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Tito Orlandi
La nascita e lo sviluppo della letteratura copta sono intimamente legati alle circostanze storiche che
hanno accompagnato lo sviluppo della Chiesa cristiana in Egitto. La letteratura copta non si
presenta come un fenomeno spontaneo di espressione di contenuti svariati, ma come una creazione
meditata e in gran parte programmata per soddisfare esigenze di ambienti culturali che gravitavano
intorno alla Chiesa cristiana.
Per attuare questo disegno si dovette creare praticamente ex-novo una lingua letteraria. L'egiziano
utilizzato intorno al II secolo d.C. (epoca in cui possiamo collocare gli inizi dell'operazione "copto")
era una lingua assai povera di possibilità espressive, soprattutto di tipo concettuale e teorico. Quello
che sopravviveva dell'antica letteratura in lingua egiziana[1] poteva servire a ricordare l'esistenza di
un glorioso passato, ma non costituiva un modello per la produzione di opere quali sono state poi
effettivamente proposte in lingua "copta". Si è dunque provveduto a formare una lingua
essenzialmente nuova, nella cui struttura potessero coesistere gli elementi della lingua egiziana
tradizionale, come era parlata (e raramente scritta) nel suo ultimo stadio (cosiddetto demotico, dal
VII sec. a. C. al V sec. d. C.), e gli elementi della lingua greca, che forniva i modelli letterari che
dovevano essere prima tradotti e poi imitati.
Chi abbia ideato e condotto un'operazione del genere, è una domanda alla quale non è stata ancora
data risposta soddisfacente[2]. Del resto, la documentazione su cui basarsi è assai scarsa. Nessuna
fonte "indipendente" ci dà alcuna notizia, per quanto breve, o anche falsa, relativa alla nascita della
letteratura in lingua copta.
Eusebio stesso, che menziona parecchie volte la lingua siriaca, e sostanzialmente annuncia la
nascita della letteratura siriaca nella notizia circa Bardesane (HE IV 30), non parla mai della lingua
egiziana né della sua letteratura, che pure al suo tempo esistevano. Le varie ipotesi che sono state
fatte dagli studiosi moderni (Lefort, Steindorff, Schmidt)[3] prendono in considerazione i tre
ambienti religiosi che corrispondono ai testi (sempre traduzioni dal greco) che si trovano nei
manoscritti più antichi: quello cristiano "normale" (dal momento che si trovano testi del Nuovo
Testamento), quello cristiano "gnostico" (dal momento che si trovano testi gnostici), e quello
giudaico (dal momento che si trovano testi dell'Antico Testamento).
Naturalmente ciascuna delle categorie di testi menzionate può provenire da uno dei due ambienti
cristiani; ma ad ogni modo non sembra che questa strada sia la migliore per trovare una soluzione al
nostro problema. È utile anzitutto sbarazzarsi di un pregiudizio che purtroppo trova un accordo
pressoché unanime negli studiosi, e cioè che il lavoro di traduzione in lingua copta sarebbe stato
attuato per mettere i testi in questione alla portata di quei settori della popolazione egiziana che non
conoscevano il greco. Che cosa si intenda con questo in realtà non è molto chiaro, ma quello che mi
sembra di capire non mi soddisfa per parecchi motivi.
Il modo più normale per rendere comprensibile un testo greco ad un egiziano che non conoscesse il
greco dovette essere prima di tutto la traduzione orale, in particolare la spiegazione in lingua
egiziana di ciò che era stato prima letto in greco, vuoi in una cerimonia liturgica vuoi in una
riunione a carattere catechetico (anche di gruppi gnostici, che fossero interessati a far proseliti). Il
produrre libri contenenti traduzioni per un pubblico ignorante e sicuramente poverissimo (si parla
infatti sempre di contadini della Valle del Nilo) non può essere stata un'idea di quei tempi.
Ma poi, e soprattutto: la lingua usata per queste traduzioni non sembra essere stata propriamente
l'egiziano di quel tempo. Come abbiamo detto, un egiziano letterario non esisteva praticamente più
da molto tempo (e il copto nasce invece con piene caratteristiche letterarie); l'egiziano aveva
certamente assorbito un certo numero di vocaboli greci, ma non certo tutti quelli che si trovano
comunemente nei testi copti di cui parliamo, e che fanno ritenere che chi davvero non conoscesse il
greco non potesse nemmeno capire il copto. Anche la sintassi e direi la stilistica del copto si
comprendono, per quanto posso vedere, soltanto sulla falsariga della sintassi e della stilistica del
greco, e sarebbero state difficilissime per le persone ignoranti a cui i testi avrebbero dovuto essere
diretti.
In sostanza mi sembra che un altro tipo di ipotesi sia più consona alla documentazione in nostro
possesso, e alle circostanze storiche nelle quali essa fu prodotta. È probabile che nell'epoca in cui
nacque la letteratura copta, i nuovi fenomeni religiosi (dei quali il principale fu il cristianesimo) si
incontrassero in Egitto con il rinascere di sentimenti nazionali connessi con la nostalgia per l'antica
cultura autoctona che stava definitivamente tramontando. Se si aggiungessero anche motivi di
insoddisfazione politica ed economica per il modo con cui la classe dominante greca (e in parte ora
romana) conduceva l'amministrazione del Paese, e contrasti fra la capitale Alessandria e la "chora"
egiziana non si può dire con certezza[4].
