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LA RECEZIONE DELLE SCRITTURE ISPIRATE

UNA RILETTURA DEL CAPITOLO III DI DEI VERBUM∗

Nel nostro mondo Occidentale è oggi in atto un nuovo riposizionamento


della Bibbia. Questa si è lentamente secolarizzata ed è diventata un “testo
classico” in mezzo ad altri grandi classici dell’umanità. Di conseguenza, anche
il suo studio e la sua comprensione ha subìto una sorta di democratizzazione,
ossia un pluralismo di approcci, facendo sì che il legame della Bibbia con la
Chiesa non sia più unico e indiscutibile.
Il fatto però che la Chiesa abbia canonizzato i libri che compongono la Bibbia,
ha consentito a questi testi, al di là della pratica ecclesiale di lettura, di
sedimentarsi nella cultura occidentale. Anche solo come pura “materialità”
culturale, la Bibbia ha di fatto diffuso i suoi effetti nella società occidentale per
duemila anni.
Considerando questo quadro, la lettura ecclesiale del testo biblico risulta
oggi essere una pratica fra le altre. Parlare di testo “ispirato”, nel senso
teologico classico, risulta perciò impossibile per letture storiche, culturali,
antropologiche, analitiche, etc. E così oggi ci troviamo di fronte al caso
paradossale di una cultura, la nostra, che se non ha difficoltà ad accettare il
canone delle Scritture (senza per questo escludere altri testi coevi), fa però
problemi ad accogliere il concetto di ispirazione.

1. Un nuovo punto di partenza: la Bibbia, un “classico” fra gli altri


Prima di presentare la nostra proposta, occorre soffermarsi sul punto di
partenza di una teologia dell’ispirazione. Anzitutto è necessario prendere
coscienza della storicità di tale concetto, che è sorto in un duplice contesto: la
nascita dell’esegesi e il conflitto dottrinale tra cattolici e protestanti. Un
contesto - va subito aggiunto - che non è più il nostro.
Da una parte, nell’età moderna si comincia a prestare attenzione agli autori
umani, pur cercando di salvaguardare l’idea di un autore divino della Bibbia.
Ben presto però l’esegesi critica non si avvalorerà più di questa idea teologica
nel suo lavoro filologico e storico, ma ne farà al massimo un’indagine storica a
partire dai Padri.
Questa storicizzazione progressiva del cristianesimo e della dottrina
scritturistica s’incrocia poi con la controversia dottrinale tra cattolici e
protestanti.
Nell’ortodossia luterana – fino al XVIII secolo – l’ispirazione viene concepita


Il presente testo riassume il secondo capitolo del volume di CH. THEOBALD, «Seguendo le orme…» della Dei
Verbum. Bibbia, teologia e pratiche di lettura, EDB, Bologna 2011, 49-76.
come verbale per conservare così il privilegio alla sola Scriptura di essere parola
di Dio. Tuttavia quando la critica storica si impossessa della Bibbia, ci si
ricorderà che, per Lutero, la parola della croce aveva svolto il ruolo di canone
nel canone delle Scritture, realizzando la sua opera di salvezza solo per chi
l’ascoltava. L’ispirazione dunque abbandona la lettera del testo, ormai affidata
al lavoro degli esegeti e degli storici, per trasferirsi alla recezione della voce
vivente del vangelo che raggiunge il peccatore.
Il cattolicesimo post-tridentino è invece preoccupato di giustificare l’insieme
del suo sviluppo dogmatico di fronte alla Riforma e di fronte alla moderna
ricerca storica. La teologia cattolica mette dunque la Scrittura in relazione con
la tradizione, senza però decidere tra due diverse teorie. La prima desume,
dall’ispirazione delle Scritture, la loro sufficienza per legittimare lo statuto
attuale della Chiesa cattolica; l’altra considera la tradizione come una seconda
fonte di giustificazione della Chiesa. Il Vaticano I terrà in piedi questa
oscillazione a causa di una concezione della rivelazione che privilegia le verità
da credere in rapporto alle Scritture. L’ispirazione viene dunque considerata
come garanzia del fondamento dottrinale e storico dell’assetto contemporaneo
del cattolicesimo.
Ma nel nostro tempo, chiunque si accosta alla Bibbia, cristiano o non, ha
raramente la consapevolezza di leggere “il libro della Chiesa”. È cioè difficile
che ci si riferisca immediatamente alla Chiesa per riconoscere l’ispirazione. A
tal proposito, non serve nemmeno ricorrere a quelle garanzie che per secoli
hanno svolto il ruolo principale di salvaguardia dell’ispirazione: l’apostolicità
degli scritti e il fatto che essi rappresentavano la coscienza della comunità
primitiva nella sua purezza. Nel nostro contesto, si fa affidamento molto di più
sull’esperienza stessa della lettura del testo, il che non significa necessariamente
chiudere le porte ad una esperienza ecclesiale di lettura comune, né del
confronto con la coscienza apostolica della Chiesa. Più precisamente, insistere
sull’esperienza di lettura de testo, significa sottolineare che ciò che accade
nell’atto stesso di lettura: (a) poggia sulle “qualità” degli scritti, considerate in
se stesse; (b) rifluisce dagli “effetti di ispirazione” che si producono nei e tra i
lettori, sull’“autorità” stessa di ciò che viene letto.
C’è però un ostacolo che impedisce di accedere a questa esperienza di
ispirazione: si tratta della distinzione, dovuta alla scuola romana e in
particolare a Franzelin, tra ispirazione delle Scritture e assistenza dello Spirito
Santo promessa al loro interprete ecclesiale.

