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SANDRO MAGGIOLINI

Breve esposizione
del
Cristianesimo

PIEMME
Non mancano libri che espongano opinioni teologiche. Anzi.
Così come non mancano libri religiosi i quali hanno una tale
preoccupazione di farsi capire e di farsi accogliere, che diventano
alti così, con qualche venatura letteraria, intrisi di «metodo» pedagogico,
inclini a sottili esortazioni. E vanno d’incanto, sia chiaro.
Uno, tuttavia, può aver desiderio anche di pagine svelte, disadorne
— perfino ostiche — che dicano ciò che devono dire e basta:
il cristianesimo nel suo nucleo essenziale di dottrina e di morale.
Senza tanti fronzoli. Senza soverchi problemi. Senza ingombranti
approfondimenti teoretici o applicazioni esperienziali. Pagine che,
semplicemente, esprimano in modo sintetico le sicurezze della Chiesa.
Le quali sicurezze non sono, certo, il tutto della conversione e
dell’esistenza cristiana. Ma l’essere convinti e il pensare non
sembrano faccende irrilevanti o risibili.
Ci si intende un poco di tutto e magari, pur essendo
documentatissimi o laureati in varie scienze, si è analfabeti
religiosi «di ritorno». E forse non guasta il «ripassare» quanto
si è appreso nell’infanzia dalla mamma, dal babbo o dal parroco.
Cose che si sono lasciate nelle sedimentazioni della memoria
e che forse celano misteri di cui si ha bisogno per vivere. Cose
che è necessario conoscere anche per poterle rifiutare,
se si vuole; ma a ragion veduta. Cose «nuovissime» ed espresse alla luce
del Vaticano II e del più recente Magistero
e della più attuale esperienza della Chiesa.

Sandro Maggiolini, nato a Milano nel 1931,


laureato in teologia,
oggi vescovo di Carpi (Modena),
è stato docente all’Università Cattolica
e direttore de «La Rivista del Clero italiano».
Tiene alla radio la rubrica «Ascolta, si fa sera»,
il mercoledì, dopo il Gierre Uno delle diciannove.
Collabora a diverse riviste teologiche
e ai quotidiani «Avvenire» e «Osservatore Romano».
Tra i molti titoli della sua bibliografia:
Parola di Dio, preghiera dell’uomo {Rusconi),
Il matrimonio, la verginità {Ares),
Pedagogia del dolore {Rusconi),
Quasi sorella morte {Rizzoli),
Apologia del peccato {Mondadori),
Quotidianità {Piemme).

l i r e 10.000 . . 9120.
a mia Madre,
donna di fede,
illetterata, dolce e sapiente

al Card. Giovanni Colombo


come a un maestro
di vita cristiana

a Mons. André M. Deskur,


come a un amico carissimo

ai Confratelli nell’Episcopato
che mi hanno
sospinto e sostenuto
in questa fatica

ai fedeli della mia Diocesi


di Carpi,
che mi vogliono bene
e ai quali voglio un gran bene
nel Signore
SANDRO MAGGIOLINI

BREVE
ESPOSIZIONE
DEL
CRISTIANESIMO
E se il Dio di Gesù Cristo
fosse interessante
per se stesso?

(Forse qui sta la vera


ultima ragione del
« Per noi uomini e
per la nostra Salvezza »).

EDIZIONI PIEMME DI PIETRO MARIETTI S.p.A.


15033 Casale Monferrato (AL) - Via Paleologi, 45
1985
Nulla osta:
Casale Monferrato, 5.1.1985: mons. Luciano Pacomio, Rev. Eccl.

Si stampi:
Casale Monferrato, 8.1.1985: mons. Felice Moscone, Vie. Gen.

I Edizione 1985

© 1985 - EDIZIONI PIEMME DI PIETRO MARIETTI S.p.A.


15033 Casale Monferrato (AL) - Via Paleologi, 45
Tel. 0142-70356
INTRODUZIONE

Soltanto alcune parole di spiegazione di un titolo forse


già chiaro in sé.

1 Breve esposizione del « Cristianesimo »: anzi, del « Cat­


tolicesimo ».
Vengono presentate quelle che sembrano le convinzioni
fondamentali della fede e della morale, derivate dalla Rivela­
zione che si è compiuta in Gesù Cristo e che la Chiesa speri­
menta e, nel suo Magistero, propone normativamente.
Non senza qualche difficoltà. Talvolta si è costretti ad
avvicinare certezze dogmatizzate da secoli ad affermazioni me­
no « vincolanti ». Qui si tenta una simile impresa (con qual­
che presunzione? con un certo candore?) nel pieno rispetto e
nella totale adesione alla docenza ecclesiale del Concilio Vati­
cano II, e di prima, e di poi.
La consapevolezza del rischio che si corre, rende pronti
a rivedere un po’ tutto. Senza intendere una « sperimentazio­
ne » come un buttar là delle frasi per cui « se la va, la va ».
Ci si può chiedere se più di un lettore, aduso a « sag­
gi », a « monografie », a « specializzazioni », o a quant’altro
di settoriale, non desideri, almeno una volta, proprio il Cristia­
nesimo, anzi il Cattolicesimo, e basta. Poi la mentalità di fede,
coi suoi punti fermi e i suoi parametri valutativi, aiuterà ad
interpretare anche l’umano alla luce della verità e della realtà
di Cristo.
Ma uno ha pure il diritto di sapere se è, o no, cristiano —
anzi cattolico — nella sua fede: per approfondirla, per renderla
concreta nell’azione, per correggerla nelle proprie convinzioni,
se è il caso: perfino per rifiutarla, se gli aggrada; ma a ragion
veduta. (Un simile diritto non può essere desiderio anche di
chi solitamente viene chiamato « lontano »? E chi è estraneo
o addirittura ostile alla fede, non può esser preso dalla curiosi­
tà di conoscerla? Non necessariamente per accoglierla, si ca­
pisce).

2 Breve « esposizione » del Cristianesimo, anzi del Cattoli­


cesimo.
Esposizione dice un procedimento teorico, forse un po’
arido; attento più alla verità in sé, che alle applicazioni peda­

INTRODUZIONE 5
gogiche; incline più alla contemplazione, che allo sforzo per
far condividere nella vita quanto si va illustrando.
Chissà che proprio la « dottrina » non abbia anche un
suo fascino.
Esposizione dice ancora un « ordine » che sia in qualche
modo e in qualche misura « sistematico »: con un « centro » e
una « periferia »; una sintesi che abbia un nucleo decisivo
attorno al quale si dispongano e trovino una certa giustificazio­
ne le altre affermazioni che si andranno ponendo.
Pure qui si dev’essere coscienti del pericolo che si incon­
tra. Ci si può scoprire unilaterali, settoriali, « eccentrici »,
magari senza avvedersene. Con tutta la buona volontà di aderi­
re alla fede della Chiesa, quale è oggi vissuta e insegnata,
occorre fin dall’inizio dichiararsi disponibili a correggere, chia­
rire, risistemare, quando vengono recate contestazioni appro­
priate e valide.
Esposizione dice, inoltre, un risoluto credere alla « fedel­
tà a Dio » : fedeltà che pure include almeno qualche spunto di
metodologia educativa.
Una certa « fedeltà all’uomo » è forse da ripulire da
qualche ambiguità che può nascondere. Si tratta dell’uomo
quale è voluto da Cristo: l’uomo che si riconosce in peccato e
bisognoso di misericordia e di grazia? l’uomo che si impegna
ad accogliere la verità del Signore Gesù e si sforza di adeguar­
si agli imperativi evangelici? Bene. Se no, la « fedeltà all’uo­
mo » può diventare blandimento o avvìo alla disperazione in
base ai miti effimeri del tempo; più esattamente: in base agli
inganni e alle illusioni del « mondo ».
Se il Dio di Gesù Cristo fosse interessante per se stesso?
(Forse sta qui la vera ultima ragione del « Per noi uomini e
per la nostra Salvezza »).
3 « Breve » esposizione del Cristianesimo, anzi del Cattoli­
cesimo.
Non ci si soffermerà a sviluppare e a corredare di « no­
te » documentarie ogni frase od ogni termine.
Si lasciano nell’ombra le questioni discusse. Sono le cer­
tezze che muovono l’esistenza. Gli interrogativi, magari in
modo maldestro, li può porre anche l’uomo un poco sempre
smarrito. no le risposte di Dio, che interessano: le risposte
da cui nascono altre domande: quelle giuste, stavolta, a cui
Dio è di nuovo pronto a venire incontro.
E si invita a presumere che un libriccino come questo
abbia qualche pezza giustificativa — anche, o specialmente,

6 INTRODUZIONE
biblica — e debba essere continuato in letture più ampie e
profonde: soprattutto in una conversione che si conceda alla
esigentissima tenerezza di Dio.
4 L’intento era quello di stendere pagine trasparenti, linea­
ri, immediatamente coglibili.
V’è proprio da temere che non si sia riusciti. Pazienza.
Almeno bisogna avvertire che queste riflessioni non van­
no lette d’un fiato. Un paragrafo per volta può anche esser di
troppo, per riuscire a stufare e forse per comunicare qualche
idea (e, non si sa mai, qualche lampo di stupore e qualche
stimolo di « passione »).
5 Pare inutile, ma si insista: questa esposizione si offre
come un « tentativo ». La sicurezza delle affermazioni è dovu­
ta, in vario modo e in diverso grado, all’autorità del Magistero
a cui tali affermazioni vogliono riferirsi e nella misura in cui
concretamente vi si rifanno. Un certa àlea rimane per il modo,
in cui sono espresse e articolate.
L’autore sarà grato a quanti gli faranno pervenire criti­
che e suggerimenti. Una improbabile seconda edizione non
faticherebbe ad essere più passabile con qualche ritocco an­
che notevole .
Festa dell’Epifania, 1985 Sandro Maggiolini
Carpi (Modena) 41012
Corso Fanti, 7

INTRODUZIONE 7
Schema

Pensa e ripensa, si è poi giunti alla conclusione che la struttura


migliore per esporre il Cristianesimo appare ancora quella « tradizio­
nale » : rinnovata, adattata fin che si vuole, ma « tradizionale », secon­
do l’uso secolare di proposta da parte della Chiesa.

Due sezioni.

1 La fede cristiana strutturata in base allo schema del « Credo »


o « Simbolo apostolico ».

2 La vita cristiana strutturata in base allo schema dei « Coman­


damenti », letti alla luce del Comandamento cristiano dell’amore.

All’inizio di ognuna delle due sezioni, una premessa generale


che spieghi il significato del credere e dell’agire cristiano.

8 SCHEMA
SEZIONE I

LA FEDE CRISTIANA
I
CHE COSA SIGNIFICA CREDERE

1 La necessaria tendenza a Cristo


L’uomo concretamente esistente è orientato ad at­
tuarsi nell’incontro col Dio che si rivela e si dona
in Cristo.

a Astrattamente parlando, l'uomo in un diverso piano


di provvidenza, avrebbe potuto essere creato privo della
chiamata alla vita di grazia. In questa evenienza, avrebbe
raggiunto la propria perfezione unicamente portando a
compimento le tendenze di « natura ».

b Di fatto, Puomo storico nasce « nel peccato », ma


reca in sé l’esigenza di superarsi in una « vita nuova »
offerta nel Signore Gesù.
Lasciato alle sole sue forze, Puomo storico può, in
linea di principio, raggiungere qualche verità fondamenta­
le della vita (l’esistenza di Dio, l’immortalità del principio
spirituale della persona, ecc.) e può praticare qualche
aspetto della legge morale che riscontra nella propria strut­
tura crea turale.
Ma tale scoperta della verità, senza un particolare
aiuto di Dio, non avviene pienamente, con certezza e
senza errore, nemmeno sul piano « naturale ». Così come,
senza un particolare aiuto di Dio, l’applicazione della nor­
ma etica non avviene totalmente, nemmeno sul piano « na­
turale ».
Di qui la tendenza ineliminabile che la persona ri­
scontra in se stessa e che Dio sollecita a sviluppare fino
alla perfezione.
Incapace di divenire compiutamente uomo da solo,
l’uomo deve e può divenire « figlio » del Padre attraverso
Cristo nello Spirito Santo.
Almeno al termine della vita non si dà l’uomo pura­
mente uomo: si dà il « santo » o il « dannato ».

CHE COSA SIGNIFICA CREDERE 11


2 Cristo, centro dell’universo
Dio, creando l’universo, ha voluto che tutto fosse
orientato a Cristo e assumesse senso e valore da
Cristo. Il Signore Gesù, infatti, è la « causa », la
« forma » e il « fine » di tutto il creato: in Lui Dio
ci ha rivelato e donato il mistero della propria vita.

a II Signore Gesù è il « primo » pensato e voluto nel


disegno di salvezza. Non esiste angelo o èra geologica o
fremere di un filo d’erba o uomo o pensiero o atto di
libertà, che non assuma il proprio significato da tale fina­
lizzazione a Cristo.

b Non vi sono due piani di provvidenza: uno che


terminerebbe con la creazione, e un secondo che si sosti­
tuirebbe al primo e che avrebbe il Signore Gesù come
cardine e centro. Ogni cosa come ogni persona è stata
creata per mezzo di Cristo e in vista di Cristo. Il proget­
to creaturale non è qualcosa di concluso in sé, a cui si
« aggiungerebbe » il progetto di Rivelazione e di grazia.
Nell’unico disegno stabilito da Dio, che è il disegno di
Rivelazione e di grazia, è « incluso » e « superato » il
disegno creaturale.

c L’uomo, in particolare, già dall’inizio è stato creato


perché in Cristo raggiungesse la propria perfezione. La
colpa d’origine e le colpe susseguenti non segnano la rovi­
na del progetto di Dio: ne evidenziano, piuttosto, la gra­
tuità amorosa per cui « dove abbondò il peccato sovrab­
bonda la grazia ».

d L’autosvelamento e l’autodonazione di Dio si attua­


no gradualmente: dagli albori della creazione all'insorgere
dell’uomo nell’universo, alla scelta del Popolo eletto, fino
a Cristo. In Cristo morto e risorto, Dio ci ha detto e ci ha
dato tutto. Il Signore Gesù rimane come il punto insupera­
bile del cosmo e dell’umanità. Egli, come punto insupera­
bile dell’umanità e del cosmo, vive con noi e opera per
noi dentro il sacramento della Chiesa.

12 LA FEDE CRISTIANA
3 L’aderire a Cripto

La fede è l’aderire radicale e incondizionato dell’uo­


mo al mistero di Cristo. Tale aderire è razionale e
libero, attua la tendenza alla vita di grazia che
l’uomo scopre nel proprio intimo e orienta tutta la
persona perché si « conformi » al Signore Gesù.

a La decisione di credere è necessaria ad ogni uomo


perché prenda coscienza della verità del proprio essere e,
liberandosi dal peccato, partecipi alla vita divina e così
compia il proprio destino.

b La fede, in qualche modo e in qualche misura, è


stata, è e sarà possibile ad ogni uomo, almeno prima del
termine della vita. Dio, infatti, vuole che tutti gli uomini
giungano alla conoscenza della verità e si salvino.
In implicito e almeno con un aurorale desiderio, la
fede in Cristo che « doveva venire » è stata possibile ai
« progenitori » anche dopo il peccato in nome della « pro­
messa »; è stata possibile a coloro che vivevano prima e al
di fuori del Popolo eletto; a maggior ragione è stata possi­
bile a chi partecipava a Israele. La fede in Cristo « venu­
to » è stata possibile a coloro che vivevano al tempo
dell’esistenza terrena di Gesù di Nazareth senza, incolpe­
volmente, averlo conosciuto nel suo mistero di redenzio­
ne. A maggior ragione è stata possibile a coloro che hanno
accostato Gesù di Nazareth e ne hanno percepito il valore
salvifico. La fede in Cristo « venuto » è stata ed è possibi­
le a coloro che, incolpevolmente, vivono al di fuori della
Chiesa o in forme « parziali » di cristianesimo o in struttu­
re religiose dipendenti dal Cristianesimo (come l’Ebrai­
smo e il Maomettanesimo) e perfino estranee al Cristiane­
simo nella sua constatabilità storica.
La fede esplicita e totale può e deve essere vissuta
all’interno della Chiesa cattolica. La Chiesa cattolica con­
sente e provoca la consapevolezza dell’appartenere a Cri­
sto e ha in se stessa Cristo medesimo che agisce attraverso
mediazioni umane. E chi intrawede dov’è la verità, cioè
nel Vangelo vissuto e manifestato nella Chiesa, deve etica­

CHE COSA SIGNIFICA CREDERE 13


mente proseguire il cammino di ricerca. Il cattolico è
tenuto a fare quanto può per provocare e facilitare questo
cammino in tutti. Queste mediazioni assicurano la certez­
za della verità e la comunicazione della « vita nuova ».

c La fede è atto razionale. Ciò non significa che l’ade­


sione al Signore Gesù nel suo significato di redenzione sia
esito di intuizione o di ragionamento umano. Quando un
adulto si avvia alla fede, l’intelligenza deve operare « pri­
ma » dell’atto di credere per stabilire i presupposti razio­
nali e la possibilità morale di questa decisione. L’intelli­
genza, però, giunge a conoscere le verità rivelate soltanto
se e quando è sollecitata e trasformata da un intervento
gratuito di Dio che la rende « adeguata » a tali verità.
L’intelligenza può e deve operare anche dopo o all’in­
terno della fede. Essa è chiamata ad accogliere e a condivi­
dere il messaggio di salvezza, ma senza rinunciare, anzi
impegnandosi con tutte le forze per comprenderlo il più
possibile. Come minimo per stabilirne la non assurdità.
Assai più positivamente: per ripensarlo in idee umane;
per confrontarlo con le « scienze umane » ; per tradurlo in
termini umani e attuali. Con la santità, la contemplazione
e lo svolgimento della missione, la teologia è, sia pure in
modo e in misura diversa, impegno di tutti i credenti e
mezzo per sempre più profondamente e ampiamente pene­
trare la Rivelazione di Dio.

d La fede è atto libero. Ciò non implica che la volontà


debba sostituirsi o colmare eventuali lacune dell’intelligen­
za. Se così fosse, il credere sarebbe decisione volontaristi­
ca, irrazionale; e la fede degenererebbe in « fideismo ».
La volontà è chiamata piuttosto a lasciare che l’intel­
ligenza sia autenticamente se stessa nella scoperta del ve­
ro, senza preordinare nessuna soluzione. È chiamata an­
cora ad ammettere di aver bisogno di un Assoluto che,
dentro la storia, colmi la propria attesa.
Anche in questo caso, però, la fede non può essere
vista e vissuta come gesto unicamente umano. La libertà,
che pure avverte l’esigenza che la persona sia condotta a
pienezza, di fronte ai « segni » analizzati dalla ragione,

14 LA FEDE CRISTIANA
aderisce al « Significato » — alla realtà di Cristo — soltanto
quando lascia che Dio la raggiunga e la muti così da esser
resa capace di questa decisione.

e La fede, opera di intelligenza e di volontà, e innanzi­


tutto dell’aiuto di Dio, può limitarsi ad essere un atto
sporadico e superficiale, oppure può diventare uno stile di
vita che trasforma tutta la persona. Allora l’uomo non si
arresta ad ammettere le verità rivelate o a riconoscere
come da'lontano la presenza di Dio in Cristo: si lascia
coinvolgere dall’intimo in questo rapporto che fa condivi­
dere la vita divina. E una simile condivisione anticipa e
prepara il contatto diretto che l’uomo avrà con il Signore
Gesù dopo la morte. Già fin d’ora, però, il credente in
qualche modo vede la realtà « con gli occhi di Cristo »,
valuta le situazioni con il giudizio di Cristo, accosta perso­
ne e cose con i sentimenti di Cristo.

f La fede è, insieme, accoglienza di verità formulate


con certezza e abbandono e comunione con un Essere
personale che sta come « dietro » tali affermazioni.
L’aspetto fondamentale è senza dubbio l’adesione a
Cristo. Non si può, tuttavia, negare l’importanza decisiva
che nel credere hanno anche le nozioni, le quali spiegano
normativamente la realtà stessa del Signore Gesù.
Una tale rilevanza delle verità rivelate da Dio e artico­
late in chiave umana deriva dal fatto che Dio è somma
razionalità e si propone all’uomo volendolo rispettare nelle
sue componenti fondamentali, prima fra tutte l’intelligenza.

4 La norma della fede

La fede, in quanto accoglienza di verità rivelate,


trova la sua norma suprema nell’interpretazione
della Scrittura, operata dalla Chiesa alla luce e sot­
to la guida dello Spirito Santo.

a La rivelazione di Dio si è manifestata gradualmente


lungo i tempi.

CHE COSA SIGNIFICA CREDERE 15


Già la creazione dell’universo e dell’uomo può esser
detta in qualche modo rivelazione. Il creato, infatti, e
soprattutto il vertice del creato che è l’uomo, in quanto ha
Dio come origine, porta in certa maniera il riverbero di
Dio che può essere conosciuto dalla ragione.

b II Cristianesimo non è la religione di un Dio lonta­


no: è il rendersi presente di Dio in Gesù di Nazareth.
Si possono rinvenire documenti storici dell’area cul­
turale romana ed ebraica che attestano l’esistenza di Cri­
sto e qualche fatto o caratteristica della vicenda di Gesù
di Nazareth: almeno in quanto tale vicenda ha influito
sull’insorgere della primitiva comunità cristiana.

c I documenti privilegiati della rivelazione cristiana


sono i libri che formano l’Antico Testamento, e gli scritti
che formano il Nuovo Testamento. I testi dell’Antico Te­
stamento sono di diversa composizione; sono stati stesi in
epoche differenti, che vanno dal tempo dei Patriarchi fino
alle soglie della nuova èra cristiana; gradualmente pre­
parano alla venuta e all’accoglienza di Cristo.
I testi del Nuovo Testamento sono pure di diversa
composizione; sono stati stesi a un dipresso nella seconda
metà del primo secolo; sotto diversi punti di vista raccon­
tano la vicenda di Gesù di Nazareth, specialmente alla lu­
ce della sua morte e risurrezione. Secondo la fede cristiana,
si impone una netta distinzione tra documenti storici in
generale riguardanti Cristo, e i diversi testi che compongo­
no la Bibbia. Questi, pur esponendo fatti storici o riflessio­
ni religiose, non sono frutto della sola iniziativa umana.
L’autore umano vi agisce secondo le sue conoscenze, le
sue doti e il suo stile, ma è assistito da Dio in modo
particolare con l’« ispirazione » perché proponga la verità
rivelata e non cada in errore.

d Si sbaglierebbe, però, se si riducesse il Cristianesimo


ad una « religione di un libro ».
La Bibbia è senza dubbio il momento scritto normati­
vo per sempre. Essa, tuttavia, non può essere immaginata
come l’opera di singoli che espongono le loro esperienze

16 LA FEDE CRISTIANA
umane. Essa è, piuttosto, la narrazione delle « gesta » che
Dio ha compiuto donandosi all’umanità e agendo all’inter­
no della storia. Non solo: la Bibbia è l’esprimersi di una
partecipazione del Popolo di Israele, prima, e della Chie­
sa, poi, a questo offrirsi di Dio.
In un certo senso, si può dire che antecedentemente
alla Scrittura sta la realtà del Popolo dell’Alleanza, e del
nuovo Popolo dell’Alleanza, che è la Chiesa.
Questo rilievo aiuta a comprendere almeno due co­
se. Come « prova » storica, la Chiesa attuale, che conti­
nua la Chiesa del periodo apostolico, costituisce un moti­
vo privilegiato che attesta la realtà di Cristo. La Scrittura,
poi, è da leggere e da interpretare, nella prospettiva della
fede, non come una serie di affermazioni che dicono tutta
la verità in modo esplicito. Essa è il cristallizzarsi di una
vita la quale va penetrata in base all’esperienza che l’ha
fatta nascere: un’esperienza che era — ed è — assai più
ricca di quanto riesca ad esprimersi in parole. Si tenga
conto del fatto che all’origine della Chiesa sta la comunica­
zione dello Spirito da parte di Cristo. Occorrerà allora
ammettere che, di là da un’interpretazione strettamente
letterale o storica, l’interpretazione adeguata della Scrittu­
ra potrà avvenire soltanto sotto l’impulso e la guida dello
Spirito che ne è l’Autore ultimo e non soffoca ma rispetta
e stimola la capacità dell’autore umano. Di più: senza la
continuità storica della Chiesa, voluta, istituita e « abita­
ta » da Cristo, unico criterio interpretativo pubblico per
discernere ciò che proviene dallo Spirito, la Scrittura per­
de il suo autentico valore e il suo vero significato: gradual­
mente tende a esser considerata alla stregua di qualsiasi
altro libro religioso, quasi fosse priva dell’« ispirazione ».

e La Chiesa è chiamata in tutti i suoi membri a com­


prendere e ad assimilare sempre più la Rivelazione di
Dio. Nella comunità cristiana tutti i fedeli, con diverse
funzioni, hanno il compito di approfondire e di assimilare
la Parola di Dio. Anche se solo la « Gerarchia », per
mandato di Cristo e per una singolare assistenza dello
Spirito, ha il compito di un Magistero certificante e nor­
mativo.

CHE COSA SIGNIFICA CREDERE 17


II
DIO PADRE

5 II Dio che si rivela


Il Dio che la nostra intelligenza malata può cono­
scere a fatica, a partire dalle meraviglie del creato,
si è rivelato a noi nel suo disegno di Salvezza e
ultimamente in Gesù Cristo.

a Già la ragione — si è visto — può arrivare a qualche


conoscenza di Dio con le sole proprie capacità; in modo più
chiaro e sicuro con l’aiuto che Dio stesso non nega a nessu­
no nell’intimo dell’animo. Si tratta di una conoscenza filoso­
fica che non esclude la conoscenza di fede, e che parte dalle
realtà create per giungere all’Infinito come causa e fine
dell’universo. Le realtà create di cui si parla possono essere
il cosmo e, soprattutto, l’uomo nelle sue capacità di conosce­
re, e nella sua apertura all’Assoluto.

b II Dio di cui si tratta qui, però, non è unicamente il


Dio a cui può giungere o giunge di fatto la ragione, bensì il
Dio che, per iniziativa liberissima, si è manifestato nella
storia di Salvezza: dunque, il Dio che si è fatto conoscere
non soltanto attraverso la creazione, ma anche mediante la
comunicazione di sé nelle vicende umane di Redenzione.
Non bisognerà contrapporre troppo facilmente il
« Dio dei filosofi » al « Dio di Abramo, di Isacco, di
Giacobbe... e di Gesù Cristo ». Anche la filosofia, quand’è
vera, viene sollecitata, magari inconsapevolmente, dalla gra­
zia e tende a concludersi nella fede almeno perché constata
le proprie insufficienze. E la fede, d’altra parte, poiché è
atto e atteggiamento anche umano, lungi dall’annullare o
dall’inibire la ricerca filosofica, la esige e la suscita.

c In questo contesto di esposizione del « Credo » la


nostra attenzione va ovviamente in modo prioritario al
Dio che si è rivelato nell’Antica Alleanza e, in modo

18 LA FEDE CRISTIANA
supremo, in Gesù Cristo. Il Signore Gesù ci appare così
non solo come il termine a cui si sospende la fede, ma
anche come il Maestro e il Testimone che ci svela il
mistero del Padre attraverso il dono del suo Spirito.

6 Dio Uno e Trino


Il Dio che Cristo ci mostra è unico nella « natura »
e trino nelle « persone »: il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo.

a II Padre dall’eternità « genera » il Figlio come la


Parola — il Verbo — sussistente; il Padre e il Figlio, ancora
dall’eternità, « spirano » lo Spirito come reciproco Amore
sussistente. Le tre Persone divine sono unite in una mu­
tua conoscenza e in una reciproca dilezione che costituisce
la piena beatitudine dell’unico Dio.

b La vita intima e arcana del Dio unico e trinitario è


« luogo » di mutua contemplazione incessante e di recipro­
ca lode inesausta. Tale vita, però, non rimane chiusa in se
stessa: con incomprensibile e spontanea decisione si apre
agli Angeli, all’uomo e alle cose perché l’universo intero
esista e partecipi alla gloria di Dio.

7' Il Dio che crea


Dio Padre, per mezzo del Figlio, crea liberamente
tutte le cose, quelle visibili e quelle invisibili, le
sostiene e le guida perché, sotto l’azione dello Spiri­
to Santo, siano « ricapitolate » in Cristo raggiun­
gendo così la loro perfezione.

a Creare significa che Dio fa esistere dal nulla le realtà


finite.

b La creazione è atto libero di Dio. Non è una sorta di


« divenire » di Dio o di « emanazione » necessaria da

DIO PADRE 19
Dio. Essa segna un gesto di amore assolutamente gratuito
che fa esistere delle realtà proprio perché queste realtà
sono pensate e amate.

c Le realtà finite non continuano ad esistere da sé, dopo


che sono state create: derivando incessantemente il proprio
essere da Dio, hanno bisogno che Dio le « ricrei », in
qualche modo, in ogni istante successivo al primo.

d Le realtà finite dipendono da Dio non solo nel pro­


prio essere, ma anche nel proprio divenire. Dio, dunque,
le guida, in qualche modo, perché possano arrivare al loro
compimento.

e La creazione, perciò, non si pone quale atto concluso


in se stesso, o come momento staccato dal centro del
piano di Salvezza, che è Cristo. La creazione è, piuttosto,
il primo atto del disegno redentivo: l’universo è creato
perché venga riassunto e trovi il proprio compimento nel
Signore Gesù.

