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Mm segni
ece Gesù»
(Gv 20,30)
li teologia
Gl ACUITO PHD0II1
' 6 & ù ?
Giacinto Padoin
A. Brusco - S. Pintor, Sulle orme di Cristo Medico. Manuale di teologia pastorale sanitaria
F. Ruiz, Le vie dello Spirito. Sintesi di teologia spirituale
B. Goya, Psicologia e vita spirituale. Sinfonia a due mani
G. Frosini, La Trinità mistero primordiale
A. Montan, Il diritto nella vita e nella missione della Chiesa. 1. Introduzione.
Norme generali. Il popolo di Dio (Libri I e II del Codice)
V. Gatti, Liturgia e arte. I luoghi della celebrazione
M.M. Romanelli, Il fenomeno religioso. Manuale di sociologia della religione
E. Mazza, La celebrazione eucaristica. Genesi del rito e sviluppo dell'interpretazione
B. Goya, Luce e guida nel cammino. Manuale di direzione spirituale
C. Valenziano, Architetti di chiese
Pontificio Consiglio per la famiglia, Famiglia e questioni etiche
P. Gamberini, Questo Gesù (At 2,32). Pensare la singolarità di Gesù Cristo
C. Militello, La casa del popolo di Dio. Modelli ecclesiologici modelli architettonici
G. Padoin, «Molti altri segni fece Gesù...» (Gv 20,30). Sintesi di teologia dei sacramenti
GIACINTO PADOIN
MB
EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA
ABBREVIAZIONI E SIGLE
5
PRESENTAZIONE
7
N o n c'è dubbio che il pregio principale di quest'opera stia nella chiarezza
espositiva, da cui fluisce, nella sua limpidezza, la fede della Chiesa, senza evitare
il confronto con le problematiche più consistenti. Si respira insieme alla Chiesa
la sua coscienza di essere, in Cristo, essa stessa sacramento, che valorizza i sacra-
menti per le varie condizioni di vita dei credenti in Cristo.
Inseparabile dalla chiarezza, ma p u r e ulteriore elemento di chiarezza, è poi
l'articolazione organica della trattazione. G i u n t o alla conclusione, il lettore ha la
sensazione di avere un q u a d r o completo dei dati della fede genuina della Chie-
sa. Espresso in un linguaggio elevato, ma mai complicato. Leggibile dagli stu-
denti di teologia, dai preti, ma anche dai laici che abbiano almeno una certa
conoscenza di teologia, e vorrei dire anche dai catechisti e dalle catechiste che
desiderano fare un b u o n aggiornamento sulla teologia dei sacramenti.
A lettura compiuta, chi legge si sente arricchito. E non a b b a n d o n e r à il volu-
me in biblioteca, ma se lo terrà vicino, da consultare all'occorrenza.
Infine mi sia consentito un cenno a un'esigenza che sempre più si avverte e
che sta a fondamento dello stesso Catechismo della Chiesa Cattolica e del suo
Compendio: si sta e s p a n d e n d o da p a r t e dei credenti o anche di chi è in ricerca, e
fors'anche da chi è sulla soglia, il bisogno di riferimenti n o n aproblematici, ma di
tale chiarezza da essere vere traiettorie che m i r a n o a traguardi che, in qualche
modo, si ha la percezione di toccare con mano, e non nebulose costituite da un'a-
malgama di opinioni tra cui si è costretti a destreggiarsi.
A n c h e questa è una delle caratteristiche di Giacinto Padoin, al quale siamo
grati per la fatica affrontata. C o m e siamo grati alle Edizioni D e h o n i a n e Bologna
che h a n n o ritenuto l'opera degna di essere pubblicata. Meritatamente... e con
l'auspicio di una adeguata diffusione!
«Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono scritti in que-
sto libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio
e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,30-31).
«Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista,
gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risu-
scitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di
me» (Mt 11,4-6; Le 7,22-23).
«Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
9
fatto a me»; là dove i suoi discepoli annunciano il vangelo nel m o n d o : «chi ascol-
ta voi ascolta me»; e dove un gesto di attenzione e di speranza viene compiuto
nel suo nome: «chi mi testimonierà davanti agli uomini, anch'io lo testimonierò
davanti al Padre mio».
Viene tracciato così, senza soluzione di continuità, un filone di gesti indica-
tori e di a p p u n t a m e n t i che, p a r t e n d o dai giorni della vita terrena di Gesù, pro-
seguono nel tempo, realizzando una trama di incontri personali tra il Signore e
l'umanità da lui amata e salvata. Le comunità dei credenti sono il luogo privile-
giato di questi «segnali» e di questi appuntamenti. Ivi, in tanti modi, i suoi amici
continuano a trovarsi a tu per tu con lui, vivente nello Spirito.
In quest'ottica il concilio Vaticano II, al n. 1 della Lumen genitum scrive:
«La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione
1
con Dio e dell'unità di tutto il genere umano».
La Chiesa dei nostri giorni, proprio a partire dal concilio, ha riletto con fre-
schezza e ampiezza nuova il senso e la profondità del termine «sacramento» e
delle realtà che lo esprimono.
// sacramento «originario» che sta alla base di tutto il mistero della salvezza,
è Gesù stesso, nella sua vicenda di incarnazione e nella sua storia vissuta nel
mondo. Diventato il Risorto, egli ha trasmesso la sua presenza e la sua azione alla
Chiesa e.ha costituito la Chiesa «sacramento fondamentale», nel quale gli uomini
incontrano e accolgono «il Dio con noi». Dalla Chiesa poi derivano e p r e n d o n o
consistenza tutti gli altri «sacramenti» nei quali Gesù continua a realizzare i suoi
eventi di salvezza fino alla fine della storia.
Si p o n e così davanti alla storia dei credenti la verità misteriosa di Gesù il Cri-
sto che si affaccia agli uomini, nello Spirito, e rivela la sua potenza di salvezza in
molte tappe e situazioni della vita.
***
1
EV 1 / 2 8 4 .
10
L'intento di questo scritto è quello di presentare, in una visione organica e
motivata, i sacramenti. I loro vari aspetti saranno proposti in termini brevi ed
essenziali, con richiami solo schematici q u a n t o alla trama storica, rinviando, per
un ulteriore approfondimento, agli studi indicati nella vasta letteratura teologi-
ca riportata in nota.
La nostra scelta di procedimento ha dei limiti per q u a n t o riguarda lo svilup-
po di u n a visuale analitica ampia; tuttavia intende offrire u n a visione unitaria e
complessiva, agevolmente comprensibile nel suo insieme e nei suoi valori
profondi.
Ovviamente ci guida la fiducia che il parlare di questi temi, in maniera sinte-
tica e con motivazioni teologiche rigorose e profonde, possa essere accolto con
qualche interesse e utilità e possa offrire stimoli per un approfondimento nella
fede e anche per uno slancio vivo nella missione ecclesiale.
11
Capitolo primo
I SACRAMENTI
DALLA PRASSI ALLA TEOLOGIA
13
Nei secoli precedenti la celebrazione liturgica si era notevolmente impoveri-
ta ed era divenuta p o c o significativa per la spiritualità dei cristiani. Si e r a n o svi-
luppate, di conseguenza, molte pratiche devozionali, nelle quali trovava nutri-
m e n t o la vita cristiana. Il concilio ha rimesso in luce tutta la ricchezza della cele-
brazione liturgica e ha indicato i principi generali per una grande riforma.
Negli anni immediatamente successivi si è lavorato alacremente al rinnova-
m e n t o della celebrazione liturgica, che ha avuto una particolare polarizzazione
proprio nei sacramenti, quali momenti centrali e solenni della liturgia della Chiesa.
Ricordiamo qualche data:
- nel 1969 viene dato alle comunità il Messale di Paolo VI per la celebrazio-
ne dell'eucaristia;
- sempre nel 1969 viene promulgato il nuovo Rito del battesimo dei bambini;
- nel 1971 il Rito della confermazione;
- nel 1972 il Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti che riattiva nella Chie-
sa l'istituto del catecumenato;
- nel 1973 // Rito della penitenza.
Si è trattato di u n a riforma di portata storica, perché ha rinnovato in m o d o
radicale la celebrazione liturgica, rimasta immobile dal concilio di Trento in poi.
Pensiamo ad esempio che il Messale di Paolo VI costituiva il primo rinnovamen-
to rispetto al Messale di Pio V risalente al 1570.
In pochi anni i cristiani sono stati introdotti a un nuovo m o d o di vivere la
liturgia e, in particolare, i sacramenti. L'introduzione della lingua «parlata» ha
reso comprensibile la celebrazione e la nuova struttura dei riti ha fatto sì che i
cristiani, da «assistenti», ne diventassero «partecipanti attivi» specialmente nella
proclamazione e nell'urgenza vitale della «parola di Dio». La liturgia è stata
riscoperta come «fonte e culmine» della vita cristiana, che per troppi secoli si era
nutrita a fonti accessorie.
C o n questo va sottolineata, nella riforma conciliare, l'importanza dei lezio-
nari inseriti nella liturgia dalla messa e degli altri sacramenti. I testi dei leziona-
ri, ricchi e a m p i a m e n t e espressivi, d a n n o apertura e spazio alla «mensa della
Parola», che non solo ha valore fondamentale quale via originaria nel dialogo di
salvezza, accanto alla «mensa del pane» e dei sacramenti, ma si p o n e come ele-
m e n t o costitutivo nella struttura dei segni sacramentali.
La Parola svela con pienezza nei sacramenti il significato interpersonale e
spalanca i m m e d i a t a m e n t e la t r a m a dialogica dell'incontro con Cristo. In tale
m o d o essi diventano mistagogia (= «parola del mistero»), che n u t r e spiritual-
m e n t e i fedeli.
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C o m e prima risposta, occorre dire che ci si trova nella necessità di mm tipa*
samento radicale nei confronti della teologia dei sacramenti in generale t r a m a n -
data dal passato. La teologia degli ultimi decenni si è inoltrata e cammina su q u e -
sta via, a noi spetta seguirla.
R i p e n s a m e n t o radicale significa ricomprensione della categoria e del con-
cetto stesso di «sacramento». Per secoli la teologia si è mossa da una definizione
pacifica di sacramento, che, nella versione più comune, suonava: segno efficace
della grazia. Su tale definizione poggiava tutta l'impalcatura della dottrina sacra-
mentale.
La revisione critica, portata avanti recentemente, se da un lato ne ha eviden-
ziato la verità, dall'altro ha sottolineato la forte inadeguatezza di un simile con-
cetto di sacramento e, p e r questo, la teologia si è trovata nella necessità di ripro-
porsi l'interrogativo radicale: che cos'è il sacramento?
Per elaborare una risposta sistematica, occorre tener conto di tre riferimenti:
- la tradizione della fede nella sua totalità (biblica, patristica, magistero,
storia della teologia, storia della celebrazione...);
- l'antropologia, cioè le difficoltà e insieme le possibilità attuali per un lin-
guaggio che parli del «simbolo», della dimensione simbolica della realtà;
- la celebrazione liturgica con le ricchezze scoperte dalla recente riforma;
secondo questa celebrazione si dà oggi, nella Chiesa, il sacramento.
I punti attorno ai quali sono state avviate le nuove proposte teologiche, con
nuove prospettive di sintesi, sono costituiti anzitutto dai seguenti filoni.
15
In quest'ottica altri problemi si aggiungono: se i sette sacramenti sono auto-
realizzazioni della Chiesa, perché altre realtà della Chiesa - ad esempio la carità,
la Parola, la liturgia in generale - n o n sono chiamate con questo n o m e ?
Se i sacramenti sono l'esprimersi della Chiesa come mistero di salvezza nel-
la storia, qual è il vero volto della Chiesa: l'insieme dei battezzati o dei salvati o
l'insieme di coloro che celebrano i sacramenti? E come si pensa la salvezza, oltre
i sacramenti, nella vita degli uomini?
La risposta a molti interrogativi pervade tutta l'impostazione e lo studio del-
la teologia dei sacramenti dal p u n t o di vista fondamentale. Tale teologia, comun-
que, non p u ò non avere come base portante il riferimento al mistero di Cristo e
alla Chiesa, oltre che alle caratteristiche e ai bisogni dell'uomo redento.
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Capitolo secondo
1
1. I SACRAMENTI «SEGNI» DELL'INCONTRO CON DIO
1
Ct. Anamnesis. 3.1: La liturgìa, i sacramenti. Teologia e storia della celebrazione, Marietti, Tori-
no 1 9 8 6 ; Capire i sacramenti. Un'esperienza di catechesi degli adulti, a cura di B. PAPASOGLI e F. D ' A -
GOSTINO, E D B , Bologna 1 9 9 3 ; Corso di teologia sacramentaria, I - I I , Queriniana, Brescia 2 0 0 0 ; Incon-
trare Cristo nei sacramenti, a cura di H. LUTHE, EP, Cinisello Balsamo 1 9 8 8 ; C. A. BERNARD, Teologia
simbolica, EP, R o m a 1 9 8 1 ; L. BOFF, / sacramenti della vita, Boria, Roma 1 9 7 9 ; J.M. CASTILLO, Simbo-
li di libertà. Cittadella, Assisi 1 9 8 3 ; L.M. CHAUVET, Linguaggio e sìmbolo. Saggio sui sacramenti, Elle-
dici, Leumann (TO) 1 9 8 2 ; H. D E N I S , / sacramenti e gli uomini dopo il Vaticano II, Elledici, Leumann
(TO) 1 9 8 2 ; G. FERRARO, 1 sacramenti e l'identità cristiana, Piemme, Casale Monferrato 1 9 8 6 ; A. GRIL-
LO, Introduzione alla teologia liturgica, Messaggero, Padova 1 9 9 9 ; L. M A L D O N A D O , Sacramentalità,
sacramenti e azione liturgica, EP, Cinisello Balsamo 1 9 9 7 ; F. MARINELLI, Sacramento e mistero, Piem-
me, Casale Monferrato 1 9 9 0 ; G. MAZZANTI, / sacramenti simbolo e teologìa. 1: Introduzione generale,
3
E D B , Bologna 1 9 9 7 , 2 0 0 3 ; ID., / sacramenti sìmbolo e teologia. 2: Eucaristia, battesimo e conferma-
2
zione, E D B , Bologna 1 9 9 8 , 2 0 0 0 ; M. NICOLAU, Teologia del segno sacramentale, Paoline, Roma 1 9 7 1 ;
FI NOCKE, Dottrina dei Sacramenti, Queriniana, Brescia 2 0 0 0 ; E. QJNEILL COLMAN, Incontro con Cri-
sto nei sacramenti, Cittadella, Assisi 1 9 6 8 ; G. PERINI, / sacramenti. Battesimo, confermazione, eucare-
sia, Studio Domenicano, Bologna 1 9 9 9 ; K. RAHNER, Saggi sui sacramenti e sulla escatologia, EP, R o m a
1 9 6 5 ; C. ROCCHETA, / sacramenti della fede. Saggio di teologia biblica dei sacramenti come «eventi di
salvezza» nel tempo della Chiesa. 1: Sacramentaria biblica fondamentale; 2: Sacramentaria biblica spe-
3
ciale, E D B , Bologna 1 9 8 2 , 2 0 0 1 ; E. RUFFINI - E. LODI, «Mysterion» e «Sacramentum». La sacramen-
talità negli scritti dei Padri e nei testi liturgici primitivi, E D B , Bologna 1 9 8 7 ; J. SARAIVA MARTINS, /
sacramenti della nuova alleanza, Pontificia Università Urbaniana, R o m a 1 9 8 7 ; E. SCHILLEBEECKX, Cri-
7
sto sacramento dell'incontro con Dio, EP, Roma 1 9 7 4 ; T . SCHENIDER, Segni della vicinanza di Dio,
Queriniana, Brescia 1 9 8 3 ; I L . SEGUNDO, / sacramenti oggi, Morcelliana, Brescia 1 9 7 4 ; O. SEMMEL-
ROTH, L'Eglìse sacrament de la redemtion, Ed. Saint Paul, 1 9 6 2 ; F. TABORDA, Sacramenti, prassi e festa,
Cittadella, Assisi 1 9 8 7 ; R. VAILLANCOURT, 'Per un rinnovamento della teologia sacramentaria, D e h o -
niane, Napoli 1 9 8 1 ; L. VILLETTE, Foi et sacrament, I - I I , Bloud & Gay,Tournai 1 9 5 9 .
17
«il Signore è lo Spirito, e dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà. E noi tutti a viso
scoperto [...] veniamo trasformati [...] di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spiri-
to del Signore» (2Cor 3,17-18).
1.2.2. Il farsi presente di Cristo nella Chiesa e nei «segni» della Chiesa
2
2. LA STRUTTURA DEI SACRAMENTI
2
Cf. Anamnesis. 3.1: La liturgia, i sacramenti. Teologia e storia della celebrazione; VAILLANCOURT,
Per un rinnovamento della teologia sacramentaria; SCHENIDER, Segni della vicinanza di Dio; CASTIIXO,
Simboli di libertà; CHAUVET, Linguaggio e simbolo. Saggio sui Sacramenti; LUTHE (ed.), Incontrare
Cristo nei sacramenti; ROCCHETTA, / sacramenti della fede, I - I I ; MAZZANTI, / sacramenti simbolo e teo-
logia, I - I I ; M. QUESNELL, Aux sources des sacraments. Ceri, Paris 1977.
20
tra D i o e l ' u o m o della storia. Il riferimento a D i o avviene nella fede che è vissu-
ta dalla Chiesa, perché solo in questo m o d o si verifica un effettivo coinvolgi-
m e n t o tra D i o e l'uomo.
I segni sacramentali h a n n o perciò necessariamente una doppia componente:
il porsi in rapporto con Cristo nella fede e nella tradizione teologale della Chie-
sa, e l'essere in riferimento effettivo con l'esistenza dell'uomo.
Se un tale raccordo n o n si compisse, i sacramenti non raggiungerebbero il
loro intento e la loro verità di «eventi d'incontro», ma r i m a r r e b b e r o incompiuti
e inefficaci. In quest'ultimo caso si avrebbero delle semplici pratiche rituali, vuo-
te di u n ' a p e r t u r a trascendente, senza una vera comunicazione con Dio, perché
prive di partecipazione vera nella fede o senza incidenza nella vita.
È doveroso, quindi, precisare il significato teologale dei sacramenti e la loro
incidenza nella vita di una persona. Su questo si fonda il motivo per cui la Chie-
sa li celebra e li richiede e le ragioni delle condizioni poste a chi li pratica.
La pratica dei sacramenti è sempre legata alla fede: i sacramenti infatti sono il
p u n t o più alto della fede, perché senza di essa si avrebbero dei puri gesti forma-
li, senza capacità di trascendere il m o n d o u m a n o e senza apertura al mistero di
Dio. Solo la fede li mette in comunicazione con l'azione del Signore, autore del-
la salvezza.
II senso profondo dei singoli sacramenti sta quindi nel riferimento vivo a Cri-
sto, al suo mistero, alla sua azione personale, a tutta la modalità del suo rappor-
tarsi con noi, e p e r questo sono celebrati nella professione della fede e nella pro-
clamazione della «parola di Dio». La parola di Dio, infatti, è sorgente della fede,
e il comunicare con D i o avviene attraverso un dialogo interpersonale, perché D i o
è Spirito e quelli che lo incontrano e lo adorano, lo a d o r a n o in spirito e verità.
Oltre a questo i sacramenti n o n d e v o n o rimanere solo p u r e celebrazioni
liturgiche o rituali, staccate dal vivere quotidiano, ma devono essere espressio-
ni vere e profonde della vita dell'uomo. Il Signore li ha voluti quali incontri tra
D i o e l'uomo, per la liberazione e l'elevazione dell'uomo nelle varie esperien-
ze e nelle t a p p e del suo esistere. Essi riassumono il sentire, il progettare, il crea-
re, il gioire e il soffrire dell'uomo in vista di un incontro liberante e trasfor-
m a n t e con il Salvatore: sono sempre, in vario m o d o , culmine e fonte della vita
dell'uomo.
In essi si intreccia il mistero di G e s ù e la storia dj ogni persona con tutti i
valori dell'esistenza, dal nascere, al crescere, al bisogno di perdono, alla vita
matrimoniale, al servizio nella Chiesa, all'incontro finale con il Signore. Tutte la
realtà dell'uomo, della società e del m o n d o , sono coinvolte nel mistero del
R e d e n t o r e che dona apertura al m o n d o di D i o e c o m p i m e n t o nella pienezza
escatologica.
I sacramenti sono molto più che espressioni di religiosità, come lo è il con-
templare e il lodare D i o di fronte alle bellezze della natura; sono il p u n t o in cui
l'umano è assunto nel divino e il divino entra nella vicenda u m a n a per un inter-
vento creatore del Cristo.
21
2.2. Le cose del mondo mediatrici di incontro
2.2.1. La via della fede e della mediazione delle cose del mondo
22
rati tecnici, e c'è un altro livello che n o n p u ò essere mai svelato da mezzi mec-
canici; ma è rivelato dall'«occhio interiore» dell'uomo, «dal cuore».
Q u e s t o è vero ancor più là dove si delinea il r a p p o r t o tra l'uomo e Dio, come
è detto nella Bibbia. D i o vede più a fondo nelle vicende e nei gesti dell'uomo:
«L'uomo guarda l'apparenza, il Signore guarda il cuore» ( I S a m 16,7). Per questa
doppia c o m p o n e n t e è necessario che la comunicazione umana, assieme ai ricor-
di, ai sentimenti e alle idee, trovi dei segni espressivi anche esteriormente, per
essere percepita dall'«occhio interiore».
Perché una stretta di mano, un abbraccio, una carezza tra persona e persona?
Perché attraverso i segni sensibili si rivela e si comunica il flusso e la trasmissio-
ne invisibile dello spirito.
A n c h e nelle cose c'è una doppia dimensione: c'è una dimensione fisica e una
dimensione spirituale. D e n t r o le cose è iscritto un significato: c'è in esse come
una falda sotterranea che alimenta le sorgenti, come linfa che scorre segreta e fa
germinare u n a pianta. L'uomo si mette a contatto vero con le cose q u a n d o attin-
ge a questa falda profonda e percepisce, tramite essa, il loro messaggio. Allora le
cose diventano utili, parlanti, belle, sorgenti di energia e piene di valore u m a n o :
l'acqua, l'oro, il m a r m o , l'uranio, la seta acquistano per l'uomo un interesse n u o -
vo e preziosità imprevedibili.
Ogni realtà, infatti, oltre che «esistere», ha dei significati, è sillaba di un gran-
de alfabeto. L'uomo, che n o n è analfabeta, è capace di capire e di interpretare
nelle cose l'annuncio che va oltre l'apparenza. Egli vede nelle cose l'utilità, il
fascino, perfino il tocco di Dio.
23
2.2.5. // corpo: luogo d'incontro a livello interpersonale e storico
24
In tutte le età e in tutte le culture l'uomo ha captato in m o d o semplice, ma chia-
ro, tracce di D i o nelle cose. Ha colto il m o n d o come un'arpa che svela al tocco le
note di un grande messaggio, il fascino di una bellezza trascendente, la chiamata e
l'accendersi del desiderio di D i o (cf. Rm 1,20). E la certezza di un fondamentale
rapporto con Dio ha fatto sorgere in modi sempre nuovi la nostalgia di un incon-
tro più intenso, personale, attuato faccia a faccia. Così l'incontro che avviene con
Dio attraverso il corpo e le cose p u ò diventare dialogo esplicito, se è vero che Dio
accondiscende di rivolgersi all'uomo con una parola umana, con volto u m a n o .
In vista di un simile incontro, accanto alle forme primitive e universali del
culto (preghiere, sacrifici, misteri, miti, che possono essere detti «sacramenti
naturali»), c'è stato nell'uomo il desiderio di un rivelarsi di Dio tramite il lin-
guaggio u m a n o .
La certezza della corrispondenza di D i o al desiderio dell'uomo si è manife-
stata nelle tappe della rivelazione, è diventata pienezza con il venire di Cristo, il
Dio fatto uomo.
2.3.2. Cristo assume le realtà terrene nei suoi interventi nel mondo
Cristo, per il suo essere D i o incarnato, è stato il segno più espressivo dell'in-
contro con D i o ed è il p u n t o di partenza dei «segni della nuova alleanza», messi
in atto da lui nella sua Chiesa. E tutto questo è vero anche in un m o n d o desa-
cralizzato.
L'estraneità al «sacro» per l'uomo della tecnica, guidato da un intellettuali-
smo razionalista o da un esistenzialismo ateo, n o n p u ò essere mai totale. L ' u o m o
rimane sempre, per sua natura, immerso nella simbolicità, è generatore di sim-
boli espressivi della sua interiorità e teso a decifrare il significato simbolico del
m o n d o nei suoi segreti più profondi e nelle relazioni più decisive.
Se non c'è in lui una religiosità autentica, si affermano dei surrogati attra-
verso forme parallele di religiosità, quali le pratiche segrete, le sette, le supersti-
zioni, i movimenti di provenienza esotica, che sostituiscono in qualche m o d o i
«sacramenti naturali».
I sacramenti della salvezza, pensati da Gesù, si innestano nel bisogno ineli-
minabile dell'uomo di un incontro con Dio, che coinvolga tutto il suo essere. E
per questo che i sacramenti n o n possono essere contestati in m o d o radicale.
Contestare i sacramenti (quali espressioni di incontro con Dio) dal p u n t o di vista
u m a n o è come contraddire il linguaggio dell'uomo, è come disdire lo statuto del-
la propria umanità fatto di corporeità e di spiritualità.
25
nio. Le realtà sacramentali incluse nel «settenario» sono state presenti nella
Chiesa fin dall'inizio e h a n n o occupato da s e m p r e una posizione di rilievo nella
fede, nella dottrina e nella pietà ecclesiale. Ma l'approfondimento particolare di
tali realtà sacramentali e la loro catalogazione sotto il concetto comune di
«sacramento» e con un n u m e r o specifico, sono avvenuti d o p o l'anno Mille.
Inizialmente o g n u n o dei singoli sacramenti era indicato nelle celebrazioni
col proprio n o m e (battesimo, eucaristia, penitenza...) e il d e n o m i n a t o r e comune
di «sacramento» era allargato pure ad altri gesti rituali (come la benedizione dei
monaci o delle vergini, la consacrazione dei sovrani o delle chiese, la benedizio-
ne dell'acqua, la lavanda dei piedi ecc.).
Il riferire il n o m e e la teologia di sacramento a quelli che saranno detti, con
valore esclusivo, i sette sacramenti, è frutto di un'elaborazione teologica matura-
ta nell'opera e nella ricerca dei maestri medievali. Tale elaborazione è stata
assunta e avallata ufficialmente dal magistero della Chiesa cattolica.
I maestri delle scuole teologiche, tra la prima e la seconda fase della scolastica,
cioè a partire dal secolo XI, avvalendosi del m e t o d o di ricerca nuovamente affer-
m a t o - il m e t o d o della quaestio - e assumendo le categorie e i termini aristotelici,
hanno dato particolare attenzione alla definizione, al valore salvifico e alla puntua-
lizzazione del numero dei sacramenti. Venne evidenziata così, negli scritti dei teo-
logi, una distinzione netta tra quei «riti sacramentali» che risalivano al Signore nel-
la loro origine, o comunque erano presenti negli scritti degli apostoli - che, quanto
al valore, avevano un'efficacia certa, per il dono della grazia che trasmettevano, e un
carattere di necessità, per la salvezza - rispetto agli altri riti, che presentavano un
valore più limitato nel culto, richiamandosi alla pietà e alla devozione.
I primi vennero denominati sacramenti; gli altri, considerati gesti liturgici di
devozione, v e r r a n n o detti sacramentali.
Nel periodo di ricerca, negli scritti dei maestri più in vista del secolo XII, in
base a sottolineature e accentuazioni diverse, si nota una diversificata cataloga-
zione ed enumerazione dei «sacramenti» cristiani. Ad esempio, U g o di San Vit-
tore e n u m e r a diciotto sacramenti; san Pier D a m i a n i ne elenca dodici; R o l a n d o
Bandinelli (che poi diventerà papa col n o m e di Alessandro III) nelle Sententiae
ne p r o p o n e sette; Pietro L o m b a r d o sette; Algero di Liegi tre.
II p r o b l e m a del n u m e r o n o n ha trovato subito una risposta comune e auto-
revole, finché venne chiarito l'elemento specifico che distingue i sacramenti da
sacramentali.
Alcuni fondavano il criterio «specifico» del sacramento sulla presenza di ui
simbolismo sacro (e in questo senso i segni sacri possono essere molto n u m e r o
si, tanto che san B e r n a r d o poteva dire che i sacramenti sono «innumerevoli»...'
Altri fondavano la diversificazione tra sacramentali e sacramenti sull'efficaci
operatrice di grazia e sul valore esclusivo di un riferimento al Signore quant
all'istituzione; in tal caso il n u m e r o dei «sacramenti» si ritroverà in quell'elenc
ristretto che poi diventerà ufficiale.
È da n o t a r e anche che il n u m e r o sette ha, oltre al resto, il pregio di un sin
bolismo biblico, ad esempio nel richiamo ai sette doni dello Spirito Santo.
26
3.1.2. La definizione dei sacramenti
«i sacramenti sono segni efficaci della grazia istituiti da Gesù Cristo per santificarci».
Nel secolo XIII l'affermazione dei sette sacramenti e la linea dottrinale pre-
valente elaborata dai maestri vengono ufficialmente accolte nella Chiesa. Il pas-
saggio dalle conclusioni dei teologi alle affermazioni autorevoli del magistero si
ha nei documenti dei papi e dei concili.
3
Denz 793-797.
27
Nel concilio di Lione (1274) sarà proposto all'imperatore Michele Paleologo
una formula con l'elencazione dei sette sacramenti visti nel loro significato
4
profondo.
Ai nostri giorni, senza disdire la continuità nella fede cattolica, viene dato più
attentamente risalto alla dimensione esistenziale, relazionale e personale dei
sacramenti, quali eventi nei quali si attualizza un incontro tra l'uomo e Dio.
Assieme alla certezza nell'intervento creatore di Dio nei sacramenti viene
maggiormente evidenziata la dimensione personale dell'incontro tra D i o e l'uo-
4
Denz 8 6 0 .
28
mo, incontro che si compie nella libertà e nella fede. Di qui è data attenzione par-
ticolare al ruolo primario della parola di D i o in ogni incontro con Dio. Essa ha
un ruolo specifico nella celebrazione dei sacramenti.
La Chiesa non ha mai professato «magie sacramentali», n o n ha mai taciuto il
ruolo e la p a r t e che spetta all'uomo accanto alla parte di D i o (Yex opere ope-
rantis accanto all'ex opere operato). Ad esempio, non afferma che in una cele-
brazione matrimoniale davanti al ministro della Chiesa fluisce c o m u n q u e la gra-
zia del sacramento, anche senza una comprensione e u n ' a p e r t u r a al D i o della
salvezza nella fede. Affinché si verifichi un effettivo incontro di salvezza, si pas-
sa infatti attraverso la parola di Dio, proclamata nella celebrazione e accolta nel-
la fede. Nella parola e nella fede l'uomo si apre al mistero di Dio.
Mentre Lutero aveva riconosciuto solo tre sacramenti (il battesimo, l'eucaristia
e la penitenza, in quanto riconducibili all'istituzione diretta del Signore; successi-
vamente ne affermerà solo due, inglobando il segno sacramentale della penitenza
nel battesimo e nell'eucaristia), le Chiese ortodosse non hanno contestato in linea
di principio il numero settenario dei sacramenti affermato nella Chiesa latina.
Si riscontrano di fatto, nella tradizione ortodossa, diverse testimonianze che
a m m e t t o n o il n u m e r o settenario dei sacramenti. Possono essere citate in p r o p o -
sito: la confessione di fede del patriarca Dositéo, nel 1672; la professione di fede
dell'imperatore Michele Paleologo, emessa in occasione del concilio di Lione del
1274 e la lista del m o n a c o G i o b b e Haimartolòs, in u n ' o p e r a inedita del XIII
6
secolo. Resta vero p e r ò che l'attenzione maggiore della teologia ortodossa è
rivolta a considerare nei sacramenti più l'unità che* li caratterizza rispetto alla
molteplicità.
5
Ricordiamo qualcuno dei teologi più celebri della fase precedente e parallela al concilio Vati-
cano II: K. R A H N E R , Chiesa e sacramenti, Morcelliana, Brescia 1966; ID., Saggi sui sacramenti e sulla
escatologia; SCHILLEBEECKX, Cristo sacramento dell'incontro con Dio; O. SEMMELROTH, Teologia della
parola, E P , Bari 1967; J. A U E R - J. RATZINGER, / sacramenti della Chiesa, Cittadella, Assisi 1974; L.
B O U Y E R , Parola e sacramenti nel protestantesimo e nel cattolicesimo, Morcelliana, Brescia 1962.
6
Corso di teologia sacramentaria, 1,448.
29
C'è nei sacramenti un'unità profonda che deriva dal loro radicarsi in Cristo,
nella sua presenza redentrice: egli è il d e n o m i n a t o r e c o m u n e per tutti gli eventi
di salvezza operati nel m o n d o , si tratti dei sacramenti o dei molti segni di sal-
vezza che l'azione invisibile dello Spirito opera. L'unità di fondo deriva dal Cri-
sto incarnato, nel quale si colloca l'impercettibile profondità del mistero destina-
to ad essere vissuto più che definito.
I vari segni sono p r o l u n g a m e n t o del mistero dell'incarnazione, che è stato
sempre alla base della fede proclamata nelle celebrazioni di salvezza del primo
millennio. La costellazione dei molti segni ecclesiali è riconducibile all'unità, sia
p u r e nella loro diversità, per l'azione dello Spirito del Signore che opera nelle
situazioni più diverse.
II fatto che la teologia e la dottrina della Chiesa occidentale abbiano messo
in risalto la specificità dei segni sacramentali della grazia, è dovuto, in primo luo-
go, a un approfondimento di comprensione o p e r a t o dalla lucidità del pensiero
medievale, che ha messo a fuoco il versante u m a n o degli incontri di salvezza,
assieme alla potenza dell'agire indefettibile di D i o che si riferisce all'uomo nel-
le tappe cruciali della vita. Di fronte all'uomo della storia, l'azione di D i o si
afferma con finezza e creatività, sia p u r e nella precarietà delle situazioni umane.
P e r ò nel n u m e r o settenario va intravisto sempre l'unico disegno sapienziale di
Dio, con le sue offerte di salvezza e con le meraviglie della sua misericordia che
porta a compimento la vita dell'uomo.
«Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani,
cioè Cristo in voi, speranza della gloria» (Col 1,27).
«la Chiesa è in Cristo come sacramento cioè segno e strumento dell'intima unione
7
con Dio e dell'unità di tutto il genere umano».
1
EV 1 / 2 8 4 .
8
Cf. O. SEMMELROTH, Die Kirche als Ursakrament, Knecht, Frankfurt am Main 1 9 5 3 .
30
partecipazione comunitaria alla celebrazione, e si è tradotto in atto, progressiva-
mente, il cammino ecumenico tra le Chiese cristiane. Esso, rimeditando nel dialo-
go i punti cruciali della fede cristiana, ha riservato un posto di p r i m o piano alla
comprensione e alla celebrazione dei sacramenti, ciò in particolare nel docu-
m e n t o Battesimo Eucaristia Ministero (BEM) del 1982, in vista di altri passi deci-
sivi verso l'unità dei cristiani.
