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Pomeriggio come maturità, come periodo
di consapevolezza e rinnovamento. Questo
ha inteso Tomás Halik scegliendo il titolo
del suo libro. Lo spunto gli è venuto dal­
la metafora che Cari Gustav Jung applica
alle dinamiche della vita individuale: l'in­
fanzia e la giovinezza corrispondono al
mattino dell'esistenza in cui ciascuno co­
struisce i tratti fondamentali della propria
personalità; poi sopraggiunge la crisi del
mezzogiorno, la stanchezza e la perdita di
energia per la vita, che però si trasforma
in opportunità se si coglie la sfida di in­
terrogare e accettare ciò che di sé si era
trascurato o dimenticato. Si è allora pronti
a percorrere la via del pomeriggio dell'e­
sistenza, una discesa nell'intimo profondo
che porta i frutti preziosi della maturità.
Halik applica questa metafora alla storia
del cristianesimo. Il mattino è l’epoca pre­
moderna, con la costruzione delle strutture
dottrinali e istituzionali. La crisi del mez­
zogiorno è rappresentata dalla modernità
che, con la secolarizzazione e l’ateismo
scientifico e ideologico, ha scosso le fon­
damenta tradizionali della Chiesa. Adesso
l'era moderna ha iniziato il suo declino e
per i cristiani è il momento di cogliere i
segni dei tempi e riconoscere il kairos po­
meridiano che viene loro incontro.
Resistendo alla tentazione di dissolversi
nell'indistinto pluralismo postmoderno e
guardando oltre le pastoie dell'isolazioni-
smo, un cristianesimo maturo sarà in gra­
do di impegnarsi in un nuovo ecumenismo,
in quella 'fratellanza universale' alla quale
ci sollecita Francesco. E in questo senso
Halik tratteggia delle linee prospettiche
per una riforma della Chiesa che la veda
interlocutore attento della cultura e della
società del nostro tempo, come popolo di
Dio in pellegrinaggio nella storia, scuola di
Università
Gregoriana
SA
X
2.33

SESTANTE
47
Tomás Halík

Pomeriggio
del cristianesimo
Il coraggio di cambiare

• BIBLIOTECA *

AN. 4.

VITA E PENSIERO
Tomás Halík

Pomeriggio
del cristianesimo
Il coraggio di cambiare

• BIBLIOTECA ‘

AN. 3q¿

VITA E PENSIERO
www.vitaepensiero.it

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Titolo originale: Odpoledne Krest'ansivi. Odvaha k proméné,


Praha, Vydalo NLN, s.r.o., 2021
© 2021 Tomás Halik

Traduzione dal ceco di Paolo Baiocchi e Gaia Seminara

© 2022 Vita e Pensiero - Largo A. Gemelli, 1 - 20123 Milano


ISBN 978-88-343-5041-6
INDICE

Introduzione II
I. La fede in movimento 15
II. La fede come esperienza del mistero 21
III. Leggere i segni dei tempi 35
IV. Mille anni come un giorno solo 51
V. Cristianesimo religioso o non religioso ? 61
VI. Buio a mezzogiorno 81
VII. Dio sta tornando? 105
Vili. Gli eredi della religione moderna 121
IX. Dal villaggio globale alla « civitas oecumenica» 135
X. Un terzo illuminismo ? 147
XL L’identità del cristianesimo 157
XII. Dio da vicino e Dio da lontano 171
XIII. La spiritualità come passione della fede 191
XIV. La fede dei non credenti e la finestra della speranza 205
6 INDICE

XV. La società della Via 227


XVI. La società dell’ascolto e della comprensione 241
Ringraziamenti 261
Letture consigliate 263
Dedicato a papa Francesco
con stima e gratitudine
Ecco, io faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel deserto una strada,
immetterò fiumi nella steppa.
(15 43,19)

Dio sta da tutte le parti e bisogna cercare e trovare Dio in tutte le


cose. [...] Sì, in questo cercare e trovare Dio in tutte le cose resta
sempre una zona d’incertezza. Deve esserci. Se una persona dice
che ha incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un
margine di incertezza, allora non va bene. Per me questa è una
chiave importante. Se uno ha le risposte a tutte le domande, ecco
che questa è la prova che Dio non è con lui. Vuol dire che è un
falso profeta, che usa la religione per se stesso. Le grandi guide
del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al
dubbio. Si deve lasciare spazio al Signore, non alle nostre certez­
ze; bisogna essere umili. [...].
Abramo è partito senza sapere dove andava, per fede. [...] La
nostra vita non ci è data come un libretto d’opera in cui c’è tutto
scritto, ma è andare, camminare, fare, cercare, vedere... Si deve
entrare nell’avventura della ricerca dell’incontro e del lasciar­
si cercare e lasciarsi incontrare da Dio. [...] Io ho una certezza
dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di
ciascuno.
(Papa Francesco, La mia porta è sempre aperta.
Una conversazione con Antonio Spadaro, Milano, Rizzoli, 2013)
Introduzione

«Questo tempo non è soltanto un’epoca di cambiamento, ma


un cambiamento d’epoca» afferma papa Francesco. Cambia­
no anche le forme della religione e il loro ruolo nelle singole
società e culture. La secolarizzazione non ha causato la fine
della religione, ma il suo cambiamento. Mentre alcune forme
di religione sono attraversate da forti scosse, altre sono talmen­
te vitali da essere fuoriuscite dai loro precedenti confini. Le
istituzioni religiose tradizionali hanno perso il monopolio sulla
religiosità.
La globalizzazione, giunta al suo culmine, si scontra con al­
cune resistenze: prendono forza manifestazioni di populismo,
nazionalismo e fondamentalismo. Il nostro mondo è sempre
più interconnesso e allo stesso tempo diviso. La comunità
mondiale dei cristiani non è unita; oggi, tuttavia, le differen­
ze più grandi non sono fra Chiesa e Chiesa, bensì all’interno
di ciascuna. Differenze nelle dottrine, nelle posizioni religiose
e politiche hanno spesso radici nascoste in stratificazioni pro­
fonde della vita psicologica e spirituale degli individui. A volte
persone che nello stesso banco in chiesa professano lo stesso
credo hanno idee di Dio molto differenti. Fra i cambiamenti
dell’odierna scena spirituale rientra anche la caduta del muro
fra ‘credenti’ e ‘non credenti’: minoranze rumorose di creden­
ti dogmatici e di atei militanti si spostano ai margini, mentre
cresce il numero di coloro nei cui pensieri e nei cui cuori fede
(nel senso di ‘convinzione originaria’) e incredulità (nel senso
di scetticismo dubbioso) si mescolano.
Ho finito di scrivere questo libro nel corso della pandemia
da Coronavirus: ogni giorno intorno a me moltissimi malati
12 INTRODUZIONE

