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(Gv 20,30)

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Giacinto Padoin

«MOLTI ALTRI SEGNI FECE GESÙ»


(Gv 20,30)
Sintesi di teologia dei sacramenti
MANUALI

A. Brusco - S. Pintor, Sulle orme di Cristo Medico. Manuale di teologia pastorale sanitaria
F. Ruiz, Le vie dello Spirito. Sintesi di teologia spirituale
B. Goya, Psicologia e vita spirituale. Sinfonia a due mani
G. Frosini, La Trinità mistero primordiale
A. Montan, Il diritto nella vita e nella missione della Chiesa. 1. Introduzione.
Norme generali. Il popolo di Dio (Libri I e II del Codice)
V. Gatti, Liturgia e arte. I luoghi della celebrazione
M.M. Romanelli, Il fenomeno religioso. Manuale di sociologia della religione
E. Mazza, La celebrazione eucaristica. Genesi del rito e sviluppo dell'interpretazione
B. Goya, Luce e guida nel cammino. Manuale di direzione spirituale
C. Valenziano, Architetti di chiese
Pontificio Consiglio per la famiglia, Famiglia e questioni etiche
P. Gamberini, Questo Gesù (At 2,32). Pensare la singolarità di Gesù Cristo
C. Militello, La casa del popolo di Dio. Modelli ecclesiologici modelli architettonici
G. Padoin, «Molti altri segni fece Gesù...» (Gv 20,30). Sintesi di teologia dei sacramenti
GIACINTO PADOIN

«MOLTI ALTRI SEGNI


FECE GESÙ»
(Gv 20,30)
Sintesi di teologia dei sacramenti

MB
EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA
ABBREVIAZIONI E SIGLE

AG CONCILIO VATICANO II, decreto Ad gentes, 7 dicembre 1965: EV1/1087-


1242.
BEM COMMISSIONE FEDE E COSTITUZIONE DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE
CHIESE, Battesimo eucaristia e ministero, Lima 1982.
CD CONCILIO VATICANO II, decreto Christus Dominus, 28 ottobre 1965: EV
1/573-701.
Denz DENZINGER H . , Enchiridion symbolorum, definitionum et declaratio-
num de rebus fidei et morum, edizione bilingue, a cura di P. H U N E R -
MANN, E D B , Bologna 1995.
DV CONCILIO VATICANO II, costituzione dogmatica Dei Verbum, 18 novem-
bre 1965: EV 1/872-911.
EV Enchiridion vaticanum, 20 voli., E D B , Bologna 1981ss.
IBB CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione sul battesimo
dei bambini, 1980.
LG CONCILIO VATICANO II, costituzione dogmatica Lumen gentium, 21
n o v e m b r e 1964: EV 1/284-456.
OE CONCILIO VATICANO II, decreto Orientalium Ecclesiarum, 21 novembre
1964: EV 1/457-493.
PO CONCILIO VATICANO II, decreto Presbyterorum ordinis, 1 dicembre
1965: EV 1/1243-1318.
RBB Rito del Battesimo dei Bambini, 1969.
RICA Rito dell'Iniziazione Cristiana degli Adulti, 1972.
SC CONCILIO VATICANO II, costituzione Sacrosanctum concilium, 4 dicem-
b r e 1963: EV 1/1-244.

5
PRESENTAZIONE

Redigere una breve prefazione alla presente pubblicazione mi è gradito per


tre ragioni.
Anzitutto, l'autore Giacinto Padoin è presbitero della mia diocesi di Vittorio
Veneto. Ha dedicato gran parte del suo ministero allo studio della teologia in
funzione della formazione culturale degli studenti dello Studio Teologico unito
di Treviso e di Vittorio Veneto, di cui è preside per la sezione di Vittorio Veneto.
Lo studio finalizzato all'insegnamento è stato da lui sempre percepito come vero
ministero di presbitero e non u n a sua appendice.
Ha accostato lo studio della teologia con la passione del credente, e perciò
con la perspicacia e la continuità dell'intelligenza che scruta e decodifica fino
alle sue estreme capacità, senza tuttavia mai scadere nel razionalismo. E proprio
Yintellectus fidei che lo avvince e lo sospinge ad a n d a r e sempre più in profondità,
attraverso l'elaborazione e la rielaborazione, senza sosta, dei dati della fede, e
sempre alla ricerca di un supplemento di luce.
Dalla lettura dei suoi elaborati e delle sue pubblicazioni, quali per esempio
// Pane che io darò (ed. Boria), si coglie un entroterra vastissimo di letture e di
studi comparati. Si capisce che ha affrontato direttamente una dovizia di auto-
ri che h a n n o tematizzato argomenti di teologia da lui prediletti e di cui le note
segnalano a l m e n o le principali opere. Tuttavia egli preferisce n o n infarcire la
sua esposizione di citazioni, ma offre una sua personale elaborazione, che sen-
te valida ed efficace anzitutto per se stesso e, di conseguenza, per gli studenti.
N o n consegna ai lettori se n o n ciò di cui egli per primo è convinto. Di qui la
lucidità di pensiero e la fluidità espressiva, frutto di un travaglio difficilmente
intuibile e anche il rigore logico, sia p u r e carico di passione per i contenuti
esposti. In questo m o d o egli trasmette agli stessi studenti una metodologia di
iniziazione al mistero, accostato con i criteri ermeneutici di u n a teologia fonda-
ta a p p u n t o sulla «fides quaerens intellectum», a cui a p p r o d a la fatica della ricer-
ca razionale.
Ma veniamo alla presente opera.
Desidero anzitutto segnalare la risonanza che ha avuto in me la lettura di
queste pagine, così avvincenti fin dall'inizio, che, q u a n d o si giunge a metà, n o n si
è tentati di sospendere né si continua p e r inerzia. M a n o a m a n o che si procede,
ci si immerge nel flusso di un pensiero coerente e profondo, impreziosito da
intuizioni personali di grande effetto, quasi per istinto. E che, proseguendo, n o n
tradirà le aspettative: vi si troverà ancora qualche cosa che avvince e convince.

7
N o n c'è dubbio che il pregio principale di quest'opera stia nella chiarezza
espositiva, da cui fluisce, nella sua limpidezza, la fede della Chiesa, senza evitare
il confronto con le problematiche più consistenti. Si respira insieme alla Chiesa
la sua coscienza di essere, in Cristo, essa stessa sacramento, che valorizza i sacra-
menti per le varie condizioni di vita dei credenti in Cristo.
Inseparabile dalla chiarezza, ma p u r e ulteriore elemento di chiarezza, è poi
l'articolazione organica della trattazione. G i u n t o alla conclusione, il lettore ha la
sensazione di avere un q u a d r o completo dei dati della fede genuina della Chie-
sa. Espresso in un linguaggio elevato, ma mai complicato. Leggibile dagli stu-
denti di teologia, dai preti, ma anche dai laici che abbiano almeno una certa
conoscenza di teologia, e vorrei dire anche dai catechisti e dalle catechiste che
desiderano fare un b u o n aggiornamento sulla teologia dei sacramenti.
A lettura compiuta, chi legge si sente arricchito. E non a b b a n d o n e r à il volu-
me in biblioteca, ma se lo terrà vicino, da consultare all'occorrenza.
Infine mi sia consentito un cenno a un'esigenza che sempre più si avverte e
che sta a fondamento dello stesso Catechismo della Chiesa Cattolica e del suo
Compendio: si sta e s p a n d e n d o da p a r t e dei credenti o anche di chi è in ricerca, e
fors'anche da chi è sulla soglia, il bisogno di riferimenti n o n aproblematici, ma di
tale chiarezza da essere vere traiettorie che m i r a n o a traguardi che, in qualche
modo, si ha la percezione di toccare con mano, e non nebulose costituite da un'a-
malgama di opinioni tra cui si è costretti a destreggiarsi.
A n c h e questa è una delle caratteristiche di Giacinto Padoin, al quale siamo
grati per la fatica affrontata. C o m e siamo grati alle Edizioni D e h o n i a n e Bologna
che h a n n o ritenuto l'opera degna di essere pubblicata. Meritatamente... e con
l'auspicio di una adeguata diffusione!

'b mons. Giuseppe Zenti


vescovo di Vittorio Veneto
INTRODUZIONE

Nel Vangelo di Giovanni, verso la conclusione, leggiamo:

«Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono scritti in que-
sto libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio
e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,30-31).

I segni, nel linguaggio di Giovanni, stanno a indicare «gesti», «fatti», «parole


e azioni» che rivelano l'identità di Cristo, la sua attenzione per gli uomini e i suoi
interventi pieni di potenza che cambiano le persone.
Ai discepoli del Battista, che gli chiedevano di dichiarare la sua provenienza
e la sua autorità, Gesù aveva risposto:

«Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista,
gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risu-
scitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di
me» (Mt 11,4-6; Le 7,22-23).

I «segni» aprivano ampi squarci sul mistero di Gesù e in vario m o d o lo ren-


devano manifesto, svelavano quel progetto di vita che lo poneva a tu per tu con
la gente, liberandola dagli imprigionamenti del vissuto e a p r e n d o orizzonti di
speranza.
Altri «segni» vennero lasciati dal Signore risorto in eredità ai suoi discepoli
prima di salire al cielo, e questi intendevano segnalare la sua continua fedeltà
verso di loro, la sua presenza operante:

«Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

I «gesti» e i «segni» della vita e quelli indicati d o p o la risurrezione saranno


p u n t o di partenza e filo conduttore di quelli che la storia cristiana chiamerà segni
sacri o sacramenti.
Ai credenti è derivata dagli apostoli la certezza che il Signore continua a far-
si presente lungo la storia. Tante espressioni lo avrebbero segnalato ancora: nel-
le parole t r a m a n d a t e ; in ogni piccola comunità dove «due o tre sono riuniti nel
suo nome»; dove un atto di carità viene compiuto verso un fratello come gesto
di amore: «tutto quello che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avrete

9
fatto a me»; là dove i suoi discepoli annunciano il vangelo nel m o n d o : «chi ascol-
ta voi ascolta me»; e dove un gesto di attenzione e di speranza viene compiuto
nel suo nome: «chi mi testimonierà davanti agli uomini, anch'io lo testimonierò
davanti al Padre mio».
Viene tracciato così, senza soluzione di continuità, un filone di gesti indica-
tori e di a p p u n t a m e n t i che, p a r t e n d o dai giorni della vita terrena di Gesù, pro-
seguono nel tempo, realizzando una trama di incontri personali tra il Signore e
l'umanità da lui amata e salvata. Le comunità dei credenti sono il luogo privile-
giato di questi «segnali» e di questi appuntamenti. Ivi, in tanti modi, i suoi amici
continuano a trovarsi a tu per tu con lui, vivente nello Spirito.
In quest'ottica il concilio Vaticano II, al n. 1 della Lumen genitum scrive:

«La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione
1
con Dio e dell'unità di tutto il genere umano».

La Chiesa dei nostri giorni, proprio a partire dal concilio, ha riletto con fre-
schezza e ampiezza nuova il senso e la profondità del termine «sacramento» e
delle realtà che lo esprimono.
// sacramento «originario» che sta alla base di tutto il mistero della salvezza,
è Gesù stesso, nella sua vicenda di incarnazione e nella sua storia vissuta nel
mondo. Diventato il Risorto, egli ha trasmesso la sua presenza e la sua azione alla
Chiesa e.ha costituito la Chiesa «sacramento fondamentale», nel quale gli uomini
incontrano e accolgono «il Dio con noi». Dalla Chiesa poi derivano e p r e n d o n o
consistenza tutti gli altri «sacramenti» nei quali Gesù continua a realizzare i suoi
eventi di salvezza fino alla fine della storia.
Si p o n e così davanti alla storia dei credenti la verità misteriosa di Gesù il Cri-
sto che si affaccia agli uomini, nello Spirito, e rivela la sua potenza di salvezza in
molte tappe e situazioni della vita.

***

Di questi incontri vogliamo parlare nelle pagine che seguiranno, nell'intento


di evidenziarli nella loro fisionomia, nelle loro sfumature e nella loro impreve-
dibile profondità, consapevoli che, attraverso di loro, il Signore entra in m o d o
sempre nuovo nella storia delle persone.
Li rileggeremo p a r t e n d o dalle pagine degli apostoli, ne scruteremo i signifi-
cati ripercorrendo l'esperienza della Chiesa che li ha celebrati lungo i secoli.
N o n è senza rinnovato stupore che questa «storia delle meraviglie di Dio» si
ripresenta alla ncjstra attenzione.
Meraviglie sono l'accendersi della vita nuova «di figli di Dio» in t a n t e perso-
ne, il d o n o dello Spirito e il mistero della pasqua del Signore che si p o n e a tu per
tu con noi nel cammino quotidiano, e il p e r d o n o che ci è dato, e l'intrecciare la
vita di tante persone con la profondità misteriosa di colui che si dice «Sposo del-
l'umanità» e «Pastore della Chiesa».

1
EV 1 / 2 8 4 .

10
L'intento di questo scritto è quello di presentare, in una visione organica e
motivata, i sacramenti. I loro vari aspetti saranno proposti in termini brevi ed
essenziali, con richiami solo schematici q u a n t o alla trama storica, rinviando, per
un ulteriore approfondimento, agli studi indicati nella vasta letteratura teologi-
ca riportata in nota.
La nostra scelta di procedimento ha dei limiti per q u a n t o riguarda lo svilup-
po di u n a visuale analitica ampia; tuttavia intende offrire u n a visione unitaria e
complessiva, agevolmente comprensibile nel suo insieme e nei suoi valori
profondi.
Ovviamente ci guida la fiducia che il parlare di questi temi, in maniera sinte-
tica e con motivazioni teologiche rigorose e profonde, possa essere accolto con
qualche interesse e utilità e possa offrire stimoli per un approfondimento nella
fede e anche per uno slancio vivo nella missione ecclesiale.

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Capitolo primo

I SACRAMENTI
DALLA PRASSI ALLA TEOLOGIA

La riflessione teologica sui sacramenti ha come p u n t o di partenza, prima che


una ricerca teoretica, un q u a d r o di osservazione sulle esperienze vissute. I sacra-
menti, infatti, n o n sono idee, ma eventi celebrati e vissuti nella Chiesa.
Tutta l'esistenza cristiana si struttura attorno a particolari esperienze di cele-
brazione che sono a p p u n t o i sacramenti. A n c h e la nostra esistenza è segnata, fin
dal suo inizio, dalle esperienze sacramentali, e la vita di ogni comunità cristiana
trova i suoi m o m e n t i centrali nella celebrazione di quei particolari riti che sono
i sacramenti.
Di fronte a questo dato, la riflessione del credente si interroga per darsene
una ragione riflessa:
• C h e cosa sono questi riti?
• Qual è la loro originalità?
• C h e senso e che posto occupano all'interno del vivere cristiano comunita-
rio e personale?
• Che r a p p o r t o h a n n o con Cristo?
• Che valore h a n n o nella Chiesa?
Sono interrogativi che la riflessione del credente si p o n e sempre, di nuovo,
lungo la storia. L'esperienza sacramentale suscita risonanze e interrogativi e
anche difficoltà particolari in questa nostra epoca.
Occorre vedere, sia pure brevemente, come si vive l'esperienza dei sacra-
menti nella Chiesa in Italia in questi ultimi anni, per accogliere i problemi che la
prassi pastorale rivolge alla riflessione teologica.
Negli anni successivi al Vaticano II si è assistito a una notevole e veloce evo-
luzione nella prassi sacramentale all'interno delle comunità«credenti e nella vita
dei singoli cristiani. A t t o r n o a due punti e m e r g o n o le principali constatazioni che
si possono evidenziare.

1. LA LITURGIA DEL VATICANO II

Il Vaticano II, specialmente con la costituzione Sacrosantum concilium, ha


riproposto autorevolmente il significato e il valore della liturgia p e r la vita della
Chiesa.

13
Nei secoli precedenti la celebrazione liturgica si era notevolmente impoveri-
ta ed era divenuta p o c o significativa per la spiritualità dei cristiani. Si e r a n o svi-
luppate, di conseguenza, molte pratiche devozionali, nelle quali trovava nutri-
m e n t o la vita cristiana. Il concilio ha rimesso in luce tutta la ricchezza della cele-
brazione liturgica e ha indicato i principi generali per una grande riforma.
Negli anni immediatamente successivi si è lavorato alacremente al rinnova-
m e n t o della celebrazione liturgica, che ha avuto una particolare polarizzazione
proprio nei sacramenti, quali momenti centrali e solenni della liturgia della Chiesa.
Ricordiamo qualche data:
- nel 1969 viene dato alle comunità il Messale di Paolo VI per la celebrazio-
ne dell'eucaristia;
- sempre nel 1969 viene promulgato il nuovo Rito del battesimo dei bambini;
- nel 1971 il Rito della confermazione;
- nel 1972 il Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti che riattiva nella Chie-
sa l'istituto del catecumenato;
- nel 1973 // Rito della penitenza.
Si è trattato di u n a riforma di portata storica, perché ha rinnovato in m o d o
radicale la celebrazione liturgica, rimasta immobile dal concilio di Trento in poi.
Pensiamo ad esempio che il Messale di Paolo VI costituiva il primo rinnovamen-
to rispetto al Messale di Pio V risalente al 1570.
In pochi anni i cristiani sono stati introdotti a un nuovo m o d o di vivere la
liturgia e, in particolare, i sacramenti. L'introduzione della lingua «parlata» ha
reso comprensibile la celebrazione e la nuova struttura dei riti ha fatto sì che i
cristiani, da «assistenti», ne diventassero «partecipanti attivi» specialmente nella
proclamazione e nell'urgenza vitale della «parola di Dio». La liturgia è stata
riscoperta come «fonte e culmine» della vita cristiana, che per troppi secoli si era
nutrita a fonti accessorie.
C o n questo va sottolineata, nella riforma conciliare, l'importanza dei lezio-
nari inseriti nella liturgia dalla messa e degli altri sacramenti. I testi dei leziona-
ri, ricchi e a m p i a m e n t e espressivi, d a n n o apertura e spazio alla «mensa della
Parola», che non solo ha valore fondamentale quale via originaria nel dialogo di
salvezza, accanto alla «mensa del pane» e dei sacramenti, ma si p o n e come ele-
m e n t o costitutivo nella struttura dei segni sacramentali.
La Parola svela con pienezza nei sacramenti il significato interpersonale e
spalanca i m m e d i a t a m e n t e la t r a m a dialogica dell'incontro con Cristo. In tale
m o d o essi diventano mistagogia (= «parola del mistero»), che n u t r e spiritual-
m e n t e i fedeli.

2. PER UNA NUOVA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI

2.1. Senso di una rilettura teologica

Volendo prospettare una riflessione teologica sui sacramenti oggi, è da vede-


re in che senso e in quale direzione essa si orienta e come ci si fa carico dei dati
dottrinali e dalla riforma del concilio, oltre che della prassi già in atto nella Chie-
sa postconciliare.

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C o m e prima risposta, occorre dire che ci si trova nella necessità di mm tipa*
samento radicale nei confronti della teologia dei sacramenti in generale t r a m a n -
data dal passato. La teologia degli ultimi decenni si è inoltrata e cammina su q u e -
sta via, a noi spetta seguirla.
R i p e n s a m e n t o radicale significa ricomprensione della categoria e del con-
cetto stesso di «sacramento». Per secoli la teologia si è mossa da una definizione
pacifica di sacramento, che, nella versione più comune, suonava: segno efficace
della grazia. Su tale definizione poggiava tutta l'impalcatura della dottrina sacra-
mentale.
La revisione critica, portata avanti recentemente, se da un lato ne ha eviden-
ziato la verità, dall'altro ha sottolineato la forte inadeguatezza di un simile con-
cetto di sacramento e, p e r questo, la teologia si è trovata nella necessità di ripro-
porsi l'interrogativo radicale: che cos'è il sacramento?

Per elaborare una risposta sistematica, occorre tener conto di tre riferimenti:
- la tradizione della fede nella sua totalità (biblica, patristica, magistero,
storia della teologia, storia della celebrazione...);
- l'antropologia, cioè le difficoltà e insieme le possibilità attuali per un lin-
guaggio che parli del «simbolo», della dimensione simbolica della realtà;
- la celebrazione liturgica con le ricchezze scoperte dalla recente riforma;
secondo questa celebrazione si dà oggi, nella Chiesa, il sacramento.

Si tratta di un q u a d r o di riferimento che la teologia del passato aveva perso,


almeno nella sua ricchezza globale. Aveva perso il riferimento significativo alla
celebrazione, che era considerata solo nei suoi aspetti esteriori di precisione
ritualistica e giuridica e aveva impoverito il riferimento biblico e patristico.

2.2. Le piste di una ricomprensione teologica

I punti attorno ai quali sono state avviate le nuove proposte teologiche, con
nuove prospettive di sintesi, sono costituiti anzitutto dai seguenti filoni.

a) Filone storico-salvifico. Alcuni autori seguono un approccio prevalente-


m e n t e biblico, che rilegge i sacramenti sulla trama dei segni della storia
della salvezza emergenti dalle pagine della Scrittura: i sacramenti sono
eventi della storia della salvezza.

b) Filone cristologico-antropologico-ecclesiale. Altri autori rileggono i sacra-


menti a partire da Cristo, «sacramento fontale dell'incontro con Dio»,
riferendo la salvezza dell'uomo all'incontro con Cristo. Tale denominato-
re cristologico-antropologico è stato fatto proprio dal linguaggio del Vati-
cano II, che mette in risalto l'analogicità del termine «sacramento», rap-
p o r t a t o a Cristo, alla Chiesa e ai segni della Chiesa. C o n l'analogia pro-
pria del linguaggio teologico vengono affrontati i problemi che si pongo-
no nei rapporti tra Cristo, la Chiesa e l'uomo redento.

In un simile q u a d r o i sacramenti vengono letti come incontri con Cristo vis-


suti nella Chiesa e nei segni sacramentali.

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In quest'ottica altri problemi si aggiungono: se i sette sacramenti sono auto-
realizzazioni della Chiesa, perché altre realtà della Chiesa - ad esempio la carità,
la Parola, la liturgia in generale - n o n sono chiamate con questo n o m e ?
Se i sacramenti sono l'esprimersi della Chiesa come mistero di salvezza nel-
la storia, qual è il vero volto della Chiesa: l'insieme dei battezzati o dei salvati o
l'insieme di coloro che celebrano i sacramenti? E come si pensa la salvezza, oltre
i sacramenti, nella vita degli uomini?
La risposta a molti interrogativi pervade tutta l'impostazione e lo studio del-
la teologia dei sacramenti dal p u n t o di vista fondamentale. Tale teologia, comun-
que, non p u ò non avere come base portante il riferimento al mistero di Cristo e
alla Chiesa, oltre che alle caratteristiche e ai bisogni dell'uomo redento.

16
Capitolo secondo

QUADRO COMPLESSIVO DEI SACRAMENTI

1
1. I SACRAMENTI «SEGNI» DELL'INCONTRO CON DIO

Volendo focalizzare la fisionomia e il significato dei sacramenti, possiamo


legittimamente intenderli, fin dall'inizio, come «segni» indicati da Gesù per offri-
re agli uomini molteplici incontri con Dio. In tali incontri D i o indirizza all'uomo
i suoi doni, quei doni che Cristo come salvatore è venuto a portare: il dono del-
la sua vita, il dono dello Spirito, il perdono dei peccati, la promessa di una eternità
con lui, l'essere congiunti a lui come membra di uno stesso corpo. I sacramenti
sono vie di comunicazione e di incontro, sono appuntamenti, nei quali noi siamo
posti a tu per tu con il Signore e siamo coinvolti nella sua benevolenza.

1
Ct. Anamnesis. 3.1: La liturgìa, i sacramenti. Teologia e storia della celebrazione, Marietti, Tori-
no 1 9 8 6 ; Capire i sacramenti. Un'esperienza di catechesi degli adulti, a cura di B. PAPASOGLI e F. D ' A -
GOSTINO, E D B , Bologna 1 9 9 3 ; Corso di teologia sacramentaria, I - I I , Queriniana, Brescia 2 0 0 0 ; Incon-
trare Cristo nei sacramenti, a cura di H. LUTHE, EP, Cinisello Balsamo 1 9 8 8 ; C. A. BERNARD, Teologia
simbolica, EP, R o m a 1 9 8 1 ; L. BOFF, / sacramenti della vita, Boria, Roma 1 9 7 9 ; J.M. CASTILLO, Simbo-
li di libertà. Cittadella, Assisi 1 9 8 3 ; L.M. CHAUVET, Linguaggio e sìmbolo. Saggio sui sacramenti, Elle-
dici, Leumann (TO) 1 9 8 2 ; H. D E N I S , / sacramenti e gli uomini dopo il Vaticano II, Elledici, Leumann
(TO) 1 9 8 2 ; G. FERRARO, 1 sacramenti e l'identità cristiana, Piemme, Casale Monferrato 1 9 8 6 ; A. GRIL-
LO, Introduzione alla teologia liturgica, Messaggero, Padova 1 9 9 9 ; L. M A L D O N A D O , Sacramentalità,
sacramenti e azione liturgica, EP, Cinisello Balsamo 1 9 9 7 ; F. MARINELLI, Sacramento e mistero, Piem-
me, Casale Monferrato 1 9 9 0 ; G. MAZZANTI, / sacramenti simbolo e teologìa. 1: Introduzione generale,
3
E D B , Bologna 1 9 9 7 , 2 0 0 3 ; ID., / sacramenti sìmbolo e teologia. 2: Eucaristia, battesimo e conferma-
2
zione, E D B , Bologna 1 9 9 8 , 2 0 0 0 ; M. NICOLAU, Teologia del segno sacramentale, Paoline, Roma 1 9 7 1 ;
FI NOCKE, Dottrina dei Sacramenti, Queriniana, Brescia 2 0 0 0 ; E. QJNEILL COLMAN, Incontro con Cri-
sto nei sacramenti, Cittadella, Assisi 1 9 6 8 ; G. PERINI, / sacramenti. Battesimo, confermazione, eucare-
sia, Studio Domenicano, Bologna 1 9 9 9 ; K. RAHNER, Saggi sui sacramenti e sulla escatologia, EP, R o m a
1 9 6 5 ; C. ROCCHETA, / sacramenti della fede. Saggio di teologia biblica dei sacramenti come «eventi di
salvezza» nel tempo della Chiesa. 1: Sacramentaria biblica fondamentale; 2: Sacramentaria biblica spe-
3
ciale, E D B , Bologna 1 9 8 2 , 2 0 0 1 ; E. RUFFINI - E. LODI, «Mysterion» e «Sacramentum». La sacramen-
talità negli scritti dei Padri e nei testi liturgici primitivi, E D B , Bologna 1 9 8 7 ; J. SARAIVA MARTINS, /
sacramenti della nuova alleanza, Pontificia Università Urbaniana, R o m a 1 9 8 7 ; E. SCHILLEBEECKX, Cri-
7
sto sacramento dell'incontro con Dio, EP, Roma 1 9 7 4 ; T . SCHENIDER, Segni della vicinanza di Dio,
Queriniana, Brescia 1 9 8 3 ; I L . SEGUNDO, / sacramenti oggi, Morcelliana, Brescia 1 9 7 4 ; O. SEMMEL-
ROTH, L'Eglìse sacrament de la redemtion, Ed. Saint Paul, 1 9 6 2 ; F. TABORDA, Sacramenti, prassi e festa,
Cittadella, Assisi 1 9 8 7 ; R. VAILLANCOURT, 'Per un rinnovamento della teologia sacramentaria, D e h o -
niane, Napoli 1 9 8 1 ; L. VILLETTE, Foi et sacrament, I - I I , Bloud & Gay,Tournai 1 9 5 9 .

17
«il Signore è lo Spirito, e dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà. E noi tutti a viso
scoperto [...] veniamo trasformati [...] di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spiri-
to del Signore» (2Cor 3,17-18).

1.2.2. Il farsi presente di Cristo nella Chiesa e nei «segni» della Chiesa

La comunità degli amici scelti da Cristo, la Chiesa, riempita della presenza di


Gesù, diventa segno o sacramento, cioè espressione e luogo privilegiato, dell'af-
facciarsi di Cristo e di molteplici incontri di salvezza con lui.
Nella Chiesa p r e n d o n o spazio e risalto i sacramenti particolari (il battesimo,
l'eucaristia, il p e r d o n o dei peccati). Avranno grande valore e convoglieranno in
unità molte altre espressioni ecclesiali, quali la parola, la preghiera, la carità. Tra-
mite i sacramenti e la Chiesa, Gesù il Signore entra in spirito e verità nella vita
dei singoli, nelle loro situazioni di esistenza, si fa «espressione o comunicazione»
tangibile di salvezza.
I sacramenti sono quegli atti della Chiesa in cui si fa presente in m o d o vero
e operante il Signore Gesù. Egli, parola di salvezza definitivamente vittoriosa, si
congiunge in maniera personale e visibile con l'uomo disposto ad accoglierlo nei
m o m e n t i decisivi della vita. Quello che Gesù, come t a u m a t u r g o e profeta, aveva
detto e fatto nella sua presenza storica nel m o n d o («Ti sono perdonati i pecca-
ti»; «Ricevete lo Spirito Santo») viene ripetuto nella Chiesa. I sacramenti diven-
tano così m o m e n t i nei quali si compiono, nella Chiesa, i più solenni e decisivi fat-
ti di salvezza e si realizza, negli uomini, il «grande corpo di Cristo» che riunisce
tutti i redenti nel progetto della redenzione.
I sacramenti diventano p u n t o emergente in cui convergono la preghiera, la
parola e la carità, per il fatto che in essi il Signore garantisce in m o d o pieno e
o p e r a n t e la sua presenza nei m o m e n t i cruciali dell'esistenza umana. La salvezza
nei sacramenti è «evento» che deriva dalla redenzione della croce e, tramite il
rito sacramentale, la potenza della croce stessa si d o n a agli uomini.
Per questo i sacramenti sono le vette più alte degli interventi che Cristo con-
tinua a compiere nel m o n d o , il più singolare farsi presente di lui nella Chiesa.

2
2. LA STRUTTURA DEI SACRAMENTI

2.1. Incontri con D i o nei segni indicati da Cristo

2.1.1. «Segni» celebrati nella Chiesa

I sacramenti sono segni espressivi di un incontro con D i o in Cristo, non sem-


plici riti religiosi celebrati dall'uomo. Essi m e t t o n o in atto un effettivo r a p p o r t o

2
Cf. Anamnesis. 3.1: La liturgia, i sacramenti. Teologia e storia della celebrazione; VAILLANCOURT,
Per un rinnovamento della teologia sacramentaria; SCHENIDER, Segni della vicinanza di Dio; CASTIIXO,
Simboli di libertà; CHAUVET, Linguaggio e simbolo. Saggio sui Sacramenti; LUTHE (ed.), Incontrare
Cristo nei sacramenti; ROCCHETTA, / sacramenti della fede, I - I I ; MAZZANTI, / sacramenti simbolo e teo-
logia, I - I I ; M. QUESNELL, Aux sources des sacraments. Ceri, Paris 1977.

20
tra D i o e l ' u o m o della storia. Il riferimento a D i o avviene nella fede che è vissu-
ta dalla Chiesa, perché solo in questo m o d o si verifica un effettivo coinvolgi-
m e n t o tra D i o e l'uomo.
I segni sacramentali h a n n o perciò necessariamente una doppia componente:
il porsi in rapporto con Cristo nella fede e nella tradizione teologale della Chie-
sa, e l'essere in riferimento effettivo con l'esistenza dell'uomo.
Se un tale raccordo n o n si compisse, i sacramenti non raggiungerebbero il
loro intento e la loro verità di «eventi d'incontro», ma r i m a r r e b b e r o incompiuti
e inefficaci. In quest'ultimo caso si avrebbero delle semplici pratiche rituali, vuo-
te di u n ' a p e r t u r a trascendente, senza una vera comunicazione con Dio, perché
prive di partecipazione vera nella fede o senza incidenza nella vita.
È doveroso, quindi, precisare il significato teologale dei sacramenti e la loro
incidenza nella vita di una persona. Su questo si fonda il motivo per cui la Chie-
sa li celebra e li richiede e le ragioni delle condizioni poste a chi li pratica.

2.1.2. Nella celebrazione c'è un legame tra la Parola, la fede e la vita

La pratica dei sacramenti è sempre legata alla fede: i sacramenti infatti sono il
p u n t o più alto della fede, perché senza di essa si avrebbero dei puri gesti forma-
li, senza capacità di trascendere il m o n d o u m a n o e senza apertura al mistero di
Dio. Solo la fede li mette in comunicazione con l'azione del Signore, autore del-
la salvezza.
II senso profondo dei singoli sacramenti sta quindi nel riferimento vivo a Cri-
sto, al suo mistero, alla sua azione personale, a tutta la modalità del suo rappor-
tarsi con noi, e p e r questo sono celebrati nella professione della fede e nella pro-
clamazione della «parola di Dio». La parola di Dio, infatti, è sorgente della fede,
e il comunicare con D i o avviene attraverso un dialogo interpersonale, perché D i o
è Spirito e quelli che lo incontrano e lo adorano, lo a d o r a n o in spirito e verità.
Oltre a questo i sacramenti n o n d e v o n o rimanere solo p u r e celebrazioni
liturgiche o rituali, staccate dal vivere quotidiano, ma devono essere espressio-
ni vere e profonde della vita dell'uomo. Il Signore li ha voluti quali incontri tra
D i o e l'uomo, per la liberazione e l'elevazione dell'uomo nelle varie esperien-
ze e nelle t a p p e del suo esistere. Essi riassumono il sentire, il progettare, il crea-
re, il gioire e il soffrire dell'uomo in vista di un incontro liberante e trasfor-
m a n t e con il Salvatore: sono sempre, in vario m o d o , culmine e fonte della vita
dell'uomo.
In essi si intreccia il mistero di G e s ù e la storia dj ogni persona con tutti i
valori dell'esistenza, dal nascere, al crescere, al bisogno di perdono, alla vita
matrimoniale, al servizio nella Chiesa, all'incontro finale con il Signore. Tutte la
realtà dell'uomo, della società e del m o n d o , sono coinvolte nel mistero del
R e d e n t o r e che dona apertura al m o n d o di D i o e c o m p i m e n t o nella pienezza
escatologica.
I sacramenti sono molto più che espressioni di religiosità, come lo è il con-
templare e il lodare D i o di fronte alle bellezze della natura; sono il p u n t o in cui
l'umano è assunto nel divino e il divino entra nella vicenda u m a n a per un inter-
vento creatore del Cristo.

21
2.2. Le cose del mondo mediatrici di incontro

2.2.1. La via della fede e della mediazione delle cose del mondo

Molte sono le d o m a n d e che possono sorgere:

• Perché il p e r d o n o di Dio, che è evento strettamente personale e interiore,


passa attraverso una confessione e una parola di assoluzione?

• Perché il d o n o della vita divina è legato al «sacramento» dell'acqua, o del


p a n e e del vino?

Gli incontri di salvezza h a n n o un riferimento duplice, all'uomo e a Cristo, il


Dio fatto uomo. La struttura e la natura dell'uomo è, insieme, corporea e spiri-
tuale; esplica la sua autenticità tramite relazioni e segni di incontro che fanno rife-
rimento a tutte le dimensioni umane. A n c h e nell'ambito della salvezza che Cristo
è venuto a portare, si ha il coinvolgimento dello spirito e del corpo dell'uomo.
Cristo si m e t t e a contatto con l'uomo nella pienezza del suo mistero di Verbo
incarnato. Égli si è fatto «parte del mondo» per incontrare l'umanità con tutta la
sua storia e ha spalancato all'umanità il desiderio di mettersi in relazione con la
vita di lui che riassume la vita u m a n a e la coinvolge nelle tappe della sua reden-
zione. Egli vuole attuare la salvezza tramite la sua incarnazione, inaugurata con
la sua venuta nel m o n d o e portata a compimento con la sua m o r t e e risurrezione.

E m e r g e qui la portata singolare dei segni sacramentali.


P r o p r i o nella loro dimensione corporea, essi h a n n o aggancio storico e teolo-
gale con la realtà di Cristo, il Verbo fatto carne, partecipe della realtà storica del-
l'uomo in questo m o n d o .
Il discorso della «corporeità» dei sacramenti p u ò essere sviluppato nei
seguenti passaggi:
- // comunicare dell'uomo passa sempre attraverso il corpo;
- il corpo ha valore di «incontro» a tutti i livelli e coinvolge tutto l'uomo nel
bene e nel male, nella rovina e nella salvezza;
- le cose del mondo possono diventare «segni» o «sacramenti» di un rap-
porto con Dio;
- il cosmo è per sua natura «sacramento» dell'incontro con Dio, polarizza-
to in Gesù il Dio fatto uomo.

2.2.2. L'uomo comunica attraverso il corpo

L ' u o m o n o n è un'isola, ma è essenzialmente comunicativo. Realizza la sua


relazionalità attraverso una duplice via: una via esteriore, tangibile, situata nel-
lo spazio e nel t e m p o ; e una via interiore, invisibile, nella quale p r e n d e signifi-
cato il t r a s m e t t e r e o il ricevere un messaggio a livello di c o m p r e n s i o n e e di
interiorità.
Così c'è sempre una doppia dimensione nella comunicazione tra le persone:
c'è il livello esteriore del sentire e del vivere, che p u ò essere registrato da appa-

22
rati tecnici, e c'è un altro livello che n o n p u ò essere mai svelato da mezzi mec-
canici; ma è rivelato dall'«occhio interiore» dell'uomo, «dal cuore».
Q u e s t o è vero ancor più là dove si delinea il r a p p o r t o tra l'uomo e Dio, come
è detto nella Bibbia. D i o vede più a fondo nelle vicende e nei gesti dell'uomo:
«L'uomo guarda l'apparenza, il Signore guarda il cuore» ( I S a m 16,7). Per questa
doppia c o m p o n e n t e è necessario che la comunicazione umana, assieme ai ricor-
di, ai sentimenti e alle idee, trovi dei segni espressivi anche esteriormente, per
essere percepita dall'«occhio interiore».
Perché una stretta di mano, un abbraccio, una carezza tra persona e persona?
Perché attraverso i segni sensibili si rivela e si comunica il flusso e la trasmissio-
ne invisibile dello spirito.

2.2.3. // linguaggio segreto delle cose

A n c h e nelle cose c'è una doppia dimensione: c'è una dimensione fisica e una
dimensione spirituale. D e n t r o le cose è iscritto un significato: c'è in esse come
una falda sotterranea che alimenta le sorgenti, come linfa che scorre segreta e fa
germinare u n a pianta. L'uomo si mette a contatto vero con le cose q u a n d o attin-
ge a questa falda profonda e percepisce, tramite essa, il loro messaggio. Allora le
cose diventano utili, parlanti, belle, sorgenti di energia e piene di valore u m a n o :
l'acqua, l'oro, il m a r m o , l'uranio, la seta acquistano per l'uomo un interesse n u o -
vo e preziosità imprevedibili.
Ogni realtà, infatti, oltre che «esistere», ha dei significati, è sillaba di un gran-
de alfabeto. L'uomo, che n o n è analfabeta, è capace di capire e di interpretare
nelle cose l'annuncio che va oltre l'apparenza. Egli vede nelle cose l'utilità, il
fascino, perfino il tocco di Dio.

2.2.4. L'uomo si realizza nel comunicare

Q u a n d o il contatto tra l'uomo e il m o n d o si fa «rapporto» personale, l'uomo


«umanizza» le cose e realizza se stesso proprio nel contatto con le cose, così
come avviene tra u o m o e uomo.
Il contatto tra le persone, infatti, è veicolo di calore e di tenerezza; p u ò susci-
tare nell'altro apertura e fiducia, p u ò restituire una carica di vita e far sorgere
una risposta personale. L'io si mette in comunicazione con un tu, e la persona si
apre, compie il suo «essere con l'altro» o l'«essere con gli altri» e questo «essere
con» diventa parola, incontro, affetto, gioia di vivere. Q u a n d o questo non avvie-
ne, l'uomo rimane come «muto» o «cieco»; in un certo .modo soffoca la propria
umanità in un cerchio chiuso, senza comunicazione.
La realizzazione piena dell'uomo si ha proprio nel suo porsi in r a p p o r t o com-
pleto con gli altri, nel riferirsi personalmente con gli uomini e con le cose. L'uo-
mo n o n è solitario tra solitari, è parola in dialogo con altre persone e le cose per
lui n o n sono oggetti inerti, ma diventano realtà parlanti, possiedono un'anima.
L ' u o m o le riempie di sé ed esse trasmettono una realtà diversa dalla dimensio-
ne soltanto fisica, diventano comunicazione e relazione interumana.

23
2.2.5. // corpo: luogo d'incontro a livello interpersonale e storico

La relazione interumana e la successione storica sono d u e dimensioni che si


collegano tra loro e h a n n o un raccordo tramite il corpo.
La dimensione storica evidenzia un'esistenza vissuta in un intreccio di espe-
rienze e di rapporti successivi. Alcuni di questi rapporti sono punti nodali, han-
no avuto e h a n n o un peso su tutta la storia successiva di una persona, come cer-
te scelte determinanti, alcuni avvenimenti pubblici o fatti e opzioni collettive.
A l t r e t t a n t o la dimensione sociale disegna lo svolgersi della vita dei singoli (
della collettività in una rete di influssi che si susseguono e si integrano.
In questa doppia direzione di interpersonalità e di storicità, il corpo è sim
bolo reale, cioè anello di trasmissione, luogo di incontro e di travaso.
A t t r a v e r s o la mediazione spazio-temporale del corpo, la persona u m a n
esprime se stessa e realizza il suo dinamismo spirituale. Le espressioni del volt(
il sorriso, i gesti, l'organizzazione dell'ambiente, rivelano l'estro e l'intelligenza (
una persona e la a p r o n o all'attenzione degli altri, arricchiscono il m o n d o uman
e la sua storia o la impoveriscono. L'espressività nella sua dimensione corpore
assume una relazionalità piena nel sentire e nel d o n a r e dell'uomo con l'uomo.
Nella misura in cui i vari gesti umani sono «espressivi», diventano simbo
a t t u a n o una comunicazione viva tra u n a persona e le altre persone e il monde
Tutto questo mostra nella vita u m a n a l'intreccio tra la corporeità e la spi
tualità, senza le quali il corpo dell'uomo rimarrebbe opaco e inespressivo r
suoi valori. U n o p o t r e b b e essere vicino con il corpo, ma assente con il pensie
e con il «cuore», o p p u r e p o t r e b b e vivere una relazione intensa nella lontanar
fisica. Tuttavia il r a p p o r t o u m a n o più pieno ha bisogno sempre della dimensic
dell'interiorità e di quella dei segni corporei: in tale dualità è coinvolta l'espr
sività totale tra la persona e il m o n d o .

2.3. Le realtà del cosmo «sacramenti» d'incontro con D i o

Il rapporto tra le persone e le cose apre anche al r a p p o r t o con Dio. L'es


rienza dell'incontro con Dio p u ò partire da un'idea razionale del m o n d o , n
percezione della dipendenza causale del m o n d o da Dio, o p p u r e da una fede c
ra in un D i o che viene all'uomo e rivela se stesso come creatore e redentore.
Negli inni iniziali delle lettere agli Efesini (ce. 1-3) e ai Colossesi (ce. 1-
venire del Cristo nel m o n d o è rivelato a p p u n t o come una scelta personale p
di amore^come un progetto di elezione, di redenzione, di predestinazione e di
nezza finale o p e r a t a da Dio. Se su tutte le cose c'è un agire di Dio, un aprirs
suo mistero, è urgente percepire il tocco di D i o nella storia u m a n a , nel cosmi
cose sono sostenute da una parola pronunciata efficacemente da D i o per le
fare di D i o è dabàr, e per esso le cose create diventano «traccia», «parola» i
grande discorso, p u n t o di riferimento per messaggi sempre nuovi. Le cos
m o n d o acquistano consistenza e significato nell'orizzonte del mistero di Di

2.3.1. // cosmo «sacramento naturale» di Dio per l'umanità

Tra le molte vie per le quali il D i o trascendente è raggiunto dall'uomo


r a n o anche i segni del cosmo e della storia.

24
In tutte le età e in tutte le culture l'uomo ha captato in m o d o semplice, ma chia-
ro, tracce di D i o nelle cose. Ha colto il m o n d o come un'arpa che svela al tocco le
note di un grande messaggio, il fascino di una bellezza trascendente, la chiamata e
l'accendersi del desiderio di D i o (cf. Rm 1,20). E la certezza di un fondamentale
rapporto con Dio ha fatto sorgere in modi sempre nuovi la nostalgia di un incon-
tro più intenso, personale, attuato faccia a faccia. Così l'incontro che avviene con
Dio attraverso il corpo e le cose p u ò diventare dialogo esplicito, se è vero che Dio
accondiscende di rivolgersi all'uomo con una parola umana, con volto u m a n o .
In vista di un simile incontro, accanto alle forme primitive e universali del
culto (preghiere, sacrifici, misteri, miti, che possono essere detti «sacramenti
naturali»), c'è stato nell'uomo il desiderio di un rivelarsi di Dio tramite il lin-
guaggio u m a n o .
La certezza della corrispondenza di D i o al desiderio dell'uomo si è manife-
stata nelle tappe della rivelazione, è diventata pienezza con il venire di Cristo, il
Dio fatto uomo.

2.3.2. Cristo assume le realtà terrene nei suoi interventi nel mondo

Cristo, per il suo essere D i o incarnato, è stato il segno più espressivo dell'in-
contro con D i o ed è il p u n t o di partenza dei «segni della nuova alleanza», messi
in atto da lui nella sua Chiesa. E tutto questo è vero anche in un m o n d o desa-
cralizzato.
L'estraneità al «sacro» per l'uomo della tecnica, guidato da un intellettuali-
smo razionalista o da un esistenzialismo ateo, n o n p u ò essere mai totale. L ' u o m o
rimane sempre, per sua natura, immerso nella simbolicità, è generatore di sim-
boli espressivi della sua interiorità e teso a decifrare il significato simbolico del
m o n d o nei suoi segreti più profondi e nelle relazioni più decisive.
Se non c'è in lui una religiosità autentica, si affermano dei surrogati attra-
verso forme parallele di religiosità, quali le pratiche segrete, le sette, le supersti-
zioni, i movimenti di provenienza esotica, che sostituiscono in qualche m o d o i
«sacramenti naturali».
I sacramenti della salvezza, pensati da Gesù, si innestano nel bisogno ineli-
minabile dell'uomo di un incontro con Dio, che coinvolga tutto il suo essere. E
per questo che i sacramenti n o n possono essere contestati in m o d o radicale.
Contestare i sacramenti (quali espressioni di incontro con Dio) dal p u n t o di vista
u m a n o è come contraddire il linguaggio dell'uomo, è come disdire lo statuto del-
la propria umanità fatto di corporeità e di spiritualità.

3. L'INSIEME DEI SACRAMENTI NELLA STORIA

3.1. Il numero settenario

La Chiesa latina e le altre Chiese cristiane h a n n o ereditato e celebrato nella


loro storia sette sacramenti, quali vie di salvezza risalenti Cristo.
È vero che, fin dall'inizio, il n o m e di «sacramento» n o n era riservato esclusi-
v a m e n t e a quei sette che la tradizione ha t r a m a n d a t o a noi nel secondo millen-

25
nio. Le realtà sacramentali incluse nel «settenario» sono state presenti nella
Chiesa fin dall'inizio e h a n n o occupato da s e m p r e una posizione di rilievo nella
fede, nella dottrina e nella pietà ecclesiale. Ma l'approfondimento particolare di
tali realtà sacramentali e la loro catalogazione sotto il concetto comune di
«sacramento» e con un n u m e r o specifico, sono avvenuti d o p o l'anno Mille.
Inizialmente o g n u n o dei singoli sacramenti era indicato nelle celebrazioni
col proprio n o m e (battesimo, eucaristia, penitenza...) e il d e n o m i n a t o r e comune
di «sacramento» era allargato pure ad altri gesti rituali (come la benedizione dei
monaci o delle vergini, la consacrazione dei sovrani o delle chiese, la benedizio-
ne dell'acqua, la lavanda dei piedi ecc.).
Il riferire il n o m e e la teologia di sacramento a quelli che saranno detti, con
valore esclusivo, i sette sacramenti, è frutto di un'elaborazione teologica matura-
ta nell'opera e nella ricerca dei maestri medievali. Tale elaborazione è stata
assunta e avallata ufficialmente dal magistero della Chiesa cattolica.

3.1.1. // numero e il significato dei sacramenti nella teologia del medioevo

I maestri delle scuole teologiche, tra la prima e la seconda fase della scolastica,
cioè a partire dal secolo XI, avvalendosi del m e t o d o di ricerca nuovamente affer-
m a t o - il m e t o d o della quaestio - e assumendo le categorie e i termini aristotelici,
hanno dato particolare attenzione alla definizione, al valore salvifico e alla puntua-
lizzazione del numero dei sacramenti. Venne evidenziata così, negli scritti dei teo-
logi, una distinzione netta tra quei «riti sacramentali» che risalivano al Signore nel-
la loro origine, o comunque erano presenti negli scritti degli apostoli - che, quanto
al valore, avevano un'efficacia certa, per il dono della grazia che trasmettevano, e un
carattere di necessità, per la salvezza - rispetto agli altri riti, che presentavano un
valore più limitato nel culto, richiamandosi alla pietà e alla devozione.
I primi vennero denominati sacramenti; gli altri, considerati gesti liturgici di
devozione, v e r r a n n o detti sacramentali.
Nel periodo di ricerca, negli scritti dei maestri più in vista del secolo XII, in
base a sottolineature e accentuazioni diverse, si nota una diversificata cataloga-
zione ed enumerazione dei «sacramenti» cristiani. Ad esempio, U g o di San Vit-
tore e n u m e r a diciotto sacramenti; san Pier D a m i a n i ne elenca dodici; R o l a n d o
Bandinelli (che poi diventerà papa col n o m e di Alessandro III) nelle Sententiae
ne p r o p o n e sette; Pietro L o m b a r d o sette; Algero di Liegi tre.
II p r o b l e m a del n u m e r o n o n ha trovato subito una risposta comune e auto-
revole, finché venne chiarito l'elemento specifico che distingue i sacramenti da
sacramentali.
Alcuni fondavano il criterio «specifico» del sacramento sulla presenza di ui
simbolismo sacro (e in questo senso i segni sacri possono essere molto n u m e r o
si, tanto che san B e r n a r d o poteva dire che i sacramenti sono «innumerevoli»...'
Altri fondavano la diversificazione tra sacramentali e sacramenti sull'efficaci
operatrice di grazia e sul valore esclusivo di un riferimento al Signore quant
all'istituzione; in tal caso il n u m e r o dei «sacramenti» si ritroverà in quell'elenc
ristretto che poi diventerà ufficiale.
È da n o t a r e anche che il n u m e r o sette ha, oltre al resto, il pregio di un sin
bolismo biblico, ad esempio nel richiamo ai sette doni dello Spirito Santo.

26
3.1.2. La definizione dei sacramenti

C o n il n u m e r o dei sacramenti, nel corso dei secoli X I I e XIII, m a t u r e r a n n o


le riflessioni riguardanti la comprensione teologica, il loro valore salvifico, la loro
efficacia di «causalità per la grazia» e il loro derivare dalla parola e dall'istituzio-
ne del Signore.
Si afferma così, parallelamente all'elencazione dei singoli sacramenti, la defi-
nizione che esprime un significato c o m u n e a tutti e sette i sacramenti. Il concet-
to che li esprime viene t r a d o t t o in una definizione. La definizione tipica viene
sintetizzata nei seguenti termini:

«sacramenta significando causant»

che significa: «i sacramenti h a n n o un preciso significato sacro che si traduce in


un effetto di salvezza».
Nel Catechismo di Pio X si dirà:

«i sacramenti sono segni efficaci della grazia istituiti da Gesù Cristo per santificarci».

Spicca in questo tempo, tra i più celebri maestri, l'autorevolezza di Pietro


L o m b a r d o (1090 ca. - 1 1 6 0 ) , maestro della scuola della cattedrale di Parigi e poi
vescovo della stessa città, che nelle sue Sentenze esporrà la definizione e la cata-
logazione dei sette sacramenti a t t o r n o ai punti nodali del significato, del mistero
celebrato e dell'efficacia di salvezza. Il Liber Sententiarum diverrà testo base nel-
la scuola e poi nell'Università di Parigi.
La fondazione dei sette sacramenti in Cristo, la struttura del segno sacramen-
tale, costituito di materia e di forma, e la causalità dei sacramenti saranno i punti
principali della teologia dei sette sacramenti, sviluppati dai maestri della scolasti-
ca. Tommaso d'Aquino (secolo XIII), all'Università di Parigi, e dovunque eserci-
terà il suo magistero, con la Summa Theologiae tratterà profondamente la dottri-
na dei sacramenti tipica di questa età tramandandola alle epoche successive.

3.2. La dottrina dei sacramenti dal medioevo ai nostri giorni

3.2.1. Definizione complessiva dei sacramenti


nella teologia medievale e nella dottrina dei concili

Nel secolo XIII l'affermazione dei sette sacramenti e la linea dottrinale pre-
valente elaborata dai maestri vengono ufficialmente accolte nella Chiesa. Il pas-
saggio dalle conclusioni dei teologi alle affermazioni autorevoli del magistero si
ha nei documenti dei papi e dei concili.

Il p a p a Innocenzo III nel 1208, nella lettera all'arcivescovo di Tarragona sul-


la «professione di fede prescritta ai valdesi», richiede ad essi l'accettazione dei
3
sette sacramenti.

3
Denz 793-797.

27
Nel concilio di Lione (1274) sarà proposto all'imperatore Michele Paleologo
una formula con l'elencazione dei sette sacramenti visti nel loro significato
4
profondo.

Nel t e m p o successivo diventerà c o m u n e e continua la teologia e la dottrina


riguardante l'insieme dei sette sacramenti, con la definizione e le tesi che li
riguardano. Tale dottrina sarà ribadita nei concili di Firenze e di Trento.

// concilio di Trento, in particolare, di fronte alle posizioni di Lutero e dei


riformatori (esse concernevano il n u m e r o dei sacramenti, che era ridotto inizial-
m e n t e a tre; riguardavano l'interpretazione del significato di essi in r a p p o r t o alla
parola di Dio; il ministro celebrante; l'uso del concetto di «carattere» per il bat-
tesimo; la efficacia ex opere operato; la mancanza di risalto nel r a p p o r t o tra p a r o -
la fede e vari aspetti riguardanti il sacramento dell'eucaristia) interverrà nelle
sessioni VII, XIII, XIV, X X I I , X X I I I e X X I V per ribadire e proclamare dottrina
dei sacramenti della Chiesa cattolica.
Il nucleo fondamentale della dottrina dei sacramenti che la teologia del
medioevo e poi la dottrina del concilio di Trento t r a m a n d e r a n n o ai secoli suc-
cessivi, è costituito da una dottrina formulata in termini ontologici, legati a una
visione metafisica propria della tradizione aristotelico-scolastica.
La realtà e il mistero dei sacramenti viene enunciato in termini oggettivi,
a n a l o g a m e n t e al m o d o con cui v e n g o n o descritte le cose del m o n d o e i fatti
della storia, con l'uso delle categorie aristoteliche, della definizione tramite il
«genere» e la «differenza specifica», della «materia» e della «forma» e delle
«quattro cause».
La specificità dei fatti sacramentali sta, in p r i m o luogo, nella loro efficacia
operativa ex opere operato: il sacramento nella sua celebrazione mette in comu-
nicazione immediata con l'evento della pasqua del Signore e la sua volontà di
salvezza.
Il realismo dei sacramenti è ribadito con la formula, diventata classica per
tutti i secoli successivi: «/ sacramenti contengono la grazia che significano».

Questa dottrina è stata t r a m a n d a t a nei secoli successivi fino alla formulazio-


ne in d o m a n d e e risposte sancita dal Catechismo di Pio X per il p o p o l o cristia-
no. Tutta la tradizione storica ha messo quindi sempre in evidenza la certezza
dell'evento di salvezza e il valore operativo e indiscutibile dell'agire di Dio su di
noi.

3.2.2. Accentuazioni del nostro tempo

Ai nostri giorni, senza disdire la continuità nella fede cattolica, viene dato più
attentamente risalto alla dimensione esistenziale, relazionale e personale dei
sacramenti, quali eventi nei quali si attualizza un incontro tra l'uomo e Dio.
Assieme alla certezza nell'intervento creatore di Dio nei sacramenti viene
maggiormente evidenziata la dimensione personale dell'incontro tra D i o e l'uo-

4
Denz 8 6 0 .

28
mo, incontro che si compie nella libertà e nella fede. Di qui è data attenzione par-
ticolare al ruolo primario della parola di D i o in ogni incontro con Dio. Essa ha
un ruolo specifico nella celebrazione dei sacramenti.
La Chiesa non ha mai professato «magie sacramentali», n o n ha mai taciuto il
ruolo e la p a r t e che spetta all'uomo accanto alla parte di D i o (Yex opere ope-
rantis accanto all'ex opere operato). Ad esempio, non afferma che in una cele-
brazione matrimoniale davanti al ministro della Chiesa fluisce c o m u n q u e la gra-
zia del sacramento, anche senza una comprensione e u n ' a p e r t u r a al D i o della
salvezza nella fede. Affinché si verifichi un effettivo incontro di salvezza, si pas-
sa infatti attraverso la parola di Dio, proclamata nella celebrazione e accolta nel-
la fede. Nella parola e nella fede l'uomo si apre al mistero di Dio.

A c c e n n a n d o ad alcuni aspetti nuovi della comprensione m a t u r a t a nel rinno-


5
vamento teologico del secolo X X vanno ricordate quattro dimensioni fonda-
mentali proprie della teologia e della celebrazione dei sacramenti:
la dimensione antropologica, che porta con sé una intersoggettività e un'au-
to-trascendenza per il rapporto con D i o che avviene sempre nella fede;
la dimensione simbolica, emergente nell'espressività del rito e rispon-
dente alla vita dell'uomo celebrante;
- la dimensione storico-salvifica per la quale il fatto di un intervento e di una
proposta divina si intreccia sempre con il fatto di una risposta umana;
- e, da ultima, la dimensione escatologica, che è data dalla speranza garan-
tita nell'evento sacramentale dal Cristo risorto vivente oltre la storia.

3.2.3. // numero dei sacramenti nelle Chiese orientali


e accentuazioni del Vaticano II

Mentre Lutero aveva riconosciuto solo tre sacramenti (il battesimo, l'eucaristia
e la penitenza, in quanto riconducibili all'istituzione diretta del Signore; successi-
vamente ne affermerà solo due, inglobando il segno sacramentale della penitenza
nel battesimo e nell'eucaristia), le Chiese ortodosse non hanno contestato in linea
di principio il numero settenario dei sacramenti affermato nella Chiesa latina.
Si riscontrano di fatto, nella tradizione ortodossa, diverse testimonianze che
a m m e t t o n o il n u m e r o settenario dei sacramenti. Possono essere citate in p r o p o -
sito: la confessione di fede del patriarca Dositéo, nel 1672; la professione di fede
dell'imperatore Michele Paleologo, emessa in occasione del concilio di Lione del
1274 e la lista del m o n a c o G i o b b e Haimartolòs, in u n ' o p e r a inedita del XIII
6
secolo. Resta vero p e r ò che l'attenzione maggiore della teologia ortodossa è
rivolta a considerare nei sacramenti più l'unità che* li caratterizza rispetto alla
molteplicità.

5
Ricordiamo qualcuno dei teologi più celebri della fase precedente e parallela al concilio Vati-
cano II: K. R A H N E R , Chiesa e sacramenti, Morcelliana, Brescia 1966; ID., Saggi sui sacramenti e sulla
escatologia; SCHILLEBEECKX, Cristo sacramento dell'incontro con Dio; O. SEMMELROTH, Teologia della
parola, E P , Bari 1967; J. A U E R - J. RATZINGER, / sacramenti della Chiesa, Cittadella, Assisi 1974; L.
B O U Y E R , Parola e sacramenti nel protestantesimo e nel cattolicesimo, Morcelliana, Brescia 1962.
6
Corso di teologia sacramentaria, 1,448.

29
C'è nei sacramenti un'unità profonda che deriva dal loro radicarsi in Cristo,
nella sua presenza redentrice: egli è il d e n o m i n a t o r e c o m u n e per tutti gli eventi
di salvezza operati nel m o n d o , si tratti dei sacramenti o dei molti segni di sal-
vezza che l'azione invisibile dello Spirito opera. L'unità di fondo deriva dal Cri-
sto incarnato, nel quale si colloca l'impercettibile profondità del mistero destina-
to ad essere vissuto più che definito.
I vari segni sono p r o l u n g a m e n t o del mistero dell'incarnazione, che è stato
sempre alla base della fede proclamata nelle celebrazioni di salvezza del primo
millennio. La costellazione dei molti segni ecclesiali è riconducibile all'unità, sia
p u r e nella loro diversità, per l'azione dello Spirito del Signore che opera nelle
situazioni più diverse.
II fatto che la teologia e la dottrina della Chiesa occidentale abbiano messo
in risalto la specificità dei segni sacramentali della grazia, è dovuto, in primo luo-
go, a un approfondimento di comprensione o p e r a t o dalla lucidità del pensiero
medievale, che ha messo a fuoco il versante u m a n o degli incontri di salvezza,
assieme alla potenza dell'agire indefettibile di D i o che si riferisce all'uomo nel-
le tappe cruciali della vita. Di fronte all'uomo della storia, l'azione di D i o si
afferma con finezza e creatività, sia p u r e nella precarietà delle situazioni umane.
P e r ò nel n u m e r o settenario va intravisto sempre l'unico disegno sapienziale di
Dio, con le sue offerte di salvezza e con le meraviglie della sua misericordia che
porta a compimento la vita dell'uomo.

Ai nostri giorni la teologia cattolica, ispirandosi al r i n n o v a m e n t o del secolo


XX e del concilio Vaticano II, sottolinea con evidenza particolare il collocarsi dei
singoli sacramenti in quella base fondante che è Cristo, fonte dei sacramenti,
sacramento originario, come diceva san Paolo:

«Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani,
cioè Cristo in voi, speranza della gloria» (Col 1,27).

A fondamento di ogni evento sacramentale, c'è sempre Cristo, il Verbo che è


venuto ad abitare nella carne umana. Egli comunica alla Chiesa la sua presenza
e la sua azione. La Chiesa stessa perciò, secondo le espressioni della costituzio-
ne Lumen gentium al n. 1, è riconosciuta come il sacramento primo:

«la Chiesa è in Cristo come sacramento cioè segno e strumento dell'intima unione
7
con Dio e dell'unità di tutto il genere umano».

In proposito è celebre il titolo dell'opera di O t t o Semmelroth che definisce


9,
a p p u n t o la Chiesa Ursakrament, il «sacramento fonte», nel senso che si ritrova
ed è o p e r a n t e in tutti i singoli sacramenti della salvezza.
Su questo sfondo di nuovi accenti evidenziati dal concilio Vaticano II, è sta-
ta messa in atto, negli anni 1965/1975, la riforma dei testi liturgici riguardanti i
sacramenti, con grande sottolineatura per la proclamazione della Parola e per la

1
EV 1 / 2 8 4 .
8
Cf. O. SEMMELROTH, Die Kirche als Ursakrament, Knecht, Frankfurt am Main 1 9 5 3 .

30
partecipazione comunitaria alla celebrazione, e si è tradotto in atto, progressiva-
mente, il cammino ecumenico tra le Chiese cristiane. Esso, rimeditando nel dialo-
go i punti cruciali della fede cristiana, ha riservato un posto di p r i m o piano alla
comprensione e alla celebrazione dei sacramenti, ciò in particolare nel docu-
m e n t o Battesimo Eucaristia Ministero (BEM) del 1982, in vista di altri passi deci-
sivi verso l'unità dei cristiani.

4. I SINGOLI SACRAMENTI E L'INIZIAZIONE CRISTIANA

4.1. I sette sacramenti e la loro relazione organica

I maestri del medioevo, rileggendo le esperienze della Chiesa degli inizi e la


tradizione descritta nell'esperienza dei padri della Chiesa, h a n n o prospettato la
teologia dei sacramenti alla luce di una visione razionale, privilegiando l'oggetti-
vità dell'evento, la definizione e lo schema operativo delle quattro cause. Il magi-
stero della Chiesa ha tramandato, su questo tema, una dottrina espressa in formu-
le precise, che aveva lontane radici nei maestri della scolastica. N o n veniva data,
in questa teologia, un'evidenza particolare al ruolo primario di quei sacramenti
che nella Chiesa antica erano stati detti sacramenti dell'iniziazione cristiana: il bat-
tesimo, Veucaristia e la confermazione, che operano in m o d o definitivo per una
comunione con il Cristo e sono così base dell'impianto di tutta la vita cristiana.
Nei secoli più vicini a noi tutti i sacramenti venivano descritti nella loro figu-
ra e nella loro storia, in un parallelismo di concetti e di categorie comuni.
U n a teologia c o m u n e (riguardante la loro fondazione, il n u m e r o e la loro
specificità rispetto ad altre realtà ecclesiali, la loro necessità per la salvezza del-
l'uomo) non era stata sviluppata nella fase patristica, allorché, piuttosto, si era
preferito l'approccio personale emergente nella celebrazione dei sacramenti
«iniziali» e la priorità di questi rispetto agli altri.
Ai nostri giorni, assieme a una trattazione attenta dal p u n t o di vista storico e
teologico dei singoli sacramenti, ne è stata evidenziata, come nei primi secoli, l'o-
riginalità e la gerarchia, che riconduce l'insieme dei vari sacramenti a un'ellissi
che ha due punti focali: il battesimo e l'eucaristia. D a t o lo stretto legame struttu-
rale e funzionale esistente tra battesimo e confermazione, una priorità fonda-
mentale viene riservata ai tre sacramenti detti dell'«iniziazione cristiana»: il bat-
tesimo, la cresima e l'eucaristia.

9
4.2. I sacramenti dell'iniziazione cristiana

Nella vita di ogni cristiano c'è un inizio dal quale t u t t o p a r t e e al quale tut-
to ritorna, e nel quale viene qualificato l'essere d e l l ' u o m o r e d e n t o . Tale inizio
è contrassegnato dall'ascolto del vangelo, dal sorgere della fede, dalla conver-

9
Cf. La nuova proposta di Iniziazione Cristiana, Elledici, Leumann ( T O ) 1985; D. BOROBIO, La
celebrazione nella Chiesa, Elledici, Leumann ( T O ) 1994; S.H. BOURGEOJS, L'iniziazione cristiana e i
suoi sacramenti, Elledici, Leumann ( T O ) 1987: A. CAPRIOLI, Vi laverò con acqua viva, Ancora, Mila-

31
sione del cuore che culmina nell'immersione nel mistero del Cristo con la
celebrazione del b a t t e s i m o e dell'eucaristia. Ciò risalta b e n e dalle esperienze
delle p r i m e c o m u n i t à cristiane a partire dal libro degli A t t i degli apostoli
(2,37-42; 16,14-15.30-34).
L'insieme degli eventi che d a n n o identità e una piattaforma p e r m a n e n t e alla
vita di ogni cristiano è stato d e n o m i n a t o a p p u n t o il trittico dell''iniziazione cri-
stiana. Veniva utilizzato così un termine c o m u n e nelle tradizioni religiose e nel-
le culture antiche, presso le quali la prima fase della formazione u m a n a e della
vita religiosa era detta «iniziazione».
L'iniziazione non è solo un p u n t o di partenza, che è seguito da un cammino
tutto da inventare, ma è l'inserimento in un m o n d o n u o v o con valore duraturo,
è partecipazione a una sfera di esistenza completamente inedita, creata dallo
Spirito di Cristo.
L'insieme degli eventi dell'iniziazione dà il via creativo alla realtà del «corpo
di Cristo» nel mondo. Si tratta di un inserimento nel Cristo, per d o n o dello Spi-
rito del Cristo. Esso è un inizio o un innesto, che si p o n e in profonda sintonia con
lo stile e le esperienze del vivere u m a n o , ove il nascere di una vita p o r t a con sé
un patrimonio genetico che ha sviluppo, inserisce in u n a comunità e trasmette
valori e legami che permangono.
L'inizio battesimale - p u n t o primo dell'iniziazione cristiana - è analogo
all'incalmo di un r a m o in una pianta che dà il via a una connessione vitale; esso
ha caratteristiche precise, e avrà sviluppo e produttività. In analogia con l'inne-
sto di una pianta è visto l'inizio della vita cristiana.
L'inizio battesimale della vita cristiana è paragonato da san Paolo a un
impianto in Cristo, a un «prendere parte» alla vita, al corpo e al destino di lui. In
questo q u a d r o di significati la tradizione ecclesiale ha così d e n o m i n a t o il batte-
simo: «porta dei sacramenti».
La celebrazione unita dei tre sacramenti iniziali fa intuire la fisionomia uni-
taria dell'iniziazione cristiana, con tutti i suoi significati e il suo polarizzarsi attor-
no a diversi m o m e n t i esperienziali e celebrativi: il sorgere della fede nel Signore,
la conversione della vita che si apre alla sequela di Cristo e all'inserimento nella
comunità cristiana. Il tutto sfocia nella celebrazione liturgica del battesimo, della
cresima e dell'eucaristia.
Q u e s t a triplice c o m p o n e n t e sigla l'essere p a r t e del mistero del Cristo cro-
cifisso e risorto e i n t r o d o t t o nella Chiesa con continuità indefettibile p e r tutta
la vita.

no 1981; A. CECCHINATO, Celebrare la Confermazione, Messaggero, Padova 1987; V. CROCE, Cristo nel
tempo della Chiesa. Teologia dell'azione liturgica, dei sacramenti e dei sacramentali, Elledici, Leu-
mann (TO) 1992; R. FALSINI, L'iniziazione cristiana e i suoi sacramenti, OR, Roma 1986; G. FERRARO,
Isacramenti e l'identità cristiana, Piemme, Casale Monferrato 1986; M. FLORIO - C. ROCCHETTA, Sacra-
mentaria speciale. 1: Battesimo, confermazione, eucaristia, E D B , Bologna 2004; G. GATTI, // lieto
annuncio del battesimo in famiglia, Elledici, Leumann (TO) 1979; R. G I R A R D I , Rinati nell'acqua e nel-
lo Spirito, Dehoniane, Napoli 1982; M.L. G O N D A L , L'iniziazione cristiana, Queriniana, Brescia 1992;
MAZZANTI, I sacramenti simbolo e teologia, I - I I ; C. ROCCHETTA, Cristiani come catecumeni. Rito dell'i-
niziazione cristiana degli adulti, EP, R o m a 1984; R. SCHULTE, L'avvenimento sacramentale della con-
versione nel battesimo (Mysterium Salutis 10), Queriniana, Brescia 1976; B. TESTA, / sacramenti della
Chiesa, Jaca Book, Milano 1995; E.R. T U R A , // Signore cammina con noi. Gregoriana, Padova 1987.

