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Maciej Grądzki

L’importanza del saggio di Leo Scheffczyk ‘Il mondo della fede cattolica’

Nel suo libro ‘Il mondo della fede cattolica’ Leo Scheffczyk descrive l’identità della
fede cattolica. Come sappiamo, molto spesso accade, che l’identità della fede non è conosciuta
non solo dai non credenti, ma purtroppo, per quanto brutto possa sembrare, anche spesso da
questi, che si considerano cattolici. Descrivendo l’identità, il cuore della fede cattolica
Scheffczyk mostra la sua bellezza, logica, universalità, e soprattutto il fatto, che questa fede
contiene in sé la risposta per tutte le più profonde domande e desideri dell’uomo. Alle tendenze
della indifferenza di fronte alla cattolicità e una molto ampiamente diffusa opinione che questa
fede appartiene al passato e che non è rilevante per l’uomo di oggi, Scheffczyk nel suo libro
contrappone una descrizione della fede, che senza dubbio può essere attraente anche per l’uomo
contemporaneo.

Impostazione del pensiero, ‘Et’ cattolico

Di notevole importanza è l’analisi e descrizione del ‘et’ cattolico come impostazione


del proprio pensiero cattolico. Seguendo H. U. von Balthasar L. Scheffczyk sostiene, che il
modo di pensare cattolico può essere immaginato come un ‘pensiero ellittico’: “la struttura
ricercata riceve qui la forma di una ellissi in cui compaiono due punti focali. Ora, come è noto,
sulla curva di una ellissi ogni punto possiede un riferimento determinato e univoco a entrambi
i fuochi”1.
Di unica importanza è il fatto che il modo cattolico di vedere il mondo, il modo di
pensare mostra in tutta la sua storia una notevole costanza. Questo fatto merita ammirazione
soprattutto guardando al grande numero e alla diversità dei problemi che doveva affrontare la
fede cattolica. Come scrive L. Scheffczyk: “mettendo diversi problemi e questioni in confronto
con i punti focali della ellissi”, la chiesa è sempre riuscita a essere costante. Con ‘punti focali’
si intendono le importanti formule come: “Dio e mondo, natura e grazia, scrittura e tradizione,
tradizione e progresso, fede e opere, parola e sacramenti, sapere e fede, libertà e legame,
ragione e mistero, individuo e comunità, mistero e carisma”. Si può constatare, che queste
questioni non sono mai contradittorie ma a causa della loro “connessione con entrambi punti
focali”, è sempre possibile trovare unità fra essi. Tutto ciò comporta il vantaggio che nella fede
cattolica non si trova un inaspettato cambio, una rottura con il passato o un cambiamento di
direzione. Guardando la storia del cattolicesimo ci si può meravigliare della sua continuità e
stabilità. È anche vero che nelle composizioni delle formule sopra menzionate si può sempre
trovare una duplicità. Il pensiero delle fede cattolica è sempre chiamato a riconoscere questa
duplicità per portarla all’unità e spiegarla. Il riconoscimento di questa struttura della realtà porta