morivano in ospedali stracolmi e tante persone ancora in vita


e in salute affrontavano problemi di sussistenza. Anche questa
esperienza ha scosso il nostro mondo: alla perdurante crisi del­
le tradizionali certezze religiose si è aggiunta la crisi delle tra­
dizionali certezze della secolarizzazione, in primo luogo della
fede nel dominio assoluto dell’uomo sulla natura e sul proprio
destino.
Lo stato attuale della Chiesa cattolica ricorda per molti
aspetti la situazione immediatamente precedente alla Riforma.
Quando sono venuti alla luce i molti, inconcepibili casi di abusi
sessuali e psicologici, questo ha scosso la credibilità della Chie­
sa e aperto una serie di questioni riguardanti l’intero sistema
ecclesiastico. Chiuse e vuote, le chiese durante la pandemia mi
sono apparse come un ammonimento profetico: presto sarà
questo lo stato della Chiesa, se non affronterà il cambiamento.
Una certa ispirazione può essere offerta dalla ‘riforma catto­
lica’ condotta da mistici coraggiosi quali furono Giovanni della
Croce, Teresa d’Avila, Ignazio di Loyola e molti altri che, attra­
verso la loro originale esperienza spirituale, hanno arricchito
tanto la riflessione teologica sulla fede quanto la forma visibile
e la prassi della Chiesa.
I più recenti tentativi di riforma non possono limitarsi a
cambiare alcune strutture istituzionali e qualche paragrafo del
catechismo, del codice di diritto canonico e dei testi di mora­
le. La fecondità e la futura vitalità della Chiesa dipendono dal
rinnovamento del rapporto con la dimensione spirituale ed esi­
stenziale profonda della fede.
Ritengo la crisi attuale un crocevia, nel quale si apre la possi­
bilità di giungere a un’epoca nuova, ‘pomeridiana’ della storia
del cristianesimo. Un cristianesimo scosso può - proprio grazie
alla sua esperienza del dolore - sviluppare, come un medico
ferito, il potenziale terapeutico della fede.
Se le Chiese resisteranno alla tentazione dell’egocentrismo,
del narcisismo collettivo, del clericalismo, dell’isolazionismo
e del provincialismo, potranno contribuire a un ecumenismo
più ampio e profondo. Nel nuovo ecumenismo è in gioco più
INTRODUZIONE 13

della mera unità dei cristiani: il rinnovamento della fede può


essere un passo verso quella ‘fratellanza universale’ che è il
grande tema del pontificato di papa Francesco. Può aiutare la
famiglia umana a prendere una direzione non di scontro di
civiltà, ma di creazione della civitas oecumenica - una cultura di
comunicazione, condivisione e rispetto delle diversità.
Nel corso della storia Dio si mostra nella fede, nell’amore e
nella speranza degli uomini, anche di quegli uomini che si tro­
vano ai margini delle Chiese e al di fuori dei loro confini visibi­
li. La ricerca di Dio ‘in tutte le cose’ e in tutte le situazioni della
storia libera la nostra vita dall’autoreferenzialità monologica e
la trasforma in apertura dialogica. In questo vedo un segno dei
tempi e una luce di speranza anche in un’epoca difficile. Que­
sto libro vuole essere al servizio di tale speranza.
T
I. La fede in movimento

«Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla»


dissero i pescatori galilei al predicatore errante al sorgere di
un nuovo giorno.
Ai giorni nostri in gran parte del mondo occidentale molti
cristiani provano sentimenti simili. Chiese, conventi e semina­
ri si svuotano, decine di migliaia di persone abbandonano la
Chiesa. Le oscure ombre di un recente passato tolgono cre­
dibilità alla Chiesa. I cristiani sono divisi, e le divisioni di oggi
non sono fra Chiese, quanto piuttosto al loro interno. La fede
cristiana ormai non deve affrontare l’ateismo militante o dure
persecuzioni, che risveglierebbero e mobiliterebbero i creden­
ti, ma una minaccia ben più grande: l’indifferenza.
Il profeta di Nazaret ha scelto un momento come questo,
di stanchezza e frustrazione, per rivolgersi per la prima volta ai
suoi futuri discepoli. Delusi dopo una notte insonne, i pescato­
ri non erano le persone più inclini ad ascoltare la sua predica­
zione sul regno ormai prossimo. Tuttavia hanno dato prova di
una qualità che rappresenta l’anticamera e la via d’accesso alla
fede: il coraggio di credere. «Provate di nuovo!», suonano le
sue prime parole, «prendete il largo e gettate le reti»1.
Anche in questo tempo di stanchezza e frustrazione è neces­
sario provarci ancora una volta con il cristianesimo. Provarci
ancora una volta non significa ripetere di nuovo esattamente
gli stessi, vecchi errori. Significa andare in profondità, aspetta­
re con attenzione, essere pronti all’azione.

1 Cfr. Le 5.
16 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

***

Questo libro è un libro sui cambiamenti della fede nella vita


degli uomini e nella storia. Ci chiederemo quali siano i cambia­
menti cui oggi stiamo andando incontro e quali siano le forme
future di cristianesimo che emergono dalla crisi attuale. Anche
oggi, come in ogni epoca di trasformazioni storiche significati­
ve, cambiano la posizione e il ruolo della fede nella società e le
forme del suo manifestarsi nella cultura. Di fronte a così tante
trasformazioni è necessario interrogarsi sull’identità della no­
stra fede. In cosa consiste e come si manifesta il suo carattere
(ristiano?
Questo è un libro sulla fede come via alla ricerca di Dio in
un mondo che cambia. Sulla fede viva, sull’atto di fede, sul
modo in cui crediamo (fides qua) piuttosto che su ciò in cui
crediamo (fides quae), che è ‘oggetto’ della fede. Con fede in­
tendo un certo atteggiamento esistenziale, un orientamento,
il modo in cui stiamo al mondo e lo interpretiamo, piuttosto
che le semplici opinioni e le ‘convinzioni religiose’; più faith
che beliefs.
Incontriamo il concetto di fede (il termine ebraico heemiri)
nei profeti ebraici dell’epoca assiale (V secolo a.C. circa)2; il
fenomeno della fede è certamente più antico. Lascio da parte
la polemica se la fede, intesa come l’atto di credere, come re­
lazione personale con la trascendenza, sia un apporto intera­
mente originale della Bibbia alla storia spirituale dell’umanità
o se una fede così definita - oppure manifestazioni analoghe —
sia già parte di religioni e forme di spiritualità prebibliche e,
nel caso, se sia possibile considerarla una costante antropolo­
gica, una componente essenziale dell’umanità come tale. Mi
concentro su una linea della storia della fede che affonda le