L'antitesi culturale fra religione tradizionale (che nell'epoca di cui parliamo era un miscuglio di riti e
miti greci ed egiziani) e cristianesimo; e l'antitesi linguistica fra greco ed egiziano (poi copto),
forma un intreccio in qualche modo sorprendente. Gli ultimi grandi filosofi pagani[5] che
guideranno nel V secolo la resistenza al cristianesimo si esprimeranno in greco, e avranno forti
legami con la cultura greca internazionale di Atene e dell'Asia Minore.
Al contrario, il copto verrà usato quasi esclusivamente dai cristiani, che avversavano il culto
tradizionale, e più tardi, nell'epoca di Shenute, contribuiranno a distruggere i templi rimasti attivi, e
a disperder nei sacerdoti.
È possibile che il Cristianesimo fosse visto (nonostante i legami con il giudaismo, che presto si
sciolsero per dar luogo a rivalità) come il portatore di un'assoluta novità, che poteva essere
considerata in alcuni ambienti come l'espressione di una rivolta contro la situazione presente, in cui
i rappresentanti della religione tradizionale erano compromessi con il regime dominante e la sua
cultura.
Il Cristianesimo poteva essere il veicolo per il recupero di elementi nazionali e tradizionali (la
lingua, l'ansia di riscatto...) che non partecipavano come tali a quel compromesso.
L'operazione fu comunque, secondo noi, voluta e pilotata da una élite, come è dimostrato dal fatto
che i manoscritti più antichi di cui disponiamo (quasi tutti contenenti traduzioni di testi biblici)
testimoniano una lingua perfettamente stabilita nelle sue regole grammaticali e sintattiche, ed
un'ortografia assai accurata, per la quale dunque fin dall'inizio sono state concepite regole precise. È
vero d'altra parte che possediamo anche una serie di testi altrettanto antichi (IV secolo) che
testimoniano invece un linguaggio ed una ortografia assai meno accurati. Ma questo significa
soltanto, a nostro avviso, che l'esempio dato dal gruppo di cui abbiamo parlato prima è stato imitato
da altri gruppi (tutti comunque operanti in ambito cristiano, anche se non necessariamente
ortodosso), i quali tuttavia non si saranno troppo preoccupati della qualità formale della loro
produzione.
Dopo questi inizi, la storia della letteratura copta si presenta da un lato come un'evoluzione verso
forme letterarie che soddisfacessero, in questa lingua "nuova", alcune delle esigenze della vita
culturale della Chiesa cristiana; dall'altro come una serie di risposte diverse e talora contradditorie a
problemi vitali posti dalle vicissitudini di quella stessa Chiesa. È da questo punto di vista, ed in
particolare facendoci guidare da quattro dei fenomeni più importanti in questo senso, che
cercheremo di dare un'idea dei caratteri e dell'evoluzione della letteratura copta.
Gli inizi del monachesimo, come movimento di una certa consistenza, in Egitto si possono collocare
all'inizio del IV secolo. È appena terminata la grande persecuzione di Diocleziano, l'ultima e la più
dura, o almeno la più propagandata, che lascerà soprattutto in Egitto una memoria del tutto
particolare, legata addirittura ad un sistema di datazione ("anno dei Martiri"). Con la sua fine, si
apre l'epoca della grande pace religiosa, in cui il Cristianesimo è finalmente libero di esercitare il
proselitismo e di organizzarsi senza alcuna restrizione, e in breve acquisterà il privilegio di religione
ufficiale. Tuttavia occorre ricordare che ancora in questo periodo il numero degli appartenenti alla
Chiesa cristiana in Egitto era scarso, ed è dunque all'interno di un movimento "di punta", se non di
élite, che si forma un movimento di punta "ulteriore"[6]. Questo comporta, a mio modo di vedere,
che all'interno del monachesimo delle origini, accanto a motivi spirituali ed anche economico-
sociali (sui quali di solito anche troppo si insiste, e che forse diventeranno preponderanti con
l'espansione del fenomeno) dovevano esistere componenti culturali e dottrinali di notevole
importanza.
L'espansione del monachesimo è descritta dalle fonti antiche nei suoi elementi principali, ma non in
dettaglio[7]. Si comprende d'altra parte che ciò sarebbe stato impossibile, in mancanza di un
reclutamento diciamo così sistematico, ma basato su un volontariato che avrà obbedito a impulsi di
vario carattere. Il fatto fondamentale (riscontrato fin dai primordi, se possiamo credere alla
descrizione che Atanasio fa del primo periodo di Antonio) sembra essere che intorno ad un
personaggio "esemplare", cioè che si poneva personalmente come esempio di un certo genere di
vita, si radunavano gruppi di seguaci, dei quali i più significativi diventavano a loro volta centro di
attrazione per altri gruppi. Si determinò così una crescita geometrica, testimoniata dalle cifre
impressionanti date dalle stesse fonti antiche, che del resto sono documentate dai resti archeologici.
