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I volumi di questa collana sono stati curati dal «Dicastero per l’Evangelizzazione.

Sezione per le
questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo».

© 2022, by Dicastero per l’Evangelizzazione. Sezione per le questioni fondamentali


dell’evangelizzazione nel mondo

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La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa

(DV 21-26)

Marco Cardinali

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INDICE

Capitolo 1: Un percorso ancora aperto

Dalla Dei Verbum (1965) alla Verbum Domini (2010)

Il capitolo seso della Dei Verbum e il suo orizzonte

La Parola e il Verbo incarnato

Capitolo 2: Importanza della Sacra Scrittura per la Chiesa

Venerare la Parola

Predicazione ancorata alla Parola

Necessità di traduzioni appropriate e corrette

Capitolo 3: Implicazioni pastorali

La Parola viva

Uso non strumentale della Parola

Il realismo della Parola

Capitolo 4: La Scrittura al di là di ogni frontiera

In dialogo come Gesù

Cristiani ed ebrei di fronte alle Sacre Scritture

Capitolo 5: Impegno apostolico degli studiosi

Accedere alle fonti


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Importanza della Sacra Scrittura per la teologia

Capitolo 6: Si raccomanda la lettura della Sacra Scrittura

Radicati nella Scrittura

Alla scuola della Scrittura

Il vescovo: il pastore che spiana la vita

Comprendere noi stessi alla luce di Dio

Capitolo 7: Sinfonia della Parola di Dio

Analogia della Parola di Dio

Parola di Dio nel libro della natura

Parola di Dio nell’Antico e nel Nuovo Testamento

Per un nuovo inizio… il nostro

Dei Verbum 21-26

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CAPITOLO 1

UN PERCORSO ANCORA APERTO

Tutta l’evangelizzazione è fondata sulla Parola di Dio, ascoltata, meditata, vissuta, celebrata e
testimoniata. La Sacra Scrittura è fonte dell’evangelizzazione. Pertanto, bisogna formarsi continuamente
all’ascolto della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. È
indispensabile che la Parola di Dio “diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale”. La Parola di Dio
ascoltata e celebrata, soprattutto nell’Eucaristia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci
di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana.

(Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n. 174)

L’approvazione della costituzione dogmatica Dei Verbum arrivò dopo un lungo cammino,
quando ormai si era giunti alla fine del concilio Vaticano II e precisamente nel corso della sua
ultima sessione: il 18 novembre 1965. Possiamo dire che il testo stesso sia maturato durante tutto lo
svolgimento del processo conciliare, avendone rappresentato all’inizio la svolta fondamentale. La
costituzione conciliare tocca i fondamenti stessi della fede della Chiesa – la Parola di Dio, la sua
rivelazione e la sua trasmissione tramite la Tradizione vivente e la Sacra Scrittura – ed è quindi
logico che la riflessione che ne ha accompagnato la maturazione abbia costituito, per così dire,
l’humus che ha fecondato tutti i documenti conciliari. La Dei Verbum riassume e presenta una
nuova comprensione, rispetto a concezioni antiche non pienamente adeguate, riguardo alla Parola di
Dio, alla rivelazione e alla fede, al rapporto tra Tradizione e Scrittura, al carisma dell’ispirazione
biblica e alla verità della Bibbia, al valore dell’Antico Testamento per i cristiani, alla storicità dei
vangeli e al posto che alla Bibbia spetta nella vita e nella missione della Chiesa.

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Dal punto di vista strettamente tecnico la costituzione conciliare Dei Verbum è una delle
quattro costituzioni dogmatiche conciliari e il suo oggetto è la divina rivelazione, seppure si occupi
ampliamente di Sacra Scrittura. È costituita da sei capitoli e ventisei paragrafi. Il capitolo VI di cui
ci occupiamo nel presente Quaderno e che si riferisce alla Scrittura, costituisce, per certi aspetti, il
centro dell’intera costituzione dogmatica, seppur il documento conciliare non abbia come oggetto la
Scrittura stessa, cioè il libro sacro, ma la Parola di Dio, cioè l’evento di grazia che la Scrittura
attesta e di cui è peraltro parte integrante. Si manifesta inequivocabilmente la novità della
rivelazione biblica che consiste nel fatto che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con
noi. La costituzione dogmatica Dei Verbum ha esposto magnificamente questa realtà riconoscendo
che «Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi,
per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (DV 2).

Dalla Dei Verbum (1965) alla Verbum Domini (2010)

Per approfondire il nostro documento proporremo in aiuto alcuni passaggi dell’esortazione


apostolica postsinodale Verbum Domini (VD) di Papa Benedetto XVI (30 settembre 2010) – che in
un legame ideale con la Dei Verbum, raccoglie il frutto nato a seguito della celebrazione del Sinodo
dei Vescovi celebrato nel 2008 sul tema: “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”.
Un cammino ancora in corso, dunque, iniziato in quel lontano 1965 proprio grazie alla costituzione
conciliare Dei Verbum e in cui vogliamo vedere una ideale continuazione ed approfondimento di
quanto il concilio Vaticano II ha affermato con essa.

Si deve, infatti, riconoscere – come è scritto VD 3 – «che negli ultimi decenni la vita
ecclesiale ha aumentato la sua sensibilità attorno a questo tema, con particolare riferimento alla
rivelazione cristiana, alla viva Tradizione e alla Sacra Scrittura. A partire dal pontificato di papa
Leone XIII, si può dire che vi sia stato un crescendo di interventi atti a prendere maggiore
consapevolezza dell’importanza della Parola di Dio e degli studi biblici nella vita della Chiesa, che
ha avuto il suo culmine nel concilio Vaticano II, in modo speciale con la promulgazione della
costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum. Essa rappresenta una pietra miliare nel
cammino ecclesiale: “I Padri sinodali… riconoscono con animo grato i grandi benefici apportati da

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questo documento alla vita della Chiesa, a livello esegetico, teologico, spirituale, pastorale ed
ecumenico”. In particolare è cresciuta in questi anni la consapevolezza dell’“orizzonte trinitario e
storico-salvifico della rivelazione” in cui riconoscere Gesù Cristo, quale “mediatore e pienezza di
tutta intera la Rivelazione”. La Chiesa confessa incessantemente ad ogni generazione che lui, “col
fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i
segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine
con l’invio dello Spirito di verità, compie e completa la rivelazione”. È a tutti noto il grande
impulso che la costituzione dogmatica Dei Verbum ha dato per la riscoperta della Parola di Dio
nella vita della Chiesa, per la riflessione teologica sulla divina rivelazione e per lo studio della Sacra
Scrittura. Non pochi sono stati anche gli interventi del Magistero ecclesiale su queste materie negli
ultimi quarant’anni. La Chiesa, nella consapevolezza della continuità del proprio cammino sotto la
guida dello Spirito Santo, con la celebrazione di questo sinodo si è sentita chiamata ad approfondire
ulteriormente il tema della divina Parola, sia come verifica dell’attuazione delle indicazioni
conciliari, sia per affrontare le nuove sfide che il tempo presente pone ai credenti in Cristo».

Il capitolo sesto della Dei Verbum e il suo orizzonte

Con queste premesse ci focalizziamo ora gradualmente e in maniera più diretta alla scoperta
dei paragrafi che vanno dal 21 al 26 della Dei Verbum, dando avvio, dunque, alla nostra conoscenza
di questo capitolo, il sesto, che risulta essere quello conclusivo dell’intera costituzione conciliare
Dei Verbum ed ha per titolo La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa. Esso contiene sei paragrafi
numerati – dal 21 al 26 – ad ognuno dei quali è stato attribuito un titolo proprio. Il lettore attento
avrà notato che il cammino percorso finora, grazie ai precedenti Quaderni della collana dedicata
alla scoperta della presente costituzione conciliare, è stato prevalentemente focalizzato sull’aspetto
teologico. Con questo capitolo, pur rimanendo intrisi ed ancorati alla profondità teologica del testo,
entriamo in un orizzonte più pastorale, potremmo dire più esistenziale e certamente molto
affascinante per il nostro cammino di credenti, poiché si delineano percorsi e tematiche che
coinvolgono in profondità la nostra vita di fede anche negli aspetti più inerenti alla sua quotidianità.
Usiamo il termine orizzonte nell’accezione usata dal grande teologo Bernard Lonergan nel suo Il
metodo in teologia (Brescia 1975, 251), in cui l’orizzonte viene descritto come «la linea su cui la
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terra e il cielo sembrano incontrarsi. Questa linea è il limite del nostro campo visivo. Non appena ci
si avvicina, la linea si allontana; si chiude dietro, cosicché si avranno diversi orizzonti tanti quanti
sono i punti di osservazione. Inoltre per ogni punto di osservazione e orizzonte, ci saranno diverse
divisioni dell’insieme degli oggetti visibili. Oltre l’orizzonte si trovano gli oggetti che, almeno per il
momento, non si possono vedere, dentro l’orizzonte sci sono invece gli oggetti che adesso si
possono vedere».

