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Il Culto di Maria

Prima di passare all’analisi dei singoli elementi che intessono l’immagine, è


necessario inquadrare le figure che appaiono nel bassorilievo, contestualizzandone al
V secolo alcuni aspetti cultuali, oltre che iconografici. Il dibattito sull’interpretazione
dei personaggi che popolano il registro inferiore dell’opera è sostanzialmente aperto,
e proprio attenendoci alle sue voci più alte 1 ci sembra coerente presentare l’ipotesi
che la figura velata, al centro del piano inferiore possa essere interpretata come
un’antica immagine di Maria.
La venerazione di Maria, presente già nella comunità apostolica, si diffuse a partire
da Gerusalemme durante il I secolo, coinvolgendo le comunità cristiane appena
formatesi della Siria e dell’Egitto, dell’Asia Minore, di Roma e di molti altri paesi del
mondo antico.
La discendenza di Maria dalla stirpe di Davide è tramandata in alcune tradizioni
complementari ai testi evangelici, nutrita dai racconti apocrifi delle chiese siro-egizie.
I motivi iconografici nell’arte paleocristiana accolgono molti spunti derivati anche da
questi testi, consolidando un’immagine e un culto che nel II secolo gode già di
un’ampia diffusione. Denominata Theotokos (Deipara, Madre di Dio) dalle fonti del
III e IV secolo2, Maria fu proclamata Madre di Dio nel 431 durante il Concilio di
Efeso, indetto a seguito della controversia teologica scatenatasi intorno al
nestorianesimo. In quest’epoca, contestuale alla rappresentazione della Madonna
scolpita sulla porta lignea di S. Sabina, il suo culto già profondamente sentito si
radica ulteriormente a Roma, così come nelle province dell’impero, nell’oriente
ortodosso come in quello gnostico. Nikodim Pavlovic Kondakov, che affrontò con
spirito quasi pionieristico gli studi specificamente mariani nella storia dell’arte, pose
l’accento sulla comprensione mistico-simbolica diffusa nei confronti della Madre di
Dio, nel V secolo3.
Il Simbolismo mariano nasce nello Spirito Santo 4. “Lo Spirito Santo scenderà su di
te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’altissimo 5” si legge nel Vangelo di
Luca, ed è di sicuro interesse per la nostra indagine il compito affidato alla Vergine
quale strumento di azione dello Spirito nel mondo, e punto di congiunzione tra i due
1
E’ opinione, come abbiamo visto in precedenza, condivisa dalla critica ottocentesca (Kondakov, Berthier),
novecentesca (Grabar) e contemporanea (Foletti). A parere di una branca della critica potrebbe anche trattarsi di Santa
Sabina: l’ipotesi fu avanzata in primo luogo da Yves Christe.
Cfr. Y. Christe, L’Apocalypse de Jean, Paris 1996 pp. 88-89
2
La definizione si legge nei testi di Ippolito, Origene, Atanasio. Cfr. Gerhart B. Ladner, Il Simbolismo Paleocristiano,
Milano 2008, p. 47.
3
Nikodim Pavlovic Kondakov, Iconografia della Madre di Dio, 1914
Edizione, traduzione ed aggiornamento a cura di I. Foletti. Viella, Roma 2014, p. 56.
4
Gerhart B. Ladner, Il Simbolismo Paleocristiano, Milano 2008, p. 47.
5
Vangelo di Luca 1,35; cfr. Matteo 1,18. Editrice Shalom, Ancona 2008 p. 289 – p. 37.
piani. Maria assume difatti il ruolo di mediatrice tra Dio e gli uomini: perché lo
Spirito attua il suo disegno attraverso di lei, per via della sua maternità, per
quell’arbitrio che liberamente accetta di farsi tramite dell’espressione divina.
“Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto6” .
Maria come canale divino è espressione viva dello Spirito Santo.
L’azione dello Spirito si colloca come elemento di unione, nel mezzo tra Dio Padre e
suo Figlio. Attraverso tutti i livelli cosmici, lo Spirito di Verità precipita
verticalmente tra le cose del mondo e congiunge il Regno di Cieli alla Terra. E’
interessante notare a questo proposito che anticamente lo Spirito Santo avesse
un’accezione sia maschile che femminile, e che ricevesse frequentemente
l’appellativo di Madre7.
