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FACOLTÀ DI TEOLOGIA
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IL MISTERO
DELLA SALVEZZA CRISTIANA
L’influsso di Ireneo di Lione
su Henri de Lubac
RICHARD PAVLIĆ
ROMA 2010
Vidimus et approbamus ad normam Statutorum Universitatis
Henri de Lubac ha riassunto una volta la vera ragione del suo fare
teologia dicendo: «L’unica passione della mia vita è la difesa della nostra
fede». Tanto è vero che tale apologia della fede cattolica non si esauriva per
lui nel replicare, confutare e smentire le affermazioni teologiche dell’ultima
ora o le opinioni condivise dai leader tra i teologi del momento presente.
Fare teologia significava per Henri de Lubac collocarsi all’interno della fede
professata dalla Chiesa vivente e mettersi in ascolto di tale fede ecclesiale
così come si è espressa attraverso i tempi, sin dagli albori del cristianesimo
fino al momento presente. Non di rado lo stesso de Lubac qualificava il suo
auditus fidei come étude(s) historique(s), pur sapendo che proprio attraverso
tale studio storico non faceva altro che teologia sistematica. Attraverso un
meticoloso lavoro storico, infatti, riscopriva nell’epoca patristica ciò che il
Vaticano I avrebbe chiamato il nexus mysteriorum inter se e recuperava il
significato primitivo di varie affermazioni e articoli di fede. Una delle (ri-)
scoperte di grande valore di Henri de Lubac era la teologia della salvezza
abbozzata da Ireneo di Lione.
Richard Pavlić si è prefitto, nella presente dissertazione di dottorato, di
mettere a fuoco la sinfonia teologica tra il famoso vescovo di Lione e il
gesuita che passò la maggior parte della sua vita a Lione, per quanto
riguarda la soteriologia. La ricerca di Pavlić si contraddistingue sia per la
sua sobrietà e serietà, sia per l’argomento affrontato. Per quanto riguarda il
primo aspetto appena menzionato, basta dare un’occhiata all’indice e alla
stesura del testo per rendersi conto della sua linearità e limpidità. Come
segnalato nel titolo, il lettore incontra nel testo della dissertazione due
capitoli che sono dedicati rispettivamente a Henri de Lubac e a Ireneo di
Lione. Questi due testi, che costituiscono i due pilastri del presente lavoro,
sono incorniciati da un’ampia «Introduzione» e da un’articolata «Sintesi».
La chiarezza e la linearità si ritrovano, però, non soltanto al livello di
macrostruttura, ma anche al livello di microstruttura della dissertazione e
contribuiscono in tal modo a una lettura agevole che permette di cogliere
subito i punti decisivi per il ragionamento teologico dell’autore della dis-
sertazione. Per quanto riguarda l’argomento affrontato nella dissertazione,
6 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
Donath Hercsik, SJ
RINGRAZIAMENTI
però, ci limiteremo allo studio del tema della salvezza negli scritti luba-
chiani sul «soprannaturale» e alla ricerca di una conferma dell’impostazione
lubachiana nella relativa dottrina di Ireneo di Lione. Il nostro lavoro, lascia
dunque uno spazio aperto per un’ulteriore discussione teologica e per un
possibile sviluppo futuro di questo tema. Riteniamo, infatti, che il nostro
tentativo potrebbe essere allargato ad altri campi e ad altri punti d’incontro
fra le dottrine di Ireneo e di de Lubac, e che lo stesso studio generale degli
scritti di de Lubac si potrebbe estendere alla ricerca di altre conferme della
sua dottrina provenienti dal vasto campo della letteratura patristica,
abbondantemente presente nel suo pensiero e nelle sue opere.
Nella realizzazione della nostra ricerca, abbiamo fatto una scelta metodo-
logica d’inversione cronologica, facendo precedere l’esposizione della
dottrina di de Lubac a quella della dottrina di Ireneo. Questo aiuta noi, e il
lettore della tesi, a incontrarsi dapprima con la dottrina di de Lubac, per poi
a rileggerla o ripensarla alla luce della dottrina del «dottore dogmatico». In
questo modo diventano chiare le diverse accentuazioni con cui de Lubac
affronta i diversi aspetti della dottrina ireneiana. Quest’opzione metodolo-
gica, infine, ci offre un nuovo punto di vista sulla relativa dottrina di de
Lubac sul «soprannaturale» e sul suo concetto di salvezza cristiana in
generale.
Per una questione di esattezza e obiettività, la nostra ricerca prenderà in
considerazione gli studi precedenti degli autori più degni e più competenti,
le cui ricerche riguardano il nostro tema: Ladaria (l’aspetto antropologico in
generale e la dottrina ireneiana), Hercsik e Guibert (l’aspetto cristologico
della dottrina lubachiana), Orbe (la dottrina ireneiana).
nei suoi scritti, segue la prima sezione nella quale cerchiamo di chiarire
l’uso dei concetti di «natura» e di «soprannaturale» nel corso della storia
della teologia cattolica, con particolare attenzione al concetto di «natura
pura» e alla sua interpretazione neoscolastica alla quale si oppone la dottrina
lubachiana sul «soprannaturale». In seguito viene precisato il concetto
proprio di «soprannaturale» in de Lubac, evidenziando la sua maniera
peculiare di utilizzare i termini neoscolastici. Nel corso dello studio,
teniamo conto anche di una certa «evoluzione» del linguaggio lubachiano,
evidente nell’arco di tempo che va dalla sua prima (Surnaturel, 1946) alla
sua ultima (Petite catéchèse sur Nature et Grâce, 1980) opera sul
«soprannaturale».
La seconda sezione sul «soprannaturale» si sofferma sull’impostazione
antropologica di de Lubac e sul suo tentativo di ritrovare, attraverso la
«semplicità degli antichi» e la prospettiva biblica, la vera e piena idea
cristiana dell’uomo che, secondo la visione lubachiana, viene inteso come
«spirito creato e aperto». Nella presentazione del tentativo di de Lubac di
ritrovare l’intuizione originale di Tommaso attorno al concetto del
desiderium naturale, ci serviremo della critica di Alfaro all’interpretazione
lubachiana del desiderio naturale inteso nel senso «assoluto», desiderio che
secondo Alfaro, non corrisponderebbe all’affermazione della gratuità
assoluta del soprannaturale. Servendoci della seconda critica di Alfaro
sull’assenza del carattere cristico e incarnazionale all’interno della dottrina
lubachiana del «soprannaturale», ci introdurremo allo sforzo compiuto da de
Lubac nel ricercare una sintesi teologica in grado di far superare gli
apparenti paradossi della fede.
Nella terza sezione sul «soprannaturale», partendo dall’aspetto
cristologico della dottrina lubachiana e seguendo la linea delle ricerche di
Hercsik e Guibert, cercheremo di presentare lo sforzo di sintesi lubachiano.
Così tenteremo anche di rispondere alle due summenzionate critiche di
Alfaro. Basandoci sull’articolo La lumière du Christ (1941) – l’unico scritto
lubachiano dal titolo cristologico – e sull’undicesimo capitolo di
Catholicisme (1938), scopriremo che è proprio la cristologia di de Lubac,
nonostante il suo carattere diffusamente più implicito che esplicito, quella
che rivela l’unità e la sintesi di tutte le sue opere. Nella novità assoluta di
Cristo, percepibile solo con «gli occhi della fede», de Lubac scopre il
mistero sintetico di Cristo, di colui che era vivo e attivo come «principio di
sintesi» nei primi discepoli di Cristo e nei Padri della Chiesa. È dunque il
«mistero sintetico di Cristo» come «Centro vivo» e «Tout du Dogme» nel
quale si supera anche oggi «il paradosso del Dogma».
La quarta sezione dedicata al «soprannaturale» è una sintesi conclusiva
nella quale ci serviremo delle testimonianze dello stesso de Lubac espresse
in Mémoire sur l’occasion de mes écrits (1989). In sintonia con queste
stesse testimonianze dell’autore, presenteremo la sua dottrina sul «sopran-
naturale» nella prospettiva dell’aspetto cristologico della sua teologia e del
14 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
suo constante richiamo alla dottrina dei Padri, giungendo alla conclusione
che le sue opere sul «soprannaturale» vanno inserite nel loro contesto
storico e collocate nel quadro dell’intera sua opera teologica. In questo
senso, attraverso una «cristologia nascosta», presente piuttosto nello
«spirito» delle sue opere, si scopre che è proprio la persona di Cristo il cuore
e la sintesi delle opere e della teologia di de Lubac (Hercsik). Da questo
punto di vista la dottrina sul «soprannaturale» si mostra in sintonia con la
visione biblico-patristica. Gli elementi della dottrina lubachiana che mostra-
no tale sintonia sono:
– la visione realista e unitaria dell’uomo che esclude ogni dualismo
ipotetico,
– il senso dell’unità e del mistero – il mistero di Dio che fonda il mistero
dell’uomo e il mistero dell’uomo che converge nel mistero di Cristo,
– il concetto di divinizzazione dell’uomo attraverso l’azione interiore e
trasformatrice di Cristo che porta l’uomo verso il suo fine soprannaturale –
l’affermazione dell’unico fine ultimo dell’uomo che è la vita eterna,
– la visione della libertà dell’uomo evidente attraverso la libera risposta
dell’uomo all’invito della grazia divina offerto in Cristo – la salvezza viene
da Dio come un dono assolutamente libero e in nessun modo acquistabile
con le forze naturali dell’uomo,
– la realtà del peccato e la visione della salvezza come liberazione dalla
schiavitù del peccato in forza del sacrificio nuovo di Cristo.
Tutti questi elementi vengono sintetizzati nel paragrafo del nostro lavoro
«Il mistero salvifico di Cristo», dove si fa riferimento a La Lumière du
Christ e soprattutto alla Petite catéchèse sur Nature et Grâce, scritto in cui
il nostro autore riprende la sua dottrina sul soprannaturale, riassumendola e
chiarendola, fino ad enunciare la «conclusione» a cui è giunto. In tutti gli
elementi sopra elencati, si può chiaramente riconoscere l’eco della dottrina
di Ireneo annunziata in questo lavoro nel paragrafo conclusivo sulla dottrina
lubachiana.
Nella sintesi conclusiva del nostro lavoro, divisa in tre sezioni, facciamo
una rilettura degli scritti lubachiani per meglio riconoscere sia le somigli-
anze e i parallelismi dottrinali sia le relative differenze nel metodo e nelle
accentuazioni antropologiche fra Ireneo e de Lubac. Per di più in tale analisi
si evidenzia anche il carattere particolare della cristologia e della prospettiva
dottrinale lubachiana.
Nella prima sezione, in vista dell’argomento su cui si vuole sviluppare la
nostra tesi, cerchiamo di presentare gli elementi principali della dottrina
lubachiana sul «soprannaturale» in consonanza con la relativa dottrina di
Ireneo. A tal fine abbiamo scelto tre punti di vista o tre aspetti dottrinali. Il
primo è il realismo e l’ottimismo antropo-teologico come sfondo dottrinale
in cui si forma la dottrina ireneo-lubachiana, nella quale emerge il primato
di Cristo. A partire dalla riflessione sulla realtà di Cristo e dei suoi misteri,
Ireneo e de Lubac sviluppano le loro dottrine sull’uomo e sulla Chiesa,
mantenendo sempre un approccio ottimistico alla questione della salvezza
dell’uomo. Il secondo aspetto è costituito dal forte senso ireneo-lubachiano
dell’unità e del mistero, che permette ad entrambi di conciliare la conce-
zione biblica dell’unicità della natura umana, in quanto chiamata alla vita di
comunione con Dio – con la conseguente offerta di salvezza universale in
Cristo, con la verità dell’assoluta gratuità della grazia. In questo contesto, la
nostra rilettura degli scritti lubachiani si estende alla sua opera
Catholicisme, che offre un forte contributo all’affermazione dell’esistenza di
una consonanza dottrinale fra Ireneo e de Lubac. Il terzo aspetto, infatti,
unisce i primi due e ci mostra la capacità ireneo-lubachiana di preservare
una visione d’insieme dell’uomo e della sua salvezza e di mostrare l’insepa-
rabilità delle verità dottrinali dalla vita di fede. Osserviamo così come sia
Ireneo che de Lubac affermino la necessità di collegare il mistero – che non
è altro che Cristo stesso, punto di partenza obbligatorio sia per la riflessione
18 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
concreta e nella sua relazione con Dio2. Nella Sacra Scrittura, infatti,
troviamo che l’immagine della salvezza è connessa alla realtà del peccato e
del bisogno che l’uomo ha di aiuto e di liberazione dalle conseguenze del
peccato stesso. A livello dell’esperienza storica, la salvezza biblica si
realizza inizialmente attraverso il rapporto personale fra Dio e il suo popolo
eletto, per assumere in seguito, attraverso la missione salvifica di Gesù
Cristo, un significato universale (Gv 1,1-16)3.
Nell’ambito della fede cristiana si è sviluppata una ricca riflessione
teologica sulla salvezza che, partendo dalle verità rivelate, ha dato luogo a
ricche formulazioni riguardanti la dottrina della grazia. Partendo dalle
enunciazioni bibliche sulla grazia e attraverso una breve presentazione dello
sviluppo storico-dottrinale, nei paragrafi successivi introdurremo i temi
dottrinali di questo lavoro in cui la domanda sulla salvezza tocca il tema del
rapporto fra «natura» e «soprannaturale», fra l’uomo nella sua situazione
storica concreta e la grazia salvifica di Dio offerta in modo universale in
Cristo – unico salvatore4. In particolare, vorremmo soffermarci sul concetto
cristiano di «divinizzazione», legato al tema della grazia nelle diverse
accezioni che esso riveste nell’Oriente e nell’Occidente cristiano5. Nono-
stante le differenze espressive, la tradizione cristiana comune ha preservato
la visione biblica tradizionale dell’uomo creato a immagine e somiglianza di
Dio, liberamente e gratuitamente chiamato alla vita di comunione con Dio.
Di queste verità fondamentali della fede cristiana, i nostri due autori, Ireneo
di Lione e Henri de Lubac, sono testimoni e difensori, come cercheremo di
dimostrare nelle prossime pagine di questo lavoro6.
—————————–
8
Cfr. R. PESCH, «Antropologia (II)», 263.
9
Cfr. R. PESCH, «Antropologia (II)», 267.
10
Cfr. L.F. LADARIA, Antropologia teologica, 5-9.
11
Cfr. K. RAHNER, «Uomo», 559-560.
INTRODUZIONE 21
—————————–
12
Cfr. K. RAHNER, «Antropologia (III)», 283. Nello stesso luogo Rahner aggiunge che
tuttavia non è conveniente progettare l’antropologia teologica prendendo le mosse dalla
cristologia in modo unilaterale.
13
Cfr. J. AUER, «Grazia (II)», 368-369.
14
Cfr. B.J. HILBERATH, «Dottrina della grazia», 45.
15
B.J. HILBERATH, «Dottrina della grazia», 45.
16
Cfr. B. SESBOÜÉ, Gesù Cristo, I, 226-227.
22 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
Il Dio della grazia è il Dio trino, Padre, Figlio e Spirito Santo; egli si rivolge in
maniera definitiva a tutti gli uomini che non erano in grado di liberarsi dalla loro
situazione disperata, perché pure la coscienza morale data da Dio e la legge
concessa da Jahveh poteva solo mettere in luce il peccato universale; grazie
all’azione gratuita di Dio, che rende giusti i peccatori, gli uomini sono strappati
alla morte, liberati per una nuova vita e una nuova creazione e abilitati a
divenire, in virtù dello Spirito, se stessi nella comunione con le loro sorelle e
fratelli e con Dio30.
Nella storia della teologia il tema della salvezza è sempre stato collegato
al tema della libertà umana e del suo rapporto con la grazia salvifica di
Dio33. Nei primi secoli del cristianesimo, i primi grandi teologi della Chiesa
(Ireneo di Lione, Tertulliano, Origene) lottavano contro le tendenze
dualistiche degli gnostici e la loro falsa dottrina sulla divinizzazione «la
quale è particolaristica quanto alla salvezza, è astorica e “fisica” ed elimina,
pertanto, la libera accettazione, da parte dell’uomo, della libera grazia di Dio
in favore di una storia cosmologica di Dio stesso»34. Partendo dalla dottrina
paolina sulla redenzione nella forma di anakephalaiosis [άνα-
κεφαλαίωσις/recapitulatio], i primi Padri della Chiesa svilupparono la
dottrina sulla grazia annunciando Cristo come unico redentore (Ef 1,10)35.
La dottrina dei Padri e i primi concili della Chiesa, procedendo dai risvolti
dottrinali presenti in Paolo e Giovanni e servendosi dei concetti di filiazione
divina (Gal 4,4-7; 1Gv 3,1-2)36 e d’inabitazione dello Spirito Santo
nell’uomo redento (Rm 8,11; 2Tim 1,14; 2Pt 1,4), hanno dato inizio alla
dottrina cristiana della salvezza legandola ai misteri di Cristo37.
La tradizione occidentale è stata profondamente segnata dall’insegna-
mento di sant’Agostino al quale è stato dato il titolo di «dottore della
grazia». La sua dottrina, che prende alcuni spunti da Tertulliano, è animata
da un forte intento antipelagiano e tratta in modo speciale del rapporto che
intercorre tra la natura umana e la grazia di Cristo. L’accento è messo sulla
grazia come forza divina interiore che guarisce e santifica l’uomo, creando
in lui una nuova inclinazione, una nuova forza che lo libera per renderlo
capace di amare veramente. È in questa esperienza interiore della grazia che
si articola l’esperienza di salvezza dell’uomo: la dottrina della salvezza con
Agostino diventa una vera «teologia della grazia»38.
La tarda patristica e il primo medioevo teologico, aderendo alla dottrina
di Agostino e a quella del Secondo sinodo di Orange (529) «superano,
contro il predestinazionismo, la dottrina di una volontà salvifica puramente
particolare la quale, ancora prima della colpa, esclude positivamente molti
dalla salvezza»39. Nella teologia scolastica, con la così detta eredità
«platonico-agostiniana», nasce un secondo orientamento – quello «aristo-
telico-tomista», che introduce nella dottrina della salvezza una prospettiva
ontologica della grazia. La natura umana viene non soltanto risanata dal
—————————–
33
«La teologia della grazia (De gratia) è la parte di un’antropologia teologica che si
occupa dell’uomo redento e giustificato». K. RAHNER, «Grazia, teologia della», 389.
34
Cfr. K. RAHNER, «Grazia, teologia della», 392.
35
Il primo esempio di questa dottrina lo troviamo proprio in Ireneo di Lione. Cfr. cap.
II, soprattutto par. 2.2.2 di questo lavoro.
36
Cfr. AH, V, 32,2; 34,3.
37
Cfr. J. AUER, «Grazia (II)», 366-367.
38
Cfr. F. ARDUSSO, La salvezza dell’uomo, 1-5. «egli è il grande dottore della Chiesa
sul peccato originale, sulla non meritabilità della grazia, e della predestinazione alla
beatitudine e di una psicologia della grazia». K. RAHNER, «Grazia, teologia della», 393.
39
Cfr. K. RAHNER, «Grazia, teologia della», 393; DH 330-339.373-400.596.621-633.
INTRODUZIONE 27
—————————–
47
Sul significato teologico dei termini «natura», «natura pura» e «soprannaturale», e sul
significato particolare del termine «soprannaturale» negli scritti di de Lubac, cfr. cap. I, sez.
1. di questo lavoro.
48
Cfr. J. AUER, «Grazia (II)», 370.
49
«Clemente d’Alessandria diede alla dottrina platonica della divinizzazione dell’uomo
(Theait. 176 ab) un’interpretazione cristiana (2Pt 1,4), in particolare con la verità
dell’inabitazione dello Spirito Santo (Rm 8,11; 2Tim 1,14)». J. AUER, «Grazia (II)», 366.
Cfr. I.-H. DALMAIS – G. BARDY, «Divinisation», 1376.1378. Nei vari dizionari e manuali
della teologia, la dottrina della divinizzazione viene indicata come parte della dottrina sulla
grazia. Cfr. Ibid., 1370-1459. Alcuni aspetti della dottrina cristiana della divinizzazione
determinata dai concetti paolini della filiazione adottiva, della trasfigurazione e
trasformazione interiore dell’uomo per mezzo della grazia di Cristo, li incontriamo anche in
Ireneo e de Lubac. Cfr. cap. I, sez. 1., par. 2.3, 4.2 e cap. II, par. 2.3 di questo lavoro.
50
Cfr. B. SESBOÜÉ, Gesù Cristo, I, 226-227.
INTRODUZIONE 29
collegano la realtà della vita del Figlio di Dio con la realtà di coloro che
credono in Lui (Rm 8,29; Gal 3,26; 4,6-7; Gv 1,12; 1Gv 3,1-2) e
nell’esperienza di una nuova nascita per mezzo della fede (1Pt 1,3)
«mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito
Santo» (Tt 3,5). Si tratta di una nuova nascita che si riceve con il battesimo,
che immerge nella morte di Gesù per far rinascere alla vita nuova (Rm 6,4-
8), libera dal peccato (1Gv 1,39) e sostenuta dal dono dello Spirito (At
2,38). Attraverso il battesimo l’uomo diventa una «nuova creazione» (Gal
6,15), spogliato dell’uomo vecchio e rivestito dell’uomo nuovo (Col 3,9-
10). La vita nuova è la partecipazione alla natura divina (2Pt 1,4), la
partecipazione alla vita trinitaria stessa «in unione con Gesù Cristo nostro
Signore» (Rm 6,23). Il testo classico in cui si afferma la partecipazione alla
natura divina da parte dell’uomo in Cristo è 2Pt 1,3-7:
È la sua potenza divina che ci ha fatto dono di tutto quello che ci serve per la
vita e la pietà, in una conoscenza approfondita di colui che ci ha chiamati in
virtù della propria gloria e della propria forza, poiché ci è stato fatto il dono di
promesse valide ed eccezionali, in modo che diventaste per mezzo di esse
partecipi della natura divina, fuggendo la corruzione che si trova nelle passioni
sfrenate del mondo. E proprio per questo, mettendo in atto tutta la vostra
diligenza, attingete la virtù alla fede, la conoscenza alla virtù, l’autodominio alla
conoscenza, la costanza all’autodominio, la pietà alla costanza, la carità fraterna
alla pietà, l’ amore alla carità fraterna.
I doni che Dio ha fatto ai cristiani tendono a renderli partecipi della
natura divina nel senso che i cristiani acquistano attributi propri di Dio
solo51. Parallelamente al testo di 2Pt, anche in 1Pt 5,1, si afferma la
partecipazione alla natura divina non intesa esclusivamente in senso
escatologico, ma indica la partecipazione attuale alla gloria di Cristo52.
La visione dell’uomo come creatura chiamata alla vita divina, alla
comunione con le persone divine è riaffermata in modo centrale, a proposito
della salvezza, anche dal Concilio Vaticano II. Il Concilio evita la termi-
nologia di naturale-soprannaturale e ripropone il linguaggio biblico e
patristico53. Similmente troviamo che, nell’enciclica Redemptoris missio di
papa Giovanni Paolo II, si parla della salvezza cristiana come autocomuni-
cazione di Dio e partecipazione alla vita trinitaria: «La salvezza in Cristo,
testimoniata e annunziata dalla chiesa, è autocomunicazione di Dio: “È
l’amore che non soltanto crea il bene, ma fa partecipare alla vita stessa di
Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo. Infatti, colui che ama, desidera donare se
stesso”»54.
—————————–
51
Cfr. 1Cor 15,53-54; AH, V, 1,1; 7,1; 10,2; 13,3.
52
Cfr. M. FLICK – Z. ALSZEGHY, Fondamenti di una antropologia teologica, 285-286.
53
Cfr. ARDUSSO, La salvezza dell’uomo, 19.
54
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, 7, dove si fa riferimento all’enciclica
Dives in misericordia dello stesso papa.
30 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
55
Dalle stesse citazioni bibliche, Gn 5,1 e 5,3, si evidenzia che l’uomo è stato creato a
immagine e somiglianza di Dio, ma non è Dio. Cfr. L.F. LADARIA, Antropologia teologica,
146-147.
56
Cfr. DH 3005; LG 2; DV 6; GS 21; AG 2; I.-H. DALMAIS – G. BARDY,
«Divinisation», 1376; J. ALFARO, «Natura», 571; B. SESBOÜÉ, Gesù Cristo, I, 230.
57
B. SESBOÜÉ, Gesù Cristo, I, 230.
58
Cfr. I.-H. DALMAIS – G. BARDY, «Divinisation», 1389-1398.
59
Cfr. I.-H. DALMAIS – G. BARDY, «Divinisation», 1370-1389; B. SESBOÜÉ, Gesù
Cristo, I, 231.
INTRODUZIONE 31
è fatto a immagine di Dio, ciò vuol dire che egli è a immagine di Cristo»60.
Con il mistero dell’incarnazione Cristo restituisce la somiglianza perduta e
compie la salvezza umana. A partire dal IV secolo la distinzione tra
l’«immagine» e la «somiglianza» si perde e la stessa tradizione patristica, da
san Gregorio Nisseno ad Agostino, usa entrambi i termini con lo stesso
significato61. Passando attraverso le riflessioni dello Pseudo-Dionigi e di
Massimo il Confessore, ritroviamo nel Medioevo un’accezione comune ai
due termini presso i grandi autori monastici che sviluppano una concezione
spirituale e mistica dell’«immagine e somiglianza».
I grandi argomenti soteriologici collegano la dottrina della divinizzazione
alla fede battesimale che introduce l’uomo al mistero e alla comunione con
la vita Trinitaria. I Padri della Chiesa partendo dalla Sacra Scrittura trattano
dello «scambio salutare» operato dal Verbo che si è fatto uomo perché
l’uomo possa diventare figlio di Dio62. Nell’unione ipostatica di Cristo la
natura divina opera la divinizzazione della natura umana e i sacramenti che
procedono dalla grazia dell’unione ipostatica portano la salvezza
divinizzatrice. La stessa dottrina viene affermata nel Catechismo della
Chiesa Cattolica:
Il Verbo si è fatto carne perché diventassimo «partecipi della natura divina» (2
Pt 1,4): «Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di
Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e
ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio». «Infatti il Figlio di
Dio si è fatto uomo per farci Dio». «Unigenitus [...] Dei Filius, Suae divinitatis
volens nos esse participes, naturam nostram assumpsit, ut homines deos faceret
factus homo – L’unigenito [...] Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi
della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli
uomini dei»63.
La teologia cattolica contemporanea, a partire dagli anni cinquanta del
secolo scorso, volendo superare la concettualizzazione scolastica e liberare
la teologia della grazia e della salvezza da un pesante estrinsecismo, è
tornata alle categorie bibliche e alla patristica greca. Ha ricominciato ad
affermare il cristocentrismo e il rapporto personale con Dio attraverso il
dono personale dello Spirito Santo che è la causa formale della diviniz-
zazione dell’uomo64. Il richiamo ai fondamenti biblici, sui quali si sviluppa
—————————–
60
B. SESBOÜÉ, Gesù Cristo, I, 232. Cfr. cap. II, par. 1.1 di questo lavoro.
61
Cfr. MS65, 157-158; L.F. LADARIA, «L’uomo creato a immagine di Dio», 81-103; J.
ALFARO, Cristologia e antropologia, 272.
62
Cfr. B. SESBOÜÉ, Gesù Cristo, I, 237-238, dove si trovano riferimenti alle formule
patristiche di Ireneo, Origene, Atanasio, Gregorio Nisseno e Giovanni Cristosomo; L.F.
LADARIA, «Destino dell’uomo e fine dei tempi», 371; cap. II, sez. 2. di questo lavoro.
63
Cfr. CCC, 460, dove si fa riferimento a Ireneo di Lione, Atanasio di Alessandria e
Tommaso d’Aquino.
64
Cfr. ARDUSSO, La salvezza dell’uomo, 8-9.
32 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
mentre gli occidentali si concentrano sull’essere, sui vari doni che il giusto
riceve nella giustificazione:
L’idea della «deificazione», ottenuta per mezzo dei sacramenti, è una della
dottrine centrali della chiesa orientale. Nella teologia occidentale invece,
quest’aspetto della giustificazione non è messo molto in rilievo, benché anche i
Padri e dottori della chiesa occidentale affermino occasionalmente che l’uomo
nella giustificazione acquista un’affinità speciale con Dio, inaccessibile alle
creature69.
Considerando la finalità dell’uomo, l’Oriente vede nella divinizzazione la
realizzazione dell’uomo creato ad immagine di Dio. L’«immagine» qui non
è qualcosa che si aggiunge dall’esterno, ma è ciò che costituisce l’uomo
come un essere che partecipa dell’essere stesso di Dio. La divinizzazione è
il passaggio dell’uomo dall’immagine alla somiglianza con Dio, che si
svolge lungo un processo senza fine, perché Dio creatore è sempre più
grande della sua creatura70. Il fine dell’uomo in Occidente, invece, viene
individuato nella beatitudine che si raggiunge attraverso la grazia concepita
«come partecipazione alle operazioni divine con le quali il cristiano è reso
operante come Dio stesso (elevazione soprannaturale)»71.
Sullo sfondo delle differenze esistenti tra le due tradizioni si delineano i
rispettivi punti di partenza delle due tradizioni e le tradizioni filosofiche a
cui esse indicativamente si ispirano: in Occidente ci si ispira alla filosofia
aristotelica e in Oriente a quella platonica. Questi due differenti influssi
filosofici hanno ispirato due differenti modi di concepire il rapporto uomo-
Dio72. Gli orientali, sotto l’influsso platonico, concepiscono l’essere come
partecipazione a Dio e intendono la grazia come ciò che costituisce
l’«immagine di Dio» nell’uomo. La natura viene così concepita come ciò
che permette la partecipazione a Dio, e la grazia come quella realtà increata
e divina che rende l’uomo simile a Dio. A questo concetto orientale
conviene il linguaggio della divinizzazione. Gli occidentali invece, sotto
l’influsso aristotelico, considerano le cose come a sé stanti e fornite di una
consistenza propria, e considerano anche la grazia come un elemento nuovo
e aggiuntivo della natura umana. L’Occidente preferisce parlare di attività,
—————————–
cités plus haut». I.-H. DALMAIS – G. BARDY, «Divinisation», 1393. Cfr. Il vangelo della
grazia, 602; cap. II, par. 2.3 di questo lavoro.
69
Cfr. Il vangelo della grazia, 547.
70
Cfr. Y. SPITERIS, Il linguaggio della divinizzazione, 91.
71
Cfr. Y. SPITERIS, Il linguaggio della divinizzazione, 92. Sulla dottrina della
partecipazione della natura divina, concessa all’uomo nell’istante della giustificazione vedi:
Il vangelo della grazia, 532-560, dove troviamo l’affermazione: «La partecipazione del
giusto alla natura divina, non è stata mai definita dalla chiesa. Però, questa dottrina si trova
esplicitamente affermata nelle fonti della rivelazione, ed è insegnata dalla chiesa, come
appartenente alla fede. Il fatto dunque di questa partecipazione, deve dirsi “di fede divina e
cattolica”. Sarebbe dunque un “errore contro la fede”, negare la partecipazione del giusto
alla natura divina, o spiegarla in un modo puramente metaforico». Ibid., 553.
72
Cfr. Y. SPITERIS, Il linguaggio della divinizzazione, 90-94.
34 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
73
Cfr. Il vangelo della grazia, 602.
74
Cfr. AH, IV, 14,1.
75
Cfr. AH, IV, 7,4; 20,4; V, 29,1.
76
Cfr. cap. II, par. 2.2.2 di questo lavoro.
77
Cfr. S, 483-493; cap. I, par. 2.3 di questo lavoro.
78
Cfr. AH, IV, 20,5.7; MS49, 134; cap. II, parr. 2.3 e 3.2 di questo lavoro.
