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Bruno Luiselli, professore ordinario di letteratura latina, spiega nel suo ultimo
libro come nei primi secoli il cristianesimo si sia diffuso tra gli illetterati e i
poveri parlando con la loro lingua e attraverso la loro cultura. Fin dall’inizio la
dinamica dell’inculturazione fu un’esigenza ovvia, anche se non teorizzata.
Intervista
di Paolo Mattei
Gli offerenti presentati a sant’Ambrogio dai martiri Gervasio e Protasio, lato est del ciborio (X secolo),
Basilica di Sant’Ambrogio, Milano
Il professor Bruno Luiselli chiama «età romanobarbarica» il periodo che va dal V all’VIII
secolo d.C. in Europa occidentale. Secoli di rivolgimenti epocali, di confini violati, di
emigrazioni massicce e violente da parte di popolazioni nomadi e pagane nei territori
dell’ex Impero romano. Secoli da sempre frettolosamente metaforizzati nell’immagine
del tramonto, con la notte di silenzio culturale ed umano che naturalmente ne sarebbe
conseguita. «Io invece ho sempre studiato questo periodo con occhi non rivolti al suo
passato, ma al suo futuro. Considero quell’età in un’ottica non retrospettiva
ma prospettiva», spiega a 30Giorni Luiselli, professore ordinario di Letteratura latina
all’Università La Sapienza e docente all’Istituto patristico “Augustianum” di Roma.
L’ottica “prospettiva” adottata dal professore permette di osservare meglio la ricchezza
dei frutti che durante i secoli dell’età romanobarbarica sono maturati in Europa
occidentale in termini di crescita umana e culturale. Nel suo ultimo libro, La formazione
della cultura europea occidentale(Herder, Roma 2003), Luiselli ripercorre le tappe di
quelle grandi trasformazioni. E pone particolare attenzione al processo di
evangelizzazione dei popoli dell’area dell’Impero e di quelli cosiddetti barbari,
utilizzando le categorie sociologiche di recentissima coniazione come “inculturazione” e
“acculturazione”. Gli abbiamo posto alcune domande.
Anche all’interno dell’Impero c’era, specialmente tra i poveri, chi non conosceva il
latino. Qual era la dinamica inculturativa in questo caso?
LUISELLI: Sì, anche all’interno del mondo romano c’erano sacche di resistenza alla
romanizzazione e quindi di resistenza linguistica alla conseguente latinizzazione. Alcuni
vescovi sensibili si sforzavano di utilizzare le lingue e le culture di questi popoli che oggi
definiamo “alloglotti”: gruppi che facevano parte del mondo politico-istituzionale
romano ma che non avevano ancora assimilato la cultura romana, tant’è che non
sapevano esprimersi in latino. Un esempio è quello relativo all’Africa romana, per la cui
evangelizzazione è importante tenere presente la testimonianza di Agostino. Per
raggiungere le popolazioni rurali, Agostino riteneva opportuno far predicare in lingua
punica, oggi diremmo, più scientificamente, in lingua “neopunica”. Agostino non era in
condizione di predicare in quella lingua, pur conoscendone qualche elemento. Si serviva
allora di un suo diacono, Lucillo, che parlava il punico. Agostino riteneva talmente
importante la collaborazione di questo diacono da rifiutarsi di cederlo al vescovo di Sitifi,
fratello carnale di Lucillo, che lo aveva richiesto. Agostino desiderava rivolgersi a
questo humillimum vulgus, e lui stesso ci ha testimoniato che, oltre alle predicazioni,
vennero anche composti dei psalmi abecedari in lingua punica destinati all’istruzione
cristiana.
Come si diffondeva il cristianesimo tra i popoli non romani?
LUISELLI: Quella dei primi secoli fu una cristianizzazione non ufficiale, non organizzata
dall’alto. Le occasioni erano varie. I prigionieri, per esempio. I cristiani che in occasione
delle incursioni barbariche venivano catturati si imponevano all’attenzione dei loro
padroni che restavano affascinati dalla loro umanità buona e positiva. Questa dinamica è
documentata già nella seconda metà del III secolo. Ce lo dice chiaramente un poeta
cristiano molto interessante, Commodiano, quando racconta di Goti pagani invasori che
danno nutrimento a cristiani prigionieri. Un altro canale erano i mercanti, protagonisti di
contatti tra il mondo romano “intralimitaneo” – al di qua dei confini dell’Impero – e
mondo “extralimitaneo” – al di là dei confini del mondo romano. Ce ne parla Tacito. Non
si trattava di una cristianizzazione dotta né organizzata. Erano piuttosto incontri fra
persone comuni, gente del popolo. Quindi, per sintetizzare: sul versante gotico, su quello
germanico – sia al di là del Reno sia in ambito britannico, cioè tra gli anglosassoni – e sul
versante celtico, cioè nell’estremo Occidente della Britannia e nell’Irlanda, ho potuto
constatare come i primi semi di cristianesimo venissero diffusi proprio da queste umili
persone. Così nascevano i primi credenti. La Chiesa ufficiale arrivava sempre in un
secondo momento, quando cioè si rendeva conto di questa presenza di credenti nel
mondo non romano. Allora si creavano vescovi ad hoc che venivano inviati come
pastori.
Nel suo libro lei ripercorre la storia della cristianizzazione fino al IX secolo. Nell’813
si tiene il Concilio di Tours, in un certo senso l’“ufficializzazione”
dell’inculturazione cristiana…
LUISELLI: Il Concilio di Tours rappresenta una svolta epocale, un momento
fondamentale. Nel canone 17 la comunità dei padri conciliari stabilisce che i
testi predicatori ereditati dalla grande tradizione cristiana patristica anteriore vengano non
più ripetuti in latino ma in «rusticam Romanam linguam aut Theodiscam, quo facilius
cuncti possint intellegere quae dicuntur», cioè nella lingua rustica “romana” o nella
lingua “tedesca” perché tutti più facilmente possano comprendere ciò che viene detto. Si
tratta del riconoscimento delle due grandi componenti geoculturali che costituivano
l’impero di Carlo Magno: il mondo che era stato romano, il mondo romanzo, di
tradizione latina, fino alla regione del Reno; e il mondo germanico, dalla regione del
Reno in avanti. Nel concilio di Tours c’erano vescovi dell’una e dell’altra componente.
Nel versante romanzo la predicazione sarebbe stata, da quel momento in poi, in lingua
“romýna” però “rustica”, cioè nei parlari che discendevano dal latino; dall’altra parte, nei
parlari germanici. Queste due grandi realtà geopolitiche – la romanza ex gallica, oggi
francese, e quella germanica Ð diventeranno le nazioni protagoniste della storia d’Europa
e del mondo.