8 Gli Angeli
Dio crea in primo luogo degli esseri personali, intelli­
genti e liberi, puramente spirituali, che chiamiamo
Angeli. Il loro compito è di servire Dio, glorificando­
lo, e di aiutare gli uomini a salvarsi in Cristo.

a La Rivelazione non precisa il loro numero e poco


dice anche della loro « gerarchia ». Ne afferma, però, resi­
stenza e la funzione.

b Si tratta di esseri finiti e personali, privi di dimensio­


ne corporea. Sono, dunque, intelligenti, anche se la loro
conoscenza non avviene al modo di quella umana, attra­
verso le cose sensibili. Sono pure liberi, anche se la loro
libertà non può ritornare sulla propria scelta primitiva
com’è il caso dell’uomo, esattamente a motivo della loro
intelligenza non condizionata dalla materia.

20 LA FEDE CRISTIANA
c La funzione degli Angeli è, come quella di ogni
creatura, di aderire alla volontà di Dio, rendendo così a
lui lode. È anche quella di soccorrere gli uomini nel loro
sforzo di santificazione.
Nella storia di Salvezza la Rivelazione ci mostra di­
versi Angeli incaricati dei messaggi di Dio. La tradizione
cristiana parla anche di « Angeli custodi » affidati da Dio
alle chiese locali, ai popoli e ai singoli uomini.

d Anche il « mondo angelico » — della cui esistenza la


fede non si stupisce troppo, sapendo la fantasia di Dio —
non dovrà essere immaginato come un momento chiuso in
se stesso: esso entra nel piano di Salvezza. Gli Angeli
esistono perché sono creati da Dio in vista di Cristo. E la
grazia che possiedono è pure grazia di Cristo che doveva
venire ed è venuto nella storia umana e cosmica.

9 I Demoni
Con la loro libera scelta, non tutti gli Angeli hanno
aderito a Dio. Quelli che si sono ribellati a Dio — i
Demoni — hanno segnato la loro eterna dannazio­
ne. Nella loro malizia, influiscono negativamente
sul mondo e sull’uomo tentando di ostacolare il
disegno di Redenzione. Il loro potere, tuttavia, è
sotto il dominio di Dio e non si estende fino a
togliere all’uomo la capacità di comprendere e di
agire liberamente.

a Essendo Angeli decaduti, i Demoni sono esseri per­


sonali, puramente spirituali, che hanno impegnato la loro
intelligenza e la loro volontà nel male, contro Dio.

b Essi vivono nella dannazione eterna. L’inferno è,


dunque, una realtà almeno per loro.

c L’influsso dei Demoni sull’uomo si manifesta nella


tentazione al peccato. Giunge talvolta fino alla « possessio­
ne ». In ogni caso, però, l’uomo non viene determinato

DIO PADRE 21
necessariamente al male, poiché, pur condizionato in mo­
do indiretto, rimane in lui la capacità di capire e di decide­
re il proprio destino.

d L’influsso dei Demoni può esercitarsi anche in situa­


zioni storiche le quali sembrano talvolta difficilmente spie­
gabili con la sola cattiva volontà dell’uomo.

e Non bisognerà immaginare i Demoni come una sorta


di « antiDio ». Essi sono creature limitate il cui potere è
sottomesso a Dio. La loro esistenza e la loro azione, tutta­
via, non sono trascurabili. Aiutano, per esempio, a spiega­
re la strana gravità del « peccato d’origine ».

f Pur in negativo, anche i Demoni sono orientati a


Cristo che doveva venire ed è venuto. Il « Regno » che il
Signore Gesù predica e attua, si presenta anche come
vittoria su Satana.

10 L’uomo
Nello svolgersi dell’universo, Dio crea l’uomo e,
orientandolo a Cristo venturo, lo rende partecipe
della propria natura divina.

a Si prescinde qui dalla questione del « modo » di


creazione. Anche nell’ipotesi « evoluzionistica » — ipotesi
che spetta alla scienza di dimostrare — la fede esige un
particolare intervento di Dio, che spieghi il passaggio da
una materia, o anche da una vita preesistente, allo stadio
della persona.

b L’uomo è essere formato da una dimensione corpo­


rea e da un principio spirituale immortale. In quanto tale,
egli è sintesi mirabile dell’universo nelle sue varie compo­
nenti ed eccelle sulle creature materiali.

c L’uomo, in quanto persona, è essere intelligente e


libero. Egli è chiamato a dominare la natura e a fruirne

22 LA FEDE CRISTIANA
attraverso la contemplazione, la scienza, la tecnica e il
lavoro. Egli è pure orientato alla comunione interpersona­
le nell’amore che si esprime nella complementarità sessua­
le unitiva e feconda e in altre forme quali l’amicizia, la
cultura, l’originalità fraterna dei popoli. Egli, soprattutto,
è proteso al rapporto religioso con Dio.

d Fin dall’inizio della propria storia, l’uomo, in vista di


Cristo, è reso « immagine e somiglianza di Dio », cioè
partecipe della vita divina che nel Signore Gesù troverà la
sua origine e la sua pienezza.

e Nel libero svolgimento delle responsabilità che gli


sono affidate, l’uomo esprime la propria dignità e si fa
cooperatore di Dio nell’attuare il piano di Salvezza. Attra­
verso l’uomo, la creazione intera, nel suo essere e nel suo
divenire positivo, raggiunge la propria pienezza in Cristo.

11 II peccato dei Progenitori


Il primo uomo, creato nella grazia di Cristo, era in
qualche modo inizio e rappresentanza dell’umanità
che doveva seguire. Nei confronti di questa aveva
una singolarissima responsabilità. Tentato dal De­
monio, egli si ribellò a Dio, rifiutando il piano di
Salvezza, cercando nelle creature la propria felicità
e pretendendo di stabilire da sé la norma del pro­
prio agire. Il suo peccato lo ha privato della vita
divina e ha avuto conseguenze negative per tutti i
suoi discendenti. Immagine di Cristo venturo, egli
ne è diventato la controimmagine. Dio, però, non
lasciò l’umanità nella sua disperazione. Offrì di
nuovo la speranza mediante la promessa della venu­
ta del Signore Gesù.

a Parlando del primo uomo — o della prima coppia


umana — si prescinde qui dalla questione se si trattasse
veramente di una sola persona — o di due —, oppure
dell’umanità nel suo insieme. Anche l’ipotesi « poligenisti-

DIO PADRE 23
ca », legata all’ipotesi dell’« evoluzionismo » — che spetta
alla scienza di dimostrare —, può, forse, accordarsi con il
dato rilevato. Purché tale concezione salvi una qualche
unità del genere umano, ne affermi la responsabilità nei
confronti di tutti i discendenti e ammetta una forma stori­
ca di peccato compiuto insieme e avente un influsso sul
futuro dell’intera umanità.

b La figura e l’azione seduttrice di Satana non pare


vada minimizzata, se si intende comprendere un poco,
particolarmente nell’ipotesi « evoluzionistica », la ripercus­
sione che la prima colpa umana ha avuto su tutta la storia
susseguente. Il primo peccato dell’uomo si consuma nella
libertà dei progenitori, ma ha un inizio anche antecedente
alla storia umana.

c Appare superfluo chiedersi la modalità precisa della


prima colpa. È sufficiente affermare che si è di fronte a
una superba disobbedienza a Dio, mediante la quale l’uo­
mo cerca nelle realtà finite — ultimamente in se stesso — il
proprio fine, e si attribuisce la pretesa di stabilire il bene
11 male.

d Circa le conseguenze del peccato originale su tutta


l’umanità, si vedrà nel prossimo paragrafo. Basti qui rile­
vare che il primo uomo diviene la contrapposizione di
Cristo. Questo fatto, però, non interrompe lo svolgersi del
disegno di Salvezza: Dio si impegna a inviare il proprio
Figlio per continuare e portare a coronamento la grazia
originale e per ripararne il rifiuto e la corruzione. La colpa
compiuta all’avvio della storia umana diviene la « felice
colpa » che fa risaltare ancor più la gratuità della chiama­
ta alla grazia in Cristo.

12 L’uomo che nasce nel peccato


Il peccato del primo uomo ha avuto conseguenze
nefaste su tutti gli uomini. Ogni uomo nasce in
una condizione di « colpa » che in qualche modo

24 LA FEDE CRISTIANA
gli è propria. Ogni uomo, ancora, nasce incapace di
attuarsi anche in una dimensione unicamente crea-
turale. Ogni uomo, inoltre, sempre nell’ipotesi che
non sia aiutato dalla grazia di Cristo, è incline in
modo inevitabile al peccato personale e così colla-
bora a stabilire una situazione di male che è domi­
nio di Satana, delle divisioni e della morte. Ma
Cristo, l’Uomo nuovo, si offre a tutti come motivo
di Salvezza, così che, se qualcuno si danna, si dan­
na per propria libera scelta.

a II « peccato originale », proprio di ogni uomo che


viene in questo mondo, non è da immaginare come un
atto di libertà consumato personalmente. È piuttosto un
« partecipare » alla libertà del primo uomo da cui ciascu­
no dipende.

b Tale condizione di « colpa » priva la persona della


capacità di praticare, unicamente con le proprie forze,
anche la sola legge morale « naturale », cioè in quanto
derivata dal solo atto creativo di Dio. Ciò significa che, a
causa del peccato originale, l’uomo nasce senza la grazia, e
per di più non nasce integro nella sua struttura creaturale.
La struttura creaturale, infatti, non è realtà a sé stante,
bensì inizio del piano di grazia, avvio all’inserimento stori­
camente necessario in Cristo. E proprio a questo inseri­
mento storicamente necessario in Cristo il peccato origina­
le contraddice.

c Di più: la colpa primitiva provoca nell’uomo una


profonda spinta al male. Si tratta di una inclinazione tanto
forte, che la persona non può evitare di ratificarla in scelte
libere verso il male.

d In questo modo il peccato originale si manifesta in


tutte le sue applicazioni: esso non solo è rovina della
persona singola, ma coopera ad instaurare una situazione
di « peccato del mondo », dove ogni uomo viene profon­
damente condizionato dal male che in qualche modo cre­
sce nella storia quando prevale la ribellione a Dio.

DIO PADRE 25
e La propagazione della colpa originale avviene me­
diante la generazione. La quale, tuttavia, non è realtà
cattiva in sé, dal momento che la sessualità che si esprime
nella fecondità è in sé realtà buona e richiede un interven­
to di Dio orientato alla creazione del principio spirituale
della persona. La generazione, più che causa, è « occasio­
ne » della trasmissione del peccato originale, poiché inne­
sta di fatto la persona neH’umanità storicamente esistente.
Alla generazione — che vale per tutti, anche prima della
consapevolezza e della capacità di scelta libera — come
elemento di diffusione del peccato originale si aggiunge il
contesto di male che si è chiamato « peccato del mondo ».

f L’umanità, lasciata a sé sola, si trova così in una


condizione votata alla dannazione: una condizione domi­
nata da Satana, deturpata dalla cattiva libertà dell’uomo e
orientata alla morte non tanto come fatto biologico, quan­
to piuttosto come castigo del peccato.
La verità del peccato d’origine è antropologicamente
pregna di speranza, pur nella sua drammaticità.
Il male nel mondo è constatato. Deriverebbe dalla
Divinità? Fatalisticamente, in questa ipotesi, non si dareb­
be altra soluzione che l’essere schiacciati dall’assurdo. De­
riverebbe da un « Principio del male onnipotente » nella
creazione? Di nuovo non rimarrebbe che una rassegnazio­
ne disperata. Deriva, invece, dall’uomo, poiché Dio ha
creato « buono » l’universo e l’uomo « molto buono »?
Allora nulla è fatale. Il Dio che ha creato può sempre
« ricreare » in Cristo.

g Al fosco quadro tracciato fa riscontro la decisione


del Padre di inviare il Verbo fatto Uomo perché in lui
ogni uomo abbia la possibilità di salvarsi.
La Redenzione operata da Cristo è offerta a tutti, in
ogni tempo e in ogni luogo della storia. Non si impone a
nessuno, tuttavia. E quando si applica nella fase terrestre,
lascia solitamente nell’uomo qualche residuo di tendenza
al male, così come lascia che Satana e la situazione di
« peccato del mondo » influiscano sulla persona.
La vita dell’uomo anche redento è sempre una « lot­

26 LA FEDE CRISTIANA
ta » contro le propri* inclinazioni cattive e contro il
« mondo »: una lotta da affrontare con la forza decisiva
della grazia offerta da Dio.

13 La promessa offerta in Cristo


L’intera storia umana, anche dopo il peccato origi­
nale e quanto ne consegue, è storia dell’autodona-
zione di Dio all’uomo. Tale autodonazione, che è
rivolta a tutti, si esprime nell’Alleanza col Popolo
ebraico e ultimamente in Cristo.

a Rimane vero, come si è detto, che Dio opera nella


storia di tutti i popoli e raggiunge ogni uomo per comuni­
care la sua vita a quanti cercano la Salvezza con cuore
sincero e si impegnano a rispondere con le opere alla sua
chiamata di grazia.

b Tale volontà salvifica di Dio per tutti gli uomini si


manifesta particolarmente nell’Alleanza che egli stabilisce
con Abramo e che ripete ad ogni svolta particolare della
storia del Popolo eletto.

c L’Alleanza ultima, definitiva e insuperabile di Dio


con l’intera umanità si ha nel Signore Gesù a cui tutti e
'tutto tende come a fine sommo.

DIO PADRE 27
Ili
IL CRISTO

14 Cristo, motivo di Salvezza


11 Signore Gesù, secondo il disegno divino, è il
centro della storia umana e cosmica; ed è centro
come colui che è venuto, come colui che è presente
e come colui che « ritornerà ».

a Si è detto che il Dio Uno e Trino non si è chiuso


nella beatitudine del proprio mistero, ma ha voluto comu­
nicarsi agli angeli, all’universo e all’uomo, creando il mon­
do in vista della sua conclusione gloriosa in Cristo median­
te il dono dello Spirito Santo.

b Durante la storia che scorre prima di lui, Cristo è


motivo di Salvezza come l’« Atteso ». Dalla creazione alla
Pasqua, in nome della speranza nel Signore Gesù che
verrà, gli uomini ricevono la vita divina e il creato aspira
alla glorificazione finale.

c Dopo la sua vicenda terrena, il Signore Gesù risorto


è motivo di grazia per l’umanità e per il cosmo in quanto
egli è vivo e viene « ricordato » in una « memoria » che
lo rende arcanamente presente nel tempo fino al suo « Ri­
torno ». Egli è il « Venuto » che non cessa di proporsi ad
ogni uomo e di sollecitare la restaurazione e la ricapitola­
zione del creato.

d II Signore Gesù è, ancora, I’« Atteso », il « Venien­


te ». Egli, al concludersi della storia, non si nasconderà
più dentro il segno della Chiesa, ma si mostrerà disvelato
in una esperienza diretta di comunione beatificante. Egli,
inoltre, al concludersi della storia, avrà veramente raggiun­
to la sua « pienezza » poiché gli uomini che hanno libera­
mente aderito a lui saranno il suo « completamento » con
la creazione rinnovata secondo il volere divino.

28 LA FEDE CRISTIANA
15 II Verbo che si fa carne
Nella « pienezza dei tempi » il Padre manda il Ver­
bo perché si faccia carne per noi uomini, per la
nostra Salvezza e per il rinnovamento del mondo.

a II Figlio di Dio, eterno e perfetto come il Padre, si


fa uomo: rimanendo Dio, nell’unità della Persona divina,
assume la natura umana in Gesù di Nazareth.
Egli è vero Dio e vero uomo in modo inconfuso.
Non è costituito, però, da due persone: quella divina e
quella umana; è una Persona sola, il Verbo di Dio, che fa
propria la natura di un uomo.

b Gesù di Nazareth rimane « consostanziale » a Dio e


diviene « consostanziale » all’umanità e alla storia cosmi­
ca. Unendosi a Gesù di Nazareth, il Verbo di Dio si è
unito in qualche modo ad ogni uomo e al cosmo. Egli
diviene unico Mediatore tra Dio e gli uomini. Dio si fa
nella maniera più intima e irrevocabile il « Dio con noi »
e « per noi »: si fa prossimo e anzi vive dal di dentro la
realtà e l’esperienza di ogni uomo. Al tempo stesso, ogni
uomo, per lui, con lui e in lui viene chiamato a partecipa­
re alla vita divina.

c L’Incarnazione segna il compimento delle promesse


che Dio ha offerto all’umanità fin dalle origini e poi lungo i
tempi della preparazione e dell’attesa. Questo compimento
doveva esprimersi in tutta la vita di Cristo attraverso l’obbe­
dienza fino alla morte di croce. Dio, in qualche modo, si
« spoglia » dello splendore della Divinità; ma questa « spo­
liazione » deve consumarsi nell’obbrobrio della morte per
raggiungere la vittoria e la gloria della risurrezione.

d Si può e si deve dire che l’Incarnazione redentiva è il


culmine della storia. Si deve, però, anche aggiungere che
la storia non conquista questo culmine da sé, con il solo
sforzo umano e con l’orientamento ìnsito nel cosmo.
L’Incarnazione si presenta ad un tempo come conti­
nuazione e come novità rispetto al passato. Una donna,

IL CRISTO 29
Maria, concepisce e genera il Verbo fatto uomo. Ma si
tratta di una donna che, in previsione della Salvezza opera­
ta da Cristo, nasce esente dal peccato originale e dalle sue
conseguenze. Si tratta, ancora, di una donna che, proprio
per evidenziare l’inizio di una storia nuova dove Dio si
inserisce nell umanità, concepisce e genera verginalmente il
Verbo. Ella, dando vita all’umanità di Cristo, diviene Ma­
dre di Dio. Si tratta, inoltre, di una donna che, essendo
Madre di Cristo nel quale tutti gli uomini sono in qualche
modo associati, diviene Madre e Modello dell’umanità e
della Chiesa nell’ordine della grazia. Per questo motivo,
unita com’è al suo Figlio, Maria collabora in modo singola­
rissimo alla Redenzione operata da Cristo sulla croce, e,
come Cristo, non soffre la corruzione del sepolcro, ma vie­
ne assunta nella gloria in anima e corpo. E ora intercede
presso il Figlio come mediatrice di ogni grazia.

16 La vita terrena di Gesù di Nazareth


Gesù di Nazareth ha vissuto una vita di uomo,
manifestando gradatamente il proprio mistero, av­
viandosi alla morte di croce e preparando la Chiesa.

a Nella sua vita di nascondimento a Nazareth e di


predicazione per le vie della Palestina, Gesù, essendo
Dio, ha pensato con mente di uomo, ha agito con volontà
di uomo, ha gioito e sofferto con cuore di uomo, ha
lavorato con mani di uomo: in tutto fattosi simile a noi,
fuorché nel peccato. Egli, inoltre, ha manifestato una pro­
fonda solidarietà con gli uomini, particolarmente con i
piccoli, i poveri e i peccatori.

b In tutta la sua esistenza terrena, Gesù si è preparato,


nella perfetta obbedienza al Padre, alla sua morte di cro­
ce, mediante una fedeltà assoluta alla sua missione e una
donazione costante al servizio degli uomini, anche di colo­
ro che hanno rifiutato il suo messaggio e la sua persona.

c Durante la sua vita pubblica, Gesù ha insegnato,

30 LA FEDE CRISTIANA
come uno che ha l’autorità di Dio, i misteri del Regno e le
esigenze etiche fondamentali dell’adesione a lui. Questi
insegnamenti, per mezzo dello Spirito, sono stati, dopo la
sua morte, normativamente ricordati dai discepoli.

d Durante la sua vita pubblica, Gesù ha anche compiu­


to miracoli non solo come « prove » per manifestare la
propria Divinità, ma altresì come gesti di una Salvezza la
quale, liberando dal peccato, in qualche modo libera pure
dalle conseguenze del peccato.

e Durante la sua vita pubblica, Gesù, inoltre, ha raccol­


to intorno a sé dei discepoli, e particolarmente i « Dodi­
ci », affidando loro delle mansioni particolari che solo
nella Chiesa avrebbero avuto tutto il loro significato e il
loro valore redentivo.

17 La morte e la risurrezione di Cristo


Giunta l’ora fissata dal Padre, Gesù si concede libe­
ramente alle forze del male per poter morire in
vista della salvezza degli uomini e dell’universo. Il
Padre non abbandona il Figlio in potere della mor­
te, ma, al terzo giorno, lo risuscita con la forza
dello Spirito Santo e, nell’Ascensione, lo costitui­
sce Signore dell’umanità e del cosmo. Attraverso la
sua morte e risurrezione, Cristo dona lo Spirito che
fa nascere la Chiesa.

a La morte del Signore Gesù non va intesa come una


fatalità a cui egli si sottopone senza poter reagire. Si
tratta, invece, di un gesto di piena libertà che egli compie,
affidandosi al volere del Padre per vincere Satana e le
forze del peccato e del mondo, e così offrire la Redenzio­
ne nello Spirito.

b La risurrezione del Signore Gesù non va intesa come


una sorta di persistenza nell’essere di un principio spiritua­
le immortale. Né va intesa come una sorta di reviviscenza

IL CRISTO 31
di un uomo che deve ancora morire o che, in qualche
modo, dopo una interruzione, continua la vita di prima.
Si tratta, invece, di una vita che, pur essendo della stessa
persona di prima, è nuova nel senso che è approdata a
una definitività gloriosa che si costituisce come origine,
causa e fine di Salvezza per tutti. In particolare va notato
che Cristo risorge nell’interezza della sua realtà umana:
anche col suo corpo.

c L’Ascensione segna non tanto un cambiamento di « luo­


go », quanto, piuttosto, il fatto che Cristo risotto è posto a
capo, come Signore e Dominatore, dell’umanità e del cosmo.

d In quanto tale, egli dà origine alla Chiesa, come si


vedrà in seguito.

18 Cristo, il Maestro
Cristo, nella globalità della sua vita, è il Maestro che
rivela la verità su Dio, sull’uomo e sull’universo. È
anche la « prova » di quanto insegna. Al tempo stes­
so è il « termine » a cui si sospende la fede.

a II Signore Gesù è il supremo e unico Maestro non


solo per quanto ha insegnato, ma anche per quanto ha
compiuto e compie nei suoi atti, e per quanto è stato ed è.
Egli rivela se stesso, nella propria umanità, nella
propria Divinità e nel proprio significato salvifico lungo
l’intera sua esistenza terrena; e ora particolarmente attra­
verso la presenza e l’azione dentro la Chiesa. Rivelando il
proprio mistero, Cristo introduce l’uomo nella conoscenza
della vita intima di Dio: mediante lo Spirito Santo, egli
rivela il Padre e rivela l’uomo a se stesso. Il Signore
Gesù, infatti, è l’uomo perfetto nella sua unione al Verbo
e nel suo aderire alla volontà del Padre.

b II Signore Gesù è, ancora, la « prova » di quanto


insegna. Soprattutto attraverso l’adempimento delle profe­
zie e i miracoli, la sua vita non trova una spiegazione se

32 LA FEDE CRISTIANA
non nella fede di chi si abbandona a lui liberamente e nel
pieno rispetto delle esigenze della ragione. Ciò avviene
anche dopo la risurrezione mediante la vita della Chiesa
in cui egli è presente e agisce.

c II Signore Gesù, inoltre, è il « termine » — l’oggetto


adeguato, se si può dire — del proprio insegnamento. La
fede, infatti, non si limita, come è stato detto, a ritener
per vere delle formulazioni razionali o delle idee, ma si
rapporta alla realtà stessa di Cristo che è vissuto e che
vive. In questo senso, il Signore Gesù non solo spiega
l’uomo a se stesso, ma attua l’uomo nelle profondità del
proprio essere e delle proprie tendenze.

19 Cristo, il Sacerdote
Cristo, nella globalità della sua vita, ma soprattutto
attraverso la sua morte e risurrezione, è il Sacerdote
sommo e unico che ci libera dal potere del male, ci
dona la vita di grazia e trasforma l’universo perché
l’uomo lo prepari al compimento del Regno.

a II Signore Gesù è Sacerdote sommo e unico perché


riassume in sé, in qualche modo, tutti gli uomini e l’intero
creato. Così Dio si rende presente alla storia terrena, e la
storia terrena, purificata dalle forze demoniache e dalla po­
tenza del peccato, viene unita a Dio in un vincolo di amore.

b La morte di Cristo non dev’essere considerata come


un fatto circoscritto a lui stesso che la subisce. Il Signore
Gesù affronta la morte come atto di donazione al Padre
perché proprio la morte, con le sue sofferenze e il suo
apparente assurdo, è l’estrema conseguenza del peccato.
La morte di croce è, insieme, un gesto di amore e un
gesto di lotta in cui Cristo si lascia come vincere da Sata­
na, dal mondo e dall’uomo ribelle. Essa viene chiamata
sacrificio di lode e di espiazione perché è dono che il
Signore Gesù fa di sè, al Padre, addossandosi i peccati
degli uomini per divenire causa di Salvezza.

IL CRISTO 33
Cristo muore solo, ma, in qualche modo, rappresen­
ta e include nella sua esistenza e nella sua offerta tutti gli
uomini bisognosi di perdono. Unico innocente, non tanto
si sostituisce, quanto, piuttosto, arcanamente assomma in
sé l’umanità incapace di redimersi da sola. Per riscattare
dal male l’uomo che aveva rifiutato Dio, era « giusto »
che fosse un Uomo-Dio a compiere questa riconciliazione,
costituendosi così come pegno di grazia e di gloria.

c La risurrezione di Cristo non va immaginata come un


atto staccato dalla morte di croce: essa è la pienezza di vita
che il Signore Gesù incontra come dono del Padre dopo la
sua Passione e il suo annientamento supremo. In questo
modo Cristo diviene non solo il Modello, ma anche la causa
e la mèta dell’umanità redenta e della creazione rinnovata.

20 Cristo, il Signore
Cristo morto e risorto è il Signore di ogni uomo e
di tutta la storia. Egli vive e regna per sempre, e
guida, sana e santifica ogni uomo che con la pro­
pria libertà si apre a lui, così come suscita e tra­
sfigura ogni valore che la storia esprime e che l’uni­
verso contiene.

a II Signore Gesù ha già vinto il mondo, pure se le


potenze del male sembrano ancora prevalere e la stessa
libertà dell’uomo non aderisce sempre a lui. Egli è la viven­
te Misericordia che toglie ogni colpa e immette ogni uomo
peccatore pentito nella vita divina. Egli è il senso ultimo e
l’anticipazione gloriosa dell’intera vicenda umana, anche
quando questa pare perdersi lontana da Dio. Egli è la capar­
ra dell’universo restaurato, anche quando questo sembra in
disaccordo o perfino in contrapposizione con l’uomo.

b Cristo non è separato dagli uomini e dall’universo


creato. È presente in modo misterioso nella Chiesa e
nella storia finché, al suo Ritorno, si mostrerà disvelato
nella sua gloria e Dio sarà tutto in tutti.

34 LA FEDE CRISTIANA
IV
LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO

21 II « Dono » supremo di Cristo


Lo Spirito Santo è l’Amore sussistente del Padre e
del Figlio, terza persona della Trinità, che dà la vita,
e che col Padre ed il Figlio dev’essere adorato e
glorificato. Egli, in nome di Cristo il quale, con la
sua morte e risurrezione, l’avrebbe « meritato » e
inviato, ha permeato e plasmato dall’inizio l’intera
creazione. Anche prima della venuta del Signore Ge­
sù lo Spirito Santo si è reso presente e ha agito in
ogni uomo che lo ha accolto con libera adesione per
la santificazione personale e per una comunione sem­
pre più fraterna. Soprattutto in Israele, attraverso la
profezia e il culto dell’Antica Alleanza, ha tenuto
desta la speranza in Cristo che doveva venire. Così
ha operato la salvezza di coloro che alla sua presen­
za e alla sua azione si sono aperti con cuore sincero.

a Proprio perché Cristo è il motivo della Salvezza di


tutti gli uomini, di ogni tempo e di ogni spazio, lo Spirito,
che è il « Dono » supremo di Cristo, è presente ed opera
anche prima dell’Incarnazione redentiva in nome del Si­
gnore Gesù che verrà.

b Lo Spirito di Cristo, dunque, interpella e santifica


ogni uomo dall’intimo dell’animo; egli si offre pure attra­
verso strumenti di grazia quali, per l’Antico Testamento,
la predicazione e la preghiera pubblica di Israele.

c Poiché la Redenzione raggiunge non solo la compo­


nente spirituale dell’uomo, ma l’uomo intero anche nella
sua dimensione corporea e fraterna, lo Spirito Santo susci­
ta tra gli uomini una comunione nuova di cui egli è il
vincolo più profondo, e agisce anche nel creato, orientan­
do ogni cosa a Cristo.