2. Differenza tra ispirazione e assistenza: un rilevante ostacolo


“epistemologico”

2.1 La posta in gioco di una distinzione


Nel suo importante studio sulla dottrina della tradizione nella scuola
romana, W. Kasper mostra che Franzelin distingue, da una parte, il carisma di
“ispirazione” mediante lo Spirito Santo, quale fenomeno straordinario legato
al tempo costitutivo della rivelazione; dall’altra, l’“assistenza” permanente
dello Spirito Santo nei confronti della Chiesa. Nel custodire e sviluppare il
deposito della fede, la Chiesa può dunque separare i libri ispirati da quelli che
non lo sono (il canone).
La distinzione tra ispirazione e assistenza è ripresa anche nel capitolo IV
della Pastor aeternus del Vaticano I: «Lo Spirito Santo non è stato promesso ai
successori di Pietro perché facciano conoscere sotto la sua rivelazione una
nuova dottrina, ma perché con la sua assistenza conservino santamente ed
espongano fedelmente la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito
della fede». Tale approccio è visibile nel trattato di Rahner sull’ispirazione e
nella proposta storico-teologica di Sesboüé. Questo schema, secondo Kasper, è
un tentativo di articolare organicamente le tre istanze della paradosis cristiana:
Scrittura, tradizione e Chiesa con il suo magistero.

2.2 Perché considerare un ostacolo la differenza tra ispirazione e assistenza?


La differenza tra ispirazione e assistenza sussiste a motivo della visione della
storia che per l’appunto soggiace a tale distinzione; visione spesso espressa con
la problematica formula della “morte dell’ultimo apostolo”. Da un punto di
vista storico è infatti difficile distinguere tra un’epoca costitutiva della
rivelazione, terminata con la morte dell’ultimo apostolo (anche quando con
questa espressione è presa in un’accezione più ampia comprendente la
generazione apostolica), e il resto della storia della Chiesa. D’altra parte, se si
conviene con Habermas nel ritenere la modernità come l’epoca in cui si prende
coscienza della posta in gioco della ricerca storica, vale a dire «l’abbandono di
epoche esemplari del passato e la necessità di attingere in se stesso tutto ciò
che deriva dalle norme», non si può fare a meno di leggere la storia dell’esegesi
critica sotto il punto di vista della scomparsa dell’idea di testo “sacro” collegato
a un periodo mitico o fondatore. Inoltre bisogna considerare anche la questione
storico-teologica proposta da P. Vallin, che fa suo l’abbandono del principio
genealogico delle generazioni che precedono la venuta del Messia, per
abbracciare il principio sincronico della concordia fondatrice, quella che
Giustino chiama il “vivere insieme” tra gli apostoli e i loro discepoli. Inoltre
Vallin nota che la questione della morte dell’ultimo apostolo non è un tema
centrale nel NT; anzi, la loro vista “sincronica” prosegue attraverso i loro
compagni. La morte degli apostoli, pur costituendo la chiusura di un orizzonte,
non si iscrive in una rappresentazione di tipo cronologico. In altri termini,
mentre il racconto della morte di Mosè nel Deuteronomio è fondamentale per
capire il canone della Bibbia ebraica, la chiusura del NT funziona in modo del
tutto diverso.
Ora, lo schema storico-teologico, che sottolinea la cesura tra una generazione
fondatrice, scomparsa per sempre, e i suoi successori, rischia di minimizzare
l’esperienza della contemporaneità dei credenti con la rivelazione, come anche
la creatività insita in ogni recezione del vangelo, riducendola ad un atto passivo
di salvaguardia.