1
L. SCHEFFCZYK, Il mondo della fede cattolica. Verità e forma, Casa editrice Vita e Pensiero, Milano 2007, p.
49.
alla determinazione del modo di pensare, il quale di conseguenza viene usato ogni volta quando
bisogna intendere una questione nuova, riguardante la fede2.
L. Scheffczyk scrive che una concezione più profonda dell’impostazione del pensiero
cattolico può essere aggiunta comparandolo con il pensiero protestante. La differenza nella sua
essenza può essere espressa con il termine ‘solamente’, il quale era stato introdotto dalla
Riforma. Questo fatto, secondo Scheffczyk è stato descritto in modo adeguato da K. Barth. K.
Barth nel suo scritto ‘Der Römerbrief’ si distanzia molto decisivamente dalla analogia, polarità
e continuità. In questo scritto domina chiaramente l’idea di esclusività, distanza e discontinuità
tra uomo e Dio e di conseguenza tra natura e grazia, la rivelazione e il pensiero naturale.
Secondo tutte queste constatazioni l’uomo ha ancora solo significato come uno spazio vuoto
per l’accoglienza dell’annunzio di Dio. Nella teologia di Barth non c’è analogia tra Dio e il
mondo, ma reciproca opposizione, non vediamo “et – et”, ma ‘solamente’, cioè sola fide, sola
gratia. Questo naturalmente non è solo l’approccio di Barth, ma appare in diversi scrittori3.
Nonostante ciò non si deve pensare che nel pensiero protestante la molteplicità e complessità
siano completamente sconosciute. Non si può neanche capire il pensiero protestante dentro la
contrapposizione fra la cattolica ‘pienezza’ e la protestante unilateralità. Nella maniera di
pensare protestante si riconosce un’altra caratteristica, cioè che l’iper-concentrata unità
costituita dal ‘solamente’ può essere capita solo come un paradosso o unità nella
contrapposizione. Il pensiero protestante raggiunge la sua capacità per arrivare alla conclusione
solo ammettendo una contraddizione irrisolvibile. L’esempio di questo è la spiegazione del
principio sola gratia e del connesso principio della ‘non-libera volontà’ di Schwarzwaller il
quale afferma che questa tesi di Lutero sia infatti un assurdo. Schwarzwaller scrive, che
l’esigenza di compiere la legge mentre questo è completamente impossibile per l’uomo è infatti
un assurdo, tuttavia per il fatto che questo assurdo viene per così dire accettato o ammesso,
l’assurdità del vangelo non viene rifiutata, grazie a ciò l’uomo è reso libero di entrare nella
comunione con Dio. Secondo Scheffczyk si può constatare che in una tale maniera di pensare
non si trova equilibrio fra numerosi elementi4. Scheffczyk scrive:
Se si volesse ricondurre la struttura del pensiero riformato ad un’immagine, in modo
da chiarirne la differenza dall’impostazione cattolica, si può ricorrere a quella di un
pensiero «accentrante». Mentre il pensiero ellittico si struttura sempre lungo i due
punti focali, il pensiero che accentra mira solo al punto mediano, al nucleo, alla radice,
in modo tale che si tratti sempre di muovere da questo centro e di ritornarvi ogni volta.
Il pensiero protestante, nell’auto-comprensione della teologia evangelica, mira,
dunque, sempre all’essenza, prescindendo dalle pretese inessenzialità. Esso si propone
costantemente (certamente in un senso positivo) nella forma della radicalità, della
decisività e dell’assenza di compromessi, perché ciò che ha a cuore è la totalità, una
totalità che, però, deve essere allo stesso tempo compressa in un unico punto. Nel
confronto con questa impostazione, la legalità del pensiero cattolico appare
disorganica, complessa, se non addirittura ornata di svolazzi o mescolata con
ornamenti superflui che non dicono nulla dell’essenza, ma al contrario la alterano.5

Scheffczyk scrive anche che il pensiero protestante attribuisce al cattolicesimo un


continuo prendere rifugio al mistero, il mistero della fede. In base a questo si può, secondo
Scheffczyk, concludere che il protestantesimo è alla fine molto più dottrinale che il pensiero