CAPITOLO I
IN HENRI DE LUBAC
—————————–
4
Sull’influsso di Blondel e Teilhard de Chardin, insieme agli altri «amici» e «maestri»,
come J. Huby, J, Maréchal, A. Valensin, É. Gilson, Y. de Montcheuil, G. Fessard, J.
Daniélou, H.U. von Balthasar, H. Bouillard, al pensiero e allo sviluppo teologico di de
Lubac, cfr. J.-P. WAGNER, Henri de Lubac, 29-46.
5
Cfr. I. MORALI, Henri de Lubac, 14.
6
Cfr. H. de LUBAC, «Nota dell’Autore e sua presentazione del piano dell’opera» nei
volumi della traduzione italiana dell’Opera omnia dell’autore.
7
Cfr. R. GIBELLINI, La teologia del XX secolo, 196. Sulla possibile classificazione delle
opere di de Lubac cfr. Hercsik, 27-34.
8
R. GIBELLINI, La teologia del XX secolo, 196.
9
Cfr. R. GIBELLINI, La teologia del XX secolo, 197.
10
Cfr. I. MORALI, Henri de Lubac, 7.
SOPRANNATURALE 37
—————————–
11
In questo senso, a proposito delle tante citazioni patristiche che usa nelle sue opere,
de Lubac stesso dichiara: «Se le citazioni si accumulano – a rischio di affaticare il lettore –
è perché abbiamo desiderato procedere nel modo più impersonale, attingendo soprattutto
nel tesoro troppo poco utilizzato dei Padri della Chiesa». Vedi introduzione di de Lubac
nella traduzione italiana di Catholicisme in C, p. XXVI. Benedetti aggiunge che questo che
de Lubac dice per Catholicisme, può valere per ogni sua opera. Cfr. G. BENEDETTI, «La
teologia del soprannaturale in Henri de Lubac», 30.
12
Cfr. G. BENEDETTI, «La teologia del mistero in Henri de Lubac», 1-2.
13
G. BENEDETTI, «La teologia del mistero in Henri de Lubac», 2.
14
Siccome quest’opera è stata rielaborata nell’anno 1965, pubblicata in due volumi
separati: Augustinisme et théologie moderne e Le Mystère du surnaturel, le nostre citazioni
saranno tratte da quest’ultima pubblicazione, che sarà anche il punto di riferimento costante
per lo sviluppo delle nostre argomentazioni. Sulla «evoluzione» del Surnaturel (1946) cfr.
H.U. von BALTHASAR, Il padre Henri de Lubac. La tradizione fonte di rinnovamento, 67-
80.
15
In questo lavoro, quando non indicato diversamente, vengono usate le traduzioni
italiane della Opera omnia di de Lubac della collana «Già e non ancora» di Queriniana,
Brescia, con il riferimento alle Œuvres Complètes in francese pubblicate da Cerf, Parigi o
altre edizioni francesi riportate nella Bibliografia. Per la versione italiana dell’articolo «Le
mystère du surnaturel» («Il mistero del soprannaturale») pubblicato nella rivista
«Recherches de science religieuse» 36 (1949) 80-121, ci serviamo della traduzione di I.
Morali presentata in ID., Henri de Lubac, 91-139.
16
A proposito della presunta condanna di Surnaturel e della Nouvelle Théologie che
alcuni vedono nelle affermazioni dell’enciclica Humani generis di Pio XII (1950) sul
concetto della «gratuità» nell’ordine del soprannaturale e del suo rapporto con
l’onnipotenza divina, vedi: Humani generis (DH 3891); MS65, 104-106.138-139; MEM,
38 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
219-230; H.U. von BALTHASAR, Il padre Henri de Lubac. La tradizione fonte di
rinnovamento, 76.79; I. MORALI, Henri de Lubac, 14-15.
17
Cfr. R. GIBELLINI, La teologia del XX secolo, 2. De Lubac considera le sue
conclusioni sul soprannaturale in Surnaturel «un rapido abbozzo», aggiungendo a questo
proposito: «Scritto un po’ in fretta, su richiesta di qualche consigliere, l’abbozzo era troppo
rapido. Non voleva, d’altronde, trattare a fondo il problema del soprannaturale e neppure
richiamarne le linee principali. Sull’unico punto che essa affrontava, la trattazione sembrò
però convincente a più d’un teologo. Molti ci hanno manifestato il loro parere positivo».
Cfr. MS65, 105.
18
Il motivo per cui ha scritto questo articolo, l’Autore lo giustifica così: «…poche
pagine di conclusione [in Surnaturel] non potevano chiarire tutti gli aspetti d’una questione
così capitale e così complessa. Avevano bisogno d’essere non soltanto rivedute, ma
completate. È questo il motivo per cui, senza ripetere ciò che era stato già detto, avevamo
presentato qualche nuova riflessione […] in un articolo di “Recherches de science
religieuse” pubblicato nel 1949, dopo l’approvazione e gli incoraggiamenti ricevuti da
Roma stessa». Cfr. MS65, 106. Nonostante questi incoraggiamenti, gli sfortunati
fraintendimenti della sua dottrina gli hanno causato quasi un decennio di solitudine durante
il quale «fu esonerato dall’insegnamento e sospinto da un luogo all’altro». Cfr. R.
GIBELLINI, La teologia del XX secolo, 193.
19
Cfr. MS49, 104; MS65, 106-107.
20
Cfr. cap. I, sez. 1. di questo lavoro.
21
I titoli abbreviati – Surnaturel e Petite catéchèse – si riferiscono a Surnaturel, Études
historiques e a Petite catéchèse sur Nature et Grâce di de Lubac e concordano con le sigle
S e PC usate nelle note ed elencate nelle Abbreviazioni di questo lavoro.
22
Cfr. cap. I, sez. 2. di questo lavoro.
SOPRANNATURALE 39
—————————–
27
Cfr. L.F. LADARIA, «Natura e soprannaturale», 327.
28
Cfr. J. ALFARO, «Natura», 568.
29
Cfr. J. ALFARO, «Natura», 569.
30
Cfr. J. ALFARO, «Natura», 570.
SOPRANNATURALE 41
—————————–
31
Cfr. J. ALFARO, «Natura e grazia», 578.
32
Cfr. cap. II, parr. 1.2 e 2.3 di questo lavoro.
33
Cfr. J. ALFARO, «Natura», 571.
34
Cfr. J. ALFARO, «Natura e grazia», 580.
35
Nella cristologia e nella teologia trinitaria i concetti di «natura» e «persona» sono
contrapposti. Cfr. J. ALFARO, «Natura», 570.
36
Cfr. J. ALFARO, Cristologia e antropologia, 398-423.
37
«Da im Menschen nicht die Natur eine Person, sondern die Person ihre Natur besitzt».
Cfr. G.L. MÜLLER, «Natur (IV)», 666.
38
Cfr. J. ALFARO, «Natura e grazia», 585-586. Proprio questa concezione biblica
(soprattutto paolina e giovannea) dell’azione della grazia nell’uomo e la riflessione più
profonda sulla dimensione trascendentale della dinamica spirituale dell’uomo, presente
nella teologia cattolica del XX secolo, presentano un ritorno alla posizione patristica e
agostiniano-tomistica confermata dal concilio Vaticano II (LG 12; DV 5). Cfr. Ibid., 583.
Noi cercheremo di presentare l’opera sul «soprannaturale» di de Lubac un notevole
contributo a questo «ritorno».
39
Cfr. J. ALFARO, «Natura e grazia», 580-582.
40
Cfr. L.F. LADARIA, «Natura e soprannaturale», 328; S, 325-428. Infatti, il termine
«soprannaturale» viene usato per la prima volta nei documenti ecclesiastici nel 1567 con la
condanna di Baio nella bolla di Pio V e significa «in modo generale e ancora indeterminato,
42 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
duplice piano della nostra relazione con Dio, corrispondente ai due aspetti
dell’opera di Dio in noi, alla creazione (natura) e alla filiazione (grazia), si
distingue la duplice gratuità dei doni: quella dei beni naturali, che anche se
feriti, rimangono nell’uomo anche dopo il peccato, e quella della grazia di
filiazione, minacciata dal peccato, e considerata una gratuità superiore41.
Questa distinzione tra i beni «naturali» e la «grazia», iniziata già da
Ireneo42, sviluppata nella teologia di Agostino e soprattutto nella prima
scolastica, si poggerà sulla Scrittura (Gc 1,17)43 e aprirà la via per le altre
distinzioni tra la natura e la grazia. Così si distingueranno due livelli di
gratuità e di grazia:
Il primo è generale e si applica a tutto ciò che è donato gratuitamente e senza
merito. È evidente che la creazione è gratuita e che l’uomo non ha alcun diritto
sui beni naturali che Dio gli dona. Ma vi è un secondo livello specifico, a cui
corrisponde più propriamente il nome di grazia: la capacità di fare il bene, che
conduce direttamente al fine dell’uomo, vale a dire alla vita eterna44.
Nonostante questo duplice ordine di gratuità, la vita in Dio rimane
l’unico fine dell’uomo. La prima scolastica non ha messo in questione la
vocazione fondamentale dell’uomo alla vita divina, ma siccome l’ordine
della grazia conduce «al di sopra della natura» e supera la natura umana, si è
cominciato ad usare il termine «supra naturam» con cui gradualmente si
sviluppa la dottrina del «soprannaturale» che darà le sue conseguenze. La
visione di Dio come unico fine dell’uomo non era messa in discussione
nemmeno da grandi scolastici come Bonaventura e Tommaso, ma già prima
di loro nasce la tendenza a determinare «ciò che corrisponde all’uomo “in
sé”45, a stabilire ciò che è la natura umana, a cui si aggiungono altri beni che
—————————–
l’ordine del divino considerato nel suo rapporto di opposizione e di unione con l’ordine
umano». Cfr. PC, 19; PIO V, Ex omnibus afflictionibus, 21 e 23 (DH 1921 e 1923).
41
Cfr. L.F. LADARIA, «Natura e soprannaturale», 329-330.
42
«Perché la vita non deriva né da noi né dalla nostra natura, ma è data secondo la
grazia di Dio». AH, II, 34,3. Cfr. AH, II, 34,3-4; V, 13,3; Gross, 128, n. 49. Ireneo
considera soprattutto l’Incarnazione la grazia più grande per la salvezza dell’uomo. Cfr. I.
DALMAIS – G. BARDY, «Divinisation», 1377; AH, III, 18,7; 19,1; IV, 33,4.
43
«Ogni buon regalo (datum optimum) e ogni dono perfetto (donum perfectum) viene
dall’alto».
44
L.F. LADARIA, «Natura e soprannaturale», 332.
45
Si tratta del concetto aristotelico di «natura dell’uomo in quanto tale» che Tommaso
usa dandogli, nella prospettiva della rivelazione e della fede, un significato nuovo, cioè, egli
vede nella natura dell’uomo l’immagine di Dio. Così, il concetto di natura applicato
all’uomo da san Tommaso si distingue da quello della filosofia antica o della scolastica
moderna. «La natura tomista non è la natura aristotelica» dice de Lubac citando É. Gilson.
Cfr. MS65, 167-168. Il pensiero di Tommaso e le sue formulazioni «tecniche» non sono
influenzate soltanto da Aristotele, ma ancor prima da sant’Agostino e dai Padri. Cfr. S, 117-
120; ATM, 217-221; MS65,169-174. Sui riferimenti di Tommaso ad Aristotele
(Philosophus) e la sua Etica a Nicomaco riguardanti la «natura dell’uomo» e la «duplice
beatitudine» cfr. S. Th., I, q. 62, a. 1 (Ethic X, cc. 7-8); S. Th., I-II, q. 3, a. 2 ad 4m (Ethic I,
c. 10); q. 3, a. 5 (Ethic X, cc. 7-8); q. 62, a. 1 (Ethic I, c. 10). Segnaliamo a proposito
SOPRANNATURALE 43
Già nella teologia patristica si può distinguere un doppio uso del concetto
di «natura»: il senso della natura dell’uomo collocato nella storia della
salvezza, creato da Dio (stato di grazia) e situato nel mondo (situazione di
peccato); ed il «senso stretto» di natura senza riferimento al peccato e in
contrapposizione alla «grazia»52. L’ammissione tomista della possibilità che
l’uomo non sia chiamato alla visione beatifica53 fu accettata nei secoli
successivi da Dionigi il Certosino e poi sviluppata da Gaetano54. Nelle
trattazioni teologiche concernenti il rapporto fra natura e grazia e l’aspetto
gratuito della grazia, Giansenio respingeva la possibilità di uno stato di
«natura pura» considerando l’uomo come una creatura dotata di spirito che
può essere creato soltanto con la destinazione alla visione di Dio, mentre
Baio rifiutava il concetto di «natura pura» considerando i doni della grazia
(iustitia originalis) come parte integrante della natura e misconoscendo la
grazia divinizzante55. Nella teologia post-tridentina successiva (esclusa la
—————————–
52
La distinzione patristica fra eikon [εικών] e homoiosis [ὁμοίωσις] che descrive «da un
lato la condizione dell’uomo seguita alla creazione e dall’altro il suo progressivo
perfezionamento» non corrisponde alla menzionata distinzione del doppio uso del concetto
di «natura» perché «il concetto eikon [εικών] ha in sé già il momento iniziale della grazia, e
per tal motivo non è identico al concetto di natura dell’uomo, dato che definisce piuttosto la
natura nella storia della salvezza». Cfr. J. ALFARO, «Natura», 573.
53
Secondo de Lubac, per san Tommaso esiste un unico fine ultimo dell’uomo reale, il
fine soprannaturale. Cfr. S, 449-465.
54
Entrambi erano oppositori della tesi del «desiderio naturale di vedere Dio». Cfr. L.F.
LADARIA, «Natura e soprannaturale», 342-345. De Lubac, invece sostiene: «“Désir naturel
du surnaturel”: la plupart des théologiens qui repoussent cette formule, repoussent avec elle
la doctrine même de saint Thomas d’Aquin». Partendo dall’esegesi dei testi di Tommaso,
egli afferma l’unicità del fine ultimo dell’uomo, costituito dall’unica beatitudine, quella
soprannaturale. Inoltre, egli afferma: la naturalità del «desiderio di vedere Dio», la realtà
ontologica e quindi la portata assoluta (non condizionale) di questo desiderio e la sopran-
naturalità dell’oggetto di tale desiderio. Cfr. S, 431-438; G. COLOMBO, «Il problema del
soprannaturale negli ultimi cinquant’anni», 590-591. Riportiamo a proposito un riassunto e
commento della dottrina di de Lubac ad opera di G. Colombo: «De Lubac si mostra
consapevole delle difficoltà di carattere teologico sollevate da questa dottrina. Dice che la
teoria di S. Tommaso, spinta fino in fondo, arriva a compromettere la soprannaturalità della
visione beatifica e la sua assoluta gratuità. Per quanto riguarda invece il pensiero personale
di S. Tommaso dice che bisogna tener conto degli “elementi compensatori” che sono entrati
nella sua teoria, delle sue ripetute dichiarazioni sulla gratuità del soprannaturale, e del fatto
che questo problema, il problema della gratuità, non se l’è posto in modo specifico; è solo
la teologia posteriore che se l’è trovato di fronte. Sotto questo aspetto, S. Tommaso appare
un autore “di transizione” nel quale mal si conciliano e si equilibrano tradizioni opposte».
Ibid., 591. Cfr. S, 435-456. Per una osservazione più critica di G. Colombo a proposito
dell’esegesi tomista di de Lubac, cfr. G. COLOMBO, «Il problema del soprannaturale negli
ultimi cinquant’anni», 597-598.
55
Cfr. J. ALFARO, «Natura», 574. A causa delle loro dottrine Baio e Giansenio erano
chiamati «uomini del Vecchio Testamento» perché concepivano il rapporto fra Dio e
l’uomo in modo giuridico (Baio) e avevano una visione d’un «Dio terribile» che nella sua
potenza «salva uno e condanna un altro, secondo il suo beneplacito» (Giansenio). Entrambi
avevano una falsa concezione della grazia: Baio tendeva a sopprimere l’idea della grazia
considerando l’uomo un giusto che nel senso esigente ha dei suoi diritti davanti a Dio;
Giansenio la considerava «una manifestazione della potenza, tanto più adorabile quanto più
SOPRANNATURALE 45
—————————–
62
Cfr. L.F. LADARIA, «Natura e soprannaturale», 356.
63
Cfr. MS65, 109.
64
Cfr. R. GIBELLINI, La teologia del XX secolo, 199; ATM, 72. A proposito della
dottrina di Baio e di Pelagio de Lubac scrive: «Il pelagiano perfetto sarà l’orgoglioso che
non vuol esser debitore ad alcuno, di nessuna cosa. Il baianista perfetto sarebbe piuttosto il
litigante importuno, che si lagna sempre della propria povertà, reclamando ciò che gli è
dovuto. Baio è un Pelagio che si fa mendico petulante. Pelagio, o l’ascesi pura. Baio, o il
giuridicismo puro. L’uno e l’altro, ciascuno nel suo ordine e a sua maniera: un naturalismo
puro». Cfr. ATM, 43-44.
65
Si pensa soprattutto alla falsa interpretazione di Tommaso e Agostino. Cfr. MS65, 56-
57.
66
Ricordiamo che secondo de Lubac, Tommaso non considerava il fine ultimo
dell’uomo come appartenente all’ordine puramente naturale. Anche quando parla della
«doppia beatitudine», «egli lo fa sempre contemporaneamente analizzando l’essenza dello
spirito creato e mantenendosi all’interno del nostro universo la cui finalità è sopran-
naturale». Cfr. MS49, 95-96.110-111. In questo senso de Lubac cita V. White: «Nessuno gli
[a san Tommaso] rimprovera di non riconoscere la solidità delle nature. Nessuno gli
contesta che abbia saputo dare “consistenza alla considerazione astratta della natura umana
e ai concetti metafisici”. Ora, se egli “riconosce e mantiene una legge naturale, non si trova
in lui alcun indizio (e questo fatto è già significativo per se stesso) che l’osservanza di
questa legge conduca l’uomo a qualche beatitudine naturale, o costituisca un ordine diverso
dall’ordine puramente sociale e mondano. Egli nega anzi espressamente che ciò basti a
guidare l’uomo al suo destino finale”». Cfr. MS65, 86. Vedi anche: Ibid., 56-66; ID.,
«Duplex hominis beatitudo», 290-299.
SOPRANNATURALE 47
—————————–
67
De Lubac, citando Lafosse: «Status naturae purae duo importat: alterum
essentialiter, alterum vero accidentaliter. Essentialiter importat carentiam ordinationis et
elevationis ad finem supernaturalem, seu visionem beatificam: accidentaliter vero importat
concupiscentiam…». Cfr. ATM, 297.
68
Cfr. MS65, 130; AH, IV, 38,3-4; Gross, 125-126.
69
Questo ritorno all'antichità, significherebbe anche un «ritorno alla semplicità». Cfr.
MS49, 96; MS65, 65-66.
70
«…non il concetto antico di “natura pura”, ma il sistema che si è sviluppato attorno
ad esso nella teologia moderna e che ne ha profondamente cambiato il significato, ci
sembra possa esser lasciato da parte senza danno. Così come si è sviluppato, con la sua
negazione di ogni legame organico, questo sistema, che la grande Scolastica ignora, non ci
sembra esser né il solo mezzo né il migliore per assicurare alla natura umana consistenza e
dignità; e neppure trascendenza e gratuità al soprannaturale». MS65, 85.
71
L’ipotesi della «natura pura» fu costruita a causa del desiderio di eliminare una delle
due verità di fede (l’unicità del fine ultimo dell’uomo e l’assoluta libertà di Dio che
gratuitamente dona la sua grazia) che possono sembrare opposte, ovvero quella che sembra
antagonista. La scelta di una delle due verità, escludendo l’altra (nel caso della «natura
pura» si esclude l’unicità del fine ultimo dell’uomo), costituisce secondo de Lubac
un’eresia. Egli, invece, nello spirito della «pienezza cattolica» cercava l’equilibrio della
sintesi. Cfr. MS49, 127-134; MS65, 239.
72
Cfr. MS49, 139; MS65, 307-308.
73
Cfr. PC, 14-15.
48 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
forza liberatrice della grazia94, dove de Lubac sostiene che «la distinzione
fra natura e grazia è in un primo tempo un rapporto di opposizione molto
più radicale che nel caso della distinzione generale fra natura e
soprannaturale» perché «fra la grazia e il peccato la lotta è irriducibile»95.
Il cambiamento del linguaggio teologico sul soprannaturale in un lin-
guaggio più biblico sulla grazia nelle opere di de Lubac è particolarmente
sensibile dopo il Concilio Vaticano II. Questo si può evidenziare nella
seconda parte della Petite catéchèse dove all’inizio del terzo capitolo
l’autore afferma che fino a quel punto le sue considerazioni hanno un
«carattere astratto» conforme al «metodo lungamente in uso presso la
teologia classica» e che nella ricerca di una definizione del rapporto natura-
soprannaturale egli considerava questo rapporto «nella sua maggiore
generalità, nella sua indeterminatezza primaria, in quanto il “sopran-
naturale” considerato non aveva ancora […] i tratti precisi dell’alleanza
biblica o del mistero cristiano»96. Usando il cosiddetto «metodo di inno-
cenza» egli faceva un’«astrazione della condizione concreta dell’uomo, che
è una condizione di peccato»97. In questo senso egli parla di una doppia
distinzione: natura – soprannaturale, peccato – grazia; che egli ritiene si
riveli esplicitamente nella liturgia cattolica e che debba essere assolutamente
mantenuta «in tutto suo vigore»98. «La distinzione fondamentale tra “natura
umana” e “soprannaturale”, soggiacente alla loro unione realizzata dalla
grazia, […] resta un elemento fondamentale della dottrina cattolica»99.
Parlando del linguaggio della grazia nel Vaticano II, de Lubac risponde
alle obiezioni di alcuni autori che sottolineano come concilio non abbia
usato il termine «soprannaturale», affermando che, anche se il linguaggio
del concilio è abitualmente concreto e parla più volentieri di natura e grazia
che di natura e soprannaturale, questo termine ricorre negli atti conciliari 14
volte100. Infatti, il concilio voleva evitare un uso frequente del termine
«soprannaturale» che a causa dei tanti abusi e delle conseguenti confusioni
createsi nella teologia moderna è divenuto «per numerosi autori non
—————————–
94
«Il mio scopo era duplice: da una parte riassumere in forma semplice e attualizzata,
per tirarne le conseguenze, la dottrina del soprannaturale, come risultava dai miei antichi
studi storici sull'argomento; dall'altra, completarla con un’esposizione sulla grazia che
libera dal peccato». Così de Lubac sulla sua Petite catéchèse in MEM, 407-408.
95
Cfr. PC, 70.
96
Cfr. PC, 69.
97
Cfr. PC, 69.
98
De Lubac fa un richiamo all’inizio della parte eucaristica dell’attuale rito della messa
riportando le parole in latino che, secondo lui, esprimono la menzionata doppia distinzione
ed il senso del mistero meglio delle traduzioni in francese [ed in italiano]: «“Per huius
aquae et vini mysterium, eius divinitatis (esse) consortes, qui humanitatis nostrae fieri
dignitus est particeps” (= natura soprannaturale nella sua realizzazione concreta); – “Lava
me, Domine, ab iniquitate mea, et a peccato meo munda me” (= peccato – grazia)». Cfr.
PC, 95.
99
Cfr. H. de LUBAC, «“Soprannaturale” al Vaticano II», 348.
100
Cfr. H. de LUBAC, «“Soprannaturale” al Vaticano II», 343.
52 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
101
Cfr. H. de LUBAC, «“Soprannaturale” al Vaticano II», 346-347.
102
«Il concilio che afferma in molteplici maniere la vocazione divina dell’uomo e la
gratuità di questo appello, non sente il bisogno per conservare questa gratuità di riferirsi
all’ipotesi di “un ordine di pura natura” completo in se stesso». Cfr. H. de LUBAC,
«“Soprannaturale” al Vaticano II», 347.349.
103
Così de Lubac, citando Mouroux, conclude il suo articolo con le parole conciliari
della Gaudium et Spes (GS 21-22): «La chiesa sa perfettamente che il suo messaggio è in
armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano, quando difende la dignità della
vocazione umana e così ridona la speranza a quanti disperano ormai di un destino più
alto… In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero
dell’uomo». Cfr. H. de LUBAC, «“Soprannaturale” al Vaticano II», 350.
104
Cfr. PC, 25-26.
105
Questo sforzo di de Lubac è proprio in sintonia con le impostazioni antignostiche
antropologico-soteriologiche di Ireneo, come vedremo nel cap. II di questo lavoro.
106
PC, 28-29.
SOPRANNATURALE 53
—————————–
107
Cfr. PC, 29.
108
«di fronte all’evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli
che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi capitali: Cos’è l’uomo?». GS
10.
109
«Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo
amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione».
GS 22.
110
AH, IV, 20,7.
111
A questo scopo ci serviamo soprattutto delle seguenti opere di de Lubac: Surnaturel
(1946); «Le mystère du surnaturel» (1949); Augustinisme et théologie moderne (1965); Le
Mystère du surnaturel (1965).
112
Proprio queste stesse impostazioni antropologiche le riconosceremo nella dottrina di
Ireneo. Cfr. cap. II, sez. 1. di questo lavoro.
54 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
113
Cfr. MS65, 46-48.51-70.
114
La «semplicità» e la potenza degli «antichi» caratterizzano le riflessioni antropo-
teologiche di Ireneo alla base delle confutazioni da lui elaborate contro i complicati e
sviluppati sistemi gnostici. Cfr. Brox, I, 19; P. CODA, Teo-logia, 156; cap. II di questo
lavoro.
115
Cfr. S, 437; MS49, 136; ATM, 180.204. 217-219.262.302; MS65, 77.84.157-
159.168.278-279; PC, 14.18; cap. II, parr. 1.1-1.3 di questo lavoro.
116
«Sola tuttavia ci interesserebbe la consistenza “di fatto”, quella della nostra effettiva
natura, in questa creazione di Dio». MS49, 102.
117
Cfr. MS49, 103.
118
Cfr. L.F. LADARIA, Antropologia teologica, 193-194. Questo sforzo di de Lubac in
accordo con la dottrina degli Antichi esclude simultaneamente l’ipotesi irreale della «natura
pura». Cfr. MS49, 103-104; ATM, 322-323; MS65, 109-131.306-307; ID.,
«“Soprannaturale” al Vaticano II», 347.
119
De Lubac, nel suo stile di una «serena disputatio in pace catholica», si esprime così:
«In queste condizioni, non è “più semplice e più ragionevole” di tornare, come proponiamo,
alla posizione degli antichi, che non si preoccupavano di una simile ipotesi? Senza nulla
negare dogmaticamente circa le possibilità, che ci sfuggono; senza rifiutare un’ipotesi
astratta, che può esser un buon mezzo per rappresentarci al vivo una certa verità, non è “più
semplice e più ragionevole”, per elaborare una dottrina teologica, cercare di non uscire dal
reale che noi conosciamo?». Cfr. MS65, 104.
120
Quando per esempio cita la frase di sant’Ireneo a riguardo della visione di Dio come
unico fine dell’uomo e tanto più offerta agli «uomini che noi siamo oggi»: «L’uomo, infatti,
SOPRANNATURALE 55
—————————–
non può vedere Dio da sé; ma Egli di sua volontà si farà vedere dagli uomini che vuole,
quando vuole e come vuole». Cfr. AH, IV, 20,5; MS49, 107; MS65, 111.
121
«Tuttavia, ripetiamolo, unicamente in rapporto a me, in rapporto a noi tutti, a questa
natura qual è la nostra, a questa umanità reale, di cui noi siamo membri, si pone, in fin dei
conti, e deve essere risolta, questa questione della gratuità». MS65, 116.
122
Cfr. MS49, 109.
123
Cfr. MS65, 137, e l’intero capitolo «Il “donum perfectum”», 133-159.
124
Cfr. MS65, 134.
125
Cfr. MS65, 154.
56 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
126
L’ultima espressione, in francese «super-contigente, proviene da M.D. Chenu. Cfr.
MS65, 140-141. Secondo la dottrina di sant’Agostino ed il suo discorso nel De Civitate Dei
sulla «duplice grazia», sulla distinzione di un «duplice soccorso della grazia», esiste una
differenza tra il dono della grazia offerto al «primo Adamo» e quello dato al «secondo
Adamo» che in definitiva rappresenta «il peccatore di oggi», tale per cui quest’ultima
grazia, la grazia di Cristo è considerata «più abbondante», «più grande» e «più potente».
Cfr. ATM, 89-91 e nella stesa opera l’intero capitolo «Il problema dello stato primitivo»,
285-283.
127
Cfr. AH, IV, 20,5.7; MS49, 134; cap. II, parr. 2.3 e 3.2 di questo lavoro.
128
Così de Lubac, citando Agostino e Bérulle. Cfr. AH, II, 28,2; MS49, 136. MS65, 277-
278.
129
Cfr. cap. I, par. 1.1 di questo lavoro. Usando dunque in questo paragrafo e in altri
successivi del lavoro i termini «natura», «naturale» e «soprannaturale», anche se non messi
fra le virgolette, gli attribuiamo il significato già spiegato.
130
Cfr. MS65, 71.
131
Cfr. MS65, 72.
SOPRANNATURALE 57
—————————–
132
Cfr. MS65, 162. L’uomo come «spirito» è una realtà che non può venir descritta in
maniera adeguata da concetti e da metodi di scienza naturale. Egli, infatti, è soggetto,
libertà, conoscenza e autocoscienza il cui orizzonte è fondamentalmente illimitato. Cfr. K.
RAHNER, «Uomo», 561. Alfaro esprime in altri termini un pensiero simile a quello di
Rahner, prendendo in considerazione la finalità propria dell’uomo come spirito conosciuta
alla luce della rivelazione cristiana, e considerando l’uomo «destinato alla visione di Dio, e,
di conseguenza, radicalmente capace di essa in virtù del suo stesso carattere essenziale di
spirito». Egli afferma: «La comprensione teologica dell’uomo, divinizzato nella visione di
Dio dalla grazia assoluta dell’incarnazione, porta dunque inevitabilmente alla questione
teologica sull’essere stesso dell’uomo, alla questione della sua finalità inscritta nella sua
interiorità spirituale. La questione della finalità dell’uomo (del suo futuro, anticipato nel
dinamismo spirituale dell’uomo verso la propria pienezza: del suo “verso che cosa”) è la
questione finale della sua esistenza». Cfr. J. ALFARO, Cristologia e antropologia, 266.
133
Così de Lubac, seguendo la dottrina di san Tommaso e citando de Finance. Cfr.
MS65, 163.
134
MS65, 165-166.
135
Cfr. MS65, 161-178.
136
Cfr. MS65, 170. «Tutto l’agostinismo, nell’accezione più larga del termine, –
accezione che si estende a tutta l’antica tradizione –, non consiste forse, in quest’ar-
gomento, nel sottolineare la differenza essenziale che esiste fra gli esseri della natura, o del
cosmo, – il cui fine è proporzionato ai loro limiti –, e lo spirito, che è aperto all’infinito?».
Cfr. ATM, 217-218.
58 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
137
Cfr. MS65, 161-249.
138
De Lubac servendosi con le parole di K. Rahner. Cfr. MS65, 167.
139
Cfr. MS65, 171.
140
Cfr. MS65, 179.184-186. 297.
141
MS65, 190.
142
Cfr. MS65, 179.
143
La teoria ipotetica modernista della «natura pura» contro la quale lottava de Lubac.
144
Cfr. MS65, 77.
SOPRANNATURALE 59
—————————–
152
Nella terminologia teologica tradizionale questa capacità dell’uomo fu chiamata
«potenza obbedienziale», ma de Lubac non accetta la concezione puramente «passiva» di
questo termine applicata alla spiegazione del «desiderio naturale». Cfr. ATM, 249; J.
ALFARO, Cristologia e antropologia, 263.
153
Cfr. J. ALFARO, «Natura e grazia», 580.