Maria é al contempo espressione dello Spirito Santo, e Madre.
Come divinità femminile e materna, nella sua immagine e nel suo culto si canalizza
una mistica antica, traslata dalle culture precristiane, tramite un movimento
sincretistico che ha portato alla fusione parziale degli elementi religiosi pagani con la
dottrina cristiana8. E’ stata testimoniata con ampia e variegata corrispondenza
d’immagini e fonti, la confluenza del culto tradizionale della Dea Madre 9, diffuso
nelle sue diverse sfumature in tutto il bacino del Mediterraneo, nella figura di Maria e
la maniera in cui la sua immagine, come tutta l’arte cristiana delle origini, proceda
dal lessico dell’arte antica10. Ne tracceremo un profilo, certamente non esaustivo,
focalizzandoci su quanto, nel vasto spettro delle personificazioni della Dea, è da porsi
in relazione con la nascente iconografia mariana, ed in particolare su quei caratteri
che partecipano della rappresentazione della Madre di Dio come divinità cosmica,
viatico circondato di stelle, precognitrice della visione divina.
Le immagini della Madre di Dio maturano dal sottosuolo dei culti isiaci: la religione
egizia, ed in modo particolare la venerazione di Iside, erano a Roma particolarmente
diffusi11. Una delle raffigurazioni proprie della Dea Iside è la Vergine dello Zodiaco e
6
Vangelo di Luca 1,38 Editrice Shalom, Ancona 2008 p. 289.
7
‘E canto il Figlio, primogenito che primo rifulse. Figlio glorioso del Padre ineffabile, Te io canto con gli inni, beato,
ed insieme il Padre possente e l’Atto del Padre per generarti, la volontà feconda, il principio intermedio, Spirito Santo,
centro del Genitore e del Figlio. Essa è insieme Madre, Figlia, Sorella, che ha fatto da levatrice alla radice nascosta’ .
SINESIO DI CIRENE Opere: Epistole, Operette, Inni. A cura di A. Garzya, UTET, Torino 1999. Cfr. SINESIO DI
CIRENE NELLA CULTURA TARDOANTICA, ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE, (Napoli – 19/20
Giugno 2014). Ledizioni, Milano 2016, p. 33.

8
Cfr. Nikodim Pavlovic Kondakov, Iconografia della Madre di Dio, 1914. A cura di I. Foletti. Viella, Roma 2014, p.
159.
9
E. Neumann La Grande Madre, Astrolabio, Roma 1981.
10
GRABAR Le vie dell’iconografia cristiana, a cura di Mauro della Valle. Jaca Book, Milano 2011
11
Il fondersi di questi culti e la capacità della nuova fede cristiana/mariana di assorbire la profonda devozione nutrita
verso Iside è un moto ‘reciproco’, come una naturale osmosi tra il culto precedente che investe della propria forza il
culto nascente di Maria. Così come Iside venne in parte traslata nella figura della Madonna, al contempo la prima chiesa
egizia si distinse per il culto ardente rivolto alla Madre di Cristo, quando ancora in molte regioni dell’Impero questo era
negli antichi inni egizi era d’uso rivolgersi a lei come alla Signora delle Stelle 12.
Divinità lunare per antonomasia, Iside è coinvolta in altrettanti aspetti propri del culto
del Sole e dall’unione di questi elementi emerge la sua veste di divinità dominatrice
dei poteri del cosmo13. La continuità tra la Dea e la volta celeste, intesse un nutrito
corredo iconografico, che muovendo dalle rappresentazioni del culto isiaco si traduce
nelle più antiche immagini di culto mariano, dove Maria è spesso associata agli astri,
al sole ed alla luna, come nel caso del bassorilievo di Santa Sabina.
Analogamente alla dea Iside, la dea greca Afrodite, aurea14, luminosa15 divinità dai
molteplici aspetti, riceve l’appellativo di Urania (la Celeste), l’Astrale, colei che
brilla su tutto16. Com’è noto le caratteristiche ipostatiche di Afrodite furono traslate
ed assorbite nella venerazione romana di Venus, Venere17, e condivisero un
significativo orizzonte di somiglianza con Tanit, divinità fenicia il cui culto si diffuse
in Africa e particolarmente a Cartagine18.