2
Cf. Ibid., p. 49.
3
Cf. Ibid., p. 50-51.
4
Cf. Ibid., p. 54.
5
Cf. Ibid., p. 54-55.

2
cattolico. Questo a ragione del fatto, che il cosiddetto obbligo del principio ‘solamente’ esclude
la possibilità di ammettere il mistero o l’oscurità mistica. La conseguenza di ciò è un
razionalismo forte e dottrinario. Tutto questo si fa ben visibile quando nella teologia protestante
invece di mistero della fede si parla del paradosso della fede.
Scheffczyk sottolinea anche la necessità di scoprire un fattore il quale potrebbe garantire
l’unità nel modo di pensare di fronte all’accusa che il pensiero cattolico sia un pensare
dialettico, specialmente quando si tratta di relazione tra Dio e uomo. Scheffczyk scrive: “Se si
dice, infatti, che il mondo deve essere preso sul serio, ma non senza Dio , si dice anche che Dio
non deve mai essere perduto dallo sguardo in ragione della sua importanza – nello stesso
tempo, pero il mondo e l’uomo non devono mai essere ignorati nel loro volere”6. Secondo
Scheffczyk il pensiero rimarrebbe indeciso quando si vuole richiamare soltanto su questi due
principi. Non potrebbe mai dire definitivamente sì o no. In realtà il cattolicesimo si difende
facilmente contro questa accusa, per la sua affermazione molto chiara della fede e della morale.
Al livello teoretico però questa accusa potrebbe mantenersi, “per questo il pensiero cattolico e
la sua tradizione nell’ambito della prassi devono essere caratterizzati da ricerca e della
posizione di questo fattore unificante”7. Questa ricerca è anche importante di fronte all’accusa
che il cattolico ‘et-et’ può condurre al posizionamento di Dio ed uomo allo stesso livello e anche
al sinergismo della dottrina della grazia. Non si può sicuramente pensare che questo terzo
fattore sarebbe qualcosa al di fuori di Dio, questo significherebbe che esisterebbe qualcosa di
più grande di Dio stesso. C’è allora solo una risposta a questo dilemma: “la forza unificante
deve essere contenuta in Dio stesso”8. Scheffczyk trova affermazione di questa verità
nell’insegnamento del magistero del IV Concilio Lateranense (1215) quando esso parla sulla
analogia. Il concilio conferma che la constatazione della similitudine contiene sempre una più
grande dissimilitudine. In questa maniera Dio rimane sempre il più grande. Secondo Scheffczyk
anche la formula ‘Deus semper maior’ è una garanzia, che dentro l’analogia e nel “et” cattolico
il primato deve essere sempre accordato a Dio. Nell’aggiunta del ‘Deus semper maior’
all’analogico “et-et” si trova la concretizzazione cattolica decisiva9.

Universalità del cristianesimo cattolico

Come scrive Scheffczyk la questione dell’universalismo della cristianità cattolica non


può essere spiegata in maniera facile, perché in ogni vero movimento spirituale è presente una
certa universalità o pretesa di universalità. L’universalità del cattolicesimo può essere
dimostrata attraverso la comparazione con diverse religioni.
Scheffczyk comincia il suo ragionamento con la descrizione delle religioni del mondo
antico. Non si può negare, che i culti misterici del mondo ellenistico, sorti nell’Asia minore si
sono diffusi in tutto l’Impero Romano, e ciò potrebbe affermare un certo universalismo. C’è
però sicuramente una grande e decisiva differenza fra questi culti e la cristianità. Quale è allora

6
Ibid., p. 57.
7
Ibid., p. 57.
8
Ibid., p. 58.
9
Cf. Ibid., p. 59.

3
questa differenza? I culti misterici si sono dispersi grazie al fenomeno del cosmopolitismo
dell’epoca antica. Questo cosmopolitismo è un fenomeno culturale determinato da un serio
pensiero come per esempio l’idea di unione di tutti gli uomini, la loro dignità e libertà. Tuttavia
questo significa che l’universalità di questi culti misterici è un’universalità basata sulle
considerazioni umane. Infatti questi culti antichi erano sempre aggregazioni segrete esistenti
solo dalle persone prescelte, oltretutto dirette alle persone appartenenti a determinati gruppi
sociali10.
Più difficile sembra affermare quantitativamente l’universalità del cristianesimo di
fronte alle religioni che rivendicano la stessa pretesa. Per prima cosa si può sicuramente
confermare che queste religioni hanno un’origine etnica e culturale, il che significa di fatto la
loro limitazione. Anche se a partire del secolo XIX queste religioni hanno conosciuto un’attività
missionaria, non si può confermare l’universalità di una religione solamente sulla base della
sua spinta missionaria, il che vale sicuramente anche per il cattolicesimo. I criteri ultimi
dell’universalità devono essere, pertanto, immanenti ed essenziali11.
Il buddismo non contiene certamente l’universalità perché mira alla negazione del
mondo e della vita. Queste negazioni contraddicono la totalità. In questo caso la totalità non
viene cercata, ma giustamente negata.
Neanche le considerazioni dell’induismo possono essere comparate con l’universalità
del cattolicesimo. Una fede fortemente politeistica impedisce l’universalità, perché in essa i
diversi dei impediscono uno all’altro nel loro (immaginato) agire, e in questo modo la riuscita
di una reale generalità e totalità vengono impedite. Nell’induismo si crede nell’esistenza di una
realtà più alta, i cammini conducendo a essa sono differenziati. Le religioni di questo tipo non
sono senza dubbio in grado di creare l’universalità. Scheffczyk afferma: “solo una religione
monoteistica può, quindi affermare un vero e proprio universalismo – una realtà che abbia,
cioè una realtà essenzialmente qualitativa”12.
Dalla comparazione della cristianità con l’islam risulta come queste due grandi religioni
contengono una grande differenza nella loro immagine di Dio, dell’uomo e della sua
destinazione finale. La religione islamica ha un’immagine di Dio molto naturalistica, dove non
c’è spazio per l’amore soprannaturale e la grazia, il che costituisce l’essenza della fede cristiana
a causa del profondo mistero dell’immagine trinitaria di Dio. Allah viene visto e sperimentato
dai musulmani come creatore e giudice, ma non come redentore. Una tale comprensione di Dio
fa dell’islam una religione strettamente legalistica, dove la libertà umana non ha valore, a causa
della destinazione dell’uomo per Allah già precedentemente determinata. Anche il compimento
dell’uomo viene visto in un’ottica naturalistica. Si può allora constatare che la mancanza della
dimensione soprannaturale dell’amore e della grazia è quindi mancanza della dimensione
trinitaria di Dio, e ciò priva l’Islam di una grandezza decisiva. Non si può quindi trovare
nell’islam l’universalità propria del cristianesimo13.
Visto che, come conferma Scheffczyk, ogni verità naturale possiede già in se stessa un
riferimento all’universalità è certo che anche le moderne visioni del mondo, le dottrine
filosofiche della salvezza e le diverse ideologie mirano anche a una validità universale. Nel