9
4.2. I sacramenti dell'iniziazione cristiana
Nella vita di ogni cristiano c'è un inizio dal quale t u t t o p a r t e e al quale tut-
to ritorna, e nel quale viene qualificato l'essere d e l l ' u o m o r e d e n t o . Tale inizio
è contrassegnato dall'ascolto del vangelo, dal sorgere della fede, dalla conver-
9
Cf. La nuova proposta di Iniziazione Cristiana, Elledici, Leumann ( T O ) 1985; D. BOROBIO, La
celebrazione nella Chiesa, Elledici, Leumann ( T O ) 1994; S.H. BOURGEOJS, L'iniziazione cristiana e i
suoi sacramenti, Elledici, Leumann ( T O ) 1987: A. CAPRIOLI, Vi laverò con acqua viva, Ancora, Mila-
31
sione del cuore che culmina nell'immersione nel mistero del Cristo con la
celebrazione del b a t t e s i m o e dell'eucaristia. Ciò risalta b e n e dalle esperienze
delle p r i m e c o m u n i t à cristiane a partire dal libro degli A t t i degli apostoli
(2,37-42; 16,14-15.30-34).
L'insieme degli eventi che d a n n o identità e una piattaforma p e r m a n e n t e alla
vita di ogni cristiano è stato d e n o m i n a t o a p p u n t o il trittico dell''iniziazione cri-
stiana. Veniva utilizzato così un termine c o m u n e nelle tradizioni religiose e nel-
le culture antiche, presso le quali la prima fase della formazione u m a n a e della
vita religiosa era detta «iniziazione».
L'iniziazione non è solo un p u n t o di partenza, che è seguito da un cammino
tutto da inventare, ma è l'inserimento in un m o n d o n u o v o con valore duraturo,
è partecipazione a una sfera di esistenza completamente inedita, creata dallo
Spirito di Cristo.
L'insieme degli eventi dell'iniziazione dà il via creativo alla realtà del «corpo
di Cristo» nel mondo. Si tratta di un inserimento nel Cristo, per d o n o dello Spi-
rito del Cristo. Esso è un inizio o un innesto, che si p o n e in profonda sintonia con
lo stile e le esperienze del vivere u m a n o , ove il nascere di una vita p o r t a con sé
un patrimonio genetico che ha sviluppo, inserisce in u n a comunità e trasmette
valori e legami che permangono.
L'inizio battesimale - p u n t o primo dell'iniziazione cristiana - è analogo
all'incalmo di un r a m o in una pianta che dà il via a una connessione vitale; esso
ha caratteristiche precise, e avrà sviluppo e produttività. In analogia con l'inne-
sto di una pianta è visto l'inizio della vita cristiana.
L'inizio battesimale della vita cristiana è paragonato da san Paolo a un
impianto in Cristo, a un «prendere parte» alla vita, al corpo e al destino di lui. In
questo q u a d r o di significati la tradizione ecclesiale ha così d e n o m i n a t o il batte-
simo: «porta dei sacramenti».
La celebrazione unita dei tre sacramenti iniziali fa intuire la fisionomia uni-
taria dell'iniziazione cristiana, con tutti i suoi significati e il suo polarizzarsi attor-
no a diversi m o m e n t i esperienziali e celebrativi: il sorgere della fede nel Signore,
la conversione della vita che si apre alla sequela di Cristo e all'inserimento nella
comunità cristiana. Il tutto sfocia nella celebrazione liturgica del battesimo, della
cresima e dell'eucaristia.
Q u e s t a triplice c o m p o n e n t e sigla l'essere p a r t e del mistero del Cristo cro-
cifisso e risorto e i n t r o d o t t o nella Chiesa con continuità indefettibile p e r tutta
la vita.
no 1981; A. CECCHINATO, Celebrare la Confermazione, Messaggero, Padova 1987; V. CROCE, Cristo nel
tempo della Chiesa. Teologia dell'azione liturgica, dei sacramenti e dei sacramentali, Elledici, Leu-
mann (TO) 1992; R. FALSINI, L'iniziazione cristiana e i suoi sacramenti, OR, Roma 1986; G. FERRARO,
Isacramenti e l'identità cristiana, Piemme, Casale Monferrato 1986; M. FLORIO - C. ROCCHETTA, Sacra-
mentaria speciale. 1: Battesimo, confermazione, eucaristia, E D B , Bologna 2004; G. GATTI, // lieto
annuncio del battesimo in famiglia, Elledici, Leumann (TO) 1979; R. G I R A R D I , Rinati nell'acqua e nel-
lo Spirito, Dehoniane, Napoli 1982; M.L. G O N D A L , L'iniziazione cristiana, Queriniana, Brescia 1992;
MAZZANTI, I sacramenti simbolo e teologia, I - I I ; C. ROCCHETTA, Cristiani come catecumeni. Rito dell'i-
niziazione cristiana degli adulti, EP, R o m a 1984; R. SCHULTE, L'avvenimento sacramentale della con-
versione nel battesimo (Mysterium Salutis 10), Queriniana, Brescia 1976; B. TESTA, / sacramenti della
Chiesa, Jaca Book, Milano 1995; E.R. T U R A , // Signore cammina con noi. Gregoriana, Padova 1987.
32
Per l'ampiezza dei suoi significati, l'iniziazione cristiana non è riducibile a
una cosa di poco valore, e non si esaurisce nel fatto celebrativo dei tre sacra-
menti, ma è base di partenza di u n a continuità che dura per tutta la vita, colle-
gata alla profondità misteriosa del D i o Trino. Per questo motivo l'iniziazione cri-
stiana rimane oggetto di continua attenzione e verifica nella Chiesa a livello teo-
logico, liturgico e vitale.
33
4.4. L'iniziazione cristiana nel nostro tempo
Nel secondo millennio la piattaforma degli inizi della vita cristiana è data
dal battesimo, amministrato ai bambini «al più presto», cioè subito d o p o la
nascita, e seguito dalla confermazione e dalla p r i m a c o m u n i o n e all'età della
ragione. In tale contesto la prassi dell'antico c a t e c u m e n a t o si trasferì (per così
dire) nel q u a d r o educativo delle famiglie e nella partecipazione dei fanciulli
alle celebrazioni liturgiche delle comunità. Un clima di «cristianità» garantiva
il graduale passaggio dei b a m b i n i battezzati nei primi giorni di vita, a un'esi-
stenza di cristiani m a t u r i .
V e n n e a cessare l'unità celebrativa e funzionale dei tre sacramenti iniziali e
anche u n a visione teologica unitaria di essi. Essi a p p a r v e r o s e m p r e più come
t a p p e successive di un c a m m i n o di sviluppo che, iniziato nel battesimo, si accre-
sceva t r a m i t e gli altri sacramenti e m e d i a n t e la partecipazione alla vita della
Chiesa.
C E I , Evangelizzazione e sacramenti, 1 9 7 3 .
34
4.4.2. La prassi pastorale si apre a una fase nuova
11
Cf. SC 64-71: EV 1/115-124; AG 14: EV 1/1121-1125; PO 2: EV 1/1244-1248. Si veda DIOCESI
DI VITTORIO V E N T O , Direttorio per l'iniziazione cristiana, Elledici, Leumann (TO) 1988.
35
Capitolo terzo
IL BATTESIMO
Ogni sacramento viene descritto nella sua identità in primo luogo nella cele-
brazione, che è derivata dagli apostoli (Mt 28,19; Me 16,16; At 2,38-41; 8,29-38;
10,47-48; 16,33; 19,1-7) ed è in atto nella Chiesa. A n c h e per il battesimo vale que-
sta regola. Nel rito battesimale è annunciato il mistero di Cristo crocifisso e risor-
to, che coinvolge la vita di una persona, la trasforma e le trasmette la sua somi-
glianza. Il battesimo è un evento che dà il via a una esistenza nuova, contrasse-
gnata da una comunione di vita con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, destina-
ta a crescere e a compiersi nell'eternità. Un battezzato quindi inizia un cammi-
no di vita che lo rende totalmente «partecipe di Cristo».
P a r t e n d o dal rito del battesimo, si arriva ai significati che esso ha. Il concilio
Vaticano II ha messo in atto, nei riguardi della celebrazione del battesimo, un
rinnovamento che presenta, in m o d o particolarmente espressivo, i valori teolo-
gici e le risultanze vitali e storiche del battesimo stesso.
L'insieme dei libri rituali riguardanti il battesimo, ripensati e rièditi nella
riforma o p e r a t a d o p o il concilio Vaticano II, è costituito da:
Rito del Battesimo dei Bambini (RBB 1969);
- Rito della Iniziazione Cristiana degli Adulti (RICA 1972);
Rito della confermazione (1972).
Le linee di fondo che h a n n o guidato la riforma conciliare, sono state ispirate
agli antichi modelli celebrativi. Da questi è stato ripreso tutto ciò che di autenti-
co e di vitale l'eredità antica ci ha trasmesso, con l'integrazione di q u a n t o la sen-
1
sibilità e le urgenze del nostro t e m p o h a n n o suggerito. I testi rituali sono stati
inquadrati idealmente in u n a trama catecumenale, che sfocia nel q u a d r o unita-
2
rio di tutta l'iniziazione cristiana.
1
SC 64-66: EV 1/115-117.
2
Cf. Anamnesis. 3.1: La liturgia, ì sacramenti. Teologia e storia della celebrazione, Marietti, Tori-
no 1986; // sacramento della fede, a cura di M. ALIOTTA, San Paolo, Milano 2000; Incontrare Cristo nei
sacramenti, a cura di H. L U T H E , EP, Cinisello Balsamo 1988; Iniziazione cristiana e catecumenato.
Diventare cristiani per essere battezzati, a cura di G. CAVALLOTTO, E D B , Bologna 1996; La nuova pro-
posta di Iniziazione Cristiana, Elledici, Leumann (TO) 1985; D. BOROBIO, La celebrazione nella Chie-
sa, Elledici, Leumann (TO) 1994; S.H. BOURGEOIS, L'iniziazione cristiana e i suoi sacramenti, Elledici,
Leumann (TO) 1987;T. CAMELOT, Spiritualità del Battesimo, Elledici, Leumann (TO) 1966; A. CAPRIO-
LI , Vi laverò con acqua vìva, Ancora, Milano 1981; G. CAVALLOTTO, Catecumenato antico. Diventare
cristiani secondo i Padri, E D B , Bologna 1996; V. CROCE, Cristo nel tempo della Chiesa. Teologia del-
37
1. LA CELEBRAZIONE DEL BATTESIMO
l'azione liturgica, dei sacramenti, Elledici, Leumann ( T O ) 1992; J. DANIELOU, Bibbia e Liturgia,Vita e
Pensiero, Milano 1958; ID., La catechesi nei primi secoli, Elledici, Leumann ( T O ) 1969; 1. DE LA P O T -
TERIE - S. LYONNET, La vita secondo lo Spirito, A V E , Roma 1967; R. FALSINI, L'iniziazione cristiana e
i suoi sacramenti^OK, R o m a 1986; l a , Battezzati per diventare cristiani, EP, R o m a 1984; J. FEINER -
M. L O R E R (edd.), Mysterium salutis. 8: L'evento salvifico nella comunità di Gesù Cristo, Queriniana,
Brescia 1978, 154-230; G. FERRARO, / sacramenti e l'identità cristiana, Piemme, Casale Monferrato
1986; G. GATTI, // lieto annuncio del battesimo in famiglia, Elledici, Leumann ( T O ) 1979; R. GIRARDI,
Rinati nell'acqua e nello Spirito, Dehoniane, Napoli 1982; M.L. G O N D A L , L'iniziazione cristiana, Que-
riniana, Brescia 1992; H. H A M M A N , Iniziazione Cristiana, Marietti, Genova 1980; M. MAORASSI, Vive-
re l'eucaristia, La Scala, Noci ( B A ) 1978; G. MAZZANTI, / sacramenti simbolo e teologia. 1: Introdu-
3
zione generate, E D B , Bologna 1997, 2003; ID., / sacramenti simbolo e teologia. 2: Eucaristia, battesi-
2
mo e confermazione, E D B , Bologna 1998, 2000; M. QUALIZZA, Iniziazione Cristiana, EP, Cinisello
Balsamo 1996; B. R E Y , Creati in Cristo Gesù, A V E , R o m a 1968; C ROCCHETTA. «Fare» i cristiani oggi.
Il rito dell'iniziazione cristiana degli adulti forma tipica per il rinnovamento delle nostre comunità,
2
E D B , Bologna 1 9 9 7 , 2 0 0 1 ; ID., Cristiani come catecumeni, EP, R o m a 1984; R. RUFFINI, // Battesimo
nello Spirito, Marietti, G e n o v a 1982; B. TESTA, / sacramenti della Chiesa, Jaca Book, Milano 1995;
E.R. T U R A , // Signore cammina con noi, Gregoriana, Padova 1987.
38
Struttura del rito
- La liturgia della Parola (RBB 41-57). Il sacramento nasce sempre dalla fede
e la fede nasce dall'ascolto della parola di Dio. Per questo si proclama la
Parola, alla quale attinge la fede dei genitori. C'è poi la preghiera, che termi-
na in una breve litania e con l'esorcismo: la Parola suscita la conversione e la
conversione è una liberazione che viene dall'alto, in una storia che è dialetti-
ca tra b e n e e male.
- La tappa conclusiva (RBB 75-80). Il cammino del rito termina all'altare con
un esplicito richiamo all'eucaristia nella quale si concluderà l'iter dell'inizia-
zione cristiana. All'altare si recita la preghiera del Signore. Dall'altare viene
fatto il congedo, che dà il via al cammino della vita nuova. P e r i p a p à e p e r le
m a m m e viene pronunciata alla fine una preghiera di benedizione quale invo-
cazione e auspicio per le loro responsabilità.
39
di una storia di salvezza, contrassegnata dall'impegno di conversione, dai simbo-
lismi del rito ed è via verso l'incontro finale con il Signore.
L'attuale rito dà risalto alla «partecipazione» che spetta a tutto il p o p o l o di
Dio nell'azione battesimale (famiglie, genitori, padrini, comunità).
Q u a n t o al ministro del sacramento è ribadita la prassi tradizionale: il ruolo
ministeriale ordinario è riferito ai ministri ordinati (vescovo, presbitero o diacono).
Le linee di fondo che ispirano il rito degli adulti rispondono agli intenti teo-
logico-pastorali che caratterizzano l'ingresso di persone m a t u r e nella realtà cri-
stiana.
3
I padri del concilio avevano richiesto un rituale distinto p e r l'iniziazione cri-
stiana degli adulti e ne avevano motivato l'urgenza con un particolare riferi-
m e n t o ai luoghi di missione. Q u e s t o progetto fu portato a c o m p i m e n t o negli anni
1964-1972 e venne pubblicato col titolo di Ordo Initiationis Christianae Adulto-
rum (OICA) e t r a d o t t o in italiano nel 1978 col titolo di Rito dell'Iniziazione Cri-
stiana degli Adulti (RICA).
Gli intenti e le linee direttrici del RICA sono espresse efficacemente dall'in
traduzione fatta dalla C E I all'edizione italiana:
3 SC 4 4 - 4 6 : EV 1 / 7 8 - 8 2 ; AG 1 4 : EV 1 / 1 1 2 1 - 1 1 2 5 .
40
vista come il luogo ordinario e privilegiato in cui agiscono con intesa e unità gli
organismi di evangelizzazione, catechesi, liturgia e carità.
- // secondo tempo p a r t e dal rito di ammissione tra i catecumeni (tale rito costi-
tuisce il primo gradino dell'iter celebrativo, dal quale si snoda la strada cate-
cumenale che durerà più anni). Il c a t e c u m e n o entra a far p a r t e della famiglia
della Chiesa tramite la fede e la conversione della vita, e cresce attraverso
la catechesi, il c a m b i a m e n t o di mentalità e di c o m p o r t a m e n t o , la celebra-
zione di particolari riti liturgici e una progressiva testimonianza di fede e di
esistenza.
- // terzo tempo p a r t e dal rito della scelta e dell'iscrizione nel libro dei battez-
zandi {secondo gradino) ed è caratterizzato dalla «scelta o elezione» che dà
inizio alla fase di preparazione ufficiale al battesimo. Esso va dall'inizio del-
la Quaresima alla settimana pasquale. H a n n o luogo in questo t e m p o tre tur-
ni di «scrutini» domenicali (questi m e t t o n o in risalto le storture da sanare e
le qualità positive da rafforzare). Ci sono due «consegne» da effettuare, quel-
la del Simbolo e quella del Padre Nostro e, nella convocazione finale, si com-
pie la «recita del Simbolo» e si celebra VEffetà, il rito del n o m e nuovo e l'un-
zione con l'olio dei catecumeni.
41
2. I SIGNIFICATI TEOLOGICI DEL BATTESIMO
Il battesimo, nel linguaggio del rito, esprime una chiara valenza teologica;
esso annuncia che il diventare cristiano comporta un lungo e continuo cammino
fatto nella Chiesa.
Alla Chiesa viene rivolta - nella fede - la d o m a n d a da p a r t e dei battezzandi
e tale d o m a n d a viene ripetuta nella tappe successive, in termini sempre più
impegnativi, fino all'atto battesimale. La Chiesa è la base di partenza del batte-
simo dei nuovi membri. In essa è presente il Signore che ha l'iniziativa nel por-
gere agli uomini il suo d o n o di salvezza.
L'inizio dell'itinerario si compie nell'intreccio tra il desiderio della persona
che chiede il battesimo e si apre a D i o e alla Chiesa, e la benevolenza di D i o che
in Cristo vuole offrire la salvezza tramite i sacramenti. La Chiesa nelle sue p a r o -
le manifesta la gioia dell'amore del R e d e n t o r e verso gli uomini redenti.
L'iter celebrativo dell'iniziazione si compie in una progressione di tappe.
Il c a m m i n o per l'iniziazione è contrassegnato dalla scelta libera di chi si
dispone alla sequela del Signore, dall'esigenza e dalla gratuità del d o n o offerto
in m o d o sempre nuovo, e dal coinvolgimento di padrini e madrine e di tutta la
comunità che testimonia e annuncia il messaggio di Cristo.
L'accoglienza iniziale è espressa in un dialogo semplice e impegnativo: si trat-
ta di un colloquio con Cristo Salvatore che nell'amore vuole riempire tutta la
vita del n u o v o candidato.
La Chiesa, in tutta una serie di incontri con il battezzando, lo guida a lascia-
re quello che è estraneo allo stile di Cristo - a convertirsi - e ad aprirsi progres-
sivamente alla redenzione.
La progressione si ha nell'accoglienza e nell'approfondimento della fede.
La fede a p r e il cuore e la vita a Cristo Signore che indica le n u o v e scelte. La
fede è professata in m o d o solenne nel p u n t o culminante del rito, nell'acqua
battesimale.
Il cammino continua anche d o p o il battesimo, approfondendo la novità del-
la vita in Cristo e la dignità di m e m b r o della comunità dei battezzati.
Il gesto dell'acqua non è solo lo spartiacque decisivo nella vita del cristiano,
ma è un inizio creativo, ha una serie di conseguenze vitali indicate dai diversi
segni postbattesimali. Essi indicano l'appropriazione dei titoli messianici, la
novità dell'esistenza e la configurazione a Cristo. Q u e s t o si ha tramite l'unzione
con l'olio, la veste bianca, il cero acceso, l'imposizione delle mani e, alla fine, con
il riferimento all'eucaristia presso l'altare.
Tutti i segni del rito orientano la vita del battezzato verso il futuro, attingen-
do sempre alla potenza sorgiva del Cristo, fonte della vita nuova. Nel rito sono
ripetute espressioni quali: ricevi «la veste nuova da p o r t a r e senza macchia fino
al tribunale di Cristo Signore»; «illuminati da Cristo, vivete come figli della luce...
e andate incontro al Signore che viene».
42
2.2. Il battesimo evento creatore di vita nuova
Il significato centrale del mistero battesimale sta nel fatto che esso è evento
creatore che si compie «nel n o m e di Cristo». Esso innesta nella m o r t e e risurre-
zione del Signore, è operante per l'azione p o t e n t e dello Spirito Santo, libera dal
peccato, r e n d e figli del P a d r e e crea il corpo della Chiesa.
Il riferimento autorevole a questi valori battesimali è offerto con chiarezza
dai libri del N u o v o Testamento.
Paolo vede nel battesimo il compiersi di un intervento del Cristo che coin-
volge misteriosamente il battezzato nella sua m o r t e e risurrezione:
«quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù siamo stati immersi nella sua morte...»
(Rm 6,4; Col 2,12-15; Gal 3,26-29).
3
« 0 non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati
4
nella sua morte! Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui
nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del
5
padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati
completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua
6
risurrezione. Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, per-
ché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato.
8
'Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, cre-
diamo che anche vivremo con lui». (Rm 6,3-8).
«Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,27).
43
nella storia di una persona viene tolta l'alternativa tra l'uomo e Dio, per-
ché l'uomo è definitivamente inserito in Dio;
la dialettica esistente in ogni persona tra vita e morte, tra creazione e
distruzione, è risolta in positivo, perché la morte sfocia con Gesù nella
risurrezione che è vita oltre la m o r t e ;
ogni fatto della storia cessa di essere un frammento precario che si
annulla nel t e m p o con t u t t o il suo valore; esso viene inserito profonda-
m e n t e nel mistero di Cristo, trainato dalla dinamica della trasformazio-
ne gloriosa della risurrezione (Col 3,1-4).
U n o degli effetti fondamentali del battesimo viene affermato come vittoria sul
d r a m m a del peccato e della peccaminosità sempre presente nell'uomo. Il battesi-
mo è vittoria sul peccato. Questo significato ha avuto un risalto costante nelle pro-
fessioni di fede riguardanti il battesimo. Nel Simbolo niceno-costantinopolitano è
detto: «confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati», e nella tradizio-
ne della Chiesa, a partire da sant'Agostino, ha avuto grande sottolineatura la visio-
ne del battesimo quale evento purificatore dal peccato. In Agostino il perdono del
peccato è riferito, in particolare, alla visione del peccato originale e alla prassi del
battesimo dei bambini. L'evento battesimale segna il passare da una discendenza
4
rovinata dall'eredità del peccato a una storia di persone redente.
4
Cf. M. FLIK - Z. ALSZEGHY, Il peccato originale, Queriniana, Brescia 1972.370ss; P. C O D A , i
in Cristo Gesù, Citta Nuova, R o m a 1996,77-84; G. MARTELET, Libera risposta ad uno scandalo, C
riniana, Brescia 1987,84-110.
44
sorabilmente, cade nel peccato dell'egoismo, dell'orgoglio e della sensua-
lità. Si apre così il fronte complessivo del peccato contro Dio, contro l'u-
manità e contro il m o n d o .
- Per quanto riguarda il rapporto con Dio, il battesimo inserisce l'uomo, con
atto creatore, in una novità di relazione filiale con Dio. A p r e , m e d i a n t e lo
Spirito Santo, al mistero del D i o Trino. Per tale r a p p o r t o il battezzato assu-
me la capacità di conoscere D i o come «Padre», di rivolgersi a lui secondo
il progetto della salvezza e di amarlo con tutto il cuore: «Lo Spirito attesta
al nostro spirito che siamo figli di Dio». L'uomo r e d e n t o è in grado di rico-
noscere e di trattare gli uomini come fratelli.
45
2.4. Un'esistenza guidata dall'azione dello Spirito Santo
«Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito» (Gv 3,6
«In luì anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra :
vezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era :
to promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa red
zione» (Ef 1,13-14).
5
Gli antichi padri vedevano nel battesimo lo «sposalizio» di ciascun u o m o con Cristo: un
salizio avviato da Cristo con l'incarnazione, deciso sulla croce e consumato con i singoli m e m t
l'umanità nel battesimo. Tutta la fase preparatoria al battesimo era vista come un periodo di
zamento, che si concludeva con il patto nuziale (nella professione della fede battesimale) e
consumato tramite l'immersione nell'acqua battesimale.
46
2.4.2. Dal «sì» di Dio nello Spirito derivano all'uomo capacità nuove
È messa in atto, oltre alla liberazione dal peccato, l'apertura alla vita divina,
al vivere e al sentire come Dio.
Lo Spirito suscita l'esperienza di Dio, che è Padre e fa conoscere i suoi segre-
ti, fa sgorgare come sorgente zampillante lo stile di D i o e fa partecipare all'e-
sperienza di D i o nella speranza e nell'amore.
Lo Spirito crea tra gli uomini, provenienti «da ogni tribù, lingua, p o p o l o e
nazione», un corpo di fratelli, di «figli del Padre».
Lo Spirito garantisce la caparra dell'eredità, l'«attesa della beata speranza in
vista dell'avvento del nostro D i o e Signore Gesù Cristo».
s
2.4.3. // battesimo è radice della vita teologale e della libertà dei figli di Dio
«non c'è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù» (v. 1);
«voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spi-
rito di Dio abita in voi» (v. 9);
«la creazione ... attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio» (v. 19);
«[nessuna] creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro
Signore» (v. 39).
La libertà dei figli di D i o è non solo speranza, che porta ad attendere ciò che
verrà alla fine, ma è già attualità, capacità di a m a r e in* m o d o nuovo, di vincere il
male, di gioire ed essere consolati, pregustando la trasfigurazione finale.
L'evento della croce e della risurrezione del Signore, apre l'uomo alla poten-
za del Cristo, che redime e divinizza l'uomo, d o n a ai singoli a una comunione
profonda nel «corpo dei redenti». Viene creato il «corpo di Cristo», che supera
le divisioni:
47
«Siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, giudei o greci,
schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito» (ICor 12,13).
6
// battesimo dei bambini. Questioni teologiche e strategìe pastorali, Glossa, Milano 1999; D. G
so, Dobbiamo ancora battezzare i bambini?, Cittadella, Assisi 1972; O. CULLMANN, Dalle fonti del
gelo alla teologia cristiana, A V E , Roma 1971; K. BARTH, Die kirchliche Lehre von der Taufe, E vari
sher Verlag Zollikon, Ziirich 1947; H. SCHLIER, // tempo della Chiesa, Il Mulino, Bologna 1965,17C
48
18,8) o nel parallelismo che Paolo afferma tra circoncisione e b a t t e s i m o (Col
2,11; Ef 2,11-12) e p u r e nel fatto che n o n veniva p o s t o il p r o b l e m a dell'età per
il battesimo.
Nel II e III secolo il battesimo dei bambini viene attestato (in Policarpo, Giu-
stino, Ireneo, Origene, Ippolito, Cirpiano) come prassi normale. Tertulliano è
quasi l'unica voce che fa delle obiezioni contro quest'uso, nel capitolo 18 del De
Baptismo, scritto nei primi anni del III secolo. Ma la sua voce è isolata e porta
argomenti che vennero considerati dagli altri autori «assai posticci».
Da sant'Agostino in poi vengono espresse motivazioni nuove circa il battesi-
mo dei bambini. Esse riguardano la liberazione dal peccato originale, il permet-
tere ai piccoli che m u o i o n o nella primissima età di non essere esclusi dalla sal-
vezza e il riferimento all'azione creativa e preveniente dello Spirito di D i o e del-
la «madre Chiesa».
L'obiezione contro il battesimo dei bambini è riapparsa in m o m e n t i succes-
sivi della storia cristiana. Così negli anni 1524-1530, nell'ambito della Riforma,
gli anabattisti h a n n o contestato il battesimo dei bambini.
Ai nostri giorni il problema si è riproposto dal p u n t o di vista teologico e
pastorale.
Il pastore evangelico Dietrich Bonhòffer, in una conferenza del 1942, p r o p o -
neva una prassi differenziata, p e r m e t t e n d o il battesimo dei bambini in circo-
stanze favorevoli per u n o sviluppo cristiano e rinviando il battesimo all'età adul-
ta in altre situazioni, così che i battezzati potessero sempre formare u n a Chiesa
«confessante».
Karl Barth nel 1943, nel suo scritto Die kirchliche Lehre voti der Taufe, met-
te in discussione il p e d o b a t t e s i m o a motivo dell'incapacità di una fede persona-
le nel bambino, oltre che di un impegno per la vita. Secondo lui, occorre dare
risalto ad altre vie di salvezza nella Chiesa rispetto ai bambini piccoli.
Nell'ambito cattolico, nella pratica pastorale che ha s e m p r e previsto il batte-
simo dei bambini, vengono prospettate delle obiezioni da p a r t e di genitori cat-
tolici, che richiamano le motivazioni di Barth. Essi avvertono l'incapacità del
bambino a esprimere una fede personale e la sua inadeguatezza a fare scelte di
vita; p r o p o n g o n o il rinvio del battesimo a una età in cui colui che viene battez-
zato possa avere una consapevolezza critica, tanto più di fronte a un m o n d o plu-
ralistico e libertario, dove molti non credono più.
La prassi del battesimo dei bambini è sempre sjata accolta dalla coscienza
che la Chiesa ha di se stessa e del battesimo. I vescovi h a n n o esposto nuova-
m e n t e le ragioni teologico-pastorali del p e d o b a t t e s i m o in vari documenti: nel
Rito del Battesimo dei Bambini, nella Istruzione sul Battesimo dei Bambini (IBB)
della Congregazione per la dottrina della fede (1980) e nel d o c u m e n t o della C E I
su La pastorale nelle situazioni matrimoniali non regolari (1979). E da ricordare
che il p r o b l e m a è trattato pure nel dialogo ecumenico, nel BEM del 1982, ai nn.
8-12, e nel Direttorio per la Famiglia del 1993, ai nn. 231-233.
I motivi che legittimano il battesimo dei bambini sono fondamentalmente i
seguenti.
49
a) battesimo è necessario in quanto via normale per la salvezza. Esso è «
segno e lo strumento dell'amore di Dio che libera dal peccato e comun
ca la partecipazione alla vita divina. Per sé il d o n o di questi beni non pu
essere differito ai bambini» (IBB 28).
c) Nel battesimo dei bambini è in atto la fede della Chiesa e dei cristiani ci
presentano i bambini. Chi presenta i bambini dà garanzia per la loro ed
cazione alla fede (IBB 28); per essi «agisce la m a d r e Chiesa che risiede n
santi, poiché essa tutta genera tutti e ciascuno» (Agostino, Ep. 98,5).
Quanto alle scelte personali, chi viene battezzato, è anzitutto «uno che è sce<
da Dio». D i o sceglie già da lontano, dall'eternità e, poi, attraverso precisi inte
venti della storia della salvezza: Cristo ci ha scelto con la sua redenzione coi
piuta p e r tutti, ha offerto a tutti la sua redenzione istituendo il battesimo e
giungere a ciascuno, tramite la Chiesa e le famiglie cristiane, la proposta c
sacramento. U n a tale offerta di Cristo si affaccia a ogni persona con una prop
sta concreta. C o n essa ognuno dovrà fare i conti.
50
• Quale libertà decisionale ha un bambino di fronte alla vita?
La libertà di ogni persona umana di fronte alle scelte della vita non è mai una
libertà totale e assoluta, essa è sempre relativa. In primo luogo ogni libertà è rela-
zionata a Dio. Un bambino che nasce è e sarà sempre creatura di Dio, «ha verso di
lui obblighi imprescrittibili che il battesimo eleva con l'adozione filiale» (IBB 22).
N o n c'è mai nell'uomo u n ' e t à che gli dia una piena autonomia di fronte a
Dio: in tutte le età della vita una persona è tenuta a rispondere a D i o con
coscienza e responsabilità sempre nuove.
Oltre che relazionato a D i o un b a m b i n o è, fin dalla nascita, inserito in una
comunità, è parte di una famiglia, che gestisce la sua vita fisica, biologica e psi-
cologica. Le autodeterminazioni di un b a m b i n o d i p e n d e r a n n o sempre dal mon-
do circostante. È logico che nella consapevolezza di genitori credenti che rice-
vono un b a m b i n o come d o n o di Dio, ci sia la responsabilità di orientarlo a D i o
e di trasmettergli il d o n o della fede. Per i genitori credenti battezzare un bambi-
no n o n significa imporgli abusivamente un onere, ma aprirgli la strada di un
dono, situarlo nella condizione più propizia per la salvezza. Il dilazionare non è,
per i genitori credenti, una particolare attenzione verso il bambino, come non lo
sarebbe il rinviare l'educazione.
51
periodo adeguato di preparazione al sacramento, proposto come «periodo cate-
cumenale» in luogo della celebrazione affrettata «quam primum» («al più pre-
sto»). La Conferenza episcopale francese nel 1965 aveva indicato questo proce-
dimento e il Rito per il Battesimo dei Bambini, n. 5, lo ha assunto nei seguenti ter-
mini: «Le Conferenze episcopali regionali possono, in aiuto ai parroci, e m a n a r e
disposizioni pastorali, per fissare un più lungo p e r i o d o di preparazione al sacra-
mento».
Il nuovo Codice di diritto canonico al canone 867 prospetta p e r i genitori
l'impegno di battezzare i bambini entro le prime settimane. Per la debita prepa-
razione dice che i genitori «al più presto», anche prima della nascita del bambi-
no, si rechino dal p a r r o c o per chiedere il sacramento per il figlio. In questo qua-
dro i pastori delle Chiese locali devono prevedere per i genitori dei colloqui e
delle catechesi antecedenti alla celebrazione del battesimo.
Se, per i motivi più diversi, genitori che non sono praticanti, poco credenti o
non sono cristiani, chiedono il battesimo per i loro figli, la Chiesa suggerisce ai
pastori e alle comunità i seguenti orientamenti.
Anzitutto si abbia un atteggiamento di attenzione e di accoglienza persona-
le: c'è sempre con la richiesta del battesimo, in un m o d o più o m e n o cosciente, la
richiesta di un incontro con il Signore. È evidente che vanno previsti momenti
diversi: l'accoglienza, il dialogo successivo e il battesimo. Si cerchi di avviare un
colloquio «perspicace e pieno di comprensione che susciti interesse vero per il
sacramento richiesto e sensibilità p e r la responsabilità che esso comporta». «Se
si creerà con opportuni incontri (anche con la scelta dei padrini e delle madrine
che si p r e n d a n o seria cura del b a m b i n o per l'educazione cristiana) un quadre
con sufficienti garanzie, si darà senza indugio il battesimo come nel caso di fami-
glie cristiane» (IBB 30).
Se le garanzie offerte non saranno sufficienti per lo sviluppo di una fede per
sonale «sarà p r u d e n t e differire il battesimo», tenendosi però in contatto con
genitori. Se non si vedranno vie di buona risposta «si p u ò p r o p o r r e l'iscrizione
del b a m b i n o in vista di un catecumenato all'epoca in cui frequenta la scuola*
(IBB 30).
Nelle indicazioni dei vescovi italiani circa La pastorale nelle situazioni matri
moniali non regolari (1979) risaltano alcune linee operative.
/ divorziati, i conviventi, gli sposati solo civilmente, se anche n o n conduconc
una vita coniugale secondo il Vangelo, «rimangono m e m b r i del popolo di D i o ii
forza del battesimo, n o n sono esclusi del tutto dalla comunione con la Chiesa;
(n. 16). Essi devono essere aiutati a partecipare, nelle loro situazioni, alla vita d
fede e di carità della comunità cristiana, che si esprime nella celebrazione dell;
parola di Dio, nella preghiera e in atteggiamenti e opere di fraternità (nn. 21ss)
52
«I figli sono del tutto innocenti rispetto alla colpa dei genitori. H a n n o quin-
di diritto a crescere in un contesto affettivo, che n o n solo eviti loro motivi di disa-
gio..., ma li prepari e li aiuti a conoscere e sostenere in forma cristiana quella
situazione. H a n n o diritto a quella educazione u m a n a e cristiana per la quale i
genitori sono i primi responsabili per il legame della carne e del sangue e anche
per il legame della fede» (nn. 49-50).
Se i genitori chiedono il battesimo (o la comunione o la cresima), una simile
richiesta «può rivelarsi momento di grazia non solo per i figli, ma per gli stessi
genitori... indotti a riflettere sulla loro vita secondo il vangelo» (n. 51).