Andando indietro nei secoli, l’ipostasi della Dea Madre attraversa le palme spiegate
nella venerazione di Ishtar a Babilonia, (fig. 29 da Babilonia, 1700 a.C.; fig. 30:
Babilonia, III sec. a:C. Louvre) o della dea fenicia Astarte (fig. 31, Amatunte), si
manifesta nell’intero periodo neolitico come divinità connessa alla fecondità,
espressione di un culto a valenza magico-religiosa, per via della sua forza creatrice
che si riteneva influisse direttamente sull’abbondanza dei raccolti. Allargare
ulteriormente lo sguardo esula senz’altro dagli obiettivi di quest’indagine, ma nel
congedare questo breve excursus, faremo nuovamente menzione della Celeste di
Cartagine, regina del cielo, divinità verso la quale il culto era profondamente radicato
guardato con sospetto di genealogia mitologica ed idolatria. Nel medioriente e nell’oriente greco esso è vivo, in maniera
ininterrotta, sin dai primi secoli.
12
ISIDE Il Mito Il Mistero La Magia, Catalogo della mostra a Palazzo Reale, a cura di Ermanno A. Arslan, Electa,
Milano 1997, p. 146.
13
Iside presenta anche attributi solari. E’ infatti chiamata Sole Femmina (Rat) nel cielo. Le sua caratteristiche
cosmiche sono riassunte dall’uso del nome Iside per indicare il cielo. ISIDE Il Mito Il Mistero La Magia, Catalogo
della mostra a Palazzo Reale, a cura di Ermanno A. Arslan, Electa, Milano 1997, p. 146.
14
Omero, Iliade, XXIV, 699, Einaudi, Torino 1950 p. 881.
15
Omero, Iliade, III, 389, Einaudi, Torino 1950 p. 109.
16
Una figura complessa, quella di Afrodite, il cui culto estremamente diffuso e praticato in tutto il mediterraneo, è
testimoniato dagli innumerevoli santuari eretti in suo onore, oltre che intere città a lei dedicate, insieme all’isola di
Cipro, che per tradizione ne ha visto la nascita, e che costituisce uno straordinario punto di incontro tra la civiltà
orientale e quella occidentale. Le fonti e le testimonianze archeologiche sin dalla prima età del bronzo indicano a Cipro
un culto ancora più antico rivolto alla Dea Madre: denominata Vanassa, la regina, fu la principale divinità locale, dea
della fertilità, che confluisce in seguito nella figura di Afrodite.
17
Le prime notizie del culto romano risalgono al III sec. a.C. ed il suo diffondersi si deve proprio ai contatti con
l’Afrodite di Erice, quando i Romani si allearono con i locali Elimi contro i punici. Elimi e Romani facevano risalire la
loro origine a Troia, attraverso il mito dello sbarco di Enea. Il culto di Venere divenne a Roma particolarmente vivo, e
la dea fu eletta come divinità protettrice di personaggi celebri: La Venus Victrix di Silla e Pompeo, la Venus Genetrix di
Cesare, di Augusto e di tutta la dinastia Giulio Claudia. Cfr. M. Carrara Afrodite, Non solo dea della bellezza e
dell’amore Lugano 2004, p. 7.
18
La dea fenicia Tanit, divinità lunare, detta anche la faccia di Baal, era legata al ciclo vegetativo e dispensatrice di
vita. Nel suo culto venne associata ad Astarte, ad Iside e ad Afrodite. Il suo appellativo più frequente era la Celeste,
l’Urania.
e vivo ancora ai tempi dei padri del cristianesimo africano, come si legge in
Tertulliano, ed in S.Agostino19. A suo proposito, leggiamo cosa scrive Apuleio, nelle
sue Metamorfosi: “Salute regina del cielo […] in qualunque modo tu sia conosciuta,
come Cerere o come la celestiale Venere, o come Artemide o Proserpina; io t’invoco
sotto qualunque nome, qualunque aspetto; in qualunque cerimonia la tua divinità sia
invocata, abbi pietà di me…”20. In risposta alla sua preghiera, appare la Dea ed
afferma che tutti i diversi nomi a lei dati non rappresentano che una sola divinità, la
Celeste, Regina del cielo.