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 35


22 II mistero della Chiesa
Nello svolgersi della storia di Salvezza, lo Spirito
Santo è inviato da Cristo mediante il Sacrificio del­
la morte di croce. Così il Signore Gesù dà, in qual­
che modo e in qualche misura, significato e valore
salvifico a ogni autentica espressione religiosa che
da lui è suscitata e da lui dipende. Soprattutto dà
piena attuazione alla Chiesa. Egli l’aveva preparata
lungo la sua vita terrena. La manifesta con il dono
dello Spirito particolarmente nel giorno di Penteco­
ste. Così, ancora, il Signore Gesù offre, nello Spiri­
to, ad ogni uomo la possibilità di Salvezza: in mo­
do pieno, sotto il profilo oggettivo, offre tale possi­
bilità a coloro che vivono nella Chiesa.

a Come si è detto, attraverso la morte e la risurrezio­


ne, Cristo non lascia la storia umana e cosmica, ma vi si
rende presente in modo nuovo: e vi si rende presente così
da essere motivo di Salvezza, mediante il dono dello Spiri­
to, per ogni uomo e per l’universo.

b Lo Spirito Santo, che Cristo offre, può essere comu­


nicato direttamente alla singola persona nell’intimo del
cuore. Può, però, essere comunicato anche attraverso for­
me religiose: soprattutto, secondo l’intenzione del Signore
Gesù, in modo storico e normale, è donato pienamente
attraverso la Chiesa. Infatti, tutto ciò che di vero, di
buono e di santo si trova nella storia deriva da lui.
Il rilievo non deve inclinare ad un relativismo che
veda indifferentemente ogni forma religiosa come ugual­
mente vera ed autentica.
Le espressioni religiose che sono nate al di fuori del­
l’influsso storico cristiano, con limiti, errori e deviazioni,
possono contenere aspetti di verità e di valore che sono
frutto dell’azione dello Spirito. Tali espressioni, in modo
parziale o almeno iniziale, possono essere di qualche aiuto
alla vita di grazia in chi vi aderisce in buona fede.
Vi sono, poi, espressioni religiose che, in qualche
modo e in qualche misura, dipendono almeno dalla prepa­

36 LA FEDE CRISTIANA
razione storica al Cristianesimo, vale a dire dall’Antico
Testamento. Si pensi all’Ebraismo e al Musulmanesimo.
A maggior ragione queste espressioni religiose, con limiti,
errori e deviazioni, possono contenere aspetti oggettivi di
verità e di grazia. E possono influire sulle persone che vi
aderiscono con leale coscienza così da metterle in un qual­
che rapporto di Salvezza con Dio.
Vi sono, poi, delle comunità cristiane che, pur non
condividendo pienamente le verità e i mezzi di grazia pre
senti nella Chiesa cattolica, possiedono vari e vasti aspetti
oggettivi di tali verità e di tali mezzi di grazia. Si pensi alle
Comunità protestantiche che, con la fede in Gesù Cristo,
onorano la Scrittura e praticano almeno il Battesimo come
sacramento. Si pensi alle Comunità ortodosse che, con una
fede quasi integra, praticano validamente i sacramenti. In
questi casi, l’appartenenza sincera a simili comunità cristia­
ne concede oggettivamente una vera, anche se parziale,
possibilità di Salvezza nel Signore Gesù conosciuto e amato
come Redentore che dona il suo Spirito.
La Chiesa cattolica si colloca tra queste forme religio­
se e cristiane come la struttura che dal Signore Gesù ha,
nello Spirito, la pienezza oggettiva dei mezzi per conosce­
re la verità e per donare la grazia.
Sul piano oggettivo, il rapporto tra la Chiesa cattoli­
ca e le altre aggregazioni religiose o cristiane non sarà di
netta contrapposizione: sarà, piuttosto, di una totalità ri­
spetto a delle parzialità. Queste parzialità sono chiamate a
superare errori e a colmare limiti, aderendo al Cattolicesi­
mo; non sono, invece, chiamate a rinunciare a delle verità
e a dei valori che, anzi, vengono esaltati.
Si noterà che la pienezza di cui si parla per la Chiesa
cattolica è di mezzi di verità e di grazia: una pienezza
almeno implicita. Ciò non significa che, nel contatto con
altre comunità cristiane o con altre forme religiose, la
Chiesa cattolica non sia aiutata e sollecitata a sviluppare
virtualità che già possiede, ma ancora non ha espresso.
Si noterà, inoltre, che si parla sempre di piano ogget­
tivo di verità comunicata e di grazia offerta. Da un pun­
to di vista soggettivo l’accoglienza del dono divino è mi­
surata dalla responsabilità della persona.

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 37


c La Salvezza che all’uomo viene donata dallo Spirito,
direttamente o attraverso forme religiose e cristiane che
non sono la Chiesa cattolica, è autentica vita di grazia
derivata da Cristo. Essa, tuttavia, non presenta la pienez­
za oggettiva che trova nella Chiesa cattolica.
Il cattolico che si converte pienamente, oltre all’inse­
rimento ontologico in Cristo che ha col « carattere » batte­
simale, trova la possibilità della piena consapevolezza del­
l’esistenza nuova che deve condurre e l’insieme dei mezzi
appropriati per svilupparla. E non pare si tratti di elemen­
ti di poco conto, se si tien presente la logica dell’Incarna­
zione con cui Dio si offre, e la struttura insieme spirituale
e corporea dell’uomo.
Anche in questo caso va precisato che la vita di fede
e di carità che viene donata in altre forme, non si annulla,
ma si potenzia nei suoi aspetti positivi, quando l’uomo
aderisce alla Chiesa cattolica.
Va pure detto che la pienezza di grazia che si ha
nella Chiesa cattolica corrisponde al dono che viene fatto,
non all’accoglienza che questo dono incontra nella libertà
umana.

d L’unicità di Cristo che redime attraverso il suo Spiri­


to, aiuta a comprendere che a nessun uomo è data la
possibilità di Salvezza, e che nessuna comunità cristiana e
nessuna forma religiosa esiste se non perché esiste la Chie­
sa cattolica che in sé ha pienamente il Signore Gesù e i
mezzi per conoscerne totalmente la verità e per applicarne
totalmente la vita.
Si può, così, e si deve affermare che al di fuori della
Chiesa, nel suo aspetto di Sacramento di Cristo, non c’è
Salvezza: al di fuori, cioè, della Chiesa cattolica, la quale
è il « luogo » privilegiato di Cristo che comunica il suo
Spirito, e ha dei riverberi anche altrove.
Parallelamente, si può e si deve affermare che la
Chiesa cattolica è necessaria alla Salvezza, dovendo gli
uomini appartenere ad essa almeno col « cuore », se non
anche col « corpo ». Quando se ne ha la possibilità per
grazia, si è chiamati ad appartenere alla Chiesa cattolica
accettandone pienamente la struttura esteriore — il « cor­

38 LA FEDE CRISTIANA
po » — e aderendo totalmente — anche col « cuore » — allo
Spirito che in essa Cristo comunica. Quando, senza colpa,
poiché non se ne è avuta la possibilità morale, non si
aderisce pienamente alla Chiesa cattolica nella sua struttu­
ra esteriore, vi si può appartenere in modo parziale o
implicito, e si può corrispondere interiormente allo Spiri­
to. Questo atteggiamento esprime la disponibilità ad aderi­
re con totalità anche alla struttura esteriore della Chiesa,
qualora se ne avesse la possibilità.

23 La Chiesa salvante e salvata


La Chiesa è il sacramento universale di Salvezza,
dove Cristo morto e risorto è presente e agisce
mediante il suo Spirito, perché i credenti aderisca­
no sempre più a lui che si va « completando » fino
al suo Ritorno nel Regno.

a La Chiesa è essenzialmente dipendenza dal Signore


Gesù che, giunto alla gloria della resurrezione dopo la sua
morte, vuole unire a sé, mediante lo Spirito Santo, gli
uomini associandoli alla sua vita e alla sua missione, e così
arrivare alla propria « pienezza » nella lode del Padre.
Cristo è già approdato al suo destino definitivo. Egli,
però, costituito inizio e causa di Salvezza per tutti, vuole
aver bisogno degli uomini e della realtà creata per trasmet­
tere la Redenzione. Così egli « completa » il proprio esse­
re, associando a sé gli uomini che corrispondono alla sua
chiamata mediante lo Spirito.
La Chiesa è al tempo stesso realtà invisibile, poiché
rende attuale il Signore Gesù nello Spirito Santo; e realtà
visibile, poiché convoca gli uomini affinché si uniscano a
lui nella diffusione della sua verità e della sua grazia e
nella risposta di santità che egli chiede.

b Nella sua dipendenza da Cristo, la Chiesa si articola


a modo di mediazione e, insieme, a modo di partecipazio­
ne; o, se si vuole, a modo di sacralità e a modo di santità.
Essa è realtà salvante e realtà salvata.

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 39


c Si ha mediazione quando la Chiesa, nelle sue diverse
espressioni, soprattutto nella proposta normativa della ve­
rità e nei sacramenti, si pone come strumento del Signore
Gesù che in essa è presente ed agisce. Si tratta di una
strumentalità non unicamente passiva, ma che dev’essere
il più possibile consapevole e libera, poiché è umana. E
tuttavia gli esiti fondamentali di tale strumentalità, alme­
no nell’insegnamento certificante e nei sacramenti, non
sono ultimamente e unicamente commisurati né alle capa­
cità umane né alla santità di chi si pone come mediazione:
gli esiti fondamentali sono, piuttosto, commisurati a Cri­
sto stesso nella persona del quale la Chiesa opera attraver­
so i suoi membri.

d Si ha partecipazione quando la Chiesa nei suoi mem­


bri risponde alla chiamata che Cristo rivolge mediante il
suo Spirito. Allora si raggiunge nell’uomo la vita di grazia.
La quale non è da immaginare come una « cosa » separa­
ta da Dio e dall’uomo. È, invece, il rapporto sempre più
intimo che si va stabilendo tra Dio e l’uomo.
Già nel momento in cui lo Spirito si dirige alla perso­
na, si provoca un’interpellazione (grazia attuale) che illu­
mina e sollecita la persona stessa perché si stacchi dalla
propria condizione di peccato e aderisca sempre più a
Dio.
Quando, poi, la persona si decide liberamente ad
aprirsi in modo radicale — radicale almeno nello sforzo —
allo Spirito che si propone, allora lo Spirito stesso inizia
ad abitare nell’intimo dell’uomo (grazia abituale increata)
e trasforma l’uomo stesso conformandolo a Cristo (grazia
abituale creata) così da renderlo capace di ripetere nella
sua vita la vita stessa del Signore Gesù.

e La Chiesa, per il dono dell’infallibilità, non sarà mai


priva della verità rivelata (almeno nei suoi aspetti fonda-
mentali). Per il dono della indefettibilità, non sarà mai
priva della capacità di conferire la grazia e non sarà mai
priva della presenza della santità, almeno in alcuni dei
suoi membri. Formata anche da peccatori, essa è sempre
la santa Sposa di Cristo e il santo mistico Corpo di Cristo.

40 LA FEDE CRISTIANA
24 La Chiesa, unità articolata
La Chiesa è una comunione dove tutti sono chiama­
ti alla perfezione cristiana nello sviluppo della gra­
zia donata dal Signore Gesù per mezzo dello Spiri­
to, ma dove l’unità di fondo fa emergere una diver­
sità di funzioni dovuta ai ministeri e ai carismi.

a L’unità di fondo della Chiesa è data dalla dipenden­


za di tutti i suoi membri dal medesimo Spirito che innesta
nell’unico Cristo. Si tratta, però, di una unità articolata
nelle mansioni derivate dai diversi ministeri e dai vari
doni che lo Spirito offre al servizio di tutti. La responsabi­
lità di attuare la vita cristiana e la missione della Chiesa è
totale ed è di tutti. Diverso, invece, è il modo di attuare
questa responsabilità.

b Sotto il profilo della ministerialità, la Chiesa è strut­


turalmente « gerarchica ».
Non necessariamente chi è posto più « in alto » nel­
la Gerarchia dev’esser visto come umanamente più dotato
e capace, né necessariamente vive una maggiore santità.
La Gerarchia ha la responsabilità di particolari servizi a
Cristo nel proporre la verità e nel donare la grazia. Nello
svolgere questi compiti, essa non domina, ma serve il
Signore Gesù e perciò serve i fratelli di fede.

c II Papa, in forza della successione apostolica e parti­


colarmente come successore di Pietro, è, in dipendenza da
Cristo e mediante lo Spirito, capo visibile di tutta la Chie­
sa sulla quale ha una potestà piena, suprema, universale e
immediata. In virtù del suo ministero, egli gode del cari­
sma personale dell’infallibilità quando, come pastore e
maestro di tutti i fedeli, impegna totalmente l’autorità
ricevuta, insegnando « ex cathedra » verità concernenti la
fede o la morale.

d II Collegio dei Vescovi, che succede al Collegio degli


Apostoli e ha la sua massima espressione nel Concilio
ecumenico, in dipendenza da Cristo e mediante lo Spirito,

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 41


possiede, insieme e mai senza il suo Capo, il Romano
Pontefice, la suprema potestà su tutta la Chiesa e fruisce
del dono dell’infallibilità, quando col Papa e sotto la gui­
da del Papa, esercita il magistero supremo.
I singoli Vescovi, sempre in quanto successori degli
Apostoli attraverso il sacramento dell’ordine che imprime
il « carattere » mediante l’imposizione delle mani, in co­
munione col Papa e con tutti i membri del Collegio episco­
pale, presiedono in nome di Cristo le Chiese particolari
come maestri autentici di verità, pontefici e santificatoti,
guide e pastori, segni e costruttori di unità.
Le singole Chiese locali, attraverso i Vescovi che le
presiedono e le attività salvifiche che vi si svolgono, non
sono soltanto « parti », ma anche « immagini viventi » del­
la Chiesa universale a cui sono unite e che rappresentano.

e I Presbiteri, consacrati con l’Ordinazione che impri­


me il « carattere » e li rende singolarmente partecipi del
Sacerdozio e dell’autorità di Cristo, sono i più diretti colla­
boratori del Vescovo, e, in dipendenza dal Vescovo e in
unità tra loro, hanno un singolare compito di insegnare,
di santificare soprattutto mediante i sacramenti della Peni­
tenza e dell’Eucaristia, e di guidare la porzione di Chiesa
ad essi affidata per farla crescere nella vita di Cristo.

f I Diaconi, per l’Ordinazione, partecipano in modo


proprio alla missione e alla grazia del Sacerdozio e dell’au­
torità di Cristo. Essi hanno il compito di predicare, di
servire nella liturgia e nella carità.

g La « Gerarchia » che esiste nella Chiesa non implica


che alcuni — Papa, Vescovi, Sacerdoti e Diaconi — sarebbe­
ro attivi nella scoperta della verità rivelata e nell’applica­
zione della Salvezza, mentre gli altri sarebbero soltanto
passivi.
II Sacerdozio ministeriale differisce dal Sacerdozio
universale dei credenti non solo per grado, ma per essen­
za. Ciò significa che il Sacerdozio ministeriale trasforma
realmente le persone che lo ricevono nei suoi diversi gra­
di, conformandole a Cristo e perciò affidando loro compiti

42 LA FEDE CRISTIANA
particolari. Inoltre, lo svolgimento delle loro funzioni non
deve essere immaginato come un dominio, ma va pensato
come un servizio reso a Cristo e perciò al Popolo di Dio.
Del resto, anche i fedeli singoli e associati nella Chie­
sa hanno un compito attivo nell’applicazione della
Salvezza.
Per quanto concerne l’approfondimento e l’annuncio
della verità rivelata, se solo il Papa e i Vescovi uniti con
lui hanno il compito del magistero certificante a determi­
nate condizioni fino all’infallibilità, anche i credenti, in
forza del loro Battesimo, hanno, con « il senso della fe­
de », la funzione di esplicitare sempre più e di tradurre in
modo sempre più appropriato ciò che Cristo ha insegnato.
E possono riuscire in questa funzione magari anticipando
il Magistero. Possono addirittura raggiungere una infallibi­
lità « nel credere », purché siano in accordo almeno tacito
e implicito col Magistero.
Per quanto concerne, poi, il compito di santificazio­
ne, a parte il sacramento del Matrimonio che i credenti
possono celebrare come ministri, anche per gli altri sacra­
menti amministrabili solo dal Vescovo, dal Presbitero o
dal Diacono, essi, in nome del Battesimo, sono chiamati a
parteciparvi consapevolmente e attivamente secondo mo­
dalità proprie.
Per quanto concerne, ancora, la guida della Chiesa,
rimane vero che la responsabilità ultima è dei Pastori
secondo le loro competenze; ma anche i fedeli, sempre a
partire dal Battesimo, nell’atteggiamento di obbedienza,
hanno il diritto e l’obbligo di concorrere con i loro suggeri­
menti motivati e prudenti e con il loro impegno di verifica
concreta nell’attuazione dei programmi pastorali.

h La Chiesa « una » si articola in una sana pluralità


non soltanto a partire da funzioni derivate da sacramenti
— funzioni che comunicano dei ministeri a cui è pure
legato un carisma proprio —, ma anche a partire dai cari­
smi particolari, straordinari o meno, che lo Spirito Santo
concede per l’utilità di tutti.
In proposito si pensi almeno al carisma della partico­
lare consacrazione a Dio in forza della quale, a partire dal

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 43


Battesimo, alcuni credenti, sotto la sollecitazione dello
Spirito, aderiscono a Cristo in modo immediato ed esclusi­
vo, abbandonando il valore del Matrimonio, il possesso
delle cose e, entro certi limiti, la propria stessa libertà di
disporre di sé, legandosi ad una singolare obbedienza se­
condo statuti concordi al volere del Signore Gesù o anche
approvati dalla Chiesa. Si pensi ancora a laici che sviluppa­
no il loro Battesimo sforzandosi di vivere la loro vocazio­
ne cristiana nella testimonianza del Vangelo e nel contri­
buto che danno all’edificazione del Regno in questo mon­
do dentro le realtà temporali che si impegnano ad ordina­
re secondo il piano di Dio. Si pensi ancora alle diverse
« spiritualità » che insorgono all’interno della Chiesa e
che, in modo individuale o associato, hanno il compito di
sottolineare, nella totalità, alcuni aspetti del Cristianesi­
mo, o di indicare forme originali secondo cui vivere e
testimoniare il Vangelo, rendendo così la Chiesa sempre
più ricca di vitalità e di incidenza missionaria.
Come si vede, il capitolo dei carismi è vastissimo.
Quando si tratta di stabilire se un carisma è autentico
frutto dello Spirito, occorrerà non solo badare alla capaci­
tà che esso ha di aiutare la Chiesa a crescere nell’unità di
Cristo e di accogliere gli altri carismi complementari (v’è
anche il carisma di riconoscere i limiti dei propri carismi);
occorrerà anche badare alla valutazione che di esso dà la
guida della Chiesa che ha il carisma del discernimento dei
carismi.
Con qualche prevedibile attrito, un dono particolare
dello Spirito, almeno alla lunga, verrà normalmente rico­
nosciuto come tale e avrà la possibilità di esercitare la
propria influenza nella vita della Chiesa.

25 La proclamazione della Parola di Dio


In quanto sacramento di Cristo che dona il suo
Spirito, la Chiesa si esprime nella proclamazione
della Parola di Dio che si attua sia nella liturgia sia
al di fuori della liturgia, mediante la lettura comu­
nitaria della Sacra Scrittura e la sua esplicitazione e

44 LA FEDE CRISTIANA
applicazione alla Ime della professione autoritativa
di fede. Tale comunicazione del dato rivelato si
attua anche mediante l’impegno educativo e di testi­
monianza cristiana di ogni giorno.

a La Bibbia — Antico e Nuovo Testamento — ha un


posto del tutto particolare nella Rivelazione di Dio: il
Nuovo Testamento è la manifestazione scritta e normativa
— ispirata — dell’esperienza che la primitiva Comunità apo­
stolica ha fatto di Cristo. La Bibbia, tuttavia, non esprime
l’intero pensiero, la totale azione e la piena realtà di Cri­
sto in modo esplicito. Essa, dunque, ha bisogno di essere
interpretata anche alla luce di metodi storico-critici, ma
soprattutto alla luce della vita di fede che viene suscitata
nei credenti dal medesimo Spirito che ha guidato la stesu­
ra del Libro Santo. Essa, inoltre, ha bisogno di essere
attualizzata perché Cristo risponda, nel suo Spirito, alle
esigenze e alle domande dei vari tempi e dei diversi am­
bienti.
Questi compiti di penetrazione esplicitativa e di ap­
plicazione vitale della Scrittura possono e devono essere
svolti da tutti i credenti anche alla luce della lettura che la
tradizione della Chiesa ne ha già fatto. La proposta certi­
ficante e autoritativa della Rivelazione, tuttavia, è impe­
gno e servizio del Collegio episcopale, e segnatamente del
Papa, in nome della Successione apostolica che aggancia
sacramentalmente al Signore Gesù mediante un particola­
re dono dello Spirito.

b L’efficacia della proclamazione della Parola di Dio


dipende anche dalla competenza umana e dalla profondità
della vita cristiana di chi la attua.
Un’efficacia particolare, però, va riconosciuta alla pro­
clamazione della Parola in se stessa, in quanto è compiuta
dalla Chiesa come realtà globalmente sacramentale.
Almeno nella proclamazione ecclesiale della Scrittura
si deve affermare una qualche presenza — dinamica e rea­
le, anche se non pure corporea — di Cristo che dona la
luce e la forza del suo Spirito. Una presenza analoga può
in qualche modo essere riconosciuta nella proclamazione

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 45


della dottrina della fede che esplicita e rende attuale in
modo sicuro la Scrittura. Ciò sia nel contesto liturgico, sia
nel quadro dell’esistenza quotidiana.

c L’efficacia della proclamazione della Parola così chia­


rita consiste nel fatto che chi ascolta, in qualche modo
rivive il contatto con Cristo che è presente come Maestro,
Redentore e Signore dell’umanità, e interpella la persona
perché si decida, con la forza offerta dallo Spirito, ad
aderire a lui. Non si è, dunque, di fronte a un puro
insegnamento, a una semplice comunicazione di idee: an­
che se ciò ha la sua rilevanza. Si tratta anche di un’illumi­
nazione e di uno stimolo che viene dato in vista della
conversione di chi ascolta ed è chiamato a credere o a
crescere nella propria fede.

26 I Sacramenti
Il modo più efficace con cui la Chiesa esprime la
propria funzione di mediazione salvifica in dipen­
denza da Cristo per comunicare lo Spirito Santo, è
dato dalla celebrazione dei sacramenti.

a Ogni sacramento è costituito da elementi e gesti sen­


sibili che, accompagnati dalla parola, significano e attuano
una presenza e un intervento di Cristo che dona, nello
Spirito, la sua vita.

b I sacramenti, almeno nel loro nucleo fondamentale,


sono stati istituiti da Cristo. La Chiesa, secondo il pro­
prio mandato, rispettando e interpretando la volontà del
Signore Gesù, precisa ulteriormente per qualche sacra­
mento il segno e la formula in base alla grazia che viene
comunicata.

c I sacramenti sono celebrati dalla Chiesa come media­


zione attraverso un ministro umano. In essi, però, è pre­
sente e opera Cristo che applica la sua morte e risurrezio­
ne donando il suo Spirito che conferisce la grazia, edifica

46 LA FEDE CRISTIANA
la comunione ecclesiale, stimola alla missione cristiana,
sollecita alla lode di Dio e offre la capacità soprannaturale
di svolgere questi compiti.

d I sacramenti sono segni della fede ed esigono la


massima partecipazione in chi li compie e in chi li riceve.
Essi, però, esprimono la loro totale efficacia per il fatto
che sono gesti di Cristo.

e I sacramenti sono sette: Battesimo, Confermazione,


Eucaristia, Penitenza, Unzione degli Infermi, Ordine e
Matrimonio. Essi sono atti che si inseriscono nelle situa­
zioni fondamentali della vita dell’uomo e le santificano.

f II vertice e la fonte dei sacramenti è l’Eucaristia,


nella quale il Signore Gesù si rende presente anche corpo­
ralmente e ripete il Sacrificio della sua morte e risurrezio­
ne per la Salvezza degli uomini.

g Tre sacramenti, il Battesimo, la Confermazione e


l’Ordine, vengono conferiti una sola volta in vita, perché
uniscono a Cristo in alcuni aspetti della sua missione
mediante una particolare consacrazione indelebile, chiama­
ta « carattere » o « sigillo » dello Spirito. In qualche mo­
do anche il Matrimonio, mediante il vincolo, opera una
sorta di consacrazione che permane fino alla morte di uno
dei coniugi.

h Battesimo, Confermazione ed Eucaristia sono i sacra­


menti dell’iniziazione cristiana; fondano, cioè, la personali­
tà cristiana nei suoi elementi essenziali.

i Alcuni sacramenti, come il Battesimo, la Penitenza e


in certi casi l’Unzione degli Infermi, sono orientati a libe­
rare dal peccato e a concedere, nello Spirito, la vita nuo­
va. Altri sacramenti, come la Cresima, l’Unzione degli
infermi, l’Ordine e il Matrimonio, richiedono preventiva­
mente lo stato di grazia che rafforzano e specificano per
dei fini particolari che assegnano. L’Eucaristia in particola­
re esige lo stato di grazia per essere ricevuta. Innestando

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 47


nel Sacrificio di Cristo, abilita, con la forza dello Spirito,
alla missione globale del credente.

1 Ogni sacramento segna nel fedele il dono dello Spiri­


to; specifica, però, questo dono, affidando impegni deter­
minati che aiuta a svolgere mediante un soccorso appro­
priato. Il dono singolare di ogni sacramento è chiamato
« grazia sacramentale ».

27 Battesimo
Il Battesimo incorpora nella Chiesa mediante il
« carattere » che è dono dello Spirito il quale libe­
ra l’uomo dal peccato originale e da ogni colpa
personale, lo inserisce in Cristo rendendolo « figlio
nel Figlio » e Io fa partecipe in modo iniziale della
missione del Signore Gesù.

a Ministro del Battesimo è solitamente il Sacerdote o


il Diacono. In caso di necessità può essere qualsiasi cristia­
no, o anche un non battezzato, purché abbia l’intenzione
di fare ciò che fa la Chiesa. La partecipazione della Comu­
nità cristiana manifesta più esplicitamente la presenza di
Cristo nel sacramento ed esprime in modo più evidente
l’accoglienza del battezzato in seno alla Chiesa e l’aiuto
che i credenti intendono offrire a colui che inizia la vita di
grazia.

b II Battesimo viene conferito versando dell’acqua sul


capo del battezzando, o immergendo il battezzando stesso
nell’acqua, mentre il ministro recita la formula: « Io ti
battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo ».

c II Battesimo, mediante il « carattere », introduce nel­


la Chiesa, toglie ogni peccato, rende il cristiano figlio di
Dio, dona l’inabitazione dello Spirito che conforma all’es­
sere di Cristo e offre le virtù teologali che sviluppano nel
credente la vita di Cristo stesso. Unisce anche in modo

48 LA FEDE CRISTIANA
iniziale e generale alla missione del Signore Gesù, per
svolgere la quale offre gli aiuti necessari.
La missione e la grazia del Battesimo dovranno poi
trovare una specificazione secondo le diverse vocazioni
cristiane.

d II Battesimo viene conferito anche ai bambini prima


dell’uso di ragione, quando i genitori e la comunità cristia­
na in cui questi piccoli sono inseriti vogliono offrire loro
la vita divina in cui credono e quando si incaricano del­
l’educazione che ne consegue.

28 Confermazione
La Confermazione è il sacramento che dona al bat­
tezzato una particolare effusione dello Spirito San­
to perché il credente venga sempre più inserito
nella Chiesa e unito a Cristo nella crescita e nell’ir-
robustimento della vita di grazia in vista di una
coraggiosa testimonianza cristiana.

a La Confermazione è normalmente amministrata dal


Vescovo. In casi particolari può essere amministrata da
un sacerdote autorizzato. La partecipazione della Comuni­
tà rende il ministro ancor meglio espressione di Cristo, e
sostiene i cresimandi perché possano aprirsi totalmente al
dono dello Spirito e agli impegni che assumono.

b La Confermazione viene amministrata mediante l’im­


posizione della mano mentre il ministro segna la fronte
del battezzato col crisma a forma di croce e pronuncia la
formula: « Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è
dato in dono ».

c La Confermazione dona il « carattere » nella pienez­


za dello Spirito e fortifica la vita cristiana. In questo
modo abilita a superare le difficoltà che la fede incontra, a
operare le scelte cristiane ed umane secondo le illumina­
zioni e le sollecitazioni dello Spirito e a render conto a

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 49


tutti della fede che si professa e della vita nuova che si
sperimenta.

