Nuova Umanità
XXXI (2009/1) 181, pp. 55-79
1
C. Lubich, testo inedito, trascrizione del suo intervento durante l’incon-
tro con le persone impegnate nell’Editrice Città Nuova, Castel Gandolfo, 10
marzo 1989.
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J. Delumeau, Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo, Milano 1976, e, del-
lo stesso autore, Naissance et affirmation de la Reforme, Paris 1965.
3
H. Jedin, Storia della Chiesa, vol. VII, Milano 1981, p. XXXVIII.
4
C. Lubich, testo inedito, cit.
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P. Coste, SVP, lettera del 16 agosto 1652, Corrispondence, entretiens, t.
IV, Parigi 1921, p. 455.
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Sulla situazione in Francia alla fine del XVI secolo, si consulti l’eccellente
sintesi corredata da numerosi riferimenti posta all’inizio dell’opera di J. Orcibal,
Jean Duvergier de Hauranne, abbé de Saint-Cyran et son temps, Paris 1947.
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La maggior parte dei vescovi sono cortigiani, gente di lettere o di guerra,
diplomatici o finanzieri che si preoccupano ben poco dei doveri sacerdotali. Ge-
neralmente non mettono mai piede nelle loro diocesi la cui amministrazione è la-
sciata nelle mani di vicari generali che le governano a discrezione, senza tuttavia
dimenticare di versarne le rendite ai rispettivi titolari. I sacerdoti, in grande mag-
gioranza, soprattutto nelle campagne, vegetano nel vizio e nell’ignoranza. Molti
non conoscono il latino, alcuni non sanno neanche scrivere e a stento possono
amministrare i sacramenti di cui non capiscono più con precisione il significato e
la finalità. Il concubinaggio è universalmente diffuso ed è quasi di regola in certe
regioni; l’ubriachezza è abituale e spesso i parroci si danno alla stregoneria. Na-
turalmente, non c’è da pensare che elargiscano alle loro pecorelle la minima for-
mazione spirituale! Quanto al clero regolare, non vale certo di più. I monasteri,
tanto maschili che femminili, servono per lo più da rifugio ai cadetti incapaci di
portare le armi, e alle figlie senza dote. Nella stragrande maggioranza, monaci e
monache sono rinchiusi nei chiostri per volere delle famiglie, senza un’ombra di
vocazione, senza la minima aspirazione spirituale. In quasi tutti i conventi, la vita
si trascina nella mediocrità intellettuale e morale, spesso anche materiale, poiché
i commendatari prendono la parte più grossa delle rendite e non lasciano ai reli-
giosi che la magrissima «porzione congrua». E per giunta, su questo sfondo di
per sé già tanto deprimente, scoppiano alcuni scandali, meno numerosi forse di
quanto talora si è detto, ma vistosi. Nell’insieme, dunque, è una decadenza che
non ha fatto che acuirsi dall’epoca medievale e la situazione è grave. Se ne può
valutare la portata dal fatto che un po’ più tardi l’ambiente devoto francese la
considererà come praticamente irreformabile; ripartirà da zero con opere nuove,
convinto di non poter ricavare più nulla dall’antico clero. L. Cognet, Spiritualità
moderna - La scuola francese 1500-1650, Bologna 1974, pp. 14-15.
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Delumeau traccia a proposito un quadro molto ricco di quest’epoca rile-
vando con dati, testimonianze, documenti, i diversi aspetti delle due Riforme e ri-
leva come sia la luterana sia la cattolica, si pongano nella stessa linea di continui-
tà. L’esigenza di riforma è riscontrabile nel passato comune ad entrambe, un pas-
sato caratterizzato sì da abusi, contraddizioni, miserie d’ogni specie, ma anche da
molti sforzi tesi a rinnovare la pietà, a renderla più personale e viva. Delumeau
presenta il cristianesimo moderno, cattolico e protestante, come uno sforzo co-
mune di cristianizzazione da parte delle coscienze più consapevoli.