154
Un’altra interpretazione di questa capacità della natura dell’uomo che lo porta a
vedere Dio è di considerarla come «mera non-contraddizione tra natura e grazia». Cfr. J.
ALFARO, «Natura e grazia», 580.
155
Cfr. S. Th., I, q. 12, a. 1; J. ALFARO, «Natura e grazia», 581.
156
Cfr. L.F. LADARIA, Antropologia teologica, 201-202.
157
Cfr. cap. I, par. 1.4 di questo lavoro.
158
Cfr. J. ALFARO, Cristologia e antropologia, 282.
SOPRANNATURALE 61
—————————–
167
Cfr. MS49, 135; MS65, 111.245.
168
Cfr. ATM, 171. «Il desiderio di vedere Dio, per lui [san Tommaso] è nell’uomo un
“desiderio di natura”; meglio ancora è “il desiderio della sua natura”, naturae desiderium».
«”Desiderium naturale” può tradursi in significati assai diversi, ma “desiderium naturae”
non offre che un senso, più pregnante: “remanebit inane naturae desiderium” (S. Th., I, q.
12, a. 1)». Così de Lubac citando la Summa Theologiae e proseguendo con la citazione
dalla Summa Contra Gentiles: «Impossibile est naturale desiderium esse inane… (Contra
Gentiles, I, 3, c. 48)». Cfr. MS65, 114, e n. 13; 245. Vedi a proposito anche: S, 467-471.
169
De Lubac, citando in seguito san Tommaso: «Unicuique naturaliter convenit unus
finis, quem naturali necessitate appetit, quia natura semper tendit ad unum». Cfr. MS65,
112.
170
Cfr. MS65, 275.
171
Cfr. MS65, 275.
172
Cfr. S, 483. Infatti, è Dio colui che «esige che lo vogliamo», «l’esigenza è da parte di
Dio»: «Ciò che vogliamo necessariamente, di un volere assoluto, può anche essere
chiamato in termini generali ciò che esigiamo. Diciamolo dunque provvisoriamente della
visione di Dio, ma per aggiungere subito: non l’esigiamo perché ci piace esigerlo, lo
esigiamo perché non possiamo non volerlo. Lungi dall’essere dominato da lui, questo
oggetto del nostro volere lo domina. Si impone a noi, esige che lo vogliamo, anche quando
la nostra coscienza lo ignora, anche quando la nostra libertà si allontana da lui. La sua
esigenza è tale che non possiamo privarcene. Se dunque l’esigiamo, è lui che urge la nostra
esigenza e la trasforma in natura. Necessità di volere, legge rigorosa, ricevuta dallo spirito e
non dettata da lui». Cfr. H. de LUBAC, «Esigenza divina e desiderio dell’uomo», 263-264.
173
De Lubac, citando Duns Scoto. Cfr. MS65, 176.
174
De Lubac, citando san Tommaso sul problema della beatitudine che «trascende ogni
investigazione razionale»: «Vita autem aeterna est quoddam bonum excedens proportionem
naturae creatae, quia autem excedit cognitionem et desiderium ejus» (S. Th., I-II, q. 114, a.
2). Cfr. MS65, 288.
SOPRANNATURALE 63
—————————–
179
«Desiderio naturale del soprannaturale: è l’azione permanente di Dio in noi che crea
la nostra natura, come la grazia è l’azione permanente di Dio in noi che crea l’ordine
morale». Così de Lubac, facendo riferimento alla filosofia di M. Blondel. Cfr. H. de
LUBAC, «Esigenza divina e desiderio dell’uomo», 255-256.262.
180
Commentando la terminologia di de Lubac, Alfaro conclude: «È una terminologia
tecnica consapevolmente scelta da un teologo, che conosce perfettamente il suo significato.
Si tratta dell’essenza dell’uomo come “spirito finito”, che porta impresso nella sua stessa
spiritualità il desiderio assoluto della visione di Dio». Cfr. J. ALFARO, Cristologia e
antropologia, 298, e n. 56. Ricordiamo a proposito la nozione dell’enciclica Humani
Generis, già menzionata nell’introduzione al cap. I di questo lavoro.
181
Riconoscendo la problematica dell’equivocità dei concetti di «desiderio», di
«esigenza», di «velleità», de Lubac lottò contro coloro che male interpretavano la dottrina
di san Tommaso riducendo il concetto del «desiderio naturale» a una mera «velleità». Cfr.
S, 485-486; MS65, 245-246.
182
Il concetto dello «spirito finito» inteso come «aperto verso l’infinito» e «capax Dei»
di Alfaro sarebbe equivalente al concetto di «spirito creato» di de Lubac. Cfr. J. ALFARO,
Cristologia e antropologia, 398-403.
183
Cfr. J. ALFARO, Cristologia e antropologia, 298-299. Ladaria fa una simile
osservazione critica sulla mancanza dell’aspetto cristologico nelle tesi sul soprannaturale di
de Lubac. Cfr. L.F. LADARIA, Antropologia teologica, 194, n. 57.
184
Cfr. MS49, 120; MS65, 138. Vedi anche ATM, 289.
SOPRANNATURALE 65
fine del suo articolo «Le mystère du surnaturel» (1949), poco prima di
parlare del «Dio che è Amore» e del suo «Amore creatore» con cui si supera
la tappa teologica della natura pura199, de Lubac afferma:
La «vita eterna» annunciata da Gesù Cristo consiste nella visione del «solo Dio
vero». Completando e trasformando la nostra idea di Dio, è inevitabile che la
Rivelazione completi e trasformi in un colpo solo la nostra idea dell’uomo, – e la
nostra idea del suo desiderio. Facendoci conoscere il Dio d’amore, il Dio
personale e trinitario, il Dio creatore e salvatore, essa cambia tutto200.
O, quando nell’ultimo capitolo di Le Mystère du surnaturel (1965),
volendo affermare la novità cristiana nei confronti della filosofia antica201,
riprende il tema della «Rivelazione dell’Amore», del «Dio che è Amore» e
proclama:
La «visione beatifica» non è più la visione d’uno spettacolo, è una
partecipazione intima alla vista che il Figlio ha del Padre in seno alla Trinità.
Facendoci conoscere, nel suo Figlio, il Dio d’amore, il Dio personale e trinitario,
il Dio creatore e salvatore, il Dio «che si fa uomo per farci dei», la Rivelazione
cambia tutto202.
Nonostante dunque il suo «metodo» che comporta un linguaggio dal
«carattere astratto», e nonostante forse non prenda sempre in considerazione
—————————–
riflessione teologica sul terreno d’ontologia formale dove essa si esercita normalmente,
senza cercare di fornirle un contenuto più concreto: non ha dunque fatto ricorso né al
vocabolario dell’“Alleanza”, né a quello del “Mistero cristiano” (…) non ha considerato né
il ruolo mediatore del Verbo incarnato, né l’inserimento della creatura adottata nelle
relazioni trinitarie». MS65, 45-46. Analizzando questa nozione di de Lubac, Ladaria
commenta che in questo senso «la vocazione divina dell’uomo avrebbe potuto essere
contemplata senza riferimento esplicito a Gesù», e aggiunge: «Non credo che oggi abbia
senso la considerazione del problema del soprannaturale al margine della cristologia». Cfr.
L.F. LADARIA, Antropologia teologica, 194, n. 57.
199
De Lubac, citando L. Malevez. Cfr. MS49, 139.
200
MS49, 137. Legata a questa dichiarazione è importante anche la seguente nota
dell’autore: «Quando un sant’Agostino, per esempio (al seguito di un Origene) dice che i
Platonici hanno ben concepito il fine dell’uomo, che è la visione di Dio e che essi ne hanno
misconosciuto il mezzo, cioè la mediazione del Verbo incarnato, gli rimprovereremo di
attribuire all’intelligenza naturale la conoscenza del mistero soprannaturale? Noi diremo
piuttosto che avrebbe egli stesso convenuto, se avesse maggiormente analizzato rifles-
sivamente il proprio pensiero, che questa conoscenza del fine ultimo da parte dei Platonici
non era che lontanamente analogica…» Cfr. MS49, 137, n. 57; MS65, 294.300-301.
201
«Ma dopo i tempi di Platone e di Aristotele “una Luce ha brillato nel nostro cielo”, e
tutto è stato rinnovato. Alla επιστροφή platonica è succeduta – quanto differente e quanto
più radicale! – la μετάνοια cristiana». Così de Lubac, citando Clemente Alessandrino. Cfr.
MS65, 297.
202
MS65, 297. Il capitolo finisce con la citazione dalla Lettera agli Efesini: «Benedetto
sia il Dio e Padre di nostro Signor Gesù Cristo, che… ci ha eletto in Lui… per esser santi e
immacolati alla sua presenza, nell’amore, prestabilendo che fossimo per Lui dei figli
adottivi mediante Gesù Cristo. Tale fu il beneplacito della sua volontà, a glorificazione
della sua grazia, dalla quale ci ha fatto dono nel Diletto Figlio» (Ef 1,3-6). Cfr. MS65, 307-
308.
SOPRANNATURALE 69
—————————–
203
Riferimento a sant’Ireneo di Lione (AH, IV, 34,1).
204
Cfr. MS65, 141.
205
Cfr. ATM, 89-91.
206
H. de LUBAC, Petite catéchèse (1980).
207
Cfr. cap. I, par. 1.4 di questo lavoro.
208
Cfr. cap. I, la fine del par. 1.2 di questo lavoro.
209
I seguaci dell’ipotesi della «natura pura» che come conseguenza logica della loro
dottrina ammettevano la possibilità dei due fini ultimi dell’uomo, escludevano così l’unicità
del fine ultimo dell’uomo perché la consideravano non conciliabile con l’affermazione
dell’assoluta gratuità della grazia.
210
Cfr. MS49, 127-134; MS65, 239.
70 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
3. Lo sforzo di sintesi
Per comprendere pienamente il concetto di salvezza cristiana secondo la
teologia di de Lubac, attraverso la sua dottrina sul «soprannaturale» e il
rapporto fra natura e grazia, è necessario tenere presente la dimensione
cristologica della sua teologia, presente in maniera diffusa, anche se a volte
resta implicita e quindi non è facile da individuare. Questo ci viene confer-
mato anche da coloro che hanno cercato nella sua cristologia il centro di
tutta la sua teologia214 e che nel mistero di Cristo hanno trovato una sintesi
viva delle sue opere215. Tra tutti gli scritti di de Lubac, l’unico dal titolo
cristologico è un articolo intitolato: La Lumière du Christ, fatto conoscere
nel 1941 da un opuscolo della collana Témoignage chrétien e poi ripreso
dall’autore e da lui modificato in base alla contestuale critica del cristia-
nesimo da parte delle scienze storiche per poi pubblicarlo nell’anno 1949
—————————–
211
MS49, 128.
212
MS49, 134; MS65, 244.
213
Cfr. TDH1, 219-220.
214
Cfr. D. HERCSIK, Jesus Christus als Mitte der Theologie von Henri de Lubac.
215
Cfr. É. GUIBERT, Le Mystère du Christ d’après Henri de Lubac.
SOPRANNATURALE 71
di de Lubac non è stato mai oggetto della critica231, può costituire in modo
particolare, il «centro vivo» delle sue opere e della sua teologia232. L’intera
teologia di de Lubac, espressa in tutta la sua ricchezza nelle varie sue opere,
non è riducibile ad un unica parola chiave o formula emblematica, perché
tutta centrata sulla verità vivente della persona di Gesù Cristo dal quale
riceve unità e allineamento233. «Gesù Cristo non è dunque solo il punto di
partenza, ma è anche il centro contenutistico della teologia di Henri de
Lubac»234.
Hercsik comincia la sua esposizione sulla «novità di Cristo» con la
riflessione autocritica di de Lubac riguardante l’apparente «mancanza» del
tema cristologico nelle sue opere, tema che era invece sempre presente nel
suo cuore e nel suo pensiero teologico sin dagli inizi dei suoi studi, nei quali
fece il suo primo incontro con le opere di Agostino e di Ireneo di Lione235.
Secondo lui, de Lubac, spinto non dalle questioni teologico-speculative, ma
da una profonda urgenza esistenziale, ha cercato con ardore e affetto di
presentare nella sua ampia opera teologica la Sacra Scrittura come luogo
della rivelazione di Dio che in Gesù Cristo si offre agli uomini e al
mondo236. La parte centrale del lavoro di Hercsik, dedicata alla teologia di
de Lubac, insiste sulla «novità di Cristo» come base di tutta la «novità» cri-
stiana le cui conseguenze si manifestano in una triplice novità: nella nuova
idea di Dio (gnoseologia teologica), nella nuova idea dell’uomo (antropo-
logia) e nel nuovo rapporto dell’uomo con Dio (ecclesiologia)237. Nella
«novità di Cristo», che «non è solo un’«idea, ma realtà»238, Hercsik trova il
concetto chiave per comprendere la cristologia di de Lubac239 nella quale la
Persona di Cristo rappresenta il centro dell’intera teologia lubachiana.
—————————–
231
Cfr. Hercsik, 2.
232
«So aber, wie Jesus Christus die Mitte der Heiligen Schrift ist […] und ihre Einheit
ausmacht, so ist er auch die Mitte der Theologie Henri de Lubacs und macht die Einheit
seiner auf de ersten Blick so disparaten Publikationen aus». Hercsik, 14. Cfr. Ibid., 108.
Sulla Sacra Scrittura nella teologia di de Lubac, vedi anche: Ibid., 107-108.217-218.
233
«Nicht ein theologisches Stichwort, nicht eine theologische Intuition und auch nicht
eine systematische Christologie ist die Mitte des Schaffens von Henri de Lubac, sondern
eine Person: Jesus Christus». Hercsik, 17. Cfr. Ibid., pp. 3-4.
234
Hercsik, 14. «Im Mittelpunkt des Schaffens von Henri de Lubac steht also keine
schriftlich ausgearbeitete, systematische Christologie, sondern (mag das auch recht formal
erscheinen) die Person Jesu Christi». Ibid., 207.
235
Cfr. Hercsik, 66-67.
236
Cfr. Hercsik, 3, n. 6, dove si trova l’elenco delle opere di de Lubac sul argomento.
237
Cfr. Hercsik, parte II del lavoro, soprattutto i capp. 2.2. e 2.3., pp. 66-210.
238
«Une nouvelle idée de Dieu, une nouvelle idée de l’homme, une nouvelle idée des
rapports de l’homme et de Dieu: voilà ce que contenait en germe le premier acte de foi
chrétienne, dont Israël portait l’annonce. Et cet acte, dans sa nouveauté, n’était pas idée,
mais réalité». H. de LUBAC, La Foi chrétienne. Essai sur la structure du Symbole des
Apôtres, 276. Cfr. Hercsik, 206.
239
«Denn fortan ist alle Neuheit bei Henri de Lubac die Neuheit Jesu Christi. Es gibt für
ihn keine andere; und diese Auffassung teilt er mit der gesamten christlichen Tradition».
Hercsik, 73.
74 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
communauté des éléments qu’elle informe avec les leurs, quels que puissent être aussi les
liens d’origine qui rendent ces divers éléments solidaires. Toute synthèse véritable est
toujours plus que synthèse. Une certaine refonte qui est beaucoup plus qu’une combinaison
nouvelle, une certaine “reprise par le dedans” transforme tout. C’est, dans une continuité
phénoménale, le passage à un ordre nouveau, supérieur, incommensurable». Così de Lubac,
facendo riferimento a Sertillanges. Cfr. TDH1, 207, n. 4. «De Lubac wird nicht müde, diese
Neuheit (Diskontinuität) des Christusereignisses immer wieder herauszustellen […] So wie
in einem Begriff selbst stets mehr ist als der (bloße) Begriff, so ist auch in jeder wirklichen
Synthese mehr als die bloße Addition der ihr vorausliegenden Einzelteile. M.a.W.: Die in
der Neuheit des Christusereignisses behauptete Kontinuität und Transzendenz sind keine
Gegensätze, weil sie unterschiedliche Ordnungen angehören». Hercsik, 106-107. Sulla
doppia trascendenza del cristianesimo intesa come «novità di Cristo» – “discontinuità” nel
suo duplice rapporto alla Scrittura e alla storia (Scrittura – Spirito; Storia – Spirito), vedi:
Ibid., 106-110. «Seine Schriften enthalten aber auch eine Theologie der Geschichte und
eine Theologie der Hl. Schrift. Die gesamte Offenbarung (in der Geschichte und in der Hl.
Schrift) ist für de Lubac um eine konkrete Mitte herum angeordnet, die durch die
Inkarnation und das Kreuz Christi markiert ist». Ibid., 207.
259
«Oui, en un sens, le christianisme est humain, tout humain […] Comment l’homme
se dirait-il à lui-même la vérité, même divinement reçue, autrement qu’en usant de
concepts? […] Comment Dieu se donnerait-il à l’homme, s’il lui demeurait étranger? Et
comment sa Parole pénétrerait-elle en lui, si elle ne devenait aussi parole humaine? Les
messages d’un saint Paul ou d’un saint Jean sont déjà des “théologies”, et la conscience
même du Christ est la conscience du Verbe fait chair». TDH1, 208.
260
Sullo specifico carattere storico e personale della «novità di Cristo» vedi: Hercsik,
76-83.
261
«Ci sono tre ordini di cose: la carne, l’intelletto, la volontà. I carnali sono i ricchi, i
re: hanno per oggetto il corpo. I desiderosi di sapere e i dotti: hanno per oggetto lo spirito. I
saggi: hanno per oggetto la giustizia». Pensées [Chev.], 698. «La distanza infinita tra i corpi
e gli spiriti simboleggia la distanza infinitamente più infinita tra gli spiriti e la carità: perché
essa è soprannaturale. [...] Tutti i corpi, il firmamento, le stelle, la terra e i suoi regni non
valgono il minimo degli spiriti; perché questo conosce tutto ciò e se stesso; e i corpi, nulla.
Tutti i corpi insieme, e tutti gli spiriti insieme, e tutte le loro produzioni non valgono il
minimo moto di carità. Questo è di un ordine infinitamente più elevato. Da tutti i corpi
insieme non si potrebbe far scaturire un piccolo pensiero: ciò è impossibile, e di un altro
ordine. Da tutti i corpi e spiriti, non sarebbe possibile trarre un moto di vera carità: ciò è
impossibile, e di un altro ordine, soprannaturale». Pensées [Chev.], 829.
SOPRANNATURALE 77
superiore e rafforzata, vale a dire che la distinzione si manifesta tanto più tra le
diverse parti dell’essere, quanto più stretta diviene l’unione di queste parti. Le
parti concorrono tanto più all’unità, quanto meno sono «pezzi» e quanto più
sono «membra»267.
Nel sottocapitolo seguente, sotto il titolo: «Unire per distinguere»268,
vediamo come de Lubac, parlando del mistero del dogma trinitario, nello
spirito dei Padri, afferma che «l’unità non è, in alcun modo, confusione, –
come la distinzione non è separazione», e conclude:
L’unione vera non tende a dissolvere gli uni negli altri gli esseri che riunisce, ma
a perfezionarli gli uni con gli altri. Il Tutto non è dunque «l’antipodo, ma il polo
stesso della Persona». «Distinguere per unire», si è detto, e il consiglio è
eccellente, ma sul piano ontologico non s’impone con minor forza la formula
complementare: unire per distinguere269.
La terza sfera dell’intelligibilità, che Guibert distingue ne La Lumière du
Christ di de Lubac, è la sfera teologica che, nel discernimento filosofico tra i
diversi ordini ontologici all’interno del cristianesimo interpreta la novità
della rivelazione in Cristo come un «salto ontologico». La già menzionata
frase di sant’Ireneo – «Omnem novitatem attulit semetipsum afferens, qui
fuerat annuntiatus»270 – spesso citata da de Lubac, soprattutto ne La
Lumière du Christ, rivela la centralità dell’aspetto cristologico dell’Incar-
nazione nel pensiero teologico lubachiano271. Infatti, secondo Hercsik, tutta
l’opera di de Lubac, alla luce della riflessione su questa espressione ire-
neiana, si può comprendere in un duplice modo: sia come un ragionamento
continuo su questa frase, sia come una riflessione attuale e aggiornata che
interpreta questa espressione antica272. Guibert trova qui tre aspetti
complementari in grado di esprimere la novità assoluta del mistero
dell’Incarnazione273. «Grande Gesto» della rivelazione nel tempo, l’Incar-
nazione è considerata nella sua qualità di evento storico e quindi
«accessibile» alle scienze storiche, e distinto dal mito e dal pensiero astratto.
—————————–
267
C, 248-249.
268
C, 250-253.
269
C, 250. Sulla «Unire per distinguere» come un metodo della teologia di de Lubac,
vedi: Hercsik, 58-60.206.
270
AH, IV, 34,1; TDH1, 209.220.
271
Cfr. Guibert, 166. La visione dell’uomo cristologicamente determinato fin dal
momento della sua creazione, partecipe dei frutti salvifici dell’incarnazione e della
risurrezione di Cristo, ci fa riconoscere la forma mentis paolino-ireneiana presente nella
logica teologica di de Lubac. Cfr. cap. II, parr. 2.2.1-2.2.2 di questo lavoro.
272
«Man kann das theologische Werk H. de Lubacs als eine (im doppeltem Sinn
verstandene) Reflexion dieser Feststellung des Märtyrerbischofs von Lyon auffassen: Zum
einen belegt es ein ständiges Nachdenken über diesen Satz, ein ständiges Reflektieren über
seine Bedeutung; zum anderen bildet es einen aktualisierenden Widerschein dieses altkir-
chlichen Satzes, ist es als kommentierende Auslegung ein aktueller Reflex dieser
traditionellen Überzeugung». Hercsik, 14.
273
Cfr. Guibert, 166-167.
SOPRANNATURALE 79
—————————–
288
«Si, Vous êtes venu me découvrir un nouveau royaume et une nouvelle existence,
comment ne devrais-je pas consentir à me laisser dépayser? N’est-il pas normal qu’il me
faille abandonner mes modes habituels de penser? Votre parole déroute ma logique
instinctive, elle bouscule tous mes arrangements d’idées, elle fait éclater mes concepts. La
libération de mon intelligence est à ce prix. Peu ù peu, cependant, dans le mystère, un
nouvel équilibre s’est établi. Sous l’action secrète de votre Esprit, la foi sait trouver ses
formules exactes, qui la protègent contre les assauts toujours renaissants d’une raison trop
peu convertie». TDH1, 215. Nel pensiero di de Lubac si può riconoscere il senso ireneiano
del mistero. Cfr. AH, II, 28,2, V, 1,1; 36,3.
289
C, 248. «Glauben heißt für de Lubac eine geistige Synthese vollziehen. Darum gilt
es, ebenso viele Arten von “Glauben” wie einander folgende Arten von “geistiger
Synthese” zu unterscheiden. Je umfangreicher und höher die geistige Synthese ist, desto
mehr kann die Bedeutung des Wortes “Glaube” an Fülle und Höhe zunehmen. Dabei ist der
Glaube kein logischer Schluss, und auch keine einfache Feststellung; er gehört einer
anderen Ordnung an». Hercsik, 209.
290
Cfr. C, 249.
82 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
305
«Wenn der Theologe etwas über Gott selbst aussagen möchte, wenn also der
Gegenstand seiner Ausführungen der Schöpfer ist, wird die apophatische Theologie die
geeignetste Ausdrucksweise sein; wenn er dagegen etwas über die Schöpfung aussagen
möchte, wenn also der Gegenstand seiner Ausführungen Dinge sind, die mit Gott zu tun
haben, aber nicht Gott sind, ist das Paradox die in seinen Augen beste Ausdrucksweise».
Hercsik, 206-207. Sul discorso umano come rapporto tra «pensiero e articolazione» (Denk-
und Ausdrucksweise), in relazione all’uso dei concetti di «teologia negativa» e di «para-
dosso» nella teologia di de Lubac, vedi: Ibid., 61-65.86.154-173.206-207.
306
H. de LUBAC, Paradossi e Nuovi paradossi, 43. «…in de Lubacs Grundnahme der
Primat in jeder Hinsicht der Einheit (Synthese) zukommt, der gegenüber das Paradox
immer sekundär bleibt. Das Mysterium ist größer als das Paradox; nicht jenes wird von
diesem, sondern dieses wird von jenem umfangen». Hercsik, 64. Cfr. Ibid., 63-65.214-216.
Sull’uso dei concetti di «paradosso» e «mistero» nella teologia di de Lubac, cfr. N. CIOLA,
Paradosso e Mistero in Henri de Lubac; J.-P. WAGNER, La Théologie fondamentale selon
Henri de Lubac, 201-227.
307
Cfr. C, 250; cap. I, par. 3.2 di questo lavoro.
308
Per saperne di più sull’argomento vedi: G. BENEDETTI, «La teologia del mistero in
Henri de Lubac», 1-37.
309
MS65, 231-249.
SOPRANNATURALE 85
irrimediabilmente oscuro. È un dato che resiste sempre agli sforzi, che noi
mettiamo in atto per unificarlo completamente310.
È importante evidenziare qua il costante sforzo di de Lubac di trovare
una «sintesi cattolica» corrispondente alla «pienezza cattolica» della verità
di fede. Proprio attraverso la sintesi si evitano dannose esagerazioni
antitetiche:
Si è anche rilevato, assai spesso, che i diversi protestantesimi erano il più delle
volte delle religioni d’antitesi: autorità o libertà? Bibbia o Chiesa?, ecc. La
pienezza cattolica offre sempre un carattere di sintesi. Soltanto, non è una sintesi
immediata, né effettuata umanamente. Non è posseduta con la luce della ragione:
è creduta, dapprima, nella notte della fede. Si comincia, dice ancora Boussuet,
col tenere i «due capi della catena». Sintesi, dunque; ma, per la nostra
intelligenza naturale, sintesi antinomica, prima di esser sintesi chiarificatrice311.
E ancora un po’ prima, dice de Lubac con un tono incoraggiante: «Non ci
meravigliamo di tali antinomie. Esse scaturiscono da ogni mistero. Sono il
segno di ogni verità, che ci disorienta. “La fede abbraccia molte verità, che
sembrano contraddirsi”. Essa “è sempre l’accordo di due verità oppo-
ste”»312. Proprio per poter restare dentro i «confini dell’ortodossia» la
teologia si deve sforzare di raggiungere quest’equilibrio nella sintesi
dogmatica: «Quando è proprio fra due verità di fede che la conciliazione
positiva non si lascia scorgere, la scelta dell’una delle due a danno dell’altra
costituisce propriamente un’eresia. Ne abbiamo una serie di esempi classici
nelle grandi eresie trinitarie e cristologiche»313.
La stessa persona di Cristo è una sintesi viva di due verità «paradossali»
e «antinomiche»: Cristo è vero uomo e vero Dio314. In questo senso, l’Incar-
nazione presenta il «paradosso supremo»315, ma Essa è ancora di più, Essa è
—————————–
310
MS65, 235. Ricordiamo anche qua l’idea di de Lubac dello spirito che deve
«sottomettersi all’incomprensibile», citata in Catholicisme nel sottocapitolo precedente
dove de Lubac parla del dogma come di una «serie di “paradossi”». Cfr. C, 248.
311
MS65, 233. Cfr. MMC, 244-245.
312
Cfr. MS65, 231-232.
313
Cfr. MS65, 239.
314
«Parce que Dieu est transcendant, l’Homme-Dieu, le Christ, présente un caractère
indéniable de paradoxe. Le mystère synthétique du Christ n’est atteint qu’en passant par
cette étape de la synthèse antinomique car le mystère du Christ se présente sous la forme
d’antinomies ou encore de dualités insurmontables par la seule raison. Dieu peut cependant
opérer l’unité d’une manière qui ne contredit point la raison. Mieux, il donne à la raison
d’être dilatée par l’accueil du mystère et rendue capable de visées indirectes sur ce
mystère». Guibert, 433-434.
315
«…le P. de Lubac exprime le mystère de l’Incarnation comme “Paradoxe suprême”
et comme “modèle suréminent d’union”. Cette expression singulière de l’Incarnation se
veut fidèle à la foi de l’Eglise, et plus précisément au dogme de Chalcédoine puisque seule
une fidélité à ce dogme assure la vérité entière de l’Incarnation». Guibert, 168. «Le mystère
du Christ ne s’éclaire donc qu’à la lumière du paradoxe qu’est son Incarnation: ce paradoxe
s’exprime sous la forme des liens intrinsèques entre l’Evangelium Christi et l’Evangelium
de Christo». Ibid., 57.
86 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
«il mistero del nostro destino divino», si presenta «un po’ come la forma
all’interno della quale verranno ad inserirsi tutti gli altri misteri della
Rivelazione»336, così Cristo è il mistero sintetico, il centro vivo dell’intera
teologia e opera di de Lubac. Questo profondo aspetto del suo pensiero teo-
logico ci risulta chiaro anche se «la percezione di Cristo come sintesi nella
teologia di P. de Lubac, non viene data immediatamente, ma si presenta alla
fine del percorso di ricerca del mistero»337.
4. Sintesi
In questa sezione del nostro lavoro vorremmo fare una sintesi della
precedente esposizione della dottrina di de Lubac sul soprannaturale e
dell’aspetto cristologico della sua teologia. In questo modo sarà possibile
anche riportare alcune riflessioni dello stesso autore, estrapolate dai suoi
diversi scritti e lettere riguardanti il Surnaturel (1946) e raccolti nella sua
Mémoire sur l'occasion de mes écrits (1989). Alla fine presenteremo una
sintesi conclusiva alla luce del nostro tema – il mistero della salvezza
cristiana nella teologia di de Lubac. Vorremmo, quindi, presentare la
dottrina sul soprannaturale di de Lubac che, caratterizzata da una profondità
cristologica e da un costante richiamo alla dottrina dei Padri, senza
disprezzare gli sviluppi teologici posteriori, nonostante il suo iniziale
metodo di carattere «astratto», ha il pregio di essere un tentativo importante
nella ricerca di una sintesi dogmatico-cristologica, interessata alla
salvaguardia di una sana dottrina della grazia, minacciata dalle «tendenze
moderniste» di «adattamento» e dalle «teorie troppo compiacenti sul
progresso del dogma».
nostra esposizione con una chiarificazione dei concetti principali legati alla
dottrina sul soprannaturale339, esattamente come fa lo stesso de Lubac nella
sua opera Petite catéchèse (1980), quasi trentacinque anni dopo l’uscita del
Surnaturel (1946), consapevole che la mancanza di «alcune precisazioni
elementari» è stata la causa di alcuni fraintendimenti posteriori:
A mio avviso, a questo libro [Surnaturel] mancavano almeno due cose: 1. Avrei
dovuto spiegare chiaramente, fin dall’inizio, che, affrontando l’argomento come
l’aveva affrontato e come l’affrontava ancora tutta la tradizione scolastica, esso
supponeva un’astrazione di base: mancava perciò quasi completamente ogni
considerazione sulla rivelazione storica, o sulla creazione in Cristo e per Cristo,
ecc. [...] 2. Parlando a pensatori «indipendenti» e a storici della filosofia più
ancora che a degli scolastici, avrei dovuto precisare anche il senso in cui veniva
usato il termine «natura»: si trattava di un concetto di «soprannaturale» e non di
un’idea in contrapposizione, per esempio, all’interno del pensiero filosofico, con
idee come quelle di persona, o di storia, o di cultura, ecc. (A questo riguardo ho
fornito alcune precisazioni elementari nella mia Petite catéchèse sur nature et
grâce...)340.