32
Per l'ampiezza dei suoi significati, l'iniziazione cristiana non è riducibile a
una cosa di poco valore, e non si esaurisce nel fatto celebrativo dei tre sacra-
menti, ma è base di partenza di u n a continuità che dura per tutta la vita, colle-
gata alla profondità misteriosa del D i o Trino. Per questo motivo l'iniziazione cri-
stiana rimane oggetto di continua attenzione e verifica nella Chiesa a livello teo-
logico, liturgico e vitale.

4.3. L'iniziazione cristiana nella Chiesa antica

L'iniziazione cristiana ha avuto un notevole sviluppo nella liturgia e nelle


esperienze pastorali e liturgiche dei primi secoli della Chiesa. Dal II al V secolo,
vescovi e maestri pieni di genialità creativa e di santità, quali Giustino, Ippolito,
Cipriano, Cirillo di Gerusalemme, Ambrogio, Giovanni Crisostomo, Agostino e
tutti i grandi padri, h a n n o avviato e consolidato una traccia celebrativa e comu-
nitaria, h a n n o p r o d o t t o catechesi e o p e r e di valore e h a n n o elaborato riti e for-
mule che, ispirandosi alle fonti evangeliche, h a n n o lasciato una ricca eredità nel-
le generazioni successive.
U n o degli aspetti dell'itinerario di «iniziazione» è costituito dalla «disciplina
del catenumenato». Il catecumenato si è sviluppato p a r t e n d o dalle esperienze
delle comunità cristiane dei paesi affacciati sul Mediterraneo, ove si richiedeva
un lungo tirocinio p e r modellare la fisionomia e la vita dei cristiani provenienti
da ambienti estranei alla fede.
L'itinerario del catecumenato (di cui ci è d a t o un saggio antico e q u a n t o mai
prezioso nella Tradizione apostolica di Ippolito di R o m a ) prevedeva in partenza
l'accoglienza dei candidati e una verifica iniziale della vita vissuta in anteceden-
za. Seguivano tre anni di catechesi, nei quali veniva fatto a m p i a m e n t e l'annun-
cio del vangelo e una catechesi sistematica accompagnata da un progressivo ade-
g u a m e n t o della vita allo stile del vangelo - la «conversione» - e da un'introdu-
zione alla vita e alla liturgia della comunità dei cristiani.
I catecumeni vivevano l'ultima fase della preparazione nelle settimane della
Quaresima, assumevano la denominazione di candidati o eletti e si p r e p a r a v a n o
con grande intensità alla celebrazione dei sacramenti dell'iniziazione nella notte
pasquale. I destinatari di questo cammino e r a n o c o m u n e m e n t e adulti, in grado
di approfondire una fede personale e di dare testimonianza di essa con una vita
fedele, anche fino al martirio.
D o p o la celebrazione, seguiva il t e m p o della «mistagogia» nella settimana
post-pasquale, riservato alla riflessione sui «misteri celebrati». L'antico modello
catecumenale, arricchito dalle grandi catechesi dei padri, è rimasto p u n t o di rife-
rimento anche q u a n d o per il formarsi di comunità credenti divenne prevalente
il riferimento dei candidati, alle famiglie e alle comunità.
II formarsi di «comunità cristiane» numerose e la prassi crescente del batte-
simo dei bambini p o r t a r o n o , nei secoli successivi, al distanziamento tra battesi-
mo, cresima ed eucaristia. La responsabilità dell'iniziazione cristiana passò sem-
pre più alle famiglie e alle comunità cristiane.

33
4.4. L'iniziazione cristiana nel nostro tempo

Nel secondo millennio la piattaforma degli inizi della vita cristiana è data
dal battesimo, amministrato ai bambini «al più presto», cioè subito d o p o la
nascita, e seguito dalla confermazione e dalla p r i m a c o m u n i o n e all'età della
ragione. In tale contesto la prassi dell'antico c a t e c u m e n a t o si trasferì (per così
dire) nel q u a d r o educativo delle famiglie e nella partecipazione dei fanciulli
alle celebrazioni liturgiche delle comunità. Un clima di «cristianità» garantiva
il graduale passaggio dei b a m b i n i battezzati nei primi giorni di vita, a un'esi-
stenza di cristiani m a t u r i .
V e n n e a cessare l'unità celebrativa e funzionale dei tre sacramenti iniziali e
anche u n a visione teologica unitaria di essi. Essi a p p a r v e r o s e m p r e più come
t a p p e successive di un c a m m i n o di sviluppo che, iniziato nel battesimo, si accre-
sceva t r a m i t e gli altri sacramenti e m e d i a n t e la partecipazione alla vita della
Chiesa.

4.4.1. L'iniziazione cristiana nel nostro tempo

Negli ultimi cinquant'anni, e nell'esperienza dei nostri giorni, i paesi di anti-


ca cristianità sono entrati in una fase storica segnata da fatti e situazioni nuove
che interpellano le comunità cristiane.
C'è un contesto di scristianizzazione e di secolarizzazione per cui molte per-
sone battezzate si dichiarano non più credenti. È in atto, tramite una migrazione
generalizzata tra tutti i paesi, un intreccio di popolazioni aventi diverse religio-
ni. È evidente per molti cristiani la perdita di un centro unificatore di vita cultu-
rale, per cui una società p r e c e d e n t e m e n t e cristiana è spinta a scelte di vita non
o m o g e n e e e tante volte divaricanti dal vangelo.
Ci sono genitori che chiedono i sacramenti per i figli senza vivere una chia-
ra scelta di fede, di impegno e di solidarietà operativa. E c'è in molti una disaf-
fezione e un distacco nei confronti della comunità cristiana e delle sue propo-
ste. C'è chi dice di credere in Cristo ma n o n nella Chiesa; chi accetta alcuni
sacramenti e ne rifiuta altri, ad esempio la penitenza e il matrimonio; chi dice
bastevole la religione della vita o della fede, senza i sacramenti, e chi fa un*
cernita soggettiva tra le indicazioni morali del vangelo, in particolare nell'am
bito della m o r a l e della sessualità e della vita o stacca la vita dalla prassi sacra
mentale.
A n c h e continuando la richiesta dei «sacramenti dell'iniziazione» per i propi
figli da parte di molti adulti cristiani, non è chiaro fino a che p u n t o «tale pratic
10
sia davvero e s e m p r e una consapevole espressione di fede».

C E I , Evangelizzazione e sacramenti, 1 9 7 3 .

34
4.4.2. La prassi pastorale si apre a una fase nuova

Si p o n g o n o così per i cristiani pressanti interrogativi quali:

• Come piantare in maniera genuina ceppi di nuove esistenze cristiane?


• Come verificare la fede e l'accettazione piena del messaggio del vangelo?
• Come garantire uno sviluppo esistenziale dall'inizio battesimale alla
maturità?
• Come creare comunità cristiane in un tessuto sociologico pluralista e non
omogeneo?

La riflessione teologica sui sacramenti della iniziazione cristiana si colloca


oggi in un insieme di problemi pastorali di vasta portata.
La Chiesa è impegnata a scrutare i segni dei tempi, per delineare indicazioni
operative e ordinamenti liturgici capaci di rispondere nel m o d o più giusto alle
sollecitazioni del nostro tempo.
L'importanza dell'iniziazione cristiana, considerata nella sua globalità, ha
portato il concilio Vaticano II a dare di nuovo risalto all'unità di preparazione e
di celebrazione del battesimo della cresima e dell'eucaristia, con una formula-
zione nuova, con nuove tappe adeguate al nostro tempo. In questa prospettiva il
11
concilio ha e m a n a t o un rito apposito per l'iniziazione cristiana degli adulti.
Per i genitori, i catechisti e i cristiani impegnati si profila sempre più chiara-
m e n t e la consapevolezza delle urgenze che intessono la comprensione dell'ini-
ziazione alla vita cristiana. Al centro dell'attenzione si p o n g o n o anzitutto:

1) una graduale formazione alla fede cristiana compresa, celebrata e vissuta,


che è p u n t o base per un'esistenza cristiana ed ecclesiale;
2) l'esperienza sacramentale del battesimo, della cresima e dell'eucaristia qua-
li m o m e n t i di inserimento autentico e profondo nella pasqua del Signore.

L'iniziazione cristiana si gioca di fatto tra l'apertura genuina di una persona


alla fede e un suo innesto nel mistero del Cristo, segnato dai sacramenti del bat-
tesimo, della cresima e dell'eucaristia.
In questo q u a d r o si profila il compito di rileggere il significato biblico, teolo-
gico e vitale dei tre sacramenti che sono la «pietra angolare» su cui poggia la vita
cristiana. Si profila anche, con sempre maggiore chiarezza, l'impegno a trovare le
vie di u n a prassi nuova dell'iniziazione cristiana per gli adulti come compito di
Chiesa in missione.

11
Cf. SC 64-71: EV 1/115-124; AG 14: EV 1/1121-1125; PO 2: EV 1/1244-1248. Si veda DIOCESI
DI VITTORIO V E N T O , Direttorio per l'iniziazione cristiana, Elledici, Leumann (TO) 1988.

35
Capitolo terzo

IL BATTESIMO

Ogni sacramento viene descritto nella sua identità in primo luogo nella cele-
brazione, che è derivata dagli apostoli (Mt 28,19; Me 16,16; At 2,38-41; 8,29-38;
10,47-48; 16,33; 19,1-7) ed è in atto nella Chiesa. A n c h e per il battesimo vale que-
sta regola. Nel rito battesimale è annunciato il mistero di Cristo crocifisso e risor-
to, che coinvolge la vita di una persona, la trasforma e le trasmette la sua somi-
glianza. Il battesimo è un evento che dà il via a una esistenza nuova, contrasse-
gnata da una comunione di vita con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, destina-
ta a crescere e a compiersi nell'eternità. Un battezzato quindi inizia un cammi-
no di vita che lo rende totalmente «partecipe di Cristo».
P a r t e n d o dal rito del battesimo, si arriva ai significati che esso ha. Il concilio
Vaticano II ha messo in atto, nei riguardi della celebrazione del battesimo, un
rinnovamento che presenta, in m o d o particolarmente espressivo, i valori teolo-
gici e le risultanze vitali e storiche del battesimo stesso.
L'insieme dei libri rituali riguardanti il battesimo, ripensati e rièditi nella
riforma o p e r a t a d o p o il concilio Vaticano II, è costituito da:
Rito del Battesimo dei Bambini (RBB 1969);
- Rito della Iniziazione Cristiana degli Adulti (RICA 1972);
Rito della confermazione (1972).
Le linee di fondo che h a n n o guidato la riforma conciliare, sono state ispirate
agli antichi modelli celebrativi. Da questi è stato ripreso tutto ciò che di autenti-
co e di vitale l'eredità antica ci ha trasmesso, con l'integrazione di q u a n t o la sen-
1
sibilità e le urgenze del nostro t e m p o h a n n o suggerito. I testi rituali sono stati
inquadrati idealmente in u n a trama catecumenale, che sfocia nel q u a d r o unita-
2
rio di tutta l'iniziazione cristiana.

1
SC 64-66: EV 1/115-117.
2
Cf. Anamnesis. 3.1: La liturgia, ì sacramenti. Teologia e storia della celebrazione, Marietti, Tori-
no 1986; // sacramento della fede, a cura di M. ALIOTTA, San Paolo, Milano 2000; Incontrare Cristo nei
sacramenti, a cura di H. L U T H E , EP, Cinisello Balsamo 1988; Iniziazione cristiana e catecumenato.
Diventare cristiani per essere battezzati, a cura di G. CAVALLOTTO, E D B , Bologna 1996; La nuova pro-
posta di Iniziazione Cristiana, Elledici, Leumann (TO) 1985; D. BOROBIO, La celebrazione nella Chie-
sa, Elledici, Leumann (TO) 1994; S.H. BOURGEOIS, L'iniziazione cristiana e i suoi sacramenti, Elledici,
Leumann (TO) 1987;T. CAMELOT, Spiritualità del Battesimo, Elledici, Leumann (TO) 1966; A. CAPRIO-
LI , Vi laverò con acqua vìva, Ancora, Milano 1981; G. CAVALLOTTO, Catecumenato antico. Diventare
cristiani secondo i Padri, E D B , Bologna 1996; V. CROCE, Cristo nel tempo della Chiesa. Teologia del-

37
1. LA CELEBRAZIONE DEL BATTESIMO

1.1. Il battesimo dei bambini nella riforma del Vaticano II

Nella riforma conciliare viene distinta la prassi celebrativa riguardante il bat-


tesimo dei bambini e la celebrazione del battesimo degli adulti nell'insieme del-
l'iniziazione cristiana.
Il rito rinnovato del battesimo dei bambini ha l'intento di adeguare il rito
all'iniziativa e al ruolo che hanno gli adulti nel battesimo dei piccoli e di eviden-
ziare l'unità di partecipazione di tutta l'iniziazione cristiana.
Nel precedente testo rituale risalente a Paolo V (1614), le espressioni e i gesti
di esorcismo e il dialogo per la professione della fede e r a n o inadeguatamente
riferiti alla condizione dei bambini battezzandi; era previsto un dialogo diretto
con i bambini, incapaci ancora di c o m p r e n d e r e e quindi di rispondere. Oltre a
questo, non risaltava con chiarezza il legame del rito battesimale con l'eucaristia.

Nel nuovo rito si riscontrano le seguenti novità:


- maggiore risalto al legame esistente tra battesimo, cresima ed eucaristia
anche là dove la celebrazione li vede di fatto distaccati (RBB 9.22);
si mette in chiaro il carattere comunitario del battesimo: il luogo della
celebrazione è la chiesa parrocchiale (RBB 10) e la celebrazione è fatta
in forma comunitaria, possibilmente per più bambini (ibid. 32); la comu-
nità ha un ruolo attivo nella celebrazione (ibid. 4-7): «è b e n e che tutto il
popolo di D i o p r e n d a p a r t e attiva al rito»;
- la celebrazione assume un tono semplice e gioioso, con dialoghi fatti in
m o d o spontaneo e vivo (RBB 6.7.36);
- da tutto il procedimento traspare il significato teologale della celebrazio-
ne battesimale: il battesimo è un evento creatore nella storia della sal-
vezza, ha un'indole pasquale, è inizio di un c a m m i n o di vita modellata
sul mistero del Cristo m o r t o e risorto.

l'azione liturgica, dei sacramenti, Elledici, Leumann ( T O ) 1992; J. DANIELOU, Bibbia e Liturgia,Vita e
Pensiero, Milano 1958; ID., La catechesi nei primi secoli, Elledici, Leumann ( T O ) 1969; 1. DE LA P O T -
TERIE - S. LYONNET, La vita secondo lo Spirito, A V E , Roma 1967; R. FALSINI, L'iniziazione cristiana e
i suoi sacramenti^OK, R o m a 1986; l a , Battezzati per diventare cristiani, EP, R o m a 1984; J. FEINER -
M. L O R E R (edd.), Mysterium salutis. 8: L'evento salvifico nella comunità di Gesù Cristo, Queriniana,
Brescia 1978, 154-230; G. FERRARO, / sacramenti e l'identità cristiana, Piemme, Casale Monferrato
1986; G. GATTI, // lieto annuncio del battesimo in famiglia, Elledici, Leumann ( T O ) 1979; R. GIRARDI,
Rinati nell'acqua e nello Spirito, Dehoniane, Napoli 1982; M.L. G O N D A L , L'iniziazione cristiana, Que-
riniana, Brescia 1992; H. H A M M A N , Iniziazione Cristiana, Marietti, Genova 1980; M. MAORASSI, Vive-
re l'eucaristia, La Scala, Noci ( B A ) 1978; G. MAZZANTI, / sacramenti simbolo e teologia. 1: Introdu-
3
zione generate, E D B , Bologna 1997, 2003; ID., / sacramenti simbolo e teologia. 2: Eucaristia, battesi-
2
mo e confermazione, E D B , Bologna 1998, 2000; M. QUALIZZA, Iniziazione Cristiana, EP, Cinisello
Balsamo 1996; B. R E Y , Creati in Cristo Gesù, A V E , R o m a 1968; C ROCCHETTA. «Fare» i cristiani oggi.
Il rito dell'iniziazione cristiana degli adulti forma tipica per il rinnovamento delle nostre comunità,
2
E D B , Bologna 1 9 9 7 , 2 0 0 1 ; ID., Cristiani come catecumeni, EP, R o m a 1984; R. RUFFINI, // Battesimo
nello Spirito, Marietti, G e n o v a 1982; B. TESTA, / sacramenti della Chiesa, Jaca Book, Milano 1995;
E.R. T U R A , // Signore cammina con noi, Gregoriana, Padova 1987.

38
Struttura del rito

Il rito, in parallelo con la messa, ha un nucleo centrale che prevede la liturgia


della Parola e la liturgia del sacramento.
Nella linearità del suo svolgimento, esso si presenta come un itinerario che
simboleggia il cammino della vita, con quattro tappe che si svolgono successiva-
m e n t e in una precisa progressione. Esse sono:

- L'accoglienza (RBB 36-40). Alle p o r t e della Chiesa si compie il primo incon-


tro tra la comunità riunita in assemblea liturgica e il battezzando. A n o m e
della comunità parla il ministro e i genitori sono i portavoce del bambino. Tra
il ministro e i genitori si apre un breve dialogo. Viene indicato il n o m e del
battezzando (il n o m e è segno della sacralità e della centralità della persona),
viene rivolta alla Chiesa la d o m a n d a del battesimo, viene tracciato il segno
della croce sul b a m b i n o e viene richiesto un primo impegno ai genitori. Poi
si entra in chiesa tra il canto festoso dell'assemblea.

- La liturgia della Parola (RBB 41-57). Il sacramento nasce sempre dalla fede
e la fede nasce dall'ascolto della parola di Dio. Per questo si proclama la
Parola, alla quale attinge la fede dei genitori. C'è poi la preghiera, che termi-
na in una breve litania e con l'esorcismo: la Parola suscita la conversione e la
conversione è una liberazione che viene dall'alto, in una storia che è dialetti-
ca tra b e n e e male.

- Liturgia del sacramento (RBB 58-74). I protagonisti si p o r t a n o presso il fon-


te battesimale e vengono compiuti i segni del sacramento: la benedizione
dell'acqua (tale benedizione, ripetuta ogni volta con intento pedagogico e
catechetico, rievoca le grandi t a p p e della storia della salvezza); la rinuncia a
satana e la professione di fede. C o n ciò viene fatta una scelta per Cristo, con
l'impegno di t r a d u r r e la fede nella vita vissuta. D o p o un'ulteriore d o m a n d a
circa la libera scelta del battesimo, data l'importanza e la responsabilità del
m o m e n t o , si compie il rito del battesimo. Ad esso fa seguito un'acclamazio-
ne festosa dei presenti. Vengono poi fatti altri gesti rituali che indicano la
dignità del n u o v o battezzato: esso è u n t o con l'olio sacro come sacerdote,
profeta e re; è rivestito con la veste bianca simbolo di Cristo; è acceso p e r lui
il cero alla luce di Cristo e gli v e n g o n o toccate le orecchie e la bocca per
indicare la sua disponibilità ad ascoltare e a p r o c l a m a r e la parola di Dio.

- La tappa conclusiva (RBB 75-80). Il cammino del rito termina all'altare con
un esplicito richiamo all'eucaristia nella quale si concluderà l'iter dell'inizia-
zione cristiana. All'altare si recita la preghiera del Signore. Dall'altare viene
fatto il congedo, che dà il via al cammino della vita nuova. P e r i p a p à e p e r le
m a m m e viene pronunciata alla fine una preghiera di benedizione quale invo-
cazione e auspicio per le loro responsabilità.

Tutto il rito evidenzia l'incontro con il Cristo nella comunità, la partenza di


una vita nella fede, la comunione coinvolgente col mistero del Signore e l'inizio

39
di una storia di salvezza, contrassegnata dall'impegno di conversione, dai simbo-
lismi del rito ed è via verso l'incontro finale con il Signore.
L'attuale rito dà risalto alla «partecipazione» che spetta a tutto il p o p o l o di
Dio nell'azione battesimale (famiglie, genitori, padrini, comunità).
Q u a n t o al ministro del sacramento è ribadita la prassi tradizionale: il ruolo
ministeriale ordinario è riferito ai ministri ordinati (vescovo, presbitero o diacono).

«Nel caso di molti battezzandi - è detto al n. 15 dell'Introduzione del RBB - il cele-


brante può essere coadiuvato da altri presbiteri o diaconi o anche da laici»; «nel peri-
colo di morte,... non solo ogni cristiano, ma chiunque abbia l'intenzione di dare il bat-
tesimo, può, e in certi casi, deve, conferirlo» (ibidem n. 16).

1.2. L'iniziazione cristiana degli adulti

Le linee di fondo che ispirano il rito degli adulti rispondono agli intenti teo-
logico-pastorali che caratterizzano l'ingresso di persone m a t u r e nella realtà cri-
stiana.
3
I padri del concilio avevano richiesto un rituale distinto p e r l'iniziazione cri-
stiana degli adulti e ne avevano motivato l'urgenza con un particolare riferi-
m e n t o ai luoghi di missione. Q u e s t o progetto fu portato a c o m p i m e n t o negli anni
1964-1972 e venne pubblicato col titolo di Ordo Initiationis Christianae Adulto-
rum (OICA) e t r a d o t t o in italiano nel 1978 col titolo di Rito dell'Iniziazione Cri-
stiana degli Adulti (RICA).
Gli intenti e le linee direttrici del RICA sono espresse efficacemente dall'in
traduzione fatta dalla C E I all'edizione italiana:

«Questo Rito costituisce un momento significativo nella progressiva applicazione de!


la riforma liturgica e, in sintesi, di tutte le indicazioni pastorali offerte dalla CEI ne
programma Evangelizzazione e Sacramenti. Esso infatti contiene un complesso c
riflessioni teologiche, di indicazioni pastorali e di azioni liturgiche che vogliono gu
dare l'itinerario di iniziazione alla vita cristiana di un adulto o di un gruppo di aduli
Ma interessa anche coloro che, pur già battezzati, non hanno ricevuto nessuna edi
cazione né catechistica né sacramentale».

Di conseguenza il rito presenta indicazioni di grande valore per il rinnov


m e n t o pastorale in atto nella Chiesa. Si vedono in esso le seguenti linee di fond

• Viene ribadito il primato dell'evangelizzazione, in una pastorale che co


1
duce alla riscoperta personale e progressiva della fede, con un attingere contin
al vangelo in un itinerario di tipo catecumenale.

• È sottolineato lo stretto rapporto tra iniziazione e comunità cristiana. L'i


ziazione cristiana ha come centro propulsivo la Chiesa locale ove, in comunic
con il vescovo e il presbiterio, cammina tutto il popolo di Dio. La parrocchi

3 SC 4 4 - 4 6 : EV 1 / 7 8 - 8 2 ; AG 1 4 : EV 1 / 1 1 2 1 - 1 1 2 5 .

40
vista come il luogo ordinario e privilegiato in cui agiscono con intesa e unità gli
organismi di evangelizzazione, catechesi, liturgia e carità.

• Viene stabilita una stretta e organica connessione tra i sacramenti dell'ini-


ziazione cristiana (battesimo, cresima, eucaristia). Essi i n t e n d o n o p o r t a r e i fede-
li alla maturità cristiana.

• // catecumenato diventa itinerario tipico per la vita di un cristiano. I vesco-


vi italiani auspicano che «questo testo diventi sorgente ispiratrice di iniziative di
evangelizzazione, di catechesi, di esperienza comunitaria».

Struttura dei riti di iniziazione cristiana degli adulti

L'iniziazione cristiana degli adulti si fa con gradualità in seno alla comunità


dei fedeli (cf. RICA 4-7). Sono previsti nella celebrazione quattro tempi, scanditi
da tre gradini corrispondenti.

- // primo tempo è quello del pre-catecumenato che avvia un contatto con il


vangelo e con la Chiesa, con la fede della Chiesa.

- // secondo tempo p a r t e dal rito di ammissione tra i catecumeni (tale rito costi-
tuisce il primo gradino dell'iter celebrativo, dal quale si snoda la strada cate-
cumenale che durerà più anni). Il c a t e c u m e n o entra a far p a r t e della famiglia
della Chiesa tramite la fede e la conversione della vita, e cresce attraverso
la catechesi, il c a m b i a m e n t o di mentalità e di c o m p o r t a m e n t o , la celebra-
zione di particolari riti liturgici e una progressiva testimonianza di fede e di
esistenza.

- // terzo tempo p a r t e dal rito della scelta e dell'iscrizione nel libro dei battez-
zandi {secondo gradino) ed è caratterizzato dalla «scelta o elezione» che dà
inizio alla fase di preparazione ufficiale al battesimo. Esso va dall'inizio del-
la Quaresima alla settimana pasquale. H a n n o luogo in questo t e m p o tre tur-
ni di «scrutini» domenicali (questi m e t t o n o in risalto le storture da sanare e
le qualità positive da rafforzare). Ci sono due «consegne» da effettuare, quel-
la del Simbolo e quella del Padre Nostro e, nella convocazione finale, si com-
pie la «recita del Simbolo» e si celebra VEffetà, il rito del n o m e nuovo e l'un-
zione con l'olio dei catecumeni.

- // quarto tempo si distende d o p o la celebrazione dei sacramenti dell'inizia-


zione che avviene nella veglia pasquale. La celebrazione del battesimo, della
confermazione e dell'eucaristia costituiscono il terzo gradino dell'itinerario di
iniziazione cristiana. Il quarto t e m p o è detto tempo della mìstagogìa, cioè del-
la spiegazione dei misteri celebrati fatta nelle assemblee liturgiche delle
domeniche successive alla Pasqua. La mistagogìa dura tutto il periodo
pasquale. Si raccomanda che il vescovo intervenga - almeno una volta - pres-
so i neofiti per un incontro di catechesi.

41
2. I SIGNIFICATI TEOLOGICI DEL BATTESIMO

2.1. Il simbolismo del rito: l'inizio di un itinerario di vita

Il battesimo, nel linguaggio del rito, esprime una chiara valenza teologica;
esso annuncia che il diventare cristiano comporta un lungo e continuo cammino
fatto nella Chiesa.
Alla Chiesa viene rivolta - nella fede - la d o m a n d a da p a r t e dei battezzandi
e tale d o m a n d a viene ripetuta nella tappe successive, in termini sempre più
impegnativi, fino all'atto battesimale. La Chiesa è la base di partenza del batte-
simo dei nuovi membri. In essa è presente il Signore che ha l'iniziativa nel por-
gere agli uomini il suo d o n o di salvezza.
L'inizio dell'itinerario si compie nell'intreccio tra il desiderio della persona
che chiede il battesimo e si apre a D i o e alla Chiesa, e la benevolenza di D i o che
in Cristo vuole offrire la salvezza tramite i sacramenti. La Chiesa nelle sue p a r o -
le manifesta la gioia dell'amore del R e d e n t o r e verso gli uomini redenti.
L'iter celebrativo dell'iniziazione si compie in una progressione di tappe.
Il c a m m i n o per l'iniziazione è contrassegnato dalla scelta libera di chi si
dispone alla sequela del Signore, dall'esigenza e dalla gratuità del d o n o offerto
in m o d o sempre nuovo, e dal coinvolgimento di padrini e madrine e di tutta la
comunità che testimonia e annuncia il messaggio di Cristo.
L'accoglienza iniziale è espressa in un dialogo semplice e impegnativo: si trat-
ta di un colloquio con Cristo Salvatore che nell'amore vuole riempire tutta la
vita del n u o v o candidato.
La Chiesa, in tutta una serie di incontri con il battezzando, lo guida a lascia-
re quello che è estraneo allo stile di Cristo - a convertirsi - e ad aprirsi progres-
sivamente alla redenzione.
La progressione si ha nell'accoglienza e nell'approfondimento della fede.
La fede a p r e il cuore e la vita a Cristo Signore che indica le n u o v e scelte. La
fede è professata in m o d o solenne nel p u n t o culminante del rito, nell'acqua
battesimale.
Il cammino continua anche d o p o il battesimo, approfondendo la novità del-
la vita in Cristo e la dignità di m e m b r o della comunità dei battezzati.
Il gesto dell'acqua non è solo lo spartiacque decisivo nella vita del cristiano,
ma è un inizio creativo, ha una serie di conseguenze vitali indicate dai diversi
segni postbattesimali. Essi indicano l'appropriazione dei titoli messianici, la
novità dell'esistenza e la configurazione a Cristo. Q u e s t o si ha tramite l'unzione
con l'olio, la veste bianca, il cero acceso, l'imposizione delle mani e, alla fine, con
il riferimento all'eucaristia presso l'altare.
Tutti i segni del rito orientano la vita del battezzato verso il futuro, attingen-
do sempre alla potenza sorgiva del Cristo, fonte della vita nuova. Nel rito sono
ripetute espressioni quali: ricevi «la veste nuova da p o r t a r e senza macchia fino
al tribunale di Cristo Signore»; «illuminati da Cristo, vivete come figli della luce...
e andate incontro al Signore che viene».

42
2.2. Il battesimo evento creatore di vita nuova

Il significato centrale del mistero battesimale sta nel fatto che esso è evento
creatore che si compie «nel n o m e di Cristo». Esso innesta nella m o r t e e risurre-
zione del Signore, è operante per l'azione p o t e n t e dello Spirito Santo, libera dal
peccato, r e n d e figli del P a d r e e crea il corpo della Chiesa.
Il riferimento autorevole a questi valori battesimali è offerto con chiarezza
dai libri del N u o v o Testamento.
Paolo vede nel battesimo il compiersi di un intervento del Cristo che coin-
volge misteriosamente il battezzato nella sua m o r t e e risurrezione:

«quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù siamo stati immersi nella sua morte...»
(Rm 6,4; Col 2,12-15; Gal 3,26-29).

Il battezzato, unito per la potenza dello Spirito all'evento del morire e al


risorgere di Cristo, acquista una «somiglianza» profonda con lui e con il suo
mistero pasquale. Più volte Paolo usa simili espressioni, che indicano coinvolgi-
mento, trasformazione, l'essere impiantati come innesto nel «ceppo vivo» che è
il Cristo crocifisso e risorto.
Tali concetti sono ripetuti in particolare nelle lettere ai R o m a n i e ai Galati:

3
« 0 non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati
4
nella sua morte! Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui
nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del
5
padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati
completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua
6
risurrezione. Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, per-
ché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato.
8
'Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, cre-
diamo che anche vivremo con lui». (Rm 6,3-8).

«Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,27).

Le varie espressioni h a n n o un significato di fondo: si realizza mediante il bat-


tesimo un intreccio vitale con Cristo; i cristiani sono «innestati (impiantati) nel-
la somiglianza della m o r t e e risurrezione» di Gesù e per tale impianto la loro
persona e tutta la loro vita sono intessute nel mistero di lui.
L'essere uniti profondamente con Gesù garantisce e opera la liberazione dal
peccato; si tratta del peccato personale e della condizione di peccabilità con cui
ogni persona viene al mondo. Da tale unione deriva anche la liberazione dall'in-
vincibilità della concupiscenza che trae al male ( R m 6,13), dalle ingiustizie (vv.
13-14), dalle idolatrie varie. Per essa «è spogliato l'uomo vecchio con le sue azio-
ni» dalla legge (v. 14; 7,3-6) e dalla m o r t e (vv. 21-23; Col 3,5-9).
L'innesto in Cristo, oltre che liberare l'uomo dal peccato, produce un'assimi-
lazione al Cristo risorto, crea una condizione nuova, effettua una «creazione
nuova», da cui p r e n d e il via una vita nuova con conseguenze imprevedibili:

43
nella storia di una persona viene tolta l'alternativa tra l'uomo e Dio, per-
ché l'uomo è definitivamente inserito in Dio;
la dialettica esistente in ogni persona tra vita e morte, tra creazione e
distruzione, è risolta in positivo, perché la morte sfocia con Gesù nella
risurrezione che è vita oltre la m o r t e ;
ogni fatto della storia cessa di essere un frammento precario che si
annulla nel t e m p o con t u t t o il suo valore; esso viene inserito profonda-
m e n t e nel mistero di Cristo, trainato dalla dinamica della trasformazio-
ne gloriosa della risurrezione (Col 3,1-4).

2.3. Un solo battesimo per la remissione dei peccati

U n o degli effetti fondamentali del battesimo viene affermato come vittoria sul
d r a m m a del peccato e della peccaminosità sempre presente nell'uomo. Il battesi-
mo è vittoria sul peccato. Questo significato ha avuto un risalto costante nelle pro-
fessioni di fede riguardanti il battesimo. Nel Simbolo niceno-costantinopolitano è
detto: «confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati», e nella tradizio-
ne della Chiesa, a partire da sant'Agostino, ha avuto grande sottolineatura la visio-
ne del battesimo quale evento purificatore dal peccato. In Agostino il perdono del
peccato è riferito, in particolare, alla visione del peccato originale e alla prassi del
battesimo dei bambini. L'evento battesimale segna il passare da una discendenza
4
rovinata dall'eredità del peccato a una storia di persone redente.

Il senso complessivo del r a p p o r t o battesimo-peccato si p u ò concentrare in


alcuni punti nodali. L'incontro con Cristo r e d e n t o r e libera dai peccati p e r s o n a l
e vince quella radice profonda del peccato, nella quale ogni u o m o nasce e diven
ta poi peccatore. Tale radice è costituita dal peccato originale, presente in ogn
persona che viene nel m o n d o ed è leggibile in una triplice valenza, teologale, psi
co-dinamica e storico-sociale.

- A livello teologale il peccato originale è costituito dall'effettiva incapacità c


ogni u o m o che viene nel m o n d o a riconoscere D i o come Padre, ad amari
sopra tutte le cose e ad accogliere la sua parola come n o r m a suprema de
l'esistenza. A ciò si aggiunge l'incapacità di vedere l'uomo come fratell
figlio di Dio. Per tale incapacità radicale ogni u o m o diventerà peccato]
contro Dio e i fratelli.

- A livello psico-dinamico il peccato originale è costituito dall'inarrestabi


tendenza al peccato che è legata alla concupiscenza nella sua valenza neg
tiva; si tratta della triplice concupiscenza di cui parla Giovanni nella s
Prima lettera (2,16). Essa trae l ' u o m o al male tramite la debolezza e
bivalenza della libertà ferita. Per tale condizione ogni persona u m a n a , ir

4
Cf. M. FLIK - Z. ALSZEGHY, Il peccato originale, Queriniana, Brescia 1972.370ss; P. C O D A , i
in Cristo Gesù, Citta Nuova, R o m a 1996,77-84; G. MARTELET, Libera risposta ad uno scandalo, C
riniana, Brescia 1987,84-110.

44
sorabilmente, cade nel peccato dell'egoismo, dell'orgoglio e della sensua-
lità. Si apre così il fronte complessivo del peccato contro Dio, contro l'u-
manità e contro il m o n d o .

- A livello storico-sociale il peccato originale consiste nell'inserimento in un


m o n d o pervaso dal peccato, nel quale ogni u o m o diventerà peccatore. Il
«peccato del m o n d o » è scuola ed eredità ineludibile di male per tutte le
generazioni.

Da una simile condizione di invincibile apertura al peccato, che è detta appun-


to «peccato originale» («peccato del mondo»), l'uomo viene liberato nell'evento
battesimale. Il battesimo è evento escatologico che inserisce nel mistero del
Signore, stabilisce nell'uomo un r a p p o r t o vitale con il R e d e n t o r e , che dà il via a
u n ' a p e r t u r a continua verso un'esistenza redenta. La forza liberatrice del battesi-
mo appare, per un triplice motivo, opposto ai significati del peccato originale.

- Per quanto riguarda il rapporto con Dio, il battesimo inserisce l'uomo, con
atto creatore, in una novità di relazione filiale con Dio. A p r e , m e d i a n t e lo
Spirito Santo, al mistero del D i o Trino. Per tale r a p p o r t o il battezzato assu-
me la capacità di conoscere D i o come «Padre», di rivolgersi a lui secondo
il progetto della salvezza e di amarlo con tutto il cuore: «Lo Spirito attesta
al nostro spirito che siamo figli di Dio». L'uomo r e d e n t o è in grado di rico-
noscere e di trattare gli uomini come fratelli.

- Per l'ambito storico-sociale, il battesimo introduce l'uomo nella struttura


sacramentale della Chiesa, «popolo dei santi», che aiuterà a superare i con-
dizionamenti negativi trasmessi dall'umanità situata nel peccato e a vivere
la carità dei figli di Dio.

- Per la dimensione psico-dinamica, la libertà dell'uomo viene liberata dalla


forza del Cristo, e viene aperta alla continua azione redentiva del Signore,
che opera tramite il suo Spirito sull'uomo redento, per vincere le tensioni
negative della concupiscenza (la concupiscenza, rimane nell'uomo battez-
zato assieme alla sofferenza e alla morte, come condizione p e r m a n e n t e di
scelta e di lotta).

Il battesimo, quale evento p e r m a n e n t e , fa entrare in m o d o d u r a t u r o nel dina-


mismo liberatore di Cristo. Associa vitalmente l'uomo al Signore, e stabilisce, nel
suo r a p p o r t o con Cristo, un p u n t o di partenza sempre n u o v o in vista dell'iter
personale della salvezza.
Con l'evento battesimale «gli esuli figli di Eva» passano da una condizione di
sconfitta inevitabile, alla possibilità di rinnovata vittoria sul peccato. La loro stra-
da è aperta alla costruzione di un'esistenza «santa e immacolata nell'amore»,
secondo l'immagine di Cristo.
Nella comunione con la Pasqua del Signore e nel successivo intervento dei
segni sacramentali, è sempre all'opera nel cristiano la potenza di Dio liberante
dal peccato e costruttiva di santificazione.

45
2.4. Un'esistenza guidata dall'azione dello Spirito Santo

L'innesto nel «Signore Gesù» apre al mistero di D i o Padre, Figlio e Spiriti


Santo.
Introducendo nel mistero pasquale del Figlio, il battesimo conduce a un r a j
p o r t o con il P a d r e e lo Spirito creatore che opera con potenza d e n t r o la vita d<
cristiano:

«Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito» (Gv 3,6

All'avvio di un intreccio di rapporti con la Trinità segue tutta una serie


effetti teologali.

2.4.1. Lo Spirito è effuso nel battezzato con presenza continua e operante

In 2Cor 1,19-22 e altrove si parla del «sigillo», cioè dell'intervento peren


dello Spirito di D i o sull'uomo, che lo fa essere non più incertezza tra il «sì» e
«no», ma lo contrassegna con il «sì» di Dio. Lo Spirito non si smentisce, mi
garanzia del realizzarsi di tutta la novità promessa; è presenza p e r e n n e dell'
contro con il mistero trinitario, che garantisce la certezza per il compimento fii
le della redenzione:

«In luì anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra :
vezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era :
to promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa red
zione» (Ef 1,13-14).

Sant'Agostino e i maestri del medioevo h a n n o d e n o m i n a t o questa prese


definitiva dello Spirito di D i o col termine «carattere», che traduce il ferir
biblico «sigillo» (sfraghìs).
Il senso del carattere è questo: nel battesimo avviene una consacrazi
p e r e n n e e vitale che lega il battezzato a Cristo e allo Spirito. Nel battesimo i
stiani diventano «appartenenza» o «proprietà» della Trinità, «concittadini
santi e familiari di Dio», «eredi secondo le promesse». Per questo il battes
non si ripete più ed è fondamento stabile del «popolo dei battezzati» e della
sione ecclesiale.
La fedeltà di D i o va oltre le infedeltà dell'uomo: Dio è il garante del suo
5
getto, fedele al suo «sì» per la salvezza dell'umanità.

5
Gli antichi padri vedevano nel battesimo lo «sposalizio» di ciascun u o m o con Cristo: un
salizio avviato da Cristo con l'incarnazione, deciso sulla croce e consumato con i singoli m e m t
l'umanità nel battesimo. Tutta la fase preparatoria al battesimo era vista come un periodo di
zamento, che si concludeva con il patto nuziale (nella professione della fede battesimale) e
consumato tramite l'immersione nell'acqua battesimale.

46
2.4.2. Dal «sì» di Dio nello Spirito derivano all'uomo capacità nuove

È messa in atto, oltre alla liberazione dal peccato, l'apertura alla vita divina,
al vivere e al sentire come Dio.
Lo Spirito suscita l'esperienza di Dio, che è Padre e fa conoscere i suoi segre-
ti, fa sgorgare come sorgente zampillante lo stile di D i o e fa partecipare all'e-
sperienza di D i o nella speranza e nell'amore.
Lo Spirito crea tra gli uomini, provenienti «da ogni tribù, lingua, p o p o l o e
nazione», un corpo di fratelli, di «figli del Padre».
Lo Spirito garantisce la caparra dell'eredità, l'«attesa della beata speranza in
vista dell'avvento del nostro D i o e Signore Gesù Cristo».
s

2.4.3. // battesimo è radice della vita teologale e della libertà dei figli di Dio

Nel battezzato si accende un flusso di a m o r e e di speranza, p u r e nelle diffi-


coltà e nelle imprevedibilità della vita quotidiana. Paolo parla di tutto questo
p a r t e n d o dalla propria esperienza. Nel capitolo 8 delia Lettera ai R o m a n i scrive:

«non c'è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù» (v. 1);

«voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spi-
rito di Dio abita in voi» (v. 9);

«la creazione ... attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio» (v. 19);

«[nessuna] creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro
Signore» (v. 39).

In tutte le situazioni c'è un dinamismo divino che conduce a realizzare la


libertà in positivo, quale capacità di orientarsi sempre di nuovo a D i o e alla
comunione con Dio, che è insieme potenza liberatrice ed elevatrice nel Signore.
C'è un r a p p o r t o diretto tra i battezzati e lo Spirito Santo:

«Siamo tribolati... ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguita-


ti, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel
nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro
corpo» (2Cor 4,8-10).

La libertà dei figli di D i o è non solo speranza, che porta ad attendere ciò che
verrà alla fine, ma è già attualità, capacità di a m a r e in* m o d o nuovo, di vincere il
male, di gioire ed essere consolati, pregustando la trasfigurazione finale.

2.5. Il battesimo crea la Chiesa

L'evento della croce e della risurrezione del Signore, apre l'uomo alla poten-
za del Cristo, che redime e divinizza l'uomo, d o n a ai singoli a una comunione
profonda nel «corpo dei redenti». Viene creato il «corpo di Cristo», che supera
le divisioni:

47
«Siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, giudei o greci,
schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito» (ICor 12,13).

Incorporati in Cristo i cristiani vengono concorporati tra loro, formano il


n u o v o popolo di D i o pervaso dalla forza santificante dello Spirito Santo.
La coesione dei cristiani in una famiglia di fratelli è indicata dagli apostoli
con immagini molto limpide ed espressive. I cristiani diventano pietre vive dello
stesso edificio, rami della stessa vite, m e m b r a dello stesso corpo, fratelli di un'u-
nica famiglia, appartenenti a u n o stesso popolo ( R m 6,5; I C o r 10,lss; l P t 2,5-10).
Sono uniti al di là delle differenze di cultura, di razza, di condizione sociale; sono
legati l'uno all'altro, consanguinei tutti del «primogenito dei molti fratelli» (Gal
3,26-28; I C o r 12,13ss). Ne viene un'uguaglianza di dignità pure nei diversi don:
e nelle molteplici disponibilità cui ciascuno è orientato.
Il battesimo unisce nella profondità misteriosa di Cristo - nella fede, nell'a
m o r e e nel dinamismo della vita divina - e nell'intreccio del corpo di lui. Ne
corpo ecclesiale Cristo opera soprattutto tramite sacramenti - «ciò che è proprie
di Cristo passa nei sacramenti della Chiesa» (Leone Magno, Serm. 74) - ed i
messa in atto la missione evangelizzatrice nel mondo.
Così nel battesimo, che è detto da Giovanni una «nuova nascita», apertura c
un individuo alla realizzazione di tutte le potenzialità donate da Dio, parte e ;
dirama la vitalità ecclesiale, con i molti doni e i diversi ruoli esplicitati, com
ripetutamente scrive Paolo.
Si profila qui tutto il dinamismo ecclesiale: l'impegno operativo che coinvolg
ogni battezzato e lo ingaggia nella triplice missione del Cristo, nella profezia, nel
sacerdotalità e nella carità. Il Vaticano II nella Lumen gentium e i documenti coi
seguenti del magistero (ad es. l'esortazione apostolica Christifideles laici) hanr
svolto ampiamente il t e m a della responsabilità creativa dei battezzati nella Chi
sa e nel mondo. L'innesto in Cristo operato dal battesimo è un p u n t o nodale de
la pastorale comunitaria dei nostri giorni, in piena corrispondenza con q u a n
Paolo scriveva in I C o r 12-13.1 carismi che animano il corpo della Chiesa offroi
«uno spettacolo agli uomini, al m o n d o e agli angeli» tramite l'inventiva, l'origin
lità e i servizi che uomini e donne, mossi dallo Spirito creatore, m e t t o n o in at
nella propria vita e nelle scelte compiute sempre di nuovo in mezzo al mondo.

3. IL BATTESIMO DEI BAMBINI: SGUARDO TEOLOGICO-PASTORALE'

3.1. Il battesimo dei bambini nella storia

La pratica di b a t t e z z a r e i b a m b i n i è stata s e m p r e p r e s e n t e nella Chie


Nel N u o v o T e s t a m e n t o n o n la si riscontra esplicitamente, ma la si intuisce
alcune testimonianze, là d o v e famiglie intere venivano battezzate ( A t 16.

6
// battesimo dei bambini. Questioni teologiche e strategìe pastorali, Glossa, Milano 1999; D. G
so, Dobbiamo ancora battezzare i bambini?, Cittadella, Assisi 1972; O. CULLMANN, Dalle fonti del
gelo alla teologia cristiana, A V E , Roma 1971; K. BARTH, Die kirchliche Lehre von der Taufe, E vari
sher Verlag Zollikon, Ziirich 1947; H. SCHLIER, // tempo della Chiesa, Il Mulino, Bologna 1965,17C

48
18,8) o nel parallelismo che Paolo afferma tra circoncisione e b a t t e s i m o (Col
2,11; Ef 2,11-12) e p u r e nel fatto che n o n veniva p o s t o il p r o b l e m a dell'età per
il battesimo.
Nel II e III secolo il battesimo dei bambini viene attestato (in Policarpo, Giu-
stino, Ireneo, Origene, Ippolito, Cirpiano) come prassi normale. Tertulliano è
quasi l'unica voce che fa delle obiezioni contro quest'uso, nel capitolo 18 del De
Baptismo, scritto nei primi anni del III secolo. Ma la sua voce è isolata e porta
argomenti che vennero considerati dagli altri autori «assai posticci».
Da sant'Agostino in poi vengono espresse motivazioni nuove circa il battesi-
mo dei bambini. Esse riguardano la liberazione dal peccato originale, il permet-
tere ai piccoli che m u o i o n o nella primissima età di non essere esclusi dalla sal-
vezza e il riferimento all'azione creativa e preveniente dello Spirito di D i o e del-
la «madre Chiesa».
L'obiezione contro il battesimo dei bambini è riapparsa in m o m e n t i succes-
sivi della storia cristiana. Così negli anni 1524-1530, nell'ambito della Riforma,
gli anabattisti h a n n o contestato il battesimo dei bambini.
Ai nostri giorni il problema si è riproposto dal p u n t o di vista teologico e
pastorale.
Il pastore evangelico Dietrich Bonhòffer, in una conferenza del 1942, p r o p o -
neva una prassi differenziata, p e r m e t t e n d o il battesimo dei bambini in circo-
stanze favorevoli per u n o sviluppo cristiano e rinviando il battesimo all'età adul-
ta in altre situazioni, così che i battezzati potessero sempre formare u n a Chiesa
«confessante».
Karl Barth nel 1943, nel suo scritto Die kirchliche Lehre voti der Taufe, met-
te in discussione il p e d o b a t t e s i m o a motivo dell'incapacità di una fede persona-
le nel bambino, oltre che di un impegno per la vita. Secondo lui, occorre dare
risalto ad altre vie di salvezza nella Chiesa rispetto ai bambini piccoli.
Nell'ambito cattolico, nella pratica pastorale che ha s e m p r e previsto il batte-
simo dei bambini, vengono prospettate delle obiezioni da p a r t e di genitori cat-
tolici, che richiamano le motivazioni di Barth. Essi avvertono l'incapacità del
bambino a esprimere una fede personale e la sua inadeguatezza a fare scelte di
vita; p r o p o n g o n o il rinvio del battesimo a una età in cui colui che viene battez-
zato possa avere una consapevolezza critica, tanto più di fronte a un m o n d o plu-
ralistico e libertario, dove molti non credono più.

3.2. Perché battezzare i bambini

La prassi del battesimo dei bambini è sempre sjata accolta dalla coscienza
che la Chiesa ha di se stessa e del battesimo. I vescovi h a n n o esposto nuova-
m e n t e le ragioni teologico-pastorali del p e d o b a t t e s i m o in vari documenti: nel
Rito del Battesimo dei Bambini, nella Istruzione sul Battesimo dei Bambini (IBB)
della Congregazione per la dottrina della fede (1980) e nel d o c u m e n t o della C E I
su La pastorale nelle situazioni matrimoniali non regolari (1979). E da ricordare
che il p r o b l e m a è trattato pure nel dialogo ecumenico, nel BEM del 1982, ai nn.
8-12, e nel Direttorio per la Famiglia del 1993, ai nn. 231-233.
I motivi che legittimano il battesimo dei bambini sono fondamentalmente i
seguenti.

49
a) battesimo è necessario in quanto via normale per la salvezza. Esso è «
segno e lo strumento dell'amore di Dio che libera dal peccato e comun
ca la partecipazione alla vita divina. Per sé il d o n o di questi beni non pu
essere differito ai bambini» (IBB 28).

b) // battesimo si fonda sull'azione preveniente di Dio che giunge al bambir


attraverso la mediazione della Chiesa e della famiglia (IBB 17.20). Ta
azione di D i o viene prima di ogni risposta. Il battesimo, inserendo il ban
bino nella Chiesa, lo r e n d e partecipe di una comunione di vita nuova ce
tutti i redenti. A t t r a v e r s o i genitori credenti il b a m b i n o viene inserito
un legame positivo che lo sottrae al dominio del peccato e lo fa partecij
dell'alleanza nuova nell'«assemblea dei santi» ( l P t 2).

c) Nel battesimo dei bambini è in atto la fede della Chiesa e dei cristiani ci
presentano i bambini. Chi presenta i bambini dà garanzia per la loro ed
cazione alla fede (IBB 28); per essi «agisce la m a d r e Chiesa che risiede n
santi, poiché essa tutta genera tutti e ciascuno» (Agostino, Ep. 98,5).

3.3. Obiezioni e risposte

D a i principi sopra accennati derivano, per la comunità e per i pastori,


risposte ai problemi che vengono suscitati a livello pratico-pastorale. Le obi
zioni sollevate riguardano, in concreto, la fede, la capacità di scelta, la libertà d
bambini e le opzioni che orientano tutta la vita. Tali obiezioni possono esse
formulate nel m o d o seguente.

• Quale fede può avere un bambino piccolo?


La fede, prima che un fatto di maturità personale, è un dono. L'ambito prin
di tale d o n o è la Chiesa nella quale avviene il battesimo. La fede della Chiesa
antecedente ad ogni scelta personale: essa diventa esperienza ecclesiale n
m o m e n t o celebrativo e si traduce in esperienza personale nella celebrazione d
battesimo e nel cammino della vita che viene inserita p e r m a n e n t e m e n t e in C:
sto. Il battesimo è sempre il «sacramento della fede», per il b a m b i n o come p
l'adulto. La fede che giustifica viene dalla grazia della filiazione che è donata i
D i o nel battesimo. Là sono posti i germi di una vita e di una fede che avram
sviluppo e consapevolezza in tutto il t e m p o dell'esistenza (come avviene per
potenzialità u m a n e di un b a m b i n o che nasce).

• Un bambino ha la capacità di effettuare scelte personali?

Quanto alle scelte personali, chi viene battezzato, è anzitutto «uno che è sce<
da Dio». D i o sceglie già da lontano, dall'eternità e, poi, attraverso precisi inte
venti della storia della salvezza: Cristo ci ha scelto con la sua redenzione coi
piuta p e r tutti, ha offerto a tutti la sua redenzione istituendo il battesimo e
giungere a ciascuno, tramite la Chiesa e le famiglie cristiane, la proposta c
sacramento. U n a tale offerta di Cristo si affaccia a ogni persona con una prop
sta concreta. C o n essa ognuno dovrà fare i conti.

50
• Quale libertà decisionale ha un bambino di fronte alla vita?

La libertà di ogni persona umana di fronte alle scelte della vita non è mai una
libertà totale e assoluta, essa è sempre relativa. In primo luogo ogni libertà è rela-
zionata a Dio. Un bambino che nasce è e sarà sempre creatura di Dio, «ha verso di
lui obblighi imprescrittibili che il battesimo eleva con l'adozione filiale» (IBB 22).
N o n c'è mai nell'uomo u n ' e t à che gli dia una piena autonomia di fronte a
Dio: in tutte le età della vita una persona è tenuta a rispondere a D i o con
coscienza e responsabilità sempre nuove.
Oltre che relazionato a D i o un b a m b i n o è, fin dalla nascita, inserito in una
comunità, è parte di una famiglia, che gestisce la sua vita fisica, biologica e psi-
cologica. Le autodeterminazioni di un b a m b i n o d i p e n d e r a n n o sempre dal mon-
do circostante. È logico che nella consapevolezza di genitori credenti che rice-
vono un b a m b i n o come d o n o di Dio, ci sia la responsabilità di orientarlo a D i o
e di trasmettergli il d o n o della fede. Per i genitori credenti battezzare un bambi-
no n o n significa imporgli abusivamente un onere, ma aprirgli la strada di un
dono, situarlo nella condizione più propizia per la salvezza. Il dilazionare non è,
per i genitori credenti, una particolare attenzione verso il bambino, come non lo
sarebbe il rinviare l'educazione.

• Come fare delle scelte di vita di fronte a un mondo pluralistico?

Circa la collocazione in un mondo pluralistico, è da dire che, anche in una


società caratterizzata da instabilità di valori e da conflitti ideologici, il battesimo
si p o n e sempre come u n ' a p e r t u r a a Dio, ai valori assoluti della vita. A n c h e in una
società non più segnata da una omogeneità cristiana «la famiglia e la Chiesa pos-
sono agire liberamente e quindi d a r e una formazione cristiana» (IBB 24). «Il
popolo di Dio, benché mescolato con la società u m a n a e costituito da diverse
culture, tuttavia possiede una propria identità, caratterizzata dall'unità della fede
e dei sacramenti. Esso è in grado di creare, nei diversi gruppi umani, le strutture
necessarie per la sua crescita» (IBB 26).

• Come può un bambino proporsi degli impegni definitivi per la vita?

Q u a n t o agli impegni definitivi si chiede che nelle famiglie ci sia preparazio-


ne e convinzione che le porti a capire e a vivere il senso del sacramento. Si chie-
de che nelle famiglie che battezzano i bambini ci sia fede e impegno educativo
per la crescita dei loro piccoli.
E necessario p u r e che si verifichi una collaborazione con la comunità, affin-
ché il battesimo di un b a m b i n o sfoci in un ambiente di vita cristiana che aiuti il
formarsi di u n a consapevolezza profonda, di una vita comunitaria e di una matu-
rità vera.
Per questi motivi occorre verificare che le famiglie dei battezzandi - qualun-
que sia la loro situazione, che siano credenti o che vivano in oscurità di fede -
siano disponibili al battesimo riconosciuto nella sua verità teologale e possano
garantire un suo sviluppo vitale.
I documenti citati (La pastorale in situazioni matrimoniali non regolari; Istru-
zione sul battesimo dei bambini, nn. 29-31) indicano la necessità di fissare un

51
periodo adeguato di preparazione al sacramento, proposto come «periodo cate-
cumenale» in luogo della celebrazione affrettata «quam primum» («al più pre-
sto»). La Conferenza episcopale francese nel 1965 aveva indicato questo proce-
dimento e il Rito per il Battesimo dei Bambini, n. 5, lo ha assunto nei seguenti ter-
mini: «Le Conferenze episcopali regionali possono, in aiuto ai parroci, e m a n a r e
disposizioni pastorali, per fissare un più lungo p e r i o d o di preparazione al sacra-
mento».
Il nuovo Codice di diritto canonico al canone 867 prospetta p e r i genitori
l'impegno di battezzare i bambini entro le prime settimane. Per la debita prepa-
razione dice che i genitori «al più presto», anche prima della nascita del bambi-
no, si rechino dal p a r r o c o per chiedere il sacramento per il figlio. In questo qua-
dro i pastori delle Chiese locali devono prevedere per i genitori dei colloqui e
delle catechesi antecedenti alla celebrazione del battesimo.

3.4. I bambini e il battesimo nelle situazioni familiari problematiche

Con genitori poco praticanti, poco credenti o non credenti

Se, per i motivi più diversi, genitori che non sono praticanti, poco credenti o
non sono cristiani, chiedono il battesimo per i loro figli, la Chiesa suggerisce ai
pastori e alle comunità i seguenti orientamenti.
Anzitutto si abbia un atteggiamento di attenzione e di accoglienza persona-
le: c'è sempre con la richiesta del battesimo, in un m o d o più o m e n o cosciente, la
richiesta di un incontro con il Signore. È evidente che vanno previsti momenti
diversi: l'accoglienza, il dialogo successivo e il battesimo. Si cerchi di avviare un
colloquio «perspicace e pieno di comprensione che susciti interesse vero per il
sacramento richiesto e sensibilità p e r la responsabilità che esso comporta». «Se
si creerà con opportuni incontri (anche con la scelta dei padrini e delle madrine
che si p r e n d a n o seria cura del b a m b i n o per l'educazione cristiana) un quadre
con sufficienti garanzie, si darà senza indugio il battesimo come nel caso di fami-
glie cristiane» (IBB 30).
Se le garanzie offerte non saranno sufficienti per lo sviluppo di una fede per
sonale «sarà p r u d e n t e differire il battesimo», tenendosi però in contatto con
genitori. Se non si vedranno vie di buona risposta «si p u ò p r o p o r r e l'iscrizione
del b a m b i n o in vista di un catecumenato all'epoca in cui frequenta la scuola*
(IBB 30).

Con genitorfche vivono in situazioni matrimoniali «non regolari»

Nelle indicazioni dei vescovi italiani circa La pastorale nelle situazioni matri
moniali non regolari (1979) risaltano alcune linee operative.
/ divorziati, i conviventi, gli sposati solo civilmente, se anche n o n conduconc
una vita coniugale secondo il Vangelo, «rimangono m e m b r i del popolo di D i o ii
forza del battesimo, n o n sono esclusi del tutto dalla comunione con la Chiesa;
(n. 16). Essi devono essere aiutati a partecipare, nelle loro situazioni, alla vita d
fede e di carità della comunità cristiana, che si esprime nella celebrazione dell;
parola di Dio, nella preghiera e in atteggiamenti e opere di fraternità (nn. 21ss)

52
«I figli sono del tutto innocenti rispetto alla colpa dei genitori. H a n n o quin-
di diritto a crescere in un contesto affettivo, che n o n solo eviti loro motivi di disa-
gio..., ma li prepari e li aiuti a conoscere e sostenere in forma cristiana quella
situazione. H a n n o diritto a quella educazione u m a n a e cristiana per la quale i
genitori sono i primi responsabili per il legame della carne e del sangue e anche
per il legame della fede» (nn. 49-50).
Se i genitori chiedono il battesimo (o la comunione o la cresima), una simile
richiesta «può rivelarsi momento di grazia non solo per i figli, ma per gli stessi
genitori... indotti a riflettere sulla loro vita secondo il vangelo» (n. 51).
Il battesimo «primo e fondamentale sacramento della fede potrà essere cele-
brato per la fede della Chiesa che p u ò vivere anche nei genitori: i genitori -
a m b e d u e o almeno u n o dei due - possono e d e v o n o garantire che sarà data una
vera educazione cristiana ai loro figli». «In casi di d u b b i o o di incertezza sulla
possibilità o volontà che tale educazione venga data, la pastorale battesimale è
chiamata a rinnovare il ruolo dei "padrini", come vero e proprio "ministero di
catechesi", sempre più importante in una società secolarizzata ed esposta a
n u m e r o s e situazioni matrimoniali irregolari» (n. 52).
Nel caso di genitori conviventi o sposati solo civilmente, ai quali nulla proibi-
sce di regolarizzare la propria posizione, il sacerdote non deve tralasciare un'im-
p o r t a n t e occasione per evangelizzarli, m o s t r a n d o la contraddizione tra la
d o m a n d a del battesimo e il loro stato che rifiuta di vivere il loro a m o r e coniu-
gale da battezzati. «Li inviterà a sistemare, p e r q u a n t o possibile, la loro posizio-
ne, prima di procedere, con le necessarie garanzie di educazione cristiana, al bat-
tesimo del figlio» (n. 53).

53
Tali testi sono espressivi, ma n o n sono interpretabili in senso rigoroso come
attestazione di un sacramento distaccato dal battesimo, n o n offrendo esperienze
parallele e continuità chiara nelle comunità apostoliche. Essi evidenziano piut-
tosto la portata dell'unità ecclesiale che gli apostoli garantiscono con la loro pre-
senza e con l'invocazione e il d o n o dello Spirito Santo sui battezzati.
Più tardi q u a n d o si perfezionerà la prassi del rito della confermazione, si
vedrà nei due testi citati, u n a testimonianza biblica riguardante il sacramento
della confermazione.

Nelle lettere di Paolo ci sono altri testi ove si parla del battesimo nello Spiri-
to: «tali eravate [...] ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustifi-
cati nel n o m e del Signore nostro Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio»
( I C o r 6,11; cf. 12,13; Tt 3,5); e in Eb 6,1-6 si parla «della dottrina dei battesimi e
dell'imposizione delle mani».

Altre espressioni del Nuovo Testamento alludono, più o m e n o apertamente, al


rito e al significato della confermazione. In esse non viene indicato un gesto
sacramentale separato dal battesimo, ma si parla dell'unzione per il d o n o dello
Spirito Santo. Così in 2Cor 1,21-22: «È Dio stesso che ci conferma [...] in Cristo,
e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello
Spirito nei nostri cuori»; e in l G v 2,20-27 «Voi avete l'unzione ricevuta dal San-
to e tutti avete la scienza [...], l'unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e
n o n avete bisogno che alcuno vi ammaestri, ma [...] la sua unzione vi insegna
ogni cosa».
D a i testi che parlano dell'imposizione delle mani e da quelli che parlano del-
l'unzione si p u ò dedurre che la parola «unzione» sta ad indicare la fede donata
simbolicamente col gesto della crismazione. La parola «segno» denota l'azione
del battesimo nello Spirito.
Il concetto di «sigillo» (sfraghìs) (2Cor 1,21; Ef 1,13; 4,30) indica l'intervento
d u r a t u r o dello Spirito Santo, segnalato col segno della croce e con le parole di
Cristo.
Da ultimo l'imposizione delle mani, praticata dagli apostoli con l'invocazio-
ne dello Spirito, era gesto di epiclesi allo Spirito e di appartenenza teologale nel-
la comunità dei santi.
Nel senso complessivo i diversi gesti vanno ricondotti all'unità dell'iniziazio-
ne battesimale, che comprendeva l'immersione battesimale, l'unzione e l'imposi-
zione delle mani.

1.2. L'iniziazione dal II al V secolo

La figura specifica della confermazione come sacramento a u t o n o m o non


appare con identità chiaramente definita nel passaggio tra la fase delle comunità
apostoliche e quella i m m e d i a t a m e n t e successiva.
Dalle testimonianze del N u o v o Testamento e da quelle dei primi padri viene
prospettata l'iniziazione cristiana come un tutto unito, con due poli chiaramente
distinti nel loro significato e complementari, quello del battesimo e quello del-

56
l'eucaristia. A t t o r n o all'uno o all'altro polo viene elaborata u n a trama rituale
ampia.
Prima troviamo descritto dettagliatamente il polo dell'eucaristia (nel II seco-
lo in Giustino), poi il polo del battesimo (ben tracciato nella Tradizione di Ippo-
lito, nel III secolo). Nel polo battesimale era convogliata anche l'unzione e/o
l'imposizione delle mani, che poi costituiranno il nucleo originario della confer-
mazione nel suo staccarsi dal battesimo.
Fuori da questi due nuclei non s'è parlato, prima del medioevo, della confer-
mazione come di un terzo nucleo sacramentale.
Nei secoli IV-V in occidente si avverte, nell'ambito dei riti battesimali, una
sottolineatura dell'intervento riservato al vescovo al termine dell'immersione bat-
tesimale. Un'evoluzione ulteriore condurrà a un distacco del rito riservato al
vescovo rispetto al rito dell'acqua amministrato dal presbitero e dal diacono. Si
p o t r e b b e p a r a g o n a r e lo sviluppo celebrativo dell'intervento del vescovo nei «riti
battesimali» a un tralcio che viene interrato e fatto rispuntare a distanza, così da
dare origine a un vitigno nuovo.
Seguendo i dati fornitici dai testi patristici si p u ò notare che dal III al V seco-
lo (precedentemente n o n si ha u n a sufficiente documentazione) l'iniziazione
battesimale era distribuita nei seguenti passaggi:
- periodo catecumenale
- riti battesimali
- riti postbattesimali.
L'ultimo dei riti postbattesimali ha modalità diverse nelle varie Chiese: esso
fa parte della celebrazione del battesimo ed è riservato al vescovo. Tale rito con-
siste nell'imposizione delle mani e nell'unzione con l'invocazione dello Spirito
Santo e nell'abbraccio di pace dato dal vescovo ai neofiti.
In occidente spicca la testimonianza di Ippolito nella Traditio apostolica
(capitolo 21). Ivi, d o p o il battesimo, si pratica una prima unzione ad opera del
presbitero con l'olio b e n e d e t t o e una seconda unzione per mano dal vescovo con
il crisma sulla fronte - la signatio (segno di croce) - con l'imposizione delle mani
e il bacio di pace. Tutti questi gesti rituali sono compiuti d o p o l'immersione bat-
tesimale e avvengono prima dell'eucaristia.
L'ultimo gesto rituale, senza del quale il rito battesimale non è completo, è
quello del vescovo che unge con l'olio consacrato e invoca lo Spirito Santo sul
neobattezzato.

Espressioni diverse nelle diverse Chiese segnalano, nei gesti conclusivi del
battesimo, un'analoga ritualità.

- Nella Chiesa africana Tertulliano (De Baptismo, capitoli VII-VIII)


descrive il gesto conclusivo come una «unzione con il crisma e u n ' i m p o -
sizione della m a n o per invocare e d o n a r e lo Spirito Santo».
Ambrogio (De Mysteriis) attesta per la sua Chiesa un segno di croce
quale «signaculum spiritale» e un'unzione per i sette doni dello Spirito
(usa anche il termine «confirmatio» riferito a Cristo).
- Girolamo (Contra Luciferianos) sottolinea un'imposizione delle mani
d o p o il battesimo per il d o n o della fede.

57
- Agostino (De baptismo contra Donatistas) segnala, d o p o il lavacro, l'un-
zione per lo Spirito Santo, il rivestimento con le vesti candide, l'imposi-
zione delle mani per il d o n o delle lingue e la consignatio finale.
- Tra i padri orientali, Cirillo nelle Catechesi parla di un'unzione con l'o-
lio profumato, il myron, che fa partecipi di Cristo. L'imposizione delle
mani n o n è nominata.

