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Avvertenza

Délia Chiesa si è quasi sempre studiato la struttura, e per cosl


dire poco la vita. Ora la Chiesa possiede una struttura, ricavata dai
suoi elementi costitutivi; ma strutturata, essa vive, e i fedeli vivono
in essa, nell’unità. La Chiesa non è soltanto un quadro, un apparato,
un’istituzione; essa è una comunione. Esiste in essa un’unità che nes-
suna secessione puô distruggere: quella che scaturisce immediata-
mente dagli elementi costitutivi délia Chiesa. Ma vi è pure Punità
esercitata o vissuta dagli uomini; essa mette in causa la loro attitu-
dine, ed è edificata o distrutta dal loro comportamento, e si chiama
comunione. Dimodoché non si conosce veramente la Chiesa se non
quando, al di là dell’istituzione e délia sua struttura, si studia la na-
tura di questa comunione, le sue condizioni, implicazioni, la maniera
con cui la si puô ferire. In uno studio di questo genere, l’esame del
fatto «riforme» s’impone poiché, come vedremo, esso rappresenta
una costante délia vita délia Chiesa e al tempo stesso un momento
critico per la comunione cattolica. Lo esaminiamo qui da teologi e da
ecclesiologi. Non si dovrà dunque ricercare in questo libro un pro­
gramma di riforme, ma soltanto uno studio del posto del fatto «ri­
forme» nella vita délia Chiesa, delle ragioni che rendono eventual-
mente necessaria una riforma, delle condizioni in cui essa puô pro-
dursi senza nuocere alla comunione cattolica. Si deve ammettere che
la rinuncia da parte del teologo a studiare le «riforme» comporta una
rinuncia previa a spingere la sua speculazione teologica sulla Chiesa
fino a toccare l’ambito délia sua vita.
Di fatto, la teologia cattolica ha studiato poco la vita délia
Chiesa. Sarebbe facile dimostrare, ricorrendo alla storia, quali ne sono
le ragioni. Se ne troverà una spiegazione sommaria nel capitolo n nel
nostro Jalons pour une théologie du làicat. Cosï pure, finora, si è
quasi sempre definito lo scisma e l’eresia in rapporto alla norma del-
l’unità o dell’ortodossia alla quale vengono meno: dal punto di vista
del criterio di valutazione (il quo, si direbbe in scolastica). Ci si è
preoccupati poco di caratterizzarli in se stessi, nel loro contenuto, nelle
modalità, o ancora come attitudine (il q u o i si direbbe in scolastica).
In linea generale, la teologia cattolica si è soffermata poco
sulle realtà cristiane nel loro soggetto religioso. Essa ha considerato
la Chiesa come un’istituzione oggettiva— essa lo è senza dubbio— e
relativamente poco come l’assemblea dei fedeli e la comunità vivente
che è il risultato del loro comportamento; inoltre l ’ha considerata nella
sua essenza immutabile, molto poco come esistente nel tempo. Il du-
plice ambito dell’azione dei soggetti religiosi e dell’esistenza tempo­
rale ha attirato poco l’attenzione dei teologi, che Phanno affidata ai
canonisti, agli autori spirituali, agli apologeti o agli storici. Tra i teo­
logi propriamente detti e di grande classe che abbiano afirontato come
taie questo aspetto, si conoscono soltanto M ohler1 e Newman: i due
1 I titoli delle opete maggiori sono sovente significativi. Mohler non ha
scritto un trattato su « l’unità délia Chiesa», ma un saggio su «Punità nella
Chiesa».
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grandi spiriti che hanno cominciato ad introdurre nella teologia il du-


