes Se per sorte vedrete
Aquel que yo mas quiero, Chi più d'ogni altro adoro,
Decidle que adolezco, peno y muero- Ditegli che languisco e peno e moro.
3. 3.
Buscando mis amores, Cercando il caro amore,
Ire por esos montes y riberas, Andrò per questi monti e queste spon-
Ni cogeré las flores, Né coglierò mai fiore, [de,
Ni temere las fieras, né temerò di fiere,
Y pasaré los fuertes y frontcras. E passerò li forti e le frontiere.
37) I numeri romani I - II - III sono stati aggiunti soltanto nella seconda
redazione.
HI. La gloria della Risurrezione 243
5. 5.
Mil gracias derramando, Mille grazie versando,
Paso por estos sotos con presura, Passò per queste selve, agile e snello;
Y yéndolos mirando, Mentre le andò mirando,
Con sola su figura Solo col suo bel volto
Vestidos los dejó de hermosura. Fé’ ch’ogni bel rimase in esse accolto.
Esposa: Sposa:
6. 6.
Ay, quién podrà sanarme! Ahi! chi potrà sanarmi?
Acaba de entregarte ya de vero, Deh! tutto invero a me ti stringi e
No quieras enviarme Non voler inviarmi [dona;
De hoy màs ya mensa)ero, Più messaggeri, quando
Que no saben decirme lo que quiero. Non mi sanno essi dir quel che di-
[mando.
7, 7.
Y todos cuantos vagan, Ciascun che in te s’appaga,
De ti me van mil gracias refiriendo, Di te mille bellezze a me descrive;
Y todos mas me llagan, E ciascun più m’impiaga,
Y déjame munendo E mi sembra morire,
Un non sé qué que quedan balbu Sentendo un non so che, che non
tendo. [san dire.
8. 8.
Mas, i corno perseveras, Vita, e tu reggi ancora,
Oh vida, no viviendo donde vives, Se vivere non puoi dove tu vivi,
Y haciendo porque mueras, Bastando, onde tu mora,
Las flechas que recibes I dardi che hai nel seno,
De lo que del Amad'o en ri concibes? Per solo quel che in lui comprendi
[appieno?
9. 9.
jPor qué, pues has llagado Perché, se tu piagato
Aqueste corazón, no le sanaste? Hai questo cor, tu sano a me noi
Y pues me le has robado, E già che l’hai furato, [rendi?
,iPor qué asi le dejaste, Tal perché lo lasciasti,
Y no tomas el robo que robaste? Senza teco portar quel che rubasti?
10. 10.
11.38) 11
Descubre tu presencia, Scopri la tua vezzosa
Y materne tu vista y hermosura; Faccia, e tua vista e tua beltà
Mira que la cloìencia Solo può l’amorosa [m’uccida.
De amor, que no se cura Sanar doglia sì dura
Sino con la presencia y la figura. Del caro Ben l’aspetto e la figura.
11 (12). 11 (12).
jOh, cristalina fuente, 0 fonte cristallina,
Si en esos tus sembiante? plateados, Se tra queste tue immagini d’argento
Formases de repente Formassi repentino
Los ojos deseados, 1 cari occhi bramati,
Que tengo en mis entranas dibujados! Che stanmi in cor, ma sol confusi e
[ombrati!
II. II.
12 (13). 12 (13).
Apartalos, Amado, Deh! gli allontana, Amato,
Que voy de vuelo. ch’io passo e volo...
Esposo : iSposo :
Vuélvete, paloma, Ah! mia colomba, torna;
Que el ciervo vulnerado Spunta il cervo piagato
Por el otero asoma, Dalla collina erbosa,
Al aire de tu vuelo, y fresco toma. E del tuo volo all’aura si riposa.
Esposa: Sposa:
13 (14). 13 (14).
Mi Amado, las montana?, L’Amato è come i monti
Los valles solitarios nemorosos Per me, come le ombrose erme val-
Las ìnsulas extranas, Le strane isole, i fonti [lette,
Los nos sonorosos, Di schiette acque sonore,
Ei silbo de los aires amorosos. E l’amoroso sibilar delPòre.
14 (15). 14 (15).
La noche sosegada La riposata e queta
En par de los levantes del aurora, Notte sul primo biancheggiar
La musica callada, La melodia segreta, [dell’alba,
La soledad sonora, Solitudin sonora,
La cena que recrea y enamora. La cena che conforta ed innamora.
TESTO B.
15. 15.
Nuestro lecho florido, Nostro letto è fiorito,
De cuevas de Ieones enlazado, Da tane di l'ion cinto d’intorno,
En pùrpura tendido, Di porpora vestito,
De paz edificado, In pace edificato,
De mil escudos de oro coronado. Di mille aurati scudi incoronato.
16. 16.
A zaga de tu huella Su tue care orme, mille
Las jóvenes discurren al camino, Discorrono il cammin giovani amanti,
Al toque de centella, Al tocco di faville,
Al adobado vino, Al rinforzato vino,
Emisiones de bàlsamo divino. Fuori versando balsamo divino.
17. 17.
En la interior bodega Nella più interna cella
De mi Amado bebi, y cuando salia Io bevei dell’Amato; e fuori uscita
Por toda aquesta vega, Alla pianura bella,
Ya cosa no sabfa, Obliando men già,
Y el ganado perdi que antes seguia. E la greggia perdei ch'io mi seguia.
18. 18.
Alla me dio su pecho, Quivi il suo petto diemmi,
Alli me ensenó ciencia muy sabrosa, E qui dolce scienza in sen m’infuse:
Y yo le di de hecho Ed io tutta sua femmi;
A mi, sin dejar cosa, Né serbando a me cosa,
Alli le prometi de ser su esposa. Quivi promisi a lui d’csser sua sposa.
19. 19.
Mi alma se ha empleado, Di lui tutta son io;
Y todo mi caudal en su servicio; Tutto il mio capitai per lui s’adopera.
Ya no guardo ganado, Già la mia greggia oblìo-,
Ni ya tengo otro ofìcio, Né ho più altro uffizio,
Que ya sólo en amar es mi ejercicio. Ma solo nell’amar è il mio esercizio.
TESTO J.
16, 16.
Cazadnos las raposas, Prendiam le volpiceli,
Que està ya florecidà nuestra vina, Poiché la nostra vigna ornai fiorio;
En tanto que de rosas Mentre di fresche e belle
Hacemos una pina, Rose intrecciam la pina,
Y no parezca nadie en la montina. Non vada errando alcun sulla collina.
246 Parte seconda - La dottrina della Croce
17. 17.