Il battesimo «primo e fondamentale sacramento della fede potrà essere cele-
brato per la fede della Chiesa che p u ò vivere anche nei genitori: i genitori -
a m b e d u e o almeno u n o dei due - possono e d e v o n o garantire che sarà data una
vera educazione cristiana ai loro figli». «In casi di d u b b i o o di incertezza sulla
possibilità o volontà che tale educazione venga data, la pastorale battesimale è
chiamata a rinnovare il ruolo dei "padrini", come vero e proprio "ministero di
catechesi", sempre più importante in una società secolarizzata ed esposta a
n u m e r o s e situazioni matrimoniali irregolari» (n. 52).
Nel caso di genitori conviventi o sposati solo civilmente, ai quali nulla proibi-
sce di regolarizzare la propria posizione, il sacerdote non deve tralasciare un'im-
p o r t a n t e occasione per evangelizzarli, m o s t r a n d o la contraddizione tra la
d o m a n d a del battesimo e il loro stato che rifiuta di vivere il loro a m o r e coniu-
gale da battezzati. «Li inviterà a sistemare, p e r q u a n t o possibile, la loro posizio-
ne, prima di procedere, con le necessarie garanzie di educazione cristiana, al bat-
tesimo del figlio» (n. 53).
53
Tali testi sono espressivi, ma n o n sono interpretabili in senso rigoroso come
attestazione di un sacramento distaccato dal battesimo, n o n offrendo esperienze
parallele e continuità chiara nelle comunità apostoliche. Essi evidenziano piut-
tosto la portata dell'unità ecclesiale che gli apostoli garantiscono con la loro pre-
senza e con l'invocazione e il d o n o dello Spirito Santo sui battezzati.
Più tardi q u a n d o si perfezionerà la prassi del rito della confermazione, si
vedrà nei due testi citati, u n a testimonianza biblica riguardante il sacramento
della confermazione.
Nelle lettere di Paolo ci sono altri testi ove si parla del battesimo nello Spiri-
to: «tali eravate [...] ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustifi-
cati nel n o m e del Signore nostro Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio»
( I C o r 6,11; cf. 12,13; Tt 3,5); e in Eb 6,1-6 si parla «della dottrina dei battesimi e
dell'imposizione delle mani».
56
l'eucaristia. A t t o r n o all'uno o all'altro polo viene elaborata u n a trama rituale
ampia.
Prima troviamo descritto dettagliatamente il polo dell'eucaristia (nel II seco-
lo in Giustino), poi il polo del battesimo (ben tracciato nella Tradizione di Ippo-
lito, nel III secolo). Nel polo battesimale era convogliata anche l'unzione e/o
l'imposizione delle mani, che poi costituiranno il nucleo originario della confer-
mazione nel suo staccarsi dal battesimo.
Fuori da questi due nuclei non s'è parlato, prima del medioevo, della confer-
mazione come di un terzo nucleo sacramentale.
Nei secoli IV-V in occidente si avverte, nell'ambito dei riti battesimali, una
sottolineatura dell'intervento riservato al vescovo al termine dell'immersione bat-
tesimale. Un'evoluzione ulteriore condurrà a un distacco del rito riservato al
vescovo rispetto al rito dell'acqua amministrato dal presbitero e dal diacono. Si
p o t r e b b e p a r a g o n a r e lo sviluppo celebrativo dell'intervento del vescovo nei «riti
battesimali» a un tralcio che viene interrato e fatto rispuntare a distanza, così da
dare origine a un vitigno nuovo.
Seguendo i dati fornitici dai testi patristici si p u ò notare che dal III al V seco-
lo (precedentemente n o n si ha u n a sufficiente documentazione) l'iniziazione
battesimale era distribuita nei seguenti passaggi:
- periodo catecumenale
- riti battesimali
- riti postbattesimali.
L'ultimo dei riti postbattesimali ha modalità diverse nelle varie Chiese: esso
fa parte della celebrazione del battesimo ed è riservato al vescovo. Tale rito con-
siste nell'imposizione delle mani e nell'unzione con l'invocazione dello Spirito
Santo e nell'abbraccio di pace dato dal vescovo ai neofiti.
In occidente spicca la testimonianza di Ippolito nella Traditio apostolica
(capitolo 21). Ivi, d o p o il battesimo, si pratica una prima unzione ad opera del
presbitero con l'olio b e n e d e t t o e una seconda unzione per mano dal vescovo con
il crisma sulla fronte - la signatio (segno di croce) - con l'imposizione delle mani
e il bacio di pace. Tutti questi gesti rituali sono compiuti d o p o l'immersione bat-
tesimale e avvengono prima dell'eucaristia.
L'ultimo gesto rituale, senza del quale il rito battesimale non è completo, è
quello del vescovo che unge con l'olio consacrato e invoca lo Spirito Santo sul
neobattezzato.
Espressioni diverse nelle diverse Chiese segnalano, nei gesti conclusivi del
battesimo, un'analoga ritualità.
57
- Agostino (De baptismo contra Donatistas) segnala, d o p o il lavacro, l'un-
zione per lo Spirito Santo, il rivestimento con le vesti candide, l'imposi-
zione delle mani per il d o n o delle lingue e la consignatio finale.
- Tra i padri orientali, Cirillo nelle Catechesi parla di un'unzione con l'o-
lio profumato, il myron, che fa partecipi di Cristo. L'imposizione delle
mani n o n è nominata.
2
LIGIER, La confirmation, 223-235. Il gesto dell'imposizione delle mani, nel N u o v o Testamento,
era aperto a molti significati, quali: benedizione (Me 10,16), invocazione e dono della salute agli infer-
mi (Le 13,13; Me 8,23), conferimento di compiti (At 6,6; l T m 4,14; 2Tm 1,6), riconciliazione ( l T m
5,22); e inoltre: compimento dell'iniziazione battesimale con l'invocazione dello Spirito (At 8,17; 19,6;
E b 6,2).
58
U n a simile eventualità acquistò s e m p r e più spazio nelle Chiese latine già nel
300, nel caso che un candidato fosse impedito a motivo di malattia (sinodo di
Elvira in Spagna), e dal 400 in poi, a motivo del moltiplicarsi dei centri battesi-
mali nelle campagne nelle grandi diocesi, suddivise in t a n t e parrocchie che cele-
bravano il battesimo. Q u e s t a divenne u n a situazione prevalente in Sardegna, nel
Nord-Italia, in Spagna e in Francia. Dalle comunità battesimali presiedute dai
presbiteri, si avviò la prassi di condurre i battezzati successivamente dal vescovo
per l'imposizione delle mani e l'unzione.
La «confermazione» del vescovo intendeva essere compimento del battesi-
mo. Essa infatti lo completava col rito dell'imposizione delle mani e l'invocazio-
ne dello Spirito Santo. Il termine confermazione, usato ufficialmente nei sinodi
di Riez (439) e di O r a n g e (441), nel sud della Gallia, indicava i riti compiuti dal
vescovo come conferma e compimento del battesimo, con l'invocazione dello
Spirito Santo. La parola cresima, in uso nei secoli successivi, indica invece l'un-
zione del vescovo (il termine è stato m u t u a t o dal verbo greco krìzo - «ungo», da
cui deriva la parola krìsma = «unzione»).
59
Il battesimo crea l'inizio della vita cristiana, rende fratelli di Cristo, figli di
Dio e m e m b r i della Chiesa. La confermazione invoca lo Spirito Santo, per il
d o n o della crescita, della maturazione e per una garanzia di pienezza nel vivere
cristiano fino all'incontro finale con il Signore.
Il significato del d o n o della cresima e il suo r a p p o r t o con il battesimo è mes-
so in evidenza dall'analogia tra l'iniziazione cristiana e i grandi fatti della storia,
ove lo Spirito Santo, molte volte e in molti modi, fa sorgere realtà nuove nell'iti-
nerario della salvezza e porta ciò che era iniziato a un progressivo sviluppo e
compimento.
Q u e s t o si p u ò leggere nella creazione iniziale, nell'umanità liberata dal
diluvio, nell'incarnazione di G e s ù , nel sorgere della Chiesa. Lo Spirito creato-
re ha d a t o esistenza al m o n d o ; ha fatto partire l'alleanza; ha d a t o esistenza ter-
r e n a al V e r b o incarnato nel seno della Vergine; ha fatto sorgere la Chiesa degli
apostoli la sera della Pasqua. Oltre a dare inizio a eventi nuovi, lo Spirito di Dio
ha portato avanti successivamente le realtà e le scelte già avviate: ha guidato gli
ebrei nell'esodo; si è d o n a t o ai profeti e ai re, facendoli diventare guide del
p o p o l o di D i o ; è sceso su G e s ù nel G i o r d a n o indicandolo c o m e inviato del
P a d r e e d a n d o ufficialità e carisma teologale alla sua o p e r a di profeta itine-
r a n t e e di Messia; è sceso sugli apostoli nella Pentecoste, d o n a n d o loro intelli-
genza e fortezza per svolgere la missione loro affidata e p e r l'annuncio del van-
gelo nel m o n d o intero.
Ciò che è avvenuto nella storia dell'umanità, nell'antico Israele e nella vita
di Cristo, avviene nella vita personale di ogni u o m o reso partecipe della nuove
alleanza. Nel battesimo una persona è fatta nascere a una vita nuova per la for
za creante dello Spirito, e nella cresima il battezzato è perfezionato e condotto ;
realizzare nello Spirito il cammino iniziato nel battesimo.
60
lieo nella Chiesa in n o m e di Cristo; nella confermazione viene invocato e donato
Io Spirito in persona, perché tramite la sua presenza e la sua azione indefettibile,
la vita iniziata nel battesimo cresca nella fedeltà e nell'amore, e si realizzi nel bat-
tezzato un'esistenza ecclesiale aperta all'unità e alla missione. Nel sacramento
della confermazione, dunque, ha un risalto particolare una doppia dimensione,
quella teologale e quella ecclesiale.
23. «Fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno» (Gv 7,37)
61
2.3.2. Sacramento della preghiera e dell'amore teologale
In virtù del libero dono dello Spirito, l'uomo è posto in atteggiamento di pre-
ghiera. L'unica parola che egli p u ò rivolgere allo Spirito di Dio è l'invocazione:
«Vieni Santo Spirito!». Per tale motivo il sacramento della cresima è detto
«sacramento della preghiera», perché le modalità e il c o n t e n u t o del pregare sono
3
espressi tipicamente nel segno sacramentale della confermazione. Essa è invo-
cazione (epiclesi) dello Spirito Santo:
«Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nem-
meno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo stesso Spirito intercede
con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili [...] egli intercede per i credenti secon-
do i disegni di Dio» (Rm 8,26-27).
// «dono» dello Spirito trasmette una nuova capacità di amare, trasmette cioè
l'esperienza della relazione amorosa che le Persone divine vivono all'interno del-
la Trinità. L'amore teologale diventa apertura, dono, servizio:
«Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che
sono stati chiamati secondo il suo disegno [...] Chi ci separerà dunque dall'amore d
Cristo?» (Rm 8,28-39).
La vita teologale ha il suo immediato riflesso nella vita morale. L'opzione tr<
b e n e e male, inclusa nella scelta battesimale, diventa decisione forte di front*
alle contrarietà e alle tentazioni della vita, per la garanzia del «dono dello Spiri
to» che va oltre ogni scacco o fallimento. Per colui che è segnato da tale d o n o s
apre la strada della gioiosa libertà dei figli di D i o nella testimonianza dell
verità. In questo senso la tradizione medievale, acquisita poi dalla teologia e dal
la catechesi, chiamava i cresimati «soldati di Cristo».
«Col sacramento della confermazione il loro [dei fedeli] legame con la Chiesa vie
reso più perfetto, vengono arricchiti di una forza speciale dello Spirito Santo e so
tenuti più strettamente a diffondere e a difendere la fede con la parola e con l'az
4
ne, come veri testimoni di Cristo».
3
Cf. LIGIER, La confermazione, 2 7 1 - 2 7 6 .
4
EV 1/313.
62
La Chiesa nella sua unità interiore è fondata sul battesimo. P e r ò tale unità
non è mai un fatto totalmente compiuto, è u n a realtà che si costruisce nella sto-
ria, in forza del d o n o dello Spirito sul popolo ecclesiale.
Il sacramento crismale dà alla Chiesa la consapevolezza della sua verità cat-
tolica e apostolica, dell'essere unita nell'esperienza della fede e della carità, del
progressivo inserimento nel Signore, segnalato dall'accoglienza e dal riconosci-
m e n t o vicendevole nel collegio apostolico e dalla trama dei vincoli sacramenta-
li e di missione.
Lo Spirito Santo, invocato e donato nel sacramento della cresima, è sorgente
di un progressivo realizzarsi del corpo ecclesiale, che si compie nella sequela del
Cristo capo, nei rapporti interpersonali del «popolo nuovo», nel s u p e r a m e n t o
degli individualismi, delle estraneità, delle divisioni e, p u r e nelle differenze di
cultura, nella costruzione di una direzione comune.
5
LG 26: EV 1/348-350.
6
E quanto sottolineano i teologi J.P. B O U H O T (La confermazione sacramento della comunione
ecclesiale, Elledici, Leumann [TO] 1970,109-113) e H. BOURGEOIS («La place de la confirmation dans
Finitiation chretienne», in Nouvelle Revue Théologique [1993]4,516ss).
63
3.3. La testimonianza e le missioni ecclesiali
«Manda su di noi il tuo Spirito, perché camminiamo nell'unità della fede ... e ci renda
nel mondo testimoni del vangelo di Gesù Cristo...».
«Questi figli che hai consacrato con lo Spirito Santo con la profondità della fede e le
slancio della carità, edifichino la santa Chiesa».
Il riferimento è sempre al dono dello Spirito della Pentecoste, che attua uni
spinta di testimonianza e di missione per la Chiesa. Per tale dono ogni cristiani
«quasi ex officio» è coinvolto in una Chiesa da costruire, come diceva san Tom
maso; è chiamato a portarla verso nuovi orizzonti, n o n a goderla o sfruttarla il
7
m o d o parassitario.
La spinta della missione è segnalata nel libro degli Atti delgi apostoli là dove
nel racconto della Pentecoste e negli avvenimenti successivi, è scritto:
Il cresimato prende parte alle missioni ecclesiali che si esprimono sul model
di Cristo capo. Ciò che è proprio di Gesù, sacerdote, profeta e re, è stato c o m i
nicato al cristiano nel battesimo, e p r e n d e spinta per u n a piena realizzazione ne
la cresima.
È doveroso avvertire sempre la stretta continuità esistente tra il battesimo e
cresima p e r tutti i significati della vita di un cristiano. L'evento battesimale è
p u n t o di inizio della vita in Cristo; la confermazione è evento n u o v o dello S{
rito che dà sviluppo, continuo i n c r e m e n t o e garanzia, e ciò si verifica con p a r
colare evidenza nel q u a d r o delle missioni messianiche alle quali il cristiano
associato.
7
LG 11: EV 1/313-315.
64
• La missione sacerdotale - tipicamente espressa nella preghiera e nel sacri-
ficio - ha la sua continuità nella comunione con il Dio della vita, nella «consa-
crazione del mondo», nella liturgia ecclesiale ( R m 12,1; l P t 2,5). Col d o n o dello
Spirito la vita spirituale riceve convalida e capacità di esprimersi con spontaneità
nell'esistenza quotidiana e nel contesto sociale, da tanti considerato «profano»
ed estraneo all'azione di Dio. A l t r e t t a n t o gli impegni e i drammi del vivere sono
permeati da u n a dimensione sacerdotale ( R m 12,1) e così l'iter quotidiano
intreccia insieme la vita, la preghiera e il sacrificio eucaristico.
8
LG 35: EV l/374ss.
65
Capitolo quinto
L'EUCARISTIA
1
1. L'EUCARISTIA NEI TESTI BIBLICI
La prima eucaristia è stata celebrata da Gesù nell'ultima cena, alla vigilia del-
la sua passione; era quella una cena testamentaria, un banchetto di addio, nel
quale voleva lasciare ai suoi amici la sua eredità. Gesù volle che coincidesse con
2
la celebrazione della tradizionale cena pasquale.
La cena pasquale portava con sé i segni e i ricordi dell'antica liberazione dal-
l'Egitto. Gesù voleva incastonare in quel convito, t r a m a n d a t o dalla storia d'I-
sraele, il memoriale della nuova liberazione che egli stava per compiere a van-
taggio di tutti gli uomini.
Inserendosi nella liturgia dei padri, lasciò così ai suoi amici il suo ricordo e il
suo dono: «Prese il pane, lo spezzò, lo diede ai suoi e disse: Prendete e mangiate,
questo è il mio corpo che è per voi... e d o p o aver cenato prese il calice e disse:
Bevetene tutti, questo è il mio sangue...».
ì
Cf. Eucharistia. Enciclopedia dell'eucaristia, sotto la direzione di M. B R O U A R D , E D B , Bologna
2004; J. A U E R - J. RATZINGER, // mistero dell'eucaristia, Cittadella, Assisi 1972; P. BENOIT, Esegesi e teo-
logia, EP, R o m a 1964; J. B E T Z , L'eucaristia come mistero centrale (Mysterium Salutis 8), Queriniana,
Brescia 1975; P. B O R G E N , Breadfrom Heaven, Suplements to N o v u m Testamentum, Leiden 1965; F . M .
B R A U N , «L'eucharitie selon St. Jean», in Revue Thomiste (1979); R. CANTALAMESSA, La pasqua della
nostra salvezza, Marietti, Genova 1997; G. COLOMBO, Teologia sacramentaria, Glossa, Milano 1997; J.
D U P O N T , «Ceci est mon corps, ceci est mon sang», in NRTh (1958), 1025; L. DUSSAUT, L'eucaritie
Paque de toute la vie, Cerf, Paris 1972; M. FLORIO - G ROCCHETTA, Sacramentaria speciale. I: battesi-
mo, confermazione, eucaristia, E D B , Bologna 2004; E. GALBIATI, L'eucaristia nella Bibbia, Jaca Book,
Milano 1982; A. GERKEN, Teologia dell'eucaristia, EP, Alba 1977; J. JEREMIAS, Le parole dell'ultima
cena, Paideia, Brescia 1973; X. LEON D U F O U R , Condividere il pane eucaristico, Elledici, Leumann
(TO) 1983; E. M A Z Z A , La celebrazione eucaristica. Genesi del rito e sviluppo dell'interpretazione,
E D B , Bologna 2003 (prima edizione EP, Cinisello Balsamo 1996); D.P. N A U , Le mystère du cops et
du sang du Seigneur, Solesme, Paris 1976; A. SCHLIER, La fine del tempo, Paideia, Brescia 1974; A.
SCHNEIDER, L'eucaristia nell'Antico Testamento, Jaca Book, Milano 1982; G. SEGALLA, Gesù pane del
cielo, Messaggero, Padova 1982; M. THURIAN, L'eucaristia, A V E , Roma 1967.
2
II collocarsi dell'ultima cena di Gesù nell'ambito di una cena pasquale ebraica presenta alcu-
ni problemi cronologici, nel confronto tra i vari racconti dei Vangeli con il calendario della cena
pasquale. Tuttavia tale inclusione è ritenuta comunemente fondata non solo per motivi teologico-
tipologici, ma anche perché le risposte che gli studiosi danno ai problemi che si pongono paiono del
tutto plausibili.
67
E volle che questo gesto testamentario venisse ripetuto come memori
«Fate questo in mia memoria».
68
Con quel gesto Gesù consegna ai suoi amici la sua persona e la sua vita, nel-
l'atto supremo nel quale la sta per consegnare nelle mani di Dio. Dona Usuo mori-
re, il suo risorgere e i frutti che ne derivano, mediati da un pezzo di p a n e che nutre
e da un sorso di vino che rallegra. Mangiare il p a n e e bere dal calice significava,
per gli amici di Gesù, associarsi nel m o d o più pieno agli eventi che egli stava per
affrontare in vista della salvezza del m o n d o . Dirà san Paolo:
«Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la
morte del Signore...» (ICor 11,26).
Tutto l'insieme (i gesti e le parole sul p a n e e sul vino con tutti i significati
inclusi) Gesù ha voluto che fosse ripetuto come memoriale: «Fate questo in
memoria di me».
Sapeva che la sua m o r t e non sarebbe stata la fine di tutto, ma il passaggio alla
pienezza della vita. E, p o t e n d o disporre della sua vita e della sua morte, egli era
in grado di d o n a r e la sua vita sempre di nuovo «fino al suo ritorno».
69
Per i suoi discepoli, fare il «memoriale» equivarrà a «ri-fare» quello che ha fat-
to Gesù. Essi, reiterando i gesti e le parole del Signore, si identificheranno spiri-
tualmente con lui e diventeranno mediatori del suo d o n o per le generazioni futu-
re. Così m e t t e r a n n o in atto la certezza che la cena eucaristica è istituita per tut-
ta la storia e ha lo scopo di p e r m e t t e r e a ogni u o m o della storia di trovarsi a tu
per tu con il Cristo che d o n a a tutti la sua persona e la sua vita nell'amore.
L'eucaristia di Gesù equivale a «essere sempre di n u o v o serviti da Gesù», a
ricevere da lui il d o n o della sua persona che salva, con la mediazione del mini-
stero degli apostoli. E il ministero degli apostoli è voluto da Gesù come servizio
3
per il verificarsi del d o n o «dell'incontro totale» con lui.
70
potenzia la crescita, come avviene nella vita naturale, che è nutrita dal cibo e dal-
la bevanda. Gesù alimenta la vita del cristiano e comunica tutta la densità del suo
d o n o e del suo sacrificio.
Oltre a ciò, il mangiare il corpo del Signore lega in unità tutti i partecipanti:
«Poiché c'è un solo pane, [...] siamo un solo corpo: tutti, infatti, partecipiamo dell'uni-
co pane»(ICor 10,17).
Nel capitolo 11 della Prima lettera ai Corinzi san Paolo osserva nei cristiani
di quella comunità il rischio di una celebrazione stonata dell'eucaristia. N o n dice
come e q u a n d o fosse celebrata l'eucaristia a Corinto. Avverte p e r ò nei m o m e n -
ti celebrativi di quella comunità alcuni fatti biasimevoli: ci sono divisioni tra
coloro che si riuniscono in assemblea p e r celebrare «la cena del Signore» e, in tal
modo, viene ferita la fede e la carità che è tipica della «mensa» convocata dal
Signore, che vuole s e m p r e creare unità tra i partecipanti e r e n d e r e onore e aiu-
to ai più poveri. Di fronte a questo, l'apostolo ribadisce l'esigenza profonda del-
l'eucaristia d'essere fatta nell'amore tra tutti coloro che la celebrano.
L'eucaristia è la «proclamazione della morte del Signore» (v. 26): «tutte le vol-
te che mangiate il pane e bevete il calice voi annunciate la morte del Signore, fino
a quando egli ritornerà».
La proclamazione della m o r t e di Cristo è l'annuncio festoso del Signore che
ha d a t o la vita e la continua a dare; è la celebrazione della salvezza e dell'al-
leanza nuova che Gesù garantisce con il d o n o del «suo corpo e del suo sangue».
La potenza della m o r t e e della risurrezione si affaccia in m o d o sempre nuovo a
quelli che celebrano «la cena del Signore»; essa è sempre il donarsi totale del
Redentore.
Chi proclama e accoglie con a m o r e la m o r t e di Cristo c o m p r e n d e e accoglie
la sua eredità. P e r questo in ogni celebrazione occorre avere un atteggiamento
disponibile al mistero di Gesù e alla sua salvezza: il calice è l'alleanza siglata dal
sacrificio redentore, diventa apertura viva e personale all'incontro con D i o e
disponibilità verso i fratelli. N o n si p u ò essere associati all'amore di G e s ù e ave-
re un atteggiamento estraneo a lui, essere privi di amore, come colui che gli era
accanto «nella notte del tradimento» (v. 23). In tale atteggiamento l'eucaristia
diventa giudizio di condanna perché svuotata del suo valore.
• L'eucaristia d o n o e giudizio
71
al Signore e ai fratelli, verificare quell'esperienza viva che è lo «stare insieme»,
il «fare unità» con tutto il corpo del Signore nell'assemblea celebrante. Senza
queste condizioni sfuma il senso del farsi presente della «morte» redentrice del
Signore, della sua «alleanza» con l'umanità.
Là dove si profila u n a prospettiva di indegnità (v. 27), si apre un giudizio di
colpevolezza: si è colpevoli verso il corpo del Signore ed è proclamata una sen-
tenza di condanna (uno «mangia e beve» la propria condanna, cf. v. 29).
Chi non riconosce, tramite la fede, la presenza del Signore crocifisso e risor-
to o non accoglie la sua potenza salvatrice (la mancanza di frutti sta anche in una
carenza di a m o r e e di fraternità verso i fratelli per i quali il Signore si d o n a ) , sciu-
pa il d o n o della salvezza, lo svuota del suo valore, lo fa diventare giudizio di con-
danna.
La condanna è tutta fuori della logica dell'eucaristia, come sempre un giudi
zio di c o n d a n n a è fuori della logica degli eventi salvifici della storia, ma ess;
diventa possibile p e r l'ambiguità del cuore u m a n o , che r e n d e «inutile» o «steri
le» o contraddittorio quell'evento definitivo della salvezza che è la m o r t e de
Signore. P e r questo occorre «mettere alla prova se stessi», «esaminarsi» sull'au
tenticità del «fare corpo con gli altri fratelli» e del vivere la propria apertura nel
l'amore alla m o r t e salvatrice.
• Il p a n e della vita
San Giovanni tratta dell'eucaristia nel capitolo 6 del suo Vangelo in un coi
testo di annuncio profetico. In tale capitolo si parla del miracolo dei pani e i
G e s ù che, d o p o aver attraversato il lago fino a Cafarnao (vv. 1-25), pronuncia i
lungo discorso sul p a n e che dà la vita, che è egli stesso, e sul p a n e che egli da
c o m e sua carne (vv. 26-59). Il capitolo termina con u n ' a p e r t u r a profonda s
mistero della «carne del Signore», come risposta all'incredulità dei giudei inte
locutori del lungo discorso (vv. 60-71).
Nel discorso si possono distinguere d u e parti: la prima (vv. 26-50) contie
un'omelia midrashica che commenta una frase dell'Esodo «hai dato loro un pa
dal cielo» (Es 16,4.15); la seconda (vv. 51-59) annuncia il dono e il significato d
l'eucaristìa: «il p a n e che io darò è la mia carne per la vita del m o n d o » .
È da n o t a r e che Giovanni non racconta direttamente l'istituzione dell'eui
ristia. Nel»capitolo 13 del suo Vangelo, nell'introdurre il racconto dell'«ora
Gesù», egli si sofferma sull'atteggiamento di servizio di lui, che lo porta a lav;
i piedi ai suoi apostoli. Il q u a r t o Vangelo è scritto alla fine del I secolo, quari
già l'esperienza eucaristica era impiantata da lungo t e m p o nella tradizione dt
Chiese. Per questo Giovanni n o n trasmette dell'eucaristia il racconto iniziale,
u n a sua profonda rilettura teologica, p o r t a t a avanti in tutto il discorso midra;
co-profetico del capitolo 6.
In questo capitolo, secondo il c o m m e n t o di F.M. B r a u n , Giovanni unific
livello letterario-redazionale, il discorso di Cafarnao con le parole dell'ulti
cena, in una g r a n d e sintesi attorno al t e m a del «pane della vita», che è ann
ciato c o m e la «carne di Cristo». Qui è ridisegnato in pochi tratti t u t t o l'orizz
72
te del mistero di Gesù: l'incarnazione, la pasqua, la glorificazione, i rapporti tri-
nitari e tutta l'opera della salvezza. Tutto il mistero di Gesù viene ricapitolato nel
b r a n o eucaristico.
«La mia carne per la vita del mondo» (vv. 51b-59). Giovanni annuncia che nel
«pane dato da Gesù»:
- c'è il mistero del Verbo di Dio fatto uomo,
che si fa cibo di vita eterna,
e diventa sorgente di risurrezione,
- trasmette la vita del Padre, il Vivente,
- e stabilisce una comunione vitale con il Cristo: «Chi mangia la mia car-
ne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui».
Nei vv. 51b e 53-58 viene ripetuto il motivo: Chi mangia la mia carne e beve
il mio sangue ha la vita eterna. Il t e m a del mangiare e della vita è presente in tut-
to il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni.
Il p u n t o più profondo della vita nello Spirito si ha nel «mangiare la carne e nel
bere il sangue» di Cristo, il Crocifisso Risorto. La vita di Cristo, trasmessa nel
sacramento, crea un rapporto di comunione con la sua persona - la sua «carne» -
che vive della stessa vita del P a d r e che è il Vivente. Tale comunione di vita avvie-
ne nello Spirito (vv. 62.63).
Senza il contatto con il Cristo salvatore (v. 53) non si apre all'uomo la strada
della vita eterna e della risurrezione che deriva solo dal Risorto, sorgente della
risurrezione (v. 54). Senza il «mangiare la carne di Cristo» n e p p u r e si entra in
comunione con la Trinità, nella quale il P a d r e genera il Figlio e comunica al
Figlio la sua stessa vita che egli d o n a all'umanità.
C o m e sia possibile che Gesù doni la «sua carne» e il «suo sangue» nel p a n e
e nel vino - cioè la «sua persona» e la «sua vita» offerta nel sacrificio - appare
dal fatto che egli d o n a il suo corpo che è assunto dal Verbo di D i o e che «salirà
dov'era prima», nella glorificazione (vv. 62.63). Egli d o n a quel corpo che è unità
con il mistero del Verbo incarnato e che è esaltato presso il Padre e p o t r à unirsi
agli uomini tramite lo Spirito Santo.
Il corpo da lui d o n a t o è «il suo corpo glorioso e spirituale» e, proprio per la
potenza dello Spirito, diventa d a t o r e di vita eterna.
Il mistero del Cristo, disceso dal cielo/incarnato per la nostra salvezza e dive-
nuto redentore sulla croce, viene comunicato ai suoi amici attraverso il «mangia-
re la carne» e «bere il sangue», in quanto corpo di lui crocifisso e glorificato.
E così svelato e d o n a t o all'uomo il «corpo» del Signore risorto; esso è perce-
pito e accolto m e d i a n t e lo Spirito, che apre l'uomo al mistero tramite la fede e la
comunione.
Nello Spirito Santo Gesù si fa presente nella sua corporeità gloriosa. I disce-
poli, d o p o la risurrezione, c o m p r e n d e r a n n o cosa significhi ricevere nel sacra-
m e n t o e nello Spirito il corpo e il sangue del Signore.
73
Proprio nella dimensione spirituale e gloriosa egli si fa presente, e
dimensione l ' u o m o p u ò accedere tramite lo Spirito Santo e la fede.
Il b r a n o conclusivo del capitolo 6 del Vangelo di Giovanni spalanca al
un q u a d r o amplissimo, che fa vedere il mistero eucaristico come p u n t o d
si di tutto il mistero cristiano. Cristo viene dal Padre, dal quale riceve la
Figlio si fa carne per noi e per la nostra salvezza e nello Spirito vivifica
assicura la comunione con il suo mistero di vita nella risurrezione.
4
2. L'EUCARISTIA NELLA STORIA
4
Cf. Anamnesi!. 3/2: La liturgia eucaristica. Teologia e storia della celebrazione, Mari
1983; Eucaristia, aspetti e problemi dopo il Vaticano II, Cittadella, Assisi 1968; Eucharìst
pedia dell'eucaristia, sotto la direzione di M. B R O U A R D , E D B , Bologna 2004; Eucharistie d
chrétiens, Beauchesne, Paris 1986; J. A U R E R - J. RATZINGER, // mistero dell'eucaristia, Citta
si 1972; J. B E T Z , L'eucaristia come mistero centrale (Mysterium Salutis 8), Queriniana, B:
L. B O U Y E R , Eucaristia. Teologia e spiritualità della preghiera eucaristica, Elledici, Leui
1969; G. COLOMBO, «Teologia del sacrificio eucaristico», in Chiesa per il mondo, I I , ED
1974f ID., Teologia Sacramentaria, Glossa Milano, 1997; L. C O T É , L'eucaristia del popolo
Cinisello Balsamo 1993; J. DANIELOU, Bibbia e liturgia, Vita e Pensiero, Milano 1958; H.
Corpus Mysticum, Gribaudi, Milano 1968; A. GERKEN, Teologia dell'eucaristia, EP, Al
H A M M A N , Preghiere dei primi cristiani, OR, R o m a 1983; L. LIGIER, // sacramento dell'euc
tificia Università Gregoriana, R o m a 1988; J.A. JUNGMANN, Missarum sollemnia. Origini, li
logia della messa romana, Marietti, Torino 1962; J . N . D . KELLY, // pensiero cristiano del
Mulino, Bologna 1972; E. L O D I , È cambiata la messa in 2000 anni?, Marietti, Torino 1975
La celebrazione eucarìstica. Genesi del rito e sviluppo dell'interpretazione, E D B , Bologr
ma edizione EP, Cinisello Balsamo 1996); I D . , Le odierne preghiere eucaristiche. 1: Struttu
2
logia; 2: Testi e documenti editi e inediti, E D B , Bologna 1984, 1991; B. NEUNHEUSER, L'ei
moyen àge et à l'epoque moderne, Cerf, Paris 1966; J.M. POWERS, Teologia eucaristica,
Brescia 1969; J. SOLANO, Textos eucaristìcos primitivos, I - I I , BAC, Madrid 1954; J. H E R M
brazione dell'eucaristia, Elledici, Leumann (TO) 1985; S. MARSILI, Mistero di Cristo e i
Spirito, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1986.
74
tuiranno due poli di grande portata per un nuovo orientamento della sensibilità,
degli accenti dottrinali e celebrativi dell'eucaristia nell'ambito della Chiesa cat-
tolica. Per rileggere in sintesi tutto questo scandiremo la nostra veloce ricerca
lungo la direttrice storico-cronologica.
5
2.1. La celebrazione eucaristica nei primi secoli
Dalla fine del I al III secolo richiamiamo solo alcuni testi come particolar-
m e n t e indicativi dei dati riguardanti la celebrazione dell'eucaristia in quel perio-
do: la Didaché (fine del I secolo), la I Apologia di Giustino (150), e la Traditio
Apostolica di Ippolito all'inizio del III secolo (215-225); nei primi decenni del III
secolo ci sono date molte notizie negli scritti di Tertulliano. In queste documen-
tazioni è detto con lucidità come la Chiesa celebrava il c o m a n d o del Signore di
«fare memoria» della sua cena.
La «cena del Signore» veniva celebrata in un q u a d r o rituale preciso, costitui-
to dal «convenire insieme dei cristiani», da un «raccontare», «comprendere» e
«ripetere» quello che aveva fatto Gesù.
Senza soffermarci sul testo della Didaché, riportiamo la testimonianza di
Giustino martire e di Ippolito presbitero romano.
5
Cf. Anamnesis. 3/2: La liturgia eucaristica; Celebrare il mistero di Cristo, R o m a 1996,141-167;
BOUYER, Eucaristia; LODI, E cambiata la messa in 2000 anni?; M A Z Z A , La celebrazione eucaristica;
LIGIER, // sacramento dell'eucaristia, 95ss.
75
La celebrazione dell'eucaristia assumeva nomi precisi, derivati in p a r t e da
san Paolo, che parlava della cena del Signore o dello spezzare il pane ( I C o r 10,16;
11,20); in alcune testimonianze africane era detta dominicum (= b a n c h e t t o del
Signore); diventerà poi prevalente la denominazione eucharistia.
All'inizio del secolo IV, con l'editto costantiniano del 313, e col successivo
sorgere delle chiese e delle basiliche e con l ' a u m e n t o del n u m e r o dei cristiani, la
celebrazione acquisterà maggiore ampiezza e solennità.
Si affermerà una disposizione logistica più spaziosa (con spazi diversi riser-
vati ai ministri e ai fedeli), con l'apporto di diversi ruoli ministeriali per la pro-
clamazione della Parola e il canto; la preghiera eucaristica, che sarà detta (nella
Chiesa r o m a n a ) canone, cioè «preghiera regolata liturgicamente», assumerà una
struttura normativa.