2.3 La “Chiesa nascente”


La nuova situazione culturale e i risultati degli studi biblici, spingono a
ripensare lo schema storico-teologico, basato sulla distinzione tra un periodo
costitutivo o esemplare e il nostro tempo ormai differente. Si tratta, invece, di
porre un’analogia tra la nostra situazione culturale ed ecclesiale e la “Chiesa
nascente”.
Con quest’ultima espressione s’intende riferirsi alla differenza che la ricerca
storica ed esegetica, ormai da tre secoli, propone, tra:
(a) una figura che si pretende compiuta del cattolicesimo contemporaneo;
(b) la genesi plurale di una Chiesa delle origini che, consapevole del suo
compito di discernimento, lascia sopravvivere in se stessa un insieme di
norme che le consente di capire, sempre in modo nuovo, la parola di
colui che la convoca.
La seconda opzione suggerisce che nel concetto di “Chiesa nascente” si
debba includere anche la Chiesa attuale, in quanto anch’essa è in stato di genesi
permanente.
In base a questo duplice significato di “Chiesa nascente” (quella dei primi
secoli e quella che oggi nasce) si può scoprire una differenza. Da una parte, la
Scrittura e la Chiesa nascente che l’ha fissata (canone) esistono già, e pertanto
ogni nascita ulteriore di Chiesa, in un paese o in un altro, è già anticipata.
Dall’altra, occorre però chiedersi in cosa consiste questo fondamento già posto
(Scrittura e Chiesa) per coloro che accedono, alla fine di un itinerario, ad una
lettura cristiana del testo. Per fare ciò, ci si deve soffermare prima di tutto sulla
questione della “verità” delle Scritture come esplicitazione della loro
ispirazione, tenendo presente che il luogo in cui accade tale verità va
rintracciato (lo vedremo qui sotto) nel rapporto tra un certo tipo di scrittura e
la lettura di ciò che è scritto. È in questo rapporto che si manifesta la verità
della Scrittura come “verità per la nostra salvezza” (cf DV 11).

3. “La verità per la nostra salvezza”


A partire dall’enciclica Provvidentissimus Deus di Leone XIII (1893),
l’ispirazione non implica solo il fatto che i libri sacri “hanno Dio come autore”
(cf concilio di Firenze del 1442), ma ancora più esplicitamente che essi
contengono “con una verità infallibile tutto ciò che Dio ordinava [ai loro autori]
di scrivere”. I dibattiti apologetici sull’inerranza delle scritture sono andati
avanti per lungo tempo. Conosciamo anche l’esitazione di Paolo VI ad
accettare la formula di compromesso sulla “verità che Dio in vista della nostra
salvezza volle fosse consegnata alle Sacre Lettere” (DV 11). Con tale formula,
che fissa l’oggetto formale delle Scritture, Paolo VI temeva il ritorno dell’idea
di un’ispirazione parziale del testo.
Tornando comunque alla nostra riflessione, possiamo dire che la questione
della “verità” delle Scritture come esplicitazione della loro ispirazione non può
più essere trattata senza pensare la relazione “salvifica” tra (a) il nuovo tipo di
Scrittura che NT intende essere e (b) i suoi lettori.