Alcuni si sono chiesti se queste «precisazioni» di de Lubac comportino
un vero e proprio «cambiamento di prospettiva»341. La risposta che de
Lubac dà a una tale domanda, fatta da uno studente di teologia, è la
seguente:
—————————–
teologia del soprannaturale del P. Henri de Lubac nel contesto della teologia francese,
Dissertatio ad Lauream in S. Theologia in Pontificia Universitate Urbaniana «De
Propaganda Fide», Roma 1975; H.U. von BALTHASAR, Karl Barth. Darstellung und
Deutung seiner Theologie, Einsiedeln 1976; trad. italiana, La teologia di Karl Barth,
Milano 1977, 301-323.367-382; M. FIGURA, Der Anruf der Gnade. Über die Beziehung des
Menschen zu Gott nach Henri de Lubac, Einsiedeln 1979; J. HAGGERTY, The Centrality of
Paradox in the Work of Henri de Lubac S.J., Dissertazione nella «Fordham University»,
New York 1987; R. BERZOSA MARTÍNEZ, La teología del sobrenatural en los escritos de
Henri de Lubac. Estudio histórico-teológico (1931-1980), Burgos 1991; B. SESBOÜÉ, «Le
surnaturel chez Henri de Lubac. Un conflit autour d’une théologie», RSR 80 (1992) 373-
408; F. BERTOLDI, De Lubac. Cristianesimo e modernità, Bologna 1994; P.F. RYAN, Moral
Action and The Ultimate End of Man: The Significance of the Debate Between Henri de
Lubac and His Critics, Excerpta ex dissertatione ad Doctoratum in facultate Theologiae
Pontificiae Universitatis Gregorianae, Tesi 4296, Roma 1996; A. VANNESTE, Nature et
Grâce dans la Théologie occidentale. Dialogue avec H. de Lubac, Leuven 1996; C. RUINI,
«La questione del soprannaturale. Natura e grazia», Roma 1998, NA 2-3 (2000) 2-24; A.-M.
LEONARD, «La nécessité théologique du concept de nature pure», RevThom 101 (2001)
345-351; F. GIANFREDA, Il dibattito sulla «natura pura» tra H. de Lubac e K. Rahner,
Verucchio 2007. Per un elenco bibliografico più dettagliato su questo argomento e sulle
ricerche negli altri campi della teologia di de Lubac vedi: Hercsik, 4-12.
339
Cfr. cap. I, sez. 1. di questo lavoro.
340
MEM, 53. Nella nota sulla stessa pagina, de Lubac aggiunge: «Mi accusano, a Roma,
di confondere natura e soprannaturale: io passo il mio tempo a lottare contro questa
confusione, che oggi è dappertutto, anche là dove, da Roma, non la vedono».
341
Cfr. per esempio J. ALFARO, Cristologia e antropologia, 294.
SOPRANNATURALE 91
Lei mi chiede inoltre se il mio pensiero, col passare degli anni, non si sia
modificato. Forse non sono nella situazione migliore per darne un giudizio.
Credo tuttavia che non ci sia stata un’evoluzione molto netta, e ancor meno un
effettivo cambiamento. Ma le situazioni, negli ultimi cinquant’anni, sono state
così diverse! Non essendo mai rimasto chiuso nella pura speculazione, mi sono
sforzato di rispondere il meno male possibile alle domande che mi venivano
rivolte, per far fronte ai bisogni del momento, come pure ai doveri del mio
incarico. Quando, per esempio, bisognava tentare di mostrare le risorse di un
pensiero cristiano vivo, scontrandosi con una scolastica insieme moderna e
sorpassata [...]. D’altra parte, non si può dire tutto in una sola volta: parlare di
Catholicisme o di Surnaturel o di Humanisme athée, non è come parlare di
Exégèse médiévale o de La structure du symbole des apôtres o delle Églises
particulières342.
Per evitare dunque i possibili fraintendimenti e le conclusioni unilaterali
e sbagliate, le opere sul soprannaturale di de Lubac vanno considerate nel
loro contesto storico e nel quadro dell’intera sua opera teologica.
Nella parte antropologica343 abbiamo presentato il concetto dello «spirito
creato» dotato del «desiderio naturale di vedere Dio». Ci siamo confrontati
con le critiche già menzionate di Alfaro344, riguardanti sia una certa
«incoerenza logica» nell’interpretazione lubachiana del concetto tomista del
«desiderium naturale» che l’assenza del carattere cristico e incarnazionale
dall’intera dottrina sul soprannaturale di de Lubac. Rispetto a tali critiche,
abbiamo cercato di fare notare come il nostro autore abbia costantemente
cercato di giungere ad una sintesi teologica cattolica345 . Il suo tentativo ha
trovato nella persona di Cristo il cuore della sua riflessione e la sintesi viva
a cui tendeva tutta la sua teologia.
Ricorrendo ai concetti di paradosso e di mistero, dove quest’ultimo ha
sempre il primato, de Lubac voleva sempre «tenere i due capi della
catena»346, cioè non voleva escludere nessuna delle due verità che a prima
vista sembrano opposte. Nel caso dell’apparenza antinomica e paradossale
creata dall’accostamento dell’affermazione di un desiderio naturale di
vedere Dio, inteso come un desiderio assoluto che «nequit esse inane»347, a
quella dell’assoluta gratuità della grazia, egli cercava, nello spirito di Ireneo,
di salvare il senso del mistero, di preservare, cioè, l’unione di tutte e due le
—————————–
342
MEM, 378-379.
343
Cfr. cap. I, sez. 2. di questo lavoro.
344
Cfr. cap. I, par. 2.3 di questo lavoro.
345
Cfr. cap. I, sez. 3. di questo lavoro.
346
Riferendosi al «desiderium naturale» formulato da san Tommaso, in accordo con le
conclusioni di J. Sestili, de Lubac si domandava se: «Sia nello studio storico degli antichi
teologi – coloro che egli [Sestili] chiama “doctores antiquae sapientiae” –, sia nello sforzo
della riflessione teologica, sarebbe preferibile, se non si scorge ancora alcuna soluzione,
“tenere i due capi della catena”». Cfr. MS65, 248; MMC, 244-245. Benedetti riconosce
questo atteggiamento metodico nei diversi campi della teologia lubachiana. Cfr. G.
BENEDETTI, «La teologia del soprannaturale in Henri de Lubac», 8-9.19.
347
Cfr. S, 467-471; ATM, 171; MS65, 114, e n. 13; 245.
92 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
cuore, e per scrivere «quest’opera su Gesù Cristo» che gli sarebbe stata «più
cara di tutte»358. Nello stesso spirito confessava:
Io non ho mai avuto la pretesa di fare opera di sistemazione filosofica, né di
sintesi teologica. Questo, da parte mia, non è disprezzo, anzi tutto l’opposto. Ma,
lasciando ad altri dotati dei doni necessari questo duplice compito, anche
recentemente, in modo più generale io mi richiamo nell’introduzione a La Foi
chrétienne, come avevo fatto molto tempo prima in Catholicisme, alla grande
tradizione della Chiesa intesa come l’esperienza di tutti i secoli cristiani che
viene ad illuminare, orientare, dilatare la nostra meschina esperienza individuale,
a proteggerla contro gli smarrimenti, ad approfondirla nello Spirito del Cristo, ad
aprirle le vie dell’avvenire359.
L’intenzione teologica di de Lubac è dunque lontana dallo spirito
innovativo di un certo riformismo teologico, come egli stesso affermava nel
1947 in occasione di un «esame di coscienza teologico», quando rispon-
dendo a una richiesta dei suoi superiori, scrive alcuni pro-memoria che
riassumono la sua concezione del Surnaturel:
Non ho il temperamento di un riformatore, ancor meno di un «innovatore». Ben
lontano dall’aver mai avuto l’idea di promuovere una «teologia nuova» [...]
Come tutti, o quasi, mi rendo conto di certe necessità di rinnovamento, perfino
nella teologia. [...] Ma di mia iniziativa non ho intrapreso con metodo un
impegno simile. Offro soltanto un po’ di materiale e qualche idea, presi dal
tesoro della Tradizione [...] Io non ho da proporre né un progetto, né un
programma. [...] le mie tendenze sono molto tradizionali. Continuo a reagire
contro i partiti-presi per la modernità, contro la foga di mode intellettuali, contro
le eccessive preoccupazioni di adattamento o le teorie troppo compiacenti sul
progresso del dogma. [...] A me piace la Tradizione della Chiesa, nella sua unità
così varia. Mi piace in tutte le sue forme, e non soltanto nelle forme che i casi
della vita mi hanno portato a valorizzare. Io sono poco teorico, nel senso
sistematico del termine; ma non disprezzo le teorie ed i sistemi; li credo invece
molto necessari. Io mi attacco a tutto quello che si è sviluppato nella Chiesa con
la sua approvazione, in venti secoli, per esplorare le inesauribili ricchezze di
Cristo360.
Lontane dal riformismo e dall’innovazione teologica, le intenzioni di de
Lubac sono estranee anche a un certo passatismo. Rispondendo a chi
—————————–
358
Cfr. MEM, 391; cap. I, par. 3.1 di questo lavoro.
359
MEM, 383-384.
360
MEM, 174-175. De Lubac continua le sue «confessioni» riguardo a san Tommaso e
alla scolastica scrivendo: «Sono di formazione tomista [...] non ho mai fatto perciò
dell’anti-tomismo [...] Credo inoltre che tutta una scuola tomista contemporanea – che,
grazie a Dio, non è l’unica – sia estremamente lontana dallo spirito di san Tommaso». Ibid.,
176. «Credo anche di aver lavorato (con successo più o meno grande) per riportare gli
spiriti al san Tommaso autentico, come ad una guida sempre attuale. Circa il “tomismo” del
nostro secolo, troppo spesso ho trovato in esso un sistema troppo rigido ed insieme troppo
poco fedele al dottore cui si appellava». Ibid., 379.
94 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
dogmi della fede, perdono il loro senso e rimangono a livello del paradosso.
Il mistero di Cristo invece crea una sintesi viva della fede368. Il «principio
della sintesi» era vivo e agiva nei cuori dei Padri che adorando questo
mistero, prima di interpretarlo o di tradurlo in formule, ne penetravano il
senso spirituale369. Nel mistero sintetico di Cristo, superando gli apparenti
paradossi della fede, l’uomo che ha (è) il desiderio naturale di vedere Dio370,
è elevato ad un «altro ordine» assolutamente gratuito e nuovo, l’«ordine
soprannaturale», l’unico che risolve il paradosso dell’uomo e colma il suo
desiderio371, l’unico che dona il senso (la salvezza) allo «spirito creato».
La salvezza dell’uomo, o meglio – il concetto di salvezza cristiana nella
teologia lubachiana – si fonda sul concetto di mistero. Se l’uomo è mistero,
anche la sua salvezza è legata al Mistero supremo – mistero sintetico di
Cristo. Come abbiamo visto, la sfera teologica de La lumière du Christ372 ci
rivela tre aspetti complementari della novità assoluta dell’Incarnazione, «il
grande Gesto d’Amore»373 è infatti visto come: un evento storico; è l’espres-
sione del Disegno divino nel quale Cristo presenta la chiave di
comprensione della tensione tra continuità e discontinuità nella storia374; e
finalmente, l’Incarnazione è orientata verso la salvezza dell’umanità, essa è
il Disegno della salvezza375. Non si tratta di una salvezza mitica o di un
prodotto della riflessione filosofica astratta. Si tratta di una salvezza reale,
legata ai fatti storici, tra cui l’Incarnazione – «il Gesto assoluto» presenta un
fatto unico e originale, storico e trascendente, nel quale si uniscono la realtà
della Carità e la verità del Dogma376. Nel Cristo mistico – il grande Gesto
—————————–
368
«Car notre foi est une, et elle se résume toute en vous, ô Jésus. De tous ses
“articles”, vous êtes le centre et le lien». TDH1, 219.
369
Cfr. TDH1, 212. «La fede cristiana può essere, e la storia ci dimostra che lo è stata,
generatrice di ragione; ma essa stessa non è una scienza, né una filosofia rivelata: tali
termini non hanno alcun senso. Essa è (e riprendiamo la formula di Pascal) di un altro
ordine». PC, 43. «La fede è abbandono. [...] La fede non ci reca una teoria più bella delle
teorie dei filosofi: essa ci eleva al di sopra delle teorie». PNP, 3. «Comme la divinité du
Christ elle-même, la nouveauté définitive du principe chrétien ne peut être perçue que par
les yeux de la foi». TDH1, 210.
370
«L’esprit est donc désir de Dieu». S, 483.
371
«Paradoxe de l’esprit humain: créé, fini, il n’est pas seulement doublé d’une nature;
il est lui-même nature. Avant d’être esprit pensant, il est nature spirituelle. Dualité
irrésoluble, autant qu’union indissoluble. Image de Dieu, mais tiré du néant. Avant donc
d’aimer Dieu, et pour pouvoir l’aimer, il désire. Fait pour Dieu, l’esprit est attiré par lui». S,
483.
372
Cfr. cap. I, par. 3.2 di questo lavoro.
373
«Un grand Geste s’est fait sur le monde, il y a de cela vingt siècles: le Geste de la
Charité». TDH1, 211.
374
La «novità di Cristo» non nega la continuità. Cfr. AH, I, 10,1; IV, 10,1–11,1; 34,1; E,
50-86.
375
Cfr. AH, III, 19,2; 21,5.7; V, 1–14.
376
«Geste absolu: rien n’a de valeur que par la charité. La charité exige tout, assume
tout. La charité juge tout». TDH1, 221.
96 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
del Padre, sotto l’azione segreta del suo Spirito377 – viene realizzata la vera
sintesi della fede nella quale si supera il paradosso dell’uomo. La salvezza
in Cristo è un’opera divina realizzata per mezzo della grazia concreta378
nella persona di Gesù Cristo379 che abbraccia l’uomo storico reale380.
La Lumière du Christ381 ci rivela un po’ più esplicitamente il cuore
cristologico della teologia di de Lubac382, insieme alla frase cristologica di
Ireneo – «Omnem novitatem attulit semetipsum afferens, qui fuerat
annuntiatus» – spesso citata negli scritti lubachiani383. Le seppur poche
nozioni su Cristo, presenti nelle opere sul soprannaturale, ci fanno percepire
una certa sintesi cristologica, che ritroviamo sempre tra le righe degli scritti
di de Lubac. Specialmente nelle sue trattazioni sulla «grazia di Cristo»
nell’Augustinisme et théologie moderne384 o nelle sue affermazioni sul
mistero del soprannaturale – «che è il mistero del nostro destino divino» e si
presenta come la «forma all’interno della quale verranno ad inserirsi tutti gli
altri misteri della Rivelazione»385 – si mette in risalto come Cristo che è il
«Tout du Dogme», sia il punto di convergenza di tutti i dogmi particolari
della fede386. In tutto ciò diventa chiaro come la teologia sul mistero del
soprannaturale di de Lubac sia un’espressione della fedeltà al Mistero
supremo di Cristo387.
—————————–
377
«Sous l’action secrète de votre Esprit, la foi sait trouver ses formules exactes».
TDH1, 215.
378
«Il Cristo non è venuto a fare “opera di incarnazione”; ma il Verbo si è fatto carne
per fare opera di redenzione». PNP, 27. Cfr. Hercsik, 3.
379
Nell’evento dell’incarnazione del Logos eterno l’offerta della grazia divina diventa
un evento concreto. «Die Gnade ist konkret, weil sie angeboten ist in einer konkreten
Person, in Jesus Christus». Hercsik, 85.
380
Cfr. MS65, 111. «quando in de Lubac si parla di “gnoseologia religiosa” bisogna
intendere la sua caratteristica “logica del Mistero” o “logica biblica”, tutta legata ai “fatti
storici”. Per cui è ben difficile separare in de Lubac le due cose. Egli parla ed argomenta
con i fatti storici. Le conclusioni storiche sono da lui affermate come “principi” validi,
certamente, per quel periodo storico studiato. Ma, è logico, nel contesto della Tradizione
cristiana, quel certo periodo ha un peso anche oggi, perché, per esplicita affermazione dello
stesso de Lubac, “tutte le generazioni sono solidali”. [...] È, in fondo, quello che esige la
“serietà” del fatto storico, su cui spesso insiste il P. de Lubac. In esso sono concentrate
realtà divine, ecclesiali, spirituali. Esso è come un incrocio misterioso e sorprendente di
spiriti viventi in “comunità di fede” il Mistero di Cristo, il quale in ogni epoca rivela
ricchezze caratteristiche, già possedute fin dall’origine». G. BENEDETTI, «La teologia del
mistero in Henri de Lubac», 3.
381
Cfr. cap. I, par. 3.2 di questo lavoro.
382
«Ce grand Geste d’Amour, Jésus, c’est Vous-même…». Cfr. TDH1, 213ss; «Jésus, je
crois en vous. Je confesse que vous êtes Dieu. Vous êtes pour nous tout le Mystère de
Dieu». Ibid., 220.
383
Cfr. AH, IV, 34,1; TDH1, 209.220; MS65, 141; Hercsik, 14.98.106.
384
Cfr. ATM, 51-53.88-91.105-107.114-115.120.
385
Cfr. MS65, 231.
386
Cfr. TDH1, 219.
387
Cfr. G. BENEDETTI, «La teologia del mistero in Henri de Lubac», 13-14.
SOPRANNATURALE 97
—————————–
388
«Se avesse fatto “Storia” da “puro” erudito non si sarebbero avute le polemiche che
hanno suscitato le sue opere “storiche”, e soprattutto i loro Avant-propos e le loro
Conclusions». G. BENEDETTI, «La teologia del mistero in Henri de Lubac», 4. Al centro
della prima critica al Surnaturel, nel 1947, c’erano proprio le ultime dieci pagine della
Conclusion. Exigence divine et désir naturel che provocavano una certa «riserva». Cfr. S,
483-493; MEM, 160-164.
389
«In “grazia” vi è anche “fare grazia”. La grazia è anche pietà e perdono. Allora la
distinzione fra natura e grazia è in un primo tempo un rapporto di opposizione molto più
radicale che nel caso della distinzione generale fra natura e soprannaturale. [...] Fra la
grazia e il peccato la lotta è irriducibile». PC, 70.
390
Cfr. PC, 13-35.
391
«C’è, dicevano volentieri gli antichi, il doppio rapporto del datum optimum della
creazione e del donum perfectum della divinizzazione. Un rapporto di questo genere
esprime quindi insieme, da una parte, la trascendenza divina, la libertà del dono che Dio fa
di se stesso, la “grazia” e, dall’altra, il realismo profondo della qualità di “figli di Dio”
acquisita dagli uomini in principio per mezzo dell’incarnazione del Verbo: “hosoi de
elabon auton edôken autois eksousian techna Theou genesthai” [“A quanti lo accolsero
diede il potere di diventare figli di Dio” (Gv, 1,12)]». PC, 33-34. Cfr. MS49, 120-121;
MS65, 133-159.
392
Cfr. intero capitolo secondo della Petite catéchèse, pp. 37-67.
98 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
400
Cfr. MS65, 190.
401
PC, 92-93. Cfr. Ibid., 33.50-52.70-71. Sul bisogno di una «trasformazione» e
«conversione» spirituale al posto di una «guarigione» offerta all’uomo dalla psicologia
moderna, cfr. PNP, 58. Ci permettiamo di segnalare una riflessione relativa all’argomento
di T. Merton: «Il fatto che dall’incarnazione Dio e l’uomo siano diventati inseparabili
nell’unica persona di Gesù Cristo significa che “l’ordine soprannaturale” non è stato in
qualche modo imposto dall’esterno sulla natura creata, ma che la natura stessa è stata,
nell’uomo, trasformata e soprannaturalizzata in modo che in ogni persona in cui Cristo vive
e agisce, per lo Spirito santo, non c’è più alcuna divisione tra natura e soprannatura.
L’uomo che vive e agisce secondo la grazia di Cristo, che abita in lui, agisce in tal caso
come un altro Cristo, come un figlio di Dio, e in questo modo prolunga nella sua vita gli
effetti e il miracolo dell’incarnazione. Secondo le parole di san Massimo: “Dio desidera in
ogni tempo farsi uomo in coloro che sono degni”». T. MERTON, L’esperienza interiore.
Note sulla contemplazione, 83. Per una riflessione sulla «contemplazione cristiana», ricca
di citazioni neotestamentarie della teologia giovannea e paolina e di numerosi riferimenti ai
Padri, vedi: Ibid., 74-106.
402
Citazione da una lezione di de Lubac del 1947. Cfr. MEM, 136-137.
403
Cfr. PC, 50. Similmente, in entrambe le dottrine – di Ireneo e di de Lubac – si può
riconoscere il vero concetto cristiano della «divinizzazione» dell’uomo mediante i misteri
100 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
Infatti, come avremmo potuto divenire partecipi dell’adozione filiale (cfr. Gal
4,5), se mediante il Figlio non avessimo ricevuto da lui la comunione con Lui; se
non fosse entrato in comunione con noi il suo Verbo facendosi carne (cfr. Gv
1,14)? Per questo è passato attraverso ogni età, restituendo così a tutti la
comunione con Dio404.
Soprattutto troviamo importanti l’ultimo capitolo e la Conclusione della
Petite catéchèse405 dove si parla esplicitamente della «salvezza di Cristo»,
della realtà del peccato e del perdono, e del Cristo redentore406. Affermando
la realtà del peccato, contro «la grande proclamazione di innocenza» della
«scientificità» ateistica407, la «salvezza di Cristo» viene presentata come
«atto di solidarietà con gli umiliati»408, perché possiede lo stesso realismo
del peccato:
Ci invita a riconoscere che siamo esseri deboli – e che non sappiamo quello che
facciamo – e che il peccatore è prima di tutto un essere infelice. Ci ricorda che il
Creatore sa di che pasta siamo fatti e che il Redentore è venuto per guarire i
malati, per aprire gli occhi ai ciechi e per liberare gli schiavi. [...] Nulla più
sussisterebbe delle Scritture che la Chiesa ci trasmette intatte – niente più,
neppure di una speranza ecumenica di unione fra i cristiani per i quali questo
tesoro è un bene comune – se queste parole di natura umana, di peccato, di
libertà, di grazia fossero rifiutate, o semplicemente dimenticate; se le realtà che
—————————–
di Cristo, anche se nessuno di loro usa esplicitamente lo stesso termine «divinizzazione».
Cfr. cap. II, par. 2.3 di questo lavoro.
404
La citazione di sant’Ireneo dall’AH, III, 18,7. Cfr. AH, III, 19,2; 21,5.7; V, 1–14; C,
158. A proposito dell’adozione filiale, proprio nel Catholicisme, spesso troviamo i relativi
riferimenti a sant’Ireneo: «Dio, dice per esempio S. Ireneo, pianta all'inizio dei tempi la
vigna del genere umano; egli predilige questo genere umano, si propone di riversare su di
lui il Suo Spirito e di conferirgli l’adozione filiale [AH, passim]». C, 3. Cfr. Ibid., 54 [AH,
III, 17,2]; 117 [AH, III, 22,3]; 158 [AH, III, 3,18; IV, 20,6.7; 22,2]; 282 [AH, V, 17,4]. «Ciò
che considerano [i Padri della Chiesa] prima di tutto, non è la proclamazione d’una dottrina
astratta, ma l’incontro effettivo dell’uomo e di Dio, l’assuefarsi della natura umana alla
divinità [cfr. AH, IV, 14,2], la trasformazione dell’uomo sotto l’azione della grazia di Dio».
Ibid., 191-192.
405
Cfr. PC, 69-98.
406
All’inizio del terzo capitolo de Lubac scrive: «Finora, malgrado qualche furtiva
osservazione, le nostre considerazioni hanno conservato un carattere astratto [...]
Comunque, per la chiarezza dell’analisi, era giusto procedere a tappe e crediamo che in
teologia l’abbandono di qualsiasi “astrazione scolastica” per un esposto immediatamente
sintetico e concreto non avrebbe solo vantaggi. Così abbiamo cominciato dicendo che la
nostra vocazione soprannaturale era, da parte di Dio, una chiamata gratuita [cfr. CCC,
1718-1729], poi abbiamo detto che il soprannaturale si realizzava nell’uomo mediante il
fatto dell’incarnazione divina e le conseguenze della sua rivelazione [cfr. CCC, 1701-
1717], ma questa Incarnazione non poteva essere pienamente riconosciuta in quanto
redentrice perché non si era considerato il secondo senso, coniugato spesso con il primo,
che la parola “grazia” offre nelle Scritture». PC, 69-70. Vediamo che il Catechismo della
Chiesa cattolica segue l’ordine di esposizione inverso rispetto a quello di de Lubac. Cfr.
CCC, 1699-1729.
407
Cfr. PC, 80-85.
408
Cfr. PC, 80.
SOPRANNATURALE 101
—————————–
409
PC, 87-88.
410
Cfr. AH, III, 23,1-2; V, 1,1; 21,1.3-22. Come vedremo nella dottrina di Ireneo, i
termini «redenzione, liberazione e salvezza si equivalgono». Cfr. Orbe, II, 335;
Redenzione, III, 6 (EV, 14, 1902).
411
«L’entrata nel Regno è una nuova nascita. È sorgente di una vita che è qualcosa di
superiore ad una vita naturale e ben organizzata, di una vita che è su un altro piano,
soprannaturale». De Lubac, citando Y. de Montcheuil. Cfr. PC, 63.
412
Sul concetto della salvezza «iscritta nei cuori» mediante lo Spirito, cfr. AH, III, 4,2.
413
PC, 90. «L’esprit est donc désir de Dieu. Tout le problème de la vie spirituelle sera
de libérer ce désir, puis de le transformer: conversion radicale, μετανοια sans laquelle il
n’est point d’entrée dans le Royaume». S, 483. «Per essere “trasfigurata”, la natura
peccatrice deve prima essere “rovesciata”. È questo il richiamo che si ode da un capo
all’altro della Scrittura. Questo apre il Vangelo e sempre questo risuona nel primo discorso
di Pietro a Gerusalemme: “Metanoiete” (Mc 1,15; At 2,38). È molto di più che un semplice
richiamo al “pentimento” o alla “penitenza” a proposito dei pensieri o delle azioni
particolari. È il rovesciamento legato all’ascolto della Buona Novella che “tocca tutte le
dimensioni e fino in fondo l’esistenza”». De Lubac, facendo riferimento a P. Teilhard de
Chardin e K. Lehmann. Cfr. PC, 71.
414
Vedi per esempio: PC, 13-14 (1Pt 1,13; 2Cor 1,12), 29 (2Pt 1,4), 50 (Fil 3,21; 2Cor
3,18; Rm 12,2), 59 (Gv 6,27; Rm 5,21), 71 (Mc 1,15; At 2,38).
415
PC, 96-97. In questo paragrafo si può chiaramente riconoscere l’eco della dottrina di
Ireneo. Cfr. cap. II, par. 2.2.1 di questo lavoro.
102 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
4.3 Conclusione
Dalla dottrina sul soprannaturale di de Lubac, presentata in questo
capitolo che ne mette in evidenza i punti, a nostro parere, più importanti, e
dalle sue relative testimonianze personali, appena presentate in questa breve
sintesi conclusiva, possiamo concludere che l’intenzione di de Lubac è di
ristabilire la vera visione cristiana dell’uomo e della sua salvezza. Vedendo i
pericoli dell’allontanamento dalla dottrina della Bibbia, dei Padri e di san
Tommaso, lottando contro l’invenzione e l’uso delle «teorie moderne» –
«troppo compiacenti sul progresso del dogma»416, basate sui concetti astratti
dell’uomo, de Lubac avvertiva le pericolose conseguenze di questi
«adattamenti moderni»417. Egli quindi si richiama alla Tradizione della
Chiesa che ama e difende anche nei momenti più difficili della sua vita,
scegliendo sempre, come l’abbiamo già detto, lo stile «agostiniano» di una
serena disputatio e in pace catholica pacifico studio418.
In questo senso, l’amico e «discepolo» di de Lubac, H.U. von Balthasar,
ritiene che la sua dottrina sul «soprannaturale» sia come un colpo del
«giovane David contro il Golia della razionalizzazione e logicizzazione
moderna del mistero cristiano»419. Lo stesso Balthasar, infatti, ci offre una
bella testimonianza420 sul nostro autore e sulla sua teologia:
Mi lasci solamente dire quel che io ho appreso da Lei dagli anni di studio a
Lione fino ad oggi: qualcosa sullo Spirito Santo. Lo spirito, così Lei ci ha
insegnato, può unire molto di più di quanto noi abitualmente riteniamo. [...] Lei
stesso ci ha sempre mostrato donde è possibile questa unità paradossale: dal
Vangelo in cui lettera e spirito sono così poco scindibili come in Cristo
l’umanità e la divinità, come nella Chiesa l’Antico e il Nuovo Testamento, pre-
—————————–
416
Cfr. MEM, 75.
417
Questo riguarda sopratutto il concetto di «natura pura» del quale de Lubac afferma
che: «non il concetto antico di natura pura, ma il sistema che si è sviluppato attorno ad esso
nella teologia moderna e che ne ha profondamente cambiato il significato, ci sembra possa
esser lasciato da parte senza danno. [...] questo sistema, che la grande Scolastica ignora,
non ci sembra esser né il solo mezzo né il migliore per assicurare alla natura umana
consistenza e dignità; e neppure trascendenza e gratuità al soprannaturale». Cfr. MS65, 85.
Questo sistema è dunque, secondo de Lubac, fortemente minato dal pericolo di una «doppia
finalità ultima», da un dualismo dannoso che si sviluppa nell’estrinsecismo della teologia e
filosofia cattolica moderna che per de Lubac rappresenta uno dei fattori che fonda e
caratterizza il movimento del «laicismo e indifferentismo». Cfr. S, 153.424-425; G.
COLOMBO, «Il problema del soprannaturale negli ultimi cinquant’anni», 572; C. RUINI, «La
questione del soprannaturale. Natura e grazia», 18.
418
Cfr. MS49, 104; MS65, 106-107.
419
Cfr. H.U. von BALTHASAR, Il padre Henri de Lubac. La tradizione fonte di
rinnovamento, 67. Proprio questo si potrebbe dire della dottrina di Ireneo che nel suo
tempo, come vedremo nel capitolo seguente, con una dottrina semplice, ma nello stesso
tempo chiara e completa, lottava contro i complessi sistemi gnostici. Cfr. Brox, I, 19; P.
CODA, Teo-logia, 156.
420
Si tratta di una lettera di Balthasar a de Lubac all’occasione del suo novantesimo
compleanno. Cfr. H.U. von BALTHASAR, Il padre Henri de Lubac. La tradizione fonte di
rinnovamento, 1-3.
SOPRANNATURALE 103
senza del passato che viene a noi sempre come futuro. Ogni teologia veramente
grande, e la Sua è tale, si prende continuamente gioco della scienza umana per il
fatto che si rivela attraverso ogni tempo come la continuazione ininterrotta di
questo mistero di Cristo che viene nella Chiesa, per Ireneo il recipiente, sempre
ringiovanito dallo Spirito, di nostro Signore che mai invecchia. Per cui Agostino
può facilmente esortarci: «la tua età avanzata sia come quella di un giovane»421.
Grazie a tutto questo e alla sua tardiva nomina cardinalizia, da parte di
coloro che hanno riconosciuto nelle sue opere questo amore per la
Tradizione della Chiesa, il quale fu confermato anche con una «sofferta
fedeltà», il padre de Lubac ha guadagnato il titolo amichevole di «vir
ecclesiasticus», perché spesso paragonato con alcuni Padri della Chiesa422.
Negli elementi cristologici della sua teologia423, soprattutto nella «novità
assoluta di Cristo», abbiamo già visto la consonanza con la dottrina di
Ireneo a cui si può riconoscere un continuo riferimento anche negli scritti
sul soprannaturale di de Lubac424. Nel capitolo seguente vorremmo presen-
tare la dottrina ireneiana sulla salvezza alla quale, a nostro parere, no-
nostante le differenze di linguaggio, corrisponde la dottrina sul sopran-
naturale di de Lubac.
Oltre ai tanti «paralleli» che abbiamo già segnalato in questo capitolo tra
le dottrine di Ireneo e di de Lubac, e che approfondiremo dettagliatamente
nella sintesi del nostro lavoro425, possiamo anche individuare una certa
«consonanza dottrinale» fra Ireneo e de Lubac. Pensiamo soprattutto al
realismo e ottimismo ireneiano e alla sua visione dell’uomo partecipe
dell’unica «natura» umana nella quale si compiono i «misteri di Dio»426 –
l’uomo creato e plasmato a Immagine e Somiglianza di Dio, trinitariamente
e cristologicamente determinato e inserito nel percorso della storia, orientato
verso il suo unico fine ultimo che è la vita in comunione con Dio, cioè la
visione di Dio427.