L'imposizione delle mani, anche se di uso antichissimo, aveva di per sé molti


2
significati e per tale motivo, secondo L. Ligier, n o n era ritenuta da tutti un rito
specifico nella prassi battesimale. I padri siriaci (Teodoro, Efrem) attestano
un'unzione prima del battesimo, e una dopo, la signatio crucis sulla fronte.

1.3. Dalla Chiesa patristica all'alto medioevo

1.3.1. Verso un rito della «confermazione» distaccato dal battesimo

Nella varia documentazione patristica si avverte u n a continuità tra il battesi-


mo e il rito postbattesimale, che c o m p r e n d e l'unzione e/o l'imposizione delle
mani per il d o n o dello Spirito con l'intervento del vescovo.
La presenza e il ruolo del vescovo nel rito acquista t a n t o più rilievo, q u a n t o
più il moltiplicarsi dei gruppi ereticali e scismatici evidenzia la necessità dell'u-
nità ecclesiale e dell'integrità della fede di cui è garante il vescovo stesso. Così
dal IV al V secolo il rito battesimale si polarizza sempre più chiaramente su due
fuochi: l'immersione nell'acqua per la rinascita e il segno postbattesimale (unzio-
ne, segno di croce e/o imposizione delle mani per il d o n o dello Spirito, compiuti
dal vescovo).
Il vescovo, col suo intervento, p o r t a a c o m p i m e n t o i riti battesimali, testimo-
nia la continuità con gli apostoli, l'unità della Chiesa universale e l'ortodossia di
fronte alle eresie. Tutto questo è siglato con l'invocazione e il d o n o dello Spiri-
to Santo.

Nella Chiesa greco-orientale il riferimento al vescovo era considerato effetti-


vo, anche là dove e r a n o i presbiteri a celebrare i riti, perché veniva usato il cri-
sma, il myron, consacrato dal vescovo il Giovedì santo. Ivi i presbiteri p o t e v a n o
celebrare in m o d o completo e unito il battesimo, l'unzione crismale e l'eucaristia.

In occidente, q u a n d o il vescovo era assente al rito del b a t t e s i m o c o m p i u t o


da un presbitero, il b a t t e z z a t o veniva p o r t a t o successivamente, e n t r o pochi
giorni, dal vescovo e questi compiva l'unzione e l'invocazione p e r il d o n o del-
lo Spirito.

2
LIGIER, La confirmation, 223-235. Il gesto dell'imposizione delle mani, nel N u o v o Testamento,
era aperto a molti significati, quali: benedizione (Me 10,16), invocazione e dono della salute agli infer-
mi (Le 13,13; Me 8,23), conferimento di compiti (At 6,6; l T m 4,14; 2Tm 1,6), riconciliazione ( l T m
5,22); e inoltre: compimento dell'iniziazione battesimale con l'invocazione dello Spirito (At 8,17; 19,6;
E b 6,2).

58
U n a simile eventualità acquistò s e m p r e più spazio nelle Chiese latine già nel
300, nel caso che un candidato fosse impedito a motivo di malattia (sinodo di
Elvira in Spagna), e dal 400 in poi, a motivo del moltiplicarsi dei centri battesi-
mali nelle campagne nelle grandi diocesi, suddivise in t a n t e parrocchie che cele-
bravano il battesimo. Q u e s t a divenne u n a situazione prevalente in Sardegna, nel
Nord-Italia, in Spagna e in Francia. Dalle comunità battesimali presiedute dai
presbiteri, si avviò la prassi di condurre i battezzati successivamente dal vescovo
per l'imposizione delle mani e l'unzione.
La «confermazione» del vescovo intendeva essere compimento del battesi-
mo. Essa infatti lo completava col rito dell'imposizione delle mani e l'invocazio-
ne dello Spirito Santo. Il termine confermazione, usato ufficialmente nei sinodi
di Riez (439) e di O r a n g e (441), nel sud della Gallia, indicava i riti compiuti dal
vescovo come conferma e compimento del battesimo, con l'invocazione dello
Spirito Santo. La parola cresima, in uso nei secoli successivi, indica invece l'un-
zione del vescovo (il termine è stato m u t u a t o dal verbo greco krìzo - «ungo», da
cui deriva la parola krìsma = «unzione»).

1.3.2. Nell'alto medioevo

Nel 500-700 il distacco tra i riti «battesimali» e la «confermazione» divenne


normale e quest'ultima acquistò una fisionomia a sé stante, già nel Sacramenta-
rio Gelasiano. Essa comprendeva una breve liturgia con la professione di fede
battesimale, una preghiera, l'unzione e l'imposizione delle mani e il saluto del
vescovo.
Nella situazione delle Chiese e u r o p e e dell'alto medioevo, si verificò p u r e il
fatto che la pratica della cresima perdesse considerazione presso i cristiani, così
da essere trascurata da molti. Ciò appare, ad esempio nell'omelia di Pentecoste
scritta verso il 470 dal vescovo Fausto di Riez.
A t t o r n o al Mille la confermazione ha già una lunga storia di celebrazione a
sé stante, con un rito tutto proprio. Dal 1100 e 1200 verrà indicato dai concili e
c o m m e n t a t o dai teologi il valore del «sacramento della confermazione», che ren-
de «soldati di Cristo», d o n a la grazia della maturità cristiana e la forza per com-
battere nei campi della vita. Esso viene ricevuto all'età di 4-7 anni ed è elencato
nel n u m e r o dei sette sacramenti.

2. LA CONFERMAZIONE E IL «DONO DELLO SPIRITO SANTO»

2.1. II ceppo comune tra battesimo e confermazione

Il battesimo e la confermazione hanno dunque un ceppo comune nel significa-


to e nella celebrazione. Ciò era ben evidenziato nella tradizione liturgica della Chie-
sa dei primi secoli, che celebrava in unità i tre sacramenti dell'iniziazione cristiana.
Al centro dell'evento vissuto in unità, stava la vita del cristiano, che nel fatto batte-
simale realizzava la sua nuova nascita per l'azione dello Spirito, e con l'imposizione
delle mani e l'unzione postbattesimale riceveva, col d o n o dello Spirito Santo, la
spinta suscitatrice di forza nel cammino di tutta la vita, fino all'esito finale.

59
Il battesimo crea l'inizio della vita cristiana, rende fratelli di Cristo, figli di
Dio e m e m b r i della Chiesa. La confermazione invoca lo Spirito Santo, per il
d o n o della crescita, della maturazione e per una garanzia di pienezza nel vivere
cristiano fino all'incontro finale con il Signore.
Il significato del d o n o della cresima e il suo r a p p o r t o con il battesimo è mes-
so in evidenza dall'analogia tra l'iniziazione cristiana e i grandi fatti della storia,
ove lo Spirito Santo, molte volte e in molti modi, fa sorgere realtà nuove nell'iti-
nerario della salvezza e porta ciò che era iniziato a un progressivo sviluppo e
compimento.
Q u e s t o si p u ò leggere nella creazione iniziale, nell'umanità liberata dal
diluvio, nell'incarnazione di G e s ù , nel sorgere della Chiesa. Lo Spirito creato-
re ha d a t o esistenza al m o n d o ; ha fatto partire l'alleanza; ha d a t o esistenza ter-
r e n a al V e r b o incarnato nel seno della Vergine; ha fatto sorgere la Chiesa degli
apostoli la sera della Pasqua. Oltre a dare inizio a eventi nuovi, lo Spirito di Dio
ha portato avanti successivamente le realtà e le scelte già avviate: ha guidato gli
ebrei nell'esodo; si è d o n a t o ai profeti e ai re, facendoli diventare guide del
p o p o l o di D i o ; è sceso su G e s ù nel G i o r d a n o indicandolo c o m e inviato del
P a d r e e d a n d o ufficialità e carisma teologale alla sua o p e r a di profeta itine-
r a n t e e di Messia; è sceso sugli apostoli nella Pentecoste, d o n a n d o loro intelli-
genza e fortezza per svolgere la missione loro affidata e p e r l'annuncio del van-
gelo nel m o n d o intero.
Ciò che è avvenuto nella storia dell'umanità, nell'antico Israele e nella vita
di Cristo, avviene nella vita personale di ogni u o m o reso partecipe della nuove
alleanza. Nel battesimo una persona è fatta nascere a una vita nuova per la for
za creante dello Spirito, e nella cresima il battezzato è perfezionato e condotto ;
realizzare nello Spirito il cammino iniziato nel battesimo.

2.2. La «grazia» della cresima: il dono dello Spirito Santo

Il d o n o di grazia, che è proprio della cresima, p u ò essere evidenziato richk


m a n d o le parole d e t t e dal vescovo nella confermazione, q u a n d o i m p o n e le mar
e fa l'unzione con il crisma: «Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è d a t o i
dono». Nella cresima è invocato il «dono dello Spirito Santo» affinché discend
sul cristiano c o m e nel giorno della Pentecoste.
Lo Spirito interviene s e m p r e nei m o m e n t i più decisivi della vita soprann;
turale, ma nella cresima è invocato e d o n a t o dalla Chiesa non in vista di un inte
vento «funzionale» (per o p e r a r e un effetto particolare), ma come d o n o total
come una àuto-consegna dello stesso Spirito di Dio che si fa presenza definitiv
Si verifica nella confermazione l'affacciarsi dello Spirito che viene al cresim
to come «persona a persona» in tutta la sua libertà e pienezza. Il cristiano acqi
sta così la certezza di un rapporto personale con la persona dello Spirito Santo
Dio, che è disponibile per lui in modo continuo e definitivo. Ciò a p p a r e b e n e c
senso delle parole del rito: «Ricevi lo Spirito Santo in persona che si dona a
per sempre».
Ciò che lo Spirito dona, viene dalla sua libertà divina, dalla sua poter
creatrice, dalla sua capacità di «inventare» e realizzare la vita del cristiano.
Nel sacramento del «ministero ordinato» lo Spirito è invocato e d o n a t o ;
garantire ai vescovi, ai sacerdoti e ai diaconi il compimento di un servizio aut

60
lieo nella Chiesa in n o m e di Cristo; nella confermazione viene invocato e donato
Io Spirito in persona, perché tramite la sua presenza e la sua azione indefettibile,
la vita iniziata nel battesimo cresca nella fedeltà e nell'amore, e si realizzi nel bat-
tezzato un'esistenza ecclesiale aperta all'unità e alla missione. Nel sacramento
della confermazione, dunque, ha un risalto particolare una doppia dimensione,
quella teologale e quella ecclesiale.

23. «Fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno» (Gv 7,37)

23.1. Lo Spirito è sorgente sempre nuova della vita divina

Il battesimo dà il via a un innesto e a un'assimilazione a Cristo e a un rap-


porto vivo con la Trinità. Il m o m e n t o celebrativo n o n è un m o m e n t o onnicom-
prensivo di tutta la vita; è solo partenza di una storia, è apertura protesa verso
l'avvenire. La vita divina che è iniziata nel battesimo si traduce in esperienza vis-
suta, oltre la misura della volontà dell'uomo (da solo l'uomo sarebbe disperso
nella precarietà!), ma disegnata dalla potenza creante di D i o che interviene di
continuo sull'uomo. Un tale intervento, sempre nuovo, è o p e r a t o dallo Spirito
che, facendosi dono personale, diventa «sorgente zampillante», «soffio creatore»
che alimenta la vita, comunica il suo a m o r e e trasmette l'esperienza del sentire
di Dio e la garanzia del compiersi dell'eredità promessa.
Ai discepoli il Signore aveva promesso lo Spirito, che li avrebbe aperti a tut-
ta la verità, li avrebbe condotti per m a n o nella realizzazione della comunità nuo-
va e della missione. E in questo senso che lo Spirito viene d o n a t o a colui che è
diventato «figlio di D i o nel battesimo», facendosi presenza creativa che apre di
continuo il battezzato alla comunione con la Trinità nel cammino della vita. Il
mistero trinitario entra così sempre di più nel vissuto dell'uomo, che p u ò testi-
moniarlo al di là di tutte le debolezze umane, giacché fiumi di acqua viva zam-
pillano in coloro che credono (cf. Gv 7,37).
La logica del d o n o dello Spirito, aprendo la creatura al mistero, fa sperimenta-
re la verità dell'essere «figli nel Figlio» che gridano a Dio «Abbà»;fa percepire di
essere nell'attesa del compiersi delle promesse, aperti alla speranza: lo Spirito atte-
sta che se siamo figli, siamo anche eredi, partecipi della sua gloria (cf. Rm 8,16-25).
Si ha un passaggio di continuità e di progressione rispetto alla fede battesi-
male. La fede battesimale, p a r t e n d o dalla «professione dei misteri della fede», è
tappa d'inizio, focalizzata anzitutto nell'oggetto del proprio credere (fides quae
e avvio dell'esperienza vivente della fede, della fides qua). Il dono dello Spirito
crismale trasmette una comprensione intima del Dio Tnno, che cresce e apre la
strada a un'intuizione «mistica» per la testimonianza resa dallo Spirito, che è
anticipo o «caparra» (arrabòn) della visione finale.
La percezione della vita di Dio, che si ha nella «esperienza profonda della
fede», viene dallo Spirito di Dio. N o n p u ò essere gestita o garantita o accresciu-
ta dalla volontà umana; è comunicazione che viene «dall'alto». Di fronte ad essa
Vuomo (e la Chiesa stessa) non hanno altra possibilità che quella di pregare, di
chiedere allo Spirito che apra la m e n t e e il cuore alle profondità di Dio. A tale
scopo la Chiesa nel sacramento crismale guida i suoi figli a invocare sempre di
nuovo lo Spirito creatore.

61
2.3.2. Sacramento della preghiera e dell'amore teologale

In virtù del libero dono dello Spirito, l'uomo è posto in atteggiamento di pre-
ghiera. L'unica parola che egli p u ò rivolgere allo Spirito di Dio è l'invocazione:
«Vieni Santo Spirito!». Per tale motivo il sacramento della cresima è detto
«sacramento della preghiera», perché le modalità e il c o n t e n u t o del pregare sono
3
espressi tipicamente nel segno sacramentale della confermazione. Essa è invo-
cazione (epiclesi) dello Spirito Santo:

«Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nem-
meno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo stesso Spirito intercede
con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili [...] egli intercede per i credenti secon-
do i disegni di Dio» (Rm 8,26-27).

// «dono» dello Spirito trasmette una nuova capacità di amare, trasmette cioè
l'esperienza della relazione amorosa che le Persone divine vivono all'interno del-
la Trinità. L'amore teologale diventa apertura, dono, servizio:

«Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che
sono stati chiamati secondo il suo disegno [...] Chi ci separerà dunque dall'amore d
Cristo?» (Rm 8,28-39).

La vita teologale ha il suo immediato riflesso nella vita morale. L'opzione tr<
b e n e e male, inclusa nella scelta battesimale, diventa decisione forte di front*
alle contrarietà e alle tentazioni della vita, per la garanzia del «dono dello Spiri
to» che va oltre ogni scacco o fallimento. Per colui che è segnato da tale d o n o s
apre la strada della gioiosa libertà dei figli di D i o nella testimonianza dell
verità. In questo senso la tradizione medievale, acquisita poi dalla teologia e dal
la catechesi, chiamava i cresimati «soldati di Cristo».

3. IL DONO DELLO SPIRITO E IL CRISTIANO NELLA CHIESA

3.1. Lo Spirito cementa la Chiesa come comunità viva

Nella costituzione Lumen gentium al n. 11 è scritto a proposito della confe


mazione:

«Col sacramento della confermazione il loro [dei fedeli] legame con la Chiesa vie
reso più perfetto, vengono arricchiti di una forza speciale dello Spirito Santo e so
tenuti più strettamente a diffondere e a difendere la fede con la parola e con l'az
4
ne, come veri testimoni di Cristo».

La confermazione crea, tramite un dinamismo spirituale, l'unità strutturali


dinamica della Chiesa.

3
Cf. LIGIER, La confermazione, 2 7 1 - 2 7 6 .
4
EV 1/313.

62
La Chiesa nella sua unità interiore è fondata sul battesimo. P e r ò tale unità
non è mai un fatto totalmente compiuto, è u n a realtà che si costruisce nella sto-
ria, in forza del d o n o dello Spirito sul popolo ecclesiale.
Il sacramento crismale dà alla Chiesa la consapevolezza della sua verità cat-
tolica e apostolica, dell'essere unita nell'esperienza della fede e della carità, del
progressivo inserimento nel Signore, segnalato dall'accoglienza e dal riconosci-
m e n t o vicendevole nel collegio apostolico e dalla trama dei vincoli sacramenta-
li e di missione.
Lo Spirito Santo, invocato e donato nel sacramento della cresima, è sorgente
di un progressivo realizzarsi del corpo ecclesiale, che si compie nella sequela del
Cristo capo, nei rapporti interpersonali del «popolo nuovo», nel s u p e r a m e n t o
degli individualismi, delle estraneità, delle divisioni e, p u r e nelle differenze di
cultura, nella costruzione di una direzione comune.

3.2. II ministero del vescovo nella celebrazione crismale

Il d o n o della Pentecoste, operante nel sacramento della cresima, è fonte sempre


creativa della Chiesa, sia nella vitalità interiore, sia nella struttura storica di popolo
organizzato nei ministeri e segnato dalla varietà dei carismi e delle chiamate.
La struttura gerarchica, caratterizzata dall'apostolicità e dalla cattolicità, è
garantita dal vescovo. Il vescovo, nella qualifica di successore degli apostoli, è
definito dal concilio Vaticano II: «ministro originario della confermazione». In lui
si intrecciano nel sacramento, la dimensione storica e sociale e quella escatolo-
5
gica della Chiesa.
// vescovo è presente nella celebrazione come ministro, come garante dell'u-
nità a livello strutturale e giuridico e come colui che dà il suggello all'inizio bat-
tesimale invocando e d o n a n d o lo Spirito in n o m e del suo carisma apostolico. Il
vescovo è segno della comunione della Chiesa nella successione apostolica e nel-
la continuità con gli eventi pasquali.
6
L'incontro con il vescovo nella confermazione esprime la situazione ecclesiale
della vita del battezzato, contrassegnata da una chiara appartenenza alla comunità
e dal vincolo di fede e di impegno con gli altri battezzati. La storia liturgica mostra
con chiarezza l'importanza che ha avuto la presenza del vescovo nel compiersi
dell'iniziazione del cristiano, in q u a n t o il vescovo ha sempre siglato il compimen-
to di tale iniziazione e ha garantito il legame con la Chiesa apostolica. Invocando
lo Spirito Santo sul battezzato, il vescovo si p o n e di fronte a lui n o n più come a
uno sconosciuto, ma in un atteggiamento di ufficialità e di paternità ecclesiale; da
lui il cristiano è riconosciuto e viene impegnato pubblicamente nella vita e nella
missione della Chiesa. Il cristiano segnato dallo Spirito non sarà mai «battitore
libero» o «clandestino» nella grande comunità dei battezzati, ma si porrà tra tutti
a fronte alta, in aperta comunione con il pastore della Chiesa, siglata dall'evento
che lo ha solennemente «segnato» col d o n o dello Spirito Santo.

5
LG 26: EV 1/348-350.
6
E quanto sottolineano i teologi J.P. B O U H O T (La confermazione sacramento della comunione
ecclesiale, Elledici, Leumann [TO] 1970,109-113) e H. BOURGEOIS («La place de la confirmation dans
Finitiation chretienne», in Nouvelle Revue Théologique [1993]4,516ss).

63
3.3. La testimonianza e le missioni ecclesiali

Il cresimato è coinvolto nel m a n d a t o della testimonianza ecclesiale. Tale


compito, imperniato sulla fede viva e sulla parresìa, è alimentato e garantito dal
d o n o dello Spirito pentecostale.
La liturgia indica, nelle preghiere del rito e nei testi delle letture, la base su
cui si edifica la Chiesa, quale realtà dinamica, operatrice di testimonianza e di
missione.
Nell'introduzione al Rito della Confermazione n. 2 e nell'orazione n. 73 si
legge:

«Manda su di noi il tuo Spirito, perché camminiamo nell'unità della fede ... e ci renda
nel mondo testimoni del vangelo di Gesù Cristo...».

Nell'omelia n. 25 si accenna all'impegno di testimonianza; nella preghiera dei


fedeli n. 34, nel prefazio n. 87, nelle benedizioni finali nn. 91.92 e nella preghiere
finale n. 90, ritorna lo stesso concetto:

«Questi figli che hai consacrato con lo Spirito Santo con la profondità della fede e le
slancio della carità, edifichino la santa Chiesa».

Il riferimento è sempre al dono dello Spirito della Pentecoste, che attua uni
spinta di testimonianza e di missione per la Chiesa. Per tale dono ogni cristiani
«quasi ex officio» è coinvolto in una Chiesa da costruire, come diceva san Tom
maso; è chiamato a portarla verso nuovi orizzonti, n o n a goderla o sfruttarla il
7
m o d o parassitario.
La spinta della missione è segnalata nel libro degli Atti delgi apostoli là dove
nel racconto della Pentecoste e negli avvenimenti successivi, è scritto:

«Quand'ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tut


furono pieni di Spirito Santo e annunziavano la parola con franchezza» (At 4,31).

Le missioni messianiche radicate nel battesimo e nella cresima

Il cresimato prende parte alle missioni ecclesiali che si esprimono sul model
di Cristo capo. Ciò che è proprio di Gesù, sacerdote, profeta e re, è stato c o m i
nicato al cristiano nel battesimo, e p r e n d e spinta per u n a piena realizzazione ne
la cresima.
È doveroso avvertire sempre la stretta continuità esistente tra il battesimo e
cresima p e r tutti i significati della vita di un cristiano. L'evento battesimale è
p u n t o di inizio della vita in Cristo; la confermazione è evento n u o v o dello S{
rito che dà sviluppo, continuo i n c r e m e n t o e garanzia, e ciò si verifica con p a r
colare evidenza nel q u a d r o delle missioni messianiche alle quali il cristiano
associato.

7
LG 11: EV 1/313-315.

64
• La missione sacerdotale - tipicamente espressa nella preghiera e nel sacri-
ficio - ha la sua continuità nella comunione con il Dio della vita, nella «consa-
crazione del mondo», nella liturgia ecclesiale ( R m 12,1; l P t 2,5). Col d o n o dello
Spirito la vita spirituale riceve convalida e capacità di esprimersi con spontaneità
nell'esistenza quotidiana e nel contesto sociale, da tanti considerato «profano»
ed estraneo all'azione di Dio. A l t r e t t a n t o gli impegni e i drammi del vivere sono
permeati da u n a dimensione sacerdotale ( R m 12,1) e così l'iter quotidiano
intreccia insieme la vita, la preghiera e il sacrificio eucaristico.

• La missione regale si compie nella partecipazione alle caratteristiche di


Cristo, che è «via» al Regno nel servizio dell'amore. La regalità è data dalla
«signoria dell'amore» sul creato ed è apertura alla libertà dell'uomo che è gui-
dato dallo Spirito nel trasformare il m o n d o . Si tratta di una missione che si spe-
cifica nei ruoli della gerarchia e nei compiti dei singoli cristiani, che, in forza del
segno crismale, non sono più bambini fragili, ma persone capaci di tradurre, nel-
le situazioni più diverse, la diakonìa di Cristo. Tutto questo nella vita familiare,
nei rapporti sociali, nelle espressioni della cultura e nei problemi del m o n d o , ove
viene diffuso il vangelo «con le parole e le opere della fede». Il tutto con respon-
sabilità fattiva, con prudenza e misura.

• La missione profetica è propria di chiunque ha un r a p p o r t o con Cristo ed


è illuminato dallo Spirito. In tale condizione, chi è cristiano annuncia e traduce il
vangelo nella vita e verifica la validità delle scelte u m a n e in c a m p o sociale, poli-
tico, economico, tecnico, sulla misura dell'unico Maestro. L'impegno dei cristiani
e le molte vocazioni i n t e n d o n o inverare dal di dentro gli sforzi e i tentativi del
8
progresso u m a n o nella storia, secondo la sapienza del vangelo.
La missione profetica del cristiano, porta con sé la comprensione, la testi-
monianza e l'annuncio della «buona novella» del R e g n o (Le 12,12; Gv 14,26;
16,13; At 4,31). Tra le forme più tipiche di u n a testimonianza profetica vengo-
no segnalate:
la testimonianza della vita, che ha una forza di annuncio che va oltre le
parole e le ideologie offerte da prospettive soltanto u m a n e ;
la confessione della fede, che attesta nel m o n d o la presenza e la potenza
del Signore, r e d e n t o r e di tutti gli uomini nelle molteplici forme del «ser-
vizio della Parola»;
- la parresìa o libertà piena di coraggio e di responsabilità, che con paro-
le chiarificatrici e creative si p o n e di fronte alla dialettica delle persone
e dei fatti della storia.

Tutte le missioni suscitate dallo Spirito continuano e sviluppano l'inizio bat-


tesimale, in apertura verso la pienezza di vita personale e l'ampiezza di tutto il
corpo dei figli di Dio.

8
LG 35: EV l/374ss.

65
Capitolo quinto

L'EUCARISTIA

1
1. L'EUCARISTIA NEI TESTI BIBLICI

1.1. L'ultima cena

La prima eucaristia è stata celebrata da Gesù nell'ultima cena, alla vigilia del-
la sua passione; era quella una cena testamentaria, un banchetto di addio, nel
quale voleva lasciare ai suoi amici la sua eredità. Gesù volle che coincidesse con
2
la celebrazione della tradizionale cena pasquale.
La cena pasquale portava con sé i segni e i ricordi dell'antica liberazione dal-
l'Egitto. Gesù voleva incastonare in quel convito, t r a m a n d a t o dalla storia d'I-
sraele, il memoriale della nuova liberazione che egli stava per compiere a van-
taggio di tutti gli uomini.
Inserendosi nella liturgia dei padri, lasciò così ai suoi amici il suo ricordo e il
suo dono: «Prese il pane, lo spezzò, lo diede ai suoi e disse: Prendete e mangiate,
questo è il mio corpo che è per voi... e d o p o aver cenato prese il calice e disse:
Bevetene tutti, questo è il mio sangue...».

ì
Cf. Eucharistia. Enciclopedia dell'eucaristia, sotto la direzione di M. B R O U A R D , E D B , Bologna
2004; J. A U E R - J. RATZINGER, // mistero dell'eucaristia, Cittadella, Assisi 1972; P. BENOIT, Esegesi e teo-
logia, EP, R o m a 1964; J. B E T Z , L'eucaristia come mistero centrale (Mysterium Salutis 8), Queriniana,
Brescia 1975; P. B O R G E N , Breadfrom Heaven, Suplements to N o v u m Testamentum, Leiden 1965; F . M .
B R A U N , «L'eucharitie selon St. Jean», in Revue Thomiste (1979); R. CANTALAMESSA, La pasqua della
nostra salvezza, Marietti, Genova 1997; G. COLOMBO, Teologia sacramentaria, Glossa, Milano 1997; J.
D U P O N T , «Ceci est mon corps, ceci est mon sang», in NRTh (1958), 1025; L. DUSSAUT, L'eucaritie
Paque de toute la vie, Cerf, Paris 1972; M. FLORIO - G ROCCHETTA, Sacramentaria speciale. I: battesi-
mo, confermazione, eucaristia, E D B , Bologna 2004; E. GALBIATI, L'eucaristia nella Bibbia, Jaca Book,
Milano 1982; A. GERKEN, Teologia dell'eucaristia, EP, Alba 1977; J. JEREMIAS, Le parole dell'ultima
cena, Paideia, Brescia 1973; X. LEON D U F O U R , Condividere il pane eucaristico, Elledici, Leumann
(TO) 1983; E. M A Z Z A , La celebrazione eucaristica. Genesi del rito e sviluppo dell'interpretazione,
E D B , Bologna 2003 (prima edizione EP, Cinisello Balsamo 1996); D.P. N A U , Le mystère du cops et
du sang du Seigneur, Solesme, Paris 1976; A. SCHLIER, La fine del tempo, Paideia, Brescia 1974; A.
SCHNEIDER, L'eucaristia nell'Antico Testamento, Jaca Book, Milano 1982; G. SEGALLA, Gesù pane del
cielo, Messaggero, Padova 1982; M. THURIAN, L'eucaristia, A V E , Roma 1967.
2
II collocarsi dell'ultima cena di Gesù nell'ambito di una cena pasquale ebraica presenta alcu-
ni problemi cronologici, nel confronto tra i vari racconti dei Vangeli con il calendario della cena
pasquale. Tuttavia tale inclusione è ritenuta comunemente fondata non solo per motivi teologico-
tipologici, ma anche perché le risposte che gli studiosi danno ai problemi che si pongono paiono del
tutto plausibili.

67
E volle che questo gesto testamentario venisse ripetuto come memori
«Fate questo in mia memoria».

1.1.1. I racconti della cena

D o p o la risurrezione, gli apostoli, riunendosi nelle comunità nate dal n


dato del Signore risorto, rifecero q u a n t o Gesù aveva fatto. Si riunivano •
spezzare il pane» in memoria del Signore, e in queste celebrazioni si incontr
no in m o d o sempre nuovo con il «testamento del Signore».
I racconti della cena vennero poi fissati per iscritto nelle lettere degli apo
e nei vangeli sinottici, e ciò che Gesù aveva fatto nell'ultima cena e aveva coi
dato di ri-fare, venne condensato in poche righe. C o n termini molto bre^
espressioni stilizzate, gli scritti degli apostoli parlano della cena, dei gesti e
parole di Gesù, nella cornice di riunioni celebrative che venivano continuai
te ripetute. Lo schema era ridotto a pochi tratti: «prese il p a n e e il calice...
nunciò la benedizione e disse: questo è il mio corpo... è il mio sangue».
I quattro racconti della cena che ci sono stati tramandati sono distingui!
due filoni redazionali: il filone dei racconti di Paolo e Luca (Le 22,14-20;
11,23-26), e il filone di Marco e Matteo (Mt 26,20-28; Me 16,17-24).
I brani degli apostoli che raccontano l'ultima cena, fanno riferimento a
venimento originario del banchetto pasquale di Gesù, t r a m a n d a t o nell'esse
lità del rito e delle parole.

1.1.2. I significati della cena di Gesù

L'ultima cena di Gesù si contestualizza, secondo q u a n t o risalta dai ra


dei vangeli, in un convito pasquale. Essa p o r t a con sé molti significati:
significati umani: esprime l'amicizia, l'incontro festoso e l'unione i
na esistente tra i presenti;
un profondo significato religioso: segnala il comunicare insieme al
ti della vita e quindi il mettersi insieme nella lode a Dio, autore di
e della vita.
Per questo motivo il p r e n d e r e e lo spezzare il p a n e e il distribuire il
e r a n o accompagnati da una preghiera di benedizione, che esprimeva grati
e lode a colui che è creatore e sorgente di ogni bene.
// gesto conviviale dello spezzare e distribuire la focaccia del p a n e eq
va a far partecipi gli altri del proprio dono, dei propri benevoli sentiment
le benedizioni invocate sul p a n e stesso; significava far partecipi i c o m m e n
proprio augurio del b e n e derivante da Dio. La presentazione del calie
festa pasquale portava con sé il grande ringraziamento (berakàh) per L
della salvezza, era espressione e gesto di benedizione per gli effetti saluti
cessi con l'alleanza, era segno particolare di comunione e di festa.
Oltre ai significati umani e religiosi e al ricordo della liberazione e
leanza donata a Israele, G e s ù immette nella sua cena un significato nuove
il p a n e e il vino presentandoli come il dono della sua persona e della sua
presenta e li offre come alleanza nuova, come p e r d o n o dei peccati, c o m i
po del banchetto finale, il tutto propiziato dal d o n o totale della sua vi
mani del Padre.

68
Con quel gesto Gesù consegna ai suoi amici la sua persona e la sua vita, nel-
l'atto supremo nel quale la sta per consegnare nelle mani di Dio. Dona Usuo mori-
re, il suo risorgere e i frutti che ne derivano, mediati da un pezzo di p a n e che nutre
e da un sorso di vino che rallegra. Mangiare il p a n e e bere dal calice significava,
per gli amici di Gesù, associarsi nel m o d o più pieno agli eventi che egli stava per
affrontare in vista della salvezza del m o n d o . Dirà san Paolo:

«Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la
morte del Signore...» (ICor 11,26).

1.1.3. L'ultima cena e la salvezza di Gesù

L'ultima cena è p u n t o di arrivo della vita di Gesù e delle attese dell'antica


alleanza. In essa si compie •«l'ora» di Gesù, l'ora drammatica e decisiva della sua
esistenza. E r a - come scrive Paolo - la notte in cui veniva tradito.
La cena, p r e p a r a t a con una ritualità solenne e precisa (Me 14,12-16), venne
introdotta con parole che la annunciavano come un m o m e n t o atteso ( « H o desi-
derato a r d e n t e m e n t e di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia pas-
sione»: Le 22,15), in essa Gesù svelava tutto il senso della sua vita e della sua
morte. Egli sapeva che a G e r u s a l e m m e doveva morire (cf. i ripetuti annunci del-
la passione, il richiamo al segno di Giona [Le 11,32] e la profezia del tempio
distrutto [Me 14,59]); sapeva anche che la sua vita sarebbe andata al di là della
m o r t e (Me 14,62), perciò quel banchetto era un banchetto testamentario, che
portava con sé tutto il senso del suo vivere, del suo morire e del suo risorgere, in
vista della salvezza definitiva.
Dalla m o r t e di Gesù e dalla sua risurrezione partiva il compiersi del «regno
di Dio». Un compimento che andava oltre le attese dell'Antico Testamento. Per
questo, nella cena, Gesù rende presente il mistero della sua morte, p u n t o di solu-
zione della storia dell'umanità peccatrice.
La croce è l'evento decisivo nell'intreccio della storia u m a n a bisognosa di
redenzione; in essa ha inizio il p o t e r e regale di Cristo salvatore, che nell'amore
vince le forze ostili. Gesù riversa quel potere sui suoi amici nel segno del p a n e e
del vino - indicato come suo corpo e suo sangue - e con esso dona la redenzio-
ne, l'alleanza, il p e r d o n o dei peccati e la vita eterna.
L'ultima cena di Gesù sarà ripetuta sempre come il p u n t o d'incontro con il
suo mistero pasquale e con la sua redenzione, fino a q u a n d o , alla fine, egli ritor-
nerà come giudice del mondo. ^

1.1.4. // comando memoriale

Tutto l'insieme (i gesti e le parole sul p a n e e sul vino con tutti i significati
inclusi) Gesù ha voluto che fosse ripetuto come memoriale: «Fate questo in
memoria di me».
Sapeva che la sua m o r t e non sarebbe stata la fine di tutto, ma il passaggio alla
pienezza della vita. E, p o t e n d o disporre della sua vita e della sua morte, egli era
in grado di d o n a r e la sua vita sempre di nuovo «fino al suo ritorno».

69
Per i suoi discepoli, fare il «memoriale» equivarrà a «ri-fare» quello che ha fat-
to Gesù. Essi, reiterando i gesti e le parole del Signore, si identificheranno spiri-
tualmente con lui e diventeranno mediatori del suo d o n o per le generazioni futu-
re. Così m e t t e r a n n o in atto la certezza che la cena eucaristica è istituita per tut-
ta la storia e ha lo scopo di p e r m e t t e r e a ogni u o m o della storia di trovarsi a tu
per tu con il Cristo che d o n a a tutti la sua persona e la sua vita nell'amore.
L'eucaristia di Gesù equivale a «essere sempre di n u o v o serviti da Gesù», a
ricevere da lui il d o n o della sua persona che salva, con la mediazione del mini-
stero degli apostoli. E il ministero degli apostoli è voluto da Gesù come servizio
3
per il verificarsi del d o n o «dell'incontro totale» con lui.

1.2. L'eucaristia in Paolo e in Giovanni

D o p o che il Signore ascese al cielo e inviò lo Spirito Santo nella pentecoste,


nelle comunità dei battezzati veniva ripetuta la «cena del Signore». Tutti i gior-
ni, e con particolare solennità il primo giorno della settimana, i cristiani si riuni-
vano per «spezzare il pane» nella memoria di Gesù. Là essi meditavano in
maniera s e m p r e più attenta il d o n o che G e s ù aveva lasciato loro nell'eucaristia.
Testimoni privilegiati di una comprensione profonda del mistero eucaristico
sono stati gli apostoli. Paolo e Giovanni ci hanno lasciato una chiara testimonian-
za scritta della loro fede e della loro prassi (cf. I C o r 10,1-22; 11,17-34; Gv 6,51-58),

1.2.1. La testimonianza di Paolo

• L'eucaristia è evento di salvezza ( I C o r 10,1-22)

Osservando le celebrazioni eucaristiche dei cristiani di Corinto, nei capitol


10 e 11 della sua Prima lettera, Paolo m e t t e in risalto la parte che l'eucaristia hi
nella vita delle comunità e la responsabilità che è richiesta in coloro che la cele
brano.
L'eucaristia è chiamata dall'apostolo «calice di benedizione» e «pane spez
zato» (v. 16) ed è vista come evento di salvezza, parallelo agli antichi eventi de!
la storia (la m a n n a e l'acqua della roccia che nutrì gli ebrei dell'esodo, cf. vv. 1
10). È vista come cibo che sostiene il p o p o l o dell'alleanza nuova nel cammin
del nuovo esodo, come bevanda che attinge a quella «roccia che è Cristo».
«Spezzare il pane» di Cristo n o n è un fatto magico, ma un d o n o di lui. L'u<
mo p u ò accoglierlo con tutte le sue potenzialità di salvezza, ma p u ò anche imp<
dirlo nella sua efficacia e farlo diventare motivo di giudizio se celebrato i
maniera non autentica. Lo «spezzare il pane» e il «benedire il calice» diventar!
«comunione con Cristo» (v. 16).
Col «mangiare il pane» e «bere il calice del Signore» si «partecipa» al mist
ro di lui, si realizza la «comunione» (koinonia) col Signore. Nella comunione
vita di Cristo entra in colui che lo riceve, crea una profonda unità di pensiero,
scelte, di amore. Gesù non mortifica la personalità di colui che lo accoglie, ma i

CONCILIO DI TRENTO, sessione X X I I , cap. 2 (Denz 1 7 4 3 ) .

70
potenzia la crescita, come avviene nella vita naturale, che è nutrita dal cibo e dal-
la bevanda. Gesù alimenta la vita del cristiano e comunica tutta la densità del suo
d o n o e del suo sacrificio.
Oltre a ciò, il mangiare il corpo del Signore lega in unità tutti i partecipanti:

«Poiché c'è un solo pane, [...] siamo un solo corpo: tutti, infatti, partecipiamo dell'uni-
co pane»(ICor 10,17).

Q u e s t a espressione di Paolo sarà a m p i a m e n t e ripresa in tutta la storia suc-


cessiva.
La comunione con il Signore è unica ed esclusiva e n o n p e r m e t t e equivoci
con altri legami.

• L'eucaristia: proclamazione della m o r t e del Signore ( I C o r 11,17-34)

Nel capitolo 11 della Prima lettera ai Corinzi san Paolo osserva nei cristiani
di quella comunità il rischio di una celebrazione stonata dell'eucaristia. N o n dice
come e q u a n d o fosse celebrata l'eucaristia a Corinto. Avverte p e r ò nei m o m e n -
ti celebrativi di quella comunità alcuni fatti biasimevoli: ci sono divisioni tra
coloro che si riuniscono in assemblea p e r celebrare «la cena del Signore» e, in tal
modo, viene ferita la fede e la carità che è tipica della «mensa» convocata dal
Signore, che vuole s e m p r e creare unità tra i partecipanti e r e n d e r e onore e aiu-
to ai più poveri. Di fronte a questo, l'apostolo ribadisce l'esigenza profonda del-
l'eucaristia d'essere fatta nell'amore tra tutti coloro che la celebrano.
L'eucaristia è la «proclamazione della morte del Signore» (v. 26): «tutte le vol-
te che mangiate il pane e bevete il calice voi annunciate la morte del Signore, fino
a quando egli ritornerà».
La proclamazione della m o r t e di Cristo è l'annuncio festoso del Signore che
ha d a t o la vita e la continua a dare; è la celebrazione della salvezza e dell'al-
leanza nuova che Gesù garantisce con il d o n o del «suo corpo e del suo sangue».
La potenza della m o r t e e della risurrezione si affaccia in m o d o sempre nuovo a
quelli che celebrano «la cena del Signore»; essa è sempre il donarsi totale del
Redentore.
Chi proclama e accoglie con a m o r e la m o r t e di Cristo c o m p r e n d e e accoglie
la sua eredità. P e r questo in ogni celebrazione occorre avere un atteggiamento
disponibile al mistero di Gesù e alla sua salvezza: il calice è l'alleanza siglata dal
sacrificio redentore, diventa apertura viva e personale all'incontro con D i o e
disponibilità verso i fratelli. N o n si p u ò essere associati all'amore di G e s ù e ave-
re un atteggiamento estraneo a lui, essere privi di amore, come colui che gli era
accanto «nella notte del tradimento» (v. 23). In tale atteggiamento l'eucaristia
diventa giudizio di condanna perché svuotata del suo valore.

• L'eucaristia d o n o e giudizio

Di fronte alla grandezza del d o n o eucaristico - che è celebrazione della mor-


te salvatrice del Signore - emerge la grave responsabilità di chi lo celebra. Il cri-
stiano deve m e t t e r e alla prova se stesso, esaminare ( I C o r 11,28) la sua apertura

71
al Signore e ai fratelli, verificare quell'esperienza viva che è lo «stare insieme»,
il «fare unità» con tutto il corpo del Signore nell'assemblea celebrante. Senza
queste condizioni sfuma il senso del farsi presente della «morte» redentrice del
Signore, della sua «alleanza» con l'umanità.
Là dove si profila u n a prospettiva di indegnità (v. 27), si apre un giudizio di
colpevolezza: si è colpevoli verso il corpo del Signore ed è proclamata una sen-
tenza di condanna (uno «mangia e beve» la propria condanna, cf. v. 29).
Chi non riconosce, tramite la fede, la presenza del Signore crocifisso e risor-
to o non accoglie la sua potenza salvatrice (la mancanza di frutti sta anche in una
carenza di a m o r e e di fraternità verso i fratelli per i quali il Signore si d o n a ) , sciu-
pa il d o n o della salvezza, lo svuota del suo valore, lo fa diventare giudizio di con-
danna.
La condanna è tutta fuori della logica dell'eucaristia, come sempre un giudi
zio di c o n d a n n a è fuori della logica degli eventi salvifici della storia, ma ess;
diventa possibile p e r l'ambiguità del cuore u m a n o , che r e n d e «inutile» o «steri
le» o contraddittorio quell'evento definitivo della salvezza che è la m o r t e de
Signore. P e r questo occorre «mettere alla prova se stessi», «esaminarsi» sull'au
tenticità del «fare corpo con gli altri fratelli» e del vivere la propria apertura nel
l'amore alla m o r t e salvatrice.

1.2.2. La teologia dì Giovanni

• Il p a n e della vita

San Giovanni tratta dell'eucaristia nel capitolo 6 del suo Vangelo in un coi
testo di annuncio profetico. In tale capitolo si parla del miracolo dei pani e i
G e s ù che, d o p o aver attraversato il lago fino a Cafarnao (vv. 1-25), pronuncia i
lungo discorso sul p a n e che dà la vita, che è egli stesso, e sul p a n e che egli da
c o m e sua carne (vv. 26-59). Il capitolo termina con u n ' a p e r t u r a profonda s
mistero della «carne del Signore», come risposta all'incredulità dei giudei inte
locutori del lungo discorso (vv. 60-71).
Nel discorso si possono distinguere d u e parti: la prima (vv. 26-50) contie
un'omelia midrashica che commenta una frase dell'Esodo «hai dato loro un pa
dal cielo» (Es 16,4.15); la seconda (vv. 51-59) annuncia il dono e il significato d
l'eucaristìa: «il p a n e che io darò è la mia carne per la vita del m o n d o » .
È da n o t a r e che Giovanni non racconta direttamente l'istituzione dell'eui
ristia. Nel»capitolo 13 del suo Vangelo, nell'introdurre il racconto dell'«ora
Gesù», egli si sofferma sull'atteggiamento di servizio di lui, che lo porta a lav;
i piedi ai suoi apostoli. Il q u a r t o Vangelo è scritto alla fine del I secolo, quari
già l'esperienza eucaristica era impiantata da lungo t e m p o nella tradizione dt
Chiese. Per questo Giovanni n o n trasmette dell'eucaristia il racconto iniziale,
u n a sua profonda rilettura teologica, p o r t a t a avanti in tutto il discorso midra;
co-profetico del capitolo 6.
In questo capitolo, secondo il c o m m e n t o di F.M. B r a u n , Giovanni unific
livello letterario-redazionale, il discorso di Cafarnao con le parole dell'ulti
cena, in una g r a n d e sintesi attorno al t e m a del «pane della vita», che è ann
ciato c o m e la «carne di Cristo». Qui è ridisegnato in pochi tratti t u t t o l'orizz

72
te del mistero di Gesù: l'incarnazione, la pasqua, la glorificazione, i rapporti tri-
nitari e tutta l'opera della salvezza. Tutto il mistero di Gesù viene ricapitolato nel
b r a n o eucaristico.
«La mia carne per la vita del mondo» (vv. 51b-59). Giovanni annuncia che nel
«pane dato da Gesù»:
- c'è il mistero del Verbo di Dio fatto uomo,
che si fa cibo di vita eterna,
e diventa sorgente di risurrezione,
- trasmette la vita del Padre, il Vivente,
- e stabilisce una comunione vitale con il Cristo: «Chi mangia la mia car-
ne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui».

• L'eucaristia, comunione di vita con Cristo, necessaria per la vita eterna

Nei vv. 51b e 53-58 viene ripetuto il motivo: Chi mangia la mia carne e beve
il mio sangue ha la vita eterna. Il t e m a del mangiare e della vita è presente in tut-
to il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni.
Il p u n t o più profondo della vita nello Spirito si ha nel «mangiare la carne e nel
bere il sangue» di Cristo, il Crocifisso Risorto. La vita di Cristo, trasmessa nel
sacramento, crea un rapporto di comunione con la sua persona - la sua «carne» -
che vive della stessa vita del P a d r e che è il Vivente. Tale comunione di vita avvie-
ne nello Spirito (vv. 62.63).
Senza il contatto con il Cristo salvatore (v. 53) non si apre all'uomo la strada
della vita eterna e della risurrezione che deriva solo dal Risorto, sorgente della
risurrezione (v. 54). Senza il «mangiare la carne di Cristo» n e p p u r e si entra in
comunione con la Trinità, nella quale il P a d r e genera il Figlio e comunica al
Figlio la sua stessa vita che egli d o n a all'umanità.

• Il d o n o della persona e della vita di G e s ù avviene nello Spirito Santo

C o m e sia possibile che Gesù doni la «sua carne» e il «suo sangue» nel p a n e
e nel vino - cioè la «sua persona» e la «sua vita» offerta nel sacrificio - appare
dal fatto che egli d o n a il suo corpo che è assunto dal Verbo di D i o e che «salirà
dov'era prima», nella glorificazione (vv. 62.63). Egli d o n a quel corpo che è unità
con il mistero del Verbo incarnato e che è esaltato presso il Padre e p o t r à unirsi
agli uomini tramite lo Spirito Santo.
Il corpo da lui d o n a t o è «il suo corpo glorioso e spirituale» e, proprio per la
potenza dello Spirito, diventa d a t o r e di vita eterna.
Il mistero del Cristo, disceso dal cielo/incarnato per la nostra salvezza e dive-
nuto redentore sulla croce, viene comunicato ai suoi amici attraverso il «mangia-
re la carne» e «bere il sangue», in quanto corpo di lui crocifisso e glorificato.
E così svelato e d o n a t o all'uomo il «corpo» del Signore risorto; esso è perce-
pito e accolto m e d i a n t e lo Spirito, che apre l'uomo al mistero tramite la fede e la
comunione.
Nello Spirito Santo Gesù si fa presente nella sua corporeità gloriosa. I disce-
poli, d o p o la risurrezione, c o m p r e n d e r a n n o cosa significhi ricevere nel sacra-
m e n t o e nello Spirito il corpo e il sangue del Signore.

73
Proprio nella dimensione spirituale e gloriosa egli si fa presente, e
dimensione l ' u o m o p u ò accedere tramite lo Spirito Santo e la fede.
Il b r a n o conclusivo del capitolo 6 del Vangelo di Giovanni spalanca al
un q u a d r o amplissimo, che fa vedere il mistero eucaristico come p u n t o d
si di tutto il mistero cristiano. Cristo viene dal Padre, dal quale riceve la
Figlio si fa carne per noi e per la nostra salvezza e nello Spirito vivifica
assicura la comunione con il suo mistero di vita nella risurrezione.

4
2. L'EUCARISTIA NELLA STORIA

L u n g o la storia cristiana, a partire dagli apostoli fino al nostro tempo,


ristia ha percorso un itinerario contrassegnato da evoluzioni e sviluppi
danti sia le modalità celebrative, sia la comprensione teologica e la moc
partecipazione dei cristiani. D a t o che il sacramento dell'eucaristia si co
pienezza nella celebrazione della messa, è importante ripercorrere, se
termini schematici, la storia della messa nelle sue tappe, dall'ultima cena 1
Signore nella notte del tradimento, ai nostri giorni. A l t r e t t a n t o impoi
vedere la teologia e il dogma dell'eucaristia, particolarmente in alcuni n
culturalmente nevralgici della storia cristiana, dai padri, al medioevo, al
di Trento, ai nostri giorni.
Q u a n t o alla celebrazione, ripercorreremo le grandi fasi della liturgù
stica, avendo particolare attenzione alla tradizione romana, che costituisi
ne diretto della nostra eredità storica. Circa la teologia, i richiami che
verteranno su quelle epoche del pensiero e della riflessione cristiana, n<
li viene effettuato un grande passaggio, dalla visione degli antichi padi
postazione dei maestri della scolastica, nei primi secoli del secondo w
con l'avvio di una nuova linea di comprensione e di celebrazione che CE
zerà tutto il secondo millennio. Il concilio di Trento e il concilio Vaticane

4
Cf. Anamnesi!. 3/2: La liturgia eucaristica. Teologia e storia della celebrazione, Mari
1983; Eucaristia, aspetti e problemi dopo il Vaticano II, Cittadella, Assisi 1968; Eucharìst
pedia dell'eucaristia, sotto la direzione di M. B R O U A R D , E D B , Bologna 2004; Eucharistie d
chrétiens, Beauchesne, Paris 1986; J. A U R E R - J. RATZINGER, // mistero dell'eucaristia, Citta
si 1972; J. B E T Z , L'eucaristia come mistero centrale (Mysterium Salutis 8), Queriniana, B:
L. B O U Y E R , Eucaristia. Teologia e spiritualità della preghiera eucaristica, Elledici, Leui
1969; G. COLOMBO, «Teologia del sacrificio eucaristico», in Chiesa per il mondo, I I , ED
1974f ID., Teologia Sacramentaria, Glossa Milano, 1997; L. C O T É , L'eucaristia del popolo
Cinisello Balsamo 1993; J. DANIELOU, Bibbia e liturgia, Vita e Pensiero, Milano 1958; H.
Corpus Mysticum, Gribaudi, Milano 1968; A. GERKEN, Teologia dell'eucaristia, EP, Al
H A M M A N , Preghiere dei primi cristiani, OR, R o m a 1983; L. LIGIER, // sacramento dell'euc
tificia Università Gregoriana, R o m a 1988; J.A. JUNGMANN, Missarum sollemnia. Origini, li
logia della messa romana, Marietti, Torino 1962; J . N . D . KELLY, // pensiero cristiano del
Mulino, Bologna 1972; E. L O D I , È cambiata la messa in 2000 anni?, Marietti, Torino 1975
La celebrazione eucarìstica. Genesi del rito e sviluppo dell'interpretazione, E D B , Bologr
ma edizione EP, Cinisello Balsamo 1996); I D . , Le odierne preghiere eucaristiche. 1: Struttu
2
logia; 2: Testi e documenti editi e inediti, E D B , Bologna 1984, 1991; B. NEUNHEUSER, L'ei
moyen àge et à l'epoque moderne, Cerf, Paris 1966; J.M. POWERS, Teologia eucaristica,
Brescia 1969; J. SOLANO, Textos eucaristìcos primitivos, I - I I , BAC, Madrid 1954; J. H E R M
brazione dell'eucaristia, Elledici, Leumann (TO) 1985; S. MARSILI, Mistero di Cristo e i
Spirito, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1986.

74
tuiranno due poli di grande portata per un nuovo orientamento della sensibilità,
degli accenti dottrinali e celebrativi dell'eucaristia nell'ambito della Chiesa cat-
tolica. Per rileggere in sintesi tutto questo scandiremo la nostra veloce ricerca
lungo la direttrice storico-cronologica.

5
2.1. La celebrazione eucaristica nei primi secoli

2.1.1. Testimonianze dei primi tre secoli

Dalla fine del I al III secolo richiamiamo solo alcuni testi come particolar-
m e n t e indicativi dei dati riguardanti la celebrazione dell'eucaristia in quel perio-
do: la Didaché (fine del I secolo), la I Apologia di Giustino (150), e la Traditio
Apostolica di Ippolito all'inizio del III secolo (215-225); nei primi decenni del III
secolo ci sono date molte notizie negli scritti di Tertulliano. In queste documen-
tazioni è detto con lucidità come la Chiesa celebrava il c o m a n d o del Signore di
«fare memoria» della sua cena.
La «cena del Signore» veniva celebrata in un q u a d r o rituale preciso, costitui-
to dal «convenire insieme dei cristiani», da un «raccontare», «comprendere» e
«ripetere» quello che aveva fatto Gesù.
Senza soffermarci sul testo della Didaché, riportiamo la testimonianza di
Giustino martire e di Ippolito presbitero romano.

Nella I Apologia ai capitoli 65 e 67, Giustino descrive la celebrazione dell'eu-


caristia nella notte pasquale e nell'ambito dei riti dell'iniziazione cristiana e nel
«giorno del sole», nel quale veniva celebrata settimanalmente. Nell'eucaristia
della domenica i cristiani «si raccoglievano in u n o stesso luogo dalla città e dalla
campagna», facevano lettura delle m e m o r i e degli apostoli, il presidente teneva
un discorso, poi tutti insieme innalzavano preghiere, il capo elevava la grande
preghiera di ringraziamento e il popolo acclamava dicendo: «Amen!»: il tutto in
un clima di fraternità. Si raccoglievano doni offerti spontaneamente, e questi
venivano consegnati al capo per aiutare i bisognosi, gli orfani e le vedove. Gli ali-
menti consacrati venivano distribuiti tra i presenti e portati, p e r mezzo dei diaco-
ni, agli assenti.

Nella Traditio (più c o m u n e m e n t e datata all'anno 215), al capitolo 2 1 , Ippoli-


to parla dell'eucaristia celebrata in continuazione con la liturgia battesimale nel-
la n o t t e di Pasqua: «i diaconi presentano l'offerta al vescovo, questi benedice il
p a n e per rappresentare il corpo di Cristo, poi il calice...». Al capitolo 22 è descrit-
ta l'eucaristia celebrata nella domenica, e al capitolo 4, è presentata l'eucaristia
celebrata nel rito della consacrazione del vescovo. In questo rito Ippolito ci tra-
m a n d a una preghiera eucaristica rimasta celebre, che è stata ripresa e trascritta,
quasi alla lettera, nella struttura dell'attuale Preghiera eucaristica II del Messale
Romano, in seguito alla riforma del concilio Vaticano II.

5
Cf. Anamnesis. 3/2: La liturgia eucaristica; Celebrare il mistero di Cristo, R o m a 1996,141-167;
BOUYER, Eucaristia; LODI, E cambiata la messa in 2000 anni?; M A Z Z A , La celebrazione eucaristica;
LIGIER, // sacramento dell'eucaristia, 95ss.

75
La celebrazione dell'eucaristia assumeva nomi precisi, derivati in p a r t e da
san Paolo, che parlava della cena del Signore o dello spezzare il pane ( I C o r 10,16;
11,20); in alcune testimonianze africane era detta dominicum (= b a n c h e t t o del
Signore); diventerà poi prevalente la denominazione eucharistia.

La trama testimoniata nelle più antiche documentazioni mostra un rito con


gli stessi elementi principali: q u a n d o si «spezza il pane» si riunisce la comunità;
la riunione avviene all'inizio nelle case dei credenti, sotto la presidenza del
vescovo o di un presbitero; vengono letti brani degli scritti degli apostoli, si ele-
vano preghiere per molte intenzioni, poi viene portato il pane e il vino sulla
«mensa»; il presidente dice una lunga preghiera di ringraziamento e le parole del
Signore sul p a n e e sul calice; questi poi vengono distribuiti ai presenti. Il «pane
eucaristico» viene anche p o r t a t o nelle case ai malati e i presenti d e p o n g o n o le
loro offerte per i poveri, per la Chiesa e per il clero.

2.1.2. A partire dal IV secolo

All'inizio del secolo IV, con l'editto costantiniano del 313, e col successivo
sorgere delle chiese e delle basiliche e con l ' a u m e n t o del n u m e r o dei cristiani, la
celebrazione acquisterà maggiore ampiezza e solennità.
Si affermerà una disposizione logistica più spaziosa (con spazi diversi riser-
vati ai ministri e ai fedeli), con l'apporto di diversi ruoli ministeriali per la pro-
clamazione della Parola e il canto; la preghiera eucaristica, che sarà detta (nella
Chiesa r o m a n a ) canone, cioè «preghiera regolata liturgicamente», assumerà una
struttura normativa.
Successivamente, dal IV al VI secolo, saranno introdotte dai papi ulteriori
aggiunte e precisazioni sia nel testo del canone, sia nella t r a m a complessiva del-
la celebrazione. Avranno risalto, in R o m a , le messe celebrate nelle chiese dei
martiri, le messe stazionali, e verranno determinati i principali cicli liturgici del-
l'anno: il ciclo della Pasqua, del Natale (con L e o n e M a g n o ) e le scadenze delle
m e m o r i e dei martiri.
Nei secoli IV-V nel m o n d o latino prevale l'usanza di chiamare la celebrazio-
ne eucaristica con un n o m e nuovo: messa. Tale denominazione è legata al saluto
di congedo che veniva rivolto ai fedeli con le parole conclusive: «Ite, missa est!».
«Missa» è il p u n t o finale di tutta la celebrazione, il congedo dato ai presenti.

In questo t e m p o si configurano s e m p r e più e si diversificano, nelle varie


regioni della~cristianità, le grandi famiglie liturgiche.
I riti delle grandi Chiese delle regioni dell'impero d'oriente e d'occidente, piì
emergenti e più caratterizzate culturalmente, p r e n d e r a n n o accentuazioni <
modalità espressive diverse a motivo della lingua, delle tradizioni celebrative <
6
dei testi prodotti dai grandi padri.

6
Alla base di questa differenziazione si possono indicare: la distanza tra ambiti culturali, la di
ficoltà negli scambi e la diversità della lingua parlata. Diventerà prevalente nell'occidente - nell'an
bito cristiano - la lingua latina, mentre la lingua greca resterà predominante nelle regioni del Medi
Oriente.

76
7
Stando alle sottolineature di celebri studiosi, le principali famiglie liturgiche,
polarizzate attorno alle grandi preghiere eucaristiche, vengono catalogate in
questi filoni:
- il rito siriaco orientale (armeno);
- il rito siriaco occidentale (Costituzioni apostoliche e liturgia di san Gia-
como);
- la liturgia di san Basilio e di san Giovanni Crisostomo, che sfocerà nel
rito bizantino;
- il rito egiziano-alessandrino;
- il rito gallicano-mozarabico (con diffusione nella Spagna e nella Gallia);
il rito romano, diffuso nei primi secoli in Italia e nel Nord-Africa, ma poi
affermatosi, anche per l'azione dei papi, n e l l ' E u r o p a e in tutto il m o n d o
occidentale.

2.1.3. Lo schema comune della celebrazione eucaristica

Pur con preghiere e cerimonie differenziate nelle varie liturgie, lo schema cele-
brativo è fondamentalmente comune. Può essere riassunto nei seguenti tratti.
• / riti d'ingresso. Fino al secolo V la celebrazione iniziava in maniera sem-
plice con il saluto seguito dalle letture. Presto questa p a r t e iniziale viene arric-
chita da un canto eseguito dai cantori, da un Kyrie litanico che coinvolge l'as-
semblea e dalla «colletta» del presidente.
• La liturgia della Parola è caratterizzata dall'onore tributato ai libri sacri
che vengono portati solennemente e letti all'ambone. Ivi è fatta la proclamazio-
ne delle letture bibliche seguite da un salmo responsoriale, è annunciato il Van-
gelo ed è fatta l'omelia. Il tutto è introdotto - con particolare risalto nel rito
bizantino - da un solenne ingresso dei ministri che p o r t a n o il libro dei vangeli
attraverso la navata e lo situano sul pulpito tra i canti e l'incenso. A n c h e in occi-
dente si onora il libro dei vangeli col canto dell'alleluia e con l'incensazione.

• La liturgia eucaristica inizia con il congedo dei catecumeni, la preghiera dei


fedeli e la preparazione dei doni sull'altare. In oriente, a questo punto, si fa una
nuova processione per le offerte. In occidente il p a n e e il vino vengono presen-
tati dai fedeli, nella processione delle offerte e si ha pure la lettura dei n o m i e
delle intenzioni degli offerenti.
La preghiera eucaristica - d o p o il dialogo di introduzione - continua con il
r e n d i m e n t o di grazie e con l'inno di lode del Sanctus. „
Seguono, nella preghiera eucaristica, il racconto dell'istituzione, l'anamnesi,
la doppia epiclesi o invocazione dello Spirito e il tutto si conclude con l'accla-
mazione finale e l'Amen dell'assemblea.

• // rito di comunione prevede la frazione del pane, la recita del Padre Nostro
e, in certe chiese, il bacio di pace e la presentazione ai fedeli dell'ostia per la
comunione.

7
Cito in particolare: B O U Y E R , Eucaristia, 141ss; JUNGMANN, Missarum sollemnia. 30ss.

77
Tutto si chiude con i cariti che seguono la comunione, la preghiera finale, la
benedizione e il congedo.

2.2. La «messa latina» da Gregorio Magno al concilio di Trento

D o p o la fine dell'impero r o m a n o d'occidente avvengono successive evolu-


zioni nella celebrazione della messa latina. Joseph Jungmann, nel suo celebre
volume Missarum sollemnia, così contraddistingue le tappe successive della mes-
sa romana: la messa basilicale romana; la messa romana nel regno dei franchi; la
messa gotica; e quindi la messa della riforma del concilio di Trento.

2.2.1. La messa basilicale romana

Elementi culturali nuovi fanno sentire il loro influsso nella celebrazione del-
l'eucaristia alla fine dell'età patristica. In occidente l'eredità r o m a n a è formulata
e ricapitolata in sintesi da Gregorio M a g n o (590-604). Egli dà un ordinamento
preciso, tipicamente romano, alla messa celebrata nei «titoli» e nelle «basiliche».
Va ricordato che, in questo tempo, la liturgia orientale, con il suo stile, si era
fatta presente in alcune città latine al t e m p o di Giustiniano e Belisario, lascian-
do tracce nell'arte e nell'iconografia (es. in Santa Maria Maggiore a R o m a col
suo «arco trionfale»; in San Vitale a R a v e n n a e in Sant'Apollinare in Classe, con
le famose raffigurazioni iconografiche tipicamente bizantine).
Nelle chiese si passa dalle figure simboliche dei mosaici (es. i pani e i pesci),
alle raffigurazioni dei santi che continuano l'opera del b u o n Pastore (es. Sant'A-
pollinare in Classe).
Le vesti liturgiche dei celebranti h a n n o u n o stile lineare e solenne; sono
costituite dalla tunica, dal mantello a pioggia (la pianeta), dalla stola per i diaco-
ni, dal pallio p e r i pontefici.
La lingua liturgica c o m u n e nell'occidente è il latino. In oriente al greco si era-
no affiancati il siriaco, il copto, l'armeno, il georgiano e, nel secolo IX, con la con-
versione degli slavi, viene aperta la strada della liturgia ai nuovi caratteri cirilli-
ci o slavi che saranno assunti ufficialmente nel rito liturgico delle Chiese del cep-
po slavo.

2.2.2. La messa romana nel regno dei franchi (secoli VIII-X)

La regolamentazione della messa romana, attuata a R o m a da Gregorio


Magno, venne importata nelle Isole Britanniche attraverso l'opera dei monaci
evangelizzatori e poi venne diffusa n e l l ' E u r o p a centrale tramite i monaci
migranti, sostenuti dalle grandi abbazie da essi costruite. Sarà poi rilevante l'a-
zione dei re franchi e del Sacro R o m a n o Impero.
I testi liturgici, i santi e i martiri romani vennero accolti con venerazione nei
libri liturgici delle Chiese d e l l ' E u r o p a centrale. La tradizione r o m a n a si con-
giungerà con la sensibilità germanica, con il suo gusto p e r i gesti espressivi e sce-
nici (inchini, movimenti delle braccia, segni di croce ripetuti, processioni): ne
risulterà l'aggiunta di nuove preghiere e di nuovi gesti rituali.

78
La n o n facile c o m p r e n s i o n e della lingua latina da p a r t e d e l p o p o l o fam-
co-germanico e l'organizzazione f o r t e m e n t e gerarchica delle p o p o l a z i o n i p o r -
t e r a n n o al p r e v a l e r e di un a c c e n t u a t o p r o t a g o n i s m o dei ministri che presie-
d o n o la celebrazione della messa, lasciando al p o p o l o il ruolo di s p e t t a t o r e
passivo.
Vari elementi c o n d u r r a n n o a introdurre cambiamenti riguardanti i riti e la
struttura logistica delle chiese per la celebrazione. Nell'antica tradizione r o m a n a
l'altare era situato al centro dell'abside ed era rivolto verso il popolo. E r a costi-
tuito da una tavola di pietra spoglia, senza ornamenti. All'altare si presentava il
vescovo (o il sacerdote) attorniato dai diaconi. Verso il 900-1000 avverranno
variazioni nella disposizione dell'ambiente celebrativo. L'altare viene collocato
sul fondo dell'abside, dove prima era posta la cattedra del presidente. La catte-
dra viene spostata a lato nel presbiterio. Il sacerdote celebra voltando la schiena
al popolo. Viene fatta sorgere una piccola parete divisoria (le balaustre) che
separa lo spazio riservato ai celebranti e al presbiterio da quello riservato al
popolo.
L'eucaristia è percepita dal popolo, più che come dialogo e come incontro
comunitario con il Signore presente, come mistero che si adora. Il p o p o l o n o n
partecipa in m o d o attivo alla celebrazione, ma assiste, guarda e ascolta.
L'ampia scodella che contiene il p a n e per la messa viene ridotta a un picco-
lo piatto liscio; le particole vengono rimpicciolite nello spessore e vengono depo-
ste sulla lingua per la comunione (secolo IX). Un certo coinvolgimento popola-
re si ha attraverso i canti della schola cantorum, le risposte ai saluti del sacerdo-
te, la partecipazione alle piccole processioni delle offerte e lo scambio del bacio
di pace.
Le preghiere e i gesti che il sacerdote compie sono interpretati in m o d o alle-
gorico, secondo i commentari della messa che vengono composti in questo tem-
po: tipico, nel secolo IX, è il Liber Officialis di A m a l a r i o di Metz.
La liturgia franco-romana fiorisce soprattutto nelle cattedrali e nei monaste-
ri sorti nell'ambito del Sacro R o m a n o I m p e r o (Parigi, Reims,Tours, Corbie, San
Gallo, Reichenau, R e i n a u ) .