Detente, Cierzo muerto, T’arresta, o borea morto;
Ven, Austro, que recuerdas lo araores, Vieni, Austro, che i casti amori svegli,
Aspira por mi huerto, Soffia pel mio bell’orto ;
Y corran tus olores, Ne spirino gli odori,
Y pacera el Amado entre las flores. Ed il mio Ben si pascerà tra i fiori.
18. 18.
19. 19.
E sposo: Sposo:
20. 20.
20. 20.
21. 21.
22 . 22.
En sólo aquel cabello Da quel che contemplasti
Que en mi cuello volar consideraste, Solo crine ondeggiar sul collo mio
Mirastele en mi cuello, (sul mio collo il mirasti)
Y en él preso qued'aste, Preso fosti e legato,
Y en uno de mis ojos te llagaste. E in un degli occhi miei ti sei
[piagato.
23. 23.
Cuando tu me mirabas, Quando mi vagheggiavi.
Su grada en mi tus ojos imprimìan; In me tua grazia il guardo tuo im-
Por cso me adamabas, Quindi vieppiù mi amavi, [primea.
Y en cso meredan E degno il mio si fea
Los mios adorar lo que en ti vian. Quello adorare in te, che in te vedea.
24. 24.
No quieras desprcciarme, Ben mio, deh! non sprezzarmi,
Que si color moieno en mi aliaste, Se di bruno colore è il mio sembiante.
Ya bien puedes m ir arme, Or tu ben puoi mirarmi,
Después que me miraste, Se, dacché mi mirasti,
Que grada y hermosura en mi dejaste. Grazia, vezzo, beltade in me lasciasti.
21. 21.
Por las amenas liras, Per le soavi lire,
Y canto de sirenas os conjuro, Per le sirene io vi scongiuro intanto
Que cesen vuestras iras, Cessino le vostr’ire;
Y no toquéis al muro, Né sia percosso il muro,
Porque la Esposa duerma mas seguro. Onde il bel sonno suo sia più sicuro.
III. III.
22 . 22.
Entrado se ha la Esposa Entrò l'amante Sposa
En el ameno huerto deseado, Nel desiato giardinetto ameno,
Y a su sabor reposa, E lieta inchina e posa
El cuello reelinado Il bel collo beato
Sobre los dulces brazos del Amado. Sopra le dolci braccia dell’Amato.
23, 23.
Debajo del manzano, Sotto un melo ti scorsi;
Alli conmigo fuiste desposada, Qui mia sposa ti fei con dolce nodo,
Alli te di la mano, Qui la mia man ti porsi,
Y fuiste reparada E qui fosti difesa,
Donde tu madre fuera violada 39). 39 Dove la madre tua fu vinta e presa.
39) Qui si arresta la trasposizione delle strofe operata nella seconda reda-
248 Parte seconda - La dottrina della Croce
TESTO B. J.
Esposo: Sposo:
33 (34). 33 (34).
La bianca palomica La bianca colombella
Al arca con el ramo se ha tornado, Col pacifico ramo all’arca riede;
Y ya la tortolica E già la tortorella
Al socio deseado Sua compagnia bramata
En las riberas verdes ha allado. Per le verdi riviere ha ritrovata.
34 (35). 34 (35).
En soledad vivia, Nel deserto vivea,
Y en soledad ha puesto ya su nido, E nel deserto il nido suo ripose.
Y en soledad la guia Colà scorta le fea
A solas su Querido, Da solo a sol l’Amato,
También en soledad de amor herido. Pur nel deserto anch’ei d’amor
[piagato.
Esposa: Sposa:
35 (36). 35 (36).
Gocémonos, Amado, Deh! godiamoci, o Ben mio;
Y vàmonos a ver en tu hermosura Andiamo (e sia mio specchio il tuo
Al monte y al collado Al monte, al colle, al rio, [bel viso)
Do mana el agua pura; Dove umor puro è accolto;
Entremos mas adentro en la espesura. Penetrar non ti spiaccia ov’è più folto.
36 (37). 36 (37).
Y luego a las subidas Quindi all’alte caverne
Cavernas de la piedra nos iremos, Tosto il pié porterem dell’alma pietra,
Que estàn bien escondidas, Ben profonde ed interne.
Y alH nos entraremos, Là entro ne and rem poi
Y el mosto de granadas gustaremos. L’umor suggendo de’ granati tuoi.
zione. Abbiamo presentato entrambe le versioni giustapposte una all’altra per non
cancellare l’impressione offerta dal poema originale. Attenendoci ai manoscritti più
autorevoli, abbiamo contrassegnato la prima redazione con la lettera B (Barra-
meda■ ) e la seconda con la lettera J Qaén).
Messi a raffronto presentano il seguente prospetto:
B: 1-10, , 11-14, 15-24, 25-26, 27-28, 29-30, 31-32, 33-39.
J: 1-10, 11, 12-15, 24-33, 16-17, 22-23, 20-21, 18-19, 34-40.
Se si vuol giungere ad afferrare il senso della trasformazione subita dal
Cantico, bisogna leggere ciascuna delle due versioni come un tutto unitario la
sciandone venire in luce l’intima coesione interna. Se sia stato il Santo stesso ad
operare questo rifacimento oppure esso sia opera d’un altro, non è un problema
che intendiamo affrontare, come già abbiamo detto in precedenza. Manchiamo
dei requisiti basilari per risolverlo. Non possiamo tuttavia passare sotto silenzio
gli intimi rapporti che legano tra loro le due elaborazioni redazionali.
III. La gloria della Risurrezione 249
37 (38). 37 (38).
Alli me mostrarias Qui tu mi mostrerai
Aquello que mi alma pretendla, Quel che l’anima mia da te pretender
Y luego me darias Qui tosto mi darai,
Alli tu, vida mia, O gioia, o vita mia,
Aquello que me diste el otro dia. Quel che Taltr’ier mi desti ed or
[vorria.
38 (39). 38 (39).
El aspirar del aire, L’aura che spira a noi,
El canto de la dulce filomena, Di filomena il dolce lieto canto,
El soto y su d'onaire, La selva e i fregi suoi.
En la noche serena, Nella notte serena,
Con llama que consume y no da pena. Con dolce ardor che strugge e non
[dà pena.
39 (40). 39 (40).
Que nadie lo miraba, Nessun mirarla osava,
Aminadab tampoco parecia, Né comparire Aminadabbo ardìa,
Y el cerco sosegaba, L’assedio alfin posava;
Y la cabaliena E a veder Tacque vive
A vista de las aguas descendia. Scendeano i cavalier lungo le rive *).