Legato a questa visione realistica dell’unica «natura» dell’uomo, ci
sembra piuttosto importante il senso ireneiano del mistero e dell’unità
cristologica grazie al quale egli riesce ad affermare le verità che ci possono
«sembrare opposte»428. Egli, infatti, riesce ad affermare l’assoluta necessità
della grazia, senza alcuna pretesa da parte dell’uomo, insieme all’affer-
—————————–
421
H.U. von BALTHASAR, Il padre Henri de Lubac. La tradizione fonte di
rinnovamento, 1-2.
422
Cfr. E. GUERIERO, «Introduzione» in MEM, XXI; Hercsik, 15.52-53.
423
Cfr. cap. I, sez. 3. di questo lavoro.
424
Cfr. per esempio: MS49, 99.107.134; ATM, 104; MS65, 69.111.140.183-186.194-
195.244; PC, 13.34. Già nell’introduzione del nostro lavoro, abbiamo detto che de Lubac,
già agli inizi dei suoi studi leggeva con passione proprio gli scritti di sant’Ireneo. Cfr.
MEM, 184. Cfr. Hercsik, 20; Introduzione, par. 1.1 di questo lavoro.
425
Cfr. Sintesi di questo lavoro.
426
Cfr. AH, V, 36,3.
427
Cfr. AH, IV, 20,5.7; 38,3.
428
Cfr. MS49, 128.
104 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
429
Cfr. cap. II, parr. 3.1-3.2 di questo lavoro.
CAPITOLO II
IN IRENEO DI LIONE
Ireneo nasce tra il 130 e il 1401 d.C. in Asia Minore. Da giovane conosce
l’anziano vescovo Policarpo a Smirne2 e familiarizza con il suo
insegnamento. Questo contatto è molto importante per lui e contribuisce,
come ci rivelano i suoi propri appunti, a formare il suo pensiero, il suo
comportamento e la sua dottrina3. Per di più anch’egli divenne vescovo di
Lione come successore di Potino, durante il pontificato di Vittore (189-198).
Delle opere di Ireneo, conosciamo l’Adversus haereses4 e la Epideixis5. Ci
—————————–
1
I dati biografici di Ireneo provengono maggiormente dalle sue stesse opere, da cui
sono stati raccolti da Esusebio (HE, soprattutto nel libro V). Cfr. A. ORBE, «Ireneo di
Lione», 2609-2610.
2
Cfr. AH, III, 3,4; Lettera di Ireneo a Florino in HE, V, 20,6-7; Bellini-Maschio, 532.
3
Cfr. AH, III, 3,4; V, 33,4.
4
L’intera opera dell’Adversus haereses (Contro le eresie), composta da cinque libri,
esiste solo in una traduzione latina. Ci sono anche traduzioni in armeno (libri IV e V),
numerosi frammenti in siriaco e diversi frammenti in greco, reperibili attraverso le citazioni
che sono riportate dagli autori posteriori. In questo lavoro ci serviamo dell’edizione critica
secondo la versione armena e latina della Sources chrétiennes (SC 100,1-2; 152-153; 210-
211; 263-264; 293-294), ma non indicheremo sempre riferimento alla collana. Per le
citazioni in italiano, sia dell’Adversus haereses, sia dell’Epideixis, facciamo riferimento
all’edizione ristampata (Milano 2003) della seconda edizione (Milano 1997) di E. Bellini –
G. Maschio, fatta anch’essa secondo l’edizione critica del Sources Chrétiennes. Cfr. «Nota
alla seconda edizione» di G. Maschio in Bellini-Maschio, 42-43. Facciamo attenzione
anche all’edizione bilingue tedesca di N. Brox, contenente i testi in greco e latino, fornita in
cinque volumi presso Fontes Christiani (FC 8/1-5), tra i quali il primo volume (FC 8/1)
comprende il testo della Epideixis e del primo libro dell’Adversus haereses, mentre gli altri
quattro volumi corrispondono ai quattro ultimi libri dell’AH.
5
«Epideixis» (dimostrazione, esposizione) è il nome abbreviato dell’opera di Ireneo,
menzionata da Eusebio (HE, V, 26) con il titolo completo in greco: «Επιδειξις (Εις
επιδειξιν) του αποστολικον κηρυγματος» (Dimostrazione della predicazione apostolica).
L’opera presenta un breve compendio della fede cristiana con carattere catechetico ed è
stata ritrovata solo nel 1904 in una traduzione armena a Ervan in Armenia. Cfr. A. ORBE,
«Ireneo di Lione», 2610; Brox, I, 23. Anche per quest’opera di Ireneo, in questo lavoro ci
serviamo della seconda edizione della Sources chrétiennes (SC 406), e per la traduzione
italiana ci serviamo della traduzione dall’armeno di U. Faldati (Roma 1923), ristampata
106 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
1. L’antropologia di Ireneo
Siccome la gnosi, oltre ad attaccare la giusta visione di Dio, del mondo e
della rivelazione, minacciava specialmente la giusta visione cristiana
dell’uomo e della sua salvezza38, Ireneo dovette ingaggiare una lotta con
l’eresia gnostica proprio a questo livello, per stabilire e difendere una retta
concezione antropologica e soteriologica39. Conformemente alle esigenze
del nostro tema, cominciamo anche noi l’esposizione della dottrina ire-
neiana, focalizzando proprio l’aspetto antropologico della sua dottrina.
Lo studio di Orbe nel campo dell’antropologia di Ireneo ci offre sei
nozioni sull’uomo: statica, fisico-storica, dinamica, cristologica, divina ed
ecclesiale40. La nostra domanda sull’uomo, a cui cerchiamo di rispondere
—————————–
38
«Die besondere Gnosis, um die es inhaltlich geht, besteht darin, dass der Mensch (sc.
der Gnostiker) sein eigenes Geist-Selbst erkennt und die Gottheit, deren Teil er mit diesem
Selbst ist. Diese Erkenntnis ist bereits die Erlösung». Brox, I, 8.
39
Per questo si può dire: «Più che una teologia, Ireneo ci offre un’interessantissima
antropologia teologica e una soteriologia incentrata sulla storia». Cfr. E. VILANOVA, Storia
della teologia cristiana, I, 141. Ireneo, però, tratta le domande antropologiche in modo
esplicito solo nell’ultimo libro dell’Adversus haereses nell’ambito dell’escatologia
cristiana. Cfr. AH V, 1,1. Ma, anche qui, grazie all’ispirazione paolina, il suo punto di
partenza è Cristo, e la sua antropologia è strettamente legata alla teologia trinitaria. «Lo
Spirito di Dio, che governa l’uomo interiore paolino, si percepisce in una prospettiva
cristologica fin dai giorni di Adamo. L’economia della salvezza, filo conduttore della storia,
coinvolge i Tre fin dalla prima plasmazione di Adamo “a immagine e somiglianza di Dio”».
Cfr. Orbe, I, 13. Finalmente, Orbe lo sintetiza cosí: «Su doctrina [di Ireneo] gira entre dos
polos: la unidad de Dios, creador del mundo y Padre del Verbo, y la Salud del hombre
carnal mediante la incorruptela». Cfr. Antropología, 7.
40
Cfr. Antropología, 28-31.
112 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
plasis del corpo umano a immagine e somiglianza di Dio, Origene sostiene la duplice
creazione dell’uomo. Egli pone l’accento sulla psiche [ψυχή], applicando Gen 1,26 alla
creazione dell’intelletto [νους] – l’uomo essenziale, fatto a immagine e somiglianza di Dio.
Mentre applica Gen 2,7 alla creazione dell’uomo sensibile, corporeo, plasmato. Gli gnostici
Valentiniani parlavano di tre creazioni dell’uomo distinguendo la creazione dell’uomo
spirituale, dell’uomo psichico e dell’uomo ilico. Cfr. Antropología, 8-13.25-26; Orbe, I,
259-260.
46
Qua usiamo i termini «plasmare» (dal greco πλάσεις = plasmare, modellare; formare,
fondere) e «modellare» dandogli lo stesso significato, similmente come fa Orbe nella sua
Antropología de San Ireneo parlando del «hombre hecho [ποιηθείς] a imagen (y semejanza)
de Dios» e del «anthropos modelado [πλασθείς] a partir del lodo». Cfr. Antropología, 9.
47
Della stessa dottrina sono anche Clemente Romano, Giustino, Teofilo Antiocheno e
altri sostenitori della creazione unica che danno particolare attenzione al corpo, modellato a
immagine di Dio, lasciando così in secondo piano l’origine dell’anima. Ilario e Ambrogio,
invece, volendo spiegare l’origine dell’anima, fatta a immagine di Dio (Gen 1,26) e del
corpo, modellato dalla terra (Gen 2,7) ricorrevano alle due creazioni. Cfr. Orbe, I, 258.
48
Il verbo «plasmare» viene dunque usato in diversi modi. Cfr. AH, III, 21,10; IV, pref.,
4; 38,3; V, 3,2; 9,1; 15,3; 21,2; 23,2.
49
Il termine «plasis» si riferisce prima di tutto all’uomo – corpo/carne formato
(modellato-plasmato) dalla terra. Questi tre termini (plasis, corpo e carne) li usiamo come
sinonimi. Cfr. la nozione di de Lubac in MMC, 74, n. 54.
50
«Opera autem Dei plasmatio est hominis». AH V, 15,2.
51
Cfr. AH, IV, 38,2-3; 39,2.
52
Cfr. AH, IV, 38,3; Orbe, I, 258-259; Teología, IV, 516-517.
53
Cfr. Orbe, I, 260.
114 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
Spirito Santo inteso una volta come «dýnamis [δύναμις] del Figlio» –
Spirito (impersonale) del Figlio, non distinto personalmente da Lui67, e
l’altra volta come Spirito personale68, procedente dal «dýnamis [δύναμις]
del Figlio», personalmente distinto da Lui ma nello stesso tempo unito a Lui
come «Seconda Mano di Dio»69.
L’efficacia delle «Mani di Dio» si presenta in due modi: un modo
generico, legato alla creazione del mondo, e l’altro specifico, esclusivo
dell’uomo. Di qui proviene la dignità particolare dell’uomo70. Solo lui è
stato creato mediante un intervento particolare del Figlio e dello Spirito che
si assoggettano all’invito di Dio Padre nella plasmazione dell’uomo: «E
come l’uomo che fu plasmato per primo, Adamo, ricevette la sua sostanza
da una terra incolta e ancora vergine [...] e fu plasmato dalla Mano di Dio,
cioè dal Verbo di Dio – infatti “tutte le cose furono create per mezzo di lui”
(Gv 1,3) e il Signore prese un po’ di polvere della terra e plasmò l’uomo»71.
La plasmazione dell’uomo è dunque un avvenimento privilegiato nel quale
tutti e tre – Padre, Figlio e Spirito – Dio, Immagine e Somiglianza –
agiscono sulla sostanza terrena per costituire l’uomo «a Immagine e
Somiglianza di Dio»:
l’uomo creato e plasmato diviene ad immagine e somiglianza di Dio increato: il
Padre decide benevolmente e comanda (cfr. Gen 1,26), il Figlio esegue e plasma
(cfr. Gen 2,7), lo Spirito nutre e accresce (cfr. Gen 1,28), e l’uomo a poco a poco
progredisce e si eleva alla perfezione, cioè si avvicina all’Increato; perché solo
l’Increato è perfetto, e questo è Dio72.
La dignità dell’uomo, nota già nel momento della sua creazione, diventa
ancora più evidente con la collocazione dell’uomo al centro di tutta la
creazione. Ireneo, non limita il dominio dell’uomo alla sola creazione sen-
sibile (Gen 1,28). Egli va oltre il testo biblico e costituisce l’uomo padrone e
—————————–
luce di tali premesse, Orbe ci invita a comprendere le testimonianze di Ireneo e Tertulliano,
«favorevoli alcune, alla “Mano di Dio”, singolare ma bivalente, altre, alle “Mani di Dio” al
plurale». Cfr. Orbe, I, 279-280.
67
«Lo Spirito di Dio, con cui il Padre battezzò il proprio Figlio in quanto uomo, sarebbe
la potenza salvifica, sorgente delle operazioni divine, comune alle tre persone ma non
direttamente la persona dello Spirito». Così Orbe commentando At 10,37-38 in Orbe II,
197. Cfr. AH, III, 12,5.7; V, 8,1-2.
68
Cfr. AH, I, 22,1; 24,2; E, 5.
69
Cfr. Orbe, I, 279-280; Orbe, II, 24-25.180-183.
70
«Non c’è contraddizione o sconcerto nell’atteggiamento dei Padri. La Scrittura,
interpretata correttamente, li invita da un lato ad attribuire alle Mani di Dio, il Verbo e lo
Spirito, la formazione del mondo, senza operare distinzioni tra le creature sia in cielo che in
terra tra angeli o uomini, tanto nei cieli planetari che in quelli sublunari e sulla Terra;
dall’altro a contrapporre la plasmazione dell’uomo (secondo Gen 2,7 e Gen 1,26 s.)
mediante le Mani di Dio, il Verbo e lo Spirito, alla formazione delle altre creature». Orbe, I,
282.
71
AH, III, 21,10.
72
AH, IV, 38,3. Cfr. Teología, IV, 517.
DOTTRINA IRENEIANA 117
—————————–
Ireneo vedi: AH, V, 1,3; 4,1; 7,1; 13,3; M. AUBINEAU, «Incorruptibilité et divinisation selon
saint Irénée», 34-35.
79
Cfr. AH, V, 14,1-4.
80
«Infatti, “il Verbo si fece carne ed abitò tra noi” (Gv, 1,14)». AH, III, 10,3. Cfr. L.F.
LADARIA, «Destino dell’uomo e fine dei tempi», 370; ID., «L’uomo», 85-88.
81
Cfr. Orbe, I, 294.
82
AH, V, 3,2.
83
Cfr. AH, IV, 38,3. Orbe, I, 273. Origene invece riferisce «l’Immagine e Somiglianza»
alla creazione dell’«intelletto». Secondo Orbe, entrambe le ideologie – origeniana e
ireneiana – sembrano giustificare nella stessa misura la dignità dell’uomo fatto da Dio
Padre con l’aiuto del Figlio e dello Spirito Santo. Cfr. Ibid., 272; Teología, III, 636.
84
AH, IV, 33,4. «El Verbo configura el cuerpo de Adán con miras al suyo futuro. Desde
la primera aparición se orienta el hombre hacia el Hombre perfecto, Cristo. [...] La plasis
del primer Adán se consumaría además en el segundo, a que se ordenaba, paradigma único
de la humano (corpórea)-divina perfección. [...] En el cuerpo del Verbo se manifestó, pues,
la semejanza divina misteriosamente oculta en el plasma de Adán. La atención del Santo se
concentra en torno al sôma». Antropología, 99.
DOTTRINA IRENEIANA 119
corporea – gli stessi lineamenti di Cristo»85: «il Verbo di Dio si fece uomo,
rendendo se stesso simile all’uomo e l’uomo simile a sé, affinché, attraverso
la somiglianza con il Figlio, l’uomo divenga prezioso di fronte al Padre»86.
Il Figlio di Dio – Immagine del Padre – riflette così i suoi attributi personali
nella forma del corpo umano adeguandoli per mezzo dello Spirito Santo al
disegno dell’economia della salvezza.
Anche la sostanza di cui è stato creato il corpo umano era «nobile»
perché era una «terra vergine» dalla quale la volontà e la «Sapienza di Dio»
hanno creato il corpo umano87. Ireneo lega così i due misteri, la creazione
dell’uomo e l’incarnazione di Cristo – tutti e due sono «nati» dalla
«vergine». Il Signore nacque da una Vergine per la volontà e per la
Sapienza di Dio, rivelando la somiglianza della sua corporeità con quella del
primo Adamo ricapitolandolo in sé e rifacendolo a immagine e somiglianza
di Dio88.
La plasmazione di Adamo annuncia dunque quella di Cristo, come la
plasmazione di Cristo ricapitola quella di Adamo89. Gesù Cristo è il modello
secondo il quale l’uomo è stato plasmato, perché Egli è l’immagine perfetta
del Padre (cfr. 2Cor 4,4; Col 1,15): «“a sua immagine Dio ha fatto l’uomo”
(cfr. Gen 9,6). L’“immagine” è il Figlio di Dio, alla cui immagine l’uomo fu
fatto (cfr. 2Cor 4,4; Col 1,15). Per questa ragione si è manifestato alla fine
dei tempi “per dimostrare che l’immagine rassomigliava a lui”»90.
Il forte senso cristologico che Ireneo, ispirato dalla teologia paolina,
sviluppa nella sua dottrina, ci mostra di nuovo l’inseparabilità
dell’antropologia dalla cristologia. La domanda sull’uomo si trova nascosta
nella domanda sul Cristo. La risposta all’ultima risolve anche la prima.
L’antropologia ireneiana sviluppata attorno all’uomo-carne riecheggerà
nella sua soteriologia nei termini di quella «salvezza della carne» realizzata
nello stretto rapporto tra Carne gloriosa di Cristo e la carne-corpo
«spirituale» dell’uomo.
—————————–
96
AH, V, 6,1 [corsivo nostro].
97
Per questa ragione, nelle diverse traduzioni degli scritti ireneiani esiste una differenza
nell’uso del maiuscolo o minuscolo legato alla parola spirito. Vedi per esempio il
commento di V. Dellagiacoma nella ristampa della terza edizione della traduzione italiana
dell’Adversus haereses di Edizioni Cantagalli, Siena 1996, rist. 20023, II, 167, n. 1. La
parola «spirito» appare qualche volta anche in senso generico, come «realtà distinta dalla
carne, che può essere l’anima umana o lo Spirito di Dio». Cfr. AH, V, 6,1 in Bellini-
Maschio, 625, n. 5 e la spiegazione dettagliata di A. Rousseau in SC 152, 230-232.
98
Questo ci conferma il riferimento di Ireneo alla prima lettera ai Tessalonicesi (1Ts
5,23) nel testo appena citato (AH, V, 6,1) secondo il quale lo Spirito di Dio comunicato
all’uomo e dimorante in lui diventa in qualche modo il suo Spirito. Cfr. AH, V, 6,1 in
Bellini-Maschio, 625, n. 6. Ma, già prima, nell’AH, II, 33,5, senza un approfondimento
dettagliato, Ireneo parla degli uomini che «risorgeranno con i loro corpi, le loro anime e il
loro Spirito». Anche questo passo è in sintonia con AH, V, 6,1 e 9,2 secondo i quali lo
Spirito Santo si intende «donato a molti e divenuto loro possesso intimo». Cfr. AH, II, 33,5
e V, 9,2 in Bellini-Maschio, 594 e SC 293, 341. De Lubac, considerandolo «un problema
antropologico», direbbe a proposito: «noi crediamo perciò che lo Spirito di cui parla
[Ireneo] è sempre lo Spirito di Dio, anche quando lo considera nell’uomo». Cfr. MMC, 75-
76. E, anche: «Ireneo parlava soprattutto dello Spirito di Dio, anche quando questo Spirito,
partecipato, diveniva lo spirito dell’uomo. Origene parlerà più esplicitamente dello spirito
dell’uomo, in quanto apertura allo Spirito di Dio. Sono due prospettive inverse, più che due
dottrine contrarie». Ibid., 77. Vedi anche Gross, 127, dove si confrontano i relativi
122 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
commenti di Strucker e Klebba; e T. ŠPIDLÍK, «Comprensioni differenti del medesimo
mistero: le vie dell’ortodossia orientale e del cristianesimo latino», 119-120.
99
Ireneo distingue l’anima – il soffio della vita – dallo Spirito vivificante: «Altro è,
infatti, il soffio di vita (Gen 2,7), che rende l’uomo psichico, e altro lo Spirito vivificante
(cfr. 1Cor 15,45), che rende l’uomo spirituale». Cfr. AH, V, 12,2. «Da un lato, lo Spirito
costituisce con l’anima una parte dell’uomo; è chiamato “Spirito dell’uomo” e sembra
distinguersi dallo “Spirito di Dio”; esso da solo non costituisce l’uomo, non più di quanto lo
facciano, da soli il corpo o l’anima, ma è uno dei tre elementi costitutivi; questi tre elementi
sono ancora enumerati in Paolo il quale augura che siano tutti e tre “irreprensibili” [cfr. 1Ts
5,23]». De Lubac, commentando AH, V, 9,1. Cfr. MMC, 73; Teología, I, 522-601.
100
Non si tratta dunque di due tipi di uomini diversi per natura, secondo la distinzione
che facevano gli gnostici Valentiniani che affermavano tre creazioni dell’uomo,
corrispondenti alle tre specie di uomini (l’uomo spirituale, l’uomo psichico e l’uomo ilico).
Cfr. Teología, I, 499-521.
101
«C’è, infatti, un solo Figlio, che ha compiuto la volontà del Padre, ed una sola
umanità, nella quale si compiono i misteri di Dio». AH, V, 36,3. Cfr. Antropología, III,
632-638.
102
«l’uomo perfetto è composto, come abbiamo dimostrato, di tre realtà: la carne,
l’anima e lo Spirito». AH, V, 9,1.
103
Ricordiamo, come abbiamo già ribadito, che «l’assimilazione, a giudizio di Ireneo, si
realizza tra le due nature più antitetiche. E si verifica grazie allo Spirito di Dio, ricevuto dal
plasma umano (mediante la psiche) a modo di qualità operante». Cfr. Orbe, I, 266.504-509.
Commentando il battesimo di Gesù in AH, III, 17, e la nostra partecipazione «de
plenitudine eius», Orbe scrive: «Effuso il nuovo Spirito su servi e serve, resi partecipi dello
Spirito di Dio con il quale era stato battezzato lo stesso Verbo come uomo, le genti
manifesteranno la potenza dello Spirito di Gesù sull’uomo, l’efficacia del Pneuma divino
sulla sarx umana. Se la comunione Logos/sarx è incomunicabile nella sua efficienza
personale, non lo è la comunione Pneuma/sarx nella sua efficienza dinamica». Cfr. Orbe,
II, 188-189.
DOTTRINA IRENEIANA 123
—————————–
Gross: «In fact, rejecting the gnostic concept of ὁμοίωσις as a divine seed which, forming
the essence of the pneumatic, is a gift of nature in this one and consequently incapable of
being lost, the bishop of Lyon identifies the ὁμοίωσις with the possession of the Hoy Spirit
and His gifts. In this, he is manifestly inspired by the Pauline doctrine of the divine Spirit,
the source of new life in the Christian». Gross, 130-131. La visione gnostica dell’uomo
«spirituale» è molto diversa da quella di Ireneo. Cfr. Orbe, I, 260; Orbe, II, 347.
110
Cfr. AH, V, 9-12.
111
Cfr. AH, V, 11,1.
112
Cfr. AH, V, 12,1-2.
113
Cfr. AH, V, 12,2.
114
«La orientación de Adán a Cristo representa en consecuencia una deificación del
plasma inicial, que así como en el primer hombre fue dotado de “soplo de vida”, pasando a
animal, en el segundo será dotado del “Espíritu vivificante”, convirtiéndose en hombre
espiritual». Antropología, 27.
115
Cfr. AH, V, 8,2.
116
AH, V, 16,1. I passi di Ireneo simili a questo ci rivelano il fondamento del realismo
lubachiano che non sopporta l’ipotesi della «natura pura», perche, già dai suoi inizi, l’uomo
è immerso nel disegno salvifico di Dio.
DOTTRINA IRENEIANA 125
dunque l’uomo, la carne che siamo noi oggi, il plasma che disobbedì al suo
Plasmatore: «è Dio colui che avevamo offeso nel primo Adamo, non
compiendo il suo comandamento [...] Infatti, non eravamo debitori di un
altro, ma di colui del quale avevamo trasgredito il precetto all’inizio»134. Se
dunque il soggetto del peccato era la carne, la carne peccatrice di Adamo e
dei figli, anche la salvezza dell’uomo avrà la carne come suo soggetto, e
questa sarà la carne del Signore135.
L’impostazione antropologica di Ireneo è in sintonia con la sua soterio-
logia. Per questo, egli non parla della «salus animae», come fanno le soluzi-
oni valentiniana e origeniana136, perché secondo la dottrina paolina137, in
Adamo non peccò la psiché [ψυχή] e nemmeno il pneúma [πνεύμα] ma la
carne. Proprio quest’ultima deve quindi essere riconciliata138: «Infatti, si
riconcilia ciò che una volta era nell’inimicizia. [...] il Signore ha riconciliato
l’uomo al Padre, riconciliando noi a sé per mezzo del corpo della sua carne
(cfr. Col 1,22) e riscattandoci con il suo sangue, come dice l’Apostolo agli
Efesini»139. Da questo proviene il parallelismo Adamo-Cristo, Carne-carne,
Plasma-plasma, perché il Signore ci ha riconciliati «nel corpo della sua
carne». La Carne innocente riconcilia dunque la carne peccatrice con il suo
Creatore140:
E per questo l’Apostolo dice nella lettera ai Colossesi: «E voi che una volta
eravate lontani da lui e nemici del suo pensiero per le vostre opere cattive, ora,
riconciliati nel corpo della sua carne, per mezzo della sua morte, per presentarvi
—————————–
134
Ireneo, commentando Fil 2,8. Cfr. AH, V, 16,3; Teología, II, 104-117. Vedi anche:
AH, V, 17,1.
135
«la Carne giusta ha riconciliato la carne che era tenuta schiava nel peccato e l’ha
ricondotta all’amicizia di Dio». AH, V, 14,2. Cfr. AH, IV, 20,2. «No basta la acción directa
de persona a persona, del Verbo a Adán e hijos. Requiérese la comunión sustancial entre el
reconciliador y los reconciliados. […] Es la carne, la sustancia, la que reconcilia la carne,
sustancia». Teología, I, 682.
136
Cfr. Orbe, I, 381; Teología, III, 636.
137
«l’Apostolo attesta chiaramente che noi siamo stati salvati per mezzo della carne e
del sangue del Signore». AH, V, 14,3.
138
Secondo lo studio di Orbe, nella soteriologia di Ireneo l’«oggetto della redenzione»
era «unicamente l’uomo che peccò in Adamo, il plasma, modellato a immagine e
somiglianza del Creatore e, a completamento, l’anima infusa nel plasma. Cristo, pertanto,
viene a redimere il corpo del protoplasto e con esso, a modo di complemento, anche
l’anima». Cfr. Orbe, II, 347. «Lo spirito, componente dell’uomo perfetto (o divino), non
appartiene in senso stretto alla natura dell’uomo e per questa ragione neppure l’accompagna
nei condannati. [...] É oggetto di redenzione soltanto l’uomo con le sue componenti
naturali, il corpo e l’anima. Il pneuma divino non è redimibile come non è soggiogabile».
Orbe, II, 357.
139
AH, V, 14,3.
140
«Cristo uomo possiede le tre componenti umane: spirito-anima-corpo (1Ts 5,23; AH,
V, 6,1). E tuttavia offre la sua anima per la nostra e la sua carne (=corpo) per la nostra.
Omette l’offerta del suo spirito per il nostro spirito. Lo spirito, componente dell’uomo, è
divino, in quanto partecipazione dello Spirito di Dio. Non cadde nella schiavitù in Adamo e
non necessita di essere redento». Orbe, II, 350.
128 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
2. La salvezza dell’uomo
Nei paragrafi precedenti, cercando di rispondere alla domanda «Chi è
l’uomo?», abbiamo affermato che secondo la dottrina di Ireneo l’uomo è
destinato alla salvezza sin dal momento della sua creazione. Adesso,
esaminando gli scritti ireneiani, cercheremo di tirare fuori la dottrina che
—————————–
141
AH, V, 14,2.
142
«Chiarito il secondo viene, in buona parte, esplicitato anche il primo». Cfr. Orbe, I,
379.
143
AH, V, 16,3. Cfr. Teología, II, 104-117.
144
AH, V, 17,1. Cfr. Teología, II, 135-146.
145
Cfr. AH, IV, 38,3 – il testo già citato dove Ireneo parla dell’uomo ordinato fin dal
momento della sua creazione a un constante progresso verso la perfezione. Cfr. Teología,
IV, 515-517. O quando parla della «salvezza iscritta nei cuori», cioè dei «molti popoli
barbari che hanno creduto in Cristo e possiedono la salvezza, scritta senza carta e inchiostro
(cfr. 2Gv 12) nei loro cuori (cfr. 2Cor 3,3) mediante lo Spirito». Cfr. AH, III, 4,2.
146
Cfr. AH, IV, 34,1; V, 2,2; Teología, IV, 471.
DOTTRINA IRENEIANA 129
risponderebbe alla nostra seconda domanda: «In che cosa consiste e come si
realizza la salvezza dell’uomo?».
Anche adesso, insieme agli studiosi della dottrina ireneiana, dobbiamo
ammettere che, anche se può sembrare così, non è facile sintetizzare la
dottrina di Ireneo147. Questa difficoltà non è dovuta solo alla già menzionata
«verbosità» e alle «molte ripetizioni» di Ireneo, ma è causata anche dal suo
linguaggio che non presenta ancora la strutturazione tipica della futura
teologia sistematica. Per questo, cercando di dedicare particolare attenzione
all’uso dei termini ireneiani, ci affidiamo al giudizio degli studiosi passati148
secondo i quali nella dottrina di Ireneo i termini «redenzione, liberazione e
salvezza si equivalgono»149.
Dopo aver mostrato nei paragrafi precedenti che, secondo Ireneo,
«l’uomo-carne», creato e plasmato «a Immagine e Somiglianza di Dio»150 è
stato cristologicamente immerso nel disegno della salvezza fin dal momento
della sua creazione151, ed è stato reso «spirituale» mediante l’inabitazione
dello Spirito Santo che «entra nella composizione» dell’uomo rendendolo
conforme a Cristo152 e orientandolo verso la vita di comunione con Dio
nella quale proprio consiste la salus carnis153, nel seguente passo del nostro
lavoro vorremmo illustrare come «la soteriologia di Ireneo sia coerente alla
sua antropologia»154. La domanda di Ireneo sulla salvezza dell’uomo-carne
è la stessa domanda che si ponevano gli gnostici: «Se la carne possa ottenere
la salvezza?»155. La risposta a questa domanda, offertaci da Ireneo e svilup-
pata soprattutto nell’ultimo libro dell’Adversus haereses156, è contraria a
—————————–
147
Cfr. Orbe, II, 28. «Sant’Ireneo, e poi Origene, ci obbligano a sostare un po’ di più, in
ragione dell’abbondanza dei testi e della loro importanza e difficoltà». «L’antropologia di
Ireneo […] non è una antropologia dotta. Si può dire lo stesso di tutta la sua teologia. Ciò
non significa che essa sia senza interesse». De Lubac, facendo riferimento a B. Botte. Cfr.
MMC, 71 e nota 47.
148
Pensiamo soprattutto a Orbe.
149
Orbe, II, 335. Cfr. Redenzione, III, 6 (EV, 14, 1902).
150
Cfr. cap. II, par. 1.1 di questo lavoro.
151
Cfr. cap. II, par. 1.2 di questo lavoro.
152
Cfr. cap. II, par. 1.3 di questo lavoro.
153
Cfr. AH, IV, 20,7; Orbe, II, 594. «Ammessa l’identità homo = plasma, la “salvezza
dell’uomo” è la salus carnis o salus plasmatis». Ibid., 597. Cfr. Teología, IV, 471.
154
Cfr. Orbe, I, 380.
155
Cfr. Orbe, II, 597. «Nach einer kurzen Einleitung mit appellativem Inhalt setzt er
[Irenäus] mit einer geradezu dramatischen Verteidigung der Rettungsfähigkeit des
(menschlichen) Fleisches gegen die Gnostiker ein. Es geht um die Frage, ob das Fleisch das
Heil erlangen kann. Gemeint ist die Substanz des Fleisches, nämlich die des menschlichen
Leibes». Brox sull’AH , V. Cfr. Brox, V, 9.
