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seguire il metodo classico délia teologia, con i suoi due tempi: presa di
coscienza possibilmente compléta del «dato», elaborazione, nei limiti
del possibile, ricca e rigorosa di questo dato. Quando si tratta di
studiare la vita délia Chiesa, sotto l’aspetto délia comunione, è necessa-
rio unire all’apporto delle sorgenti propriamente dottrinali quello délia
storia e quello delTesperienza. Lo studio rimane teologico, ma il suo
oggetto, assunto dalla vita délia Chiesa, postula che al clima teologico
délia Chiesa si aggiunga una riflessione sui fatti del présente e délia
storia, i quali pure costituiscono dei «luoghi teologici». La teologia
classica délia Chiesa sarà sempre présente, ancorché non si possa pre-
tendere di dire tutto e di rendere ragione di ogni cosa: cià postule-
rebbe un intero trattato. Ancor meno si puô pretendere di dire tuttc
e di giustificare tutto in dettaglio nell’evocazione dei fatti.
Occorreva soltanto sceglierne alcuni significativi e fornire uns
documentazione che permettesse di rendersi conto se le nostre afierma-
zioni erano provate e le nostre interpretazioni autentiche.
È chiaro che, in questo campo e seguendo un metodo del gé
néré, vi è il rischio di dare talvolta l’impressione d ’esprimere una
maniera di vedere completamente personale, fors’anche intéressante,
ma che rispecchia il pensiero di un solo uomo. Ogni lavoro teologico,
a meno che non rifletta il pensiero e l’opera di nessuno, ma sia una
specie di rubrica impersonale e prefabbricata, un po’ come 1’Ordo o il
regolamento delle poste, comporta già una dimensione d’elaborazione
personale. La congiunzione tra la dottrlna teologica ed il dato vitale
awiene nello spirito d’un uomo, perciô è impossibile raggiungere il
medesimo grado o il medesimo tipo d ’oggettività di una tesi di teo
logia classica de Trinitate o de Christo. Qui non si tratta che di un
Essai: un genere meno compiuto, sotto l’aspetto dogmatico, dei trat-
tati classici, ma forse altrettanto necessario. Perciô noi usiamo ancora
spesso la prima persona: questo s’addice all’enunciato d ’un pensiero
che ritiene di poggiare su solide fondamenta, ma si tratta del pensiero
d’un uomo in ricerca, più che délia dottrina d’una Chiesa o d ’una
scuola in possesso délia verità.
La garanzia d ’oggettività si basera, da una patte, sulla qualité
dell’ecdesiologia che si è presa come fondamento: e toccherà ai teo-
logi pronunciarsi in materia; dall’altra, sulla qualità délia documenta
zione storica, che è di competenza degli storici. Abbiamo fatto nume-
rose citazioni, con il rischio d’appesantire l’opera e di apparire pe-
danti, per mostrare che il nostro lavoro pu6 rivendicare, come una
specie di patrocinio, l ’appoggio di numerosi spiriti, se non addirittura
quello delTesperienza e del consenso comuni, che si tratterebbe sol
tanto di raccogliere. In tal modo gli inconvenienti d’un pensiero trop-
po personale vengono notevolmente attenuati.
Qualcuno troverà forse un altro motivo d’insoddisfazione nel-
l’argomento di questo studio. È stato redatto, salvo la parte terza,
nel 1946, nel clima riformista evocato nell’introduzione. A quel tempo
ci siamo posti noi stessi la questione sull’opportunità di trattare un
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taie soggetto: non si rischiava forse in tal modo d’alimentare cio che
poteva esservi d ’intempetante nel movimento di punta? Di fomentate
un certo malcontento, una sfiducia nella Chiesa, nelle stesse sue forme
d ’esistenza, nella sua gerarchia?
Ci parve tuttavia che le nostre conclusioni, poggianti su basi
solide, non erano per nulla sediziose; che spettava al teologo, re-
stando sempre nei limiti délia sua competenza, illuminare sacerdoti e
fedeli su questo punto come su altri; che in ogni modo era suo com-
pito studiare un fatto tanto costante nella vita délia Chiesa come
quello delle «riforme»: del pari che è compito dello storico e del so-
ciologo studiare il fatto «rivoluzione» nella storia delle société2. Tal-
volta ci si spaventa per la parola «riforma», perché la storia l’ha tra-
gicamente associata al fatto di una autentica rivoluzione.
Sembra che su di essa pesi una specie di maledizione. Bisogna
ammettere che è un po’ vaga e che puô designare sia il semplice
sforzo per ritornare all’osservanza dei buoni principi— in questo senso,
dobbiamo riformarci ogni giorno— sia i grandi e spettacolari sconvol-
gimenti che distruggono più di quanto non edifichino. Siamo perfetta-
mente coscienti che esistono delle false riforme. Ma tutto ben consi-
derato, «riforma» non esprime nulla di anormale, anzi qualcosa d ’as-
sai banale: ce ne renderemo conto quando preciseremo con esattezza
di che si tratta. E d ’altronde, se la questione è delicata, non la si puô
forse affrontare delicatamente, con serietà e rispetto, nell’ambito d’una
visione costruttiva e tradizionale délia Chiesa? Dato poi che essa s’im-
pone in ogni modo e che non si corre il rischio d ’affrontarla malde-
stramente, bisogna forse lasciarla a quelli che ne tratteranno in ma
niera brutale e con superficialità? Non è forse meglio illuminare co-
loro che sono preoccupati da taie questione, dire loro a quali condi
zioni il loro sforzo deve sottostare, mostrare loro come la Chiesa sia
ancora più grande, più bella, più degna délia loro fiducia e del loro
amore, quando è in procinto di riformarsi, più di quando viene situata
in un emipirico fittizio e illusorio d ’immobilità e di perfezione? «Oc-
corre dire la verità,— scriveva sant’Agostino— soprattutto quando una
difficoltà rende ciô più impellente; coloro che ne saranno in grado
capiranno. Per paura che tacendo in considerazione di coloro che non
sono in grado di capire, non soltanto si frustri la verità, ma si lasci
nell’errore coloro che possono afferrarla ed evitare l’errore...»3.
Si voleva tuttavia evitare, nei limiti del possibile, alcuni in-
convenienti o pericoli manifesti. Volevamo esimerci dal turbare, dal-
l ’alimentare un malessere, se ve ne fosse stato; si voleva evitare di