2 II concetto di epoca assiale è stato coniato da Karl Jaspers: intendeva con esso
l’arco temporale tra Vili e II secolo a.C., quando, indipendentemente l’una
dall’altra, nascono religioni che sono rimaste in vita fino a oggi; quelle più anti­
che si trasformano, e diventano rilevanti la trascendenza e il lato morale. Cfr. K.
Jaspers, Origine e senso della storia (1949), Milano, Edizioni di Comunità, 1965.
LA FEDE IN MOVIMENTO 17

sue radici nell’ebraismo e prosegue nel cristianesimo, ma al


contempo travalica il cristianesimo nella sua tradizionale for­
ma ecclesiastica3.
La Bibbia ebraica ha impresso nella fede, lungo il suo cam­
mino nella storia, due tratti fondamentali: l’esperienza dell’e­
sodo, il percorso dalla schiavitù alla libertà (la fede ha un ca­
rattere ‘in cammino’) e l’incarnazione della fede in una prassi
di giustizia e solidarietà (secondo i profeti è espressione della
vera fede «occuparsi dell’orfano, assistere la vedova»4). Arche­
tipo del credente è Abramo, ‘padre dei credenti’, di cui è scrit­
to che partì senza conoscere la meta5. La fede, in primo luogo
la fede dei profeti, è in tensione non solo rispetto alla magia,
ma anche rispetto alla religione del Tempio, dei sacerdoti e dei
rituali purificatori. A questa linea profetica si collega Gesù: al
centro della sua predicazione c’è una chiamata al cambiamen­
to, alla conversione {metanolo).
***

Martin Buber distingueva due tipi di fede: quella intesa dal


termine ebraico emuna (fede come ‘credere’) e quella espres­
sa dalla parola greca pistis (‘fede in’, ‘fede in un oggetto’). Il
primo tipo veniva connesso all’ebraismo e il secondo al cri­
stianesimo, in primo luogo alla fede in Cristo dell’apostolo
Paolo6. Questa differenziazione fra due tipi di fede è in certo
modo analoga alla già citata distinzione latina fra fides qua e
fides quae.

3 In un certo senso è presente anche neU’umanesimo secolare, in questo figlio


indesiderato del cristianesimo tradizionale, e probabilmente in diverse forme di
spiritualità contemporanea non tradizionale; in esse però la fede si confonde
facilmente con la gnosi, quindi con un orientamento spirituale che per secoli è
stato a essa concorrente.
4 Cfr. Is 1,17; SaZ82,3; Gel,27.
5 Cfr. £611,8.
0 Cfr. M. Buber, Due tipi di fede. Fede ebraica e fede cristiana (1950), Cinisello Balsa­
mo (MI), San Paolo Edizioni, 1995.
18 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

A differenza di Buber, sono convinto che il cristianesimo


non perda il carattere deìl’emuna, che la fede in Cristo non
debba significare la sua oggettificazione. La fede cristiana non
è per prima cosa la venerazione rituale della persona di Gesù,
bensì la via della sequela di Cristo. Seguire Cristo non significa
somigliare a Gesù di Nazaret quale persona storica di un remoto
passato (come forse potrebbe far pensare il titolo latino origi­
nale del manuale di ascesi di Tommaso da Kempis De imitatione
Christi). Si tratta piuttosto di una via al seguito di Gesù e con
Gesù, che di se stesso ha detto «Io sono la via» e che ai discepoli
ha promesso che avrebbero compiuto azioni ancora più grandi
delle sue. La fede in Cristo è una via di fiducia e coraggio, di
amore e fedeltà; è un movimento in direzione di un futuro che
Cristo ha aperto e al quale chiama.
Questa interpretazione dinamica del cristianesimo presup­
pone una cristologia ben definita, vale a dire una concezione di
Cristo quale alfa e omega dell’evoluzione delfiniera creazione7.
Paolo ha realizzato la prima riforma radicale del cristiane­
simo originario: lo ha condotto dalla forma di piccola setta
ebraica al contesto dell’antica oikoumene. In questo vedo un
contributo radicale del cristianesimo alla storia della fede, in
particolare se si pone l’accento sulla sua missione universale.
Nella concezione paolina, il cristianesimo oltrepassa confini
per quei tempi invalicabili fra religioni e culture (è indifferen­
te se un uomo è ebreo o greco, pagano), fra classi sociali (non
importa se un uomo è libero o schiavo; quest’ultimo, nel mon­
do romano, puro ‘oggetto parlante’ privo di diritti) e fra ruoli
di genere chiaramente definiti (maschio o femmina)8.

7 Tale concezione di Cristo proviene dall’Apocalisse di Giovanni, dalla teologia


dei Padri della Chiesa, dalla tradizione dell’oriente cristiano nonché dalla tradi­
zione francescana medievale, e oggi rivive nell’interpretazione di Cristo data da
Teilhard de Chardin come punto omega dell’evoluzione cosmica e nella spiritua­
lità del Cristo universale, approfondita in primo luogo dal francescano statuni­
tense Richard Rohr. Cfr. P. Teilhard de Chardin, L’ambiente divino (1957), Milano,
Il Saggiatore, 1968; R. Rohr, The Universal Christ, London, SPCK Publishing, 2019.’
8 Cfr. Gal 3,28.
LA FEDE IN MOVIMENTO 19