3.1 Sospendere l’autorità dello scritto e “scrivere” in modo nuovo


Il NT più volte insiste sul fatto che non è lo scritto in se stesso ad essere
importante, ma il rapporto specifico che Gesù e Paolo stabiliscono con esso. In
2Cor Paolo distingue la sua scrittura dalla scrittura della Legge (le “tavole di
pietra”), ma prende anche le distanze dalle lettere di raccomandazione dei
“falsi apostoli”: «È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da
noi, scritta non con l’inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente» (3,3). La lettera
scritta esiste solo in funzione di un’esperienza attuale di “scrittura”, cioè nello
svelamento dei volti trasfigurati a immagine del Signore (cf 3,18).
Quanto a Gesù, va sottolineato che egli cita le Scritture, ma non attribuisce
mai autorità all’“è scritto” (in Lc 4,1-13 è detto che lo stesso diavolo cita le
scritture). L’autorità che Gesù ascolta, discerne e proclama è invece quella della
volontà di Dio, di cui egli fa esperienza diretta grazie all’immedesimazione con
colui che chiama Padre suo. Lo scritto è perciò radicalmente relativizzato,
sebbene sia allo stesso tempo necessario perché, grazie alla distanza che
introduce, mette ben in risalto che solo una parola viva, indirizzata a qualcuno,
può produrre la conversione del cuore. Lo scritto non può mai veicolarla, ma
può indicarla nel profondo e rilanciarla.
Anche se non è possibile prendere in esame i differenti brani del NT, per
richiamare questa ipotesi, possiamo almeno illustrare la struttura
fondamentale.
1. La Scrittura (AT) come orizzonte/mondo di fondo
Gesù, i suoi discepoli e Paolo condividono le Scritture – Legge, profeti e
altri scritti: è il mondo comune a loro consueto, governato dalla parola di
Dio, e, per il lettore Gesù (cf Lc 4,16-21: sinagoga di Nazaret), è lo scenario
che gli permette di tracciare il proprio itinerario, di individuare il proprio
posto a seconda delle situazioni e di proporre a coloro che incontra il
posto che a loro conviene, dando loro però la possibilità di riconoscerlo.
2. La Parola è già all’opera negli interlocutori
Gesù e Paolo riservano un posto unico ai loro interlocutori o recettori: il
vangelo di Dio che essi annunciano e rendono credibile con la loro vita è
già all’opera in coloro che l’accolgono. Nella Prima lettera ai
Tessalonicesi, questa tesi è formulata in modo efficace: «… ricevendo la
parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come
parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in
voi credenti» (2,13). Si dà dunque una sospensione dell’autorità dello
scritto. L’evento di “presenza” o di “svelamento” (cf 2Cor 3,15-18) non si
pone dunque alla fine della lettura della Legge, dei profeti e di altri scritti,
ma è già presupposta e operante come condizione attiva, creatrice, di lettura.
In tal modo i testi possono aprirsi e produrre i loro effetti spirituali di
senso.
3. Un nuovo tipo di scrittura e di lettura
In questo quadro possiamo capire come la Chiesa nascente ha operato un
nuovo tipo di scrittura, integralmente a servizio di questa parusia
apostolica e dell’accadimento escatologico di conversione. Con questo
nuovo tipo di scrittura, la presenza evangelica si rende presente
all’interno di quello stesso mondo delle Scritture che dunque si rivela come
“antico”. La scrittura nuova (NT) è a servizio della novità stessa del
cristianesimo primitivo, che non riguarda solo l’identità cristologica del
Nazareno, bensì il tipo di relazione non costrittiva che Gesù intrattiene con
i suoi e con chiunque incontra.
Il nuovo tipo di scrittura, tuttavia, non è sufficiente da se stesso: la lettera
resta infatti un medium ambiguo che può uccidere, come attesta la vicenda
del Nazareno. Gli scritti del NT corrispondono alla loro forma escatologica
(novità), solo se il gioco di relazioni libere che questi testi chiamano in causa,
si produce realmente tra e nei loro lettori (cosa su cui insistono l’analisi
retorica e narrativa). Perciò, oltre al nuovo tipo di scrittura, è necessario
anche un nuovo tipo di lettura, che nasce con questo modo di scrittura.
In fin dei conti, il concetto cristiano di ispirazione non dice nulla di diverso
rispetto a queste condizioni (nuovo tipo di scrittura e lettura). Se tali condizioni
non fossero già presenti, sarebbe difficile ritrovarle nello scritto
veterotestamentario. La Legge, i profeti e gli altri scritti, possono essere
considerati come un “mondo spirituale” riferito a Dio, solo se si dà una
sospensione del prestigio della lettera a favore di questi accadimenti.
Ovviamente, nella Chiesa primitiva, questo nuovo tipo di scrittura e di
lettura (totalmente a servizio di una presenza apostolica) non viene sin da
subito acquisito e sottoposto a discernimento ecclesiale. Gli storici e gli esegeti
non possono dunque individuare tali strutture nei testi canonici e non canonici.
Come dunque verificare il nuovo tipo di scrittura e di lettura? Se, come si è
insistito, l’ispirazione di un qualsiasi testo non può essere soltanto riconosciuta
alla luce della sua canonicità “materiale”, vale a dire a partire dal motivo della
apostolicità (o, come direbbe Rahner, dalla sua perfetta concordanza con la
coscienza della Chiesa primitiva), allora essa può essere realmente provata in
un atto di lettura che corrisponda alle qualità oggettive e inerenti agli scritti,
presi in se stessi.
Inoltre, da un punto di vista teologico, questa ipotesi spiega anche perché la
Chiesa nascente ha cominciato ad esistere. Essa è esistita senza la Scrittura
cristiana conclusa, ma instaurando immediatamente un nuovo tipo di scrittura
e di lettura, che a sua volta può ispirare coloro che oggi si mantengono
nell’atteggiamento di una genesi ecclesiale.
Occorre ora riflettere su ciò che la relazione “salvifica” tra un nuovo tipo di
scrittura e di lettura - in termini pneumatologici “ispirazione” - dice della
“verità” delle scritture cristiane. Lo faremo in due momenti: in primo luogo
soffermandoci più generalmente sull’aggettivo che qualifica la Scrittura come
santa; in secondo luogo riflettendo più specificatamente sulle qualità
escatologiche degli scritti neotestamentari.