plice esame del soggetto teligioso e dello sviluppo storico.
Ma il seguito di questo nostro lavoro ci mostrerà come, nel
settore in cui stiamo per entrare, abbiamo molto da imparare dalla teo­
logia classica dei grandi maestri, in primo luogo da S. Tommaso
d’Aquino, al quale noi siamo debitori dei fondamenti del nostro
pensiero.
È indispensabile avere delle guide del genere poiché il terreno
è difficile. Non solamente perché le vie sono nuove; neppure perché
s’incontrano degli ostacoli spinosi. Ma perché fare una teologia délia
vita è sempre un’impresa delicata. Lo scoglio è duplice. Il primo, che
non è mortale, dériva dal fatto che ci si trova in presenza di cose
che forse rappresentano dei «casi», di cui la scienza teologica non deve,
come taie, occuparsi. L ’essenziale, in questo caso, sarà prendere in
considerazione dei fatti abbastanza rappresentativi e considerarli assai
«formalmente» per arrivare a scoprire delle costanti che abbiano, nel-
l’ordine délia vita, valore di vere leggi. Il secondo scoglio potrebbe
essere più pericoloso. Non si riferisce solamente al metodo, ma agli
oggetti. È un dato di fatto che molti studi relativi a cio che si potrebbe
chiamare una teologia délia vita lasciano un’insoddisfazione. La Chiesa
stessa— soprattutto la Chiesa docente— ha provato e più o meno chia-
ramente espresso questo sentimento. I due grandi spiriti che abbiamo
sopra menzionato, tutti e due veramente cattolici e degni d ’essere stu-
diati più a fondo, hanno suscitato delle questioni. Qualcuno ha per-
fino pronunciato nei loro riguardi la parola esagerata di antenati del
modernismo. La falsità dell’insinuazione è già stata smascherata; tutta-
via il fatto stesso che sia stata pronunciata possiede un valore d ’indi-
zio. Il modernismo ha reso manifesto, al di fuori dei limiti possibili
del cattolicesimo, il pericolo cui va incontro lo studio délia vita quando
non si fonda su una solida teologia délia struttura. Nel suo caso, del
resto, vi era ben altro che una incertezza nelle basi, c’era una perver-
sione, una vera dissoluzione. Questo almeno ci indica da dove potesse
venire qualche pericolo. Traendo profitto da questo insegnamento ten-
teremo di fondare la nostra teologia délia comunione su di una teo­
logia dell’unità ed il nostro studio del fatto «riforme» su di una ec-
clesiologia ben strutturata. Speriamo che questo fondo dogmatico equi-
libri l ’attuale studio anche da un altro punto di vista. Proponendo
una teologia délia vita délia Chiesa, cioè délia Chiesa in quanto fatta
anche dagli uomini, si rischia di percepire detta Chiesa nella sua trama
umana, sotto l’aspetto relativo e confuso délia sua storia, e di lasciare
in ombra la sua realtà di mistero soprannaturale. Occorrerebbe che
questo mistero affiorasse ovunque sotto l’umano, che la struttura eterna
e divina délia Chiesa fosse sempre présente. Speriamo che il nostro
trattato non abbia tradito, in questo, le nostre convinzioni.
Queste osservazioni relative all’oggetto e l’impostazione del
nostro studio ci illuminano sul metodo da seguire. Per uno studio
délia struttura délia Chiesa vista soltanto come istituzione, è sufficiente
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seguire il metodo classico délia teologia, con i suoi due tempi: presa di
coscienza possibilmente compléta del «dato», elaborazione, nei limiti
del possibile, ricca e rigorosa di questo dato. Quando si tratta di
studiare la vita délia Chiesa, sotto l’aspetto délia comunione, è necessa-
rio unire all’apporto delle sorgenti propriamente dottrinali quello délia
storia e quello delTesperienza. Lo studio rimane teologico, ma il suo
oggetto, assunto dalla vita délia Chiesa, postula che al clima teologico
délia Chiesa si aggiunga una riflessione sui fatti del présente e délia
storia, i quali pure costituiscono dei «luoghi teologici». La teologia
classica délia Chiesa sarà sempre présente, ancorché non si possa pre-
tendere di dire tutto e di rendere ragione di ogni cosa: cià postule-
rebbe un intero trattato. Ancor meno si puô pretendere di dire tuttc
e di giustificare tutto in dettaglio nell’evocazione dei fatti.
Occorreva soltanto sceglierne alcuni significativi e fornire uns
documentazione che permettesse di rendersi conto se le nostre afierma-
zioni erano provate e le nostre interpretazioni autentiche.
È chiaro che, in questo campo e seguendo un metodo del gé­
néré, vi è il rischio di dare talvolta l’impressione d ’esprimere una
maniera di vedere completamente personale, fors’anche intéressante,
ma che rispecchia il pensiero di un solo uomo. Ogni lavoro teologico,