Questa definizione è da tenere ben presente per tutto il nostro discorso che necessariamente
non può rimanere circoscritto al tempo, al luogo e persino alle parole usate nella costituzione
dogmatica conciliare, ma ne travalica i tempi e i luoghi, irrorando e fecondando i documenti
successivi del Magistero e la vita pastorale stessa della Chiesa contemporanea.

Leggendo integralmente il documento appare chiaro come ognuno dei venti paragrafi
precedenti sia di preparazione e tenda verso questo capitolo finale che si focalizza su un aspetto
peculiare di una teologia che deve diventare prassi e vita del credente per non rischiare di rimanere
teorica e totalmente distante dal vissuto quotidiano. Si è partiti da una premessa teologica
fondamentale, quella della definizione di cosa sia la rivelazione; ora l’intento è quello di parlare
dell’esistenza, della prassi, della vita stessa della Chiesa. Quest’ultimo capitolo, infatti, diventa
decisivo per passare dalla definizione di rivelazione, intesa come dialogo tra Dio e l’uomo, alla
prassi e allo sperimentare pienamente il fatto mirabile che Dio esce da sé per andare incontro
all’uomo in una modalità unica, in quel rapporto fondamentale che esiste tra Sacra Scrittura e
Chiesa. Se nei capitoli precedenti ci si è occupati di aspetti peculiari della rivelazione, del Dio che
esce da sé per rivelarsi, ora la nostra attenzione viene spostata anche sull’altro soggetto di questo
dialogo e cioè l’uomo o meglio ancora la Chiesa che è destinataria della rivelazione e che la
accoglie come un dono immenso, unico e prezioso.

La Parola e il Verbo incarnato

Dio si fa conoscere all’umanità, anche quella di oggi, come mistero di amore infinito in cui
il Padre dall’eternità esprime la sua Parola nello Spirito Santo. Come sottolinea chiaramente la
Verbum Domini al paragrafo 15, non esiste, infatti, alcuna comprensione autentica della rivelazione
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cristiana al di fuori dell’azione del Paraclito. Ciò dipende dal fatto che la comunicazione che Dio fa
di sé stesso implica sempre la relazione tra il Figlio e lo Spirito Santo, che Ireneo di Lione, infatti,
chiama «le due mani del Padre» (Adversus haereses, IV, 7, 4). Del resto, è la Sacra Scrittura stessa
ad indicarci la presenza dello Spirito Santo nella storia della salvezza ed in particolare nella vita di
Gesù, il quale è concepito dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo (cfr. Mt 1,18; Lc 1,35);
all’inizio della sua missione pubblica, sulle rive del Giordano, lo vede scendere su di sé in forma di
colomba (cfr. Mt 3,16); in questo stesso Spirito Gesù agisce, parla ed esulta (cfr. Lc 10,21); ed è
nello Spirito che egli offre sé stesso (cfr. Eb 9,14). Sul finire della sua missione, secondo il racconto
dell’evangelista Giovanni, è Gesù stesso a mettere in chiara relazione il dono della sua vita con
l’invio dello Spirito ai suoi (cfr. Gv 16,7). Gesù risorto, poi, portando nella sua carne i segni della
passione, effonde lo Spirito (cfr. Gv 20,22), rendendo i suoi partecipi della sua stessa missione (cfr.
Gv 20,21). Lo Spirito Santo insegnerà ai discepoli ogni cosa e ricorderà loro tutto ciò che Cristo ha
detto (cfr. Gv 14,26), poiché sarà lui, lo Spirito di Verità (cfr. Gv 15,26), a condurre i discepoli alla
verità tutta intera (cfr. Gv 16,13). Infine, come si legge negli Atti degli Apostoli, lo Spirito discende
sui Dodici radunati in preghiera con Maria nel giorno di Pentecoste (cfr. At 2,1-4), e li anima alla
missione di annunciare a tutti i popoli la Buona Novella.

Da tutto ciò deriva il fatto che il Verbo, che dal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio
stesso nel dialogo di amore tra le Persone divine e ci invita a partecipare ad esso. Pertanto, fatti ad
immagine e somiglianza di Dio amore, possiamo comprendere noi stessi solo nell’accoglienza del
Verbo e nella docilità all’opera dello Spirito Santo. È alla luce della rivelazione operata dal Verbo
divino che si chiarisce definitivamente l’enigma della condizione umana ed è in questa relazione
preziosa con lui che si riscopre la nostra esistenza. La Chiesa è consapevole del significato
fondamentale della Parola di Dio in riferimento all’eterno Verbo di Dio fatto carne, unico salvatore
e mediatore tra Dio e l’uomo, ed in ascolto di questa Parola, siamo condotti dalla rivelazione biblica
a riconoscere che essa è il fondamento di tutta la realtà.

Dobbiamo, però, avere presente che, se oggi questa preminenza e relazione appare chiara,
così non è sempre stato nel corso del tempo, proprio per le differenti visioni che nella storia della
Chiesa si sono riscontrate circa il rapporto stesso tra Chiesa e Scrittura. In alcuni casi, infatti, tale
rapporto non è stato in ogni suo momento all’insegna dell’equilibrio. Dal punto di vista teologico ci
sono stati momenti, e vi sono tutt’ora tentativi in tal senso, in cui la grande tentazione è stata quella
di concepire l’autorità della Scrittura indipendentemente dalla Chiesa e viceversa, come se le due
realtà potessero esistere indipendentemente l’una dall’altra. Porre l’accento solo su uno dei due
elementi espone a pericolosissimi rischi di assolutizzazione da non sottovalutare. Un primo rischio è

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riferirsi alla Scrittura come norma assoluta ed unica della fede, come soggetto a sé stante e separato
quindi dalla dimensione ecclesiale. Il secondo rischio è fare il contrario e non vivere la vita della
Chiesa alla luce della Scrittura, tendendo magari, come in certe epoche storiche è accaduto, a forme
di pietà devozionali non radicate nella Scrittura. Tale rischio non è del tutto debellato ed è sempre
possibile anche nel mondo contemporaneo.

1.

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CAPITOLO 2
IMPORTANZA DELLA SACRA SCRITTURA PER LA CHIESA

Dei Verbum 21 ha per titolo “Importanza della sacra Scrittura per la Chiesa”. In esso si parla
proprio della relazione essenziale esistente tra Scrittura e Chiesa. Il documento sottolinea quasi
subito tale relazione speciale, evidenziando in maniera chiara che la Chiesa, «[i]nsieme con la Sacra
Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della
propria fede». Non c’è l’assoluto o il monopolio della Scrittura o della Tradizione, ma Scrittura e
Tradizione diventano insieme la regola suprema della fede.

Venerare la Parola

A questo punto vogliamo subito sottolineare un elemento che seppur nuovo nella sua
formulazione, all’epoca in cui è stato scritto, diventa essenziale e fondamentale per la riflessione
teologica della Chiesa intera e quindi per ciascun credente. Proprio all’inizio del paragrafo, infatti,
viene vividamente posta davanti ai nostri occhi l’immagine della Chiesa che venera le Sacre
Scritture come fa con il Corpo stesso di Cristo, quelle medesime Scritture che sono sempre presenti
durante la liturgia e in modo del tutto speciale durante la celebrazione dell’Eucaristia. Il verbo
venerare è un verbo che sprigiona una forza intrinseca, indicando allo stesso tempo il parallelismo e
la relazione tra sacramento e Scrittura. Come afferma papa Francesco nella sua enciclica Evangelii
Gaudium al nr. 174, «abbiamo ormai superato quella vecchia contrapposizione tra Parola e
sacramento. La Parola proclamata, viva ed efficace, prepara la recezione del sacramento, e nel
sacramento tale Parola raggiunge la sua massima efficacia». In altri termini potremmo dire che la
mensa è certamente unica, ma che essa è fatta di Parola e sacramento. Il linguaggio è quello proprio
dell’adorazione e di quando parliamo dell’Eucaristia. La Chiesa venera l’Eucaristia, quindi il Corpo
stesso di Cristo, e venera al contempo la Scrittura. Le Sacre Scritture sono ispirate da Dio e

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«comunicano immutabilmente la Parola di Dio e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli
Apostoli la voce dello Spirito Santo». Si entra così ancor più profondamente in una dimensione
trinitaria che esce da sé stessa: Dio che si rivela e vuole comunicare con la Chiesa, sua sposa e lo fa
per mezzo della Tradizione e della Scrittura in cui risuona la voce stessa dello Spirito Santo.