E’ interessante notare come il contesto culturale e teologico, da cui procede il culto
della Celeste e che si riflette nelle pagine di Apuleio, sia esplicitamente sincretistico.
Una confluenza di culti che costituisce il substrato dal quale trae origine e nutrimento
il simbolismo mariano delle origini, mistica di una Dea adorata sin dalle antichità
precristiane.
In merito a questa convergenza anche figurale nella rappresentazione della Madonna,
è stata richiamata l’attenzione sull’origine dell’iconografia mariana 21, e sulla specifica
influenza siriaca nei confronti di un preciso modello, riscontrabile nel bassorilievo di
Santa Sabina: la Vergine è presente nelle scene di Ascensione, lungo la direzione che
dalla terra muove verticalmente verso le sfere divine22.
La Madonna è stante, nel caso peculiare del nostro studio non è in trono, e si protende
con lieve movimento del corpo e dello sguardo, verso la Gloria di Cristo.
Il paragone con i modelli coevi del Monastero di Apa Apollo a Bawit, consente di
muovere alcune riflessioni, e di riscontrare determinati topos visivi condivisi, tra le
figure affrescate sulle sue absidi ed il portale della Basilica romana. In particolare, le
pitture della cappella XVII (Tavola x), della cappella XLVI (Tavola x) e della Sala 20
(Tavola x) sono strutturate su uno schema compositivo di cui si evidenziano diverse
analogie con il bassorilievo romano. Maria è posta al centro del registro inferiore, e
ne scandisce l’asse centrale dispiegando una certa simmetria intorno a sé, nel corredo
di figure al suo seguito. Coincide altrettanto con gli affreschi citati la suddivisione in
due fasce nettamente separate per distinguere i piani - cosmici - della
rappresentazione e la presenza di Cristo rigorosamente contenuta all’interno di un
19
Sant’Agostino nel “De Civitate Dei”, 2, XXVI, ricorda quando da giovane era addetto al culto della Celeste.
Nel 399 d.C. il tempio della dea Celeste venne occupato e tra le vive proteste dei pagani trasformato in chiesa, pochi
anni dopo il tempio e la statua della divinità vennero definitivamente distrutti. La memoria della Celeste era destinata a
perdurare a lungo nel cuore dei suoi fedeli, se il prete Salviano, alla fine del V secolo si lamenta che a Cartagine molti
cristiani “vanno prima o dopo il servizio cristiano a quello della Celeste”. S. BENKO, The Virgin Goddess, Leiden 1993,
in Studies of the History of Religions, vol. LIX, p. 33 sgg.
20
Apuleio, Metamorfosi, XI, 2-5, Garzanti, Milano 2002.
21
Cfr. Nikodim Pavlovic Kondakov, Iconografia della Madre di Dio, 1914. A cura di I. Foletti. Viella, Roma 2014; A.
GRABAR Le vie dell’iconografia cristiana, a cura di Mauro della Valle. Jaca Book, Milano 2011; G.B. LADNER, Il
Simbolismo Paleocristiano, Milano 2008.
22
Cfr. Nikodim Pavlovic Kondakov, Iconografia della Madre di Dio, 1914. A cura di I. Foletti. Viella, Roma 2014, p.
201.
cerchio o di una mandorla, profilo simbolico della sua Gloria. Circondano la Gloria,
le protomi alate del tetramorfo, precedute esternamente dai medaglioni con le
immagini del Sole e della Luna. Ritorneremo più volte, nel presente studio, sui
paralleli iconografici rintracciabili tra il bassorilievo ligneo di S. Sabina a Roma e gli
affreschi del Monastero di Apa Apollo a Bawit; G. Millet 23, che ha operato su questi
un’esegesi dettagliata in congiunzione con lo studio del significato liturgico dei
soggetti rappresentati, ha individuato nella scansione dei piani il motivo della Maestà
Divina del livello superiore accostato a quello dell’Incarnazione nel registro inferiore.