a meno che non rifletta il pensiero e l’opera di nessuno, ma sia una
specie di rubrica impersonale e prefabbricata, un po’ come 1’Ordo o il
regolamento delle poste, comporta già una dimensione d’elaborazione
personale. La congiunzione tra la dottrlna teologica ed il dato vitale
awiene nello spirito d’un uomo, perciô è impossibile raggiungere il
medesimo grado o il medesimo tipo d ’oggettività di una tesi di teo­
logia classica de Trinitate o de Christo. Qui non si tratta che di un
Essai: un genere meno compiuto, sotto l’aspetto dogmatico, dei trat-
tati classici, ma forse altrettanto necessario. Perciô noi usiamo ancora
spesso la prima persona: questo s’addice all’enunciato d ’un pensiero
che ritiene di poggiare su solide fondamenta, ma si tratta del pensiero
d’un uomo in ricerca, più che délia dottrina d’una Chiesa o d ’una
scuola in possesso délia verità.
La garanzia d ’oggettività si basera, da una patte, sulla qualité
dell’ecdesiologia che si è presa come fondamento: e toccherà ai teo-
logi pronunciarsi in materia; dall’altra, sulla qualità délia documenta­
zione storica, che è di competenza degli storici. Abbiamo fatto nume-
rose citazioni, con il rischio d’appesantire l’opera e di apparire pe-
danti, per mostrare che il nostro lavoro pu6 rivendicare, come una
specie di patrocinio, l ’appoggio di numerosi spiriti, se non addirittura
quello delTesperienza e del consenso comuni, che si tratterebbe sol­
tanto di raccogliere. In tal modo gli inconvenienti d’un pensiero trop-
po personale vengono notevolmente attenuati.
Qualcuno troverà forse un altro motivo d’insoddisfazione nel-
l’argomento di questo studio. È stato redatto, salvo la parte terza,
nel 1946, nel clima riformista evocato nell’introduzione. A quel tempo
ci siamo posti noi stessi la questione sull’opportunità di trattare un
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taie soggetto: non si rischiava forse in tal modo d’alimentare cio che
poteva esservi d ’intempetante nel movimento di punta? Di fomentate
un certo malcontento, una sfiducia nella Chiesa, nelle stesse sue forme
d ’esistenza, nella sua gerarchia?
Ci parve tuttavia che le nostre conclusioni, poggianti su basi
solide, non erano per nulla sediziose; che spettava al teologo, re-
stando sempre nei limiti délia sua competenza, illuminare sacerdoti e
fedeli su questo punto come su altri; che in ogni modo era suo com-
pito studiare un fatto tanto costante nella vita délia Chiesa come
quello delle «riforme»: del pari che è compito dello storico e del so-
ciologo studiare il fatto «rivoluzione» nella storia delle société2. Tal-
volta ci si spaventa per la parola «riforma», perché la storia l’ha tra-
gicamente associata al fatto di una autentica rivoluzione.
Sembra che su di essa pesi una specie di maledizione. Bisogna
ammettere che è un po’ vaga e che puô designare sia il semplice
sforzo per ritornare all’osservanza dei buoni principi— in questo senso,
dobbiamo riformarci ogni giorno— sia i grandi e spettacolari sconvol-
gimenti che distruggono più di quanto non edifichino. Siamo perfetta-
mente coscienti che esistono delle false riforme. Ma tutto ben consi-
derato, «riforma» non esprime nulla di anormale, anzi qualcosa d ’as-
sai banale: ce ne renderemo conto quando preciseremo con esattezza
di che si tratta. E d ’altronde, se la questione è delicata, non la si puô
forse affrontare delicatamente, con serietà e rispetto, nell’ambito d’una
visione costruttiva e tradizionale délia Chiesa? Dato poi che essa s’im-
pone in ogni modo e che non si corre il rischio d ’affrontarla malde-
stramente, bisogna forse lasciarla a quelli che ne tratteranno in ma­
niera brutale e con superficialità? Non è forse meglio illuminare co-
loro che sono preoccupati da taie questione, dire loro a quali condi­
zioni il loro sforzo deve sottostare, mostrare loro come la Chiesa sia
ancora più grande, più bella, più degna délia loro fiducia e del loro
amore, quando è in procinto di riformarsi, più di quando viene situata
in un emipirico fittizio e illusorio d ’immobilità e di perfezione? «Oc-
corre dire la verità,— scriveva sant’Agostino— soprattutto quando una
difficoltà rende ciô più impellente; coloro che ne saranno in grado
capiranno. Per paura che tacendo in considerazione di coloro che non
sono in grado di capire, non soltanto si frustri la verità, ma si lasci
nell’errore coloro che possono afferrarla ed evitare l’errore...»3.
Si voleva tuttavia evitare, nei limiti del possibile, alcuni in-
convenienti o pericoli manifesti. Volevamo esimerci dal turbare, dal-
l ’alimentare un malessere, se ve ne fosse stato; si voleva evitare di