Predicazione ancorata alla Parola

Per questo è fondamentale che la predicazione stessa della Chiesa parta dal fondamento
della Sacra Scrittura che è in relazione strettissima con la Tradizione. Proprio nei “libri sacri”,
dunque, il Padre che è nei cieli entra in relazione amorevole e misericordiosa con i suoi figli tramite
la Parola a cui Dio stesso ha dato “efficacia e potenza” rendendola nutrimento dell’anima, sostegno
e vigore della Chiesa e forza per ciascuna figlia e figlio della Chiesa. Il documento usa
un’espressione piena di delicatezza quando parla di un Padre che “entra in conversazione” con i
suoi figli. Non è forse tutto questo un dono gratuito meraviglioso? Per questo è importante
ascoltare, vivere ed accogliere la Parola della Scrittura, in sintonia con la Tradizione e la vita
sacramentale della Chiesa, in una cornice liturgica e un clima spirituale che nasce proprio dal dono
della Parola. Non esiste vera preghiera che non sia radicata nella Scrittura, come d’altro canto non
sussisterebbe la predicazione e la vita stessa della Chiesa, che è conscia di quanto sia «viva ed
efficace la parola di Dio» (Eb 4,12) e di quanto essa abbia «il potere di edificare e concedere
l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati» (At 20,32).

Come ci ricorda DV 7, Gesù Cristo stesso «ordinò agli Apostoli che l’Evangelo, prima
promesso per mezzo dei profeti e da lui adempiuto e promulgato di persona venisse da loro
predicato a tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale, comunicando ad essi i
doni divini. Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli Apostoli, i quali nella predicazione orale,
con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo vivendo
con lui e guardandolo agire, sia ciò che avevano imparato dai suggerimenti dello Spirito Santo,
quanto da quegli Apostoli e da uomini della loro cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito Santo,
misero per scritto il messaggio della salvezza».

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A questo punto risulta più chiaro il senso ed il valore decisivo della viva Tradizione e delle
sacre Scritture nella Chiesa. Infatti, poiché Dio «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio
unigenito» (Gv 3,16), la Parola divina, pronunciata nel tempo, si è donata e «consegnata» alla
Chiesa in modo definitivo, cosicché l’annuncio della salvezza possa essere comunicato
efficacemente in tutti i tempi e in tutti i luoghi.

Necessità di traduzioni appropriate e corrette

Nel paragrafo 22 del documento conciliare si affronta un tema che oggi può apparire del
tutto risolto, scontato e quasi fin troppo ovvio, ma che da un certo punto in poi della storia della
Chiesa, fino ad arrivare al concilio Vaticano II, invece, non lo era affatto. Il documento, infatti,
inizia con un’affermazione sorprendente e di una portata inaudita che ne esprime tutta l’urgenza: la
necessità che «tutti i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura». Non è un consiglio, un
auspicio, un desiderio, ma una vera e propria necessità a cui la Chiesa deve far fronte, di cui deve
prendersi carico con grande vigore. Ma da dove è nata questa esigenza? Oggi abbiamo traduzioni
diverse della Bibbia, in varie lingue, accediamo senza particolari problemi a qualunque versione e
traduzione tramite internet in ogni angolo del globo. Prima del concilio, però, i fedeli laici non
avevano “largo accesso alla Sacra Scrittura”, anzi possiamo spingerci a dire che, in un certo modo,
essa era stata marginalizzata all’interno della prassi ecclesiale ed in parte anche della discussione
teologica. L’accesso ad essa era agevole per i vescovi ed i sacerdoti, anche per la loro conoscenza
del latino che era al tempo la lingua ufficiale della Chiesa, non era però così per chiunque altro.

Nell’affermazione «tutti i fedeli abbiano largo accesso alla sacra Scrittura» c’è tutta la forza
di una rivoluzione che orienta in maniera decisa la bussola della Chiesa verso l’essenziale, verso
quel nutrimento ricco ed unico che non può essere riservato a pochi quasi fosse un privilegio, ma
deve essere aperto a tutti come dono ed impegno. La Chiesa è conscia della necessità di mettere la
Parola di Dio a disposizione di tutti; quindi ha un dovere al riguardo e deve fare in modo che
esistano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue «a partire dai testi originali dei sacri
libri». C’è da soffermarsi a riflettere sul cambiamento epocale che è avvenuto con questa
indicazione del concilio Vaticano II. Per i cristiani di oggi sarebbe impensabile nutrire e vivere la

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propria fede mettendo la Scrittura da parte. In uno sforzo di immaginazione dobbiamo tornare, però,
indietro ad un tempo in cui la Scrittura non giocava un ruolo così centrale nella prassi della vita di
fede dei cattolici, né tantomeno aveva un ruolo preminente in ambiti quali la preghiera, la
meditazione e in generale nella vita spirituale e questo per ragioni storiche precise la cui
illustrazione esula ora dal nostro cammino alla scoperta del capitolo VI della Dei Verbum. Solo a
mo’ di esempio: la lectio divina era relegata agli ambienti monastici, così come sarebbe stata
impensabile la preghiera della Liturgia delle Ore per come la conosciamo oggi da pregare in casa
propria e magari insieme alla propria famiglia. In casa era praticamente impossibile avere una
Bibbia, anche perché non era permesso e pur potendola ipoteticamente avere chi avrebbe potuto
leggerla e comprenderla?

In parole povere possiamo dire che la Scrittura non era la norma della fede, almeno non era
direttamente accessibile, non era il punto di partenza della preghiera, della spiritualità, della vita
cristiana. Se la regola e norma della fede è la Scrittura consegnata, “tramandata” appunto dalla
Tradizione, il fatto che nella prassi ciò non fosse visibile e neanche pensabile ha aperto il campo ad
eventuali e reali problematiche che con questo documento conciliare sono state evitate e risolte.
Oggi risulta assolutamente chiaro questo aspetto; il problema semmai è la serietà con cui il credente
si pone di fronte al tesoro della Scrittura e della Tradizione, quale scrigno aperto da cui attingere
tesori tanto antichi quanto sempre nuovi. Le implicazioni e le possibili applicazioni pastorali che ne
derivano risultano fondamentali.

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CAPITOLO 3
IMPLICAZIONI PASTORALI

Un luogo, che si sostanzia e prende forma dalla Parola di Dio, è la nostra preghiera
personale e comunitaria – liturgica e non – che nella Scrittura affonda le sue radici e che grazie ad
essa ci apre alla carità e all’amore per Dio e per il prossimo. Non dimentichiamo, poi, che
probabilmente senza la Dei Verbum sarebbe stato molto difficile il fiorire nella Chiesa di quei nuovi
carismi suscitati dallo Spirito Santo che vanno sotto il nome di movimenti ecclesiali, fondati anche
da laici e radicati sulla Parola di Dio… cosa assolutamente impensabile prima del Vaticano II.

La Parola viva

Se la Bibbia non è – come non è – un feticcio a cui rifarsi rigidamente e non è usata come
uno dei tanti volumi che sono sugli scaffali della nostra biblioteca, la Scrittura diventa viva per chi
vi si accosta, è attivamente efficace donando ciò che dice, in modo analogo di quanto avviene per i
sacramenti che realizzano ciò che esprimono. La Scrittura non è cristallizzata, immobile, senza vita,
come se fosse congelata in un libro; essa diventa Parola viva quando è posta nel suo ambiente ideale
e fecondo, cioè, la Tradizione e la comunità, sotto la forza dello Spirito Santo. Potremmo più
semplicemente affermare che quando è nella Chiesa – con tutto ciò che abbiamo visto finora e ciò
che vedremo ancora – la Scrittura diventa vivificante, riesce cioè a donare la vera vita, illuminando
e corroborando l’esistenza personale, comunitaria e sociale dei credenti. La Parola di Dio che ha al
centro, anzi come sorgente e fine Gesù stesso, acquista tutta la sua forza e capacità di illuminare i
credenti quando si accosta alla presenza stessa di Gesù, nell’Eucaristia e in modo più generale in
tutti i sacramenti che sono segni potenti dell’incontro con Cristo. La proclamazione della Parola ha,
infatti, la sua cornice privilegiata nella celebrazione eucaristica e nella liturgia.

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Uso non strumentale della Parola

Da qui deriva una riflessione pratica importate anche ad un livello più personale. Bisogna
che ciascuno di noi rifletta sull’uso che fa della Scrittura, troppe volte strumentalizzata, piegata a
ciò che noi vogliamo dire. Un uso spesso giudicante o finalizzato a manifestare la nostra egemonia
sugli altri senza alcuna misericordia e senza una reale aderenza al senso più profondo del testo.
Naturalmente appare chiaro, a fronte di una seria riflessione, che non può essere l’uso che il
cristiano deve fare della Scrittura che perderebbe il suo vero significato venendo imprigionata per i
nostri biechi scopi personali. Dobbiamo permettere alla Scrittura di diventare, per noi e per
chiunque vi si accosti, pane vivo che ci nutre; diventare “spiritualità”, vita interiore, motivazione;
una Scrittura che lasciamo libera di operare sapientemente, sapendo che è capace di creare in noi
una nuova mentalità, un nuovo modo di vedere il mondo, cioè in altre parole la conversione. Non si
tratta solo di elucubrazioni mentali, di sogni, di pie aspirazioni che, quando va bene, rimangono ad
un livello meramente teorico, con l’unico risultato di farci sentire migliori degli altri.