29 Eucaristia
L’Eucaristia è il sacramento che, come memoriale,
ripete e ripresenta il mistero pasquale, cioè il Sacri­
ficio della morte e risurrezione di Cristo, perché la
Chiesa, nello Spirito, ne partecipi pienamente per la
Salvezza del mondo. Il Signore Gesù nell’Eucaristia
è presente non solo attraverso la comunità, la procla­
mazione della Parola e l’azione del sacerdote: sia
durante la celebrazione che in dipendenza dalla cele­
brazione, è presente soprattutto, attraverso la « tran­
sustanziazione » — vale a dire mediante il mutamen­
to della realtà del pane e del vino — nella sua piena
umanità risorta e nella sua Divinità. Rimangono sol­
tanto le apparenze del pane e del vino che acquista­
no nuovo significato e nuova finalità. Cristo si rende
presente attraverso il ministero della Chiesa e per
unire tutta la Chiesa nella sua donazione al Padre
per la Salvezza di tutti gli uomini.

a Ministro dell’Eucaristia è il Sacerdote il quale consa­


cra il pane e il vino che vengono poi distribuiti anche ai
fedeli. Al Sacerdote si unisce la Comunità cristiana non
per consacrare la « materia » del sacramento, ma per offri­
re al Padre, nello Spirito, il Signore Gesù e per offrirsi al
Padre, nello Spirito, con il Signore Gesù che si rende
presente sull’altare per rinnovare il suo Sacrificio.

b L’Eucaristia si celebra a forma di banchetto che ripe­


te l’ultima Cena e anticipa il convito celeste. Durante
questo banchetto il Sacerdote, come rappresentante di Cri­
sto e in seno alla comunità, dopo la lettura e la spiegazio­
ne attualizzante della Scrittura, sul pane e sul vino, frutto
della terra e del lavoro dell’uomo, ripete, nella forza dello
Spirito, le parole di Cristo: « Prendete e mangiate, questo
è il mio Corpo; prendete e bevete, questo è il calice del

50 LA FEDE CRISTIANA
mio Sangue ». Così il Signore Gesù si rende presente
anche corporalmente; dal Presbitero in unione con la
Chiesa intera viene offerto al Padre, e viene distribuito ai
fedeli perché ne mangino e in tal modo diventino come
« una sola cosa » in Cristo attraverso lo Spirito per la
gloria di Dio.

c L’Eucaristia richiede, per essere celebrata e ricevuta,


la grazia santificante. In quanto partecipazione al Sacri­
ficio di Cristo, l’Eucaristia impegna a compiere l’intera
missione del Signore Gesù, e a questo scopo offre l’aiuto
globale. Tale missione, però, è chiamata a specificarsi se­
condo le diverse vocazioni cristiane, per attuare le quali
l’Eucaristia dona pure degli aiuti singolari.

d L’Eucaristia viene conservata anche dopo la celebra­


zione, poiché anche dopo la celebrazione essa è presenza
reale, anche corporea, di Cristo morto e risorto, che rima­
ne con la sua Chiesa affinché sia adorato costantemente
dai fedeli e offerto in cibo a tutti coloro che lo chiedono,
particolarmente agli infermi.

30 Penitenza
La Penitenza o Riconciliazione è il sacramento del
perdono che Cristo, donando il suo Spirito, conce­
de, attraverso il ministero della Chiesa, a coloro
che hanno peccato dopo il Battesimo e che si pen­
tono, collaborando all’opera di Dio che vuole tutti
salvi.

a II ministro della Penitenza è il Sacerdote. Il peccato­


re, dopo un esame di coscienza svolto alla luce della Paro­
la di Dio, è impegnato a dolersi e ad esprimere gli atti
della conversione collaborando con Dio a costituire il sa­
cramento. La Comunità cristiana, anche nel caso dell’am­
ministrazione il più possibile personale del rito, è chiama­
ta ad unirsi al Sacerdote non perché essa dia l’assoluzione,
ma perché, in rappresentanza di Cristo, il prete è capo del

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 51


Popolo di Dio, e la presenza del popolo di Dio aiuta il
ministro ad essere più chiaramente ed efficacemente stru­
mento del Signore Gesù. La Comunità cristiana è chiama­
ta pure a sostenere il penitente perché questi, anche in
forza della carità, dell’esempio e della preghiera dei fratel­
li, si disponga a sempre meglio reinserirsi nella Chiesa,
ricevendo così il perdono delle proprie colpe.

b L’unico modo ordinario di celebrazione del sacramen­


to della Riconciliazione esige che il credente, consapevole
della propria condizione di colpa, intimamente pentito e
deciso a staccarsi dal male e ad aderire nuovamente a
Cristo nello Spirito, confessi i propri peccati — almeno i
singoli peccati mortali — al sacerdote, e ne riceva l’assolu­
zione insieme con l’imposizione di un’opera penitenziale.
L’accusa delle singole colpe — almeno delle colpe
mortali — non è imposta da un obbligo esteriore e immoti­
vato. Non è neppure soltanto l’espressione di un’esigenza
psicologica di « rivelarsi » a qualcuno. Si tratta della esi­
genza intima che il peccatore deve riconoscere in se stes­
so, perché « dica » a Cristo, in chiave individuale, la pro­
pria reale condizione così da essere in qualche modo « ri­
creato » da Cristo stesso in ciò che il peccato ha distrutto
nella persona. Il Signore Gesù non vuole e non « può »
intervenire senza la consapevolezza dichiarata delle colpe
e senza l’accoglienza del perdono da parte del penitente.
A ciò si aggiunga il fatto che Cristo offre la sua misericor­
dia nel sacramento della Penitenza attraverso la mediazio­
ne della Chiesa a chi ha rifiutato la grazia dopo il Battesi­
mo. L’accusa delle colpe si rivela così anche come il modo
di agire necessario perché il ministro del sacramento possa
svolgere la propria funzione di « giudice » misericordioso
e di « medico » tenerissimo a nome del Signore Gesù.
Senza dire che l’accusa è pure un gesto che esprime, con
la riservatezza esigita, la dimensione comunitaria delle
conseguenze del peccato.
La formula essenziale dell’assoluzione dice: « Dio,
Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo
nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo
Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda,

52 LA FEDE CRISTIANA
mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E
io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo ».
Il rito della Penitenza sacramentale può essere util­
mente svolto anche con una preparazione e un ringrazia­
mento comunitario sotto la guida della Parola di Dio,
sempre, però, mantenendo l’accusa e l’assoluzione per­
sonale.
Tranne che in casi eccezionali e particolarissimi con­
sentiti dalla legge della Chiesa, non è secondo l’intenzione
di Cristo comunicare il perdono mediante assoluzione ge­
nerale dopo un’accusa comunitaria e generica. Anche in
questi casi, comunque, chi ha ricevuto il perdono sacra­
mentale è tenuto all’accusa personale almeno dei peccati
gravi anche già perdonati, prima di ricevere un’altra asso­
luzione comunitaria o, al più, entro l’anno. Ciò perché la
celebrazione del sacramento con accusa comunitaria e ge­
nerica rimanda costitutivamente al momento personale
del perdono offerto dal Signore Gesù attraverso l’azione
del ministro in seno alla Chiesa. In Italia, comunque, i
Vescovi non hanno consentito questa forma di amministra­
zione del sacramento della penitenza, se non in caso di
pericolo di morte. E così in quasi tutta l’Europa.
Rimane sempre diritto del singolo credente, oltre
che norma generale della Chiesa, la quale interpreta il
pensiero e la volontà di Cristo, ricevere il perdono sacra­
mentale dopo l’accusa personale e con assoluzione pure
personale.

c II sacramento della Penitenza, nel caso di peccato


grave, riammette il peccatore nel mistero della Chiesa e
così offre di nuovo la grazia che per mezzo dello Spirito
inserisce e conforma il credente a Cristo. Come grazia
propria, questo sacramento suscita in colui che è perdona­
to una profonda avversione al peccato e un’attrazione sin­
golare verso il bene; dona pure una nuova capacità di
comprendere e di attuare la vocazione che Dio rivolge al
peccatore convertito.

d La grazia nuovamente ricevuta nel sacramento esige

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 53


uno stile di vita sempre più conforme a Cristo: stile di vita
che è espresso, a modo di segno sacramentale, nella soddi­
sfazione, la quale deve manifestarsi in senso opposto ai
peccati confessati e nella linea della conversione raggiunta.

e È pratica raccomandata dalla Chiesa il confessarsi


non solo in caso di peccato grave, ma anche in caso di
colpa soltanto veniale, perché il penitente riceva dal Signo­
re Gesù una sempre maggiore « grazia sacramentale », si
inserisca in modo sempre più profondo nella « logica del­
l’Incarnazione » che nel sacramento della Penitenza rag­
giunge il singolo nella sua intimità più profonda, e sia
aiutato, anche con la pratica della « direzione spirituale »,
spesso unita alla confessione frequente, a precisare sem­
pre più lucidamente la propria chiamata cristiana per po­
terla attuare perfettamente con la forza donata da Dio.

31 Unzione degli infermi


L’Unzione degli infermi è il sacramento che ai cri­
stiani seriamente ammalati o debilitati dall’età do­
na di potersi unire a Cristo sofferente perché, nello
Spirito, trovino conforto al dolore e anche la salute
fisica, se questa è secondo il vero bene voluto da
Dio. Questo sacramento purifica anche, se necessa­
rio, dai peccati e sostiene nel passaggio della morte
perché questo avvenga in unità col Signore Gesù e
in espiazione delle colpe proprie commesse duran­
te la vita e dei peccati dell’umanità.

a Ministro dell’Unzione degli infermi è il Sacerdote.


La Comunità cristiana è chiamata a partecipare perché
Cristo vi agisca con la maggiore efficacia possibile e per­
ché il malato sia sostenuto dai fratelli uniti nel medesimo
Spirito.

b Questo sacramento viene celebrato ungendo il soffe­


rente con l’olio degli infermi almeno sulla fronte e sulle
mani, mentre il Sacerdote recita la formula: « Per questa

54 LA FEDE CRISTIANA
santa unzione e per la sua piissima misericordia, ti aiuti il
Signore con la grazia dello Spirito Santo. E, liberandoti
dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi ».

c Come si è detto, l’Unzione degli infermi, se necessa­


rio, rimette i peccati. Questo sacramento ha pure una
grazia propria: quella di unire il malato o il debilitato a
Cristo per renderlo capace di concedersi, nella forza dello
Spirito, alla volontà del Padre, ottenendo la guarigione
dalla malattia o affrontando il dolore e la morte in espia­
zione dei propri e altrui peccati, per la salvezza degli
uomini e a lode di Dio.

32 Ordine
L’Ordine è il sacramento con cui la Chiesa, agendo
in nome di Cristo, mediante una nuova comunica­
zione dello Spirito, configura realmente, permanen­
temente e in modo peculiare, attraverso il « caratte­
re » sacerdotale, un battezzato al Signore Gesù
Maestro sommo e unico, Sacerdote eterno della
Nuova Alleanza e Capo della Chiesa.
Il sacramento dell’Ordine è strutturato in tre gra­
di: Episcopato, Presbiterato e Diaconato.
Le funzioni che ne derivano e gli aiuti divini che
sono collegati ai diversi ministeri dipendono dal
grado nel quale si partecipa al magistero, al sacer­
dozio e all’autorità di Cristo.

a Ministro del sacramento dell’Ordine è il Vescovo.


Nel caso della consacrazione di un Vescovo, devono esse­
re presenti, oltre il celebrante, anche altri Vescovi — alme­
no due — per significare ed esprimere l’immissione del­
l’eletto nel Collegio episcopale. La Comunità cristiana pre­
sente non si limita ad assistere, ma collabora con l’acco­
glienza e la preghiera perché Cristo conformi a sé in modo
totale l’ordinando.

b L’Ordine è conferito attraverso l’imposizione delle

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 55


titani e la proclamazione di un’apposita formula consa-
cratoria.

c II Vescovo con l’ordinazione riceve la pienezza del­


l’Ordine sacro. Egli viene immesso nel Collegio episcopa­
le e, in unità e subordinazione al Papa, con gli altri Vesco­
vi ha la responsabilità di tutta la Chiesa; mediante un atto
di giurisdizione riceve la responsabilità diretta di una Chie­
sa particolare, dove è Maestro autentico di fede, santifica-
tore supremo e guida autorevole.
Il Presbitero con l’Ordinazione è inserito nel Presbite­
rio e così riceve il potere di predicare, di santificare, soprat­
tutto mediante la celebrazione dell’Eucaristia, della Peniten­
za e dell’Unzione degli infermi, e di guidare la comunità
cristiana. Con un atto di giurisdizione, in leale e cordiale
dipendenza dal Vescovo e in comunione spirituale, affettiva
e fattiva, con i confratelli sacerdoti, viene incaricato della
cura pastorale di una determinata comunità.
Il Diacono con l’Ordinazione riceve il potere di pre­
dicare, di santificare, soprattutto mediante il conferimento
del Battesimo, e di curare lo svolgimento della carità cri­
stiana in dipendenza dal Vescovo e dai Sacerdoti del Pre­
sbiterio e in comunione con gli altri Diaconi della Diocesi.

d La conformazione a Cristo offerta nei diversi gradi


dell’Ordine non si limita ad attribuire delle funzioni che
sono servizi, ma dona anche gli aiuti divini necessari per­
ché tali funzioni vengano svolte nella piena adesione allo
Spirito del Signore Gesù.

33 Matrimonio
Il Matrimonio è il sacramento per cui un uomo e
una donna, battezzati, ripetono in una comunione
totale di vita e di amore, il mistero di Cristo che,
nel vincolo dello Spirito, si dona, si unisce alla
Chiesa e la rende feconda. Tale comunione indisso­
lubile nasce da un mutuo e irrevocabile consenso
scambiato all’interno della Comunità cristiana.

56 ■ LA FEDE CRISTIANA
Questo consenso, seguito poi da un’effettiva appar­
tenenza reciproca, insieme fìsica e spirituale, tra­
sforma gli sposi in modo peculiare nel Signore Ge­
sù e li orienta ad una comunione sempre più inti­
ma tra loro e ad aprirsi alla procreazione e all’edu­
cazione dei figli.

a I ministri del Matrimonio sono gli stessi sposi che si


scambiano il consenso in seno alla Chiesa e iniziano una
vita di comunione reciproca totale. La Comunità cristiana è
chiamata normalmente a partecipare al rito del Matrimonio
non solo con la presenza dei fratelli di fede, ma anche con
la presenza e la testimonianza ufficiale di colui che presiede
la Comunità stessa. Una simile partecipazione dice la dimen­
sione ecclesiale del fatto. Dice anche la ratifica che Cristo
pone alla scelta, e l’aiuto che viene offerto agli sposi.

b II Matrimonio fa insorgere negli sposi un vincolo


che è come una consacrazione la quale li unisce sempre
più profondamente e li sospinge all’impegno di una fecon­
dità responsabile, cioè prudente e generosa, all’impegno
di una educazione cristiana dei figli e al compito di costrui­
re in modo proprio la Chiesa e la società umana. Infatti,
Cristo che si dona alla Chiesa, amandola di amore fecon­
do fino alla morte di Croce, non è solo un modello esterio­
re al Matrimonio: è anche la realtà che misteriosamente
gli sposi rivivono nel Matrimonio e nella famiglia.

34 La preghiera della Chiesa


La Chiesa è strumento di Salvezza non solo nella
proclamazione della Parola e nella celebrazione dei
sacramenti, ma anche nella preghiera, particolar­
mente nella preghiera pubblica e ufficiale, che essa,
nello Spirito, per mezzo di Cristo, eleva al Padre.

a Già la Parola annunciata e i sacramenti amministra­


ti, come si è visto, sono singolari atti di culto a Dio, oltre
che gesti di Redenzione.

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 57


b La Chiesa partecipa alla preghiera di Cristo non solo
con la pratica religiosa dei singoli, ma anche e soprattutto
con l’adorazione, la gratitudine, l’invocazione e la propizia­
zione che essa manifesta come Comunità, Sposa e Corpo
del Signore Gesù, nelle diverse espressioni liturgiche.
I « sacramentali » (benedizioni, dedicazioni, ecc), in
particolare, tendono ad unire a Cristo le diverse circostan­
ze della vita umana e le varie realtà che l’uomo utilizza
nella sua vita.
L’Anno liturgico, poi, recupera il senso delle diverse
stagioni, facendo rivivere ai credenti le tappe del disegno
di Salvezza.
La Liturgia delle Ore, ancora, offre significato religio­
so e cristiano alle diverse fasi del giorno.

c La Chiesa, proprio perché prega sospinta dallo Spiri­


to, in unità e dipendenza da Cristo che in essa abita, si
santifica incessantemente e diviene sempre più strumento
di Salvezza per i suoi membri e per tutti gli uomini.

35 La missione della Chiesa


La missione della Chiesa consiste nell’annuncio del
Vangelo che, in dipendenza da Cristo e con l’aiuto
dello Spirito, fa nascere nell’uomo la fede che lo
sospinge ad inserirsi nella Chiesa mediante il Batte­
simo. Una dimensione costitutiva dell’evangelizza­
zione è la promozione dell’uomo in tutti i suoi
aspetti personali e comunitari.

a Essendo la Chiesa mediazione e partecipazione alla


vita di Cristo in senso pieno, si può e si deve affermare
che l’appartenenza alla Comunità di Salvezza è necessaria
all’uomo, come si è spiegato. Simile appartenenza viene
suscitata dall’annuncio del Vangelo e si compie mediante
il sacramento del Battesimo che dona la grazia a chi corri­
sponde liberamente alla chiamata di Cristo.

b La promozione umana in tutte le sue componenti


58 LA FEDE CRISTIANA
personali e comunitarie ron solo è prova della predicazio­
ne della Salvezza, ma è anche una dimensione costitutiva
della Salvezza stessa. Cristo è venuto per liberare l’uomo
dal peccato e dalle sue conseguenze e per offrire una vita
nuova che recupera, purifica e porta a compimento l’uomo
nella sua totalità unitaria e nel suo legame col cosmo.

c II motivo che spiega il dovere dell’evangelizzazione è


il comando di Cristo: « Andate, predicate il Vangelo, bat­
tezzate ». Questo comando è motivato dal fatto che gli
uomini, pur potendosi salvare per un intervento di Cristo
mediante il suo Spirito anche senza incolpevolmente aderi­
re alla Chiesa cattolica in modo esteriore, soltanto nella
Chiesa cattolica possono oggettivamente raggiungere la
piena consapevolezza e la piena attuazione della Redenzio­
ne operata dal Signore Gesù. Soltanto la Chiesa cattolica,
infatti, possiede, a modo di dono, i mezzi che trasmettono
con sicurezza la verità rivelata e comunicano con certezza
e compiutamente la grazia di Cristo. Si tratta di un’esigen­
za dell’uomo a cui corrisponde un’esigenza di comunicare
i doni ricevuti, da parte del credente, perché questi sia
veramente se stesso.
Il motivo che spiega il dovere della promozione uma­
na, con preferenza per i « poveri », oltre che dal comando
di Cristo che impegna ad amare i fratelli, è dato dal fatto
che la vita di fede e di grazia che si vuole comunicare,
esige che l’uomo si sviluppi in tutte le sue virtualità.

d L’impegno di evangelizzazione e di promozione uma­


na è originariamente di tutti i fedeli e della comunità
come tale. A partire dalle varie vocazioni cristiane, simile
impegno dev’essere diversamente attuato da coloro che
sono consacrati nell’Ordine, da coloro che hanno scelto
l’immediata ed esclusiva appartenenza a Cristo nella vita
religiosa e dai laici. I laici sono chiamati a vivere nel
mondo trattando le realtà temporali e ordinandole al Re­
gno secondo il disegno divino.
I religiosi hanno il compito di richiamare la priorità
assoluta di Cristo e della partecipazione alla sua esistenza
di grazia, che relativizza ogni conquista umana e cosmica.

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 59


I Vescovi, i Presbiteri e i Diaconi svolgono la funzio­
ne di chi offre i motivi supremi e la forza per esprimere
tutte le vocazioni cristiane attraverso la predicazione, i
sacramenti e la guida della Comunità.

e L’evangelizzazione dev’essere attuata in forma per­


sonale. Essa è chiamata a manifestarsi anche in forma
comunitaria, soprattutto mediante l’animazione cristiana
delle culture. Attraverso le culture, la fede è vissuta in
unità con l’essere e il divenire dell’uomo, come famiglia,
come aggregazione sociale, come popolo, come umanità
intera.
La fede, infatti, non esiste mai allo stato puro. Essa
deve come « incarnarsi » nei diversi contesti culturali che
incontra, ed anzi suscitarne di nuovi, con la convinzione,
tuttavia, che il Cristianesimo, nella ricchezza del mistero
del Signore Gesù, non sarà mai esaurito da nessuna attua­
zione storica.
A questo scopo occorrerà che i credenti si confronti­
no seriamente con la realtà del « mondo ». Questo non è
soltanto l’universo che esce « buono » dalle mani di Dio.
È anche l’umanità che, insidiata da Satana, rifiuta la
Salvezza di Dio; è anche l’umanità che, vivendo nel pecca­
to, si apre, sotto lo stimolo dello Spirito, a ricevere il
perdono e la grazia del Signore Gesù. Il « mondo » del
peccato e del bisogno di misericordia vive anche nel cuore
del credente e nella componente umana della Chiesa.
In tal senso il « dialogo » del Cristianesimo col
« mondo » riconoscerà sempre i germi di verità e di valo­
re che lo Spirito può misteriosamente aver disseminato in
ogni situazione. Non dimenticherà, però, che tali germi
sono già contenuti, almeno in implicito, in Cristo; e che
nella storia sono spesso commisti con limiti, errori e conse­
guenze del peccato. Così l’« inculturazione » del Cristiane­
simo avrà sempre la premura di purificare e di perfeziona­
re i contesti umani, che incontra. Avrà sempre anche cura
di non legare inscindibilmente il Cristianesimo a contesti
umani, pure quando questi sono in qualche modo già
vagliati e perfino suscitati dalla fede.
Nel « dialogo » la fede dovrà prevedere degli scontri

60 LA FEDE CRISTIANA
con le chiusure delle culture — o delle ideologie — che
accosta. Dovrà pure disporsi ad essere arricchita nell’espli-
citazione delle verità e dei valori che già possiede in Cri­
sto. Non potrà mai rinunciare a porsi anche come propo­
sta del Signore Gesù che misura e suscita tutte le verità
ed i valori che si riscontrano o si possono riscontrare nella
storia.

f Anche la promozione umana è chiamata ad esprimer­


si sia in chiave personale sia in chiave comunitaria all’in­
terno della società.
I « poveri » sono anche coloro che mancano del pa­
ne, del lavoro e della possibilità di esprimersi pienamente
come uomini. Sono pure coloro che, in nome delle pro­
prie convinzioni religiose, vengono privati dei diritti fon­
damentali della persona.
Così il cristiano, senza lasciarsi strumentalizzare dai
potenti che dipendono da un’ideologia non rispettosa del­
l’uomo, si unirà con altri uomini per vincere la fame, la
disoccupazione, ecc. Poiché, però, la fede genera un nuo­
vo stile di pensiero e di vita perfettamente umano, il
credente, secondo le opportunità e le necessità, si unirà
anche ad altri credenti per stabilire, dentro il contesto
sociale, delle aggregazioni ispirate dalla fede, che si ponga­
no come punti profetici di riferimento di un nuovo modo
di essere e di agire, ad esempio nei settori dell’educazione,
dell’elaborazione culturale, dell’assistenza, del tempo libe­
ro, ecc. Ciò anche se i credenti sono minoranza dentro un
certo quadro sociale. Per un diritto inalienabile. Avendo
l’avvertenza di non contrapporsi agli altri in modo immoti­
vato. Cercando, anzi, di far valere questa possibilità per
tutti. Sempre badando a non lasciarsi strumentalizzare o
privare della propria originalità. È lecito e talvolta dove­
roso che i credenti non siano e non collaborino con tutti,
anche se devono mettersi al servizio di tutti. Se non si ha
paura delle parole, occorre affermare che i cristiani sono
anche chiamati a fare politica, puntando pure a divenire
maggioranza in modo democratico, nel pieno rispetto dei
diritti fondamentali di tutti, ed entro gli orizzonti del
bene comune.

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 61


36 La Chiesa, realtà escatologica
La Chiesa è interamente realtà escatologica. Essa
anticipa, prepara e invoca il Regno di Dio che
verrà. Al « Ritorno » di Cristo, essa cesserà di
essere mediazione, e la vita di grazia si trasforme­
rà in gloria.

a La dimensione escatologica è da riscontrare in ogni


gesto e in ogni espressione della Chiesa: tutto in lei è
orientato alla « pienezza » del Signore Gesù morto e risor­
to che ha voluto essere « completato » nel suo mistero
con la collaborazione degli uomini.

b La Chiesa anticipa il Regno che verrà perché già da


ora dipende da Cristo che in lei è presente ed opera, e che
costituisce il motivo ultimo della gloria futura.

c La Chiesa, ancora, anticipa il Regno che verrà, per­


ché l’esistenza di grazia che i credenti vivono nell’inabita-
zione dello Spirito che conforma a Cristo, è la stessa
esistenza di grazia che fiorirà nella gloria per chi vi è
rimasto fedele. Solo muterà il modo di sperimentare tale
possesso dello Spirito e tale mutamento nel Signore Gesù.
La fede e la speranza cadranno alle soglie dell’eternità. La
carità rimarrà e avrà il proprio pieno sviluppo. Un simile
rapporto immediato con Cristo viene sperimentato in mo­
do singolare nella vita di particolare consacrazione religio­
sa e nel martirio.

d La Chiesa, ancora, anticipa il Regno che verrà, per­


ché già da ora riunisce gli uomini di diversa provenienza
nell’unità dell’identico Spirito che incorpora nell’identico
Cristo; e già da ora, attraverso l’impegno dei suoi figli e di
tutti gli uomini, pur con tante ambiguità, limiti e colpe,
aiuta a dominare il creato e a costituire una convivenza
umana sempre più fraterna.

e La Chiesa, inoltre, anticipa il Regno che verrà, per­


ché già da ora è congiunta ai credenti che, dopo la morte,

62 LA FEDE CRISTIANA
sono approdati al contatto immediato con Cristo o a tale
contatto immediato si preparano attraverso la purificazio­
ne da ciò che rimane dei peccati. Vista nel vincolo della
carità, e non solo nei suoi elementi esteriori, infatti, la
Chiesa è l’unione vitale di quanti sono in Cristo: i pellegri­
nanti in terra, i defunti nello stato di purificazione e i
beati. Tra questi membri della Chiesa si dà non solo
comunione, ma anche mutua donazione di beni di grazia.
La Chiesa ricorda continuamente i suoi figli defunti
e li soccorre nella loro eventuale esigenza di definitiva
purificazione con preghiere e opere di suffragio. Essi, a
loro volta, possono pregare e soccorrere i vivi.
La Chiesa prega e venera con culto sia pubblico che
privato i Santi, cioè coloro che godono della beatitudine
eterna in Dio, e singolarmente coloro che per giungere a
tale beatitudine hanno condotto una vita eroica. I Santi, a
loro volta, ci amano nella pienezza della carità e sono
nostri intercessori e modelli nel cammino verso Dio.
Il culto e la comunione coi Santi nulla toglie all’unici­
tà di Cristo come Redentore: essi, infatti, sono l’esito e il
coronamento dell’opera del Signore Gesù.

f Una devozione del tutto particolare la Chiesa riserva


alla Madonna. Maria è stata preservata dal peccato origina­
le fin dal suo concepimento perché fosse la Madre di Dio.
Verginalmente concepì il Verbo fatto uomo e lo diede alla
luce. A lui si unì totalmente nell’opera di Salvezza svolta
soprattutto col Sacrificio della croce. A lui è congiunta
nella gloria dove, senza patire la corruzione del sepolcro,
è stata assunta in anima e corpo, e dove è stata costituita
per noi mediatrice di ogni grazia. Maria si pone, dunque,
in Cristo, come Madre della Chiesa e di tutti i credenti, e
come immagine perfetta e motivo di sicura speranza per
l’intera storia di Salvezza.

g La Chiesa non solo anticipa, ma prepara il Regno che


verrà al ritorno di Cristo. Questa preparazione si svolge
nella missione evangelizzatrice, nella celebrazione dei sacra­
menti, nel crescere della grazia nell’intimo di ogni uomo e
nell’impegno per umanizzare sempre più la vita terrena.

LO SPIRITO, LA CHIESA, IL REGNO 63


h Poiché il Regno non sarà unicamente frutto dello
sforzo umano, ma innanzitutto dono di Dio in Cristo
attraverso lo Spirito, la Chiesa invoca che il Signore Gesù
venga a riparare il male compiuto dagli uomini ed a recu­
perare, purificare e portare a pienezza tutti i valori di
verità e di grazia e gli stessi valori cosmici che sono stati
espressi lungo la storia.

i Al termine del tempo, la Chiesa, di fronte a Cristo


che ritorna, cesserà di esistere nel suo aspetto di mediazio­
ne: della Chiesa rimarrà soltanto l’aspetto di partecipazio­
ne alla vita del Signore Gesù nello Spirito in tutta la
ricchezza umana e cosmica di questo rapporto immediato.

