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N.U.

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Nuova Umanità
XXXI (2009/1) 181, pp. 55-79

LA SPIRITUALITÀ DEL SEICENTO FRANCESE E LA


PREPARAZIONE DELLE IDEE DELLA MODERNITÀ

Bisognerebbe scoprire nella storia l’intervento di Dio.


È un intervento impercettibile. Però esiste.
(C. Lubich) 1

Addentrarsi nel mondo francese del XVII secolo significa


entrare in una realtà controversa e complessa in cui i conflitti fra
religione e ragion di Stato, tra gallicanesimo e giansenismo, tra
sforzi comuni di evangelizzazione e dibattiti teologici, che vengo-
no asserviti dall’uno e dall’altro dei contendenti nella lotta politi-
ca, tutto ciò fa da sfondo alla maturazione di esperienze straordi-
narie intellettuali e spirituali e a fenomeni che annunciano realtà
precorritrici il futuro.
Il XVII secolo francese, generalmente, è ricordato come il se-
colo dell’Assolutismo e, nella storia della Chiesa, quello della Ri-
forma cattolica, il secolo dei Santi. Ma per comprendere il conte-
sto, la trama d’influssi fra le personalità del tempo, fra i gruppi di
potere, fra i movimenti che nascono in questo secolo, è necessario
superare una visione storiografica che privilegia le istituzioni ec-
clesiastiche (papato, episcopato, diplomazia pontificia) e gli
aspetti politico religiosi (rapporti Stato-Chiesa, interventi della
Chiesa nella vita pubblica e del potere civile nell’organizzazione
della Chiesa). Sulla scia invece di recenti lavori che hanno allarga-
to le prospettive d’indagine storica alla realtà del popolo nelle sue

1
C. Lubich, testo inedito, trascrizione del suo intervento durante l’incon-
tro con le persone impegnate nell’Editrice Città Nuova, Castel Gandolfo, 10
marzo 1989.
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molteplici manifestazioni (vita di pietà, riflessione teologica, fer-


vore missionario, scuole di spiritualità, iniziative apostoliche di
carità, attività culturali) si può ricostruire una storia che, nel co-
niugare gli aspetti istituzionali con quelli socio-culturali, sia capa-
ce di scorgere ed evidenziare i nessi tra la vita spirituale e la realtà
politico-sociale del popolo. Preziosi a questo riguardo sono i la-
vori dell’Orcibal, di padre Blet, di René Taveneaux, del Cognet,
di Chaunu, di Gabriel Le Bras, creatore della sociologia della pra-
tica religiosa, di Delumeau. Quest’ultimo nel suo libro Il Cattoli-
cesimo dal XVI al XVIII secolo 2 offre con ricchezza di particolari
una nuova prospettiva dell’età moderna nei suoi fermenti rinno-
vatori, ma pure nelle sue remore, con efficacia, profondità ed
estensione.
Jedin afferma tra l’altro, nell’introduzione alla storia della
Chiesa nell’epoca dell’Assolutismo e dell’Illuminismo che:

Nell’inquadrare questo periodo della storia della


Chiesa nella storia universale, bisogna modificare il giu-
dizio storico-ecclesiastico sull’età dell’Illuminismo giun-
to a noi dal XIX secolo. Le tendenze sempre più antiec-
clesiastiche e anticristiane dell’Illuminismo sono inequi-
vocabili. Ma il cosiddetto “secondo Illuminismo” che
stiamo vivendo rivela la forza con la quale continua a
farsi sentire, nonostante tutta la polemica, l’ininterrotta
esistenza della tradizione cristiana dei movimenti spiri-
tuali del XVII secolo. La “crisi dello spirito europeo” è
in atto, ma le antiche organizzazioni e la devozione delle
masse seguitano ancora a vivere 3.

Alla luce di questa premessa il tentativo che si propone è


quello di cogliere nella storia del Seicento francese «l’intervento
impercettibile di Dio» 4 in un contesto segnato da grandi intrighi,

2
J. Delumeau, Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo, Milano 1976, e, del-
lo stesso autore, Naissance et affirmation de la Reforme, Paris 1965.
3
H. Jedin, Storia della Chiesa, vol. VII, Milano 1981, p. XXXVIII.
4
C. Lubich, testo inedito, cit.
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contraddizioni ed opposti: dietro l’assolutismo, gli splendori e gli


sfarzi della corte di Luigi XIV vive il secolo della fame, delle pe-
stilenze, delle guerre.
In una lettera del 16 agosto 1652 inviata a Innocenzo X per
indurlo a sedare i conflitti della Fronda, Vincenzo de’ Paoli deli-
nea un quadro inquietante delle condizioni del tempo:

Oserò esporle lo stato miserabile e certamente degnissi-


mo di pietà della nostra Francia? La casa reale divisa in
dissensi; il popolo scisso in opposti partiti; le città e le
province rovinate dalle guerre civili; le borgate, i villaggi
e i castelli abbattuti, rovinati e bruciati; i contadini mes-
si nell’impossibilità di raccogliere quello che hanno se-
minato e di seminare negli anni futuri. I soldati si per-
mettono impunemente tutte le angherie. Il popolo è
esposto non solamente alle rapine e al brigantaggio ma
anche agli assassini e a ogni sorta di tortura da parte dei
soldati: i contadini sono torturati o messi a morte; le
vergini sono da essi disonorate; le religiose stesse espo-
ste al loro libertinaggio e al loro furore; le chiese profa-
nate, saccheggiate, distrutte; quelle rimaste in piedi so-
no per lo più abbandonate dai loro pastori, e quindi il
popolo quasi privo dei sacramenti… È poco udire o
leggere queste cose, bisogna vederle e constatarle coi
propri occhi 5.

Anche la Chiesa, uscita stremata dalle guerre di religione, co-


nosce una crisi che coinvolge soprattutto le sue istituzioni, imbri-
gliate e soffocate da quelle temporali. Il sovrano è arbitro di tutte
le nomine importanti e dispone della Chiesa e dei suoi beni attra-
verso il sistema della commenda 6.

5
P. Coste, SVP, lettera del 16 agosto 1652, Corrispondence, entretiens, t.
IV, Parigi 1921, p. 455.
6
Sulla situazione in Francia alla fine del XVI secolo, si consulti l’eccellente
sintesi corredata da numerosi riferimenti posta all’inizio dell’opera di J. Orcibal,
Jean Duvergier de Hauranne, abbé de Saint-Cyran et son temps, Paris 1947.
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All’inizio del secolo le decisioni del concilio di Trento nei ri-


guardi del clero secolare rimangono lettera morta o quasi. D’altra
parte, la Francia recepisce il Concilio solo nel 1615, quando l’As-
semblea del Clero dichiara di accogliere e di osservare i decreti
che l’anno prima gli Stati Generali avevano rifiutato di far legge
dello Stato, perché ritenuti lesivi dei diritti regi. I sacerdoti non
ricevono nessuna formazione intellettuale o spirituale. Né alcun
controllo è in realtà esercitato sulle ordinazioni: in pratica viene
ordinato chi vuole. Il sistema della commenda è abitualmente ap-
plicato ai vescovadi e alcuni di essi hanno per titolare donne o
bambini ancora in fasce. L’episcopato è del resto appannaggio di
una aristocrazia assai ristretta che non scorge in esso se non un
mezzo per vivere in conformità alla propria condizione sociale 7.