2È quanto ha cercato di fare, per esempio, M. Paul Perrier, in Rivolu­


zione, nel contesto d’una Crammatica délia Storia.
3«Dicatur ergo verum, maxime ubi aliqua questio ut dicatur impellit;
et capiant qui possunt: ne forte cum tacetur propter eos quicapere non possunt,
non solum veritate fraudentur, verum etiam falsitate capiantur, qui verum capere,
quo caveatur falsitas, possunt...» De dono perseverantiae, cap. xvi, n. 40 (P.L., 45,
1017).
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scendere, nostro malgrado, sul piano del giornalismo e dell’attualità.


Perciô abbiamo voluto, in primo luogo, dare al présente studio un’im-
pronta scientifica e fare in modo che, per il suo stesso genere lette-
rario, fosse più vicino alla scienza teologica che non agli scritti di
attualità. Inoltre, dopo la redazione, abbiamo sottomesso il nostro
testo a parecchi revisori, tra i quali un prelato e un vescovo. Li rin-
graziamo delle osservazioni che benevolmente ci hanno fatto; le ab­
biamo messe a frutto. In un punto fondamentale, in seguito aile loro
osservazioni, abbiamo modificato il nostro vocabolario e corretto in
tal modo, al di là delle parole, una categoria di pensiero. Abbiamo
pubblicato quattro stralci délia prima redazione4, raccogliendo cosl
nuove osservazioni o adesioni, utili tanto le une quanto le altre. In­
fine, ci siamo imposti un intervallo di tre anni, al termine del quale
abbiamo interamen te rielaborato il testo del 1946. L ’abbiamo com-
pletato ed aggiornato ai lavori non ancora pubblicati al momento
délia sua prima redazione5. Il più sovente, una riflessione più nutrita
e rinnovata, una documentazione più ricca, o nuovi confronti, hanno
rafforzato le posizioni iniziali. La critica non è sempre negativa, essa
svolge un ruolo necessario di verificare, sia nel confermare che nel
rifiutare. Essa deve sempre essere impiegata, e impiegata liberamente.
Dopo essere stato sottoposto all’esame degli amici censori,
e in seguito al vaglio d ’una revisione totale, questo libro viene of-
ferto all’apprezzamento di quanti vorranno leggerli. Ma in primo
luogo, e nello spirito délia sua seconda parte, esso è sottoposto al
giudizio délia Santa Chiesa. Que:sta comprenderà, ne siamo sicuri,
che non si tratta di un libro di critica negativa, ma d’amore e di fi-
ducia. Soprattutto, di amore totale e di fiducia assoluta nei confronti
délia Verità. Essa sola, che un fratello predicatore (Domenicano) ha
il compito di servire con tutte le sue forze, essa sola puô soggiogare,
e nello stesso tempo colmare ed esaltare lo spirito.
Si è pensato che non la si poteva servire, qui come altrove,
se non mediante una sincerità assoluta e totale. Assoluta, cioè senza
sotterfugi, senza mimetismi, senza timori; totale, cioè onorando la
verità in tutta la sua dimensione, in tutti i suoi risvolti, acquistando
in tal modo, non mediante un gioco artificiale di «prudenza», ma
mediante la dinamica stessa delle cose, il rispetto di tutto ciô che si
deve rispettare: un rispetto fiero e umile al tempo stesso, rispetto di
un uomo cosciente di se stesso, ma che sa d ’essere dipendente e che
vuole essere sottomesso secondo l’ordine, poiché l’ordine non è che

4 Péché et sainteté dans l'Eglise, in La Vie intellectuelle, novembre 1947,


pp. 6-40. Condition d'un vrai renouvellement, in /e bâtirai mon Eglise - Jeunesse
de l'Eglise, 8, 1948, pp. 154-164. Pourquoi le peuple de Dieu doit-il sans cesse
se réformer? in Irénikon, 1948, pp. 365-394. Culpabilité et responsabilités col­
lectives, in La Vie Intellectuelle, marzo-aprile 1950.
5 Nel giugno-luglio 1946 avevamo redatto, prima che uscissero i testi
di Ida Gürres e di Papini, Essor ou déclin de l’Eglise, il n. d'Esprit su Christia­
nisme et Monde moderne, ecc.
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una denominazione délia Verità. Quindi in questo libro non esistono