37 I « novissimi »
La dimensione escatologica della Chiesa viene vis­
suta nell’esperienza della singola persona che muo­
re, che viene giudicata da Cristo, viene destinata
alla beatitudine — magari dopo una eventuale puri­
ficazione — o alla dannazione in base alle opere
compiute, e viene chiamata alla resurrezione dei
morti alla fine del tempo. La singola persona non
può essere considerata in una prospettiva soltanto
spirituale e individuale: deve essere vista nella sua
totalità di anima e di corpo, e nella sua unione con
gli altri uomini e con il cosmo.

a La morte, pur essendo un atto strutturale alla perso­


na, concretamente viene vissuta nei suoi tormenti come
conseguenza del peccato originale e delle colpe persona­
li. Essa, a chi la affronta in unione con Cristo, appare
come un passo inevitabile e salutare verso la beatitudi­
ne: per compiere tale passo, lo Spirito offre un aiuto
singolare nella speranza e nella forza per sopportare il
dolore.

b Con la morte cessa nell’uomo ia capacità di rivedere


le scelte della propria libertà. La persona si fissa definitiva­

64 LA FEDE CRISTIANA
mente nel bene o nel male a cui ha deciso di aderire lungo
l’esistenza terrena.

c Con la morte l’uomo non finisce, ma entra in una


vita nuova dove l’elemento spirituale, alla conclusione del­
la storia, si completerà con la dimensione corporea tra­
sfigurata.

d Al termine della vita terrena, ogni uomo, incontran­


dosi con Cristo, nella luce e nella forza dello Spirito,
prende inevitabilmente coscienza della propria condizione
di grazia, di esigenza di purificazione, o di peccato.
Non bisognerà immaginare il Signore Gesù come un
giudice che si vendica di fronte al peccatore. Egli, come
giudice, è e rimane la definitiva proposta d’amore che il
Padre consegna nello Spirito per la Salvezza di tutti. Tale
proposta d’amore, tuttavia, può essere accolta pienamen­
te, accolta con mediocrità, o rifiutata.

e L’uomo che muore nella grazia generosamente vissuta


o recuperata, sperimenta, in una gioia piena e definitiva, il
rapporto diretto di inabitazione dello Spirito in lui e l’unio­
ne immediata e irrivedibile con Cristo a gloria del Padre.
Egli, ancora, raggiunge una letizia profonda nel ritrovare,
in unione con il Signore Gesù e nel vincolo dello Spirito, i
Santi che l’hanno preceduto nella gloria. Egli, ancora, alla
fine del tempo, godrà pienamente della propria dimensione
affettiva e corporea risuscitata. Egli, inoltre, alla fine del
tempo, godrà dell’unione con la creazione rinnovata dallo
sforzo umano e dalla potenza di Dio.
Questa beatitudine — il Paradiso — è il fine vero e
totale per cui Dio ha creato e redento l’uomo.

f L’uomo che muore ostinandosi nel peccato radicale


si trova in una totale opposizione allo Spirito e in un
completo rifiuto di Cristo che pure lo ama e lo vuole
salvare. Egli, ancora, si chiude in una sdegnosa solitudine
che ignora e contrasta gli altri. Egli, ancora, alla fine del
tempo, avvertirà la dimensione affettiva e corporea resusci­
tata come un motivo di peso e di sofferenza. Egli, inoltre,

LO SPIRITO, LA CHIESA. IL REGNO 65


alla fine del tempo percepirà la creazione rinnovata come
una ragione di contrasto e di dolore.
Questa dannazione segna una netta contrapposizione
tra il fine a cui l’uomo è chiamato e a cui lo orienta la più
profonda tendenza interiore, e la condizione nella quale
egli si è posto liberamente. Il dannato, d’altra parte, non
può « autodistruggersi » né nel suo essere né nel suo
orientamento.
A parte gli Angeli ribelli, la fede non ci dà nessuna
nozione su chi è di fatto nella situazione di dannazione.
Più che interrogarsi su chi è o può essere dannato, o
addirittura se vi è qualche dannato, è doveroso personaliz­
zare la riflessione e considerare la possibilità che ciascuno
ha di fallire liberamente il proprio destino, e confidare
nella speranza in Dio che è infinita misericordia, oltre che
infinita giustizia.

g L’uomo che, non perfettamente liberato dalle col­


pe, muore in una non piena adesione a Cristo, passa
attraverso uno stato di penosa — e al tempo stesso gioio­
sa — purificazione ultraterrena, che, nella certezza di unir­
si pienamente al Signore Gesù, gli toglie ogni traccia di
peccato e lo rende degno di partecipare al gaudio eterno
nel Regno.
Tale purificazione ultraterrena non è frutto di una
sorta di « vendetta » di Dio, ma esigenza di un amore che
tende alla perfezione.

h Alla fine dei tempi, Cristo ritornerà per rivelarsi,


nello Spirito, pienamente Signore degli uomini e dell’uni­
verso. Egli, che con la sua morte ha vinto la morte, chia­
merà tutti alla risurrezione: ognuno risorgerà con il pro­
prio corpo, per la beatitudine o la dannazione. Egli, anco­
ra, svelerà compiutamente il senso di tutte le vicende
personali e storiche. Egli, inoltre, ricapitolerà in sé tutte
le cose per consegnarle al Padre: tutta la creazione, infat­
ti, che aspetta la manifestazione della gloria dei figli di
Dio, sarà liberata dalla corruzione, e, nella sua ritrovata
piena armonia con l’uomo, esulterà per sempre nei Cieli
nuovi e nella Terra nuova.

66 LA FEDE CRISTIANA
SEZIONE II

L’AGIRE CRISTIANO
I
CHE COSA SIGNIFICA
AGIRE CRISTIANAMENTE

38 II Signore Gesù, modello del cristiano


L’agire cristiano deriva dall’essere cristiano che re­
cupera e trasfigura l’umano. L’uomo nuovo è Gesù
Cristo a cui il fedele deve conformarsi nel suo esse­
re e che deve imitare nel suo agire.

a Gesù Cristo, Verbo incarnato, morto e risorto, è il


centro e il fine dell’intero piano di creazione e di grazia.
In questo senso egli si offre come il vero e unico Uomo
nuovo per l’appartenenza personale della sua natura uma­
na al Verbo e per la sua donazione totale al Padre in vista
della Salvezza degli uomini.

b Nel Signore Gesù l’uomo trova il modello unico di


chi deve diventare e di come deve comportarsi. La vita di
grazia, come si è visto, è la reale partecipazione a Cristo.
Per l’inabitazione dello Spirito Santo, l’uomo è veramente
trasformato nel suo essere e reso conforme al Signore
Gesù perché ne ripeta l’esistenza.

c L’uomo nella sua interezza condivide la vita di Cri­


sto. Lo Spirito, dunque, non conforma al Redentore sol­
tanto il principio spirituale dell’uomo, ma l’intera persona
anche nel suo aspetto corporeo, anche nella sua dimensio­
ne comunitaria di rapporto fraterno, anche nella sua unità
e nel suo dominio sul cosmo.

d La legge della vita cristiana è anche una parola scrit­


ta, un imperativo che si esprime in formule. Essa, però,
non è mai qualcosa che si impone all’uomo come dal­
l’esterno e quasi in modo arbitrario. Anche la norma este­
riore, almeno nei suoi principi fondamentali, è la traduzio­
ne di un’esigenza che è inscritta nell’essere della persona
umana rinnovata da Cristo attraverso lo Spirito.

CHE COSA SIGNIFICA AGIRE CRISTIANAMENTE 69


Si potrebbe anche dire che l’etica cristiana è sintetiz­
zata nella imitazione o sequela del Signore Gesù. Occorre,
però, chiarire di quale imitazione e di quale sequela si
parla. Non si tratta di una copiatura di gesti e di parole
che rimangono lontani ed estranei. Si tratta, piuttosto, di
una comunione di essere, che crea nell’uomo un nuovo
principio d’azione, un nuovo atteggiamento di fondo e, di
conseguenza, un originale modo di pensare, di volere, di
sentire e di comportarsi.

e Poiché il piano di Salvezza è unico dalla creazione


alla Parusia, e ha per cardine Cristo, l’uomo che partecipa,
nello Spirito, alla vita del Signore Gesù mediante la gra­
zia, non è chiamato a soffocare o a negare la propria realtà
di uomo. Questa realtà viene, invece, recuperata nei suoi
valori perduti a causa del peccato, e portata a compimento
nelle sue tendenze autentiche e decisive. Cristo, infatti, è
la verità totale dell’uomo, come ne è la causa ed il fine. E
l’uomo, creato per Cristo, con Cristo e in Cristo, è chiama­
to ad attuarsi pienamente, anche come uomo, nello svilup­
po della vita nuova che lo Spirito dona: fino alla « statura
perfetta » del Signore Gesù.
Queste osservazioni chiarificano il fine dell’uomo, ed
enunciano, almeno in termini generali, i mezzi o i modi
con cui occorre che l’uomo raggiunga il suo fine, vale a
dire gli imperativi morali che verranno esplicitati in segui­
to, almeno un poco. Con un rilievo fondamentale: il fine
non giustifica i mezzi, quando questi non sono conformi
alla dimensione morale della persona: soprattutto quando
si tratta di comportamenti che « in sé », intrinsecamente,
sono cattivi.

f L’impegno etico di questa crescita cristiana, e perciò


umana, non va immaginato come indolore e quasi sponta­
neo fin dall’inizio. Non bisogna dimenticare che l’uomo,
pur raggiunto dalla chiamata e trasformato dallo Spirito in
Cristo, parte dalla condizione di peccato originale ed è
collocato in una situazione di suggestione e di attrazione
alla colpa. Anche dopo la conversione, nella vita di grazia,
l’uomo conserva normalmente una certa tendenza al male

70 I AGIRh CRISTIANO
da superare, e vive in un « mondo » che, pur vinto da
Cristo, è ancora sotto la seduzione di Satana e incline al
rifiuto di Dio. La vita cristiana è, dunque, sviluppo della
grazia, ma si connota anche come una lotta che partecipa
alla sofferenza e alla morte di Cristo. La mortificazione,
del resto, non è un valore in se stesso e non deve essere
voluta per se stessa: essa è piuttosto un modo storicamen­
te necessario per rendersi sempre più capaci di amare
come il Signore Gesù e nel Signore Gesù.

g La vita di grazia è pienamente espressa, sotto il pro­


filo oggettivo, come possibilità, in chi vive nella Chiesa:
per la consapevolezza che la persona ha di Cristo, per il
« carattere » battesimale che la unisce e la conforma a
Cristo, per i mezzi di verità e di Salvezza di cui può fruire
per condividere l’esistenza e l’azione di Cristo. Tale vita di
grazia, però, può essere vissuta, almeno parzialmente, an­
che in chi, in modo incolpevole, è fuori dalla Chiesa
constatabile. Dio, infatti, vuole la Salvezza di tutti e tutti
chiama, in forme diverse e non estranee alla Chiesa, a
partecipare alla vita del Signore Gesù. Ciò vale non solo
per l’essere, ma anche per l’agire di ogni uomo.

39 La legge della grazia, della « natura »,


della Chiesa e dello Stato
La legge della grazia include e supera la legge « na­
turale » impressa nella struttura fondamentale del­
la persona. La legge della grazia, inoltre, è esterior­
mente formulata in precetti che Cristo ha dato e
che la Chiesa, in varia misura e in diversa maniera,
interpreta e propone.
La legge dello Stato non può imporre una fede
religiosa o una prospettiva ideologica; deve, piutto­
sto, rispettare e promuovere, nella giustizia e nella
libertà, i diritti fondamentali di ogni persona.

a In qualche modo si può e si deve affermare che la


legge « naturale » non esiste in una condizione conclusa

CHE COSA SIGNIFICA AGIRE CRISTIANAMENTE 71


in se stessa. Non esiste, infatti, un disegno provvidenzia­
le il quale preveda la sola creazione che si arresti a se
stessa.
Tale legge « naturale » esiste, invece, in quanto è
inclusa e superata nella chiamata dell’uomo e soprattutto
nell’adesione dell’uomo alla vita divina donata da Cristo
nello Spirito.
Solo all’interno della vita di grazia si riscontra la
struttura creaturale — la « natura » — della persona che nel
proprio essere contiene degli imperativi etici. Questi impe­
rativi si rivelano tali, quando la ragione, in parte con le
sole proprie forze, ma soprattutto con l’aiuto di Dio, li
scopre e li esplicita.
Così è per il dominio che l’intelligenza e la volontà
devono avere sulla componente emotiva e fisica del­
l’uomo.
Così è per i significati fondamentali che la dimensio­
ne corporea e sessuale già presenta nell’uomo.
Così è per il rispetto e l’amore che la persona deve
avere per gli altri. Così è per il dominio che l’uomo è
chiamato ad esercitare sul cosmo.
Simili obblighi, come si è detto, vengono assunti e
completati dagli obblighi della vita di grazia che la visione
di fede rende coscienti.

b Gli imperativi della legge di grazia, radicati nell’esse­


re della persona rinnovata da Cristo, e gli stessi imperativi
della componente creaturale dell’uomo, sono manifestati
anche esteriormente attraverso norme che trovano la loro
piena attuazione nel Signore Gesù e che la Chiesa, con
l’assistenza dello Spirito Santo, a nome del Redentore
applica ai vari tempi e ai diversi ambienti.
Al riguardo, si pensi ai Comandamenti dati da Dio
sul Sinai. Si pensi soprattutto al precetto dell’amore che
Cristo predica e vive, e che egli determina in più di una
precisazione applicativa.
La Chiesa ha il compito di interpretare e di predica­
re autorevolmente i comandi del Signore Gesù, che esplici­
tano e perfezionano i comandi derivati dalla struttura crea­
turale della persona.

72 L’AGIRE CRISTIANO
Nello svolgere questo compito, la Chiesa dipende
dalla Scrittura, ma non può limitarsi a quanto la Scrittura
stessa dice in modo palese. E perché nella Bibbia si nota
una evoluzione di sensibilità morale dall’Antico al Nuovo
Testamento. E perché la primitiva Comunità cristiana
non ha consegnato tutta la propria esperienza ai Libri
santi: ne ha espresso, piuttosto, con qualche applica­
zione, gli orientamenti di fondo che devono essere
sempre più approfonditi e specificati nei diversi luoghi
e nei vari ambienti alla luce della fede e con l’aiuto del­
lo Spirito.
Nell’insegnamento ecclesiale vanno distinti gli im­
perativi decisivi e immutabili dalle leggi di minore im­
portanza circa i modi concreti di attuare la vita cri­
stiana.

c Lo Stato, in quanto struttura che ordina la convi­


venza civile e che in modo proprio deriva da Dio l’autori­
tà che esercita, non può imporre una fede religiosa o una
prospettiva ideologica. La fede religiosa, infatti, è esito
di una chiamata di Dio e di una libera decisione del
singolo.
La prospettiva ideologica, poi, segnerebbe, oltre che
una costrizione, anche una visuale che mutila o annulla la
dignità della persona.
Proprio la dignità della persona, in tutte le sue com­
ponenti, anche sociali, lo Stato ha l’obbligo di difendere e
di sollecitare.

d Come si può rilevare, le concretizzazioni più minu­


te della norma morale possono dipendere in parte, e in
parte dipendono, dalla situazione culturale in cui sono
inserite.
In parte, si diceva: nelle sottolineature di alcuni
aspetti a preferenza di altri. La cultura, anzi, può aiutare a
conoscere sempre meglio la norma morale. Purché la cul­
tura stessa — vale a dire il modo in cui l’uomo di fatto si
esprime nel pensiero e nel comportamento — non preten­
da di avere il sopravvento sulle esigenze etiche derivate
dall’essere della persona.

CHE COSA SIGNIFICA AGIRE CRISTIANAMENTE 73


40 La coscienza
La legge morale, valida in sé, diviene imperativa
per la persona singola soltanto quando la persona
stessa, con la propria coscienza e sotto la guida
dello Spirito, la avverte come valida e perciò vinco­
lante. La coscienza, dunque, è la norma prossima
dell’agire morale. Essa deve tendere ad essere « cer­
ta » e a diventare sempre più « vera », conforman­
dosi a Cristo e perciò all’uomo. Essa, con pruden­
za, vale a dire insieme con coraggio e ponderatezza,
aiuta la persona ad applicare la norma alle diverse
situazioni.

a La norma morale si impone nella sua oggettività.


Ma, per divenire guida per il soggetto, occorre che il
soggetto stesso la ritenga tale nell’intimo del giudizio che
egli dà nella propria coscienza. A questo scopo, lo Spirito
che conforma a Cristo, suscita nella persona una qualche
consonanza col bene: questa consonanza deve esprimersi
in uno sforzo dell’intelligenza e si manifesta in una sinto­
nia della volontà, che porta ad una valutazione il più
possibile sicura.

b Soltanto la coscienza « certa » è norma prossima del-


l’agire morale. Nel caso di una legge che non fosse stata
interiorizzata nella coscienza, infatti, si avrebbe una affer­
mazione etica teorica, che rimarrebbe nella sua astrattez­
za, mentre la persona esige di dare un proprio giudizio
perché l’azione da compiere, o compiuta, sia autenticamen­
te morale.
L’interiorizzazione, poi, deve avvenire nel senso che
il giudizio di coscienza raggiunga la maggiore sicurezza
possibile. Nel caso di dubbio sulla validità di una norma,
la persona può agire secondo la propria convinzione, a
meno che siano in gioco valori fondamentali dell’uomo
come la vita fisica o soprannaturale. Nei limiti del possibi­
le, tuttavia, la persona è chiamata a superare i dubbi circa
la bontà — o la malizia — oggettiva di quanto compie. Ciò
perché il comportamento etico dev’essere giustificato razio­

74 L’AGIRE CRISTIANO
nalmente e dev’essere, sotto la guida dello Spirito, avverti­
to come un imperativo derivato dall’essere dell’uomo con­
formato a Cristo.

c II giudizio « certo » della coscienza impegna anche


se non corrisponde a verità: vale a dire, anche se, per un
errore incolpevole, l’uomo ritiene buono un atto o uno
stile di comportamento cattivo, e viceversa. Ciò è possibi­
le se si riflette sul fatto che l’uomo storico, pur raggiunto
dalPinterpellazione o abitato dallo Spirito e tendente a
condividere o condividente in concreto la vita del Signore
Gesù, e sostenuto dalla proposta esterna della legge da
parte della Chiesa, mantiene in sé una qualche inclinazio­
ne al male che può offuscare l’intelligenza e ostacolare la
volontà.
Una simile situazione, tuttavia, dev’essere superata
nei limiti del possibile, così che la certezza della coscienza
corrisponda alla « verità » della norma morale. Diversa-
mente, si avrebbe una decisione della persona, che è mora­
le nell’intenzione, ma che in concreto opera nel senso del
danno della persona stessa.
Allo scopo di raggiungere una coscienza « vera », si
impone una disponibilità radicale a lasciarsi condurre dal­
la lettura della realtà senza pregiudizi di sorta, così che
l’intelligenza non sia tenuta come prigioniera della cattiva
volontà, ma scopra e affermi il dovere anche quando que­
sto può apparire arduo e quasi inattuabile, e può costringe­
re a revisioni profonde di una vita già impostata. In tal
senso la persona è chiamata ad essere singolarmente doci­
le allo Spirito che la sollecita a sviluppare la propria con­
formazione a Cristo. Così come è chiamata a tenere nel
debito conto l’insegnamento morale che la Chiesa propone
a nome del Signore Gesù e con l’assistenza dello Spirito.

d La coscienza non ha soltanto il compito di interioriz­


zare la norma; ha anche il compito di applicare la norma
generale alle situazioni concrete per stabilire ciò che deve
essere compiuto — perché è bene — o evitato — perché è
male — in una determinata circostanza. A questo scopo
occorre non attribuire valore di legge alla situazione in cui

CHE COSA SIGNIFICA AGIRE CRISTIANAMENTE 15


ci si trova, ma riconoscere e precisare la legge tenendo
conto della situazione stessa. Bisogna, ancora, che tale
sforzo applicativo avvenga con prudenza, e cioè ad un
tempo con audacia e con modestia. Lo Spirito Santo sor­
regge in questo impegno che rende sempre più concreta e
precisa la vita di Cristo che il credente è chiamato ad
attualizzare e sviluppare.

41 La libertà
L’agire morale richiede la libertà, che è la capacità
della persona di autodeterminarsi di fronte al pro­
prio fine. Tale capacità è componente strutturale
dell’uomo, ma storicamente si presenta come fragi­
le e bisognosa dell’aiuto dello Spirito per giungere
alla piena attuazione della vita in Cristo.

a La libertà umana è la capacità della persona di deci­


dere il proprio destino ultimo. Ciò significa che l’uomo,
almeno in alcuni suoi atti, non è predeterminato, ma sce­
glie. Tali atti, in quanto espressione del divenire della
persona, sono dovuti anche al concorso di Dio; ma, in
quanto liberi, non dipendono da una forza antecedente,
non passano accanto, non attraversano l’uomo; nascono
dall’uomo: dall’uomo solo, se si rivolgono al male; dall’uo­
mo sollecitato dallo Spirito, se si orientano a una sempre
maggiore comunione con Cristo.

b Parlare di capacità della persona di decidere il pro­


prio destino implica nella libertà finita l’attitudine e la
responsabilità di scegliere tra il bene e il male. Non biso­
gnerà, tuttavia, immaginare la libertà finita — e particolar­
mente la libertà umana — come indifferenza tra una opzio­
ne o l’altra. L’uomo è strutturalmente orientato all’Assolu­
to, al Bene infinito; e storicamente è finalizzato a Cristo
sotto la guida e lo stimolo dello Spirito Santo. In questo
senso, la libertà può scegliere di aderire alla propria tensio­
ne decidendo per delle realtà finite in quanto conducono
al termine ultimo, o di bloccarsi su delle realtà finite

76 VAGIRE CRISTIANO
eleggendole come termine supremo del proprio orienta­
mento. Ciò è possibile perché la libertà umana vive in una
condizione anche corporea, dove l’intelligenza può essere
condizionata dalla volontà la quale, a sua volta, è condizio­
nata dall’attrattiva dei beni sensibili e incline ad assolutiz-
zare delle realtà limitate. È chiaro che il più vero atto di
libertà si ha nella scelta del bene.

c La libertà non sorge e non si sviluppa del tutto sana


nell’uomo. Essa è condizionata dalla componente corpo­
rea, come si è detto. Essa, ancora, è spesso limitata, nella
sua capacità di esercizio, da influssi interni o esterni deri­
vati dalle scelte già compiute, dall’educazione ricevuta,
dall’ambiente in cui vive, ecc. Essa, di più, insorge malata
fin dall’inizio a causa del peccato d’origine le cui conse­
guenze rimangono in parte anche dopo la conversione e il
Battesimo, e a causa del « mondo » in quanto storia vinta
da Cristo ma ancora dominata da Satana e dal peccato.
Perciò la sollecitazione di Cristo attraverso lo Spirito si
rende ancor più necessaria. La libertà offerta all’uomo
storico, infatti, è un compito da svolgere oltre che un
dono da ricevere; è anche una libertà da liberare dal male
perché si introduca e si approfondisca nella vita di grazia.

d Proprio perché finita, la libertà umana tende all’Asso­


luto — a Cristo Uomo e Dio — e può di fatto scegliere
l’Assoluto come orientamento generale della vita della per­
sona. Questo fine ultimo può essere scelto in maniera diret­
ta e immediata, o attraverso e dentro decisioni particolari
che si riferiscono a beni limitati, i quali, però, conducono
al Bene sommo e infinito. Ciò implica che l’« opzione fon­
damentale », vale a dire la tensione globale liberamente
ratificata, può esistere anche in sé, in una condizione gene­
rale, ma deve esprimersi anche in decisioni determinate che
la concretizzino. Diversamente, si destoricizzerebbe illuso-
riamente l’uomo, o lo si dissocierebbe: lo si direbbe prote­
so al bene in generale, in teoria, mentre nella concretezza
della vita potrebbe agire nell’adesione al male.

e La responsabilità umana soggettiva va misurata, nel

CHE COSA SIGNIFICA AGIRE CRISTIANAMENTE 77


bene o nel male, non tanto dagli esiti constatabili che
raggiunge, quanto piuttosto dallo sforzo effettivo che ese­
gue nella scelta e nell’attuazione. Ciò fa capire come, in
certi casi di fragilità incolpevole, a un comportamento che
nella sua oggettività può essere mediocre o perfino negati­
vo, possa non corrispondere una piena responsabilità. E
viceversa.
Non si potrà mai ridurre la legge morale a misura
delle forze del singolo in una determinata condizione. Si
dovrà, invece, tendere all’attuazione della norma nella sua
perfezione, nella certezza che l’impegno morale fa crescere
gradualmente la libertà. In altre parole, non si dà né
relativismo morale, né « gradualità della legge »; si dà,
invece, « legge della gradualità » nel formarsi della liber­
tà. Lo Spirito Santo, in termini di fede, è donato anche
perché l’uomo raggiunga in Cristo la propria perfezione di
uomo nell’esercizio della libertà.

f Lo sviluppo della capacità di scelta e di attuazione


del bene avviene normalmente partendo da una certa resi­
stenza, da una certa difficoltà e, con l’aiuto dello Spirito e
con lo sforzo umano, può giungere fino ad una sorta di
« spontaneità »: allora, il bene diviene tanto connaturato
al soggetto, che quasi attrae da sé; e il soggetto è tanto
docile e abbandonato allo Spirito da concedere quasi al
solo Spirito di agire, mentre egli si sente quasi passiva­
mente portato.
Non bisognerà, tuttavia, esagerare in ingenuità quan­
do si descrive una mèta simile. Il pericolo è che l’uomo,
magari inconsapevolmente, si fissi da sé una norma sba­
gliata e la segua, mentre la perfetta obbedienza allo Spiri­
to include ed esegue la norma vera. In altre parole: si può
arrivare ad uno stadio in cui la persona attua soltanto
l’amore offerto dallo Spirito, e « ama facendo ciò che
vuole », poiché ciò che vuole corrisponde a ciò che deve,
vale a dire l’unione sempre più intima a Cristo. E tuttavia
non sono del tutto ipotetiche delle deprecabili deviazioni
in questo campo.
Rimane, comunque, vero che la pratica del bene
nell’adesione alle pulsioni dello Spirito che conduce a Cri­

78 VAGIRE CRISTIANO
sto, non solo fa compiere dei gesti etici staccati, ma crea
uno stile di vita — una « virtù » — che è ripetizione e
intensificazione di atti e avvio ad una facilità, ad un’am­
piezza, ad un approfondimento sempre maggiore di moti­
vazioni e di comportamento.

42 II peccato e il perdono
Il peccato è una libera scelta, o uno stato derivato
da una libera scelta operata contro il piano di Sal­
vezza che ha per centro Cristo. Esso presenta diver­
sa gravità secondo il comportamento oggettivo e
l’impegno della libertà. L’uomo peccatore anche
ostinato nella sua scelta ha, con l’aiuto della grazia,
la possibilità di ottenere il perdono attraverso il
sacramento della Penitenza e così convertirsi nuova­
mente a Cristo.

a Non si dà peccato senza libera scelta nel senso del


male. E la libera scelta può esprimersi in un singolo atto o
in una condizione esistenziale che ne deriva e che stabili­
sce nella colpa la persona.
Si è già detto circa la possibilità di peccato, dovuta
alla situazione della libertà finita nell’uomo: una libertà
che vive anche in una dimensione corporea e che subisce
gli influssi della tendenza interiore al male e del « mon­
do » dominato da Satana.
Parlare di scelta del male significa che la libertà uma­
na si stacca e si contrappone al proprio fine ultimo. Così si
opera una dissociazione nell’uomo, il quale, da una parte,
non può eliminare l’orientamento a Cristo inscritto nel pro­
prio essere, e, dall’altra, non ratifica responsabilmente tale
orientamento. La scelta libera cattiva rifiuta le sollecitazioni
o si mette in contrasto con lo Spirito che inabita nella
persona. Così l’uomo si estranea e si mette contro il Signore
Gesù. Non solo: poiché il Signore Gesù è centro del piano
di Salvezza, la persona, col peccato, si isola e si pone in
contrasto con la fraternità umana e con il cosmo che pur
dovrebbe dominare e di cui pur dovrebbe fruire.

CHE COSA SIGNIFICA AGIRE CRISTIANAMENTE 79


Va da sé che qui si analizza il peccato nel credente
battezzato. In modo analogo — implicito e non del tutto
consapevole —, però, le considerazioni valgono per ogni
uomo che è sotto l’influsso della grazia offerta da Cristo
mediante il suo Spirito, o che già ha risposto, in modo
limitato, secondo le proprie possibilità, a questo influsso.

b II peccato può presentare diversa gravità. Può esse­


re, infatti, peccato grave (o mortale) e peccato veniale.
La diversa gravità dipende e dal grado di responsabi­
lità che la persona impegna (piena consapevolezza e deli­
berato consenso, o meno) e dalla diversa consistenza del
comportamento oggettivo che la persona pone (materia
grave o leggera). Senza dimenticare che un comportamen­
to oggettivamente grave può essere vissuto senza una tota­
le responsabilità. E senza dimenticare la possibilità con­
traria.
Il peccato grave segna una rottura radicale con Cri­
sto e perciò con la struttura dell’uomo in tutte le sue
componenti. Esso contrasta, in modo libero e definitivo
da parte dell’uomo, l’« opzione fondamentale » positiva
suscitata dallo Spirito nei confronti del Signore Gesù, e la
contrasta in modo diretto o attraveso la scelta di gesti
concreti che in sé si oppongono al fine ultimo. Non biso­
gnerà, infatti, immaginare che la colpa grave possa essere
compiuta soltanto con un rifiuto immediato di Cristo: con
una revisione dell’« opzione fondamentale » positiva tale
da costituire a sua volta una consapevole e deliberata
« opzione fondamentale » negativa. Poiché l’uomo è esse­
re storico e si esprime in comportamenti concreti, l’« op­
zione fondamentale » negativa può essere inclusa anche in
gesti determinati e limitati.
Si ha peccato veniale, invece, quando non si rivede
la scelta di fondo in se stessa o dentro decisioni precise,
ma si aderisce al bene in modo imperfetto o si aderisce
ad un male lieve. In questo caso non si ha esclusione
dello Spirito dalla persona e recisione netta del rapporto
con Cristo. Si ha, piuttosto, una adesione incompleta
alle esigenze del divenire etico e alle sollecitazioni della
grazia.