Le grandi personalità del primo monachesimo egiziano sono molto note attraverso gli ampi
resoconti che storici e memorialisti contemporanei (o poco successivi) gli hanno dedicato. Antonio
è colui che la tradizione, basandosi sulle indicazioni date da Atanasio, considera il fondatore del
movimento monastico, colui che per primo, ispirato da un preciso versetto evangelico, si ritirò dal
mondo per condurre una vita dedicata soltanto agli interessi religiosi[8]. Fra questi interessi,
secondo il quadro probabilmente tendenzioso che voleva proporre Atanasio, erano la lotta contro i
demoni del deserto e la lotta contro gli eretici in quanto organizzati in gruppi; non sarebbero stati
compresi, invece, la cultura e la riflessione dottrinale. Per questo motivo Antonio è stato visto anche
dalla critica fino a tempi recenti come una persona di grande spiritualità ma completamente
ingenua, ignorante perfino della lingua greca, solo disposto ad aiutare il suo Patriarca per l'unità del
popolo cristiano, quando ve ne fosse bisogno. La rivalutazione della raccolta delle sue lettere,
pervenute in modo fortunoso, che fa permanere qualche dubbio sulla completa genuinità, ha
modificato questo luogo comune storiografico.
Le lettere di Antonio (parliamo qui delle sette lettere la cui tradizione ha maggiore consistenza)
sono conosciute attraverso la traduzione latina di un manoscritto greco andato perduto; una versione
araba dal copto; un frammento abbastanza consistente del copto; una versione completa in
georgiano; una versione siriaca della sola lettera prima[9]. Si discute se la redazione originale fosse
in greco o in copto, e comunque se risalga davvero ad Antonio o gli sia stata attribuita da un
anonimo autore. Non possiamo ovviamente soffermarci su tali problemi, ma diremo che a nostro
avviso il testo copto deve essere considerato una traduzione dal greco, e che la critica moderna
propende per l'autenticità delle lettere. In questo caso esse testimonierebbero di una figura
indubbiamente colta, al corrente delle idee filosofiche del tempo. Abbia o meno egli redatto in
copto i suoi scritti, si può ritenere che da un ambiente di questo tipo possa essere stato originato il
movimento che ha portato alla nascita della letteratura copta.
Vi sono molti elementi nelle lettere che fanno ritenere Antonio legato all'interpretazione origeniana
della dottrina cristiana, tanto che il Couilleau può affermare che "occorre ammettere che una
corrente che si può ben chiamare origenista avanti lettera abbia fecondato il monachesimo delle
origini. Dopo tutto, l'origenismo che Evagrio doveva trovare nel deserto dei Kellia non è nato per
generazione spontanea"[10].
Sembra accertato, in Antonio, un disinteresse per gli aspetti organizzativi della vita monastica, forse
addirittura una opposizione. Per questo furono piuttosto i suoi discepoli, andando evidentemente
oltre le primitive intenzioni dell'ispiratore, a fondare e far progredire quelle che diventeranno in
breve le grandi comunità del Basso Egitto, tutte situate nella parte occidentale del Delta del Nilo
(ramo Canopico): Sketis, Nitria (Pernouj), Kellia[11]. Il nome fondamentale per quest'opera
è Macario (quello chiamato Egizio), a cui i posteri si richiameranno tanto sistematicamente, da darci
la certezza che egli abbia precisato il carattere sia organizzativo sia dottrinale di queste comunità.
Esse erano costituite da monaci autonomi, ma viventi in piccole comunità con gli alloggi
abbastanza vicini. Nei giorni e momenti fissati vi erano riunioni di culto, guidate da monaci facenti
regolarmente parte anche del clero, cioè della gerarchia ecclesiastica cittadina. La dottrina
prevalente in queste comunità era quella origenista, tanto che Evagrio vi troverà l'ambiente più
congeniale a passare gli ultimi anni della sua vita. La lingua letteraria era, per quanto se ne può
sapere, il greco. Il copto (nella varietà dialettale che viene chiamata boairico) è presente solo nelle
iscrizioni trovate negli scavi di Kellia[12], ed è possibile che sia testimoniato da alcuni codici
boairici antichi contenenti testi biblici che possono provenire dall'ambiente di cui ci stiamo
occupando. Ma tale ambiente aveva una fitta rete di relazioni "internazionali" che venivano
evidentemente coltivate mediante lo scambio di testi greci.