3.2 Una Scrittura “santa”


Utilizzare il termine “sacro” per indicare la Scrittura cristiana rischia di
diventare ambiguo nel nostro contesto culturale, in cui la Bibbia è diventata un
classico fra tanti. Inoltre, come già accennato, questo termine evoca l’idea
premoderna di una cesura tra un’epoca fondatrice o mitica e la nostra storia.
La terminologia della “santità”, invece, sembra essere più pertinente, e per due
motivi principali. Prima di tutto perché meglio s’inserisce all’interno di un
dibattito etico sulla verità; inoltre è più in sintonia con il nuovo tipo di scrittura
e di lettura di cui si è già trattato.
Quanto al primo punto, ovvero l’aspetto etico della questione, si tratta di un
argomento di teologia fondamentale che ho espresso in altri miei scritti 1, e che
provo a riassumere qui nei seguenti termini. La santità neotestamentaria si
colloca all’interno di una relazione tra (a) colui che, Figlio unico del Dio santo e
dunque in perfetta sintonia con lui stesso, mette in gioco la propria esistenza a
favore di coloro che incontra all’improvviso, e (b) questi ultimi che egli
rimanda alle sorgenti ultime della loro esistenza (“Figlia mia, figlio mio, la tua
fede ti ha salvato”). Si tratta di una situazione unica ma di cui anche altre figure
(ad es. apostoliche) hanno avuto accesso; una situazione che si colloca
nell’orizzonte dell’autenticità e della correttezza relazionale, requisiti necessari
per qualsiasi discorso che aspira ad essere vero.
In secondo luogo, spostando la questione verso un modo nuovo di scrivere e di
leggere, occorre chiedersi in che senso questo modo di scrittura può essere
1Oltre al primo capitolo del presente libro («Seguendo le orme…» della Dei Verbum, 11-30), si veda Il cristianesimo
come stile, 2 voll., EDB, Bologna 2009 [aggiungiamo anche Spirito di santità. Genesi di una teologia sistematica,
EDB, Bologna 2017, 181-201].
un’espressione della santità neotestamentaria e come può favorire l’accesso di
coloro che Paolo chiama “i santi” 2.