Papa Francesco ha sottolineato innumerevoli volte il rischio del giudizio che ci erge a
giudici superiori rispetto alla sorella e al fratello che ci è accanto. Il 23 giugno 2014, nella sua
omelia durante la messa a Santa Marta, ebbe a dire: «Per questo chi giudica sbaglia, semplicemente
perché prende un posto che non è per lui. Ma non solo sbaglia, anche si confonde. È tanto
ossessionato da quello che vuole giudicare, da quella persona – tanto, tanto ossessionato! – che
quella pagliuzza non lo lascia dormire! “Ma, io voglio toglierti quella pagliuzza!”… E non si
accorge della trave che lui ha. Confonde: crede che la trave sia quella pagliuzza. Confonde la realtà.
È un fantasioso. E chi giudica diventa uno sconfitto, finisce male, perché la stessa misura sarà usata
per giudicare lui. Il giudice che sbaglia posto perché prende il posto di Dio – superbo, sufficiente –
scommette su una sconfitta. E qual è la sconfitta? Quella di essere giudicato con la misura con la
quale lui giudica». Possiamo dire che il cammino pratico, esistenziale e spirituale che scaturisce dal
documento in esame, a livello più pastorale ha come finalità proprio il cammino del credente verso
ed accanto a Colui che solo può donargli la vita, la luce e la grazia di poter guardare con occhi
nuovi sé stesso e gli altri.

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Il realismo della Parola

Come ben esplicitato dalla Verbum Domini al paragrafo 10, «chi conosce la divina Parola
conosce pienamente anche il significato di ogni creatura. Se tutte le cose, infatti, “sussistono” in
Colui che è “prima di tutte le cose” (cfr. Col 1,17), allora chi costruisce la propria vita sulla sua
Parola edifica veramente in modo solido e duraturo. La Parola di Dio ci spinge a cambiare il nostro
concetto di realismo: realista è chi riconosce nel Verbo di Dio il fondamento di tutto. Di ciò
abbiamo particolarmente bisogno nel nostro tempo, in cui molte cose su cui si fa affidamento per
costruire la vita o su cui si è tentati di riporre la propria speranza, rivelano il loro carattere effimero.
L’avere, il piacere e il potere si manifestano prima o poi incapaci di compiere le aspirazioni più
profonde del cuore dell’uomo. Egli, infatti, per edificare la propria vita ha bisogno di fondamenta
solide, che rimangano anche quando le certezze umane vengono meno. In realtà, poiché “per
sempre, o Signore, la tua parola è stabile nei cieli” e la fedeltà del Signore dura “di generazione in
generazione” (Sal 119,89-90), chi costruisce su questa Parola edifica la casa della propria vita sulla
roccia (cfr. Mt 7,24). Che il nostro cuore possa dire ogni giorno a Dio: “Tu sei mio rifugio e mio
scudo: spero nella Tua parola” (Sal 119,114) e come San Pietro possiamo agire ogni giorno
affidandoci al Signore Gesù: “sulla Tua parola getterò le reti” (Lc 5,5)».

Ancora in Verbum Domini troviamo alcune indicazioni che dovrebbero permeare ogni nostra
azione, ogni nostro atto educativo e di fede ed ogni altra azione quotidiana: «Avvertiamo tutti
quanto sia necessario che la luce di Cristo illumini ogni ambito dell’umanità: la famiglia, la scuola,
la cultura, il lavoro, il tempo libero e gli altri settori della vita sociale. Non si tratta di annunciare
una parola consolatoria, ma dirompente, che chiama a conversione, che rende accessibile l’incontro
con lui, attraverso il quale fiorisce un’umanità nuova» (VD 93). «C’è uno stretto rapporto tra la
testimonianza della Scrittura, come attestazione che la Parola di Dio dà di sé, e la testimonianza di
vita dei credenti. L’una implica e conduce all’altra. La testimonianza cristiana comunica la Parola
attestata nelle Scritture. Le Scritture, a loro volta, spiegano la testimonianza che i cristiani sono
chiamati a dare con la propria vita. Coloro che incontrano testimoni credibili del Vangelo sono
portati così a constatare l’efficacia della Parola di Dio in quelli che l’accolgono» (VD 97).

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CAPITOLO 4

LA SCRITTURA AL DI LÀ DI OGNI FRONTIERA

Desideriamo soffermarci ancora sul paragrafo 22 della Dei Verbum e su un’ultima


sollecitazione contenuta nell’affermazione conclusiva: «Se, per una ragione di opportunità e col
consenso dell’autorità della Chiesa, queste [le traduzioni] saranno fatte in collaborazione con i
fratelli separati, potranno essere usate da tutti i cristiani». La Chiesa, infatti, oltre ad aprire il tesoro
della Scrittura ai cattolici, rivolge il proprio sguardo a tutti i cristiani, veramente tutti, includendo
quei fratelli e sorelle che nel corso del tempo hanno preso strade diverse separandosi dalla Chiesa di
Roma ed auspica una collaborazione tra le varie denominazioni cristiane, affinché, ove possibile, si
arrivi ad un lavoro comune nel realizzare traduzioni della Scrittura che possano essere usate da tutti
i cristiani. Con questo breve paragrafo della Dei Verbum, pertanto si apre così un sentiero fino ad
allora inesplorato che ha dato e continua a dare frutti positivi, aprendo la possibilità di un lavoro, di
uno studio e di uno sforzo comune sia in campo esegetico, oltre che nell’ottica di un proficuo
dialogo ecumenico.

In dialogo come Gesù

La Parola di Dio valica le frontiere poste dall’uomo e giunge lì dove vivono uomini e donne
anche di altre religioni o di cultura solo laica, con cui intende entrare in un dialogo che salva, come
faceva Gesù iniziando la proclamazione del Vangelo nella «Galilea delle genti» (Mt 4,15).
L’intenzione è quella di voler rendere la fede cristiana significativa e plausibile nel contesto delle
culture che caratterizzano il tempo moderno e contemporaneo, aprendo, così, un orizzonte fino ad
allora precluso, che agevola l’ingresso, in quei luoghi nei quali la Parola di Dio ha la possibilità, con
la sua stessa forza e potenza, di plasmare, informare, rendere sostanziale la vita di fede dei credenti.

19
Pensiamo al primo e più importante di questi luoghi, la liturgia, dove la Parola di Dio gioca
un ruolo determinante e decisivo. Ricordiamo che al numero 21 abbiamo letto: «La Chiesa ha
sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancano mai,
soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane della vita dalla mensa sia della Parola di Dio che
del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli». È un nuovo movimento dinamico che coinvolge tutta la
Chiesa; i suoi membri ordinati, come i fedeli laici, che con differenti modalità, carismi e servizi
partecipano all’unica fonte di salvezza che è Cristo stesso.

Cristiani ed ebrei di fronte alle sacre Scritture

A conclusione della trattazione del paragrafo 22, non possiamo non menzionare la speciale
relazione che, anche a questo riguardo, esiste tra cristiani ed ebrei. La Dei Verbum non cita
esplicitamente la religione ebraica, ma essa è ovviamente parte integrante di quanto detto, anzi
diremmo ha un posto unico e privilegiato, che proprio anche grazie a questo documento ha visto
negli anni successivi una relazione e un dialogo sempre più fecondi. Verbum Domini al nr. 43, ad
esempio, scrive che, «considerando le strette relazioni che legano il Nuovo Testamento all’Antico,
viene spontaneo volgere ora l’attenzione al legame peculiare che ne deriva tra cristiani ed ebrei, un
legame che non dovrebbe mai essere dimenticato. Agli ebrei, il papa Giovanni Paolo II ha
dichiarato: siete i “nostri ‘fratelli prediletti’ nella fede di Abramo, nostro patriarca” (Giovanni Paolo
II, Messaggio al Rabbino Capo di Roma, 22 maggio 2004: Insegnamenti, XXVII, 1 2004, 655).
Certo, queste affermazioni non significano misconoscimento delle rotture affermate nel Nuovo
Testamento nei confronti delle istituzioni dell’Antico Testamento e meno ancora dell’adempimento
delle Scritture nel mistero di Gesù Cristo, riconosciuto Messia e Figlio di Dio. Tuttavia, questa
differenza profonda e radicale non implica affatto ostilità reciproca. L’esempio di San Paolo (cfr.
Rm 9–11) dimostra, al contrario, che “un atteggiamento di rispetto, di stima e di amore per il popolo
ebraico è il solo atteggiamento veramente cristiano in questa situazione che fa misteriosamente
parte del disegno, totalmente positivo, di Dio”. San Paolo, infatti, afferma che, “quanto alla scelta di
Dio, [gli ebrei] sono amati, a causa dei padri; infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!”
(Rm 11,28-29).