2.2.3. La messa nei secoli XI-X1V

Un fatto nuovo riguardante la celebrazione è dato, attorno all'anno Mille, dal


formarsi del «messale unico» per il celebrante, che sostituisce i molti libri usati
fino ad allora per la messa (libri per il celebrante, per le letture, per i cantori, p e r
le invocazioni).
Nei riti della messa in quest'epoca si registra una grande diversità di usi da
regione a regione, da chiesa a chiesa, da libro a libro. Gli ordini religiosi, che ave-
vano una loro unità interna, organizzano per il p r o p r i o gruppo i libri per la mes-
sa, con differenze nella liturgia da un ordine all'altro. Si h a n n o così le Consuetu-
dini di Cluny (1080), di Farfa (1140), il Liber Usualis dei cistercensi (1134), gli
Statuti dei certosini, VOrdinario dei frati predicatori (1256), le tradizioni dell'or-
dine carmelitano e dell'ordine francescano primitivo.
C o n tante diversità sorge il desiderio e l'esigenza di una maggiore unità.
All'interno degli ordini religiosi inizia così un nuovo disciplinamento che fa pas-

79
sare dai molti libri del t e m p o precedente, adibiti per la liturgia (il libro sacra-
mentario, il lezionario, l'antifonario), a un unico libro, il messale. I frati france-
scani itineranti in tutta l'Europa contribuiscono per primi a questa unificazione,
a d o t t a n d o per il proprio ordine il Missale secundum usum romanae curiae (il
messale francescano che seguiva i modelli della curia r o m a n a ) .
Un altro fatto nuovo è dato dal diffondersi della messa letta senza la parteci-
pazione popolare. Con l'aumentare del n u m e r o dei sacerdoti nei monasteri, nel
corso del secondo millennio, e, soprattutto, con il diffondersi dei frati mendican-
ti, p r e n d e r à il sopravvento la messa letta o privata, recitata in tutte le sue parti dal
celebrante. Si moltiplicano così gli altari e le messe; molte messe di devozione
sono ordinate dai fedeli come mezzo di propiziazione per i vivi e per i defunti. A
Cluny, ad esempio, d a t o il grande n u m e r o di monaci, si leggevano messe per i
defunti in molti altari dall'aurora a mezzogiorno. Il popolo era del tutto assente
o spettatore alla «lettura delle messe»; tutt'al più, nelle messe solenni, parteci-
pava osservando il simbolismo delle cerimonie (segni di croce, inchini, allarga-
m e n t o delle braccia del celebrante) e t e n e n d o conto delle allegorie riferite dai
commentatori circa i paramenti e le suppellettili.
In questo stesso tempo comincia a svilupparsi il culto dell'eucaristia fuori del-
la messa con l'adorazione del ss.mo Sacramento.

2.2.4. La riforma del messale conseguente al concilio di Trento

Nella prima metà del 1500 diverse diocesi avevano dato il via a u n a riforma
del messale e a una revisione della celebrazione della messa, nell'intento anche
di favorire una maggiore partecipazione del popolo cristiano.
Il concilio di Trento nel 1546-47 e nel 1563 (in parallelo con tutta u n a serie di
interventi sulla dottrina eucaristica) istituì una commissione per m e t t e r e in risal-
to gli abusi e superare le molte diversità presenti nella celebrazione della messa
nei diversi luoghi. Prese così il via una riforma del Messale r o m a n o che venne
affidata all'autorità del papa.
Il lavoro giunse velocemente a c o m p i m e n t o nel 1570. Pio V pubblicò un mes-
sale nuovo per tutta la cristianità, rivisto secondo i decreti del concilio di Trento,
un messale unico e identico per tutte le Chiese del m o n d o , con qualche eccezio-
ne per alcune Chiese particolari, depositarie di antiche tradizioni (es. Milano,
Treviri, Colonia, Braga, Liegi, Lione).
Vennero soppresse molte feste di santi (ritenuti poco fondati storicamente)
e semplificate le preghiere e le sequenze. Venne lasciato c a m p o libero alle pro-
duzioni della musica sacra.
Le rubriche generali, i riti da osservare e i testi e r a n o uguali per tutti, e i
vescovi dovevano vigilare sugli abusi. Papa Sisto V istituì a questo scopo il Dica-
stero r o m a n o per la liturgia. Rimase carente la preoccupazione per la partecipa-
zione attiva dei fedeli. Ma ciò non era sentito come a n o m a l o dall'ecclesiologia
del tempo, che accentuava il ruolo dei ministri ed era orientata ad atteggiamen-
ti di reazione rispetto alla «mentalità popolare» dei Riformatori.
Il Messale, nella riedizione di C l e m e n t e V i l i (1604) e nella piccola revisione
di U r b a n o V i l i (1634), rimase sostanzialmente intatto fino all'attuale Messale
del 1973 riformato dal concilio Vaticano II.

80
Joseph Jungmann, nel suo ampio studio sulla storia della messa, paragona il
messale unico del concilio di Trento a

«un'enorme diga che, dopo lo scrosciare e il diluviare da tutte le cime e in tutte le val-
li nel medioevo, permette alla marea dei flutti di continuare la via in stabili condotti
e in canali ben costruiti. Così si pone fine a tutte le inondazioni e alluvioni, si garan-
tisce un andamento regolare e proficuo. Ma ne viene che la valle fiorita, dove una vol-
ta scorreva il fiume, sia ora deserta, e che quelle forze naturali di sviluppo non siano
più in grado di riunirsi e di dar vita a nuove forme se non nel caso di rigagnoli e di
8
devozioni particolari».

Il discorso riguardante l'evoluzione del rito della messa va ovviamente ricol-


locato in tutto un ambito culturale ed ecclesiale che, nel passaggio dal primo al
secondo millennio, vede accentuazioni nuove riguardanti la fisionomia della
Chiesa nella sua struttura gerarchica, nella visione dei ruoli riguardanti i battez-
zati e i ministri, nella comprensione dell'eucaristia e del culto eucaristico, e che
darà motivo della richiesta insistente di u n a grande riforma riguardante tutto il
m o n d o cristiano.
Senza affrontare il q u a d r o complessivo che riguarda tutta la vita della Chie-
sa, soffermandoci sul tema dell'eucaristia, ripercorreremo qui alcuni tratti prin-
cipali della teologia, della dottrina dei concili, degli sbocchi della Riforma lute-
rana e dell'intervento ampio e autorevole del concilio di Trento.

2.3. La dottrina eucaristica nelle scuole e nei concili dei secoli X I - X I I I

2.3.1. I maestri delle «scuole» e la teologia della presenza eucaristica

L'eredità patristica era stata accolta, nell'alto medioevo, tramite la lettura e


la trascrizione delle opere dei padri. Verso la fine del primo millennio, col matu-
rare di un contesto culturale nuovo e con l'esperienza delle «scuole» sorte pres-
so i monasteri e presso le grandi sedi vescovili, si fa strada una problematica n u o -
va riguardante alcuni temi dell'eucaristia, in particolare la Presenza eucaristica.
Sono celebri le controversie maturate nella scuola del monastero di Corbie, e
p o r t a t e avanti dall'abate Pascasio R a d b e r t o nel secolo IX e da R a t r a m n o , m o n a -
co dello stesso monastero, e la controversia del secolo XI svoltasi attorno a Beren-
gario, celebre maestro della scuola della cattedrale di Tours.
Nella controversia del secolo XI venne affrontato con urgenza nuova il pro-
blema della presenza di Cristo nell'eucaristia, rispondendo alla d o m a n d a se essa
sia Presenza reale-oggettiva o simbolica, oppure dinamic&-operativa.
Di fronte ai maestri delle altre scuole, Berengario, p a r t e n d o dalle leggi che
riguardano i corpi, con sottile dialettica negava la possibilità di una presenza rea-
le del corpo di Cristo nelle eucaristie celebrate. Per non svuotare la verità del-
l'eucaristia, egli sosteneva, ricollegandosi ad Agostino, u n a presenza dinamica-
operativa del Cristo. Cristo nell'eucaristia crea la Chiesa. C o n t r o di lui, Lanfan-

JUNGMANN, Missarum soltemnia, 120.

81
co di Bec, G u i t m o n d o di Aversa e altri maestri affermavano una presenza pie-
n a m e n t e reale del Signore nell'eucaristia. Q u e s t a tesi o t t e n n e sempre più il favo-
re del magistero.
Nel sinodo del Luterano del 1059 e poi nel concilio del L a t e r a n o del 1079,
venne siglata una formula realistica che suonava così:

«dopo la consacrazione è presente il corpo vero di Cristo, che è nato dalla Vergine,
che stette appeso alla croce e siede alla destra del Padre».

Berengario dovette sottoscriverla. Di fronte alle obiezioni da lui ulterior-


m e n t e avanzate in base alla suo fenomenismo, i teologi a lui contrari utilizzaro-
no le categorie aristoteliche di «sostanza» e di «accidenti», per descrivere la
modalità della Presenza e del c a m b i a m e n t o che avviene nell'azione eucaristica
sul p a n e e sul vino.
A questo punto ha inizio un fatto nuovo nella Chiesa: nell'intento di preci-
sare dogmaticamente i termini della presenza reale di Cristo nell'eucaristia,
nascono, per contrapposizione, i primi errori teologici riguardanti appunto l'eu-
caristia. Berengario ne è esponente nelle due c o n d a n n e che subisce nel 1059 e
nel 1079. È un p r i m o annuncio dei problemi che esploderanno più avanti con la
Riforma.

2.3.2. Dalla teologia alle affermazioni dei concili

I maestri del secolo X I I - tra gli altri R o l a n d o Bandinelli, divenuto papa


Alessandro III nel 1140-42 - e poi Stefano di Tournai e Pietro L o m b a r d o , ne]
Libro delle Sentenze, e altri, elaborarono, per intendere la Presenza eucaristica
le espressioni: presenza sostanziale e transustanziazione (cambiamento delle
sostanza nel compiersi dell'eucaristia). Questi termini verranno assunti nel con
cilio Lateranense IV del 1215, in un testo dogmatico contro gli albigesi e i catari
ove si afferma:

«il [...] corpo e il [...] sangue [di Gesù Cristo] sono contenuti veramente nel sacra
mento dell'altare sotto le specie del pane e del vino, poiché il pane è transustanziati
9
nel corpo, e il sangue nel vino per divino potere».

Nel q u a d r o di un ampio approfondimento teologico si svilupperà la teologi


sistematica dei grandi maestri del secolo X I I I , tra i quali ha massimo risalto 1
figura di san Tommaso, avranno seguito le formulazioni dottrinali dei concili
troveranno fondamento le motivazioni teologiche a favore dell'adorazione e d(
culto dell'eucaristia.
II concilio di Firenze p r o p o r r à la comprensione ontologico-oggettiva dell'et
caristia nella bolla Exsultate Deo (22 n o v e m b r e 1439), trattando questo tema n<
10
dialoghi con gli a r m e n i .

9
Denz 802.
10
Denz 1321.

82
Successivamente, nel concilio di Trento, la v n a a a r
ristia sarà motivo ispiratore della sessione XIII (1551) o v e a

«Can. 1. [...] nel santissimo sacramento dell'eucaristia è contenuto


mente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo, e r a Pari-
ma e la divinità, e, quindi, il Criso tutto intero [...].
Can. 2. Se qualcuno [...] negherà quella meravigliosa e singolare conversione di tutta
la sostanza del pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue, [...] conver-
sione che la Chiesa cattolica con termine appropriatissimo chiama transustanziazio-
11
ne: sia anatema».

Nei capitoli e canoni della sessione XIII i padri del concilio di Trento svilup-
p a n o come conseguente la dottrina del culto eucaristico nella chiesa.
L'acquisizione di u n a formula dogmatica riguardante la Presenza eucaristica,
fatta in termini di sostanza e di transustanziazione, è base dottrinale dello svi-
luppo di tutta la prassi ecclesiale dell'adorazione del sacramento dell'eucaristia
fuori della messa (tale adorazione era praticata e diffusa fin dall'inizio del secon-
do millennio, ma in seguito avrà uno sviluppo ancora più autorevole e motiva-
to). Si dirà: se il Signore è presente in m o d o reale sostanziale nelle «specie euca-
ristiche», è doveroso tributare adorazione e o n o r e al santissimo sacramento con
l'esposizione, le visite dei fedeli e le processioni. Segno particolarmente solenne
di questo «onore» sarà la festa del «Corpus Domini», istituita nel 1264 con testi
liturgici (preghiere, inni e sequenze) a p p r o n t a t e da san Tommaso, e rappresen-
tata e m b l e m a t i c a m e n t e nel d u o m o di Orvieto, costruito c o m e tempio tipico di
questa solennità.

Occorre ricordare che, parallelamente allo sviluppo del culto eucaristico, già
da secoli si era assai impoverita la liturgia della celebrazione della messa, a moti-
vo delle messe private, del ruolo primario/esclusivo del sacerdote nella celebra-
zione, della passività dei fedeli ridotti al ruolo di spettatori e della mancanza del-
la c o m u n i o n e dei fedeli nella messa.
La celebrazione dell'eucaristia, n o n partecipata p e r il suo aspetto comunita-
rio e conviviale nella «memoria del sacrificio del Signore», era considerata p r e -
v a l e n t e m e n t e come p u n t o di adorazione e di richiesta di frutti, tramite le offer-
te elargite p e r le celebrazioni delle messe.
È in questo contesto che viene promulgato nel concilio L a t e r a n e n s e IV
12
(1215) il p r e c e t t o della confessione dei peccati almeno una volta all'anno e il
precetto minimo della comunione da ricevere almeno a Pasqua.
Da Trento in poi si affiancano così, a livello conciliare, la teologia, le n o r m e
riguardanti la vita del cristiano e un tipo di spiritualità incentrata sull'adorazio-
ne. La celebrazione e il m o d o di vivere l'eucaristia nella comunità cristiana è
molto impoverito.

11
D e n z 1651-1552.
12
Denz 812.

83
In questo stesso q u a d r o protratto a lungo, p r e n d e r à piede, nel secolo X V I ,
contestazione di L u t e r o e tutto il movimento della Riforma, nei confronti di u
prassi eucaristica n o n rispondente p i e n a m e n t e al suo valore.

2.4. La Riforma di Lutero e il concilio di Trento

2.4.1. Lutero e l'eucaristia

Senza ripercorrere i passi e i vari aspetti dell'iter riformatore di Lutero, rio


diamo i punti principali che egli toccò nei riguardi dell'eucaristia, negli ai
1518-1522.
L u t e r o riserva all'eucaristia parole piene di attenzione e di o n o r e : la defi
sce «summa et compendium evangelii». Richiede per essa u n a partecipazic
comunitaria e conviviale e contesta le messe tradizionali celebrate nell'amb
cattolico, perché carenti di partecipazione comunitaria e di comunione. L'eu
ristia è da lui detta la «santa cena» e, come tale, non p u ò prescindere dalla con
nione. Contesta la prassi e la dottrina della messa/sacrificio, gestita dal sacen
te per ottenere frutti di salvezza e per avere l'offerta dai fedeli; la «santa cei
è sacramento, d o n o di Dio all'uomo e non offerta dell'uomo a Dio. Rifiuti
ministero ordinato per celebrare la messa, affermando che la è «cena» donc
Gesù alla Chiesa tutta, senza distinzione di gradi ministeriali, e ritiene un abi
il culto eucaristico, essendo l'eucaristia istituita nel segno del p a n e per ess
mangiata e non per essere conservata per l'adorazione.
Accanto ad alcune richieste del tutto genuine, L u t e r o univa aspetti di cor
stazione radicale, specialmente nei riguardi del ministero e della Chiesa roma

2.4.2. Il concilio di Trento

Di fronte alle affermazioni di Lutero, il concilio di Trento, si pose in un atl


giamento di difesa dall'«eresia» e di rifiuto radicale delle richieste della Ri
ma. Vide tutto il fronte della Riforma come «una zizzania che il nemico ha se
13
n a t o nel campo della Chiesa». Ribadì la dottrina cattolica tradizionale d
Presenza reale, secondo la formulazione ormai c o m u n e ai teologi e ai con
riaffermò la prassi e la dottrina del culto eucaristico, la dottrina del sacrificio
linee direttive della celebrazione della messa e della comunione «almen
Pasqua» per i fedeli. Tra il concilio di Trento e la Riforma si instaurò un ci
reciproco di rifiuto e di tensione polemica. Le sollecitazioni di Lutero fur
respinte, anche là dove potevano essere viste in una prospettiva del tutto po
va. In particolare n o n vennero accolte la celebrazione con partecipazione co
nitaria, la comunione nella messa, l'attenzione alla mensa della Parola acce
alla mensa del p a n e nella celebrazione, l'uso della lingua parlata, la priorità
la celebrazione della messa rispetto al culto.

13
Denz 1635.

84
Per motivi di procedura, il concilio di Trento trattò in maniera separata e
divisa i grandi temi dell'eucaristia (Presenza, sacrificio e comunione), pur essen-
do questi inscindibilmente uniti. L'ampia trattazione del concilio è stata svolta
14
nella sessione X I I I (1551) riguardante la santissima eucaristia; nella sessione
5
X X I (1562) «sulla comunione sotto le due specie»} e nella sessione X X I I (1562)
16
dove è svolto il t e m a della dottrina e dei canoni sul sacrificio della messa.
Ai nostri giorni, nel grande c a m b i a m e n t o di mentalità e di rapporti siglato
dal concilio Vaticano II, e alla luce dello spirito ecumenico che sottolinea gli
aspetti positivi esistenti nelle Chiese cristiane divise, ma in un clima di ascolto e
in una volontà di intesa, tante sollecitazioni di L u t e r o appaiono nella loro vali-
dità. Ci riferiamo alla celebrazione comunitaria, alla comunione nella messa, al
legame stretto tra culto eucaristico e celebrazione della messa.
A n c h e i termini espressivi del mistero eucaristico, q u a n t o alla Presenza e al
sacrificio (pure nell'autorevolezza dei testi tridentini), ai nostri giorni sono letti
nell'unità complessiva del mistero che si fa presente a noi, e sono compresi pre-
feribilmente in u n a terminologia ispirata, più che a un linguaggio metafisico, al
linguaggio biblico, liturgico ed esistenziale, con attenzione alla sensibilità perso-
nalista del nostro tempo.
Tutto questo emerge dalle grandi linee del concilio Vaticano II e dai dialoghi
ecumenici, tra i quali va n o t a t o in particolare il d o c u m e n t o siglato a Lima nel
1982 tra tutte le Chiese cristiane e intitolato Battesimo, eucaristia e ministero.

2.5. Il rinnovamento del concilio Vaticano II

2.5.1. Motivi ispiratori

La riforma del Vaticano II è ricca di affermazioni dottrinali e di indicazioni


pratiche, sparse nei vari documenti, e nei testi successivi, che ripropongono il
senso, la comprensione, la celebrazione, la partecipazione al sacramento dell'eu-
caristia. Quest'ultimo è visto in un'ottica strettamente unitaria q u a n t o agli aspet-
ti di sacrificio, presenza e comunione, e in una centralità emergente rispetto alla
Chiesa, al culto, alla fede e alla vita del popolo cristiano. Vanno perciò ricordati:
- la costituzione Sacrosantum concilium (1963);
l'enciclica Mysterium fidei (1965);
- l'istruzione Eucharisticum mysterium (1967) della Sacra Congregazione
dei riti, che riassume in maniera profonda e ampia le linee dottrinali e le
indicazioni celebrative dell'eucaristia secondo la lettera e lo spirito del
concilio.
C'è poi l'edizione del Messale di Paolo VI del 1973 e la riedizione ampliata
del 1988 e del 2004 con le n o t e riguardanti VOrdinamento generale del Messale
Romano.

14
Denz 1635-1661.
15
Denz 1725-1734.
16
Denz 1738-1760.

85
Gli interventi della Chiesa, orientati a una nuova visuale, in connessione con
tutto l'iter del movimento liturgico, hanno avuto attuazione progressiva già a par-
tire dagli anni 1950 con l'uso della lingua parlata, l'altare rivolto verso il popolo,
la sottolineatura della liturgia della Parola, la comunione entro la messa, la plura-
lità dei libri liturgici (messale, lezionario, libro per le preghiere dei fedeli) e il ruo-
lo fondamentale dei vari ministeri nella celebrazione (dal presidente, ai lettori, ai
cantori, ai ministranti, all'assemblea). Essi esprimono e coinvolgono in una mol-
teplicità armonica tutti i membri della Chiesa celebrante, che ha il suo punto «cul-
minante» nella celebrazione dell'eucaristia. I vari passi della riforma h a n n o recu-
perato - tendenzialmente - l'immediatezza viva delle Chiese dei primi tempi e
h a n n o eliminato distorsioni intervenute in alcune fasi della storia cristiana.

2.5.2. L'eucaristia: comunione personale e vitale con Cristo

L'eucaristia, nella sua comprensione profonda, più che intesa nel quadro
oggettivo di una «realtà» che si p o n e di fronte al credente per essere riconosciu-
ta e adorata, è vista come un venire a noi del Signore, è il donarsi di lui a noi pei
una comunione di persona e di vita. L'eucaristia è quindi:
• «convocazione e celebrazione di tutta la Chiesa vivente», del popolo d
Dio nell'unità e nella varietà dei suoi membri e dei suoi carismi per ui
incontro creatore di vita e di missione;
• «mensa del Signore», della Parola e del pane, cui tutti partecipano «per avi
re la vita e averla in abbondanza» secondo la tematica cara a Giovanni;
• pasqua del Signore, celebrata come «culmine e fonte» e centro della vii
cristiana, del culto, della Chiesa e con essa di tutto il mondo redento.
In queste proiezioni sono ripresi verità e stimoli che le varie Chiese cristiar
vivono a raggio ecumenico. In particolare è da notare il risalto d a t o alla fede ci
sorge dalla parola di Dio. Si ha qui quella suggestione particolarmente ricca d<
la dualità della mensa della Parola e del pane che il concilio Vaticano II ha p
17
volte sottolineato.

2.5.3. La mensa della Parola e del pane

Il t e m a della «duplice mensa» non indica l'affiancarsi di d u e riti (quello d


la Parola e quello dell'eucaristia), dice invece che la Parola e l'eucaristia sono c
misteri che. si illuminano ù vicenda e si intrecciano nella Chiesa:
la Parola è un p a n e che è mangiato e assimilato nello Spirito; ess
essenziale per la vita della Chiesa, perché in quella Parola è prese
Cristo e n u t r e i suoi discepoli nella fede;
l'eucaristia è un nutrimento spirituale, che si riceve nella fede, oltre
con la bocca nel sacramento. Il corpo eucaristico è il corpo glorioso,
rituale di Cristo. Esso viene ricevuto, come la Parola, tutto intero: p
per i sensi senza essere diminuito, ed entra nella m e n t e e nel cuore
riscaldarli e illuminarli.

E. CATTANEO, «Dalla parola alla eucaristia», in Rassegna di Teologia 4 6 ( 2 0 0 5 ) , 5 - 1 5 .

86
C o m e avvenne con i discepoli di E m m a u s , la parola di Gesù fece loro arde-
re il cuore, finché la sua «verità» si rivelò in pienezza nello «spezzare il pane».
Si intravedono due tempi di un'unica realtà, in cui chi si d o n a è Cristo, il Ver-
bo, l'Incarnato, il Risorto, pegno della vita eterna, che opera nello Spirito Santo.
Nello Spirito suscita la Parola, la fa entrare nell'uomo tramite la fede, santifica e
trasforma gli elementi del p a n e e del vino, li fa diventare «segno» del corpo del
Signore e li fa entrare nell'uomo come comunione con il corpo di Cristo e comu-
nione con tutta la Chiesa. Il concilio Vaticano II ripete più volte che la liturgia
della Parola e la liturgia eucaristica costituiscono un'unità nella celebrazione,
nella comprensione e nel mistero. N o n c'è via di comunicazione con il Cristo - il
Verbo incarnato - se n o n nella Parola e nella fede che, sola, apre al mistero del-
la comunione con lui.

«Come dall'assidua frequenza del mistero eucaristico prende vigore la vita della
Chiesa, così è lecito sperare un nuovo impulso di vita spirituale dall'accresciuta vene-
18
razione della parola di Dio che rimane in eterno».

3. TEOLOGIA DELL'EUCARISTIA

3.1. L'eucaristia celebrazione della Chiesa

Il primo degli aspetti dell'eucaristia è dato dalla sua fisionomia celebrativa: in


essa il popolo dei battezzati è convocato per partecipare al banchetto del Signore.
La convocazione è fatta dal Signore, lo Sposo dell'umanità, che chiama a sé
la sua sposa e le offre i suoi doni, le dà un saggio anticipatore del banchetto del-
le nozze eterne.
A lui risponde la Chiesa celebrante, la sposa che diventa commensale del
«banchetto del Signore».

3.1.1. // Cristo è il protagonista principale della celebrazione eucaristica

Egli invita e introduce i partecipanti al b a n c h e t t o eucaristico con le parole


che aveva d e t t o nell'ultima cena: « H o desiderato a r d e n t e m e n t e di mangiare
questa Pasqua con voi, prima della mia passione» (Le 22,15). Egli fa giungere
ora il suo invito con lo stesso a m o r e che lo aveva spinto a dare la vita. Mosso
da q u e l l ' a m o r e è desideroso di elargire s e m p r e di n u o v o tutto ciò che è suo.
L'iniziativa e la priorità che ha il Signore a p p a r e con chiarezza in tutti i pas-
saggi della celebrazione. Egli è il c o n d u t t o r e della festa, d o n a se stesso, è lui il
festeggiato. Nel saluto iniziale è indicata la sua posizione in mezzo ai suoi: «Il
Signore è con voi!». Da lui v e n g o n o la Parola che è proclamata, il p e r d o n o e i
doni del banchetto.
Una parte di primo piano nell'iter della celebrazione è riservata alla parola del
Signore che è annunciata ed è sorgente della fede, del dialogo e della comunica-
zione del mistero:

18
DV 26: EV 1/911.

87
«La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso
del Signore, non tralasciando, soprattutto nella sacra liturgia, di assumere il pane del-
la vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo, e di porgerlo ai
19
fedeli».

Neil' Ordinamento generale del Messale è scritto:

«Le letture scelte dalla sacra Scrittura con i canti che le accompagnano, costituiscono
la parte principale della liturgia della Parola; l'omelia, la professione di fede e la pre-
ghiera universale o preghiera dei fedeli sviluppano e concludono tale parte. Infatti
nelle letture che vengono spiegate nell'omelia, Dio parla al suo popolo, gli manifesta
il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale. Cristo
stesso è presente, per mezzo della Parola, tra i fedeli. Il popolo fa propria questa paro-
la divina con il silenzio e i canti, e vi aderisce con la professione di fede. Così nutrito
prega nell'orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del
20
mondo».

Nella proclamazione viva della «Parola», al centro della messa, viene fatto il
memoriale della pasqua, e nell'acclamazione, che segue le parole del Signore sul
p a n e e sul vino, tutti cantano: «Tu ci hai re denti con la tua croce e la tua risur-
rezione, salvaci o Salvatore del m o n d o » . Alla fine, nella comunione, il Cristo si
dona nella totalità del suo mistero e nel m o m e n t o del congedo da lui viene data
la benedizione.

3.1.2. La Chiesa è protagonista con Cristo dell'azione liturgica

La Chiesa ha ricevuto l'invito al banchetto come «sposa» amata; è destinata-


ria dei doni del suo Signore ed è partecipe del dialogo, dell'offerta di liberazio-
ne e della vita che viene da lui, il Salvatore, e dal Padre che lo ha mandato.
La Chiesa celebrante è costituita dal popolo dei battezzati che accolgonc
l'invito e partecipano all'assemblea conviviale.
Presiede, come segno del Cristo invisibile, colui che ha da lui il dono, «il cari
sma», di rappresentarlo nel servizio sacerdotale.
La Chiesa è vestita a festa e porta con sé i segni della sua dignità e i sue
ornamenti: i ministeri che la contrassegnano e i carismi molteplici che lo Spirit
le dona. Raccolta in assemblea essa canta la sua fede, eleva la sua preghiera
testimonia la carità che è accesa in lei dallo Spirito. La carità della Chiesa :
allarga al tessuto dei rapporti interpersonali che si a p r o n o senza confine, a pa
tire dalla celebrazione, al di là dì ogni divisione, nell'attenzione e nel servizio ve
so l'umanità intera.
La Chiesa, riunita nella «cena del Signore», si apre a tutta l'umanità redent
L'umanità, nella sua totalità, senza esclusioni, è destinataria del banchetto de
nitivo della salvezza. Tale apertura senza confini alla festa del Cristo è proc'
m a t a dal presidente, in u n o dei m o m e n t i centrali della celebrazione, allorché

19
DV 21: EV 1/904.
20
CEI, Ordinamento generale del Messale Romano, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vat
no 2004, n. 55.
n o m e di tutti dice: «Ricordati Signore della tua Chiesa diffusa su tutta la t e r r a -
ricordati dei presenti, del tuo popolo e di tutti gli uomini che ti cercano con cuo-
re sincero».
È evidente che ogni eucaristia, anche se celebrata in comunità piccole e disa-
giate, non p u ò eludere questa verità fondamentale, di essere sempre il segno del
riunirsi della Chiesa universale e del m o n d o intero n e l l ' a p p u n t a m e n t o di salvez-
za offerto dal Signore.

3.2. L'eucaristia sacrificio

Di fronte al mistero celebrato, il significato più profondo e coinvolgente di


21
esso è d a t o dal suo valore di sacrificio.
Il significato sacrificale appare con evidenza immediata nella fede. Le p a r o -
le dell'ultima cena suonano infatti così: «Prendete e mangiate: questo è il mio
corpo [...] questo è il mio sangue [...] versato p e r molti» (Mt 26,26.28); e Paolo
ripete: «Ogni volta che voi mangiate di questo p a n e e bevete il calice del Signo-
re, voi annunziate la m o r t e del Signore finché egli venga» ( I C o r 11,26).
Q u e s t e espressioni enunciano il «donarsi del Cristo crocifìsso e risorto» nel
segno eucaristico. Tale d o n o apre l'esistenza dell'uomo alla salvezza (Ef 1,3-14)
e la fa diventare sacrificio gradito a Dio e lode che si eleva a Dio dal mondo.
Nella continuità con la tradizione che viene dai testi biblici, è da dire che il
tema dell'eucaristia-sacrificio è stato sempre presente, ma è stato anche un p o '
travagliato, nella storia della teologia, per le d o m a n d e che ha p o r t a t o con sé, in
particolare in seguito alla Riforma, e per le teorie non soddisfacenti che la tra-
dizione teologica ha utilizzato.
I protagonisti della Riforma n o n h a n n o accettato la celebrazione di un sacri-
ficio rituale-ecclesiale di fronte all'unico e irripetibile sacrificio della croce; e le
teorie teologiche in c a m p o cattolico h a n n o dedotto, prima e d o p o il concilio di
Trento, la lettura del sacrificio eucaristico dai concetti di «immolazione» e di
«oblazione» come da un q u a d r o referenziale primario, al di là della realtà della
presenza sacramentale del Signore nell'eucaristia.
La teologia attuale sviluppa la propria riflessione p a r t e n d o non dalle cate-
gorie tradizionali che descrivono il sacrificio, ma dal mistero del Cristo crocifis-
so e risorto, che si fa presente nell'eucaristia e che associa la Chiesa al suo «ser-
vizio sacerdotale».

21
Cf. Celebrare l'eucaristia oggi, Elledici, Leumann (TO-) 1 9 8 4 ; «L'eucaristia», in Communio
3 5 ( 1 9 7 7 ) ; // sacrificio evento e rito, Messaggero, Padova 1 9 9 8 ; n. 3 di Concilium ( 1 9 8 0 ) ; J. A U E R - J.
RATZINGER, // mistero dell'eucaristia, Cittadella, Assisi 1 9 7 2 ; T. BECK - G. D E L L A CROCE, La parola e
l'eucaristia, E D B , Bologna 1 9 7 6 ; G. COLOMBO, Pregare l'eucaristia, Queriniana, Brescia 1 9 9 1 ; ID., L'eu-
caristia nella comunità cristiana, Elledici, Leumann (TO) 1 9 9 1 ; L. COTÉ, L'eucaristia del popolo di
Dio, EP, Cinisello Balsamo 1 9 9 3 ; L. DE BACCIOCCHI, L'eucaristia dopo il Vaticano 11, Cittadella, Assi-
si 1 9 6 8 ; L. D E L L A T O R R E , Pregare l'eucaristia, Queriniana, Brescia 1 9 8 2 ; E X . DURWELL, L'eucaristia,
EP, R o m a 1 9 8 2 ; A. D O N G H I , La spiritualità della celebrazione dell'eucaristìa, OR, R o m a 1 9 8 7 ; G.
G I R A U D O , Eucaristia per la Chiesa, Morcelliana, Brescia 1 9 8 9 ; J. HERMANS, La celebrazione dell'eu-
caristia, Elledici, Leumann (TO) 1 9 8 3 ; L. LIGIER, // sacramento dell'eucaristia, Pontificia Università
Gregoriana, R o m a 1 9 8 8 ; E. M A Z Z A , La celebrazione eucaristica. Genesi del rito e sviluppo dell'inter-
pretazione, E D B , Bologna 2 0 0 3 (prima edizione EP, Cinisello Balsamo 1 9 9 6 ) ; P. TENA, «L'assemblea
liturgica e il suo presidente», in Concilium 2 ( 1 9 7 2 ) .

89
Tutto il discorso p r e n d e ispirazione e guida dal linguaggio biblico e liturgico,
che il concilio Vaticano II ha indicato quale base della dottrina dell'eucaristia in
tutti i suoi aspetti. Da queste premesse possono essere dedotti i seguenti punti:

• // sacrificio di Gesù è centro del destino del mondo.


• L'eucaristia coinvolge l'umanità nel mistero del sacrificio di Cristo.
• La Chiesa partecipa al sacrificio di Cristo apre alla storia il traguardo della
salvezza.

22
3.2.1. // sacrifìcio di Cristo e l'umanità

Sembra utile p r o p o r r e inizialmente, come stimolo alla riflessione, alcune


domande provenienti da varie correnti del pensiero antropologico-religioso del
nostro t e m p o e, in parte, dalla tradizione luterana. Tali d o m a n d e possono essere
formulate così:
È secondo lo stile di D i o - del D i o biblico e della creazione - riferirsi alla
prassi dell'immolazione e del sacrificio, p e r realizzare l'espressione massima del-
la religiosità?
Ha senso un «rito sacrificale» per esprimere il ritorno a Dio dell'uomo, se
nell'insegnamento del vangelo ciò che conta di più, nella risposta a Dio, è il cuo-
re e la vita e se tutta la tradizione biblica ha sottolineato la priorità della fede e
dello spirito rispetto all'esteriorità del gesto rituale del sacrificio?
Che valore ha l'eredità storica delle religioni che h a n n o praticato sempre dei
sacrifici, di fronte a una sensibilità e a una cultura c o n t e m p o r a n e a che p o n e
davanti a tutto, nella vita dell'uomo, l'affermazione dell'individuo, l'autonomia e
la realizzazione della persona? N o n appare la prassi della sacrificalità come
un'alienazione?
E che p a r t e p u ò avere Cristo nelle esperienze religiose dell'uomo d'oggi e di
tutta la storia?
Le d o m a n d e sopra elencate sono riconducibili a due quesiti fondamentali:

• Qual è la proposta autentica del Dio della creazione all'uomo religioso per
una corrispondenza al dono della creazione stessa?

• Qual è il significato del sacrificio di Cristo di fronte al progetto di Dio per


l'umanità?

La risposta p u ò essere articolata nel m o d o seguente:

a) // sacrificio che Cristo ha compiuto, d a n d o la sua vita nell'obbedienza al


Padre, n o n è stato un tributo di sangue offerto a D i o per renderlo propizio, ma

22
Cf. // sacrificio evento e rito, Messaggero, Padova 1988; in particolare E.V. OTTOLINI, «Eucari-
stia, la dimensione sacrificale», ivi, 418ss; S. U B B I A U , «Teologia del sacrificio», ivi, 451ss. Cf. anche
M A Z Z A , Le odierne preghiere eucaristiche, 297ss; R. TREMBLAY, «Pane e vino eucaristici volto del
Risorto nella Chiesa», in Rassegna di Teologia 41(2000), 261-270.

90
è stato la realizzazione del valore autentico dell'uomo. L ' u o m o riceve la vita da
D i o e la riconduce a D i o nella fedeltà e nell'amore, m i r a n d o a ricevere la vita in
pienezza oltre la morte. Soltanto t o r n a n d o alla sorgente della vita, attinge alla
vita eterna. Cristo manifesta nel suo sacrificio la verità di un Dio amante, che
vuole d o n a r e una vita senza fine a chi gli è fedele, e manifesta la verità dell'uo-
mo che, a v e n d o ricevuto la vita gratuitamente, la realizza, e n t r a n d o nella logica
di Dio: «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Q u a n d o si ritorna a
Dio nella «gratuità del donare», «esplode» come risposta l'amore creante di Dio,
che è sorgente di vita. D i o non vuole la m o r t e di qualcuno, ma la fedeltà piena
fino alla fine, per aprire la vita al di là della m o r t e a una comunione senza fine.
Q u e s t o è possibile tutte le volte che una creatura si p o n e in sintonia di dialogo
con D i o e vive nello stile di Dio. Un tale tipo di r a p p o r t o con D i o è stato vissu-
to da Gesù che, come ci dice san Paolo, è stato obbediente fino alla m o r t e e per
questo D i o lo ha esaltato (cf. Fil 2).

b) Le religioni umane vedevano nel sacrificio e nelle vittime immolate un


riconoscimento oscuro del dio creatore e trascendente; e la tradizione biblica
offriva i sacrifici al D i o della salvezza ispirandosi alla fede nella sua benevolen-
za e orientandoli in maniera profetica (come in A b r a m o ) al sacrificio del Messia
venturo. Di fronte a queste esperienze G e s ù mostra una verità e una certezza
nuova. La certezza che l'uomo appartiene a un D i o che a m a l'uomo, un D i o che
chiede all'uomo di riconoscere il suo progetto di amore, di ritornare a lui nell'a-
more. C o m e diceva Agostino: «ci hai fatto per te ed è inquieto il nostro cuore
finché n o n riposa in te». D i o non ha come intento l'immolazione delle vittime,
ma il compiersi della vita nella fedeltà totale, nell'amore. Q u a n d o questo si com-
pie, è messo in atto il piano divino di u n a vita senza fine in Dio.

c) // sacrificio di Cristo si pone al centro della storia umana, in q u a n t o Gesù,


per il suo mistero personale di unità con D i o e per l'illuminazione dello Spirito
che lo guida nella vita terrena, sa che il suo sacrificio è gradito al P a d r e ed è fat-
to a n o m e dell'umanità. Il sacrificio della pasqua perciò è unico, è l'evento reden-
tore, è mediazione di salvezza e inizio della vita nella risurrezione. Cristo compie
l'esperienza sacrificale come «capo del corpo dell'umanità» (Col 1,18) e a lui
farà riferimento ogni esperienza religiosa dell'uomo. I testi biblici ripetono tan-
te volte che egli si è «dato per la moltitudine» (perì pollòn) e che la moltitudine
u m a n a non p u ò fare ritorno a D i o senza di lui.

d) In rapporto a Cristo ogni uomo esistente, si realizza accogliendo l'espe-


rienza di lui e del suo stile di vita. A p r e n d o s i a lui nella fede e nel memoriale da
lui lasciato come testamento per l'umanità, si fa comunione con «il suo corpo e
il suo sangue offerti nel sacrificio» e così «si viene ammessi alla presenza del
Padre per compiere il servizio sacerdotale».

Il sacrificio di Cristo e il memoriale della Chiesa

La liturgia eucaristica è celebrata come incontro e comunione - nella fede e


nel mistero - tra la Chiesa e Cristo nel suo atteggiamento sacrificale. La Chiesa

91
è coinvolta nell'esperienza del Crocifisso che si è consegnato al P a d r e ed è esal-
tato nella gloria; essa si rivolge a lui con parole piene di gratitudine e di pre-
ghiera:

«Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell'attesa della


tua venuta».
«Ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo. Guarda con
amore e riconosci nell'offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra
redenzione e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienez-
za dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito»
(Pr. euc. III).

La trama della liturgia eucaristica a p p a r e contrassegnata così da due ambiti


di riferimento e da due ambiti di comprensione:
il primo vede l'eucaristia come celebrazione ecclesiale, come liturgia
sacrificale espressa nel sacramento;
- il secondo vede nella celebrazione eucaristica due protagonisti, distinti e
uniti: Cristo nel suo sacrificio, del quale è fatta m e m o r i a e ri-presenta-
zione, e la Chiesa, che è offerente insieme al Cristo ed è unita a lui nel-
l'amore e nella dedizione.

Il linguaggio celebrativo dell'eucaristica si articola così:


- come memoria del sacrificio della croce, del «sacrificium crucis»;
- come comunione della Chiesa con Cristo che offre il suo sacrificio e dedi
zione della propria vita (la Chiesa si unisce a Cristo con il proprio sacri
ficio esistenziale, il «sacrificium vitae»);
- come lode, ringraziamento e domanda a Dio da parte della Chiesa «cht
è stata ammessa alla sua presenza per compiere il servizio sacerdotale»
23
il «sacrificium laudis».

Il memoriale della Chiesa n o n è ristretto a una p u r a espressione rituale, m;


tutta l'azione eucaristica è apertura al mistero di Cristo e alla vita dell'uomo, a
m o n d o e alla storia. L'«azione di grazie» al Padre per il d o n o del Cristo crocifis
so e risorto intende essere ricapitolazione dell'esistenza attorno al mistero d
Gesù e base di partenza affinché l'evento della croce sia polo che orienta tutti
la vita. Il linguaggio «eucaristico» ha davanti l'uomo nella sua verità creaturah
e nella sua chiamata alla salvezza. L'uomo riceve tutto da Dio: l'esistenza, la vita
il m o n d o e la capacità di ritornare a D i o nell'amore; e in questa consapevolezza
la parola che si p u ò dire con significato profondamente personale è: «Ti rendia
mo grazie».

La nostra riflessione, ora, si concentra intorno ai protagonisti del sacrifici*


eucaristico: il Cristo crocifisso e risorto, che si fa «qui per noi» con il suo sacrifi
ciò eterno; e la Chiesa che partecipa a lui in un atteggiamento di lode.

2 3
Cf. BEM, euc. nn. 3-4.

92
3.2.2. L'eucaristia memoriale del sacrificio di Cristo

• Il sacrificio di Cristo d o n o per l'umanità

Nella celebrazione eucaristica si fa presente e o p e r a n t e in m o d o singolare il


sacrificio del Signore. La Chiesa, per c o m a n d o di Gesù, ripete ciò che egli ha fat-
to e detto nella sua ultima cena, q u a n d o ha annunciato e d o n a t o ai suoi «il suo
corpo dato e il sangue versato». Secondo il c o m a n d o del Signore la Chiesa si
indirizza così al P a d r e :

«Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente
risorto e asceso al cielo, nell'attesa della sua venuta, ti offriamo, Padre, in rendimen-
to di grazie questo sacrificio vivo e santo» (Pr. euc. III).

Nel «memoriale» viene attuato un raccordo immediato tra l'evento pasqua-


le del Signore crocifisso e risorto e la Chiesa celebrante.
Il Signore si affaccia alla Chiesa con la sua storia, con la sua m o r t e e risur-
rezione e, così, l'evento del morire e risorgere del Cristo si mette in c o m u n i o n e
con essa.
24
Al dire di H.U. von Balthasar, il sacrificio della croce è visto come l'offerta
di a m o r e che Gesù fa al Padre e all'umanità. Il r a p p o r t o tra Cristo e l'umanità è
letto tramite la categoria patristica della sponsalità: Cristo si rivolge all'umanità
nell'amore, come alla sposa che ama. L'offerta di a m o r e di uno sposo alla sposa
è sempre finalizzata a una risposta, a una corrispondenza. Così l'amore totale del
Cristo sulla croce è indirizzato al Padre e all'umanità e attende risposta. Il P a d r e
dà la sua risposta con l'esaltazione del Cristo (Fil 2); e l'umanità è chiamata a
dare la propria risposta con il riconoscimento dell'amore di Gesù e la corrispon-
denza al suo sentire. Se ciò non avviene - come nel caso di un atteggiamento
indifferente o ostile degli uomini - il cerchio dell'amore Cristo-umanità non si
chiude.
C'è una modalità di risposta di tipo esistenziale, data da tutti quelli che accol-
gono nella vita le opzioni di giustizia e di verità che vengono dal Cristo (Mt 25),
e c'è una risposta esplicita e formale che è data nel dialogo di fede con il Signo-
re, nel segno dell'eucaristia indicato dal Signore stesso. Ivi si realizza una comu-
nione personale: l'offerta del Cristo, che dà la sua vita per ciascun uomo, è accol-
ta in una reciprocità amorosa e si traduce in un d o n o vicendevole nel «sacra-
mento». L'aprirsi l'un l'altro nella parola, nella fede e nel segno, non p u ò pre-
scindere dalla vita vissuta, p e n a il rischio di un segno vuoto e non sincero tra lo
sposo e la sposa.
Cristo si affaccia all'uomo col suo d o n o di amore, di salvezza, di vita. L'uomo
che accoglie questo dono, realizza il p u n t o più alto nel suo r a p p o r t o con Dio: il
sacrificio della croce che rimane in eterno è donato alla Chiesa in vista di una
comunione nell'amore e di una trasformazione sullo stile del dono totale.

24
H.U. von BALTHASAR, «La messa è vero sacrificio», in Spiritus Creator, Morcelliana, Brescia
1983,149ss.

93
Nell'eucaristia la Chiesa entra così in comunione vitale con il «sacrificio della
croce». Il segno dell'incontro si ha nel d o n o del p a n e e del vino che Gesù ha scel-
to nel gesto profetico della sua cena.
In quel segno, ora divenuto «memoriale», il Risorto p o r t a con sé la propria
storia e la comunica ai suoi. Dal p u n t o più alto della sua vicenda terrena - dal
d o n a r e la vita sulla croce e dall'essere risuscitato - Gesù continua a effettuare il
suo d o n o agli uomini per una comunione di amore.

• Q u a l e effetto ha per il m o n d o la comunione con il sacrificio del Signore?

Q u a l e pretesa p u ò avere il gesto rituale dell'eucaristia? H.U. von Baltha-


25
s a r dà risposta a questo interrogativo p a r t e n d o dal t e m a giovanneo della
«gloria». L'intento che ha il Signore nel consegnare a noi il suo sacrificio è
quello di trasmetterci lo «splendore» della vita di Dio, che egli ha p o r t a t o nel
m o n d o con la sua esperienza terrena. Lo «splendore di Dio» è detto da Gio-
vanni la «gloria» (doxa) di D i o : è l'amore totale che il Verbo incarnato vive nel-
la sua vita trinitaria e che ha vissuto in m o d o nuovo nella sua vicenda terrena.
Gesù vuole che questa esperienza di a m o r e diventi esperienza di tutta l'uma-
nità. Scrive Giovanni:

«Io ti ho glorificato [o Padre] compiendo l'opera che mi hai dato da fare [...] la gloria
che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola [...] e il
mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me» (Gv 17,4.22).

D i o solo vive la pienezza dell'amore. Ma Gesù, il Figlio diventato uomo, ha


svelato al m o n d o sulla croce lo splendore regale dell'amore divino. Egli ha ama-
to il m o n d o fino a dare la vita e vuole che la gloria divina dell'amore diventi
patrimonio del m o n d o intero.
Nell'eucaristia Gesù comunica questo amore, questo «splendore regale», alla
Chiesa, sua sposa, si unisce a lei in una comunione intima, così che la sua vicen-
da di crocifisso per a m o r e diventi «germe fecondatore» che fa nascere nella
Chiesa la «figura di Dio» (morphé Theoù) di cui parla Fil 2,6.
Egli vuole creare un m o n d o trasfigurato nella «gloria» del Padre, nella bellez-
za e nell'armonia della «carità» che egli ha fatto vedere, d o n a n d o la sua vita fino
alla morte, consegnandosi al Padre nella fedeltà e agli uomini nel perdono. La
«gloria di Dio» era una novità impensabile per l'umanità maledetta dal peccato e
per il m o n d o frantumato nelle contraddizioni dell'egoismo, ma Cristo vuole ren-
derla verità splendente nel mondo, facendo spuntare con la sua potenza creatrice
un m o n d o nuovo, contrassegnato dalla bellezza e dall'armonia dell'amore.
Così nell'eucaristia è portata a c o m p i m e n t o un'azione creante, fecondatrice,
orientata alla «generazione» della figura di Dio, di quella gloria di Dio che è
a m o r e totale, vittoria del b e n e sul male, generazione di una Chiesa santa e gene-
ratrice di santi. Così lo splendore dell'amore del Padre è fatto sorgere nel mon-

25
G. MARCHESI, «"La gloria" estetica teologica di H . U . v. Balthasar», in La Civiltà Cattolica
(1999)3572,120ss.

94
do; ora il Padre è glorificato e il Figlio è glorificato in lui perché i suoi diventano
una sola cosa con lui.
Q u e s t a impresa è opera della potenza creatrice del Cristo che ha dato la vita
per il mondo, dell'amore di lui che diventa «matrice genetica» e genera con
fecondità inesprimibile frutti di amore.
La potenza creatrice del sacrificio di Cristo n o n si ferma nell'attimo della
celebrazione eucaristica, ma è consegnata all'azione dello Spirito creatore, che fa
sorgere sempre nuove capacità di donare. Avviene in questa novità non un colla-
ge dei pezzi di un corpo frantumato, ma un'azione che crea vita, una vita fermen-
tata dall'amore, che rende la sposa di Cristo somigliante in tutto al suo Sposo.
In questo, la Chiesa che celebra l'eucaristia obbedisce p i e n a m e n t e alle paro-
le di Gesù, che aveva detto nella sua ultima cena: «Fate questo in mia memoria».
Fare quello che ha fatto Gesù equivale a ripercorrere nella vita i tratti di lui, così
che il fare m e m o r i a di lui sul p a n e corrisponde al vivere il suo stesso atteggia-
m e n t o di dono. In tale m o d o lo «splendore», la «doxa» di Dio che splende sul vol-
to del Crocifisso, diventa appartenenza dell'umanità, e l'umanità diventa «sacrifi-
cio gradito a Dio».
La novità che la comunione al sacrificio del Signore p o r t a con sé, è un movi-
m e n t o di a m o r e che si moltiplica nel m o n d o , nella persona e nella vita di chiun-
que si unisce a Cristo.

• Il Signore viene a noi dalla fine della storia ove egli è il Signore

Il Cristo risorto, che vive nella gloria del Padre, è per sempre - come dice san
Giovanni - l'«Agnello immolato», contrassegnato dai segni della passione. Egli
vive senza fine in quell'atteggiamento amoroso di dedizione che lo ha condotto
a dare la vita (Gv 20,20). La sua condizione di risorto è pervasa dalla sua conti-
nua «passione» per gli uomini, da quella predilezione che era già nel progetto del
Padre «che ha tanto amato il m o n d o da dare il suo Figlio unigenito, perché
chiunque crede in lui n o n muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
Va sottolineata quindi u n ' i m p o r t a n t e verità: il Signore glorificato ha raggiun-
to «Infine dei tempi» (eschaton), vive in modo trasfigurato l'evento della sua cro-
ce, dove è sempre pronto a donare il suo amore quale «sorgente zampillante» di
26
salvezza all'umanità.
Il «sacrificio di Cristo», che si p o n e «a tu per tu» con noi, viene dalla fine del-
la storia e stabilisce un incontro tra il suo essere glorioso e la Chiesa pellegrina.
Gesù è il Verbo incarnato, trasfigurato nella sua esperienza di croce e di risurre-
zione. Egli porta con sé sempre i segni della sua passione, come leggiamo nel
Vangelo di Giovanni (20,19-29) ove è presentato l'incontro del Risorto con gli
apostoli e con Tommaso. Gesù si presenta agli apostoli nella totalità del suo
mistero e della sua storia e si d o n a nel segno del p a n e (Gv 21,13).

26
H . U . von BALTHASAR, «Il mistero dell'eucaristia», in ID., Nuovi punti fermi, Jaca Book, Mila-
no 1980,70; ID., «La messa è vero sacrificio», 198ss; ID., Teodrammatica, IV, Jaca Book, Milano 1986,
364; L.M. Di GIROLAMO, «Identità fra Crocifisso e Risorto in von Balthasar», in Rassegna di Teologia
2(2004), 227-266.

95
Per l'unità del mistero umano-divino di Gesù, la storia di lui è sempre attra-
versata da una dimensione escatologica. Il suo essere oltre il t e m p o gli appartie-
ne come Figlio del P a d r e e come u o m o animato dallo Spirito, perché, obbedien-
te fino alla croce è stato esaltato nella gloria. C'è una continuità inscindibile tra
la storia, la croce e la risurrezione di Gesù, e nella sua gloria egli pronuncia l'ul-
tima parola sull'umanità.
L'eucaristia è così ponte sempre aperto tra l'uomo della storia e il Cristo risor-
to, ci introduce nel punto più alto dell'escatologia intermedia.
Ogni volta che è celebrata l'eucaristia è proclamato il rapporto tra il Signore
glorioso e l'uomo vivente: «Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua
risurrezione nell'attesa della tua venuta». Il venire di Gesù a noi dalla «fine» della
storia, è segno che egli porta con sé tutta la pienezza del compimento finale e il
27
potere di trasmettere a noi la direzione e la spinta di ogni realizzazione definitiva.

• Il venire del Signore a noi «dalla sua gloria»

Il venire a noi del Signore «dalla sua gloria» è indicato tante volte nelle p a r o -
le dei credenti cristiani, della Chiesa. Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica
Mane nobiscum Domine scrive:

«Non si può tuttavia dimenticare che il convito eucaristico ha [...] un senso profon-
damente e primariamente sacrificale. In esso Cristo ripresenta a noi il sacrificio attua-
to una volta per tutte sul Golgota. Pur essendo presente in esso da risorto, egli porta
i segni della sua passione, di cui ogni santa messa è "memoriale", come la liturgia ci
ricorda con l'esclamazione dopo la consacrazione: "Annunciamo la tua morte, Signo-
re, proclamiamo la tua risurrezione...". Al tempo stesso, mentre attualizza il passato,
l'eucaristia ci proietta verso il futuro dell'ultima venuta di Cristo, al termine della sto-
ria. Questo aspetto "escatologico" dà al sacramento eucaristico un dinamismo coin-
28
volgente, che infonde al cammino cristiano il passo della speranza».

E in un testo di H a n s Urs von Balthasar leggiamo:

«il collegamento delle parole della liturgia - "ricordando offriamo" - richiama l'isti-
tuzione e indica il rapporto dell'azione presente con l'evento di allora [...] La perso-
na di Gesù si fa realmente presente, ma con la sua persona si fa presente la sua inte-
ra storia nel tempo, specialmente il suo acme, Croce e Risurrezione; anzi questa inte-
ra esistenza può essere compresa - nella sua relazione alla croce e dalla croce - come
un atteggiamento sacrificale ormai eternizzato davanti al Padre a favore dell'uma-
nità, e con questo eterno atteggiamento si trova poi in rapporto il sacrificio eucaristi-
29
co della Chiesa».

27
R. PENNA, «Pienezza del tempo e teologia della storia», in Communio (1998), 162ss.
28
GIOVANNI PAOLO I I , Mane nobiscum Domine, 9 ottobre 2004, capitolo I I , n. 15, E D B , Bologna
2 0 0 4 , 1 2 . Pare perciò non condivisibile, in questo, la linea sostenuta da alcuni maestri della Facoltà
Teologica di Milano circa la non riferibilità alla risurrezione del sacrificio eucaristico. Tale posizione
è ripetuta nello scritto celebrativo in onore del prof. G. Colombo, da parte di A. CAPRIOLI, nell'arti-
colo: «Eucaristia e risurrezione. Attualità di un saggio teologico di Giuseppe Colombo», contenuto
nel volume collettivo L'intelletto cristiano, Glossa, Milano 2004.
29
BALTHASAR, Teodrammatica, I V , 364.

96
Nel r a p p o r t o tra il Risorto e il m o n d o emerge l'attualità operante dell'«esca-
tologia intermedia», cioè la presenza del Signore risorto che, riassumendo in sé la
sua storia terrena e la sua morte, opera su di noi con la sua azione e con la forza
trasfigurante del suo amore. Con lui, noi che viviamo nella storia, siamo già a tu
per tu con l'evento della risurrezione e con la potenza dello Spirito, che innesta
in noi il germe della novità finale.
In questo intreccio tra la storia e la fine della storia, la Chiesa si p o n e in comu-
nione con il sacrificio di Cristo, con la totalità della vita di lui: «la b e a t a passio-
ne, la risurrezione dai morti e la sua gloriosa ascensione al cielo». E in tale modo,
nella partecipazione al sacrificio della croce viene operata l'accoglienza di tutti i
sacrifici umani e diventa possibile presentare a D i o con verità tutto il fronte del-
la storia come «sacrificio vivo e santo».
A p p a r e qui l'identità esistente nell'eucaristia tra la presenza reale e il sacrifi-
cio di Cristo. Il sacrificio non è una rappresentazione o una ripetizione del mori-
re di Gesù sulla croce, ma è il suo presentarsi a noi, nel segno del p a n e e del vino,
nell'irripetibilità del suo evento di croce «che rimane in eterno».
Quando sono pronunciate, nella celebrazione eucaristica, le parole: «Questo è
il mio corpo», «Questo è il mio sangue», si realizza una misteriosa consegna «a
noi» del Cristo nella sua vicenda di passione che ora egli vive in eterno. E questo
è quasi scolpito nelle parole di san Paolo: «Ogni volta [...] che mangiate di que-
sto p a n e e bevete di questo calice, voi annunziate la m o r t e del Signore fino a
q u a n d o egli venga» ( I C o r 11,26). L'espressione antica della fede cristiana ripe-
teva: «l'eucaristia è presenza del sacrificio di Cristo»; essa significa che il Signore
nel sacramento eucaristico mette in comunione con noi la sua passione e morte,
trascese nella sua esistenza gloriosa.

3.2.3. L'eucaristia sacrificio della Chiesa

• La Chiesa offre se stessa a D i o con Cristo

O r a il sacrificio eucaristico va considerato dalla p a r t e di quel soggetto attivo


che è la Chiesa. C'è sempre un duplice soggetto che celebra in m o d o unito l'a-
zione eucaristica: Cristo si fa presente nell'offrire se stesso al Padre; la Chiesa si
unisce a lui nella lode e attinge alla salvezza da lui offerta.
La p a r t e che la Chiesa ha nel sacrificio eucaristico p u ò essere configurata in
pochi tratti: si unisce al sacrificio del Signore nella memoria e nella comunione,
presenta a Dio, in unione con il Cristo, la vita e la storia u m a n a ed eleva il rin-
graziamento e la lode a D i o per la salvezza messa in atto nel mondo.
La comunità ecclesiale eleva la lode «per Cristo, con Cristo e in Cristo», e
presenta se stessa e tutta la creazione al Padre in atteggiamento di gratitudine e
di festa per il ritorno a Dio. Al centro è l'offerta di Cristo, ma ad essa viene
aggiunto qualcosa che è sempre nuovo. Di volta in volta è associato al Cristo il
vissuto dell'umanità, che diventa oblazione sacrificale e realizza l'effettivo coin-
volgimento dell'uomo nel sacrificio del Signore.
L'oblazione della Chiesa c o m p o r t a il fare «memoria» del Signore che ha dato
se stesso per il m o n d o e l'offrire a Dio il mondo creato, con le espressioni mol-

97
teplici del d o n a r e e del servire, secondo q u a n t o lo stesso Gesù aveva indicato nel
Vangelo di Giovanni.
Nel Vangelo di Giovanni al capitolo 6 viene fatto l'annuncio esplicito del-
l'eucaristia. In parallelo a tale annuncio, nel capitolo 13 dello stesso Vangelo, è
posto in primo piano il retroterra esistenziale del sacrificio eucaristico, V«ora»
vissuta da Gesù, il suo servizio che lo porta a lavare i piedi agli apostoli. La Chie-
sa sa che la vita del Cristo è servizio per l'umanità compiuto nell'amore, quell'a-
m o r e per il quale il P a d r e ha m a n d a t o il suo Figlio unigenito nel mondo. La
Chiesa nel celebrare riascolta le parole di lui: «se io Maestro e Signore ho lava-
to i piedi a voi, dovete voi l'un l'altro lavarvi i piedi».
Così, nel sacrificio offerto dalla Chiesa, sono rispecchiati i tratti del vivere uma-
no segnato dall'amore ed è messa in evidenza la parte che ha la Chiesa nel sacrifi-
cio redentore. Si tratta di un'evidenziazione fatta con tono umile, perché tutta la
creazione e l'uomo con essa sono segnati dalla precarietà della storia, da un amo-
re tanto spesso diviso tra il «sì» e il «no» e vivono un'esistenza che n o n ha ancora
perseverato fino alla fine. Per questo nel linguaggio liturgico, assieme all'espres-
sione di offerta, alla lode a Dio e alla gratitudine, p r e n d e spazio l'invocazione.
La parola di ringraziamento al Signore p e r tutti i suoi doni, e l'invocazione a
D i o affinché n o n si stanchi di essere sovrabbondante nel suo amore, riempiono
in m o d o continuo la parte centrale della preghiera eucaristica.
Tre parole sono sempre collegate nella liturgia ecclesiale: la memoria, il rin-
graziamento e la domanda (anamnesi, eucaristia, epiclesi). La parola più emer-
gente e più p r o p r i a m e n t e nostra è eucaristia. Q u e s t o termine, infatti, è stato scel-
to per indicare in una sintesi espressiva tutto il «servizio sacerdotale» compiuto
nel segno del p a n e e del vino.

• L'eucaristia sacrificio di lode

Tutte le espressioni della Chiesa in dialogo con D i o - l'«azione di grazie», la


«lode», l'«offerta», la «domanda» - h a n n o il loro p u n t o di riferimento impre-
scindibile nella persona del Signore che si fa presente nell'eucaristia.
Q u a n d o la celebrazione eucaristica è finita, il ringraziamento e la d o m a n d a
possono prolungarsi nella contemplazione e nell'adorazione fatta dinanzi al
Signore, che continua ad essere «per noi» nel sacramento, nella certezza che, di
fronte alla povertà della Chiesa offerente, egli è s e m p r e benevolo nel suo dono.
Tra le varie espressioni dell'azione liturgica, il rendere grazie è la parola che
esprime nel m o d o più diretto e più immediato la libertà dell'uomo in r a p p o r t o
all'amore del Cristo crocifisso e risorto, e diventerà il canto dei salvati che con-
tinuerà fino alla fine.
La centralità del senso dell'«eucaristia» è evidente perché, ogni volta che noi
ci indirizziamo al P a d r e nel Cristo con la nostra vita, questo m o v i m e n t o di ritor-
no e di incontro è già posto in atto dall'evento redentore, è un d o n o che ci è fat-
to, e noi siamo coinvolti in esso gratuitamente, n o n per nostra conquista.
Per questo il sacramento del Cristo che si dona a noi è nella sua fisionomia
sempre e in primo piano una «eucaristia». Il «rendere grazie», specifico del lin-
guaggio sacrificale, è detto «sacrificio di lode» o «sacrificio spirituale», e ripro-
p o n e un motivo presente in m o d o continuo nella storia della salvezza.

98
Nella tradizione biblica, e in particolare nel linguaggio dei profeti e negli
scritti postesilici, avevano rilevanza i «sacrifici di lode», nei quali si affermava la
priorità del cuore e della vita sulle vittime immolate. In questa esperienza teolo-
gale dei «sacrifici spirituali» Gesù ritorna nel suo insegnamento. Nel capitolo 4
di Giovanni egli dice che «i veri adoratori a d o r e r a n n o il P a d r e in spirito e
verità»; egli, diventato «il Signore» nel suo servizio sacerdotale nei cieli, continua
a intercedere per noi e prospetta a tutti di diventare nello Spirito «sacrificio spi-
rituale gradito a Dio».
Il «sacrificio di lode», esperienza sempre viva nelle liturgie della storia, è segno
anticipatore del linguaggio della festa eterna, che sarà celebrata nei cieli dalla
«sposa dell'Agnello». Per questo suo valore escatologico la «lode» eucaristica è il
filo conduttore nelle tradizioni celebrative della messa. Nelle anafore della Chie-
sa, la preghiera viene rivolta a Dio come acclamazione e lode per la grandiosità dei
doni ricevuti, per l'esistenza, per la vita, per il mondo, per i beni della creazione e
il d o n o della redenzione. L'espressione di gratitudine e di ammirazione al Padre è
motivata soprattutto dal fatto che l'uomo è stato accolto gratuitamente in un rap-
porto personale col Cristo crocifisso e risorto ed è stato introdotto in una comu-
nione di vita con colui che è il «Vivente» e con tutto il «corpo dei figli di Dio».
I m o m e n t i più intensi di quel canto di lode che è l'eucaristia, si h a n n o nella
consacrazione, q u a n d o tutto il popolo acclama al farsi presente del Signore che
ci ha redenti con la sua croce e la sua risurrezione, e nella comunione, q u a n d o si
realizza in m o d o intimo e personale la koinonìa con il Cristo e si compie l'inse-
rimento vitale nel mistero del D i o Trino. Il canto di ringraziamento rivolto a D i o
p a r t e dalla coscienza della condizione creaturale e della povertà dell'uomo, e per
tale motivo la gratitudine sfocia nell'epiclesi, affinché, per l'opera dello Spirito, il
popolo celebrante sia trasformato in «un corpo solo e un solo spirito», in un
«sacrificio p e r e n n e gradito a Dio».

• L'eucaristia ritorno a Dio della creazione e fonte di salvezza

La liturgia eucaristica è, nel m o n d o , lode per il d o n o di Cristo e supplica


affinché la partecipazione dell'uomo sia degna. Sta qui il doppio versante del-
l'eucaristia, «culmen etfons», che si concentra nella persona del Cristo. Egli è il
polo del ritorno a Dio e insieme la sorgente che riversa sull'uomo l'amore del
Padre, rende capaci di vincere l'egoismo e il male e di plasmare un m o n d o n u o -
vo gradito a Dio.
Sul versante del «Cristo fonte» si profila nella celebrazione dell'eucaristia il
progetto di tutta la vicenda della redenzione, il progetto che non è mai compiuto
totalmente nella storia. Comunicando alla passione e alla m o r t e del Redentore, la
Chiesa accoglie la consegna di Gesù. N o n p u ò non lasciarsi afferrare dall'espe-
rienza di lui che è si è donato fino alla m o r t e e, partecipando al suo banchetto, non
p u ò non fare proprio lo stile di vita di lui che ha lavato i piedi agli apostoli. La
possibilità di una «imitazione» dell'esperienza di Cristo e di una dedizione nel
servizio e nel martirio è realizzabile per la potenza creatrice del Cristo stesso.
II sacrificio di Cristo associa in una comunione di vita la Chiesa a p r e n d o tut-
to il fronte della salvezza che n o n può essere mai eluso; questo significa avere gli
stessi sentimenti di Cristo Gesù, partecipare alla passione di lui che vuole la

99
redenzione del m o n d o , e assumere l'impegno a seguire lui, «Maestro e Signore»
che si è fatto servo (Gv 13). Tali prospettive diventano «cantiere» operante nel
m o n d o p e r l'azione del Signore e del suo Spirito, al quale è rivolta la preghiera:
«A noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, d o n a la pienezza dello
Spirito Santo perché diventiamo un solo corpo e un solo spirito».
Per il potere creatore del Cristo, l'unione tra il sacrificio di lui e la Chiesa
diventa comunione di vita con la sua persona, quindi spinta per u n a dedizione
esistenziale, lavorio per la salvezza del m o n d o , purezza di cuore che trasforma gli
umili fatti dell'esistenza in «sacrificio gradito a Dio» ( R m 12,1-2). Essere «sacri-
ficio totalmente gradito a Dio» è esperienza esclusiva di Cristo; egli p u ò aprire
all'uomo la via di un m o d e l l a m e n t o sul suo stile e sulla sua vita e p u ò suscitare
sempre di nuovo l'atteggiamento di a m o r e e di sequela. Il grande corpo di Cri-
sto si costruisce p a r t e n d o dall'evento pasquale: il Signore, nello Spirito, rende
capaci di diventare imitatori del Maestro.

• L'eucaristia: sacrificio propiziatorio, culmine e sorgente della Chiesa

Il valore del «sacrificio sacramentale», di essere p u n t o di arrivo e p u n t o d


partenza per tutta la Chiesa, si concretizza nella misura in cui nel corpo delle
Chiesa è messa in atto la liberazione dal peccato e si fa strada una ricapitolazio
ne e una progettazione nuova della vita sullo stile di Cristo. L'incontro con i
Signore diventa «traguardo» e «inizio» sempre nuovo di una storia aperta al prò
getto del Padre.
La Chiesa, introdotta nel servizio sacerdotale di Cristo, realizza l'armonia tr
«il canto di lode» e il «sacrificio della vita» consumata tra i problemi del monde
L'enciclica Redemptoris missio afferma che, nella misura in cui, per il doni
dello Spirito inviato dal Crocifisso risorto, l'uomo diventa atto a partecipare i
sacrificio redentore, è suscitata nel m o n d o l'alleanza nuova nel Cristo, la c o m i
nione nel sacrificio e l'espiazione per il peccato.
La nuova alleanza non rende partecipi della potenza di D i o e neppure tr;
smette l'appropriazione di un'indipendenza rispetto ad altri padroni della storia
della vita, ma segnala un perfezionamento del rapporto con Dio, per cui è poss
bile ricevere da lui u n a comunione piena e una divinizzazione che si riversa n e l
fraternità verso tutti gli uomini. Alleanza è rinuncia a ogni altro cammino altern;
tivo che non sia quello indicato da Dio. Ciò è indicato nel sacrificio di comunion
La comunione piena sarebbe stata l'espressione armoniosa di u n ' u m a n i
senza peccato; ora essa è possibile solo nella misura in cui viene superato il pe
cato ed è accolto l'invito alla sequela.
Il sacrificio di Gesù nella nostra storia è espiazione per il peccato, è sacrific
propiziatorio. In un m o n d o segnato dal male, dalla violenza, dalla dimentican
di Dio, il sacrificio di comunione è insieme riconciliazione ed espiazione. Cris
intercede per i peccatori p a r t e n d o dalla sua gloria, dal suo essere a tu per tu c<
il Padre, dal suo contrapporsi in tutto alle vie del peccato; per p a r t e sua la com
nità che celebra l'eucaristia è l'umanità che proclama la «nuova alleanza» pre
d e n d o parte al «sangue versato per la remissione dei peccati».
La nuova alleanza celebrata, evento di creazione e di liberazione, è d o n o c
Risorto che n o n vive nella «calma oltre la tempesta», ma continua a invocare

100
Padre e a intercedere p e r l'umanità. Con lui tutto il corpo ecclesiale è coinvolto
nell'atteggiamento di sofferenza che è insito nell'espiazione, nell'intercessione e
nella riconciliazione dai peccati della storia umana.
L'efficacia di redenzione si apre senza limiti al fronte dei «figli di D i o che era-
no dispersi». Porta a vivere sempre più pienamente l'atteggiamento inaugurato
nel battesimo, a seguire lo stile di Gesù che entrando nel m o n d o disse al Padre:
«Vengo a fare la tua volontà». L'eucaristia, in q u a n t o comunione con il Cristo, fa
progredire nelle rinunce battesimali a quelle scelte che sono apertura al peccato
e al m o n d o «posto nel maligno», e conduce a operare nella conversione vincen-
do i richiami dell'egoismo con la forza dell'amore redentore. Così l'evento
pasquale presente nel sacramento sempre crea la Chiesa. La Chiesa, nata all'ini-
zio quale frutto dell'amore redentore, è cementata dalla «comunione eucaristica»
( I C o r 10,17) e si apre sempre più a un atteggiamento di servizio, alla capacità di
offrirsi come sostituzione vicaria. Diventa «relazione» senza confini, come scri-
30
veva san Cipriano: «de Patris, Filii et Spiritus Sancti unitas congregata».
Il Cristo crea l'unità, crea la Chiesa e nelle molte eucaristie disegna il tessu-
to unitario di tutte le comunità celebranti del mondo.