9
Benoît de Canfield (1562-1610) cappuccino inglese convertito dall’angli-
canesimo al cattolicesimo (1585) è la personalità più notevole del circolo del-
l’Acarie. La sua opera principale, pubblicata a Parigi nel 1609, La règle de perfec-
tion contenant un abregé de la vie spirituelle réduite à ce seul point de la volonté de
Dieu, che propone una via di unione dell’anima con Dio attraverso la descrizione
di tre stadi – conformazione alla volontà esteriore di Dio (vita attiva), conforma-
zione alla volontà interiore di Dio (vita contemplativa), adesione alla volontà es-
senziale di Dio (stato stabile e immediato d’unione con l’essenza divina) – eserci-
tò un notevole influsso sulla spiritualità dell’epoca.
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Il tempo della tolleranza non è ancora venuto, molti cattolici guardano al-
l’Editto di Nantes come ad un abuso di potere imposto con forza, i protestanti lo
giudicano inadeguato o insufficiente. Molti cattolici tuttavia, comprendono che è
inutile lottare contro il calvinismo solo con le armi e che la vera forza delle riforme
non passa attraverso le piazzeforti. I calvinisti sono d’esempio di fronte al formali-
smo cattolico e la loro pietà, una religione profondamente personale, attrae e colpi-
sce molte personalità. Non sono rare le famiglie divise fra due confessioni.
11
Auguste Carayon in un’introduzione a Histoire des Jesuites de Paris di
François Garasse, Paris 1864, in una nota a p. 14 scrive a proposito di Bérulle:
«Contemplando quella testa, quella figura, si ha l’impressione di averla già incon-
trata in qualche casa di cura»; o si pensi agli attacchi antiberulliani sferrati da Pa-
dre Pottier in polemica con Bremond.
12
Bérulle contribuì a dare impulso alla carriera di Richelieu che divenne
vescovo di Luçon nel 1606. Quest’ultimo, ambizioso, cercò l’appoggio di Maria
de’ Medici e del partito devoto. Segretario di Stato di Concini a partire dal 1616,
l’assassinio di lui lo fece cadere in disgrazia. Verrà aiutato da un membro del par-
tito devoto, Sebastian Bouthillier, a ritornare ad una posizione di primissimo pia-
no nel 1624, ma nel frattempo matura una frattura con Bérulle, il quale contribuì
nel 1621 a fargli negare il cappello cardinalizio (che ottenne nel 1622). Soprattut-
to andavano evolvendosi in due diversi ambiti politici: Bérulle optava per il trion-
fo del Cattolicesimo sull’eresia protestante, Richelieu mirava a dare alla monar-
chia francese una solida situazione nazionale ed assicurarle il predominio in Eu-
ropa, anche a scapito del cattolicesimo. Il partito devoto rivendicava invece i di-
ritti della religione, e poi quelli della coscienza individuale. In questo modo apri-
va la strada al XVIII secolo e alla mentalità moderna.
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Bérulle afferma che, attraverso l’Incarnazione, tutte le azioni umane che
erano state corrotte in Adamo, sono state deificate nella persona di Gesù Cristo
che, a differenza di quanto sosteneva Canfield, non è soltanto la via, ma anche il
termine del cammino, non è soltanto un mezzo per raggiungere il principio, è lui
stesso il principio.
14
P. Chaunu, Le XVII siècle religieux. Réflexions préalables, in «Annales»,
22, 1967, p. 298.
15
Cit. in M.T. Flourez, Nicolas Barré, fondateur des maitresses charitables,
in «Cahiers scientifiques de l’Université d’Artois», 6, 1998, p. 84.
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La grazia, durante tutto il XVII secolo, è l’oggetto di un dibattito teologi-
co che degenera anche in controversie politiche. Fu l’opera di un gesuita spagnolo,
Molina (morto nel 1600), che aprì la controversia da cui per reazione nascerà il
giansenismo. Nel suo libro Liberi arbitrii cum gratiae donis… concordia, pubblicato
a Lisbona nel 1588, egli minimizzava gli effetti del peccato originale. Ricevendo da
Dio la grazia sufficiente l’uomo è capace di renderla efficace con la sua accettazio-
ne. La facoltà di teologia di Lovanio, tradizionalmente agostiniana, diede allora la
risposta che costituisce il cuore delle diverse forme di giansenismo: la salvezza del-
l’uomo può venire solamente da un favore divino totalmente gratuito e immediata-
mente efficace per i predestinati e in nessun modo può venire da uno sforzo del-
l’uomo, tanto incapace di ottenere da solo questa grazia quanto incapace di oppor-
re resistenza. Cf. G. Bedouelle, La storia della Chiesa, Milano 1993, p. 118.