3.3 Potenza formatrice delle grandi “classi di scritti”


Il tentativo di rendere intellegibile la composizione della Bibbia cristiana a
partire dall’interno stesso dei testi e in particolare dall’invenzione di un nuovo
modo di scrivere e di leggere (ovvero il tentativo di affrontare quello che in
teologia è il tema dell’ispirazione), ci invita a rintracciare il legame tra questo
nuovo modo e le grandi classi di scritti neotestamentari (lettere apostoliche,
vangeli, Atti, Apocalisse) e di generi letterari (inni, parabole, esortazioni, etc.,
presenti in queste grandi classi) che tale operazione ha prodotto. In altre
parole, è un invito a comprendere la “forma” assunta dalla Bibbia cristiana.
Se il centro del NT (il mysterion) è Dio, il quale comunica a tutti la santità che
lo costituisce in se stesso, anche il suo modo di affidarla (o di affidarsi) nelle
nostre mani – modo che lo rende credibile – fa parte della sua stessa santità.
Questo significa che ciò che è comunicato e la forma della comunicazione
devono assolutamente concordare. Non è possibile parlare di rivelazione o
della sua accoglienza se il lettore percepisce una discrepanza tra il contenuto e
la forma dei testi. Per colui che riceve la rivelazione, è inconcepibile trovarla
grazie a un insieme di testi in cui il contenuto comunicato e il modo di
comunicarlo divergano. “L’ispirazione delle Scritture attraverso lo Spirito di
santità” non significa altro che la concordanza tra la forma e il contenuto. A
livello di generi di classi e di scritti, ciò significa che essi sono concepiti e
reinquadrati (la loro forma) in modo tale che possano esercitare una “potenza”
di informazione in coloro che si espongono ai loro possibili effetti. L’oggetto

2 È necessario distinguere tre principi di scrittura e di lettura.


Principio cristologico o escatologico. Questo principio, pur partendo dall’unicità di Cristo, tiene aperta la relazione
tra Gesù e coloro che incontra, al fine di evitare i costituire una gerarchia tra i due interlocutori, ove ciascuno
è collocato entro il suo ordine. A livello di scrittura, questo principio definisce la posizione di enunciazione del
narratore del racconto o del destinatario della lettera apostolica: il narratore è realmente presente ma al tempo
stesso si cela (non “lettere di raccomandazione”) per consentire ai lettori di raggiungerlo nella loro posizione
e così formare con loro un “noi”: «Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del
Signore…» (2Cor 3,18).
Principio evangelico. Si tratta del principio che si colloca tra l’unicità di Cristo e ciò che egli diventa in e per
coloro che incrociano la sua strada: nel luogo stesso dell’incontro, della conversione o dell’iniziazione, nascono
o rinascono coscienze credenti e dunque la Chiesa. Questo principio, a livello della scrittura, è presente in diversi
elementi narrativi del corpus neotestamentario. Si tratta di elementi che permettono di raggiungere il lettore
là dove la sua esistenza può accedere alla fede. I luoghi di accesso non sono soltanto liturgici: si veda, ad
esempio, l’uso dell’“oggi” dell’opera lucana.
Principio spirituale. È un principio che si colloca prioritariamente dalla parte dei recettori. Già nei profeti è
presente questa intuizione: «non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: “Conoscete il Signore”, perché
tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande” (Ger 31,34). Tale principio contiene il paradosso
pneumatologico secondo cui l’esperienza evangelica è personale, unica e proposta a tutti. A livello di scrittura,
questo principio è rintracciabile nella posizione del narratore o del destinatario, che si diversifica in modo
definito all’interno dei testi. I lettori sono così guidati verso una libertà spirituale senza garanzia, capaci di
stabilire, nello stesso tempo, nuovi legami tra loro.
formale delle Scritture cristiane, la loro “verità” altro non è se non la loro
capacità di generare la santità in questo mondo.
Per evitare fraintendimenti, aggiungo che la concordanza tra il contenuto e
la forma non significa assenza di contrasti tra i testi o anche all’interno di un
determinato libro. Al contrario, le divergenze, accuratamente conservate nel
testo, sono capaci di suscitare nel lettore la discussione (la zètesis di At 15 o
l’attività ragionevole [diakrisis pneumatôn] di cui parla Paolo) che precede la
lettura ed è al tempo stesso sollecitata da essa.

4. Fare l’esperienza dell’ispirazione


Abbiamo spostato la considerazione dell’ispirazione dalla materialità
rappresentata dagli scritti canonici fondati sulla loro apostolicità, agli effetti
prodotti in e tra i recettori. Ci siamo poi interrogati sulle condizioni di
possibilità di questi effetti, che abbiamo rintracciato nella forma stessa del testo
biblico (modo di scrivere e di leggere neotestamentario o classi e generi di
scritti che manifestano questo modo). Tutto ciò ci permette ora di ritornare alla
tipologia dei lettori/destinatari della Bibbia (cristiani o no) e dei loro rispettivi
interessi, come anche di ricavare tre livelli di ispirazione.