20
Inoltre, San Paolo usa la bella immagine dell’albero di olivo per descrivere le relazioni
molto strette tra cristiani ed ebrei: la Chiesa dei gentili è come un germoglio di olivo selvatico,
innestato nell’albero di olivo buono che è il popolo dell’Alleanza (cfr. Rm 11,17-24). Traiamo,
quindi, il nostro nutrimento dalle medesime radici spirituali. Ci incontriamo come fratelli, fratelli
che in certi momenti della loro storia hanno avuto un rapporto teso, ma che adesso sono fermamente
impegnati nella costruzione di ponti di amicizia duratura». Ebbe a dire ancora il papa Giovanni
Paolo II: «Abbiamo molto in comune. Insieme possiamo fare molto per la pace, per la giustizia e
per un mondo più fraterno e più umano». Papa Benedetto XVI e papa Francesco in modi diversi non
hanno mancato di riaffermare quanto prezioso sia per la Chiesa il dialogo con gli ebrei. È bene che
dove si scorga l’opportunità si creino possibilità di incontro anche pubbliche e di confronto che
favoriscano l’incremento della conoscenza reciproca, della stima vicendevole e della collaborazione
anche nello studio stesso delle Sacre Scritture. Nella sua visita alla comunità ebraica di Roma il
Santo Padre Francesco arrivò a dire: «Ebrei e cristiani, fratelli e sorelle nell’unica famiglia di Dio,
che li protegge come suo popolo». Quanta ricchezza è scaturita dopo la Dei Verbum in questo
ambito!

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CAPITOLO 5

IMPEGNO APOSTOLICO DEGLI STUDIOSI

Nel paragrafo 23 del sesto capitolo della Dei Verbum, si affronta la necessità di uno studio
accurato della Scrittura da parte di teologi ed esegeti e del loro peculiare compito apostolico al
servizio della Chiesa intera. Anche in questo aspetto il documento risulta particolarmente
innovativo. Oggi ciascuno di noi ha a disposizione una grande quantità di sussidi, di studi, di
commentari e di strumenti, anche multimediali e questo anche grazie alla Dei Verbum che afferma:
«Gli esegeti cattolici poi, e gli altri cultori di sacra teologia, collaborando insieme con zelo, si
adoperino affinché, sotto la vigilanza del sacro Magistero, studino e spieghino con gli opportuni
sussidi le divine lettere, in modo che il più gran numero possibile di ministri della divina Parola
siano in grado di offrire con frutto al popolo di Dio l’alimento delle Scritture». I primi destinatari
diretti di un tale tipo di studio e di approfondimento biblico risultano quindi gli stessi «ministri della
divina Parola», coloro che nella Chiesa svolgono, a livello ministeriale, il servizio della
predicazione e dell’annuncio del Vangelo, anche se vi è un ovvio altro destinatario indiretto che
risulta essere tutto il popolo di Dio a cui quegli stessi pastori devono insegnare l’amore per la
Scrittura.

Accedere alle fonti

Dato che per un cattolico non era possibile accedere alla fonte originaria, la Scrittura stessa,
non vi era alcun motivo per pensare a sussidi che potessero aiutare ad approfondire e radicare la
fede su quella roccia che è la Parola di Dio e probabilmente i pastori non sentivano come urgente
l’impegno a trasmettere l’amore e la conoscenza per le Scritture. L’approccio alla Scrittura, infatti,
era pensato per lo più con mere finalità di studio e riservato a coloro che intraprendevano il
cammino verso il sacerdozio, questo ad esclusione dell’ambito monastico in cui la lectio divina è

22
nata ed ha avuto nel corso dei secoli un suo proprio carattere, capace di superare il livello di solo
studio per entrare in un ambito più esistenziale-esperienziale.

In quanto cristiani che vivono questo tempo giubilare abbiamo una grazia enorme che altri
cristiani in tempi passati non hanno avuto: una ricchezza di fonti a cui attingere e con cui
approfondire la nostra vita di fede. Il compito stesso dell’esegeta e del teologo oggi è non fine a sé
stesso; la loro ricerca non è destinata a pochi studiosi da biblioteca, ma aperta al mondo, non solo
per ragioni accademiche o scientifiche, ma anche perché parte integrante dell’impegno apostolico,
che assume la fisionomia di un vero e proprio servizio ecclesiale. Per questo la «Sposa del verbo
incarnato, la Chiesa, ammaestrata dallo Spirito Santo, si preoccupa di raggiungere un’intelligenza
sempre più profonda delle Sacre Scritture per poter nutrire di continuo i suoi figli con le divine
parole» (DV 23). Interessante è l’uso dell’espressione: “nutrire di continuo”, che offre
plasticamente l’immagine di un lavoro instancabile e incessante che non conosce fine; come non ha
fine il movimento delle onde del mare o come non conosce fine la nostra fame e sete che necessita
ogni giorno di cibo e di bevanda. Non è un lavoro singolo, compiuto una volta per tutte, né per lo
studioso, né per il credente, ma un vero e proprio progetto di vita, una chiamata ad entrare e a saper
leggere (intelligere) la Scrittura che è «l’alimento che illumina la mente, corrobora le volontà e
accende i cuori degli uomini all’amore di Dio» (DV 23). Proprio quest’ultima affermazione ci
spinge porta a riflettere su un aspetto importante che rende lo studio della Scrittura posto ai fini
della Carità e dell’amore. Non è con finalità intellettualistiche che la nostra mente deve essere
illuminata, la nostra volontà deve essere corroborata e il nostro cuore acceso dalla Parola di Dio, ma
per un fine preciso: crescere nell’amore di e per Dio alfine di crescere in quello per il nostro
prossimo.

Sullo studio della Parola di Dio, il santo padre Francesco nella sua enciclica Evangelii
Gaudium, (2015) nei punti 135-137 afferma: «Lo studio della Sacra Scrittura dev’essere una porta
aperta a tutti i credenti. È fondamentale che la Parola rivelata fecondi radicalmente la catechesi e
tutti gli sforzi per trasmettere la fede. L’evangelizzazione richiede la familiarità con la Parola di Dio
e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio
serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e
comunitaria. Noi non cerchiamo brancolando nel buio, né dobbiamo attendere che Dio ci rivolga la
parola, perché realmente “Dio ha parlato, non è più il grande sconosciuto, ma ha mostrato sé
stesso”. Accogliamo il sublime tesoro della Parola rivelata».

23
Importanza della Sacra Scrittura per la teologia

Un altro di quei luoghi preziosi in cui la Parola di Dio ha un ruolo essenziale è la teologia.
La riflessione della Chiesa deve, infatti, necessariamente avere come anima la Scrittura.
Sembrerebbe un’ovvietà, ma non è sempre stato così o manifestato così chiaramente. Si può parlare
di Dio partendo da definizioni filosofiche e così molte volte è avvenuto, ma per parlare del Dio di
Gesù Cristo, del Dio dei cristiani bisogna partire dalla Scrittura e dalla rivelazione. Il paragrafo 24
della Dei Verbum allarga ulteriormente lo sguardo aperto dal paragrafo precedente, focalizzandosi
proprio sulla teologia che «si basa come su un fondamento perenne sulla Parola di Dio scritta,
inseparabile dalla Tradizione». Proprio per mezzo della Scrittura la teologia non rimane chiusa in
formulazioni stantie e non più comprensibili, ma ringiovanisce sempre e si consolida vigorosamente
«scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo». Un compito altissimo
quello della teologia che non è una monade e per giunta monolitica. Essa non esiste solo in quanto
pensiero, metodo e linguaggio proprio, quasi fosse avulsa da qualsiasi altro orizzonte, ma in quanto
scruta il mistero di Cristo alla luce della fede.

Il fondamento è chiaro ed è il Dio di Gesù Cristo; nella consapevolezza che «le Scritture
contengono la Parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente Parola di Dio» lo studio delle sacre
pagine deve essere pertanto «come l’anima della sacra teologia». A conclusione del paragrafo si
sottolinea come anche «il ministero della Parola, cioè la predicazione pastorale, la catechesi e ogni
tipo di istruzione cristiana» trovi nella Scrittura quel «sano nutrimento e santo vigore di cui
necessita» e questo vale a maggior ragione nell’omelia in cui la Scrittura deve avere un posto
privilegiato. Potremmo domandarci se tale aspetto sia ancora oggi seriamente preso in
considerazione nell’omiletica, ma questo non rientra nell’indagine del nostro documento anche se
vale la pena almeno accennare alla domanda. Ciò che conta veramente è che dal testo appaia
chiarissimo che per parlare del mistero stesso di Dio, compito primo della teologia, si debba
necessariamente partire dalla Scrittura, altrimenti sarebbe come voler solcare gli Oceani senza
l’acqua del mare con un unico risultato: missione impossibile!