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L. Cognet, Spiritualità moderna - La scuola francese 1500-1650, cit.,
p. 338.
18
L’opera consta di tre volumi cui Giansenio dedicò più di vent’anni di la-
voro: il primo volume espone e confuta l’eresia pelagiana (eresia che negava la
trasmissione del peccato originale e la necessità della grazia, affermando la capa-
cità dell’uomo di guadagnare la salvezza con le sue sole forze); il secondo si occu-
pa dello status naturae lapsae e dello status naturae purae; il terzo esplicita la dot-
trina giansenistica sulla grazia e sulla predestinazione. L’Augustinus si chiude con
una critica alla dottrina molinista. Il 10 agosto 1641 la Congregazione dell’Indice
e dell’Inquisizione condannò l’Augustinus di Giansenio. A questa condanna, ol-
tre alla denuncia della Sorbona (che il 1° luglio 1645 condensò il giansenismo in
cinque proposizioni ritenute eretiche) fecero seguito la bolla In eminenti di Ur-
bano VIII nel 1642, la bolla Cum occasione di Innocenzo X nel 1653, le bolle Ad
sanctam beati Petri sedem (1656) e Regiminis Apostolici (1664) di Alessandro VII.
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19
R. Taveneaux, Jansenisme et politique, Paris 1965, p. 41.
20
Le Provinciales di Pascal avevano messo in subbuglio i curati delle par-
rocchie. Il quesnelismo aveva favorito una coscienza democratica nei chierici del
secondo ordine e in certi fedeli. Le Nouvelles ecclésiastiques, infine, diffusero la
mentalità giansenista nella popolazione. E mentre il giansenismo si fa democrati-
co, scivola per forza di cose dalla contestazione religiosa a quella politica, apren-
do così una delle vie per cui si fecero avanti le correnti di pensiero che sboccaro-
no nella rivoluzione francese. Taveneaux così riassume l’inquietante parallelismo
stabilito nel 1737 dal richerista Besoigne, nel suo Catéchisme sur l’Eglise pour le
temps de trouble: «come l’autorità dogmatica risiede nel corpo dei fedeli, così
l’autorità legislativa si fonda sulla comunità nazionale». R. Taveneaux, Jansénisme
et politique, Parigi 1965, p. 41.
21
Questo partito si costituì formalmente quando arrivò la condanna, nel
1653, di cinque proposizioni tratte dall’Augustinus.
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22
Cf. A. Degert, Le mariage de Gaston d’Orléans, «RH» 143, 1901, pp.
161ss. Urbano VIII non consentì mai ad ammettere la nullità del matrimonio di
Gastone d’Orleans, nullità che costituiva un punto essenziale della politica del
cardinale. Ma la stessa opinione pubblica, nella stragrande maggioranza, non ap-
provava l’atteggiamento d’opposizione alla Santa Sede di Richelieu.
23
Richelieu sarebbe stato proclamato patriarca delle Gallie d’Occidente,
con prerogative analoghe a quelle dei patriarchi d’Oriente, rendendo così la
Chiesa di Francia quasi completamente indipendente da Roma, tranne che in
materia di fede, e lasciando al papa una supremazia puramente onorifica. Cf. L.
Cognet, Gallicanesimo e Protestantesimo, in U. Jedin, Storia della Chiesa, vol.
VII, Milano 1981, pp. 71-76.
24
Mémoires sur l’histoire ecclésiastique du XVII siècle, I, éd. A. Gazier, Paris
1905, p. 67.