Nello stesso periodo, al Sud dell'Egitto, Pacomio metteva a punto un tipo diverso di organizzazione
monastica. La sua opera è troppo nota per volerla riassumere qui[13]. Desidero però proporre
alcune osservazioni. La caratteristica dell'organizzazione pacomiana non sta tanto nel "modo di
vita" che egli immaginò per la sua comunità (e per quelle che via via ne nacquero). Modi di vita
simili erano probabilmente condotti anche da altri gruppi contemporanei ma indipendenti, e lo
saranno successivamente. Quello che dà il carattere ai Pacomiani è prima di tutto la redazione di
una regola fissa e precisa che i monaci si impegnano a rispettare. Se le regole che ci sono state
tramandate siano esattamente quelle originali o vi sia stato un lavoro redazionale anche posteriore,
in questa sede non è il caso di discutere[14]. Piuttosto va detto che accanto e come conseguenza
della Regola è il fatto che i Pacomiani si consideravano un gruppo unitario sotto il comando di un
capo, una specie di esercito. Questo vale, e tanto più, anche dopo la grande espansione dell'ordine,
con la creazione di una rete di monasteri che andava da Pbou al Sud fino al Canopo al Nord. Essi
tutti obbedivano al successore di Pacomio, residente appunto a Pbou. Se dal punto di vista
organizzativo la differenza fra Macariani (diciamo così) e Pacomiani è fondamentale, da quello
dottrinale le cose stanno diversamente. Qui a mio avviso una differenza interessante sta nell'uso che
si fa in ambiente pacomiano della lingua copta, cioè di un ibrido fra egiziano e greco sviluppato nel
corso del III secolo da ambienti che volevano in qualche modo raccordare la tradizione antica con il
nascente Cristianesimo. Ma per quanto riguarda i contenuti, sembra possibile affermare che i
Pacomiani erano perfettamente allineati con le posizioni del Patriarca alessandrino, e dunque col
didaskaleion, e dunque con un origenismo più o meno moderato. Le affermazioni in contrario sono
chiaramente tardive, ed anzi sono espresse in modo tale da confermare l'esistenza dell'origenismo
presso i Pacomiani. Va aggiunto oltretutto che gli studi sui testi copti definibili gnosticizzanti fanno
propendere anche per l'ipotesi che presso i Pacomiani si potesse trovare un origenismo parecchio
spinto nel senso che si può definire propriamente gnostico[15].
Si noti che tutto ciò, anche se contraddice a qualche visione storica tradizionale, dovrebbe apparire
semplicemente ovvio, dal momento che la dottrina elaborata ad Alessandria e accettata come ovvia
presso la Chiesa egiziana fino a Teofilo (e per la verità anche oltre, dopo la crisi) non poteva che
richiamarsi ad Origene, sia pure con qualche differenza nei riguardi di teorie particolari. Ci si
dovrebbe invece meravigliare che esistessero contemporaneamente dei gruppi che, come abbiamo
detto, si rifacevano ad un tipo di esegesi del tutto diverso. Questi gruppi esistevano, ma le fonti che
li attestano sono molto particolari, e devono essere interpretate con molta cautela. Almeno due
figure emergono come importanti, in questo contesto: Apollo di Bauit (-Titkooh) e Paolo di Tamma.
Il primo ha lasciato tracce in iscrizioni e calendari liturgici che ci attestano la sua fama[16]. La sua
vita è narrata in un testo copto che appare nella sostanza antico e degno di fede. Apollo sarebbe
stato al principio un anacoreta del tipo solitario, che dopo un periodo di noviziato presso un certo
Petra si stabilì presso Shmun con alcuni compagni. Ivi lasciò una comunità, e poi riprese la vita
itinerante, fondando parecchi monasteri nella stessa regione. Su Paolo di Tamma abbiamo notizie
meno sicure: egli deve aver passato la vita sempre isolato, ma in qualche modo in contatto con altre
grandi figure monastiche del periodo come Amun, Apollo, Aphu, ed altri[17]. Di lui ci sono
pervenuti però scritti molto interessanti, che possono essere messi in relazione con la letteratura
monastica in lingua greca (cosiddette Lettere di Antonio, di Ammona, di Macario Egizio, etc.). Essi
mancano del tutto di struttura letteraria (come del resto gli scritti dei Pacomiani), e sono formati di
aforismi senza alcun apparente legame fra loro. Solo in qualche caso si riferiscono ad un tema, che
è quello generale dell'opera in cui sono riuniti; ma senza svolgere un ragionamento i cui elementi
passino dall'uno all'altro aforisma. Le citazioni scritturali sono naturalmente molto numerose.
Fra la fine del IV e l'inizio del V secolo si forma, e acquista sempre maggiore importanza, la figura
del grande Shenute, a cui si rifà tutta la tradizione copta come elemento fondamentale della propria
identità spirituale. Stranamente ignorato dalle fonti greche, egli rivestì un ruolo di primo piano, sia
nei rapporti con la non piccola parte di popolazione ancora legata ai culti tradizionali, sia nelle
controversie cristologiche culminate nei concili di Efeso e di Calcedonia[18]. Ma egli ebbe
importanza non minore dal punto di vista letterario. Fu fecondissimo autore originale in lingua
copta; portò nella letteratura copta tutto il bagaglio di tecniche retoriche greche pre-cristiane, che
già erano state adottate dai Padri greci, in particolare dai Cappadoci; promosse, nell'ambito del suo
monastero (chiamato oggi Monastero Bianco), una vasta attività di traduzione di testi dal greco in
copto. Il suo successore, Besa, ne continuò l'opera; e il Monastero Bianco resterà fino all'XI sec. il
centro culturale della Chiesa copta.
Note al testo
[1] Cf. Eva A. E. REYMOND, A Contribution to a Study of Egyptian Literature in Graeco-Roman
Times, "Bulletin of the John Rylands Library" 65 (1983) 208-229; id., Demotic Literary Works of
Graeco-Roman Date in the Rainer Collection of Papyri in Vienna, in: AA VV, Festschrift... Papyrus
Erzherzog Rainer, p. 42-60, Wien, Oesterreichische Nationalbibliothek, 1983.