7
La maggior parte dei vescovi sono cortigiani, gente di lettere o di guerra,
diplomatici o finanzieri che si preoccupano ben poco dei doveri sacerdotali. Ge-
neralmente non mettono mai piede nelle loro diocesi la cui amministrazione è la-
sciata nelle mani di vicari generali che le governano a discrezione, senza tuttavia
dimenticare di versarne le rendite ai rispettivi titolari. I sacerdoti, in grande mag-
gioranza, soprattutto nelle campagne, vegetano nel vizio e nell’ignoranza. Molti
non conoscono il latino, alcuni non sanno neanche scrivere e a stento possono
amministrare i sacramenti di cui non capiscono più con precisione il significato e
la finalità. Il concubinaggio è universalmente diffuso ed è quasi di regola in certe
regioni; l’ubriachezza è abituale e spesso i parroci si danno alla stregoneria. Na-
turalmente, non c’è da pensare che elargiscano alle loro pecorelle la minima for-
mazione spirituale! Quanto al clero regolare, non vale certo di più. I monasteri,
tanto maschili che femminili, servono per lo più da rifugio ai cadetti incapaci di
portare le armi, e alle figlie senza dote. Nella stragrande maggioranza, monaci e
monache sono rinchiusi nei chiostri per volere delle famiglie, senza un’ombra di
vocazione, senza la minima aspirazione spirituale. In quasi tutti i conventi, la vita
si trascina nella mediocrità intellettuale e morale, spesso anche materiale, poiché
i commendatari prendono la parte più grossa delle rendite e non lasciano ai reli-
giosi che la magrissima «porzione congrua». E per giunta, su questo sfondo di
per sé già tanto deprimente, scoppiano alcuni scandali, meno numerosi forse di
quanto talora si è detto, ma vistosi. Nell’insieme, dunque, è una decadenza che
non ha fatto che acuirsi dall’epoca medievale e la situazione è grave. Se ne può
valutare la portata dal fatto che un po’ più tardi l’ambiente devoto francese la
considererà come praticamente irreformabile; ripartirà da zero con opere nuove,
convinto di non poter ricavare più nulla dall’antico clero. L. Cognet, Spiritualità
moderna - La scuola francese 1500-1650, Bologna 1974, pp. 14-15.
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Alla fine delle guerre di religione tuttavia, confrontandosi


con il protestantesimo, il cattolicesimo francese 8 conosce una
profonda e vigorosa vitalità che col movimento di riforma por-
terà, soprattutto negli ultimi anni del secolo, a risultati (seppur
deboli ancora in molti punti) di primissimo piano, nonché all’af-
fermazione embrionale di nuove categorie culturali, religiose e
politiche che scaturiranno nel periodo della Rivoluzione. Que-
sto rinnovamento investe monasteri e conventi, favorisce la co-
stituzione di nuove compagnie di preti (gli Oratoriani di Bérul-
le, la Compagnia delle Missioni di Vincenzo de’ Paoli, la Com-
pagnia di Gesù e Maria di Eudes, quella di St. Sulpicio di Olier)
e si riverbera nel mondo laico, soprattutto in quello aristocrati-
co e alto borghese. Negli ambienti nobili sorgono circoli di de-
voti, che si riuniscono per pregare e per dedicarsi ad attività ca-
ritative apostoliche. Particolare significato riveste, tra questi cir-
coli, quello di M.me Acarie che raccoglie i più bei nomi di Fran-
cia: Benoît de Canfield 9, Bérulle, Francesco di Sales, il certosi-
no Beaucousin, il minimo Estienne, il gesuita Coton, professori
della Sorbonne come Duval e Caspeau, nonché Michel di Maril-
lac futuro guardasigilli, René Gaultier, traduttore dei mistici

8
Delumeau traccia a proposito un quadro molto ricco di quest’epoca rile-
vando con dati, testimonianze, documenti, i diversi aspetti delle due Riforme e ri-
leva come sia la luterana sia la cattolica, si pongano nella stessa linea di continui-
tà. L’esigenza di riforma è riscontrabile nel passato comune ad entrambe, un pas-
sato caratterizzato sì da abusi, contraddizioni, miserie d’ogni specie, ma anche da
molti sforzi tesi a rinnovare la pietà, a renderla più personale e viva. Delumeau
presenta il cristianesimo moderno, cattolico e protestante, come uno sforzo co-
mune di cristianizzazione da parte delle coscienze più consapevoli.
9
Benoît de Canfield (1562-1610) cappuccino inglese convertito dall’angli-
canesimo al cattolicesimo (1585) è la personalità più notevole del circolo del-
l’Acarie. La sua opera principale, pubblicata a Parigi nel 1609, La règle de perfec-
tion contenant un abregé de la vie spirituelle réduite à ce seul point de la volonté de
Dieu, che propone una via di unione dell’anima con Dio attraverso la descrizione
di tre stadi – conformazione alla volontà esteriore di Dio (vita attiva), conforma-
zione alla volontà interiore di Dio (vita contemplativa), adesione alla volontà es-
senziale di Dio (stato stabile e immediato d’unione con l’essenza divina) – eserci-
tò un notevole influsso sulla spiritualità dell’epoca.
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spagnoli. La spiritualità di questo centro, nutrendosi dei mistici


renano-fiamminghi, di Caterina da Genova, coltiva una mistica
astratta orientata verso l’unione diretta fra l’uomo e l’essenza di-
vina che esclude ogni mediazione creata, persino l’umanità di
Cristo.
Al circolo di M.me Acarie si ricollegano, anche se in modo
differente, due grandi figure spirituali del Seicento che hanno se-
gnato in modo profondo la vita religiosa della Francia: Bérulle e
Francesco di Sales (1567-1622). Quest’ultimo, durante il suo sog-
giorno a Parigi, frequenta il circolo e diventa confessore dell’Aca-
rie, ha modo quindi di conoscere la mistica astratta ma diffida di
essa perché presenta un ideale di spiritualità elitario, accessibile a
pochi. Incline al personalismo, Francesco elabora invece una dot-
trina spirituale nella quale afferma la continuità di natura e so-
pranatura, prospettando, contro una visione teologica pessimista,
un ideale di perfezione che può essere raggiunto da tutti i cristia-
ni in qualunque condizione si trovino. In Traité de l’amour de
Dieu, Francesco di Sales sviluppa un concetto equilibrato del mi-
sticismo cristiano, centrato sulla carità e su una visione ottimisti-
ca delle possibilità naturali umane che lo riallaccia all’umanesi-
mo. Per lui l’azione divina verso l’uomo è improntata da un im-
menso amore che si manifesta nella Provvidenza, nell’Incarnazio-
ne (che sarebbe avvenuta, secondo lui, anche senza il peccato),
nella Redenzione: è un amore che si produce e si realizza in ogni
uomo attraverso la Grazia ed è suscettibile di sempre maggior
perfezionamento. Solo col peccato l’uomo può rompere questa
unità con Dio.
Non è lo “stato” – la condizione di vita – quindi che santifi-
ca, ma l’amore che penetra e trasfigura tutte le azioni e il mondo,
e il quotidiano è il luogo dove il cristiano realizza la propria per-
fezione. Francesco di Sales traccia un cammino sul quale si avvie-
ranno, ciascuno a proprio modo, la maggior parte dei grandi spi-
rituali del periodo classico.
Come vescovo di Ginevra, Francesco è in costante contatto
con i calvinisti, con essi comprende che alla loro pietà viva e per-
sonale, che affascina le coscienze assetate di perfezione, bisogna
rispondere non con dispute apologetiche ma con un ideale di spi-
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ritualità ancorato all’essenziale e ricondotto alle sorgenti, ideale


che caratterizzerà tutto il suo ministero 10.
Pierre de Bérulle (1575-1629) è la figura che segna in modo
profondo la vita religiosa, ma anche quella politica del Seicento
francese. Massimo rappresentante dell’École Française, regge le
fila di una vasta opera di riforma spirituale e culturale che coinvol-
gerà non solo i suoi diretti discepoli che di fatto faranno conoscere
il suo pensiero, ma anche Saint Cyran, Vincenzo de’ Paoli, l’orsoli-
na Maria dell’Incarnazione, gli oratoriani Quesnel e Duquet.
La sua esistenza è legata ai grandi avvenimenti politici e reli-
giosi degli inizi del Seicento che gli hanno suscitato ostilità trasci-
natesi, talvolta, lungo i secoli 11. In campo politico Bérulle ha re-
lazioni con Maria de’ Medici, con Richelieu 12, segue le missioni
diplomatiche in Inghilterra per il matrimonio di Enrichetta di