Ritengo questo universalismo paolino una missione perma­


nente della Chiesa nella storia. Il cristianesimo deve custodire
ed espandere quest’apertura radicale. Aspetto attuale di tale
universalismo è Y ecumenismo, il contrario dell’imperialismo ar­
rogante e ideologico. Se il cristianesimo deve superare la crisi
in cui versano molte delle sue forme attuali e divenire una ri­
sposta ispiratrice di fronte alle sfide di questa epoca di grandi
cambiamenti della civiltà, deve oltrepassare con coraggio molti
odierni confini mentali e istituzionali. È giunto il tempo del
superamento di sé del cristianesimo. In questo libro torneremo ri­
petutamente su questo concetto.
***

Se vogliamo scoprire qualcosa di sostanziale sulla fede di un’al­


tra persona, non domandiamole se crede o non crede in Dio,
quale opinione abbia sull’esistenza di Dio e quale sia la sua
appartenenza ecclesiastica o religiosa. Rivolgiamoci a ciò che
ricopre il ruolo di Dio nella sua vita, a come crede, al modo in cui
vive la sua fede (nel suo mondo interiore e nelle sue relazioni),
come questa si trasforma nel corso della sua vita e come tra­
sforma la sua vita - e se, come e quanto la sua fede trasforma il
mondo in cui vive.
Soltanto la prassi della fede - che comprende tanto la vita
spirituale interiore del credente, quanto la sua vita nella socie­
tà - può rispondere alla domanda in quale Dio crede e in quale
non crede. La fede come emuna, come ‘convinzione ontologica
originaria’, non è mero fideismo emotivo, un indefinito senti­
mento religioso. Non sarebbe di certo corretto sottovalutare il
contenuto della fede (fides quae) e separarlo dall’atto di fede.
Tuttavia Y elemento esistenziale della fede, l’atto di fede incarnato in
una prassi di vita, per certi aspetti ha la precedenza sulla parte
‘contenutistica’ e cognitiva.
L’ogge/Zo della fede è in un certo senso contenuto implici­
tamente nell’atto di fede, nella vita del credente. Per questo
soltanto la prassi di vita di una persona può essere la chiave
ermeneutica per riconoscere ciò in cui quella persona crede

'l
20 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

davvero, ciò su cui fonda la sua vita, non soltanto ciò che in
proposito dichiara con le sue parole.
Questa interpretazione della fede permette anche di parlare
di ‘fede dei non credenti’ (di coloro che affermano di non cre­
dere) e di ‘incredulità dei credenti’ (di coloro che affermano
di credere). Troviamo già nel Nuovo Testamento - in Matteo e
nella Lettera di Giacomo - la formulazione di una fede implici­
ta: una fede contenuta anche ‘in modo anonimo’ in una prassi
di vita. Una persona può mostrare la sua fede anche con le sue
opere, leggiamo nella Lettera dell’apostolo Giacomo9. A volte
può essere essa stessa sorpresa dalla fede presente segretamen­
te in una sua azione: secondo il Vangelo di Matteo coloro che
si prendono cura dei bisognosi incontrano Cristo senza saper­
lo10. E Teofilo di Antiochia scrive: «Se dici: mostrami il tuo Dio,
ti rispondo: mostrami l’uomo che è in te e ti mostrerò il mio
Dio»11.
L’umanità di un individuo, il suo modo di essere, è l’espres­
sione più autentica della sua fede o della sua incredulità. A par­
lare della fede di un uomo è la sua stessa vita, piuttosto che ciò
che pensa o dice a proposito di Dio. Ma quando parliamo del
modo in cui un uomo vive, guardiamoci dal ridurre l’interezza
di una vita soltanto al campo della morale, a virtù e peccati: nel
modo in cui un uomo vive, in cui si esprime, rientrano anche la
sua ricchezza emotiva, la sua fantasia e creatività, la sensibilità
nei confronti della bellezza e il senso deH’umorismo, la capa­
cità di empatia e tutta una serie di altre qualità. Alla domanda
su che tipo di uomo sia e quale fede ispiri e guidi la sua vita,
troviamo una risposta nel modo in cui egli mette in pratica il
compito di essere uomo.

’Cfr. Gc2,18.
'’Cfr. Mi 25,31-46.
" Cfr. Teofilo di Antiochia, Libro adAulolico, 1.2.1.
IL La fede come esperienza del mistero

Fede e incredulità convivono in una dimensione dell’uomo


assai più profonda rispetto alle aree consapevoli e accessibi­
li della ragione: vivono nelle strutture preconsce e inconsce
della vita spirituale, cui si rivolge la psicologia del profondo.
L’idea che la fede sia qualcosa che possa essere compreso
agevolmente, organizzato velocemente in salde categorie pre­
definite e verificate empiricamente con facilità, ha causato
molte incomprensioni e molti errori. Riguardo alla fede, non
ci dicono granché le risposte alle inchieste delle riviste o i
sondaggi dell’opinione pubblica o i conteggi nel corso dei
censimenti della popolazione. Rispondendo alla domanda se
credono o non credono, tante persone oggi sentono il biso­
gno di aggiungere un ‘ma’; alla stessa domanda anche io ri­
spondo: credo, ma probabilmente non nello stesso Dio che
avete in mente voi.
Possiamo trovare la fede, nel senso in cui la intendo in que­
sto libro, non soltanto nella vita di persone che si riferiscono
a se stesse come a credenti in una religione, ma anche in una
forma implicita, anonima, nella ricerca spirituale di donne e
uomini al di fuori dei confini visibili di dottrine e istituzioni
religiose. Anche la spiritualità secolare rientra nella storia della
fede1. Con questa interpretazione ampia della fede, tuttavia,

