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Il presente testo riassume il secondo capitolo del volume di CH. THEOBALD, «Seguendo le orme…» della Dei
Verbum. Bibbia, teologia e pratiche di lettura, EDB, Bologna 2011, 49-76.
come verbale per conservare così il privilegio alla sola Scriptura di essere parola
di Dio. Tuttavia quando la critica storica si impossessa della Bibbia, ci si
ricorderà che, per Lutero, la parola della croce aveva svolto il ruolo di canone
nel canone delle Scritture, realizzando la sua opera di salvezza solo per chi
l’ascoltava. L’ispirazione dunque abbandona la lettera del testo, ormai affidata
al lavoro degli esegeti e degli storici, per trasferirsi alla recezione della voce
vivente del vangelo che raggiunge il peccatore.
Il cattolicesimo post-tridentino è invece preoccupato di giustificare l’insieme
del suo sviluppo dogmatico di fronte alla Riforma e di fronte alla moderna
ricerca storica. La teologia cattolica mette dunque la Scrittura in relazione con
la tradizione, senza però decidere tra due diverse teorie. La prima desume,
dall’ispirazione delle Scritture, la loro sufficienza per legittimare lo statuto
attuale della Chiesa cattolica; l’altra considera la tradizione come una seconda
fonte di giustificazione della Chiesa. Il Vaticano I terrà in piedi questa
oscillazione a causa di una concezione della rivelazione che privilegia le verità
da credere in rapporto alle Scritture. L’ispirazione viene dunque considerata
come garanzia del fondamento dottrinale e storico dell’assetto contemporaneo
del cattolicesimo.
Ma nel nostro tempo, chiunque si accosta alla Bibbia, cristiano o non, ha
raramente la consapevolezza di leggere “il libro della Chiesa”. È cioè difficile
che ci si riferisca immediatamente alla Chiesa per riconoscere l’ispirazione. A
tal proposito, non serve nemmeno ricorrere a quelle garanzie che per secoli
hanno svolto il ruolo principale di salvaguardia dell’ispirazione: l’apostolicità
degli scritti e il fatto che essi rappresentavano la coscienza della comunità
primitiva nella sua purezza. Nel nostro contesto, si fa affidamento molto di più
sull’esperienza stessa della lettura del testo, il che non significa necessariamente
chiudere le porte ad una esperienza ecclesiale di lettura comune, né del
confronto con la coscienza apostolica della Chiesa. Più precisamente, insistere
sull’esperienza di lettura de testo, significa sottolineare che ciò che accade
nell’atto stesso di lettura: (a) poggia sulle “qualità” degli scritti, considerate in
se stesse; (b) rifluisce dagli “effetti di ispirazione” che si producono nei e tra i
lettori, sull’“autorità” stessa di ciò che viene letto.
C’è però un ostacolo che impedisce di accedere a questa esperienza di
ispirazione: si tratta della distinzione, dovuta alla scuola romana e in
particolare a Franzelin, tra ispirazione delle Scritture e assistenza dello Spirito
Santo promessa al loro interprete ecclesiale.
4 L’atto liturgico ricapitola un percorso complesso: innanzitutto è sempre collegato a un testo specifico
(pericope), proclamato e ascoltato in una precisa situazione di lettura o di ascolto; poi, esso attraversa in un
colpo solo i tre livelli dell’esperienza d’ispirazione e fa credito al “mondo” della Bibbia nella sua totalità,
collocandovi al tempo stesso l’accadimento spirituale che sta per prodursi, qui e ora, nella recezione di tale testo
o di tale parola; d’altro canto, dopo l’effetto di senso e di forza sperimentata, esso risale verso Dio in quanto
“autore” del “mondo biblico”, capace di rigenerare e di unificare il nostro nella configurazione dei credenti al
Signore Gesù; infine, procura una “forza di ispirazione” che, come la manna, non può essere capitalizzato;
l’acclamazione non fa che riconoscerlo con gratitudine.