10
Cf. Ibid., p. 76.
11
Cf. Ibid., p. 77.
12
Ibid., p. 78.
13
Cf. Ibid., p. 78-79.

4
rapporto di queste con il cristianesimo rimane senza dubbio decisiva quella dimensione
sovrannaturale propria solo al cristianesimo. Come afferma Scheffczyk dal punto di vista
formale deve essere considerata universale solo quella religione, che “corrispondendo al tutto
e comprendendo il tutto presenta la grandezza sovrannaturale e svaluta la delimitazione ad
una sola dimensione universalistica”. L’ateismo si mostra quindi dal punto di vista teologico
come subordinato al teismo per quanto attiene alla pretesa di universalità. Ateismo non potrebbe
in nessuno caso reclamare la universalità, perché negando la realtà divina, non può in nessun
modo conoscere la totalità14.
Riassumendo diventa chiaro, che l’universalità del cristianesimo deriva dalla sua
rappresentazione di Dio. Come scrive Scheffczyk citando von Balthasar “una chiesa può essere
cattolica, solo perché Dio è cattolico per primo”15.

La ragione teologica dell’universalità del cristianesimo e della chiesa

Nella comprensione dei Padri l’evento di Pentecoste e il seguente miracolo delle lingue
diviene il simbolo della ricostruita comunione dei popoli, la quale è stata distrutta nel momento
della costruzione della torre di Babele. Nella pienezza dei tempi tutti i popoli vengono invece
di nuovo riuniti per l’azione dello stesso Spirito Santo. Anche il diffondersi dell’annuncio nelle
diverse lingue viene visto come conferma della pienezza illimitata del cristianesimo, cosi come
la possibilità di capire questo annuncio dalle persone provenienti dai diversi popoli e quindi
dalle diverse lingue diveniva il segno di un principio divino interiore. Si è giunti alla
convinzione dell’esistenza di una universalità che era sorta nella forma di una ‘comunione
interiore’ che non si estendeva solo esteriormente, ma che riguardava l’essenza più intima
dell’uomo inteso quale essere comunitario. Questa convinzione deriva dal fatto che ognuno che
ascoltava l’annunzio del vangelo dopo la venuta dello Spirito Santo poteva sentire
contemporaneamente nella sua propria lingua la stessa verità. Così si giunge a vedere
l’universalità come una forma di comunione interiore, che non si mostra solo esteriormente, ma
che riguardava l’essenza più intima dell’uomo inteso quale essere comunitario16. Come afferma
Scheffczyk:
Cosi fu derivata dal principio dello Spirito Santo la ragione teologica dell’universalità
del cristianesimo e della Chiesa. Lo ‘Spirito Santo’ era inteso come il principio che
unisce nella divinità, come la forza derivante dal Padre e dal Figlio che è in grado di
racchiudere in sé tutto, come il potere in ragione del quale dall’io e dal tu del Padre e
del Figlio procede la nuova totalità del noi“. Quando questa forza si comunica
all’umanità, la comunità che ne è coinvolta diventa parte di tale totalità, venendo essa
stessa ‘universalizzata’. Anche in essa lo Spirito diventa il principio della totalità,
dell’orizzonte complessivo e della pienezza. Così, la cattolicità del cristianesimo può
essere ricondotta e fatta derivare dal suo essere religione dello Spirito divino
universale17.