1 II fondatore della psicologia del profondo, Cari Gustavjung, la cui opera è una
delle fonti di ispirazione di questo libro, aveva inciso sulla porta della sua casa
Vocatus atque non vocatus, Deus aderii (Chiamato o non chiamato, Dio è presente).
La fede ha le sue forme manifeste o latenti, vive nel conscio e nell’inconscio
umano. Evidenti e nascoste, consce e inconsce, esplicite e implicite (‘anonime’),
22 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

non intendo diluire il concetto di fede in una forma vaga, in


un’affermazione banale come ‘chiunque crede in qualcosa’ o
‘anche i non credenti sono in un certo senso credenti’. Parlo
di ‘incredulità dei credenti’ e ‘fede dei non credenti’; tuttavia
non intendo in tal modo colonizzare con arroganza il mondo
dei non credenti, non rispettare la loro personale comprensio­
ne di se stessi, imporre loro qualcosa di estraneo. Vorrei soltan­
to mostrare un più ampio contesto del fenomeno della fede:
è necessario indagare costantemente ciò che la fede è e ciò
che non è con uno studio attento delle diverse forme di fede e
incredulità. Fede e incredulità non sono ‘realtà oggettive’ esi­
stenti indipendentemente dall’osservatore. Sono interpretazio­
ni diverse del mondo, e anch’esse diversamente interpretate.
Queste interpretazioni dipendono innanzitutto dall’osservato­
re, da elementi ‘pre-razionali’, dati dalla sua cultura, dalla sua
lingua, dalle sue esperienze, dalla sua prospettiva e dalle sue
intenzioni (per la maggior parte non oggetto di riflessione).
La situazione spirituale contemporanea può essere descritta
come declino della religione, crisi della fede e della Chiesa op­
pure come rinascimento religioso e spirituale, ‘ritorno della
religione’ come cambiamento della religione in spiritualità o
in ideologia politica identitaria, come pluralizzazione della re­
ligione o individualizzazione della fede, eventualmente come
opportunità di una nuova evangelizzazione. Per tutte queste
interpretazioni possiamo trovare molti argomenti e anche un
sostegno nelle ricerche empiriche. Esse diventano rilevanti nel
momento in cui giustificano le posizioni e le azioni concrete di
coloro che le accolgono. A livello teorico esistono naturalmen­
te pluralità di interpretazioni e conflitti legittimi: ma questo
ancora non significa che siano tutte ugualmente valide. Il loro
valore si mostra pienamente soltanto nel momento in cui pren­
dono corpo nell’agire umano. Qui vale il principio biblico: li
riconoscerete dai loro frutti.

le forme della fede (ma anche dell’incredulità) possono a volte essere in tensio­
ne, per questo in cerò casi possiamo parlare anche di ‘fede dei non credenti’ e di
‘incredulità dei credenti’.
LA FEDE COME ESPERIENZA DEL MISTERO 23

Fede e incredulità - soprattutto oggi, nella cultura del mon­


do globalizzato, in cui diverse correnti e posizioni spirituali si
influenzano continuamente l’una con l’altra - non possono es­
sere distinte in modo univoco e separate del tutto: nei pensieri
di molti contemporanei esse si mescolano. Il dialogo tra fede e
incredulità oggi non è una questione riguardante due gruppi
nettamente separati: si gioca nella mente e nel cuore dei sin­
goli individui.
Gli attuali cambiamenti della fede esigono chiaramente di
riconsiderare molte categorie tradizionali della sociologia e
della psicologia della fede. Le categorie di ‘fede e incredulità’,
‘credente e non credente’, così come erano intese dalle gene­
razioni precedenti, non sono più in grado di contenere e de­
scrivere la varietà e la dinamicità della vita spirituale della no­
stra epoca: i muri invalicabili fra credenti e non credenti, fede
e scetticismo, sono crollati allo stesso modo di alcune divisioni
apparentemente inamovibili sulla scena politica e culturale.
Se vogliamo comprendere il nostro mondo multiforme e
in veloce cambiamento, dobbiamo mettere da parte molte
categorie troppo statiche. La vita spirituale dell’individuo e
della società è un polo energetico dinamico, che muta conti­
nuamente.

***

Dal punto di vista teologico, la causa prima (‘soggetto’) del­


la fede è Dio stesso, che ha creato l’uomo a sua immagine e
ha infuso nella nostra umanità il desiderio di sé, la tensione
dell’immagine verso il proprio modello. Alcune scuole teolo­
giche distinguono in modo piuttosto rigoroso fra il desiderio
‘naturale’ dell’uomo per l’assoluto e la risposta ‘sovrannatu­
rale’ di Dio, il dono della grazia. Altre sostengono che questo
stesso desiderio agisce nell’uomo come ‘grazia’, energia divina
che apre e dispone l’uomo al dono più grande, il donarsi di
Dio. Questa sete di assoluto si desta nei singoli individui con di­
versa intensità, in età e circostanze diverse: giunge loro per vie
e forme diverse. Può sorgere come impulso interiore verso la
24 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

ricerca spirituale, che si manifesta a volte in modo apparente­


mente non religioso, come desiderio di bene, verità e bellezza
(che, come è chiaro, sono attributi tradizionali di Dio) oppure
di amore e significato. A volte invece lavora a lungo e in silen­
zio nell’inconscio e poi sgorga in momenti descritti come di il­
luminazione, risveglio e conversione. Nel desiderio dell’uomo
per il profondo, per il senso profondo della vita, parla una voce
che evoca e invoca, e l’uomo le presta ascolto oppure no, la
interpreta e comprende variamente e variamente le risponde.
Ovviamente questa chiamata può rimanere inascoltata dall’uo­
mo e questa richiesta, che sgorga da lui stesso o dal suo am­
biente sociale, può rimanere relegata nell’inconscio. Ma tale
capacità ci è data solamente in embrione, è necessario che cia­
scuno se ne prenda cura e la sviluppi. A questo scopo la cultura
in cui si vive può, ma non deve, essere d’aiuto. Alcune culture
considerano la cura dell’anima come loro compito e significato
principale, altre sembrano essere indifferenti rispetto a una si­
mile dimensione dell’umano.
Secondo la dottrina cristiana tradizionale, Dio viene attra­
verso la Parola: attraverso la parola del racconto biblico così
come attraverso la Parola incarnata nella storia - attraverso Cri­
sto e attraverso la Chiesa, che fa da mediatrice in molti modi fra
l’uomo e la Parola. Ma la risposta di Dio può giungere anche
silenziosa e intima, addirittura anonima. Nell’atto di fede — so­
prattutto nella vita di un individuo concreto - si può solo di­
stinguere sul piano teorico tra trascendenza e immanenza, tra
Dio come ciò che è ‘completamente altro’, che tutto trascende,
e Dio che è in noi più intimo del nostro io, è ‘io del nostro io’.
Con la libera risposta dell’uomo alla chiamata di Dio si rea­
lizza il carattere dialogico della fede. La fede personale è la no­
stra risposta - e questo sia come aspetto esistenziale, atto di fede
(fides qua, faith), sia come contenuto della nostra fede personale,
come sua articolazione nella forma di un nostro convincimen­
to (fides quae, belief).
Atto di fede e contenuto della fede (Jìdes qua e fides quae)
sono necessari l’uno all’altro; tuttavia, mentre Soggetto della
fede’ può essere presente in modo implicito e anonimo nell’at-
LA FEDE COME ESPERIENZA DEL MISTERO 25