25
Sant Cyran non ammetteva una vita cristiana altalenante fra lo stato di
grazia e di peccato e quindi proponeva alle persone che conduceva spiritualmen-
te un metodo destinato a provocare uno choc psicologico che consisteva nel pas-
sare per lo stadio intermedio di penitente, durante il quale ci si privava della co-
munione e si differiva il ricevimento dell’assoluzione. Dopo alcune settimane il
penitente riceveva l’assoluzione e la comunione, ma doveva condurre una vita ri-
tirata e far fruttificare la grazia ricevuta. Arnauld teorizzò questa posizione nel-
l’opera De la frequente communion (Parigi 1643); Saint Cyran fu accusato da Ri-
chelieu di aver introdotto novità pericolose.
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26
J. Orcibal - A. Barnes, Saint-Cyran et le Jansenisme, Parigi 1961, p. 105.
27
Instructions chrétiennes tirées par M. Arnauld d’Andilly, Paris 1672, p. 118.
28
J. Delumeau, Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo, cit., p. 157.
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29
R. Taveneaux, Jansenisme et politique, cit., p. 41.
30
Rimando per questo punto allo studio di Cognet, Gallicanesimo e Prote-
stantesimo, cit., pp. 67-85.
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In questo periodo in tutte le principali città francesi si pensò di rinchiu-
dere i poveri, i mendicanti negli ospedali. Questa soluzione emerge in tutte le
analisi della povertà registrate nelle delibere dei Parlamenti. «Enfermer et nour-
rir» divenne la parola d’ordine. Le ragazze povere sono le prime a subire gli ef-
fetti di questo disegno, poi i vagabondi e i bambini abbandonati. Nel 1675 una
sentenza del Parlamento di Rouen minaccia i mendicanti della città di imprigio-
namento perpetuo. Cf. G. Panel, Documents concernant les pauvres de Rouen,
vol. II, Rouen 1917-19, p. 26.
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32
Conferenza del 30 maggio 1659, in S. Vincenzo de’ Paoli, Conferenze ai
Preti della Missione, tr. it. Ed. Vincenziane, Roma 1959, pp. 732-748.
33
Correspondance, entretiens, documents, t. XI, Paris 1923, p. 40.
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si cerca Dio: «I poveri sono nostri padroni, sono i nostri re; dob-
biamo obbedirli e non è una esagerazione chiamarli così, perché
nei poveri c’è il Signore: Essi rappresentano la persona del nostro
Signore, il quale ha detto: “Quello che farete al più piccolo dei
miei, lo considererò fatto a me stesso” (Mt 25, 40)» 34.
Attorno a tale intuizione coordinò tutta una serie di iniziati-
ve. Esse dovevano partire da una concezione di Chiesa-luogo-del-
la-carità. Una Chiesa che non doveva esser più una condizione,
ma doveva essere coassiale alla linea dell’Incarnazione: Cristo-
Chiesa-poveri. L’essere in mezzo ai due estremi, Cristo/poveri,
l’obbligava ad essere non una condizione di privilegio, ma uno
strumento di servizio.
San Vincenzo de’ Paoli è all’origine della più importante atti-
vità di promozione dell’apostolato femminile che abbia conosciu-
to il periodo della Riforma cattolica. Superando l’idea che la don-
na dovesse essere sempre subordinata alla mediazione maschile
(si ammette la moglie, la monaca, ma non la suora impegnata a
contatto con la gente), le figlie della carità, a partire dal 1633, sot-
to la sua direzione e quella di Luisa de Marillac, con un coraggio
straordinario si misero al servizio dei poveri, dei malati e dei fan-
ciulli (specialmente quelli abbandonati). Imparando dall’insuc-
cesso di san Francesco di Sales 35, Vincenzo de’ Paoli si limitò a
creare una confraternita, «la confraternita delle Serve dei poveri»
e, volendo una compagnia dotata di grande mobilità in grado di
andare dappertutto, sostenne l’incompatibilità tra il regime della
clausura e le finalità della compagnia, opponendosi con fermezza
ad ogni tentativo di trasformare le figlie della Carità in religiose
vere e proprie: «Esse avranno per monastero le case degli amma-
34
Ibid., t. X, Paris 1923, p. 332 (conferenza dell’11 novembre 1957).