14
Cf. Ibid., p. 79.
15
Cf. Ibid., p. 79.
16
Cf. Ibid., p. 80.
17
Ibid., p. 80-81.

5
Questa spiegazione però non può essere l’unica. Certamente il cristianesimo e la chiesa
non possono essere compresi solamente nei termini della religione dello spirito. Oltretutto,
come afferma Scheffczyk un’universalità di questo tipo sarebbe invisibile e puramente interiore
e così ad essa mancherebbe un elemento essenziale per l’uomo: quello dell’evidenza, della
carnalità e della concretezza18.
Un’altra ragione per la quale l’universalità non può essere vista solo come il frutto della
venuta dello Spirito Santo è un altro evento il quale precede nella storia della salvezza l’evento
di Pentecoste. Questo evento di origine è l’evento di Cristo cioè l’incarnazione di Dio. In questo
avvenimento una persona divina diventa uomo e in questa maniera innalza l’uomo e l’intera
creazione. Lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo, Dio diventato uomo, il quale invia il suo
Spirito per portare a compimento la sua opera di salvezza. Per questo motivo si può confermare
che l’universalità della chiesa è basata sull’incarnazione, intesa come essere e avvenimento19.
L’incarnazione è quindi anche il motivo per il quale l’universalità del cristianesimo non manca
di evidenza e concretezza.
All’inizio della storia della chiesa era già chiaro, che una comunità è cattolica e
universale nella misura in cui sono presenti in essa Cristo e il suo amore. Come afferma
Scheffczyk nell’incarnazione “considerando anche l”et-et”, la ‘compexio oppositorum’ viene
ricondotta ad unità, il creato viene completamente assunto nel divino, senza perdere la sua
qualità di creatura, prendendo addirittura parte all’incondizionatezza del divino”20.
L’argomento conclusivo per l’universalità del cristianesimo e della chiesa deriva dal
riferimento dell’opera di Cristo alla creazione21. La comprensione cristologica della creazione
viene sviluppata e spiegata già nel Kerygma di Paolo e Giovanni. Questa comprensione collega
la realizzazione della salvezza con l’origine della creazione, ciò come afferma Scheffczyk
significa che “l’opera di Cristo comincia a svilupparsi già con la creazione”22, la creazione
viene intesa come un avvenimento di salvezza che si realizza pienamente in Cristo e in vista di
Lui23. Alcuni padri della chiesa sostenevano anche la tesi secondo la quale questa concezione
può essere riferita anche alla chiesa, la quale sarebbe “pianificata fin dall’inizio come lo scopo
più alto e proprio della creazione”24.
Visto tutto questo, l’avvenimento di Cristo non viene compreso in un modo isolato,
altrimenti non potrebbe garantire definitivamente l’universalità. L’incarnazione di Dio in Cristo
è avvenuta in un momento determinato e preciso della storia, allora se non sarebbe stata
connessa con un evento precedente, cioè la creazione, potrebbe garantire universalità al
massimo in avanti, però non per il tempo precedente. Una tale limitazione sarebbe molto
significativa perché avrebbe danneggiato l’universalità nella sua qualità intrinseca25.

18
Cf. Ibid., p. 81.
19
Cf. Ibid., p. 81.
20
Ibid., p. 82.
21
Cf. Ibid., p. 83.
22
Cf. Ibid., p. 82.
23
Cf. Ibid., p. 82.
24
Cf. Ibid., p. 83.
25
Cf. Ibid., p. 82-83.

6
Per concludere si può dire, secondo Scheffczyk, che l’universalità del cristianesimo e
della chiesa si fonda su queste tre radici teologiche: la sua pienezza spirituale, la sua origine
cristologica e la sua corrispondenza con la creazione26.