[2] Ampie considerazioni su questo problema si trovano in Tito ORLANDI, Egyptian Monasticism
and the Beginnings of the Coptic Literature, in: P. NAGEL (ed.), Carl-Schmidt-Kolloquium an der
Martin-Luther-Universitat 1988, p. 129-142, Halle, Martin-Luther-Universitat, 1990. 301 p.; id., Le
traduzioni dal greco e lo sviluppo della letteratura copta, in: P. NAGEL (ed.) Graeco-Coptica, p.
181-203, Halle, Martin-Luther-Univers., 1984 (Wiss. Beitrage 48).
[3] Louis Theophile Lefort, La litterature egyptienne aux derniers siecles avant l'invasion arabe,
"Chronique d'Egypte", 6 (1931) 315-323; Georg STEINDORFF, Bemerkungen uber die Anfange
der koptischen Sprache und Literatur, in: AA VV, Coptic Studies in Honor of W. E. Crum (Misc.
CRUM), p. 189-214, Boston, Byzantine Institute, 1950; Carl SCHMIDT, Die Urschrift der Pistis
Sophia, "Zeitschrift fur Neutestamentliche Wissenschaft" 24 (1925) 218-240.
[4] Cf. Ewa WIPSZYCKA, La christianisation de l'Egypte aux IVe-VIe siecles. Aspects sociaux et
ethniques, "Aegyptus" 68 (1988) 117-166; Id., La valeur de l'onomastique pour l'histoire de la
christianisation de l'Egypte. A propos d'une etude de R. S. Bagnall, "Zeitschr. fur Papyrologie und
Epigraphik" 62 (1986) 173-181; Annik MARTIN, L'Eglise et la khora egyptienne au 4e siecle,
"Revue des etudes augustiniennes" 25 (1979) 3-26; Id., Aux origines de l'Eglise Copte:
l'implantation et le developpement du Christianisme en Egypte (Ie-IVe siecles), "Revue des etudes
anciennes" 83 (1981) 35-56; Id., Les premiers siecles du christianisme a Alexandrie. Essai de
topographie religieuse (IIIe et IVe siecles), "Revue des Etudes Anciennes" 30 (1984) 211-225.
[5] Cf. Roger REMONDON, L'Egypte et la supreme resistance au christianisme (5e-7e siecles),
"Bull. de l'Institut Francais d'Archeologie Orientale" 51 (1952) 63-78.
[6] Cf. Antoine GUILLAUMONT, Esquisse d'une phenomenologie du monachisme, "Numen" 24
(1978) 40-51; Id., Aux origines du monachisme chretien. Pour une phenomenologie du
monachisme, Begrolles, Abbaye de Bellefontaine, 1979, 243 p., (Spiritualite orientale), 30;
Theofried BAUMEISTER, Die Mentalitat des fruhen agyptischen Monchtums. Zur Frage der
Ursprunge des christlichen Monchtums, "Zeitschr. fur Kirchengeschicte" 88 (1977) 145-160.
[7] Karl HEUSSI, Der Ursprung des Monchtums, Tubingen, Mohr (Siebeck) 1936, XII 308 p.
(Repr. Aalen, Scientia, 1981); Derwas James CHITTY, The Desert a City. An Introduction to the
Study of Egyptian and Palestinian Monasticism under the Christian Empire, Oxford, Basil
Blackwell, 1966, 222 p.; Garcia M. COLOMBAS, El monacato primitivo. 1. Hombres hechos
cotumbres institutiones, Madrid, Ed. Catolica, 1974, XIX 376 p., 2. La Spiritualidad, Madrid, Ed.
Catolica, 1975, XII 398 p., (Biblioteca de Autores Cristianos).
[8] Ludwig von HERTLING, Antonius der Einsiedler, Innsbruck 1929 (Forschungen zur
Geschichte des innerkirchlichen Lebens 1); Lisa CREMASCHI, S. Atanasio, Vita di Antonio,
apoftegmi, lettere, Roma, Edizioni Paoline, 1984 (Letture cristiane delle origini, 19).
[9]Samuel RUBENSON, The Letters of St. Antony. Origenist Theology, Monastic Tradition and
the Making of a Saint, Lund, University Press, 1990. 222 p. (Bibliotheca Historico-Ecclesiastica
Lundensis, 24).
[10] Guerric COUILLEAU, La liberté d'Antoine, in: Jean GRIBOMONT (ed.), Commandements
du Seigneur et libération évangélique, p. 13-46, Roma, Anselmiana, 1977. 322 p., (Studia
Anselmiana 70).
[11] 11. Hugh Gerard EVELYN-WHITE, The Monasteries of the Wadi 'n Natrun. 2. The History of
the Monasteries of Nitria and of Scetis, New York, Metropolitan Museum Publications, 1932; AA
VV, Les Kellia, ermitages coptes en Basse-Egypte, Geneve, Editions du Tricorne, 1989.
[12]AA VV, EK8184. Survey archeologique des Kellia (Basse-Egypte), Louvain, Peeters, 1983, 2
Voll. XIV 558 XII 332 P.