to di fede come ‘convinzione ontologica’, non è vero il contra­


rio. Un semplice ‘convincimento religioso’ senza la fede come
orientamento di vita e atteggiamento esistenziale non può es­
sere considerato fede nel senso biblico e cristiano di questa
parola.
La fides quae, un ‘convincimento’, aggiunge alla fede intesa
come fides qua la possibilità di autoespressione verbale e intel­
lettuale e di comunicazione con gli altri. La fides qua (faith)
senza la fides quae (belief) è forse ‘nuda’, ma questa ‘nudità’ non
deve per forza essere vacuità, bensì un rimanere in silenzio stu­
pito e umile di fronte al mistero. I mistici hanno sempre saputo
che il vuoto puro è solamente l’altra faccia della pienezza, se
non addirittura il suo volto più autentico.
Come scrive S0ren Kierkegaard, l’atto di fede può avere
l’aspetto di un salto nel paradosso2. Può avere l’aspetto di un
ingresso mistico nella nube della non conoscenza1 o della parten­
za di Abramo verso una meta ignota4. Una fede siffatta non
è oggettificata (reificata), eppure non è vacua. Nella Bibbia e
nella tradizione di derivazione biblica troviamo sia la frase «so
in chi ho posto la mia fede»5 e una professione di fede molto
articolata, sia il severo divieto di pronunciare il nome di Dio e il
silenzio mistico su Dio. Le tradizioni mistiche per prime sanno
che Dio è ‘nulla’ (nulla nel mondo degli enti, delle cose, degli
oggetti) e che la parola nulla è forse l’espressione più adeguata
per il modo del suo essere. La singolarità di Dio non può venir
persa nel mondo delle diverse ‘cose’, dal momento che il Dio
della fede biblica non abita fra gli idoli, non può divenire parte
del mondo delle rappresentazioni religiose umane, dei deside­
ri e delle fantasie. All’Areopago di Atene san Paolo ignora tutti

2 Questo motivo attraversa quasi tutta l’opera di Kierkegaard, da Timore e tremore


a La malattia mortale.
3 La nube della non conoscenza ( The Claude of Unknowyng) è un testo mistico medie­
vale di autore anonimo inglese (ed. it. Milano, Adelphi, 1998).
4 Off. £Z> 11,8.
5Cfr. 2Tm 1,12.
26 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

gli altari degli dei noti e soltanto di fronte a quello dedicato al


dio sconosciuto riconosce la presenza del Dio della sua (e nostra)
fede6.
***

Solitamente l’atto di fede assume la forma di una relazione con


un interlocutore concreto: si crede in qualcosa, si crede a qual­
cuno o a qualcosa - questo significa fides quae. L’atto di fede
viene riempito da questa o quella quantità di concretezza, è
diretto verso qualcosa, ha un suo oggetto. La fonte originaria,
il soggetto della fede, diviene oggetto, materia della fede. Tut­
tavia, se la materia della fede è un mistero che tutto trascende,
allora per sua stessa natura non può divenire oggetto nel senso
di ‘cosa fra le altre cose’, il mistero non può essere ‘oggettifica-
to’. Il mistero assoluto resta mistero anche nella rivelazione di
sé: ciò che in esso è visibile e comprensibile rimanda a ciò che
è invisibile e incomprensibile.
Non possiamo comprimere il mistero assoluto nel mondo
delle nostre rappresentazioni e delle nostre parole, nel mon­
do limitato dalla nostra soggettività e dalla ristrettezza dell’e­
poca e della cultura in cui viviamo e pensiamo. Per questo
mentre la fides qua, la devozione esistenziale a Dio, si relaziona
con Dio come tale, la fides quae, il tentativo di articolare e quin­
di, in una certa misura, di reificare il mistero, si scontra con i
limiti della conoscenza razionale umana e ci fornisce soltanto
una rappresentazione, un’immagine di Dio ristretta, limitata
dalla nostra lingua e dalla nostra cultura. Ciò può essere quasi
un simbolo della via verso Dio, ma non può essere scambiato
per il mistero stesso dell’assoluto7. Questo mistero si dà a noi

6 Cfr. Al 17,22-23.
’ La tradizionale teologia tomistica insegna che Dio rispetta i limiti della cono­
scenza razionale umana, ciononostante fra i concetti umani e la sostanza miste­
riosa di Dio esiste una relazione di somiglianza, di analogia. Il Concilio Late­
ranense IV aggiunge, tuttavia, che in questa relazione la dissomiglianza eccede
infinitamente la somiglianza.
LA FEDE COME ESPERIENZA DEL MISTERO

in un modo che soddisfa pienamente la nostra salvezza (se ci


apriamo a esso con la nostra vita), ma resta un mistero e lascia
dunque spazio a una nostra ulteriore ricerca, a un’ulteriore
maturazione nella fede.
Intendere Dio come persona non significa accettare imma­
gini antropomorfe e primitive di Dio né significa relazionarsi
con Dio con una facile familiarità, cessare di percepirlo come
mistero. Attribuendo al mistero assoluto un carattere ‘perso­
nale’, il cristianesimo vuole evidenziare che il nostro rapporto
con Dio ha un carattere dialogico: non si tratta soltanto di un
atto di conoscenza e di comprensione da parte nostra, bensì di
un incontro in cui Dio ci accoglie. Questa reciproca accettazio­
ne di Dio e dell’uomo non si configura in un atto unico, bensì
in un racconto, in una storia che evolve.
Lo Spirito divino conduce la Chiesa sempre più profonda­
mente nella pienezza della verità: è necessario lasciarsi guidare
da lui. Questo movimento non può venir di certo scambiato per
un progresso, come viene inteso dall’escatologia e dall’ideo­
logia secolari: non è una strada a senso unico e non termina
con nessuno stato ideale nella storia, ma soltanto nell’abbrac­
cio di Dio nella pienezza dei tempi. Sant’Agostino, notando un
ragazzo che giocava con una conchiglia in riva al mare, com­
prese che tutta la nostra teologia, tutti i nostri catechismi e i
nostri volumi di dogmatica, se confrontati con la pienezza del
mistero di Dio, sono come quella conchiglia. Serviamoci con
gratitudine di tutti gli strumenti che ci sono stati dati; ma allo
stesso tempo non cessiamo di meravigliarci per la grandezza e
la profondità di ciò che infinitamente li trascende.