Trinità

Parlando dal punto di vista di esperienza pastorale di uno dei paesi più ricchi e più
secolarizzati del mondo, si può senza dubbio affermare, che il saggio di Scheffczyk rimane
attuale e di grande importanza per la sua spiegazione e affermazione degli elementi
fondamentali della fede cattolica. Fra i cattolici olandesi, anche quelli, che regolarmente
frequentano la chiesa, si osserva purtroppo una forte tendenza a credere solo in ciò, che è stato
fatto da un uomo, quindi in ciò a cui si può pensare, che trova la sua origine nell’uomo (sviluppo
tecnico), o che può essere da lui scientificamente spiegato (la natura e i processi, che si svolgono
in essa). Per questi motivi la fede nel mistero della Trinità, il cuore della fede cattolica viene
spesso dimenticata e messa da parte. Nonostante l’affermazione di Scheffczyk, che anche dopo
qualsiasi prova di spiegazione la Trinità resta un mistero per quanto riguarda il suo essere, la
sua realizzazione e la sua modalità d’esistenza27, le sue descrizioni di questo mistero risultano
avere un grande valore.
La mancanza della fede nella Trinità, un Dio in Tre Persone distinte, ma non separate,
quando per esempio questo mistero viene presentato come una specie di divinità trina, o
addirittura tre dei, ha come sua immediata conseguenza l’impossibilità di comprendere e
credere nell’avvenimento di Cristo, il centro della fede cattolica28. Senza dubbio si può
confermare che lo specifico cristiano si trova nella persona di Gesù Cristo. La dove non si vede
Cristo come seconda persona divina della Trinità, lui non può essere di più che solo un inviato
di Dio, anche se straordinario, come i profeti o anche i santi29. Da unico Salvatore dell’uomo,
Gesù Cristo diventa non più che un buon esempio.
Scheffczyk conferma quindi, che da una parte non si può arrivare alla fede in Cristo
senza la fede nella Trinità, dall’altra parte non si può credere nella Trinità senza Gesù Cristo,
perché lui stesso a rivelato all’uomo Dio Padre e lo Spirito Santo. Il Nuovo Testamento mostra
in molti passi, come la Trinità non può essere considerata un semplice essere fianco a fianco.
La chiesa ritiene, che la Trinità è una unita di essere, in se stessa tuttavia differenziata, laddove
la differenza viene data dal concetto di persona. Secondo la Rivelazione ciascuna delle tre
persone della Trinità ha lo stesso significato salvifico. Questo in conseguenza, come afferma
Scheffczyk significa uguaglianza di dignità, di potenza e di pienezza di vita.
Il senso di questa fede trinitaria può essere, secondo Scheffczyk chiarificato riferendosi
“al concetto neotestamentario dell’essenza di Dio come amore (1 Gv 4,16)”. Si deve
sottolineare, che l’attestazione ‘Dio è amore’ è concentrata in modo molto chiaro sul verbo

26
Cf. Ibid., p. 83.
27
Cf. Ibid., p. 179.
28
Cf. Ibid., p. 176-177.
29
Cf. Ibid., p. 177.

7
essere. Questa attestazione non può significare soltanto che Dio attua con amore verso gli
uomini attraverso la creazione, la redenzione e la benedizione. Scheffczyk scrive:
Questo -è- deve essere compreso, in modo più profondo, come un’affermazione che
riguarda l’essenza stessa di Dio, in virtù della quale si può dire che Dio, anche
indipendentemente dalle opere verso l’esterno, vive in se stesso come amore ed è
essenzialmente pienezza d’amore. Questa immanenza dell’amore, però, non è
possibile nella forma di un amore a se stesso, ma soltanto come amore interpersonale.
Per tale ragione, nel mistero della Trinità si comunica l’idea secondo cui Dio è, nel
suo stesso essere, un avvenimento personale d’amore, il che lo fa essere colui che vive
in modo pieno, non secondo una natura statica, ma nella forma di una dinamica
personale. Tale dinamica, però, non può compiersi in modo uni-personale, ma può
realizzarsi come abbiamo detto soltanto in modo interpersonale; pertanto, essa si
realizza tra un ‘io’ e un ‘tu’ che, nel loro rapporto reciproco, ottengono, come frutto,
qualcosa di ancora più grande, ossia il‘ noi’ personale.30