Successivamente, dal IV al VI secolo, saranno introdotte dai papi ulteriori
aggiunte e precisazioni sia nel testo del canone, sia nella t r a m a complessiva del-
la celebrazione. Avranno risalto, in R o m a , le messe celebrate nelle chiese dei
martiri, le messe stazionali, e verranno determinati i principali cicli liturgici del-
l'anno: il ciclo della Pasqua, del Natale (con L e o n e M a g n o ) e le scadenze delle
m e m o r i e dei martiri.
Nei secoli IV-V nel m o n d o latino prevale l'usanza di chiamare la celebrazio-
ne eucaristica con un n o m e nuovo: messa. Tale denominazione è legata al saluto
di congedo che veniva rivolto ai fedeli con le parole conclusive: «Ite, missa est!».
«Missa» è il p u n t o finale di tutta la celebrazione, il congedo dato ai presenti.
6
Alla base di questa differenziazione si possono indicare: la distanza tra ambiti culturali, la di
ficoltà negli scambi e la diversità della lingua parlata. Diventerà prevalente nell'occidente - nell'an
bito cristiano - la lingua latina, mentre la lingua greca resterà predominante nelle regioni del Medi
Oriente.
76
7
Stando alle sottolineature di celebri studiosi, le principali famiglie liturgiche,
polarizzate attorno alle grandi preghiere eucaristiche, vengono catalogate in
questi filoni:
- il rito siriaco orientale (armeno);
- il rito siriaco occidentale (Costituzioni apostoliche e liturgia di san Gia-
como);
- la liturgia di san Basilio e di san Giovanni Crisostomo, che sfocerà nel
rito bizantino;
- il rito egiziano-alessandrino;
- il rito gallicano-mozarabico (con diffusione nella Spagna e nella Gallia);
il rito romano, diffuso nei primi secoli in Italia e nel Nord-Africa, ma poi
affermatosi, anche per l'azione dei papi, n e l l ' E u r o p a e in tutto il m o n d o
occidentale.
Pur con preghiere e cerimonie differenziate nelle varie liturgie, lo schema cele-
brativo è fondamentalmente comune. Può essere riassunto nei seguenti tratti.
• / riti d'ingresso. Fino al secolo V la celebrazione iniziava in maniera sem-
plice con il saluto seguito dalle letture. Presto questa p a r t e iniziale viene arric-
chita da un canto eseguito dai cantori, da un Kyrie litanico che coinvolge l'as-
semblea e dalla «colletta» del presidente.
• La liturgia della Parola è caratterizzata dall'onore tributato ai libri sacri
che vengono portati solennemente e letti all'ambone. Ivi è fatta la proclamazio-
ne delle letture bibliche seguite da un salmo responsoriale, è annunciato il Van-
gelo ed è fatta l'omelia. Il tutto è introdotto - con particolare risalto nel rito
bizantino - da un solenne ingresso dei ministri che p o r t a n o il libro dei vangeli
attraverso la navata e lo situano sul pulpito tra i canti e l'incenso. A n c h e in occi-
dente si onora il libro dei vangeli col canto dell'alleluia e con l'incensazione.
• // rito di comunione prevede la frazione del pane, la recita del Padre Nostro
e, in certe chiese, il bacio di pace e la presentazione ai fedeli dell'ostia per la
comunione.
7
Cito in particolare: B O U Y E R , Eucaristia, 141ss; JUNGMANN, Missarum sollemnia. 30ss.
77
Tutto si chiude con i cariti che seguono la comunione, la preghiera finale, la
benedizione e il congedo.
Elementi culturali nuovi fanno sentire il loro influsso nella celebrazione del-
l'eucaristia alla fine dell'età patristica. In occidente l'eredità r o m a n a è formulata
e ricapitolata in sintesi da Gregorio M a g n o (590-604). Egli dà un ordinamento
preciso, tipicamente romano, alla messa celebrata nei «titoli» e nelle «basiliche».
Va ricordato che, in questo tempo, la liturgia orientale, con il suo stile, si era
fatta presente in alcune città latine al t e m p o di Giustiniano e Belisario, lascian-
do tracce nell'arte e nell'iconografia (es. in Santa Maria Maggiore a R o m a col
suo «arco trionfale»; in San Vitale a R a v e n n a e in Sant'Apollinare in Classe, con
le famose raffigurazioni iconografiche tipicamente bizantine).
Nelle chiese si passa dalle figure simboliche dei mosaici (es. i pani e i pesci),
alle raffigurazioni dei santi che continuano l'opera del b u o n Pastore (es. Sant'A-
pollinare in Classe).
Le vesti liturgiche dei celebranti h a n n o u n o stile lineare e solenne; sono
costituite dalla tunica, dal mantello a pioggia (la pianeta), dalla stola per i diaco-
ni, dal pallio p e r i pontefici.
La lingua liturgica c o m u n e nell'occidente è il latino. In oriente al greco si era-
no affiancati il siriaco, il copto, l'armeno, il georgiano e, nel secolo IX, con la con-
versione degli slavi, viene aperta la strada della liturgia ai nuovi caratteri cirilli-
ci o slavi che saranno assunti ufficialmente nel rito liturgico delle Chiese del cep-
po slavo.
78
La n o n facile c o m p r e n s i o n e della lingua latina da p a r t e d e l p o p o l o fam-
co-germanico e l'organizzazione f o r t e m e n t e gerarchica delle p o p o l a z i o n i p o r -
t e r a n n o al p r e v a l e r e di un a c c e n t u a t o p r o t a g o n i s m o dei ministri che presie-
d o n o la celebrazione della messa, lasciando al p o p o l o il ruolo di s p e t t a t o r e
passivo.
Vari elementi c o n d u r r a n n o a introdurre cambiamenti riguardanti i riti e la
struttura logistica delle chiese per la celebrazione. Nell'antica tradizione r o m a n a
l'altare era situato al centro dell'abside ed era rivolto verso il popolo. E r a costi-
tuito da una tavola di pietra spoglia, senza ornamenti. All'altare si presentava il
vescovo (o il sacerdote) attorniato dai diaconi. Verso il 900-1000 avverranno
variazioni nella disposizione dell'ambiente celebrativo. L'altare viene collocato
sul fondo dell'abside, dove prima era posta la cattedra del presidente. La catte-
dra viene spostata a lato nel presbiterio. Il sacerdote celebra voltando la schiena
al popolo. Viene fatta sorgere una piccola parete divisoria (le balaustre) che
separa lo spazio riservato ai celebranti e al presbiterio da quello riservato al
popolo.
L'eucaristia è percepita dal popolo, più che come dialogo e come incontro
comunitario con il Signore presente, come mistero che si adora. Il p o p o l o n o n
partecipa in m o d o attivo alla celebrazione, ma assiste, guarda e ascolta.
L'ampia scodella che contiene il p a n e per la messa viene ridotta a un picco-
lo piatto liscio; le particole vengono rimpicciolite nello spessore e vengono depo-
ste sulla lingua per la comunione (secolo IX). Un certo coinvolgimento popola-
re si ha attraverso i canti della schola cantorum, le risposte ai saluti del sacerdo-
te, la partecipazione alle piccole processioni delle offerte e lo scambio del bacio
di pace.
Le preghiere e i gesti che il sacerdote compie sono interpretati in m o d o alle-
gorico, secondo i commentari della messa che vengono composti in questo tem-
po: tipico, nel secolo IX, è il Liber Officialis di A m a l a r i o di Metz.
La liturgia franco-romana fiorisce soprattutto nelle cattedrali e nei monaste-
ri sorti nell'ambito del Sacro R o m a n o I m p e r o (Parigi, Reims,Tours, Corbie, San
Gallo, Reichenau, R e i n a u ) .
79
sare dai molti libri del t e m p o precedente, adibiti per la liturgia (il libro sacra-
mentario, il lezionario, l'antifonario), a un unico libro, il messale. I frati france-
scani itineranti in tutta l'Europa contribuiscono per primi a questa unificazione,
a d o t t a n d o per il proprio ordine il Missale secundum usum romanae curiae (il
messale francescano che seguiva i modelli della curia r o m a n a ) .
Un altro fatto nuovo è dato dal diffondersi della messa letta senza la parteci-
pazione popolare. Con l'aumentare del n u m e r o dei sacerdoti nei monasteri, nel
corso del secondo millennio, e, soprattutto, con il diffondersi dei frati mendican-
ti, p r e n d e r à il sopravvento la messa letta o privata, recitata in tutte le sue parti dal
celebrante. Si moltiplicano così gli altari e le messe; molte messe di devozione
sono ordinate dai fedeli come mezzo di propiziazione per i vivi e per i defunti. A
Cluny, ad esempio, d a t o il grande n u m e r o di monaci, si leggevano messe per i
defunti in molti altari dall'aurora a mezzogiorno. Il popolo era del tutto assente
o spettatore alla «lettura delle messe»; tutt'al più, nelle messe solenni, parteci-
pava osservando il simbolismo delle cerimonie (segni di croce, inchini, allarga-
m e n t o delle braccia del celebrante) e t e n e n d o conto delle allegorie riferite dai
commentatori circa i paramenti e le suppellettili.
In questo stesso tempo comincia a svilupparsi il culto dell'eucaristia fuori del-
la messa con l'adorazione del ss.mo Sacramento.
Nella prima metà del 1500 diverse diocesi avevano dato il via a u n a riforma
del messale e a una revisione della celebrazione della messa, nell'intento anche
di favorire una maggiore partecipazione del popolo cristiano.
Il concilio di Trento nel 1546-47 e nel 1563 (in parallelo con tutta u n a serie di
interventi sulla dottrina eucaristica) istituì una commissione per m e t t e r e in risal-
to gli abusi e superare le molte diversità presenti nella celebrazione della messa
nei diversi luoghi. Prese così il via una riforma del Messale r o m a n o che venne
affidata all'autorità del papa.
Il lavoro giunse velocemente a c o m p i m e n t o nel 1570. Pio V pubblicò un mes-
sale nuovo per tutta la cristianità, rivisto secondo i decreti del concilio di Trento,
un messale unico e identico per tutte le Chiese del m o n d o , con qualche eccezio-
ne per alcune Chiese particolari, depositarie di antiche tradizioni (es. Milano,
Treviri, Colonia, Braga, Liegi, Lione).
Vennero soppresse molte feste di santi (ritenuti poco fondati storicamente)
e semplificate le preghiere e le sequenze. Venne lasciato c a m p o libero alle pro-
duzioni della musica sacra.
Le rubriche generali, i riti da osservare e i testi e r a n o uguali per tutti, e i
vescovi dovevano vigilare sugli abusi. Papa Sisto V istituì a questo scopo il Dica-
stero r o m a n o per la liturgia. Rimase carente la preoccupazione per la partecipa-
zione attiva dei fedeli. Ma ciò non era sentito come a n o m a l o dall'ecclesiologia
del tempo, che accentuava il ruolo dei ministri ed era orientata ad atteggiamen-
ti di reazione rispetto alla «mentalità popolare» dei Riformatori.
Il Messale, nella riedizione di C l e m e n t e V i l i (1604) e nella piccola revisione
di U r b a n o V i l i (1634), rimase sostanzialmente intatto fino all'attuale Messale
del 1973 riformato dal concilio Vaticano II.
80
Joseph Jungmann, nel suo ampio studio sulla storia della messa, paragona il
messale unico del concilio di Trento a
«un'enorme diga che, dopo lo scrosciare e il diluviare da tutte le cime e in tutte le val-
li nel medioevo, permette alla marea dei flutti di continuare la via in stabili condotti
e in canali ben costruiti. Così si pone fine a tutte le inondazioni e alluvioni, si garan-
tisce un andamento regolare e proficuo. Ma ne viene che la valle fiorita, dove una vol-
ta scorreva il fiume, sia ora deserta, e che quelle forze naturali di sviluppo non siano
più in grado di riunirsi e di dar vita a nuove forme se non nel caso di rigagnoli e di
8
devozioni particolari».
81
co di Bec, G u i t m o n d o di Aversa e altri maestri affermavano una presenza pie-
n a m e n t e reale del Signore nell'eucaristia. Q u e s t a tesi o t t e n n e sempre più il favo-
re del magistero.
Nel sinodo del Luterano del 1059 e poi nel concilio del L a t e r a n o del 1079,
venne siglata una formula realistica che suonava così:
«dopo la consacrazione è presente il corpo vero di Cristo, che è nato dalla Vergine,
che stette appeso alla croce e siede alla destra del Padre».
«il [...] corpo e il [...] sangue [di Gesù Cristo] sono contenuti veramente nel sacra
mento dell'altare sotto le specie del pane e del vino, poiché il pane è transustanziati
9
nel corpo, e il sangue nel vino per divino potere».
9
Denz 802.
10
Denz 1321.
82
Successivamente, nel concilio di Trento, la v n a a a r
ristia sarà motivo ispiratore della sessione XIII (1551) o v e a
Nei capitoli e canoni della sessione XIII i padri del concilio di Trento svilup-
p a n o come conseguente la dottrina del culto eucaristico nella chiesa.
L'acquisizione di u n a formula dogmatica riguardante la Presenza eucaristica,
fatta in termini di sostanza e di transustanziazione, è base dottrinale dello svi-
luppo di tutta la prassi ecclesiale dell'adorazione del sacramento dell'eucaristia
fuori della messa (tale adorazione era praticata e diffusa fin dall'inizio del secon-
do millennio, ma in seguito avrà uno sviluppo ancora più autorevole e motiva-
to). Si dirà: se il Signore è presente in m o d o reale sostanziale nelle «specie euca-
ristiche», è doveroso tributare adorazione e o n o r e al santissimo sacramento con
l'esposizione, le visite dei fedeli e le processioni. Segno particolarmente solenne
di questo «onore» sarà la festa del «Corpus Domini», istituita nel 1264 con testi
liturgici (preghiere, inni e sequenze) a p p r o n t a t e da san Tommaso, e rappresen-
tata e m b l e m a t i c a m e n t e nel d u o m o di Orvieto, costruito c o m e tempio tipico di
questa solennità.
Occorre ricordare che, parallelamente allo sviluppo del culto eucaristico, già
da secoli si era assai impoverita la liturgia della celebrazione della messa, a moti-
vo delle messe private, del ruolo primario/esclusivo del sacerdote nella celebra-
zione, della passività dei fedeli ridotti al ruolo di spettatori e della mancanza del-
la c o m u n i o n e dei fedeli nella messa.
La celebrazione dell'eucaristia, n o n partecipata p e r il suo aspetto comunita-
rio e conviviale nella «memoria del sacrificio del Signore», era considerata p r e -
v a l e n t e m e n t e come p u n t o di adorazione e di richiesta di frutti, tramite le offer-
te elargite p e r le celebrazioni delle messe.
È in questo contesto che viene promulgato nel concilio L a t e r a n e n s e IV
12
(1215) il p r e c e t t o della confessione dei peccati almeno una volta all'anno e il
precetto minimo della comunione da ricevere almeno a Pasqua.
Da Trento in poi si affiancano così, a livello conciliare, la teologia, le n o r m e
riguardanti la vita del cristiano e un tipo di spiritualità incentrata sull'adorazio-
ne. La celebrazione e il m o d o di vivere l'eucaristia nella comunità cristiana è
molto impoverito.
11
D e n z 1651-1552.
12
Denz 812.
83
In questo stesso q u a d r o protratto a lungo, p r e n d e r à piede, nel secolo X V I ,
contestazione di L u t e r o e tutto il movimento della Riforma, nei confronti di u
prassi eucaristica n o n rispondente p i e n a m e n t e al suo valore.
13
Denz 1635.
84
Per motivi di procedura, il concilio di Trento trattò in maniera separata e
divisa i grandi temi dell'eucaristia (Presenza, sacrificio e comunione), pur essen-
do questi inscindibilmente uniti. L'ampia trattazione del concilio è stata svolta
14
nella sessione X I I I (1551) riguardante la santissima eucaristia; nella sessione
5
X X I (1562) «sulla comunione sotto le due specie»} e nella sessione X X I I (1562)
16
dove è svolto il t e m a della dottrina e dei canoni sul sacrificio della messa.
Ai nostri giorni, nel grande c a m b i a m e n t o di mentalità e di rapporti siglato
dal concilio Vaticano II, e alla luce dello spirito ecumenico che sottolinea gli
aspetti positivi esistenti nelle Chiese cristiane divise, ma in un clima di ascolto e
in una volontà di intesa, tante sollecitazioni di L u t e r o appaiono nella loro vali-
dità. Ci riferiamo alla celebrazione comunitaria, alla comunione nella messa, al
legame stretto tra culto eucaristico e celebrazione della messa.
A n c h e i termini espressivi del mistero eucaristico, q u a n t o alla Presenza e al
sacrificio (pure nell'autorevolezza dei testi tridentini), ai nostri giorni sono letti
nell'unità complessiva del mistero che si fa presente a noi, e sono compresi pre-
feribilmente in u n a terminologia ispirata, più che a un linguaggio metafisico, al
linguaggio biblico, liturgico ed esistenziale, con attenzione alla sensibilità perso-
nalista del nostro tempo.
Tutto questo emerge dalle grandi linee del concilio Vaticano II e dai dialoghi
ecumenici, tra i quali va n o t a t o in particolare il d o c u m e n t o siglato a Lima nel
1982 tra tutte le Chiese cristiane e intitolato Battesimo, eucaristia e ministero.
14
Denz 1635-1661.
15
Denz 1725-1734.
16
Denz 1738-1760.
85
Gli interventi della Chiesa, orientati a una nuova visuale, in connessione con
tutto l'iter del movimento liturgico, hanno avuto attuazione progressiva già a par-
tire dagli anni 1950 con l'uso della lingua parlata, l'altare rivolto verso il popolo,
la sottolineatura della liturgia della Parola, la comunione entro la messa, la plura-
lità dei libri liturgici (messale, lezionario, libro per le preghiere dei fedeli) e il ruo-
lo fondamentale dei vari ministeri nella celebrazione (dal presidente, ai lettori, ai
cantori, ai ministranti, all'assemblea). Essi esprimono e coinvolgono in una mol-
teplicità armonica tutti i membri della Chiesa celebrante, che ha il suo punto «cul-
minante» nella celebrazione dell'eucaristia. I vari passi della riforma h a n n o recu-
perato - tendenzialmente - l'immediatezza viva delle Chiese dei primi tempi e
h a n n o eliminato distorsioni intervenute in alcune fasi della storia cristiana.
L'eucaristia, nella sua comprensione profonda, più che intesa nel quadro
oggettivo di una «realtà» che si p o n e di fronte al credente per essere riconosciu-
ta e adorata, è vista come un venire a noi del Signore, è il donarsi di lui a noi pei
una comunione di persona e di vita. L'eucaristia è quindi:
• «convocazione e celebrazione di tutta la Chiesa vivente», del popolo d
Dio nell'unità e nella varietà dei suoi membri e dei suoi carismi per ui
incontro creatore di vita e di missione;
• «mensa del Signore», della Parola e del pane, cui tutti partecipano «per avi
re la vita e averla in abbondanza» secondo la tematica cara a Giovanni;
• pasqua del Signore, celebrata come «culmine e fonte» e centro della vii
cristiana, del culto, della Chiesa e con essa di tutto il mondo redento.
In queste proiezioni sono ripresi verità e stimoli che le varie Chiese cristiar
vivono a raggio ecumenico. In particolare è da notare il risalto d a t o alla fede ci
sorge dalla parola di Dio. Si ha qui quella suggestione particolarmente ricca d<
la dualità della mensa della Parola e del pane che il concilio Vaticano II ha p
17
volte sottolineato.
86
C o m e avvenne con i discepoli di E m m a u s , la parola di Gesù fece loro arde-
re il cuore, finché la sua «verità» si rivelò in pienezza nello «spezzare il pane».
Si intravedono due tempi di un'unica realtà, in cui chi si d o n a è Cristo, il Ver-
bo, l'Incarnato, il Risorto, pegno della vita eterna, che opera nello Spirito Santo.
Nello Spirito suscita la Parola, la fa entrare nell'uomo tramite la fede, santifica e
trasforma gli elementi del p a n e e del vino, li fa diventare «segno» del corpo del
Signore e li fa entrare nell'uomo come comunione con il corpo di Cristo e comu-
nione con tutta la Chiesa. Il concilio Vaticano II ripete più volte che la liturgia
della Parola e la liturgia eucaristica costituiscono un'unità nella celebrazione,
nella comprensione e nel mistero. N o n c'è via di comunicazione con il Cristo - il
Verbo incarnato - se n o n nella Parola e nella fede che, sola, apre al mistero del-
la comunione con lui.
«Come dall'assidua frequenza del mistero eucaristico prende vigore la vita della
Chiesa, così è lecito sperare un nuovo impulso di vita spirituale dall'accresciuta vene-
18
razione della parola di Dio che rimane in eterno».
3. TEOLOGIA DELL'EUCARISTIA
18
DV 26: EV 1/911.
87
«La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso
del Signore, non tralasciando, soprattutto nella sacra liturgia, di assumere il pane del-
la vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo, e di porgerlo ai
19
fedeli».
«Le letture scelte dalla sacra Scrittura con i canti che le accompagnano, costituiscono
la parte principale della liturgia della Parola; l'omelia, la professione di fede e la pre-
ghiera universale o preghiera dei fedeli sviluppano e concludono tale parte. Infatti
nelle letture che vengono spiegate nell'omelia, Dio parla al suo popolo, gli manifesta
il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale. Cristo
stesso è presente, per mezzo della Parola, tra i fedeli. Il popolo fa propria questa paro-
la divina con il silenzio e i canti, e vi aderisce con la professione di fede. Così nutrito
prega nell'orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del
20
mondo».
Nella proclamazione viva della «Parola», al centro della messa, viene fatto il
memoriale della pasqua, e nell'acclamazione, che segue le parole del Signore sul
p a n e e sul vino, tutti cantano: «Tu ci hai re denti con la tua croce e la tua risur-
rezione, salvaci o Salvatore del m o n d o » . Alla fine, nella comunione, il Cristo si
dona nella totalità del suo mistero e nel m o m e n t o del congedo da lui viene data
la benedizione.
19
DV 21: EV 1/904.
20
CEI, Ordinamento generale del Messale Romano, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vat
no 2004, n. 55.
n o m e di tutti dice: «Ricordati Signore della tua Chiesa diffusa su tutta la t e r r a -
ricordati dei presenti, del tuo popolo e di tutti gli uomini che ti cercano con cuo-
re sincero».
È evidente che ogni eucaristia, anche se celebrata in comunità piccole e disa-
giate, non p u ò eludere questa verità fondamentale, di essere sempre il segno del
riunirsi della Chiesa universale e del m o n d o intero n e l l ' a p p u n t a m e n t o di salvez-
za offerto dal Signore.
21
Cf. Celebrare l'eucaristia oggi, Elledici, Leumann (TO-) 1 9 8 4 ; «L'eucaristia», in Communio
3 5 ( 1 9 7 7 ) ; // sacrificio evento e rito, Messaggero, Padova 1 9 9 8 ; n. 3 di Concilium ( 1 9 8 0 ) ; J. A U E R - J.
RATZINGER, // mistero dell'eucaristia, Cittadella, Assisi 1 9 7 2 ; T. BECK - G. D E L L A CROCE, La parola e
l'eucaristia, E D B , Bologna 1 9 7 6 ; G. COLOMBO, Pregare l'eucaristia, Queriniana, Brescia 1 9 9 1 ; ID., L'eu-
caristia nella comunità cristiana, Elledici, Leumann (TO) 1 9 9 1 ; L. COTÉ, L'eucaristia del popolo di
Dio, EP, Cinisello Balsamo 1 9 9 3 ; L. DE BACCIOCCHI, L'eucaristia dopo il Vaticano 11, Cittadella, Assi-
si 1 9 6 8 ; L. D E L L A T O R R E , Pregare l'eucaristia, Queriniana, Brescia 1 9 8 2 ; E X . DURWELL, L'eucaristia,
EP, R o m a 1 9 8 2 ; A. D O N G H I , La spiritualità della celebrazione dell'eucaristìa, OR, R o m a 1 9 8 7 ; G.
G I R A U D O , Eucaristia per la Chiesa, Morcelliana, Brescia 1 9 8 9 ; J. HERMANS, La celebrazione dell'eu-
caristia, Elledici, Leumann (TO) 1 9 8 3 ; L. LIGIER, // sacramento dell'eucaristia, Pontificia Università
Gregoriana, R o m a 1 9 8 8 ; E. M A Z Z A , La celebrazione eucaristica. Genesi del rito e sviluppo dell'inter-
pretazione, E D B , Bologna 2 0 0 3 (prima edizione EP, Cinisello Balsamo 1 9 9 6 ) ; P. TENA, «L'assemblea
liturgica e il suo presidente», in Concilium 2 ( 1 9 7 2 ) .
89
Tutto il discorso p r e n d e ispirazione e guida dal linguaggio biblico e liturgico,
che il concilio Vaticano II ha indicato quale base della dottrina dell'eucaristia in
tutti i suoi aspetti. Da queste premesse possono essere dedotti i seguenti punti:
22
3.2.1. // sacrifìcio di Cristo e l'umanità
• Qual è la proposta autentica del Dio della creazione all'uomo religioso per
una corrispondenza al dono della creazione stessa?
22
Cf. // sacrificio evento e rito, Messaggero, Padova 1988; in particolare E.V. OTTOLINI, «Eucari-
stia, la dimensione sacrificale», ivi, 418ss; S. U B B I A U , «Teologia del sacrificio», ivi, 451ss. Cf. anche
M A Z Z A , Le odierne preghiere eucaristiche, 297ss; R. TREMBLAY, «Pane e vino eucaristici volto del
Risorto nella Chiesa», in Rassegna di Teologia 41(2000), 261-270.
90
è stato la realizzazione del valore autentico dell'uomo. L ' u o m o riceve la vita da
D i o e la riconduce a D i o nella fedeltà e nell'amore, m i r a n d o a ricevere la vita in
pienezza oltre la morte. Soltanto t o r n a n d o alla sorgente della vita, attinge alla
vita eterna. Cristo manifesta nel suo sacrificio la verità di un Dio amante, che
vuole d o n a r e una vita senza fine a chi gli è fedele, e manifesta la verità dell'uo-
mo che, a v e n d o ricevuto la vita gratuitamente, la realizza, e n t r a n d o nella logica
di Dio: «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Q u a n d o si ritorna a
Dio nella «gratuità del donare», «esplode» come risposta l'amore creante di Dio,
che è sorgente di vita. D i o non vuole la m o r t e di qualcuno, ma la fedeltà piena
fino alla fine, per aprire la vita al di là della m o r t e a una comunione senza fine.
Q u e s t o è possibile tutte le volte che una creatura si p o n e in sintonia di dialogo
con D i o e vive nello stile di Dio. Un tale tipo di r a p p o r t o con D i o è stato vissu-
to da Gesù che, come ci dice san Paolo, è stato obbediente fino alla m o r t e e per
questo D i o lo ha esaltato (cf. Fil 2).
91
è coinvolta nell'esperienza del Crocifisso che si è consegnato al P a d r e ed è esal-
tato nella gloria; essa si rivolge a lui con parole piene di gratitudine e di pre-
ghiera:
2 3
Cf. BEM, euc. nn. 3-4.
92
3.2.2. L'eucaristia memoriale del sacrificio di Cristo
«Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente
risorto e asceso al cielo, nell'attesa della sua venuta, ti offriamo, Padre, in rendimen-
to di grazie questo sacrificio vivo e santo» (Pr. euc. III).
24
H.U. von BALTHASAR, «La messa è vero sacrificio», in Spiritus Creator, Morcelliana, Brescia
1983,149ss.
93
Nell'eucaristia la Chiesa entra così in comunione vitale con il «sacrificio della
croce». Il segno dell'incontro si ha nel d o n o del p a n e e del vino che Gesù ha scel-
to nel gesto profetico della sua cena.
In quel segno, ora divenuto «memoriale», il Risorto p o r t a con sé la propria
storia e la comunica ai suoi. Dal p u n t o più alto della sua vicenda terrena - dal
d o n a r e la vita sulla croce e dall'essere risuscitato - Gesù continua a effettuare il
suo d o n o agli uomini per una comunione di amore.
«Io ti ho glorificato [o Padre] compiendo l'opera che mi hai dato da fare [...] la gloria
che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola [...] e il
mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me» (Gv 17,4.22).
25
G. MARCHESI, «"La gloria" estetica teologica di H . U . v. Balthasar», in La Civiltà Cattolica
(1999)3572,120ss.
94
do; ora il Padre è glorificato e il Figlio è glorificato in lui perché i suoi diventano
una sola cosa con lui.
Q u e s t a impresa è opera della potenza creatrice del Cristo che ha dato la vita
per il mondo, dell'amore di lui che diventa «matrice genetica» e genera con
fecondità inesprimibile frutti di amore.
La potenza creatrice del sacrificio di Cristo n o n si ferma nell'attimo della
celebrazione eucaristica, ma è consegnata all'azione dello Spirito creatore, che fa
sorgere sempre nuove capacità di donare. Avviene in questa novità non un colla-
ge dei pezzi di un corpo frantumato, ma un'azione che crea vita, una vita fermen-
tata dall'amore, che rende la sposa di Cristo somigliante in tutto al suo Sposo.
In questo, la Chiesa che celebra l'eucaristia obbedisce p i e n a m e n t e alle paro-
le di Gesù, che aveva detto nella sua ultima cena: «Fate questo in mia memoria».
Fare quello che ha fatto Gesù equivale a ripercorrere nella vita i tratti di lui, così
che il fare m e m o r i a di lui sul p a n e corrisponde al vivere il suo stesso atteggia-
m e n t o di dono. In tale m o d o lo «splendore», la «doxa» di Dio che splende sul vol-
to del Crocifisso, diventa appartenenza dell'umanità, e l'umanità diventa «sacrifi-
cio gradito a Dio».
La novità che la comunione al sacrificio del Signore p o r t a con sé, è un movi-
m e n t o di a m o r e che si moltiplica nel m o n d o , nella persona e nella vita di chiun-
que si unisce a Cristo.
• Il Signore viene a noi dalla fine della storia ove egli è il Signore
Il Cristo risorto, che vive nella gloria del Padre, è per sempre - come dice san
Giovanni - l'«Agnello immolato», contrassegnato dai segni della passione. Egli
vive senza fine in quell'atteggiamento amoroso di dedizione che lo ha condotto
a dare la vita (Gv 20,20). La sua condizione di risorto è pervasa dalla sua conti-
nua «passione» per gli uomini, da quella predilezione che era già nel progetto del
Padre «che ha tanto amato il m o n d o da dare il suo Figlio unigenito, perché
chiunque crede in lui n o n muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
Va sottolineata quindi u n ' i m p o r t a n t e verità: il Signore glorificato ha raggiun-
to «Infine dei tempi» (eschaton), vive in modo trasfigurato l'evento della sua cro-
ce, dove è sempre pronto a donare il suo amore quale «sorgente zampillante» di
26
salvezza all'umanità.
Il «sacrificio di Cristo», che si p o n e «a tu per tu» con noi, viene dalla fine del-
la storia e stabilisce un incontro tra il suo essere glorioso e la Chiesa pellegrina.
Gesù è il Verbo incarnato, trasfigurato nella sua esperienza di croce e di risurre-
zione. Egli porta con sé sempre i segni della sua passione, come leggiamo nel
Vangelo di Giovanni (20,19-29) ove è presentato l'incontro del Risorto con gli
apostoli e con Tommaso. Gesù si presenta agli apostoli nella totalità del suo
mistero e della sua storia e si d o n a nel segno del p a n e (Gv 21,13).
26
H . U . von BALTHASAR, «Il mistero dell'eucaristia», in ID., Nuovi punti fermi, Jaca Book, Mila-
no 1980,70; ID., «La messa è vero sacrificio», 198ss; ID., Teodrammatica, IV, Jaca Book, Milano 1986,
364; L.M. Di GIROLAMO, «Identità fra Crocifisso e Risorto in von Balthasar», in Rassegna di Teologia
2(2004), 227-266.
95
Per l'unità del mistero umano-divino di Gesù, la storia di lui è sempre attra-
versata da una dimensione escatologica. Il suo essere oltre il t e m p o gli appartie-
ne come Figlio del P a d r e e come u o m o animato dallo Spirito, perché, obbedien-
te fino alla croce è stato esaltato nella gloria. C'è una continuità inscindibile tra
la storia, la croce e la risurrezione di Gesù, e nella sua gloria egli pronuncia l'ul-
tima parola sull'umanità.
L'eucaristia è così ponte sempre aperto tra l'uomo della storia e il Cristo risor-
to, ci introduce nel punto più alto dell'escatologia intermedia.
Ogni volta che è celebrata l'eucaristia è proclamato il rapporto tra il Signore
glorioso e l'uomo vivente: «Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua
risurrezione nell'attesa della tua venuta». Il venire di Gesù a noi dalla «fine» della
storia, è segno che egli porta con sé tutta la pienezza del compimento finale e il
27
potere di trasmettere a noi la direzione e la spinta di ogni realizzazione definitiva.
Il venire a noi del Signore «dalla sua gloria» è indicato tante volte nelle p a r o -
le dei credenti cristiani, della Chiesa. Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica
Mane nobiscum Domine scrive:
«Non si può tuttavia dimenticare che il convito eucaristico ha [...] un senso profon-
damente e primariamente sacrificale. In esso Cristo ripresenta a noi il sacrificio attua-
to una volta per tutte sul Golgota. Pur essendo presente in esso da risorto, egli porta
i segni della sua passione, di cui ogni santa messa è "memoriale", come la liturgia ci
ricorda con l'esclamazione dopo la consacrazione: "Annunciamo la tua morte, Signo-
re, proclamiamo la tua risurrezione...". Al tempo stesso, mentre attualizza il passato,
l'eucaristia ci proietta verso il futuro dell'ultima venuta di Cristo, al termine della sto-
ria. Questo aspetto "escatologico" dà al sacramento eucaristico un dinamismo coin-
28
volgente, che infonde al cammino cristiano il passo della speranza».
«il collegamento delle parole della liturgia - "ricordando offriamo" - richiama l'isti-
tuzione e indica il rapporto dell'azione presente con l'evento di allora [...] La perso-
na di Gesù si fa realmente presente, ma con la sua persona si fa presente la sua inte-
ra storia nel tempo, specialmente il suo acme, Croce e Risurrezione; anzi questa inte-
ra esistenza può essere compresa - nella sua relazione alla croce e dalla croce - come
un atteggiamento sacrificale ormai eternizzato davanti al Padre a favore dell'uma-
nità, e con questo eterno atteggiamento si trova poi in rapporto il sacrificio eucaristi-
29
co della Chiesa».
27
R. PENNA, «Pienezza del tempo e teologia della storia», in Communio (1998), 162ss.
28
GIOVANNI PAOLO I I , Mane nobiscum Domine, 9 ottobre 2004, capitolo I I , n. 15, E D B , Bologna
2 0 0 4 , 1 2 . Pare perciò non condivisibile, in questo, la linea sostenuta da alcuni maestri della Facoltà
Teologica di Milano circa la non riferibilità alla risurrezione del sacrificio eucaristico. Tale posizione
è ripetuta nello scritto celebrativo in onore del prof. G. Colombo, da parte di A. CAPRIOLI, nell'arti-
colo: «Eucaristia e risurrezione. Attualità di un saggio teologico di Giuseppe Colombo», contenuto
nel volume collettivo L'intelletto cristiano, Glossa, Milano 2004.
29
BALTHASAR, Teodrammatica, I V , 364.
96
Nel r a p p o r t o tra il Risorto e il m o n d o emerge l'attualità operante dell'«esca-
tologia intermedia», cioè la presenza del Signore risorto che, riassumendo in sé la
sua storia terrena e la sua morte, opera su di noi con la sua azione e con la forza
trasfigurante del suo amore. Con lui, noi che viviamo nella storia, siamo già a tu
per tu con l'evento della risurrezione e con la potenza dello Spirito, che innesta
in noi il germe della novità finale.