24
CAPITOLO 6

SI RACCOMANDA LA LETTURA DELLA SACRA SCRITTURA

Il paragrafo 25 del documento prosegue nel solco tracciato dal precedente, con una
raccomandazione importante che risulta evidente dal suo stesso titolo «Si raccomanda la lettura
della sacra Scrittura». Si insiste sulla necessità «che tutti i chierici, principalmente i sacerdoti e
quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente al ministero della Parola, conservino
un contatto continuo con le Scritture mediante una lettura spirituale assidua e uno studio accurato».
Tale invito appare frutto di una necessità. Non si tratta, infatti, di un mero suggerimento o di un
consiglio. Si richiede, ad esempio, di «conservare un contatto continuo» con le Scritture. Il verbo
conservare indica una continuità di azione che non vede una soluzione di sorta e che resta esigenza
permanente. Bisogna quindi conservare in maniera perseverante e continuativa una relazione, vera,
reale e concreta a tal punto che nel documento si parla di “contatto”, vocabolo che ha in sé proprio
l’idea tattile, sensoriale, quasi materica e che si riferisce ad un rapporto concreto, non basato sulla
mera teoria.

Radicati nella Scrittura

La Chiesa insiste nell’invitare chiunque svolga il ministero della predicazione - in primis i


sacerdoti e i diaconi e poi chi svolge tale servizio in campo catechetico - ad entrare in contatto
profondo con la Scrittura. Questa raccomandazione è in vista del nutrimento e dell’accrescimento
spirituale, ma anche per evitare quel rischio paventato da Sant’Agostino, cioè, che chi studia la
Scrittura si allontani da una lettura sapienziale per diventare, come diremmo noi oggi, un
“professionista della parola” erudito, ma senz’anima «un vano predicatore della Parola di Dio
all’esterno» senza ascoltarla «dentro di sé» (Serm. 179, 1:PL 38,966). Un chierico non può
annunciare il Vangelo e parlarne seriamente se non testimoniandolo con la propria vita e questo può
25
accadere solo rimanendo in contatto assiduo con la Parola di Dio e lasciandosi trasformare da essa.
Non si tratta, infatti, semplicemente di dire qualcosa, di trasmettere i propri ragionamenti e di farlo
in maniera più o meno efficace a seconda del grado di cultura o della capacità comunicativa. Non si
tratta di usare la propria arguzia nel creare post o podcast efficaci per gli ormai onnipresenti social
media, a caccia magari di qualche like. Siamo testimoni e comunicatori credibili della Parola di Dio
solo quando entriamo per primi e con amore, in questa speciale relazione con la Parola di Dio, in
cui si gioca la nostra stessa esistenza e tutto ciò che è fondamentale ed importante nella nostra vita

Il punto di partenza, il soggetto non è l’uomo che è piuttosto il destinatario, il referente,


perché il soggetto a cui riferirsi è la Parola di Dio. L’uomo deve, infatti, attingere a tale tesoro con
tutti i mezzi a propria disposizione, ma solo con la grazia di Dio, sarà capace di mettersi nella
condizione di «partecipare ai fedeli a lui affidati le sovrabbondanti ricchezze della Parola divina»,
trasmettendo - come direbbe San Paolo - ciò che abbiamo ricevuto, ma che non ci appartiene (cfr.
1Cor 15,3). Una annotazione che ci appare interessante riferire è il fatto che nella Dei Verbum si
parli non semplicemente di abbondanza, bensì di sovrabbondanza della ricchezza della Parola. È
una bella immagine che rappresenta la fecondità e la ricchezza della Scrittura, quasi fosse un
debordare di prosperità che non ha frontiere e che è destinata a tutti, senza alcuna distinzione; un
dono il cui unico limite lo si incontra quando non la si vuole accogliere.

Alla scuola della Scrittura

Per realizzare quanto appena detto, la costituzione conciliare «esorta con ardore ed
insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi» ad apprendere tramite la lettura frequente, quella che
l’Apostolo delle genti chiama nella sua lettera ai Filippesi: «la sublime scienza di Gesù Cristo» (Fil
3,8). Nel suo commento al libro di Isaia, San Girolamo affermava che «l’ignoranza delle Scritture è
ignoranza di Cristo» (Comm. in Is., Prol.: PL 24, 17.). Il nostro documento offre l’indicazione di
quelle che ci sembrano le due vie principali da percorrere per realizzare questo incontro di
conoscenza e di amore: la liturgia e la pia lettura, un’espressione desueta quest’ultima, ma che con
parole diverse e più vicine al linguaggio moderno possiamo definire lectio divina.

26
Non si tratta, infatti, di una semplice lettura, come se stessimo parlando di un qualsiasi altro
testo letterario, ma di una lettura specifica, unica, “accompagnata dalla preghiera” suscitata e
guidata dallo Spirito Santo. È proprio la preghiera che rende tale lettura non mero esercizio e fine a
sé stessa, ma feconda nello spirito, capace di tessere quel dialogo prezioso, unico ed illuminante tra
Dio e l’uomo, perché, come afferma Sant’Ambrogio «quando preghiamo, parliamo con lui; lui
ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini» (De officiis ministrorum, I, 20, 88: PL 16, 50).

Il vescovo: il pastore che spiana la via

Riportiamo un ultimo aspetto di questo paragrafo 25, in cui si affronta la questione che può
apparire ad un primo sguardo afferente solo alla sfera del diritto canonico, e cioè a chi competa
aiutare i fedeli per una maggior conoscenza della Scrittura. Questo speciale compito compete ai
vescovi «depositari della dottrina apostolica», ai quali appartiene il munus di insegnare, o come dice
il documento «ammaestrare opportunamente i fedeli loro affidati sul retto uso dei libri divini».
Questo insegnamento deve essere focalizzato «in modo particolare sul Nuovo Testamento e in
primo luogo sui vangeli e questo anche grazie a traduzioni dei sacri testi». Da notare l’afflato
pastorale che si evince ancora una volta in questa parte del documento.

Le traduzioni hanno il compito di aiutare i fedeli a crescere nella conoscenza e nel rapporto
con la Sacra Scrittura e «devono essere corredate dalle note necessarie e veramente sufficienti,
affinché i figli della Chiesa si familiarizzino con sicurezza e profitto con le Sacre Scritture e si
imbevano del loro spirito». Per un cristiano dei nostri tempi appare una possibilità assodata, quasi
ovvia, ma – come già sottolineato in precedenza – tale non era al tempo della stesura della Dei
Verbum. L’espressione “familiarizzarsi con sicurezza”, poi, indica una vera e propria esigenza di
vicinanza, di familiarità che bisogna avere con la Scrittura, come l’avevano i Padri della Chiesa che
la conoscevano a memoria, avendola interiorizzata, studiata, letta, pregata.

Questo è un vero e proprio cammino che non si percorre in modo istantaneo o nel tempo di
un tweet, ma gradualmente, in una sorta di discesa lenta e costante nelle profondità del cuore. Il
vescovo deve essere in questo maestro per il popolo a lui affidato, sapendo e insegnando che, nella
conoscenza della Scrittura, si cresce con i tempi della grazia di Dio e non con i nostri; questo è
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sempre importante tenerlo bene a mente. È opportuno, però, non dimenticare un altro aspetto molto
bello in quella delicatezza che la Chiesa, come madre, usa nei confronti dei suoi figli. Se da una
parte pensa a chi è già nel suo grembo, desidera che si ponga attenzione anche a chi figlio della
Chiesa non è ed afferma: «Inoltre siano preparate edizioni della Sacra Scrittura fornite di idonee
annotazioni, ad uso anche dei non cristiani e adattate alla loro situazione».

A questo punto ci sembra importante evidenziare anche un altro punto del documento che
riguarda tutti noi da vicino. Se è vero, infatti, che i vescovi, successori degli Apostoli, sono chiamati
in modo del tutto speciale e ministeriale nella diffusione della conoscenza della Parola di Dio, ciò
non vuol dire che gli altri membri della Chiesa non possano o non debbano fare la propria parte.
Infatti «sia i pastori d’anime, sia i cristiani di qualsiasi stato avranno cura di diffonderla con zelo e
prudenza». La Parola di Dio allarga il cuore della Chiesa e lo fa a tutti i livelli. Non è una questione
di status o di privilegi, ma di introdursi nel desiderio di Dio stesso che vuole entrare in colloquio, in
relazione con tutti, ma veramente tutti! Questo è ancora assolutamente attuale e riguarda ciascuno di
noi, giovane o meno giovane, donna o uomo, consacrato, presbitero o laico che sia.