[13]13. Heinrich BACHT, Pachome (Saint), in: Dictionnaire de Spiritualite 12.1, col. 7-16, Paris,
Beauchesne, 1984; Das Vermachtnis des Ursprungs. Studien zum fruhen Munchtum. II Pachomius:
der Mann und sein Werk, Wurzburg, Echter, 1983, 326 p. (Studien zur Theol. des geistl. Lebens 8);
Armand VEILLEUX, Pachomian Koinonia, Life, Rules and Other Writings of Saint Pachomius and
his Disciples, Kalamazoo MI, Cistercian Pulications, XXX 493 p., 1981 239 p.,1982 IX 313 p.; Lisa
CREMASCHI, Pacomio e i suoi discepoli. Regole e scritti, Magnano, Edizioni Qiqajon (Comunita
di Bose), 1988, 469.
[14] Theofried BAUMEISTER, Der aktuelle Forschungsstand zu den Pachomiusregeln,
"Munchener Theologische Zeitschrift" 40 (1989) 313-322; Lisa CREMASCHI (cit. alla nota 13).
[15] Frederik WISSE, Gnosticism and Early Monasticism in Egypt, in: B. ALAND (ed.) Gnosis,
(Misc. Jonas), Gottingen, 1978; Clemens SCHOLTEN, Die Nag-Hammadi-Texte als Buchbesitz
der Pachomianer, "Jahrb. fur Antike und Christentum" 31 (1988) 144-172. Contra: Armand
VEILLEUX, Monachisme et gnose. Premiere partie: le cenobitisme pachomien et la bibliotheque
copte de Nag Hammadi, "Laval Theol. et Philos." 40 (1984) 275-294, Deuxieme partie: contacts
litteraires et doctrinaux entre monachisme et gnose, "Laval Theologique et Philosophique" 41
(1985) 3-24.
[16] T. ORLANDI - A. CAMPAGNANO, Vite dei monaci Phif e Longino, Milano, Cisalpino
Goliardica, 1975, 110 p. (Testi e documenti, Serie copta, 51); Rene-Georges COQUIN, Apollon de
Titkoo ou/et Apollon de Bawit?, "Orientalia" 46 (1977) 435-446; Jean GASCOU, Documents grecs
relatifs au monastere d'abba Apollos de Titkois, "Anagennesis" 1.2 (1981) 219-230.
[17] Tito ORLANDI, Paolo di Tamma, Opere, Roma, CIM, 1988, 197 p., 4 microfiche.
[18] Johannes LEIPOLDT, Schenute von Atripe und die Entstehung des national Agyptischen
Christentums, TU 25.1, Leipzig, Hinrich, 1903, 213 p.; Tito ORLANDI, Shenoute d'Atripe, in:
Dictionnaire de Spiritualite, t. XIV, coll. 797-804, Paris, Beauchesne, 1989.
[19] Sulla storia dell'origenismo cf. Antoine GUILLAUMONT, Les "Kephalaia gnostica" d'Evagre
le Pontique et l'histoire de l'Origenisme chez les Grecs et les Syriens, Paris, Seuil, 1962, 366 p.
[20] Cf. Manlio SIMONETTI, Asiatica (cultura), in: Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, I,
Casale Monferrato, Marietti, 1983, col. 414-416.
[21] T. ORLANDI, A. CAMPAGNANO, Vite di monaci copti, Roma, Citta Nuova, 1984, 298 p.
(Collana di Testi Patristici).
[22] Stuart George HALL, Melito of Sardis, On Pascha and Fragments, Oxford, Clarendon Press,
1979, L 99 p. (Oxford Early Christian Texts).
[23] Il codice papiraceo è ancora inedito. Cf. James E. GOEHRING, A New Coptic Fragment of
Melito's Homily On the Passion, "Le Museon" 97 (1984) 255-259; Enzo LUCCHESI, Deux
nouveaux temoins coptes du "Peri Pascha" de Meliton de Sardes, "Analecta Bollandiana" 102
(1984) 383-393; Id., Encore un temoin copte du "Peri Pascha" de Meliton de Sardes, "Vigiliae
Cristianae" 41 (1987) 290-292.
[24] Sulla controversia pasquale la bibliografia è vasta, e basterà rimandare agli articoli nelle
Enciclopedie. Per quanto riguarda direttamente il nostro tema, cf. Carl SCHMIDT, Gesprache Jesu
mit seine Jungern nach der Auferstehung, (TU 43), Leipzig, Hinrichs, 1919, 731 83 p.: p. 622 sgg.
[25] Edizione in: Ernest Alfred Thompson WALLIS BUDGE, Coptic Homilies in the Dialect of
Upper Egypt, London, British Museum, 1910, LV 424 p.: p. 115-132. Cf. Othmar PERLER,
Recherches sur le Peri Pascha de Meliton, "Revue des Sciences Religieuses" 51 (1963) 407-421.
[26] Edizione in Budge (cit. alla nota 25), p. 105-114.
[27] Su Apollo e Paolo, cf. sopra, note 16 e 17.
[28] Edizione: Francesco ROSSI, Trascrizione di tre manoscritti copti del Museo Egizio di Torino,
"Mem. Acc. Scienze Torino", II.37 (1885). Traduzione italiana in: T. ORLANDI, A.
CAMPAGNANO, Vite di monaci copti, Roma, Citta Nuova, 1984, 298 p. (Collana di Testi
Patristici, 41), p. 55-65; cf. Id., La cristologia nei testi catechetici copti, in: Sergio FELICI (ed.),
Cristologia e catechesi patristica, 1, p. 213-229, Roma, LAS, 1980. 264 p. (Biblioteca di Scienze
Religiose 31).