Senza la fede nel mistero della Trinità si tende ad una concezione di Dio come una sorta
di sommo principio o di suprema legge del mondo. Dio viene quindi visto soltanto come una
semplice funzione di origine e di conservazione dell’ordine mondano. Così la partecipazione
dell’uomo alla vita divina resta impossibile. Un tale concetto di Dio rende impossibile anche le
preghiere dell’uomo. Scheffczyk scrive: “se Dio invece è un cerchio – per servirsi di
un’immagine – di vita intrinsecamente trinitaria formato da persone, diventa possibile che
l’uomo sia incluso in esso”31.
Visto il fatto, “che uomo non può vivere senza amore”32 l’argomentazione e spiegazione
del mistero della Trinità basata proprio sull’amore dovrebbe essere concepibile e attraente per
ogni uomo. Anche per l’uomo in apparenza indifferente.

Unicità della cristianità cattolica

Come appena descritto la fede nel mistero della Trinità costituisce il cuore della fede
cristiana. Scheffczyk afferma, che l’uomo però non può arrivare alla conoscenza (sempre
limitata) di questo mistero senza conoscenza di Gesù Cristo. La sua spiegazione dell’unicità
dell’avvenimento di Cristo appare di una notevole importanza contro la convinzione, molto
diffusa fra i contemporanei cattolici, che la fede cattolica sia solo una fra le tante religioni e che
tutte queste religioni abbiano lo stesso valore. Certamente ogni cristiano deve mostrare rispetto
per le altre religioni come la conseguenza del rispetto per la dignità di ogni uomo, non sembra
però fuori luogo constatare che ogni cristiano cattolico, cosciente della sua propria identità
cristiano cattolica, dovrebbe essere fiero della sua fede e consapevole che con la fede ha
ricevuto qualcosa di più degli altri. Questa convinzione certamente non lo deve portare alla
superbia, l’innalzamento e la separazione dagli altri. Nella pratica pastorale appare chiaro, che
molti cattolici non considerano la fede cattolica, la quale sarebbe la loro fede, come qualcosa

30
Ibid., p. 179.
31
Ibid., p. 180.
32
GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Redemptor hominis (4 marco 1979) n.10: AAS 71 (1979) 274.

8
di differente delle altre religioni33. Con altre parole nell’opinione di molti cattolici, la fede
cattolica è una religione fra le tante, le quali tutte hanno lo stesso valore.
Nel suo saggio Scheffczyk descrive in modo molto chiaro e adeguato l’unicità e bellezza
della fede cattolica. Questa unicità e bellezza provengono dalla persona di Gesù Cristo, il quale
non può essere considerato uno dei tanti fondatori di religioni e comparato con essi. Qui deve
essere richiamato il mistero dell’incarnazione. Come insegna la fede nell’incarnazione divina,
in Cristo Dio e l’uomo sono una persona. In conseguenza l’avvenimento dell’incarnazione e
questa persona divina e umana costituiscono l’essenza stessa della religione, della dottrina e del
culto34.
Dalla comprensione dell’incarnazione del Logos, cioè dell’avvenimento di Cristo,
diventa chiaro che il cristianesimo cattolico intende la salvezza in modo completamente diverso
dalle altre religioni. Come afferma Scheffczyk, secondo la comprensione cattolica ‘la salvezza
non giunge all’uomo soltanto come un’idea e non tocca solo lo spirito o l’esistenza’35. Questo
conferma che “l’essenza del cattolicesimo può essere trovata nel fatto che il cristianesimo si
riferisce all’uomo intero”36. Nella fede cattolica la salvezza è chiaramente realistica e donata
all’uomo intero, anima e corpo. In questo modo tutto il cristianesimo cattolico intende e fa tutto
il possibile per rivolgersi e proporsi all’uomo ‘tenendo conto della totalità della sua umanità37.
Bisogna richiamare qui il fatto, che la chiesa si rivolge all’uomo con i segni e simboli percepibili
e comprensibili per lui e anche con le affermazioni antropomorfiche a proposito di Dio e delle
cose divine. Scheffczyk afferma che il fatto che nella percepibilità e negli antropomorfismi del
cattolicesimo è possibile vedere qualcosa di primitivo è una conferma di uno dei fondamenti
della fede, cioè dell’incarnazione. L’incarnazione per la quale Dio è diventato uomo ha portato
come frutto che anche l’uomo stesso nella sua complessità è diventato degno di Dio – il che,
detto in altre parole, significa che le forze della salvezza sono a lui accessibili38.
Come afferma Scheffczyk: “è estremamente significativo il fatto che il cristianesimo
cattolico voglia essere una fede pensante, vale a dire una fede che è in grado di seguire il
giudizio della ratio, quindi ragione – un organo della comprensione spirituale, della capacità
di conoscere la verità e della dedizione ad essa”39. Questa affermazione è indubbiamente di
molta importanza di fronte alle accuse molto diffuse contro il cattolicesimo, il quale da molti
viene visto come irrazionale, obsoleto e non rilevante per l’uomo di oggi. Si può dire, che tutto
il libro di Scheffczyk ‘Il mondo della fede cattolica’ vuole mostrare l’attualità del cattolicesimo
e la sua ragionevolezza.
Nel suo libro Scheffczyk afferma anche il fatto fondamentale che nella cristianità
cattolica non esiste una separazione tra fede e vita, il che significa che questa fede ha un
significato molto concreto per l’uomo, per il suo modo di agire e pensare. La fede cattolica non
è soltanto una idea o teoria, ma influisce su tutta l’esistenza dell’uomo, mostrandogli la via
della felicità.

