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Questo Vaticano non mi renderà cattivo

Numerosi, in queste settimane, sono stati gli interventi da parte di voci autorevoli attorno a quello
che ormai per gli “addetti ai lavori” è diventato “il caso Lintner” (tra tutte ricordiamo lo splendido
articolo di Cristina Simonelli).
In effetti, quello che in maniera sintetica e senza tanti giri di parole è definibile come un vergognoso
e anacronistico caso di censura da XXI secolo, solleva non poche domande, vecchie e nuove,
all’interno della compagine ecclesiale: dal rapporto tra magistero e teologia, all’effettiva credibilità
del cammino sinodale in corso.
Queste brevi considerazioni – che giungono quando l’“utile polverone” di questi giorni sembra
essersi calmato, soprattutto a seguito del comunicato rilasciato dallo stesso prof. Lintner –
vorrebbero confermare il noto adagio per cui “sbagliando s’impara” e domandarsi (per riprendere
un’immagine parabolica) quale “grano” sia da custodire nel momento in cui ci si libera di certa
“zizzania”. In parole povere: cosa possiamo imparare da questo “caso”?
A mio parere, la possibile ripresa costruttiva si costituisce su due versanti, tra loro strettamente
correlati. Da una parte, il ripensamento non tanto del rapporto tra magistero e teologia quanto del
carattere intrinsecamente magisteriale della teologia. Dall’altra, in conseguenza della prima,
l’effettivo rilievo non tanto della scienza teologica in sé quanto dei teologi e delle teologhe che la
praticano.
Come ho già avuto modo di dire in altra sede, il cammino sinodale della chiesa impone un
ripensamento serio del ruolo della teologia o, per meglio dire, di tutti coloro che hanno speso e
continuano a investire il proprio tempo nello studio della teologia. È necessario riconoscere la
formazione, la preparazione, la professionalità di quanti conseguono titoli di studio adeguati in
campo teologico e trovare il coraggio per metterli al servizio della comunità ecclesiale a tutti i suoi
livelli (parrocchie, diocesi, conferenze episcopali…), ripensando per l’appunto le dinamiche, i ruoli,
“i ministeri”, le responsabilità.
È proprio su questo punto che il “caso Lintner” sembra indicarci una chiara traiettoria.
L’impostazione clericale e vaticano-centrica della chiesa e, quindi, della teologia è
irrimediabilmente compromessa e incompatibile con la “rivoluzione” sinodale che papa Francesco
ma, soprattutto, il mondo stanno chiedendo alla comunità cristiana. In questa rivoluzione non c’è
più spazio per il sequestro clericale-vaticano del magistero. La contrapposizione di lunga data,
richiamata in precedenza, tra teologia e magistero richiede un cambio di paradigma che riconosca
l’intrinseco valore magisteriale della teologia in quanto scienza al servizio della comunità ecclesiale
fondata sul Vangelo di Gesù Cristo. Una teologia, per servirci delle intuizioni di Nietzsche, “al di là
del clero e del laico”, ma semplicemente del popolo di Dio, della comunità dei battezzati.
Sotto questo profilo, si deve qui almeno accennare a come il rispetto per chi fa teologia non possa
non prendere in considerazione anche il percorso che si impone per arrivare ad avere una voce nel
panorama teologico. Un percorso, come si riconosce da più parti, anch’esso “a misura di clero”, dal
punto di vista spaziale e temporale. Un percorso che cresce nella Facoltà ed Università Pontificie in
cui, tuttavia, è praticamente impossibile entrare anche dopo che (e se) si è finito un dottorato.
Dottorato, a sua volta, spesso di difficile conseguimento “nello stato laicale” ma comunque
imprescindibile anche solo per poter essere presi in considerazione. Talvolta sembra di sentire in
sottofondo: «Da chi non ha un dottorato, può venire qualcosa di buono?». Forse, è davvero
indispensabile un serio e necessario ripensamento dei titoli, dei percorsi, dei “luoghi” teologici in
chiave sinodale, ovvero a partire non dalla disponibilità di pochi “eletti” ma da un desiderio che può
abitare (e di fatto abita) tutto il popolo cristiano, con tutte le sue esigenze.
In conclusione, un ripensamento a tutto tondo della struttura ecclesiale clerocentrica non può non
avere ricadute anche sul versante strettamente teologico della comunità cristiana, un versante che
non interessa limitati ambiti di ricerca o puntigliose correzioni a margine di opere o interventi, ma
invade pesantemente la libertà della ricerca, l’apertura al dialogo, il discernimento dell’opera dello
Spirito.
Interpreto liberamente, ma mi sembra utile il richiamo alla critica matteana di Gesù ai farisei.
Questi, afferma Gesù, «legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma
loro non vogliono muoverli neppure con un dito». Ebbene, in questo caso il fardello che siamo
chiamati a portare è reale: è il mondo a metterlo sulle spalle dei credenti e si chiama dialogo,
missione, testimonianza. Parole che, per l’appunto, risuonano costantemente come impegni,
orizzonti e compiti anche nei documenti del Magistero made in Vatican. Evidentemente, però,
quando si tratta di sporcarsi le mani (e la mente) per cercare di affrontarli, «non vogliono muoverli
neppure con un dito». Fortunatamente qualcuno disposto a farlo ancora c’è, e gli interventi di
solidarietà e vicinanza al prof. Lintner dimostrano che si tratta di un’intera comunità, una comunità
di teologi e di teologhe, non di “farisei”, di battezzati formati e disposti a sopportare il “peso della
teologia”.
In questo senso verrebbe voglia di gridare: Fiat theologia et pereat Vaticanus!

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