156
I temi teologici dell’ultimo libro dell’Adversus haereses si potrebbero dividere
secondo il seguente ordine: Il discorso teologico sulla carne e sangue di Cristo negli scritti
neotestamentari (AH, V, 1–14); la continuità tra creazione e redenzione garantita
dall’identità di Dio Creatore e Padre di Gesù Cristo e dall’affidabilità della predicazione
della Chiesa e dei suoi annunciatori (AH, V, 15–20); il diavolo come nemico – la storia
biblica della tentazione (AH, V, 21–24); lo scenario della venuta dell’Anticristo (AH, V,
130 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
25–30); conclusione – il Padre conduce la storia della salvezza nella fase ultima (AH, V,
31–36). Cfr. Brox, V, 9.
157
«Di fronte alla gnosi, che riduce la salvezza dell’uomo a quella dell’anima, senza
alcuna relazione con questo mondo materiale, Ireneo insisterà sulla salvezza della carne
(salus carnis), coerentemente alla propria visione antropologica». L.F. LADARIA, «Destino
dell’uomo e fine dei tempi», 370. Per la sintesi ireneiana delle false dottrine gnostiche sul
tema della salvezza cfr. AH, V, 19,2.
158
L.F. LADARIA, «Destino dell’uomo e fine dei tempi», 370.
159
Cfr. Ef 1,10; AH, III, 23,1; Redenzione, III, 6 (EV, 14, 1902).
160
Cfr. AH, III, 19,1; V, pref.; 36,3; L.F. LADARIA, «Destino dell’uomo e fine dei
tempi», 371; B. SESBOÜÉ, Gesù Cristo, I, 237-238.
161
Cfr. AH, V, pref.
162
Redenzione, III, 5 (EV, 14, 1901). Cfr. AH, V, 1,1.
163
Cfr. Brox, IV, 10.
DOTTRINA IRENEIANA 131
—————————–
164
Cfr. cap. II, par. 1.3 di questo lavoro.
165
Cfr. cap. II, par. 1.4 di questo lavoro.
166
Cfr. AH, V, 14,3; Orbe, I, 381; II, 357.
167
Cfr. AH, V, 16,3; Orbe, I, 379; Teología, II, 104-117.
168
Cfr. 1Cor 5,3; 7,34; 2Cor 12,2-3; 1Ts 5,23; AH, V, 6,1.
169
Cfr. Fitzmyer, 175-180.
170
Cfr. Fitzmyer, 176. Sull’interpretazione ontologica della «corporeità» umana,
designata dai termini soma [σώμα] e sarx [σαρξ] nell’antropologia paolina, vedi: G. BOF,
Una antropologia cristiana nelle lettere di San Paolo, 33-100.
171
Cfr. Fitzmyer, 177.
172
Cfr. 1Cor 6,16 con riferimento alla Gen 2,24; 2Cor 4,10-11; Gal 4,13-14; 6,17. Lo
stesso succede con il binomio «carne e sangue» (cfr. Gal 1,16; 1Cor 15,50). Infatti, tutti
questi termini non hanno un significato antropologico stretto, ma vengono usati in modo
«fluido» e spesso sono sinonimi usati per accentuare qualche aspetto dell’essere umano.
132 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
l’adozione filiale e diventa erede delle promesse di Dio (Gal 4,4-7; Ef 1,4-5;
Rm 8,15)180, cioè, gli si apre l’ingresso alla vita di comunione con Dio che è
la visione beatifica: «Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio»
(Rm 3,23)181. La gloria di Dio è dunque la vita dell’uomo, cioè l’unico e
l’ultimo fine della vita umana, offerto all’uomo come un puro dono, attra-
verso l’incarnazione di Cristo per mezzo del quale l’uomo riceve il dono
dell’adozione filiale182.
Nell’antropologia di Ireneo, costruita attorno all’uomo-carne –
trinitariamente e cristologicamente determinato fin dal momento della sua
creazione –, abbiamo già visto questi elementi della dottrina paolina,
soprattutto nell’accentuazione ireneiana del legame esistente fra due misteri
– la creazione dell’uomo e l’incarnazione di Cristo. Quest’ultima presenta
una novità183 nella storia della salvezza, il culmine reale e salvifico di tutta
l’umanità – «Omnem novitatem attulit semetipsum afferens, qui fuerat
annuntiatus»184 – e, come vedremo adesso, anch’essa proviene dalla dottrina
paolina.
spiegazione più intrinseca e sottile che parte dall’uomo nella sua condizione
di «debolezza della carne». L’accento si trasferisce dalla Legge all’uomo. Il
problema non sta nella Legge, ma nell’uomo «debole»: «Sappiamo, infatti,
che la legge è spirituale, mentre io sono carnale, venduto come schiavo del
peccato» (Rm 7,14).
Entrambe le spiegazioni conducono verso l’unica soluzione. Secondo la
lettera ai Galati, con la venuta di Cristo è arrivata la «pienezza del tempo»
stabilita dal Padre, fino alla quale l’uomo era un «minorenne» e bisognoso
della Legge (cfr. Gal 4,1-5). Con la venuta di Cristo comincia una nuova
fase nella storia della salvezza con la quale l’uomo, liberato dallo stato di
schiavitù, diventa erede delle promesse di Abramo, cioè gli viene concessa
la filiazione adottiva:
Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da
donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché
ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha
mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi
non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio
(Gal 4,4-7)191.
La lettera ai Romani pone l’accento sul cambiamento interiore che
avviene nell’uomo per lo Spirito di Gesù Cristo. Infatti, l’uomo debole
secondo la sua natura (cfr. Rm 7,4) diventa fortificato per la grazia di Cristo,
cioè per lo Spirito di Dio che abita nell’uomo rendendolo libero dalla legge
del peccato e della morte (cfr. Rm 8,1-2). Quello dunque che non era
possibile alla Legge, Dio l’ha fatto per mezzo di Gesù Cristo (cfr. Rm 8,3-
4): «Ora, il termine della legge è Cristo» (Rm 10,4a). Quest’ultima espres-
sione paolina afferma che Cristo è il fine ultimo della Legge192, vale a dire
che il fine ultimo della Legge è stato raggiunto non per l’osservanza stessa
della Legge, ma per Gesù Cristo, per la grazia e la fede in Cristo che libera
dalla «maledizione della legge» (cfr. Gal 3,13)193.
La novità della venuta di Cristo è espressa da Paolo mediante l’idea di
«nuova creatura»: «Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose
vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove» (2Cor 5,17; cfr. Gal 2,19;
5,6; 6,15; Is 43,18-19)194. Si tratta dunque di una novità ontologica grazie
—————————–
191
«Ora la sua discendenza è la Chiesa, che riceve per mezzo del Signore la filiazione
adottiva di Abramo». AH, V, 32,2. Cfr. AH, V, 34,3. «La única semilla de Abrahán a que
responden las promesas divinas es la Iglesia cristiana, constituida por los hijos de su fe,
israelitas según la fe (en Cristo): “(semen Abrahae), hoc est qui timent et credunt in Eum
(=Deum)”». Teología, III, 373.470-479. Cfr. AH, V, 32,2 in Bellini-Maschio, 635-636, nota
2; SC 153, 402.
192
L’espressione «telos nomu» potrebbe significare sia «la fine» come termine, sia «il
fine» come meta o scopo ultimo della Legge. Secondo Fitzmyer, quest’ultimo sarebbe più
coerente con lo spirito della lettera ai Romani. Cfr. Fitzmyer, 170-171.
193
Questa spiegazione cristologica della Legge di Mosè rende Paolo unico tra gli autori
neotestamentari. Cfr. Fitzmyer, 173.
194
Cfr. AH, V, 18,2.
DOTTRINA IRENEIANA 137
alla quale l’uomo entra in una nuova relazione con Dio nella persona di
Gesù Cristo, così da trascendere la precedente relazione con Dio legata
all’osservanza della Legge195.
I temi con cui Paolo presenta questa novità della vita in Cristo196 sono la
fede, il battesimo e l’eucaristia, indicando come attraverso queste realtà
l’uomo venga incorporato in Cristo e nella sua Chiesa – comunità della fede
– diventando così partecipe della vita in Cristo. La novità della vita in Cristo
è un dono gratuito che viene da Dio come una libera offerta (cfr. Rm 3,24-
25; 6,14; 11,6; 12,3), non acquistabile con sforzi umani. L’iniziativa viene
da Dio e si offre come dono di una vita nuova in comunione con Dio.
Accettando quest’offerta da Dio, attraverso un atteggiamento di fede e di
sottomissione a Dio, accogliendo nello stesso tempo la vita nello Spirito,
compiendo le «opere dello Spirito» (cfr. Gal 5,6.13)197 e astenendosi dalle
«opere della carne» (cfr. Gal 5,19-21)198, l’uomo viene gratuitamente giu-
stificato davanti a Dio (cfr. Gal 2,16; Rm 3,28)199 e viene liberato dalla
schiavitù della Legge e del peccato. Rifiutando invece la vita in Cristo,
l’uomo rimane sottomesso alla schiavitù del peccato e delle «divinità di
questo mondo» (cfr. Gal 4,8-9; 2Cor 4,3-4; Rm 8,29; 2Ts 2,10)200.
Inoltre, Paolo esprime la novità della vita in Cristo utilizzando le
preposizioni per Cristo, con Cristo e in Cristo [δια, συν, εις/εν] – che oggi
risuonano nella dossologia eucaristica –, e applicando il termine «corpo di
Cristo» al battezzato diventato una delle «membra di Cristo» (1Cor 6,15;
12,12.27), alla Chiesa (1Cor 12,27-28; cfr. Col 2,17; Ef 4,12), e al corpo
eucaristico di Cristo (1Cor 10,16)201.
2.2 Redenzione
2.2.1 I misteri dell’Incarnazione e della Risurrezione
Oltre al carattere paolino della dottrina ireneiana sulla salvezza, si deve
tenere presente, come abbiamo già detto prima, che nella dottrina di Ireneo i
termini «redenzione, liberazione e salvezza si equivalgono»204, e che i
—————————–
202
L’offerta universale della salvezza non esclude la libertà dell’uomo, perché anche
dopo la venuta di Cristo, aderendo liberamente alle «opere della carne», l’uomo rimane
sotto il dominio del peccato. Cfr. Gal 3,3; 4,29; 5,19-21; Rm 8,4–9.13; AH, V, 11,1; 12,2;
27,2.
203
Cfr. Fitzmyer, 187; AH, V, 32,2; 34,3.
204
Cfr. Orbe, II, 335. «Riconciliazione, remissione dei peccati, redenzione, salvezza
sono concetti distinti tra loro, ma facilmente intercambiabili. Ireneo non vi insiste qui,
contento di collegarli al corpo carnale di Cristo, alla carne e al sangue intesi fuori metafora
DOTTRINA IRENEIANA 139
Infatti, come avremmo potuto divenire partecipi della adozione filiale (cfr. Gal
4,5), se mediante il Figlio non avessimo ricevuto da lui la comunione con Lui; se
non fosse entrato in comunione con noi il suo Verbo facendosi carne (cfr. Gv
1,14)? Per questo è passato attraverso ogni età, restituendo così a tutti la
comunione con Dio213.
Come nella plasmazione di Adamo, così nell’incarnazione di Cristo tutte
e tre le persone divine sono attive: «il Padre come causa principale, il Figlio
come causa ministeriale e lo Spirito Santo come causa materiale, operano
nella Vergine per formare il Verbo con la sua duplice natura spirituale e
carnale»214. A causa del «silenzio ireneiano» sulla psiché [ψυχή] nella
comunione cristologica, «le espressioni di Ireneo sembrano suggerire che
quanto il soffio di vita (= anima) rappresentava per il corpo di Adamo, era il
Verbo (= Spirito di Dio) per il plasma di Cristo»215. Similmente come nei
Vangeli216, Ireneo non parla spesso della psiché [ψυχή] di Cristo perché
«non è essa a caratterizzare l’incarnazione»217, però Ireneo non esclude
l’esistenza della psiché [ψυχή]:
Infatti, se non ha preso da un essere umano la sostanza della carne, non si è fatto
né uomo né Figlio dell’uomo. Ora se non si è fatto ciò che eravamo noi, non
aveva grande importanza che patisse e soffrisse. Ognuno ammetterà che noi
siamo un corpo preso dalla terra e un’anima che riceve da Dio lo Spirito. Tutto
questo dunque è divenuto il Verbo di Dio ricapitolando in sé la sua propria
creatura, e per questo confessa di essere Figlio dell’uomo e proclama beati «i
miti che erediteranno la terra» (Mt 5,5)218.
Anche qua è evidente il realismo di Ireneo e la sua accentuazione del
corpo, ma come abbiamo già ripetuto prima, il linguaggio di Ireneo e le sue
formule «non sono così chiare come sembrano»219. Proprio per questa ragio-
ne, anche qua ci fidiamo del giudizio degli studiosi più degni e riportiamo la
sintesi di Orbe sul tema dell’Incarnazione nella dottrina di Ireneo:
Si può parlare di Verbo totalmente e perfettamente incarnato soltanto quando
alla comunione personale si accompagna la comunione fisica dello Spirito con la
sarx, in virtù dell’unzione iniziata nel Giordano e compiuta in pienezza con la
—————————–
uomo». Cfr. Ibid., 26. «L’union de l’élément divin et de l’élément humain dans le
personnage unique du Verbe est affirmée sans ambages». F. VERNET, «Irénée (Saint)»,
2467.
212
Cfr. Teología, I, 52-81.
213
AH, III, 18,7. «il veut sauvegarder avant tout la possibilité et la réalité du salut; or, le
salut n’est possible et réel qu’avec un Christ qui appartienne à la fois à la divinité et à
l’humanité». F. VERNET, «Irénée (Saint)», 2468.
214
Cfr. E, 53, 71.
215
Cfr. AH, V, 1,3; Orbe, II, 27.
216
Cfr. Gv 1,3; Lc 1,35.
217
Cfr. Orbe, II, 27.
218
AH, III, 22,1 [corsivo nostro].
219
Cfr. Orbe, II, 28.
DOTTRINA IRENEIANA 141
—————————–
220
«Lo Spirito del Giordano», secondo lo studio di Orbe, «deve essere necessariamente
lo Spirito Santo – Spiritus Dei – comune alle altre persone, comunicato come “qualità” o
“virtù” fisica alla natura umana di Gesù, per predisporla a compiere atti fisicamente divini».
Orbe, II, 182. Cfr. Ibid., I, 279-280; II, 180-183.
221
Orbe, II, 29.
222
E, 39.
223
AH, IV, 18,4-5. Cfr. AH, IV, 33,2. Sull’importanza di questo passo per la
comprensione della dottrina di Ireneo sull’Eucaristia e sulla polemica tra cattolici e
protestanti ad esso legata, vedi: AH, IV, 18,5 in Bellini-Mascihio, 615-616, n. 1. «La
consonancia de la salus carnis con la Eucaristía salta a la vista. La Eucaristía del Cuerpo y
Sangre de Cristo alimenta nuestro cuerpo y sangre y los dispone para la Vida eterna. En
virtud del Espíritu que pasa del Cuerpo y Sangre de Cristo – en la Eucaristía – a nuestro
cuerpo y sangre, asegura Cristo la salus carnis. La eficacia de la Eucaristía pasa de Carne a
carne, de Sangre a sangre. Merced a la acción, no de solos Cuerpo y Sangre, sino del
Espíritu de que son vehículo el Cuerpo y Sangre de Cristo en la eucaristía, confirma ésta la
vida eterna de los predestinados». Teología, IV, 256. Cfr. Ibid., 256-258.
142 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
Negli scritti di Ireneo non manca il del tema sulla Risurrezione, sia nei
riferimenti alle profezie dell’Antico Testamento sulla risurrezione di Cristo
sia nei rimandi ai testi neotestamentari224. La logica di Ireneo è semplice:
alla morte di Gesù secundum carnem segue la sua risurrezione pure nella
carne. «Ireneo coglie nella risurrezione di Cristo, fondamentalmente, il
rivestimento da parte della sua sarx [σαρξ], sostanza corruttibile e mortale,
dall’athanasía [αθανασία] e incorruttibilità dello Spirito di Dio (Padre)»225.
Nella risurrezione di Cristo – prefigurato e sintetizzato nel «segno di Giona»
– si realizza l’economia della salus carnis come trionfo «nella carne»
dell’Uomo-Carne sul nemico e sulla morte:
Allo stesso modo [come nel caso di Giona], fin dall’inizio, Dio permise che
l’uomo fosse inghiottito dal grande mostro, che fu autore della trasgressione, non
perché, inghiottito, perisse totalmente, ma perché preparava in antecedenza
l’acquisto della salvezza, che sarebbe stata effettuata dal Verbo mediante il
segno di Giona (cfr. Mt 12,39-40) per coloro che avrebbero avuto gli stessi
sentimenti di Giona nei confronti di Dio, l’avrebbero confessato ed avrebbero
detto: «Io sono il servo del Signore ed onoro il Signore Dio del cielo che ha
creato il mare e la terra ferma (Gn 1,9)»; perché dunque l’uomo, ricevendo da
Dio una salvezza insperata, risorgesse dai morti e glorificasse Dio, e dicesse la
parola che fu profetata da Giona: «Ho gridato al Signore mio Dio nella mia
tribolazione ed egli mi ha esaudito dal ventre dell’inferno» (Gn 2,2), e rimanesse
sempre costante a glorificare Dio e a ringraziarlo continuamente per la salvezza
ricevuta da lui, «affinché nessuna carne possa gloriarsi al cospetto di Dio»
(1Cor 1,29), né mai l’uomo accolga su Dio un pensiero contrario, considerando
come sua propria per natura l’incorruttibilità, di cui è rivestito, senza esaltarsi in
un vano orgoglio, come se fosse simile a Dio per natura (cfr. Gen 3,5), abban-
donando la verità. Questo infatti lo rendeva piuttosto ingrato verso Colui che lo
aveva creato ed offuscava l’amore che Dio aveva verso l’uomo ed accecava il
suo pensiero, inducendolo a pensare ciò che non è degno di Dio, spingendolo a
paragonarsi e considerarsi uguale a Dio226.
Come fu prefigurato in Giona, così succederà con il Signore che ha
«osservato la legge dei morti per divenire il Primogenito dai morti (cfr. Col
1,18)» e «ha dimorato fino al terzo giorno nelle regioni inferiori della terra
(cfr. Ef 4,9)» per risuscitare «nella carne»227. Cristo è dunque il
«Primogenito dei morti» e la sua risurrezione «nella carne», che implica la
risurrezione dell’anima, produce i frutti di salvezza per i «suoi discepoli»
perché anche loro, come il Signore, risusciteranno «integralmente»:
—————————–
224
Cfr. E 72; 73; AH, III, 5,1; 12,1-2; 16,5; 20,1; IV, 5,2; 33,13; V, 31,1-2; Orbe II,
412-431.
225
Orbe, II, 415.
226
AH, III, 20,1 [corsivo nostro]. Le parole in corsivo di questa citazione ci rivelano la
dottrina paolina nascosta negli scritti di Ireneo sul tema del fine ultimo dell’uomo e
l’assoluta gratuità della salvezza. Cfr. Ez, 33,11; Rm 3,23; AH, IV, 20,7; Teología, IV, 296-
301; A. ORBE, «Gloria Dei vivens homo», 205-268.
227
AH, V, 31,2. Cfr. Teología, III, 320-322.
DOTTRINA IRENEIANA 143
Poiché il Signore “se n’è andato in mezzo all’ombra della morte” (Sal 22,4),
dove erano le anime dei morti, poi è risorto corporalmente e dopo la risurrezione
è stato elevato al cielo, è chiaro che anche le anime dei suoi discepoli, per i quali
il Signore ha fatto queste cose, andranno nella regione invisibile, assegnata loro
da Dio, e lì dimoreranno i loro corpi e risusciteranno integralmente, cioè corpo-
ralmente, come risuscitò il Signore, e così andranno al cospetto di Dio228.
Proprio attorno al tema della Risurrezione si riconosce il marchio lasciato
dalla teologia paolina sugli scritti ireneiani, soprattutto nei capitoli AH, V,
13,1 – 14,4 dove si sviluppano e culminano i temi sulla salvezza della carne
attraverso la risurrezione di Cristo, prefigurata nelle guarigioni compiute da
Gesù, cioè «attraverso le cose temporanee»229. Ireneo insiste sulla realtà
della carne e del sangue di Gesù contro gli gnostici che, richiamandosi erro-
neamente alla dottrina paolina sulla «carne e sangue che non possono
ereditare il regno di Dio», negavano la salvezza della carne230. La sua
visione, del tutto «paolina», distingue le «opere della carne» dalla realtà
della carne – la realtà mortale e corruttibile che deve «rivestirsi d’incor-
ruttibilità e immortalità» (1Cor 15,53)231. Tutto questo si realizza attraverso
Cristo – «risuscitato dai morti, primizia di quelli che si sono addormentati»
(cfr. 1Cor 15,13-21)232 – nel quale è risorta anche la nostra carne233:
Ecco la prova che Paolo non ha parlato contro la sostanza della carne e del
sangue, quando diceva che essa non eredita il regno di Dio (cfr. 1Cor 15,50):
sempre l’Apostolo a proposito del nostro Signore Gesù Cristo usa i termini carne
e sangue. Da una parte egli mette in luce la sua umanità – e infatti egli stesso si
denominava Figlio dell’uomo –, dall’altra afferma energicamente la salvezza
della nostra carne – perché se la carne non avesse dovuto essere salvata, il Verbo
di Dio non si sarebbe fatto carne (cfr. Gv 1,14), e se il sangue dei giusti non
avesse dovuto essere vendicato, il Signore non avrebbe avuto il sangue234.
—————————–
228
AH, V, 31,2 [corsivo nostro]. La dottrina comune a Giustino, Ireneo e Tertulliano
afferma che «i giusti dopo la morte non vanno direttamente alla presenza del Signore». Cfr.
L.F. LADARIA, «Destino dell’uomo e fine dei tempi», 374. Ireneo attribuisce l’immortalità
dell’anima alla volontà di Dio e non alla natura. Cfr. AH, II, 34,1-4; L.F. LADARIA,
«Destino dell’uomo e fine dei tempi», 370. «Per Ireneo di per sé è redimibile unicamente
l’uomo che peccò in Adamo, il plasma, modellato a immagine e somiglianza del Creatore
e, a completamento, l’anima infusa nel plasma. Cristo, pertanto, viene a redimere il corpo
del protoplasto e con esso, a modo di complemento, anche l’anima». Orbe, II, 347. Cfr. cap.
II, par. 1.3 di questo lavoro.
229
Cfr. AH, V, 13,1.
230
Cfr. 1Cor 15,50; AH, V, 13,2-3; 14,1; Teología, I, 401-461.
231
Cfr. AH, V, 13,3; Teología, I, 499-521.
232
Cfr. AH, V, 13,4.
233
Cfr. Teología, I, 323-359.
234
AH, V, 14,1. Il forte realismo di Ireneo nel considerare la realtà della «carne e sangue
di Cristo» e la realtà della «nostra carne», che viene salvata attraverso i misteri
dell’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo, ci fa capire l’insistenza di de Lubac nel
parlare dell’«uomo reale» – l’unico uomo creato e destinato al suo unico fine ultimo che è
la salvezza, cioè la vita in comunione con Dio. Dunque, c’è un unico e vero Cristo che
salva, e c’è un unico e vero uomo che viene salvato.
144 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
coloro che erano sottomesi alla «schiavitù della Legge» – i giudei (cfr. Rm
2,1-24; 3,9-19)242, che a coloro che a causa della loro ignoranza di Dio
erano sottomessi alla schiavitù delle «divinità di questo mondo» – i pagani
(cfr. Gal 4,8-9; Rm 1,18-32; 1Cor 6,9-10), dunque a tutti, viene offerta
l’adozione filiale in Cristo.
Ispirandosi ai testi Paolini243, Ireneo spesso e in vari modi afferma che «il
Primogenito dei morti» (cfr. Col 1,18) che è «il Primogenito di tutta la
creazione» (cfr. Col 1,15) – il Figlio di Dio – «divenne Figlio dell’uomo,
affinché attraverso di lui riceviamo l’adozione»244. Però, mentre spesso e in
forme sinonimi Ireneo ripete il concetto di «adozione», non lo lega stret-
tamente a «coloro che erano sotto la Legge» per non limitare la redenzione
di Cristo soltanto al «popolo eletto»245. Cristo, «nato da una donna» è
dunque redentore di tutti i nati da donna, proprio secondo le promesse fatte
ad Abramo, alle quali si richiamano sia Paolo che Ireneo per affermare
l’universalismo della salvezza in Cristo246, senza, però, negare la libertà
dell’uomo:
Ma su quanti si separano da lui per loro libera decisione fa cadere la separazione
scelta da loro. Ora la separazione da Dio è la morte e la separazione dalla luce è
la tenebra e la separazione da Dio è la perdita di tutti i beni che provengono da
lui. Dunque quelli che hanno perso le cose dette prima, a causa della loro aposta-
sia, essendo rimasti privi di tutti i beni, sono immersi in ogni punizione, non
perché Dio prenda l’iniziativa di punirli, ma perché la punizione li segue in
quanto rimangono privi di tutti i beni247.
Mettendosi sempre nel solco dello spirito paolino, Ireneo distingue la
situazione di tutta l’umanità prima e dopo la venuta di Cristo per mezzo del
quale si compie la redenzione annunciata dai Profeti:
Isaia riafferma che coloro che servirono Dio saranno alla fine salvati in forza del
suo nome: “Coloro che mi hanno servito saranno chiamati con un nome nuovo,
che sarà benedetto sulla terra e benediranno il Vero Dio” (Is 65,15-16). Nuova-
mente Isaia annuncia che Egli stesso in persona renderà operante questa
benedizione: “Non un inviato, non un angelo, ma il Signore stesso ha dato loro
—————————–
242
Anche Ireneo, come Paolo, è «severo» nel giudicare i giudei, soprattutto perché non
hanno «accolto il Verbo», e nello stesso tempo afferma anche lui la novità e l’universalismo
della salvezza dei pagani. Cfr. AH, IV, 18,4; 20,12; Teología, IV, 315.
243
«Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna,
nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo
l’adozione a figli» (Gal 4,4-5).
244
Cfr. AH, III, 16,3.
245
L’eccezione potrebbe essere soltanto AH, IV, 11,1. Cfr. Orbe, II, 332-333; Teología,
IV, 141.
246
Cfr. Gal 3,14; AH, V, 32,2; 34,3.
247
AH, V, 27,2. Cfr. AH, IV, 37,2; 39,1; V, 16,3–17,1; Teología, III, 138-144; IV, 505.
L’uomo rimane libero di scegliere tra le «opere della carne» e le «opere dello spirito»
insieme alle loro conseguenze di morte e di vita. Cfr. Gal 3,3; 4,29; 5,19-21; Rm 8,4-9.13;
AH, V, 11,1; 12,2; 27,2.
146 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
senza fare un paragone, perché il suo apostata non fosse paragonato al Signore.
Infatti, non soltanto costui, ma nessuna delle cose che sono state fondate e gli
sono soggette, sarà paragonata al Verbo di Dio, per mezzo del quale sono state
create tutte le cose (cfr. Gv 1,3): Egli che è il Signore nostro Gesù Cristo254.
Basandosi sulla semplice e chiara logica biblica, Ireneo afferma la
supremazia del Creatore sulla creatura ribelle e il carattere relativo e
temporaneo del significato «forte» applicato al diavolo a proposito dello
stato di «schiavitù» di tutta l’umanità. La venuta di Cristo è dunque la
risposta redentrice allo stato della schiavitù dell’uomo ed è presentata in
modo sintetico in un capitolo del terzo libro dell’Adversus haereses che
osiamo riportare per intero perché ci offre il nucleo della teoria della
ricapitolazione propostaci da Ireneo255:
Era dunque necessario che il Signore, venendo dalla pecora perduta (cfr. Mt
18,12-24; Lc 15,4-7), facendo la ricapitolazione di una così grande economia e
cercando la sua creatura, salvasse quello stesso uomo (cfr. Lc 19,10), che era
stato fatto a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26), cioè Adamo, quando
avesse compiuto i tempi della condanna, che gli era stata inflitta per la
disobbedienza – tempi «che il Padre aveva stabilito nel suo potere» (At 1,7),
poiché tutta l’economia di salvezza che riguardava l’uomo si svolgeva secondo il
beneplacito del Padre (cfr. Ef 1,5.9) – affinché Dio non fosse vinto e la sua arte
non risultasse impotente. Infatti, se l’uomo che era stato creato da Dio per
vivere, dopo essere stato danneggiato dal serpente che l’aveva corrotto, avesse
perso la vita e quindi non avesse potuto ritornare alla vita ma fosse stato
abbandonato definitivamente alla morte, Dio sarebbe stato vinto e la nequizia del
serpente avrebbe prevalso sulla volontà di Dio. Ma siccome Dio è invitto e
magnanimo, si mostrò magnanimo affinché l’uomo fosse punito e provasse tutte
le situazioni, come abbiamo detto prima, poi mediante il «secondo uomo» (1Cor
15,47) ha legato il «forte» e gli ha portato via i vasi (cfr. Mt 12,29; Mc 3,27) ed
ha annientato la morte (cfr. 2Tim 1,10), vivificando l’uomo che era stato ucciso.
Ora il primo vaso che era divenuto suo possesso era stato Adamo, che teneva in
suo potere, per averlo spinto ingiustamente alla trasgressione ed avergli dato la
morte con il pretesto dell’immortalità. Infatti, promettendo loro che sarebbero
divenuti come dèi (cfr. Gen 3,5), cosa che non era affatto in suo potere, dette
loro la morte. Perciò giustamente fu fatto prigioniero a sua volta da Dio colui
che aveva fatto prigioniero l’uomo, mentre fu liberato dai vincoli della condanna
l’uomo che era stato fatto prigioniero256.
Nel testo citato, menzionando il compimento dei «tempi di condanna»257,
Ireneo ribadisce la novità di Cristo nella quale si realizza l’economia della
—————————–
254
AH, III, 8,2 [corsivo nostro]. Cfr. AH, V, 21,1; Teología, II, 346-347.
255
«Benché l’espressione [“ricapitolazione”] provenga da Ef 1,10, il pensiero di Ireneo
ha un vasto fondamento biblico». Redenzione, III, 6 (EV, 14, 1902). Ireneo, infatti, adopera
e sviluppa il modello paolino antitetico di «anti-tipo e tipo» – Cristo e Adamo. Cfr. Cfr. Rm
5,18-19; 1Cor 15,21–22.44b-49; AH, V, 16,3; 17,1; 21,1; Fitzmyer, 157; cap. II, parr. 1.1 e
2.1.1 di questo lavoro.
256
AH, III, 23,1 [corsivo nostro]; cfr. AH, V, 21,1; Teología, II, 346-347.
257
Cfr. At 1,6-7; Rm 5,6; AH, III, 16,9, 23,1.
148 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
258
Cfr. AH, III, 23,2; Orbe, II, 350-356.
259
Il termine latino è «rationabiliter»: «sanguine suo rationabiliter redimens nos (cfr.
Col 1,14)». «Nell’interpretare questa parola occorre tener presente il corrispondente greco,
che assai probabilmente è λογικως, che può significare “secondo la ragione umana” o
“secondo il Logos divino”. Qui ha il secondo significato sia perché si riferisce al “Verbo
potente e uomo vero” che “riscatta con il suo sangue”, sia perché si contrappone l’opera
dell’Apostasia (cioè di Satana che riduce l’uomo in schiavitù “con violenza”) all’opera del
Verbo (che riscatta “con la persuasione”)». Cfr. AH, V, 1,1 in Bellini-Maschio, 622-623, n.