• L'eucaristia: evento che trasforma il m o n d o e ricapitola la storia

Nel sacrificio celebrato in ogni eucaristia, si inseriscono i «sacrifici» degli


uomini, che d a n n o compimento a «ciò che manca alla passione di Cristo» nella
storia del mondo. Per questo a p p o r t o u m a n o il «servizio sacerdotale» si allarga
alle esperienze della storia, alle fatiche, ai dolori, all'amore, al morire, al presen-
tarsi a D i o di ciascun u o m o in gesto di umile donazione.
L ' u o m o della storia, unito a Cristo, trova l'ultima parola della sua esistenza
non nei parametri terreni del vivere e del godere immediato o del patire e del
morire, ma nella comunione con il Crocifisso che è risorto. Egli accoglie ogni per-
sona nella sua vicenda, l'ammette alla presenza del P a d r e per compiere in eterno
il servizio sacerdotale. Con lui tutto si apre alla risurrezione, che dispiega la
novità e l'originalità di ogni celebrazione eucaristica.
Ciò che Cristo ha compiuto nei giorni della sua vita fino alla croce e alla glo-
ria, p r e n d e con sé già ora il vissuto u m a n o e lo trasforma, lo orienta a costruire
31
un m o n d o liberato secondo il progetto eterno del C r e a t o r e . E così i cristiani,

30
CIPRIANO, De dominica oratione, 2 3 . -
31
«Il Cristo della croce sale sull'orizzonte del tempo per non lasciarlo più, come il vendemmia-
tore insanguinato dai frutti divini del castigo del mondo, intravisto dal profeta (Is 6 3 , 1 ) e... va verso la
gloria attraverso le angosce e crudeli sofferenze della storia. Il sacrificio di Cristo così riassume,
annuncia ed esprime in sé ogni altro sacrificio, si attualizza continuamente nella Chiesa attraverso il
memoriale eucaristico. N o n si tratta di un puro ricordo. Egli è immediatezza di donazione per noi, ci
mette in mano la sua morte che vince la nostra morte, fino a quando tornerà a svelare tutto nella glo-
ria. Si attua così nel mistero eucaristico la presenza della passione trasformatrice di Cristo. Il dominio
che acquista sull'universo mediante la risurrezione, non lo estrania dai nostri dolori, lo rende ad essi
interiore. Così un pane macinato, proveniente dalla terra e dalla fatica dell'uomo, diventa la sua car-
ne e la nostra carne. L'eucaristia è il sacramento dove ogni uomo è condotto dalla pasqua del Signo-
re oltre il proprio sacrificio e la propria morte, fino alla esistenza del Padre» ( G . MARTELET, Genesi del-
l'uomo nuovo, Queriniana, Brescia 1 9 7 6 , 1 9 4 - 1 9 5 ) . Cf. BALTHASAR, Nuovi punti fermi, 1 1 1 - 1 1 4 .

101
che e n t r a n o nella dinamica del sacrificio redentore, sono destinatari della sua
efficacia salvatrice e, insieme, sono associati al R e d e n t o r e nel creare un m o n d o
nuovo orientato alla trasformazione finale.

3.2.4. Sottolineature conclusive

Il valore sacrificale è al primo posto tra i significati dell'eucaristia. Il p u n t o di


partenza del sacramento eucaristico è l'evento della croce. Nel sacramento è vis-
suto il sacrificio del Cristo che è al centro della storia e polarizza l'itinerario del-
la salvezza della Chiesa celebrante. Così esso è «origine e fine» della fede e del
32
culto, è «centro di tutta la vita redenta», è «culmine e sorgente» della Chiesa.
Nell'eucaristia l'esistenza dell'uomo si p o n e in comunione viva con il Croci-
fisso Risorto, e il mistero di lui celebrato nella lode «pervade» il m o n d o e tra-
sforma il vivere u m a n o con la potenza dell'amore. P a r t e n d o dall'evento celebra-
to, il Cristo prolunga la sua azione nella vita, accoglie i «sacrifici» vissuti nell'u-
manità, dà loro ispirazione e valore e li assume nel suo ritorno al Padre, che com-
p r e n d e tutti alla fine.
Nella celebrazione del d o n o del corpo dato e del sangue versato l ' u o m o por-
ta con sé le ferite della vita e i d r a m m i della storia, ma già è raggiunto dalla
potenza trasformatrice dell'amore di Cristo, è messo in comunione con il miste-
ro r e d e n t o r e che abbraccia l'universo. A p p a r e la centralità di quel «vangelo» che
Paolo predicava: Cristo e Cristo crocifisso.
- La croce sta al principio della storia redenta, nella vicenda drammatica di
colui che è stato crocifisso e porta con sé la potenza dell'amore salvante.
- Nel cammino dei secoli la forza della croce ridisegna nel vissuto dell'u-
manità il sacrificio p e r e n n e gradito a Dio, trasforma l'esistenza dei
redenti e li introduce nello stile di colui che è Maestro e Signore.
Alla fine, q u a n d o l'umanità sarà trasfigurata e il Signore sarà tutto in
tutti, s'innalzerà l'unico grande sacrificio di lode che riempirà la festa
degli eletti.

C o m e scriveva Origene c o m m e n t a n d o il Vangelo di M a t t e o : «il Signore che


aveva d e t t o " d ' o r a in poi n o n b e r r ò più il succo della vite fino a quel giorno in
cui lo b e r r ò nuovo insieme a voi nel regno del P a d r e m i o " (Mt 26,29), berrà
ancora vino, ma un vino nuovo, vino nuovo in un cielo n u o v o e in una terra
nuova e con l ' U o m o nuovo, con degli uomini nuovi, con quelli che gli c a n t a n o
un cantico nuovo». È il «canto nuovo» del b a n c h e t t o delle nozze dell'Agnello
( A p 21,9).
L'eucaristia, nella sua fisionomia di celebrazione sacrificale espressa nel can-
to di grazie e nella lode, è l'evento da cui p a r t e e a cui arriva la storia redenta,
evento di salvezza reso c o n t i n u a m e n t e veritiero nel m o n d o dallo Spirito creato-
re, fino a q u a n d o giungeranno i cieli nuovi e la terra nuova e sarà cantato il can-
tico nuovo.

32
Cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, nn.
3ad.6: EV 2/1296.1299.1306.

102
3.3. L'eucaristia, presenza del Signore

Parlando del sacrificio si è detto che il Cristo si fa presente a noi nel suo
mistero di croce e di risurrezione. Si afferma la convergenza e l'unità tra presen-
za e sacrificio eucaristico. Tale affermazione è fondata sulla fede continua della
Chiesa.

3.3.1. La «Presenza reale» nella fede cristiana^

Nella tradizione cattolica, a partire dal medioevo, h a n n o avuto ampio svilup-


po la teologia, la dottrina e l'adorazione al Cristo presente nell'eucaristia. Nel
primo millennio le specie eucaristiche e r a n o conservate per la comunione agli
assenti e ai malati, n o n in vista di un culto particolare. Alcuni fatti nuovi h a n n o
m a t u r a t o un'attenzione nuova.
Nei secoli IX e XI la ricerca si era soffermata con attenzione particolare sul-
le modalità del farsi presente di Cristo nell'eucaristia. La d o m a n d a che la teolo-
gia si poneva, si riassumeva in questi termini: C o m e il Signore si fa presente? In
m o d o simbolico, con il suo o p e r a r e o p p u r e con tutto il suo essere, in m o d o rea-
le-ontologico?
Il rischio di una visione solo simbolica, privata di ogni dimensione realistica,
ha spinto i teologi a sottolineare l'attenzione a una presenza vera e reale del
Signore. Q u e s t o asserto venne esplicato con ampiezza nella teologia scolastica e
fu affermato ufficialmente nei concili: nel L a t e r a n o IV (1215), nel concilio di
Firenze (1439-42) e poi nel concilio di Trento (1545-62).
Nella sessione X I I I del concilio di Trento (1551), totalmente riservata alla
considerazione della presenza di Cristo nell'eucaristica, è scritto:

«Se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell'eucaristia è contenuto vera-
mente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cri-
34
sto, con l'anima e la divinità e quindi il Cristo tutto intero [...] sia anatema» (can. I ) .

33
Cf. Eucharistìa. Enciclopedia dell'eucaristia, sotto la direzione di M. B R O U A R D , E D B , Bologna
2004; J. B E T Z , L'eucaristia come mistero centrale (Mysterium Salutis 8), Queriniana, Brescia 1975; J.
D U P O N T , «Ceci est mon corps, ceci est mon sang», in NRTh (1958), 1025; G. COLOMBO, « D o v e va la
teologia sacramentaria», in SC 102(1974); ID., «La dimensione cristologia dell'eucaristia», in Com-
munio 35(1977); ID., «Eucaristia», in La Scuola Cattolica 114(1986); I D . , «Teologia del sacrificio euca-
ristico», in Chiesa per il mondo, I I , E D B , Bologna 1974; ID., Teologia sacramentaria, Glossa, Milano,
1997, in part. il capitolo «Eucaristia e risurrezione»; I D . , «La transustanziazione», in Teologìa 1(1995);
G. CROCETTI, L'adorazione a Cristo Redentore presente nellhucaristia, La Scuola Cattolica, Milano
1982,110; L. DEISS, La Cena del Signore, E D B , Bologna 1977; P. DE H A E S , «Eucaristia ed escatolo-
gia», in Eucaristia. Aspetti e problemi dopo il Vaticano II, Cittadella, Assisi 1968; F.X. DURWELL, L'Eu-
caristia, EP, Roma 1982; A. GERKEN, La teologia dell'Eucaristia, EP, Alba 1977; M. GESTEIRA G A Z A ,
L'eucaristia misterio de comunion, Madrid 1983; R. JOHANNY, L'eucaristia cammino di resurrezione,
Elledici, Leumann (TO) 1976; G. MARTELET, Genesi dell'uomo nuovo, Queriniana, Brescia 1976; C.
PORRO, Eucaristia tra storia e teologia, Piemme, Casale Monferrato 1989; J. POWERS, Teologia eucari-
stica, Queriniana, Brescia 1969; J. RATZINGER - W. BEINERT, // problema della transustanziazione e il
significato, dell'eucaristia, EP, Roma 1968; J.A. SAYES, El misterio eucaristico, Madrid 1987; E. SCHIL-
LEBEECKX, La Presenza eucaristica, EP, Roma 1968; H. SCHURMANN, «La parola di Gesù alla luce dei
suoi gesti», in Concilium 10(1968); C. SONGEN, La presenza di Cristo nella fede e nel sacramento, Cit-
tadella, Assisi 1971.
34
Denz 1651.

103
Q u e s t a dottrina, e quella collegata della transustanziazione, polarizzerà la
fede della Chiesa cattolica; essa sarà ripetuta nei secoli successivi e sarà indicata
come la motivazione basilare per il culto che è tributato all'eucaristia. Il culto
aveva già assunto la sua espressione solenne con l'istituzione e la celebrazione
della festa del Corpus Domini.

3.3.2. La Presenza eucaristica e la transustanziazione

Il farsi presente del Signore nell'eucaristia in m o d o vero e reale, nella tota-


lità della sua persona, è stato sempre creduto nella fede della Chiesa. La teolo-
gia del medioevo, i concili e il concilio di Trento in particolare, h a n n o cercato di
esprimere in termini precisi e motivati questa fede. Da allora, in merito alla
«Presenza vera, reale e sostanziale» che si attua attraverso la «transustanziazio-
ne», di cui parla il concilio di Trento (sess. XIII, cann. 1 e 2), la teologia e la pietà
dei cristiani si sono sempre soffermate con continuità. Tale Presenza non è inte-
sa come se il corpo del Signore si moltiplicasse e si collocasse fisicamente là dove
sono le specie eucaristiche, ma la si intuisce come il compiersi di un evento miste-
rioso, per il quale il Signore risorto si p o n e in riferimento vero e reale con la
Chiesa celebrante nel d o n o conviviale del p a n e e del vino. P a n e e vino diventa-
no «segno», «sacramento», «via» del donarsi a noi del Signore, senza che sia cam-
biata la loro realtà fisica. «Transustanziazione» significa che p a n e e vino diven-
tano espressione immediata e coinvolgente del donarsi a noi del Signore glorio-
so, che si fa percepire così, in quel segno, nella storia.

3.3.3. L'escatologia nel Signore presente nella storia

La comprensione dei nostri giorni a m a sottolineare l'attuarsi di una relazio-


ne vera, reale e personale che Cristo stabilisce con noi tramite il sacramento del
p a n e e del vino. La presenza reale del Signore è il riferirsi a noi del Cristo risor-
to e vivente nello Spirito in vista di una comunione personale. Egli è esistente
oltre i confini dello spazio e del tempo, e si serve del sacramento, che è celebra-
to sulla sua parola, per stabilire un r a p p o r t o diretto con noi che viviamo nella
storia, per u n a comunione vitale con noi nello Spirito. Si tratta di una presenza
vera e totale del Cristo glorioso, finalizzata a un'immanenza di vita con noi stes-
si (Gv 6,56). P o t r e m m o p a r a g o n a r e il Cristo risorto al sole che si fa presente con
immediatezza con la sua luce e il suo calore, e tanti specchi ne rifrangono il con-
tatto e l'azione al di là delle distanze. (Ovviamente le immagini fisiche sono sem-
pre inadeguate!)
La fede, in questo mistero dell'eucaristia, ha sempre davanti il Signore risor-
to che si mette a tu per tu con noi, nella verità e pienezza della sua persona, nel-
la sua condizione di glorioso, risorto e trasfigurato nello Spirito. Il donarsi a noi
tramite il p a n e e il vino sta ad indicare l'intento di G e s ù di fare con noi u n ' u n i o -
ne interpersonale, che coinvolge la nostra esistenza nel mistero del D i o Trino.
Il cambiamento che avviene nel p a n e e nel vino q u a n d o il Signore «si fa qui
p e r noi», n o n è il risultato di un'azione cosmologica che cambia una realtà in
un'altra, ma è l'espressione della potenza del Cristo crocifisso e risorto che, nel
suo p o t e r e di sottomettere a sé tutte le cose, rende il p a n e e il vino «segno»,

104
«espressione conviviale», del donarsi a noi, nella condizione del suo essere glo-
rificato, trasfigurato nello Spirito (Gv 6,62-63).. Il Signore, nell'eucaristia, fa
diventare il p a n e e il vino comunicazione di se stesso «Crocifisso e Risorto», via
di partecipazione piena al suo mistero di auto-donazione, immediatezza del suo
offrirsi e del suo d o n a r e a noi la sua vita. Nel p a n e e nel vino consacrato si attua
il venire a noi (esse ad) di Cristo nel suo mistero di gloria.

Nota esplicativa

R i t o r n a n d o sull'espressione scelta dai concili medievali e dal concilio di


Trento p e r indicare il c a m b i a m e n t o che si compie nel p a n e e nel vino al m o m e n -
to della consacrazione, ci si p o n e dinnanzi sempre di nuovo il senso e il valore
del termine transustanziazione.
Tale espressione, che significa «cambiamento di sostanza», indica il passaggio
dall'ordine della creazione a quello della nuova creazione. Nell'ambito della
creazione la sostanza di una cosa creata equivale a ciò che la parola creatrice di
D i o dice di essa come realtà del m o n d o ; nella «nuova creazione» - là dove D i o
è tutto in tutti - il p a n e e il vino diventano ciò che la parola di Cristo dice di essi:
il donarsi a noi del Signore crocifisso e risorto.
Si ha qui un'azione creante, che opera sul p a n e una relazione nuova: p e r essa
un frammento del nostro m o n d o diventa segno o «sacramento» del donarsi, del
farsi «qui per noi» del Signore Gesù, il Risorto che è «spirito vivificante». Si trat-
ta di una novità assoluta nel nostro m o n d o , perché p o n e in riferimento con noi,
nella storia, il Cristo risorto, esistente oltre la nostra condizione spazio-tempora-
le. Egli, tramite la risurrezione, acquista una nuova relazione con la realtà del
m o n d o , acquisisce un r a p p o r t o singolare con noi tramite il p a n e e il vino, nello
Spirito.
Nell'eucaristia si comunica la totalità e la realtà della persona e del mistero del
Cristo crocifisso e risorto, il concilio di Trento dice: «si dona il Cristo nel suo cor-
po, sangue, anima e divinità, cioè tutto il Cristo». Q u e s t o farsi presente del Signo-
re è diverso dalle altre presenze che egli offre a noi nella Chiesa, perché il Risor-
to opera negli altri sacramenti con una presenza spirituale, operativa, simbolica,
personale e reale, ma, oltre a ciò qui egli si consegna totalmente a chi lo riceve.

3.3.4. La Presenza eucaristica e la comunione

La Presenza eucaristica è riferita al p a n e e al vino e, tramite il p a n e e il vino,


all'uomo che li assume per la comunione. Il p a n e e il vino sono «sacramento o
segno» nel m o n d o del donarsi del Signore. Il d o n o di Gesù, che è consegnato nel
p a n e e nel vino, ha p e r ò come p u n t o di arrivo o traguardo, il comunicarsi a noi,
il trasmettere a noi la sua vita, il creare quel «corpo di Cristo» che è la Chiesa.
E evidente che il sacramento dell'eucaristia n o n si ferma all'affacciarsi del
Cristo sull'altare (anche se già lì la Chiesa lo crede presente e lo adora); esso è
orientato a una comunione di vita e all'unità di tutti i commensali.
L'eucaristia si conclude nel mangiare il pane e nel bere il calice del Signore,
un mangiare e un b e r e che h a n n o u n a profondità misteriosa, conducono a un'as-
similazione tra il Signore e noi. E tutto questo non p u ò essere visto con gli occhi,

105
né immaginato con la fantasia, ma è percepito solo nella fede. Il fatto che si avve-
ra è u m a n a m e n t e impensabile, è rispondente alla grandezza di Dio. D i o associa
anche le cose del m o n d o nel suo mettersi a contatto con noi nello Spirito.
Continua in questo la logica dell'incarnazione. Il Figlio di D i o si è fatto u o m o
nel g r e m b o della Vergine Maria per essere u o m o tra gli uomini del m o n d o , ora
il Signore viene dalla gloria e, tramite le cose del m o n d o , fa c o m u n i o n e con noi
che siamo nel m o n d o . Egli anticipa q u a n t o avverrà alla fine, q u a n d o in tutte le
cose si svelerà la sua presenza e «noi s a r e m o simili a lui e lo v e d r e m o così come
egli è».
Il mistero dell'affacciarsi del Cristo incarnato a noi e l'anticipo dell'incontro
finale sono enunciati in termini particolarmente densi negli scritti di Paolo e di
Giovanni:

«Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la
morte del Signor finché egli venga» (ICor 11,26).

«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nel-
l'ultimo giorno [...] dimora in me e io in lui» (Gv 6,54-56).

3.4. L'eucaristia sorgente di salvezza

Nell'eucaristia Cristo viene a noi con la sua potenza di salvezza: suscita in noi
il sacrificio di lode, diventa liberazione per i defunti, perdona i peccati, accresce la
vita divina, inizia sempre dì nuovo la trasformazione del mondo.
In p r i m o luogo il Cristo nell'eucaristia si d o n a a noi e «rende grazie» con noi
al Padre. L'eucaristia r e n d e attuale in mezzo a noi la gratitudine e la lode di Cri-
sto e" noi ci u n i a m o a lui p r e s e n t a n d o noi stessi e il m o n d o al Padre in un atteg-
giamento di festa e di lode.
// sacrificio eucaristico è anche invocazione e «supplica» affinché la potenza
della redenzione sia o p e r a n t e nel m o n d o creato: chiediamo di essere attratti dal-
l'amore del Padre, di vincere l'egoismo e i richiami del male e di plasmare un'u-
manità nuova e un m o n d o nuovo.
Tutte le espressioni dell'uomo che si p o n e in dialogo con Dio - «l'azione di
grazie», la «lode», l'«offerta», la «domanda» - h a n n o come sorgente più imme-
diata l'eucaristia.

3.4.1. Suffragio per i defunti e perdono dei peccati

• Suffragio per i defunti

Un altro effetto che scaturisce dall'eucaristia è il suffragio per i defunti.


35
Fin dai primi secoli, la Chiesa celebrava la messa c o m e sacrificio propi-
ziatorio per i defunti. La Chiesa ha avuto s e m p r e la certezza che c'è una comu-
nione tra i vivi e i defunti in Cristo e che è possibile aiutare i defunti affinché

35
Cf. AGOSTINO, Confessioni X I , 11.

106
siano introdotti nella totale «pace e comunione» con il Signore. Le preghiere
della liturgia n o n m i r a n o a far cambiare il giudizio di Dio. D i o è prima di noi
e la sua benevolenza precede le nostre preghiere. Le nostre preghiere di suf-
fragio ci m e t t o n o in c o m u n i o n e con Cristo, con il suo intento r e d e n t o r e , p e r
chiedere u n a totale purificazione e la pace gloriosa per tutti quelli che sono
morti in lui.
C o m e scrive E X . Durrwell, la comunione con Cristo ci fa intuire in che m o d o
possiamo avere parte nella purificazione dei defunti:

«unita a Cristo, la Chiesa può incontrare gli uomini per l'ultima purificazione. Quan-
do la Chiesa celebra l'eucaristia per un defunto, si pone davanti a Cristo, che è la
pasqua redentrice di ogni uomo incontrato già nella morte [...] Il flusso di carità che
stringe Cristo, la Chiesa e l'uomo che è nella morte ed è bisognoso di purificazione e
di gratuita carità, aiutano quest'ultimo a sciogliersi dai vincoli, a liberarsi di quella
carenza di amore che ritardava il suo pieno aprirsi al sole di Dio», a raggiungere la
36
pienezza della purificazione nell'amore.

• Il p e r d o n o dei peccati

L'eucaristia ha come frutto anche la remissione dei peccati.


L'eucaristia non è un premio per le persone «degne», ma, in q u a n t o comu-
nione con il sacrificio redentore, è sempre un attingere al «sangue versato per la
remissione dei peccati». Chi partecipa con verità all'eucaristia è coinvolto nel-
l'amore pasquale del Cristo che cambia il cuore dell'uomo peccatore, disponen-
dolo a un atteggiamento di contrizione e di carità, e conducendolo a quella con-
versione profonda nella quale avviene il p e r d o n o dei peccati. In questo l'eucari-
stia è sacramento di perdono, in q u a n t o apre un peccatore alla conversione del
cuore e a un dialogo di a m o r e penitente.
La contrizione e il p e r d o n o che sorgono nella comunione eucaristica n o n
escludono la volontà e l'impegno di celebrare il segno ecclesiale della riconcilia-
zione nel sacramento della confessione. Se l'eucaristia per sua natura concede la
grazia del perdono, è p e r ò aperta e orienta sempre al sacramento della riconci-
liazione, che è il segno ecclesiale più ampio e più espressivo della penitenza e del
perdono.
Nel caso di una profonda r o t t u r a con Cristo e con i fratelli, come avviene nei
peccati gravi, la «tradizione autorevole» della Chiesa stabilisce che si d e b b a pre-
m e t t e r e la confessione sacramentale alla c o m u n i o n e eucaristica. Nel t e m p o
antico, q u a n d o vigeva u n a severa penitenza pubblica per i peccati capitali, la
Chiesa richiedeva una lunga penitenza pubblica per poter essere riammessi
all'eucaristia.

Cf. DURRWELL, L'eucaristia, 176.

107
3.4.2. Nutrimento della vita e inizio della trasformazione del mondo

• N u t r i m e n t o della vita divina

L'eucaristia, tramite la comunione sacramentale, sfocia nell'unione vitale con


il Cristo e diventa travaso profondo di vita da parte del Cristo stesso. Q u e s t o
t e m a è particolarmente sviluppato nelle pagine eucaristiche di Giovanni e di
Paolo ( I C o r 10,16-17).
La comunione è incontro personale che coinvolge in un travaso di vita. Man-
giando il «pane eucaristico» si p o n e in atto un'unità di vita tra il cristiano e il
Signore che si dona: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me
e io in lui» (Gv 6,56).
L'analogia del cibo che viene assimilato da chi lo mangia, fa intuire la poten-
za della comunicazione di vita del Signore, che va oltre l'invalicabilità, o inco-
municabilità, propria di ogni r a p p o r t o tra le persone terrene. Essa si compie nel-
la dimensione «spirituale» del Cristo risorto, p e n e t r a nel pensare, nel sentire, nel-
l'amare di chi lo accoglie e stimola le forze vitali che guidano le umili vicende di
una persona u m a n a a vivere in sintonia con la sua vita divina.
Tutto il mistero del Cristo D i o e u o m o viene «comunicato» a chi lo riceve in
atteggiamento di gratuità, di umiltà, di assimilazione amorosa.

• Dall'eucaristia nasce la gioia e ha inizio la trasformazione del m o n d o

Oltre la conversione del cuore e l'imitazione di Cristo, derivano dalla comu-


nione eucaristica la gioia p e r l'incontro col Risorto, la capacità di trasformare il
m o n d o e l'impiantarsi del germe della risurrezione. Il Signore che si fa presente
nell'eucaristia, è vivente nella gloria, anticipa nel segno conviviale il banchetto
festoso del R e g n o e trasfonde nelle esperienze dell'uomo l'inizio della percezio-
ne del m o n d o nuovo. Per questo i fatti della vita (sposalizi, ricorrenze felici,
avvenimenti comunitari e p u r e le sofferenze e la stessa m o r t e ) vengono aperti
dall'eucaristia alla prospettiva creante della trasformazione finale.
Il convito eucaristico nella c o m u n i o n e col Signore risorto sigla la regalità
d e l l ' u o m o sulle cose. L ' u o m o già si impegna a umanizzare il m o n d o , ad essere
«sale della terra» m e d i a n t e i valori u m a n i , ma l'eucaristia va più in là, a p r e a
u n a dimensione ulteriore, m e t t e in comunicazione la realtà creata con la defi-
nitiva liberazione e divinizzazione d e l l ' u o m o e del m o n d o e manifesta l'orien-
t a m e n t o e il destino dell'umanità e del cosmo verso quella che sarà la trasfigu-
razione finale.
La gioia dell'eucaristia n o n è ancora la gioia finale. Al presente c'è sempre
un velo di incompiutezza e di attesa ulteriore, a motivo del peccato che rimane
nel m o n d o e del combattimento che deve essere ancora compiuto in vista della
salvezza. La celebrazione della festa finale, senza o m b r e e senza attese, sarà
q u a n d o il Cristo tornerà, visibile nella sua gloria e non ci saranno più contraddi-
zioni o sofferenze, né peccati e morte, perché D i o sarà tutto in tutti.
Le parole di Gv 6,54 «chi mangia la mia carne ha la vita eterna e io lo risu-
sciterò nell'ultimo giorno» dicono chiaramente le dimensioni della speranza e la
proiezione della festa nell'evento finale. Il convito eucaristico è «pegno della glo-

108
37
ria futura e della gioia e t e r n a » , forza che fa t e n d e r e dall'esilio alla patria cele-
38
ste, «pane degli angeli» che nutre al di là dei veli sacramentali.
Resta sempre vero che la singolarità dell'eucaristia nell'ora presente sta nel
fatto che essa è il venire a noi del Cristo risuscitato, e il suo porsi in comunione
profonda con noi, è già «la risurrezione di Cristo in espansione».

3.4.3. L'eucaristia culmine e fonte della Chiesa

Il concilio Vaticano II ha b e n e evidenziato il r a p p o r t o tra l'eucaristia e la


Chiesa. C'è una bivalenza nel rapporto tra la Chiesa e l'eucaristia, perché da una
parte «la Chiesa fa l'eucaristia», dall'altra «l'eucaristia fa la Chiesa».

• La Chiesa fa l'eucaristia

Dal p u n t o di vista dello svolgersi del sacramento eucaristico, la Chiesa ha


una sua priorità. N o n si fa nessuna eucaristia se n o n c'è una Chiesa che la cele-
bra. U n a comunità p u ò essere celebrante se ha la fisionomia di Chiesa in tutta la
completezza, se è costituita da un popolo credente con un ministro che opera in
persona Christi, collegato a tutta la cattolicità nella fede, nell'intenzione, nella
riconciliazione e nella liturgia ecclesiale. Oltre a tale nota di fondo, le comunità
celebranti p o r t a n o le caratteristiche più varie che ha la Chiesa nelle sue situa-
zioni concrete. Ci sono piccoli gruppi che celebrano, omogenei al loro interno e
uniti nella vita quotidiana, e ci sono assemblee più ampie, le quali riuniscono le
comunità di una Chiesa particolare o locale specialmente nella celebrazione del-
la domenica. Le assemblee celebrative di grandi comunità sono vaste e in p a r t e
eterogenee nella loro composizione. Manifestano la Chiesa nella sua comples-
sità, nei suoi problemi e p u r e nelle contraddizioni di tanti suoi membri. Ciò
avviene anche nelle grandi assemblee della Chiesa riunita a livello mondiale.
R e s t a vero che, sempre, coloro che fanno l'eucaristia sono persone riunite nella
fede, aperte alla carità, legate alla grande Chiesa nella sua universalità, anche
attraverso la persona del presidente che partecipa del m a n d a t o apostolico.
Nelle situazioni concrete, tutte le comunità ecclesiali che fanno la «memoria
del Signore» sono formate sempre da gente non perfetta, da «poveri» nel senso
evangelico, solcati dal peccato, in tensione verso un miglioramento, bisognosi
sempre di essere redenti, di essere raggiunti in m o d o nuovo dalla salvezza.
Per tutti l'eucaristia è sempre, di nuovo, liberazione dal peccato (non per
niente all'inizio si fa la confessione dei peccati); è nutrimento per una vita eccle-
siale più autentica, in vista di una più profonda corrispondenza nella verità, di
una comprensione con i fratelli vicini e lontani e di una tensione verso quella sin-
tonia costruttiva che è destinata a contrassegnare il «grande corpo di Cristo».
Le assemblee che fanno l'eucaristia, piccole o grandi che siano, sono com-
plementari tra loro nella vita e nell'incontro celebrativo. Le une e le altre, nei

CONCILIO DI TRENTO, sessione XIII, cap. 2 (Denz 1638).


CONCILIO DI TRENTO, sessione XIII, cap. 8 (Denz 1649).

109
loro pregi e limiti, realizzano il ritrovarsi del «popolo di Dìo», che intende
affrontare insieme i problemi e le tensioni dell'esistenza, gettando ponti di
riconciliazione e di collaborazione a largo raggio e stimoli per un continuo rin-
n o v a m e n t o che viene dal Signore presente.

• L'eucaristia fa la Chiesa

Q u e s t o aspetto, dell'eucaristia «evento creatore di Chiesa», è già stato tocca-


to nelle pagine precedenti.
La liberazione s e m p r e nuova della Chiesa dai suoi mali, la cementazione in
unità della grande comunità ecclesiale, costituisce il fronte più ampio dell'euca-
ristia, sorgente di comunione e di vita. Tale fronte è condensato nella formula del
concilio Vaticano II: «l'eucaristia fa la Chiesa». L'eucaristia è Cristo che viene a
noi col suo mistero e la sua storia, il Cristo che è s e m p r e creatore e r e d e n t o r e e
che opera e crea con la potenza dello Spirito. È lui, il Signore, che convoca la
Chiesa, la n u t r e al suo banchetto, dà risposta alla fame di fede e di vita, di fra-
ternità, di speranza che essa ha.
Il corpo ecclesiale che celebra l'eucaristia è già plasmato nel mistero dell'u-
nità dall'evento battesimale, ma vive sempre in fase di crescita, di purificazione,
di compimento. L'eucaristia, p e r la comunione profonda col mistero della
pasqua, è il p u n t o più intenso dell'azione del Cristo sulla sua Chiesa, proprio
come dice san Paolo:

«poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti par-
tecipiamo dell'unico pane» (ICor 10,17).

Q u e s t o orizzonte di creazione, che è espresso nella formula: l'eucaristia fa lo


Chiesa, è riproposto nelle epiclesi della celebrazione, q u a n d o è rivolta al Padre
la preghiera: «Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra, rendili
perfetta nell'amore».
L'eucaristia fa crescere nell'unità e nell'illuminazione profetica il corp
ecclesiale, lo anima nella spinta di missione. Il popolo di Dio, ricevendo il corp
del Signore, diventa nel senso più vero, tempio vivente dello Spirito. E lo Spini
irrompe in esso con i doni della sapienza, della libertà e dell'azione missionar
p e r la crescita dell'umanità r e d e n t a nel c a m m i n o della storia. L'eucaristia fa
che la Chiesa realizzi più intensamente la sua vitalità quale «segno e strument
39
dell'unione degli uomini con D i o e dell'unità del genere u m a n o . E sempre {
intensamente p r e n d e coscienza di costituire un p o p o l o di pellegrini che, nutr
dal p a n e della vita, p r o m u o v e e insieme relativizza le conquiste del m o n d o e
filtra nel mistero e nella prospettiva della croce e della risurrezione.

39
Cf. LG 1: EV 1/284.

110
Capitolo sesto
1
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA

1. LA RICONCILIAZIONE NELLE FONTI BIBLICHE

U n a riflessione sul sacramento della penitenza ha come presupposto, per il


cristiano, l'esperienza del peccato che è nel m o n d o e dell'uomo peccatore e
insieme la fede in un D i o benevolo, grande nell'amore e p r o n t o al p e r d o n o .
Le basi di partenza di un discorso teologico sono quindi:
- la fede riguardante il rapporto dell'uomo con Dio;
- la consapevolezza circa la libertà dell'uomo e la risposta che egli deve al
Creatore per i doni ricevuti;
- la rivelazione di un Dio buono, che, di fronte alle risposte negative delle
creature, è pronto a perdonare, e del Cristo, il Figlio di Dio, che «per noi
uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo» e ha dato la vita per pro-
piziare il perdono.

1.1. Il D i o della creazione e della storia pronto a perdonare

La tradizione dell'Antico Testamento - specialmente nei libri profetici e


sapienziali - dà ampio spazio all'esperienza del D i o misericordioso. Molte volte
D i o è chiamato «Padre».

1
Cf. / cristiani parlano della confessione, Marietti, Torino 1960; // sacramento della penitenza e
la sua celebrazione, Velar, Bergamo 1983; La penitenza. Dottrina, storia catechesi e pastorale, Elledi-
ci, Leumann (TO) 1967; La penitenza oggi, D'Auria, Napoli 1974; Z. ALSZEGHY, De paenitentia Chri-
stiana, Università Gregoriana, Roma 1962; R. BLOMME, L'uomo peccatore, E D B , Bologna 1971; L.M.
CHAUVET - P. DE CLERCK (edd.), Il sacramento del perdono, Cittadella, Assisi 2002; C. COLLO, Ricon-
ciliazione e penitenza, EP, Cinisello Balsamo 1993; R. FALSINI, // sacramento della riconciliazione, Ed.
Franciscanum, Brescia-Milano 1975; M. FLORIO - R. NKINDIJ SAMUANGALA - G. CAVALLI - R. G E R A R -
DI, Sacramentaria speciale. II: Penitenza, unzione degli infermi, ordine, matrimonio, E D B , Bologna
2003; C. JOURNET, // male, Boria, Roma 1960; J.B. LIBANIO, Peccato e opzione fondamentale, Cittadel-
la, Assisi 1977; E. LODI, Lasciatevi riconciliare, EP, R o m a 1983; A.M. LUNARDI, Il confessore medico e
maestro, Ed. Francescane, Roma 1964; S. MAGGIOLINI, Peccato e perdono nella Chiesa, Queriniana,
Brescia 1968; L. M O N D E N , La coscienza del peccato, Boria, R o m a 1968; B. NESMY, La gioia della peni-
tenza, E D B , Bologna 1970; C. PORRO, Peccato e riconciliazione, Piemme, Casale Monferrato 1983; X
RAMOS REGIDOR, Il sacramento della penitenza, Elledici, Leumann (TO) 1971; G. ROSSINO, // sacra-
mento del perdono, Santuario Consolata, Torino 1963; P. SCHOONENBERG, La potenza del peccato,
Queriniana, Brescia 1970; B. SESBUÉ, Riconciliati in Cristo, Queriniana, Brescia 1990; A. SPEYR, La
confessione, Jaca Book, Milano 1978; C. V O G E L , // peccatore e la penitenza nell'età antica, Elledici,
Leumann (TO) 1967; ID., // peccatore e la penitenza nel Medioevo, Elledici, Leumann (TO) 1970.

Ili
La trama dei rapporti tra Dio e gli uomini si riassume in alcuni tratti ricor-
renti:
D i o è C r e a t o r e e provvidente nei riguardi degli uomini;
D i o è Padre e p e r d o n a le colpe fino alla settima generazione;
D i o è p r o m o t o r e dell'alleanza e q u a n d o l'alleanza è disdetta dall'uomo,
egli la rinnova.

Il r a p p o r t o di D i o con Israele è descritto col linguaggio tipico dei rapporti


familiari: D i o conosce, perdona, corregge ed educa Israele come fa un P a d r e
con il p r o p r i o figlio (Sai 103,11; Pr 3,12; Dt 1,31; 8,5). D i o ha s e m p r e iniziative
piene di misericordia nei riguardi dell'uomo, che, nella sua libertà aperta al
b e n e e al male, spesso si immerge nel peccato. Nelle pagine bibliche, D i o fa
conoscere le sue vie e rivela il suo progetto pieno di attenzione p a t e r n a e di
perdono.
La storia delle infedeltà dell'uomo al Creatore è multiforme nelle pagine del-
la Bibbia. Le risposte negative al d o n o dell'alleanza si susseguono a catena: con
A d a m o ed Eva, nel t e m p o del diluvio, tra gli ebrei dell'esodo di fronte al vitello
d'oro, nella storia di Davide u o m o santo e peccatore. D i o sempre di nuovo
risponde con la liberazione dai peccati singoli e collettivi e apre la strada alla
riconciliazione. Tutto ciò sollecita nell'uomo modalità e vie nuove nei rapporti
con Dio.
Israele sa che D i o è all'origine della sua storia, che lo sceglie, lo guida e lo
libera con tocco paterno; è Padre del popolo che ha plasmato (Dt 32,6; Is 63,16;
64,7; G e r 31,9).
L ' u o m o giusto è detto «figlio di Dio» e chiama Dio suo P a d r e (Sap 2,16-18);
D i o guida e protegge il credente nel corso dell'esistenza (Sap 14,3), è ricono-
sciuto e invocato nella preghiera (Ger 3,4.19; Sir 23,1.4).
Nei Profeti, in particolare, D i o rivela il suo volto misericordioso: di fronte alle
infedeltà n o n disdice il suo amore, e q u a n d o il popolo infrange il p a t t o con Dio,
D i o lo rinnova. N o n m a n c a n o pagine piene di paziente attenzione e di affetto da
parte di Dio:

«Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me» (Is 1,2).

«Come mai è diventata una prostituta la città fedele?» (Is 1,21).

«Verranno molti popoli e diranno: Venite, saliamo sul monte del Signore» (Is 2,1).

«Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio
delle sue viscere? [...] io ti ho disegnato sulle palme delle mie mani» (Is 49,15-16).

C o n a m o r e p a t e r n o D i o crea, libera, perdona e ha sempre l'iniziativa nel


bene. Q u a n t o è scritto nel libro di Osea (11,1-9) è emblematico nel rivelare il
confronto tra il popolo infedele e D i o che n o n si stanca mai di condurlo alla con-
versione e al perdono. Dio stimola il suo popolo, accusa, rimprovera, castiga, e
alla fine lo riconcilia e vince con il suo amore. La vicenda di Dio con l'uomo è la
vicenda di un a m o r e tradito e molte volte ricostruito.

112
Il peccato è letto sulla trama dell'alleanza, e q u a n d o l'uomo la rifiuta, D i o la
ripropone tramite il c a m b i a m e n t o del cuore e il p e r d o n o ( G e r 31,31-34). Se la
rottura sta nel dimenticare D i o e nel rivolgersi agli idoli, l'iniziativa di D i o ricon-
duce il cuore a quel «primo amore» che è Dio.

1.2. Cristo venuto nel mondo a chiamare i peccatori

Gesù, il Figlio di D i o venuto nel m o n d o , porta a c o m p i m e n t o il disegno del


D i o dell'alleanza. Accoglie l'umanità e dà «se stesso per lei, per renderla santa,
purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al
fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga
[...] ma santa e immacolata» (Ef 5,25-27). Egli è l'«Agnello di D i o che toglie i pec-
cati del mondo» e annuncia il vangelo della conversione e del R e g n o (Me 1,15).
Negli incontri con i peccatori Gesù suscita la conversione, d o n a il p e r d o n o ;
nelle parabole proclama di essere venuto non per condannare, ma per perdona-
re; ha il potere di rimettere i peccati: «il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a
salvare ciò che era perduto».
Il p e r d o n o che Gesù offre è contrassegnato da alcuni passaggi e atteggia-
menti fondamentali:
- // riconoscimento del peccato da parte dell'uomo (nel figlio prodigo, nel
pubblicano, in Zaccheo);
- il distacco dal peccato: «ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai
poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Le
19,8; Me 10,17-31);
- l'aprirsi dell'uomo a seguire il «Signore»: «[io] n o n sono venuto a chia-
m a r e i giusti ma i peccatori» (Mt 9,13).
Tutto questo Gesù lo p u ò fare perché è Dio: «se io scaccio i demoni per virtù
dello Spirito di Dio, è certo giunto a voi il regno di Dio» (Mt 12,28).
Alla fine, sulla croce, Gesù chiede al Padre il p e r d o n o per i peccati della
«moltitudine» e nella risurrezione d o n a agli apostoli lo Spirito e il potere di
rimettere i peccati (Gv 20,21-23).
Il p e r d o n o di Gesù non resta un fatto solo interiore, costituito dalla fede e dal
cambiamento del cuore, ma si traduce nel c a m b i a m e n t o della vita, in nuovi rap-
porti nella comunità, in un'evidenza storico-ecclesiale. La voce di Cristo che per-
d o n a viene fatta echeggiare nella Chiesa e la riconciliazione si estende a tutti i
membri del p o p o l o di Dio nella la storia.

1.3. La conversione del cuore e la mediazione della Chiesa

1.3.1. // perdono e la conversione del cuore

La vicenda del ritorno a D i o dell'uomo peccatore non è frutto di uno sforzo


u m a n o , ma ha come p u n t o di partenza l'iniziativa di Dio, che opera nell'intimo
delle persone tramite lo Spirito inviato da Cristo. Egli illumina il cuore, cambia
la volontà, apre alla conversione e alla misericordia di Dio.
La conversione è una rinnovata adesione a Cristo dell'uomo che, nelle sue
scelte, tante volte si è allontanato da lui. Nelle pagine del Vangelo è espressa con-

113
tinuamente la novità e il richiamo alla conversione, l'invito a ritornare a Dio con
tutto il cuore, a distaccarsi dal peccato, a sentirsi attratti dalla fiducia nel D i o pie-
no di amore. D o p o la pasqua, questo lavorio di conversione è riferito aperta-
m e n t e all'azione dello Spirito, che Gesù invia: egli convince il m o n d o «quanto al
peccato» (Gv 16,8-9) e d o n a al cuore dell'uomo la grazia del p e n t i m e n t o e del
ritorno a Dio.
Tutto il lavorio di riconciliazione tra D i o e l'uomo avviene n o n solo nel
segreto del cuore, ma anche nei tratti della vita e nella relazione con le persone
e con il m o n d o .
// primo passo è dato dal cambiamento del cuore e della vita. Viene o p e r a t o
un ritorno a D i o nell'intimo e u n a riconciliazione esistenziale che si traduce nel-
la sollecitudine per i poveri, nell'esercizio e nella difesa della giustizia e del dirit-
to, nel riconoscimento delle colpe di fronte ai fratelli, nella revisione della pro-
pria vita, nell'accettazione delle sofferenze e nella persecuzione a causa della
giustizia.
Ma oltre a questo la riconciliazione si compie attraverso l'incontro e il dialo-
go aperto con Cristo tramite la Chiesa e i suoi sacramenti. La Chiesa è stabilita da
Cristo quale mediatrice del p e r d o n o dai peccati.
È stato a partire dalla pasqua che ha avuto inizio l'intreccio tra i due aspetti
del p e r d o n o : quello della conversione del cuore e quello di una relazione riconci-
liante di Dio con tutta l'umanità. Nella pasqua è scoccata l'ora del p e r d o n o come
fatto interiore e, insieme, come evento pubblico e storico. Lì il Signore, d o p o aver
«dato la vita per i peccati del m o n d o » , ha d o n a t o lo Spirito Santo all'umanità
redenta e ha costituito gli apostoli mediatori di un m o n d o riconciliato: «ricevete
lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi» (Gv 20,23).

1.3.2. // sacramento del perdono

A questo p u n t o possono sorgere alcune d o m a n d e :


• Perché il p e r d o n o dei peccati è stato collegato da Cristo a dei segni
esterni e a una mediazione storico-ecclesiale?
• Perché, oltre al battesimo e all'eucaristia che sono, nel loro significato,
sacramenti di perdono, è stato istituito u n o specifico sacramento per la
riconciliazione!
Questi interrogativi h a n n o risposta nella legge dell'incarnazione, che è diven-
tata la via della redenzione del m o n d o , e nella istituzione dei «segni» del p e r d o -
no compiuta da Cristo.
È vero che l'incontro con D i o avviene nel cuore di ogni persona, ma è p u r e
vero che la salvezza riguarda non solo l'intimità dell'uomo, ma tutta la sua vita,
le relazioni u m a n e , la storia, l'eternità. C o n la sua incarnazione, Cristo ha voluto
dare alla salvezza una valenza tangibile, comunitaria, storica ed escatologica; ha
voluto farla diventare una comunione a tutto campo con D i o e con gli uomini.
Di qui il legame con il sacramento escatologico del battesimo, sacramento primo
del p e r d o n o per i peccati e dell'eucaristia, comunione con il sangue versato per
la remissione dei peccati.

114
// sacramento specifico della riconciliazione è stato voluto - come diceva già
Tertulliano - quale «seconda tavola per la salvezza d o p o il naufragio della gra-
2
zia p e r d u t a » , quale ulteriore, aperta e rinnovata riconciliazione con Dio e con
la Chiesa.
Cristo, il solo che p u ò p e r d o n a r e , ha t r a d o t t o in atto, in m o d o esplicito e
solenne, il suo p o t e r e di rimettere i peccati nella Chiesa e l'ha costituita ministra
dell'incontro del perdono. Egli aveva vissuto nella sua storia terrena un impegno
particolare nel togliere i peccati. Ora lo p o r t a a compimento tramite i suoi disce-
poli, nello stile di un incontro che è dialogo e d o n o ; d a n d o loro il m a n d a t o : «A
chi rimetterete i peccati saranno rimessi» (Gv 20,23).
Si ripete così lo stesso stile che Gesù aveva messo in atto nell'incontrare le
persone che si e r a n o rivolte a lui. Le aveva accolte e aveva detto: «Ti sono rimes-
si i tuoi peccati». O r a , in un dialogo semplice e personale, egli si rivolge di nuo-
vo a chi è bisognoso del p e r d o n o e, tramite i suoi apostoli, ripete la parola del-
l'assoluzione. In quella parola si p o n e in atto la parola stessa della croce, che
riversa sull'uomo bisognoso il p e r d o n o di D i o e lo proclama al m o n d o intero.
Il segno della riconciliazione si compie nell'intreccio tra una parola umile,
che è confessione del peccato, e una parola ecclesiale, che dice il p e r d o n o del
Signore. Il dialogo della riconciliazione ha u n a forma espressiva semplicissima e,
insieme, piena di un valore grandioso: ha una dimensione teologale, che segnala
un r a p p o r t o con il D i o che crea un cuore nuovo; una dimensione ecclesiale, che
stabilisce un riferimento alla Chiesa, incaricata da Cristo di creare u n ' u m a n i t à
riconciliata; e una dimensione antropologica, che libera il cuore e trasforma la
vita del peccatore che diventa giusto.
Con questi elementi costitutivi, il sacramento della riconciliazione esige di
essere compiuto nella fede, indispensabile per realizzare un incontro con Dio in
Cristo; di porsi in comunione con la Chiesa che è mediatrice dell'intervento libe-
ratore di Dio; e di essere espressivo della novità e della gioia di una vita che pas-
sa dal bisogno del p e r d o n o all'abbraccio festoso di Dio.
P e r questi valori il s a c r a m e n t o ha assunto, nella storia cristiana, u n a for-
ma celebrativa precisa e solenne, capace di garantire l'autenticità dell'accadi-
m e n t o di salvezza e di e s p r i m e r e la festa del P a d r e che ritrova il figlio che era
perduto.

2. LA PRASSI STORICA E IL VALORE TEOLOGICO DELLA PENITENZA

2.1. La prassi penitenziale nella storia

La riconciliazione come sacramento, n o n si riduce - come si è già d e t t o - a


un fatto esclusivamente interiore tra l ' u o m o e Dio, ma è incontro storico con Cri-
sto redentore, secondo la legge dell'incarnazione e con l'umanità liberata dal
peccato. Essa evidenzia la confessione del peccatore e la mediazione della Chie-

2
TERTULLIANO, De Paenitentia, 4,2, citato da CONCILIO DI TRENTO, sessione V I , cap. 14 (Denz
1542).

115
sa che proclama il p e r d o n o di Cristo a livello sacramentale. Il sacramento coin-
volge la Chiesa nella sua ampiezza: il sacerdozio di tutti i cristiani che cooperano
alla conversione dei fratelli con la carità, l'esempio e la preghiera, e il sacerdozio
dei ministri che, attraverso il carisma ministeriale, diventano voce di Cristo. La
remissione dei peccati è manifestata come preghiera allo Spirito e come procla-
mazione solenne del p e r d o n o nel n o m e di Cristo, che è l'Agnello che toglie i pec-
cati della moltitudine e che opera nella mediazione della comunità ecclesiale tra-
mite lo Spirito.

2.1.1. Le tappe della penitenza nella Chiesa

La Chiesa in molti modi ha vissuto l'esperienza della conversione e della


penitenza: p r e n d e n d o parte nelle prove alle sofferenze di Cristo, compiendo
opere di misericordia e di carità ( l P t 4,8.13), con celebrazioni penitenziali, pro-
clamando la parola di D i o ed elevando a D i o la preghiera. Ma, in particolare, nel
sacramento della penitenza i m e m b r i del popolo di D i o «ottengono dalla mise-
ricordia di D i o il p e r d o n o delle offese a lui arrecate e la riconciliazione con la
Chiesa, che h a n n o ferito col loro peccato, ma che coopera alla loro conversione
3
con la carità, l'esempio e la preghiera».
La Chiesa celebra la riconciliazione dei peccatori con Dio e con la comunità,
p a r t e n d o dalle parole del Signore accolte con fedeltà nella storia. Q u e s t o appa-
re nel primo annuncio di Pietro nel giorno della Pentecoste: «Pentitevi e ciascu-
no di voi si faccia battezzare nel n o m e di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri
peccati» ( A t 2,38).
La prassi della riconciliazione e del p e r d o n o è stata tradotta in atto in forme
e con modalità che si sono evolute nelle epoche storiche, rispondendo alle situa-
zioni sempre nuove del popolo cristiano.
La celebrazione del p e r d o n o della Chiesa la troviamo documentata, succes-
sivamente agli apostoli, nei primi scritti cristiani. Ignazio martire, Clemente di
R o m a nella / e nella li Lettera, la Didaché, Giustino e il Pastore di E r m a , parla-
no del peccato e del perdono.
Tertulliano, entrato nel rigore montanista, affermava: «La Chiesa p u ò rimet-
tere i peccati, ma io n o n lo farò, affinché gli altri non abbiano da peccare» (indi-
4
cando con questo la sua divergenza dal sentire c o m u n e della Chiesa).
5
A partire già dal Pastore di E r m a si nota nella Chiesa una prassi diversifi-
cata per i peccati più gravi, che venivano perdonati una volta sola, e per i pecca-
ti m e n o gravi, chiamati peccati quotidiani.
Nel II e III secolo, l'ambito dei peccati più gravi detti capitali e quello dei pec-
cati quotidiani vengono descritti con riferimento a fatti e ad esperienze elencate
negli scritti dei vari autori cristiani. Vi si leggono elenchi riguardanti i peccati più
gravi, anche se i prontuari non sono del tutto identici nei diversi scrittori.

3
LG 11: EV 1/314.
4
TERTULLIANO, Trattato della castità, XXI, 7.
5
Prec. IV, 1,8.

116
In un antico testo, riconducibile a Tertulliano, figuravano tra i peccati capita-
6
li: l'idolatria, l'omicidio e la lussuria. In altre catalogazioni, sempre della Chiesa
africana, venivano sottolineati come peccati capitali: il sacrilegio, l'apostasia, l'o-
micidio, l'adulterio, il concubinato, il furto, lo spergiuro, la calunnia, l'aborto, l'a-
varizia, l'odio tenace e la ubriachezza abituale.
In cataloghi del t e m p o successivo, ad esempio in sant'Agostino e nei Sermo-
ni di san Cesario, vescovo di Arles (503-543), figurano altri peccati considerati
come «capitali».
I peccati m e n o gravi venivano considerati rimessi tramite il p e n t i m e n t o inte-
riore, la preghiera e la carità; m e n t r e ai peccati capitali non veniva mai concessa
l'assoluzione al di fuori di una penitenza pubblica e rigorosa, che la Chiesa impo-
neva con modalità da lei stabilite. U n a tale penitenza voleva garantire un'effet-
tiva conversione nella vita dei peccatori e la verifica chiara della riconciliazione
del peccatore con la comunità cristiana: l'attuarsi della pax cum Ecclesia.

La Chiesa regolò le forme della penitenza pubblica con procedure pubbliche


e con normative precise che, col succedersi di situazioni storiche nuove, conob-
b e r o dei cambiamenti collegati a sensibilità e ad esperienze culturali diverse.
Possiamo individuare schematicamente alcune grandi tappe nella storia del-
la penitenza pubblica ecclesiale.

• La penitenza canonica dal II al V secolo

I colpevoli di peccati gravi, denominati «capitali», dovevano sottoporsi alla


penitenza pubblica che prevedeva:
- la celebrazione di una pratica penitenziale in forma solenne davanti al
vescovo fatta all'inizio della Quaresima, con l'intimazione delle opere
penitenziali da sostenere;
l'esecuzione della penitenza lunga e severa (durava spesso più anni);
- l'assoluzione dalla penitenza fatta pubblicamente davanti a tutta la
comunità nella settimana santa.
Nelle caratteristiche della penitenza pubblica, vanno rilevate alcune partico-
larità che davano a tale penitenza un rigore evidenziato e temuto:
- la penitenza pubblica n o n era ripetibile e la sua esecuzione si protraeva
a volte per tutta la vita;
era molto gravosa per gli atti penitenziali che imponeva;
i preti e i vescovi penitenti venivano destituiti dal loro ufficio;
- i penitenti venivano esclusi dalla comuniona,eucaristica, alla quale erano
riammessi solo d o p o l'assoluzione della penitenza.
Per il rigore e la rilevanza pubblica delle pratiche penitenziali, molti cerca-
vano in vari modi di evitare l'itinerario di tale penitenza o eclissandosi dalla vita
ecclesiale o rinviando il battesimo d o p o aver iniziato le prime tappe del cammi-
no catecumenale.

6
V O G E L , // peccatore e la penitenza nella Chiesa antica, 18-48.

117
Pian piano si crearono situazioni personali o locali sfavorevoli a questa prassi
che, anche per riferimento a situazioni culturali ed esistenziali nuove presenti nei
diversi territori della Chiesa, diedero il via ad altre forme di penitenza. Ciò avvenne
a partire dalle regioni del N o r d - E u r o p a e, in primo luogo, dalle Isole Britanniche.

• La penitenza «tariffata» nel medioevo

L'origine e lo sviluppo di quella che sarà detta penitenza tariffata si e b b e a


partire alla fine del Cinquecento e nel Seicento, con iniziative proprie delle
Chiese irlandesi, inglesi e bretoni.
Tale penitenza era detta «tariffata», perché le varie tipologie di peccati erano
elencate in apposite tabelle, dette «tariffe», con rispettive indicazioni penitenziali.
A differenza della p e n i t e n z a pubblica, la penitenza «tariffata» era contrad-
distinta:
- dalla ripetibilità della pratica penitenziale (mentre la penitenza pubblica
era unica e irripetibile);
- dalla privatezza (a fronte della pubblicità e solennità della penitenza p u b -
blica);
- dalla determinazione delle penitenze che e r a n o descritte in schede mes-
7
se a disposizione dei confessori, che le applicavano agli interessati;
- dal fatto che l'imposizione della penitenza veniva effettuata dal sacerdo-
te in maniera privata e n o n dal vescovo.
E r a n o inoltre previste possibili commutazioni o compensazioni tra vari tipi di
penitenze, costituite da preghiere lunghe e ripetute e da offerte (che sostituivano le
severe penitenze corporali) o da pellegrinaggi o elemosine. Con questa procedura
si incrementò in maniera nuova e diffusa la prassi dei pellegrinaggi penitenziali.
Il nuovo sistema fu d a p p r i m a osteggiato delle autorità centrali della Chiesa,
ma lentamente fu accolto e si diffuse in tutta la Chiesa latina.
Nel secolo IX, con Carlo Magno, ci fu il tentativo di ripristinare in linea gene-
rale l'antica prassi penitenziale pubblica. In certi luoghi si vennero a trovare fian-
co a fianco la penitenza pubblica e le nuove forme di penitenza tariffata. Ma l'an-
tico rigore penitenziale n o n riuscì più ad affermarsi come linea prevalente in tut-
ta la cristianità.
A t t o r n o al XII secolo prese rilevante sviluppo (in riferimento ai peccati più
gravi) la forma di penitenza costituita da pellegrinaggi penitenziali verso vari san-
tuari della cristianità e, in particolare, verso i luoghi della Terra Santa. A questi pel-
legrinaggi venne attribuito valore di compimento della penitenza sacramentale.
In certi casi si registrò la compresenza di tre forme di penitenza: quella pri-
vata indicata nelle «tariffe», quella pubblica solenne e quella pubblica non solen-
ne costituita da pellegrinaggi penitenziali.

• La confessione privata a partire dal medioevo

Nei secoli XII-XIII, poiché la pratica delle «commutazioni» aveva fatto perdere
tanta parte del valore teologale e di conversione personale alle opere di penitenza,
si concentrò l'attenzione sulla dimensione interiore e personale della penitenza e del

7
Cf. VOGEL, // peccatore e la penitenza nel Medioevo.

118
perdono, a partire dall'accusa dei peccati o confessione, che doveva essere fatta pri-
vatamente a un sacerdote confessore, per giungere all'assoluzione conclusiva.
Il nuovo procedimento si polarizzò attorno a tre passaggi: l'accusa dei pecca-
ti o confessione fatta a un sacerdote, l'assoluzione del confessore e la penitenza
successiva.
Il luogo della confessione fu dapprima la casa del presbitero, poi si passò in
chiesa. Tale prassi di confessione si diffuse in tutta la cristianità occidentale. Nel
secolo XVII si costruirono i confessionali, nell'intento di garantire la pubblicità del
luogo ove si celebrava il sacramento e, insieme, la segretezza della confessione.
Per evitare vuoti o ritardi eccessivi nella pratica della confessione, la frequenza
venne regolamentata, nella Chiesa cattolica, col decreto emanato nel concilio Late-
ranense IV (1215) che stabilì come scadenza minima il precetto della confessione
annuale: confessarsi almeno una volta all'anno e comunicarsi almeno a Pasqua.
Per i peccati particolarmente gravi restò in vigore u n a procedura di peniten-
za più solenne e rigorosa, costituita dalle forme di scomunica (l'assoluzione con-
cessa solo d o p o particolari forme di penitenza), di interdetto (con la sospensione
dei servizi religiosi per fatti aventi gravità pubblica e politica in certe città o luo-
ghi) o di riserva (col riferire al vescovo o ad alcuni confessori da lui autorizzati
l'assoluzione di alcuni peccati aventi particolare gravità).
C o n il concilio di Trento prese sviluppo una nuova teologia della penitenza.
Il concilio di Trento ha dedicato la sessione X I V (1551) alla dottrina sul sacra-
mento della penitenza, affrontando con ampiezza i vari aspetti riguardanti la
riconciliazione come sacramento. Ha esposto la visione cattolica della penitenza
di fronte alle posizioni di Lutero, che n o n riconosceva alla penitenza ecclesiale il
valore di sacramento a sé stante.
Da Trento venne alla Chiesa un'eredità dottrinale ampia e autorevole, per le
indicazioni riguardanti il peccato e la giustificazione. La teologia successiva a
Trento ha sviluppato con continuità gli elementi costitutivi del sacramento della
penitenza, i cui fulcri strutturali sono stati polarizzati attorno agli aspetti riguar-
danti l'accusa dei peccati, l'assoluzione e la successiva pratica della penitenza.
La celebrazione del sacramento della penitenza venne riferita al potere mini-
steriale dato dal Signore agli apostoli e ai loro successori per assolvere i peccati a
chi si confessa con cuore contrito. I ministri ordinati h a n n o titolo di celebrare «in
persona Christi» la riconciliazione sacramentale, indispensabile per avere p a r t e
alla comunione eucaristica nel caso di peccati gravi.

2.1.2. La continuità nell'evoluzione storica

Si possono rilevare nella storia della prassi penitenziale alcune variazioni e


alcune linee costanti.
Le variazioni h a n n o la loro radice nel linguaggio e nella sensibilità dell'am-
biente culturale che ha caratterizzato le diverse età, p a r t e n d o dall'ordinamento
r o m a n o , per a n d a r e alla mentalità e alla cultura medievale e germanica e giun-
gere, successivamente, al m o n d o umanistico. L'evoluzione di forme celebrative è
fondata sul fatto che la Chiesa vive nella storia e non p u ò non rispondere agli
accenti nuovi che la vita, le culture e le sensibilità emergenti nei popoli e nelle
persone presentano.

119
Nelle variazioni storiche rimangono sempre presenti alcune costanti. Esse
sono garantite dal fatto che nella riconciliazione ecclesiale è sempre in atto la
mediazione della Chiesa, espressa nel ministero apostolico; è sempre sentita e pro-
clamata la fede nell'iniziativa di Dio che perdona; ed è affermata in tutti i tempi la
necessità di una conversione personale e di una penitenza corrispondente all'a-
zione di Dio che perdona.
Nelle varie forme penitenziali è stata data, nel primo millennio, u n a sottoli-
n e a t u r a prevalente al ruolo della Chiesa e al rigore delle opere di penitenza;
m e n t r e un'attenzione più marcata alla benevolenza e alla gratuità del D i o che
p e r d o n a e alla riservatezza della persona è stata evidenziata nella prassi cele-
brativa del medioevo e dell'età moderna.
L'esperienza della storia mostra come siano urgenti e indispensabili, per la
riconciliazione, la conversione del cuore e il tradursi di essa anche in opere di
penitenza. Nella vicenda della riconciliazione è proclamata con evidenza, assie-
me alla mediazione della Chiesa, la misericordia del R e d e n t o r e , che d o n a il per-
d o n o all'uomo disponibile mediante la conversione del cuore.
L'interiorità personale dell'uomo pentito e la riservatezza della riconciliazio-
ne, sentita particolarmente nell'età m o d e r n a , sono state viste sempre in stretta
unità con il segno dell'assoluzione ecclesiale.
La Chiesa, che ha ricevuto da Cristo il ministero del p e r d o n o dei peccati, è
mediatrice anche della «pace dell'uomo con l'umanità intera»; essa, tramite la
conversione e le opere penitenziali, si fa promotrice di una vita sempre contro-
corrente rispetto al peccato del mondo.

2.2. II valore teologico della riconciliazione

Il significato teologico del sacramento della riconciliazione, va ricondotto in


radice al mistero di Cristo, il Verbo Incarnato che «per noi e per la nostra sal-
vezza discese dal cielo», che nella sua Pasqua ha «versato il sangue per la remis-
sione dei peccati» (Mt 26,28) e che nella risurrezione ha donato, lo Spirito Santo
dicendo: «ricevete lo Spìrito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a
chi non li rimetterete resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23).
La lettura teologica di questo sacramento p o r t a perciò a sottolineare la
dimensione pasquale, la dimensione escatologica e quella ecclesiale che riempie
il sacramento stesso.

2.2.1. La penitenza: segno sacramentale

Il fronte della salvezza, finalizzato al p e r d o n o dei peccati, è aperto a tutte le


espressioni del mistero cristiano, che è sempre mistero di salvezza. Esso è tale
dovunque è proclamata la parola di Dio e professata la fede.
Si è già accennato alla particolarità di accento che assumono la salvezza e il
p e r d o n o nei segni sacramentali, e in particolare nel sacramento della penitenza,
che p r e n d e fisionomia precisa nel rito celebrativo.
Il Rito della penitenza, nell'edizione del 1974 compiuta secondo le istanze del
concilio Vaticano II, evidenzia le modalità del p e r d o n o che è d o n a t o nei sacra-

120
menti del battesimo e dell'eucaristia e, poi, in quella tipicità espressiva che è pro-
pria del sacramento della penitenza. Nell'introduzione al Rito, al n. 2 si legge:

«Questa vittoria sul peccato risplende anzitutto nel battesimo. In esso il vecchio uomo
viene crocifisso con Cristo, perché sia distrutto il corpo del peccato, e perché noi non
siamo più schiavi del peccato, e risorgendo con Cristo, viviamo ormai per Dio. Per que-
sto la Chiesa professa la sua fede in un solo battesimo per il perdono dei peccati».

Nel sacrificio della messa, poi, viene ripresentata la passione di Cristo; il suo
corpo dato per noi e il suo sangue sparso per noi in remissione dei peccati, nuova-
mente vengono offerti dalla Chiesa a Dio per la salvezza del m o n d o intero. Nel-
l'eucaristia, infatti, Cristo è presente e viene offerto come «sacrificio di riconcilia-
zione» (Preg. euc. I l i ) , affinché il suo Santo Spirito «ci riunisca in un solo corpo».
Del sacramento della penitenza o riconciliazione è detto:

«quando il Salvatore Gesù Cristo conferì agli apostoli e ai loro successori il potere di
rimettere i peccati, istituì nella Chiesa il sacramento della penitenza, perché i fedeli
8
caduti in peccato dopo il battesimo, riavessero la grazia e si riconciliassero a Dio».

In questo contesto il senso e la modalità dello scaturire della riconciliazione


per l'uomo peccatore, va letta prima di tutto nel radicarsi del rito penitenziale
nell'evento pasquale e poi nella struttura del rito stesso che segnala la conver-
sione del cuore e la confessione del peccato, la parola del p e r d o n o e l'ulteriore
cambiamento della vita tramite le opere penitenziali.