80 L'AGIRE CRISTIANO
c Le decisioni di colpa, parallelamente e in senso
inverso rispetto alle decisioni di adesione a Cristo, non
vanno considerate soltanto come atti singoli staccati tra
loro. Una scelta nel male crea nella persona una condizio­
ne stabile. Non solo: una scelta nel male segna un avvio
che può proseguire con altre scelte negative sempre più
facili e radicate e risolute: fino allo stile di vita negativo
— al « vizio » —; fino a una quasi impossibilità di revisio­
ne del senso della vita: particolarmente nel « peccato
irremissibile », che non è tanto una colpa che Dio non
può o si rifiuta di perdonare, quanto, piuttosto, una
chiusura dell’uomo su se stesso che si rifiuta di accoglie­
re il perdono.
Così, non si dovrà neppur sottovalutare il peccato
veniale. Dalla mancanza di totalità e risolutezza nella di­
pendenza dallo Spirito e nell’amore a Cristo si può grada­
tamente giungere ad un odio vero e proprio.

d Talvolta si parla di « peccato sociale » e perfino di


« strutture di peccato », come se la colpa fosse attribuibi­
le in modo diretto, totale e indiscriminato alla società o
alle sue strutture.
Ora, non v’è dubbio che il peccato ha delle conse­
guenze ecclesiali e, più generalmente, comunitarie. E pos­
sibile e probabile anche che il peccato influisca nel deterio­
rare la società o le sue strutture, così come è possibile e
probabile che la società o le sue strutture agiscano negati­
vamente sulla persona inclinandola al male.
Non si può, tuttavia, affermare che la colpa sia dovu­
ta alla diretta responsabilità o addirittura « faccia corpo »
con la società o le sue strutture. La colpa è sempre espres­
sione di una libertà personale. Caso mai, in certe evenien­
ze, si potrà e si dovrà riconoscere che più persone collabo-
rano a fare il male. Senza perdere ciascuna la propria
individualità. E badando accuratamente a stabilire la reale
responsabilità dei singoli.

e Si diceva che il peccato grave si pone-come scelta


irrivedibile da parte dell’uomo. Almeno nel momento in
cui lo si compie. In realtà, poiché l’uomo nell’esistenza

che rovi significa agire cristianamente 81


terrena vive in una condizione anche dipendente dalla
corporeità e perciò non ancora fissata nella definitività,
pure la scelta più profonda e stabilita può essere mutata.
Vi è, dunque, possibilità di conversione anche nei casi di
maggiore ostinazione nel male, prima dell’impenitenza
finale. Da notare, però, c’è che questa conversione non
può, normalmente, essere improvvisata, né, soprattutto,
può essere attuata dall’uomo con le sole sue forze. Il pec­
cato è scelta solitaria che, tuttavia, non riesce a riscattar­
si senza l’aiuto di Cristo che è stato rifiutato. Dio, nel
Signore Gesù e attraverso lo Spirito, interpella costan­
temente, fino alla morte, il peccatore perché si riveda e
si salvi.

f Nel caso di un credente esplicito e battezzato, il


peccato grave non può essere ordinariamente perdonato
se non attraverso l’effettiva recezione del sacramento della
Penitenza. Il Signore Gesù agisce oggi nella Chiesa che
funge da mediazione alla sua presenza e al suo agire.
L’intera realtà ecclesiale è sacramento di salvezza, partico­
larmente nell’Eucaristia che è vertice e fonte della grazia.
L’Eucaristia, però, non nega, anzi spiega ed esige resisten­
za degli altri sacramenti, tra cui la Penitenza che è il
modo peculiare in cui il Padre offre in Cristo la sua miseri­
cordia che perdona i peccati attraverso il dono dello
Spirito.
Rimane vero che il cristiano peccatore riceve la vita
di grazia, quando, sotto lo stimolo dello Spirito, si pente
con un’adesione perfetta a Cristo e intende riparare il
male compiuto e riiniziare una vita nuova nel Signore
Gesù. Tale pentimento, però, non è secondo il piano di
Salvezza, se non include il sincero desiderio di ricevere il
sacramento del perdono appena se ne dia la possibilità.

82 L'AGIRE CRISTIANO
II
L’AMORE A DIO

43 Un unico comandamento

L’intera vita morale può essere considerata nel


precetto di Cristo dell’amore a Dio e al prossimo.
Si tratta di un unico comandamento che deve tro­
vare attuazione nello sviluppo della vita di gra­
zia in quanto il rapporto con Dio in Cristo per
mezzo dello Spirito, spiega e provoca anche
un giusto rapporto dell’uomo con i fratelli e con
le cose.

a II precetto che Cristo ha dato di amare Dio con


tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze, e il
prossimo come se stessi, recupera, unifica e coglie la
radice soprannaturale e perciò umana di ogni applicazio­
ne etica che si può trovare nelle « dieci parole » del
Sinai.

b La formulazione dell’imperativo del Signore Gesù è


duplice, ma esprime l’esigenza di un unico amore suscita­
to dallo Spirito che conforma a Cristo.
Questo avviene perché il prossimo deve essere ama­
to a partire da e per giungere al rapporto religioso: infatti,
occorre rivolgersi con dilezione ai fratelli proprio perché il
Signore Gesù ha amato e ha dato se stesso per ogni
uomo: ogni uomo, dunque, vede Cristo nell’altro; ad un
tempo, però, occorre anche ammettere che nessuno ama
Dio che non vede, se non ama il prossimo che vede.
L’unità del precetto dell’amore, poi, ha una motiva­
zione ancor più profonda: essa è l’espressione dell’unica
vita di grazia che in Cristo mediante lo Spirito si apre alla
lode del Padre ed esige di considerare tutti come uniti o
da unire nel Signore Gesù, il Primogenito di tutti i
fratelli.

V.AMORE A DIO 83
44 Fede, speranza e carità
La vita di grazia, come dono di Dio, si specifica e si
evolve in atteggiamenti fondamentali della perso­
na, i quali articolano la comunione con Cristo e
influiscono nel creare e nell’accrescere la fraternità
tra gli uomini. Questi atteggiamenti sono la fede,
la speranza e la carità.

a Già si è detto della fede come adesione totale dell’uo­


mo al Signore Gesù sotto lo stimolo dello Spirito Santo.
Si tratta di un’appartenenza che, condotta a pienezza, fa
condividere all’uomo non solo la conoscenza di Cristo, ma
anche la vita di Cristo in una imitazione o sequela che ne
applica gli insegnamenti e le opere.

b La speranza è la partecipazione intellettuale e vitale


alla certezza che Cristo ha avuto circa l’esito della propria
vicenda terrena nella resurrezione dopo la morte.
Questo atteggiamento si riproduce nell’uomo il quale
si fida con sicurezza del Signore Gesù che offre il suo
aiuto mediante lo Spirito Santo e conduce alla pienezza di
grazia e di gloria; tale aiuto non lascia neppure senza i
mezzi materiali necessari per giungere alla Salvezza.
L’atteggiamento di speranza, poi, sospinge l’uomo
a non perdersi d’animo di fronte alle difficoltà che la
Chiesa incontra e di fronte ai momenti di prova che
l’umanità attraversa. La vittoria finale della Chiesa che
si conclude nel Regno, infatti, è già data nel Signore
Gesù che attende e sollecita perché raggiunga la propria
« pienezza ».
L’evolversi della storia nel suo insieme trova il suo
approdo ancora in Cristo glorioso che, di là dalle tappe di
smarrimento e di paura, assume e restaura tutti i valori
umani nella beatitudine, così come assume e restaura i
valori cosmici a modo di « materia » che entra a dare la
pienezza di vita nel Regno.

c La carità è come il cuore del dinamismo proprio


della vita di grazia. Essa, se si può dire, è la stessa vita di

84 L'AGIRE CRISTIANO
grazia in quanto chiede di essere sviluppata e recata a
perfezione.
A questo scopo, la carità esige di tradursi in settori
specifici di comportamento, i quali, tutti, però, sono mani­
festazione dell’unico amore sollecitato dallo Spirito che
unisce e ripete la vita di Cristo. In questo senso si usa
dire che la carità è P« anima » di tutte le virtù: essa, cioè,
si pone come il motivo supremo che si manifesta e provo­
ca le diverse espressioni dell’esistenza morale.

45 Lo sviluppo di tutto l’uomo


La vita di grazia come amore a Dio spiega l’impe­
gno dello sviluppo di tutto l’uomo nella sua inte­
gralità, sia in chiave cristiana, sia in chiave uma­
na. Questo imperativo include, analiticamente, la
responsabilità di far evolvere il principio spiritua­
le della persona, la sua componente corporea e
sessuale, il rapporto interpersonale con gli altri e
il rapporto di contemplazione e di trasformazione
del cosmo.

a Con le affermazioni fatte non si intende sostenere


che ogni impegno morale segni un contatto diretto e con­
sapevole con Dio, com’è il caso della preghiera o del
« voto ». Si intende soltanto sostenere che, oltre al dovere
della comunione fraterna — che si vedrà specificato più
avanti —, l’amore a Dio giustifica e provoca la crescita
soprannaturale e umana della persona in se stessa.

b La cura del principio spirituale dell’uomo fa emerge­


re doveri morali circa l’intelligenza e circa la volontà.
L’intelligenza, che pure ha una propria relativa auto­
nomia, strutturalmente prepara la fede ed è provocata
dalla fede.
Essa, dunque, ha la responsabilità di promuoversi,
secondo le capacità e la vocazione della singola persona,
ad essere documentata e critica nella competenza profes­
sionale; non solo: deve esercitarsi nella ricerca e nella

L'AMORE A DIO 85
contemplazione della verità che si riferisce ai problemi
ultimi dell’uomo. Nei confronti della fede, poi, l’intelligen­
za è chiamata ad applicarsi nell’approfondimento costante
del dato rilevato e nell’espressione del proprio giudizio,
alla luce della Parola di Dio, sulle vicende che si vivono.
Nell’approfondimento del dato rilevato, l’uso delle scienze
umane sarà necessario; non dovrà, però, essere tale da
sopprimere nell’intelligenza la disponibilità a lasciarsi con­
durre dal vero, e tale da perdere il senso del mistero
proposto nella Chiesa dall’insegnamento normativo. Nel
valutare le situazioni con l’aiuto della fede, poi, l’intelli­
genza dovrà rimanere sgombra dai pregiudizi che incontra
nella mentalità « mondana » diffusa, e dovrà essere ad un
tempo cauta e coraggiosa per non imporre l’opinabilità
come una certezza e per non bloccarsi in situazioni che
pure esigono di essere giudicate.
La volontà dovrà esercitarsi a tutto arco nel settore
morale sotto la guida dello Spirito perché l’uomo diventi
sempre più immagine di Cristo. Dovrà sostenere l’intelli­
genza nella sua ricerca e nelle sue valutazioni. Dovrà impe­
gnarsi perché la persona sia sempre più unitaria e solida
nelle sue varie dimensioni. Dovrà assumersi le proprie
responsabilità personali e sociali. In particolare, per rag­
giungere queste finalità, dovrà rendersi sempre più vigoro­
sa e dolce, superando le inclinazioni al male e alla stasi, i
dolori e le prove che riscontra nell’intimo dell’uomo e
nella società in cui l’uomo vive.

c La componente corporea, che entra nella struttura


creaturale della persona, è pure raggiunta dallo Spirito
Santo e trasformata in Cristo. Essa è tempio dello Spirito,
destinata alla resurrezione e alla gloria.
Dalla condizione di dissociazione e di contrasto in
cui si trova inizialmente a causa del peccato nei confronti
della componente spirituale, la dimensione corporea deve
essere condotta sotto il dominio della ragione e della vo­
lontà. O meglio: l’intelligenza e la volontà non devono
soltanto esercitare un assoggettamento della corporeità. Se
così avvenisse, ci si limiterebbe ad un ordine che nella
persona stabilisce una sorta di giustapposizione o di imbri­

86 L AGIRE CRISTIANO
gliamento che potrebbe rivelarsi deleterio al primo sussul­
to della materia o della istintualità. Occorre anche che la
corporeità venga come assunta dalPintelligenza e dalla vo­
lontà, così che si riveli come il modo in cui la persona
prende coscienza di sé e si apre agli altri e alle cose quale
parola tersa che consegna l’intimità dell’uomo e quale pre­
senza che gode dell’universo e sull’universo influisce.
A ciò si aggiunga il fatto che la corporeità è motivo
di origine del sentimento nella persona. Anche a questo
riguardo, l’intelligenza e la volontà non hanno il compito
esclusivo di tenere a freno la componente emotiva. Hanno
pure la funzione come di assorbire tale componente, così
che la persona nella sua unitarietà ordinata sappia attuarsi
ed esprimersi pienamente.
Con queste osservazioni generali si è già indicata la
via secondo cui deve avvenire la cura del corpo e del
sentimento: la giusta preoccupazione per la salute, per
l’alimentazione, per non esporsi a pericoli fisici ingiustifica­
ti, per mantenere e promuovere l’armonia tra attività mate­
riali e intellettuali, ecc., a cominciare dai limiti a cui è
sottoposta la manipolazione della corporeità e dall’ovvia
proibizione del suicidio, se è vero che la vita intera appar­
tiene a Dio per mezzo dello Spirito in Cristo; e ancora: la
coltivazione del senso estetico, della moderata venatura
emotiva che attraversa ogni azione umana, dell’ordinata
espressione sentimentale che caratterizza il rapporto con
gli altri, ecc.
Sul versante della cura del corpo, non si potranno
sottacere almeno il comandamento divino del riposo e il
precetto ecclesiastico del digiuno, che pure trascrive in
norma un’esigenza di tipo creaturale e di grazia. Sul ver­
sante della cura del sentimento, non si potranno sottacere
almeno i richiami di Cristo alla vigilanza, perché fantasia
ed emozioni disordinate non conducano a comportamenti
discordi dalla legge di creazione e di grazia.

d La dimensione sessuale dipende dalla dimensione


corporea di cui è una specificazione. Pure in questo caso,
l’impegno dell’intelligenza e della volontà non è soltanto
quello di dominare, ma assai più quello di assumere e

LAMORE A DIO 87
quasi di intridere di razionalità e di amore questa compo­
nente della persona, così che aiuti la persona stessa a
conoscersi e ad attuarsi compiutamente, a manifestarsi
nella propria ricchezza interiore in un linguaggio corporeo
leale ed espressivo, a rivolgersi alle cose con atteggiamen­
to insieme contemplativo e dominativo.
Anche per la dimensione sessuale non bisognerà limi­
tare la considerazione all’aspetto fisico: la sessualità si
connota pure come affetto, come armonia emotiva: attra­
versa la persona in tutto il proprio essere e in tutto il
proprio agire.
Nella sua complessità unitaria, la sessualità genitale,
sensuale, affettiva e personale non è qualcosa che si con­
trappone o si aggiunge alla persona: è piuttosto un modo
d’essere e di divenire della persona stessa. In quanto tale,
questa componente dell’uomo ha un significato che non
viene ad essa attribuito come dall’esterno: lo possiede in
se stessa in quanto è inscritto nella struttura creaturale e
soprannaturale dell’io totale e sintetico dell’uomo, forma­
to di spirito e corpo. In particolare, la sessualità è parola
che esige di essere manifestata in modo interpersonale.
Si spiega così la prudenza ed anzi si spiegano i limiti
che si impongono negli interventi manipolatori della ses­
sualità, particolarmente quando si intende separare il signi­
ficato unitivo e procreativo dell’amore umano. Si spiega
ancora la proibizione dell’autoerotismo, che è tradimento
di una struttura di alterità. Sul piano affettivo, si spiega
ancora la proibizione delle emozioni che in vari modi
potrebbero condurre ad un esercizio disordinato di genia­
lità: i desideri, le immagini, le diverse occasioni.

e Rimandando a più avanti la considerazione del rap­


porto fraterno come modo di attuazione della persona,
rimane qui da accennare al rapporto dell’uomo col cosmo.
Attraverso la dimensione corporea e sessuale, l’uomo
entra in contatto con le realtà create che pure sono incluse
nel piano di salvezza e sono chiamate ad entrare nel Re­
gno nei loro aspetti positivi.
L’uomo è chiamato ad un tempo a contemplare e a
dominare il creato.

88 L'AGIRE CRISTIANO
La contemplazione è momento che promuove la per­
sona in quanto, attraverso le meraviglie della natura, vie­
ne condotta a Dio.
La scienza, la tecnica e il lavoro intervengono sul­
l’universo per metterlo sempre più al servizio dell’uomo.
Si tratta, dunque, di un impegno che Dio affida all’uomo
per renderlo suo « concreatore », in qualche modo, e per
preparare la « materia » dei cieli nuovi e della terra nuo­
va. Questo intervento, tuttavia, ha dei criteri morali e dei
limiti. Esso deve tendere a far sì che la creazione diventi
quasi un docile prolungamento del corpo e serva alla
crescita autentica dell’uomo: del singolo uomo e di tutti
gli uomini.
Si giustifica così il dovere della ricerca scientifica,
dell’applicazione tecnica e del lavoro. Si giustifica, però,
anche la preoccupazione per la quale il creato non venga
distrutto o deturpato in modo che, lungi dal servire all’uo­
mo, ne impedisca lo sviluppo autentico ed armonico.

46 La vita di preghiera
Il precetto dell’amore a Dio si attua e si manifesta
particolarmente, in modo diretto, nella vita di pre­
ghiera. Si manifesta e si attua anche mediante il
« voto ».

a La preghiera è rapporto consapevole e amoroso con


il Padre: un rapporto che è suscitato dallo Spirito e avvie­
ne mediante Cristo. Si tratta di un incontro dove l’uomo
espone filialmente delle invocazioni di aiuto materiale o
spirituale. Nella sua espressione più alta, tuttavia, la pre­
ghiera è un abbandonarsi a Dio perché si compia la sua
volontà nell’uomo che loda e ringrazia. Così l’uomo ricono­
sce la Signoria di Cristo su tutti e su tutto, e con Cristo
entra in una singolare sintonia di esperienza. .
L’orazione può e deve svolgersi in unità con la Chie­
sa dove Cristo, l’Orante per eccellenza, congiunge a sé
nello Spirito i fedeli nella Salvezza e nella gloria del Pa­
dre. A tale scopo, la Chiesa, a nome del Signore Gesù,

L'AMORE A DIO 89
propone l’intera trama dei sacramenti dove Cristo stesso è
presente ed opera, e dove i credenti entrano con tutto il
loro essere spirituale e corporeo. La vita intera, in questo
modo, è santificata e diviene culto a Dio nelle sue fasi più
determinanti: dalla nascita alla morte, passando attraverso
le fasi intermedie della crescita, del bisogno di misericor­
dia per ristabilirsi nella grazia, del dolore, dell’amore uma­
no, del servizio a Cristo attraverso il ministero di verità e
di vita nuova a favore dei fratelli. Soprattutto nell’Eucari­
stia la vita intera viene santificata e diventa culto a Dio
nell’unità anche corporea con il Signore Gesù che ripete il
suo Sacrificio. A queste espressioni sacramentali il cristia­
no deve partecipare non solo con la frequenza necessaria,
opportuna e consentita, ma anche con piena consapevolez­
za e attiva condivisione.
La preghiera può e deve concretizzarsi anche nell’ac­
costamento contemplante della Scrittura, del Magistero
che interpreta e applica normativamente la Scrittura, e
delle riflessioni e dei suggerimenti dei Santi che hanno
tradotto nella vita la Parola di Dio.
Tale accostamento contemplante si ha in modo singo­
lare nella celebrazione della Liturgia delle Ore. Può avve­
nire, però, anche in altro modo, sia personale che comuni­
tario. E si tratta sempre di un rapporto che si aggancia ad
una formulazione verbale o scritta, ma che tende sempre a
terminare alla realtà stessa di Cristo a cui ci si sospende in
un atteggiamento di « passività » attivissima che trasfor­
ma la persona nelle sue idee e nella sua sensibilità.
La preghiera può e deve essere compiuta anche con
formule semplici tratte dalla Bibbia o derivate dai Santi, o
anche con parole proprie della persona che si rivolge a
Dio in occasioni particolari della vita, seguendo i ritmi dei
giorni, della settimana e delle stagioni, fino quasi a coe­
stendersi, con brevi formule dette « giaculatorie » e con
un costante atteggiamento di attenzione a Dio, all’intera
esistenza.
La legge divina interpretata e applicata dalla Chiesa
fissa almeno il minimo anche in questo settore. Offre
l’itinerario sacramentale che accompagna la vita nelle sue
tappe più rilevanti. Impone la Confessione e la Comunio­

90 L AGIRE CRISTIANO
ne eucaristica annuale. Prescrive, col riposo settimanale
da utilizzare anche per opere di carità e per l’istruzione
religiosa, la Messa festiva. Suggerisce devozioni singola­
ri e soprattutto il rivolgersi a Dio all’aprirsi e al chiuder­
si della giornata, e una intensa unità con Dio anche du­
rante il lavoro o lo svago.
Così vengono applicati i comandamenti secondo i
quali Dio, il solo Dio degli uomini, impone di non adora­
re gli dèi, di non nominare invano il suo Nome e di
santificare la festa.
Dopo quanto si è detto, sembra superfluo richiamare
i possibili peccati di idolatria, la colpa della bestemmia,
ecc.

b Se la preghiera è un rapporto diretto con Dio, anche


il « voto » può dare significato religioso ad aspetti della
vita che non hanno, per sé, un immediato riferimento a
Dio. Con il voto, infatti, il credente consacra in modo
libero e particolare a Dio settori morali non direttamente
orientati dalla dimensione religiosa, e che impegnano la
persona in scelte le quali sorpassano le strette esigenze
della norma etica. Si pensi al voto di verginità, di povertà
e di obbedienza, compiuto, sotto la sollecitazione dello
Spirito, per amore singolare a Cristo. Va da sé che, in
negativo, la colpa in uno di questi settori etici consacrati
assume anche l’aspetto di una diretta opposizione a Dio.

LAMORE A DIO 91
Ili
L’AMORE AL PROSSIMO

47 Fino ai nemici
L’amore al prossimo deriva e continua, nello Spiri­
to, l’amore che Cristo ha vissuto e manifestato agli
uomini. Questo comando impegna a volere il bene
totale, insieme di grazia e creaturale, per tutti gli
uomini singoli e uniti in comunità: a cominciare
dai vicini fino ai lontani, e richiede anche il perdo­
no ai nemici.

a L’origine del precetto dell’amore al prossimo sta nel­


l’amore che Dio ha manifestato a noi creandoci in Cristo e
in Cristo facendoci dono del suo Spirito nella vita di
grazia. Esso, anzi, coincide con il dovere che l’uomo ha di
amare Dio rispondendo alla sua chiamata: è la medesima
carità che si rivolge ai fratelli.

b Proprio perché comandamento di grazia che recupe­


ra la dimensione creaturale, l’amore ai fratelli implica la
giustizia, ma non può limitarsi alla giustizia: si spinge fino
alla carità che vuole il bene totale dell’altro ed esige la
misericordia nel caso che l’altro ci abbia offesi.

c Si comprende così la ragione per cui occorre amare i


fratelli a cominciare dai più vicini, ma gradatamente rivolgen­
dosi a tutti. Anche i vincoli di sangue, di popolo o di amici­
zia hanno il loro rilievo: i primi ad essere amati devono,
dunque, essere i parenti, i conterranei e gli amici. Questo
cerchio, però, è chiamato ad allargarsi fino all’intera umanità,
con particolare preferenza verso i più bisognosi e i meno
capaci di far valere i propri diritti. Ciò diviene comprensibile
soprattutto se si supera un presunto criterio unicamente uma­
no di valutazione per adeguarsi al criterio cristiano.

d Amare il prossimo significa volere il bene totale del­

92 L'AGIRE CRISTIANO
l’altro: in primo luogo la Salvezza e, inclusa nella Salvezza
come una sua dimensione costitutiva, la crescita dell’uomo
in tutti i suoi aspetti anche creaturali.
L’annuncio del Vangelo e l’aggregazione sacramenta­
le alla Chiesa è il primo modo in cui si esprime l’amore al
prossimo. Questa carità soprannaturale esige che sia mani­
festato anche uno sforzo per aiutare l’altro a crescere co­
me uomo. La Redenzione operata da Cristo, infatti, non si
limita alla Salvezza soprannaturale ed eterna, ma esige
anche un’attenzione e una risposta concreta alle diverse
attese terrestri che l’uomo giustamente coltiva. Ciò vale
per il superamento della povertà economica e della man­
canza di lavoro; vale anche per il superamento di ogni
ingiusto limite fisico e spirituale: compresa la carenza di
cultura, l’essere esclusi con la propria originalità dalle
decisione della vita comunitaria, la condizione di chi si
sente inutile e non amato, ecc.

e L’amore al prossimo va manifestato, nei debiti modi,


in chiave personale e in chiave comunitaria: vale a dire,
con un impegno del singolo che opera nel contatto indivi­
duale e nelle strutture sociali, e anche con un impegno di
molti che si uniscono per creare condizioni più umane per
i singoli e per una convivenza più appropriata.
Al riguardo, si pensi alla Chiesa che opera per la
Salvezza non solo attraverso i singoli cristiani, ma anche
come fatto pubblico, sociologicamente constatabile ed inci­
sivo nei limiti del possibile. Si pensi ancora alla Chiesa
che si impegna perché l’uomo diventi sempre più uomo
non solo attraverso i singoli fedeli, ma anche attraverso
iniziative di presenza aggregata nella società.
E poiché la fede e la vita di grazia non sono qualco­
sa di separato e di estraneo, ma elementi che devono
inseririsi nella vita umana, un peculiare aiuto all’uomo è
reso dalla Chiesa quando questa, mediante l’iniziativa di
credenti, si rende presente nella società con aggregazioni
culturali e di altro genere, ispirate al cristianesimo, offren­
do così dei modelli non solo di assunzione critica ma
anche di creazione di nuovi stili di pensiero e di comporta­
mento.

I.'AMORE AL PROSSIMO 93
f II perdono ai nemici è la vetta a cui può e, in qual­
che modo e in qualche misura, deve giungere l’amore al
prossimo. In questo caso, singolarmente, la misericordia
oltrepassa la giustizia. Non bisognerà, però, immaginare
che la misericordia possa dimenticare la giustizia. Perdona­
re ai nemici non significa fingere di non aver ricevuto dei
torti. Così agendo, non si rispetterebbe il nemico nella sua
dignità. Significa, piuttosto, offrire al nemico una nuova
fiducia così che egli, mosso dall’amore, si impegni a ripara­
re il male compiuto. La carità più alta può anche giungere
a rinunciare ad esigere tale riparazione.