3, e la spiegazione dettagliata di A. Rousseau in SC 152, 199-201. Dunque, «Cristo è Verbo
potente in tutto e vero uomo (Verbum potens et homo verus) che intelligibilmente
(rationabiliter) ci ha redento mediante il suo sangue, donando se stesso come riscatto
(redemptionem) per noi. Secondo Ireneo, la redenzione fu realizzata in un modo che
l’essere umano era in grado di comprendere (rationabiliter): il Verbo, che è onnipotente, è
anche perfetto nella giustizia». Redenzione, III, 5 (EV, 14, 1901).
260
AH, V, 1,1 [corsivo nostro]. Cfr. Teología, I, 52-81.
261
Cfr. AH, III, 22,1; V, 2,2; 14,1.
262
Cfr. AH, IV, 5,4. «Finalidad a que se ordena el sacrificio: “para redención del
hombre” (“in nostram redemptionem”)». Teología, IV, 42.
DOTTRINA IRENEIANA 149
Se dunque il Signore ci ha riscattati con il suo proprio sangue (cfr. Col 1,14), se
ha dato la sua anima per la nostra anima e la sua carne per la nostra carne, se ha
effuso lo Spirito del Padre per operare l’unione di Dio e degli uomini, facendo
discendere Dio negli uomini mediante lo Spirito e facendo salire l’uomo fino a
Dio mediante la sua propria Incarnazione; se certamente e veramente nella sua
venuta ci ha donato l’incorruttibilità mediante la comunione con lui, tutti gli
insegnamenti degli eretici vengono meno270.
Lo Spirito Santo – la «seconda Mano di Dio» e la «Somiglianza di Dio»
rispetto alla quale l’uomo è stato creato – insieme con il Verbo –
«l’Immagine di Dio» – ha un ruolo costitutivo nella creazione dell’uomo271,
ha dunque, insieme con il Verbo, un ruolo insostituibile anche nella vita
dell’uomo in comunione con Dio, sia «adesso» sia «nella gloria futura»272.
Cercheremo di presentare quest’aspetto della salvezza nel passo seguente di
questo lavoro che abbiamo dedicato al tema della «divinizzazione»273.
2.3 «Divinizzazione»
Prendendo in considerazione la teoria, appena presentata, di Ireneo sulla
«ricapitolazione», si può constatare che alcuni elementi, quali il suo
realismo e l’uso del concetto paolino di «adozione filiale»274, la distinzione
ireneiana fra «immagine» e «somiglianza»275 e la tesi dello «scambio»276, ci
permettono di introdurre il concetto di «divinizzazione», individuando in
esso il punto chiave, o almeno, un aspetto essenziale della dottrina ireneiana
sulla salvezza. Infatti, l’enfasi ireneiana posta sull’importanza dell’Incar-
nazione come presupposto dell’«adozione filiale» e dell’«incorporazione a
Cristo» mediante il battesimo e l’Eucaristia, insieme alla tesi dello
«scambio» – tutti questi concetti di provenienza paolina –, presentano un
—————————–
270
AH, V, 1,1 [corsivo nostro]. Cfr. Teología, I, 52-81. «Nel redimerci con il suo
sangue, Cristo ha inaugurato un nuovo stadio nella storia della salvezza, effondendo lo
Spirito del Padre affinché Dio e l’umanità possano essere uniti e in armonia. Mediante la
sua Incarnazione, egli ha garantito all’umanità, in maniera certa e reale, l’incorruttibilità
(cfr. AH, V, 1,1). Il Redentore e la redenzione sono inseparabili, perché la redenzione non è
altro che l’unità dei redenti con il Redentore (cfr. AH, V, pref.). Proprio la presenza reale
del Logos divino nell’umanità ha un effetto risanatore ed elevante sulla natura umana in
genere». Redenzione, III, 5 (EV, 14, 1901).
271
Cfr. cap. II, par. 1.1 di questo lavoro.
272
Cfr. 1 Cor 13,9.12; Rm 2,7; 3,23, 5,2.
273
«Per la ricapitolazione dell’immagine e della somiglianza di Dio devono essere
presenti sia il Verbum sia lo Spiritus. Il primo Adamo prefigura il Verbo incarnato, in vista
del quale il Verbum e lo Spiritus hanno formato il primo uomo, ma egli rimase in una
condizione infantile perché lo Spirito, che dona crescita, lo abbandonò». Redenzione, III, 6
(EV, 14, 1902).
274
Cfr. AH, V, 10,2; 18,2; 32,2.
275
Cfr. cap. II, par. 1.1 di questo lavoro; Antropología, 118-148; L.F. LADARIA,
«L’uomo creato a immagine di Dio», 87-88.
276
Cfr. AH, III, 19,1; V, pref.; 36,3; L.F. LADARIA, «Destino dell’uomo e fine dei
tempi», 371.
DOTTRINA IRENEIANA 151
—————————–
277
L’approccio «realistico» è caratteristico soprattutto della tradizione teologica
alessandrina, mentre in quella dei Padri Capadocci l’approccio sembra più «etico», con
l’accento posto sull’ascesa dell’anima verso Dio. Cfr. N. RUSSELL, The Doctrine of
Deification in the Greek Patristic Tradition, 9.11-14.105-108. «By the fourth century all
four approaches [nominal, analogical, ethical and realistic] are well developed, with the
realistic, expressed in the language of participation and relating to the sacraments of
baptism and the Eucharist, an the ethical, expressed in the language of imitation and
relating to the ascetic and contemplative life, predominating». Ibid., 9. Cfr. Ibid., 1-2.
278
Cfr. Gross, 130-131.
279
«Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? (1Cor
3,16)». Cfr. AH, V, 6,1-2.
280
AH, V, 16,2 [corsivo nostro]. Cfr. AH, IV, 38,3-4; 39,1; Gross, 123-124.130-131.
«La somiglianza donata dallo Spirito Santo introduce il periodo nuovo e finale
dell’oeconomia, che venne completato con la risurrezione, quando tutta la stirpe umana
ricevette la forma del nuovo Adamo (cfr. AH, I, 2,1; III, 17,6). L’aspetto pneumatico
dell’anakephalaiosis è importante perché il possesso duraturo della vita è possibile solo
attraverso lo Spirito (cfr. AH, V, 7,2). Anche se l’Incarnazione riassume il passato,
compendiandolo nella ricapitolazione, essa in un certo senso porta il passato verso un
termine. Infatti l’effusione dello Spirito Santo, che è stata inaugurata dalla risurrezione,
guida la storia verso l’eschaton e rende l’anakephalaiosis davvero universale». Redenzione,
III, 6 (EV, 14, 1902).
152 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
della grazia per la nostra salvezza insieme alla nostra libertà: «Esprime [Sal
82,6-7290] l’una e l’altra cosa: da una parte la generosità del suo dono e
dall’altra la nostra debolezza e la nostra libertà»291. Questa libertà include
l’esercizio della scelta morale292. La distinzione ireneiana fra «immagine» e
«somiglianza» indica dunque uno stato di tensione nel quale l’uomo esercita
la sua libertà tramite l’obbedienza alla volontà di Dio mediante la quale
riottiene la vita e la libertà dei figli di Dio293.
Abbiamo già menzionato come la visione antropologica di Ireneo,
conforme all’antropologia paolina, abbia un carattere marcatamente
trinitario. Il vescovo lionese, infatti, considera l’uomo è trinitariamente e
cristologicamente determinato fin dal momento della sua creazione294.
Tramite i misteri dell’Incarnazione e della Risurrezione l’uomo è incluso nel
progetto della salvezza, perché Cristo Mediatore295 da una parte ricapitola
l’uomo realizzando nella sua stessa persona quello che Adamo e i suoi
discendenti non erano capaci di realizzare, e dall’altra parte apre all’uomo
l’accesso alla vita divina. Cristo dunque «accomoda» Dio all’uomo e rende
l’uomo capace di «ricevere Dio»296.
Questa logica dello «scambio», proveniente dalla dottrina paolina, indica
lo scambio delle proprietà: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro
Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste
ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9; cfr. Fil 2,6-8)297. Quello che
appartiene a Cristo per natura, l’uomo lo ottiene per adozione298.
La partecipazione alla figliolanza adottiva si realizza mediante
l’incorporazione a Cristo attraverso il battesimo299 e l’Eucaristia300. Infatti,
mediante il battesimo, l’uomo diventa «dimora di Dio»301, riottenendo così
la somiglianza di Dio, la libertà dei figli di Dio e la comunione con Dio
—————————–
Patristic Tradition, 105, n. 42. Nel cap. II, sez. 1. del nostro lavoro, soprattutto nel par. 1.1
sulla creazione dell’uomo, abbiamo fatto più volte riferimento a questi passi dell’AH. Cfr.
anche Teología, IV, 515-517.
290
«Io ho detto: “Voi siete dèi, siete tutti figli dell’Altissimo”. Eppure morirete come
ogni uomo, cadrete come i potenti (Sal 82,6-7)».
291
AH, IV, 38,4.
292
Cfr. Gal 3,3; 4,29; 5,19-21; Rm 8,4–9.13; AH, V, 11,1; 12,2; 27,2.
293
Cfr. AH, V, 6,1; 11,2; 16,2; E, 11.
294
Cfr. cap. II, parr. 1.1, 2.1.2, 2.1.3 di questo lavoro.
295
Cfr. 1Tim 2,5; AH, V, 17,1. Cfr. Teología, II, 135-146.
296
Cfr. AH, III, 18,1.7; 20,2; IV, 28,2. «In these passages we see a physical or mystical
conception of deification beginning to emerge for the first time. According to this theory,
which springs from the Johannine idea of the Logos as the principle of life, human nature is
immortalized and thus divinized by the very fact of the intimate contact that the incarnation
establishes between it and the divine nature of the Word». Gross, 125.
297
Cfr. AH, III, 19,1; V, pref.; 36,3.
298
Cfr. AH, III, 19,1; 2Cor 8,9; Fil 2,6-8.
299
Cfr. AH, III, 17,2; V, 15,3; 32,2; E, 3.7.17.41.
300
Cfr. AH, IV, 18,4-5; 33,2.
301
Cfr. AH, III, 19,1; 20,2.
154 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
dissolvimento nella terra affinché, educati in ogni modo, siamo attenti per il
futuro in tutte le cose, senza ignorare né Dio né noi stessi?»311.
La partecipazione dell’uomo alla vita della Trinità comincia già in questa
vita nella quale l’uomo diventa «spirituale», cioè diventa partecipe della vita
dello Spirito. La «veste di santità» che Adamo ha «ricevuto dallo Spirito» lo
rende «perfetto», ma non nel senso assoluto312. «L’uomo creato e plasmato
diviene ad immagine e somiglianza di Dio increato […], e l’uomo a poco a
poco progredisce e si eleva alla perfezione, cioè si avvicina all’Increato;
perché solo l’Increato è perfetto, e questo è Dio»313.
Infatti, lo Spirito Santo come «caparra della nostra eredità» (Ef 1,14) è
sempre operante per la nostra salvezza314 insieme allo «Spirito di Dio» che è
«dýnamis [δύναμις] del Figlio»: «Dunque, in Lui [Figlio] discese lo Spirito
di Dio – lo Spirito di Colui che per mezzo dei profeti aveva promesso di
consacrarlo – affinché noi, partecipando dell’abbondanza di quella
consacrazione, fossimo salvati»315. In continuità con la dottrina di Paolo
sulla risurrezione (1Cor 15), e sulla base della sua considerazione dello
Spirito Santo come principio costitutivo della filiazione in Cristo e sorgente
viva della vita nuova dei figli di Dio (cfr. Rm 8,14-17; Ef 1,10-14), Ireneo
parla dei corpi che risorgono «per mezzo dello Spirito» e diventano «corpi
spirituali per possedere, per mezzo dello Spirito, la vita che dura sempre»316.
Nel frattempo, però, l’uomo si trova in tensione fra il presente e il futuro,
perché «ora riceviamo solo una parte del suo Spirito», ed è questa parte che
«l’Apostolo definisce pegno, cioè parte di quell’onore che ci è stato
promesso da Dio»317.
Il carattere progressivo della salvezza include anche l’esercizio della
libertà e l’accostamento alle «opere dello Spirito»318. Così Ireneo richiama
ripetutamente la dottrina dell’Apostolo che
presenta le azioni spirituali che vivificano l’uomo, cioè l’innesto dello Spirito,
dicendo: «Invece frutto dello Spirito sono la carità, la gioia, la pace, la pazienza,
la benevolenza, la bontà, la fedeltà, la dolcezza, la temperanza, la castità: contro
queste cose non c’è legge” (Gal 5,22-23)». Come dunque colui che progredirà
verso il meglio e produrrà il frutto dello Spirito sarà salvato in ogni modo grazie
—————————–
311
AH, V, 2,3.
312
Cfr. AH, III, 23,5.
313
AH, IV, 38,3. Cfr. M. AUBINEAU, «Incorruptibilité et divinisation selon saint Irénée»,
42-43; Teología, IV, 517.
314
Cfr. AH, IV, 20,4.6; V, 6,1; 7,2; 9,1-4; 12,2.
315
Ireneo commentando il Vangelo di Matteo, in AH, III, 9,3. Cfr. AH, V, 8,1-2; Orbe,
I, 279-280; Orbe, II, 180-183; cap. II, par. 1.1 di questo lavoro.
316
Cfr. IV, 20,7; V, 7,2;
317
Cfr. Ef, 1,13-14; AH, V, 8,1. «Ireneo vuol dire che ora possediamo solo una parte di
ciò che deriva dallo Spirito, cioè la caparra, che viene contrapposta alla universa Spiritus
gratia (la grazia intera dello Spirito) che sarà data poi». AH, V, 8,1 in Bellini-Maschio,
626-627, n. 1.
318
Cfr. AH, V, 12,1-2.
156 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
alla comunione dello Spirito, così colui che rimarrà nelle opere della carne […],
sarà considerato veramente carnale, perché non riceve lo Spirito di Dio, e non
potrà ereditare il regno dei cieli319.
Il realismo ireneiano legato alla salvezza dell’uomo, che si compie
mediante i misteri di Cristo – Incarnazione e Risurrezione –, esclude dunque
una certa passività da parte dell’uomo. Mediante l’incorporazione a Cristo,
attraverso il battesimo e l’Eucaristia e attraverso l’adesione alle «opere dello
Spirito», l’uomo diventa partecipe della vita divina, cioè dell’incorruttibilità
e dell’immortalità320, progredendo nella visione di Dio321, a differenza di
coloro che si separano da Dio «per loro libera decisione», perché «la sepa-
razione da Dio è la morte e la separazione dalla luce è la tenebra e la separa-
zione da Dio è la perdita di tutti i beni che provengono da lui»322. In questo
senso, nell’ultimo libro dell’Adversus Haereses, richiamandosi sempre alla
dottrina paolina e servendosi della parabola dell’oleastro «innestato su un
olivo domestico», Ireneo parla della «trasformazione in meglio»:
l’uomo che è stato innestato mediante la fede ed ha ricevuto lo Spirito di Dio,
non perde la sostanza della carne, ma cambia la qualità del frutto delle sue opere
e prende un altro nome, che indica il suo cambiamento in meglio: egli non è più
e non viene più chiamato carne e sangue, ma uomo spirituale. E viceversa […],
l’uomo che non ha ricevuto l’innesto dello Spirito mediante la fede, rimane ciò
che era prima, carne e sangue, e non può ereditare il regno di Dio323.
Ricordiamo che Ireneo intende sempre l’uomo come «uomo-carne»,
mortale e corruttibile, che deve rivestirsi d’incorruttibilità e d’immortalità
(cfr. 1Cor 15,53-55), che il Signore Gesù trasfigurerà per renderlo
«conforme al corpo della sua gloria» (cfr. Fil 3,20-21), ribadendo sempre
che questa trasformazione/trasfigurazione non deriva dalla propria sostanza
della carne, ma «dall’azione del Signore, che può procurare l’immortalità a
ciò che è mortale e l’incorruttibilità a ciò che è corruttibile»324. Solo
nell’ultima tappa del dono salvifico, l’uomo partecipa alla vita di Cristo
risorto, poiché completamente posseduto dallo Spirito, e poiché «deificato
tutto intero» diventa partecipe della vita divina325. «Questa vita si riferisce
—————————–
319
AH, V, 11,1.
320
Cfr. AH, III, 19,1; IV, 18,5; V, 2,3; 13,3.
321
Cfr. AH, IV, 20,5.7.
322
Non è dunque Dio che prende l’iniziativa di punire l’uomo, ma l’uomo stesso, per la
sua libera decisione, rimane privo di tutti i beni. Cfr. AH, V, 27,2.
323
AH, V, 10,2. Cfr. AH, V, 10,1; 16,1. La parola latina transmutatio viene tradotta in
francese come transformation, mentre la versione Bellini-Maschio usa la parola
cambiamento. Cfr. SC 153, 128-129.
324
Cfr. AH, V, 13,3.
325
Cfr. AH, V, 9,2; L.F. LADARIA, «Destino dell’uomo e fine dei tempi», 373; A. ORBE,
«Gloria Dei vivens homo», 264-268; cap. II, par. 1.3 di questo lavoro.
DOTTRINA IRENEIANA 157
all’uomo risorto tutto intero e, in modo del tutto speciale, alla sua
corporeità. È la carne che è deificata, l’uomo vede Dio nella sua carne»326.
La «divinizzazione» dell’uomo si riferisce dunque alla salvezza della
carne, cioè alla risurrezione e alla visione divina «nella carne»327, definita
nei termini di una «novità cristiana». Tale visione rimane sempre un puro
dono di Dio perché è stata resa possibile grazie alla filiazione adottiva e non
attraverso le facoltà naturali dell’uomo:
Queste parole [1Cor 15,53-55], infatti, saranno dette giustamente allorquando
questa carne mortale e corruttibile, che ha a che fare con la morte, che appunto è
dominata dalla morte, ritornerà alla vita e si rivestirà di incorruttibilità e di
immortalità. Infatti, la morte sarà veramente vinta allorquando la carne, tenuta
schiava da lei, uscirà dal suo potere. […] Qual è dunque il corpo dell’abiezione,
che il Signore trasfigurerà rendendolo conforme al corpo della sua gloria?
Evidentemente il corpo che è carne, la quale è umiliata cadendo nella terra. Ora
la sua trasfigurazione, poiché essa che è mortale e corruttibile diviene immortale
e incorruttibile, non deriva dalla sua propria sostanza ma dall’azione del
Signore, che può procurare l’immortalità a ciò che è mortale e l’incorruttibilità a
ciò che è corruttibile328.
Ponendo l’accento sulla grazia di Dio nel processo della «divinizzazione»
dell’uomo – «Perché la vita non deriva né da noi né dalla nostra natura, ma
è data secondo la grazia di Dio»329 –, Ireneo fa una chiara distinzione tra
natura e grazia, senza però insistervi troppo, ma indicando piuttosto, insieme
ai Padri Greci, la continuità esistente tra questi due ordini330. Distinguendo
inoltre il dono dello Spirito nell’uomo – inteso come «l’immagine e la
scritta del Padre e del Figlio (cfr. Mt 22,20; Mc 12,16; Lc 20,24)»331 o come
«la veste di santità»332 –, dallo stesso Spirito Santo che vivifica l’uomo-
carne rendendolo capace di «acquistare la qualità dello Spirito» e divenire
così «conforme al Verbo di Dio»333, e dallo stesso Verbo di Dio che rende
—————————–
326
Cfr. L.F. LADARIA, «Destino dell’uomo e fine dei tempi», 373.
327
Cfr. cap. II, parr. 2.1.1 e 2.2.1 di questo lavoro.
328
AH, V, 13,3 [corsivo nostro]. Cfr. AH, II, 34,3-4; Gross, 128, n. 49. «Ainsi donc,
l’immortalité qui déifie restera toujours un don divin et ne deviendra jamais une
incorruptibilité par nature comme celle de Dieu». I. DALMAIS – G. BARDY, «Divinisation»,
1377.
329
AH, II, 34,3. Cfr. AH, II, 34,3-4; V, 13,3. «L’incorruptibilité étant […] une propriété
divine, Irénée estime que sa communication à l’homme requérait l’Incarnation». I.
DALMAIS – G. BARDY, «Divinisation», 1377. L’Incarnazione è dunque la grazia più grande
per la nostra salvezza. Cfr. AH, III, 18,7; 19,1; IV, 33,4.
330
Cfr. Gross, 128, n.49, dove si commenta all’AH, II, 34,3-4 in riferimento al pensiero
di Congar.
331
AH, III, 17,3.
332
Cfr. AH, III, 23,5.
333
Cfr. AH, V, 9,3.
158 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
3. Sintesi
Cercando di fare una breve sintesi del tema della soteriologia ireneiana,
prendiamo come nostro punto di partenza le due semplici domande con le
quali Ireneo si distingue dai suoi avversari: «Chi è l’uomo?» e «Come
quest’uomo viene salvato?». Consapevoli dei limiti del nostro lavoro, come
anche dell’esposizione della dottrina ireneiana di cui abbiamo trattato nelle
sezioni precedenti, sappiamo di non poter abbracciare, in questa sintesi, tutti
—————————–
334
Cfr. AH, V, 16,3.
335
«These images of an inscription and of a masterpiece produced in us, along with that
of the “robe of holiness”, strongly suggest that our doctor has caught a glimpse within the
Christian of the presence of a “spirit of the human being”. It is a spiritual gift, distinct from
the divine Spirit, but produced by Him and inseparable from Him, which elevates to a
superior mode of existence and activity, to the point of rendering the human being like the
divine persons, a gift that would essentially constitute the divine ὁμοίωσις of the rege-
nerated human being. Subsequent theology will not have any trouble in recognizing
habitual or sanctifying grace here». Gross, 129, dove si fa riferimento al De gratia di
Lange. Cfr. cap. II, par. 1.3 del nostro lavoro dove si parla della distinzione ireneiana fra
«lo spirito dell’uomo» e «lo Spirito di Dio», e anche AH, V, 6,1 in Bellini-Maschio, 625, n.
6; AH, II, 33,5 e V, 9,2 in Bellini-Maschio, 594 e SC 293, 341. Ricordiamo a proposito i già
menzionati commenti di de Lubac in MMC, 75.77.
336
Cfr. Orbe, II, 330; cap. II, par. 2.2 di questo lavoro.
337
Gross, 130. E anche Alfaro: «S. Ireneo non usa il termine “divinizzazione”, ma non
si può dubitare che conosca questo concetto». J. ALFARO, Cristologia e antropologia, 84, n.
94.
338
Cfr. Gross, 131; J. ALFARO, «Natura», 571. «Saint Irénée, en cette matière comme en
bien d’autres, apparaît comme le premier théologien qui ait pleinement maîtrisé l’ensemble
du donné traditionnel. […] Mais soucieux de rester fidèle au vocabulaire scripturaire et
défiant à l’égard d’expressions trop compromises, il demeure très sobre dans l’emploi du
vocabulaire de la divinisation et organise sa synthèse autour du thème d’image et
ressemblance. C’est là qu’on ira en chercher l’étude exhaustive». I. DALMAIS – G. BARDY,
«Divinisation», 1377.
DOTTRINA IRENEIANA 159
i temi particolari legati alla tematica della salvezza nei testi ireneiani.
Cercheremo, quindi, di sintetizzare la nostra esposizione tenendo conto del
tema centrale del nostro lavoro, vale a dire il concetto di salvezza cristiana
nella teologia di de Lubac in cui si possono riconoscere gli elementi della
dottrina ireneiana. Non cercheremo qui di individuare e di evidenziare i
paralleli esistenti tra le due dottrine dei nostri due autori perché ci
riserviamo di farlo nella sintesi conclusiva del nostro lavoro339.
Nelle pagine precedenti abbiamo spesso sottolineato quanto Ireneo si
sforzi di affermare l’unità dell’uomo e il suo essere ordinato alla salvezza
fin dal momento della sua creazione. Quest’uomo, situato in un processo di
educazione e di sviluppo, costantemente dipendente dall’unico Dio, creatore
e salvatore, progredisce sempre verso la pienezza340. Nella visione antro-
pologico-soteriologica di Ireneo, dal carattere marcatamente ottimista e
dinamico, l’incarnazione di Cristo rappresenta il culmine di tutta la storia
del mondo.
Ci sono due parole che ci sembrano particolarmente illuminanti nel
confronto con la duplice domanda sull’uomo e sulla sua salvezza da cui
siamo partiti per realizzare la nostra esposizione della dottrina ireneiana e
questa breve sintesi. Queste due parole sono: unità e gratuità. Sono due
parole in grado di sintetizzare le risposte date alle due domande in
questione. Attorno ad esse vorremmo articolare, nei paragrafi seguenti, la
nostra esposizione della dottrina ireneiana, cercando alla fine di elencare le
affermazioni più importanti di Ireneo riguardanti il tema del nostro lavoro
nella prospettiva della relativa dottrina di de Lubac.
—————————–
339
Cfr. Sintesi, sez. 1. di questo lavoro.
340
Cfr. AH, IV, 38,3.
341
Cfr. P. CODA, Teo-logia, 156.
342
Cfr. 1Tim 2,5; AH, IV, 34,1; V, 2,2; 17,1.
343
Cfr. AH, II, 26,1; III, 10,3; IV, 33,8.
160 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
344
«Noi invece [a differenza dagli gnostici] esporremo nel seguito dell’opera la causa
della differenza tra i Testamenti, la loro unità e la loro armonia». AH, III, 12,12. Ireneo si
riferisce alla sua esposizione nei libri IV e V dell’Adversus haereses.
345
Cfr. AH, IV, 33,7-8.
346
Cfr. AH, V, 36,3; cap. II, par. 1.1 di questo lavoro.
347
Cfr. AH, IV, 38,3.
348
Cfr. AH, III, 3,3; 6,1–15,3.
349
Cfr. AH, III, 23,1.
350
Cfr. AH, IV, 34,1.
351
Cfr. Ef 1,10; AH, V, 18,3; E, 6.
352
Cfr. AH, IV, 20,10; 38,3.
353
AH, IV, 6,7 [corsivo nostro]. Cfr. AH, IV, 9,3.
354
Cfr. AH, III, 18,7; V, 17,1.
355
Cfr. AH, III, 10,2; 20,1.
DOTTRINA IRENEIANA 161
L’offerta della salvezza vale dunque per tutti, perché Dio è «Signore di
tutti»356 e perché il Figlio di Dio manifestò «l’universalità della croce»
manifestando la «chiamata alla conoscenza del Padre di tutti gli uomini
dovunque dispersi (cfr. Is 11,12; Gv 11,52)»357. L’universalismo della sal-
vezza nel suo aspetto «spaziale» e «temporale» si realizza attraverso le
azioni dello Spirito Santo che già agli inizi «indicò le cose future per
preformarci e predisporci ad essere soggetti a Dio»358 e per mezzo del
Verbo di Dio che è «sempre presente al genere umano» e «parla dall’inizio
del Padre perché dall’inizio è col Padre» ugualmente attivo «all’inizio»
nella «plasmazione» dell’uomo e negli «ultimi tempi» come attore della sua
salvezza359. La salvezza in Cristo include gli uomini di tutte le generazioni
perché Egli è venuto «per tutti gli uomini che fin dall’inizio, secondo la loro
capacità e la loro epoca, hanno temuto e amato Dio, si sono comportati con
giustizia e santità verso il prossimo e hanno desiderato di vedere Cristo e di
udire la sua voce»360. D’altra parte, l’ottimismo ireneiano di matrice paolina,
legato all’universalità della salvezza nella novità di Cristo361 e alla «ricapi-
tolazione» in Cristo grazie alla quale si realizza la salvezza di Adamo, padre
del genere umano362, non esclude la possibilità della dannazione eterna per i
«trasgressori», attestata dallo stesso Signore, da tutta la Scrittura e
«dall’Apostolo»363.
L’offerta universale della salvezza in Cristo non esclude neanche la
necessità della Chiesa, nella quale si trovano i «luoghi» e la «regola» della
verità364. Nell’unica e vera Chiesa, fondata dagli Apostoli, l’insegnamento
apostolico continua a vivere immutato costituendo, sul principio dell’in-
interrotta successione apostolica, l’unica vera Tradizione della Chiesa come
garante della verità365. La verità è dunque accessibile nella Chiesa nella
quale il battezzato incorporato a Cristo può crescere nella fede e nell’amore
collaborando all’offerta universale di salvezza366.
La salvezza come vita di comunione con Dio si realizza dunque in
un’unica Chiesa, perché, come non c’è che un solo Dio Padre e un solo
Gesù Cristo, così non c’è che una sola Chiesa367. Essa è il compimento della
—————————–
356
Cfr. E, 8.
357
Cfr. E, 34.
358
AH, IV, 20,8.
359
Cfr. E, 45-46; AH, IV, 20,7; 22,2; V, 15,4; 28,4.
360
AH, IV, 22,2. Cfr. AH, IV, 8,1; 14,2; E, 16.
361
Cfr. AH, IV, 8,3; 11,3-4; 27,2-4; 34,4.
362
Cfr. AH, I, 28,1; III, 23,1-8.
363
Cfr. Mt, 25,41; AH, II, 28,7. Ricordiamo che Ireneo intende la morte eterna come
conseguenza della separazione da Dio per «libera decisione» dell’uomo. Cfr. AH, V, 27,2.
364
Cfr. AH, I, 10,1-2; introduzione al cap. II di questo lavoro.
365
Cfr. AH, III, pref; 1,1–5,3.
366
Cfr. E, 41.87.
367
Cfr. AH, III, 16,6.
162 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
regno del suo Figlio e poi offre, paternalmente, quei beni che occhio non vide e
orecchio non udì né salirono nel cuore dell’uomo (cfr. 1Cor 2,9). C’è, infatti, un
solo Figlio, che ha compiuto la volontà del Padre, ed una sola umanità, nella
quale si compiono i misteri di Dio378.
—————————–
378
AH, V, 36,3 [corsivo nostro]. Cfr. AH, V, 1,1.
379
AH, IV, 20,5.
380
Cfr. AH, IV, 14,1.
381
Cfr. F. VERNET, «Irénée (Saint)», 2488.
164 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
382
«Dunque il Signore stesso (cfr. Is 7,14) ci dette il segno della nostra salvezza,
l’Emmanuele nato dalla Vergine, perché era il Signore stesso colui che salvava coloro che
non potevano salvarsi da sé». AH, III, 20,3.
383
«Dunque senza lo Spirito di Dio la carne è morta, non ha la vita e non può ereditare
il regno di Dio». AH, V, 9,3. Cfr. AH, V, 7,1.
384
AH, III, 18,7.
385
Cfr. AH, III, 20,1.
386
AH, III, 23,1 [corsivo nostro].
387
Cfr. AH, V, 2,3.
388
Cfr. AH, V, 2,3.
389
AH, II, 34,3. Cfr. AH, III, 20,3; V, 13,3.
390
Lo Spirito Santo e il Verbo di Dio. Cfr. AH, V, 9,3; 16,3.
DOTTRINA IRENEIANA 165
3.3 Conclusione
Dall’esposizione svolta sui risvolti antropologico-soteriologici della
dottrina ireneiana possiamo trarre alcuni elementi essenziali che riguardano
il tema generale del nostro lavoro ed esporli nella forma di una breve
conclusione. Alla domanda sull’uomo, la dottrina di Ireneo ci offre una
risposta unitaria. L’uomo – «ireneiano», creato e plasmato ad Immagine e
Somiglianza di Dio403, unitamente «composto» di carne e anima, sulle quali
agisce l’efficacia del Pneuma [Πνεύμα] divino, è l’unico uomo che esista,
l’uomo reale, partecipe dell’unica «natura» umana creata dall’unico Dio
creatore. Quest’uomo, a causa della sua disobbedienza a Dio, per l’invidia e
per la seduzione del «malvagio»404, è diventato debitore nei confronti di
Dio, ha perso la sua libertà e la comunione della vita con Dio, ed è stato
sottomesso alla morte. Il soggetto del peccato è dunque la carne peccatrice
di Adamo, che può essere riconciliata con Dio soltanto mediante la Carne
salvatrice – unico Soggetto della salvezza405. Similmente, l’oggetto del
peccato – la disobbedienza dell’uomo-carne con la sua conseguente morte e
schiavitù – può essere annullato soltanto tramite l’oggetto della salvezza –
l’obbedienza dell’uomo-Carne divino.