In questo intreccio tra la storia e la fine della storia, la Chiesa si p o n e in comu-
nione con il sacrificio di Cristo, con la totalità della vita di lui: «la b e a t a passio-
ne, la risurrezione dai morti e la sua gloriosa ascensione al cielo». E in tale modo,
nella partecipazione al sacrificio della croce viene operata l'accoglienza di tutti i
sacrifici umani e diventa possibile presentare a D i o con verità tutto il fronte del-
la storia come «sacrificio vivo e santo».
A p p a r e qui l'identità esistente nell'eucaristia tra la presenza reale e il sacrifi-
cio di Cristo. Il sacrificio non è una rappresentazione o una ripetizione del mori-
re di Gesù sulla croce, ma è il suo presentarsi a noi, nel segno del p a n e e del vino,
nell'irripetibilità del suo evento di croce «che rimane in eterno».
Quando sono pronunciate, nella celebrazione eucaristica, le parole: «Questo è
il mio corpo», «Questo è il mio sangue», si realizza una misteriosa consegna «a
noi» del Cristo nella sua vicenda di passione che ora egli vive in eterno. E questo
è quasi scolpito nelle parole di san Paolo: «Ogni volta [...] che mangiate di que-
sto p a n e e bevete di questo calice, voi annunziate la m o r t e del Signore fino a
q u a n d o egli venga» ( I C o r 11,26). L'espressione antica della fede cristiana ripe-
teva: «l'eucaristia è presenza del sacrificio di Cristo»; essa significa che il Signore
nel sacramento eucaristico mette in comunione con noi la sua passione e morte,
trascese nella sua esistenza gloriosa.
97
teplici del d o n a r e e del servire, secondo q u a n t o lo stesso Gesù aveva indicato nel
Vangelo di Giovanni.
Nel Vangelo di Giovanni al capitolo 6 viene fatto l'annuncio esplicito del-
l'eucaristia. In parallelo a tale annuncio, nel capitolo 13 dello stesso Vangelo, è
posto in primo piano il retroterra esistenziale del sacrificio eucaristico, V«ora»
vissuta da Gesù, il suo servizio che lo porta a lavare i piedi agli apostoli. La Chie-
sa sa che la vita del Cristo è servizio per l'umanità compiuto nell'amore, quell'a-
m o r e per il quale il P a d r e ha m a n d a t o il suo Figlio unigenito nel mondo. La
Chiesa nel celebrare riascolta le parole di lui: «se io Maestro e Signore ho lava-
to i piedi a voi, dovete voi l'un l'altro lavarvi i piedi».
Così, nel sacrificio offerto dalla Chiesa, sono rispecchiati i tratti del vivere uma-
no segnato dall'amore ed è messa in evidenza la parte che ha la Chiesa nel sacrifi-
cio redentore. Si tratta di un'evidenziazione fatta con tono umile, perché tutta la
creazione e l'uomo con essa sono segnati dalla precarietà della storia, da un amo-
re tanto spesso diviso tra il «sì» e il «no» e vivono un'esistenza che n o n ha ancora
perseverato fino alla fine. Per questo nel linguaggio liturgico, assieme all'espres-
sione di offerta, alla lode a Dio e alla gratitudine, p r e n d e spazio l'invocazione.
La parola di ringraziamento al Signore p e r tutti i suoi doni, e l'invocazione a
D i o affinché n o n si stanchi di essere sovrabbondante nel suo amore, riempiono
in m o d o continuo la parte centrale della preghiera eucaristica.
Tre parole sono sempre collegate nella liturgia ecclesiale: la memoria, il rin-
graziamento e la domanda (anamnesi, eucaristia, epiclesi). La parola più emer-
gente e più p r o p r i a m e n t e nostra è eucaristia. Q u e s t o termine, infatti, è stato scel-
to per indicare in una sintesi espressiva tutto il «servizio sacerdotale» compiuto
nel segno del p a n e e del vino.
98
Nella tradizione biblica, e in particolare nel linguaggio dei profeti e negli
scritti postesilici, avevano rilevanza i «sacrifici di lode», nei quali si affermava la
priorità del cuore e della vita sulle vittime immolate. In questa esperienza teolo-
gale dei «sacrifici spirituali» Gesù ritorna nel suo insegnamento. Nel capitolo 4
di Giovanni egli dice che «i veri adoratori a d o r e r a n n o il P a d r e in spirito e
verità»; egli, diventato «il Signore» nel suo servizio sacerdotale nei cieli, continua
a intercedere per noi e prospetta a tutti di diventare nello Spirito «sacrificio spi-
rituale gradito a Dio».
Il «sacrificio di lode», esperienza sempre viva nelle liturgie della storia, è segno
anticipatore del linguaggio della festa eterna, che sarà celebrata nei cieli dalla
«sposa dell'Agnello». Per questo suo valore escatologico la «lode» eucaristica è il
filo conduttore nelle tradizioni celebrative della messa. Nelle anafore della Chie-
sa, la preghiera viene rivolta a Dio come acclamazione e lode per la grandiosità dei
doni ricevuti, per l'esistenza, per la vita, per il mondo, per i beni della creazione e
il d o n o della redenzione. L'espressione di gratitudine e di ammirazione al Padre è
motivata soprattutto dal fatto che l'uomo è stato accolto gratuitamente in un rap-
porto personale col Cristo crocifisso e risorto ed è stato introdotto in una comu-
nione di vita con colui che è il «Vivente» e con tutto il «corpo dei figli di Dio».
I m o m e n t i più intensi di quel canto di lode che è l'eucaristia, si h a n n o nella
consacrazione, q u a n d o tutto il popolo acclama al farsi presente del Signore che
ci ha redenti con la sua croce e la sua risurrezione, e nella comunione, q u a n d o si
realizza in m o d o intimo e personale la koinonìa con il Cristo e si compie l'inse-
rimento vitale nel mistero del D i o Trino. Il canto di ringraziamento rivolto a D i o
p a r t e dalla coscienza della condizione creaturale e della povertà dell'uomo, e per
tale motivo la gratitudine sfocia nell'epiclesi, affinché, per l'opera dello Spirito, il
popolo celebrante sia trasformato in «un corpo solo e un solo spirito», in un
«sacrificio p e r e n n e gradito a Dio».
99
redenzione del m o n d o , e assumere l'impegno a seguire lui, «Maestro e Signore»
che si è fatto servo (Gv 13). Tali prospettive diventano «cantiere» operante nel
m o n d o p e r l'azione del Signore e del suo Spirito, al quale è rivolta la preghiera:
«A noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, d o n a la pienezza dello
Spirito Santo perché diventiamo un solo corpo e un solo spirito».
Per il potere creatore del Cristo, l'unione tra il sacrificio di lui e la Chiesa
diventa comunione di vita con la sua persona, quindi spinta per u n a dedizione
esistenziale, lavorio per la salvezza del m o n d o , purezza di cuore che trasforma gli
umili fatti dell'esistenza in «sacrificio gradito a Dio» ( R m 12,1-2). Essere «sacri-
ficio totalmente gradito a Dio» è esperienza esclusiva di Cristo; egli p u ò aprire
all'uomo la via di un m o d e l l a m e n t o sul suo stile e sulla sua vita e p u ò suscitare
sempre di nuovo l'atteggiamento di a m o r e e di sequela. Il grande corpo di Cri-
sto si costruisce p a r t e n d o dall'evento pasquale: il Signore, nello Spirito, rende
capaci di diventare imitatori del Maestro.
100
Padre e a intercedere p e r l'umanità. Con lui tutto il corpo ecclesiale è coinvolto
nell'atteggiamento di sofferenza che è insito nell'espiazione, nell'intercessione e
nella riconciliazione dai peccati della storia umana.
L'efficacia di redenzione si apre senza limiti al fronte dei «figli di D i o che era-
no dispersi». Porta a vivere sempre più pienamente l'atteggiamento inaugurato
nel battesimo, a seguire lo stile di Gesù che entrando nel m o n d o disse al Padre:
«Vengo a fare la tua volontà». L'eucaristia, in q u a n t o comunione con il Cristo, fa
progredire nelle rinunce battesimali a quelle scelte che sono apertura al peccato
e al m o n d o «posto nel maligno», e conduce a operare nella conversione vincen-
do i richiami dell'egoismo con la forza dell'amore redentore. Così l'evento
pasquale presente nel sacramento sempre crea la Chiesa. La Chiesa, nata all'ini-
zio quale frutto dell'amore redentore, è cementata dalla «comunione eucaristica»
( I C o r 10,17) e si apre sempre più a un atteggiamento di servizio, alla capacità di
offrirsi come sostituzione vicaria. Diventa «relazione» senza confini, come scri-
30
veva san Cipriano: «de Patris, Filii et Spiritus Sancti unitas congregata».
Il Cristo crea l'unità, crea la Chiesa e nelle molte eucaristie disegna il tessu-
to unitario di tutte le comunità celebranti del mondo.
30
CIPRIANO, De dominica oratione, 2 3 . -
31
«Il Cristo della croce sale sull'orizzonte del tempo per non lasciarlo più, come il vendemmia-
tore insanguinato dai frutti divini del castigo del mondo, intravisto dal profeta (Is 6 3 , 1 ) e... va verso la
gloria attraverso le angosce e crudeli sofferenze della storia. Il sacrificio di Cristo così riassume,
annuncia ed esprime in sé ogni altro sacrificio, si attualizza continuamente nella Chiesa attraverso il
memoriale eucaristico. N o n si tratta di un puro ricordo. Egli è immediatezza di donazione per noi, ci
mette in mano la sua morte che vince la nostra morte, fino a quando tornerà a svelare tutto nella glo-
ria. Si attua così nel mistero eucaristico la presenza della passione trasformatrice di Cristo. Il dominio
che acquista sull'universo mediante la risurrezione, non lo estrania dai nostri dolori, lo rende ad essi
interiore. Così un pane macinato, proveniente dalla terra e dalla fatica dell'uomo, diventa la sua car-
ne e la nostra carne. L'eucaristia è il sacramento dove ogni uomo è condotto dalla pasqua del Signo-
re oltre il proprio sacrificio e la propria morte, fino alla esistenza del Padre» ( G . MARTELET, Genesi del-
l'uomo nuovo, Queriniana, Brescia 1 9 7 6 , 1 9 4 - 1 9 5 ) . Cf. BALTHASAR, Nuovi punti fermi, 1 1 1 - 1 1 4 .
101
che e n t r a n o nella dinamica del sacrificio redentore, sono destinatari della sua
efficacia salvatrice e, insieme, sono associati al R e d e n t o r e nel creare un m o n d o
nuovo orientato alla trasformazione finale.
32
Cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, nn.
3ad.6: EV 2/1296.1299.1306.
102
3.3. L'eucaristia, presenza del Signore
Parlando del sacrificio si è detto che il Cristo si fa presente a noi nel suo
mistero di croce e di risurrezione. Si afferma la convergenza e l'unità tra presen-
za e sacrificio eucaristico. Tale affermazione è fondata sulla fede continua della
Chiesa.
«Se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell'eucaristia è contenuto vera-
mente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cri-
34
sto, con l'anima e la divinità e quindi il Cristo tutto intero [...] sia anatema» (can. I ) .
33
Cf. Eucharistìa. Enciclopedia dell'eucaristia, sotto la direzione di M. B R O U A R D , E D B , Bologna
2004; J. B E T Z , L'eucaristia come mistero centrale (Mysterium Salutis 8), Queriniana, Brescia 1975; J.
D U P O N T , «Ceci est mon corps, ceci est mon sang», in NRTh (1958), 1025; G. COLOMBO, « D o v e va la
teologia sacramentaria», in SC 102(1974); ID., «La dimensione cristologia dell'eucaristia», in Com-
munio 35(1977); ID., «Eucaristia», in La Scuola Cattolica 114(1986); I D . , «Teologia del sacrificio euca-
ristico», in Chiesa per il mondo, I I , E D B , Bologna 1974; ID., Teologia sacramentaria, Glossa, Milano,
1997, in part. il capitolo «Eucaristia e risurrezione»; I D . , «La transustanziazione», in Teologìa 1(1995);
G. CROCETTI, L'adorazione a Cristo Redentore presente nellhucaristia, La Scuola Cattolica, Milano
1982,110; L. DEISS, La Cena del Signore, E D B , Bologna 1977; P. DE H A E S , «Eucaristia ed escatolo-
gia», in Eucaristia. Aspetti e problemi dopo il Vaticano II, Cittadella, Assisi 1968; F.X. DURWELL, L'Eu-
caristia, EP, Roma 1982; A. GERKEN, La teologia dell'Eucaristia, EP, Alba 1977; M. GESTEIRA G A Z A ,
L'eucaristia misterio de comunion, Madrid 1983; R. JOHANNY, L'eucaristia cammino di resurrezione,
Elledici, Leumann (TO) 1976; G. MARTELET, Genesi dell'uomo nuovo, Queriniana, Brescia 1976; C.
PORRO, Eucaristia tra storia e teologia, Piemme, Casale Monferrato 1989; J. POWERS, Teologia eucari-
stica, Queriniana, Brescia 1969; J. RATZINGER - W. BEINERT, // problema della transustanziazione e il
significato, dell'eucaristia, EP, Roma 1968; J.A. SAYES, El misterio eucaristico, Madrid 1987; E. SCHIL-
LEBEECKX, La Presenza eucaristica, EP, Roma 1968; H. SCHURMANN, «La parola di Gesù alla luce dei
suoi gesti», in Concilium 10(1968); C. SONGEN, La presenza di Cristo nella fede e nel sacramento, Cit-
tadella, Assisi 1971.
34
Denz 1651.
103
Q u e s t a dottrina, e quella collegata della transustanziazione, polarizzerà la
fede della Chiesa cattolica; essa sarà ripetuta nei secoli successivi e sarà indicata
come la motivazione basilare per il culto che è tributato all'eucaristia. Il culto
aveva già assunto la sua espressione solenne con l'istituzione e la celebrazione
della festa del Corpus Domini.
104
«espressione conviviale», del donarsi a noi, nella condizione del suo essere glo-
rificato, trasfigurato nello Spirito (Gv 6,62-63).. Il Signore, nell'eucaristia, fa
diventare il p a n e e il vino comunicazione di se stesso «Crocifisso e Risorto», via
di partecipazione piena al suo mistero di auto-donazione, immediatezza del suo
offrirsi e del suo d o n a r e a noi la sua vita. Nel p a n e e nel vino consacrato si attua
il venire a noi (esse ad) di Cristo nel suo mistero di gloria.
Nota esplicativa
105
né immaginato con la fantasia, ma è percepito solo nella fede. Il fatto che si avve-
ra è u m a n a m e n t e impensabile, è rispondente alla grandezza di Dio. D i o associa
anche le cose del m o n d o nel suo mettersi a contatto con noi nello Spirito.
Continua in questo la logica dell'incarnazione. Il Figlio di D i o si è fatto u o m o
nel g r e m b o della Vergine Maria per essere u o m o tra gli uomini del m o n d o , ora
il Signore viene dalla gloria e, tramite le cose del m o n d o , fa c o m u n i o n e con noi
che siamo nel m o n d o . Egli anticipa q u a n t o avverrà alla fine, q u a n d o in tutte le
cose si svelerà la sua presenza e «noi s a r e m o simili a lui e lo v e d r e m o così come
egli è».
Il mistero dell'affacciarsi del Cristo incarnato a noi e l'anticipo dell'incontro
finale sono enunciati in termini particolarmente densi negli scritti di Paolo e di
Giovanni:
«Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la
morte del Signor finché egli venga» (ICor 11,26).
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nel-
l'ultimo giorno [...] dimora in me e io in lui» (Gv 6,54-56).
Nell'eucaristia Cristo viene a noi con la sua potenza di salvezza: suscita in noi
il sacrificio di lode, diventa liberazione per i defunti, perdona i peccati, accresce la
vita divina, inizia sempre dì nuovo la trasformazione del mondo.
In p r i m o luogo il Cristo nell'eucaristia si d o n a a noi e «rende grazie» con noi
al Padre. L'eucaristia r e n d e attuale in mezzo a noi la gratitudine e la lode di Cri-
sto e" noi ci u n i a m o a lui p r e s e n t a n d o noi stessi e il m o n d o al Padre in un atteg-
giamento di festa e di lode.
// sacrificio eucaristico è anche invocazione e «supplica» affinché la potenza
della redenzione sia o p e r a n t e nel m o n d o creato: chiediamo di essere attratti dal-
l'amore del Padre, di vincere l'egoismo e i richiami del male e di plasmare un'u-
manità nuova e un m o n d o nuovo.
Tutte le espressioni dell'uomo che si p o n e in dialogo con Dio - «l'azione di
grazie», la «lode», l'«offerta», la «domanda» - h a n n o come sorgente più imme-
diata l'eucaristia.
35
Cf. AGOSTINO, Confessioni X I , 11.
106
siano introdotti nella totale «pace e comunione» con il Signore. Le preghiere
della liturgia n o n m i r a n o a far cambiare il giudizio di Dio. D i o è prima di noi
e la sua benevolenza precede le nostre preghiere. Le nostre preghiere di suf-
fragio ci m e t t o n o in c o m u n i o n e con Cristo, con il suo intento r e d e n t o r e , p e r
chiedere u n a totale purificazione e la pace gloriosa per tutti quelli che sono
morti in lui.
C o m e scrive E X . Durrwell, la comunione con Cristo ci fa intuire in che m o d o
possiamo avere parte nella purificazione dei defunti:
«unita a Cristo, la Chiesa può incontrare gli uomini per l'ultima purificazione. Quan-
do la Chiesa celebra l'eucaristia per un defunto, si pone davanti a Cristo, che è la
pasqua redentrice di ogni uomo incontrato già nella morte [...] Il flusso di carità che
stringe Cristo, la Chiesa e l'uomo che è nella morte ed è bisognoso di purificazione e
di gratuita carità, aiutano quest'ultimo a sciogliersi dai vincoli, a liberarsi di quella
carenza di amore che ritardava il suo pieno aprirsi al sole di Dio», a raggiungere la
36
pienezza della purificazione nell'amore.
• Il p e r d o n o dei peccati
107
3.4.2. Nutrimento della vita e inizio della trasformazione del mondo
108
37
ria futura e della gioia e t e r n a » , forza che fa t e n d e r e dall'esilio alla patria cele-
38
ste, «pane degli angeli» che nutre al di là dei veli sacramentali.
Resta sempre vero che la singolarità dell'eucaristia nell'ora presente sta nel
fatto che essa è il venire a noi del Cristo risuscitato, e il suo porsi in comunione
profonda con noi, è già «la risurrezione di Cristo in espansione».
• La Chiesa fa l'eucaristia
109
loro pregi e limiti, realizzano il ritrovarsi del «popolo di Dìo», che intende
affrontare insieme i problemi e le tensioni dell'esistenza, gettando ponti di
riconciliazione e di collaborazione a largo raggio e stimoli per un continuo rin-
n o v a m e n t o che viene dal Signore presente.
• L'eucaristia fa la Chiesa
«poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti par-
tecipiamo dell'unico pane» (ICor 10,17).
39
Cf. LG 1: EV 1/284.
110
Capitolo sesto
1
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA
1
Cf. / cristiani parlano della confessione, Marietti, Torino 1960; // sacramento della penitenza e
la sua celebrazione, Velar, Bergamo 1983; La penitenza. Dottrina, storia catechesi e pastorale, Elledi-
ci, Leumann (TO) 1967; La penitenza oggi, D'Auria, Napoli 1974; Z. ALSZEGHY, De paenitentia Chri-
stiana, Università Gregoriana, Roma 1962; R. BLOMME, L'uomo peccatore, E D B , Bologna 1971; L.M.
CHAUVET - P. DE CLERCK (edd.), Il sacramento del perdono, Cittadella, Assisi 2002; C. COLLO, Ricon-
ciliazione e penitenza, EP, Cinisello Balsamo 1993; R. FALSINI, // sacramento della riconciliazione, Ed.
Franciscanum, Brescia-Milano 1975; M. FLORIO - R. NKINDIJ SAMUANGALA - G. CAVALLI - R. G E R A R -
DI, Sacramentaria speciale. II: Penitenza, unzione degli infermi, ordine, matrimonio, E D B , Bologna
2003; C. JOURNET, // male, Boria, Roma 1960; J.B. LIBANIO, Peccato e opzione fondamentale, Cittadel-
la, Assisi 1977; E. LODI, Lasciatevi riconciliare, EP, R o m a 1983; A.M. LUNARDI, Il confessore medico e
maestro, Ed. Francescane, Roma 1964; S. MAGGIOLINI, Peccato e perdono nella Chiesa, Queriniana,
Brescia 1968; L. M O N D E N , La coscienza del peccato, Boria, R o m a 1968; B. NESMY, La gioia della peni-
tenza, E D B , Bologna 1970; C. PORRO, Peccato e riconciliazione, Piemme, Casale Monferrato 1983; X
RAMOS REGIDOR, Il sacramento della penitenza, Elledici, Leumann (TO) 1971; G. ROSSINO, // sacra-
mento del perdono, Santuario Consolata, Torino 1963; P. SCHOONENBERG, La potenza del peccato,
Queriniana, Brescia 1970; B. SESBUÉ, Riconciliati in Cristo, Queriniana, Brescia 1990; A. SPEYR, La
confessione, Jaca Book, Milano 1978; C. V O G E L , // peccatore e la penitenza nell'età antica, Elledici,
Leumann (TO) 1967; ID., // peccatore e la penitenza nel Medioevo, Elledici, Leumann (TO) 1970.
Ili
La trama dei rapporti tra Dio e gli uomini si riassume in alcuni tratti ricor-
renti:
D i o è C r e a t o r e e provvidente nei riguardi degli uomini;
D i o è Padre e p e r d o n a le colpe fino alla settima generazione;
D i o è p r o m o t o r e dell'alleanza e q u a n d o l'alleanza è disdetta dall'uomo,
egli la rinnova.
«Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me» (Is 1,2).
«Verranno molti popoli e diranno: Venite, saliamo sul monte del Signore» (Is 2,1).
«Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio
delle sue viscere? [...] io ti ho disegnato sulle palme delle mie mani» (Is 49,15-16).
112
Il peccato è letto sulla trama dell'alleanza, e q u a n d o l'uomo la rifiuta, D i o la
ripropone tramite il c a m b i a m e n t o del cuore e il p e r d o n o ( G e r 31,31-34). Se la
rottura sta nel dimenticare D i o e nel rivolgersi agli idoli, l'iniziativa di D i o ricon-
duce il cuore a quel «primo amore» che è Dio.
113
tinuamente la novità e il richiamo alla conversione, l'invito a ritornare a Dio con
tutto il cuore, a distaccarsi dal peccato, a sentirsi attratti dalla fiducia nel D i o pie-
no di amore. D o p o la pasqua, questo lavorio di conversione è riferito aperta-
m e n t e all'azione dello Spirito, che Gesù invia: egli convince il m o n d o «quanto al
peccato» (Gv 16,8-9) e d o n a al cuore dell'uomo la grazia del p e n t i m e n t o e del
ritorno a Dio.
Tutto il lavorio di riconciliazione tra D i o e l'uomo avviene n o n solo nel
segreto del cuore, ma anche nei tratti della vita e nella relazione con le persone
e con il m o n d o .
// primo passo è dato dal cambiamento del cuore e della vita. Viene o p e r a t o
un ritorno a D i o nell'intimo e u n a riconciliazione esistenziale che si traduce nel-
la sollecitudine per i poveri, nell'esercizio e nella difesa della giustizia e del dirit-
to, nel riconoscimento delle colpe di fronte ai fratelli, nella revisione della pro-
pria vita, nell'accettazione delle sofferenze e nella persecuzione a causa della
giustizia.
Ma oltre a questo la riconciliazione si compie attraverso l'incontro e il dialo-
go aperto con Cristo tramite la Chiesa e i suoi sacramenti. La Chiesa è stabilita da
Cristo quale mediatrice del p e r d o n o dai peccati.
È stato a partire dalla pasqua che ha avuto inizio l'intreccio tra i due aspetti
del p e r d o n o : quello della conversione del cuore e quello di una relazione riconci-
liante di Dio con tutta l'umanità. Nella pasqua è scoccata l'ora del p e r d o n o come
fatto interiore e, insieme, come evento pubblico e storico. Lì il Signore, d o p o aver
«dato la vita per i peccati del m o n d o » , ha d o n a t o lo Spirito Santo all'umanità
redenta e ha costituito gli apostoli mediatori di un m o n d o riconciliato: «ricevete
lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi» (Gv 20,23).
114
// sacramento specifico della riconciliazione è stato voluto - come diceva già
Tertulliano - quale «seconda tavola per la salvezza d o p o il naufragio della gra-
2
zia p e r d u t a » , quale ulteriore, aperta e rinnovata riconciliazione con Dio e con
la Chiesa.
Cristo, il solo che p u ò p e r d o n a r e , ha t r a d o t t o in atto, in m o d o esplicito e
solenne, il suo p o t e r e di rimettere i peccati nella Chiesa e l'ha costituita ministra
dell'incontro del perdono. Egli aveva vissuto nella sua storia terrena un impegno
particolare nel togliere i peccati. Ora lo p o r t a a compimento tramite i suoi disce-
poli, nello stile di un incontro che è dialogo e d o n o ; d a n d o loro il m a n d a t o : «A
chi rimetterete i peccati saranno rimessi» (Gv 20,23).
Si ripete così lo stesso stile che Gesù aveva messo in atto nell'incontrare le
persone che si e r a n o rivolte a lui. Le aveva accolte e aveva detto: «Ti sono rimes-
si i tuoi peccati». O r a , in un dialogo semplice e personale, egli si rivolge di nuo-
vo a chi è bisognoso del p e r d o n o e, tramite i suoi apostoli, ripete la parola del-
l'assoluzione. In quella parola si p o n e in atto la parola stessa della croce, che
riversa sull'uomo bisognoso il p e r d o n o di D i o e lo proclama al m o n d o intero.
Il segno della riconciliazione si compie nell'intreccio tra una parola umile,
che è confessione del peccato, e una parola ecclesiale, che dice il p e r d o n o del
Signore. Il dialogo della riconciliazione ha u n a forma espressiva semplicissima e,
insieme, piena di un valore grandioso: ha una dimensione teologale, che segnala
un r a p p o r t o con il D i o che crea un cuore nuovo; una dimensione ecclesiale, che
stabilisce un riferimento alla Chiesa, incaricata da Cristo di creare u n ' u m a n i t à
riconciliata; e una dimensione antropologica, che libera il cuore e trasforma la
vita del peccatore che diventa giusto.
Con questi elementi costitutivi, il sacramento della riconciliazione esige di
essere compiuto nella fede, indispensabile per realizzare un incontro con Dio in
Cristo; di porsi in comunione con la Chiesa che è mediatrice dell'intervento libe-
ratore di Dio; e di essere espressivo della novità e della gioia di una vita che pas-
sa dal bisogno del p e r d o n o all'abbraccio festoso di Dio.
P e r questi valori il s a c r a m e n t o ha assunto, nella storia cristiana, u n a for-
ma celebrativa precisa e solenne, capace di garantire l'autenticità dell'accadi-
m e n t o di salvezza e di e s p r i m e r e la festa del P a d r e che ritrova il figlio che era
perduto.
2
TERTULLIANO, De Paenitentia, 4,2, citato da CONCILIO DI TRENTO, sessione V I , cap. 14 (Denz
1542).
115
sa che proclama il p e r d o n o di Cristo a livello sacramentale. Il sacramento coin-
volge la Chiesa nella sua ampiezza: il sacerdozio di tutti i cristiani che cooperano
alla conversione dei fratelli con la carità, l'esempio e la preghiera, e il sacerdozio
dei ministri che, attraverso il carisma ministeriale, diventano voce di Cristo. La
remissione dei peccati è manifestata come preghiera allo Spirito e come procla-
mazione solenne del p e r d o n o nel n o m e di Cristo, che è l'Agnello che toglie i pec-
cati della moltitudine e che opera nella mediazione della comunità ecclesiale tra-
mite lo Spirito.
3
LG 11: EV 1/314.
4
TERTULLIANO, Trattato della castità, XXI, 7.
5
Prec. IV, 1,8.
116
In un antico testo, riconducibile a Tertulliano, figuravano tra i peccati capita-
6
li: l'idolatria, l'omicidio e la lussuria. In altre catalogazioni, sempre della Chiesa
africana, venivano sottolineati come peccati capitali: il sacrilegio, l'apostasia, l'o-
micidio, l'adulterio, il concubinato, il furto, lo spergiuro, la calunnia, l'aborto, l'a-
varizia, l'odio tenace e la ubriachezza abituale.
In cataloghi del t e m p o successivo, ad esempio in sant'Agostino e nei Sermo-
ni di san Cesario, vescovo di Arles (503-543), figurano altri peccati considerati
come «capitali».
I peccati m e n o gravi venivano considerati rimessi tramite il p e n t i m e n t o inte-
riore, la preghiera e la carità; m e n t r e ai peccati capitali non veniva mai concessa
l'assoluzione al di fuori di una penitenza pubblica e rigorosa, che la Chiesa impo-
neva con modalità da lei stabilite. U n a tale penitenza voleva garantire un'effet-
tiva conversione nella vita dei peccatori e la verifica chiara della riconciliazione
del peccatore con la comunità cristiana: l'attuarsi della pax cum Ecclesia.
6
V O G E L , // peccatore e la penitenza nella Chiesa antica, 18-48.
117
Pian piano si crearono situazioni personali o locali sfavorevoli a questa prassi
che, anche per riferimento a situazioni culturali ed esistenziali nuove presenti nei
diversi territori della Chiesa, diedero il via ad altre forme di penitenza. Ciò avvenne
a partire dalle regioni del N o r d - E u r o p a e, in primo luogo, dalle Isole Britanniche.
Nei secoli XII-XIII, poiché la pratica delle «commutazioni» aveva fatto perdere
tanta parte del valore teologale e di conversione personale alle opere di penitenza,
si concentrò l'attenzione sulla dimensione interiore e personale della penitenza e del
7
Cf. VOGEL, // peccatore e la penitenza nel Medioevo.
118
perdono, a partire dall'accusa dei peccati o confessione, che doveva essere fatta pri-
vatamente a un sacerdote confessore, per giungere all'assoluzione conclusiva.
Il nuovo procedimento si polarizzò attorno a tre passaggi: l'accusa dei pecca-
ti o confessione fatta a un sacerdote, l'assoluzione del confessore e la penitenza
successiva.
Il luogo della confessione fu dapprima la casa del presbitero, poi si passò in
chiesa. Tale prassi di confessione si diffuse in tutta la cristianità occidentale. Nel
secolo XVII si costruirono i confessionali, nell'intento di garantire la pubblicità del
luogo ove si celebrava il sacramento e, insieme, la segretezza della confessione.
Per evitare vuoti o ritardi eccessivi nella pratica della confessione, la frequenza
venne regolamentata, nella Chiesa cattolica, col decreto emanato nel concilio Late-
ranense IV (1215) che stabilì come scadenza minima il precetto della confessione
annuale: confessarsi almeno una volta all'anno e comunicarsi almeno a Pasqua.
Per i peccati particolarmente gravi restò in vigore u n a procedura di peniten-
za più solenne e rigorosa, costituita dalle forme di scomunica (l'assoluzione con-
cessa solo d o p o particolari forme di penitenza), di interdetto (con la sospensione
dei servizi religiosi per fatti aventi gravità pubblica e politica in certe città o luo-
ghi) o di riserva (col riferire al vescovo o ad alcuni confessori da lui autorizzati
l'assoluzione di alcuni peccati aventi particolare gravità).
C o n il concilio di Trento prese sviluppo una nuova teologia della penitenza.
Il concilio di Trento ha dedicato la sessione X I V (1551) alla dottrina sul sacra-
mento della penitenza, affrontando con ampiezza i vari aspetti riguardanti la
riconciliazione come sacramento. Ha esposto la visione cattolica della penitenza
di fronte alle posizioni di Lutero, che n o n riconosceva alla penitenza ecclesiale il
valore di sacramento a sé stante.
Da Trento venne alla Chiesa un'eredità dottrinale ampia e autorevole, per le
indicazioni riguardanti il peccato e la giustificazione. La teologia successiva a
Trento ha sviluppato con continuità gli elementi costitutivi del sacramento della
penitenza, i cui fulcri strutturali sono stati polarizzati attorno agli aspetti riguar-
danti l'accusa dei peccati, l'assoluzione e la successiva pratica della penitenza.
La celebrazione del sacramento della penitenza venne riferita al potere mini-
steriale dato dal Signore agli apostoli e ai loro successori per assolvere i peccati a
chi si confessa con cuore contrito. I ministri ordinati h a n n o titolo di celebrare «in
persona Christi» la riconciliazione sacramentale, indispensabile per avere p a r t e
alla comunione eucaristica nel caso di peccati gravi.
119
Nelle variazioni storiche rimangono sempre presenti alcune costanti. Esse
sono garantite dal fatto che nella riconciliazione ecclesiale è sempre in atto la
mediazione della Chiesa, espressa nel ministero apostolico; è sempre sentita e pro-
clamata la fede nell'iniziativa di Dio che perdona; ed è affermata in tutti i tempi la
necessità di una conversione personale e di una penitenza corrispondente all'a-
zione di Dio che perdona.
Nelle varie forme penitenziali è stata data, nel primo millennio, u n a sottoli-
n e a t u r a prevalente al ruolo della Chiesa e al rigore delle opere di penitenza;
m e n t r e un'attenzione più marcata alla benevolenza e alla gratuità del D i o che
p e r d o n a e alla riservatezza della persona è stata evidenziata nella prassi cele-
brativa del medioevo e dell'età moderna.
L'esperienza della storia mostra come siano urgenti e indispensabili, per la
riconciliazione, la conversione del cuore e il tradursi di essa anche in opere di
penitenza. Nella vicenda della riconciliazione è proclamata con evidenza, assie-
me alla mediazione della Chiesa, la misericordia del R e d e n t o r e , che d o n a il per-
d o n o all'uomo disponibile mediante la conversione del cuore.
L'interiorità personale dell'uomo pentito e la riservatezza della riconciliazio-
ne, sentita particolarmente nell'età m o d e r n a , sono state viste sempre in stretta
unità con il segno dell'assoluzione ecclesiale.
La Chiesa, che ha ricevuto da Cristo il ministero del p e r d o n o dei peccati, è
mediatrice anche della «pace dell'uomo con l'umanità intera»; essa, tramite la
conversione e le opere penitenziali, si fa promotrice di una vita sempre contro-
corrente rispetto al peccato del mondo.
120
menti del battesimo e dell'eucaristia e, poi, in quella tipicità espressiva che è pro-
pria del sacramento della penitenza. Nell'introduzione al Rito, al n. 2 si legge:
«Questa vittoria sul peccato risplende anzitutto nel battesimo. In esso il vecchio uomo
viene crocifisso con Cristo, perché sia distrutto il corpo del peccato, e perché noi non
siamo più schiavi del peccato, e risorgendo con Cristo, viviamo ormai per Dio. Per que-
sto la Chiesa professa la sua fede in un solo battesimo per il perdono dei peccati».
Nel sacrificio della messa, poi, viene ripresentata la passione di Cristo; il suo
corpo dato per noi e il suo sangue sparso per noi in remissione dei peccati, nuova-
mente vengono offerti dalla Chiesa a Dio per la salvezza del m o n d o intero. Nel-
l'eucaristia, infatti, Cristo è presente e viene offerto come «sacrificio di riconcilia-
zione» (Preg. euc. I l i ) , affinché il suo Santo Spirito «ci riunisca in un solo corpo».