10
Il tempo della tolleranza non è ancora venuto, molti cattolici guardano al-
l’Editto di Nantes come ad un abuso di potere imposto con forza, i protestanti lo
giudicano inadeguato o insufficiente. Molti cattolici tuttavia, comprendono che è
inutile lottare contro il calvinismo solo con le armi e che la vera forza delle riforme
non passa attraverso le piazzeforti. I calvinisti sono d’esempio di fronte al formali-
smo cattolico e la loro pietà, una religione profondamente personale, attrae e colpi-
sce molte personalità. Non sono rare le famiglie divise fra due confessioni.
11
Auguste Carayon in un’introduzione a Histoire des Jesuites de Paris di
François Garasse, Paris 1864, in una nota a p. 14 scrive a proposito di Bérulle:
«Contemplando quella testa, quella figura, si ha l’impressione di averla già incon-
trata in qualche casa di cura»; o si pensi agli attacchi antiberulliani sferrati da Pa-
dre Pottier in polemica con Bremond.
12
Bérulle contribuì a dare impulso alla carriera di Richelieu che divenne
vescovo di Luçon nel 1606. Quest’ultimo, ambizioso, cercò l’appoggio di Maria
de’ Medici e del partito devoto. Segretario di Stato di Concini a partire dal 1616,
l’assassinio di lui lo fece cadere in disgrazia. Verrà aiutato da un membro del par-
tito devoto, Sebastian Bouthillier, a ritornare ad una posizione di primissimo pia-
no nel 1624, ma nel frattempo matura una frattura con Bérulle, il quale contribuì
nel 1621 a fargli negare il cappello cardinalizio (che ottenne nel 1622). Soprattut-
to andavano evolvendosi in due diversi ambiti politici: Bérulle optava per il trion-
fo del Cattolicesimo sull’eresia protestante, Richelieu mirava a dare alla monar-
chia francese una solida situazione nazionale ed assicurarle il predominio in Eu-
ropa, anche a scapito del cattolicesimo. Il partito devoto rivendicava invece i di-
ritti della religione, e poi quelli della coscienza individuale. In questo modo apri-
va la strada al XVIII secolo e alla mentalità moderna.
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Francia, le controversie coi riformati, favorisce l’introduzione del


Carmelo in Francia, fonda l’“Oratorio” e anima 43 comunità che
egli coopera a erigere tra il 1604 e il 1629 in mezzo a numerosissi-
me difficoltà.
Partito dalla scuola astratta, opera tra il 1605 e il 1608 nel
campo della spiritualità quella che definisce una vera rivoluzione
copernicana che lo conduce a scoprire l’importanza preponde-
rante nella vita interiore del mistero dell’Incarnazione. Egli passa
progressivamente da un teocentrismo della mistica astratta all’ela-
borazione di una prospettiva spirituale incentrata sul Verbo In-
carnato 13. Di lui scrive il suo fedele discepolo, padre Bourgoing:
«Il faut remarquer que ce serviteur de Dieu (Bérulle) regardait et
adorait principalement la personne de Jésus-Crist (...) unie a notre
nature, c’est-à-dire lui-même, considéré en son état personnel, en
son être divinement humain, non seulement comme Dieu, ni en
tant qu’homme, ou en son humanité prise séparément, mais en tant
qu’homme Dieu, en son état substantiel, qui comprend ses gran-
deurs et ses abaissements, sa filiation divine et humaine en la meme
personne et les propriétés de l’une et l’autre nature, en la seule
hypostase du Verbe Dieu» 14. Attraverso la sua opera, Discovers des
étas et grandeurs de Jésus par l’inefflabe union de la divinité avec
l’umanité, nonostante il permanere dei toni pessimistici ereditati
dalla scuola nordica, Bérulle aiuta i suoi contemporanei a riscoprire
un Dio più vicino, che ama il mondo ed è presente in tutte le per-
sone conferendo ad ognuna la sua dignità e inalienabilità. Per
esprimere questa riscoperta, egli usa termini forti: «Puisque Dieu
cherche la terre, aime la terre, je veux me convertir maintenant non
au ciel, mais à la terre, et y chercher Jésus-Crist» 15. Oltre alla po-

13
Bérulle afferma che, attraverso l’Incarnazione, tutte le azioni umane che
erano state corrotte in Adamo, sono state deificate nella persona di Gesù Cristo
che, a differenza di quanto sosteneva Canfield, non è soltanto la via, ma anche il
termine del cammino, non è soltanto un mezzo per raggiungere il principio, è lui
stesso il principio.
14
P. Chaunu, Le XVII siècle religieux. Réflexions préalables, in «Annales»,
22, 1967, p. 298.
15
Cit. in M.T. Flourez, Nicolas Barré, fondateur des maitresses charitables,
in «Cahiers scientifiques de l’Université d’Artois», 6, 1998, p. 84.
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derosa e spesso difficile da leggersi produzione letteraria, Bérulle


dà un importante impulso all’attuazione dei decreti tridentini ri-
guardanti la formazione del clero: fonda, per restaurare lo stato di
sacerdozio, l’“Oratorio”, (sull’esempio di san Filippo Neri)
un’opera dalla quale attingeranno, seppur in modo originale, Vin-
cenzo de’ Paoli, Olier ed Eudes.
Una delle maggiori preoccupazioni che la Chiesa francese vive
in questo secolo è il dilagare del movimento giansenista, fenomeno
che segna profondamente la vita ecclesiale e politica francese per il
dibattito teologico e per le controversie e le ripercussioni che ne
conseguono 16. Introdotto in Francia da Jean Duverguer de Hau-
ranne, conosciuto come l’abate Saint Cyran (1581-1643), e diffuso
poi dall’abbazia cistercense di Port Royal, il suo giansenismo, a
differenza di quello più teorico di Giansenio, si caratterizza per la
sua forte carica spirituale, che si traduce in un rinnovamento inte-
riore, un impegno pastorale, nella prospettiva di un ritorno alle
prime comunità cristiane. Il convento cistercense di Port Royal,
riformato da Madre Angelica, era divenuto dal 1609 luogo pro-
pulsivo della riforma cattolica in Francia. In esso, per molto tem-
po, svolse un ruolo preponderante anche l’influenza di san Fran-
cesco di Sales. Nel 1635, momento in cui Saint Cyran ne prende
la direzione, Port Royal scivola verso il giansenismo e ne diventa
il maggior centro diffusore.
L’abate Saint Cyran, discepolo dei gesuiti, aveva conosciuto
Cornelius Jansen o Giansenio (1585-1683) durante gli anni di stu-

16
La grazia, durante tutto il XVII secolo, è l’oggetto di un dibattito teologi-
co che degenera anche in controversie politiche. Fu l’opera di un gesuita spagnolo,
Molina (morto nel 1600), che aprì la controversia da cui per reazione nascerà il
giansenismo. Nel suo libro Liberi arbitrii cum gratiae donis… concordia, pubblicato
a Lisbona nel 1588, egli minimizzava gli effetti del peccato originale. Ricevendo da
Dio la grazia sufficiente l’uomo è capace di renderla efficace con la sua accettazio-
ne. La facoltà di teologia di Lovanio, tradizionalmente agostiniana, diede allora la
risposta che costituisce il cuore delle diverse forme di giansenismo: la salvezza del-
l’uomo può venire solamente da un favore divino totalmente gratuito e immediata-
mente efficace per i predestinati e in nessun modo può venire da uno sforzo del-
l’uomo, tanto incapace di ottenere da solo questa grazia quanto incapace di oppor-
re resistenza. Cf. G. Bedouelle, La storia della Chiesa, Milano 1993, p. 118.
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dio in Francia (dal 1609 al 1616) e lo aveva anche accolto per


qualche tempo nella sua proprietà Camp-de-Prats presso Bayon-
ne. In un primo tempo entrambi non sembravano preoccupati
delle questioni sulla grazia, ma, tornati a vivere e a studiare nelle
loro sedi, quasi contemporaneamente, Giansenio influenzato da
Jacques Jansson (1547-1629) e Saint Cyran da Bérulle, di cui di-
ventò confidente e collaboratore, si diedero a studiare sistemati-
camente il pensiero di Agostino, facendolo oggetto di una conti-
nua riflessione. Giansenio e Saint Cyran si muovevano però in
due prospettive differenti: il primo cercava nelle opere di san-
t’Agostino «la soluzione precisa di un problema speculativo,
quello cioè dei rapporti fra libertà e grazia» 17, il secondo metteva
l’accento soprattutto sulla pietà e la mediazione pratica del cri-
stianesimo, insistendo, da autentico berulliano, sull’adorazione,
sull’annichilimento del Verbo Incarnato, sul corpo mistico, tanto
che Orcibal, al contrario di Bremond, ha collocato la figura di
Saint Cyran nella grande corrente della riforma cattolica francese.
Saint Cyran mantenne un legame continuo con Giansenio at-
traverso una fitta corrispondenza in codice scambiando con l’ami-
co riflessioni e ricerche sul pensiero agostiniano. Ebbe anche mo-
do, durante la sua prigionia a Vincennes, di conoscere la sua pode-
rosa opera, l’Augustinus 18, attraverso l’analisi che gli facevano i
suoi discepoli o la lettura, per quello che la malattia agli occhi gli