Questo Cantico, venuto alla luce nel buio del carcere, è pro
digiosamente ricco di immagini e di pensieri. Appunto per questa
sua caratteristica si differenzia essenzialmente dalle strofe della
Notte oscura e della Fiamma Viva. Là ci troviamo di fronte, volta
per volta, semplicemente una immagine predominante che pola
rizzava tutto: la fuga nella notte, la fornace incandescente che
sprizza fuoco e fiamme. E’ vero che anche qui esiste un filo con
duttore conglobante - ne parleremo ancora in seguito - ma vi
gravita attorno un turbinio iridescente di altre figure. Là regna
la semplicità e il silenzio, mentre qui sia l’anima che il creato
tutto sono in movimento. Non si tratta solo di una semplice
diversità dello stile poetico: questa nasce da una profonda diver
sità dell’esperienza interiore sulla quale si fonda. La Notte e la
Fiamma Viva presentano entrambi uno squarcio della vita mi
stica, limitato ad un momento ben determinato del suo sviluppo
e precisamente all’istante in cui Tanima ha ormai abbandonato
dietro le sue spalle tutto il creato per occuparsi unicamente di
Dio. Le sue relazioni con le cose del mondo vengono trattate solo
da un punto di vista retrospettivo. Il Cantico Spirituale invece
rimette in gioco l’intero processo mistico, e non solamente nel
siero. Qui non solo succede quello che è successo con i due trat
tati anteriori, ossia che il pensatore e maestro si viene a trovare
davanti alla composizione poetica come davanti ad un dato di fatto
oggettivo, staccato e quasi estraneo, (a ciò ha senz’altro contri
buito l’intervallo di tempo intercorso tra la compilazione del
poema e quella del commento: la maggior parte delle strofe è
nata a Toledo nel 1578, mentre la prima stesura del commento
esplicativo è stata scritta a Granada nel 1584); ma si ha inoltre
l’impressione che, accanto all’intenzione principale di spiegare in
modo comprensivo e didattico il linguaggio immaginifico del poe
ma, abbia influito sulla prosa da lui composta anche un altro
movente. Dietro i suoi figli e figlie spirituali, ai quali erano in
primo luogo destinati i suoi scritti, sembra insorgere davanti allo
sguardo del Santo un altro pubblico, parecchio meno generoso e
poco disposto ad accettare le sue idee. Già quando ci siamo occu
pati di sviscerare la Salita e la Notte oscura, ci era balenato il
sospetto che, nei punti chiave concernenti lo sconfinare della vita
mistica propriamente detta da quella ordinaria della grazia, la
sua esposizione sia potuta anche non essere completamente li
bera, bensì influenzata dal pensiero dell’occhiuta vigilanza del-
Tlnquisizione, nonché dal sospetto d’illuminismo che aleggiava
pieno di prevenzioni su tutto quanto odorava di mistica4').
Ebbene, il Cantico Spirituale sembra influenzato da questa
preoccupazione ancor più fortemente degli altri scritti. La tra
sformazione poi da esso subita nella seconda rielaborazione sem
bra sia stata essenzialmente determinata da questo fatto. Tale
trasformazione infatti non si è limitata al commento in prosa, ma
ha inciso addirittura sul testo poetico del Cantico.
Potremmo indicare subito quattro fatti che verosimilmente ne
dipendono e vanno messi in stretto rapporto con questo:
1) La seconda versione contiene una strofa che in origine
non esisteva. Ad ogni modo la strofa in questione apparve già
in alcune edizioni a stampa, le quali per tutto il resto si basa
vano sulla prima versione; essa però è stata desunta probabil
mente da un manoscritto riportante la seconda versione41 42).
2) La seconda versione suddivide il cantico in tre parti: I,
II, III.
41) Cfr. in proposito la realistica messa a punto riguardante l’Inquisizione,
contenuta in J. Brouwer, De acktergrond der Spaanse mysùe\, Zutphen 1935,
p. 79 sgg.
42) Cfr. P. Silverio nella sua Appendice al Cantico spirituale - Ohras III,
456.
252 Parte seconda - ha dottrina della Croce
43) Cfr. Commento alla Str. 27 - (B, Obras III, 131 sg.) con quello della
strofa 22 (J, Obras III, 319 sg.).
III. La gloria della Risurrezione 253
45) Non si riesce a stabilire in quale misura egli stia qui creando in quanto
artista, e fino a che punto invece egli crei sotto ispirazione dello Spirito Santo.
Torneremo suU’argomento in seguito.
III. La gloria della Risurrezione 255
50) Cantico spirit., comm. alla Str. 1, V, 5 - Obras III, 19 sg. e 207.
51) Cantico spirit., comm. alla Str. 12 (13) - Obras III, 56 sg. e 259 sg.
lìì. La gloria della Risurrezione 257
53) D’ora in poi quindi i numeri d’ordine premessi alle strofe si riferi
ranno alia seconda versione. Aggiungeremo invece tra parentesi la numerazione
della prima versione. (Notare che sino a qui abbiamo adottato il procedimento
inverso).
260 Parte seconda - La dottrina della Croce
&6> Comm. alla Str. 12 (11). V. 2 - Obras III, 252 sg. e 53.
III. La gloria della Risurrezione 263
57) Comm. alla Str. 13 (12) - Obras III, 259 sg. e 56 sg.
58) Comm. alla Str. 13 (12), ultimo verso - Obras III, 264 e 61.
264 Parte seconda - La dottrina della Croce
59) Premessa dichiarativa alle Str. 14 (13) e 15 (14) - Obras III, 265 e 63.
60) Gv. 1, 4, secondo una variante molto in uso tempo addietro.
61) Spiegazione preliminare alla Str. 14 (13) - Obras III, 265 e 63.
III. La gloria della Risurrezione 265
66) Prologo alla Str. 16 (appendice della seconda redazione) - Obrai III, 284.
268 Parte seconda - La dottrina della Croce
8B) Ibìd.j comm. alla Str. 17 (26) - Obras III, 299 sg. e 125 sg.
270 Parte seconda - La dottrina della Croce
il fatto di non aver ancora pieno dominio sulle sue facoltà infe
riori. Nel settore dei sensi purtroppo hanno luogo tuttora fre
quenti ribellioni nocive alla vita della grazia. L’anima si rivolge
quindi a questi elementi sovversivi della sua componente infe
riore, pregandoli di non passare i limiti... Li chiama ninfe, perché
tendono a fuorviare la volontà con le loro smancerie importune.
Dà poi al suo settore sensitivo il nome di Giudea perché « esso è
per sua natura fiacco,, carnale e cieco, proprio come la nazione
giudaica » 69).