Comprendere noi stessi alla luce di Dio

Col paragrafo 26 si giunge non solo alla conclusione del capitolo sesto, ma anche alla
conclusione dell’intera costituzione dogmatica e vale la pena di leggerlo per intero. Raccoglie,
infatti, in maniera degna quanto illustrato in tutta la Dei Verbum, arrivando a sintetizzarne il
nocciolo da cui ripartire per esortare a guardare al presente e al futuro in modo del tutto nuovo, in
quella speranza cristiana che non delude. «In tal modo dunque, con la lettura e lo studio dei libri
sacri “la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata” (2Ts 3,1) e il tesoro della rivelazione,
affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini. Come dall’assidua frequenza del
mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare nel nuovo impulso alla vita
spirituale dall’accresciuta venerazione per la parola di Dio, che “permane in eterno” (Is 40,8; cfr.
1Pt 1,23-25)».

In queste righe si può scorgere ancora il parallelismo già citato tra il mistero eucaristico e la
Parola, un fecondo legame in cui l’uno nutre l’altra e viceversa, rendendo questo connubio colmo di
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vero senso e di significato. Quanto abbiamo scoperto finora, infatti, ci fa capire come non si tratti di
un’azione intellettuale o di mera erudizione, ma del fatto che la Rivelazione riempia il cuore degli
uomini e delle donne del nostro tempo e di tutti i tempi perché giunga a compimento quel dialogo
salvifico che, per puro amore e gratuitamente, Dio ha iniziato con gli uomini, non dimenticandoci
mai che è proprio lui, Dio, che ci ha amati per primo.

Papa Francesco, con parole efficaci e vicine alla nostra sensibilità contemporanea, non
manca mai di rendere manifesto quanto sia fondamentale questo dialogo tra Dio e l’uomo, l’unico
nel quale abbiamo la possibilità di comprendere veramente noi stessi e di trovare le risposte alle
domande più profonde che albergano nel nostro cuore. L’uomo contemporaneo ha quanto mai
bisogno di avere risposte alle mille domande che attanagliano il suo cuore. L’orizzonte sembra
cambiato, tutto appare possibile anche se al contempo tutto appare senza futuro, ogni cosa, ogni
idea è relativa, e si arriva all’aberrazione di credere che per essere noi stessi dobbiamo schiacciare
Dio. Tutto questo mentre sofferenza e solitudine invadono ciascuno di noi, giovani e meno giovani.
Si sollevano tantissime domande riguardo al senso della vita, alla sofferenza ed alla morte, domande
che tentiamo di allontanare in ogni modo, ma che sono comunque compagne invisibili, silenziose e
talvolta devastanti per le nostre esistenze se non considerate.

La Parola di Dio, infatti, non si contrappone all’uomo, non mortifica i suoi desideri
autentici, anzi li illumina, purificandoli e portandoli a compimento. Come è importante per il nostro
tempo scoprire che solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo! Nella nostra epoca
purtroppo si è diffusa, soprattutto in Occidente, l’idea che Dio sia estraneo alla vita ed ai problemi
dell’uomo e che, anzi, la sua presenza possa essere una minaccia alla sua autonomia. In realtà, tutta
l’economia della salvezza ci mostra che Dio parla ed interviene nella storia a favore dell’uomo e
della sua salvezza integrale. Quindi è decisivo, dal punto di vista pastorale, presentare la Parola di
Dio nella sua capacità di dialogare con i problemi che l’uomo deve affrontare nella vita quotidiana.
Proprio Gesù si presenta a noi come colui che è venuto perché possiamo avere la vita in abbondanza
(cfr. Gv 10,10). Per questo, dobbiamo impiegare ogni sforzo per mostrare la Parola di Dio come
apertura ai problemi, come risposta alle domande, un allargamento dei valori ed insieme come una
soddisfazione alle aspirazioni. La pastorale della Chiesa deve illustrare bene come Dio ascolti il
bisogno dell’uomo ed il suo grido. San Bonaventura afferma nel Breviloquium: «Il frutto della
Sacra Scrittura non è uno qualsiasi, ma addirittura la pienezza della felicità eterna. Infatti, la Sacra
Scrittura è appunto il libro nel quale sono scritte parole di vita eterna perché non solo crediamo, ma
anche possediamo la vita eterna, in cui vedremo, ameremo e saranno realizzati tutti i nostri
desideri». La Parola di Dio come detto da Papa Francesco «è l’antidoto alla paura di restare soli di

29
fronte alla vita» (Omelia, Domenica della Parola di Dio, 24 gennaio 2021) e di questo non
dovremmo mai dubitare.

30
CAPITOLO 7

SINFONIA DELLA PAROLA DI DIO

Nell’avviarci alla conclusione di questo nostro percorso alla scoperta dell’ultimo capitolo
della Dei Verbum, vogliamo riassumere alcuni punti utili alla nostra riflessione e soffermarci anche
su sfumature non trattate direttamente dal documento, ma che in qualche modo proprio da lì hanno
avuto slancio e realizzazione. Questa ulteriore riflessione può essere d’aiuto a scoprire i frutti del
concilio Vaticano II e soprattutto ad offrire a ciascun lettore utili lenti attraverso le quali leggere la
nostra realtà e trovare vie nuove pastorali, spirituali, esistenziali, sociali per avvicinarci
maggiormente alla Parola di Dio.

Nel far questo ripercorriamo alcune considerazioni che abbiamo già espresso nel nostro
scritto e che ritroviamo nel documento postsinodale Verbum Domini del 2010, nel paragrafo
settimo, riguardanti le diverse modalità con cui noi utilizziamo l’espressione «Parola di Dio» specie
in relazione alla possibilità dell’umanità di accostarvisi e scoprirla. Nel Sinodo dei Vescovi sulla
Parola di Dio del 2008 e nel documento postsinodale che ne deriva si è giustamente parlato di una
sinfonia della Parola, di una Parola unica che si esprime in diversi modi: «un canto a più voci»
(Instrumentum laboris, 9).

Analogia della Parola di Dio

I Padri sinodali (come d’altro canto la teologia e l’esegesi moderne) hanno parlato a questo
proposito di un uso analogico del linguaggio umano in riferimento alla Parola di Dio: pur essendo
totalmente Altro, ha bisogno del linguaggio umano e delle umane parole per comunicare e per farsi
comprendere. In effetti, l’espressione: “uso analogico”, se da una parte riguarda la comunicazione

31
che Dio fa di sé stesso, dall’altra assume significati diversi che vanno attentamente considerati e
relazionati fra loro, sia dal punto di vista della riflessione teologica che dell’uso pastorale.

Come ci mostra il Prologo di Giovanni (su cui si fonda la riflessione stessa di Verbum
Domini), il Logos indica originariamente il Verbo eterno, ossia il Figlio unigenito, generato dal
Padre prima di tutti i secoli e a lui consustanziale: il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio. Ma
questo stesso Verbo, afferma San Giovanni, si «fece carne» (Gv 1,14); pertanto Gesù Cristo, nato
da Maria Vergine, è realmente il Verbo di Dio fattosi consustanziale a noi. Dunque l’espressione
«Parola di Dio» viene qui ad indicare la persona di Gesù Cristo, eterno Figlio del Padre, fatto uomo
che come tale usa parole umane.

Parola di Dio nel libro della natura

Da questo deriva direttamente che, se al centro della rivelazione divina c’è l’evento Gesù
Cristo, occorre anche riconoscere che la stessa creazione, il liber naturae, è parte essenziale di
questa sinfonia a più voci in cui l’unico Verbo si esprime. Quanto è importante questo aspetto in un
mondo come il nostro in cui, specie i giovani, vogliono giustamente salvaguardare la cura del
pianeta e dell’intera creazione. Se distruggiamo il libro della natura, distruggeremo anche una delle
modalità privilegiate con cui Dio si rivela e comunica, oltre a distruggere noi stessi.

Come ci insegna il Santo Padre Francesco con la sua enciclica Laudato si’ (2015) dire
“creazione” è più che dire “natura”, perché ha a che fare con il progetto dell’amore di Dio, in cui
ogni creatura ha un valore e un significato e nel quale, «se l’essere umano si dichiara autonomo
dalla realtà e si costituisce dominatore assoluto, la stessa base della sua esistenza si sgretola, perché
“invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si
sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura”» (cfr. n. 117). Questa
sostituzione fa perdere l’umanità a sé stessa e alla sua relazione, al suo dialogo con Dio.

Parola di Dio nell’Antico e nel Nuovo Testamento


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Allo stesso modo la Chiesa confessa che Dio ha comunicato la sua Parola nella storia della
salvezza, ha fatto udire la sua voce; con la potenza del suo Spirito «ha parlato per mezzo dei
profeti» (Credo Nicenocostantinopolitano). La Parola divina, pertanto, si esprime lungo tutta la
storia della salvezza ed ha la sua pienezza nel mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione del
Figlio di Dio. E ancora, Parola di Dio è quella predicata dagli Apostoli, in obbedienza al comando
di Gesù Risorto: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15).
Pertanto, la Parola di Dio è trasmessa nella Tradizione viva della Chiesa. Infine, la Parola di Dio
attestata e divinamente ispirata è la Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento. Tutto questo ci fa
comprendere perché nella Chiesa veneriamo grandemente le sacre Scritture, pur non essendo la fede
cristiana una «religione del Libro»: il cristianesimo è la «religione della Parola di Dio», non di «una
parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente». Pertanto la Scrittura va proclamata,
ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla
quale è inseparabile.