35
San Francesco di Sales aveva fondato le visitandine, una congregazione
essenzialmente contemplativa, che tuttavia associava, in certa misura, alla pre-
ghiera le visite a domicilio dei malati e dei poveri. L’arcivescovo di Lione si rifiu-
tò di approvare quest’ordine femminile senza clausura, e san Francesco non si
ostinò nel suo progetto. Così le visitandine costituirono una famiglia religiosa
formale con voti solenni.
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lati e quella in cui resta la superiora. Per cella avranno una came-
ra in affitto, per cappella la Chiesa della parrocchia, per chiostro
le strade della città, per clausura l’obbedienza; la loro grata sarà il
timor di Dio, e il loro velo la santa modestia. Quanto a professio-
ne, esse professeranno la fiducia continua nella Provvidenza, e
l’offerta di tutto ciò che sono» 36.
Con Vincenzo de’ Paoli altri ripercorreranno la stessa via, in
forme diverse ma con la stessa tensione caritativa e missionaria.
Scrive Iginio Giordani, «cercando le vie per il cielo, si andava al
Padre celeste passando per il fratello, che gli faceva da ianua
caeli» 37.
Molto vicina all’esperienza di Vincenzo è quella di Nicola
Barré (1621-1686) 38, un minimo di san Francesco di Paola, la cui
azione evangelizzatrice ed educativa s’inserisce nell’ampio sforzo
di rinnovamento che caratterizza la Chiesa del XVII secolo.
36
P. Coste, S. Vincent de Paul, correspondance, t. X, Parigi 1923, p. 661.
37
I. Giordani, S. Vincenzo de’ Paoli servo dei poveri, Roma 1959, p. 51.
38
Nicola Barré, nato ad Amiens il 21 ottobre nel 1621 e morto a Parigi nel
1686, è figura di primo piano nel campo della scuola primaria francese, special-
mente femminile del XVII secolo. Religioso dell’Ordine dei Minimi di san Fran-
cesco di Paola è fondatore di due congregazioni: le Suore del Bambino Gesù e le
Suore della Provvidenza di Rouen. Personaggio molto influente nel mondo eccle-
siale e culturale, è anche all’origine dell’itinerario di Jean Battiste de La Salle, fon-
datore dei Fratelli delle scuole cristiane. Dai riferimenti dei primi biografi lasal-
liani sui rapporti tra Barré e La Salle si deduce che l’influsso esercitato dall’uno
sull’altro fu profondo e che Barré è una figura d’avanguardia dell’insegnamento
popolare e gratuito in Francia. Dai suoi Status et Reglements, dalle Maximes pour
les écoles e dagli Avis (N. Barré, Œuvres complètes, Parigi 1994, p. 170) attinsero
altri, per analoghe istituzioni, tanto in campo maschile che femminile. Tra gli altri,
oltre ai Fratelli delle scuole cristiane, il cui fondatore ne ascoltò i consigli e orienta-
menti, le Suore del Bambino Gesù del Beato Nicola Roland a Reims, la Providence
di Charleville, quella di Saint-Ouen e di Moulins. Barré aiutò anche l’avvio di ana-
loghe istituzioni, inviando le maestre da lui formate là dove le si richiedevano: al
Saint Cyr di Parigi, alla Providence di Lisieux, all’istituto di Saint-Charles del Dé-
mia a Lione. Cf. Positio, doc. XLI, teste 17, del Processo ordinario di Parigi, pp.
520-532; Conduite admirable de la Divine Providence en la personne du vénérable
Serviteur de Dieu Jean-Baptiste de la Salle, in Cahier lasalliens, Roma 1966, p. 105.
Per una conoscenza più approfondita di Nicola Barré si rimanda a B. Flourez, Ni-
colas Barré, “Questa notte è uno splendido giorno”, Città Nuova, Roma 1993.