Mentre i rosai nel suo settore potenziale più nobile produ
cono Lori di virtù, effondendo il profumo ambrato dello Spirito
Santo, le ninfe importune devono arrestarsi alla periferia o nei
sobborghi dei sensi interni, senza varcare la soglia che conduce
aH’interno, vale a dire quella dei primi movimenti del settore
superiore deH’anima. (Notiamo che in questo passaggio appare
evidente come non solo l’interpretazione, ma la stessa strofa poe
tica sia artificiosa, troppo marcatamente, intrisa del gusto dell’e-
poca. La strofa che segue, invece, si inserisce nuovamente in modo
lineare nel quadro complessivo).
Il più vivo desiderio delPanima è quello di contemplare Dio
faccia a faccia. Ora l’ha trovato nel suo intimo, per cui bramereb
be rimanervi per sempre nascosta con Lui. Mentre nella stanza se
greta del suo cuore Egli le sta rivelando la magnificenza della Sua
Divinità, nulla di quanto avviene là dentro deve trapelare di fuori,
per evitare qualunque azione disturbatrice proveniente dall’ester
no. L’anima sa che la debolezza della sua natura sensibile fini
rebbe per soccombere sotto la vertiginosa sublimità di ciò che sta
avvenendo sulla montagna e questa eventualità impedirebbe allo
spirito di contemplare la faccia di Dio. Essa vorrebbe quindi sen
tirsi liberare integralmente dal peso del proprio corpo, per spe
rimentare così nel suo intimo il contatto dell’Essenza divina,
beandosi della meravigliosa acconciatura di cui Egli stesso l’ha
adornata: una conoscenza della Sua Divinità, assai superiore a
qualunque ordinaria via conoscitiva.
Ma anche lo Sposo anela al matrimonio. Egli intende accor
dare alla Sposa una forza d’animo eccezionale, una purezza e un
amore unico nel suo genere, per metterla così in grado di sop
portare la poderosa ed intima stretta unitiva di Dio. Stabilisce
quindi nella sua anima la più perfetta armonia. Ogni volubile
gioco della fantasia, ogni imperiosa brama delle passioni, ogni
60) Ibid,, comm. alla Str. 18 (31), V. 1 - Obras III, 299 e 146,
UL La gloria della Risurrezione 271
70) Ibìd., comm, alla Str. 20 (29) - Obras III, 307 e 138.
272 Parte seconda - La dottrina della Crocè
71) Ibid.j comm. alla Str. 21 (30) - Obras III, 315 e 144.
72) Ibid., comm. alla Str. 22 (27), V. 2 - Obras III, 321 e 133.
IH. La gloria della Risurrezione 273
73)
Questo commento alla Str. 23 (28), Obras III, 326 e 136, nella seconda
redazione del Cantico è sviluppato molto più in largo. Il raffronto tra fidanza
mento battesimale e fidanzamento mistico v’è stato introdotto posteriormente.
Corrisponde alla tendenza a mettere in stretto rapporto l’unione per via di grazia
con quella mistica.
*) Qualunque sia il senso voluto dare da Edith Stein a queste sue parole,
è da ritenersi, con S. Tommaso (Somma, 3, 46, 8; De peritate q. 10, a. 11, ad
3 e q. 26, a. 10; Comp. theol., c. 232) e con la dottrina sicura e comune della
Chiesa che il Verbo Incarnato durante tutta la sua vita terrena godette senza
interruzione la visione beatifica di Dio. Anche nell’agonia del Getsemani, come
nell’abbandono della Croce, immerso nel mistero di dolore della Passione, nella
regione superiore della sua anima Gesù godeva la gioia ineffabile della visione
di Dio. (Cfr. nella versione francese della Somma della Revue des Jeunes il voi. Ili
della Vie de Jésus (Paris 1931), la nota tecnica (pp. 216-229) su « La Passìon et
la vision béatifique dans le Christ » (N.d.T.).
HI. La gloria della Risurrezione 275
74) Noi non vediamo però nel peccato e nella necessità d’una azione reden-
tiva Vunico movente dell’Incarnazione. Questa ci appare di già inclusa nell’eco
nomia della creazione, che avrebbe dovuto essere a suo tempo completata da
Cristo. Anche Giovanni della Croce conosce un fondamento giustificativo del-
rincarnazione indipendente dalla caduta nel peccato. Cfr. Romanzas, Obras IVj
328 sgg,).
276 Parte seconda - La dottrina della Croce
77) Cfr, Cantico spirit,, comm. alla Str. 25 (16) - Obras IH, 335 e 85.
78) Ibid., comm. alla Str. 26 (17), V. 2 - Obras III, 343 e 91.
79) lbid., comm. alla Str. 26 (17), V. 2 - Obras III, 345 e 92.
278 Parte seconda - La dottrina della Croce
80) Ibid., comm. alla Str. 26 (17), V. 4 - Obras III, 345 e 95.
III. La gloria della Risurrezione 279
81) Ibìd., comm. alla Str. 26 (17), V. 5 - Obras III, 351 e 97.
82) Ibìd., coram, alla Str. 27 (19) in fine - Obras III, 356 e 104.
280 Parte seconda - La dottrina della Croce
88) Ibid„ comm. alla Str. 32, In fine - Obras ITI, 384.
8S) Cant. Spir.j comm. alla Str. 33 - Obras III, 386 sgg.
HI. La gloria della Risurrezione 283
atto a supplire e a completare ciò che le manca pur nella sua su
blime trasformazione gloriosa »93).
Contemporaneamente alla perfezione dell’amore, essa attende
anche la gloria eterna, ossia la visione dell’Essenza divina, cui
Dio l’ha predestinata sin daireternità. Ne parla solo in secondo
luogo, perché l’amore ha sede nella volontà e quindi ne costituisce
anche il fine primo. E’ infatti una caratteristica dell’amore quella
di dare piuttosto che ricevere; mentre è tipico dell’intelletto, sede
della gloria, ricevere anziché dare. « L’anima, ora ebbra d’amore,
non mira tanto alla gloria che Dio ha da darle, quanto piuttosto
all’abbandono amoroso di tutta se stessa a Lui, prescindendo com
pletamente dal suo vantaggio personale ». Del resto, la prima
delle due implorazioni include anche la seconda : « perché è
impossibile raggiungere il perfetto amor di Dio, senza la perfetta
visione di Dio ». E’ precisamente la visione di Dio, il premio
da Lui preparato sin dall’eternità. Ma è una cosa « che nessun
occhio ha mai visto, nessun orecchio ha mai inteso, e che non è
mai penetrata in cuore d’uomo » (1 Cor., 2, 9; Is., 64, 4).