2.2.2. Significato pasquale ed escatologico del sacramento del perdono

• Il significato pasquale

L'evento della pasqua di Cristo si compie nell'accettazione della croce come


segno di obbedienza e di a m o r e di Cristo u o m o a Dio. Q u e s t o evento distrugge
e supera il peccato. Esso è accettazione che supera il «no» a Dio, che è espres-
sione del peccato degli uomini, ed è il farsi presente della conversione nell'uo-
mo, che ritorna a D i o e accetta di adeguarsi a lui. Il gesto di Cristo è segno di
amore, di obbedienza, di orientamento del cuore a Dio.
L'evento della pasqua - quale gratuita riconciliazione dei peccatori a D i o -
si traduce nella celebrazione del sacramento compiuto dalla Chiesa. Tale cele-
brazione diventa espressione della nuova alleanza, è parola efficace di p e r d o n o ,
di quell'amore che è riconciliazione tra D i o e il peccatore pentito. Il peccatore,
accettando nella fede e nel dialogo sacramentale il suo ricongiungersi con il
mistero pasquale di Cristo, incontra l'amore misericordioso del P a d r e verso il
Figlio e verso tutti coloro che il Figlio porta con sé. Tale incontro si effettua nel-
la fede e nell'amore suscitato dallo Spirito di Cristo.

CEI, Rito della Penitenza, 2003, «Introduzione», n. 2.

121
• La dimensione escatologica

Il sacramento è incontro del peccatore con il Cristo pasquale nel rito della
Chiesa. Questo «segno» congiunge insieme l'evento della morte del Signore e la
storia dell'uomo che si accosta a lui. Il passato è reso visibile e attuale nel sacra-
mento: esso apre il futuro come nuova creazione e realizzazione del m o n d o reden-
to che si compirà nella parusia.
La celebrazione del sacramento non è un approccio consolatorio, compiuto di
fronte all'irraggiungibile trascendenza di colui che pronuncerà la sua parola defini-
tiva nell'incontro finale, ma è già pienamente incontro con il Signore, al quale «è sta-
to dato ogni potere in cielo e in terra». Egli ha già pronunciato il giudizio sul m o n d o
e da lui «il principe del m o n d o è stato cacciato fuori». La parola del perdono è paro-
la del Risorto, il cui ritorno finale è segnalato, a partire dalla pasqua, come annuncio,
caparra e anticipo. La vita di un peccatore è quindi già intrecciata definitivamente
con la persona di Cristo e con il suo «giudizio» che rimane per sempre. In questo si
delinea il valore escatologico o definitivo del dialogo del perdono sacramentale.
L'evento della riconciliazione è espressione della vittoria sul peccato del mon-
do, è azione del Dio della salvezza che non sarà più disdetta. È evento creatore che
traduce in atto l'elevazione e la trasfigurazione di tutti i valori umani, la liberazio-
ne della creazione dalla schiavitù della corruzione in cui attualmente essa geme
( R m 8,18-23), affinché «entri nella libertà della gloria dei figli di Dio».
In questa dinamica il sacramento è attuazione di un progressivo crescere della
mChiesa e del cristiano nell'adempimento della missione nella storia. L'evento
sacramentale non solo perdona ma trasfigura il cristiano, ne rinnova le forze e lo
impegna di più nella sua missione nella Chiesa e nella storia. E segno di un inse-
rirsi privilegiato, ora nel tempo, della salvezza in tutta la creazione.

2.2.3. La dimensione ecclesiale della riconciliazione

La riconciliazione con Dio si attua nella riconciliazione con la Chiesa. L'incon


tro di salvezza si avvera sempre in un rapporto dialogico. Il dialogo orizzontale cor
gli uomini è incluso, come m o m e n t o particolare, nella trama di un rapporto verti
cale con Dio. In tale inclusione il dialogo sacramentale diventa «alleanza» c
«comunione» con Dio e con gli uomini. Alla base di tutto questo sta la teologia gio
vannea dell'amore. Secondo Giovanni, l'unico segno efficace dell'amore di un Di
che non vediamo e della sua permanenza in noi, è l'amore del fratello che vedis
mo ( l G v 4,7-12.19-21). Il peccato contro i fratelli è offesa contro D i o e la riconc
liazione con i fratelli è riconciliazione con Dio (Mt 25,23-36).
Neil'atto*del perdono è in azione il sacerdozio della Chiesa. Per la vicendevol
inclusione tra Dio e l'uomo, non è possibile realizzare una riconciliazione vera
salvante riferendosi esclusivamente a Dio senza la Chiesa: il sacramento infal
prevede sempre il rapporto con i fratelli. È esercitato così, nella riconciliazione,
9
sacerdozio comune di tutta la Chiesa che, pur essendo Chiesa di peccatori, «co
10
pera alla conversione con l'esempio, la carità e la preghiera» ed è pure in atto
servizio ministeriale, che è garante a tutto campo della pax cum Ecclesia.

9
LG l l : £ V l / 3 1 3 s s .
10
K. R A H N E R , La penitenza della Chiesa, R o m a 1968,89.

122
Sta qui appunto il ruolo del ministro ordinato. Esso consiste nel fatto che i
vescovi e i sacerdoti celebrano il sacramento della riconciliazione in persona
Christi e anche in persona Ecclesiae. Il servizio apostolico, nel suo compito uffi-
ciale, è atto della Chiesa intera, ed è reso possibile proprio dal carisma apostoli-
co, che attinge direttamente dal Signore, essendo eco continua nella storia della
Parola di lui ed espressione della sua potenza pasquale che d o n a «il suo corpo»
e «la sua salvezza escatologica» a tutta l'umanità. La parola del p e r d o n o è pro-
nunciata dal ministro come invocazione allo Spirito Santo in n o m e di Cristo e
come proclamazione dell'evento della salvezza definitiva.
La Chiesa riconcilia il peccatore con D i o e lo riconcilia con sé, esercitando il
sacerdozio c o m u n e e gerarchico; lo fa mediante una parola efficace di p e r d o n o
e nel porsi a tu per tu con l'impegno del cristiano peccatore manifestato alla
Chiesa. La parola pronunciata dal sacerdote è in relazione con tutta la predica-
zione e l'azione della Chiesa. Il peccatore confessa il suo peccato a Dio, ma è la
m a d r e Chiesa, la Chiesa tutta intera, colei che rivela, con l'annuncio della p a r o -
la di Dio, il volto del Padre che perdona. L'uomo peccatore p u ò accoglierlo solo
da questa Chiesa.

3. ASPETTI CELEBRATIVI E PASTORALI

3.1. Gli elementi del rito

3.1.1. Le accentuazioni del Rito della riconciliazione

Il nuovo Rito, nell'edizione del 1974, è stato a p p r o n t a t o con spirito rispon-


dente alla sensibilità e alle linee del concilio Vaticano II. Esso, p u r e nella sostan-
ziale continuità con la dottrina penitenziale della Chiesa, ha evidenziato degli
approfondimenti nuovi che sono degni di nota.
In primo luogo è dato risalto alla teologia biblica ispirata a una visione stori-
co-salvifica, che vede in atto il disegno del Padre, la manifestazione di lui in Gesù
Cristo e l'invio dello Spirito, nella realizzazione di un intervento privilegiato nel
m o n d o con il mistero della riconciliazione.
Poi è data sottolineatura alla visione pasquale, che riconduce ogni riconcilia-
zione u m a n a nell'evento della croce e della risurrezione. È approfondita la
dimensione comunitaria del sacramento della riconciliazione, che avviene con la
Chiesa, per mezzo della Chiesa e nella Chiesa.
Oltre a ciò il rito mette in evidenza la dimensione personale della penitenza,
secondo le acquisizioni degli ultimi secoli della prassi penitenziale cristiana. La
persona non è mai solitaria, ma si innesta nella comunità. Nella comunità il sin-
golo compie una conversione profonda, un raddrizzamento radicale «per effetto
del quale l'uomo comincia a pensare, a giudicare, a riordinare la propria vita» in
base ai valori che Cristo ha proposto (nn. 6; 5).
Il sacramento del p e r d o n o si p r o p o n e così come mezzo fondamentale di
«formazione p e r m a n e n t e » . L'uomo, anche attraverso il dialogo tra confessore e
penitente, si sottopone al giudizio della croce, in un'attenzione sempre rinnova-
ta alla «disponibilità del Dio pieno di misericordia».

123
3.1.2. Gli atti del sacramento

Il sacramento della riconciliazione si situa nell'esperienza della fede e della


vita dell'uomo peccatore che si converte e che si p o n e in dialogo con la Chiesa.
Q u a t t r o m o m e n t i scandiscono l'itinerario che va dalla condizione di peccato
alla riconciliazione: la contrizione, la confessione, la soddisfazione e l'assoluzione.
La teologia ha approfondito queste componenti fondamentali già a partire
dai testi del concilio di Trento; esse disegnano il sentire dell'uomo peccatore e
penitente che accoglie il richiamo dell'amore che cambia il cuore e conduce al
p e r d o n o tramite il dialogo di confessione e di assoluzione.
La contrizione occupa il primo posto nell'iter di riconciliazione. Consiste in
un c a m b i a m e n t o intimo e radicale dell'animo, che porta a riconoscere il proprio
peccato e a detestarlo dal cuore, guardando a un futuro libero dai richiami del
maligno. Q u e s t o c a m b i a m e n t o unisce insieme un atteggiamento di negazione e di
costruzione: negazione o a b b a n d o n o degli atteggiamenti del rifiuto e del male;
costruzione di un nuovo o r i e n t a m e n t o verso Dio e verso gli altri, illuminato e
attratto dall'amore sempre antico e s e m p r e nuovo del Cristo. Tale positività si
traduce nel sorgere e nel crescere della carità o dell'amore.
La confessione p a r t e dalla conoscenza e dalla contrizione nei riguardi del
peccato. A questa segue la manifestazione della propria condizione di peccatore
con un atteggiamento di a m o r e penitente, pervaso dalla forza espressiva della
metànoia (conversione). C'è una spinta nuova che nasce nel cambiamento del
cuore e della volontà e diventa forza creativa e impegno in una vita liberata dal
peccato. «Confessare» n o n è solo «manifestare» o «elencare» i peccati, ma è
anche confessare la fede in Cristo redentore, è dichiarare il proprio «amore peni-
tente», nella fiducia che all'origine di tutto c'è sempre il D i o dell'amore che fa
nuove tutte le cose.

La soddisfazione (detta anche penitenza) n o n è un prezzo che si paga per


ammortizzare il debito o per ottenere il p e r d o n o - il p e r d o n o è un d o n o gratui-
to di D i o -, ma è il segno di un distacco dal peccato, è un gesto di rinnovato amo-
re che si p r o t e n d e in avanti con opere di carità, di preghiera, di servizio, di impe-
gno. È l'attualizzarsi di un vero distanziamento da ciò che è peccato o conduce
al peccato. Con questo, il penitente «si allontana dal passato» e s'inserisce con
nuovo impegno nel mistero della salvezza e si predispone al futuro che lo atten-
de. La penitenza porta con sé, quindi, un significato di cura (medicinale); eviden-
zia lo sforzo necessario per superare le conseguenze dei peccati; ha un significa-
to di riparazione in q u a n t o vuole contraddire il dinamismo disgregatore prodot-
to dal peccato; ha un valore unitivo a Cristo, che coinvolge a sé nella lotta e nel-
la vittoria contro il male. Ha, come effetti, p u r e la remissione della p e n a t e m p o -
rale, la guarigione dello spirito ferito nel fare il male e u n a crescente pace della
coscienza, orientata sempre più alla sequela di Cristo.

L'assoluzione è la risposta del ministro della Chiesa alla conversione del-


l'uomo peccatore. D i o si serve di segni sensibili, tangibili, per manifestare, evi-
denziare l'alleanza ricostituita con l'uomo che era nel peccato. L'assoluzione è
come l'abbraccio del P a d r e che accoglie il figlio pentito, è il gesto di Cristo che

124
si p o n e sulle spalle la pecora smarrita per ricondurla all'ovile, è l'intervento del-
lo Spirito Santo che santifica n u o v a m e n t e il suo tempio e lo rende luogo della
sua presenza.

3.1.3. Gli effetti della penitenza

La parola conclusiva del sacramento della penitenza è una parola che pro-
clama la remissione dei peccati. Non è un giudizio di condanna per il male fatto
o una sentenza di non punibilità, ma una parola che sigla un incontro n u o v o tra
l'amore penitente e l'amore riconciliante di Dio. N o n è un fatto giuridico ma un
dialogo nella reciprocità. Da parte di Dio è pronunciata una parola che guarisce
il cuore e la vita di una persona. Scrive Giovanni:

«Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mon-
do si salvi per mezzo di lui. Chi crede non è condannato; ma chi non crede è già sta-
to condannato, perché non ha creduto nell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è que-
sto: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce,
perché le loro opre erano malvagie» (Gv 3,17-20).

Convertendosi a Cristo m e d i a n t e la penitenza e la fede, il peccatore passa


dalla m o r t e alla vita «e n o n va incontro al giudizio» (Gv 5,24). Il frutto dell'as-
soluzione è quindi un dono, è accoglienza nell'amore, è trasformazione della vita:
gli uomini «liberati dal peccato per la grazia di Cristo, p o t r a n n o essere nel mon-
do, insieme con tutti gli uomini di buona volontà, operatori di giustizia e di
11
pace».
L'assoluzione sacramentale ri-concilia con Dio, ridona i beni della vita di figli
di D i o e l'amicizia con Dio. O p e r a la riconciliazione con la Chiesa:

«il penitente perdonato si riconcilia con se stesso nel fondo più intimo del proprio esse-
re, in cui recupera la propria verità interiore; si riconcilia con i fratelli, da lui in qualche
12
modo aggrediti e lesi; si riconcilia con la Chiesa; si riconcilia con tutto il creato».

• Il ricorso frequente al sacramento

Il Rito, al n. 7, sottolinea come non solo per i peccati gravi, di fronte ai quali
con la penitenza sacramentale si ottiene la vita perduta, ma anche per i peccati
veniali è molto utile il ricorso assiduo a questo sacramento. N o n si tratta di una
semplice ripetizione rituale o di un esercizio psicologico, ma di un costante e rin-
novato impegno di affinare la grazia del battesimo^ affinché Cristo manifesti
sempre più in noi la sua vita. C'è nella confessione dei peccati veniali l'occasio-
ne a conformarsi più intimamente a Cristo e a rendersi più docili alla voce dello
Spirito.

11
C E I , Rito della Penitenza, 1 9 7 4 , «Introduzione», n. 5.
12
GIOVANNI PAOLO I I , esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia, 2 dicembre 1 9 8 4 , n. 3 1 :
E V 9/1190.

125
• La comunità e il ministero della Chiesa

Il rito rinnovato dalla Chiesa, oltre che dare risalto alla necessità e utilità del
sacramento della riconciliazione, sottolinea la p a r t e che ha in esso la comunità
celebrante e il ministro nella celebrazione.
Tutta la comunità è cointeressata nell'opera di riconciliazione. Tale coinvol-
gimento si ha, in primo piano, con la proclamazione e la meditazione della p a r o -
la di Dio, che fa echeggiare continuamente il messaggio del D i o che p e r d o n a . In
tal m o d o la Chiesa stessa diventa strumento di conversione e di rinnovamento
per il penitente.
Ciò che vale per tutti, vale ancor più per i ministri, ai quali è affidato il mini-
stero della riconciliazione, tramite la disponibilità, l'evidenziazione del valore di
questo sacramento, l'accoglienza attenta, benevola, illuminata, rispettosa e
sapiente di chiunque si rivolga alla Chiesa per una parola di riconciliazione.

• Le modalità della celebrazione

Il nostro discorso n o n si sofferma sui punti particolari della celebrazione. Il


rito sottolinea l'importanza del creare un clima di raccoglimento e di preghiera
adatto e richiama l'urgenza di un'accoglienza dei penitenti fatta con rispetto e
con dolcezza, e l'importanza che ha la proclamazione della parola di D i o per
creare un clima adeguato di fede. È questo il contesto di maggior valore che il
concilio Vaticano II ha sollecitato e curato per tutti i sacramenti. Ciò ha una par-
ticolare evidenza per le celebrazioni comunitarie della riconciliazione, sulle qua-
li è necessario attenersi alle indicazioni operative disposte dal magistero della
Chiesa, per riguardo alle diverse situazioni.

3.2. Problemi pastorali sullo sfondo

3.2.1. // senso del peccato e del perdono per l'uomo di oggi

Sullo sfondo di tutto un discorso teologico riguardante il peccato e la ricon-


ciliazione, emergono, per t a n t e persone che vivono nel nostro m o n d o , d o m a n d e
piene di interesse o di contestazione o di dubbio. Si tratta del porsi di questo
sacramento a tu per tu con persone che si affermano credenti o che, comunque,
si sentono toccate dai temi che riguardano il peccato, il perdono, o n o n vedono
con serenità «il sacramento della riconciliazione». Le difficoltà che si oppongo-
no alla comprensione, sono legate a prospettive di lettura diverse e non omoge-
nee. Accenniamo qui a qualcuno degli spunti problematici.
Si nota che la confessione, anche là dove è fondamentalmente accettata, non
è vista, t a n t e volte, nei suoi significati più profondi. Il «confessarsi» a un ministro
della Chiesa non sembra facilmente proponibile nei riguardi di esperienze per-
sonali che si r a p p o r t a n o in primo piano a D i o e poi all'interiorità della coscien-
za e della propria vita. Ciò anche se esplode in una certa misura ai nostri giorni,
la prassi delle «consulenze psicologiche».
Di fatto la pratica della confessione è disdetta nell'accettazione o nella fre-
quenza da p a r t e di molte persone credenti. C'è chi, r i m a n e n d o nell'ambito della

126
visione cristiana, dice di rifiutare il sacramento della confessione e afferma di
potersi attribuire la riconciliazione con D i o e la giustificazione della propria con-
dotta per altre vie. A livello più radicale, c'è un fronte di opinione che contesta
ed elimina dalla coscienza il senso del peccato e quindi la motivazione fonda-
mentale di una confessione e di una riconciliazione ecclesiale.
Nell'insieme, gli atteggiamenti dei cristiani nei riguardi della confessione non
si livellano in senso negativo; piuttosto si p u ò notare la presenza di vedute diver-
se, con sfumature e accentuazioni che vanno da un'accoglienza di fondo a u n ' e -
straneità piena rispetto alla visuale cristiana.
Possiamo focalizzare tre tipi di atteggiamenti:
- alcuni si soffermano sulla prassi celebrativa del sacramento, che p e r vari
aspetti non gradiscono;
- altri si riferiscono al ruolo della mediazione ecclesiale, che non com-
p r e n d o n o e n o n accolgono nella sua verità e nel suo r a p p o r t o a Cristo e
al mistero cristiano;
- altri ancora assumono un'accentuazione radicale di rifiuto q u a n t o al sen-
so del peccato, non visto come contraddizione ai valori fondamentali
della persona e anche del m o n d o se letto in una particolare visione
antropologica.
Là dove non viene discusso il valore ma la pratica concreta della confessione,
si considera questa come un abito logoro e p o c o attraente per motivi di stile e di
modalità celebrative o contingenti, ad esempio, a motivo dei problemi riguar-
danti il confessionale, i tempi e le circostanze; il senso e l'ampiezza dell'accusa
dei peccati, il pentimento, l'assoluzione, la prassi della penitenza, e altre ragioni
riferite alle varie età o alle diversità concrete della celebrazione del sacramento.
Nei casi in cui non viene accettata la confessione nel suo valore, n o n è accolto
il senso e la valenza dei sacramenti nel loro porsi come incontri con Dio, e così
l'assoluzione n o n è compresa nel suo significato teologale, quale parola di Cristo
che opera nel profondo e cambia l'uomo. Le obiezioni suonano più o m e n o così:
Se l'incontro con D i o avviene nell'intimo, a che servono il sacerdote, l'accusa, la
penitenza esterna? La confessione, nel suo essere compiuta come un piccolo pro-
cesso in un oscuro confessionale, n o n è forse un'eredità del passato, anacronisti-
ca, n o n adatta alla sensibilità degli uomini di oggi?
In altri casi si nega il senso radicale del peccato, in un ambiente umano inteso
in una visione pluralistica, contrassegnata da relativismo morale. Se ci si p o n e in
un q u a d r o di relativismo etico e valoriale, non ha significato il porsi dell'uomo in
r a p p o r t o creaturale con Dio. Ogni persona è vista come totalmente autonoma,
libera di misurare i valori del b e n e e del male secondo il proprio metro. Di fron-
te a simili stati di coscienza non si d a n n o ambiti di vita da valutare come peccato.
In un m o n d o pluralistico e relativizzato nei valori, proteso verso il benessere
immediato dei singoli, i fatti della vita appaiono n o n riferibili a n o r m e uguali per
tutti; o g n u n o si orienta al raggiungimento degli interessi o piaceri che ha davan-
ti, con modalità proprie ed esclusive. Ogni persona si trova ad essere in gioco con
la concorrenza altrui e misura il b e n e e il male in base alla propria soggettività.
V e d e n d o la bilancia del proprio vivere segnata dall'ago di u n ' a u t o n o m i a da
D i o e di una pluralità di vedute e di condizionamenti provenienti dall'ambiente
sociale, il significato dei mali o delle colpe oggettivamente rilevanti viene valu-

127
Capitolo settimo

L'UNZIONE DEGLI INFERMI

Il sacramento dell'unzione degli infermi è stato considerato solitamente


come un gesto rituale di congedo e di benedizione per chi è alla fine della vita.
Tale significato risalta anche dal n o m e che tradizionalmente, a partire dal conci-
lio di Trento, venne dato a questo sacramento, detto a p p u n t o «sacramento del-
l'estrema unzione».
La riforma operata dal concilio Vaticano II ha dato un risalto e una sottoli-
neatura nuova a questa celebrazione della Chiesa evidenziandone il valore
antropologico e teologale e descrivendola come un incontro con Cristo salvato-
re in una tappa particolarissima della vita di ogni persona.
L'unzione degli infermi è, allora, evento di salvezza che si compie nell'ora
della malattia e nella tensione decisiva verso la morte, p o r t a ad accogliere in
profondità il senso della croce nella vita e a vivere nel passaggio decisivo verso
l'incontro finale con il Signore.
U n a breve riflessione teologica p u ò evidenziare in q u e s t o s a c r a m e n t o i
seguenti nuclei: l'esperienza di Gesù e degli apostoli con gli ammalati; l'un-
zione degli infermi nella Chiesa lungo la storia; il valore antropologico e t e o -
logale dell'unzione degli infermi; il rito che tale unzione ha nella liturgia del-
la Chiesa.

1
1. L'ESPERIENZA DI GESÙ E DEGLI APOSTOLI CON GLI AMMALATI

// sacramento dell'unzione degli infermi ripropone nella storia dei singoli la


sollecitudine di Gesù per i malati e l'esperienza che egli ha vìssuto nella sua mor-
te e nella risurrezione.

1
Cf. // sacramento dei malati, Elledici, Leumann ( T O ) 1975; L'unzione degli infermi ha valore
oggi?, a cura di G. DAVANZO, O . A . R . I . , Varese 1972; A. D O N G H I , L'olio della speranza, E R R o m a 1984;
P. FEDRIZZI, L'unzione degli infermi e la sofferenza, Gregoriana, Padova 1972; M. FLORIO - R. N K I N -
DIJ SAMUANGALA - G. CAVALLI - R. GERARDI, Sacramentaria speciale. Il: Penitenza, unzione degli infer-
mi, ordine, matrimonio, E D B , Bologna 2003; C. OTERMANN, // sacramento degli infermi, Elledici, Leu-
mann ( T O ) 1971; A. ZIEGENHAUS, «L'unzione degli infermi», in Incontrare Cristo nei sacramenti, a
cura di H. LUTHE, EP, Cinisello Balsamo 1988.

131
Tante volte i Vangeli descrivono scene nelle quali Gesù accosta persone col-
pite da malattie varie, impone le mani e le guarisce, e in alcuni casi risuscita per-
sone già m o r t e (Me l,32ss; Mt 4,23ss). Egli invia anche i discepoli tra gli amma-
lati e, d o p o la risurrezione, dice ai suoi apostoli di imporre le mani agli ammala-
ti ed essi guariranno (Me 16,18). Le guarigioni che Gesù operava non e r a n o fini
a se stesse, ma e r a n o «segni» del t e m p o messianico, del regno di Dio ormai pre-
sente (Le 11,20). La guarigione del paralitico calato dal tetto (Me 2,1) è operata
da Gesù come segnale del p o t e r e che egli ha di rimettere i peccati, di un potere
che rivela la sua identità divina.
A un altro ambito di significati è aperto il fronte della malattia e della soffe-
renza nel N u o v o Testamento: l'uomo giusto spesso «deve» soffrire in mezzo a un
m o n d o cattivo, a somiglianza di Gesù, dei profeti e dei discepoli del Signore. Per
Paolo le sofferenze del t e m p o presente diventano tante volte espiazione per le
colpe altrui (Col 1,24) e la potenza di Dio, a partire dall'esempio di Cristo, si
manifesta nella croce e nella debolezza u m a n a ( I C o r 2,3ss; 2Cor 12,7ss).

Passando alla prassi dei discepoli di Gesù, è menzionata, in loro, l'usanza


biblica dell'unzione con l'olio: i discepoli ungevano con olio i malati e questi gua-
rivano (Me 6,13). Poi dal t e m p o della Chiesa apostolica è stata t r a m a n d a t a la
testimonianza dell'apostolo Giacomo:

«Chi è malato, chiami i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui dopo averlo unto
con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signo-
re lo rialzerà e se ha commesso peccati gli saranno perdonati» (Gc 5,14-15).

L'apostolo parla di una preghiera e di un'unzione fatta nel n o m e del Signore e


annuncia che il Signore solleverà il malato nella sua malattia e gli rimetterà i pec-
cati commessi. L'unzione con l'olio insieme alla preghiera della fede è un compito
attribuito ai presbiteri che sono partecipi del ministero apostolico nella Chiesa.
L'unzione con l'olio operata sui malati aveva, nel contesto semitico, un'in-
tenzione terapeutica. Nei termini indicati nella Lettera dell'apostolo Giacomo,
tale unzione è fatta «nel Signore», in un atteggiamento di preghiera e di invoca-
zione e al gesto è attribuito un duplice significato: di rilevanza nella vita presen-
te, cioè il sollevare dalla malattia d a n d o sollievo psicologico e anche la guarigio-
ne fisica; e di valore escatologico, ed è il dono di forza e di vigore nuovo per
affrontare la sofferenza con apertura spirituale e con efficacia di salvezza, in una
prospettiva che va al di là di ogni infermità terrena. L'azione del Signore sull'in-
fermo ha un'incidenza salvatrice che va oltre il tempo, mira a far esperimentare
la «guarigione» totale dell'uomo nella risurrezione. E, nella logica della salvezza
definitiva, è annunciato un effetto aggiuntivo/condizionale: «se avrà commesso
dei peccati, gli saranno rimessi».
A partire dalla Chiesa apostolica, nel t e m p o successivo, i peccati più gravi
dovevano essere sottoposti alla verifica e alla penitenza ecclesiale con la prassi
penitenziale e la remissione della Chiesa. Però, per eventuali peccati che fossero
commessi nella fase della malattia e nell'impossibilità di una regolare procedu-
ra penitenziale, venivano rimessi appunto tramite l'unzione «nel n o m e del
Signore e nella preghiera». L'unzione con l'olio e la preghiera n o n e r a n o p r o p o -

132
ste come rito sostitutivo della linea penitenziale della Chiesa, ma, in certi casi, la
completavano.
D a l testo di san G i a c o m o si evince che l'unzione degli infermi è riferita pre-
cisamente agli ammalati costretti a letto con una malattia abbastanza grave, ma
n o n proprio moribondi, come avverrà nel t e m p o successivo. In seguito all'uso
dell'«unzione» sui moribondi, diventerà ufficiale la denominazione estrema
unzione. La remissione dei peccati veniva indicata, in questo sacramento, in rife-
rimento a coloro che si trovavano in condizione di pericolo ed e r a n o impediti dal-
la prassi penitenziale comune; m e n t r e l'invocazione della «salvezza dalla malat-
tia e dalla morte» rientrava sempre nella preghiera che accompagnava l'unzione.

2. L'UNZIONE DEGLI INFERMI NELLA CHIESA

2.1. Nella Chiesa medievale

M e n t r e per la Chiesa antica n o n sono state t r a m a n d a t e significative testimo-


nianze, nel medioevo l'unzione degli infermi venne chiaramente considerata sul-
la linea degli altri sacramenti.
Gli elementi strutturali del sacramento dell'unzione sono descritti, secondo
lo schema comune, tramite la materia, la forma e il ministro. Il sacramento del-
l'unzione è considerato efficace ex opere operato, sulla linea dei frutti di salvez-
za indicati nella lettera dell'apostolo Giacomo.
Nel t e m p o antico l'unzione degli infermi era finalizzata più chiaramente alla
guarigione fisica; nella scolastica invece vengono messi in risalto gli effetti psico-
logici e spirituali, la remissione dei peccati e l'aiuto contro gli attacchi del d e m o -
nio nel «dramma del morire» e «nel viaggio verso il cielo». L'aspetto del p e r d o -
no è sempre presente nella formula sacramentale: «Per questa santa unzione e
per la sua piissima misericordia il Signore ti perdoni tutte le colpe che hai com-
messo». Il p e r d o n o riguarda (in complementarità con la confessione) i peccati
dimenticati nella confessione e quelli commessi nell'agone tra la vita e la morte.
Nel secolo XIII san B o n a v e n t u r a riferisce in m o d o più accentuato l'unzione
degli infermi alla situazione dei moribondi, e successivamente questo sacramen-
to verrà celebrato come «estrema» unzione nell'approssimarsi della morte.

2.2. Il concilio di Trento

Nel concilio di Trento, con la Dottrina sul sacramento dell'estrema unzione


2
(1551), venne dato il primo posto - circa i frutti dell'unzione - al d o n o dello Spi-
rito Santo, portatore di effetti di salvezza. A proposito dell'«effetto» di questo
sacramento la finalità complessiva dell'unzione è così descritta:

«Questo effetto è dunque la grazia dello Spirito Santo, la cui unzione lava i peccati,
se ve ne fossero ancora da espiare, e ciò che resta del peccato; solleva e rafforza l'a-
nima del malato, suscitando in lui una grande fiducia nella divina misericordia. L'in-

2
Denz 1694-1719.

133
fermo per il sollievo ricevuto sopporta più facilmente le sofferenze e le pene della
malattia, resiste più facilmente alle tentazioni del demonio che insidia il suo calca-
gno, e qualche volta, se ciò può giovare alla salvezza dell'anima, riacquista la salute
3
del corpo».

2.3. Il magistero recente

4
Nella costituzione Sacrosanctum concilium del concilio Vaticano II e nel
n u o v o testo del rito del Sacramento dell'unzione degli infermi (1974), p a r t e n d o
dalla tradizione, si parla del soggetto del sacramento, della formula del rito e dei
frutti del sacramento stesso.
Il sacramento dell'unzione viene conferito a quelli che sono ammalati con
serio pericolo. La formula del rito viene così enunciata:

«Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia, ti aiuti il Signore con la
grazia dello Spirito Santo. E liberandoti dai peccati ti salvi e nella sua bontà ti solle-
vi. Amen».

Si usano i termini «salvare» e «sollevare» in riferimento a colui che è ammala-


to e si richiama anche la remissione dei peccati, tenendo conto che la via ecclesiale
per la remissione dei peccati gravi è stabilita nella confessione, a m e n o che uno sia
impossibilitato ad essa. Tutti gli effetti provengono dalla grazia dello Spirito Santo.

3. SIGNIFICATI DELL'UNZIONE DEGLI INFERMI


IN VISTA DELLA SALVEZZA

Volendo p r o p o r r e in sintesi una lettura teologica del sacramento dell'unzio-


ne, occorre sottolineare l'incidenza esistenziale dell'«unzione» in un m o m e n t o
particolare della vita dell'uomo e il valore teologale di questo sacramento nel suo
riferimento al mistero di Cristo.

3.1. La prospettiva antropologica dell'unzione degli infermi

L'esperienza dell'uomo nella malattia è un fatto molto importante nella vita


di una persona. Chi è nella malattia porta con sé la sperimentazione di una man-
canza di armonia nel proprio vivere, la precarietà delle forze, la scarsa autono-
mia per il dover dipendere da altri, la consapevolezza di limiti nuovi nella libertà
e quindi l'insicurezza e l'ansia nella prospettiva verso il futuro. Con tutto questo
si accompagna sempre la presenza di un desiderio profondo di guarigione di cui
non si vede l'esito.
La malattia vissuta nell'esperienza della fede p u ò aprire la persona ad accet-
tare la «realtà» della propria finitezza, ad affinare la certezza che solo in Dio
l'uomo trova in pieno se stesso e la propria realizzazione. Nell'ottica della fede

3
Denz 1696.
4
SC 73-75: EV 1/126-128.

134
egli p u ò guardare avanti e sperare con sincerità e coraggio il compiersi del cam-
mino storico della vita. Viene così affinata la pazienza, che è la virtù della crea-
tura che, conoscendo la propria temporalità, accetta e sopporta la malattia, con-
fidando nel D i o «misterioso» che è vicino e lontano. Il credente è così allenato a
diventare un «uomo nuovo», guidato e illuminato dallo Spirito di Dio, con u n o
sguardo più chiaro sui valori della vita terrena per quello che h a n n o di positivo
e, insieme, di relativo e di fragile; diventa un u o m o profondo nel suo ancoraggio
in Dio, nel quale l'esistenza acquista tutto il suo senso. Se guarirà, apprezzerà gli
aspetti della vita senza idolatrarli in m o d o esclusivo e chiuso; se non guarirà, non
si chiuderà nell'amarezza e nella disperazione, ma potrà sopportare la sofferen-
za guardando avanti con attesa limpida e serena.
In colui che è sofferente troviamo varie dimensioni esperienziali: il cattivo
funzionamento del proprio organismo e i disagi connessi, la consapevolezza del-
la fragilità del vivere e il messaggio implicito della m o r t e che un malato perce-
pisce intensamente, anche se desidera sempre di nuovo la salute. Tali aspetti esi-
stenziali possono avere sbocchi diversi in vista di u n ' a d e g u a t a risposta.
Per il lato fisico chi è maggiormente c o m p e t e n t e a dare risposta è il persona-
le medico e paramedico; per la mancanza di comunicazione e la precarietà del-
l'autogestione ci sono i familiari, il personale sanitario, gli amici e il sacerdote;per
la visione globale dell'esistenza solo Dio p u ò aprire orizzonti che d a n n o soluzio-
ne ai grandi interrogativi e fanno superare l'angoscia proveniente dalla finitezza
e dall'impotenza. Solo Dio spalanca la via della speranza. Il D i o incarnato è il solo
mediatore e il salvatore del m o n d o e della vita. Il sacramento dell'unzione non
mira a risolvere il cattivo funzionamento fisico e neanche a dare di per sé rispo-
ste sulla finitezza e sulla fragilità umana, ma apre una rete personale di riferi-
menti e di aperture che p u ò avviare u n ' a r m o n i a nuova e totalizzante per tutti gli
aspetti del vivere.

3.2. La dimensione teologale proveniente dal fatto sacramentale

Quali gli effetti del sacramento dell'unzione degli infermi nella loro valenza
teologale? A b b i a m o già riportato la formula del rito; le preghiere che il rituale
fa seguire sviluppano più adeguatamente le parole sacramentali.
In primo piano è invocata - tramite una espressione di lode e di preghiera -
la grazia dello Spirito Santo con tutti i suoi effetti. Si chiede che il sacramento
doni sollievo con il ristabilimento fisico e il rinvigorimento spirituale e liberi dai
peccati, e nella prospettiva della morte, apra al mistero del Cristo crocifisso e
glorificato nella sua gloria pasquale.
C'è una prospettiva immediata e una prospettiva escatologica, che è affidata,
tramite la preghiera e il segno sacramentale, alla grazia dello Spirito Santo. Le
due prospettive di efficacia sono enunciate in questi termini: «lo Spirito ti salvi
e ti sollevi». II sacramento non si limita a rinviare a una realtà futura, ma comu-
nica già ora tramite il segno sacramentale un dono di «salvezza» e di «sollievo»
orientato a una definitiva salvezza. Il sacramento non ha davanti in primo pia-
no if passaggio dalla vita alla morte, ma l'esperienza della malattia nella sua
gravità e nel suo valore; l'unzione, infatti, va celebrata n o n al finire della vita.

135
C'è tutta la situazione esistenziale antecedente che ha bisogno della grazia del-
lo Spirito Santo, per vivere la sua irripetibilità con un sostegno e un rafforza-
m e n t o dall'alto.
Al centro di tutto c'è la fede nel dono dello Spirito Santo: i l s a c r a m e n t o d o n a
la grazia dello Spirito Santo che conosce l'intimo di D i o e i suoi misteri. Lo «Spi-
rito di Cristo» ( I C o r 2,11; Rm 8,9ss), insegna che «tutta la creazione geme e sof-
fre le doglie del parto»; lo Spirito che viene in aiuto alla nostra debolezza, per-
ché noi non sappiamo che cosa d o b b i a m o chiedere convenientemente. Ciò è
vero per tutte le circostanze della vita, ma ha particolare valore nell'esperienza
della malattia, che è esperienza della «corruzione della creazione» e che mira
alla prospettiva della libertà della gloria dei figli di D i o (cf. Rm 8,1-39).
C o m e andrà a finire questa vicenda u m a n a ? Lo Spirito dice al nostro spirito
che siamo figli, e se figli eredi, eredi di Dio e coeredi di Cristo, d o n a la certezza
che l'amore di Dio è riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è
dato e suscita nell'uomo la pazienza, la perseveranza, la speranza che non delu-
de (cf. Rm 5,3ss).

3.3. Ulteriori conseguenze

Lo Spirito di D i o fa superare l'angoscia, fa diventare simili al Figlio e r e n d e


partecipi della sua gloria.
Lo Spirito del Signore sofferente e glorificato p o r t a a unirsi alla passione e
m o r t e del Cristo che il P a d r e ha glorificato con i suoi stessi sentimenti.
Conferisce a colui che è nella malattia la dignità «che è propria di Cristo»,
che fa vincere la solitudine e l'oscurità e n t r a n d o nella comunione con colui che
è il Risorto, sorgente di ogni speranza.
R e n d e feconda la sofferenza. Essa non è solo impotenza o p u r a perdita, ma
innesta l'uomo nella dimensione di Colui che è vittorioso su ogni negatività e
d o n a la chiara coscienza che il patire è via obbligata per l'affinamento e la per-
fezione, e ha un'efficacia redentrice in un m o n d o attraversato dal peccato. L'e-
sperienza del dolore porta con sé la fecondità del martirio, in q u a n t o è dolore
sopportato con Cristo nell'amore. E, dove c'è l'amore, Dio è sempre all'opera,
nella fede, nella pazienza, nella speranza.
Il malato p r e n d e coscienza di Colui che è invocato nel sacramento, che d o n a
vigore e conforto, perché nella sofferenza del presente si sente unito alla passio-
ne redentrice. E a lui è accordato il p e r d o n o dei peccati che non sono stati sot-
toposti al sacramento della penitenza per l'impossibilità di riceverlo, nella
volontà di viverlo pienamente.

4. LA LITURGIA DEL SACRAMENTO DELL'UNZIONE

• Ministri dell'unzione degli infermi, stando a tutta la tradizione cristiana, a


partire da san Giacomo apostolo, sono i presbiteri. La motivazione teologica di
ciò è vista nel fatto che «la preghiera della fede» proclamata con l'unzione, non
è u n a preghiera privata, ma una preghiera «ufficiale» di tutta la Chiesa, che
accompagna i suoi figli nella tappa decisiva dell'incontro con Cristo.

136
Solo colui che ha il carisma di presidenza nella Chiesa rende presente il Cri-
sto capo, dispensatore dei sacri misteri e p u ò pronunciare la preghiera, sorretta
da tutta la comunità. U n a preghiera solenne alla quale Cristo ha garantito l'e-
saudimento.

• // soggetto che riceve il sacramento è il battezzato che si trova in stato di


grazia ed è gravemente minato dalla malattia o dalla vecchiaia debilitante e desi-
dera ricevere quel sacramento. Il p e r d o n o che è invocato è legato all'impossibi-
lità di una nuova riconciliazione penitenziale, p u r a v e n d o n e la disponibilità nel
cuore.
L'unzione con l'olio indica simbolicamente rimedio e salvezza completa. N o n
si tratta di un fatto rituale compiuto quasi automaticamente alle soglie della
morte, con risultati quasi-magici, ma di un d o n o accolto con coscienza e fede, con
risvolti teologali nell'esperienza della malattia. Ai nostri giorni è diffusa la pras-
si di una celebrazione comunitaria per gli anziani, nella crescente precarietà e
debilitazione delle forze della persona.

• // rito può essere celebrato solennemente nella messa oppure in modo sem-
plice. La celebrazione solenne prevede:
- l'inizio con il saluto e il rito penitenziale;
la lettura della parola di Dio;
- i riti dell'unzione con la preghiera litanica, l'imposizione delle mani sul
capo;
il rendimento di grazie sull'olio benedetto;
- l'unzione sulla fronte e sulle mani dei malati con la formula sacramen-
tale;
la preghiera successiva, e la conclusione con il P a d r e Nostro e la bene-
dizione finale.

137
Capitolo ottavo

IL SACRAMENTO DELL'ORDINE

U n a prima traccia delle figure dei ministri ordinati nella Chiesa la si rileva
ripercorrendo gli scritti e le esperienze delle comunità apostoliche.
Il nostro discorso partirà dalle indicazioni dei servizi presenti nel g r u p p o
dei discepoli del Signore e dai ruoli e m e r g e n t i nelle prime c o m u n i t à cristiane.
Da lì p r e n d o n o risalto le figure e i compiti dei ministeri che sono stati detti ordi-
nati, p e r c h é fondati sull'imposizione delle mani e su un preciso m a n d a t o della
Chiesa.
Il nostro intento è quello di delineare in maniera b r e v e e complessiva la
fisionomia teologica dei ministeri, la loro articolazione e lo sviluppo che han-
no avuto lungo la storia fino al concilio Vaticano II. Un discorso a m p i a m e n t e
sviluppato, s o p r a t t u t t o dal p u n t o di vista storico, lo rinviamo agli autori citati
1
in nota.

1
Cf. Episcopato Presbiterato Diaconato, a cura di E. CAPPELLINI, EP, Cinisello Balsamo 1988; E.
CASTELLUCCI, // ministero ordinato, Queriniana, Brescia 2002; T. CITRINI, Discorso sul sacramento del-
l'ordine, Daverio, Padova-Milano 1975; SINODO DEI VESCOVI, documento Ultimis temporibus, 30
novembre 1971: EV 4/1135-1237; S. DIANICH, Teologia del ministero ordinato, EP, Cinisello Balsamo
1993; C. DILLENSCHNEIDER, Sacerdote e apostolo nello spirito del Vaticano TI. Elementi ascetici, D e h o -
niane, Bologna-Napoli 1964; ID., // nostro sacerdozio nel sacerdozio di Cristo. Fondamenti dogmati-
ci, Dehoniane, Bologna-Napoli 1966; A. FAVALE, / sacerdoti nello spirito del Vaticano II, Elledici, Leu-
mann ( T O ) 1969; G. FERRARO, // sacerdozio ministeriale, Grafite, Napoli 1999; M. FLORIO - R. NKIN-
DII SAMUANGALA - G. CAVALLI - R. GERARDI, Sacramentaria speciale. Il: Penitenza, unzione degli
infermi, ordine, matrimonio, E D B , Bologna 2003; P. GRELOT. Le ministère de la nouvelle alliance,
Cerf, Paris 1967; G. GRESHAKE, Essere Preti, Queriniana, Brescia 1995; H. K U N G , Preti perché?, A n t e o ,
Bologna 1971; J. LA PLACE, Le Prétre, Ed. du Chalet, Paris 1969; J. LECUYER, // sacerdozio di Cristo
e della Chiesa. Esegesi e tradizione, Dehoniane, Bologna-Napoli 1965; A. LEMAIRE, Les ministères
aux origines de l'église, Cerf, Paris 1971; G. MARTELET, Teologia del Sacerdozio, Queriniana, Brescia
1986; F.-J. NOCKE, «Dottrina dei sacramenti», in T . SCHNEIDER, NUOVO corso di dogmatica 2, Queri-
niana, Brescia 1995; C. ROMANIUK, // sacerdozio nel nuovo testamento, E D B , Bologna 1966; E. SCHIL-
LEBEECKX, // ministero nella Chiesa, Queriniana, Brescia 1981; M. THURIAN, Sacerdozio e ministero,
A V E , R o m a 1971; A. VANHOYE, Sacerdoti antichi e nuovo Sacerdote secondo il Nuovo Testamento,
Elledici, Leumann ( T O ) 1985.

139
1. I MINISTERI NELL'ETÀ APOSTOLICA

1.1. Le comunità apostoliche

Nel t e m p o degli apostoli i «servizi ecclesiali» presentano attuazioni diversifi-


cate, funzionali alle necessità, in evoluzione a seconda delle circostanze. La loro
2
trama prevalente sarà matrice del successivo organigramma della Chiesa.

1.1.1. / ministeri presenti negli scritti apostolici

In m o d o molto schematico si possono osservare i seguenti «tipi» di ministero:


ministeri sorti per designazione di Cristo. In tale ambito rientra il ruolo
dei Dodici;
- ministeri messi in atto per ispirazione dello Spirito Santo nelle comunità
apostoliche dopo la Pentecoste: lo Spirito suscita carismi diversi e tra
questi h a n n o spicco i carismi degli apostoli, dei profeti e dei dottori;
- altri ministeri prenderanno una fisionomia più precisa successivamente, nel
cammino della Chiesa apostolica. Tra questi vanno ricordati compiti e figu-
re ben determinate, quali: Mattia eletto a sostituzione di Giuda (At 1,15-
26); i sette collaboratori degli apostoli, che poi saranno detti «diaconi» (At
6,1-6); Saulo e Barnaba inviati ufficialmente nella missione mediante l'im-
posizione delle mani (At 13,1-3); vari collaboratori nominati da Paolo nel-
le Chiese locali, ad esempio Timoteo e Tito (Tm 1,6; 2,lss); e poi ci sono
«episcopi» e «presbiteri» costituiti nelle varie Chiese (At 14,23;Tt 1,5).

1.1.2. Gli episcopi e i presbiteri presentano accentuazioni differenti

I compiti sono differenziati a seconda dei ruoli assunti, delle circostanze e dei
luoghi in cui i servizi sono posti in atto. Si può fare riferimento ad alcune tipolo-
gie: gli inviati al concilio di G e r u s a l e m m e (At 15,2-23); i presbiteri che Paolo
saluta ad Efeso prima di partire (At 20,27-38); le raccomandazioni di Paolo a
Tito (Tt 1,5-11); le indicazioni a Timoteo ( l T m 5-11); le sottolineature di Pietro
e di G i a c o m o ( l P t 5,1-4; Gc 5,14).
Nella varietà hanno risalto alcune caratteristiche e alcuni specifici compiti.
I ministri sono inviati in mezzo alla gente per la missione, sono designati dal-
la scelta della Chiesa e ricevono l'imposizione delle mani. La designazione eccle-
siale e l'imposizione delle mani esprime e garantisce la derivazione dagli aposto-
li, la fedeltà al messaggio apostolico e la difesa dalle eresie e «dai lupi rapaci».
A t t o r n o ai ministri si costituisce il «deposito» della fede «acquisita»; essa è
considerata «dottrina apostolica» autenticamente trasmessa tramite la «tradizio-
ne». A t t o r n o ai ministri istituiti si realizza d u n q u e il passaggio dall'inizio creati-
vo del vangelo di Gesù e del kerigma apostolico, alla fase successiva, quella della
«dottrina tramandata», dell'insegnamento e della difesa dalle eresie. Tutto ciò si
accompagna sempre alla certezza che il Signore vivente e l'azione dello Spirito
restano per tutti un p u n t o di riferimento invalicabile.

2
DIANTCH, Teologia del ministero ordinato, 111-129.

140
I ministri ordinati, nel passaggio dalla fase apostolica a quella successiva agli
apostoli, sono visti come garanti della tradizione e della continuità del deposito
della fede, che risale agli apostoli e all'azione del Signore e del suo Spirito ( l G v
1,1; lGv'2,14-29; l P t 1,12-21).

1.2. Il ruolo fondante dei ministri nella Chiesa

3
1.2.1. // ministero ordinato è strettamente legato al sorgere della Chiesa

Nel dinamismo della Chiesa che nasce e cresce come evento di fede nella sto-
ria, p r e n d e fisionomia e caratterizzazione il ministero ordinato. La Chiesa nasce
dall'annuncio ( l G v l , l s s ) e l'annuncio diventa comunione con il Cristo testimo-
niato dagli apostoli. L'annuncio genera comunione tra i credenti e si p o n e in con-
tinuità col messaggio e con la fede degli apostoli.
L'annuncio del vangelo è comunione e passa attraverso l'esperienza viva degli
annunciatori. Il messaggio passa da persona a persona, non come notizia astrat-
ta ma come esperienza viva di un credente che comunica la propria fede:

«ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi
abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita
[...] noi lo annunziamo anche a voi» (lGv 1,1).

L'annuncio non è trasmissione di idee o proposta pedagogica di un progetto


etico, ma è p r e n d e r parte all'esperienza coinvolgente della comunione vitale di
chi ha visto e creduto il Cristo nel suo mistero di salvezza: «affinché siate in
c o m u n i o n e con noi [...]» ( l G v 1,3).

1.2.2. // carattere oggettivo dell'annuncio

La comunicazione che avviene nell'incontro con Gesù tramite la fede è un


fatto legato all'esperienza soggettiva delle persone credenti, ma ha pure una sua
oggettività, in q u a n t o fa riferimento a una persona che è più in là e sta di fronte
a tutti, il Cristo «visto, toccato e creduto» ( l G v l,lss): «siamo stati testimoni ocu-
lari della sua grandezza» (2Pt 1,16).
L'annuncio p o n e a tu per tu con la realtà, con la memoria e il proclama di
speranza di Cristo. Il Cristo infatti, cui tutti si riferiscono, passa attraverso l'e-
sperienza di vita e di cultura dei singoli annunciatori, ma è p u n t o di riferimento
identico e fondante per tutti.

1.2.3. L'annuncio non è un proclama ideologico


ma un evento che crea comunione

L'annuncio del Cristo non è ideologia, non è n e p p u r e un'esperienza religio-


sa che coinvolge e dà una qualifica divina a tutte le esperienze della vita (quasi

3
DIANICH, Teologia del ministero ordinato, 130-151.

141
come un contenente nel quale tutte le strutture u m a n e - la politica, l'economia,
la vita sociale, come nell'islam - sono divinizzate). L'annuncio del vangelo è
invece rapporto a un fatto storico preciso, oggettivo e trascendente: al Cristo cro-
cifisso e risorto, presente nella «memoria» e operante nello Spirito. Nella rela-
zione viva al mistero di Cristo la vita p u ò essere fermentata e orientata.
Tra quelli che accolgono lo stesso messaggio nella fede si crea u n a comunio-
ne «con il Padre e il Figlio suo Gesù» ( l G v 1,3). La comunione ha una dimen-
sione orizzontale tra gli annunciatori e i credenti e una dimensione verticale «con
il Padre e il Figlio suo Gesù e lo Spirito». Per tale r a p p o r t o la comunione diven-
ta contemplazione, proclamazione, confessione, celebrazione del mistero nei
segni della fede. Diventa anche missione e impegno nel m o n d o : «andate in tutto
il m o n d o e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà [...] sarà salvo» (Me
16,15-16). Se la comunione viene interrotta o impedita si interrompe la trasmis-
sione della salvezza: «Chi n o n crederà sarà condannato» (ibidem).
La proclamazione del vangelo ha quindi i caratteri dell'interpersonalità, del-
l'oggettività, della comunione con Dio; si apre all'esistenza storica, alla creazione
di una comunità e alla missione verso il mondo.

1.2.4. La dimensione personale dell'annuncio

L'oggettività dell'annuncio è legata alla fede degli apostoli, che p a r t o n o dal-


l'esperienza iniziale e la trasmettono con la parola. La parola scritta diventa
espressione fissa, cristallizzata nelle raccolte t r a m a n d a t e ; diventa viva q u a n d o
viene letta, proclamata, ascoltata e intesa. La parola letta e proclamata diventa
veicolo per l'incontro interpersonale, illuminato in m o d o vivo dallo Spirito. La
scrittura è così sacramento del messaggio vivo dell'apostolo e veicolo della fede
tramite la predicazione.
// ruolo del ministro sta nel fatto che esso ha un carisma che lo r e n d e fedele
nel trasmettere agli altri il messaggio apostolico, e lo porta, oltre che a custodire
il deposito ricevuto, a farlo echeggiare in maniera autentica e personale in una
rete di rapporti, di accenti e di comunione vitale, garantiti dallo Spirito.
// ministro è indispensabile nella trasmissione del messaggio, perché è garante
della costante apostolica, del carattere oggettivo della fede. Esso evidenzia in
modo permanente la comunione orizzontale e verticale che nasce dall'annuncio.
Nel ministero i vari carismi si collegano con unità e fedeltà al fondamento
apostolico. Per un simile collegamento non basta la parola scritta, che da sola
sarebbe un testo statico, cristallizzato. Essa può diventare comunione viva solo
tramite l'esperienza personale del comunicatore, del pastore. Il ministro, nel suo
servizio compiuto nella fede, p o r t a con sé il segno della continuità, della fedeltà
e del tradursi del messaggio apostolico nella vita.
Il suo ruolo è evidenziato e riconosciuto nella comunità tramite l'imposizio-
ne delle mani e il d o n o dello Spirito.

1.2.5. // ministero a servizio della comunione ecclesiale

Il ruolo del ministro sta nel m e t t e r e in atto il nesso che corre tra l'oggettività
del messaggio e la comunicazione personale di esso.

142
Tre segni pieni di profondità si intrecciano nella Chiesa viva: la scrittura, i
carismi delle persone suscitati dallo Spirito e il carisma del ministero ordinato.
Questi segni diventano comunione di salvezza là dove la parola diventa fede e i
carismi diventano carità vissuta, e il ministero ordinato diventa unità viva della
comunità e celebrazione del mistero.
Il tradursi della parola in comunione si ha con la parola annunciata, con la
testimonianza della fede, con le o p e r e della carità e della vita che diventa esi-
stenza fedele fino al martirio.
Il fatto/evento della vita vissuta nella comunità con stile di fraternità si mani-
festa nelle o p e r e di carità, nella dedizione alla Chiesa e nella costruzione di un
m o n d o diverso.
Nella contemplazione e nella celebrazione della liturgia la Chiesa sperimen-
ta la sua verità e vitalità misteriosa nell'andare oltre P«opera della Chiesa», cioè
oltre il servizio liturgico, aprendosi agli «spazi» dell'ex opere operato, dell'agire
Dio che viene nello Spirito e agisce direttamente nei segni e nel mistero. Segno
dell'ex opere operato (del fatto compiuto da Dio) è, in m o d o singolare, il mini-
stro, che celebra in persona Christi. Egli fa intravedere gli ambiti e la libertà del-
l'operare di Dio, il C r e a t o r e e il R e d e n t o r e , che va al di là dei limiti della testi-
monianza dell'uomo credente.
Il ministero ha d u n q u e il compito e il carisma di servire l'umanità r e d e n t a nel
suo aprirsi alla salvezza tramite la fede, in m o d o che la comunicazione della sal-
vezza fiorisca nello spazio della Chiesa e si apra alle dimensioni di tutto il Cor-
po di Cristo.

1.3. Il delinearsi di figure diverse e complementari nel ministero

La figura del ministro si intreccia con il mistero del Cristo, offrendo a lui spa-
zio nel servizio delle comunità. Il ministro si concretizza in figure diverse, che
h a n n o una base comune e, insieme, un differenziarsi di ruoli e gradi.
Nelle figure presentate negli scritti apostolici - p a r t e n d o dal g r u p p o degli
Undici posti dal Signore a fondamento della Chiesa, venendo a Mattia, nel qua-
le ha risalto il segno della «traditio» apostolica nella comunità, e quindi a Saulo
e ai di lui collaboratori, Timoteo e Tito, poi ai presbiteri che Paolo lascia a presi-
denza delle varie comunità di missione e ai «sette», scelti per il servizio della
carità e poi specializzatisi nel servizio della Parola, come Stefano e Filippo -
intravediamo l'articolarsi di gradi ministeriali diversi.
P r e n d e r à presto risalto la triade: vescovo, presbitero, diacono. Le ricerche dei
4
teologi m o s t r a n o che essa, che diventerà c o m u n e d o p o Ignazio d'Antiochia,
rappresenta u n a divisione di funzioni che nel N u o v o Testamento e nel p e r i o d o
postapostolico è, in b u o n a misura, ancora indistinta.
Q u e s t a triade non p u ò essere riferita a un'istituzione del Signore, e la stessa
distinzione vescovo-prete (diventata prevalente nell'età medievale e m o d e r n a )
non p u ò essere considerata di istituzione divina. Tuttavia il Vaticano II ne affer-

4
Citiamo ad es. lo studio di H. L E G R A N D , «La realizzazione della Chiesa in un luogo», in B. L A U -
RET - F. REFOULÉ, Iniziazione pratica alla teologia. Ili: Dogmatica li, Queriniana, Brescia 1986,207ss.

143
ma l'antichità: laddove dice che il ministero è di istituzione divina, esso è stato
5
esercitato fin dall'antichità, nei tre gradi. N o n troviamo accolta nel Vaticano II la
formulazione del concilio di Trento, che parlava di una gerarchia dei ministeri
6
con fondamento nell'istituzione divina.
Il Nuovo Testamento offre elementi interessanti q u a n t o ai termini e alle fun-
zioni diversificate (si parla àeìVepiskopé come presidenza complessiva; della fun-
zione di presidenza o di responsabilità in r a p p o r t o alla vita e all'unità delle
assemblee cristiane; della diakonia per la carità e la Parola), ma non ci dà indi-
cazioni certe per una distinzione specifica di grazia o di carisma tra i tre gradi del
ministero ordinato. Questa distinzione apparirà con chiarezza nel t e m p o succes-
sivo e sarà affermata poi dalla teologia e dalla dottrina della Chiesa.

Nel passaggio dagli apostoli alle Chiese dei padri si possono evidenziare con
certezza alcune note che caratterizzano i ministri nella loro figura: il carisma del
ministero è conferito per la guida della Chiesa tramite l'imposizione delle mani;
con l'ordinazione i pastori diventano vincolo per la Chiesa e presiedono alla
costruzione di una comunità entro u n a precisa situazione di cultura e di storia;
l'identità dei pastori sta nel porsi sempre a tu per tu con una Chiesa; il ministe-
ro pastorale ha una triplice dimensione, profetica, sacerdotale e regale. Il compi-
to del vescovo o del presbitero è inserito in una dimensione collegiale.

2. I MINISTERI ORDINATI LUNGO LA STORIA CENNI

La visione più autorevole del ministero ordinato è offerta, nel nostro tempo,
dal concilio Vaticano II. In esso viene p o r t a t o a maturazione tutto un lungo cam-
mino storico, che ha conosciuto dei passaggi rilevanti. P r o p o n i a m o qualche
richiamo riguardante le tappe evolutive del passato, solo per veloci cenni.

2.1. Il sacramento dell'ordine nella storia antica e medievale

Passando dai testi biblici, ove ci è testimoniata la varietà dei ministeri con i
tratti semplici dell'inizio, ai padri apostolici (Didaché, Clemente, Ignazio di
Antiochia, Policarpo, Pastore di E r m a ) , si osserva l'emergere con chiarezza, in
particolare in Clemente e Ignazio martire, di uno schema di ministri tripartito
nei gradi di vescovo, presbitero e diacono.

Nel III secolo, la Traditio Apostolica di Ippolito, p r o p o n e con evidenza le tre


figure del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi, per i quali soli è prevista l'impo-
sizione delle mani con valore sacramentale. Questa, invece, è esclusa per altri
ministeri, ad esempio per il ministero dei lettori, delle vedove, delle vergini.
Nei grandi padri del secoli IV e V rimane lo stesso schema. Diventa preva-
lente una comprensione cultuale-sacrale della figura dei presbiteri e dei vescovi:

5
Cf. LG 28: EV 1/354.
6
Cf. CONCILIO DI TRENTO, sessione X X I I I , can. 6 (Denz 1776).

144
il titolo sacerdotale r e n d e questi ministri mediatori della grazia. Altri padri,
come Agostino, accentuano insieme il modello ministeriale e pastorale, sottoli-
n e a n o il riferimento ai compiti e al servizio pastorale, senza nulla togliere alla
visione cultuale che interessa sempre la riflessione teologica. In questo stesso
periodo, in concomitanza con i grandi concili, p r e n d e risalto p u r e un raccordo
collegiale nel ministero dei vescovi e il p r i m a t o del vescovo di R o m a .

Nel medioevo assumerà grande importanza e autorità lo scritto di Isidoro di


Siviglia (t 636) De ecclesiasticis officiis, a t t o r n o al quale si svilupperà la visione
sacrale dei ministri fondata sull'ordine sacro, e anche una sottolineatura dell'a-
spetto giurisdizionale che considera il collocarsi dei ministri nelle strutture socia-
li. Si aggiungerà poi a questo la considerazione della dimensione economica per
il sostentamento dei ministri.
Nei secoli XII e X I I I la teologia del s a c r a m e n t o dell'ordine vede uniti nel-
la dignità sacramentale il vescovo e il prete, accomunati nel p o t e r e sacerdota-
le che ha come fine più alto la celebrazione della messa. San Tommaso p r o -
p o r r à in questo t e m p o la sintesi teologica più completa, in cui la figura del
sacerdote è considerata a m p i a m e n t e nel suo p o t e r e di celebrare l'eucaristia «in
persona Christi».

Alla fine del medioevo avrà spicco a livello ecclesiale e politico il primato del
vescovo di R o m a . In questo t e m p o si ha la scomparsa del diaconato come ordi-
ne p e r m a n e n t e .

2.2. Dal concilio di Trento al Vaticano II

2.2.1. Lutero e il pensiero dei riformatori

Gli interventi di L u t e r o e degli altri riformatori, in particolare nel De capti-


vitate babilonica Ecclesiae e negli articoli di Smalcalda (1538), criticano la ridu-
zione del ministero alla celebrazione del culto, trascurando la predicazione del-
la Parola e consolidando il fraintendimento della cena del Signore compresa
come sacrificio da offrire. I riformatori n o n trovano fondata nella Bibbia la
sacramentalità dell'ordinazione. Affermare che l'ordinazione sia sacramento
equivale a «deridere la grazia del battesimo», secondo q u a n t o è scritto nella Pri-
ma lettera di Pietro (2,9).

«Tutti i battezzati sono in eguale modo sacerdoti. Quelli che vengono chiamati sacer-
doti sono ministri scelti fra di noi, che devono fare tutto in nostro nome. Il sacerdozio
7
non è propriamente altro che servizio della Parola».

Viene criticata d u r a m e n t e la figura del p a p a e il ministero dei vescovi viene


descritto come un compito spirituale, polarizzato nella predicazione del vangelo,
senza giurisdizione secolare.

7
Citato in CASTELLUCCI, II ministero ordinato, 169.

145
2.2.2. // concilio di Trento

Nel concilio di Trento viene affrontata tutta la questione del sacramento del-
l'ordine nella sessione X X I I I (1563), con una prospettiva contrapposta alla visio-
ne luterana. Al termine di una lunga discussione conciliare sulla fisionomia del
sacramento e sui rapporti tra il presbiterato e l'episcopato e tra l'episcopato e il
papato, si giunge a un testo ampio con punti conclusivi che vengono tramandati
nella dottrina della Chiesa.
Per l'ambito dottrinale si afferma:
- una successione apostolica nel sacerdozio che ha come punto culminante
la celebrazione dell'eucaristia e la remissione dei peccati (can. 1);
- oltre al sacerdozio ci sono nella Chiesa ordini maggiori e minori (can. 2);
- / vescovi occupano il grado più alto nella gerarchia e sono superiori ai
preti (can. 4);
- c'è nella Chiesa una gerarchia istituita per divina disposizione, che si com-
pone di vescovi, sacerdoti e ministri (can. 6);

- i vescovi sono superiori ai sacerdoti perché hanno il potere di conferma-


re e di ordinare (can. 7).
Ai diaconi si fa un cenno solo là dove si parla degli ordini maggiori e minori e
nel can. 6 dove si afferma che la gerarchia è composta di vescovi, preti e ministri.
Il concilio di Trento prospetta una visione ampia e articolata. Il limite che vi
si p u ò scorgere è quello di non armonizzare l'aspetto cultuale-dogmatico del
ministero con quello pastorale. Inoltre è tenuta viva, nella comprensione del
ministero, una dicotomia tra ordine e giurisdizione. Tale dicotomia, radicata nel-
la cultura del tempo, continuerà ad essere presente. Sarà sancita nel Codice di
diritto canonico e sarà ripetuta fino al Vaticano II.

Nel concilio Vaticano I viene proclamata la dottrina del primato papale e


l'affermazione dell'infallibilità del ministero papale.

2.2.3. // concilio Vaticano II

A proposito dei ministeri ordinati, il concilio Vaticano II ha proposto nel


decreto Christus Dominus la dottrina riguardante l'ufficio pastorale dei vescovi;
nel decreto Presbyterorum ordinis ha parlato della figura del prete e ha dato il
via al ripristino della figura dei diaconi permanenti.

Sulla figura dei vescovi è detto, nel decreto Christus Dominus, che la consa-
crazione episcopale è il grado più alto del sacramento dell'ordine e che il colle-
gio dei vescovi, unitamente al papa, ha potere universale sulla Chiesa. La suc-
cessione apostolica è concentrata attorno al vescovo quale pastore di u n a Chie-
sa particolare e m e m b r o del collegio apostolico. C o m e tale, l'ordine dei vescovi
succede agli apostoli nel governo pastorale della Chiesa.

146
Per l'appartenenza al collegio apostolico, il vescovo ha una successione apo-
stolica esclusiva. Q u e s t o titolo è partecipato - nella Chiesa locale - ai presbiteri
e ai diaconi. Il vescovo è così al centro del presbiterio e garantisce, tramite la sua
persona, la presenza della Chiesa universale nella Chiesa particolare.
Il ministero, anche se partecipato ed esercitato nella diversità dei gradi
(vescovi, presbiteri, diaconi) è unico nell'istituzione divina.
Il vescovo ha u n a funzione primaria per il suo legame con il collegio dei
vescovi e con il papa, e diventa referente in solidum della totalità della Chiesa.
C o m e il gruppo degli apostoli aveva collaboratori vari nella guida pastorale
delle diverse Chiese, così ritorna anche nel presente la «tradizione» di un q u a d r o
complessivo del ministero apostolico, articolato nella figura dei preti e dei dia-
coni collegati al vescovo.
Il carisma episcopale segnala l'essere costituiti nella diretta successione degli
apostoli; esso è trasmesso ai vescovi con l'imposizione delle mani.
Da notare che la «tradizione» della successione apostolica n o n esiste per se
stessa in m o d o generico, ma è «situata» nella concretezza dell'essere vescovo di
una Chiesa locale, in riferimento a tutto l'ambito ministeriale. È da dire p e r ò che
questa teologia, che riguarda il legame del vescovo con una Chiesa locale, non è,
8
in molti casi, messa in atto anche nella prassi del postconcilio.
Le affermazioni di principio riguardanti i vescovi si incentrano sui temi della suc-
cessione apostolica, della sacramentalità, della collegialità, della ministerìalità espres-
sa nel triplice compito «di insegnare», «di santificare» e «di governare». Questi com-
piti traducono di fatto le missioni ecclesiali nell'ambito del ministero più alto nella
Chiesa. Qui si ripropone il tema di una visione teologica tipica della Chiesa locale.

Circa i presbiteri, al di là del d o c u m e n t o Presbiterorum ordinis nel quale si è


parlato dei presbiteri con taglio prevalentemente spirituale e pastorale, è affer-
m a t a pure, come per i vescovi, la derivazione apostolica, la sacramentalità, il
carattere, la collegialità nell'ambito della Chiesa locale, la ministerialità con la
triplice missione, che non si limita all'aspetto soltanto sacrale-liturgico.
Nei rapporti vescovo-presbiteri, il vescovo ordina i presbiteri e presiede il
presbiterio; ha la presidenza piena indicata dalla cattedra e solo lui partecipa alle
assemblee conciliari, avendo la pienezza del sacramento dell'ordine.

8
L'urgenza del legame di ogni vescovo con una Chiesa concreta, da una parte è affermata e dal-
l'altra è disdetta nella prassi diffusa della fictio juridica, che appropria una chiesa titolare a un vesco-
vo non residenziale. Il vescovo - nella sua figura autentica - è inscindibilmente pastore di una Chie-
sa di D i o in raccordo con i presbiteri, i diaconi e il popolo cristiano. Il suo carisma, più che un pote-
re giuridico da esercitare, segnala un servizio pastorale da compiere per una comunità. Si potrebbe
dire che una grande diocesi, dove il servizio pastorale fosse esercitato tramite intermediari e l'azio-
ne diretta fosse tradotta in atto in tanti compiti ufficiali socio-organizzativi, farebbe emergere di più
il presbitero come pastore delle comunità locali. La storia tuttavia manifesta una grande evoluzione
nelle figure concrete e nelle articolazioni del ministero dei vescovi e dei presbiteri. Là dove un vesco-
vo è normalmente staccato dal servizio pastorale diretto di una Chiesa locale (vescovi di curia, segre-
tari papali, nunzi), ci si domanda quanto sia attuata la logica teologale che vede il vescovo ordinato
per il servizio pastorale di una porzione del popolo di Dio. In tal caso diventa prevalente il sistema
giuridico e il sistema dei titoli giuridici. Il papa stesso diventa capo del collegio dei vescovi in quan-
to vescovo di R o m a e successore di Pietro, e i cardinali, quali elettori del vescovo di R o m a , figurano
come incardinati nella Chiesa romana, titolari ciascuno di una chiesa della città.