***

In un dizionario di termini religiosi e teologici il concetto


probabilmente più vicino all’interpretazione esistenziale della
fede che io sostengo in questo libro è quello di spiritualità,
purché non la intendiamo in modo troppo ristretto soltanto
come vita interiore o componente soggettiva della fede. La spi­
ritualità è lo ‘stile di vita della fede’: colma praticamente tutto
t

28 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

lo spazio della ftdes qua. È la linfa dell’albero della fede, nutre


e anima entrambe le sue dimensioni: da un lato la vita spiritua­
le, l’esperienza religiosa interiore, lo stile con cui si esperisce
e si riflette sulla fede; dall’altro la prassi esteriore della fede,
che si esprime nelle azioni dei credenti nella società, nelle ce­
lebrazioni collettive e nel concretizzarsi della fede nella cultu­
ra. Ritengo questa dimensione della fede un elemento chiave
per il prossimo futuro, e per questo le dedicherò un apposito
capitolo.
Un altro concetto inscindibile da questa interpretazione
della fede è quello di tradizione - corrente viva creatrice, che
rende possibile tramandare e testimoniare. La tradizione è un
moto incessante di ricontestualizzazione e reinterpretazione:
studiare la tradizione significa in primo luogo cercare la conti­
nuità nella discontinuità, l’identità nella pluralità di fenomeni
sempre nuovi che emergono in un processo di evoluzione. In
questo processo di trasmissione, la fede si mostra come un fe­
nomeno dinamico, mutevole, che non può essere compresso
dentro i confini di una ben delimitata definizione.
Se studiamo le forme della fede nella storia e nella con­
temporaneità, ci imbattiamo in molti fenomeni sorprendenti,
che mettono in discussione le attuali definizioni e travalicano
le nostre rappresentazioni e i concetti teorici troppo ristretti.
Così come la biologia evolutiva ha mostrato l’insostenibilità di
un’interpretazione statica della natura, allo stesso modo lo stu­
dio dell’antropologia culturale ha messo in discussione la con­
cezione ingenua e astorica di un carattere naturale immutabile:
1’esistenza umana è una componente dinamica dell’evoluzione
storica. Le domande su Dio e sulla ‘sostanza dell’uomo’ rice­
vono ripetutamente risposte affidabili, sensate e comprensibili
nel contesto della cultura e della situazione storica in cui ci si
trova. Qui, più della metafisica classica, vengono in nostro aiu­
to l’ermeneutica e la fenomenologia della fede.
La fede, per come ne parliamo in questo libro, è qualcosa
di assai più sostanziale del ‘consenso prestato a un articolo di
fede stabilito dall’autorità ecclesiastica’. La metanoia - la con­
versione, l’accettazione della fede - richiesta dal Vangelo non
LA FEDE COME ESPERIENZA DEL MISTERO 29

è soltanto il cambiamento di un’idea del mondo, ma un rivolgi­


mento esistenziale e il cambiamento di prospettiva, di visione e di
percezione che da esso scaturisce; significa piuttosto risvegliar­
si e intraprendere il viaggio di una vita nuova. Questo risveglio
può essere il principio del cammino oppure un’esperienza ri­
petuta che apre una nuova fase lungo il percorso.
***

Gli apostoli sul monte Tabor vissero chiaramente un’esperienza


simile8. I discepoli di Gesù ormai da tempo seguivano il loro
maestro: credevano in lui già da quando aveva consigliato loro
dove gettare le reti, quando avevano ascoltato la sua predicazio ­
ne e visto i suoi segni, quando avevano lasciato le loro case e si
erano messi in viaggio con lui. Ma con quella visione sul monte
fanno un altro passo lungo la via della fede. Lì vivono qualcosa
a cui più tardi la teologia avrebbe dato la forma di dogma sulla
natura di Gesù e sul suo posto nella storia della salvezza (accan­
to a Mosè ed Elia). Scorgono qualcosa che non sono ancora
in grado di comprendere a parole: d’altra parte la loro vista è
coperta dalla nube. Non diventano saggi e sapienti, un’élite illu­
minata (gnostici). Devono rinunciare al desiderio di stabilirsi in
quell’esperienza di vicinanza e chiarezza, lontano e al di sopra
della valle della banale quotidianità («fare sul monte tre capan­
ne»); dopo questa peak-experiencé*, li attende ancora la discesa a
valle e, a suo tempo, l’oscurità del Getsemani. La ‘luce del mon­
te Tabor’ non infrange le caratteristiche del mistero, non ne fa
un problema risolto. Non libera il credente dal compito di pro­
seguire sulla via della ricerca di Dio, di ‘cercare in tutte le cose’.
La fede, per come la intendo io, ha un carattere peregri­
nante e una meta escatologica. Anche quando riconosciamo

8 Cfr. Mi 17,1-8.
9 II concetto di peak-experience, usato dalla psicologia esistenziale per un’esperien­
za mistica trasformatrice, è stato introdotto da Abraham H. Maslow (cfr. A.H.
Maslow, Religions, Values and Peak-Experiences, New York - London, Ohio Slate Uni­
versity Press, 1964).
30 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

il diritto dell’autorità ecclesiastica di pronunciare determina­


te espressioni di fede come autentiche e vincolanti, ciò non
significa che possiamo chiudere la bocca a Dio e smettere di
percepire il soffio dello Spirito; nessuna esperienza religiosa
individuale, nessuna comprensione ed espressione individuale
della fede aU’intemo della storia può esaurire il mistero di Dio.
La parola mistero non è un segnale di ‘stop’ nella nostra ricer­
ca di Dio aU’intemo di un percorso di riflessione, preghiera e
meditazione, quanto piuttosto uno sprone a credere mentre
percorriamo queste vie verso una profondità inesauribile.
***