Ciò che l’anima ne presagisce è così sopraffacente che essa
non trova altra parola per indicarlo, e si appiglia alla parola
quello. Non è possibile dare una spiegazione a questo misterioso
tèrmine. Il Signore stesso, nell’Apocalisse, l’ha jimpiegato per
bocca di S. Giovanni in sette diverse espressioni e circonlocuzioni
comparative: «A chi vince, darò a mangiare dell’albero della
vita, ch’è nel paradiso del mio Dio » (Apoc., 2, 7) - « Sii fedele
sino alla morte e ti darò la corona della vita » (Apoc., 2, 10) -
« A chi vince, gli darò della manna nascosta, e gli darò un sas
solino bianco, e nel sassolino sta scritto un nome nuovo, che
nessuno sa, se non chi lo riceve » (Apoc., 2, 17) - « A chi vince e
chi custodisce sino alla fine le opere mie, gli darò potestà sulle
genti, e le pascerà con bastone di ferro e come vaso d’argilla
saranno frantumate, a quel modo che ho ricevuto anch’io potestà
dal Padre mio. E gli darò la stella del mattino » (Apoc., 2, 26-28).
« Chi vince, sarà così vestito di bianco, e non cancellerò il suo
nome dal libro della vita, e confesserò il suo nome al cospetto de)
Padre mio, al cospetto dei suoi angeli » (Apoc., 3, 5) - « Chi
vince, lo farò colonna del tempio del mio Dio, e non ne uscirà
più fuori. E scriverò su di lui 'il nome del mio Dio, e il nome
della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme, che scende
93) Ibid., comm. alla Str. 38, Vr. 1 e 2 - Obras III, 410.
286 Parte seconda - La dottrina della Croce
giù dal cielo da presso il mio Dio, e il mio nome nuovo» (Apoc.,
3, 12) - « Chi vince, gli darò da sedere meco sul mio trono, come
anch’io ho vinto e mi sono assiso col Padre mio sul suo trono »
(Apoc., 3, 21) - « Tutte le frasi citate sin qui sono parole del Figlio
di Dio, dirette a farci capire che cosa sia quello. Quadrano per
fettamente, ma però non ce lo spiegano ancora, perché... l’infi
nito non si può imprigionare nelle parole... »94).
L’anima pervenuta allo stato di matrimonio mistico non si
può però dire completamente digiuna nel campo deirincommen-
surabile e dcirinesprimibile. La trasformazione in Dio le ha già
permesso qualche saggio in materia: lo spirar della brezza, di cui
è favorita dallo Spirito Santo. Esso non è altro che la stessa spira-
zione dello Spirito Santo, dello Spirito d’amore che il Padre e
il Figlio aspirano insieme. La Terza Persona della SS. Trinità
« aspira l’anima, così trasformata, nel Padre e nel Figlio per unirla
a sé. In realtà, non si tratterebbe di vera e totale trasformazione,
se l’anima non si trasformasse nelle Tre Persone della S.S. Tri
nità in modo potente e manifesto. Orbene, questa spirazione dello
Spirito Santo nell’anima, mediante la quale Dio la trasforma in
Se stesso, produce in lei un piacere così sublime, delicato e pro
fondo che non c’è lingua mortale adatta ad esprimerlo, né intel
letto umano capace di farsene un concetto anche solo approssi
mativo... Quando l’anima ancor quaggiù sulla terra è favorita da
questa trasformazione, la spirazione reciproca che va da Dio
all’anima e dall’anima a Dio si ripete assai frequentemente...
e con la più squisita delizia amorosa per l’anima stessa. Tuttavia,
tale piacere non raggiungerà mai la gradazione spiccata e bril
lante dell’altra vita...
Tale sublime attività non ci deve sembrare impossibile...
Dato che Dio le fa il favore di unirla alla SS. Trinità, facendola
così diventare deiforme e Dio per partecipazione, cosa c’è d’in
credibile nel fatto che essa esplichi anche la sua attività spirituale,
conoscitiva e amorosa... nella S.S. Trinità, a cui è strettamente
unita formando quasi un tutto unico con essa?...
Questo sì vuol dire essere trasformata nelle Tre Persone per
via di potenza, di sapienza e d’amore! In questo l’anima assomi
glia davvero a Dio. Ed è precisamente perché essa potesse arrivare
ad uno stadio così sublime, che Dio l’ha creata a Sua immagine
e somiglianza » 95).
94) ìbid. comm. alla Str. 38, V. 5 - Obras III, 412 sgg.
95) ìbid., cornili, alla Str, 39, V. 1 - Obras III, 416 sgg.
III. La gloria della Risurrezione m
Nello spirare della mite brezza, l’anima percepisce nel suo
intimo la soave voce dello Sposo, congiungendo la sua propria
voce con quella di Lui in un eterno canto di giubilo. Come
l’usignolo (la dolce filomena) canta a primavera quando il freddo,
la pioggia e la variabilità della stagione invernale sono ormai
passati, così l’anima intona il suo canto d’amore nella novella pri
mavera. Ormai essa è « esente da perturbazioni e vicissitudini
temporali, ripulita e depurata da imperfezioni, angustie e anneb
biamenti penosi sia nel settore dei sensi come in quello' dello
spirito, respirando la nuova primavera nella libertà, nella dilata
zione., nell’allegria spirituale... Rianimata, rimessa nel suo ambien
te, inondata di gioia... essa intona assieme a Dio il suo nuovo
canto di esaltazione lirica... E’ Lui che le presta la sua voce, perché
essa si unisca a Lui in una comune lode a Dio... ». Egli infatti ha
appunto l’ardente desiderio « di udire la sua voce come un perfetto
inno di giubilo ». Per avere un peana di lode veramente perfetto,
bisogna che esso attinga la sua ispirazione nella conoscenza del
mistero deH’Incarnazione. Ora, tutto ciò che l’anima fa nello stato
d’unione è già perfetto. Ecco perché il suo canto di giubilo ri
donda di dolcezza per Dio e per lei stessa, quantunque esso non
tocchi ancora la perfezione del cantico nuovo, che verrà intonato
nella vita eterna95).
Dio le si manifesterà inoltre come Creatore e Conservatore
esistenziale di tutti gli esseri (come una selva, con tutto il suo
brulichìo di animali e piante). Essa arriverà a conoscere il fascino,
la sapienza e la bellezza di Dio disseminata in ogni singola crea
tura celeste e terrena; e in pari tempo giungerà a rilevarne i
mutui rapporti nella loro armonica coordinazione. Per adesso, ciò
si verifica nella notte fonda della contemplazione, tramite un
misterioso potere ricettivo su cui nemmeno lei stessa saprebbe dare
dei ragguagli. In un secondo tempo invece, ciò si verificherà
« nella notte serena » della chiara visione beatifica di Dio97).