[29] Tito ORLANDI, Il dossier copto di Agatonico di Tarso. Studio letterario e storico, in: D. W.
YOUNG (ed.), Studies Presented to H.J. Polotsky, p. 269-299, Beacon Hill MS, Pirtle Polson,
1981. Edizione del testo: Walter Ewing CRUM, Der Papyruscodex Saec. VI-VII der Phillipps-
Bibliothek in Cheltenham. Koptische theologische Schriften, Strassburg, Trubner, 1915, 171 p.
(Schriften der Wiss. Gesellsch. in Strassburg, 18).
[30] Cf. Tito ORLANDI, Due fogli papiracei da Medinet Madi (Fayum):L'Historia Horsiesi, "Egitto
e Vicino Oriente", 14 (1991) ***. Edizione del testo in Crum, cit. alla nota 29.
[31] Louis Theophile LEFORT, Catechese christologique de Chenoute, "Zeitschrift fur Aegyptische
Sprache" 80 (1955) 40-45; Cf. Orlandi, La cristologia..., citato alla nota 28.
[32] Edizione: Tito ORLANDI, Shenute contra Origenistas, Roma, CIM, 1985, 143 p.. Cf. Aloys
GRILLMEIER, "La peste d'Origene". Soucis du patriarche d'Alexandrie dus a l'apparition
d'origenistes en Haute Egypte, in:
AA VV, Alexandrina. Melanges... Mondesert, p. 221-237, Paris, Cerf, 1986; Herbert
THOMPSON, Dioscorus and Shenoute, "Bib. Ecole Hautes Etudes" 234 (1922) 367-376
[33] S. J. GRILLMEIER - Heinrich BACHT, Das Konzil von Chalkedon: Geschichte und
Gegenwart, 3 vols., Wurzburg 1951; Jean MASPERO (A. Fortescue, G. Wiet), Histoire des
Patriarches d'Alexandrie, depuis la mort de l'empereur Anastase jusqu'a la reconciliation des eglises
jacobites (518-616), Paris, 1923.
[34] Tito ORLANDI, Storia della Chiesa di Alessandria, (Testi e Docum. per lo Studio
dell'Antichita 17 31), Milano 1968, 1970; D. W. JOHNSON, Further Fragments of a Coptic
History of the Church, "Enchoriai" 6 (1976) 7-18; Tito ORLANDI, Nuovi frammenti della Historia
Ecclesiastica copta, in: AA VV, Studi in onore di Edda Bresciani, p. 363-384, Pisa 1985; Friedhelm
WINKELMANN, Die Kirchengeschichtswerke im ostromischen Reich, in: "Byzantinoslavica" 37
(1976) 1-10 e 172-190; Heinzgerd BRAKMANN, Eine oder zwei koptische Kirchengeschichte?, in:
"Le Muséon" 87 (1974) 129-142).
[35] Johannes Den HEIJER, Mawhub Ibn Mansur et l'historiographie copto-arabe. Etude sur la
composition de l'Histoire des Patriarches d'Alexandrie, Louvain, Peeters, 1989. XX 238 p. (CSCO
513 = Subsidia 83).
[36] Tito ORLANDI, Testi copti. 1. Encomio di Atanasio, 2. Vita di Atanasio, (Testi e documenti
per lo studio dell'antichita, 21), Milano, 1968.
[37] Walter Ewing CRUM, Coptic Texts Relating to Dioscorus of Alexandria, "Proc. Soc. Biblical
Arch." 25 (1903) 267-276; Eric O. WINSTEDT, Some Munich Coptic Fragments, "Proc. Soc.
Biblical Arch." 28 (1906) 137-142; F. N. NAU, Histoire de Dioscore..., "Journal Asiatique" X 1
(1903) 5-108 & 241-310.
[38] Edizione: Dwight W. JOHNSON, A Panegyric on Macarius Bishop of Tkow Attributed to
Dioscorus of Alexandria, (CSCO 415-416), Louvain 1980. Traduzione italiana: Tito ORLANDI,
Omelie copte, (Corona Patrum), Torino 1981 p. 162-198.
[39] Paul DEVOS, Fragments coptes de l'historia monachorum (vie de S. Jean de Lycopolis BHO
515), "Analecta Bollandiana" 87 (1969) 417-440; Id., Saint Jean de Lycopolis et l'empereur
Marcien. A Propos de Chalcedoine, AB 94 (1976) 303-316.
[40] Johannes LEIPOLDT, Sinuthii vita bohairice, (CSCO 41), Louvain 1951 (Rist. dell'ed. 1906);
K. Heinz KUHN, Letters and Sermons of Besa, Louvain 1956 (CSCO 157 158).
[41] T. ORLANDI, A. CAMPAGNANO, Vite dei monaci Phif e Longino (Testi e documenti, Serie
Copta, 51), Milano 1975.
[42] K. Heinz KUHN, A Panegyric on Apollo Archimandrite of the Monastery of Isaac by Stephen
Bishop of Heracleopolis Magna (CSCO 394 395), Louvain 1978.