147
2.3. Il ripristino del diaconato permanente nel Vaticano II

Il ripristino dei diaconi permanenti costituisce un capitolo nuovo nel q u a d r o


del ministero della Chiesa attuale. Per questo motivo crediamo utile sottolinea-
re più attentamente questo tema.
La storia del diaconato nella Chiesa ha avuto le sue tappe di fioritura e di
declino. A questo riguardo rinviamo il discorso a uno studio recente della Com-
9
missione teologica internazionale.
Qui ci soffermiamo a p r o p o r r e alcuni tratti salienti dal p u n t o di vista dell'i-
stituzione rinnovata, per vedere poi qualche aspetto della teologia e delle pro-
spettive pastorali riferibili al diaconato nella Chiesa dei nostri giorni.

2.3.1. // diaconato negli interventi del Vaticano II

Il discorso riguardante il diaconato p e r m a n e n t e è stato affrontato, nel Vati-


cano II, non con un d o c u m e n t o solenne, ma con brevi cenni sparsi in diversi
10
d o c u m e n t i , che h a n n o p e r ò i segni di un'intuizione profetica. Si tratta di un
seme gettato silenziosamente nel grande c a m p o della Chiesa, in vista di un futu-
ro nuovo per la missione ecclesiale.
La costituzione Lumen gentium, ai nn. 28 e 29, parla del diaconato in riferi-
m e n t o ai problemi amministrativi e ai compiti della carità ecclesiale, in una
visuale che si apre a situazioni nuove, essendo il diaconato un ministero che è par-
tecipe del carisma ministeriale dell'ordine e si apre al triplice compito del servizio
nella carità, della profezia e della liturgia. Per la liturgia viene attribuito ai diaco-
ni il compito di battezzare, di amministrare l'eucaristia, di assistere e benedire il
matrimonio; di celebrare il viatico, di presiedere i riti funebri e sacramentali e di
guidare nel vasto c a m p o della preghiera il popolo cristiano.

9
Cf. «Il diaconato, evoluzione e prospettive», in La Civiltà Cattolica (1 febbraio 2003).
Antecedentemente al ripristino del diaconato con il Vaticano II, la Chiesa antica, dalla fase apo-
stolica a quella patristica, documenta la figura e l'azione dei diaconi. Dal II al V secolo i diaconi ave-
vano compiti specifici di evangelizzazione (II secolo); nel III secolo avevano vari incarichi pastorali
(in R o m a accanto ai 14 titoli per i presbiteri figuravano 7 diaconie per i diaconi con il compito pri-
mario riservato all'amministrazione dei beni e alla carità). Nel IV secolo si comincia a restringere la
presenza dei diaconi, a motivo della loro invadenza nella liturgia e nell'ambito amministrativo e di
un rilevante potere acquisito nell'ambito delle organizzazioni ecclesiali. Nell'alto medioevo i diaco-
ni assumono compiti marginali nella liturgia, ma ruoli importanti nell'amministrazione, nella distri-
buzione delle prebende, nel governo delle Chiese locali e nella visita delle diocesi, effettuate dal dia-
cono assieme al vescovo. Lentamente la figura del diacono diventa sempre più secolarizzata. L'arci-
diacono ha un ruolo di spicco nel governo delle diocesi. D o p o il Mille, tre concili del Laterano decre-
tano che non si ordinino più diaconi permanenti. Di fatto, poiché i servizi diaconali erano prevalen-
temente extraliturgici, i diaconi non avranno una rilevante presenza nella struttura teologica del
popolo cristiano e nella missione della Chiesa; avranno invece spazi aperti nell'ambito amministra-
tivo e nella carriera ecclesiastica. Si ripeterà, come linea ispiratrice, l'affermazione che i preti sono
ordinati per il sacerdozio e i diaconi per il ministero (per servizi vari). Di fatto viene ridotto o svuo-
tato dall'interno il senso e la portata del ruolo dei diaconi nei riguardi della missione della Chiesa. Il
diaconato pian piano rimane solo come tappa di passaggio per il sacerdozio. Figure di diaconi per-
manenti resteranno presenti nelle comunità religiose e monastiche.
10
SC 86: EV 1/148; LG 20.28-29.41: EV 1/331-333.354-360.390-396; OE17: EV 1/478; CD 25: EV
1/635-636; AG 15-16: EV 1/1126-1140.

148
A n c o r a nella Lumen gentium e ai nn. 15 e 16 del decreto Ad gentes, vengono
riferiti al diaconato alcuni ministeri esercitati di fatto da catechisti laici; la guida
di comunità piccole e lontane e l'esercizio di compiti sociali e caritativi. In parti-
colare nel decreto Ad gentes, che ha attenzione alle terre di missione, al n. 16
sono previsti diaconi catechisti, evangelizzatori, capi di comunità, ministri di ope-
re caritative, protagonisti di ministeri di fatto presenti e necessari nelle Chiese.
Si fa cenno alla fantasia e creatività di una prassi ecclesiale sempre a tu per tu
con problemi pastorali nuovi.

2.3.2. Altri documenti ecclesiali

Nel d o p o concilio la Chiesa italiana ha pubblicato il documento: La restau-


razione del Diaconato Permanente in Italia (CEI, 1972). Ivi sono messe in evi-
denza le esigenze missionarie e comunitarie della pastorale della Chiesa in Ita-
lia, p r o s p e t t a n d o un'evangelizzazione capillare nelle famiglie, nelle scuole, nei
quartieri, nei caseggiati, nelle categorie professionali, articolata su rapporti
immediati e personali con la gente. L'obiettivo dei servizi diaconali prospettati
in m o d o nuovo, è quello di p o r t a r e la dinamica del ministero apostolico all'in-
terno della vita delle realtà u m a n e e delle aggregazioni extraecclesiali.

Nel nuovo Codice di diritto canonico (1983) si è trattato del diaconato. Nei
cann. 1008-1009 si richiama la sacramentalità dei diaconi, che va vista in unità
con tutto l'ordine ministeriale e che abilita i diaconi a esercitare «in persona
Christi», nel proprio grado corrispondente, il compito di insegnare, di santificare
e di governare. Si fa parola della cura pastorale e dell'idoneità del diacono che
assume la direzione spirituale di una comunità (cann. 517.2 e 519). N o n si dice
quasi nulla sulla presenza dei diaconi negli organismi (ad es. nei consigli) delle
Chiese, né sulla tipicità nuova della figura del diacono nella Chiesa, per la sua
caratteristica di essere p a r t e del m o n d o dei chierici e anche di quello dei laici.
Ovviamente il Codice di Diritto Canonico si p r e m u r a di dare n o r m e per le realtà
ecclesiali esistenti; non è suo compito proiettare in avanti spunti creativi su realtà
ancora in fieri. Esso c o m u n q u e fornisce alcune indicazioni normative circa l'ido-
neità dei candidati e i vari impedimenti.

Molti altri documenti sul diaconato sono stati editi dalle singole Chiese loca-
li e da vari organismi ecclesiali.

11
3. LINEE TEOLOGICHE DEL MINISTERO ORDINATO

U n a breve enunciazione della teologia del ministero ordinato viene tratta


dagli scritti apostolici e p u ò essere proposta quindi nel suo insieme a partire dal-
la teologia biblica.

11
Cf. G. BRAMBILLA, «Per una teologia del ministero ordinato», in Episcopato Presbiterato Dia-
conato, Paoline, Milano 1988, l l s s .

149
D u e sono i punti catalizzatori che evidenziano la comprensione e gli ambiti
del ministero: il primo m e t t e a fuoco il carisma specifico del ministero come assi-
milazione al Cristo pastore in vista del servizio per la Chiesa; il secondo riguarda
i compiti che spettano alla funzione ministeriale e che ripercorrono le missioni
messianiche del Cristo: l'annuncio del vangelo, il servizio della carità pastorale e
il servizio sacerdotale che ha il suo p u n t o culminante nella presidenza dell'euca-
ristia.

3.1. Il ministro nel suo rapporto con Cristo e con la Chiesa

Le affermazioni principali che delineano il r a p p o r t o dei ministri ordinati a


Cristo e alla Chiesa sono riassumibili in alcuni concetti di fondo:
- il ministro ordinato rappresenta Cristo pastore nella Chiesa;
- è segnato dal carisma del Cristo pastore a servizio della fede e della san-
tificazione del popolo cristiano;
- è garante della dimensione cattolica ed escatologica della Chiesa;

- il suo servizio è esercitato nello Spirito.

3.1.1. «Ognuno ci consideri come ministri di Cristo» (ICor 4,1)

• Il ministero è un carisma dato da Cristo per il servizio della Chiesa

La sorgente del ministero ordinato si colloca non nelle qualità u m a n e , intel-


lettuali o spirituali di un u o m o e n e p p u r e in un riconoscimento ecclesiale, ma in
12
una chiamata e abilitazione che h a n n o origine da Cristo. In tal senso la tradi-
zione cattolica parla di «carattere» dell'ordine, come configurazione a Cristo
sacerdote, in m o d o da agire in persona di lui capo e pastore. Questa dimensione
13
detta cristologica, fonda la dimensione ecclesiologica, in q u a n t o la Chiesa ha
bisogno di essere convocata dal Cristo risorto, attorno alla Parola, ai sacramenti
e alla carità. I ministri, come segni viventi di Cristo pastore, capo e sposo, sono
abilitati a edificare la Chiesa con il proprio servizio. Nel riferimento a Cristo
pastore emerge la valenza «pastorale» del ministero: esso non si esaurisce in un
compito sacerdotale o cultuale, ma si intreccia in relazioni vive con tutto il p o p o -
lo cristiano.
Il carisma del ministero ordinato è dato nel sacramento dell'ordine tramite
l'imposizione delle mani e il d o n o dello Spirito Santo e abilita a un servizio per
la Chiesa in tutti i suoi aspetti vitali. Il carisma del ministero trasmette la fisio-
nomia di Cristo, fondamento della Chiesa e rende tangibile la figura di lui. La sua
funzione è quella di edificare la Chiesa tramite l'annuncio della Parola, la cele-
brazione dell'eucaristia e del culto e la cura pastorale della comunità cristiana.

12
PO 2: EV l/1244ss.
13
Cf. GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis, 25 marzo
1992, n. 16: EV 13/1232ss.

150
Il servizio dei ministri non si sostituisce a Cristo e non va oltre Cristo, ma ren-
de visibile nella storia l'azione di Cristo, poiché, come dice san Paolo, noi fun-
giamo da ambasciatori per Cristo.
Molti testi dell'apostolo sono assai espressivi a questo riguardo. In I C o r 4,1-3
leggiamo: « O g n u n o ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei
misteri di Dio»; in 2Cor 5,14-21 il ruolo ministeriale è inquadrato in un ampio
contesto:

«Fratelli, l'amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi
tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per
se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Cosicché ormai non cono-
sciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo
la carne, ora non lo conosciamo più così. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura
nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però vie-
ne da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero
della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non
imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.
Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo
nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che
non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi
potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio».

• Il carisma dell'imposizione delle mani e gli altri carismi presenti nella Chiesa

Il ministero ordinato, segnato dai titoli di Cristo capo e pastore, non disturba
né soppianta i doni e i carismi che i cristiani ricevono nel battesimo e quei mol-
teplici doni che lo Spirito effonde liberamente sulle persone (il d o n o della fede,
della profezia, della sacerdotalità e della regalità dell'amore). Il ministero ha
come qualifica specifica una grazia che abilita al servizio dell'unità e della sintesi
nella comunità, alla verifica della comunione; garantisce il riferimento fedele alla
tradizione degli apostoli e il legame con la Chiesa universale. Tale carisma è con-
traddistinto a p p u n t o dal segno dell'imposizione delle mani e dell'invocazione
dello Spirito di fronte a tutta la comunità.
L'azione dei ministri, nel riferirsi a Cristo e alla Chiesa, n o n si esaurisce in
trame di costruzione u m a n a , ma è fondata, nel senso più profondo, sulla poten-
za dello Spirito Santo.
Lo Spirito di Cristo d o n a t o nell'ordinazione rende il ministro atto a condur-
re la Chiesa sulle tracce di Cristo, a farla partecipare al mistero pasquale e a cre-
scere per diventare «sposa santa e degna» del suo Signore, orientata nell'adora-
zione, nell'amore e nella vita a D i o Padre.

3.1.2. // dono di Cristo pastore e la relazione alla Chiesa

• Il pastore è in primo luogo responsabile della fede della comunità

Per la stretta unità tra la dimensione cristologica e quella ecclesiale del mini-
stero, deriva un servizio teologale e un servizio pastorale che impegna i ministri
nella comunità cristiana.

151
I servizi voluti da Cristo per la comunità - l'annuncio autorevole della P a r o -
la, la celebrazione dei sacri misteri e la cura pastorale - sono fondati su quel par-
ticolare «carisma» o d o n o dello Spirito, che è stato effuso da Cristo sugli apostoli
ed è stato invocato sui loro successori e su coloro che, nella stima della comunità,
sono ritenuti idonei per il servizio del ministero lungo la storia.
Tale impegno viene esercitato nella fede e nella dedizione per la comunità e
nell'impegno a prendersi cura della fede dei fratelli. Esso ha una valenza teolo-
gale e pastorale. Nasce dal d o n o di D i o ed è p u r e legato a un cammino di espe-
rienza vissuta nel ministro stesso.
Tale cammino porta con sé l'ascolto della Parola e l'accoglienza di essa nel
cuore; la volontà di imitare Cristo nei fatti della vita; l'apertura all'annuncio e la
parresia nella testimonianza; e quindi la sollecitudine per la fede dei fratelli.
N o n si possono aiutare gli uomini a crescere nella fede e nel rapporto col
mistero di Dio, se non partendo da un'esperienza autentica di fede e di amore che
ha le sue radici nello Spirito. Altrimenti, come scriveva san Paolo, si diventa «cem-
bali squillanti». Nel confronto tra i vari carismi dello Spirito e il carisma ministe-
riale va richiamato quanto l'apostolo ripete là dove rilegge la propria figura di
14
ministro e apostolo della Chiesa di Dio, scelto per un disegno di salvezza.
II prendersi cura del sorgere e del crescere della fede dei fratelli ha il suo pun-
to culminante nella celebrazione del mistero pasquale, che sta a fondamento di
ogni dono nella Chiesa. Ogni discepolo del Signore ha il compito di farsi carico
della fede altrui, con la propria testimonianza di fede, mettendo in atto quei cari-
smi che ha ricevuto dallo Spirito Santo nella propria storia personale, nella fami-
glia, nella vita religiosa, nella missione che esercita nella comunità o nel mondo.
// ministro però assume un'ottica nuova nel servizio verso gli altri: egli viene
incaricato per tutta la comunità e impegnato in m o d o ufficiale e p e r m a n e n t e
all'annuncio della Parola, alla presidenza della celebrazione dei divini misteri e
alla diaconia della carità verso tutti.
Va dato il giusto risalto al servizio teologale per la fede del cristiani, proprio
nel confronto con altri servizi. Nella Chiesa è messo in atto un insieme di rap-
porti giuridici che poggiano sull'autorità dell'ordine apostolico ed evidenziano la
struttura storica della Chiesa. I rapporti giuridici assegnano ai singoli ordinati

14
Cf. 2Cor 5,19-21: «È stato D i o infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli
uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da amba-
sciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lascia-
tevi riconciliare con Dio». Cf. anche ICor, 4,1-3.
l T m 1,12: «Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Gesù Cristo nostro Signore, perché mi
ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero».
Tt 1,1-3: «Paolo, servo di Dio, apostolo di Gesù Cristo per chiamare alla fede gli eletti di Dio e per
far conoscere la verità [...] promessa fin dai secoli eterni da quel D i o che non mentisce, e manifesta-
ta [...] mediante la predicazione che è stata a me affidata».
Gal 1,1: «Paolo apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù
Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti».
Col 1,24-25: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quel-
lo che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato
ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso dì voi di realizzare la sua parola».
2Cor 3,18: «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore,
veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito
del Signore».

152
diversi compiti nelle comunità. Al di là della trama giuridica, il compito del mini-
stero, nel suo significato nativo, è impiantato sul d o n o dello Spirito, che fa sor-
gere e orienta la fede e la carità dei ministri nell'attuazione del loro compito
ecclesiale. Gli incarichi di tipo giuridico, le capacità organizzative, le doti u m a n e
e l'abilità delle persone, devono incentrarsi in quella base portante che è costi-
tuita dal d o n o soprannaturale dello Spirito.
E in tutto questo è riprodotta la fisionomia tipica di Cristo pastore, che il mini-
stro ordinato ripresenta nella sua vita ed è chiamato a imitare. Cristo è l'autore e
il perfezionatore della fede, conosce le sue pecore, le cerca, le guida e le ama, e non
esita a dare per loro la propria vita. Nel servizio per la fede il ministro evidenzia
in m o d o unito il suo riferimento a Cristo, al D i o Trino nella fede e alla Chiesa.

• Il carisma del ministro in vista del culto e della presidenza della comunità

Il carisma del servizio pastorale, messo b e n e in evidenza nella nostra fase sto-
rica, si trova unito al carisma sacerdotale o cultuale, che nella teologia del pas-
sato era riferito in m o d o principale, se non esclusivo, al ministro ordinato, chia-
m a t o c o m u n e m e n t e «il sacerdote».
Il servizio autentico e autorevole per il vangelo è una genuina espressione del-
la «teologalità» e ha sbocco immediato nella presidenza del «servizio sacerdotale».
La presidenza nella Chiesa è, insieme, pastorale e liturgica. Ha l'intento di
assicurare alla comunità la continuità e la fedeltà nell'eredità degli apostoli, di
verificare l'unità e l'armonia tra i molti doni presenti e di garantire nella comu-
nità la celebrazione dell'eucaristia.
L'azione di presidenza (rinviamo a un passaggio ulteriore la considerazione
tipica della presidenza eucaristica) discerne i carismi presenti nella vita ecclesia-
le e collega ogni comunità particolare alla Chiesa universale nell'insieme della
comunione e nella concretezza del cammino storico. In questo si sviluppa ampia-
m e n t e la figura del «pastore».
La guida pastorale viene realizzata nei diversi gradi del ministero (vescovo,
presbiteri e diaconi) e nel triplice ambito della missione ecclesiale che si attua
nel servizio della Parola, della liturgia e della carità. L'eucaristia è il p u n t o più
alto della comunità ecclesiale nel suo cammino storico: nella celebrazione del
corpo del Cristo si verifica, con la presidenza del ministro ordinato, il p u n t o cul-
minante dell'unità di tutta la Chiesa, «il tutto nel frammento».
I criteri concreti con cui un ministro ordinato si impegna per l'unità di cia-
scuna comunità, nell'insieme della Chiesa universale, attingono ai principi teolo-
gali che guidano la Chiesa sotto l'azione dello Spirito Santo. A t t i n g o n o p u r e ai
doni e ai carismi che p e r v a d o n o le comunità locali nell'azione dei vari m e m b r i
che o p e r a n o unitariamente, nelle forme dei consigli, nelle rappresentanze dei
gruppi di lavoro e nei servizi in cui si articola la missione della comunità.
Tutto questo non p e r m e t t e che si verifichi nei ministri un atteggiamento fal-
samente decisionista e n e p p u r e una modalità democratica fuori luogo: la Chiesa
è il corpo del Signore e la direttiva del cammino viene a lei prima di tutto e per
15
tutti dall'illuminazione della fede e dello Spirito del Signore.

15
Cf. DIANICH. Teologia del ministero ordinato, 152-211.

153
3.1.3. // ministro e la dimensione cattolica apostolica
ed escatologica della Chiesa

• L'unità cattolica della Chiesa e il ministero

Il q u a d r o dell'universalità o cattolicità della Chiesa è assicurato nel fatto che


il servizio apostolico - tra i molti e imprevedibili stimoli dati dello Spirito ai sin-
goli cristiani - costituisce un crocevia nel quale si intrecciano necessariamente i
fili del dinamismo della missione. Il ministero ordinato (o servizio apostolico)
realizza un p u n t o di raccordo col Cristo pasquale, che ha consegnato agli apo-
stoli il vangelo, e con la Chiesa apostolica. Poiché l'azione del Cristo risorto inte-
ressa tutti i salvati ed è principio di azione e di germinazione nelle esperienze
complessive della Chiesa, la «tradizione apostolica» fa e m e r g e r e il riferimento
continuo e universale che lega le vicende singole e locali dei cristiani all'evento
originario che risale con gli apostoli a Cristo.
La radicazione negli apostoli dà al ministero, nel presente, una chiara conti-
nuità con l'evento iniziale. Altri doni e carismi r a p p r e s e n t a n o la varietà e l'evo-
luzione della Chiesa nel tempo, animata sempre dallo Spirito. Il ministero apo-
stolico, per p a r t e sua, intesse i rapporti particolari delle Chiese locali nell'unità
della Chiesa cattolica. Gli apostoli, primo anello di trasmissione, r e s t e r a n n o pun-
to di riferimento fino al ritorno del Signore «quando siederanno su dodici troni
per giudicare le dodici tribù di Israele» (Mt 19,28; Le 22,31).
Le singole Chiese particolari e le piccole comunità povere e disperse saran-
no sempre aperte alle frontiere della Chiesa universale, tramite la presenza viva
dei ministri, la Parola che essi annunciano e l'eucaristia che essi presiedono, e ciò
per il legame che essi h a n n o con gli apostoli e col m a n d a t o ad essi conferito.

• La continuità nella fede apostolica

Il ministero ordinato è garante della continuità nella fede che attinge al


deposito dei primi inviati da Gesù. L'annuncio originario della fede è stato con-
segnato agli apostoli nel m a n d a t o della missione (Mt 28,19). Tramite loro il van-
gelo del Signore continua ad essere proclamato quale lievito del R e g n o attra-
verso la storia e il m o n d o . L'unità che attraversa la storia della fede è data dalla
continuità del messaggio, n o n solo nella fedeltà al p u n t o di partenza, ma per
un'attualità sempre viva del mistero della salvezza: «ciò che legherete sulla ter-
ra sarà legato nei cieli» (Mt 16,19).
La tradizione apostolica non è solo trasmissione di contenuti identici o
fedeltà documentaria, ma è d o n o di comunione nel tempo, creazione continua
tra l'annuncio degli apostoli, il t e m p o intermedio e la ricapitolazione finale. È
fedeltà e integrità dottrinale, è stile di vita, è obbedienza alla fede nell'ascolto del
messaggio che fermenta le opere nell'oggi, è riproduzione della fantasia della
missione fino alla fine. In questo senso, come diceva già sant'Ireneo, è anche
denuncia di ogni c o n t r a b b a n d o tra fede autentica e teorie ereticali. Tutto ciò
avviene nella scansione dei gradi del ministero ordinato e nella diversità tra il
ruolo degli apostoli - fondatori originari - e i loro successori che h a n n o un ruo-
lo storico di continuazione nelle situazioni nuove della storia. Più radicalmente

154
che gli schemi giuridici e positivi, è in atto il nesso teologale, che è comunicazio-
ne viva della fede nello Spirito.

• L'apertura escatologica e universale della Chiesa

Insieme con la continuità nella fede e l'unità cattolica, si disegna anche la


dimensione escatologica del ministero. Essa evidenzia la realtà della Chiesa in
cammino nella storia, raggiunta dal Signore che si fa presente e protesa verso il
ritorno di lui. C'è una progressione nella storia che va verso Yeschaton. Nella
visione di san Paolo la Chiesa manifesta la coscienza viva di un servizio itine-
rante, aperto alla totalità del m o n d o e proteso a un compimento futuro.
La Chiesa non è racchiusa in un'organizzazione legata alle leggi del tempo,
come in certi periodi della storia è sembrato prevalere.
Nella trama che emerge nelle lettere di Ignazio martire nel II secolo, appare il
q u a d r o di una Chiesa istituzionalizzata attorno al nucleo ministeriale del vescovo
coi preti e i diaconi. Nei secoli successivi, la figura istituzionale della Chiesa ha avu-
to accentuazioni nuove, che vanno dalla marcata centralità del papa, messa in risal-
to dalla figura storica di Gregorio VII, alla configurazione dei ruoli temporali dei
vescovi e dei preti, alla delimitazione geografica dei paesi cristiani di fronte alle ter-
re abitate da infedeli; a una divisione rigida tra l'ambito dei chierici e dei religiosi
e dei laici. È parsa quasi sfumare l'apertura profetica ed escatologica della Chiesa.
Ai nostri giorni la Chiesa vive una fase storica che ha accentuazioni nuove:
l'attenzione primaria nella vita e nella missione della Chiesa è data al popolo dei
battezzati; la parziale scristianizzazione delle terre di antica storia cristiana e l'a-
prirsi della missione a un q u a d r o ecumenico e interreligioso a tutto campo, fan-
no emergere con vivacità nuova la tensione universale ed escatologica nel cam-
mino del popolo di Dio. Esso è proteso oltre gli schemi tramandati dal passato.
Il p a p a Paolo VI, nella sua prima enciclica Ecclesiam suam, ha indicato la
caratterizzazione della Chiesa a grandi cerchi che vanno al di là dell'ambito dei
battezzati. E il concilio Vaticano II ha d e n o m i n a t o la Chiesa dei battezzati
«lumen gentium», «luce accesa tra le genti», anziché.«regno di Dio sulla terra».
La Chiesa si sente coincidente con le grandi frontiere del m o n d o , al di là di spa-
zi e di tempi predefiniti, aperta a tutti gli uomini redenti da Cristo e protesa ver-
so la fine della storia.
La tensione escatologica è suscitata dello Spirito creatore, ma è percepita in
primo piano da coloro che continuano il servizio apostolico. Essi, nel legame vivo
col collegio dei Dodici, scrutano i segni dei tempi, le frontiere della pace e l'ur-
genza di essere annuncio e attesa dell'«ora» del Signore che ritorna. In riferi-
m e n t o a lui è urgente n o n solo il compiersi del cammino ecumenico, ma lo è pure
il realizzarsi del dialogo tra le religioni e tra tutti gli uomini di b u o n a volontà.

3.1.4. La caratteristica «spirituale» del ministero

• Il servizio ecclesiale e la spiritualità del ministro

L'esercizio del ministero non è delineato da un elenco di leggi o di compiti


da eseguire, al di là della vita spirituale personale del ministro.

155
L'esercizio del presidente e del pastore delle comunità si realizza sempre nel-
la mediazione dello Spirito. Il ministero è un servizio spirituale: è infatti il luogo
in cui il ministro vive la sua adesione al Signore e la sequela, facendosi carico del-
la fede dei fratelli. Il carisma del servizio ministeriale p o n e i ministri in mezzo ai
membri del popolo di Dio, per p r o m u o v e r e la comunione e la crescita nel corpo
della Chiesa, attingendo all'unico Signore e allo stesso Spirito. Si tratti dell'an-
nuncio della Parola, della celebrazione dei misteri o della cura pastorale (visita
alle famiglie, ai malati, attenzione ai giovani, ai piccoli, alle vocazioni...) il mini-
stro ordinato trova la sua verità evangelica e compie la propria santificazione
nell'esercitare il proprio servizio.

• Il legame spirituale tra il ministro e la comunità ecclesiale

Il legame del ministro con la comunità comporta una dedizione stabile, una
auto-consegna alla Chiesa alla quale è inviato. Si tratta di un legame che confi-
gura, riempie e unifica l'esistenza personale del ministro quale discepolo di Cri-
sto inviato tra i fratelli. Egli vive come u n o «sposalizio» con la comunità. Il pasto-
re è un credente che si ispira al modello del Cristo pastore, è inserito vitalmente
nella sua comunità, p r e n d e parte alle attese, alle gioie e alle sofferenze di essa e
cerca di aprirsi continuamente a tutti e di aprire i fratelli al mistero che annun-
cia. Si ispira alle forme ecclesiali esemplarmente t r a m a n d a t e nell'esperienza di
tanti santi pastori della Chiesa. P r e n d e n d o stimoli vivi da tutte le direzioni, il
pastore li unifica entro gli spazi creativi della sua vita e della sua libertà illumi-
nata dallo Spirito.
Nell'azione ministeriale il pastore ha cura dell'oggettività e della pienezza
della fede dei credenti per i quali è a servizio e, insieme, ha attenzione alle espe-
rienze soggettive nelle quali si esprime la libertà dei credenti nella sequela del
Cristo. Ciò suscita in lui un continuo atteggiamento di ascolto, di attesa, di
pazienza e di fiducia nel cammino della vita dei singoli.
Si intuisce b e n e come la figura e l'azione del ministero ordinato n o n costi-
tuiscano un doppione o una minaccia per il cammino spirituale dei credenti in
Cristo (dotati già fin dal battesimo di molti doni e carismi e della fondamentale
libertà dei figli di Dio) e n o n possano essere vanificati da figure o compiti laica-
li; egli si affianca ai laici e integra i loro doni soprannaturali nell'unità e nell'ar-
monia del grande «corpo di Cristo».
M e d i a n t e un suo carisma specifico egli garantisce la continuità fedele alla
tradizione, a ciò che gli apostoli h a n n o trasmesso. La sua azione, viva e creativa,
è sostenuta dall'opera dello Spirito. Tale opera è indispensabile affinché ogni
comunità cristiana possa attingere sempre al p e r d o n o sacramentale e possa fare
comunione con il corpo e col sangue del Signore che la n u t r e per la vita eterna
(Gv 6,51-58) e creare quel grande corpo di Cristo che è la Chiesa nella storia.
In questo a p p a r e evidente l'indispensabilità delle vocazioni al ministero, per
la cui accoglienza e crescita tutti i cristiani sono coinvolti, chiedendo incessante-
m e n t e al «Padrone della messe» che sia sempre garantito «il servizio pastorale e
sacerdotale».

156
3.2. I compiti del ministero: le missioni apostoliche

3.2.1. Le missioni nella loro pertinenza ecclesiale

Le missioni messianiche sono compito di tutta la Chiesa.


I compiti fondamentali del ministero ordinato vengono individuati sullo
schema delle missioni messianiche: la profezia, la pastoralità, la sacerdotalità.
Le missioni messianiche h a n n o la loro fondazione nel Cristo e da lui sono
trasmesse a tutto il corpo ecclesiale. In queste missioni tutti i cristiani sono mobi-
litati, a partire dall'evento del battesimo e della confermazione. Il Vaticano II ha
16
dato risalto alla Chiesa come popolo di D i o . Corre un'uguaglianza di fondo tra
tutti i cristiani, al di là dei compiti e delle funzioni apostoliche, e c'è una frater-
nità tra tutti i credenti, come il vangelo sottolinea: «voi siete tutti fratelli» (Mt
23,8-12; Me 3,31-35). Il Vaticano II scrive:

«fra tutti vige una vera uguaglianza quanto alla dignità e all'azione nell'edificare il cor-
po di Cristo, che è comune a tutti quanti i fedeli. La distinzione infatti posta dal Signo-
17
re tra i sacri ministri e il resto del popolo di Dio include anche la loro congiunzione».

Nella solidarietà c o m u n e a tutti, che ingloba le differenze funzionali e mini-


steriali, si fonda in radice la corresponsabilità nell'annunciare il vangelo.
II m o n d o antico è stato convertito dall'esempio dei cristiani più che da mis-
sionari specializzati. C'è una responsabilità comune nel costruire la Chiesa, che
prevede l'inclusione m u t u a tra Chiesa locale e pastori, nel consenso e nella col-
laborazione. Il fronte c o m u n e al popolo di D i o nell'esercitare le missioni della
Parola, della carità e della sacerdotalità, ha una rilevanza particolare nel nostro
m o n d o secolarizzato, nel quale le missioni sono messe in atto secondo lo stile
evangelico del lievito nella pasta, del fermento che opera nel contatto da perso-
na a persona.
Ciò che è specifico per i ministri, nell'esercizio delle missioni ecclesiali, è dato
dal carattere di continuità, di unità e di autorevolezza con cui esso esercita l'an-
nuncio della Parola, la guida pastorale e il servizio sacerdotale nella fedeltà alla
18
tradizione apostolica.

3.2.2. Il ministero ordinato e il servizio della Parola

• La Parola è la via fondamentale alla fede

La Parola è proclamata dai ministri ordinati in m o d o autentico e con l'auto-


revolezza che viene dal carisma d a t o loro da Cristo. La proclamazione del van-
gelo ha valore di annuncio, di profezia, di comunitarietà, di contestazione riguar-
do alla linee ispiratrici del m o n d o , e p u ò essere proclamata con la connotazione

16
LG 31-37: EV 1/362-385.
17
LG 32: EV 1/366.
18
Cf. DIANICH, Teologia del ministero ordinato, 152-211.

157
di infallibilità. Il valore della Parola del vangelo è fondato sul d o n o con cui lo
Spirito assiste i ministri nella trasmissione del messaggio, ed è fedele nella sua
comprensione autentica lungo la storia. San Paolo dice esplicitamente che egli,
pur t e n e n d o conto dei molti carismi suscitati dallo Spirito nei cristiani, si consi-
dera generatore della comunità tramite il vangelo: se molti sono i pedagoghi, egli
solo è il generatore dei suoi nella fede (2Cor 5,20-6,13). Q u e s t o inconfondibile
ruolo Paolo lo traduce in atto nei viaggi, nel lavoro, nella preoccupazioni, nelle
persecuzioni.

• La parola dei ministri ordinati è parola che contesta

Il messaggio apostolico è consegnato in situazioni concrete sempre nuove,


ove alcuni accolgono e altri rifiutano. Ciò che si p o n e in contrapposizione ai
discepoli del Signore è «il m o n d o » . Il servizio apostolico n o n p u ò chiudersi nel
cerchio delle persone credenti, perché l'annuncio è destinato a tutti e l'apostolo
è m a n d a t o ad annunciare il messaggio al m o n d o intero. Di fronte alle contrap-
posizioni, e anche al sorgere nella comunità di gruppi contrassegnati da carismi
particolari (eremiti o monaci), il carisma dell'apostolo ha un taglio di proposta e
anche di giudizio e di contestazione sul m o n d o (Mt 19,29-30), è profezia aperta
ai tempi e alle generazioni nuove.
Spetta alle vocazioni laicali m e t t e r e in atto l'incarnazione del messaggio nel-
le situazioni concrete della vita; dal ministro viene soprattutto la sottolineatura
profetica, escatologica ed unitaria, nell'indicare anche con annunci provocatori
le vie certe della salvezza. N o n c'è una divaricazione tra laici e ministri nell'an-
nuncio della Parola: tutti h a n n o a che fare con la concretezza delle situazioni sto-
riche e con l'apertura alla salvezza p o r t a t a da Cristo. Il ministro ha come ambi-
to proprio il richiamo, oltre che all'unità di fondo, alla prospettiva escatologica e
universale, al destino verso cui la grazia apre la vita nell'intento di costruire
u n ' u m a n i t à nuova e un m o n d o nuovo.

• Un aspetto particolare del ministero della Parola: l'infallibilità

La parola del ministro ordinato crea la comunione l'ecclesiale in q u a n t o col-


lega sempre l'annuncio del presente alla radice apostolica. La radice apostolica
riconduce direttamente al Cristo e m e t t e a fuoco la figura del pastore posto a
servizio del vangelo: la sua autorità nell'annuncio è legata al carisma d a t o con
l'imposizione delle mani. Per esso il ministro diventa non un libro scritto, ma una
persona che è guidata dallo Spirito nel proclamare il vangelo e nel tradurlo nel-
l'autenticità della vita.
L'annuncio, può essere dialogo quotidiano con le persone o proclamazione
solenne piena di autorità.
Il carisma, da cui deriva il titolo di autorità, è fondato sempre sulla missione
apostolica ed è riferito al ministro per un d o n o dello Spirito che garantisce «il
suo derivare da Cristo».
// luogo in cui si ha l'espressione formale più alta dell'autorità è quello della
collegialità dei vescovi, successori degli apostoli con il papa. I singoli pastori non
possono attribuirsi tale autorevolezza.

158
Il senso dell'autorità normativa si riaggancia sempre ai dodici apostoli ed è
ancorata ai testi biblici, che diventano operanti nella storia. Da questa angolatu-
ra sorgono i dogmi della fede, in risposta alle varie d o m a n d e degli uomini nella
storia. Se mancassero risposte autoritative «infallibili» in merito agli interrogati-
vi riguardanti la fede, la Chiesa verrebbe m e n o al suo compito di dare testimo-
nianza certa della verità del Cristo lungo i tempi. Senza di essa si ricadrebbe nel-
la molteplicità di esperienze e di opinioni individuali, incontrollabili nel loro rife-
rimento al Signore.
// carattere dell'infallibilità consiste nella capacità di dire la fede ecclesiale
con risposte sicure, adeguate alle d o m a n d e che si p o n g o n o e aventi valore di cer-
tezza, anche se sempre perfettibili.
Nella comprensione della fede ci sono punti di consenso, in cui l'infallibilità
deriva dalla «convergenza unitaria della fede» del popolo cristiano, e altri in cui il
consenso viene proclamato con l'intervento autorevole e infallibile del magistero.

3.2.3. // ministero pastorale

• L'ispirazione all'azione pastorale viene dalla Chiesa apostolica

Nel t e m p o iniziale della Chiesa la comunità era generata alla fede tramite la
predicazione dell'apostolo, lo zelo di lui nella missione e i segni della salvezza
che venivano compiuti nella potenza dello Spirito. Nel sorgere della fede, veniva
sottolineato un r a p p o r t o di paternità tra il ministro e la sua comunità. La pater-
nità spetta in senso pieno a Dio, ma anche ai ministri. Col loro servizio essi pren-
d o n o parte alla disponibilità, all'azione creante del Cristo, che fa nascere la fede
e la purificazione di una comunità cristiana. Paolo parla delle sue fatiche per il
vangelo ( I C o r 9,lss) e, p u r p r e n d e n d o atto del lavoro di tanti altri collaboratori
( I C o r 16,15), si sente in m o d o singolare «generatore» o «padre». Nella catena
della tradizione apostolica il carisma del pastore, che diventa creatore e genera-
tore della Chiesa, è garantito dallo Spirito nelle scelte effettuate con l'ordina-
zione e con l'imposizione delle mani.

• Lo stile dell'azione pastorale

L'azione pastorale si esercita nella quotidianità, e anche nei m o m e n t i in cui


il pastore agisce autorevolmente come effettivo r a p p r e s e n t a n t e di Cristo. Q u e -
sto si ha in particolare nella celebrazione dei sacramenti, nella comunicazione
autentica della parola della fede e nelle indicazioni essenziali dell'etica cristiana.
La tradizione ecclesiale afferma che il compito di santificare come quello di
governare derivano dell'ordinazione. Per l'ordinazione il ministro diventa
«segno» di Cristo capo. N o n gli è assegnato un elenco di compiti o di poteri, ma
gli è chiesto di essere espressione e portavoce di Cristo nel suo porsi a tu per tu
con le persone.
Le linee-guida di un servizio pastorale autentico si ispirano, al dire di san
Paolo, a due principi: quello della fedeltà al kerigma apostolico e quello dell'im-
pegno a edificare la Chiesa realizzando l'armonia dei carismi.

159
La fedeltà al d o n o ministeriale, al kerigma apostolico, è messa in atto nel-
l'annuncio, nella catechesi, nell'esortazione, nell'organizzazione della vita comu-
nitaria, negli impegni di carità, nella sollecitudine per tutti. La dimensione di
autorità emerge nelle urgenze di verificare la fedeltà alla tradizione apostolica e
di realizzare la comunione nell'unità e nella carità.
Per l'armonia dei carismi e i problemi contingenti della vita, il servizio è mes-
so in atto continuamente nell'iter quotidiano. Per i fatti più rilevanti e impegna-
tivi viene fatto riferimento ai livelli più alti dell'autorità ecclesiale.

• I rapporti tra il ministero ecclesiale e la società civile

Di per sé l'ambito civile è estraneo all'azione del servizio apostolico, tuttavia


una comunità cristiana n o n è estranea alla società civile. I cristiani e la loro
comunità h a n n o possibilità di scelte varie a livello socio-politico. Là dove sono
in questione principi e orientamenti di fondo, ai cristiani spetta il compito di pro-
p o r r e le grandi linee cristiane e il ministero ha il dovere di dare le indicazioni
autorevoli secondo il vangelo.
Il ministero non entra nella formalità delle scelte politiche, ma prospetta i
principi e gli orientamenti del vangelo, secondo lo stile di Gesù che diceva: «Date
a Cesare quello che è di Cesare e a D i o quello che è di Dio».

• L'annuncio del vangelo e la sua valenza politica

L'annuncio del vangelo n o n è estraneo alle persone, ai gruppi, agli interessi e


alle ideologie contingenti. Nell'ambito del r a p p o r t o tra i fatti della storia e le
verità eterne del vangelo tante volte sono stati posti degli interrogativi all'atten-
zione ecclesiale, anche nel contesto storico del concilio Vaticano II. Le risposte,
ovviamente, n o n sono omogenee. Da alcuni sono suggerite risposte maggior-
m e n t e ancorate ai valori assoluti al di là dei fatti contingenti, da altri risposte ispi-
rate all'idea di un coinvolgimento della Chiesa nei problemi e nelle provocazio-
ni della storia. Si sono delineate scelte integraliste o prassiste, aventi di mira una
Chiesa che proclama la sua fede, o p p u r e impegnata nella politica. La problema-
19
tica si è protratta nella fase del postconcilio con ipotesi e proposte diverse.

" Nella Gaudium et spes del VATICANO II emerge la posizione di J. Maritain, secondo il quale
la Chiesa è libera dalle strettoie del temporalismo, c o m e pure dall'integrismo proprio di una
«società cristiana». Ai cristiani spetta di effettuare delle scelte nei vari campi della vita. Di fronte
all'invadenza laicista la Chiesa ministeriale offre la proposta evangelica quale fermento per le
vicende umane. L'intervento diretto nella vita socio-politica spetta ai laici. Il ministero ordinato
proclama la fede, ma non entra nell'agone politico riservato ai laici, ai quali si profila una pluralità
di opzioni concrete.
La teologia politica, sulla linea di J.B. Metz, vede il cristiano c o m e attore nelle scelte politiche
concrete, impegnato a trasformare le trame della storia, non in un atteggiamento di semplice con-
templativo. La missione della Chiesa è missione politica, in quanto influisce nelle vicende dell'u-
manità attraverso le strutture ecclesiali. Anche se non è compito specifico della Chiesa trasforma-
re il mondo, la sua azione non esclude una prassi rivoluzionaria, pure nella sua costante riserva
escatologica.
La teologia della liberazione vede la Chiesa impegnata apertamente nell'azione rivoluzionaria,
non intendendo coprire le ingiustizie umane col manto della neutralità.

160
Più c o m u n e m e n t e viene superata la visuale di una «società cristiana», ove il
ministro è o p e r a n t e nell'ambito strettamente ecclesiale al di sopra e fuori delle
parti e i laici sono responsabili dell'ordine temporale. Il fermento evangelico
riguarda tutto l'uomo e n o n p u ò essere vivisezionato tra ministri e laici. I ministri
sono impegnati nell'annuncio del vangelo senza compromessi e i laici, ingaggiati
nel concreto, n o n possono prescindere dall'apertura escatologica della salvezza.

3.2.4. // ministero sacerdotale

• Il sacerdozio comune di tutti i cristiani

La qualifica sacerdotale è riferita, nel N u o v o Testamento, originariamente al


Signore e ai m e m b r i della comunità che sono assimilati a lui nel battesimo. È
d u n q u e superata la visione tipica dell'Antico Testamento. Gesù, nei vangeli, con-
testa i sacerdoti del tempio, e annuncia la fine del sacerdozio con lo squarciarsi
del velo del tempio (Mt 27,51; Me 15,38). In Gv 4,23 è d e t t o «è giunto il t e m p o
in cui i veri adoratori a d o r e r a n n o D i o in spirito e verità» e, secondo la Lettera
agli Ebrei, con Gesù crocifisso e risorto ha inizio la nuova era del sacerdozio, che
p o n e fine al servizio liturgico dell'antico Israele. Gesù è il «Santo di Dio» e con
il d o n o della sua vita nell'obbedienza e nell'amore entra nel santuario dei cieli e
compie la salvezza dell'uomo ( E b 10,5-14). A lui gli uomini sono «associati per
compiere il servizio sacerdotale».
Il titolo sacerdotale n o n è frutto di u n a discendenza generazionale, ma avvie-
ne per il d o n o dello Spirito Santo, che associa al mistero di Cristo, coinvolge nel
suo sacerdozio eterno, nel suo servizio sacerdotale.
La Lettera agli Ebrei si sofferma a lungo sulla nuova modalità del sacerdo-
zio di Cristo, che d o n a la vita nel sacrificio, apre il «velo del santuario» e redime
il m o n d o dai peccati ( E b 9,6-14.24-28). I cristiani, nel loro r a p p o r t o con D i o si
riferiranno sempre al mistero di Cristo.
La Chiesa tutta, come tempio di D i o fondato sul mistero di Cristo ( I C o r
3,16ss; 2Cor 6,16; Ef 2,21; l P t 1,1-10) vede i cristiani inclusi in un sacerdozio n u o -
vo, per costruire un tempio nuovo, offrendo sacrifici spirituali graditi a Dio. Il
nuovo sacerdozio, radicato sul mistero della vita, m o r t e e risurrezione di Cristo,
continua a essere vissuto da coloro che sono in r a p p o r t o con lui; tutti i battezza-
ti, inseriti in Cristo, h a n n o in lui il titolo e la dignità sacerdotale per sempre.

• Il ministero ordinato e il servizio sacerdotale

I ministri ordinati sono partecipi della qualifica sacerdotale che spetta a tut-
ti i m e m b r i della Chiesa. C o m e diceva sant'Agostino, questo è il titolo di onore
che accomuna tutti i battezzati.
Ciò che è specifico dei ministri, n o n è un privilegio che li distanzia dagli altri
fratelli cristiani, ma un servizio per l'attualizzazione in pienezza del sacerdozio
comune dei fratelli.
In tale servizio, i ministri nel loro carisma di incaricati da Cristo, d a n n o voce
all'unità dei fratelli, riassumono quelle espressioni della vita che diventano

161
«sacrifici spirituali graditi a Dio» ( R m 15,16) o «libagione per il servizio del van-
gelo» (Fil 2,17) e presiedono al memoriale del sacrificio di Cristo, culmine e fon-
te di tutto il culto della Chiesa.
Il sacerdozio dei ministri ordinati si caratterizza come dono per il servizio,
ricevuto in vista di una vita dedita all'annuncio del vangelo e alla comunità dei
fratelli, e come presidenza liturgica nel memoriale del sacrificio di Cristo. Il ser-
vizio liturgico presieduto dai ministri riassume il «sacrificio» della vita nell'unità
del «servizio sacerdotale del Cristo».

• Il ministero e la liturgia ecclesiale

Nel compito sacerdotale stanno anzitutto i fatti della vita, che diventano
«sacrificio spirituale gradito a Dio», poi vengono i riti liturgici. La liturgia non ha
un valore secondario, perché essa diventa comunione con il Cristo che trasmet-
te i suoi doni più grandi. La Chiesa «è creata nei sacramenti», poiché in essi si
realizza un r a p p o r t o singolare e misterioso con l'evento pasquale, nel quale sem-
pre Cristo è operante.
Il ruolo specifico del ministero sacerdotale consiste nel collegare sempre
l'annuncio della Parola che fa sorgere la fede, il servizio per la comunione eccle-
siale e «liturgia», che diventa presenza operante del Cristo e che ha il suo punto
culminante nell'eucaristia.
Il sacrificio liturgico si p o n e non come una «azione» di offerta operata dal-
l'uomo - il sacrificio eucaristico è d o n o del Signore stesso - ma come d o n o del
Cristo, celebrato nella memoria, nella lode e nella comunione. In esso si affaccia
il d o n o irripetibile del mistero pasquale e l'azione creante dello Spirito. In que-
sto d o n o l'azione liturgica dei ministri si esprime come un «grande ringrazia-
mento» a D i o per la sua benevolenza che salva ex opere operato.

• La presidenza liturgica

La presidenza del culto sacrificale celebrato nell'eucaristia p o n e il ministro a


tu per tu con il D i o che salva. Essa n o n è affidata a chi è più efficiente nella mis-
sione o a colui che è più vicino a D i o nell'esperienza mistica o è più santo nell'i-
mitazione di Cristo; il «mistero della fede» è un d o n o gratuito dall'alto.
La via indicata dalla «tradizione» per la presidenza è fondata sulla singola-
rità del carisma dato nell'investitura ecclesiale. La Chiesa vive nella celebrazio-
ne il d o n o sacramentale, là dove una persona è stata investita dal carisma di rap-
presentare Cristo nella Chiesa e ha ricevuto il titolo di agire in n o m e di lui, auto-
re della salvezza e imbanditore del banchetto della vita. Segni di autenticità per
il compito ministeriale sono quindi l'ordinazione e il conseguente servizio nella
comunità.
Il carisma ministeriale non si esaurisce nella celebrazione dei sacramenti (il
sacramento dell'ordine non finisce nel sacramento dell'eucaristia), ma si attua
nel compiere il servizio a tutto campo. Tramite l'eucaristia, che è culmen etfons,
esso si apre a tutta la Chiesa in pienezza, nella lode, nel servizio della Parola e
nella dedizione della vita nell'amore.

162
4. IL DIACONO PERMANENTE

4.1. La figura sacramentale del diacono

La teologia del sacramento dell'ordine nel grado del diaconato non ha alle
spalle una lunga storia, manca quindi di un'elaborata investigazione sugli aspet-
ti e sugli interrogativi che lo riguardano, in vista di un'esauriente comprensione.
Tuttavia nei documenti del magistero risaltano alcune linee di lettura che, pur
lasciando aperti molti problemi tipici di una teologia ancora in elaborazione,
d a n n o già u n a visuale soddisfacente.
I tratti dottrinali principali sono i seguenti.

4.1.1. // diaconato nell'insieme dell'ordine ministeriale

Questa è dottrina sicura e coerente nella Chiesa e risponde all'antica prassi


ecclesiale.
Per la sua dimensione sacramentale, il diaconato è fondato in Cristo, nella gra-
tuità del d o n o trinitario. La Chiesa n o n ha capacità di creare da sé i sacramenti,
né di inventare in loro un'efficacia della salvezza. Con tale affermazione non si
vuol dire che Cristo stesso ha «istituito» il diaconato come grado sacramentale,
infatti è la Chiesa che ha avuto un ruolo decisivo nell'articolazione concreta e
storica di tutta la triade ministeriale.
Nel q u a d r o ecclesiale i documenti successivi al Vaticano II considerano il dia-
cono «segno e sacramento di Cristo servo» e parlano di «carattere indelebile» del
20
diaconato, usano l'espressione «sigillo permanente» nella configurazione del
21
ministero del diacono a «Cristo diacono».
Questi termini segnalano la non reiterabilità del sacramento, data l'azione
creante operata da Cristo nell'ordinazione. Per la stessa ragione si afferma che
anche per il diaconato, come per tutto ministero ordinato, si ha una distinzione
«di essenza e non di grado» nei riguardi del sacerdozio battesimale.

4.1.2. «Configurati a Cristo» nel sacramento,


i diaconi svolgono l'azione ministeriale «in persona Christi»

Tale dicitura solitamente viene posta in riferimento ai vescovi e ai presbite-


ri, che sono in relazione con Cristo capo e sacerdote e compiono l'«azione» euca-
ristica e penitenziale; tuttavia a Cristo capo viene riferito il triplice compito di
maestro, sacerdote e pastore, e al Cristo servo che dice «Io sono tra voi come
colui che serve», viene messa in r a p p o r t o la qualifica che contrassegna in m o d o
unitario i ministri ordinati.
La teologia è ancora in ricerca e si chiede se sia giusto riferire il ministero dia-
conale al titolo di «Cristo capo» per il suo essere partecipe in unità del ministero
ordinato, o p p u r e se sia più pertinente per il diacono dire che egli è riferito alla
persona di Cristo servo.

20
PAOLO VI, motu proprio Sacrum diaconatus ordinem, 18 giugno 1 9 6 7 (EV 2 / 1 3 6 8 - 1 4 0 6 ) .
21
CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, 1 9 9 8 ,
nn. 4 6 - 4 9 .

163
La scansione tra i vari gradi dell'ordine ministeriale è indicata sempre nei
testi dell'ordinazione. Per il ministero dei vescovi è detto che essi specificamen-
te sono assunti nel collegio episcopale; dei preti si dice che h a n n o il titolo di pre-
siedere l'eucaristia; e dei diaconi che sono coinvolti nella diaconia del Cristo, nel
servizio della Parola e nella guida del popolo cristiano, in comunione con tutto
l'ordine ministeriale.
Ci si p u ò chiedere: è possibile separare in Cristo il suo essere capo dall'esse-
re servo! Sembra problematica una dissociazione che veda nel diacono un esclu-
sivo riferimento a Cristo servo, se ogni ministero è un servizio e se Cristo è sem-
pre unitamente «capo», «servo», «pastore» e «sposo» della sua Chiesa, e se il
pastore «supremo» della Chiesa si qualifica come «servo dei servi di Dio».

4.1.3. La particolarità dei compiti diaconali

Passando dalla configurazione a Cristo ai compiti del diacono, il Vaticano II


e i documenti successivi riferiscono al diacono il triplice compito della missione,
22
e cioè «il servizio della liturgia, della Parola e della carità». Tanti ruoli riferiti
23
al diacono corrispondono a quelli già in atto nell'ambito laicale.
Tuttavia, al di là e prima di ogni «potere nuovo», il diacono è inserito per il suo
stesso essere nella «unità del sacramento dell'ordine», in comunione diretta con
tutto l'«ordine ministeriale». Egli partecipa al triplice compito ministeriale dei
vescovi e dei preti. I tre gradi dell'ordine n o n sono spicchi a sé stanti, autonomi,
giustapposti e di valore diverso, ma, per il d o n o dello Spirito, sono inscindibil-
m e n t e fusi in comunione: sono infatti, nel loro insieme, il segno storico dell'in-
scindibile unità e della fisionomia apostolica della Chiesa.
Il servizio del diacono ha senso nello stretto inserimento in quella pienezza di
comunione che lo lega al vescovo e ai presbiteri, in totale unità. Nei servizi ecclesiali
comuni i diaconi non si ritagliano degli spazi di potere proprio, ma attualizzano la
24
presenza e la portata del carisma apostolico in relazione alla gradualità specifica.
Nell'indicare i compiti più specifici dei diaconi, i documenti del magistero
segnalano il triplice c a m p o delle missioni messianiche. Escludono «il p o t e r e di
celebrare l'eucaristia e di rimettere i peccati» (e i poteri spettanti al vescovo).
R e s t a n o aperti molti servizi riguardanti il culto dell'eucaristia, la comunione e
l'ampio orizzonte che concerne la pietà del popolo cristiano. È soprattutto nei
filoni della Parola, dalla carità, della configurazione del p o p o l o cristiano nella
fede, che si delineano per i diaconi prospettive molteplici e nuove.

4.2. Il diaconato «ministero di frontiera»: spunti pastorali

Lo studio della Commissione teologica internazionale riguardante // diaco-


nato: evoluzione e prospettive, alla fine del capitolo VII, a n d a n d o al di là dei pro-

22
LG 23: EV l/338ss.
23
AG 16: EV l/1135ss.
24
II costituirsi di un eventuale collegio diaconale attorno al vescovo, parallelo a quello dei pre-
sbiteri, al di là dei mandati personali che il vescovo assegna ai singoli diaconi nelle varie comunità
della Chiesa, è prospettiva che la Chiesa dovrà intuire e discernere nel futuro.

164
blemi storico-teologici, orienta l'attenzione all'ambito esistenziale e operativo e
vede il diaconato p e r m a n e n t e configurato come un sacramento di frontiera.
Il diacono fonda la sua dignità sul fatto sacramentale dell'imposizione delle
mani e quindi sulla grazia dell'ordine, ed è finalizzato ai tre ambiti della missio-
ne ecclesiale: l'annuncio della parola di Cristo, l'azione di santificazione e la gui-
da del p o p o l o cristiano.
Ci sono tuttavia alcune caratteristiche che gli si a p p r o p r i a n o in m o d o singo-
lare, rispetto agli altri gradi del ministero ordinato.

4.2.1. L'essere laico e ministro ordinato

U n a caratteristica particolare che distingue il diacono p e r m a n e n t e dagli altri


gradi è data dalla peculiarità della sua figura, che unisce in sé l'essere laico e,
insieme, l'essere ministro ordinato. Per tale fisionomia egli è, di fatto, ministro di
frontiera, in q u a n t o inserito p i e n a m e n t e nel m o n d o laicale ed è abilitato dal suo
stato ministeriale e dalla sua grazia sacramentale a recepire le varie necessità dei
laici e a suscitare servizi e ministeri nel popolo di Dio a tutto campo.
Per il suo collocarsi esistenziale, egli si p o n e in riferimento, con modalità
immediata e con atteggiamento operativo, alla società civile e alle sue urgenze di
vita, a partire dalla famiglia nella quale il diacono sposato è inserito sacramen-
talmente, con attenzione diretta ai luoghi dove si annida la povertà dell'uomo
nelle sue molteplici forme, indotta nel nostro t e m p o con modalità imprevedibili
dal gioco delle concentrazioni economiche e dei poteri politici.
Egli è perciò impegnato, per suo statuto nativo, verso i più poveri, sia a livello
economico che morale e spirituale. E un segno particolarissimo, nel contesto
ecclesiale, di quell'amore e di quel servire che viene dal Cristo servitore degli
uomini.
Nella sua fisionomia laicale il diacono p e r m a n e n t e svela più direttamente il
suo carisma ministeriale nel suo vivere nel mondo, nello stile di «servizio» a tu per
tu con le persone, prima e al di là del suo svolgere compiti particolari. A n c h e nei
vari compiti della Parola, della comunione e della guida della comunità, egli
manifesta e realizza prima di tutto una presenza diretta di Cristo servo, imper-
sonificando in m o d o vivo colui che, nella Chiesa, è sempre «colui che serve», sia
come maestro che come sacerdote e pastore.

4.2.2. // diacono e i ministeri laicali

Nella sua connotazione ministeriale di «servo di Cristo per la Chiesa» il dia-


cono p e r m a n e n t e ha un valore e una rilevanza nuova per suscitare e collegare
ministeri e servizi nel popolo di Dio.
Il ministero diaconale NON È un qualsiasi servizio libero e gratuito nella Chie-
sa, pertinente a ogni persona di b u o n a volontà, MA È un servizio che in maniera
esplicita e autentica collabora con il vescovo e con i presbiteri nelle varie missioni
cristiane, essendo con loro partecipe del carisma apostolico.
Esso diventa così, verso i ministeri laicali, la punta più immediata di riferi-
mento, nel cogliere necessità e urgenze, nel darvi risposta e nel suscitare scelte
nello stile di diaconia che si ispira a Cristo servo.

165
Per i molteplici ministeri, di fatto egli è riferimento diretto e costruttivo e poi,
p e r il suo carisma, segnala e realizza una strutturale unità di relazione con tutto
l'ordine ministeriale. Tale ordine è sempre u n o e molteplice e ha il suo polo uni-
ficatore nel vescovo.

4.3. Valorizzazione del ministero diaconale nella Chiesa

Il triplice compito che è p r o p r i o del carisma del diaconato p e r m a n e n t e


dovrà essere, nella Chiesa, sorgente nuova per un esercizio ampio e diversifica-
to di servizi nell'annuncio della Parola, nel culto a D i o e nella guida del p o p o -
lo cristiano.
Poiché il diacono non è ordinato in vista della presidenza ma «per il servizio»,
egli per lo più NON ha un fronte predefinito da portare avanti (una propria comu-
nità), MA svolge preferibilmente servizi particolari, da animare in rispondenza alle
doti personali, alla sua specifica preparazione professionale e alle urgenze del
popolo cristiano. Tutto ciò in unità col d o n o ministeriale che lo collega all'apo-
stolo e a tutta la comunità cattolica.
Ogni servizio particolare, nelle situazioni più diverse, verrà sempre ricondot-
to alla sintesi della comunione ecclesiale per la partecipazione del diacono a tut-
to l'ordine ministeriale, che fa capo sempre alla persona del vescovo. Al diacono
tocca primariamente il versante delle urgenze particolari e diversificati dei ser-
vizi, ma sempre nell'aggancio strutturale e vivo con il ministero apostolico.

4.3.1. Originalità ed efficacia del servizio diaconale

L'originalità, l'efficacia e la novità del servizio dei diaconi, per tradursi in


realtà effettiva, p r e s u p p o n e una preparazione intensa a livello teologico, spiri-
tuale e pastorale, che porti ogni diacono ad attingere in m o d o profondo al cari-
sma dell'ordinazione.
G u a r d a n d o alle nostre comunità cristiane tradizionalmente polarizzate
attorno alla figura del presbitero, una prospettiva concreta, che vede l'apporto
nuovo a livello ministeriale dei diaconi permanenti, richiede nei diaconi stessi,
nei presbiteri e nel p o p o l o cristiano, un iter di a d e g u a m e n t o spirituale e pratico.

4.3.2. Creare sensibilità e prospettive di fondo

• È importante avere davanti la verità del ministero ordinato nella sua tripli-
cità, quale p u n t o imprescindibile dell'unità cattolica, della fedeltà apostolica e
dell'apertura escatologica della Chiesa. Esso si ritrova nella figura del vescovo,
dei presbiteri e dei diaconi, uniti nello stesso q u a d r o di u n a diaconia apostolica,
nell'insieme della Chiesa locale oltre i confini di singole comunità viste in una
stretta autonomia.

• Occorre leggere con atteggiamento di fede la fantasia creatrice della Chiesa


che, illuminata dallo Spirito, nel ripristinare il diaconato p e r m a n e n t e , intuisce la
ricchezza di una presenza ministeriale nuova, n o n più polarizzata principalmen-
te in comunità cristiane compiute in m o d o esauriente nella loro funzionalità, ma

166
riferita anche a molteplici forme postcristiane, nell'apertura di contatti con altre
esperienze sociali e religiose.
In tale q u a d r o socio-religioso che si afferma sempre più, p u ò inserirsi in
m o d o assai prezioso un'azione ministeriale nuova, a livello capillare, più ade-
guata alle diverse situazioni, con protagonisti che per la loro vita, la loro compe-
tenza professionale e la loro fisionomia di laici e di ministri, possono compiere
un lavorio di frontiera, p o r t a n d o con sé tutti i doni della «tradizione apostolica».

• E urgente maturare tempi nuovi in cui ci sia un'accoglienza attenta e viva


del ministero dei diaconi, presso i presbiteri e nel popolo di Dio, con l'impegno a
suscitare in m o d o serio vocazioni e a p r e p a r a r e in m o d o valido nuovi diaconi alla
missione.
Questi dovranno m a t u r a r e una formazione ecclesiale, teologica, pastorale e
25
spirituale tale da poter essere un'avanguardia di grande valore per la Chiesa.

25
Passando dalle intuizioni e dalle riflessioni alla prassi, dalla teologia alle scelte pastorali, può
essere molto valido un confronto con altre Chiese che hanno dato grande attenzione al diaconato
permanente.

167
Capitolo nono
1
IL MATRIMONIO CRISTIANO

1. IL MATRIMONIO NELLE RADICI BIBLICHE E CULTURALI

D o v e n d o avviare un discorso teologico sul matrimonio, sorge in partenza la


domanda: perché l'unione tra l'uomo e la d o n n a deve o p u ò essere caratterizza-
ta da una valenza teologale?
In molte culture il matrimonio è stato visto come fatto religioso. Sullo sfon-
do di un'interpretazione dualistica della realtà, rappresentata dai due poli del-
l'uomo e della donna, il matrimonio è apparso come un atto di riconciliazione
cosmica: realizza un p o n t e tra due m o n d i opposti, serve alla salvezza della stirpe
e del cosmo e per questo è celebrato con modalità cultuale.

1.1. L'eredità biblica

1.1.1. L'esperienza e la visuale dell'Antico Testamento

• Il matrimonio: realtà del m o n d o

In Israele il matrimonio non manifesta un carattere strutturalmente sacro.


L'Antico Testamento narra le celebrazioni dei matrimoni con caratteristiche
fastose, con grandi espressioni di festa (Tb 8,19), ma le nozze non sono sanziona-
te da un atto religioso. Nelle nozze è messa in primo piano la preoccupazione per
la prole, è in evidenza la dimensione di tenerezza e di erotismo (Ct; G e n 24,67;

1
La trama del discorso fa riferimento preferenziale, in questo capitolo, al volume di W. KASPER,
Teologia del matrimonio cristiano, Queriniana, Brescia 1 9 7 9 . Cf. anche: P. A D N É S , // matrimonio,
Roma 1 9 6 6 ; M. ALIOTTA, // matrimonio, Queriniana, Brescia 2 0 0 4 ; M. CRISPIERO, // matrimonio cri-
stiano, Marietti, Genova 1 9 7 6 ; A. D ' H E I L L Y , Amore e Matrimonio, Boria, Roma 1 9 6 3 ; B. FERASIN, //
matrimonio interpella la Chiesa, Elledici, Leumann ( T O ) 1 9 8 3 ; M. FLORIO - R. NKINDU SAMUANGALA -
G. CAVALLI - R. GERARDI, Sacramentaria speciale. II: Penitenza, unzione degli infermi, ordine, matri-
monio, E D B , Bologna 2 0 0 3 ; E. FUCHS, Desiderio e tenerezza, Claudiana, Roma 1 9 8 4 ; F.E. VON GAGERN,
Comunità matrimoniale, Boria, R o m a 1 9 7 8 ; E.M. GENTILI, L'uomo la donna e Dio, Alzani, Pinerolo
1 9 6 8 ; L. LIGIER, // matrimonio. Questioni teologiche e pastorali, Città Nuova, R o m a 1 9 8 8 ; PONTIFICIO
CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA. La sacramentalità del matrimonio e la spiritualità coniugale e familiare,
Elledici, Leumann ( T O ) 1 9 8 6 ; E. SCHILLEBBECKX, // matrimonio realtà terrena e mistero di salvezza,
EP, R o m a 1 9 7 1 ; D. TETTAMANZI, La famìglia via della Chiesa, Massimo, Milano 1 9 8 7 .

169
29,20; I S a m 18,20.28). La sessualità è d o n o del Creatore ( G e n 1,27; 5,2) e lo è pure
la forza della reciproca attrazione, ma è d o n o creaturale ( G e n 2,21-34). Il dominio
dell'uomo sulla donna è, per lo jahwista, una conseguenza del peccato ( G e n 3,16).
I libri della Bibbia nel loro insieme, dalla Genesi al Cantico dei cantici, pro-
spettano la sessualità u m a n a , l'amore u o m o - d o n n a , il matrimonio e la procrea-
zione, in maniera limpida, positiva e progettuale. L'amore è esperienza di realiz-
zazione e di felicità, ma è anche c a m p o di tentazione, di dolore, di colpa e di infe-
licità. Il tutto ha p e r ò una fondazione e un orientamento inequivocabilmente
positivo, pensato e voluto da D i o come tutta la realtà umana: D i o vide che il rap-
p o r t o u o m o - d o n n a «era molto buono» (cf. G e n 1,31).

• Nella storia della salvezza

La relazione u o m o - d o n n a è inscritta anche in una relazione teologale:

«Dio creò l'uomo a sua immagine [...] maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e
disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi» (Gen 1,27-28).

L'uomo non esiste in quanto tale, ma solo in quanto maschio e femmina; rag-
giunge la sua pienezza là dove i due si pongono l'uno per l'altro, l'uno con l'altro. //
legame uomo-donna è immagine e somiglianza dell'amore di Dio e della sua forza
creatrice. Poiché l'alleanza e la comunione tra Dio e gli uomini costituiscono l'e-
sperienza fondamentale di Israele nel suo itinerario di liberazione e di speranza
messianica, l'alleanza tra D i o e il suo popolo viene ad essere principalmente espres-
sa e significata da quella particolare forma di vita umana che è il matrimonio.
Q u e s t o è pensabile in q u a n t o il matrimonio è una realtà terrena inserita nel-
la salvezza. Nell'ambito del matrimonio la natura sociale dell'uomo trova il suo
compimento più significativo e completo. C o m e dialogo, il matrimonio ha in sé
una grande potenza di espressione, così che è p o t u t o diventare il mezzo profeti-
co nel quale venne espressa nel m o d o più evidente la dialettica della vita del
popolo di D i o con D i o stesso.
La realtà terrena del matrimonio è una espressione u m a n a strettamente
legata alla situazione storica, è soggetta a u n o sviluppo, perché l'esistenza uma-
na è di per sé riflessiva. E anche l'offerta di salvezza che D i o fa all'uomo segue
la storia u m a n a , e assume caratteristiche che diventano sempre più chiare con
l'andar del tempo.
II sesso e l'eros nella Bibbia non vengono divinizzati o mitizzati come presso
i pagani. L ' u o m o e la d o n n a sono creature di Dio, dotate di libertà interiore, di
auto-responsabilità: essi nella loro bontà e bellezza n o n si chiudono e n o n si
esauriscono in se stessi, h a n n o il proprio principio e il proprio fine in Dio, sor-
gente dell'amore.
Così guidato dalla parola dei profeti e dei sapienti, Israele trova nella realtà
u m a n a dell'amore coniugale e familiare il simbolo di quella particolare alleanza
che lega Y H W H e il suo popolo. Tante volte la parola dei profeti assume un tono
accusatorio: alla magnanimità e fedeltà, alla misericordia del marito ( Y H W H ) si
contrappone l'ingratitudine e l'infedeltà della moglie (Israele) (Ez 16; G e r 2,2;
3,ls; Is 62,4s; Os 2,4-22; 9,1).