Finalmente la fiamma dell’amor divino la trasformerà inte
gralmente nell’amore, senza causarle più alcun dolore. « Ciò non
sarà possibile se non nello stato di eterna beatitudine, ove la
fiamma è composta unicamente di soavissimo amore... Ammesso
pure che l’afflato amoroso potesse anche variare d’intensità, in
più o in meno, l’anima non ne risentirebbe dolore, come invece
lo sentiva prima di raggiungere la capacità attitudinale a questo
PARTE TERZA
3) Cfr. sopra, I, 4.
4) Cfr. P. Bruno, Vìe d’amour, pag. 264.
Frammento 295
non diverrete schiave se non delle necessità alle quali vorrete spon
taneamente assoggettare il cuore. Il povero di spirito, infatti, nelle
strettezze è più costante e più allegro del solito, perché si è già
assicurato stabilendo il suo tutto nel pochissimo o nel nulla, così
da mantenere in ogni circostanza una larga apertura di cuore. O
felice nulla, beato rifugio del cuore, che ha tanta energia da as
soggettarsi tutto quanto senza bramare impadronirsi di niente
per conto suo e lasciando perdere ogni preoccupazione per me
glio ardere d’amore... Le suore approfittino delie primizie di que
sto spirito che Iddio elargisce sempre agli albori delle nuove fon
dazioni monastiche, per iniziare con nuovo slancio il cammino
di perfezione in piena umiltà e assoluto distacco interiore ed este
riore, non con spirito pusillanime ma con volontà robusta. Bat
tano la strada della mortificazione e della penitenza, desiderose
che Cristo costi loro qualche cosa, evitando di fare come quelli
che cercano il proprio comodo e la propria consolazione, sia in
Dio che fuori di Lui. Si augurino di patire per Dio, in Lui e fuori
di Lui, nel silenzio, nella speranza e nel ricordo amoroso...»11).
La via più buia è anche la via più sicura. Questo assioma del
la Notte Oscura viene da lui ribadito con la massima energia in
tutta la sua opera di direttore di anime : « Siccome lei cammina
nella tenebra e nel vuoto della povertà spirituale, pensa che tutto
e tutti la stiano abbandonando. Ciò non desta meraviglia, visto
che in queste traversie le sembra che persino Dio le venga a
mancare. Ma via, non le manca nulla... Chi non desidera altro
fuorché Dio, non cammina nelle tenebre, per quanto povero e
immerso nel buio si veda. Chi non si lascia irretire dalla presun
zione e dal proprio gusto egoista, non andando a cercarlo né in
Dio né nelle creature, non facendo la propria volontà in alcuna
cosa, non ha ostacoli in cui inciampare, né occasione di questio
nare... Lei non è mai stata meglio di adesso, perché non è mai
stata tanto umile, obbediente, convinta del poco valore suo e di
tutte le cose del mondo. Lei non si è mai riconosciuta così cattiva,
né ha mai considerato Dio così buono, né ha mai servito il Si
gnore così puramentee disinteressatamente come ora... Che cosa
vuole di più?... Che cosa crede significhi servire Dio, se non
evitare il male, osservando i suoi comandamenti, occupandosi delle
proprie faccende meglio che si può? Se questo già avviene, che
bisogno ce di altre conoscenze, di altri lumi o soddisfazioni attin
te qua e là, visto che tutto questo materiale ordinariamente non è
non s’impegnò e non tese a far altro che la volontà del Padre
suo, che Egli chiamava suo cibo e nutrimento »23).
« Crocifisso interiormente ed esteriormente con Cristo, tu vi
vrai in questa vita con soddisfazione e benessere dell’anima tua,
possendendola nella pazienza » 24).
«Ti basti Cristo crocifisso; soffri e rilassati con Lui; e per
raggiungere la meta, annientati in ogni settore, interno ed ester
no »25).
« Se desideri arrivare a possedere Cristo, non cercarLo mai
senza la croce » 26).
« Chi non cerca la croce di Cristo, non cerca nemmeno la
gloria di Cristo » 27).
« Che cosa sa chi non sa soffrire per Cristo? Quanto più
grandi sono i carichi che gravano addosso a uno, tanto gliene
torna poi più riposante la liberazione » 28).
«Rallegrati continuamente in Dio, tua salvezza; e rifletti
quanto sia dolce soffrire almeno un pochino per Colui che è
davvero buono » 29).
« Se vuoi essere perfetto, vendi la tua volontà e dalla ai
poveri di spirito; vieni poi da Cristo nella mansuetudine e nel
l’umiltà e seguilo fino al Calvario e al Sepolcro » 30).
« I travagli e le sofferenze per amore di Dio, sono come delle
perle preziose: quanto più sono grosse, tanto più sono di valore
e suscitano in colui che le riceve un amore più intenso verso il
donatore. Così capita anche con le sofferenze causate dalle crea
ture: accettandole per amor di Dio, più sono grandi, più valore
hanno e più amor di Dio provocano. E per i dolori, che durano
solo un istante, sopportati sulla terra per amor di Dio, Sua Mae
stà ci regala dei beni infiniti ed eterni nel cielo: ci regala Se
stesso, la Sua bellezza e la Sua gloria...»31).
Un giorno, una certa religiosa espresse in presenza del Santo
un giudizio poco benevolo sul conto di una persona, un civile, che
era piuttosto maldisposto verso il convento. Ricevette per tutta
47) Sorta di scomodi sandali, fatti di corde intrecciate, molto usati dalla
povera gente del posto.
48) P. Bruno, op, cit., p. 312 sgg.; testimonianza del P. Giovanni Evange
fonti: P. Bruno soprattutto dagli atti del Processo canonico di Roma; Baruzi
anche dal Ms. 12738 della Biblioteca Nacional di Madrid. Il P. Silverìo ha allegato
parte delle deposizioni alla nuova edizione spagnuola delle Opere di S. Giovanni
della Croce (Obras, IV , suppl., 354 sgg.).
55) Ciò non è per nulla in contraddizione con il fatto che Giovanni abbia
subito le influenze dei poeti del suo tempo, presentando con loro persino degli
accostamenti letterali. Per quanto concerne il valore letterario dei poemi in parola,
cfr. l’Introduzione di P. Silverìo al IV Voi. delle Opere {Obras, IV, pag, LXXIX
sgg.) e Baruzi, op. cit, pag. 107 sgg.).
56 ) Obras, IV, 323 sg.