17
L. Cognet, Spiritualità moderna - La scuola francese 1500-1650, cit.,
p. 338.
18
L’opera consta di tre volumi cui Giansenio dedicò più di vent’anni di la-
voro: il primo volume espone e confuta l’eresia pelagiana (eresia che negava la
trasmissione del peccato originale e la necessità della grazia, affermando la capa-
cità dell’uomo di guadagnare la salvezza con le sue sole forze); il secondo si occu-
pa dello status naturae lapsae e dello status naturae purae; il terzo esplicita la dot-
trina giansenistica sulla grazia e sulla predestinazione. L’Augustinus si chiude con
una critica alla dottrina molinista. Il 10 agosto 1641 la Congregazione dell’Indice
e dell’Inquisizione condannò l’Augustinus di Giansenio. A questa condanna, ol-
tre alla denuncia della Sorbona (che il 1° luglio 1645 condensò il giansenismo in
cinque proposizioni ritenute eretiche) fecero seguito la bolla In eminenti di Ur-
bano VIII nel 1642, la bolla Cum occasione di Innocenzo X nel 1653, le bolle Ad
sanctam beati Petri sedem (1656) e Regiminis Apostolici (1664) di Alessandro VII.
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consentiva, di alcune parti di essa. Ritenne lo scritto arido e man-


cante di «unzione spirituale», tuttavia impegnò il suo successore,
Arnauld, a difenderlo dall’offensiva lanciata contro di esso.
Presto però il giansenismo da scuola teologica si evolveva in
movimento, poi in partito, arrivando ad interessare tutta la socie-
tà per strati successivi 19. Si trasformava in una contestazione di
fatto nei confronti del potere e per più di 150 anni rappresentò
per il governo, nelle diverse situazioni che venivano via via svilup-
pandosi, un’opposizione politica 20.
Richelieu mirava a dare alla monarchia francese una solida si-
tuazione nazionale e ad assicurarle il predominio in Europa, fosse
pure a scapito degli interessi del cattolicesimo. Questo suo dise-
gno però contrastava con la visione del partito devoto 21 che inve-
ce sosteneva la necessità di riunire le forze cattoliche contro i
principi riformati. Lo stesso Giansenio in un pesante libello, il
Mars Gallicus (1635), aveva accusato il cardinale ministro di tra-
dimento della Chiesa romana. Ora, dopo la morte di Bérulle, che
aveva apertamente disapprovato la politica con cui Richelieu ave-
va stretto alleanze con i protestanti, Saint Cyran si trovò, senza
volerlo, in una posizione delicatissima nei confronti del cardinale:
guidando e consigliando molte personalità di rilievo del partito
devoto diventava, suo malgrado, il punto di riferimento del parti-
to devoto e quindi il maggior avversario del Cardinale-ministro.

19
R. Taveneaux, Jansenisme et politique, Paris 1965, p. 41.
20
Le Provinciales di Pascal avevano messo in subbuglio i curati delle par-
rocchie. Il quesnelismo aveva favorito una coscienza democratica nei chierici del
secondo ordine e in certi fedeli. Le Nouvelles ecclésiastiques, infine, diffusero la
mentalità giansenista nella popolazione. E mentre il giansenismo si fa democrati-
co, scivola per forza di cose dalla contestazione religiosa a quella politica, apren-
do così una delle vie per cui si fecero avanti le correnti di pensiero che sboccaro-
no nella rivoluzione francese. Taveneaux così riassume l’inquietante parallelismo
stabilito nel 1737 dal richerista Besoigne, nel suo Catéchisme sur l’Eglise pour le
temps de trouble: «come l’autorità dogmatica risiede nel corpo dei fedeli, così
l’autorità legislativa si fonda sulla comunità nazionale». R. Taveneaux, Jansénisme
et politique, Parigi 1965, p. 41.
21
Questo partito si costituì formalmente quando arrivò la condanna, nel
1653, di cinque proposizioni tratte dall’Augustinus.
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66 La spiritualità del Seicento francese e la preparazione...

Quest’ultimo, tra l’altro, gli serbava rancore perché aveva dichia-


rato valido il matrimonio, contratto senza il consenso della coro-
na, di Gastone D’Orleans fratello del re e di Margherita di Lore-
na 22, che invece Richelieu aveva fatto annullare dal parlamento e
dall’assemblea del clero nel 1634 e nel 1635, perché intralciava i
suoi progetti politici. Il Cardinale inoltre era consapevole che
Saint Cyran si sarebbe opposto fermamente al suo progetto sci-
smatico di formare un patriarcato relativamente indipendente da
Roma 23. In un primo momento quindi, Richelieu tentò di guada-
gnare la compiacenza dell’Abate offrendogli la cattedra vescovile
di Bayonne ma, offeso dal suo rifiuto, dimostrò «di non aver alcu-
no scrupolo nell’usare tutta la sua autorità per rovinare coloro
che non aveva potuto conquistare e legare ai propri interessi» 24.
Richelieu istituì quindi un processo contro il suo avversario, accu-
sandolo di eresia 25, ma il sequestro delle sue carte e le testimo-
nianze degli amici misero ben presto in luce l’innocenza dell’aba-
te. Durante il processo venne chiamato a deporre anche Vincenzo

22
Cf. A. Degert, Le mariage de Gaston d’Orléans, «RH» 143, 1901, pp.
161ss. Urbano VIII non consentì mai ad ammettere la nullità del matrimonio di
Gastone d’Orleans, nullità che costituiva un punto essenziale della politica del
cardinale. Ma la stessa opinione pubblica, nella stragrande maggioranza, non ap-
provava l’atteggiamento d’opposizione alla Santa Sede di Richelieu.
23
Richelieu sarebbe stato proclamato patriarca delle Gallie d’Occidente,
con prerogative analoghe a quelle dei patriarchi d’Oriente, rendendo così la
Chiesa di Francia quasi completamente indipendente da Roma, tranne che in
materia di fede, e lasciando al papa una supremazia puramente onorifica. Cf. L.
Cognet, Gallicanesimo e Protestantesimo, in U. Jedin, Storia della Chiesa, vol.
VII, Milano 1981, pp. 71-76.
24
Mémoires sur l’histoire ecclésiastique du XVII siècle, I, éd. A. Gazier, Paris
1905, p. 67.
25
Sant Cyran non ammetteva una vita cristiana altalenante fra lo stato di
grazia e di peccato e quindi proponeva alle persone che conduceva spiritualmen-
te un metodo destinato a provocare uno choc psicologico che consisteva nel pas-
sare per lo stadio intermedio di penitente, durante il quale ci si privava della co-
munione e si differiva il ricevimento dell’assoluzione. Dopo alcune settimane il
penitente riceveva l’assoluzione e la comunione, ma doveva condurre una vita ri-
tirata e far fruttificare la grazia ricevuta. Arnauld teorizzò questa posizione nel-
l’opera De la frequente communion (Parigi 1643); Saint Cyran fu accusato da Ri-
chelieu di aver introdotto novità pericolose.
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La spiritualità del Seicento francese e la preparazione... 67