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Agli inizi del Seicento nelle città alcune scuole nascevano per
iniziativa della compagnia del SS. Sacramento 39, dei giansenisti,
delle Confraternite di Carità, e delle diverse comunità religiose
dedite all’insegnamento, ma il popolo, soprattutto nella campa-
gna, rimaneva in una paurosa ignoranza, nella miseria e nell’ab-
bandono totale. Barré aveva sicuramente conosciuto le parole gri-
date da Vincenzo de’ Paoli: «On voit les villes pleines de prêtres
et de moines qui ne font rien et peut-être que dans Paris il s’en
trouverait dix mille, qui laissent cependant les pauvres gens des
champes dans une ignorance épouvantable» 40, e condivideva, so-
stenendola, l’istanza di Adrien Bourdoise 41 che, attraverso la co-
munità di Chardonnet, desiderava suscitare e formare una gene-
razione di nuovi preti disponibili ad andare dove l’ignoranza era
maggiore. Lo stesso aveva inaugurato nel 1649 un’associazione
con lo scopo di promuovere il reclutamento di maestre e maestri
39
Società fondata nel 1630 da Henry de Levis, duca di Vetandour, col con-
senso di Luigi XIII, senza approvazione ufficiale. Di carattere prettamente laico,
si ramificò presto in tutto il Paese. Grazie alla condizione sociale dei suoi membri
e di una vasta rete di relazioni, la Compagnia ebbe notevole peso in campo reli-
gioso e politico. Una circolare del 1600 definisce il suo programma d’azione: «La
Compagnie travaille aux œuvres ordinaires des pauvres, des malades, des prison-
niers, et de tous les affligés, mais aux missions, aux séminaires, à la conversion
des hérétiques et à la propagation de la foi (...) en un mot à prévenir tous les
maux et y apporter les remèdes (ad embrasser toutes les œuvres difficiles et for-
tes, négligées, abandonnées; et s’y appliquer pour les besoins du prochain». Cf.
R. Taveneaux, Le Catholicisme dans la France classique 1610/1715, Paris 1980,
pp. 225-229.
40
L. Abelley, évêque de Rodez, Vie de Saint Vincent de Paul, I, Paris 1664,
p. 55.
41
A. Bourdoise (1584 -1665), curato della parrocchia di Saint Chardonnet
a Parigi, fu uno dei primi che realizzarono all’interno della propria parrocchia
(1612) un seminario per aspiranti sacerdoti. Pur conseguendo scarsi risultati – la
formazione fu più pratica che dottrinale – il suo esempio fu seguito da molti altri.
La sua influenza si fece sentire in modo notevole su fondazioni quali l’Oratorio e
Saint Sulpice. Nel 1649 aprì l’associazione di preghiere per chiedere «des maîtres
qui travaillassent à cet emploi – l’insegnamento – en parfaits chrétiens, et non pas
en mercenaires qui regardent cet office comme un chétif métier, inventé pour
avoir du pain». Cf. J.Cl. Dhotel, Les origines du catéchisme moderne, d’après les
premiers manuels imprimés en France, Paris 1967, pp. 279-284.
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Nato nel 1624, morto il 31 maggio 1687. Era direttore generale dell’Ho-
spital Général di Rouen quando fu invitato da Jeanne Maillefer ad aprire una
scuola gratuita a Reims. Di lui si è sempre sottolineata l’intraprendenza e l’azione
educativa a favore dei poveri.
43
Nel 1668 a Lione, Démia si fece promotore dell’insegnamento primario
attraverso la pubblicazione delle «Remontrances (….) sur la nécessité et l’utilité
des écoles chrétiennes pour l’instruction des enfants pauvres». Egli, mettendo in
evidenza gli aspetti della società urbana agli inizi del governo di Luigi XIV e rile-
vando la grande ignoranza e la miseria materiale e morale nella quale viveva la
maggior parte della popolazione, vide nella scuola il solo mezzo «pour tarir le
source de tant de désordres et réformer chrétiennement les villes et les provin-
ces»; cf. C. Démia, Les remontrances a mm. Les Prévôts, les marchanda, échevins
et principaux habitants de la ville de Lyon, touchant la nécessité et utilité des écoles
chrétiennes pour l’instruction des enfants pauvre, Lyon 1668.