Del sacramento della penitenza o riconciliazione è detto:
«quando il Salvatore Gesù Cristo conferì agli apostoli e ai loro successori il potere di
rimettere i peccati, istituì nella Chiesa il sacramento della penitenza, perché i fedeli
8
caduti in peccato dopo il battesimo, riavessero la grazia e si riconciliassero a Dio».
• Il significato pasquale
121
• La dimensione escatologica
Il sacramento è incontro del peccatore con il Cristo pasquale nel rito della
Chiesa. Questo «segno» congiunge insieme l'evento della morte del Signore e la
storia dell'uomo che si accosta a lui. Il passato è reso visibile e attuale nel sacra-
mento: esso apre il futuro come nuova creazione e realizzazione del m o n d o reden-
to che si compirà nella parusia.
La celebrazione del sacramento non è un approccio consolatorio, compiuto di
fronte all'irraggiungibile trascendenza di colui che pronuncerà la sua parola defini-
tiva nell'incontro finale, ma è già pienamente incontro con il Signore, al quale «è sta-
to dato ogni potere in cielo e in terra». Egli ha già pronunciato il giudizio sul m o n d o
e da lui «il principe del m o n d o è stato cacciato fuori». La parola del perdono è paro-
la del Risorto, il cui ritorno finale è segnalato, a partire dalla pasqua, come annuncio,
caparra e anticipo. La vita di un peccatore è quindi già intrecciata definitivamente
con la persona di Cristo e con il suo «giudizio» che rimane per sempre. In questo si
delinea il valore escatologico o definitivo del dialogo del perdono sacramentale.
L'evento della riconciliazione è espressione della vittoria sul peccato del mon-
do, è azione del Dio della salvezza che non sarà più disdetta. È evento creatore che
traduce in atto l'elevazione e la trasfigurazione di tutti i valori umani, la liberazio-
ne della creazione dalla schiavitù della corruzione in cui attualmente essa geme
( R m 8,18-23), affinché «entri nella libertà della gloria dei figli di Dio».
In questa dinamica il sacramento è attuazione di un progressivo crescere della
mChiesa e del cristiano nell'adempimento della missione nella storia. L'evento
sacramentale non solo perdona ma trasfigura il cristiano, ne rinnova le forze e lo
impegna di più nella sua missione nella Chiesa e nella storia. E segno di un inse-
rirsi privilegiato, ora nel tempo, della salvezza in tutta la creazione.
9
LG l l : £ V l / 3 1 3 s s .
10
K. R A H N E R , La penitenza della Chiesa, R o m a 1968,89.
122
Sta qui appunto il ruolo del ministro ordinato. Esso consiste nel fatto che i
vescovi e i sacerdoti celebrano il sacramento della riconciliazione in persona
Christi e anche in persona Ecclesiae. Il servizio apostolico, nel suo compito uffi-
ciale, è atto della Chiesa intera, ed è reso possibile proprio dal carisma apostoli-
co, che attinge direttamente dal Signore, essendo eco continua nella storia della
Parola di lui ed espressione della sua potenza pasquale che d o n a «il suo corpo»
e «la sua salvezza escatologica» a tutta l'umanità. La parola del p e r d o n o è pro-
nunciata dal ministro come invocazione allo Spirito Santo in n o m e di Cristo e
come proclamazione dell'evento della salvezza definitiva.
La Chiesa riconcilia il peccatore con D i o e lo riconcilia con sé, esercitando il
sacerdozio c o m u n e e gerarchico; lo fa mediante una parola efficace di p e r d o n o
e nel porsi a tu per tu con l'impegno del cristiano peccatore manifestato alla
Chiesa. La parola pronunciata dal sacerdote è in relazione con tutta la predica-
zione e l'azione della Chiesa. Il peccatore confessa il suo peccato a Dio, ma è la
m a d r e Chiesa, la Chiesa tutta intera, colei che rivela, con l'annuncio della p a r o -
la di Dio, il volto del Padre che perdona. L'uomo peccatore p u ò accoglierlo solo
da questa Chiesa.
123
3.1.2. Gli atti del sacramento
124
si p o n e sulle spalle la pecora smarrita per ricondurla all'ovile, è l'intervento del-
lo Spirito Santo che santifica n u o v a m e n t e il suo tempio e lo rende luogo della
sua presenza.
La parola conclusiva del sacramento della penitenza è una parola che pro-
clama la remissione dei peccati. Non è un giudizio di condanna per il male fatto
o una sentenza di non punibilità, ma una parola che sigla un incontro n u o v o tra
l'amore penitente e l'amore riconciliante di Dio. N o n è un fatto giuridico ma un
dialogo nella reciprocità. Da parte di Dio è pronunciata una parola che guarisce
il cuore e la vita di una persona. Scrive Giovanni:
«Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mon-
do si salvi per mezzo di lui. Chi crede non è condannato; ma chi non crede è già sta-
to condannato, perché non ha creduto nell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è que-
sto: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce,
perché le loro opre erano malvagie» (Gv 3,17-20).
«il penitente perdonato si riconcilia con se stesso nel fondo più intimo del proprio esse-
re, in cui recupera la propria verità interiore; si riconcilia con i fratelli, da lui in qualche
12
modo aggrediti e lesi; si riconcilia con la Chiesa; si riconcilia con tutto il creato».
Il Rito, al n. 7, sottolinea come non solo per i peccati gravi, di fronte ai quali
con la penitenza sacramentale si ottiene la vita perduta, ma anche per i peccati
veniali è molto utile il ricorso assiduo a questo sacramento. N o n si tratta di una
semplice ripetizione rituale o di un esercizio psicologico, ma di un costante e rin-
novato impegno di affinare la grazia del battesimo^ affinché Cristo manifesti
sempre più in noi la sua vita. C'è nella confessione dei peccati veniali l'occasio-
ne a conformarsi più intimamente a Cristo e a rendersi più docili alla voce dello
Spirito.
11
C E I , Rito della Penitenza, 1 9 7 4 , «Introduzione», n. 5.
12
GIOVANNI PAOLO I I , esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia, 2 dicembre 1 9 8 4 , n. 3 1 :
E V 9/1190.
125
• La comunità e il ministero della Chiesa
Il rito rinnovato dalla Chiesa, oltre che dare risalto alla necessità e utilità del
sacramento della riconciliazione, sottolinea la p a r t e che ha in esso la comunità
celebrante e il ministro nella celebrazione.
Tutta la comunità è cointeressata nell'opera di riconciliazione. Tale coinvol-
gimento si ha, in primo piano, con la proclamazione e la meditazione della p a r o -
la di Dio, che fa echeggiare continuamente il messaggio del D i o che p e r d o n a . In
tal m o d o la Chiesa stessa diventa strumento di conversione e di rinnovamento
per il penitente.
Ciò che vale per tutti, vale ancor più per i ministri, ai quali è affidato il mini-
stero della riconciliazione, tramite la disponibilità, l'evidenziazione del valore di
questo sacramento, l'accoglienza attenta, benevola, illuminata, rispettosa e
sapiente di chiunque si rivolga alla Chiesa per una parola di riconciliazione.
126
visione cristiana, dice di rifiutare il sacramento della confessione e afferma di
potersi attribuire la riconciliazione con D i o e la giustificazione della propria con-
dotta per altre vie. A livello più radicale, c'è un fronte di opinione che contesta
ed elimina dalla coscienza il senso del peccato e quindi la motivazione fonda-
mentale di una confessione e di una riconciliazione ecclesiale.
Nell'insieme, gli atteggiamenti dei cristiani nei riguardi della confessione non
si livellano in senso negativo; piuttosto si p u ò notare la presenza di vedute diver-
se, con sfumature e accentuazioni che vanno da un'accoglienza di fondo a u n ' e -
straneità piena rispetto alla visuale cristiana.
Possiamo focalizzare tre tipi di atteggiamenti:
- alcuni si soffermano sulla prassi celebrativa del sacramento, che p e r vari
aspetti non gradiscono;
- altri si riferiscono al ruolo della mediazione ecclesiale, che non com-
p r e n d o n o e n o n accolgono nella sua verità e nel suo r a p p o r t o a Cristo e
al mistero cristiano;
- altri ancora assumono un'accentuazione radicale di rifiuto q u a n t o al sen-
so del peccato, non visto come contraddizione ai valori fondamentali
della persona e anche del m o n d o se letto in una particolare visione
antropologica.
Là dove non viene discusso il valore ma la pratica concreta della confessione,
si considera questa come un abito logoro e p o c o attraente per motivi di stile e di
modalità celebrative o contingenti, ad esempio, a motivo dei problemi riguar-
danti il confessionale, i tempi e le circostanze; il senso e l'ampiezza dell'accusa
dei peccati, il pentimento, l'assoluzione, la prassi della penitenza, e altre ragioni
riferite alle varie età o alle diversità concrete della celebrazione del sacramento.
Nei casi in cui non viene accettata la confessione nel suo valore, n o n è accolto
il senso e la valenza dei sacramenti nel loro porsi come incontri con Dio, e così
l'assoluzione n o n è compresa nel suo significato teologale, quale parola di Cristo
che opera nel profondo e cambia l'uomo. Le obiezioni suonano più o m e n o così:
Se l'incontro con D i o avviene nell'intimo, a che servono il sacerdote, l'accusa, la
penitenza esterna? La confessione, nel suo essere compiuta come un piccolo pro-
cesso in un oscuro confessionale, n o n è forse un'eredità del passato, anacronisti-
ca, n o n adatta alla sensibilità degli uomini di oggi?
In altri casi si nega il senso radicale del peccato, in un ambiente umano inteso
in una visione pluralistica, contrassegnata da relativismo morale. Se ci si p o n e in
un q u a d r o di relativismo etico e valoriale, non ha significato il porsi dell'uomo in
r a p p o r t o creaturale con Dio. Ogni persona è vista come totalmente autonoma,
libera di misurare i valori del b e n e e del male secondo il proprio metro. Di fron-
te a simili stati di coscienza non si d a n n o ambiti di vita da valutare come peccato.
In un m o n d o pluralistico e relativizzato nei valori, proteso verso il benessere
immediato dei singoli, i fatti della vita appaiono n o n riferibili a n o r m e uguali per
tutti; o g n u n o si orienta al raggiungimento degli interessi o piaceri che ha davan-
ti, con modalità proprie ed esclusive. Ogni persona si trova ad essere in gioco con
la concorrenza altrui e misura il b e n e e il male in base alla propria soggettività.
V e d e n d o la bilancia del proprio vivere segnata dall'ago di u n ' a u t o n o m i a da
D i o e di una pluralità di vedute e di condizionamenti provenienti dall'ambiente
sociale, il significato dei mali o delle colpe oggettivamente rilevanti viene valu-
127
Capitolo settimo
1
1. L'ESPERIENZA DI GESÙ E DEGLI APOSTOLI CON GLI AMMALATI
1
Cf. // sacramento dei malati, Elledici, Leumann ( T O ) 1975; L'unzione degli infermi ha valore
oggi?, a cura di G. DAVANZO, O . A . R . I . , Varese 1972; A. D O N G H I , L'olio della speranza, E R R o m a 1984;
P. FEDRIZZI, L'unzione degli infermi e la sofferenza, Gregoriana, Padova 1972; M. FLORIO - R. N K I N -
DIJ SAMUANGALA - G. CAVALLI - R. GERARDI, Sacramentaria speciale. Il: Penitenza, unzione degli infer-
mi, ordine, matrimonio, E D B , Bologna 2003; C. OTERMANN, // sacramento degli infermi, Elledici, Leu-
mann ( T O ) 1971; A. ZIEGENHAUS, «L'unzione degli infermi», in Incontrare Cristo nei sacramenti, a
cura di H. LUTHE, EP, Cinisello Balsamo 1988.
131
Tante volte i Vangeli descrivono scene nelle quali Gesù accosta persone col-
pite da malattie varie, impone le mani e le guarisce, e in alcuni casi risuscita per-
sone già m o r t e (Me l,32ss; Mt 4,23ss). Egli invia anche i discepoli tra gli amma-
lati e, d o p o la risurrezione, dice ai suoi apostoli di imporre le mani agli ammala-
ti ed essi guariranno (Me 16,18). Le guarigioni che Gesù operava non e r a n o fini
a se stesse, ma e r a n o «segni» del t e m p o messianico, del regno di Dio ormai pre-
sente (Le 11,20). La guarigione del paralitico calato dal tetto (Me 2,1) è operata
da Gesù come segnale del p o t e r e che egli ha di rimettere i peccati, di un potere
che rivela la sua identità divina.
A un altro ambito di significati è aperto il fronte della malattia e della soffe-
renza nel N u o v o Testamento: l'uomo giusto spesso «deve» soffrire in mezzo a un
m o n d o cattivo, a somiglianza di Gesù, dei profeti e dei discepoli del Signore. Per
Paolo le sofferenze del t e m p o presente diventano tante volte espiazione per le
colpe altrui (Col 1,24) e la potenza di Dio, a partire dall'esempio di Cristo, si
manifesta nella croce e nella debolezza u m a n a ( I C o r 2,3ss; 2Cor 12,7ss).
«Chi è malato, chiami i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui dopo averlo unto
con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signo-
re lo rialzerà e se ha commesso peccati gli saranno perdonati» (Gc 5,14-15).
132
ste come rito sostitutivo della linea penitenziale della Chiesa, ma, in certi casi, la
completavano.
D a l testo di san G i a c o m o si evince che l'unzione degli infermi è riferita pre-
cisamente agli ammalati costretti a letto con una malattia abbastanza grave, ma
n o n proprio moribondi, come avverrà nel t e m p o successivo. In seguito all'uso
dell'«unzione» sui moribondi, diventerà ufficiale la denominazione estrema
unzione. La remissione dei peccati veniva indicata, in questo sacramento, in rife-
rimento a coloro che si trovavano in condizione di pericolo ed e r a n o impediti dal-
la prassi penitenziale comune; m e n t r e l'invocazione della «salvezza dalla malat-
tia e dalla morte» rientrava sempre nella preghiera che accompagnava l'unzione.
«Questo effetto è dunque la grazia dello Spirito Santo, la cui unzione lava i peccati,
se ve ne fossero ancora da espiare, e ciò che resta del peccato; solleva e rafforza l'a-
nima del malato, suscitando in lui una grande fiducia nella divina misericordia. L'in-
2
Denz 1694-1719.
133
fermo per il sollievo ricevuto sopporta più facilmente le sofferenze e le pene della
malattia, resiste più facilmente alle tentazioni del demonio che insidia il suo calca-
gno, e qualche volta, se ciò può giovare alla salvezza dell'anima, riacquista la salute
3
del corpo».
4
Nella costituzione Sacrosanctum concilium del concilio Vaticano II e nel
n u o v o testo del rito del Sacramento dell'unzione degli infermi (1974), p a r t e n d o
dalla tradizione, si parla del soggetto del sacramento, della formula del rito e dei
frutti del sacramento stesso.
Il sacramento dell'unzione viene conferito a quelli che sono ammalati con
serio pericolo. La formula del rito viene così enunciata:
«Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia, ti aiuti il Signore con la
grazia dello Spirito Santo. E liberandoti dai peccati ti salvi e nella sua bontà ti solle-
vi. Amen».
3
Denz 1696.
4
SC 73-75: EV 1/126-128.
134
egli p u ò guardare avanti e sperare con sincerità e coraggio il compiersi del cam-
mino storico della vita. Viene così affinata la pazienza, che è la virtù della crea-
tura che, conoscendo la propria temporalità, accetta e sopporta la malattia, con-
fidando nel D i o «misterioso» che è vicino e lontano. Il credente è così allenato a
diventare un «uomo nuovo», guidato e illuminato dallo Spirito di Dio, con u n o
sguardo più chiaro sui valori della vita terrena per quello che h a n n o di positivo
e, insieme, di relativo e di fragile; diventa un u o m o profondo nel suo ancoraggio
in Dio, nel quale l'esistenza acquista tutto il suo senso. Se guarirà, apprezzerà gli
aspetti della vita senza idolatrarli in m o d o esclusivo e chiuso; se non guarirà, non
si chiuderà nell'amarezza e nella disperazione, ma potrà sopportare la sofferen-
za guardando avanti con attesa limpida e serena.
In colui che è sofferente troviamo varie dimensioni esperienziali: il cattivo
funzionamento del proprio organismo e i disagi connessi, la consapevolezza del-
la fragilità del vivere e il messaggio implicito della m o r t e che un malato perce-
pisce intensamente, anche se desidera sempre di nuovo la salute. Tali aspetti esi-
stenziali possono avere sbocchi diversi in vista di u n ' a d e g u a t a risposta.
Per il lato fisico chi è maggiormente c o m p e t e n t e a dare risposta è il persona-
le medico e paramedico; per la mancanza di comunicazione e la precarietà del-
l'autogestione ci sono i familiari, il personale sanitario, gli amici e il sacerdote;per
la visione globale dell'esistenza solo Dio p u ò aprire orizzonti che d a n n o soluzio-
ne ai grandi interrogativi e fanno superare l'angoscia proveniente dalla finitezza
e dall'impotenza. Solo Dio spalanca la via della speranza. Il D i o incarnato è il solo
mediatore e il salvatore del m o n d o e della vita. Il sacramento dell'unzione non
mira a risolvere il cattivo funzionamento fisico e neanche a dare di per sé rispo-
ste sulla finitezza e sulla fragilità umana, ma apre una rete personale di riferi-
menti e di aperture che p u ò avviare u n ' a r m o n i a nuova e totalizzante per tutti gli
aspetti del vivere.
Quali gli effetti del sacramento dell'unzione degli infermi nella loro valenza
teologale? A b b i a m o già riportato la formula del rito; le preghiere che il rituale
fa seguire sviluppano più adeguatamente le parole sacramentali.
In primo piano è invocata - tramite una espressione di lode e di preghiera -
la grazia dello Spirito Santo con tutti i suoi effetti. Si chiede che il sacramento
doni sollievo con il ristabilimento fisico e il rinvigorimento spirituale e liberi dai
peccati, e nella prospettiva della morte, apra al mistero del Cristo crocifisso e
glorificato nella sua gloria pasquale.
C'è una prospettiva immediata e una prospettiva escatologica, che è affidata,
tramite la preghiera e il segno sacramentale, alla grazia dello Spirito Santo. Le
due prospettive di efficacia sono enunciate in questi termini: «lo Spirito ti salvi
e ti sollevi». II sacramento non si limita a rinviare a una realtà futura, ma comu-
nica già ora tramite il segno sacramentale un dono di «salvezza» e di «sollievo»
orientato a una definitiva salvezza. Il sacramento non ha davanti in primo pia-
no if passaggio dalla vita alla morte, ma l'esperienza della malattia nella sua
gravità e nel suo valore; l'unzione, infatti, va celebrata n o n al finire della vita.
135
C'è tutta la situazione esistenziale antecedente che ha bisogno della grazia del-
lo Spirito Santo, per vivere la sua irripetibilità con un sostegno e un rafforza-
m e n t o dall'alto.
Al centro di tutto c'è la fede nel dono dello Spirito Santo: i l s a c r a m e n t o d o n a
la grazia dello Spirito Santo che conosce l'intimo di D i o e i suoi misteri. Lo «Spi-
rito di Cristo» ( I C o r 2,11; Rm 8,9ss), insegna che «tutta la creazione geme e sof-
fre le doglie del parto»; lo Spirito che viene in aiuto alla nostra debolezza, per-
ché noi non sappiamo che cosa d o b b i a m o chiedere convenientemente. Ciò è
vero per tutte le circostanze della vita, ma ha particolare valore nell'esperienza
della malattia, che è esperienza della «corruzione della creazione» e che mira
alla prospettiva della libertà della gloria dei figli di D i o (cf. Rm 8,1-39).
C o m e andrà a finire questa vicenda u m a n a ? Lo Spirito dice al nostro spirito
che siamo figli, e se figli eredi, eredi di Dio e coeredi di Cristo, d o n a la certezza
che l'amore di Dio è riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è
dato e suscita nell'uomo la pazienza, la perseveranza, la speranza che non delu-
de (cf. Rm 5,3ss).
136
Solo colui che ha il carisma di presidenza nella Chiesa rende presente il Cri-
sto capo, dispensatore dei sacri misteri e p u ò pronunciare la preghiera, sorretta
da tutta la comunità. U n a preghiera solenne alla quale Cristo ha garantito l'e-
saudimento.
• // rito può essere celebrato solennemente nella messa oppure in modo sem-
plice. La celebrazione solenne prevede:
- l'inizio con il saluto e il rito penitenziale;
la lettura della parola di Dio;
- i riti dell'unzione con la preghiera litanica, l'imposizione delle mani sul
capo;
il rendimento di grazie sull'olio benedetto;
- l'unzione sulla fronte e sulle mani dei malati con la formula sacramen-
tale;
la preghiera successiva, e la conclusione con il P a d r e Nostro e la bene-
dizione finale.
137
Capitolo ottavo
IL SACRAMENTO DELL'ORDINE
U n a prima traccia delle figure dei ministri ordinati nella Chiesa la si rileva
ripercorrendo gli scritti e le esperienze delle comunità apostoliche.
Il nostro discorso partirà dalle indicazioni dei servizi presenti nel g r u p p o
dei discepoli del Signore e dai ruoli e m e r g e n t i nelle prime c o m u n i t à cristiane.
Da lì p r e n d o n o risalto le figure e i compiti dei ministeri che sono stati detti ordi-
nati, p e r c h é fondati sull'imposizione delle mani e su un preciso m a n d a t o della
Chiesa.
Il nostro intento è quello di delineare in maniera b r e v e e complessiva la
fisionomia teologica dei ministeri, la loro articolazione e lo sviluppo che han-
no avuto lungo la storia fino al concilio Vaticano II. Un discorso a m p i a m e n t e
sviluppato, s o p r a t t u t t o dal p u n t o di vista storico, lo rinviamo agli autori citati
1
in nota.
1
Cf. Episcopato Presbiterato Diaconato, a cura di E. CAPPELLINI, EP, Cinisello Balsamo 1988; E.
CASTELLUCCI, // ministero ordinato, Queriniana, Brescia 2002; T. CITRINI, Discorso sul sacramento del-
l'ordine, Daverio, Padova-Milano 1975; SINODO DEI VESCOVI, documento Ultimis temporibus, 30
novembre 1971: EV 4/1135-1237; S. DIANICH, Teologia del ministero ordinato, EP, Cinisello Balsamo
1993; C. DILLENSCHNEIDER, Sacerdote e apostolo nello spirito del Vaticano TI. Elementi ascetici, D e h o -
niane, Bologna-Napoli 1964; ID., // nostro sacerdozio nel sacerdozio di Cristo. Fondamenti dogmati-
ci, Dehoniane, Bologna-Napoli 1966; A. FAVALE, / sacerdoti nello spirito del Vaticano II, Elledici, Leu-
mann ( T O ) 1969; G. FERRARO, // sacerdozio ministeriale, Grafite, Napoli 1999; M. FLORIO - R. NKIN-
DII SAMUANGALA - G. CAVALLI - R. GERARDI, Sacramentaria speciale. Il: Penitenza, unzione degli
infermi, ordine, matrimonio, E D B , Bologna 2003; P. GRELOT. Le ministère de la nouvelle alliance,
Cerf, Paris 1967; G. GRESHAKE, Essere Preti, Queriniana, Brescia 1995; H. K U N G , Preti perché?, A n t e o ,
Bologna 1971; J. LA PLACE, Le Prétre, Ed. du Chalet, Paris 1969; J. LECUYER, // sacerdozio di Cristo
e della Chiesa. Esegesi e tradizione, Dehoniane, Bologna-Napoli 1965; A. LEMAIRE, Les ministères
aux origines de l'église, Cerf, Paris 1971; G. MARTELET, Teologia del Sacerdozio, Queriniana, Brescia
1986; F.-J. NOCKE, «Dottrina dei sacramenti», in T . SCHNEIDER, NUOVO corso di dogmatica 2, Queri-
niana, Brescia 1995; C. ROMANIUK, // sacerdozio nel nuovo testamento, E D B , Bologna 1966; E. SCHIL-
LEBEECKX, // ministero nella Chiesa, Queriniana, Brescia 1981; M. THURIAN, Sacerdozio e ministero,
A V E , R o m a 1971; A. VANHOYE, Sacerdoti antichi e nuovo Sacerdote secondo il Nuovo Testamento,
Elledici, Leumann ( T O ) 1985.
139
1. I MINISTERI NELL'ETÀ APOSTOLICA
I compiti sono differenziati a seconda dei ruoli assunti, delle circostanze e dei
luoghi in cui i servizi sono posti in atto. Si può fare riferimento ad alcune tipolo-
gie: gli inviati al concilio di G e r u s a l e m m e (At 15,2-23); i presbiteri che Paolo
saluta ad Efeso prima di partire (At 20,27-38); le raccomandazioni di Paolo a
Tito (Tt 1,5-11); le indicazioni a Timoteo ( l T m 5-11); le sottolineature di Pietro
e di G i a c o m o ( l P t 5,1-4; Gc 5,14).
Nella varietà hanno risalto alcune caratteristiche e alcuni specifici compiti.
I ministri sono inviati in mezzo alla gente per la missione, sono designati dal-
la scelta della Chiesa e ricevono l'imposizione delle mani. La designazione eccle-
siale e l'imposizione delle mani esprime e garantisce la derivazione dagli aposto-
li, la fedeltà al messaggio apostolico e la difesa dalle eresie e «dai lupi rapaci».
A t t o r n o ai ministri si costituisce il «deposito» della fede «acquisita»; essa è
considerata «dottrina apostolica» autenticamente trasmessa tramite la «tradizio-
ne». A t t o r n o ai ministri istituiti si realizza d u n q u e il passaggio dall'inizio creati-
vo del vangelo di Gesù e del kerigma apostolico, alla fase successiva, quella della
«dottrina tramandata», dell'insegnamento e della difesa dalle eresie. Tutto ciò si
accompagna sempre alla certezza che il Signore vivente e l'azione dello Spirito
restano per tutti un p u n t o di riferimento invalicabile.
2
DIANTCH, Teologia del ministero ordinato, 111-129.
140
I ministri ordinati, nel passaggio dalla fase apostolica a quella successiva agli
apostoli, sono visti come garanti della tradizione e della continuità del deposito
della fede, che risale agli apostoli e all'azione del Signore e del suo Spirito ( l G v
1,1; lGv'2,14-29; l P t 1,12-21).
3
1.2.1. // ministero ordinato è strettamente legato al sorgere della Chiesa
Nel dinamismo della Chiesa che nasce e cresce come evento di fede nella sto-
ria, p r e n d e fisionomia e caratterizzazione il ministero ordinato. La Chiesa nasce
dall'annuncio ( l G v l , l s s ) e l'annuncio diventa comunione con il Cristo testimo-
niato dagli apostoli. L'annuncio genera comunione tra i credenti e si p o n e in con-
tinuità col messaggio e con la fede degli apostoli.
L'annuncio del vangelo è comunione e passa attraverso l'esperienza viva degli
annunciatori. Il messaggio passa da persona a persona, non come notizia astrat-
ta ma come esperienza viva di un credente che comunica la propria fede:
«ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi
abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita
[...] noi lo annunziamo anche a voi» (lGv 1,1).
3
DIANICH, Teologia del ministero ordinato, 130-151.
141
come un contenente nel quale tutte le strutture u m a n e - la politica, l'economia,
la vita sociale, come nell'islam - sono divinizzate). L'annuncio del vangelo è
invece rapporto a un fatto storico preciso, oggettivo e trascendente: al Cristo cro-
cifisso e risorto, presente nella «memoria» e operante nello Spirito. Nella rela-
zione viva al mistero di Cristo la vita p u ò essere fermentata e orientata.
Tra quelli che accolgono lo stesso messaggio nella fede si crea u n a comunio-
ne «con il Padre e il Figlio suo Gesù» ( l G v 1,3). La comunione ha una dimen-
sione orizzontale tra gli annunciatori e i credenti e una dimensione verticale «con
il Padre e il Figlio suo Gesù e lo Spirito». Per tale r a p p o r t o la comunione diven-
ta contemplazione, proclamazione, confessione, celebrazione del mistero nei
segni della fede. Diventa anche missione e impegno nel m o n d o : «andate in tutto
il m o n d o e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà [...] sarà salvo» (Me
16,15-16). Se la comunione viene interrotta o impedita si interrompe la trasmis-
sione della salvezza: «Chi n o n crederà sarà condannato» (ibidem).
La proclamazione del vangelo ha quindi i caratteri dell'interpersonalità, del-
l'oggettività, della comunione con Dio; si apre all'esistenza storica, alla creazione
di una comunità e alla missione verso il mondo.
Il ruolo del ministro sta nel m e t t e r e in atto il nesso che corre tra l'oggettività
del messaggio e la comunicazione personale di esso.
142
Tre segni pieni di profondità si intrecciano nella Chiesa viva: la scrittura, i
carismi delle persone suscitati dallo Spirito e il carisma del ministero ordinato.
Questi segni diventano comunione di salvezza là dove la parola diventa fede e i
carismi diventano carità vissuta, e il ministero ordinato diventa unità viva della
comunità e celebrazione del mistero.
Il tradursi della parola in comunione si ha con la parola annunciata, con la
testimonianza della fede, con le o p e r e della carità e della vita che diventa esi-
stenza fedele fino al martirio.
Il fatto/evento della vita vissuta nella comunità con stile di fraternità si mani-
festa nelle o p e r e di carità, nella dedizione alla Chiesa e nella costruzione di un
m o n d o diverso.
Nella contemplazione e nella celebrazione della liturgia la Chiesa sperimen-
ta la sua verità e vitalità misteriosa nell'andare oltre P«opera della Chiesa», cioè
oltre il servizio liturgico, aprendosi agli «spazi» dell'ex opere operato, dell'agire
Dio che viene nello Spirito e agisce direttamente nei segni e nel mistero. Segno
dell'ex opere operato (del fatto compiuto da Dio) è, in m o d o singolare, il mini-
stro, che celebra in persona Christi. Egli fa intravedere gli ambiti e la libertà del-
l'operare di Dio, il C r e a t o r e e il R e d e n t o r e , che va al di là dei limiti della testi-
monianza dell'uomo credente.
Il ministero ha d u n q u e il compito e il carisma di servire l'umanità r e d e n t a nel
suo aprirsi alla salvezza tramite la fede, in m o d o che la comunicazione della sal-
vezza fiorisca nello spazio della Chiesa e si apra alle dimensioni di tutto il Cor-
po di Cristo.
La figura del ministro si intreccia con il mistero del Cristo, offrendo a lui spa-
zio nel servizio delle comunità. Il ministro si concretizza in figure diverse, che
h a n n o una base comune e, insieme, un differenziarsi di ruoli e gradi.
Nelle figure presentate negli scritti apostolici - p a r t e n d o dal g r u p p o degli
Undici posti dal Signore a fondamento della Chiesa, venendo a Mattia, nel qua-
le ha risalto il segno della «traditio» apostolica nella comunità, e quindi a Saulo
e ai di lui collaboratori, Timoteo e Tito, poi ai presbiteri che Paolo lascia a presi-
denza delle varie comunità di missione e ai «sette», scelti per il servizio della
carità e poi specializzatisi nel servizio della Parola, come Stefano e Filippo -
intravediamo l'articolarsi di gradi ministeriali diversi.
P r e n d e r à presto risalto la triade: vescovo, presbitero, diacono. Le ricerche dei
4
teologi m o s t r a n o che essa, che diventerà c o m u n e d o p o Ignazio d'Antiochia,
rappresenta u n a divisione di funzioni che nel N u o v o Testamento e nel p e r i o d o
postapostolico è, in b u o n a misura, ancora indistinta.
Q u e s t a triade non p u ò essere riferita a un'istituzione del Signore, e la stessa
distinzione vescovo-prete (diventata prevalente nell'età medievale e m o d e r n a )
non p u ò essere considerata di istituzione divina. Tuttavia il Vaticano II ne affer-
4
Citiamo ad es. lo studio di H. L E G R A N D , «La realizzazione della Chiesa in un luogo», in B. L A U -
RET - F. REFOULÉ, Iniziazione pratica alla teologia. Ili: Dogmatica li, Queriniana, Brescia 1986,207ss.
143
ma l'antichità: laddove dice che il ministero è di istituzione divina, esso è stato
5
esercitato fin dall'antichità, nei tre gradi. N o n troviamo accolta nel Vaticano II la
formulazione del concilio di Trento, che parlava di una gerarchia dei ministeri
6
con fondamento nell'istituzione divina.
Il Nuovo Testamento offre elementi interessanti q u a n t o ai termini e alle fun-
zioni diversificate (si parla àeìVepiskopé come presidenza complessiva; della fun-
zione di presidenza o di responsabilità in r a p p o r t o alla vita e all'unità delle
assemblee cristiane; della diakonia per la carità e la Parola), ma non ci dà indi-
cazioni certe per una distinzione specifica di grazia o di carisma tra i tre gradi del
ministero ordinato. Questa distinzione apparirà con chiarezza nel t e m p o succes-
sivo e sarà affermata poi dalla teologia e dalla dottrina della Chiesa.
Nel passaggio dagli apostoli alle Chiese dei padri si possono evidenziare con
certezza alcune note che caratterizzano i ministri nella loro figura: il carisma del
ministero è conferito per la guida della Chiesa tramite l'imposizione delle mani;
con l'ordinazione i pastori diventano vincolo per la Chiesa e presiedono alla
costruzione di una comunità entro u n a precisa situazione di cultura e di storia;
l'identità dei pastori sta nel porsi sempre a tu per tu con una Chiesa; il ministe-
ro pastorale ha una triplice dimensione, profetica, sacerdotale e regale. Il compi-
to del vescovo o del presbitero è inserito in una dimensione collegiale.
La visione più autorevole del ministero ordinato è offerta, nel nostro tempo,
dal concilio Vaticano II. In esso viene p o r t a t o a maturazione tutto un lungo cam-
mino storico, che ha conosciuto dei passaggi rilevanti. P r o p o n i a m o qualche
richiamo riguardante le tappe evolutive del passato, solo per veloci cenni.
Passando dai testi biblici, ove ci è testimoniata la varietà dei ministeri con i
tratti semplici dell'inizio, ai padri apostolici (Didaché, Clemente, Ignazio di
Antiochia, Policarpo, Pastore di E r m a ) , si osserva l'emergere con chiarezza, in
particolare in Clemente e Ignazio martire, di uno schema di ministri tripartito
nei gradi di vescovo, presbitero e diacono.
5
Cf. LG 28: EV 1/354.
6
Cf. CONCILIO DI TRENTO, sessione X X I I I , can. 6 (Denz 1776).
144
il titolo sacerdotale r e n d e questi ministri mediatori della grazia. Altri padri,
come Agostino, accentuano insieme il modello ministeriale e pastorale, sottoli-
n e a n o il riferimento ai compiti e al servizio pastorale, senza nulla togliere alla
visione cultuale che interessa sempre la riflessione teologica. In questo stesso
periodo, in concomitanza con i grandi concili, p r e n d e risalto p u r e un raccordo
collegiale nel ministero dei vescovi e il p r i m a t o del vescovo di R o m a .
Alla fine del medioevo avrà spicco a livello ecclesiale e politico il primato del
vescovo di R o m a . In questo t e m p o si ha la scomparsa del diaconato come ordi-
ne p e r m a n e n t e .
«Tutti i battezzati sono in eguale modo sacerdoti. Quelli che vengono chiamati sacer-
doti sono ministri scelti fra di noi, che devono fare tutto in nostro nome. Il sacerdozio
7
non è propriamente altro che servizio della Parola».
7
Citato in CASTELLUCCI, II ministero ordinato, 169.
145
2.2.2. // concilio di Trento
Nel concilio di Trento viene affrontata tutta la questione del sacramento del-
l'ordine nella sessione X X I I I (1563), con una prospettiva contrapposta alla visio-
ne luterana. Al termine di una lunga discussione conciliare sulla fisionomia del
sacramento e sui rapporti tra il presbiterato e l'episcopato e tra l'episcopato e il
papato, si giunge a un testo ampio con punti conclusivi che vengono tramandati
nella dottrina della Chiesa.