de’ Paoli dal quale Richelieu pensava di ricavare dichiarazioni ne-


gative sulla dottrina di Saint Cyran, ma il santo, pur essendo anti-
giansenista, comprendendo che si trattava di una lotta di potere
non stette al gioco unicamente politico del cardinale. Non offrì
prove di accusa contro Saint Cyran e le sue risposte non furono
neppure trascritte agli atti. In modo arbitrario Richelieu condan-
nò Saint Cyran al carcere di Vincenne.
Al di là delle vicissitudini della congiuntura politica, esisteva
tra la teologia giansenista e la ragione di Stato una fondamentale in-
compatibilità. Saint Cyran sosteneva il ritiro, la fuga dal mondo
«Per quel che è la nostra vita mortale bisogna essere malati nel-
l’anima e posseduti da qualche cattiva passione, per arrivare ad
amarla» 26. «Dio – scrive – avendo tenuto in considerazione, men-
tre lo creava (il mondo), le conseguenze del peccato che doveva es-
sere commesso (...) l’ha fatto solo perché servisse all’uomo come
occasione per essere virtuoso, fuggendolo, odiandolo e rovinandolo
per quanto è possibile» 27. Queste espressioni fanno comprendere
perché gli uomini di Stato fossero preoccupati di quest’idea, di
questo pessimismo assoluto che attirava alcune personalità di spic-
co nel mondo politico e parlamentare, i “solitari” che, a partire dal
1637, abbandonarono la vita politica e sociale per dedicarsi ad una
vita ascetica e ritirata. Leonard De Marandé, consigliere del re, nel
trattato sugli Inconvénients d’Estats procédans du Jansenisme (Parigi
1654) traduce questa preoccupazione: «Se la nostra ragione corrot-
ta e le nostre virtù mediatorie non sono che ipocrisie e non produ-
cono come frutti che concupiscenza, se non si dà vita cristiana che
nel rifiuto e nel ritiro, a che pro la società e lo Stato? Un cristianesi-
mo esasperato, con l’evasione delle élites e la condanna delle virtù
sociali, non conduce forse all’anarchia?» 28.
Sull’esempio dei certosini, i “solitari” si dedicavano alla pre-
ghiera, alla penitenza, allo studio della Bibbia e dei Padri della
Chiesa nonché al lavoro manuale, considerato nel XVII secolo se-

26
J. Orcibal - A. Barnes, Saint-Cyran et le Jansenisme, Parigi 1961, p. 105.
27
Instructions chrétiennes tirées par M. Arnauld d’Andilly, Paris 1672, p. 118.
28
J. Delumeau, Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo, cit., p. 157.
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68 La spiritualità del Seicento francese e la preparazione...

gno di degradazione sociale. Ora diventava una modalità per


espiare i peccati, per rifuggire tentazioni e fantasticherie. A parti-
re dal 1638 i “solitari” di Port Royal aprirono anche le petites éco-
les, strutture educative con lo scopo di formare i ragazzi alla pietà
ed educarli alle arti liberali. Questo fenomeno, limitato dal punto
di vista numerico, non era privo di significato. I “solitari”, appar-
tenendo alla borghesia parlamentare, vivendo nella povertà e nel-
la solitudine costituivano un corpo estraneo in una società di or-
dini. Essi contestavano, con il loro stile di vita, il carattere sacrale
della monarchia, osteggiavano tutto ciò che era mondanità, re-
spingevano il primato della ragione di Stato che invece Richelieu
considerava un valore assoluto, proclamavano i diritti della co-
scienza nei confronti di qualsiasi potere.
Ponendosi oggettivamente come difensori dell’autonomia
della coscienza e della libertà di critica, i giansenisti si costituiva-
no così come forza di opposizione di fronte all’assolutismo mo-
narchico 29 e il gallicanesimo strumentalizzerà la disputa teologica
tra giansenisti e Chiesa ufficiale per eliminare i maggiori rappre-
sentanti della corrente giansenista 30.
Sullo sfondo di questo contesto, tormentato e complesso,
maturano due esperienze significative che hanno in comune la
stessa visione, la stessa tensione ad incarnare il cristianesimo at-
traverso il servizio al povero, quelle di Vincenzo de’ Paoli (1581-
1660) e di Nicola Barré (1621-1686). La loro azione prende le
mosse dalla mistica che caratterizza il XVII secolo; contemplando
nella prospettiva dell’Incarnazione Cristo nel prossimo, luogo
dell’incontro con Lui, essa approda, anticipando i tempi, alla
creazione di nuove istituzioni, efficaci e moderne, capaci di ri-
spondere alle istanze e ai bisogni assistenziali, educativi, formativi
del periodo, e a promuovere la figura della donna.
«Il più grande degli uomini di azione è il misticismo che ce
lo ha dato», così Henry Bremond scrive di Vincenzo de’ Paoli.

29
R. Taveneaux, Jansenisme et politique, cit., p. 41.
30
Rimando per questo punto allo studio di Cognet, Gallicanesimo e Prote-
stantesimo, cit., pp. 67-85.
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La spiritualità del Seicento francese e la preparazione... 69

Arricchito dalla cultura e dal senso di Dio di Benoît de Can-


field e di Bérulle, Vincenzo visse nel pieno del flusso dell’invasione
mistica dove il fatto religioso, soprattutto nei fenomeni straordinari,
era di casa nell’alta società: nei salotti si parlava molto di Dio, ma
poco dei poveri anzi, per molti, essi costituivano un problema d’or-
dine pubblico per cui andavano emarginati: il progetto della grande
reclusione 31. Vincenzo rifiutò questa soluzione come non accettava
di attribuire la responsabilità a Dio che solo alcuni si sarebbero
salvati da una massa di destinati alla dannazione. L’angoscia che i
poveri potessero non salvarsi lo induceva invece a moltiplicare gli
sforzi per suscitare evangelizzatori (vedi le missioni popolari nelle
campagne) e operatori di carità in un senso di piena fiducia alla
Chiesa. Partecipò alla riforma del clero istituendo seminari per i
preti, superando però l’idea berulliana del prete inteso come “uomo
per il culto” per quella dai più ampi orizzonti di “uomo per la
missione”. Diffidò della mistica astratta e della mentalità pessimi-
sta giansenista (Vincenzo era stato amico di Saint Cyran, si era
pure consigliato con lui) perché troppo elitarie, perentorie e radi-
cali, incomprensibili al popolo delle campagne francesi sofferente
per carestie e guerre, abbrutito dalla disperazione, indifeso di
fronte ai potenti. Un misticismo senza impegno era per lui assur-
do e sperimentò invece, insegnandola, una spiritualità in cui sen-
so di Dio e impegno per l’uomo coincidevano perfettamente.
Indicò la superiorità della vita apostolica su quella contem-
plativa, istituì i Preti della Missione e con Maria Luisa de Marillac
inaugurò una nuova forma di vita religiosa femminile, le suore
della Carità coniugando l’amore affettivo con quello effettivo.
«Tutte (le comunità), infatti, tendono ad amarlo, ma l’amano in

31
In questo periodo in tutte le principali città francesi si pensò di rinchiu-
dere i poveri, i mendicanti negli ospedali. Questa soluzione emerge in tutte le
analisi della povertà registrate nelle delibere dei Parlamenti. «Enfermer et nour-
rir» divenne la parola d’ordine. Le ragazze povere sono le prime a subire gli ef-
fetti di questo disegno, poi i vagabondi e i bambini abbandonati. Nel 1675 una
sentenza del Parlamento di Rouen minaccia i mendicanti della città di imprigio-
namento perpetuo. Cf. G. Panel, Documents concernant les pauvres de Rouen,
vol. II, Rouen 1917-19, p. 26.
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70 La spiritualità del Seicento francese e la preparazione...