4.1 Umanità del testo


L’interesse principale nell’accostarsi oggi alla Bibbia è di carattere
antropologico. Ciò corrisponde allo status di classico che la Bibbia ha assunto
nella cultura europea. Affrontando, mediante letture storiche e culturali,
linguistiche e analitiche, questo testo, il lettore, forse non espressamente, dà
per scontato (una specie di fede iniziale) che questo testo abbia qualcosa da
dire all’umanità, cioè che sia abitato da una forza rigeneratrice.
Questa energia emerge ancora più chiaramente se la Bibbia viene letta con
un approccio comparatista, vale a dire attraverso una lettura che metta in
evidenza le differenze interne al testo. La Bibbia presenta infatti universi
differenti, pluralità di modi di abitare il mondo. Man mano però che si procede
nella lettura, si colgono anche sfide comuni di ordine antropologico.
Nei racconti, nelle dispute, nei salmi e in altri generi letterari, compaiono
soggetti in relazione con altri all’interno di un popolo in conflitto con altre
nazioni. Ogni situazione, valorizzata nella sua unicità, può suscitare effetti di
senso che investono lo stesso lettore. Nei testi vengono infatti affrontate le sfide
fondamentali dell’umanizzazione dell’uomo: il rapporto con la malattia e la
salute, con la vita e la morte, tra uomini e donne, lo scambio dei beni, la
costruzione della società e la violenza, la legge e la trasgressione, la religione e
la sua strumentalizzazione, etc. Nei testi biblici è inoltre presente il male sotto
tutte le sue forme (cattiveria, malattia e sventura), senza mai lasciare al tragico
l’ultima parola, ma mostrando la capacità umana di resistervi, segno di una
fede elementare nella vita.
A questo primo livello, la Bibbia si mostra essere un libro “ispirante” nella
misura in cui riconduce il lettore verso la scuola di umanità che è la propria
esistenza. Egli può scoprire che ciò di cui parla questo libro è già in via di
realizzazione in lui stesso. Dal punto di vista teologico, possiamo dire che
consegnandosi al laboratorio della nostra umanità, in competizione con gli altri
testi dell’umanità, la Bibbia parla silenziosamente del modo del Nazareno di
consegnarsi nelle nostre mani, cioè dell’autocomunicazione di Dio.

4.2 Configurazione della propria esistenza a Cristo


Un secondo livello di ispirazione si raggiunge quando si sollecita il desiderio
del lettore di lasciarsi identificare con un altro personaggio del mythos biblico o con
le figure più importanti dei racconti evangelici. Partendo dal modello del
discepolo che segue il maestro (sinottici) o che lo imita (Paolo), l’identificazione
suppone, da parte del lettore, un desiderio iniziale, una seduzione, una
conversione o trasformazione di questo desiderio. Il testo, infatti, riconduce
ognuno (maestro e discepolo) verso il mistero della propria singolarità non
imitabile. L’ispirazione si manifesta così in questo gioco relazionale e nel suo
impatto sull’esistenza concreta di colui che vi si impegna.
Per chiarire ulteriormente questo secondo livello di ispirazione, sarebbe il
caso di far intervenire le diverse classi di scritti e di generi. Soffermiamoci
unicamente sul genere “vangelo”. I vangeli sono dei racconti di conversione,
che non mettono in scena soltanto l’itinerario di Gesù ma al tempo stesso ciò
che egli diventa in e per coloro che incrociano il suo itinerario. Questa struttura
relazionale dei racconti è precisamente il “luogo” in cui si colloca l’ispirazione.
Nei racconti si può infatti cogliere l’identificazione reciproca tra il Nazareno e
coloro che egli incrocia (personaggi e lettori). In questi incroci si produce una
medesima esperienza: il sentimento di essere di fronte a una certa urgenza
(chiamata, decisione, etc.), assieme però alla concessione di un ulteriore tempo
di maturazione personale. Si tratta di un’esperienza di “ponderazione” che
mette in gioco l’esistenza del lettore con quella del Nazareno riconosciuto come
Cristo.
Questa ponderazione che il testo suscita deve inoltre attraversare
l’incomprensione e la non-fede, non solo degli avversari, ma anche degli stessi
lettori. Si tratta di una resistenza che sta ad indicare l’impossibilità di seguire
il maestro fino in fondo. Essa va però accompagnata dall’epilogo eucaristico
(“il mio corpo per voi”) e pneumatologico (“è bene per voi che io me ne vada”).
In tal senso l’ispirazione si presenta anche come una vittoria
sull’incomprensione.
Come si può notare, a questo secondo livello, l’ispirazione, pur restando
esperienza relazionale, coinvolge ormai il lettore in modo nuovo, dando corpo
al suo desiderio d’identificazione con il Nazareno riconosciuto come Cristo. Si
tratta ora di un’esperienza di ispirazione che conserva non soltanto un
carattere individuale ma anche collettivo: la configurazione a Cristo è infatti
impensabile senza la capacità del discepolo di riconoscerla attiva nell’altro. Si
istituisce così un nuovo tipo di legame: quello ecclesiale.