312 Parte terza - Sulla via della Croce
questo canto, dal punto di vista della materia e della forma, con
i quattro accennati sopra: tutti insieme ci daranno una risposta
alla questione del come il Santo abbia saputo praticare la morti
ficazione interiore. La sua anima è sì arrivata al distacco perfetto
da se stessa, alla semplicità e alla calma sublime dell’unione con
Dio. Ma tutto questo è stato il frutto della sua purificazione inte
riore, durante la quale la sua natura così riccamente dotata si è
spontaneamente caricata la croce sulle spalle, abbandonandosi alla
crocifissione sotto la mano di Dio. Questo spirito, caratterizzato da
un’energia e da una vitalità così alta, si era dato prigioniero;
questo cuore pieno di impulsi passionali roventi, era arrivato al
la distensione pacificatrice attraverso la rinunzia più radicale. Ce
lo confermano i testimoni. Il P. Eliseo dei Martiri61) scrive che
Giovanni compiva tutto « con mirabile dignità e tranquillità d’a
nimo ». « Nel suo modo di fare e di conversare era affabile, molto
spirituale ed edificante per coloro che l’ascoltavano o trattavano
con lui. Si comportava in modo così irreprensibile ed altamente
esemplare, che quanti venivano a contatto con lui finivano per
lasciarlo arricchiti spiritualmente, pieni di devozione ed entusia
sti per la virtù. Teneva in grande concetto la preghiera e i rapporti
con Dio; a tutti i dubbi che in questa materia gli venivano espo
sti, rispondeva con una sapienza così elevata, da congedare rap
pacificato ed edificato chiunque si fosse a lui rivolto per consi
gli, Amava il raccoglimento e la taciturnità; rideva poco e con
compostezza... ». « Perseverava costantemente nell’orazione e nella
presenza di Dio, nelle elevazioni d’animo e nelle giaculatorie » 62).
Non levava mai la voce, non si permetteva scherzi grossolani
e plateali, non dava mai soprannomi a nessuno. Trattava tutti con
lo stesso rispetto. In sua presenza, nessuno osava mai parlare de
gli altri se non per dirne bene. Anche in ricreazione egli non par
lava che di argomenti spirituali, e finché parlava lui, a nessuno
dei circostanti veniva in mente d’interromperlo aggiungendo qual
che cosa. Frequentemente, alla fine dei pasti aggiungeva una esor
tazione spirituale, tenendo incantati tutti quanti nell’atteggia-
mento assunto inizialmente.
Il suo ascendente sugli altri era di solito straordinario. Già
in precedenza, tra i Calzati, il suo solo apparire costituiva un’esor
63) Cfr. Baruzi, op. eie, p. 290 sgg. Testimonianze del P. Martino di 5.
Giuseppe in Obras, IV, 377.
64 ) Ibid.j pag. 290.
65) Ibid,, pag, 292.
66) Obras completas de S, Teresa, a cura di P, Silverio, Voi. II, Burgos
Anche per i suoi nemici, non ha mai una parola risentita. Ciò
che gli fanno di male, vien da lui considerato unicamente come
opera di Dio. Ne riparleremo di questo suo modo di considerare
i nemici.
Però tutte queste forme diverse di amore del prossimo, affon
dano le loro radici nell’amor di Dio e del Crocifisso. Abbiamo
già ripetutamente veduto, come per lui Tarnore sia sostanzial
mente « un esercizio di perfetta rinuncia e un patire per l’A
mato »73). Come egli abbia portato questo principio nella pra
tica della vita è già stato dimostrato a più riprese, e apparirà ancor
meglio da quanto segue.
La sua coerenza tra dottrina e vita va messa a fuoco ancora
su un punto importantissimo. Giovanni ha sempre ribadito nei
suoi scritti, che non solo bisogna rinunciare a tutte le conoscenze
e soddisfazioni naturali, ma anche a tutti i favori soprannaturali
di Dio - visioni, rivelazioni, consolazioni e simili - per andare
incontro all’incomprensibile Iddio unicamente nella fede oscura,
saltando a piè pari tutto ciò che è comprensibile. Le attestazioni
riguardanti i vari periodi della sua vita sono concordi nell’affer-
mare che il Santo è stato colmato di grazie straordinarie. Ma la
sciano anche capire che egli cercava con tutte le forze di sottrar
sene. Quando a Segovia passeggiava per il convento, spesso an
che durante una conversazione, senza farsi notare picchiava i
pugni contro i muri per difendersi dall’estasi e non perdere il
filo del discorso 74).
Alla M. Anna dì S. Alberto confidava un giorno: «Figlia
mia, io tengo la mia anima sempre in seno alla SS. Trinità, è
il mio Signore Gesù Cristo a volere che io ve la tenga ». Ma egli
prova spesso una consolazione così grande e intensa, da portarlo
a pensare che la sua debole resistenza fisica stia proprio per soc
combere, sicché non osa nemmeno abbandonarsi al perfetto rac
coglimento. Abbiamo già accennato al fatto che per giorni e gior
ni si asteneva dal dire la Messa, per la paura che gli capitasse
qualcosa di staordinario75).
Egli continua a lamentarsi della sua « debole natura » : troppo
debole forse per sopportare un’effusione sovrabbondante della
grazia, ma forte abbastanza per cercare e desiderare la croce sotto
che così saranno esenti dagli errori che avrebbero potuto commet
tere a causa della mia miseria.,, »88). Anche a Maria dell’Incarna
zione, figlia della M. Anna, che allora era Priora a Segovia, indi
rizzò la seguente preghiera: «Per quello che è toccato a me,
figlia mia, non si dia pena, visto che la faccenda a me non ne
dà proprio nessuna. Quello che mi addolora assai è invece il fatto
che si butti la colpa addosso a chi non ce l’ha. In fin dei conti,
queste cose non le fanno gli uomini ma bensì Dio, il quale sa ciò
che ci vuole per noi, e le dispone tutte a nostro maggior bene.
Dove non esiste amore, imetta Tarnore, e ne ricaverà amore... »89).
") Cfr. P. Bruno, op. cìt., pag. 352 sg., Deposizione del P. Bartolomeo di
S. Basilio (Obfas, IV, 394) e del P. Francesco di S. llarione (Ohras, V, 114).
10°) Deposizione del P. Ferdinando della Madre di Dio - Obras, V, 331.
Due giorni prima della sua morte, egli brucia alla fiamma
d’una candela tutte le sue lettere - un bel pacco che teneva sotto
il guanciale - «perché essere suo amico^era un delitto».