modo diverso: i Certosini con la solitudine, i Cappuccini con la


povertà, altri cantando le sue lodi; e noi fratelli, se l’amiamo dob-
biamo dimostrarlo inducendo le popolazioni ad amare Dio e il
prossimo, ad amare il prossimo per Iddio e Dio per se stesso (…)
non mi basta amare se anche il prossimo non lo ama. Devo amare
il mio prossimo come immagine di Dio e far di tutto perché a loro
volta gli uomini amino il loro creatore che li riconosce e li consi-
dera come suoi fratelli» 32.
Diffidente degli illanguidimenti mistici, rifuggenti dalla real-
tà, Vincenzo sentì profondamente la dimensione umana e divina
del Verbo incarnato, scorgendo nel povero il Cristo povero.
«Amiamo Dio, fratelli, amiamo Dio, ma a spese delle nostre brac-
cia, col sudore della nostra fronte. Perché molto spesso tanti atti
d’amore di Dio, di compiacenza, di benevolenza e gli altri simili
affetti e pratiche intime di cuore tenero, sebbene buonissime e
desiderabilissime, non sono dimeno sospetti, quando non giungo-
no alla pratica dell’amore effettivo. “In questo, dice Nostro Si-
gnore, sarà glorificato il Padre mio, se produrrete frutti copiosi”
(Gv 15, 18). Molti per aver un buon contegno ed essere intima-
mente pieni di grandi sentimenti di Dio, credono di aver fatto
tutto e quando si deve passare ai fatti e si trovano nell’occasione
di operare vengono meno. Si lusingano con la loro immaginazio-
ne eccitata, si contentano delle soavi conversazioni, ne parlano
anzi come angeli, ma usciti da lì, se si tratta di lavorare per Dio,
di soffrire, di mortificarsi, d’istruire i poveri, di andare a cercare
la pecorella smarrita, d’essere lieti se son privi di qualche cosa...
ahimé non c’è più nulla. Le virtù meditate e non praticate sono
più nocive che utili» 33.
Il centro della sua visione e azione erano i poveri, compresi
non nella loro pura dimensione economica e sociologica, ma co-
me luogo dell’incontro con Dio. Non si può cercare Dio se non si
cerca veramente l’uomo e non si cerca veramente l’uomo se non

32
Conferenza del 30 maggio 1659, in S. Vincenzo de’ Paoli, Conferenze ai
Preti della Missione, tr. it. Ed. Vincenziane, Roma 1959, pp. 732-748.
33
Correspondance, entretiens, documents, t. XI, Paris 1923, p. 40.
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La spiritualità del Seicento francese e la preparazione... 71

si cerca Dio: «I poveri sono nostri padroni, sono i nostri re; dob-
biamo obbedirli e non è una esagerazione chiamarli così, perché
nei poveri c’è il Signore: Essi rappresentano la persona del nostro
Signore, il quale ha detto: “Quello che farete al più piccolo dei
miei, lo considererò fatto a me stesso” (Mt 25, 40)» 34.
Attorno a tale intuizione coordinò tutta una serie di iniziati-
ve. Esse dovevano partire da una concezione di Chiesa-luogo-del-
la-carità. Una Chiesa che non doveva esser più una condizione,
ma doveva essere coassiale alla linea dell’Incarnazione: Cristo-
Chiesa-poveri. L’essere in mezzo ai due estremi, Cristo/poveri,
l’obbligava ad essere non una condizione di privilegio, ma uno
strumento di servizio.
San Vincenzo de’ Paoli è all’origine della più importante atti-
vità di promozione dell’apostolato femminile che abbia conosciu-
to il periodo della Riforma cattolica. Superando l’idea che la don-
na dovesse essere sempre subordinata alla mediazione maschile
(si ammette la moglie, la monaca, ma non la suora impegnata a
contatto con la gente), le figlie della carità, a partire dal 1633, sot-
to la sua direzione e quella di Luisa de Marillac, con un coraggio
straordinario si misero al servizio dei poveri, dei malati e dei fan-
ciulli (specialmente quelli abbandonati). Imparando dall’insuc-
cesso di san Francesco di Sales 35, Vincenzo de’ Paoli si limitò a
creare una confraternita, «la confraternita delle Serve dei poveri»
e, volendo una compagnia dotata di grande mobilità in grado di
andare dappertutto, sostenne l’incompatibilità tra il regime della
clausura e le finalità della compagnia, opponendosi con fermezza
ad ogni tentativo di trasformare le figlie della Carità in religiose
vere e proprie: «Esse avranno per monastero le case degli amma-

34
Ibid., t. X, Paris 1923, p. 332 (conferenza dell’11 novembre 1957).
35
San Francesco di Sales aveva fondato le visitandine, una congregazione
essenzialmente contemplativa, che tuttavia associava, in certa misura, alla pre-
ghiera le visite a domicilio dei malati e dei poveri. L’arcivescovo di Lione si rifiu-
tò di approvare quest’ordine femminile senza clausura, e san Francesco non si
ostinò nel suo progetto. Così le visitandine costituirono una famiglia religiosa
formale con voti solenni.
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72 La spiritualità del Seicento francese e la preparazione...

lati e quella in cui resta la superiora. Per cella avranno una came-
ra in affitto, per cappella la Chiesa della parrocchia, per chiostro
le strade della città, per clausura l’obbedienza; la loro grata sarà il
timor di Dio, e il loro velo la santa modestia. Quanto a professio-
ne, esse professeranno la fiducia continua nella Provvidenza, e
l’offerta di tutto ciò che sono» 36.
Con Vincenzo de’ Paoli altri ripercorreranno la stessa via, in
forme diverse ma con la stessa tensione caritativa e missionaria.
Scrive Iginio Giordani, «cercando le vie per il cielo, si andava al
Padre celeste passando per il fratello, che gli faceva da ianua
caeli» 37.
Molto vicina all’esperienza di Vincenzo è quella di Nicola
Barré (1621-1686) 38, un minimo di san Francesco di Paola, la cui
azione evangelizzatrice ed educativa s’inserisce nell’ampio sforzo
di rinnovamento che caratterizza la Chiesa del XVII secolo.

36
P. Coste, S. Vincent de Paul, correspondance, t. X, Parigi 1923, p. 661.
37
I. Giordani, S. Vincenzo de’ Paoli servo dei poveri, Roma 1959, p. 51.
38
Nicola Barré, nato ad Amiens il 21 ottobre nel 1621 e morto a Parigi nel
1686, è figura di primo piano nel campo della scuola primaria francese, special-
mente femminile del XVII secolo. Religioso dell’Ordine dei Minimi di san Fran-
cesco di Paola è fondatore di due congregazioni: le Suore del Bambino Gesù e le
Suore della Provvidenza di Rouen. Personaggio molto influente nel mondo eccle-
siale e culturale, è anche all’origine dell’itinerario di Jean Battiste de La Salle, fon-
datore dei Fratelli delle scuole cristiane. Dai riferimenti dei primi biografi lasal-
liani sui rapporti tra Barré e La Salle si deduce che l’influsso esercitato dall’uno
sull’altro fu profondo e che Barré è una figura d’avanguardia dell’insegnamento
popolare e gratuito in Francia. Dai suoi Status et Reglements, dalle Maximes pour
les écoles e dagli Avis (N. Barré, Œuvres complètes, Parigi 1994, p. 170) attinsero
altri, per analoghe istituzioni, tanto in campo maschile che femminile. Tra gli altri,
oltre ai Fratelli delle scuole cristiane, il cui fondatore ne ascoltò i consigli e orienta-
menti, le Suore del Bambino Gesù del Beato Nicola Roland a Reims, la Providence
di Charleville, quella di Saint-Ouen e di Moulins. Barré aiutò anche l’avvio di ana-
loghe istituzioni, inviando le maestre da lui formate là dove le si richiedevano: al
Saint Cyr di Parigi, alla Providence di Lisieux, all’istituto di Saint-Charles del Dé-
mia a Lione. Cf. Positio, doc. XLI, teste 17, del Processo ordinario di Parigi, pp.
520-532; Conduite admirable de la Divine Providence en la personne du vénérable
Serviteur de Dieu Jean-Baptiste de la Salle, in Cahier lasalliens, Roma 1966, p. 105.
Per una conoscenza più approfondita di Nicola Barré si rimanda a B. Flourez, Ni-
colas Barré, “Questa notte è uno splendido giorno”, Città Nuova, Roma 1993.
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La spiritualità del Seicento francese e la preparazione... 73

Agli inizi del Seicento nelle città alcune scuole nascevano per
iniziativa della compagnia del SS. Sacramento 39, dei giansenisti,
delle Confraternite di Carità, e delle diverse comunità religiose
dedite all’insegnamento, ma il popolo, soprattutto nella campa-
gna, rimaneva in una paurosa ignoranza, nella miseria e nell’ab-
bandono totale. Barré aveva sicuramente conosciuto le parole gri-
date da Vincenzo de’ Paoli: «On voit les villes pleines de prêtres
et de moines qui ne font rien et peut-être que dans Paris il s’en
trouverait dix mille, qui laissent cependant les pauvres gens des
champes dans une ignorance épouvantable» 40, e condivideva, so-
stenendola, l’istanza di Adrien Bourdoise 41 che, attraverso la co-
munità di Chardonnet, desiderava suscitare e formare una gene-
razione di nuovi preti disponibili ad andare dove l’ignoranza era
maggiore. Lo stesso aveva inaugurato nel 1649 un’associazione
con lo scopo di promuovere il reclutamento di maestre e maestri