[43] Sui testi relativi a Matteo il Povero, Mosé, Manasse, e Abraham cf. Antonella
CAMPAGNANO, Monaci egiziani fra V e VI secolo, "Vetera Christianorum" 15 (1978) 223-246.
[44] Stanley LANE-POOL, A History of Egypt in the Middle Ages, London 1925(4) (rist. 1968);
Tito ORLANDI, Koptische Kirche, Theol. Real-Encyclopadie 19 p. 595-608, Berlin New York, de
Gruyter, 1989; Alfred Joshua BUTLER, The Arab Conquest of Egypt and the Last Thirty Years of
the Roman Dominion, Oxford, The Clarendon Press, 1902.
[45] C. Detlef G. MULLER, Die Homilie uber die Hochzeit zu Kana und weitere Schriften des
Patriarchen Benjamin I. von Alexandrien, (Abhandlungen Heidelberger Akad., 1968, 1),
Heidelberg, Winter, 1968. Traduzione italiana: Tito ORLANDI, Omelie copte, Torino, SEI, 1981,
320 p., (Corona Patrum).
[46] Rene George COQUIN, Livre de la consecration du sanctuaire de Benjamin (Bibliotheque
d'Etudes Coptes 13), Le Caire, IFAO, 1975.
[47] Heinzgerd BRAKMANN, Zum Pariser Fragment angeblich des koptischen Patriarchen
Agathon. "Le Museon" 93 (1980) 299-309.
[48] James DRESCHER, Apa Mena. A Selection of Coptic Texts Relating to St. Menas (Textes et
documents), Le Caire, Societe d'arch. copte, 1946, XXXVI 186 p.
[49] Arnold Van LANTSCHOOT, Les "Questions de Theodore". Teste sahidique, recensions arabes
et ethiopienne, Citta del Vaticano, Bibl. Ap. Vat., 1957, VIII 302 p. (Studi e Testi, 192).
[50] Emile PORCHER, Vie d'Isaac Patriarche d'Alexandrie de 686 a 689, ecrite par Mina, eveque
de Pchati, PO 11, p. 300-390, Paris, 1915; David N. BELL, Mena of Nikiou. The Life of Isaac of
Alexandria & the Martyrdom of Saint Macrobius. Introduced, Translated, and Annotated,
Kalamazoo, Cistercian Publications, 1988. VIII 147 p. (Cistercian Studies Series, 107).
[51] Henri de VIS, Homelies coptes de la Vaticane. Texte copte publie et traduit, Kobenhavn,
Gyldendal, vol. 1, 1922, 220 p., vol. 2, 1929, 315 p. (Coptica 1, 5).
[52] Tito ORLANDI, Omelie copte, Torino, SEI, 1981, 320 p. (Corona Patrum). Id., Un testo copto
sulla dominazione araba in Egitto, in: T. ORLANDI, F. WISSE (ed.), Acts of the Second Int.
Congress of Coptic Studies, p. 225-234, Roma, CIM, 1985.
[53] Emile Clement AMELINEAU, Les Actes des martyrs de l'Eglise copte, Paris, Leroux, 1890,
313 p.; Hippolytus DELEHAYE, Les martyrs d'Egypte, "Analecta Bollandiana" 40 (1922) 5-154,
299-364.
[54] TITO ORLANDI, Testi Copti. 1. Encomio di Atanasio, 2. Vita di Atanasio, Milano, Cisalpino,
1968, 161 p., "Testi e documenti per lo studio dell'antichità 21".
[55] Queste omelie sono inedite, ma tradotte in Orlandi, cit. alla nota 52.
[56] Tito ORLANDI, Cirillo di Gerusalemme nella letteratura copta, "Vetera Christianorum" 9
(1972) 93-100;
Antonella CAMPAGNANO, Ps. Cirillo di Gerusalemme. Omelie copte sulla Passione, sulla Croce
e sulla Vergine, Milano, Cisalpino, 1980, 214 p. (Testi e documenti per lo studio dell'antichità,
Serie Copta, 65).
[57] Tito ORLANDI, Theophilus of Alexandria in Coptic Literature, in: E.A. LIVINGSTONE
(ed.), Studia Patristica XVI (TU 129) p. 100-104, Berlin, Akademie, 1985.
[58] A. CAMPAGNANO, A. MARESCA, T. ORLANDI, Quattro omelie copte. Vita di Giovanni
Crisostomo, Encomi dei 24 Vegliardi (Ps. Procle e Anonimo), Encomio di Michele Arcangelo di
Eustazio di Tracia, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1977, 189 p. (Testi e documenti per lo Studio
dell'Antichita, Serie Copta, 60).
[59] Tito ORLANDI, Demetrio di Antiochia e Giovanni Crisostomo, Acme 23 (1970) 175-178.
[60] Tito ORLANDI, Basilio di Cesarea nella letteratura copta, "Rivista degli Studi Orientali" 49
(1975) 49-59.
[61] Francesco ROSSI, Trascrizione con traduzione italiana di un testo copto del Museo Egizio di
Torino, "Mem. Acc. Scienze Torino", II.42 (1892) 107-252; Paul Anton De LAGARDE,
Aegyptiaca, Gottingae, 1883, 296 p. - Ambedue le omelie meriterebbero una riedizione. L'omelia
sugli apostoli è inedita.