4.3 Scoperta di un mondo


A partire da questi due livelli di lettura e comprensione della Bibbia, ci si
può aprire ad un terzo livello. Il problema culturale e politico dell’unità del
nostro mondo sempre più frammentato, può infatti condurre il lettore alla
soglia del problema di “Dio oggi”.
A tal proposito, l’esperienza dell’ispirazione può essere così formulata. Più
il lettore esplora concretamente il “mondo” della Bibbia e scopre le sue
molteplici ramificazioni storiche e intertestuali, più percepisce le dimensioni
abissali dello spazio che gli si apre davanti. Egli giunge a pregustare in anticipo
(nel suo atto di fede e di speranza) che il “mondo” che sta per scoprire non sarà
mai troppo piccolo per lui o per chi voglia inserire il proprio, rendendolo così
più abitabile. La sua esperienza di lettura l’avrà fatto avvicinare a ciò che la
tradizione cristiana chiama “ispirazione di tutti i libri con tutte le loro parti”3,
e ne individuerà tre diversi livelli, a seconda della ponderazione e
comparazione che avrà attuato: (1) la verifica dell’umanità del testo nel gioco
di competizione tra i grandi testi dell’umanità; (2) l’eventuale configurazione
a Cristo Gesù, verificabile soltanto, per alcuni lettori, nella messa in discussione
della loro esistenza; (3) la scoperta, infine, di un “mondo” che nasconde in sé
la possibile rigenerazione del nostro.
A ciascun livello, il testo è ispirante, nella misura in cui spinge i lettori a
valutare la propria esistenza e il mondo che abitano.

4.4 Conclusione: Scrittura santa e parola di Dio


L’esperienza di ispirazione tracciata porta il lettore alla soglia, in modo tale
che il testo letto può diventare parola di Dio. È cioè impossibile assimilare la
lettera del testo biblico nella sua pura “materialità” all’ispirazione; ogni idea di
ispirazione verbale rischierebbe di favorire il fondamentalismo o di suggerire
l’idea mitica di una lettura divina. Lo stesso invito liturgico ad acclamare la
parola di Dio, in realtà non considera mail il testo in se stesso, ma ciò che diventa
nella sua recezione da parte del credente.
Questo accesso alla parola di Dio, ultimo significato dell’ispirazione delle
Scritture, suppone un uso liturgico. Esso garantisce che il libro proposto “oggi”
alla lettura sia già espressione di un ascolto ecclesiale della parola di Dio,

3 Cf Trento (ES 1504), Vaticano I (ES 3006), DV 11.


ascolto che si è manifestato nell’atto di canonizzazione da parte della Chiesa e
che, a questo titolo ci precede sempre, invitandoci a ratificare questo atto
attraverso un medesimo ascolto e acclamazione4.
Rispetto al referente liturgico, l’esegesi biblica e il riconoscimento dello
statuto culturale della Bibbia si collocano invece a monte dell’esperienza
dossologica.

4 L’atto liturgico ricapitola un percorso complesso: innanzitutto è sempre collegato a un testo specifico

(pericope), proclamato e ascoltato in una precisa situazione di lettura o di ascolto; poi, esso attraversa in un
colpo solo i tre livelli dell’esperienza d’ispirazione e fa credito al “mondo” della Bibbia nella sua totalità,
collocandovi al tempo stesso l’accadimento spirituale che sta per prodursi, qui e ora, nella recezione di tale testo
o di tale parola; d’altro canto, dopo l’effetto di senso e di forza sperimentata, esso risale verso Dio in quanto
“autore” del “mondo biblico”, capace di rigenerare e di unificare il nostro nella configurazione dei credenti al
Signore Gesù; infine, procura una “forza di ispirazione” che, come la manna, non può essere capitalizzato;
l’acclamazione non fa che riconoscerlo con gratitudine.

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