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Quello che nei discorsi è una metafora verbale, viene assunto da azioni sim-
boliche esistenziali nel profeta Osea, che, su ordine di Dio, p r e n d e per moglie
una prostituta (Os 1,2-9) e un'adultera (3,1-5), per ricordare ad Israele la sua
infedeltà verso Dio e anche per far conoscere l'amore paradossale di D i o stesso,
che va al di là dell'infedeltà e del peccato: «Ti farò mia sposa per sempre» (2,21).
Nel senso complessivo, il matrimonio o l'unione duale degli sposi, nella sua
grandezza e nei suoi limiti, è u n a forma di benedizione che viene da Dio, è segno
dell'alleanza di D i o con l'umanità.

1.1.2. Cristo e la realtà del matrimonio

• Il matrimonio e l'alleanza nuova del R e g n o

Nell'Antico Testamento il matrimonio è prospettato come immagine e attua-


lizzazione dell'amore di Dio con gli uomini (Os 1; 3; G e n 3); è letto come il lin-
guaggio 0 la grammatica in cui si esprime l'amore di D i o p e r gli uomini.
Ma l'alleanza di D i o con gli uomini ha la sua piena realizzazione in Cristo, il
Figlio di D i o che si fa carne (Gv 1,1-14). Egli è in persona l'alleanza di Dio con
gli uomini, è lo Sposo del popolo della nuova alleanza, progetta la storia di un
a m o r e vittorioso, che festeggerà alla fine le nozze con l'umanità considerata la
sua sposa (Mt 22,2).
Gesù riconduce il matrimonio alla perfezione delle origini, con il supera-
m e n t o di ogni decadenza morale (Mt 19,8), ne fa un'espressione della sequela e
dell'imitazione di lui. In Gesù acquista una priorità il senso interiore del matri-
monio, che sarà vissuto «nel Signore», come segno dell'alleanza con Dio.
In questo significato m e t t e r à le sue radici la definizione del matrimonio
come sacramento. In Me 19,2-9, Gesù, interrogato sul permesso di a b b a n d o n a r e
la propria moglie, facendo riferimento all'ordine della creazione, dice: «l'uomo
dunque non separi ciò che Dio ha unito». C o n questa parola viene anche supe-
rato il piano derivante dalla tradizione iniziale. Il cuore dell'uomo si era induri-
to e l'alleanza era stata rotta: Gesù, col d o n o dello Spirito (Ger 31,31), cambia il
cuore, crea un cuore nuovo e ristabilisce un'alleanza nuova ed eterna. Così il
matrimonio p u ò diventare il «segno» eminente e p e r e n n e del Regno.
G e s ù è il nuovo Mose, il p o r t a t o r e dell'amore nuovo, che ha un'espressione
singolare nell'amore tra u o m o e donna.

• San Paolo e il matrimonio «nel Signore»

Q u e s t a visuale ritorna con chiarezza negli apostoli. San Paolo esorta a vive-
re il matrimonio nell'ambito della vocazione cristiana, come un d o n o dello Spi-
rito, destinato all'edificazione della Chiesa. Scrive: «Ciascuno continui a vivere
secondo la condizione che gli ha assegnato il Signore [...] così dispongo in tutte
le Chiese» ( I C o r 7,17). In questo m o d o Paolo sottolinea la dignità di tutte le
«vocazioni» dei cristiani; tutte, matrimonio compreso, h a n n o un significato spiri-
tuale e avranno un c o m p i m e n t o futuro, secondo q u a n t o è scritto nel Vangelo:
«Alla risurrezione [...] non si p r e n d e né moglie né marito, ma si è come gli ange-
li nel cielo» (Mt 22,30).

171
// matrimonio va celebrato «nel Signore» ( I C o r 7,39), cioè in quella condi-
zione nuova che Cristo inaugura nel battesimo. Tra due sposi ci sarà obbedienza,
amore, fedeltà, dedizione, come tra Cristo e la Chiesa (Fil 2,5; Col 3,18; l P t 3,1-
7; l T m 2,8-15; Tt 2,1-6). La testimonianza più famosa, in questa prospettiva pao-
lina, si trova in Ef 5,21-33, ove l'amore tra u o m o e donna è visto come immagi-
ne dell'alleanza Cristo-Chiesa: «Questo mistero è grande; lo dico in riferimento
a Cristo e alla Chiesa» (v. 32). In questo caso la parola «mistero» è stata com-
2
presa nella tradizione storica come «sacramento».
Il matrimonio è una forma di vita nella quale si realizza in m o d o singolare la
fedeltà e l'amore di Dio rivelato in Cristo. La fedeltà e l'amore di Cristo per la
Chiesa non sono solo modello per il matrimonio. Il donarsi dell'uomo e della
d o n n a non è esclusivamente immagine e somiglianza della donazione Cristo-
Chiesa, ma è epifania, rivelazione nei fatti, dell'effettività dell'amore e della
fedeltà che è donata una volta per sempre da Cristo al m o n d o intero.
In questo senso la Chiesa (lo farà ufficialmente nel concilio di Trento) citerà
il passo di san Paolo (Ef 5,32) come il luogo biblico più espressivo della sacra-
mentalità del matrimonio, anche se il valore del matrimonio come sacramento fa
riferimento, più che a singoli testi, al q u a d r o complessivo del N u o v o Testamen-
to. Il donarsi della persona ha fondamento e fine in Dio, e Cristo ha aperto una
modalità nuova per l'attuarsi del progetto di D i o inserendo il matrimonio nella
dinamica dell'amore salvante, da lui espresso in quei segni che n o n possono esse-
re più svuotati o privati di valore.
Si p u ò dire che Cristo fonda il sacramento del matrimonio nello stesso
m o m e n t o in cui dà il via al compiersi in pienezza dell'alleanza nuova e della
Chiesa, nell'evento della Pasqua. Là egli compie la sua dedizione totale di amo-
re all'umanità come «sua sposa». C o m e ogni sacramento, anche il matrimonio
nasce dal Cristo che dà la vita sulla croce.

1.1.3. L'eredità cristiana

Il matrimonio è «segno» emergente dell'alleanza. Poiché l'inizio e il fonda-


m e n t o dell'alleanza nei cristiani si stabiliscono nel battesimo, con un perfeziona-
m e n t o nella confermazione e con il vertice nell'eucaristia, si vede con chiarezza
che l'iniziazione cristiana è la base sulla quale d u e sposi possono unirsi «nel
Signore». P a r t e n d o dalla realtà del battesimo, diventano partecipi dell'amore di
donazione e di comunione di Cristo con la sua Chiesa. L'ordine e il matrimonio,
dunque, specificano la vocazione battesimale e h a n n o una diretta finalità di
costruzione e di dilatazione del popolo di Dio.
C'è una tradizione costante nella storia cristiana, già a partire dai testi biblici,
che vede il matrimonio nella sua grandezza di «realtà sacra». Tuttavia u n a teolo-
gia specifica riguardante il matrimonio prenderà a svilupparsi solo con la ricerca
sui sette sacramenti effettuata nei secoli XI-XIII, e avrà ulteriore ampliamento

2
Le interpretazini che si propongono oggi attorno a questo testo sono le seguenti: il mistero è
riferito all'espressione di Gen 2,24; oppure, il termine indica precisamente il matrimonio; oppure, il
termine mysterion sta ad indicare il legame tra Cristo e la Chiesa. Probabilmente il senso più com-
prensivo è questo: il mysterion è il piano di salvezza realizzato e attuato da Cristo nella Chiesa.

172
nei testi dei teologi e del magistero. In seguito alla riforma gregoriana ( q u a n d o la
Chiesa si liberò dell'ordinamento matrimoniale dell'impero carolingio-ottoma-
no) e con il processo di secolarizzazione dello Stato, la Chiesa metterà in eviden-
za, con accentuazioni nuove, i riti sacramentali nella loro fisionomia liturgica.
L'affermazione del matrimonio come sacramento acquista sottolineature più
marcate di fronte alla desacralizzazione di esso a livello socio-culturale. Esso vie-
ne visto così nella duplice dimensione di realtà della creazione e di segno della
salvezza di D i o in Cristo.
Nel Cinquecento L u t e r o insisterà nel sottolineare il valore profano o soltan-
to u m a n o del matrimonio. In verità la comprensione del matrimonio come sacra-
m e n t o n o n ha mai mirato a sacralizzare o a mistificare la realtà coniugale, ma ha
affermato che la realtà della creazione che si ha nel matrimonio, è assunta da
Cristo come segno eminente del suo mistero di a m o r e e come ambito e segno
privilegiato della salvezza che egli d o n a all'umanità. Viene messo in evidenza
così il r a p p o r t o tra creazione e redenzione, tra realtà ecclesiale e realtà m o n d a -
na, tra dimensione terrena e dimensione della salvezza.

1.2. La dimensione antropologica del matrimonio

1.2.1. Nelle diverse età culturali

La vita in comune tra u o m o e d o n n a ha avuto sempre grande rilevanza nel-


la storia dei popoli. I tentativi di ripercorrere le fasi della storia più antica e l'e-
voluzione avvenuta nelle esperienze di monogamia o di promiscuità non trova-
no risposte o m o g e n e e e concordanti nei vari ricercatori.
I movimenti culturali dell'epoca m o d e r n a (liberalismo, socialismo, conserva-
torismo) h a n n o sviluppato una visione della sessualità e del matrimonio in stret-
to raccordo con le teorie preferite nei riguardi della società.

• Visuale dei maestri del medioevo

Alla d o m a n d a se esista una natura costante del matrimonio, san Tommaso


rispondeva che esiste un'inclinazione naturale al matrimonio, ma che la sua rea-
lizzazione passa attraverso le scelte della libertà u m a n a ed è filtrata dalle espe-
rienze culturali. Per tale motivo nella storia dell'umanità ci sono state forme
diverse di realizzazione del matrimonio. Lo stesso A q u i n a t e affermava che la
storia della salvezza aiuta gli uomini, indeboliti dalla colpa, a conoscere e a rea-
lizzare le modalità più autentiche della natura. Cristo, nella pienezza dei tempi,
ha fatto conoscere una visuale universale e definitiva del matrimonio, p u r e sullo
sfondo di sfumature differenti a seconda delle diverse culture, sollecitate in tan-
ti casi da forme dualistiche emergenti.
La visuale cristiana considera il matrimonio integrato nel q u a d r o complessi-
vo della vita dell'uomo e contrassegnato da tre grandi valori: la discendenza
(bonum prolis), l'amore e la fedeltà, e l'elevazione soprannaturale (bonum sacra-
menti). Tali valori non vanno mai scissi l'uno dall'altro: con la generazione dei
figli, la sessualità diventa servizio all'umanità, m e n t r e nel sostegno e nella fedeltà
reciproca degli sposi, la sessualità è inserita nella dinamica personale dell'amore

173
che è espressione privilegiata dell'amore di Cristo. Così l'uomo e la donna non
sono soltanto esseri sessuati, ma compagni di vita, elevati in Cristo a un livello
umano-divino.

• La secolarizzazione dell'età m o d e r n a

Nell'età m o d e r n a , con il passaggio da una società prevalentemente agricola


a una società urbanizzata e industrializzata, il matrimonio, che era struttura fon-
damentale del vivere in c o m u n e nella piccola società familiare e anche base eco-
nomica di produzione e di sostentamento, col diminuire degli intenti economici
e socio-solidali, si polarizzò attorno ai rapporti personali di simpatia e di amore.
Nello sviluppo delle realtà familiari influì l'evolversi delle scienze naturali, con
la conoscenza dei ruoli dell'uomo e della d o n n a , con le teorie della regolazione
delle nascite e una radicale personalizzazione dei valori del matrimonio rispetto
alla società. Il matrimonio venne sentito prevalentemente come rifugio inter-
personale, circoscritto nell'ambito del privato. In una tale ottica è rimasto più
facilmente esposto agli influssi derivanti dalle opinioni che prospettano il sesso
come ambito di piacere, di consumo, di prestazione o di merce.
Q u e s t o p o r t ò a una crisi della visione oggettiva, istituzionale e sociale del
matrimonio, senza togliere gli aspetti di garanzia economica che esso portava
con sé. C o m u n q u e l'apporto positivo dell'età m o d e r n a è d a t o dal s u p e r a m e n t o
di una visione accentuatamente sociologica e istituzionalizzata a vantaggio di
un'accentuazione personale.
La visione cattolica, già nel dopo-concilio di Trento con il Catechismo Roma-
no del 1566, aveva messo in risalto, oltre all'unione u o m o - d o n n a , l'aiuto vicen-
devole nelle esigenze e nei problemi della vita e dell'età. Q u e s t o assunto è riba-
dito nella tradizione cristiana fino al t e m p o più vicino a noi, fino all'enciclica
Casti connubii (1930). La costituzione Gaudium et spes del concilio Vaticano II
(1965) e l'enciclica di Paolo VI Humanae vitae (1968) h a n n o sottolineato nel
matrimonio il d o n o e l'unione personale e la comunione reciproca che recupera
i valori oggettivi in termini nuovi. La natura m a n t i e n e la sua valenza fondamen-
tale legata alle leggi e alla struttura profonda della persona.
La visione cristiana non è stata tradotta tuttavia con ampiezza in una sintesi
del tutto o m o g e n e a a t t o r n o alla prospettiva personale, raccordando il personali-
smo ai rapporti naturali e ai contesti normativi. In fondo, l'essenza del matrimo-
nio e della persona vanno letti secondo una visione complessiva, per cui la per-
sona è sempre principio, soggetto e fine delle istituzioni sociali.

1.2.2. La visione personalista dell'età contemporanea

• Il matrimonio poggia sull'amore personale

Nel matrimonio l'amore reciproco è il d a t o originario e fondante. In esso c'è


anche il bisogno di completamento nei beni materiali, biologici e spirituali - il
p a r t n e r ha bisogno della sua controparte -, ma tale bisogno è affermato e volu-
to a livello u m a n o e personale nella libertà: «Io voglio te». Il tutto c o m p r e n d e le
dimensioni corporali, ove la sessualità coinvolge tutto l'essere e si realizza per-

174
sonalmente nell'amore, abbraccia le dimensioni di una c o m u n i o n e u m a n a di vita
e di destino, e impedisce di diventare «dominio» o «degradazione».
La concretezza della persona u m a n a non p u ò mai prescindere dai rapporti
fisici, di salute, e dai rapporti sociali ed economici. L'accettazione sociale dell'al-
tro include sempre anche elementi oggettivi e istituzionali. Sarebbe pura illusio-
ne fermarsi a una dimensione romantico-idealistica che supponga una realizza-
zione piena in un p u r o r a p p o r t o di amore.
La Chiesa, in questo, ha avuto un importante compito socio-pedagogico nel-
l'aiutare l'uomo a valutare con ampiezza l'intreccio tra le varie dimensioni
imprescindibili.

• Un a m o r e fecondo

L'aspetto biologico della generazione della vita non p u ò essere mai estraneo
o secondario.
La sessualità u m a n a è diversa da quella degli animali, legati all'istinto e a
impulsi sessuali scanditi dal t e m p o e dalla natura. L ' u o m o ha un'eccedenza di
impulsi sessuali, ma essi devono essere umanizzati, educati a diventare espres-
sione di a m o r e personale per la gioia del partner. L'eros e l'amore devono esse-
re collegati nel d o n o vicendevole, e realizzare l'incarnazione dell'amore in una
nuova persona c o m u n e ai due. Il figlio non è un «terzo» estraneo, ma è la realiz-
zazione e il c o m p i m e n t o dell'amore.
L ' a m o r e n o n p u ò chiudersi mai nel cerchio di un p u r o egoismo a due. La
fecondità è d o n o vicendevole ma anche a p e r t u r a agli altri, è servizio p e r l'u-
manità e p e r il m o n d o secondo il m a n d a t o iniziale del C r e a t o r e : «soggiogate
la terra».
U n a procreazione responsabile p o r t a con sé:
il rispetto della persona del partner e l'approfondimento dell'amore;
la responsabilità per i figli già nati e per quelli in arrivo;
la responsabilità per la società e p e r l'umanità intera;
il rispetto per il valore profondo e intimo della natura creata da Dio;
- la natura è consegnata all'uomo per l'armonia, n o n per u n o sfruttamen-
to senza limiti.

• La fedeltà nell'amore e il disegno della creazione

La responsabilità verso i figli è u n o dei motivi dell'indissolubilità del matri-


monio.
Un altro motivo è d a t o dalla n a t u r a dell'amore. L'uomo n o n è legato biolo-
gicamente alla sposa come avviene nel m o n d o animale, ma è aperto al mondo.
L ' u o m o deve darsi responsabilità, volto e figura nell'incompiutezza della sua
libertà. L'arbitrio lo riporterebbe s e m p r e a ricominciare senza vincoli, lo con-
d u r r e b b e fuori di ogni compimento iniziato nell'amore. Perciò egli deve realiz-
zarsi nell'altra faccia della sua libertà e del suo dono. Per questo deve essere
fedele al partner.
La sua libertà si realizza nella libertà; essa è dialogo, è parola di u n o che p u ò
p r o m e t t e r e e aprirsi alla definitività e dire all'altro: «Tu vivrai!». La fedeltà non

175
è giogo, ma suprema realizzazione della libertà, è un essere per che si realizza nel-
la pienezza del dono: «Io so che tu sei p e r me».
La definitività si esprime nell'essere «due in un corpo solo». È qualcosa di
sovra-temporale che diventa «storia di un a m o r e duale». Grazie al d o n o fedele,
due persone raggiungono lo «stato» definitivo, diventano cioè «una carne sola».
In questa proiezione di fedeltà c'è di mezzo Dio: attingendo da Dio, l'amore
si dona; l'uomo non si smentisce, ma si invera nella speranza, nel futuro, nel par-
tecipare alla fedeltà stessa di Dio. Ciò è affermato non nel senso di una p u r a
oggettività, ma è visto come apertura al compimento; è u n a sillabazione della
fedeltà di Dio, che, solo, è certezza di vita e di a m o r e e n o n è mai delusione o
a b b a n d o n o . La fedeltà è anche parola che pronuncia quell'amore divino che Cri-
sto ha svelato con il suo a m o r e fedele fino alla morte.
In questo l'amore coniugale diventa sacramento del D i o dell'alleanza e del
Cristo Sposo fedele dell'umanità.

2. IL MATRIMONIO SACRAMENTO

2.1. Significati teologali del matrimonio

2.1.1. L'amore degli sposi inserito nel mistero di Cristo

L'amore coniugale è nel m o n d o presenza e testimonianza della grazia del


Salvatore, che purifica, rinnova ed eleva la natura umana. Nell'incontro sacra-
mentale Cristo dona agli sposi un nuovo m o d o di essere, per il quale sono come
configurati a lui, Sposo della Chiesa, e posti in un particolare stato di vita e n t r o
il popolo di Dio. In ciò lo sposalizio è segno dell'alleanza.
L'alleanza segnala di per sé un r a p p o r t o di salvezza, perché è comunicazione
dell'amore di Dio.
La suprema realizzazione dell'amore salvante di Dio si ha in Cristo, che,
d o n a n d o se stesso al m o n d o , è diventato, sulla croce, il segno più alto dell'amo-
re di Dio, e in tale esperienza ha d a t o il via alla nuova alleanza. Coloro che sono
in Cristo sono coinvolti, sorretti e riempiti dall'amore di D i o che si è riversato
nel suo Figlio incarnato.
Nei due sposi si attualizza in m o d o singolare tale a m o r e che li rende epifania
del donarsi totale del Cristo. L'essere inseriti in Cristo con il battesimo travasa
nei d u e sposi, che si uniscono nel p a t t o matrimoniale, la sorgente di un a m o r e
totalmente fedele. C o m e dice san Paolo, Cristo ama la Chiesa, la purifica e la san-
tifica, e coloro che diventano sposi in Cristo sono purificati e santificati e coinvolti
nel suo amore, al di là di ogni debolezza umana.
C'è, nella grazia del sacramento, un versante negativo, in quanto Cristo tra-
smette la sua azione liberatrice quale rimedio per una sessualità che p u ò disinte-
grare l'uomo e condurlo all'infedeltà e al peccato; ma c'è anche un versante positi-
vo, in quanto il sesso e l'eros vengono integrati da Cristo nella totalità dei rappor-
ti d'amore personale, sono apertura alla vita, alla gioia, alla società e a Dio. Sono
abilitati a crescere nell'attuazione di quei valori umani di donazione, di fedeltà e di
generosa fecondità, che in Cristo trovano pienezza di verità e di motivazione.

176
È messa in atto una redenzione delle forze «della carne» e una santificazione
che crea l'armonia nell'esistenza u m a n a e cristiana, che rende l'uomo «servitore
di Dio» nel suo corpo. L'azione santificante del sacramento (Ef 5,26) apre gli
sposi al servizio per D i o nella creazione e nella redenzione e coinvolge l'amore
coniugale in un r a p p o r t o di a m o r e teologale. D u e coniugi che vivono nel d o n o
vicendevole, imitano l'amore di Cristo per la Chiesa e diventano non solo sim-
bolo del mistero, ma dimostrazione effettiva del mistero di Cristo che a m a fino
a dare la propria vita.

2.1.2. Dimensione ecclesiale del matrimonio

L'amore e la fedeltà di Dio in Cristo a p r o n o gli sposi al servizio della comu-


nità nel cammino della vita. Il matrimonio e la famiglia sono Chiesa in piccolo,
Chiesa domestica, cioè comunità salvata e che salva. Essa, infatti, non solo riceve
l'amore di Cristo che salva di fronte alla vita indubbiamente soggetta a tenta-
zioni, ma attinge fedeltà alla propria vocazione e missione, per annunciare e
comunicare il «regno di Dio» agli altri.
Il nucleo familiare è n o n solo e m b l e m a statico, ma cellula attiva, che contri-
buisce all'edificazione della Chiesa. Gli sposi collaborano alla costruzione della
Chiesa con la generazione e l'educazione dei figli, con la vita cristiana testimo-
niata, con l'apertura e l'ospitalità nella loro casa e nella società. Al dire del Vati-
cano II, gli sposi diventano, in forza del sacramento, «testimoni della fede e del-
3
l'amore di Cristo». Sono chiamati a vivere il sacerdozio profetico e regale di
Cristo, ricevuto con il battesimo, in forme e contenuti nuovi, secondo u n o stile
coniugale e con le realtà proprie della loro esistenza.
La connessione tra famiglia e Chiesa ha fondamento nella reciproca relazio-
ne tra queste due realtà: a m b e d u e dipendono l'una dall'altra e sono promotrici
l'una dell'altra, si intessono nel vivere, intrecciano il proprio dinamismo e h a n n o
una fondazione e una prospettiva strettamente unita. Ciò emerge fin dalla cele-
brazione iniziale del matrimonio: tutta la comunità p r e n d e parte festosamente
alla celebrazione e il ministro che presiede, ufficializza e autorizza la celebrazio-
ne del matrimonio con l'annuncio della Parola, l'evento eucaristico e con la
benedizione solenne degli sposi, con la quale la Chiesa si p r o p o n e quale media-
trice orante per la riuscita del nuovo matrimonio.
Il matrimonio si distingue per una sua fisionomia singolare dentro la Chiesa:
non è infatti il sacerdote il ministro del matrimonio, ma ministri sono gli stessi
4
sposi, in q u a n t o il sacramento è realizzato e fondato sull'atto personale dei
5
coniugi nel quale essi si donano e si accettano reciprocamente. Il loro «sì» costi-
tuisce il matrimonio.

3
LG 35: EV 1/376.
4
LIGIER, // matrimonio. Questioni teologiche e pastorali, 208.
5
GS 48: EV l/1471ss.

177
Presso i cristiani ortodossi, ove non si è avuta la secolarizzazione ed è preva-
lente la visione sacrale del matrimonio, il p r e t e è considerato amministratore del
sacramento. Presso i protestanti la stipulazione dell'atto ufficiale del matrimonio
è affidata invece all'autorità secolare. Al ministro della Chiesa spetta la benedi-
6
zione liturgica.

2.1.3. La legge nuova dell'amore e l'apertura escatologica

La dimensione ecclesiale segnala e inquadra con evidenza la prospettiva esca-


tologica di ogni comunità matrimoniale. Le nozze sono viste, nel linguaggio bibli-
co, come segno annunciatore del banchetto «delle nozze dell'Agnello» e Gesù
vede il matrimonio come espressione della figura transeunte di questo m o n d o
(Me 12,25; I C o r 7,25-38).
Nel cammino della vita non possono essere nascoste difficoltà anche gravi
che si frappongono alla vita coniugale e all'ideale di perfezione evangelica. L'a-
m o r e fedele e l'apertura al donare la vita si trovano di fronte, oggi, a una men-
talità egoistica e permissiva. È necessario continuamente l'aiuto di Cristo, che ha
unito a sé gli sposi nell'amore e nella vita, per r e n d e r e possibile una configura-
zione crescente a lui nella comunione vicendevole, nella dedizione ai figli, nella
missione aperta alla Chiesa e a ogni uomo. Ma con questo non deve venire m e n o
la consapevolezza della fatica del cammino.
Il matrimonio non è una realtà sacralizzata destinata a rimanere per sempre.
Esso rinvia al banchetto escatologico e alla condizione dei risorti. Nessun part-
ner p u ò d o n a r e all'altro il paradiso in terra nell'amore. Là dove D i o è Dio e l'uo-
mo è uomo, la gloria di D i o e la felicità piena, è sempre una «riserva escatologi-
ca»; c'è sempre u n ' a p e r t u r a senza confini della libertà cristiana neìl'eschaton.
Proprio per la libertà del matrimonio e la sua apertura escatologica vi è nella
Chiesa, accanto al matrimonio, il carisma del celibato ( I C o r 7,7; Mt 19,12): il nubi-
le che sceglie di essere tale per il regno dei cieli, esprime una dimensione che è
essenziale a tutti, rinviando là dove «Dio sarà tutto in tutti».
Il celibato è necessario in ogni epoca e in ogni condizione della Chiesa. Chi
n o n è sposato per a m o r e di Cristo costituisce un segno che dischiude allo sposa-
to la sua libertà creativa e salvante e, a sua volta, il carattere escatologico del
matrimonio mostra al celibe che un'esistenza escatologica non p u ò significare

6
È stato campo di discussione, nel mondo cattolico, il rapporto tra l'ambito personale e quello
ecclesiale nel matrimonio. Il termine contratto matrimoniale relaziona il matrimonio a un contesto
pubblico e sociale; le teorie individualistico-liberali preferiscono il termine istituzione matrimoniale.
E vero che nel matrimonio c'è sempre una realtà sociale che abbraccia e supera i due partner; tale
realtà non è a loro disposizione e non è gestita da loro. Il concilio Vaticano II (GS 47: EV l/1468ss)
usa il termine «istituzione».
KASPER (Teologia del matrimonio cristiano, 42) vede il termine alleanza preferibile ai termini
«contratto» o «istituzione». L'alleanza infatti denota un vincolo personale di amore e coinvolge
anche la comunità dei credenti nella realtà pubblico-sociale. L'ambito personale e quello sociale
sono complementari: c'è un rapporto irripetibile dei due partner e c'è la comunità ecclesiale che li
accompagna nelle fasi della vita (la comunità affianca i due fidanzati nella preparazione, funge poi
di sostegno a livello materiale e spirituale, tramite conferenze, seminari, apertura ai figli), inoltre apre
piste di azione per i coniugi nelle trame della vita, nella pastorale familiare, nei gruppi, nell'integra-
zione degli anziani nella famiglia.

178
fuga dal m o n d o , ma un particolare m o d o di servire il m o n d o e gli altri. I d u e
modi di vita sono reciprocamente correlati: le vocazioni al celibato sono segni di
matrimoni sani e il deprezzamento del celibato conduce al disconoscimento dei
7
valori cristiani del matrimonio.

2.2. Caratteristiche specifiche del sacramento

2.2.1. La fedeltà assoluta indicata da Gesù

• Dall'Antico al N u o v o Testamento

L'unità e l'indissolubilità sono insite nella struttura antropologica del matri-


monio, al di là del sacramento. L'atto con cui due sposi si d o n a n o possiede i
caratteri dell'esclusività e della definitività.
L'Antico Testamento vedeva l'unità e l'indissolubilità fondate sull'ordina-
m e n t o della creazione ( G e n 2,24). L'ordine della creazione riceve ulteriore evi-
denza e determinazione in quello della redenzione. La fedeltà matrimoniale è
immagine della fedeltà di Dio e l'infedeltà è segno e conseguenza dell'infedeltà
a Dio. La presentazione della lettera di divorzio nell'Antico Testamento (Dt
24,1-4) va compresa sullo sfondo dell'alleanza. Si tratta, in questo testo, più che
della prassi del divorzio, del divieto di sposare una divorziata, il che sarebbe
«abominio presso il Signore». Più tardi, nel giudaismo, si parla di divorzio nel
caso in cui si trovi qualcosa di indecente nel c o m p o r t a m e n t o della donna, e ven-
gono date indicazioni che m e t t o n o dei limiti a un c o m p o r t a m e n t o arbitrario del-
l'uomo verso la donna.

• Gesù ripropone l'indissolubilità del matrimonio

Gesù usa termini nuovi con assoluta chiarezza. In Me 10,2-12 alla d o m a n d a


«È lecito rinviare la donna?», Gesù n o n risponde direttamente, ma m e t t e in evi-
denza la volontà di D i o che è presente nella creazione in m o d o radicale e incon-
dizionato. // comando di Dio riguarda non un '«ufficialità notarile», ma il «cuore
dell'uomo»: «Chi guarda una d o n n a desiderandola, ha già commesso adulterio
nel suo cuore» (Mt 5,28). C o m ' è possibile questo? «Se è così n o n conviene spo-
sarsi», obiettano gli apostoli (Mt 19,10). Il vincolo u o m o - d o n n a p u ò diventare
un peso intollerabile là dove n o n si chiama in causa il d o n o di D i o all'uomo; ma
n o n è un peso là dove è Dio, con il suo dono, a unire l'uomo e la donna, cam-
biando il cuore.
La parola di Gesù è una parola messianica, piena di esortazione profetica,
riferita alla grazia di Dio, alla possibilità che Dio offre. Gli uomini possono
respingere la grazia di Dio, ma ciò diventa giudizio contro di loro. Q u a n d o due
credenti si sposano nel Signore, c'è con loro una compartecipazione di Dio: gli
sposi sono consegnati l'uno all'altro da Dio.

7
Cf. KASPER, Teologia del matrimonio cristiano, 45-46.

179
• Sottolineature di san Paolo

In Ef5,31 Paolo collega la fedeltà assoluta dell'uomo e della donna nel matri-
monio alla fedeltà che unisce Cristo alla Chiesa. N o n si tratta di una n o r m a eccle-
siastica o di un principio metafisico, ma del realizzarsi dell'alleanza di Dio in
Gesù Cristo. Si compie un fatto teologale. In esso non è il caso di vedere (come
affermava Agostino) una realtà ontologica nuova, ma la realtà dell'alleanza di
Dio, che assume in sé la realtà u m a n a del matrimonio, la consolida e l'approfon-
disce. L'alleanza conferisce all'unione sponsale un carattere di n o n disponibilità,
una relazione continua e piena a Dio. U n a rottura del matrimonio comporta la
rottura di ciò che non spetta ai d u e protagonisti, e concede al n u o v o partner ciò
che non gli appartiene.
La fedeltà, più che una legge, è l'espressione del carattere di promessa e di
grazia di cui D i o ha dotato il matrimonio. Per chi si separa, resta solo il dovere e
l'inestinguibile speranza della riconciliazione, nella certezza che l'amore e la
fedeltà di Dio non vengono mai meno.

2.2.2. La celebrazione del matrimonio non ripetibile

• La tradizione biblica

La condizione di inserimento nell'alleanza di Cristo è m a t u r a t a nella pasqua,


sulla croce.
Tramite il battesimo il cristiano entra nel nuovo «eone» della salvezza, anche
se p o r t a con sé le conseguenze e l'eredità storica del peccato iniziale.
La Chiesa, nell'eredità della pasqua, ha con sé il dono escatologico di Gesù,
pur vivendo ancora nella condizione della creaturalità terrena. Per tale concre-
tezza creaturale e storica si pongono dei problemi.
Così in Marco (10,1-9), assieme all'affermazione dell'irrevocabilità del-
la parola di Gesù, troviamo il riferimento all'usanza r o m a n a ove la
moglie o il marito r o m p o n o l'unione.
In Matteo (5,32; 19,9) è ipotizzata la clausola separatoria con le parole:
«eccetto il caso di fornicazione». Tale clausola è di difficile interpreta-
8
zione.
- San Paolo, collocandosi in situazione pagano-cristiana ( I C o r 7,10-15),
introduce una prassi di separazione dalla p a r t e non-credente che n o n è
disposta a vivere in pace con il cristiano. L'apostolo intende la parola del
N u o v o Testamento non come legge rigida, ma come espressione della
volontà salvifica del Signore, che vuole raggiungere l ' u o m o nelle situa-
zioni concrete. Da qui prenderà il via quello che sarà detto il privilegio
paolino.

8
Kasper propone qui la seguente ipotesi: le comunità giudeo-cristiane intendevano radicalizzare
l'ideale di santità dell'Antico Testamento. Così, nella separazione dal partner che viveva in una situa-
zione di fornicazione (incesto, prostituzione, perversione sessuale, adulterio) si vedeva il diritto di rom-
pere il matrimonio per la volontà di Dio, che non permette che uno si «profani» con chi è indegno.

180
Il N u o v o Testamento, nel suo insieme, testimonia il valore inequivocabile
della parola di G e s ù per l'unità inscindibile del m a t r i m o n i o , i n t e n d e p e r ò tale
parola, più che come u n a prescrizione drastica e legale, c o m e u n a linea di vita
secondo lo spirito della libertà cristiana.

• La tradizione ecclesiastica

Paolo, nella sua esperienza, aveva presenti dei m a t r i m o n i misti tra pagani
e cristiani. Situazioni simili si p r e s e n t e r a n n o anche nel t e m p o successivo. Così
i padri della Chiesa, richiamando la parola di Gesù, n o n v e d e v a n o praticabile
un secondo m a t r i m o n i o , finché la con-parte era ancora in vita. C o n ciò p e r ò si
p r o p o n e v a n o di fatto dei casi difficili.
Alcuni padri (es. Origene, Basilio) in certe situazioni ipotizzeranno una
prassi più elastica. O r i g e n e a m m e t t e che una moglie separata per l'adulterio
del m a r i t o si risposi m e n t r e il m a r i t o è ancora in vita. A l t r e t t a n t o pensa p u r e
Basilio per l'adulterio della moglie. Pur v e d e n d o un tale agire non conforme
alle Scritture, lo si p e r m e t t e per evitare il peggio, e si p r e v e d e la c o m u n i o n e
eucaristica d o p o a d e g u a t a penitenza. Secondo Basilio, n o n è certo che una
d o n n a che convive con un u o m o a b b a n d o n a t o dalla moglie possa essere detta
adultera.
/ padri occidentali, ad esempio A m b r o g i o , non condividono una simile
valutazione e prassi. P e r ò nei penitenziali irlandesi e franco-anglosassoni, all'i-
nizio del m e d i o e v o , è tollerato o p e r m e s s o un m a t r i m o n i o m e n t r e il coniuge è
ancora in vita, in situazioni particolari, o q u a n d o si p r e s u m e sia m o r t o . Il
distacco dall'ideale cristiano viene m e d i a t o dalla penitenza.
Nell'insieme la tradizione ecclesiale ribadisce la fedeltà indiscussa alla
parola del Signore, tuttavia, in casi di situazioni matrimoniali difficili, la Chie-
sa n o n respinge una persona che si risposa, appellandosi al concetto dell'in-
dulgenza o della n o n c o n d a n n a , e a p r e la strada della penitenza, senza d a r e il
via a u n a piena r o t t u r a con la c o m u n i o n e ecclesiale.

Nel secondo millennio la prassi delle Chiese orientale e occidentale proce-


de in m o d o diverso.
In oriente si p e r m e t t e un s e c o n d o m a t r i m o n i o in b a s e al principio
dell'«economia» e della disposizione penitenziale. La situazione di adulterio è
equiparata, p e r la p a r t e innocente, a quella della m o r t e dell'altra parte.
La linea occidentale, specie in seguito al Decreto di Graziano (1279), è più
rigida. Ma anche in occidente si p r e v e d o n o dei compromessi. Tali sono il pri-
vilegio paolino (la r o t t u r a con un infedele che si rifiuta di convivere in pace
con il p a r t n e r convertito al cristianesimo), e il privilegio petrino (nelle missio-
ni si consente lo scioglimento di un m a t r i m o n i o n o n sacramentale celebrato
tra gli infedeli, «in favorem fidei»). La rigorosa indissolubilità r i g u a r d e r à il
m a t r i m o n i o sacramentale.
Nelle varie esperienze, n o n si è voluto mai disdire ufficialmente le p a r o l e
del Signore, ma solo p e r m e t t e r e soluzioni particolari differenziate in vista del-
la salvezza, «in bonum salutis».

181
• Il concilio di Trento

Nel concilio di Trento (Denz 1737-1818), che si p o n e in continuità con il con-


cilio di Firenze, sono stabilite delle regole per la prassi celebrativa; inoltre ven-
gono indicate le linee dottrinali di fronte alle tesi di Lutero.

Lutero affermava che la Chiesa non ha competenza in ambito matrimoniale.


Sosteneva l'indissolubilità del matrimonio, ma in casi particolari (come nei casi
indicati da Mt 5,32 e I C o r 7,15), nella situazione di adulterio o di rifiuto di accor-
do da parte di un n o n credente, riconosceva alla p a r t e innocente la libertà di con-
trarre un nuovo matrimonio. Questa era considerata una «opzione per la libertà
del vangelo» e voleva garantire la libertà del cristiano, tanto più che L u t e r o non
riconosceva la sacramentalità del matrimonio.

Il concilio di Trento nella sua risposta a L u t e r o , da una p a r t e ribadisce la


c o m p e t e n z a della Chiesa in m a t e r i a matrimoniale, e riguardo ai privilegi p a o -
lino e petrino, vede in essi u n a continuità con alcuni padri della Chiesa e con
alcuni maestri medievali, e avverte p u r e in essi un f o n d a m e n t o biblico offerto
dai testi del Vangelo di M a t t e o e delle lettere di Paolo. Al t e m p o del concilio
di Trento, nei luoghi del M e d i t e r r a n e o soggetti al dominio di Venezia, preva-
leva u n ' a p e r t a simpatia p e r la prassi più possibilista degli orientali.
N e l d e c r e t o tridentino d e l l ' l l n o v e m b r e 1563 (sessione X X I V ) , viene riba-
dita la dottrina dell'indissolubilità del m a t r i m o n i o e viene rivendicato, nel c. 7,
la c o m p e t e n z a della Chiesa sullo scioglimento del m a t r i m o n i o in casi di adul-
terio o di innocenza di u n o dei d u e e sul riconoscimento del m a t r i m o n i o di chi
si sposa in tali circostanze.
9
È famoso, in questo concilio, il d e c r e t o Tametsi che riguarda la necessità di
e s p r i m e r e il consenso pubblico dei c o n t r a e n t i il m a t r i m o n i o davanti al ministro
della Chiesa, d o p o aver effettuato le pubblicazioni p e r tre giorni festivi. Tutto
q u e s t o allo scopo di evitare l'abuso dei m a t r i m o n i clandestini.
P e r il resto i punti dottrinali più salienti r i g u a r d a n o : l'indissolubilità del
matrimonio secondo la volontà di Cristo e la responsabilità della Chiesa e il suo
diritto di giudizio a favore della libertà cristiana.
Lo scioglimento in caso di adulterio e la ri-celebrazione delle nozze è rite-
nuta una prassi non contraria al vangelo, essendo ispirata alla misericordia di
Cristo.
Il concilio di Trento n o n ha inteso rileggere e r i p r o p o r r e con autorità t u t t a
la tradizione ecclesiale, né si è p r o p o s t o di formulare una dottrina completa
sull'indissolubilità. Esso ha offerto alcuni punti essenziali e vincolanti, lascian-
do alla Chiesa il c o m p i t o di cercare u l t e r i o r m e n t e soluzioni concrete nelle
situazioni storiche che cambiano.

9
Denz 1813-1816.

182
3. PROBLEMI PRATICO-PASTORALI

3.1. Il problema del divorzio e di nuove nozze

Oggi la Chiesa vive u n a situazione di notevole transizione culturale, simile


alle fasi del trapasso tra paganesimo e cristianesimo o alle esperienze missiona-
rie del secolo X V I . La mobilità di popolazioni n u m e r o s e interessate dal feno-
m e n o migratorio, la perdita di sostegni sociali, il diritto civile che riconosce
ampie possibilità per il divorzio e una mentalità tollerante, comprensiva o lassi-
sta, h a n n o facilitato l'instabilità del matrimonio.
Si è creato un n u m e r o notevole di divorziati risposati per i quali tale situazio-
ne si presenta come normale e avallata dal diritto delle società civili o è vista
come u n a liberazione. Per molte altre persone sorgono con sofferenza problemi
di coscienza di fronte a D i o e alle situazioni di vita non facilmente solubili. Sono
in campo problematiche n o n facili e non aperte a soluzioni facili e soddisfacenti.
In tale contesto v a n n o ricordati, secondo la visione cristiana, tre punti di vista
10
da non eludere.

• La fedeltà piena alla parola di Cristo. Q u e s t o vale per i singoli, per l'ordi-
n a m e n t o giuridico e per la prassi pastorale della Chiesa. La Chiesa n o n p u ò
costruire le sue scelte fuori della parola di Cristo. Non ha due possibilità dì scel-
ta, ma la sola scelta della fedeltà. N o n p u ò m e t t e r e sullo stesso piano un primo
matrimonio e un secondo; non p u ò riconoscere come segno dell'alleanza una
nuova unione m e n t r e il primo partner è vivo. La Chiesa è l'unica entità sociale
che patrocina i figli e l'indissolubilità come diritto della grazia.

• L'indissolubilità del matrimonio non è un giudizio di condanna ma una


parola di salvezza per l'uomo. L'opera della Chiesa è impegno ad aver cura dei
matrimoni esistenti, sia sani che compromessi. Il difficile sta nello sforzo concre-
to degli ordinamenti giuridici della Chiesa, di fronte a situazioni non facili e com-
plesse. L'importante è che tali ordinamenti si presentino come parole di positi-
vità e di speranza e non di severità o di condanna. Sarà importante che la nor-
mativa giuridica, che dichiara come nulli certi legami matrimoniali, nei casi in cui
la psicologia li veda p i e n a m e n t e non validi, sia molto chiara e operante.

• Unioni che fanno seguito al matrimonio sacramentale. C'è poi il p r o b l e m a


che riguarda le unioni che seguono il primo matrimonio sacramentale. C o m e
valutare le circostanze, la non facile rilevazione di u n a colpa soggettiva, la men-
talità, il contesto sociale e il confronto concreto con le persone da tutti i punti di
vista? C o m e valutare un secondo matrimonio concluso civilmente?
Alla luce delle Scritture e al di là di colpe personali un secondo matrimonio è
in contrasto con l'ordine stabilito da Dio. Il primo impianto fatto in Cristo n o n
p u ò essere semplicemente annullato.

10
Cf. KASPER, Teologìa del matrimonio cristiano, 61-80.

183
Il secondo matrimonio non p u ò essere il segno dell'alleanza, anche se ha una
sua valenza u m a n a e storica. Il diritto, del resto, riconosce forme differenziate di
realizzazione del p a t t o matrimoniale: il matrimonio con la retroattività degli
effetti giuridici; il matrimonio celebrato e non consumato; il matrimonio contrat-
to civilmente (tale matrimonio non è mai equiparato a un concubinato, per una
volontà di matrimonio e per i valori essenziali di amicizia, amore, fedeltà, obbli-
go di assistenza che esso p o r t a con sé).
Là dove è presente la fede, un secondo matrimonio può collocarsi nella Chie-
sa come dimensione spirituale-penitenziale; la Chiesa è sempre peccatrice e peni-
tente. Stando al parere di W. Kasper, il secondo matrimonio è paragonabile a
un'abitazione di emergenza di fronte alla rovina della prima casa o a una scia-
luppa di salvataggio di fronte al naufragio della nave, o alla cicatrice che p e r m a -
ne d o p o una ferita profonda causata da un incidente. D i o p u ò o p e r a r e la salvez-
za anche nella nuova situazione.
Resta non facile il confronto con il primo matrimonio, che non è annullabile
come rapporto di alleanza nel Signore, e c'è il problema dell'ammissione al sacra-
m e n t o della penitenza e dell'eucaristia nella Chiesa, in una situazione di peni-
tenza ecclesiale.
Un'ammissione alla comunione può avvenire quando ci si pente della colpa e
la si ripara per quanto è possibile; quando è stato fatto il possibile per una ricon-
ciliazione col primo coniuge; quando il secondo matrimonio è diventato un lega-
me moralmente vincolante, ad esempio a motivo dei figli.
E necessaria c o m u n q u e una pastorale intelligente e responsabile, che affer-
mi la portata della penitenza e della conversione ed eviti situazioni di indiffe-
rentismo o p p u r e di scandalo farisaico, e occorre sempre l'apporto illuminante e
autorevole di pastori pieni di sapienza.

3.2. Il matrimonio sacramento e la sua collocazione sociale

3.2.1. // matrimonio ecclesiastico e civile

Il matrimonio-è sempre stato una realtà complessa: riguarda il diritto divino


e il diritto u m a n o ; l'ambito personale e quello sodale-ecclesiale; il piano giuridi-
co e il livello della coscienza.
D u e aspetti fondamentali della visione cristiana del matrimonio riguardano
la sacramentalità del matrimonio e la dimensione sociale e interessano la Chiesa
e la società civile.
Il decreto Tametsi del concilio di Trento (1563) ha indicato una formula uffi-
ciale obbligatoria per ovviare all'inconveniente dei matrimoni clandestini, non
verificabili facilmente e quindi contestabili a livello sociale. Trento ha sottoposto
così il matrimonio al diritto pubblico della Chiesa.
Per parte sua lo Stato ha rivendicato la propria giurisdizione per l'aspetto
secolare e civile del matrimonio. Si è così avuta una doppia stipulazione del
matrimonio, davanti alla Chiesa e davanti allo Stato. Il gallicanesimo e il giusep-
pinismo austriaco h a n n o affermato l'esclusiva competenza dello Stato, lasciando
alla Chiesa solo la benedizione solenne. Ciò ha introdotto u n a dialettica tra l'or-
dine della creazione e l'ordine della redenzione o sacramentale.

184
La Chiesa ha ribadito la convinzione che, tra due battezzati, il matrimonio è
di per sé sacramento e si è opposta alla celebrazione separata del matrimonio
civile conseguente alla secolarizzazione.

3.2.2. Prospettive dei nostri giorni

Il concilio Vaticano II riconosce l'autonomia dell'ordine delle realtà terrene


rispetto alla giurisdizione ecclesiale. In questa ottica l'opinione di san Tommaso
sul valore sacramentale di ogni matrimonio celebrato validamente tra i cristiani
va vista nel senso di u n a tensione verso una pienezza sacramentale di ogni matri-
monio celebrato tra i cristiani, sia p u r e con sfumature e differenze.
Secondo l'opinione più comune, oggi si afferma che il matrimonio civile e
quello ecclesiastico n o n vanno visti in opposizione o secondo una parallelità
estranea. L'aspetto civile e quello ecclesiale esprimono la pluridimensionalità
dell'unica conclusione del matrimonio, che ha effetti civili (partecipazione del
nome, eredità, patrimonialità), ai quali lo Stato dà supporto materiale e giuridi-
co; e valore ecclesiale e salvifico, garantito dalla Chiesa con il suo servizio di sal-
vezza nel m o n d o . In tale q u a d r o il matrimonio, nella duplice referenza civile ed
ecclesiale, arriva alla sua conclusione in pienezza nella forma del sacramento
prescritto dalla Chiesa.
La Chiesa non è interessata a u n a piena separazione tre i due ambiti (come
avveniva a n t e c e d e n t e m e n t e al concilio di Trento), ma, poiché lo Stato laico e
ideologicamente neutrale n o n p u ò dare al matrimonio una valenza interiore, la
Chiesa stabilisce con lo Stato un r a p p o r t o di reciproco riconoscimento e di com-
plementarità, contrassegnata dal valore teologale per coloro che sono disposti a
contrarre il matrimonio «nel Signore».

3.3. Il matrimonio: sacramento della fede

3.3.1. Interrogativi sempre attuali

Nel nostro t e m p o secolarizzato vanno ricordati alcuni problemi particolari


rispondenti a una serie di d o m a n d e cruciali:

• In che modo il matrimonio, che nasce dalla fede ed è celebrato come sacra-
mento, è comprensibile e attuabile nel nostro mondo al pari degli altri sacramenti?

• Nel caso di cristiani di «anagrafe», ma non praticanti, che si accontenta-


no di un matrimonio civile, è valido tale matrimonio? Che valore ha sul piano
umano? In q u e s t ' u l t i m o caso, resta v e r o che un tale m a t r i m o n i o p u ò essere
riconosciuto e s a n a t o in radice, in m o d o retroattivo. E s s o si distingue da un
c o n c u b i n a t o e p u ò essere ratificato c o m u n e m e n t e nel s a c r a m e n t o senza p r o -
blemi.

• È giusto o no che la Chiesa avvalli eventualmente la rottura di un matri-


m o n i o civile di fronte a una nuova celebrazione ecclesiale?

185
• Si p u ò pensare che, nella gradualità della salvezza, ci sia in esso un'imper-
fetta realizzazione del mistero di Cristo e della Chiesa?

• Si p u ò vedere in esso una partecipazione alla grazia dell'unione coniugale?

3.3.2. La situazione di persone indifferenti nella fede

Di fronte a persone indifferenti nella fede, è il caso di consigliare un rinvio


del matrimonio religioso e di p r o p o r r e un matrimonio civile?
P u ò un parroco rifiutare il matrimonio in chiesa a chi non si mostra credente?
Se la Chiesa vede nel matrimonio fatto in chiesa «per se stesso» un matri-
m o n i o sacramentale, non c'è il rischio qui di una visione «quasi magica» del
sacramento?
Se è vero che per tutti i sacramenti n o n basta l'oggettività del rito per una
valenza salvifica, ma occorre la fede - ex opere operantis - per aver la fecondità
della grazia sponsale, quale fede occorre?
Q u a l e intenzione, almeno minimale è richiesta e quale coinvolgimento per-
sonale per un compiersi del sacramento nel Signore?
A questo riguardo p u ò n o n essere necessaria un'intenzione cosciente in
m o d o attuale nell'atto del rito, ma p u ò essere sufficiente un'intenzione virtuale,
n o n solo rivolta alle circostanze esterne, ma diretta a ciò che i cristiani sono soli-
ti fare nel rito sacramentale. A n c h e se n o n c'è l'esplicito intento del sacramento,
basta l'intenzione di sposarsi come fanno i cristiani. Tale intenzione include
implicitamente il sacramento, q u a n d o esso non sia esplicitamente negato.

Per la verità del sacramento ci vuole un minimo di fede. La Chiesa, nella pre-
parazione, nella predicazione e nella celebrazione deve fare di tutto per suscita-
re la fede, non accontentarsi del minimo, ma m i r a n d o a una chiara visione cri-
stiana. Q u a n d o le condizioni minimali non sono raggiunte, è doveroso consiglia-
re il rinvio del matrimonio in chiesa. Ciò p u ò avvenire solo d o p o un attento lavo-
ro pastorale e un contatto personale. Qui si p o n g o n o problemi di fondo che
d e v o n o essere affrontati - nelle loro linee - da tutta la comunità locale con il
rispettivo pastore.
Emerge, nell'insieme dei problemi, l'urgenza di un'azione pastorale portata
avanti con grande responsabilità per una preparazione attenta e leale al matrimo-
nio nel suo significato. A tal fine si rivela preziosa la promozione di gruppi matri-
moniali, di iniziative di formazione, di catechesi e di valorizzazione della cele-
brazione liturgica.
U n a pastorale matrimoniale deve essere promossa con molta ampiezza, nel-
la certezza che è attraverso una fede viva e approfondita che p u ò venire supera-
ta la grande crisi matrimoniale e familiare così diffusa ai nostri giorni.

186
INDICE

ABBREVIAZIONI E SIGLE pag. 5

PRESENTAZIONE
(di mons. Giuseppe Zenti) » 7

INTRODUZIONE » 9

Capitolo primo
I SACRAMENTI D A L L A PRASSI A L L A T E O L O G I A » 13

1. LA LITURGIA DEL VATICANO II » 13


2. PER UNA NUOVA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI » 14
2.1. Senso di u n a rilettura teologica » 14
2.2. Le piste di una ricomprensione teologica » 15

Capitolo secondo
Q U A D R O COMPLESSIVO DEI SACRAMENTI » 17

1. I SACRAMENTI «SEGNI» DELL'INCONTRO CON D i o » 17


1.1. Gli incontri di D i o con l'uomo nella storia » 18
1.1.1. Dio nella storia interviene a favore del suo popolo » 18
1.1.2. Cristo Dio fatto uomo incontra e salva l'uomo » 18
1.2. La novità inaugurata da Cristo con la sua p a s q u a » 19
1.2.1. // Cristo risorto e l'umanità » 19
1.2.2. Il farsi presente di Cristo nella Chiesa e nei «segni»
della Chiesa » 20
2. LA STRUTTURA DEI SACRAMENTI » 20
2.1. Incontri con D i o nei segni indicati da Cristo » 20
2.1.1. «Segni» celebrati nella Chiesa » 20
2.1.2. Nella celebrazione c'è un legame tra la Parola, la
fede e la vita » 21
2.2. Le cose del m o n d o mediatrici di incontro » 22
2.2.1. La via della fede e della mediazione delle cose del
mondo » 22

187
2 . 2 . 2 . L'uomo comunica attraverso il corpo » 22
2 . 2 . 3 . // linguaggio segreto delle cose » 23
2 . 2 . 4 . L'uomo si realizza nel comunicare » 23
2 . 2 . 5 . // corpo: luogo d'incontro a livello interpersonale
e storico » 24
2 . 3 . Le realtà del cosmo «sacramenti» d'incontro con Dio » 24
23.1. Il cosmo «sacramento naturale» di Dio per l'umanità .... » 24
2 . 3 . 2 . Cristo assume le realtà terrene nei suoi interventi nel
mondo » 25
3. L'INSIEME DEI SACRAMENTI NELLA STORIA » 25
3 . 1 . Il n u m e r o settenario » 25
3 . 1 . 1 . // numero e il significato dei sacramenti nella teologia
del medioevo » 26
3 . 1 . 2 . La definizione dei sacramenti » 27
3 . 2 . La dottrina dei sacramenti dal medioevo ai nostri giorni .... » 27
3 . 2 . 1 . Definizione complessiva dei sacramenti nella teologia
medievale e nella dottrina dei concili » 27
3 . 2 . 2 . Accentuazioni del nostro tempo » 28
3 . 2 . 3 . // numero dei sacramenti nelle Chiese orientali e
accentuazioni del Vaticano II » 29
4. I SINGOLI SACRAMENTI E LÌNIZIAZIONE CRISTIANA » 31
4 . 1 . I sette sacramenti e la loro relazione organica » 31
4 . 2 . I sacramenti dell'iniziazione cristiana » 31
4 . 3 . L'iniziazione cristiana nella Chiesa antica » 33
4 . 4 . L'iniziazione cristiana nel nostro t e m p o » 34
4.4..1. L'iniziazione cristiana nel nostro tempo » 34
4 . 4 . 2 . La prassi pastorale si apre a una fase nuova » 35

Capitolo terzo
IL BATTESIMO » 37

1. LA CELEBRAZIONE DEL BATTESIMO » 38


1 . 1 . Il battesimo dei bambini nella riforma del Vaticano II » 38
1 . 2 . L'iniziazione cristiana degli adulti » 40
2. I SIGNIFICATI TEOLOGICI DEL BATTESIMO » 42
2 . 1 . Il simbolismo del rito: l'inizio di un itinerario di vita » 42
2 . 2 . Il battesimo evento creatore di vita nuova » 43
2 . 3 . Un solo battesimo per la remissione dei peccati » 44
2 . 4 . Un'esistenza guidata dall'azione dello Spirito Santo » 46
2 . 4 . 1 . Lo Spirito è effuso nel battezzato con presenza continua
e operante » 46
2 . 4 . 2 . Dal «sì» di Dio nello Spirito derivano all'uomo capacità
nuove » 47
2 . 4 . 3 . // battesimo è radice della vita teologale e della libertà
dei figli di Dio » 47
2 . 5 . Il battesimo crea la Chiesa » 47

188
3. IL BATTESIMO DEI BAMBINI: SGUARDO TEOLOGICO-PASTORALE » 48
3.1. Il battesimo dei bambini nella storia » 48
3.2. Perché battezzare i bambini » 49
3.3. Obiezioni e risposte » 50
3.4. I bambini e il battesimo nelle situazioni familiari problematiche » 52

Capitolo quarto
LA C O N F E R M A Z I O N E » 55

1. DATI STORICI DAL N u o v o TESTAMENTO ALL'ALTO MEDIOEVO » 55


1.1. L'imposizione delle mani e il dono dello Spirito nel Nuovo
Testamento » 55
1.2. L'iniziazione dal II al V secolo » 56
1.3. Dalla Chiesa patristica all'alto medioevo » 58
1.3.1. Verso un rito della «confermazione» distaccato dal
battesimo » 58
1.3.2. Nell'alto medioevo » 59
2. LA CONFERMAZIONE E IL «DONO DELLO SPIRITO SANTO» » 59
2.1. Il ceppo comune tra battesimo e confermazione » 59
2.2. La «grazia» della cresima: il d o n o dello Spirito Santo » 60
2.3. «Fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno» (Gv 7,37).... » 61
2.3.1. Lo Spirito è sorgente sempre nuova della vita divina » 61
2.3.2. Sacramento della preghiera e dell'amore teologale » 61
3. IL DONO DELLO SPIRITO E IL CRISTIANO NELLA CHIESA » 62
3.1. Lo Spirito cementa la Chiesa come comunità viva » 62
3.2. Il ministero del vescovo nella celebrazione crismale » 63
3.3. La testimonianza e le missioni ecclesiali » 64

Capitolo quinto
L'EUCARISTIA » 67

1. L'EUCARISTIA NEI TESTI BIBLICI » 67


1.1. L'ultima cena » 67
1.1.1. / racconti della cena » 68
1.1.2.1 significati della cena di Gesù » 68
1.1.3. L'ultima cena e la salvezza di Gesù » 69
1.1.4. // comando memoriale » 69
1.2. L'eucaristia in Paolo e in Giovanni » 70
1.2.1. La testimonianza di Paolo » 70
1.2.2. La teologia di Giovanni » 72
2. L'EUCARISTIA NELLA STORIA » 74
2.1. La celebrazione eucaristica nei primi secoli » 75
2.1.1. Testimonianze dei primi tre secoli » 75
2.1.2. A partire dal IV secolo » 76
2.1.3. Lo schema comune della celebrazione eucaristica » 77
2.2. La «messa latina» da Gregorio Magno al concilio di Trento.... » 78

189
2.2.1. La messa basilicale romana » 78
2.2.2. La messa romana nel regno dei franchi (secoli VIII-X) » 78
2.2.3. La messa nei secoli Xl-XIV » 79
2.2.4. La riforma del messale conseguente al concilio di
Trento » 80
2.3. La dottrina eucaristica nelle scuole e nei concili dei secoli
XI-XIII » 81
2.3.1. / maestri delle «scuole» e la teologia della presenza
eucaristica » 81
2.3.2. Dalla teologia alle affermazioni dei concili » 82
2.4. La Riforma di L u t e r o e il concilio di Trento » 84
2.4.1. Lutero e l'eucaristia » 84
2.4.2. // concilio di Trento » 84
2.5. Il rinnovamento del concilio Vaticano II » 85
2.5.1. Motivi ispiratori » 85
2.5.2. L'eucaristia: comunione personale e vitale con Cristo » 86
2.5.3. La mensa della Parola e del pane » 86
3. TEOLOGIA DELL'EUCARISTIA » 87
3.1. L'eucaristia celebrazione della Chiesa » 87
3.1.1. // Cristo è il protagonista principale della celebrazione
eucaristica , » 87
3.1.2. La Chiesa è protagonista con Cristo dell'azione liturgica » 88
3.2. L'eucaristia sacrificio » 89
3.2.1. // sacrificio di Cristo e l'umanità » 90
3.2.2. L'eucaristia memoriale del sacrificio di Cristo » 93
3.2.3. L'eucaristia sacrificio della Chiesa » 97
3.2.4. Sottolineature conclusive » 102
3.3. L'eucaristia, presenza del Signore » 103
3.3.1. La «Presenza reale» nella fede cristiana » 103
3.3.2. La Presenza eucaristica e la transustanziazione » 104
3.3.3. L'escatologia nel Signore presente nella storia » 104
3.3.4. La Presenza eucaristica e la comunione » 105
3.4. L'eucaristia sorgente di salvezza » 106
3.4.1. Suffragio per i defunti e perdono dei peccati » 106
3.4.2. Nutrimento della vita e inizio della trasformazione
del mondo » 108
3.4.3. L'eucaristia culmine e fonte della Chiesa » 109

Capitolo sesto
IL S A C R A M E N T O D E L L A P E N I T E N Z A » 111
1. LA RICONCILIAZIONE NELLE FONTI BIBLICHE » 111
1.1. Il D i o della creazione e della storia p r o n t o a p e r d o n a r e » 111
1.2. Cristo venuto nel m o n d o a chiamare i peccatori » 113
1.3. La conversione del cuore e la mediazione della Chiesa » 113
1.3.1. // perdono e la conversione del cuore » 113
132. Il sacramento del perdono » 114

190
2. LA PRASSI STORICA E IL VALORE TEOLOGICO DELLA PENITENZA » 115
2.1. La prassi penitenziale nella storia » 115
2.1.1. Le tappe della penitenza nella Chiesa » 116
2.1.2. La'continuità nell'evoluzione storica » 119
2.2. Il valore teologico della riconciliazione » 120
2.2.1. La penitenza: segno sacramentale » 120
2.2.2. Significato pasquale ed escatologico del sacramento
del perdono » 121
2.2.3. La dimensione ecclesiale della riconciliazione » 122
3. ASPETTI CELEBRATIVI E PASTORALI » 123
3.1. Gli elementi del rito » 123
3.1.1. Le accentuazioni del Rito della riconciliazione » 123
3.1.2. Gli atti del sacramento » 124
3.1.3. Gli effetti della penitenza » 125
3.2. Problemi pastorali sullo sfondo » 126
3.2.1. // senso del peccato e del perdono per l'uomo di oggi » 126
3.2.2. La colpa, la conversione e il realizzarsi dell'uomo » 128

Capitolo settimo
L'UNZIONE DEGLI INFERMI » 131
1. L'ESPERIENZA DI G E S Ù E DEGLI APOSTOLI CON GLI AMMALATI » 131
2. L'UNZIONE DEGLI INFERMI NELLA CHIESA » 133
2.1. Nella Chiesa medievale » 133
2.2. Il concilio di Trento » 133
2.3. Il magistero recente » 134
3. SIGNIFICATI DELL'UNZIONE DEGLI INFERMI IN VISTA DELLA SALVEZZA » 134
3.1. La prospettiva antropologica dell'unzione degli infermi » 134
3.2. La dimensione teologale proveniente dal fatto sacramentale.... » 135
3.3. Ulteriori conseguenze » 136
4. LA LITURGIA DEL SACRAMENTO DELL'UNZIONE » 136

Capitolo ottavo
IL S A C R A M E N T O D E L L ' O R D I N E » 139

1. I MINISTERI NELL'ETÀ APOSTOLICA » 140


1.1. Le comunità apostoliche » 140
1.1.1. / ministeri presenti negli scritti apostolici » 140
1.1.2. Gli episcopi e i presbiteri presentano accentuazioni
differenti » 140
1.2. Il ruolo fondante dei ministri nella Chiesa » 141
1.2.1. Il ministero ordinato è strettamente legato al sorgere
della Chiesa » 141
1.2.2. Il carattere oggettivo dell'annuncio » 141
1.2.3. L'annuncio non è un proclama ideologico ma un
evento che crea comunione » 141

191
1.2.4. La dimensione personale dell'annuncio » 142
1.2.5. // ministero a servizio della comunione ecclesiale » 142
1.3. Il delinearsi di figure diverse e complementari nel ministero.... » 143
2. I MINISTERI ORDINATI LUNGO LA STORIA! CENNI » 144
2.1. Il sacramento dell'ordine nella storia antica e medievale .... » 144
2.2. Dal concilio di Trento al Vaticano II » 145
2.2.1. Lutero e il pensiero dei riformatori » 145
2.2.2. Il concilio di Trento » 146
2.2.3. // concilio Vaticano II » 146
2.3. Il ripristino del diaconato p e r m a n e n t e nel Vaticano II » 148
2.3.1. Il diaconato negli interventi del Vaticano II » 148
2.3.2. Altri documenti ecclesiali » 149
3. LINEE TEOLOGICHE DEL MINISTERO ORDINATO » 149
3.1. Il ministro nel suo r a p p o r t o con Cristo e con la Chiesa » 150
3.1.1. «Ognuno ci consideri come ministri di Cristo»
{ICor 4,1) : » 150
3.1.2. // dono di Cristo pastore e la relazione alla Chiesa » 151
3.1.3. // ministro e la dimensione cattolica apostolica ed
escatologica della Chiesa » 154
3.1.4. La caratteristica «spirituale» del ministero » 155
3.2. I compiti del ministero: le missioni apostoliche » 157
3.2.1. Le missioni nella loro pertinenza ecclesiale » 157
3.2.2. // ministero ordinato e il servizio della Parola » 157
3.2.3. Il ministero pastorale » 159
3.2.4. // ministero sacerdotale » 161
4. IL DIACONO PERMANENTE » 163
4.1. La figura sacramentale del diacono » 163
4.1.1. // diaconato nell'insieme dell'ordine ministeriale » 163
4.1.2. «Configurati a Cristo» nel sacramento, i diaconi svol-
gono l'azione ministeriale «in persona Christi» » 163
4.1.3. La particolarità dei compiti diaconali » 164
4.2. Il diaconato «ministero di frontiera»: spunti pastorali » 164
4.,2.1. L'essere laico e ministro ordinato » 165
4.2.2. // diacono e i ministeri laicali » 165
4.3. Valorizzazione del ministero diaconale nella Chiesa » 166
4.3.1. Originalità ed efficacia del servizio diaconale » 166
4.3.2. Creare sensibilità e prospettive di fondo » 166

Capitolo nono
IL M A T R I M O N I O C R I S T I A N O » 169

1. IL MATRIMONIO NELLE RADICI BIBLICHE E CULTURALI » 169


1.1. L'eredità biblica » 169
1.1.1. L'esperienza e la visuale dell'Antico Testamento » 169
1.1.2. Cristo e la realtà del matrimonio » 171
1.1.3. L'eredità cristiana » 172

192
1.2. La dimensione antropologica del matrimonio » 173
1.2.1. Nelle diverse età culturali » 173
1.2.2. La visione personalista dell'età contemporanea » 174
IL MATRIMONIO SACRAMENTO » 176
2.1. Significati teologali del matrimonio » 176
2.1.1. L'amore degli sposi inserito nel mistero di Cristo » 176
2.1.2. Dimensione ecclesiale del matrimonio » 177
2.1.3. La legge nuova dell'amore e l'apertura escatologica » 178
2.2. Caratteristiche specifiche del sacramento » 179
2.2.1. La fedeltà assoluta indicata da Gesù » 179
2.2.2. La celebrazione del matrimonio non ripetibile » 180
PROBLEMI PRATICO-PASTORALI » 183
3.1. Il p r o b l e m a del divorzio e di nuove nozze » 183
3.2. Il matrimonio sacramento e la sua collocazione sociale » 184
3.2.1. // matrimonio ecclesiastico e civile » 184
3.2.2. Prospettive dei nostri giorni » 185
3.3. Il matrimonio: sacramento della fede » 185
3.3.1. Interrogativi sempre attuali » 185
3.3.2. La situazione di persone indifferenti nella fede » 186

193

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