Per l'ambito dottrinale si afferma:
- una successione apostolica nel sacerdozio che ha come punto culminante
la celebrazione dell'eucaristia e la remissione dei peccati (can. 1);
- oltre al sacerdozio ci sono nella Chiesa ordini maggiori e minori (can. 2);
- / vescovi occupano il grado più alto nella gerarchia e sono superiori ai
preti (can. 4);
- c'è nella Chiesa una gerarchia istituita per divina disposizione, che si com-
pone di vescovi, sacerdoti e ministri (can. 6);
Sulla figura dei vescovi è detto, nel decreto Christus Dominus, che la consa-
crazione episcopale è il grado più alto del sacramento dell'ordine e che il colle-
gio dei vescovi, unitamente al papa, ha potere universale sulla Chiesa. La suc-
cessione apostolica è concentrata attorno al vescovo quale pastore di u n a Chie-
sa particolare e m e m b r o del collegio apostolico. C o m e tale, l'ordine dei vescovi
succede agli apostoli nel governo pastorale della Chiesa.
146
Per l'appartenenza al collegio apostolico, il vescovo ha una successione apo-
stolica esclusiva. Q u e s t o titolo è partecipato - nella Chiesa locale - ai presbiteri
e ai diaconi. Il vescovo è così al centro del presbiterio e garantisce, tramite la sua
persona, la presenza della Chiesa universale nella Chiesa particolare.
Il ministero, anche se partecipato ed esercitato nella diversità dei gradi
(vescovi, presbiteri, diaconi) è unico nell'istituzione divina.
Il vescovo ha u n a funzione primaria per il suo legame con il collegio dei
vescovi e con il papa, e diventa referente in solidum della totalità della Chiesa.
C o m e il gruppo degli apostoli aveva collaboratori vari nella guida pastorale
delle diverse Chiese, così ritorna anche nel presente la «tradizione» di un q u a d r o
complessivo del ministero apostolico, articolato nella figura dei preti e dei dia-
coni collegati al vescovo.
Il carisma episcopale segnala l'essere costituiti nella diretta successione degli
apostoli; esso è trasmesso ai vescovi con l'imposizione delle mani.
Da notare che la «tradizione» della successione apostolica n o n esiste per se
stessa in m o d o generico, ma è «situata» nella concretezza dell'essere vescovo di
una Chiesa locale, in riferimento a tutto l'ambito ministeriale. È da dire p e r ò che
questa teologia, che riguarda il legame del vescovo con una Chiesa locale, non è,
8
in molti casi, messa in atto anche nella prassi del postconcilio.
Le affermazioni di principio riguardanti i vescovi si incentrano sui temi della suc-
cessione apostolica, della sacramentalità, della collegialità, della ministerìalità espres-
sa nel triplice compito «di insegnare», «di santificare» e «di governare». Questi com-
piti traducono di fatto le missioni ecclesiali nell'ambito del ministero più alto nella
Chiesa. Qui si ripropone il tema di una visione teologica tipica della Chiesa locale.
8
L'urgenza del legame di ogni vescovo con una Chiesa concreta, da una parte è affermata e dal-
l'altra è disdetta nella prassi diffusa della fictio juridica, che appropria una chiesa titolare a un vesco-
vo non residenziale. Il vescovo - nella sua figura autentica - è inscindibilmente pastore di una Chie-
sa di D i o in raccordo con i presbiteri, i diaconi e il popolo cristiano. Il suo carisma, più che un pote-
re giuridico da esercitare, segnala un servizio pastorale da compiere per una comunità. Si potrebbe
dire che una grande diocesi, dove il servizio pastorale fosse esercitato tramite intermediari e l'azio-
ne diretta fosse tradotta in atto in tanti compiti ufficiali socio-organizzativi, farebbe emergere di più
il presbitero come pastore delle comunità locali. La storia tuttavia manifesta una grande evoluzione
nelle figure concrete e nelle articolazioni del ministero dei vescovi e dei presbiteri. Là dove un vesco-
vo è normalmente staccato dal servizio pastorale diretto di una Chiesa locale (vescovi di curia, segre-
tari papali, nunzi), ci si domanda quanto sia attuata la logica teologale che vede il vescovo ordinato
per il servizio pastorale di una porzione del popolo di Dio. In tal caso diventa prevalente il sistema
giuridico e il sistema dei titoli giuridici. Il papa stesso diventa capo del collegio dei vescovi in quan-
to vescovo di R o m a e successore di Pietro, e i cardinali, quali elettori del vescovo di R o m a , figurano
come incardinati nella Chiesa romana, titolari ciascuno di una chiesa della città.
147
2.3. Il ripristino del diaconato permanente nel Vaticano II
9
Cf. «Il diaconato, evoluzione e prospettive», in La Civiltà Cattolica (1 febbraio 2003).
Antecedentemente al ripristino del diaconato con il Vaticano II, la Chiesa antica, dalla fase apo-
stolica a quella patristica, documenta la figura e l'azione dei diaconi. Dal II al V secolo i diaconi ave-
vano compiti specifici di evangelizzazione (II secolo); nel III secolo avevano vari incarichi pastorali
(in R o m a accanto ai 14 titoli per i presbiteri figuravano 7 diaconie per i diaconi con il compito pri-
mario riservato all'amministrazione dei beni e alla carità). Nel IV secolo si comincia a restringere la
presenza dei diaconi, a motivo della loro invadenza nella liturgia e nell'ambito amministrativo e di
un rilevante potere acquisito nell'ambito delle organizzazioni ecclesiali. Nell'alto medioevo i diaco-
ni assumono compiti marginali nella liturgia, ma ruoli importanti nell'amministrazione, nella distri-
buzione delle prebende, nel governo delle Chiese locali e nella visita delle diocesi, effettuate dal dia-
cono assieme al vescovo. Lentamente la figura del diacono diventa sempre più secolarizzata. L'arci-
diacono ha un ruolo di spicco nel governo delle diocesi. D o p o il Mille, tre concili del Laterano decre-
tano che non si ordinino più diaconi permanenti. Di fatto, poiché i servizi diaconali erano prevalen-
temente extraliturgici, i diaconi non avranno una rilevante presenza nella struttura teologica del
popolo cristiano e nella missione della Chiesa; avranno invece spazi aperti nell'ambito amministra-
tivo e nella carriera ecclesiastica. Si ripeterà, come linea ispiratrice, l'affermazione che i preti sono
ordinati per il sacerdozio e i diaconi per il ministero (per servizi vari). Di fatto viene ridotto o svuo-
tato dall'interno il senso e la portata del ruolo dei diaconi nei riguardi della missione della Chiesa. Il
diaconato pian piano rimane solo come tappa di passaggio per il sacerdozio. Figure di diaconi per-
manenti resteranno presenti nelle comunità religiose e monastiche.
10
SC 86: EV 1/148; LG 20.28-29.41: EV 1/331-333.354-360.390-396; OE17: EV 1/478; CD 25: EV
1/635-636; AG 15-16: EV 1/1126-1140.
148
A n c o r a nella Lumen gentium e ai nn. 15 e 16 del decreto Ad gentes, vengono
riferiti al diaconato alcuni ministeri esercitati di fatto da catechisti laici; la guida
di comunità piccole e lontane e l'esercizio di compiti sociali e caritativi. In parti-
colare nel decreto Ad gentes, che ha attenzione alle terre di missione, al n. 16
sono previsti diaconi catechisti, evangelizzatori, capi di comunità, ministri di ope-
re caritative, protagonisti di ministeri di fatto presenti e necessari nelle Chiese.
Si fa cenno alla fantasia e creatività di una prassi ecclesiale sempre a tu per tu
con problemi pastorali nuovi.
Nel nuovo Codice di diritto canonico (1983) si è trattato del diaconato. Nei
cann. 1008-1009 si richiama la sacramentalità dei diaconi, che va vista in unità
con tutto l'ordine ministeriale e che abilita i diaconi a esercitare «in persona
Christi», nel proprio grado corrispondente, il compito di insegnare, di santificare
e di governare. Si fa parola della cura pastorale e dell'idoneità del diacono che
assume la direzione spirituale di una comunità (cann. 517.2 e 519). N o n si dice
quasi nulla sulla presenza dei diaconi negli organismi (ad es. nei consigli) delle
Chiese, né sulla tipicità nuova della figura del diacono nella Chiesa, per la sua
caratteristica di essere p a r t e del m o n d o dei chierici e anche di quello dei laici.
Ovviamente il Codice di Diritto Canonico si p r e m u r a di dare n o r m e per le realtà
ecclesiali esistenti; non è suo compito proiettare in avanti spunti creativi su realtà
ancora in fieri. Esso c o m u n q u e fornisce alcune indicazioni normative circa l'ido-
neità dei candidati e i vari impedimenti.
Molti altri documenti sul diaconato sono stati editi dalle singole Chiese loca-
li e da vari organismi ecclesiali.
11
3. LINEE TEOLOGICHE DEL MINISTERO ORDINATO
11
Cf. G. BRAMBILLA, «Per una teologia del ministero ordinato», in Episcopato Presbiterato Dia-
conato, Paoline, Milano 1988, l l s s .
149
D u e sono i punti catalizzatori che evidenziano la comprensione e gli ambiti
del ministero: il primo m e t t e a fuoco il carisma specifico del ministero come assi-
milazione al Cristo pastore in vista del servizio per la Chiesa; il secondo riguarda
i compiti che spettano alla funzione ministeriale e che ripercorrono le missioni
messianiche del Cristo: l'annuncio del vangelo, il servizio della carità pastorale e
il servizio sacerdotale che ha il suo p u n t o culminante nella presidenza dell'euca-
ristia.
12
PO 2: EV l/1244ss.
13
Cf. GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis, 25 marzo
1992, n. 16: EV 13/1232ss.
150
Il servizio dei ministri non si sostituisce a Cristo e non va oltre Cristo, ma ren-
de visibile nella storia l'azione di Cristo, poiché, come dice san Paolo, noi fun-
giamo da ambasciatori per Cristo.
Molti testi dell'apostolo sono assai espressivi a questo riguardo. In I C o r 4,1-3
leggiamo: « O g n u n o ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei
misteri di Dio»; in 2Cor 5,14-21 il ruolo ministeriale è inquadrato in un ampio
contesto:
«Fratelli, l'amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi
tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per
se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Cosicché ormai non cono-
sciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo
la carne, ora non lo conosciamo più così. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura
nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però vie-
ne da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero
della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non
imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.
Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo
nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che
non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi
potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio».
• Il carisma dell'imposizione delle mani e gli altri carismi presenti nella Chiesa
Il ministero ordinato, segnato dai titoli di Cristo capo e pastore, non disturba
né soppianta i doni e i carismi che i cristiani ricevono nel battesimo e quei mol-
teplici doni che lo Spirito effonde liberamente sulle persone (il d o n o della fede,
della profezia, della sacerdotalità e della regalità dell'amore). Il ministero ha
come qualifica specifica una grazia che abilita al servizio dell'unità e della sintesi
nella comunità, alla verifica della comunione; garantisce il riferimento fedele alla
tradizione degli apostoli e il legame con la Chiesa universale. Tale carisma è con-
traddistinto a p p u n t o dal segno dell'imposizione delle mani e dell'invocazione
dello Spirito di fronte a tutta la comunità.
L'azione dei ministri, nel riferirsi a Cristo e alla Chiesa, n o n si esaurisce in
trame di costruzione u m a n a , ma è fondata, nel senso più profondo, sulla poten-
za dello Spirito Santo.
Lo Spirito di Cristo d o n a t o nell'ordinazione rende il ministro atto a condur-
re la Chiesa sulle tracce di Cristo, a farla partecipare al mistero pasquale e a cre-
scere per diventare «sposa santa e degna» del suo Signore, orientata nell'adora-
zione, nell'amore e nella vita a D i o Padre.
Per la stretta unità tra la dimensione cristologica e quella ecclesiale del mini-
stero, deriva un servizio teologale e un servizio pastorale che impegna i ministri
nella comunità cristiana.
151
I servizi voluti da Cristo per la comunità - l'annuncio autorevole della P a r o -
la, la celebrazione dei sacri misteri e la cura pastorale - sono fondati su quel par-
ticolare «carisma» o d o n o dello Spirito, che è stato effuso da Cristo sugli apostoli
ed è stato invocato sui loro successori e su coloro che, nella stima della comunità,
sono ritenuti idonei per il servizio del ministero lungo la storia.
Tale impegno viene esercitato nella fede e nella dedizione per la comunità e
nell'impegno a prendersi cura della fede dei fratelli. Esso ha una valenza teolo-
gale e pastorale. Nasce dal d o n o di D i o ed è p u r e legato a un cammino di espe-
rienza vissuta nel ministro stesso.
Tale cammino porta con sé l'ascolto della Parola e l'accoglienza di essa nel
cuore; la volontà di imitare Cristo nei fatti della vita; l'apertura all'annuncio e la
parresia nella testimonianza; e quindi la sollecitudine per la fede dei fratelli.
N o n si possono aiutare gli uomini a crescere nella fede e nel rapporto col
mistero di Dio, se non partendo da un'esperienza autentica di fede e di amore che
ha le sue radici nello Spirito. Altrimenti, come scriveva san Paolo, si diventa «cem-
bali squillanti». Nel confronto tra i vari carismi dello Spirito e il carisma ministe-
riale va richiamato quanto l'apostolo ripete là dove rilegge la propria figura di
14
ministro e apostolo della Chiesa di Dio, scelto per un disegno di salvezza.
II prendersi cura del sorgere e del crescere della fede dei fratelli ha il suo pun-
to culminante nella celebrazione del mistero pasquale, che sta a fondamento di
ogni dono nella Chiesa. Ogni discepolo del Signore ha il compito di farsi carico
della fede altrui, con la propria testimonianza di fede, mettendo in atto quei cari-
smi che ha ricevuto dallo Spirito Santo nella propria storia personale, nella fami-
glia, nella vita religiosa, nella missione che esercita nella comunità o nel mondo.
// ministro però assume un'ottica nuova nel servizio verso gli altri: egli viene
incaricato per tutta la comunità e impegnato in m o d o ufficiale e p e r m a n e n t e
all'annuncio della Parola, alla presidenza della celebrazione dei divini misteri e
alla diaconia della carità verso tutti.
Va dato il giusto risalto al servizio teologale per la fede del cristiani, proprio
nel confronto con altri servizi. Nella Chiesa è messo in atto un insieme di rap-
porti giuridici che poggiano sull'autorità dell'ordine apostolico ed evidenziano la
struttura storica della Chiesa. I rapporti giuridici assegnano ai singoli ordinati
14
Cf. 2Cor 5,19-21: «È stato D i o infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli
uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da amba-
sciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lascia-
tevi riconciliare con Dio». Cf. anche ICor, 4,1-3.
l T m 1,12: «Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Gesù Cristo nostro Signore, perché mi
ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero».
Tt 1,1-3: «Paolo, servo di Dio, apostolo di Gesù Cristo per chiamare alla fede gli eletti di Dio e per
far conoscere la verità [...] promessa fin dai secoli eterni da quel D i o che non mentisce, e manifesta-
ta [...] mediante la predicazione che è stata a me affidata».
Gal 1,1: «Paolo apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù
Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti».
Col 1,24-25: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quel-
lo che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato
ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso dì voi di realizzare la sua parola».
2Cor 3,18: «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore,
veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito
del Signore».
152
diversi compiti nelle comunità. Al di là della trama giuridica, il compito del mini-
stero, nel suo significato nativo, è impiantato sul d o n o dello Spirito, che fa sor-
gere e orienta la fede e la carità dei ministri nell'attuazione del loro compito
ecclesiale. Gli incarichi di tipo giuridico, le capacità organizzative, le doti u m a n e
e l'abilità delle persone, devono incentrarsi in quella base portante che è costi-
tuita dal d o n o soprannaturale dello Spirito.
E in tutto questo è riprodotta la fisionomia tipica di Cristo pastore, che il mini-
stro ordinato ripresenta nella sua vita ed è chiamato a imitare. Cristo è l'autore e
il perfezionatore della fede, conosce le sue pecore, le cerca, le guida e le ama, e non
esita a dare per loro la propria vita. Nel servizio per la fede il ministro evidenzia
in m o d o unito il suo riferimento a Cristo, al D i o Trino nella fede e alla Chiesa.
• Il carisma del ministro in vista del culto e della presidenza della comunità
Il carisma del servizio pastorale, messo b e n e in evidenza nella nostra fase sto-
rica, si trova unito al carisma sacerdotale o cultuale, che nella teologia del pas-
sato era riferito in m o d o principale, se non esclusivo, al ministro ordinato, chia-
m a t o c o m u n e m e n t e «il sacerdote».
Il servizio autentico e autorevole per il vangelo è una genuina espressione del-
la «teologalità» e ha sbocco immediato nella presidenza del «servizio sacerdotale».
La presidenza nella Chiesa è, insieme, pastorale e liturgica. Ha l'intento di
assicurare alla comunità la continuità e la fedeltà nell'eredità degli apostoli, di
verificare l'unità e l'armonia tra i molti doni presenti e di garantire nella comu-
nità la celebrazione dell'eucaristia.
L'azione di presidenza (rinviamo a un passaggio ulteriore la considerazione
tipica della presidenza eucaristica) discerne i carismi presenti nella vita ecclesia-
le e collega ogni comunità particolare alla Chiesa universale nell'insieme della
comunione e nella concretezza del cammino storico. In questo si sviluppa ampia-
m e n t e la figura del «pastore».
La guida pastorale viene realizzata nei diversi gradi del ministero (vescovo,
presbiteri e diaconi) e nel triplice ambito della missione ecclesiale che si attua
nel servizio della Parola, della liturgia e della carità. L'eucaristia è il p u n t o più
alto della comunità ecclesiale nel suo cammino storico: nella celebrazione del
corpo del Cristo si verifica, con la presidenza del ministro ordinato, il p u n t o cul-
minante dell'unità di tutta la Chiesa, «il tutto nel frammento».
I criteri concreti con cui un ministro ordinato si impegna per l'unità di cia-
scuna comunità, nell'insieme della Chiesa universale, attingono ai principi teolo-
gali che guidano la Chiesa sotto l'azione dello Spirito Santo. A t t i n g o n o p u r e ai
doni e ai carismi che p e r v a d o n o le comunità locali nell'azione dei vari m e m b r i
che o p e r a n o unitariamente, nelle forme dei consigli, nelle rappresentanze dei
gruppi di lavoro e nei servizi in cui si articola la missione della comunità.
Tutto questo non p e r m e t t e che si verifichi nei ministri un atteggiamento fal-
samente decisionista e n e p p u r e una modalità democratica fuori luogo: la Chiesa
è il corpo del Signore e la direttiva del cammino viene a lei prima di tutto e per
15
tutti dall'illuminazione della fede e dello Spirito del Signore.
15
Cf. DIANICH. Teologia del ministero ordinato, 152-211.
153
3.1.3. // ministro e la dimensione cattolica apostolica
ed escatologica della Chiesa
154
che gli schemi giuridici e positivi, è in atto il nesso teologale, che è comunicazio-
ne viva della fede nello Spirito.
155
L'esercizio del presidente e del pastore delle comunità si realizza sempre nel-
la mediazione dello Spirito. Il ministero è un servizio spirituale: è infatti il luogo
in cui il ministro vive la sua adesione al Signore e la sequela, facendosi carico del-
la fede dei fratelli. Il carisma del servizio ministeriale p o n e i ministri in mezzo ai
membri del popolo di Dio, per p r o m u o v e r e la comunione e la crescita nel corpo
della Chiesa, attingendo all'unico Signore e allo stesso Spirito. Si tratti dell'an-
nuncio della Parola, della celebrazione dei misteri o della cura pastorale (visita
alle famiglie, ai malati, attenzione ai giovani, ai piccoli, alle vocazioni...) il mini-
stro ordinato trova la sua verità evangelica e compie la propria santificazione
nell'esercitare il proprio servizio.
Il legame del ministro con la comunità comporta una dedizione stabile, una
auto-consegna alla Chiesa alla quale è inviato. Si tratta di un legame che confi-
gura, riempie e unifica l'esistenza personale del ministro quale discepolo di Cri-
sto inviato tra i fratelli. Egli vive come u n o «sposalizio» con la comunità. Il pasto-
re è un credente che si ispira al modello del Cristo pastore, è inserito vitalmente
nella sua comunità, p r e n d e parte alle attese, alle gioie e alle sofferenze di essa e
cerca di aprirsi continuamente a tutti e di aprire i fratelli al mistero che annun-
cia. Si ispira alle forme ecclesiali esemplarmente t r a m a n d a t e nell'esperienza di
tanti santi pastori della Chiesa. P r e n d e n d o stimoli vivi da tutte le direzioni, il
pastore li unifica entro gli spazi creativi della sua vita e della sua libertà illumi-
nata dallo Spirito.
Nell'azione ministeriale il pastore ha cura dell'oggettività e della pienezza
della fede dei credenti per i quali è a servizio e, insieme, ha attenzione alle espe-
rienze soggettive nelle quali si esprime la libertà dei credenti nella sequela del
Cristo. Ciò suscita in lui un continuo atteggiamento di ascolto, di attesa, di
pazienza e di fiducia nel cammino della vita dei singoli.
Si intuisce b e n e come la figura e l'azione del ministero ordinato n o n costi-
tuiscano un doppione o una minaccia per il cammino spirituale dei credenti in
Cristo (dotati già fin dal battesimo di molti doni e carismi e della fondamentale
libertà dei figli di Dio) e n o n possano essere vanificati da figure o compiti laica-
li; egli si affianca ai laici e integra i loro doni soprannaturali nell'unità e nell'ar-
monia del grande «corpo di Cristo».
M e d i a n t e un suo carisma specifico egli garantisce la continuità fedele alla
tradizione, a ciò che gli apostoli h a n n o trasmesso. La sua azione, viva e creativa,
è sostenuta dall'opera dello Spirito. Tale opera è indispensabile affinché ogni
comunità cristiana possa attingere sempre al p e r d o n o sacramentale e possa fare
comunione con il corpo e col sangue del Signore che la n u t r e per la vita eterna
(Gv 6,51-58) e creare quel grande corpo di Cristo che è la Chiesa nella storia.
In questo a p p a r e evidente l'indispensabilità delle vocazioni al ministero, per
la cui accoglienza e crescita tutti i cristiani sono coinvolti, chiedendo incessante-
m e n t e al «Padrone della messe» che sia sempre garantito «il servizio pastorale e
sacerdotale».
156
3.2. I compiti del ministero: le missioni apostoliche
«fra tutti vige una vera uguaglianza quanto alla dignità e all'azione nell'edificare il cor-
po di Cristo, che è comune a tutti quanti i fedeli. La distinzione infatti posta dal Signo-
17
re tra i sacri ministri e il resto del popolo di Dio include anche la loro congiunzione».
16
LG 31-37: EV 1/362-385.
17
LG 32: EV 1/366.
18
Cf. DIANICH, Teologia del ministero ordinato, 152-211.
157
di infallibilità. Il valore della Parola del vangelo è fondato sul d o n o con cui lo
Spirito assiste i ministri nella trasmissione del messaggio, ed è fedele nella sua
comprensione autentica lungo la storia. San Paolo dice esplicitamente che egli,
pur t e n e n d o conto dei molti carismi suscitati dallo Spirito nei cristiani, si consi-
dera generatore della comunità tramite il vangelo: se molti sono i pedagoghi, egli
solo è il generatore dei suoi nella fede (2Cor 5,20-6,13). Q u e s t o inconfondibile
ruolo Paolo lo traduce in atto nei viaggi, nel lavoro, nella preoccupazioni, nelle
persecuzioni.
158
Il senso dell'autorità normativa si riaggancia sempre ai dodici apostoli ed è
ancorata ai testi biblici, che diventano operanti nella storia. Da questa angolatu-
ra sorgono i dogmi della fede, in risposta alle varie d o m a n d e degli uomini nella
storia. Se mancassero risposte autoritative «infallibili» in merito agli interrogati-
vi riguardanti la fede, la Chiesa verrebbe m e n o al suo compito di dare testimo-
nianza certa della verità del Cristo lungo i tempi. Senza di essa si ricadrebbe nel-
la molteplicità di esperienze e di opinioni individuali, incontrollabili nel loro rife-
rimento al Signore.
// carattere dell'infallibilità consiste nella capacità di dire la fede ecclesiale
con risposte sicure, adeguate alle d o m a n d e che si p o n g o n o e aventi valore di cer-
tezza, anche se sempre perfettibili.
Nella comprensione della fede ci sono punti di consenso, in cui l'infallibilità
deriva dalla «convergenza unitaria della fede» del popolo cristiano, e altri in cui il
consenso viene proclamato con l'intervento autorevole e infallibile del magistero.
Nel t e m p o iniziale della Chiesa la comunità era generata alla fede tramite la
predicazione dell'apostolo, lo zelo di lui nella missione e i segni della salvezza
che venivano compiuti nella potenza dello Spirito. Nel sorgere della fede, veniva
sottolineato un r a p p o r t o di paternità tra il ministro e la sua comunità. La pater-
nità spetta in senso pieno a Dio, ma anche ai ministri. Col loro servizio essi pren-
d o n o parte alla disponibilità, all'azione creante del Cristo, che fa nascere la fede
e la purificazione di una comunità cristiana. Paolo parla delle sue fatiche per il
vangelo ( I C o r 9,lss) e, p u r p r e n d e n d o atto del lavoro di tanti altri collaboratori
( I C o r 16,15), si sente in m o d o singolare «generatore» o «padre». Nella catena
della tradizione apostolica il carisma del pastore, che diventa creatore e genera-
tore della Chiesa, è garantito dallo Spirito nelle scelte effettuate con l'ordina-
zione e con l'imposizione delle mani.
159
La fedeltà al d o n o ministeriale, al kerigma apostolico, è messa in atto nel-
l'annuncio, nella catechesi, nell'esortazione, nell'organizzazione della vita comu-
nitaria, negli impegni di carità, nella sollecitudine per tutti. La dimensione di
autorità emerge nelle urgenze di verificare la fedeltà alla tradizione apostolica e
di realizzare la comunione nell'unità e nella carità.
Per l'armonia dei carismi e i problemi contingenti della vita, il servizio è mes-
so in atto continuamente nell'iter quotidiano. Per i fatti più rilevanti e impegna-
tivi viene fatto riferimento ai livelli più alti dell'autorità ecclesiale.
" Nella Gaudium et spes del VATICANO II emerge la posizione di J. Maritain, secondo il quale
la Chiesa è libera dalle strettoie del temporalismo, c o m e pure dall'integrismo proprio di una
«società cristiana». Ai cristiani spetta di effettuare delle scelte nei vari campi della vita. Di fronte
all'invadenza laicista la Chiesa ministeriale offre la proposta evangelica quale fermento per le
vicende umane. L'intervento diretto nella vita socio-politica spetta ai laici. Il ministero ordinato
proclama la fede, ma non entra nell'agone politico riservato ai laici, ai quali si profila una pluralità
di opzioni concrete.
La teologia politica, sulla linea di J.B. Metz, vede il cristiano c o m e attore nelle scelte politiche
concrete, impegnato a trasformare le trame della storia, non in un atteggiamento di semplice con-
templativo. La missione della Chiesa è missione politica, in quanto influisce nelle vicende dell'u-
manità attraverso le strutture ecclesiali. Anche se non è compito specifico della Chiesa trasforma-
re il mondo, la sua azione non esclude una prassi rivoluzionaria, pure nella sua costante riserva
escatologica.
La teologia della liberazione vede la Chiesa impegnata apertamente nell'azione rivoluzionaria,
non intendendo coprire le ingiustizie umane col manto della neutralità.
160
Più c o m u n e m e n t e viene superata la visuale di una «società cristiana», ove il
ministro è o p e r a n t e nell'ambito strettamente ecclesiale al di sopra e fuori delle
parti e i laici sono responsabili dell'ordine temporale. Il fermento evangelico
riguarda tutto l'uomo e n o n p u ò essere vivisezionato tra ministri e laici. I ministri
sono impegnati nell'annuncio del vangelo senza compromessi e i laici, ingaggiati
nel concreto, n o n possono prescindere dall'apertura escatologica della salvezza.
I ministri ordinati sono partecipi della qualifica sacerdotale che spetta a tut-
ti i m e m b r i della Chiesa. C o m e diceva sant'Agostino, questo è il titolo di onore
che accomuna tutti i battezzati.
Ciò che è specifico dei ministri, n o n è un privilegio che li distanzia dagli altri
fratelli cristiani, ma un servizio per l'attualizzazione in pienezza del sacerdozio
comune dei fratelli.
In tale servizio, i ministri nel loro carisma di incaricati da Cristo, d a n n o voce
all'unità dei fratelli, riassumono quelle espressioni della vita che diventano
161
«sacrifici spirituali graditi a Dio» ( R m 15,16) o «libagione per il servizio del van-
gelo» (Fil 2,17) e presiedono al memoriale del sacrificio di Cristo, culmine e fon-
te di tutto il culto della Chiesa.
Il sacerdozio dei ministri ordinati si caratterizza come dono per il servizio,
ricevuto in vista di una vita dedita all'annuncio del vangelo e alla comunità dei
fratelli, e come presidenza liturgica nel memoriale del sacrificio di Cristo. Il ser-
vizio liturgico presieduto dai ministri riassume il «sacrificio» della vita nell'unità
del «servizio sacerdotale del Cristo».
Nel compito sacerdotale stanno anzitutto i fatti della vita, che diventano
«sacrificio spirituale gradito a Dio», poi vengono i riti liturgici. La liturgia non ha
un valore secondario, perché essa diventa comunione con il Cristo che trasmet-
te i suoi doni più grandi. La Chiesa «è creata nei sacramenti», poiché in essi si
realizza un r a p p o r t o singolare e misterioso con l'evento pasquale, nel quale sem-
pre Cristo è operante.
Il ruolo specifico del ministero sacerdotale consiste nel collegare sempre
l'annuncio della Parola che fa sorgere la fede, il servizio per la comunione eccle-
siale e «liturgia», che diventa presenza operante del Cristo e che ha il suo punto
culminante nell'eucaristia.
Il sacrificio liturgico si p o n e non come una «azione» di offerta operata dal-
l'uomo - il sacrificio eucaristico è d o n o del Signore stesso - ma come d o n o del
Cristo, celebrato nella memoria, nella lode e nella comunione. In esso si affaccia
il d o n o irripetibile del mistero pasquale e l'azione creante dello Spirito. In que-
sto d o n o l'azione liturgica dei ministri si esprime come un «grande ringrazia-
mento» a D i o per la sua benevolenza che salva ex opere operato.
• La presidenza liturgica
162
4. IL DIACONO PERMANENTE
La teologia del sacramento dell'ordine nel grado del diaconato non ha alle
spalle una lunga storia, manca quindi di un'elaborata investigazione sugli aspet-
ti e sugli interrogativi che lo riguardano, in vista di un'esauriente comprensione.
Tuttavia nei documenti del magistero risaltano alcune linee di lettura che, pur
lasciando aperti molti problemi tipici di una teologia ancora in elaborazione,
d a n n o già u n a visuale soddisfacente.
I tratti dottrinali principali sono i seguenti.
20
PAOLO VI, motu proprio Sacrum diaconatus ordinem, 18 giugno 1 9 6 7 (EV 2 / 1 3 6 8 - 1 4 0 6 ) .
21
CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, 1 9 9 8 ,
nn. 4 6 - 4 9 .
163
La scansione tra i vari gradi dell'ordine ministeriale è indicata sempre nei
testi dell'ordinazione. Per il ministero dei vescovi è detto che essi specificamen-
te sono assunti nel collegio episcopale; dei preti si dice che h a n n o il titolo di pre-
siedere l'eucaristia; e dei diaconi che sono coinvolti nella diaconia del Cristo, nel
servizio della Parola e nella guida del popolo cristiano, in comunione con tutto
l'ordine ministeriale.
Ci si p u ò chiedere: è possibile separare in Cristo il suo essere capo dall'esse-
re servo! Sembra problematica una dissociazione che veda nel diacono un esclu-
sivo riferimento a Cristo servo, se ogni ministero è un servizio e se Cristo è sem-
pre unitamente «capo», «servo», «pastore» e «sposo» della sua Chiesa, e se il
pastore «supremo» della Chiesa si qualifica come «servo dei servi di Dio».
22
LG 23: EV l/338ss.
23
AG 16: EV l/1135ss.
24
II costituirsi di un eventuale collegio diaconale attorno al vescovo, parallelo a quello dei pre-
sbiteri, al di là dei mandati personali che il vescovo assegna ai singoli diaconi nelle varie comunità
della Chiesa, è prospettiva che la Chiesa dovrà intuire e discernere nel futuro.
164
blemi storico-teologici, orienta l'attenzione all'ambito esistenziale e operativo e
vede il diaconato p e r m a n e n t e configurato come un sacramento di frontiera.
Il diacono fonda la sua dignità sul fatto sacramentale dell'imposizione delle
mani e quindi sulla grazia dell'ordine, ed è finalizzato ai tre ambiti della missio-
ne ecclesiale: l'annuncio della parola di Cristo, l'azione di santificazione e la gui-
da del p o p o l o cristiano.
Ci sono tuttavia alcune caratteristiche che gli si a p p r o p r i a n o in m o d o singo-
lare, rispetto agli altri gradi del ministero ordinato.
165
Per i molteplici ministeri, di fatto egli è riferimento diretto e costruttivo e poi,
p e r il suo carisma, segnala e realizza una strutturale unità di relazione con tutto
l'ordine ministeriale. Tale ordine è sempre u n o e molteplice e ha il suo polo uni-
ficatore nel vescovo.
• È importante avere davanti la verità del ministero ordinato nella sua tripli-
cità, quale p u n t o imprescindibile dell'unità cattolica, della fedeltà apostolica e
dell'apertura escatologica della Chiesa. Esso si ritrova nella figura del vescovo,
dei presbiteri e dei diaconi, uniti nello stesso q u a d r o di u n a diaconia apostolica,
nell'insieme della Chiesa locale oltre i confini di singole comunità viste in una
stretta autonomia.
166
riferita anche a molteplici forme postcristiane, nell'apertura di contatti con altre
esperienze sociali e religiose.
In tale q u a d r o socio-religioso che si afferma sempre più, p u ò inserirsi in
m o d o assai prezioso un'azione ministeriale nuova, a livello capillare, più ade-
guata alle diverse situazioni, con protagonisti che per la loro vita, la loro compe-
tenza professionale e la loro fisionomia di laici e di ministri, possono compiere
un lavorio di frontiera, p o r t a n d o con sé tutti i doni della «tradizione apostolica».
25
Passando dalle intuizioni e dalle riflessioni alla prassi, dalla teologia alle scelte pastorali, può
essere molto valido un confronto con altre Chiese che hanno dato grande attenzione al diaconato
permanente.