sottintesi, non vi è nulla che non sia leale, che non possa essere
esposto con schiettezza e recepito da qualunque uomo retto e istruito.
I sotterfugi dello stile e del pensiero traggono in inganno solamente
coloro che sono indegni délia verità nella sua espressione più ge-
nuina, perché non la cercano in maniera disinteressata. Al contrario,
una schiettezza candida è la sola attitudine ammissibile tra i figli
di Dio che sono stati costituiti nella libertà di Cristo (Gai., vi, 31) e
che celebrano incessantemente una pasqua di sincerità e di verità (I
Cor., v, 8).
Lo schéma di questo lavoro è semplice: tra una introdu-
zione che caratterizza il fatto «riforma», quale si présenta oggigiorno,
e una conclusione, vi sono due grandi parti, aile quali si è pensato
doverne aggiungere una terza: 1. Perché e in quale senso la Chiesa
si riforma continuamente? 2. A quali condizioni una riforma puô es­
sere genuina ed attuarsi senza rotture? 3. Riforma e Protestantesimo.
Si sono talvolta aggiunti, sotto forma di Excursus o di Appendice,
alcuni sviluppi che sembravano necessari per trattare a fondo questo
o quel problema sollevato dall’esposizione stessa.
La terza parte non era prevista nella redazione del 1946:
tuttavia parecchie questioni che sono ivi inserite erano trattate più
sommariamente, in particolare nella seconda parte, prima condizione.
Ma come si poteva affrontare il problema teologico delle «riforme»
senza porre il problema délia Riforma protestante? E come si poteva
porre questa questione senza essere obbligati a trattarla con suffi-
ciente profondità? Ben presto ci siamo trovati impegnati in un lavoro
considerevole, iniziato alla lontana; senza dubbio l’attuale libro viene
ad esserne notevolmente appesantito. L ’argomento tuttavia esigeva
che questo lavoro fosse condotto a termine, e molti punti affrontati
nei capitoli precedenti vengono meglio esplicitati e fondati. I fedeli
e i chierici stessi che non s’interessano formalmente né al protestan­
tesimo né a certe questioni tecniche di teologia non hanno che da
saltare questa terza parte e passare direttamente dalla seconda parte
alla conclusione. Vi sono delle tavole analitiche abbastanza detta-
gliate che Ü aiuteranno a ritrovarsi.

Volesse il cielo che il présente lavoro, con le sue imperfe-


zioni, potesse servire la Chiesa, la quale, a sua volta, è la serva del
Signore—pur possedendo anche altri titoli, come quello di Sposa e
di Corpo di Cristo— . Questo lavoro noi lo dedichiamo ai nostri fra-
telli nel sacerdozio, in segno di ardente e affettuosa simpatia e di
una sincera e profonda fraternità nel servizio di Cristo e del suo
Corpo. Per ragioni facilmente comprensibili, l’avremmo dedicato a
S. Em. il cardinal Suhard, se egli, ancora présente in mezzo a noi
non solo con il suo spirito e l’autorità délia sua funzione, si fosse
degnato di accettame l’omaggio.
Le Saulchoir Fr. Yves M .J. Congar
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Osservazioni di vocabolario: Nella terza parte di questo li­


bro, in modo particolare, abbiamo scritto le parole riforma e rifor-
matore, talvolta con, e talvolta senza maiuscola. Mettiamo la maiuscola
quando si tratta del fatto storico delle riforme protestanti del xvi se-
colo, salvo quando vi è l’aggettivo protestante («la riforma prote­
stante», «i riformatori protestanti»): un po’ come quando si parla
délia Rivoluzione, senza aggiungere altro, per designare la rivoluzione
del 1789. Questo, evidentemente, non altéra il nostro giudizio, che
è espresso abbastanza chiaramente e provato nella terza parte.
Sempre nella terza parte, scriviamo «parola di Dio», talvolta
con, talvolta senza maiuscola. Si vedrà che questa maniera di fare è
determinata da un apprezzamento sull’ambiguità di questa nozione,
che puô designare un atto di Dio o una realtà ecclesiale (testo bi-
blico e predicazione).
Talvolta si utilizza la parola «riformismo»; siamo d ’accordo
che non è un bel termine e che comporta il rischio di un orienta-
mento esagerato verso le «riforme». Con questo termine intendiamo
solo una «tendenza» aile riforme: non tanto il movimento delle ri­
forme in se stesso o l’insieme delle attività di riforma, quanto cio
che le précédé e le accompagna. Il riformismo, inteso in questo modo,
è dunque ambivalente: puô rappresentare una semplice apertura ai
problemi e una volontà tesa al meglio, oppure un’inclinazione all’agi-
tazione, alla critica e all’innovazione. La parola, nell’uso che noi ne
facciamo, non implica necessariamente questo eccesso.

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