48 La legittima autorità
L’amore al prossimo ha varie modalità d’espressio­
ne, le quali devono tener conto anche delle diverse
mansioni che le persone o le istituzioni sono chia­
mate a svolgere. Una di queste modalità d’espres­
sione è il riconoscimento della legittima autorità
che dev’essere accolta nelle sue decisioni. In parti­
colare, rispetto e obbedienza sono da attribuire ai
genitori nella famiglia, ai Pastori nella Chiesa e ai
rappresentanti del potere civile nello Stato.

a Non si tratta di negare l’eguaglianza di dignità tra gli


uomini. Nel caso dell’autorità, si deve, piuttosto, ammette­
re che alcuni hanno funzioni particolari di guida e di
comando da attuare in forza di un legittimo mandato. In
gioco non è neppure una maggiore o minore corresponsa­
bilità: ognuno è chiamato a concorrere totalmente al bene
comune nelle varie strutture in cui si trova a vivere; vi
deve concorrere, tuttavia, tenendo conto del proprio ruolo
e del legittimo ruolo di chi ha il compito di assumere
decisioni che impegnano tutti.

b L’autorità dei genitori verso i figli deriva non solo


dal fatto della maggiore esperienza che i primi possiedo­
no, ma anche e soprattutto dalla responsabilità che essi si
sono assunti, formando una famiglia come istituto natura­

94 L'AGIRE CRISTIANO
le e generando (fisicamente o attraverso adozione) dei
figli. In una prospettiva cristiana l’autorità dei genitori
dev’essere vista come emergente dal sacramento del Matri­
monio che, a modo di « Chiesa domestica », unisce gli
sposi e li orienta alla fecondità e all’educazione cristiana e
umana. Tale compito pedagogico tende a suscitare delle
persone capaci di libertà.
I figli devono un’obbedienza rispettosa, anzi devono
stima e affetto ai genitori. Anche quando hanno raggiunta
la capacità di scelte responsabili ed autonome, i figli con­
servano il dovere di aiutare e di amare i genitori. Ciò,
tuttavia, non impedisce, anzi provoca, la possibilità, o
addirittura talvolta il dovere, di una « disobbedienza »
apparente ai genitori quando i figli, per motivi non validi,
si vedono impediti nell’attuare quella che essi ritengono
ponderatamente la loro autentica vocazione.
L’impegno di educare da parte della famiglia è un
diritto primario che dev’essere riconosciuto da tutte le
strutture sociali ulteriori, quali la Chiesa, in campo religio­
so, e lo Stato, in campo civile, almeno con la possibilità di
attuare una pedagogia corrispondente all’impostazione cul­
turale della famiglia stessa.

c L’autorità nella Chiesa deriva dalla successione apo­


stolica a cui partecipano il Papa ed i Vescovi, e, in modo
derivato, i Presbiteri e i Diaconi.
Proprio per la dipendenza da Cristo a cui lega, nello
Spirito, la successione apostolica, l’autorità ecclesiale si
esercita in modo particolare come un servizio: il servizio
reso al Signore Gesù nel Magistero, nell’amministrazione
dei sacramenti e nella guida pastorale.
I fedeli devono ai Pastori un’obbedienza corrispon­
dente all’autorità che viene impegnata. Non si tratta,
tuttavia, di un’esecuzione passiva di comandi immotiva­
ti. L’autorità nella Chiesa deve anche aiutare l’obbedien­
za, mostrando in concreto la propria completa — quanto
è possibile — dipendenza da Cristo, contemperando impe­
rativi e zone di iniziativa di sana creatività, ascoltando i
fedeli più fervidi, prudenti e capaci, esponendo quanto
più chiaramente riesce le ragioni dei comandi e offrendo

L'AMORE AL PROSSIMO 95
l’esempio di una fedele e lieta attuazione delle leggi che
enuncia. I fedeli, d’altra parte, sono chiamati a rendersi
presenti all’autorità nella Chiesa, così da recare il loro
consiglio radicato nella vita autenticamente cristiana,
con deferenza e con amore, senza pretendere di sostituir­
si ai Pastori che hanno una funzione propria, e senza
pretendere che i suggerimenti dati — soprattutto quando
si presentano come contraddittori tra loro — siano quasi
per principio fatti propri dai responsabili ultimi e condi­
visi da tutti.

d Lo Stato ha ed esercita un’autorità che in vario mo­


do — particolarmente attraverso il consenso popolare —
deriva da Dio.
Si tratta di un’autorità distinta da quella della Chiesa
e che non ha, come quella della Chiesa, la sicurezza dovu­
ta all’assistenza dello Spirito, almeno in certi casi fino
all’infallibilità.
Con il proprio potere, lo Stato deve promuovere la
vita civile dei sudditi costituendo un’uguaglianza di dirit­
ti e di doveri per cui tutti possano attuarsi come perso­
ne. Deve, perciò, in base alle possibilità, provvedere a
che, negli spazi di vita comune necessaria, i cittadini
siano nelle condizioni di esprimere tutte le proprie vir­
tualità.
Lo Stato, d’altra parte, non è chiamato a organizzare
o ad imporre un proprio modo di giudicare e di vivere in
ogni campo di attività. Col principio di « socialità », esso
deve applicare il principio di « sussidiarietà », per cui i
cittadini, singoli o aggregati, possano in concreto, assume­
re e rendere operanti iniziative particolari entro gli ambiti
del bene comune e per il servizio di tutti.
Ciò vale singolarmente per i settori di attività caratte­
rizzati da un determinato modo di pensare che influisce
sulla vita personale e di gruppo. In questo senso lo Stato
deve assicurare delle condizioni per cui le persone singole,
la famiglia come istituto naturale e le diverse aggregazioni
sociali qualificate da una propria impostazione culturale
possapo vivere e crescere nel loro diritto a pensare e ad
agire in modo libero, corrispondente alle convinzioni che

96 LAG IRE CRISTIANO


hanno. Si pensi al diritto alla libertà di scuola, di educazio­
ne, di assistenza, di manifestazione del pensiero, di elabo­
razione culturale, di gestione del tempo libero, ecc. Sono
anche queste espressioni di una « libertà religiosa » che
non si limiti alla fede individuale, ma si traduca in proget­
ti di vita. Le medesime affermazioni valgono non solo per
il cristianesimo o una religione, ma per qualsiasi imposta­
zione culturale entro gli ambiti del bene comune.
Lo Stato non può contrastare né permettere che si
contrastino i diritti fondamentali della persona: in primo
luogo il diritto a vivere, a pensare, ad avere una religione
propria, ecc.
Non è, infatti, la persona o la società al servizio
dello Stato, ma è lo Stato al servizio della società e della
persona. E come struttura di potere, lo Stato non può
essere né « confessionale », né « ideologico ».
Il dovere di obbedienza all’autorità statuale va affer­
mato a chiare lettere. Con almeno due integrazioni,
tuttavia.
La prima è per sostenere il diritto e il dovere di
« disobbedire », quando una legge è palesemente in­
giusta.
La seconda integrazione è per richiamare l’impegno
che i cittadini hanno di rendere lo Stato sempre meno
inadeguato alle proprie responsabilità.
Per far ciò i cittadini esercitano un compito politico
che nelle sue linee di fondo è sempre ispirato ad una
concezione antropologica. Agiscono anche sul piano della
società rendendosi presenti, quando sono cristiani, nella
convivenza umana perché sempre più si affermino i valori
della verità e dell’amore, suscitati dalla fede, ma non per
questo meno validi per la persona umana in tutte le sue
componenti.
Quanto vien detto per lo Stato deve essere ripreso
su scala internazionale per una collaborazione tra popoli e
continenti a favore dell’uomo.
Queste e simili considerazioni si possono cavare me­
diante una lettura di fede e di ragione del comandamento
secondo il quale occorre « onorare il padre e la madre » e
— in modo generale — ogni forma di autorità.

L'AMORE AL PROSSIMO 97
49 La promozione
della vita fisica dell’altro
L’amore al prossimo impone, come si è detto, di
volere per l’altro un bene totale. Ciò include un
comandamento particolare per il rispetto e la pro­
mozione della vita fisica.

a Non è il caso di riprendere le vedute espresse circa il


dovere dell’attenzione all’altro nella sua integralità: vale a
dire, nella sua vita di grazia e nei suoi diversi aspetti
creaturali. Basti qui richiamare che la stessa dimensione
corporea non solo entra a formare la sintesi unitaria della
persona, ma, con il principio spirituale, è raggiunta e
rinnovata dallo Spirito che conforma l’uomo al Signore
Gesù.
Ciò spiega tutta una serie di precetti che vanno dalla
proibizione dell’uccisione e della mutilazione dell’altro al­
la condanna della tortura, su su, in positivo, fino alla cura
della salute privata e pubblica, alla cura dell’ambiente.
Simili doveri sono del singolo nei confronti dei fratel­
li, e del potere pubblico nei riguardi di tutti i cittadini. La
Chiesa, in proposito, agisce come coscienza critica di fron­
te ad abusi, e come istanza promotiva attraverso i credenti
in modo individuale o associato.

b Un problema particolare, entro questo contesto, è


dato dalla legittima difesa esercitata dal singolo.
La persona può rinunciare al diritto di difendersi,
quando intende non avvalersi di nessuna espressione di
violenza. Per agire così, però, e offrire una testimonianza
profetica, deve poter pienamente disporre di sé, non aven­
do obblighi nei riguardi di altri che, nell’evenienza, rimar­
rebbero senza un sostegno necessario. O almeno, chi ri­
nuncia al diritto di difendersi deve interrogarsi sui danni e
sulla mancanza di aiuto che provoca a chi da lui dipende.
Si pensi, come esempio, a un padre che ha la responsabili­
tà di figli ancora incapaci di provvedere a se stessi.
Rimane, tuttavia, sul piano creaturale, il diritto a
difendersi con modi commisurati a quelli con cui si è

98 VAGIRE CRISTIANO
minacciati e cercando di rendere il minor danno possibile,
quando la minaccia è ingiustamente esercitata e si è com­
piuto quanto si poteva per farla cessare con mezzi pacifici.

c Una situazione analoga si ha quando ad essere ingiu­


stamente minacciata non è una persona singola, ma una
popolazione.
Allora, all’interno di uno Stato, vi può essere chi,
esercitando un ruolo di autentico pacifismo in nome del
Vangelo, si rifiuta di rispondere con la violenza all’ingiu­
sta aggressione subita. E può fare questo in vari modi:
sottraendosi al servizio militare per dedicarsi a servizi
civili, opponendosi a pagare le tasse che servono alla fab­
bricazione degli armamenti e devolvendo il corrispettivo a
iniziative di pace (nella misura in cui questo tentativo
riesce), agendo sull’opinione pubblica e sul pubblico pote­
re perché prevalga una mentalità non violenta, ecc. Tale
cultura di pace apparirà valida quando non sarà a senso
unico, ma cercherà di influire su tutte le parti in conflitto.
Un simile comportamento, tuttavia, non può essere
imposto — paradossalmente magari in modo violento — a
chi legittimamente non intende rinunciare al diritto all’au­
todifesa. Ciò vale soprattutto per i governanti, responsabi­
li non solo di se stessi, ma anche dei sudditi, ai quali non
può essere negato il diritto fondamentale a difendersi in
modo commisurato, quando sono attaccati ingiustamente,
anche con la forza, dopo aver compiuto quanto si poteva
per non ricorrervi.
La questione della legittima difesa si complica quan­
do la violenza non colpisce soltanto chi ingiustamente
attacca, ma anche cittadini inermi, estranei al conflitto. In
questo caso, l’« equilibrio delle forze » può forse avere
un esito limitato e provvisorio. Senza dubbio più giusto
ed utile è il disarmo bilaterale e controllato, ottenuto con
il dialogo reciproco.
A tale dialogo occorre che si accompagni un fattivo
impegno per sradicare le cause che generano le guerre:
soprattutto bisogna operare per una giustizia che superi le
diseguaglianze tra società opulente e società che vivono
nella fame; per una giustizia che aiuti a vincere l’ignoran­

LAMORE AL PROSSIMO 99
za; per una giustizia che instauri o restituisca la libertà a
popoli oppressi dalla tirannia, ecc.
E chiaro, tuttavia, che il modo più profondo per
operare la pace non sta nell’equilibrio delle forze, ma nel
dialogo compiuto con un atteggiamento di lealtà e di per­
dono: un dialogo che trovi le parti contendenti disposte
ad un atteggiamento di lealtà e di perdono.

d Un altro problema particolare nel quadro di conside­


razioni che si vanno facendo, è quello della pena di
morte.
Per secoli anche la Chiesa ha ritenuto legittimo che
lo Stato sopprimesse una persona colpevole di gravi crimi­
ni: non necessariamente soltanto per spirito vendicativo o
per una ipotetica giustizia da attuare, quanto, piuttosto, a
motivo, ancora, di una legittima difesa allorché non sem­
brava possibile rendere innocuo il reo.
Oggi anche all’interno del Cristianesimo, tenendo
conto delle mutate situazioni civili e culturali, vanno impo­
nendosi altre più cristiane ed umane considerazioni:
l’orientamento ad una pena più redentiva che vendicativa
o punitiva; la possibilità che la società si difenda dal reo
in altri modi che non siano la sua soppressione fisica; il
rispetto della vita umana qualunque essa sia.

e - Del tutto ovvia, alla luce di questi princìpi, è la


proibizione dell’aborto diretto: sia quando esso è compiu­
to dalla singola persona, sia quando esso viene consentito
e legalizzato dallo Stato. Anche al di fuori di ogni conside­
razione di fede e al di là di ogni discussione circa il
periodo dell’animazione del feto, non si può negare che
dal momento del concepimento si sia di fronte ad un
essere umano, o almeno ad una probabile vita umana. E
non è lecito, sia pure solo nel dubbio, intervenire rischian­
do di sopprimere una probabile vita umana. Né sembra
avere peso plausibile la pseudogiustificazione secondo la
quale un essere umano diviene persona quando entra in
rapporto e viene accolto dagli altri, particolarmente dai
genitori. Prima del rapporto e dell’accoglienza, sta
l’essere.

100 VAGIRE CRISTIANO


Con l’aborto si ha un crimine che non ha paragone
né con la legittima difesa, né con la pena di morte. La vita
umana uccisa, infatti, è innocente e incapace di far valere
il proprio diritto a vivere; ed è uccisa spesso col consenso
di chi pur dovrebbe avere la maggior premura nei suoi
riguardi.
A ben pensare, poi, lo Stato, con la legittimazione
dell’aborto, rinnega se stesso arrogandosi l’ingiusto potere
di permettere la soppressione di una vita umana che,
invece, va « riconosciuta » semplicemente perché esiste.

f Un discorso analogo andrebbe posto per l’eutanasia


attiva e diretta: per le situazioni, cioè, in cui si interviene,
e lo Stato consentisse di intervenire, a sopprimere delle
persone debilitate, anche quando fossero esse stesse a
chiedere di essere uccise.
Diverso è il caso in cui non si interviene con tutti i
mezzi possibili — anche straordinari — a sostenere — ad un
livello magari soltanto vegetativo — una vita ormai priva
di ragionevole speranza di essere ricondotta ad uno stadio
veramente umano.
Dio è padrone della vita. Ma v’è pure un diritto a
morire con dignità.

g II disprezzo della persona umana si manifesta anche


in esperimenti e in operazioni di manipolazione terapeuti­
ca e soprattutto genetica, dove la scienza e la tecnica non
tengono conto degli imperativi morali e riducono l’uomo
— lo si voglia o no — a « cosa », a esito di tentativi che
tradiscono la struttura dell’io e della dinamica dell’agire (e
in primo luogo dell’amare).
Queste e altre riflessioni può suscitare il comanda­
mento di Dio: « Non uccidere ». Tenendo conto del fatto
che i fenomeni come l’aborto, l’eutanasia e la indebita
manipolazione dell’uomo sono probabilmente frutto di
una « cultura di morte », caratterizzata dalla mancanza di
speranza, dalla paura per il futuro e dalla perdita di senso
della dignità della persona.
Motivi tutti, questi, che una saggezza umana e so­
prattutto la fede aiutano a superare.

L AMORE AL PROSSIMO 101


50 La sessualità
come parola interpersonale
La componente sessuale della persona ha significati
propri di comunione, inscritti nell’essere sopranna­
turale e creaturale, che devono essere esplicitati e
manifestati secondo modalità diverse nel Matrimo­
nio o nella Verginità cristiana.

a Già si è detto della sessualità non come parte, ma


come componente che attraversa e connota l’intero esse­
re e l’intero agire della persona. Si è ancora già detto
del Matrimonio come sacramento che consacra l’amore
umano, rendendolo partecipe della donazione che Cristo
fa di se stesso alla Chiesa. A questo punto basti richia­
mare qualche applicazione etica che deriva da tali pro­
spettive.
E in primo luogo, che la morale in questo campo
non viene applicata pienamente, se la persona si limita a
dominare, a bloccare, a coartare la componente corpo­
rea e sessuale; la persona, attraverso l’intelligenza e la
volontà, deve, piuttosto, assumere e integrare tale com­
ponente in una sintesi il più possibile unitaria, equilibra­
ta e solida, dove, ad un tempo, l’evolversi della sessuali­
tà influisca e sia guidata dalla spiritualità dell’uomo. E
pure qui si parla di sessualità non solo nel suo aspetto
fìsico, ma anche nel suo aspetto di pulsione, di sentimen­
to, di affettività.
In modo singolare, la morale sessuale non è l’impe­
rativo di un settore della vita, che possa essere isolato
dagli altri con la pretesa di attuarlo: deve, invece, essere
vissuto dentro l’orizzonte globale degli impegni della
persona: dalla preghiera all’aiuto ai fratelli, alla povertà,
ecc.

b La sessualità umana non è dimensione che si ag­


giunga alla persona: entra a costituire l’essere della per­
sona stessa nella sua unitotalità, e ne connota l’intero
divenire.
In questo senso i significati o gli orientamenti della

102 VAGIRE CRISTIANO


sessualità non sono qualcosa di aggiunto all’essere: espri­
mono l’essere e ne normano lo sviluppo.
In particolare, la sessualità non è soltanto un aspet­
to che, raggiunto dalla grazia, sospinge l’uomo a crescere
quasi chiuso in se stesso; è un aspetto che, raggiunto
dalla grazia, strutturalmente chiede il proprio completa­
mento soprannaturale e umano nell’incontro con l’altro.
E chiede questo completamento, dentro il contesto del
matrimonio, dove trova legittima e santificante espressio­
ne la genitalità, in modo tale da tendere congiuntamente
alla mutua integrazione e alla fecondità. Si può anche
dire: la sessualità nel suo valore cristiano e creaturale è
linguaggio corporeo che la persona non è chiamata ad
inventare a proprio arbitrio, ma è chiamata a riconoscere
come inscritto strutturalmente in se stessa e a cui ade­
guarsi sia nella sua orientazione all’unità con l’altro nel­
l’amore, sia nella sua apertura, a nuove vite. Ciò spiega i
limiti della manipolabilità della persona e del comporta­
mento in questo settore.
Non si tratta di difendere un « biologismo » che
attribuisca valore di norma alla fisicità di organi o di
processi. Si tratta, invece, di assumere la persona umana
nella sua interezza; e di valutarne con serietà la componen­
te corporea e sessuale. Se è possibile intervenire artificiosa­
mente su aspetti periferici della persona, non è possibile
intervenire su aspetti determinanti per lederne o deviarne
i significati.
Così, se si eccettuano casi di terapia, non è lecito
manipolare le funzioni biologiche sessuali della donna e
dell’uomo in modo da provocarne una temporanea o dura­
tura sterilità artificiosa. In realtà, non si tratta soltanto di
funzioni biologiche: in gioco è il senso della persona stes­
sa nei suoi significati determinanti, nei suoi modi e nei
suoi ritmi di attuazione.
E ancora: non è lecito manipolare l’atto sessuale
separando l’aspetto unitivo dall’aspetto di possibile fecon­
dità in modo da impedire artificiosamente la possibile
origine di una nuova vita, o in modo da provocare l’insor­
gere di una nuova vita attraverso un processo scientifico-
tecnico che contrasta con la dignità dei genitori, con la

L'AMORE AL PROSSIMO 103


dinamica dell’espressione coniugale e con la dignità della
persona umana che inizia la sua esistenza.
L’atto di amore umano deve rispettare quel grado
di fecondità che possiede quando è posto. E ciò, di
nuovo, perché la persona ha una sua dignità anche sotto
il profilo sessuale: dignità che dev’essere riconosciuta nei
fatti.
Si parla qui di dignità di chi genera, ma anche di chi
eventualmente è generato. Pure la persona nascente si
pone come il frutto di un atto di amore, e non può essere
esito di un processo anonimo o di un esercizio di sessuali­
tà disordinata e perciò oggettivamente estranea ad un con­
testo di dilezione.

c La sessualità genitale può essere espressa soltanto


all’interno del Matrimonio.
Un simile imperativo aiuta a chiarire che l’esercizio
della sessualità non è morale soltanto se attuato in modo
ordinato nella sua fisicità. Esso dev’essere immesso in un
contesto di amore dove un uomo e una donna si donano
totalmente, in modo esclusivo ed irrivedibile, con libera
responsabilità e con una decisione che ha carattere pubbli­
co sia civile che ecclesiale.
La dimensione pubblica ecclesiale è necessaria per­
ché il Matrimonio assuma significato di sacramento: sia,
cioè, una convivenza che ripete tra i due la donazione di
Cristo alla Chiesa. La dimensione pubblica civile è richie­
sta dal fatto che il Matrimonio crea un’unità che concerne
anche la società.
Occorre qui rilevare come il comportamento sessuale
non è da immaginare come puro esercizio di fisicità, ma è
chiamato ad esprimere e ad accrescere una comunione di
vita e di amore reciproco tra gli sposi. Questo rilievo
spiega come anche un comportamento oggettivamente or­
dinato in campo di sessualità non trova la propria piena
moralità, se non deriva da una dedizione reciproca che
coinvolga tutta l’esistenza, e se non tende ad una dedizio­
ne sempre maggiore tra gli sposi. Spiega anche perché il
legame del Matrimonio non possa essere che unico ed
indissolubile.

104 L'AGIRE CRISTIANO


Tanto più se si considera la realtà con gli occhi della
fede, per cui l’amore reciproco dei due ha come modello,
causa e fine l’unità che congiunge Cristo con la Chiesa.
L’espressione sessuale, allora, diviene uno dei modi
— il modo umanamente più denso — con cui gli sposi non
solo si uniscono tra loro, ma crescono anche nella comu­
nione con Cristo.
Il gesto coniugale, come si è annotato, deve rimane­
re aperto ad una possibile fecondità. E perché così rispet­
ta la propria struttura creaturale, e perché così partecipa
in qualche modo alla fecondità dell’amore di Cristo per la
Chiesa, se appena si riflette sul fatto che la generazione
non si conclude con se stessa, ma si protende all’impegno
educativo.
Alla luce di queste riflessioni si può comprendere
come siano da valutare negativamente, sotto il profilo
etico, non solo i comportamenti autoerotici ed omosessua­
li, ma anche l’infedeltà coniugale e la rescissione del patto
d’amore costituito dal Matrimonio. All’interno del Matri­
monio, poi, sono da valutare negativamente, sotto il pro­
filo etico, anche quei comportamenti sessuali che in vari
modi, tutti artificiosi, separano il significato unitivo da
quello procreativo. Sono, invece, moralmente ordinati
quei comportamenti sessuali che, quando è necessario od
opportuno evitare temporaneamente o per sempre la con­
cezione di figli, si svolgono nel rispetto della struttura
della persona e della dinamica dell’amore, ma utilizzando
periodi che la stessa struttura della persona offre come
infecondi.

d Un problema collegato, ed anzi prioritario rispetto


alla metodica etica secondo cui evitare la fecondità, è
quello dei criteri per stabilire il numero dei figli, o meglio
della procreazione responsabile.
Si parla di priorità almeno perché lo stesso uso dei
periodi infecondi per le manifestazioni coniugali, pur etica­
mente ordinate, non è consentito se gli sposi non hanno
già compiuto e non sono disposti a compiere il loro dove­
re di comunicare la vita con prudenza, vale a dire insieme
con ponderatezza e con generosità.

L'AMORE AL PROSSIMO 105


La procreazione dev’essere svolta in modo responsa­
bile. Ciò significa che gli sposi, ponendo l’atto coniugale,
devono essere consapevoli di compiere un gesto che, in
sé, ha anche un significato di fecondità.
Per questo motivo, essi decideranno il numero dei
figli, magari tenendo conto anche del consiglio di persone
sagge e sante ma assumendosi ultimamente la responsabili­
tà in modo diretto, in base non alla mentalità e al costume
corrente, ma alla struttura dell’amore e a fattori oggettivi
come la salute, le condizioni economiche, la capacità edu­
cativa, la peculiarità dei ruoli da svolgere nella Chiesa e
nella società, i problemi suscitati dallo sviluppo demogra­
fico, ecc.
L’accento, in certe zone culturali, andrà, forse, pasto­
ralmente posto nel senso della generosità.
Soltanto a queste condizioni si potrà legittimamente
ricorrere ai metodi naturali per evitare di aver figli nel
rispetto dei significati fondamentali della sessualità.
Si può agire in modo disordinato non solo manipo­
lando artificiosamente le funzioni sessuali o contraddicen­
do la dinamica dell’atto di amore, ma anche, e ancor
prima, opponendosi senza motivi validi a una giusta fe­
condità.
In chiave cristiana tutto ciò deve essere considerato
non solo come rispetto della dimensione creaturale dell’uo­
mo, ma anche come ossequio ad una legge della vita di
grazia. Senza dimenticare l’aiuto che Dio offre in pro­
posito.
La generazione, poi, dovrà continuare nell’impegno
pedagogico in vista di una formazione cristiana ed uma­
na dei figli. E ancora, nella prospettiva di una famiglia
aperta che è nucleo fondamentale della società e immagi­
ne reale della Chiesa, una certa fecondità potrà essere
attuata pure mediante l’accoglienza di figli non fisicamen­
te propri, e mediante l’influsso che si potrà avere per la
sensibilizzazione e per la soluzione di problemi ecclesiali
e sociali.

e Circa la preparazione al Matrimonio, si dovrà pen­


sare al fidanzamento non come ad un periodo di attesa

106 VAGIRE CRISTIANO


passiva, ma come ad una situazione in cui, quando i due
vivono una scelta già decisa e si orientano consapevol­
mente e generosamente al sacramento da ricevere, in
qualche modo Cristo è presente ed opera esattamente
per sollecitare ad assumere le nuove responsabilità e la
nuova grazia.
Non essendo ancora sposi, ma non essendo neppure
più soltanto amici, i fidanzati non potranno porre compor­
tamenti coniugali, e ancor meno potranno compiere atti di
genitalità disordinata; si impegneranno, invece, a far cre­
scere tra loro una affettività che predispone alla donazione
totale.
Ciò dentro un contesto di vita integrata nella preghie­
ra, nel servizio agli altri, nell’attuazione delle proprie re­
sponsabilità, nel dominio di sé, ecc.
I fidanzati, poi, non dovranno percepire questi impe­
rativi come dei limiti.
La proibizione dei cosiddetti rapporti prematrimonia­
li e di espressioni genitali disordinate, in realtà, è un
valore.
È indice di un’attesa del sacramento che ancora non
è stato attuato e che, solo, santifica e rende santificante
l’atto sessuale.
È, ancora, sollecitazione a predisporsi ad una scelta
libera e definitiva, dove l’espressione sessuale non avviene
come atto a sé stante, ma si colloca in una appartenenza
totale, irrivedibile e sempre crescente dei due.
È, inoltre, aiuto a cogliere l’aspetto comunitario del
matrimonio, superando un certo individualismo, una certa
possibile clandestinità e un certo possibile disimpegno nei
confronti dell’altro e della eventuale generazione.

f La componente sessuale è chiamata a svilupparsi


pienamente, sia pure in modo diverso, non solo nel Ma­
trimonio, ma anche nella condizione di Verginità con­
sacrata.
Si tratta, in questo caso, non di una rinuncia immoti­
vata e sprezzante della genitalità.
Tale rinuncia è frutto di una peculiare grazia dello

L'AMORE AL PROSSIMO 107


Spirito, che spiega una scelta di particolare adesione a
Cristo, scoperto come il valore sommo dell’esistenza
cristiana ed umana, da cui derivano tutti gli altri va­
lori.
Ciò d’altra parte, non significa che la persona, la
quale si consacra totalmente e direttamente a Dio, sia
chiamata a bloccare o a tentare di sopprimere la propria
componente sessuale: la persona è chiamata, piuttosto, a
sviluppare la dimensione sessuale non nel suo aspetto di
genitalità, che liberamente esclude dalla propria vita « per
il Regno », ma nel suo aspetto di affettività e di tenerez­
za; è chiamata cioè a diventare sempre più uomo e sem­
pre più donna in un amore che si sospende in modo
immediato a Cristo e si dona ai fratelli.
Senza ingenuità circa i sentimenti e le sane amicizie
che possono nascere.
Senza dimenticare la realtà — evidente — del peccato
d’origine e delle sue conseguenze, le quali rimangono di
norma, almeno in modo ridotto, anche nei gradi più alti
della santità.
In questo senso, la Verginità consacrata aiuta il Ma­
trimonio perché ne fa rilevare l’origine ultima e ne antici­
pa il significato decisivo, che è dato dal Signore Gesù
raggiunto nella comunione immediata dell’escatologia.
Il Matrimonio, infatti, è sempre incline, storicamen­
te, a dimenticare la propria genesi in Cristo: così i coniugi
tendono a considerarsi reciprocamente possesso più che
dono, e sono tentati di lasciare in ombra la dimensione
escatologica a cui pure sono orientati con la mutua unione
e la procreazione.
Anche nella condizione verginale per il Regno la
persona è protesa ad una piena attuazione di sé pure
nella dimensione sessuale. Tale dimensione non si espri­
me nella genitalità, a cui si rinuncia liberamente per
dono dello Spirito; si esprime, piuttosto, nell’affettività
che aderisce in modo immediato a Cristo e si irradia
nell’amore e nel servizio degli altri colti in modo singola­
re come dono.
Il pericolo a cui la Verginità è esposta — oltre a

108 VAGIRE CRISTIANO


quello, ovvio, di tradii >i come appartenenza totale, im­
mediata ed esclusiva al Signore Gesù — è quello di porsi
quasi in contrasto con la dimensione storica dell’uomo,
rifiutando così l’aiuto che il Matrimonio può dare ad
essa.

g Una parola andrebbe spesa anche per le responsabili­


tà che la Chiesa e lo Stato hanno nei confronti del Matri­
monio e della Verginità.
Sia gli sposi che le persone consacrate, infatti, non
hanno soltanto il dovere di dare alla comunità nelle sue
diverse articolazioni, ma anche il diritto di ricevere: dirit­
to che, a sua volta, costituisce un dovere per i membri
della Chiesa e dello Stato.
Per quanto concerne la Chiesa, si pensi all’opera di
evangelizzazione al riguardo.
Si pensi ancora a tutta l’attività pastorale che può e
deve essere svolta a favore della famiglia e della particola­
re consacrazione a Dio.
Per quanto concerne lo Stato, si pensi alla responsa­
bilità che il pubblico potere ha di tutelare e di stimolare
una cultura che nella società sia di difesa, di sostegno e di
promozione di una sana educazione della componente ses­
suale e delle sue diverse espressioni nel Matrimonio e
nella Verginità.
Si pensi, ancora, all’impegno che il pubblico potere
ha in vista di una convivenza sociale dove la famiglia e la
particolare consacrazione a Dio abbiano la possibilità di
attuarsi e di esprimersi liberamente secondo le convinzio­
ni etiche dei cittadini.
Il campo di intervento è vastissimo al riguardo: va
dalla legislazione sull’indissolubilità del Matrimonio alla
politica dell’occupazione e della casa, al sostegno economi­
co per i figli, all’attuazione fattiva del diritto di libertà di
educazione, al riconoscimento del servizio sociale che svol­
gono le persone consacrate, ecc.
Queste ed altre riflessioni può suscitare il comanda­
mento di Dio: « Non fornicare », unito all’altro: « Non
desiderare la donna d’altri ».