39
Società fondata nel 1630 da Henry de Levis, duca di Vetandour, col con-
senso di Luigi XIII, senza approvazione ufficiale. Di carattere prettamente laico,
si ramificò presto in tutto il Paese. Grazie alla condizione sociale dei suoi membri
e di una vasta rete di relazioni, la Compagnia ebbe notevole peso in campo reli-
gioso e politico. Una circolare del 1600 definisce il suo programma d’azione: «La
Compagnie travaille aux œuvres ordinaires des pauvres, des malades, des prison-
niers, et de tous les affligés, mais aux missions, aux séminaires, à la conversion
des hérétiques et à la propagation de la foi (...) en un mot à prévenir tous les
maux et y apporter les remèdes (ad embrasser toutes les œuvres difficiles et for-
tes, négligées, abandonnées; et s’y appliquer pour les besoins du prochain». Cf.
R. Taveneaux, Le Catholicisme dans la France classique 1610/1715, Paris 1980,
pp. 225-229.
40
L. Abelley, évêque de Rodez, Vie de Saint Vincent de Paul, I, Paris 1664,
p. 55.
41
A. Bourdoise (1584 -1665), curato della parrocchia di Saint Chardonnet
a Parigi, fu uno dei primi che realizzarono all’interno della propria parrocchia
(1612) un seminario per aspiranti sacerdoti. Pur conseguendo scarsi risultati – la
formazione fu più pratica che dottrinale – il suo esempio fu seguito da molti altri.
La sua influenza si fece sentire in modo notevole su fondazioni quali l’Oratorio e
Saint Sulpice. Nel 1649 aprì l’associazione di preghiere per chiedere «des maîtres
qui travaillassent à cet emploi – l’insegnamento – en parfaits chrétiens, et non pas
en mercenaires qui regardent cet office comme un chétif métier, inventé pour
avoir du pain». Cf. J.Cl. Dhotel, Les origines du catéchisme moderne, d’après les
premiers manuels imprimés en France, Paris 1967, pp. 279-284.
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74 La spiritualità del Seicento francese e la preparazione...

di scuola capaci d’essere veri educatori. Con Bourdoise, Barré,


Adrien Nyel (1624-1687) 42, Jacque Olier (1608-1657), Charles
Démia (1637-1689) 43, Jean Battiste de La Salle (1651-1719), per
citare qualche nome, sostenne lo sviluppo della scuola primaria
gratuita, le “petites écoles”, dove s’insegnava, accanto ai primi ru-
dimenti del leggere e scrivere, la dottrina cristiana.
Spesso la nascita di una scuola era conseguente ad una mis-
sione o alla fondazione di una congregazione nuova, infatti nella
seconda parte del secolo, si assiste alla molteplice fioritura di isti-
tuti, soprattutto femminili, dediti all’insegnamento dei poveri nel-
le città e nelle campagne.
«Persuaso che la mancanza di formazione umana e spirituale
dei bambini – allora era diffusa l’idea che il fanciullo non era un
essere del tutto umano – e dei giovani – in particolare della donna
– è alla radice di molte sofferenze ed errori constatati nella vita fa-
miliare» 44 e sociale, nel 1662, Nicola Barré aprì a Rouen con un
gruppo di ragazze le prime scuole di Carità, per costituire in un
momento successivo, l’istituto delle «Scuole Cristiane e Caritate-
voli del Santo Bambino Gesù» (1666) che si diffonderà prima
nella capitale e poi in tutta la Francia, inaugurando anche un
nuovo metodo pedagogico: l’insegnamento simultaneo. Rispetto
alle congregazioni nate nello stesso periodo, l’istituzione barreana

42
Nato nel 1624, morto il 31 maggio 1687. Era direttore generale dell’Ho-
spital Général di Rouen quando fu invitato da Jeanne Maillefer ad aprire una
scuola gratuita a Reims. Di lui si è sempre sottolineata l’intraprendenza e l’azione
educativa a favore dei poveri.
43
Nel 1668 a Lione, Démia si fece promotore dell’insegnamento primario
attraverso la pubblicazione delle «Remontrances (….) sur la nécessité et l’utilité
des écoles chrétiennes pour l’instruction des enfants pauvres». Egli, mettendo in
evidenza gli aspetti della società urbana agli inizi del governo di Luigi XIV e rile-
vando la grande ignoranza e la miseria materiale e morale nella quale viveva la
maggior parte della popolazione, vide nella scuola il solo mezzo «pour tarir le
source de tant de désordres et réformer chrétiennement les villes et les provin-
ces»; cf. C. Démia, Les remontrances a mm. Les Prévôts, les marchanda, échevins
et principaux habitants de la ville de Lyon, touchant la nécessité et utilité des écoles
chrétiennes pour l’instruction des enfants pauvre, Lyon 1668.
44
Mémoire Instructif, in N. Barré, Œuvres complètes, cit., p. 110.
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La spiritualità del Seicento francese e la preparazione... 75

presenta alcune peculiarità che la distinguono dalle altre sia per la


fisionomia, sia per la spiritualità molto esigente.
Al tempo di Barré alla donna era finalmente consentito di es-
sere religiosa anche al di fuori della clausura grazie alle norme le-
gislative che disciplinavano le nuove forme di vita religiosa fem-
minile: le nuove istituzioni di vita attiva potevano esistere attra-
verso il riconoscimento delle lettere patenti reali (che le vincola-
vano in qualche modo alla diocesi o al sovrano) e l’emissione dei
voti semplici 45. Barré però, convinto che per istruire ed educare i
poveri occorreva raggiungerli nei luoghi ove vivevano, non volle
fondazioni e nessun legame che potesse impedire l’attività educa-
tiva pastorale delle maestre di carità. «Se si possedesse dalla fon-
dazione una casa stabile, non si avrebbe più quella felice libertà
di cambiare quartiere o parrocchia» 46.
Rifiutò, quindi, di far emettere i voti (che avrebbero vincola-
to le suore a un regime che avrebbe impedito la mobilità necessa-
ria), si oppose fermamente ad ogni tentativo di richiesta delle let-
tere patenti reali 47 e, dopo aver affermato che «le bien public
passe avant le bien particulier» precisò: «Tuttavia sarà necessario,
praticare con esattezza e rigore (...) come se le suore avessero ef-
fettivamente pronunciato solennemente i voti», poiché «lo spirito
dell’Istituto attinge la sua forza dal disinteresse, dall’amore alla
povertà, dal puro desiderio di servire alla salvezza del prossimo,

45
L. Abelly, évêque de Rodez, Vie de Saint Vincent de Paul, I, cit., p. 55.
46
Raisons pour ne pas fonder les écoles charitables, n. 6, in N. Barré, Œu-
vres complètes, cit., p. 156.
47
Le lettere patenti, atto emanato dal potere pubblico, presentato nel
XVII secolo sotto forma di lettera aperta, riconosceva a un individuo o ad un
gruppo l’esistenza legale col diritto di esercitare una professione e consentiva di
usufruire di un certo diritto di ricevere dei doni o delle fondazioni. La fondazio-
ne era un capitale in denaro o in natura (case, terreni, fattorie...) dati a un’opera
o ad un monastero, un convento per permettergli di vivere e di continuare ad
esercitare la sua attività. Queste donazioni erano date a condizioni precise che le-
gavano l’opera al donatore. Barré, quando inviava le suore nei luoghi ove erano
chiamate, esigeva che si desse loro il denaro per il viaggio e per il loro manteni-
mento (in quanto le suore, ferme sul principio della gratuità dell’insegnamento,
dagli alunni non percepivano nulla).
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76 La spiritualità del Seicento francese e la preparazione...