167
Capitolo nono
1
IL MATRIMONIO CRISTIANO
1
La trama del discorso fa riferimento preferenziale, in questo capitolo, al volume di W. KASPER,
Teologia del matrimonio cristiano, Queriniana, Brescia 1 9 7 9 . Cf. anche: P. A D N É S , // matrimonio,
Roma 1 9 6 6 ; M. ALIOTTA, // matrimonio, Queriniana, Brescia 2 0 0 4 ; M. CRISPIERO, // matrimonio cri-
stiano, Marietti, Genova 1 9 7 6 ; A. D ' H E I L L Y , Amore e Matrimonio, Boria, Roma 1 9 6 3 ; B. FERASIN, //
matrimonio interpella la Chiesa, Elledici, Leumann ( T O ) 1 9 8 3 ; M. FLORIO - R. NKINDU SAMUANGALA -
G. CAVALLI - R. GERARDI, Sacramentaria speciale. II: Penitenza, unzione degli infermi, ordine, matri-
monio, E D B , Bologna 2 0 0 3 ; E. FUCHS, Desiderio e tenerezza, Claudiana, Roma 1 9 8 4 ; F.E. VON GAGERN,
Comunità matrimoniale, Boria, R o m a 1 9 7 8 ; E.M. GENTILI, L'uomo la donna e Dio, Alzani, Pinerolo
1 9 6 8 ; L. LIGIER, // matrimonio. Questioni teologiche e pastorali, Città Nuova, R o m a 1 9 8 8 ; PONTIFICIO
CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA. La sacramentalità del matrimonio e la spiritualità coniugale e familiare,
Elledici, Leumann ( T O ) 1 9 8 6 ; E. SCHILLEBBECKX, // matrimonio realtà terrena e mistero di salvezza,
EP, R o m a 1 9 7 1 ; D. TETTAMANZI, La famìglia via della Chiesa, Massimo, Milano 1 9 8 7 .
169
29,20; I S a m 18,20.28). La sessualità è d o n o del Creatore ( G e n 1,27; 5,2) e lo è pure
la forza della reciproca attrazione, ma è d o n o creaturale ( G e n 2,21-34). Il dominio
dell'uomo sulla donna è, per lo jahwista, una conseguenza del peccato ( G e n 3,16).
I libri della Bibbia nel loro insieme, dalla Genesi al Cantico dei cantici, pro-
spettano la sessualità u m a n a , l'amore u o m o - d o n n a , il matrimonio e la procrea-
zione, in maniera limpida, positiva e progettuale. L'amore è esperienza di realiz-
zazione e di felicità, ma è anche c a m p o di tentazione, di dolore, di colpa e di infe-
licità. Il tutto ha p e r ò una fondazione e un orientamento inequivocabilmente
positivo, pensato e voluto da D i o come tutta la realtà umana: D i o vide che il rap-
p o r t o u o m o - d o n n a «era molto buono» (cf. G e n 1,31).
«Dio creò l'uomo a sua immagine [...] maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e
disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi» (Gen 1,27-28).
L'uomo non esiste in quanto tale, ma solo in quanto maschio e femmina; rag-
giunge la sua pienezza là dove i due si pongono l'uno per l'altro, l'uno con l'altro. //
legame uomo-donna è immagine e somiglianza dell'amore di Dio e della sua forza
creatrice. Poiché l'alleanza e la comunione tra Dio e gli uomini costituiscono l'e-
sperienza fondamentale di Israele nel suo itinerario di liberazione e di speranza
messianica, l'alleanza tra D i o e il suo popolo viene ad essere principalmente espres-
sa e significata da quella particolare forma di vita umana che è il matrimonio.
Q u e s t o è pensabile in q u a n t o il matrimonio è una realtà terrena inserita nel-
la salvezza. Nell'ambito del matrimonio la natura sociale dell'uomo trova il suo
compimento più significativo e completo. C o m e dialogo, il matrimonio ha in sé
una grande potenza di espressione, così che è p o t u t o diventare il mezzo profeti-
co nel quale venne espressa nel m o d o più evidente la dialettica della vita del
popolo di D i o con D i o stesso.
La realtà terrena del matrimonio è una espressione u m a n a strettamente
legata alla situazione storica, è soggetta a u n o sviluppo, perché l'esistenza uma-
na è di per sé riflessiva. E anche l'offerta di salvezza che D i o fa all'uomo segue
la storia u m a n a , e assume caratteristiche che diventano sempre più chiare con
l'andar del tempo.
II sesso e l'eros nella Bibbia non vengono divinizzati o mitizzati come presso
i pagani. L ' u o m o e la d o n n a sono creature di Dio, dotate di libertà interiore, di
auto-responsabilità: essi nella loro bontà e bellezza n o n si chiudono e n o n si
esauriscono in se stessi, h a n n o il proprio principio e il proprio fine in Dio, sor-
gente dell'amore.
Così guidato dalla parola dei profeti e dei sapienti, Israele trova nella realtà
u m a n a dell'amore coniugale e familiare il simbolo di quella particolare alleanza
che lega Y H W H e il suo popolo. Tante volte la parola dei profeti assume un tono
accusatorio: alla magnanimità e fedeltà, alla misericordia del marito ( Y H W H ) si
contrappone l'ingratitudine e l'infedeltà della moglie (Israele) (Ez 16; G e r 2,2;
3,ls; Is 62,4s; Os 2,4-22; 9,1).
170
Quello che nei discorsi è una metafora verbale, viene assunto da azioni sim-
boliche esistenziali nel profeta Osea, che, su ordine di Dio, p r e n d e per moglie
una prostituta (Os 1,2-9) e un'adultera (3,1-5), per ricordare ad Israele la sua
infedeltà verso Dio e anche per far conoscere l'amore paradossale di D i o stesso,
che va al di là dell'infedeltà e del peccato: «Ti farò mia sposa per sempre» (2,21).
Nel senso complessivo, il matrimonio o l'unione duale degli sposi, nella sua
grandezza e nei suoi limiti, è u n a forma di benedizione che viene da Dio, è segno
dell'alleanza di D i o con l'umanità.
Q u e s t a visuale ritorna con chiarezza negli apostoli. San Paolo esorta a vive-
re il matrimonio nell'ambito della vocazione cristiana, come un d o n o dello Spi-
rito, destinato all'edificazione della Chiesa. Scrive: «Ciascuno continui a vivere
secondo la condizione che gli ha assegnato il Signore [...] così dispongo in tutte
le Chiese» ( I C o r 7,17). In questo m o d o Paolo sottolinea la dignità di tutte le
«vocazioni» dei cristiani; tutte, matrimonio compreso, h a n n o un significato spiri-
tuale e avranno un c o m p i m e n t o futuro, secondo q u a n t o è scritto nel Vangelo:
«Alla risurrezione [...] non si p r e n d e né moglie né marito, ma si è come gli ange-
li nel cielo» (Mt 22,30).
171
// matrimonio va celebrato «nel Signore» ( I C o r 7,39), cioè in quella condi-
zione nuova che Cristo inaugura nel battesimo. Tra due sposi ci sarà obbedienza,
amore, fedeltà, dedizione, come tra Cristo e la Chiesa (Fil 2,5; Col 3,18; l P t 3,1-
7; l T m 2,8-15; Tt 2,1-6). La testimonianza più famosa, in questa prospettiva pao-
lina, si trova in Ef 5,21-33, ove l'amore tra u o m o e donna è visto come immagi-
ne dell'alleanza Cristo-Chiesa: «Questo mistero è grande; lo dico in riferimento
a Cristo e alla Chiesa» (v. 32). In questo caso la parola «mistero» è stata com-
2
presa nella tradizione storica come «sacramento».
Il matrimonio è una forma di vita nella quale si realizza in m o d o singolare la
fedeltà e l'amore di Dio rivelato in Cristo. La fedeltà e l'amore di Cristo per la
Chiesa non sono solo modello per il matrimonio. Il donarsi dell'uomo e della
d o n n a non è esclusivamente immagine e somiglianza della donazione Cristo-
Chiesa, ma è epifania, rivelazione nei fatti, dell'effettività dell'amore e della
fedeltà che è donata una volta per sempre da Cristo al m o n d o intero.
In questo senso la Chiesa (lo farà ufficialmente nel concilio di Trento) citerà
il passo di san Paolo (Ef 5,32) come il luogo biblico più espressivo della sacra-
mentalità del matrimonio, anche se il valore del matrimonio come sacramento fa
riferimento, più che a singoli testi, al q u a d r o complessivo del N u o v o Testamen-
to. Il donarsi della persona ha fondamento e fine in Dio, e Cristo ha aperto una
modalità nuova per l'attuarsi del progetto di D i o inserendo il matrimonio nella
dinamica dell'amore salvante, da lui espresso in quei segni che n o n possono esse-
re più svuotati o privati di valore.
Si p u ò dire che Cristo fonda il sacramento del matrimonio nello stesso
m o m e n t o in cui dà il via al compiersi in pienezza dell'alleanza nuova e della
Chiesa, nell'evento della Pasqua. Là egli compie la sua dedizione totale di amo-
re all'umanità come «sua sposa». C o m e ogni sacramento, anche il matrimonio
nasce dal Cristo che dà la vita sulla croce.
2
Le interpretazini che si propongono oggi attorno a questo testo sono le seguenti: il mistero è
riferito all'espressione di Gen 2,24; oppure, il termine indica precisamente il matrimonio; oppure, il
termine mysterion sta ad indicare il legame tra Cristo e la Chiesa. Probabilmente il senso più com-
prensivo è questo: il mysterion è il piano di salvezza realizzato e attuato da Cristo nella Chiesa.
172
nei testi dei teologi e del magistero. In seguito alla riforma gregoriana ( q u a n d o la
Chiesa si liberò dell'ordinamento matrimoniale dell'impero carolingio-ottoma-
no) e con il processo di secolarizzazione dello Stato, la Chiesa metterà in eviden-
za, con accentuazioni nuove, i riti sacramentali nella loro fisionomia liturgica.
L'affermazione del matrimonio come sacramento acquista sottolineature più
marcate di fronte alla desacralizzazione di esso a livello socio-culturale. Esso vie-
ne visto così nella duplice dimensione di realtà della creazione e di segno della
salvezza di D i o in Cristo.
Nel Cinquecento L u t e r o insisterà nel sottolineare il valore profano o soltan-
to u m a n o del matrimonio. In verità la comprensione del matrimonio come sacra-
m e n t o n o n ha mai mirato a sacralizzare o a mistificare la realtà coniugale, ma ha
affermato che la realtà della creazione che si ha nel matrimonio, è assunta da
Cristo come segno eminente del suo mistero di a m o r e e come ambito e segno
privilegiato della salvezza che egli d o n a all'umanità. Viene messo in evidenza
così il r a p p o r t o tra creazione e redenzione, tra realtà ecclesiale e realtà m o n d a -
na, tra dimensione terrena e dimensione della salvezza.
173
che è espressione privilegiata dell'amore di Cristo. Così l'uomo e la donna non
sono soltanto esseri sessuati, ma compagni di vita, elevati in Cristo a un livello
umano-divino.
• La secolarizzazione dell'età m o d e r n a
174
sonalmente nell'amore, abbraccia le dimensioni di una c o m u n i o n e u m a n a di vita
e di destino, e impedisce di diventare «dominio» o «degradazione».
La concretezza della persona u m a n a non p u ò mai prescindere dai rapporti
fisici, di salute, e dai rapporti sociali ed economici. L'accettazione sociale dell'al-
tro include sempre anche elementi oggettivi e istituzionali. Sarebbe pura illusio-
ne fermarsi a una dimensione romantico-idealistica che supponga una realizza-
zione piena in un p u r o r a p p o r t o di amore.
La Chiesa, in questo, ha avuto un importante compito socio-pedagogico nel-
l'aiutare l'uomo a valutare con ampiezza l'intreccio tra le varie dimensioni
imprescindibili.
• Un a m o r e fecondo
L'aspetto biologico della generazione della vita non p u ò essere mai estraneo
o secondario.
La sessualità u m a n a è diversa da quella degli animali, legati all'istinto e a
impulsi sessuali scanditi dal t e m p o e dalla natura. L ' u o m o ha un'eccedenza di
impulsi sessuali, ma essi devono essere umanizzati, educati a diventare espres-
sione di a m o r e personale per la gioia del partner. L'eros e l'amore devono esse-
re collegati nel d o n o vicendevole, e realizzare l'incarnazione dell'amore in una
nuova persona c o m u n e ai due. Il figlio non è un «terzo» estraneo, ma è la realiz-
zazione e il c o m p i m e n t o dell'amore.
L ' a m o r e n o n p u ò chiudersi mai nel cerchio di un p u r o egoismo a due. La
fecondità è d o n o vicendevole ma anche a p e r t u r a agli altri, è servizio p e r l'u-
manità e p e r il m o n d o secondo il m a n d a t o iniziale del C r e a t o r e : «soggiogate
la terra».
U n a procreazione responsabile p o r t a con sé:
il rispetto della persona del partner e l'approfondimento dell'amore;
la responsabilità per i figli già nati e per quelli in arrivo;
la responsabilità per la società e p e r l'umanità intera;
il rispetto per il valore profondo e intimo della natura creata da Dio;
- la natura è consegnata all'uomo per l'armonia, n o n per u n o sfruttamen-
to senza limiti.
175
è giogo, ma suprema realizzazione della libertà, è un essere per che si realizza nel-
la pienezza del dono: «Io so che tu sei p e r me».
La definitività si esprime nell'essere «due in un corpo solo». È qualcosa di
sovra-temporale che diventa «storia di un a m o r e duale». Grazie al d o n o fedele,
due persone raggiungono lo «stato» definitivo, diventano cioè «una carne sola».
In questa proiezione di fedeltà c'è di mezzo Dio: attingendo da Dio, l'amore
si dona; l'uomo non si smentisce, ma si invera nella speranza, nel futuro, nel par-
tecipare alla fedeltà stessa di Dio. Ciò è affermato non nel senso di una p u r a
oggettività, ma è visto come apertura al compimento; è u n a sillabazione della
fedeltà di Dio, che, solo, è certezza di vita e di a m o r e e n o n è mai delusione o
a b b a n d o n o . La fedeltà è anche parola che pronuncia quell'amore divino che Cri-
sto ha svelato con il suo a m o r e fedele fino alla morte.
In questo l'amore coniugale diventa sacramento del D i o dell'alleanza e del
Cristo Sposo fedele dell'umanità.
2. IL MATRIMONIO SACRAMENTO
176
È messa in atto una redenzione delle forze «della carne» e una santificazione
che crea l'armonia nell'esistenza u m a n a e cristiana, che rende l'uomo «servitore
di Dio» nel suo corpo. L'azione santificante del sacramento (Ef 5,26) apre gli
sposi al servizio per D i o nella creazione e nella redenzione e coinvolge l'amore
coniugale in un r a p p o r t o di a m o r e teologale. D u e coniugi che vivono nel d o n o
vicendevole, imitano l'amore di Cristo per la Chiesa e diventano non solo sim-
bolo del mistero, ma dimostrazione effettiva del mistero di Cristo che a m a fino
a dare la propria vita.
3
LG 35: EV 1/376.
4
LIGIER, // matrimonio. Questioni teologiche e pastorali, 208.
5
GS 48: EV l/1471ss.
177
Presso i cristiani ortodossi, ove non si è avuta la secolarizzazione ed è preva-
lente la visione sacrale del matrimonio, il p r e t e è considerato amministratore del
sacramento. Presso i protestanti la stipulazione dell'atto ufficiale del matrimonio
è affidata invece all'autorità secolare. Al ministro della Chiesa spetta la benedi-
6
zione liturgica.
6
È stato campo di discussione, nel mondo cattolico, il rapporto tra l'ambito personale e quello
ecclesiale nel matrimonio. Il termine contratto matrimoniale relaziona il matrimonio a un contesto
pubblico e sociale; le teorie individualistico-liberali preferiscono il termine istituzione matrimoniale.
E vero che nel matrimonio c'è sempre una realtà sociale che abbraccia e supera i due partner; tale
realtà non è a loro disposizione e non è gestita da loro. Il concilio Vaticano II (GS 47: EV l/1468ss)
usa il termine «istituzione».
KASPER (Teologia del matrimonio cristiano, 42) vede il termine alleanza preferibile ai termini
«contratto» o «istituzione». L'alleanza infatti denota un vincolo personale di amore e coinvolge
anche la comunità dei credenti nella realtà pubblico-sociale. L'ambito personale e quello sociale
sono complementari: c'è un rapporto irripetibile dei due partner e c'è la comunità ecclesiale che li
accompagna nelle fasi della vita (la comunità affianca i due fidanzati nella preparazione, funge poi
di sostegno a livello materiale e spirituale, tramite conferenze, seminari, apertura ai figli), inoltre apre
piste di azione per i coniugi nelle trame della vita, nella pastorale familiare, nei gruppi, nell'integra-
zione degli anziani nella famiglia.
178
fuga dal m o n d o , ma un particolare m o d o di servire il m o n d o e gli altri. I d u e
modi di vita sono reciprocamente correlati: le vocazioni al celibato sono segni di
matrimoni sani e il deprezzamento del celibato conduce al disconoscimento dei
7
valori cristiani del matrimonio.
• Dall'Antico al N u o v o Testamento
7
Cf. KASPER, Teologia del matrimonio cristiano, 45-46.
179
• Sottolineature di san Paolo
In Ef5,31 Paolo collega la fedeltà assoluta dell'uomo e della donna nel matri-
monio alla fedeltà che unisce Cristo alla Chiesa. N o n si tratta di una n o r m a eccle-
siastica o di un principio metafisico, ma del realizzarsi dell'alleanza di Dio in
Gesù Cristo. Si compie un fatto teologale. In esso non è il caso di vedere (come
affermava Agostino) una realtà ontologica nuova, ma la realtà dell'alleanza di
Dio, che assume in sé la realtà u m a n a del matrimonio, la consolida e l'approfon-
disce. L'alleanza conferisce all'unione sponsale un carattere di n o n disponibilità,
una relazione continua e piena a Dio. U n a rottura del matrimonio comporta la
rottura di ciò che non spetta ai d u e protagonisti, e concede al n u o v o partner ciò
che non gli appartiene.
La fedeltà, più che una legge, è l'espressione del carattere di promessa e di
grazia di cui D i o ha dotato il matrimonio. Per chi si separa, resta solo il dovere e
l'inestinguibile speranza della riconciliazione, nella certezza che l'amore e la
fedeltà di Dio non vengono mai meno.
• La tradizione biblica
8
Kasper propone qui la seguente ipotesi: le comunità giudeo-cristiane intendevano radicalizzare
l'ideale di santità dell'Antico Testamento. Così, nella separazione dal partner che viveva in una situa-
zione di fornicazione (incesto, prostituzione, perversione sessuale, adulterio) si vedeva il diritto di rom-
pere il matrimonio per la volontà di Dio, che non permette che uno si «profani» con chi è indegno.
180
Il N u o v o Testamento, nel suo insieme, testimonia il valore inequivocabile
della parola di G e s ù per l'unità inscindibile del m a t r i m o n i o , i n t e n d e p e r ò tale
parola, più che come u n a prescrizione drastica e legale, c o m e u n a linea di vita
secondo lo spirito della libertà cristiana.
• La tradizione ecclesiastica
Paolo, nella sua esperienza, aveva presenti dei m a t r i m o n i misti tra pagani
e cristiani. Situazioni simili si p r e s e n t e r a n n o anche nel t e m p o successivo. Così
i padri della Chiesa, richiamando la parola di Gesù, n o n v e d e v a n o praticabile
un secondo m a t r i m o n i o , finché la con-parte era ancora in vita. C o n ciò p e r ò si
p r o p o n e v a n o di fatto dei casi difficili.
Alcuni padri (es. Origene, Basilio) in certe situazioni ipotizzeranno una
prassi più elastica. O r i g e n e a m m e t t e che una moglie separata per l'adulterio
del m a r i t o si risposi m e n t r e il m a r i t o è ancora in vita. A l t r e t t a n t o pensa p u r e
Basilio per l'adulterio della moglie. Pur v e d e n d o un tale agire non conforme
alle Scritture, lo si p e r m e t t e per evitare il peggio, e si p r e v e d e la c o m u n i o n e
eucaristica d o p o a d e g u a t a penitenza. Secondo Basilio, n o n è certo che una
d o n n a che convive con un u o m o a b b a n d o n a t o dalla moglie possa essere detta
adultera.
/ padri occidentali, ad esempio A m b r o g i o , non condividono una simile
valutazione e prassi. P e r ò nei penitenziali irlandesi e franco-anglosassoni, all'i-
nizio del m e d i o e v o , è tollerato o p e r m e s s o un m a t r i m o n i o m e n t r e il coniuge è
ancora in vita, in situazioni particolari, o q u a n d o si p r e s u m e sia m o r t o . Il
distacco dall'ideale cristiano viene m e d i a t o dalla penitenza.
Nell'insieme la tradizione ecclesiale ribadisce la fedeltà indiscussa alla
parola del Signore, tuttavia, in casi di situazioni matrimoniali difficili, la Chie-
sa n o n respinge una persona che si risposa, appellandosi al concetto dell'in-
dulgenza o della n o n c o n d a n n a , e a p r e la strada della penitenza, senza d a r e il
via a u n a piena r o t t u r a con la c o m u n i o n e ecclesiale.
181
• Il concilio di Trento
9
Denz 1813-1816.
182
3. PROBLEMI PRATICO-PASTORALI
• La fedeltà piena alla parola di Cristo. Q u e s t o vale per i singoli, per l'ordi-
n a m e n t o giuridico e per la prassi pastorale della Chiesa. La Chiesa n o n p u ò
costruire le sue scelte fuori della parola di Cristo. Non ha due possibilità dì scel-
ta, ma la sola scelta della fedeltà. N o n p u ò m e t t e r e sullo stesso piano un primo
matrimonio e un secondo; non p u ò riconoscere come segno dell'alleanza una
nuova unione m e n t r e il primo partner è vivo. La Chiesa è l'unica entità sociale
che patrocina i figli e l'indissolubilità come diritto della grazia.
10
Cf. KASPER, Teologìa del matrimonio cristiano, 61-80.
183
Il secondo matrimonio non p u ò essere il segno dell'alleanza, anche se ha una
sua valenza u m a n a e storica. Il diritto, del resto, riconosce forme differenziate di
realizzazione del p a t t o matrimoniale: il matrimonio con la retroattività degli
effetti giuridici; il matrimonio celebrato e non consumato; il matrimonio contrat-
to civilmente (tale matrimonio non è mai equiparato a un concubinato, per una
volontà di matrimonio e per i valori essenziali di amicizia, amore, fedeltà, obbli-
go di assistenza che esso p o r t a con sé).
Là dove è presente la fede, un secondo matrimonio può collocarsi nella Chie-
sa come dimensione spirituale-penitenziale; la Chiesa è sempre peccatrice e peni-
tente. Stando al parere di W. Kasper, il secondo matrimonio è paragonabile a
un'abitazione di emergenza di fronte alla rovina della prima casa o a una scia-
luppa di salvataggio di fronte al naufragio della nave, o alla cicatrice che p e r m a -
ne d o p o una ferita profonda causata da un incidente. D i o p u ò o p e r a r e la salvez-
za anche nella nuova situazione.
Resta non facile il confronto con il primo matrimonio, che non è annullabile
come rapporto di alleanza nel Signore, e c'è il problema dell'ammissione al sacra-
m e n t o della penitenza e dell'eucaristia nella Chiesa, in una situazione di peni-
tenza ecclesiale.
Un'ammissione alla comunione può avvenire quando ci si pente della colpa e
la si ripara per quanto è possibile; quando è stato fatto il possibile per una ricon-
ciliazione col primo coniuge; quando il secondo matrimonio è diventato un lega-
me moralmente vincolante, ad esempio a motivo dei figli.
E necessaria c o m u n q u e una pastorale intelligente e responsabile, che affer-
mi la portata della penitenza e della conversione ed eviti situazioni di indiffe-
rentismo o p p u r e di scandalo farisaico, e occorre sempre l'apporto illuminante e
autorevole di pastori pieni di sapienza.
184
La Chiesa ha ribadito la convinzione che, tra due battezzati, il matrimonio è
di per sé sacramento e si è opposta alla celebrazione separata del matrimonio
civile conseguente alla secolarizzazione.
• In che modo il matrimonio, che nasce dalla fede ed è celebrato come sacra-
mento, è comprensibile e attuabile nel nostro mondo al pari degli altri sacramenti?
185
• Si p u ò pensare che, nella gradualità della salvezza, ci sia in esso un'imper-
fetta realizzazione del mistero di Cristo e della Chiesa?
Per la verità del sacramento ci vuole un minimo di fede. La Chiesa, nella pre-
parazione, nella predicazione e nella celebrazione deve fare di tutto per suscita-
re la fede, non accontentarsi del minimo, ma m i r a n d o a una chiara visione cri-
stiana. Q u a n d o le condizioni minimali non sono raggiunte, è doveroso consiglia-
re il rinvio del matrimonio in chiesa. Ciò p u ò avvenire solo d o p o un attento lavo-
ro pastorale e un contatto personale. Qui si p o n g o n o problemi di fondo che
d e v o n o essere affrontati - nelle loro linee - da tutta la comunità locale con il
rispettivo pastore.
Emerge, nell'insieme dei problemi, l'urgenza di un'azione pastorale portata
avanti con grande responsabilità per una preparazione attenta e leale al matrimo-
nio nel suo significato. A tal fine si rivela preziosa la promozione di gruppi matri-
moniali, di iniziative di formazione, di catechesi e di valorizzazione della cele-
brazione liturgica.
U n a pastorale matrimoniale deve essere promossa con molta ampiezza, nel-
la certezza che è attraverso una fede viva e approfondita che p u ò venire supera-
ta la grande crisi matrimoniale e familiare così diffusa ai nostri giorni.
186
INDICE
PRESENTAZIONE
(di mons. Giuseppe Zenti) » 7
INTRODUZIONE » 9
Capitolo primo
I SACRAMENTI D A L L A PRASSI A L L A T E O L O G I A » 13
Capitolo secondo
Q U A D R O COMPLESSIVO DEI SACRAMENTI » 17
187
2 . 2 . 2 . L'uomo comunica attraverso il corpo » 22
2 . 2 . 3 . // linguaggio segreto delle cose » 23
2 . 2 . 4 . L'uomo si realizza nel comunicare » 23
2 . 2 . 5 . // corpo: luogo d'incontro a livello interpersonale
e storico » 24
2 . 3 . Le realtà del cosmo «sacramenti» d'incontro con Dio » 24
23.1. Il cosmo «sacramento naturale» di Dio per l'umanità .... » 24
2 . 3 . 2 . Cristo assume le realtà terrene nei suoi interventi nel
mondo » 25
3. L'INSIEME DEI SACRAMENTI NELLA STORIA » 25
3 . 1 . Il n u m e r o settenario » 25
3 . 1 . 1 . // numero e il significato dei sacramenti nella teologia
del medioevo » 26
3 . 1 . 2 . La definizione dei sacramenti » 27
3 . 2 . La dottrina dei sacramenti dal medioevo ai nostri giorni .... » 27
3 . 2 . 1 . Definizione complessiva dei sacramenti nella teologia
medievale e nella dottrina dei concili » 27
3 . 2 . 2 . Accentuazioni del nostro tempo » 28
3 . 2 . 3 . // numero dei sacramenti nelle Chiese orientali e
accentuazioni del Vaticano II » 29
4. I SINGOLI SACRAMENTI E LÌNIZIAZIONE CRISTIANA » 31
4 . 1 . I sette sacramenti e la loro relazione organica » 31
4 . 2 . I sacramenti dell'iniziazione cristiana » 31
4 . 3 . L'iniziazione cristiana nella Chiesa antica » 33
4 . 4 . L'iniziazione cristiana nel nostro t e m p o » 34
4.4..1. L'iniziazione cristiana nel nostro tempo » 34
4 . 4 . 2 . La prassi pastorale si apre a una fase nuova » 35
Capitolo terzo
IL BATTESIMO » 37
188
3. IL BATTESIMO DEI BAMBINI: SGUARDO TEOLOGICO-PASTORALE » 48
3.1. Il battesimo dei bambini nella storia » 48
3.2. Perché battezzare i bambini » 49
3.3. Obiezioni e risposte » 50
3.4. I bambini e il battesimo nelle situazioni familiari problematiche » 52
Capitolo quarto
LA C O N F E R M A Z I O N E » 55
Capitolo quinto
L'EUCARISTIA » 67
189
2.2.1. La messa basilicale romana » 78
2.2.2. La messa romana nel regno dei franchi (secoli VIII-X) » 78
2.2.3. La messa nei secoli Xl-XIV » 79
2.2.4. La riforma del messale conseguente al concilio di
Trento » 80
2.3. La dottrina eucaristica nelle scuole e nei concili dei secoli
XI-XIII » 81
2.3.1. / maestri delle «scuole» e la teologia della presenza
eucaristica » 81
2.3.2. Dalla teologia alle affermazioni dei concili » 82
2.4. La Riforma di L u t e r o e il concilio di Trento » 84
2.4.1. Lutero e l'eucaristia » 84
2.4.2. // concilio di Trento » 84
2.5. Il rinnovamento del concilio Vaticano II » 85
2.5.1. Motivi ispiratori » 85
2.5.2. L'eucaristia: comunione personale e vitale con Cristo » 86
2.5.3. La mensa della Parola e del pane » 86
3. TEOLOGIA DELL'EUCARISTIA » 87
3.1. L'eucaristia celebrazione della Chiesa » 87
3.1.1. // Cristo è il protagonista principale della celebrazione
eucaristica , » 87
3.1.2. La Chiesa è protagonista con Cristo dell'azione liturgica » 88
3.2. L'eucaristia sacrificio » 89
3.2.1. // sacrificio di Cristo e l'umanità » 90
3.2.2. L'eucaristia memoriale del sacrificio di Cristo » 93
3.2.3. L'eucaristia sacrificio della Chiesa » 97
3.2.4. Sottolineature conclusive » 102
3.3. L'eucaristia, presenza del Signore » 103
3.3.1. La «Presenza reale» nella fede cristiana » 103
3.3.2. La Presenza eucaristica e la transustanziazione » 104
3.3.3. L'escatologia nel Signore presente nella storia » 104
3.3.4. La Presenza eucaristica e la comunione » 105
3.4. L'eucaristia sorgente di salvezza » 106
3.4.1. Suffragio per i defunti e perdono dei peccati » 106
3.4.2. Nutrimento della vita e inizio della trasformazione
del mondo » 108
3.4.3. L'eucaristia culmine e fonte della Chiesa » 109
Capitolo sesto
IL S A C R A M E N T O D E L L A P E N I T E N Z A » 111
1. LA RICONCILIAZIONE NELLE FONTI BIBLICHE » 111
1.1. Il D i o della creazione e della storia p r o n t o a p e r d o n a r e » 111
1.2. Cristo venuto nel m o n d o a chiamare i peccatori » 113
1.3. La conversione del cuore e la mediazione della Chiesa » 113
1.3.1. // perdono e la conversione del cuore » 113
132. Il sacramento del perdono » 114
190
2. LA PRASSI STORICA E IL VALORE TEOLOGICO DELLA PENITENZA » 115
2.1. La prassi penitenziale nella storia » 115
2.1.1. Le tappe della penitenza nella Chiesa » 116
2.1.2. La'continuità nell'evoluzione storica » 119
2.2. Il valore teologico della riconciliazione » 120
2.2.1. La penitenza: segno sacramentale » 120
2.2.2. Significato pasquale ed escatologico del sacramento
del perdono » 121
2.2.3. La dimensione ecclesiale della riconciliazione » 122
3. ASPETTI CELEBRATIVI E PASTORALI » 123
3.1. Gli elementi del rito » 123
3.1.1. Le accentuazioni del Rito della riconciliazione » 123
3.1.2. Gli atti del sacramento » 124
3.1.3. Gli effetti della penitenza » 125
3.2. Problemi pastorali sullo sfondo » 126
3.2.1. // senso del peccato e del perdono per l'uomo di oggi » 126
3.2.2. La colpa, la conversione e il realizzarsi dell'uomo » 128
Capitolo settimo
L'UNZIONE DEGLI INFERMI » 131
1. L'ESPERIENZA DI G E S Ù E DEGLI APOSTOLI CON GLI AMMALATI » 131
2. L'UNZIONE DEGLI INFERMI NELLA CHIESA » 133
2.1. Nella Chiesa medievale » 133
2.2. Il concilio di Trento » 133
2.3. Il magistero recente » 134
3. SIGNIFICATI DELL'UNZIONE DEGLI INFERMI IN VISTA DELLA SALVEZZA » 134
3.1. La prospettiva antropologica dell'unzione degli infermi » 134
3.2. La dimensione teologale proveniente dal fatto sacramentale.... » 135
3.3. Ulteriori conseguenze » 136
4. LA LITURGIA DEL SACRAMENTO DELL'UNZIONE » 136
Capitolo ottavo
IL S A C R A M E N T O D E L L ' O R D I N E » 139
191
1.2.4. La dimensione personale dell'annuncio » 142
1.2.5. // ministero a servizio della comunione ecclesiale » 142
1.3. Il delinearsi di figure diverse e complementari nel ministero.... » 143
2. I MINISTERI ORDINATI LUNGO LA STORIA! CENNI » 144
2.1. Il sacramento dell'ordine nella storia antica e medievale .... » 144
2.2. Dal concilio di Trento al Vaticano II » 145
2.2.1. Lutero e il pensiero dei riformatori » 145
2.2.2. Il concilio di Trento » 146
2.2.3. // concilio Vaticano II » 146
2.3. Il ripristino del diaconato p e r m a n e n t e nel Vaticano II » 148
2.3.1. Il diaconato negli interventi del Vaticano II » 148
2.3.2. Altri documenti ecclesiali » 149
3. LINEE TEOLOGICHE DEL MINISTERO ORDINATO » 149
3.1. Il ministro nel suo r a p p o r t o con Cristo e con la Chiesa » 150
3.1.1. «Ognuno ci consideri come ministri di Cristo»
{ICor 4,1) : » 150
3.1.2. // dono di Cristo pastore e la relazione alla Chiesa » 151
3.1.3. // ministro e la dimensione cattolica apostolica ed
escatologica della Chiesa » 154
3.1.4. La caratteristica «spirituale» del ministero » 155
3.2. I compiti del ministero: le missioni apostoliche » 157
3.2.1. Le missioni nella loro pertinenza ecclesiale » 157
3.2.2. // ministero ordinato e il servizio della Parola » 157
3.2.3. Il ministero pastorale » 159
3.2.4. // ministero sacerdotale » 161
4. IL DIACONO PERMANENTE » 163
4.1. La figura sacramentale del diacono » 163
4.1.1. // diaconato nell'insieme dell'ordine ministeriale » 163
4.1.2. «Configurati a Cristo» nel sacramento, i diaconi svol-
gono l'azione ministeriale «in persona Christi» » 163
4.1.3. La particolarità dei compiti diaconali » 164
4.2. Il diaconato «ministero di frontiera»: spunti pastorali » 164
4.,2.1. L'essere laico e ministro ordinato » 165
4.2.2. // diacono e i ministeri laicali » 165
4.3. Valorizzazione del ministero diaconale nella Chiesa » 166
4.3.1. Originalità ed efficacia del servizio diaconale » 166
4.3.2. Creare sensibilità e prospettive di fondo » 166
Capitolo nono
IL M A T R I M O N I O C R I S T I A N O » 169
192
1.2. La dimensione antropologica del matrimonio » 173
1.2.1. Nelle diverse età culturali » 173
1.2.2. La visione personalista dell'età contemporanea » 174
IL MATRIMONIO SACRAMENTO » 176
2.1. Significati teologali del matrimonio » 176
2.1.1. L'amore degli sposi inserito nel mistero di Cristo » 176
2.1.2. Dimensione ecclesiale del matrimonio » 177
2.1.3. La legge nuova dell'amore e l'apertura escatologica » 178
2.2. Caratteristiche specifiche del sacramento » 179
2.2.1. La fedeltà assoluta indicata da Gesù » 179
2.2.2. La celebrazione del matrimonio non ripetibile » 180
PROBLEMI PRATICO-PASTORALI » 183
3.1. Il p r o b l e m a del divorzio e di nuove nozze » 183
3.2. Il matrimonio sacramento e la sua collocazione sociale » 184
3.2.1. // matrimonio ecclesiastico e civile » 184
3.2.2. Prospettive dei nostri giorni » 185
3.3. Il matrimonio: sacramento della fede » 185
3.3.1. Interrogativi sempre attuali » 185
3.3.2. La situazione di persone indifferenti nella fede » 186
193