La logica ireneiana d’ispirazione paolina, lega il mistero del peccato di
Adamo alla riconciliazione realizzata da Cristo, avvalendosi del concetto di
«ricapitolazione»: la realizzazione della salvezza si compie mediante i
misteri di Cristo – l’incarnazione e la risurrezione. Attraverso di essi l’uomo
ottiene l’adozione filiale, divenendo partecipe della vita divina e trasforman-
dosi in uomo «spirituale e perfetto», nel quale lo Spirito Santo, mediante
l’anima, si unisce alla «carne» rendendola conforme a Cristo406. Così, la
salvezza dell’uomo si realizza «in modo degno del Verbo» – rationabiliter,
e in modo più conveniente all’uomo – secundum suadelam407. A quest’-
ultimo è legato anche il carattere progressivo della salvezza secondo cui
l’uomo nel percorso della storia «cresce», collabora e progredisce verso la
vita di comunione con Dio, che comincia già in questa vita e si compie nella
gloria futura, senza perdere mai il suo carattere progressivo perché «Dio è
—————————–
402
Cfr. E, 41.87 [corsivo nostro].
403
Cfr. cap. II, par. 1.1 di questo lavoro.
404
Cfr. AH, V, 21,1-2; 23,1–25,1.
405
Cfr. AH, IV, 20,2; V, 14,2.
406
Cfr. cap. II, par. 1.3 di questo lavoro.
407
Cfr. AH, V, 1,1; cap. II, par. 2.2.2 di questo lavoro.
DOTTRINA IRENEIANA 167
—————————–
408
«Il primo tentativo di offrire una visione organica della fede cristiana è dunque
realizzato nella prospettiva della storia della salvezza e di una riflessione interna alla
dinamica della rivelazione e alle categorie di pensiero bibliche, senza indulgere all’uso di
una razionalità – quella della filosofia greca – che è sconosciuta al mondo biblico. Quella di
Ireneo, però, resterà in fondo una voce isolata nel proseguimento dello sviluppo della
teologia». P. CODA, Teo-logia, 156.
409
Cfr. F. VERNET, «Irénée (Saint)», 2517-2530. «Le premier, et le seul, de tous les
anciens, il a un exposé relativement complet du dogme catholique. Pour ne rien dire de ses
écrits non connus et qu’on peut espérer de lire un jour, en particulier de ce traité “De la
science”, qu’Eusebe qualifie de “court mais nécessaire”, le Contra haereses et la
Demonstration de la prédication apostolique constituent une sorte de somme de théologie
des origines chrétiennes. […] Et non seulement Irénée offre des anticipations de la
dogmatique ultérieure, non seulement il aborde presque toutes les questions vitales; mais
encore il a eu le mérite de donner au Christ la place à laquelle il a droit». Ibid., 2530.
410
Cfr. F. VERNET, «Irénée (Saint)», 2517.
411
Cfr. CTI, «Alcune questioni sulla teologia della redenzione», III, 5-6 (EV, 14, 1901-
1902).
412
Cfr. LG 4, 13, 17, 20; DV 7, 16, 18, 25; AG 3, 7, 8; GS 39, 57; CCC, soprattutto 51-
1065.
168 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
413
Cfr. AH, II, 28,2, V, 1,1; 36,3.
414
Alludiamo alla riflessione lubachiana sulla fede intesa come «accordo di due verità
opposte». Cfr. MS49, 128.
DOTTRINA IRENEIANA 169
—————————–
415
Cfr. cap. II, par. 3.2 di questo lavoro.
416
Cfr. Augustinisme et théologie moderne di de Lubac.
SINTESI
riconoscere un passaggio dal mistero alla mistica7. Sono questi, tre punti di
vista o punti di partenza che danno origine ad uno spazio spirituale e
dottrinale, nel quale nascono e si sviluppano il pensiero e la dottrina di
Ireneo e di de Lubac. La sottolineatura costante di questi tre aspetti lungo le
riflessioni teologiche di entrambi i nostri autori permette loro di salvare la
concezione biblica dell’unicità della natura umana – dell’uomo chiamato
alla vita di comunione con Dio –, e, nello stesso tempo, di preservare
l’assoluta gratuità della grazia.
Nonostante i punti di convergenza tra le dottrine dei nostri due autori,
incentrate sul tema della salvezza, si riscontrano alcune differenze a livello
teologico sia nell’accento che nello stile. È su tali differenze che intendiamo
soffermarci in quest’ultima fase del nostro lavoro8. Pensiamo soprattutto
alla diversa accentuazione che i due autori danno alla concezione paolina
dell’«antropologia tripartita». Mentre Ireneo, secondo il suo metodo
antignostico pone l’accento sull’«uomo carne», de Lubac invece preferisce
l’aspetto dello «spirito creato e aperto», in sintonia con il suo metodo anti-
neoscolastico, teso all’affermazione dell’apertura e del destino
soprannaturale dell’uomo9. Come vedremo, sono due prospettive diverse,
ma non contrarie.
A differenza di Ireneo, in cui ci imbattiamo in una cristologia dai cui
sviluppi prende le mosse la sua riflessione antropologica, in de Lubac, come
abbiamo visto, incontriamo una cristologia implicita o indiretta. Sono
proprio i risvolti antropologico-cristologici della dottrina di Ireneo che ci
aiutano a riconoscere l’impronta cristologica implicita presente negli scritti
lubachiani10. Partendo dalla novità (paolino-ireneiana) di Cristo, e aderendo
al mistero unente di Cristo, de Lubac, difendendo l’unica vocazione divina
dell’uomo, riesce ad unire filosofia, teologia e mistica11. Questo sforzo
lubachiano di unificazione sarà poi riconoscibile nella dottrina del Concilio
Vaticano II.
1. Paralleli dottrinali
1.1 Il realismo e l’ottimismo antropo-teologico
Partendo dalla dottrina di Ireneo di Lione che abbiamo presentato nel
capitolo precedente di questo lavoro, possiamo intraprendere una certa
rilettura degli scritti lubachiani, ripensando la sua dottrina alla luce dei punti
principali della riflessione ireneiana sul tema della salvezza, presentati in
—————————–
7
Cfr. Sintesi, par. 1.3 di questo lavoro.
8
Cfr. Sintesi, sez. 2. di questo lavoro.
9
Cfr. Sintesi, par. 2.1 di questo lavoro.
10
Cfr. Sintesi, par. 2.2 di questo lavoro.
11
Cfr. Sintesi, par. 2.3 di questo lavoro.
SINTESI 173
—————————–
14
La parola «divinizzazione» o «deificazione» negli scritti sul «soprannaturale» appare
solo quando si parla del rapporto fra «datum optimum» e «donum perfectum», Cfr. MS49,
120-121; MS65, 151-152; PC, 33. Sui concetti di «trasformazione» e «trasfigurazione» in
de Lubac, cfr. cap. I, par. 4.2 di questo lavoro. Sulla «divinizzazione» in Ireneo, cfr. cap. II,
par. 2.3 di questo lavoro.
15
Volendo affermare l’originalità dell’ottimismo di Ireneo, de Lubac scrive: «Non tutti i
Padri certamente hanno quell’ampio umanesimo dei più grandi fra essi, alessandrini,
cappadoci, antiocheni, o, fra i latini, Agostino stesso; come non hanno l’ottimismo
d’Ireneo». Poco dopo però, aggiunge che un medesimo dato fondamentale è supposto da
tutti i Padri: «l’unità del genere umano nel suo sviluppo temporale». Cfr. C, 192-193.
SINTESI 175
—————————–
16
Cfr. cap. II, parr. 2.2.1-2.2.2 di questo lavoro.
17
Cfr. MS65, capp. 6-9; cap. I, par. 3.3 di questo lavoro.
18
Cfr. TDH1, 203-222; C, 23-51.
19
Cfr. cap. I, par. 3.2 di questo lavoro.
20
C, 212-214. Nel testo citato di Catholicisme, facendo riferimento ai Padri e volendo
affermare la tensione intrinseca del cristianesimo che è «tutto divino» e nello stesso tempo
«tutto umano», de Lubac richiama la dottrina di Ireneo sul Verbo che «s’infiltra nella sua
creatura». Questa dottrina ireneiana, che si trova all’inizio dell’ultimo libro dell’Adversus
haereses, è, infatti, una forte affermazione della realtà della carne e del sangue di Cristo per
mezzo dei quali l’uomo è stato redento, «ricapitolato» e «vivificato». Cfr. AH, V, 1,1-3; C,
214.
21
Cfr. AH, V, 1,1; 36,3.
176 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
Catholicisme e in altre sue opere dedicate al tema della Chiesa, nelle quali si
può riconoscere la presenza costante del forte senso ireneiano del mistero e
dell’unità, insieme all’affermazione della necessità della Chiesa per la
salvezza dell’uomo. Infatti, nella nostra «rilettura» degli scritti lubachiani,
non possiamo non fermarci, almeno brevemente, su alcuni capitoli di
Catholicisme nei quali de Lubac fa un esplicito richiamo al realismo di
Ireneo e degli altri Padri riguardo all’affermazione dell’unico Dio – Padre,
Figlio e Spirito Santo –, dell’unica natura umana e dell’unica salvezza intesa
come Redenzione, come «il ristabilimento dell’unità perduta» nel suo
aspetto personale e sociale. Si tratta del «ristabilimento dell’unità sopran-
naturale dell’uomo con Dio, ma altrettanto dell’unità degli uomini fra di
loro»28. L’aspetto sociale della salvezza, elaborato soprattutto nel secondo e
terzo capitolo di Catholicisme, inquadra la realtà della Chiesa, intesa nel
senso paolino-ireneiano di Corpus Christi, nella sua relazione all’Eucaristia
– il Corpo mistico di Cristo, il sacramento/sacrificio dell’unità29. Seguendo
la dottrina di Ireneo, de Lubac nella sua visione unitaria e sintetica della
salvezza tratta del rapporto tra il dogma della chiamata universale alla
salvezza e il dogma della necessità della Chiesa per la salvezza, riaffer-
mando l’unicità del genere umano e la chiamata universale alla salvezza in
Cristo intesa come trasformazione interiore e ricezione della «forma di
Cristo»30. Insieme all’affermazione del carattere «universale» della
salvezza, de Lubac, nello spirito ireneiano, non omette di rimarcare la
necessità della cooperazione attiva di tutta l’umanità alla sua salvezza, ma
soprattutto la necessità della responsabilità propria del cristiano, confor-
memente all’incarico particolare affidato alla Chiesa, quello di realizzare
l’«unificazione spirituale di tutti gli uomini»31. Così de Lubac insiste
fortemente sull’unità della natura/genere umano, dell’unico Salvatore –
Cristo e dell’unico «luogo» della salvezza: «A prendere le cose nel loro
insieme, Rivelazione e Redenzione sono legate, e la Chiesa è il loro unico
Tabernacolo»32.
Ciò che abbiamo rilevato ci permette di individuare in Catholicisme una
vera testimonianza lubachiana, di tipo ireneiano, dell’unità. Essa ci offre, in
un modo sintetico e «programmatico», tutti gli elementi fondamentali della
dottrina ireneiana, riguardanti il tema della salvezza. Li elenchiamo sinte-
tizzati qui di seguito:
—————————–
28
Cfr. C, 11 e l’intero primo capitolo della Catholicisme, dove de Lubac, richiamandosi
e citando la dottrina biblica paolina e giovannea e quella di Ireneo e di altri Padri, tratta il
tema del dogma cristiano nella prospettiva antropologico-soteriologica, accentuando
fortemente il principio dell’unità.
29
Cfr. capp. II-IV della Catholicisme dove de Lubac riflette sulla realtà della Chiesa,
dei sacramenti e della vita eterna.
30
Cfr. C, cap. VII.
31
Cfr. C, cap. VII-VIII, soprattutto pp. 161-165.
32
Cfr. C, 164-165.
178 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
33
Cfr. «Bisogna stabilire contro di lui [Marcione] che era lo stesso e unico Dio che,
all’origine, aveva creato l’uomo, poi l’aveva lentamente formato, e finalmente gli era
apparso nella realtà della carne per condurlo fino al suo temine, la divina Rassomiglianza».
Così de Lubac, riflettendo sul cristianesimo nel suo contesto storico dell’Incarnazione,
richiama la risposta di Ireneo al marcionismo nella quale si mette in luce la profonda unità
dei due Testamenti e l’unità del Piano divino sul mondo. Cfr. C, 183 e l’intero capitolo I.
34
«Cristo, appena venuto all’esistenza, porta in sé virtualmente tutti gli uomini, – erat
in Christo Jesu omnis homo –. Perché il Verbo non ha preso solamente un corpo umano; la
sua incarnazione non fu una semplice corporatio, ma, come dice Sant’Ilario, una
concorporatio. Egli si è incorporato alla nostra umanità e ha incorporato questa umanità a
se stesso. Universitatis nostrae caro est factus. Assumendo una natura umana, è la natura
umana a cui egli s’è unito, che ha inclusa in lui, e questa tutta intera gli serve in qualche
modo di corpo. Naturam in se universae carnis adsumpsit. Intera Egli la porterà dunque al
Calvario, intera la risusciterà, intera la salverà. Il Cristo Redentore non offre soltanto la
salvezza a ciascuno: egli opera, egli stesso è la salvezza del Tutto, e per ciascuno la
salvezza consiste nel ratificare personalmente l’apparenza originale a Cristo, in modo da
non essere respinto, «separato» da questo Tutto». C, 12-14. Citando sempre Ireneo, de
Lubac parla del pensiero dei Padri, della loro visione unitaria dei due Testamenti secondo
cui affermavano la novità di Cristo insieme all’affermazione di una «continuità reale». Cfr.
C, 189-193, e l’intero cap. VIII.
35
«L’Immagine di Dio, l’Immagine del Verbo, che il Verbo incarnato restaura, e a cui
rende il suo splendore, è me stesso, ed è l’altro, ed è ogni altro. È questo punto di me stesso
che coincide con ogni altro, è il segno della nostra comune origine ed è la chiamata al
nostro destino comune. È la nostra unità stessa, in Dio». C, 258. «La razza umana intera è
la figlia di Dio, e con un grande movimento che persiste attraverso la varietà sconcertante
dei suoi gesti – ab Abel iusto usque ad novissimum electum – sostenuta dalle due mani di
Dio, il Verbo e lo Spirito, queste due mani che, malgrado i suoi errori, non l’hanno mai
completamente abbandonata, essa s’incammina verso il Padre suo». C, 99. Così de Lubac,
facendo riferimento a Ireneo. Cfr. anche C, capp. VII-VIII.
36
Cfr. C, capp. II-IV.VII. Per la riflessione lubachiana sul «compito degli “infedeli”» e
la possibilità della loro salvezza, cfr. C, 165-170; N. ETEROVIĆ, Cristianesimo e religioni
secondo Henri de Lubac, Roma 1981; I. MORALI, La salvezza dei non cristiani. L’influsso
di Henri de Lubac sulla dottrina del Vaticano II, Bologna 1999.
37
«L’umanità quindi deve cooperare attivamente alla sua salvezza, ed ecco perché
all’Atto del suo Sacrificio, Cristo ha congiunto la rivelazione obiettiva della sua Persona e
la fondazione della sua Chiesa». C, 165.
SINTESI 179
—————————–
46
Cfr. Ef 1,10; AH, III, 23,1; IV, 34,1; Redenzione, III, 6 (EV, 14, 1902); cap. II, par.
2.2.2 di questo lavoro.
47
«quando si incarnò e divenne uomo [il Figlio di Dio], ricapitolò in se stesso la lunga
storia degli uomini, procurandoci in compendio la salvezza». AH, III, 18,1 [corsivo nostro].
Cfr. EM, III, 262.
48
«È una dottrina profonda, contenuta tutta in linea generale nel prologo di san
Giovanni, corroborata da una lunga serie di testimoni e dalla liturgia stessa». EM, 269. Cfr.
Ibid., 249-271; Hercsik, 91-93.
49
Cfr. EM, III, 261.
50
De Lubac, facendo riferimento alla dottrina dei Padri. Cfr. EM, III, 258. «In Lui, i
“verba multa” degli scrittori biblici diventano per sempre “Verbum unum”». Cfr. Eb, 1,1;
EM, III, 258.
51
EM, III, 262-263.
52
EM, III, 268-269.
SINTESI 181
—————————–
53
Cfr. Ef 1,10; AH, III, 23,1; Redenzione, III, 6 (EV, 14, 1902); introduzione al cap. II,
sez. 2. di questo lavoro. La parola greca άνακεφαλαíωσις troverebbe i suoi equivalenti in
latino nelle seguenti espressioni: recapitulatio, restauratio e repetitio.
54
Cfr. AH, III, 19,1; V, pref.; 36,3; L.F. LADARIA, «Destino dell’uomo e fine dei
tempi», 371.
55
Cfr. AH, IV, 34,1 e l’intero libro AH, IV; C, 183.189-193 e gli interi capp. I e VIII.
56
De Lubac comincia la sua riflessione sul Verbum abbreviatum proprio con la visione
ottimistica della salvezza del «popolo primogenito» il cui «rifiuto», in forma dello «zelus
perfidiae», grazie alla potenza unente e all’atto salvifico dello stesso Verbum abbreviatum,
è stato trasformato in una «divinae pietatis dispensatio», annunziato dai profeti e
manifestato come «il prezzo della chiamata dei Gentili alla fede». Cfr. EM, III, 249-258,
dove de Lubac fa tanti riferimenti alla dottrina dei Padri e agli altri autori.
57
Cfr. EM, III, 258. Questa verità, presente negli scritti lubachiani, l’abbiamo
riconosciuta anche in Ireneo, per cui «la sicurezza non sta nel testo», ma prima di tutto nella
Tradizione della Chiesa nella quale Cristo è presente e vivo. Cfr. AH, IV, 32,1; Brox, I,
106; Teología, IV, 448.
58
Cfr. Entretien, 50-51. «Er [Jesus Christus] ist al das Wort Gottes die eine und wahre
Quelle der Offenbarung Gottes; er ist das lebendige Wort, für das Tradition und Schrift ein
einziges heiliges Depositum bilden, da seiner Kirche anvertraut ist». Cfr. Hercsik, 90-91.
59
Cfr. AH, IV, 34,1.
60
Cfr. TDH1, 219; cap. I, parr. 3.2 e 4.2 di questo lavoro.
182 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
77
Cfr. C, 269-270.
78
C, 272 [corsivo nostro].
79
Cfr. MMC, 19; cap. II, par. 1.1 di questo lavoro.
80
Il tema è stato profondamente elaborato da de Lubac nella sua Mistica e Mistero
cristiano. Wagner tratta il tema della mistica in de Lubac scegliendo tre approcci: la natura
particolare della mistica cristiana in vista del suo legame stretto con il mistero di Dio
rivelato in Cristo; la mistica cristiana nel suo rapporto con la filosofia sull’esempio
dell’interpretazione lubachiana del concetto di Tommaso del «desiderio naturale»; l’influs-
so esercitato da Teilhard de Chardin su de Lubac, che si manifesta nell’aspetto
dell’inseparabilità della mistica dalla teologia e nei concetti di «trasformazione» e
«trasfigurazione» spesso utilizzati da entrambi gli autori. Cfr. J.-P. WAGNER, «Henri de
Lubac et la mystique», 90-103, G. CHANTRAINE, «La théologie du Surnaturel selon Henri
de Lubac», 230-233.
81
Cfr. TDH1, 219-220; E. Ancilli, «Introduzione» in MMC, XVII; cap. I, par. 3.3 di
questo lavoro.
82
Cfr. MMC, 19.
83
Cfr. MMC, 19.
SINTESI 185
esplicita nella rilettura delle opere lubachiane, considerate nel loro com-
plesso, alla luce della dottrina ireneiana. Diventa chiaro, in tal modo, che
l’uomo, che per de Lubac «è mistero»144, è strettamente legato a Cristo145,
considerato da de Lubac il mistero centrale e supremo146 alla cui immagine
l’uomo è stato creato147 e attraverso i cui misteri – Incarnazione e
Risurrezione – è stato salvato148.
—————————–
144
Cfr. MS49, 136; PNP, 57; MS65, 277-278; GS 10; Hercsik, 163-167.
145
Cfr. GS 22.
146
Cfr. AH, III, 19,2; 21,5.7; V, 1–14; TDH1, 219-220; Hercsik, 83-85.216; cap. I, par.
3.3 di questo lavoro.
147
Cfr. cap. II, par. 1.1 di questo lavoro.
148
Cfr. cap. I, par. 2.4.2 e cap. II, par. 2.2 di questo lavoro.
149
Cfr. cap. II, parr. 2.1.2-2.1.3 di questo lavoro.
150
Cfr. AH, IV, 34,1; TDH1, 209.220; MS65, 141; Hercsik, 14.98.106.
151
Cfr. Hercsik, cap. 2.2.
152
Cfr. Hercsik, cap. 2.3.
153
Cfr. cap. I, sez. 3. di questo lavoro.
154
Cfr. AH, I, 10,1; IV, 10,1–11,1; 34,1; E, 50-86; cap. I, par. 4.2 di questo lavoro.
155
Cfr. cap. II, par. 2.2.2 di questo lavoro.
156
EM, III, 268-269; Sintesi, par. 1.2 di questo lavoro.
157
«Tutto del Dogma». Cfr. TDH1, 219; cap. I, par. 3.2 di questo lavoro.
SINTESI 195
Che de Lubac stesso fosse «un vero teologo», che, mantenendo la sua
ferma adesione al mistero vivo e unente di Cristo, ha cercato di unire
filosofia, teologia e mistica, lo mostrano, come abbiamo visto, i suoi scritti,
in cui riconosciamo una cristologia implicita ma viva e attiva169. Lo
mostrano inequivocabilmente le parole con cui si rivolge direttamente a
Cristo, parole che esprimono la sua fede e il suo amore per Lui170. E
finalmente, lo mostrano anche le testimonianze, molto simili, che egli diede
su due progetti di libri che «gli stavano a cuore». Il primo, già menzionato, è
l’opera su Gesù Cristo che gli sarebbe «più cara di tutte», e verso cui si
sentiva un po’ «troppo impari» a scriverlo171. Il secondo libro è
accompagnato da parole molto simili:
Credo che da molto tempo sia proprio l’idea del mio libro sulla Mistica che mi
ispira in tutto; è di là che traggo i miei giudizi, è questo che mi offre il parametro
per classificare man mano le mie idee. Ma questo libro non lo scriverò mai. È
completamente al di sopra delle mie forze: fisiche, intellettuali e spirituali. Ho la
visione netta delle sue articolazioni, distinguo e sistemo a poco a poco i
problemi che dovrebbero esservi trattati, nella loro natura e nel loro ordine, vedo
la direzione precisa nella quale cercare la soluzione di ciascuno di essi; ma
questa soluzione, io sono incapace di formularla172.
Queste testimonianze ci rivelano di nuovo il Mistero di cui scriveva de
Lubac riconoscendolo presente, vivo e attivo nella vita e nella dottrina dei
Padri173. Questo Mistero, pur essendo così grande da non poter esprimerlo
con le parole, perché oltrepassa la nostra esperienza umana e le capacità del
nostro linguaggio, noi lo riconosciamo, vivo, attivo e unente negli scritti e
nel cuore del nostro autore. Esso, fungendo da punto di partenza per la
riflessione del nostro teologo, determina il suo metodo e la sua prospettiva
dottrinale che noi riconosciamo in pieno accordo con i risvolti antropo-
soteriologici dell’insegnamento di Ireneo e con l’impostazione dottrinale
della costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, già citata in
questo lavoro: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova
vera luce il mistero dell’uomo»174.
—————————–
fait le gardien de l’idée centrale de la philosophie chrétienne: l’idée de l’unique vocation
divine de l’homme. Pour la garder vivante, il est nécessaire selon notre auteur [de Lubac]
d’unir philosophie, théologie et mystique ou vie de foi». G. Chantraine, facendo riferimento
alla testimonianza di J. Ratzinger. Cfr. G. CHANTRAINE, «La théologie du Surnaturel selon
Henri de Lubac», 234.
169
Cfr. cap. I, par. 3.1 di questo lavoro.
170
Cfr. TDH1, 213-214; Hercsik, 95, n. 181; 216.
171
Cfr. MEM, 391; cap. I, par. 4.1 di questo lavoro.
172
MEM, 311.
173
Cfr. TDH1, 212; cap. I, parr. 3.2-3.3 di questo lavoro.
174
GS 22. Cfr. AH, V, 1,1; introduzione al cap. I, sez. 2. di questo lavoro. Sul contributo
di de Lubac alla preparazione dei documenti conciliari, sopratutto delle costituzioni
dogmatiche sulla rivelazione (Dei verbum) e sulla Chiesa (Lumen gentium), della
costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo (Gaudium et spes), della costituzione sulla
SINTESI 197
3. Conclusione
Come già annunziato nell’introduzione di questo lavoro, il nostro
tentativo è stato quello di presentare la dottrina di de Lubac come uno sforzo
di rivalutazione della dottrina cristiana sulla salvezza, cioè come difesa della
visione biblico-cristiana tradizionale dell’uomo creato ad immagine e
somiglianza di Dio, chiamato alla vita di comunione con Dio intesa come
l’unico destino dell’uomo. In questo senso, partendo prima di tutto dagli
scritti sul «soprannaturale» di de Lubac, abbiamo cercato di accostare la sua
dottrina a quella biblico-patristica tradizionale, mostrandone la profonda
consonanza. La nostra scelta di Ireneo di Lione, «il dottore della dog-
matica», di cui si può trovare un continuo riferimento negli scritti
lubachiani, si è subito mostrata promettente e valida in vista del nostro
obiettivo. Come abbiamo visto, rispetto a Catholicisme e alle opere
lubachiane sulla Chiesa e sulla Sacra Scrittura, il riferimento a Ireneo negli
scritti sul «soprannaturale» è meno frequente. La nostra ricerca, però, ha
dimostrato che l’impostazione antropo-teologica di Ireneo è implicitamente
presente anche nelle sue opere sul «soprannaturale».
Le differenze che constatiamo tra i nostri due autori, a livello del
linguaggio e del metodo, spiegabili in base al contesto storico peculiare in
cui ciascuno di loro si colloca, potrebbero farci apparire le loro due dottrine
molto diverse e perfino contrarie. L’abbiamo visto a proposito della diversa
accentuazione antropologica dell’«antropologia tripartita» di Paolo. In
realtà, abbiamo rilevato che tra l’«uomo-carne» di Ireneo e l’«uomo-spirito»
di de Lubac, non esiste né la tensione paolina fra l’uomo «terreste» e l’uomo
«celeste», fra «corruttibile» e «incorruttibile», e nemmeno la tensione gno-
stica fra l’uomo «carnale» e l’uomo «spirituale». Le rispettive impostazioni
antropologiche di Ireneo e di de Lubac, sebbene ci offrano due prospettive
diverse, hanno però lo stesso punto di partenza e lo stesso fine. Il punto di
partenza di entrambi è l’uomo biblico, partecipe dell’unica natura umana,
destinato alla visione di Dio, mediante l’offerta universale della salvezza in
Cristo.
La realtà del peccato – il punto d’incontro del realismo e dell’ottimismo
antropo-teologico di Ireneo e de Lubac –, rende riconoscibile l’Atto
salvifico di Dio Padre, il «grande Gesto dell’Amore», il «Gesto assoluto»,
efficace e definitivo che abbraccia e rinnova il mondo e brilla al di là del
tempo175. Nella novità di questo Gesto – Verbum abbreviatum, apparso nella
—————————–
sacra liturgia (Sacrosantum concilium), del decreto sull’attività missionaria della Chiesa
(Ad gentes) e della dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non-cristiane
(Nostra aetate), cfr. Entretien, MEM, 319-365; Hercsik, 42-51. Suggeriamo a proposito i
«Quaderni» di de Lubac nati negli anni del Concilio: ID., Carnets du Concile, I-II, Paris
2007; trad. italiana, Quaderni del Concilio, I-II, Milano 2009.
175
Cfr. TDH1, 219-220.
198 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
—————————–
178
Cfr. Antropología, 7.
179
Cfr. TDH1, 207.
180
Aggiungiamo la già menzionata testimonianza di P. Barbarin: «Le cardinal Henri de
Lubac a dit un jour avec sa modestie habituelle à un ami: “J’aime être lu par des jeunes
parce qu’ils trouvent dans mes écrits ce que je n’y ai pas mis”». Cfr. Guibert, I.
SIGLE E ABBREVIAZIONI
a. articolo
AA.VV. autori vari
AAS Acta Apostolicae Sedis
AG Ad gentes
AH IRENAEUS LUGDUNENSIS, Adversus haereses
al. alii (altri)
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208 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
Alfaro, 11, 13, 30, 31, 39, 40, 41, 43, Dellagiacoma, 121
44, 45, 46, 49, 50, 53, 59, 60, 61, Eterović, 178
63, 64, 65, 66, 67, 70, 87, 88, 91, Fessard, 35, 36
114, 158, 191 Figura, 90
Alszeghy, 29, 32 Flick, 29, 32
Ardusso, 26, 27, 29, 31 Galimberti, 123
Aubert, 45 Ganoczy, 137
Aubineau, 118, 123, 152, 155 Gianfreda, 90
Auer, 21, 26, 27, 28 Giansenio, 27, 44, 46
Baio, 27, 41, 44, 46 Gibellini, 35, 36, 38, 46
Balthasar, 35, 37, 38, 46, 90, 98, 102, Gilson, 36, 42
103, 117, 187 Gross, 42, 47, 121, 123, 124, 151,
Bardy, 28, 30, 32, 33, 42, 154, 157, 152, 153, 157, 158
158 Guardini, 28, 41
Barth, 28, 90, 98 Gueriero, 103
Bellini, 105, 106, 121, 123, 136, 141, Guibert, 12, 13, 39, 70, 71, 72, 74,
148, 149, 155, 156, 158 75, 76, 77, 78, 79, 82, 83, 85, 86,
Benedetti, 37, 84, 90, 92, 95, 96, 97 88, 89, 92, 182, 192, 195, 199
Berger, 23, 24 Haggerty, 90
Bertoldi, 90 Harpius, 188
Berzosa Martínez, 90 Hercsik, 10, 12, 13, 14, 39, 70, 71,
Blondel, 36, 64, 77, 98, 193 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 80,
Bof, 131 82, 84, 86, 88, 89, 90, 92, 94, 95,
Bouillard, 35, 52, 191, 192 96, 103, 107, 108, 180, 181, 192,
Bove, 106 193, 194, 195, 196, 197
Brox, 54, 103, 105, 106, 107, 108, Hilberath, 21, 23, 24, 25
109, 111, 129, 130, 139, 181 Huby, 36, 185, 190
Bultmann, 24 Klebba, 122
Chantraine, 184, 193, 196 Ladaria, 12, 20, 30, 31, 40, 41, 42,
Chenu, 56 43, 44, 45, 46, 54, 59, 60, 64, 67,
Ciola, 84 68, 114, 117, 118, 123, 130, 134,
Coda, 54, 103, 139, 159, 167 143, 144, 150, 152, 154, 156, 157,
Colombo, 27, 43, 44, 102 181, 192
Conzelmann, 24 Lehmann, 101
Dalmais, 28, 30, 32, 33, 42, 154, 157, Léonard, 90
158 Maisch, 22
212 IL MISTERO DELLA SALVEZZA CRISTIANA
4. Sintesi.................................................................................................................. 89
4.1 De Lubac sul «soprannaturale»................................................................... 89
4.2 Il mistero salvifico di Cristo ....................................................................... 94
4.3 Conclusione .............................................................................................. 102