44
Mémoire Instructif, in N. Barré, Œuvres complètes, cit., p. 110.
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45
L. Abelly, évêque de Rodez, Vie de Saint Vincent de Paul, I, cit., p. 55.
46
Raisons pour ne pas fonder les écoles charitables, n. 6, in N. Barré, Œu-
vres complètes, cit., p. 156.
47
Le lettere patenti, atto emanato dal potere pubblico, presentato nel
XVII secolo sotto forma di lettera aperta, riconosceva a un individuo o ad un
gruppo l’esistenza legale col diritto di esercitare una professione e consentiva di
usufruire di un certo diritto di ricevere dei doni o delle fondazioni. La fondazio-
ne era un capitale in denaro o in natura (case, terreni, fattorie...) dati a un’opera
o ad un monastero, un convento per permettergli di vivere e di continuare ad
esercitare la sua attività. Queste donazioni erano date a condizioni precise che le-
gavano l’opera al donatore. Barré, quando inviava le suore nei luoghi ove erano
chiamate, esigeva che si desse loro il denaro per il viaggio e per il loro manteni-
mento (in quanto le suore, ferme sul principio della gratuità dell’insegnamento,
dagli alunni non percepivano nulla).
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48
Ibid., n. 4.
49
N. Barré, Maximes particulières, in Œuvres complètes, cit., pp. 124, 125,
126.
50
Ibid., pp. 343–345.
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suo peccato sia nostro (...) siamo una cosa sola con lui sulla terra,
per essere tutt’uno nel bene» 51.
La frase «travailler à sa gloire, au salut du prochain et à leur
sanctification» ricorre con insistenza fra gli articoli degli statuti a
sottolineare che la finalità apostolica è posta sullo stesso piano del
fine della santificazione e perfezione personale 52. Rivisitando gli
scritti di Barré, si rilevano influssi abbastanza trasparenti di Fran-
cesco di Sales (conformità alla volontà di Dio, santa indifferenza,
purezza d’intenzione, annientamento della propria volontà), ma si
scorgono anche quelli di Ignazio di Loyola, di Francesco di Pao-
la, soprattutto di Bérulle. Sul tronco di una equilibrata sintesi spi-
rituale, Barré innestava l’opera educativa delle suore che «devono
unicamente tendere a formare le copie di Gesù e lavorare per
renderle simili all’originale» realizzando così «l’adesione a Cristo
mediante l’adesione al più piccolo, al più povero in cui Cristo è
doppiamente presente» 53.
Vincenzo de’ Paoli e Nicola Barré, pienamente immersi nella
vita sociale del loro tempo, liberi nei confronti dei potenti pur
avendo ruoli di primo piano nei settori della politica 54, slegati da
qualsiasi vincolo politico, hanno inciso efficacemente e profetica-
mente nel tessuto sociale francese. Coinvolgendo un gran numero
di uomini e donne in una grande ed organizzata azione caritativa
hanno inaugurato un nuovo modo di vivere la spiritualità cristia-
na mettendo al centro della loro azione l’uomo, il fratello, innal-
zando tra l’altro il ruolo della donna nella Chiesa e nella società.
Non sono state preoccupazioni di natura filantropica quelle che
hanno mosso l’agire di questi uomini e donne, ma lo struggimen-
51
Ibid., pp. 579-588.
52
Nelle regole delle altre congregazioni, quest’ultimo scopo, connaturato
alla vita religiosa, era pronunciato come il primo fine, seguito poi da quello della
“salvezza del prossimo”.
53
N. Barré, Statuts et Règlements, in Œuvres complètes, cit., p. 172.
54
Vincenzo era membro del Consiglio di Coscienza, molto vicino a Luigi
XIII, Luigi XIV, a Caterina de’ Medici, ad Anna d’Austria, a Richelieu, a Gondi.
Barré aveva avuto rapporti con Maria di Lorena, figlia del quarto duca di Guisa,
con Madame de Maintenon e con persone in stretto contatto con l’ambiente di
corte.
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Ibid., pp. 170-171.
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MARINA MOTTA
SUMMARY