L'AMORE AL PROSSIMO 109


51 I beni economici:
proprietà e destinazione sociale
Il possesso dei beni economici è necessario e legitti­
mo perché la persona possa attuarsi nei suoi diritti
fondamentali. Tale possesso, tuttavia, non deve tra­
dire la destinazione sociale della proprietà, né di­
menticare l’utilità di un certo distacco personale a
favore degli altri. La Chiesa, senza proporre model­
li precisi di società, ha il compito di insegnare i
princìpi della distribuzione e dell’uso dei beni, e
ha il diritto, nel pieno rispetto della libertà di tutti,
di agire in questo senso anche attraverso i suoi
membri singoli o aggregati. Lo Stato ha la responsa­
bilità di attuare una giustizia sociale che tenga con­
to, ad un tempo, delle esigenze dei singoli e dei
gruppi, e dell’uguaglianza di tutti i cittadini.

a La proprietà privata è, in certo modo e in certa


misura, giustificata, oltre che dal diritto di servirsi dei
frutti della propria operosità *, anche dal fatto che la
persona deve essere posta nella condizione di potersi attua­
re nelle proprie doti e nei confronti delle persone di cui è
responsabile (si pensi, per esempio, alla famiglia). E tale
condizione include pure una qualche disponibilità di beni
economici.
Ciò vale non solo per la sopravvivenza fisica, supe­
rando la condizione di miseria o di fame, ma anche per la
possibilità di raggiungere la concreta attuazione di diritti
quali la libertà di contrarre matrimonio e attuare una
fecondità e una educazione dei figli secondo quella che si
ritiene la legge morale, o di impostare una vita di consa-
* Risulta chiaro che il tema del lavoro, presentato soltanto in questa ottica
dell’efficienza e del guadagno, rischia di far apparire l’aspetto economico come
prioritario nei confronti del lavoro stesso e dell’uomo.
In proposito andrebbero ripresi tutti gli spunti che mostrano l’uomo
come collaboratore di Dio nella creazione, come unito a Cristo nella Redenzione
e come impegnato a preparare e ad invocare il Regno almeno nella sua dimensio­
ne di recupero, di purificazione e di trasfigurazione del cosmo.
Per quanto concerne la « dottrina sociale » nei suoi risvolti etici, si riman­
da agli accenni che sono stati posti o che verranno posti circa l’amore al prossi­
mo, lo Stato e la società. Occorrerebbero ben altri sviluppi, ma ci si è limitati ad
una « breve esposizione ».

110 L'AGIRE CRISTIANO


orazione a Dio, la libertà di pensiero e di manifestazione
del pensiero, la libertà di scuola, di assistenza, eco.
Va da sé che a questi diritti corrispondono altrettanti
doveri da parte del singolo; e in primo luogo il dovere di
sostenersi autonomamente nei limiti del possibile, e di
collaborare alla costruzione di una società sempre più giu­
sta, quando il soggetto ne ha la capacità.

b La proprietà privata non è da concepire come illimita­


ta. Essa comprende il necessario, l’opportuno e il superfluo.
Non è agevole stabilire con precisione estrema simili cate­
gorie. Appare chiaro, però, che oltre a quanto è indispen­
sabile per vivere e per rispondere alle legittime esigenze
proprie e di coloro di cui si è responsabili, sia per il
presente che per un presumibile futuro, si apra tutta una
zona dove il possesso di beni economici o non viene
utilizzato o, se fosse utilizzato, servirebbe a soddisfare
aspirazioni voluttuarie, talvolta fino al lusso, al capriccio e
al disprezzo di coloro che sono in condizioni meno agevoli,
quand’anche non di estrema povertà. In questo senso il
superfluo va misurato non solo in base alle esigenze di
fondo di chi possiede, ma anche in base alla condizione di
chi non ha mezzi o si trova in situazioni più precarie.
Occorre ricordare anche la destinazione sociale dei
beni economici. Perché si doni agli altri più bisognosi quan­
to non serve alla propria realizzazione. E soprattutto perché
si mettano gli altri più bisognosi nella possibilità di provve­
dere a se stessi mediante il proprio lavoro. A questo riguar­
do sembra opportuno pensare a forme di collaborazione tra
chi fornisce il « capitale » e chi lavora e alla gestione del
« capitale » può partecipare; o a forme di cooperazione
dove i lavoratori siano anche in qualche misura proprietari;
o a modi strutturali di solidarietà tra momento di trasforma­
zione delle materie prime e momento di distribuzione dei
prodotti, ecc. Diversi sono i modi in cui è possibile recupe­
rare nuovo spazio soprattutto per i giovani, per le famiglie e
anche per gli anziani, entro certi limiti.
Questi orientamenti corrispondono non solo ad una
norma creaturale, ma anche all’insegnamento di Cristo e
alle esigenze di grazia suscitate nell’uomo dallo Spirito.

L'AMORE AL PROSSIMO 111


c La fede, anzi, consapevole della propensione dell’uo­
mo storico ad un possesso egoistico, suscita incessante­
mente persone che, per amore di Cristo, abbandonano
ogni proprietà e fanno della povertà liberamente scelta
una condizione stabile di vita.
Si è qui di fronte ad un forte richiamo ad un atteg­
giamento fondamentale per il quale ogni uso dei beni,
anche se frutto dei propri sforzi, è sempre considerato
come il fruire di un dono di cui occorre essere grati a
Dio.

d II problema della proprietà e dell’uso dei beni non si


pone soltanto in una prospettiva individuale: si pone an­
che in una chiave comunitaria, come impegno per la giusti­
zia sociale. E chiave comunitaria non significa qui unica­
mente la struttura di un popolo o di una nazione: si
estende a tutta l’umanità, nei rapporti tra Ovest ed Est, e
soprattutto tra Nord e Sud.
A tale scopo, la Chiesa non ha, in forza della Rivela­
zione e dell’interpretazione della norma creaturale, un pro­
prio progetto di soluzione definito in tutte le sue applica­
zioni. Ha, piuttosto, il compito di una critica profetica e
di una proposta di dottrina sociale in vista di una sempre
maggiore giustizia, e particolarmente in favore dei poveri;
ha inoltre il compito di suscitare nei suoi membri, singoli
e associati, la capacità di emettere e di verificare sempre
nuovi progetti che abbiano come misura e come fine la
dignità dell’uomo da promuovere in modo costante e cre­
scente.

e Spetta ai pubblici poteri internazionali e, in modo


particolare ai singoli Stati, con la responsabilità di tutti, il
compito di assicurare a ogni uomo una base economica
per vivere dignitosamente. Ciò esige non solo una equa
distribuzione delle ricchezze, ma anche il superamento
dello sfruttamento e l’impegno per mettere popoli, zone
geografiche e interi continenti nella situazione di potersi
mantenere e promuovere con le proprie forze, ed anzi
nella condizione di potere, a propria volta, aiutare altri
popoli, zone geografiche e interi continenti.

112 L'AGIRE CRISTIANO


AU’intemo dei singoli Stati, poi, occorrerà che tutti i
cittadini, a partire da una sostanziale base di uguaglianza,
siano messi nella condizione di potersi sostenere e crescere
in un benessere che sia anche al servizio comune, con
singolare riguardo ai più deboli. Occorrerà, ancora, che
siano equamente distribuiti aiuti ed oneri. Occorrerà, inol­
tre, che, con spazi di gestione statalizzata, siano riconosciuti
spazi di iniziativa privata in modo che, congiuntamente, si
provveda ai bisogni più elementari dei cittadini e si attivi
l’intraprendenza di chi agisce senza essere esonerato dall’ob-
bligo di concorrere al bene comune.
In proposito va detto con insistenza che l’uomo, il
singolo uomo e le diverse aggregazioni e l’intera comuni­
tà, non può mai essere strumentalizzato a disegni ideologi­
ci o di parte. Gli stessi prevedibili contrasti sociali andran­
no condotti con questo criterio e non per scopi riduttivi
della persona e con l’uso di una ingiusta violenza. Ciò, di
nuovo, perché l’aspetto economico è condizione per l’at­
tuazione di diritti fondamentali della persona, e non deve
diventare mezzo per coartare la persona stessa.
Queste riflessioni e altre possono essere suscitate dal
comandamento di Dio: « Non rubare », unito all’altro:
« Non desiderare la roba d’altri ».

52 La lealtà, l’informazione e la vita


La comunicazione interpersonale, attraverso la pa­
rola o altri mezzi, deve avvenire nella lealtà e nella
carità. L’informazione deve svolgersi in modo tale
da rispettare il più possibile l’obiettività dei fatti, e
in modo da non condizionare indebitamente i recet­
tori. Si comunica la verità anche con la vita: questo
rilievo impegna a tradurre singolarmente e comuni­
tariamente il proprio modo di pensare in chiave
sempre più limpida e rispettosa all’interno della
convivenza umana.

a La parola e ogni altra forma di comunicazione de­


ve consegnare il pensiero con la maggiore nitidezza possi­

L AMORE AL PROSSIMO 113


bile. Si precisi: deve consegnare il pensiero, vale a dire
ciò che in tranquilla coscienza si ritiene essere la verità.
Coerenza vorrebbe che la parola fosse pure l’espressione
della vita.
Questa comunicazione deve avvenire nel riconosci­
mento della carità che è il supremo valore, e deve rispetta­
re le esigenze poste dalla situazione in cui ci si trova.
Il principio etico è già contenuto nella struttura
fondamentale dell’uomo. Viene rafforzato dalla vita di
grazia, dal momento che lo Spirito è colui che introduce
nella verità intera e la offre in Cristo, il Rivelatore del
Padre.
Si è chiamati a esprimere quanto in buona fede appa­
re la verità. Il rilievo evidenzia già che, prima di parlare
comunicando con altri, occorre non solo aver molto riflet­
tuto, ma anche essersi impegnati a stabilire se ciò che si
dice corrisponde al reale: soprattutto quando si tratta di
testimonianze solenni — magari legate a giuramento — che
possono avere anche gravi conseguenze.
La comunicazione interpersonale può esprimere uni­
camente idee astratte o resoconti di avvenimenti, così co­
me sono accaduti o si sono visti. Può, però, anche spinger­
si a mettere nel discorso la propria esperienza pure più
profonda.
Anche in questo caso si impone la verità, tenendo
conto, tuttavia, che la coerenza perfetta tra vita, pensiero
e parola a volte è più un desiderio, una tensione, che non
tanto facilmente un fatto.
Quella che si ritiene la verità non va mai tradita.
Non necessariamente, tuttavia, va rivelata in ogni caso. Le
bugie non vanno mai dette; ma non sempre la verità va
detta. Alla radice di ogni atteggiamento morale sta la
carità.
Ciò significa che occorre valutare dalle circostanze,
se si profila una necessità o un’opportunità di esprimere il
proprio pensiero, oppure se tale manifestazione del pensie­
ro sia persino proibita. Si pensi a certi casi in cui la
parola, pur vera, può procurare del male a chi la accoglie.
Si pensi a casi in cui la rivelazione di convinzioni o di
notizie può mettere altre persone in inutili o inopportune

114 VAGIR E CRISTIANO


difficoltà. Si pensi a casi in cui chi parla o comunica è
legato da un dovere di riservatezza o da un segreto vero e
proprio, di natura confessionale, professionale o altro. Al
punto che, chi viene interrogato può anche rifiutarsi di
rispondere, o rispondere in modo evasivo.
La questione diviene ancor più delicata quando si
esprimono non solo idee o fatti esterni, ma esperienze o
stati d’animo o convinzioni decisive proprio sul piano
esistenziale.
Allora, occorre badare al modo in cui tali rivelazioni
sono recepite e al grado di comunione e di fiducia che
esiste tra le persone.

b II problema della trasmissione della verità non si


pone soltanto in chiave personale. Si pone anche in chiave
pubblica per gli operatori dell’informazione e della forma­
zione nei mezzi di comunicazione sociale.
Pure qui, e ancor più, sembra illusorio il pretendere
una ricostruzione dei fatti e una riproduzione delle convin­
zioni che sia pura ripetizione oggettiva o pura trascrizione
senza interpretazioni. Chi dice qualcosa, dice sempre un
poco anche se stesso. Si impone, dunque, un controllo
delle notizie attento quanto è possibile. E onestà esige di
ammettere anche la prospettiva di lettura che si usa, e le
agenzie di derivazione e le fonti di finanziamento, in mo­
do che il recettore sappia formarsi un proprio giudizio
ponderato.
La pubblica informazione deve essere giustamente
libera e deve esprimere la pluralità degli avvenimenti e
delle chiavi interpretative che coesistono nella società en­
tro il quadro del bene comune e nel rispetto dei diritti
umani fondamentali.
Con tutta la libertà che dev’essere affermata, i rischi
che si corrono in questo campo sono numerosi e possono
essere gravi. V’è la possibilità della « censura » ingiusti­
ficata e dell’ideologia imposta. V’è la vita privata delle
persone incolpevoli da rispettare. V’è da osservare che
certe notizie date possono ingiustamente danneggiare per­
sone singole o gruppi. Vi sono segreti di diversa natura da
onorare. Ciò vale anche per quella che vien chiamata

L'AMORE AL PROSSIMO 115


spesso l’opinione pubblica nella Chiesa: un compito criti­
co costruttivo, questo, da svolgere congiuntamente con
ardimento e con umiltà.
La comunicazione delle idee e dei fatti, inoltre, de­
v’essere attuata in modo tale da evitare tecniche che impe­
discano, o quasi, l’esercizio e la crescita di una autentica
capacità di valutazione critica.
Il principio basilare che si impone è sempre il rispet­
to e la promozione della persona in tutte le sue componen­
ti. L’ideologia, quando prevale, mutila sempre la visuale
d’osservazione e tende a soggiogare la persona rendendola
passiva.
Allo scopo di evitare queste deviazioni, i pubblici
poteri sono chiamati a contemperare la libertà di espressio­
ne con i diritti del singolo e il bene comune, così come
sono chiamati ad impegnare gli operatori perché non cor­
rodano i valori morali che formano la sanità del tessuto
sociale. All’interno della Chiesa, poi, occorrerà che i cre­
denti che agiscono nel campo dell’informazione e della
formazione, siano rispettosi dei diversi ruoli, si presentino
con l’impostazione di pensiero che effettivamente hanno e
siano attenti al bene della comunità, oltre che alla dignità
della persona.

c La comunicazione della verità avviene anche con la


-vita che si manifesta nelle opere.
Non è il caso di riprendere, qui, quanto si è detto
circa l’evangelizzazione e la promozione umana espressa
anche in campo culturale da parte di singoli credenti o di
gruppi diversamente collegati con la Chiesa.
Basti ricordare che la libertà religiosa non si riduce a
libertà di coscienza o a libertà di culto: può attuarsi anche
in forme umane comunitarie, dove la fede si concretizza
in cultura. E un simile diritto non vale soltanto per i
credenti o per la Chiesa: vale per qualsiasi uomo e per
qualsiasi aggregazione che non discrimini le persone, ma
le aiuti a crescere in una società sempre più giusta e
libera.
Queste e altre riflessioni può suscitare il Comanda­
mento di Dio: « Non dire falsa testimonianza ».

116 VAGIRE CRISTIANO


53 Conclusione
Sia consentita una parola di conclusione a tutto il
discorso.
L’esposizione della dottrina cattolica secondo la tra­
ma del « Credo », compiuta nella Sezione prima, ha avuto
il suo vertice e in qualche modo la sua sintesi nel richia­
mo all’incontro immediato e irrivedibile della singola per­
sona con Cristo e alla compiutezza della storia nel ritorno
del Signore Gesù.
L’esposizione della morale cattolica secondo la trama
dei « Comandamenti », compiuta nella Sezione seconda,
può sembrare una meditazione che si è dispersa in partico­
lari, si è quasi rinchiusa in un certo minimismo lungo il
cammino, e si tronca su degli aspetti apparentemente mar­
ginali.
Ma bisognava pure mettere all’inizio i grandi princì­
pi dell’agire cristiano ed umano: con le sue vette dovero­
se, ancor più e ancor prima che con i suoi traviamenti
possibili (i quali, peraltro, rimangono come capacità di
una libertà fragile e bisognosa di Salvezza e di sforzo: non
si finga che i « Comandamenti » non abbiano anche dei
« no »: non impediscono, certo, la perfezione; e tuttavia,
col massimo possibile, non si esimono dal precisare anche
il minimo indispensabile).
Per una chiusa e una sintesi vera e positiva di questa
descrizione dell’etica, si ritorni alle pagine dove si tratteg­
gia la grazia e i suoi sviluppi nella gloria. E non si dimenti­
chi che anche nella morale « tutto si tiene ». E che le
pagine di un libretto come questo andrebbero applicate
nella vita, dove la conclusione ultima è nelle mani di chi
impegna la propria responsabilità di fronte alla proposta
cristiana.

L'AMORE AL PROSSIMO 117


APPENDICE
Vengono collocate in appendice alcune formule che i credenti sanno
benissimo a memoria — se le sanno — e che comunque possono servire come
« ripasso », anche perché possiedono una loro bellezza semplice e arcana.

SEGNO DELLA CROCE


Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

PADRE NOSTRO
Padre nostro, che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male. Amen.

GLORIA
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Come era nel principio e ora e sempre
nei secoli dei secoli. Amen.

AVE, O MARIA
Ave, o Maria, piena di grazia,
il Signore è con te,
tu sei benedetta fra le donne
e benedetto è il frutto del tuo seno: Gesù.
Santa Maria, madre di Dio,
prega per noi peccatori,
adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

ANGELO DI DIO
Angelo di Dio, che sei il mio custode,
illumina, custodisci, reggi e governa me,
che ti fui affidato dalla pietà celeste. Amen.

APPENDICE 119
L’ETERNO RIPOSO
L’eterno riposo dona loro, o Signore,
e splenda ad essi la luce perpetua.
Riposino in pace.
Amen.

CREDO (O SIMBOLO APOSTOLICO)


10 credo in Dio, Padre onnipotente,
creatore del cielo e della terra
e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore,
11 quale fu concepito di Spirito Santo,
nacque da Maria Vergine,
patì sotto Ponzio Pilato,
fu crocifisso, morì e fu sepolto;
discese agli inferi;
il terzo giorno risuscitò da morte;
salì al cielo,
siede alla destra di Dio Padre onnipotente;
di là verrà a giudicare i vivi e i morti.
Credo nello Spirito Santo,
la santa Chiesa cattolica,
la comunione dei Santi,
la remissione dei peccati,
la risurrezione della carne,
la vita eterna.
Amen.

CREDO (O SIMBOLO NICENO-COSTANTINOPOLITANO)


Credo in un solo Dio, Padre onnipotente,
creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli:
Dio da Dio,
Luce da Luce,
Dio vero da Dio vero,
generato, non creato, della stessa sostanza del Padre;
per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo,
e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
morì e fu sepolto.

120 APPENDICE
Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture,
è salito al cielo,
siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà, nella gloria,
per giudicare i vivi e i morti,
il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita,
e procede dal Padre e dal Figlio.
Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti.
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica.
Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti
e la vita del mondo che verrà.
Amen.

ATTO DI FEDE
Mio Dio, perchè sei verità infallibile
credo tutto quello che tu hai rivelato
e la santa Chiesa ci propone a credere.
Credo in te, unico vero Dio,
in tre Persone uguali e distinte,
Padre e Figlio e Spirito Santo.
E credo in Gesù Cristo, Figlio di Dio,
incarnato, morto e risorto per noi,
il quale darà a ciascuno, secondo i meriti,
il premio o la pena eterna.
Conforme a questa fede voglio sempre vivere.
Signore, accresci la mia fede.

ATTO DI SPERANZA
Mio Dio, spero dalla tua bontà,
per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo,
nostro Salvatore,
la vita eterna
e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere,
che io debbo e voglio fare.
Signore, che io non resti confuso in eterno.

ATTO DI CARITÀ
Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa,
perché sei bene infinito e nostra eterna felicità;
e per amor tuo amo il prossimo come me stesso,
e perdono le offese ricevute.
Signore, che io ti ami sempre più.

APPENDICE 121
ATTO DI DOLORE
Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore
dei miei peccati,
perché peccando ho meritato i tuoi castighi,
e molto più perché ho offeso te, infinitamente buono
e degno di essere amato sopra ogni cosa.
Propongo col tuo santo aiuto
di non offenderti mai più
e di fuggire le occasioni prossime di peccato.
Signore, misericordia, perdonami.

TI ADORO (mattino)
Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore.
Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano
e conservato in questa notte.
Ti offro le azioni della giornata:
fa’ che siano tutte secondo la tua santa volontà
e per la maggior tua gloria.
Preservami dal peccato e da ogni male.
La tua grazia sia sempre con me
e con tutti i miei cari. Amen.

TI ADORO (sera)
Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore.
Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano
e conservato in questo giorno.
Perdonami il male oggi commesso,
e, se qualche bene ho compiuto, accettalo.
Custodiscimi nel riposo e liberami dai pericoli.
La tua grazia sia sempre con me
e con tutti i miei cari. Amen.

SALVE REGINA
Salve, Regina, madre di misericordia;
vita, dolcezza e speranza nostra, salve.
A te ricorriamo, esuli figli di Èva;
a te sospiriamo,
gementi e piangenti in questa valle di lacrime.
Orsù, dunque, avvocata nostra,
rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi;
e mostraci, dopo questo esilio, Gesù,
il frutto benedetto del tuo seno.
O clemente, o pia,
o dolce Vergine Maria.

122 APPENDICE
I DUE MISTERI PRINCIPALI DELLA FEDE
1 Unità e Trinità di Dio.
2 Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione
di Nostro Signore Gesù Cristo.

I SETTE SACRAMENTI
1 Battesimo; 2 Cresima; 3 Eucaristia; 4 Penitenza; 5 Un­
zione dei malati; 6 Ordine; 7 Matrimonio.

I SETTE DONI DELLO SPIRITO SANTO


1 Sapienza; 2 Intelletto; 3 Consiglio; 4 Fortezza; 5 Scien­
za; 6 Pietà; 7 Timor di Dio.

LE TRE VIRTÙ TEOLOGALI


1 Fede; 2 Speranza; 3 Carità.

LE QUATTRO VIRTÙ CARDINALI


1 Prudenza; 2 Giustizia; 3 Fortezza; 4 Temperanza.

I QUATTRO NOVISSIMI
1 Morte; 2 Giudizio; 3 Inferno; 4 Paradiso.

I DIECI COMANDAMENTI DI DIO


Io sono il Signore Dio tuo :
1 Non avrai altro Dio fuori di me;
2 Non nominare il nome di Dio invano;
3 Ricordati di santificare le feste;
4 Onora il padre e la madre;
5 Non uccidere;
6 Non commettere atti impuri;
7 Non rubare;
8 Non dire falsa testimonianza;
9 Non desiderare la donna d’altri;
10 Non desiderare la roba d’altri.

I DUE COMANDAMENTI DELLA CARITÀ


1 Amerai il Signore tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la
tua anima e con tutta la tua mente.
2 Amerai il prossimo tuo come te stesso.

APPENDICE 123
LE BEATITUDINI EVANGELICHE
1 Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il Regno dei cieli.
2 Beati i miti, perché possederanno la terra.
3 Beati coloro che piangono, perché saranno consolati.
4 Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia,
perché saranno saziati.
5 Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia.
6 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
7 Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
8 Beati i perseguitati a causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.

I CINQUE PRECETTI GENERALI DELLA CHIESA *


1 Partecipare alla Messa la domenica e le altre feste comandate.
2 Santificare i giorni di penitenza, secondo le disposizioni della
Chiesa.
3 Confessarsi almeno una volta all’anno e comunicarsi almeno a
Pasqua.
4 Soccorrere alle necessità della Chiesa, contribuendo secondo le
leggi e le usanze.
5 Non celebrare solennemente le nozze nei tempi proibiti.

LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA CORPORALE


1 Dar da mangiare agli affamati;
2 Dar da bere agli assetati;
3 Vestire gli ignudi;
4 Alloggiare i pellegrini;
5 Visitare gli infermi;
6 Visitare i carcerati;
7 Seppellire i morti.

LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE


1 Consigliare i dubbiosi;
2 Insegnare agli ignoranti;
3 Ammonire i peccatori;
4 Consolare gli afflitti;
5 Perdonare le offese;
6 Sopportare pazientemente le persone moleste;
7 Pregare Dio per i vivi e per i morti.

* Questa formula va chiaramente corretta o quanto meno integrata, soprat­


tutto alla luce del Concilio Vaticano II e del nuovo Codice di Diritto canonico.

124 APPENDICE
I SETTE VIZI CAPITALI
1 Superbia; 2 Avarizia; 3 Lussuria; 4 Ira; 5 Gola; 6 Invi­
dia; 7 Accidia.

I SEI PECCATI CONTRO LO SPIRITO SANTO


1 Disperazione della salvezza;
2 Presunzione di salvarsi senza merito;
3 Impugnare la verità conosciuta;
4 Invidia della grazia altrui;
5 Ostinazione nei peccati;
6 Impenitenza finale.

I QUATTRO PECCATI CHE GRIDANO VENDETTA


AL COSPETTO DI DIO
1 Omicidio volontario;
2 Peccato impuro contro natura;
3 Oppressione dei poveri;
4 Frode nella mercede agli operai.

APPENDICE 125
INDICE

Introduzione.............................................................................................. 5
Schema....................................................................................................... 8

SEZIONE I: LA FEDE CRISTIANA..................................... 9


I Che cosa significa credere............................................ II
1) La necessaria tendenza a Cristo...................................... 11
2) Cristo, centro dell’universo............................................. 12
3) L’aderire a Cristo. . ...................................... 13
4) La norma della fede......................................................... 15
II Dio Padre....................................................................... 18
5) Il Dio che si rivela......................................................... 18
6) Dio, Uno e Trino............................................................ 19
7) Il Dio che crea................................................................ 19
8) Gli Angeli....................................................................... 20
9) I Demoni........................................................................ 21
10) L’uomo........................................................................... 22
11) Il peccato dei Progenitori............................................. 23
12) L’uomo che nasce nel peccato...................................... 24
13) La promessa offerta in Cristo........................................ 27
III II Cristo.................................................................................. 28
14) Cristo, motivo di Salvezza............................................. 28
15) Il Verbo che si fa carne................................................... 29
16) La vita terrena di Gesù di Nazareth. ... 30
17) La morte e la risurrezione di Cristo. ... 31
18) Cristo, il Maestro......................................................... 32
19) Cristo, il Sacerdote...................................................... 33
20) Cristo, il Signore.......................................................... 34
IV Lo Spirito, la Chiesa, il Regno.............................................. 35
21) Il « Dono » supremo di Cristo............................... 35
22) Il mistero della Chiesa................................................... 36
23) La Chiesa salvante e salvata.......................................... 39
24) La Chiesa, unità articolata............................................ 41
25) La proclamazione della Parola di Dio ... 44
26) I Sacramenti................................................................... 46
27) Battesimo....................................................................... 48
28) Confermazione.............................................................. 49
29) Eucaristia........................................................................ 50
30) Penitenza....................................................................... 51
31) Unzione degli infermi................................................... 54
32) Ordine............................................................................ 55

INDICE 127
33) Matrimonio.................................................................... 56
34) La preghiera della Chiesa................................................ 57
35) La missione della Chiesa....................................... 58
36) La Chiesa, realtà escatologica............................... 62
37) I «novissimi».................................................................. 64

SEZIONE II: L’AGIRE CRISTIANO.............................................. 67


I Che cosa significa agire cristianamente . . . . 69
38) Il Signore Gesù, modello del cristiano ... 69
39) La legge della grazia, della « natura », della
Chiesa e dello Stato....................................................... 71
40) La coscienza......................................................... 74
41) La libertà.............................................................. 76
42) Il peccato e il perdono.......................................... 79
II L ’amore a Dio............................................................... 83
43) Un unico comandamento.............................................. 83
44) Fede, speranza e carità.................................................. 84
45) Lo sviluppo di tutto l’uomo........................................... 85
46) La vita di preghiera........................................................ 89
III L’amore al prossimo.............................................................. 92
47) Fino ai nemici................................................................ 92
48) La legittima autorità............................................ 94
49) La promozione della vita fisica dell’altro . 98
50) La sessualità come parolainterpersonale . . 102
51) I beni economici: proprietà e destinazione sociale 110
52) La lealtà, l’informazione ela vita.................................. 113
53) Conclusione................................................................... 117

APPENDICE.................................................................................. 119

Stampa: t.s.g., ARTI GRAFICHE - Via Mazzini, 4 - Asti - Tel. 54.286

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