Maria, protagosista del piano dell’Incarnazione, rivestirebbe appunto il ruolo di
intercessore straordinario (Exairetòs) di fronte a Dio24.
Rispetto al tema dell’Ascensione di Maria, lettura che è stata proposta anche riguardo
all’opera presa in esame, la Concezione Immacolata della Vergine partecipa come
dogma25 a questa visione, che l’anima e il corpo siano in lei tanto puri da ascendere al
cielo incorrotti, al termine dell’esistenza terrena26.
Paradigma di estrema purezza, anche la Donna vestita di Sole che appare nel primo
versetto del dodicesimo capitolo dell’Apocalisse di S. Giovanni, fu interpretata già
dalla critica ottocentesca27, come una descrizione simbolica di Maria. Ed un gran
prodigio fu veduto nel cielo; una donna vestita di sole, e la luna sotto i piedi di lei, e
sulla testa una corona di dodici stelle 28. Questa figura viene oggi identificata con la
Madonna, ma i padri della Chiesa per almeno tutto il IV secolo furono riluttanti ad
associarle la luminosa personificazione. Nella sua figura fu dapprima individuata una
metafora della Chiesa e solo in seconda istanza una rappresentazione di Maria,
Regina del Cielo.
Maria e la Chiesa furono anche tra loro sovente assimilate in un congiunto orizzonte
simbolico di generazione, poiché nei figli di Dio il santo, il divino deve essere
generato continuamente29. L’incarnazione30, ovvero la trasformazione di Dio in carne,
è espressa verticalmente nella direzione che lega la Madre al Figlio. La sua tensione,
che nasce dallo sguardo della Madre e procede verso la sfera invisibile della Gloria, è
23
G. Millet La Dalmatique du Vatican. Les Elus, Images et Croyances. Bibliotèque de l’Ecole des Hautes Etudes, 60)
Paris 1945. Pag. 44 - 61
24
Cfr. A. Iacobini Visioni Dipinte Viella, Roma 2000. Pag. 82.
25
Per quanto il dogma cattolico dell’Immacolata Concezione fu proclamato ufficialmente solo nel 1854 da Papa Pio IX,
il suo contenuto è stato rintracciato esegeticamente nei testi biblici, e nel protovangelo di Giacomo, che rappresenta una
prima presa di coscienza intuitiva e mitica della santità perfetta e originale di Maria nella sua stessa concezione. R.
Laurentin, Maria nella Storia della Salvezza, Marietti, Torino 1972, p. 139.
26
G.B. LADNER, Il Simbolismo Paleocristiano, Milano 2008, p. 47/49.
27
J.J. Berthier, La porte de Sainte-Sabine, Friburgo 1892, pp. 71-79.
28
Giovanni Apocalisse, XII, 1. Fratelli Treves Editori, Milano 1928 p. 822.
29
Giovanni Vangelo, I,13 Editrice Shalom, Ancona 2008. Cfr. G.B. LADNER, Il Simbolismo Paleocristiano, Milano
2008, p. 47.
30
La nascita di Cristo come incarnazione divina fu postulata ufficialmente a Nicea (325) e poi a Costantinopoli (381)
ed è motivo sotteso alla costruzione della nostra Majestas Domini.
motivo di passaggio da un piano all’altro e sintetizza inoltre la natura sia divina che
umana di Cristo31, resa espressamente dogma durante il quarto concilio ecumenico a
Calcedonia (451). La Madre, scolpita sotto l’immagine di Cristo nell’eternità, è
incaricata di rappresentare il mistero del Verbo incarnato32. Il farsi carne del Logos,
ed è inoltre il paradigma della presenza di Dio nell’uomo. Per questo motivo, Maria
diviene anche simbolo dell’anima umana, e della sua apertura e comunicazione verso
le sfere superiori.

31
cfr. ATANASIO L’incarnazione del Verbo a cura di E.Bellini, Roma 1976, in G.B. LADNER, Il Simbolismo
Paleocristiano, Milano 2008, p. 26.
32
A. GRABAR Le vie dell’iconografia cristiana, a cura di Mauro della Valle. Jaca Book, Milano 2011, p. 137

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