con un abbandono, per quanto riguarda se stesse, alla Divina


Provvidenza» 48.
La sussistenza delle suore fu garantita unicamente da dona-
zioni e non da rendite, né da doti, né da salari.
In questo periodo, nella prospettiva del mistero dell’Incarna-
zione, in Barré era maturata una convinzione: che la salvezza del
prossimo va di pari passo con quella personale e che la missione
viene prima della preoccupazione della propria salvezza persona-
le. «È un errore credere e immaginare che, lavorando per amore
del prossimo, si perda se stessi...»; «Istruire o cercare di conqui-
stare anime per Dio vale molto di più che costruirgli chiese o ab-
bellire i suoi altari...»; «Non si deve lasciare nulla d’intentato per
la salvezza del prossimo, poiché (...) nessuno ha un amore più
grande di questo: dare la vita per i propri amici» 49.
Leggendo i testi barreani si può rimanere colpiti da un certo
tono pessimista dell’autore, ma se lo si contestualizza ci si accorge
della sua novità e della sua audacia. In un ambiente, impregnato
di giansenismo, di misticismo, il suo agire ha un significato rivolu-
zionario.
Mette sullo stesso piano il servizio a Dio e il sevizio al povero
e ribadisce insieme a Bérulle e a Vincenzo de’ Paoli l’importanza
del corpo mistico. «Il rispetto per il prossimo deve essere pieno
d’amore, e tale amore è santamente crocifiggente. Una persona,
che possiede questo nobile sentimento, è prostrata fino a morire
nel vedere, nelle membra del corpo mistico di Gesù, una quantità
di piaghe e di malattie...». «Dovremmo morire di vergogna per il
fatto che fingiamo di amare Gesù, ma non l’amiamo assolutamen-
te, poiché è vero affermare che non amiamo le sue membra e non
vogliamo bene al prossimo, di cui anche il più piccolo è a sua im-
magine» 50. «Il nostro prossimo è, per precetto, un altro noi stessi,
piangiamo, dunque per lui, come per noi stessi, e crediamo che il

48
Ibid., n. 4.
49
N. Barré, Maximes particulières, in Œuvres complètes, cit., pp. 124, 125,
126.
50
Ibid., pp. 343–345.
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suo peccato sia nostro (...) siamo una cosa sola con lui sulla terra,
per essere tutt’uno nel bene» 51.
La frase «travailler à sa gloire, au salut du prochain et à leur
sanctification» ricorre con insistenza fra gli articoli degli statuti a
sottolineare che la finalità apostolica è posta sullo stesso piano del
fine della santificazione e perfezione personale 52. Rivisitando gli
scritti di Barré, si rilevano influssi abbastanza trasparenti di Fran-
cesco di Sales (conformità alla volontà di Dio, santa indifferenza,
purezza d’intenzione, annientamento della propria volontà), ma si
scorgono anche quelli di Ignazio di Loyola, di Francesco di Pao-
la, soprattutto di Bérulle. Sul tronco di una equilibrata sintesi spi-
rituale, Barré innestava l’opera educativa delle suore che «devono
unicamente tendere a formare le copie di Gesù e lavorare per
renderle simili all’originale» realizzando così «l’adesione a Cristo
mediante l’adesione al più piccolo, al più povero in cui Cristo è
doppiamente presente» 53.
Vincenzo de’ Paoli e Nicola Barré, pienamente immersi nella
vita sociale del loro tempo, liberi nei confronti dei potenti pur
avendo ruoli di primo piano nei settori della politica 54, slegati da
qualsiasi vincolo politico, hanno inciso efficacemente e profetica-
mente nel tessuto sociale francese. Coinvolgendo un gran numero
di uomini e donne in una grande ed organizzata azione caritativa
hanno inaugurato un nuovo modo di vivere la spiritualità cristia-
na mettendo al centro della loro azione l’uomo, il fratello, innal-
zando tra l’altro il ruolo della donna nella Chiesa e nella società.
Non sono state preoccupazioni di natura filantropica quelle che
hanno mosso l’agire di questi uomini e donne, ma lo struggimen-

51
Ibid., pp. 579-588.
52
Nelle regole delle altre congregazioni, quest’ultimo scopo, connaturato
alla vita religiosa, era pronunciato come il primo fine, seguito poi da quello della
“salvezza del prossimo”.
53
N. Barré, Statuts et Règlements, in Œuvres complètes, cit., p. 172.
54
Vincenzo era membro del Consiglio di Coscienza, molto vicino a Luigi
XIII, Luigi XIV, a Caterina de’ Medici, ad Anna d’Austria, a Richelieu, a Gondi.
Barré aveva avuto rapporti con Maria di Lorena, figlia del quarto duca di Guisa,
con Madame de Maintenon e con persone in stretto contatto con l’ambiente di
corte.
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78 La spiritualità del Seicento francese e la preparazione...

to per la salvezza di tutti. Gli Statuti e i Regolamenti delle suore


del Bambino Gesù 55 si aprono con questo articolo: «L’Istituto è
nato dallo stesso cuore di Dio che ha tanto amato il mondo da
mandare il suo Figlio (...) affinché tutti abbiano la vita eterna».
Nonostante le contraddizioni, le fratture, i partiti rivali, i
conflitti politici che hanno segnato la società francese del XVII
secolo, in essa la Chiesa, attraverso la santità e la carità operosa di
molti uomini e donne non ha mai cessato d’essere una fucina di
opere che hanno anticipato o creato le premesse per la realizza-
zione di istituzioni sociali ed educative che si sono perpetuate nel
tempo. Esse, riportando in primo piano la dignità dell’uomo, in
quanto «creato ad immagine e somiglianza di Dio», hanno influi-
to su un mutamento di mentalità. L’angoscia della salvezza in un
periodo drammaticamente segnato dalle continue pestilenze e ca-
restie consequenziali alle guerre, l’“adesione” all’Essere o l’impe-
gno in Esso, secondo quella idea profondamente cristiana della
vita come servizio, che sta alla radice della mistica berulliana, la
ricerca di una vita cristiana più coerente col messaggio evangelico
hanno mobilitato energie ed idee generatrici di orientamenti nuo-
vi. Basti pensare a come Vincenzo è riuscito a superare l’idea del-
la società divisa in ordini ed equiparare davanti al povero, nel
quale si riconosceva la presenza di Cristo, uomini e donne di ogni
condizione sociale, ricchi e poveri, tutti uguali perché “servitori”.
Questa idea andava a sovvertire un punto essenziale della politica
dell’Assolutismo, punto che i “Solitari” avevano già contestato
con il loro stile di vita austero, ma che con Vincenzo de’ Paoli,
Nicola Barré e con i fondatori e le fondatrici del tempo si traduce
in una carità operosa capace di superare ostacoli o limiti dettati
dalle convenzioni sociali e coinvolgere, anche loro malgrado, gli
stessi uomini di potere in un’azione a favore dei poveri.
Non è forse plausibile, allora, avanzare l’ipotesi che la forza
di questa carità fraterna vissuta nel sociale abbia fatto maturare
all’interno della storia francese l’idea della libertà e dell’ugua-
glianza di tutti gli esseri umani, abbia reso evidente ed efficace la

55
Ibid., pp. 170-171.
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La spiritualità del Seicento francese e la preparazione... 79

realtà della fraternità, fino al punto di rendere disponibili al di-


battito politico i tre principi che comporranno la devise del 1789?

MARINA MOTTA

SUMMARY

This study is rooted in the complex situation of Seventeenth


century France, which was caught in the conflict between Religion
and State primacy, between Gallicanism and Jansenism, between
attempts to evangelise and theological debates, but which at the same
time enjoyed an extraordinarily rich spiritual climate, resulting from
the concerns of the Church for apostolic activity and reform. In such
an atmosphere, remarkable intellectual and spiritual experiences
developed that were forerunners of modernity. Given this premise, the
author attempts to discern signs of the “imperceptible intervention of
God” in seventeenth century France, a context full of grand intrigues,
contradictions and opposites. These signs can be seen in the cultural,
educational and social activities of the reformers, great men capable of
understanding and responding to the challenges of their time
(including Bérulle, Vincenzo de’ Paoli and Barré). Involving the
masses, and raising the profile of women in society and the Church,
they developed in a prophetic way new directions in thought and
action, inaugurating a new way of living Christian Spirituality, by
placing the “brother or sister” and “neighbour” at the centre of their
activities.

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