33
Opinione del sottoscritto.
34
Cf. Ibid., p. 103.
35
Cf. Ibid., p. 102.
36
Cf. Ibid., p. 84.
37
Ibid., p. 85.
38
Cf. Ibid., p. 85.
39
Ibid., p. 85.

9
Secondo Scheffczyk proprio il dogma di Maria costituisce la conferma come nel
cattolicesimo ‘fede e vita, verità e amore, logos ed ethos, scienza e saggezza’ sono sempre
connessi40. La dottrina mariana potrebbe essere addirittura chiamata una manifestazione per
eccellenza di questa stessa fede. La causa di attribuzione a Maria di un tale significato si trova
nel fatto che Maria possiede una relazione del tutto unica con l’evento dell’incarnazione e
quindi con il Dio-uomo Gesù Cristo, “la sua figura e il suo agire costituiscono l’espansione e
l’ancoraggio più ampi del mistero divino-umano nella vita naturale dell’uomo e del mondo”41.
Per il fatto che il rapporto di Maria con il mistero di Cristo non è stato soltanto di natura
biologica, perché Maria, madre vergine ha concepito per opera dello Spirito Santo e per il fatto
che il concepimento è avvenuto dopo il suo libero consenso.42 Maria può essere chiamata
l’esempio più grande della connessione fra fede e vita o con altre parole della concretezza della
fede nella vita dei fedeli43. Nella cristianità cattolica quindi la separazione fra fede dottrinale e
realizzazione esistenziale è assolutamente impossibile. Come ricorda Scheffczyk questa verità
è stata espressa da Tertulliano nell’Apologeticum con queste parole conosciute: “vedi come si
amano tra loro”, cioè vale a dire che la fede si esprime nelle opere di carità verso il prossimo.
L’indissolubile connessione tra fede e vita è stata anche confermata dalla chiesa delle origini
con l’esclusione di quelli che hanno commesso un grave peccato dalla comunità44. La vita di
colui al quale è stata donata le fede e la grazia divina diventa feconda e si realizza pienamente
solo nell’amore. Scheffczyk scrive: “come l’amore di Dio è all’origine del processo redentore,
esso è anche il mezzo con cui tale processo viene compiuto in sintonia con il contributo dato
dalla risposta d’amore personale”45. Il cristiano è sempre chiamato a collaborare con la grazia
e compiendo le opere buone giungere alla vera felicità. Il cattolicesimo riconosce la verità che
le opere buone devono essere compiute come i frutti della grazia, ma che l’uomo non viene
salvato attraverso i suoi propri meriti, ma per mezzo della grazia.
Riassumendo si può confermare, che tutte queste considerazioni di Leo Scheffczyk
dimostrano la profondità della fede cattolica e anche come questa fede può essere attraente per
l’uomo contemporaneo, perché offre le risposte alle domande e ai desideri più seri di ogni
uomo.

40
Cf. Ibid., p. 275.
41
Cf. Ibid., p. 255.
42
Cf. Ibid., p. 255.
43
Cf. Ibid., p. 275.
44
Cf. Ibid., p. 275-276.
45
Ibid., p. 289.

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