Possiamo ben comprendere che ci troviamo di fronte ad un uso analogico dell’espressione


«Parola di Dio», di cui dobbiamo essere consapevoli e che è molto distante da un uso univoco,
letterale e potremmo dire fondamentalista della Scrittura. Occorre che tutti noi diventiamo
consapevoli e maggiormente formati a cogliere i suoi diversi significati e a comprenderne, al tempo
stesso, il suo senso unitario. Questo è un lavoro da cui nessuno di noi è esentato e che la Chiesa per
prima, madre e maestra, deve aiutarci a fare accompagnandoci, a livello personale e comunitario.
Questo fruttuoso lavoro è necessario anche dal punto di vista teologico affinché si approfondisca
l’articolazione dei differenti significati di questa espressione e perché risplenda meglio l’unità del
piano divino e la centralità in esso della persona di Cristo.

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PER UN NUOVO INIZIO… IL NOSTRO

Al termine del nostro percorso nella speranza di aver efficacemente accompagnato il lettore
ad approfondire la Dei Verbum e ad aver instillato il desiderio di accostarsi con più forza e vigore
alla Parola di Dio, in un momento di grazia come quello dell’anno giubilare che si avvicina,
desideriamo lasciarvi con un augurio che sarà sicuramente di aiuto in questa direzione; un aiuto che
nasce dalle parole illuminanti di papa Francesco che nella sua omelia pronunciata durante la
Domenica della Parola di Dio, il 22 gennaio 2022, ha definito in modo vivido cosa vuol dire tutto
questo per la Chiesa e per l’umanità intera.

«È il Dio-con-noi, che si appassiona alla nostra vita e si coinvolge fino a piangere le nostre
lacrime. Non è un dio neutrale e indifferente, ma lo Spirito amante dell’uomo, che ci difende, ci
consiglia, prende posizione a nostro favore, si mette in gioco, si compromette con il nostro dolore.
Sempre è presente lì. Ecco “il lieto annuncio” che Gesù proclama davanti allo sguardo stupito di
tutti: Dio è vicino e si vuole prendere cura di me, di te, di tutti. E questo è il tratto di Dio: vicinanza.
Lui stesso si definisce così; dice al popolo, nel Deuteronomio: “Quale popolo ha i suoi dèi vicini a
sé, come io sono vicino a te?” (cfr. Dt 4,7). Il Dio vicino, con quella vicinanza che è
compassionevole e tenera, vuole sollevarti dai pesi che ti schiacciano, vuole riscaldare il freddo dei
tuoi inverni, vuole illuminare le tue giornate oscure, vuole sostenere i tuoi passi incerti. E lo fa con
la sua Parola, con la quale ti parla per riaccendere la speranza dentro le ceneri delle tue paure, per
farti ritrovare la gioia nei labirinti delle tue tristezze, per riempire di speranza l’amarezza delle
solitudini. Ti fa andare, ma non in un labirinto: ti fa andare nel cammino, per trovarlo di più, ogni
giorno».

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DEI VERBUM 21-26

CAPITOLO VI

LA SACRA SCRITTURA NELLA VITA DELLA CHIESA

Importanza della Sacra Scrittura per la Chiesa

21. La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo
stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di
vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli.
Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture
come la regola suprema della propria fede; esse, infatti, ispirate come sono da Dio e
redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la Parola di Dio stesso e fanno
risuonare nelle parole dei profeti e degli Apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario
dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e
regolata dalla Sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta
amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella Parola di Dio
poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli
della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne
della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla Sacra Scrittura ciò che è
stato detto: «viva ed efficace è la Parola di Dio» (Eb 4,12), «che ha il potere di edificare e
dare l’eredità con tutti i santificati» (At 20,32; cfr. 1Ts 2,13).

Necessità di traduzioni appropriate e corrette

22. È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura. Per questo
motivo, la Chiesa fin dagli inizi fece sua l’antichissima traduzione greca del Vecchio
Testamento detta dei Settanta, e ha sempre in onore le altre versioni orientali e le versioni
latine, particolarmente quella che è detta Volgata. Poiché, però, la Parola di Dio deve
essere a disposizione di tutti in ogni tempo, la Chiesa cura con materna sollecitudine che
si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue, di preferenza a partire dai

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testi originali dei sacri libri. Se, per una ragione di opportunità e col consenso dell’autorità
della Chiesa, queste saranno fatte in collaborazione con i fratelli separati, potranno essere
usate da tutti i cristiani.

Impegno apostolico degli studiosi

23. La sposa del Verbo incarnato, la Chiesa, ammaestrata dallo Spirito Santo, si
preoccupa di raggiungere una intelligenza sempre più profonda delle Sacre Scritture, per
poter nutrire di continuo i suoi figli con le divine parole; perciò a ragione favorisce anche lo
studio dei santi Padri d’Oriente e d’Occidente e delle sacre liturgie. Gli esegeti cattolici poi,
e gli altri cultori di sacra teologia, collaborando insieme con zelo, si adoperino affinché,
sotto la vigilanza del sacro Magistero, studino e spieghino con gli opportuni sussidi le
divine lettere, in modo che il più gran numero possibile di ministri della divina Parola siano
in grado di offrire con frutto al popolo di Dio l’alimento delle Scritture, che illumina la
mente, corrobora le volontà e accende i cuori degli uomini all’amore di Dio. Il santo
concilio incoraggia i figli della Chiesa che coltivano le scienze bibliche, affinché, con
energie sempre rinnovate, continuino fino in fondo il lavoro felicemente intrapreso con un
ardore totale e secondo il senso della Chiesa.

Importanza della Sacra Scrittura per la teologia

24. La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla Parola di Dio
scritta, inseparabile dalla Sacra Tradizione; in essa vigorosamente si consolida e si
ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel Mistero di
Cristo. Le Sacre Scritture contengono la Parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente
Parola di Dio, sia dunque lo studio delle sacre pagine come l’anima della sacra teologia.
Anche il ministero della Parola, cioè la predicazione pastorale, la catechesi e ogni tipo di
istruzione cristiana, nella quale l’omelia liturgica deve avere un posto privilegiato, trova in
questa stessa parola della Scrittura un sano nutrimento e un santo vigore.

Si raccomanda la lettura della Sacra Scrittura

25. Perciò è necessario che tutti i chierici, principalmente i sacerdoti e quanti, come
i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente al ministero della Parola, conservino un
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contatto continuo con le Scritture mediante una lettura spirituale assidua e uno studio
accurato, affinché non diventi «un vano predicatore della Parola di Dio all’esterno colui che
non l’ascolta dentro di sé», mentre deve partecipare ai fedeli a lui affidati le
sovrabbondanti ricchezze della Parola divina, specialmente nella sacra liturgia. Parimenti il
santo concilio esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad
apprendere «la sublime scienza di Gesù Cristo» (Fil 3,8) con la frequente lettura delle
divine Scritture. «L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo». Si accostino
essi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è impregnata di parole
divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di
altri sussidi, che con l’approvazione e a cura dei pastori della Chiesa, lodevolmente oggi si
diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura della Sacra Scrittura dev’essere
accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l’uomo; poiché
«quando preghiamo, parliamo con lui; lui ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini».
Compete ai vescovi, «depositari della dottrina apostolica», ammaestrare opportunamente i
fedeli loro affidati sul retto uso dei libri divini, in modo particolare del Nuovo Testamento e
in primo luogo dei vangeli, grazie a traduzioni dei sacri testi; queste devono essere
corredate delle note necessarie e veramente sufficienti, affinché i figli della Chiesa si
familiarizzino con sicurezza e profitto con le Sacre Scritture e si imbevano del loro spirito.
Inoltre, siano preparate edizioni della Sacra Scrittura fornite di idonee annotazioni, ad uso
anche dei non cristiani e adattate alla loro situazione; sia i pastori d’anime, sia i cristiani di
qualsiasi stato avranno cura di diffonderle con zelo e prudenza.

Conclusione

26. In tal modo dunque, con la lettura e lo studio dei sacri libri «la Parola di Dio
compia la sua corsa e sia glorificata» (2Ts 3,1), e il tesoro della rivelazione, affidato alla
Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini. Come dall’assidua frequenza del mistero
eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita
spirituale dall’accresciuta venerazione per la Parola di Dio, che «permane in eterno» (Is
40,8; cfr. 1Pt 1,23-25).

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