La sera del giovedì chiese e ricevette la S, Comunione. A
tutti quelli che si rivolgevano a lui per un ricordo, egli disse di
dirigersi al suo superiore, perché lui era povero e non possedeva
nulla. Fece chiamare il Priore, Francesco Crisostomo, e gli chiese
perdono di tutte le sue mancanze, aggiungendovi poi la seguente
preghiera: «Padre, l’abito della Vergine che ho portato e del
quale mi sono servito - poiché sono un povero mendicante e non
ho nulla con cui essere sepolto - per l’amor di Dìo, supplico Vo
stra Reverenza di darmelo per carità ». Il Priore lo benedisse e
lasciò la cella. Sembra che persino in questo istante la sua avver
sione interiore contro il Santo non fosse ancora incrinata. Ma
finalmente lo sciagurato superiore, pentito come un buon ladrone,
venne piangendo a inginocchiarsi ai piedi del morente, chiedendo
perdono se il suo « povero convento » non poteva offrire un
maggior sollievo alla sua malattia. Giovanni rispose: «Padre
Priore, io sono contento; ho anche più di quel che merito. Ab-
biate confidenza in Nostro Signore; verrà un tempo che questa
casa avrà tutto ciò che le è necessario ».
La mattina del 13 Dicembre egli chiese che giorno della set
timana fosse; udito che era venerdì, s’informa ripetutamente del
l’ora, nei vari momenti della giornata: non vedeva l’ora di andar
a recitare mattutino in cielo. In quest’ultimo giorno della sua vita,
si mantenne ancor più silenzioso e raccolto del solito. Teneva per
lo più gli occhi chiusi. Quando li apriva, era per concentrarli
amorosamente su un crocifisso di rame.
Verso le tre, chiede che prima della sua morte venga con
dotto alla sua presenza il P. Sebastiano di S. llarione. E’ un
giovane padre, al quale egli aveva dato l’abito a Baeza. Ora giace
ammalato di febbre maligna in una cella poco distante dalla sua.
Viene introdotto da lui, rimanendovi per circa mezz’ora. Giovan
ni ha qualcosa di importante da comunicargli : « Padre Sebastiano,
Vostra Reverenza deve essere eletto Priore dell’Ordine. Stia at
tento a quel che le comunico, e cerchi di riferirlo ai superiori,
spiegando loro che glie l’ho detto in punto di morte ». Si trattava
di un affare molto importante per l’incremento della Provincia.
Alle cinque, il Santo prorompe in un’esclamazione gioiosa:
« Felice me, che senza averlo meritato, sarò questa notte in cielo ».
Poco dopo, volgendosi al Priore e a Fernando Diaz : « Padre -
dice Giovanni - voglia Vostra Paternità avvertire la famiglia del
Frammento 333
Senor Fernando che non l’aspettino. Questa notte egli deve restare
qui ». Poi domanda l’Estrema Unzione, che riceve molto devo
tamente, rispondendo alle preghiere del sacerdote. Dietro sua ac
corata richiesta, gli viene portato ancora un volta il Santissimo per
adorarlo: ed egli indirizza tante tenere parole verso il Dio na
scosto. Congedandosi dal Sacramento, disse : « Signore, non Ti
vedrò più con gli occhi della carne ».
Il P. Antonio di Gesù ed alcuni altri padri anziani, volevano
vegliare presso di lui, ma egli non acconsentì. Li avrebbe fatti
chiamare, quando fosse giunta l’ora.
Quando suonarono le nove, disse avidamente : « Ancora tre
ore. Incolatus meus prolongatus est» (Salmo 119, 5). P. Sebastiano
lo intese aggiungere che Dio per sua consolazione gli aveva ac
cordati tre favori da lui chiesti : « di non morire in carica di
superiore; di morire in un posto ove fosse sconosciuto; di spi
rare dopo aver molto sofferto. Ora giace così tranquillo, immerso
così quietamente in orazione, che lo si crede morto. Ma ritorna
in sé, e bacia ripetutamente i piedi del suo Cristo.
Alle dieci, si sente suonare una campana. Egli domanda cosa
ce. Gli si risponde che son i frati che vanno a mattutino. « Ed
10 - dice egli - per la misericordia di Dio, devo andare a recitarlo
con la Vergine Nostra Signora in cielo». Verso le undici e mez
za, fa chiamare i Padri. Arrivano circa 14 o 15 religiosi, che stan
no preparandosi al mattutino. Appendono alla parete le loro
lampade, e domandano al Santo come sta. Egli s’aggrappa ad una
corda che pende appositamente dal soffitto, e si leva a sedere,
« Padri, volete recitare il De profundis? Mi sento molto bene ».
E in realtà, era « molto sereno, molto bello e molto allegro »,
attesta il sottopriore Ferdinando dì S. Maria. Intona il salmo, e gli
altri rispondono. Sempre alternatamente «si recitarono così non
so quanti salmi » - dice Francisco Garcia. Erano Ì salmi Peni
tenziali, quelli che precedono la raccomandazione dell'anima. Se
questi salmi siano stati recitati tutti fino in fondo, oppure se ad
un certo punto Giovanni abbia interrotta la preghiera, è un
punto su cui le fonti non si accordano. Sta di fatto che egli si era
davvero stancato, tanto da doversi nuovamente riadagiare. Eppu
re aveva ancora un desiderio: che qualcuno gli leggesse qualche
brano del Cantico dei Cantici. Stavolta è il Priore che lo fa. « Che
pietre preziose! » - esclama il morente104). Era il canto deH’amore,
11 canto che l’aveva accompagnato per tutta la vita.
106) Tutta la narrazione della morte del Santo segue il tracciato datone da
I N D I C E
Prefazione all’edizione italiana...................................... pag. 7
Presentazione . . . ,.................................................... » 9
Brevi cenni biografici sull’Autrice....................................» 11
Genesi dell’Opera....................................................................» 13
Finalità dell’Opera............................................................. » 16
La personalità di Edith Stein come appare alla luce della
« Scienza delta Croce »................................................... ....... » 17
Prefazione....................................................*.......................... » 21
introduzione'. Significato e fondamenti genetici della scien
za della croce..................................................................» 23
Parte Prima
Parte Seconda
3) Morte e Risurrezione
a) Notte passiva dello spirito (Fede - Contemplazione oscura
- Spogliamelo) . » HI
Incandescenza nell’amore e trasformazione . . . . »1 5 2
La scala segreta.................................................................................» 1 6 0
La veste tricolore dell’anima.............................................................. »1 6 6
Nascosta nell’oscurità, in profondo riposo . . . . » 1 6 8
Indice 343
Parte Terza
(Frammento).....................................................................................................................................................» 293
Bibliografia ......... ...................................................................................................... » 337
Indice .........................................................................» 339