Dio in se stesso rimane un mistero impenetrabile, e segreta è


anche la sua azione nelle profondità del cuore umano (nell’in­
conscio). La vita interiore di Dio è un mistero, incomprensibile
e inafferrabile con i nostri sensi, la nostra ragione e la nostra
fantasia, indescrivibile attraverso le nostre categorie. E questo
avviene forse non perché Dio ci è estraneo e distante, ma pro­
prio perché ci è incredibilmente vicino: Dio ci è più vicino del
nostro stesso cuore, afferma sant’Agostino. Proprio per questa
sua vicinanza, per il fatto di non avere da lui alcuna distanza,
non possiamo farne un oggetto posto di fronte ( Gegen-stand) e
ogni tentativo di reificarlo rende Dio un idolo. Non vediamo
Dio come non vediamo il nostro volto, di cui possiamo solo
scorgere il riflesso rovesciato nello specchio. In modo simile
- come insegna anche l’apostolo Paolo - vediamo Dio in uno
specchio, in indizi o enigmi10. Dio è non-aliud (‘non-altro’),
come afferma Niccolò Cusano11.
La domanda ‘dove è Dio in se stesso’ non ha risposta, così
come non ce l’ha quella su ‘dove risiede il nostro io’: né Dio
né l’io umano possono essere fissati e localizzati, reificati. Per

10Cfr. ICor 13,12.


" Cfr.J. Sokol (ed.), De non-aliud, in P. Floss, MikulásKusánskj: iivot a dilo, Praha
Vysehrad, 1977, pp. 281-285.
LA FEDE COME ESPERIENZA DEL MISTERO 31

questo anche rincontro con Dio e il cambiamento esistenziale


del nostro io - la scoperta di Dio come Io del nostro io - sono
due realtà essenzialmente connesse. Nella fede, nell’incontro
esistenziale con un mistero che tutto trascende, si manifesta la
vera natura dell’esistenza umana: la sua apertura. L’antropolo­
gia teologica, fondata sull’esperienza mistica, vede in questa
apertura la sostanza stessa della natura umana: homo est capax
Dei (l’uomo è in grado di accogliere Dio).
La teologia cristiana segnala come punto apicale dell’incon­
tro della reciproca apertura fra uomo e Dio la persona di Gesù
Cristo. Ma Gesù — come leggiamo nei testi più antichi del Nuo­
vo Testamento — non ha riservato questa dignità divina a se
stesso12: per Lui e con Lui e in Lui l’intera umanità - ogni per­
sona - è invitata e assorbita nel mistero del Natale, dell’incar­
nazione, dell’unione di umano e divino. Questo compimento
di senso della nostra umanità avviene non solo laddove gli uo­
mini dicono a Gesù «Signore! Signore!», ma ovunque vivono
compiendo la volontà di Dio13.
Ancora una volta: se vogliamo cercare una scala per l’auten­
ticità della fede, non cerchiamola in ciò che una persona pro­
fessa a parole, ma nella misura in cui la fede è penetrata e ha
cambiato la sua esistenza, il suo cuore. Cerchiamola nel modo
in cui intende se stessa, nella relazione vissuta con il mondo, la
natura e le persone, la vita e la morte. Un uomo non professa
la fede nel Creatore con ciò che pensa sull’origine del mondo,
ma nel modo in cui si comporta nei confronti della natura;
professa la fede nel Padre comune se accoglie le altre persone
come fratelli e sorelle; professa la fede nella vita eterna con il
modo in cui accetta la propria finitezza.
Quando i rappresentanti ufficiali giudicavano la fede degli
altri (mandandoli al rogo e fino a non molto tempo fa perse­
guitandoli e ammonendoli in vario modo) sulla base di quan­
to questi dicevano o scrivevano sulla propria interpretazione

12 Cfr. FiZ 2,6-11.


13 Cfr. M/7,21.
32 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

della fede, trascuravano tragicamente che Dio giudicherà la


fede degli uomini - anche la fede degli stessi inquisitori! - dal
modo in cui si è manifestata nei loro comportamenti e nelle
loro relazioni, dal modo in cui la loro prassi di vita ha rispo­
sto della loro fede, della sua autenticità o perversione, della
loro fede o incredulità reali. Possiamo e dobbiamo condividere
in un dialogo fraterno le nostre diverse esperienze di fede,
possiamo aiutarci reciprocamente, ispirarci, completarci, cor­
reggerci e approfondire la nostra testimonianza sulla fede,
ma sulla porta d’ingresso della sala in cui avverrà un incontro
del genere dovrebbero essere incise ben leggibili le parole di
Gesù: «Non giudicate!». (Durante una mia visita amichevole a
un collega, tenutasi nel palazzo vaticano della Congregazione
per la dottrina della fede, ho notato che nessuna porta di quel­
la che era stata la sede della Santa Inquisizione aveva sopra
questa iscrizione.)
Fede e incredulità riguardano l’intera persona, e per questo
della loro autenticità nella vita di un individuo concreto può
giudicare solamente Dio. Una cosa però possiamo affermare
con sicurezza: il fanatismo militante rimane la maschera prefe­
rita dell’incredulità esistenziale.

***

Non condivido l’immagine deista di un Dio che vive da qual­


che parte al di fuori della realtà del mondo, della natura e della
storia, da essi nettamente separato, e che al massimo intervie­
ne da fuori come un deus ex machina. Credo in un Dio che è
abisso di ogni realtà, di tutto il creato, che include e trascende
all’infinito; credo in un Dio di cui l’apostolo Paolo dice: «In lui
viviamo, ci muoviamo ed esistiamo»14.
Il Dio in cui credo è presente nel nostro mondo innanzitut­
to attraverso la preghiera e l’opera degli uomini (ricordiamoci
del motto benedettino ora et labora), attraverso le loro risposte

M Al 17,28.
LA FEDE COME ESPERIENZA DEL MISTERO 33

alle sollecitazioni di Dio (detto in modo tradizionale: all’azione


della grazia) con una vita di fede, speranza e amore. Viste da
una prospettiva teologica, fede, speranza e amore non sono
atteggiamenti esistenziali umani, ma il luogo dell’incontro e
della compenetrazione essenziale (perichoresis) di divino e uma­
no, grazia e libertà, cielo e terra. In essi Dio e la sua vita sono
accessibili alla nostra ricerca. La teologia cui faccio riferimento
è una fenomenologia della rivelazione di sé di Dio negli atti di
fede, accompagnati da amore e speranza.
III. Leggere i segni dei tempi

Dedico il presente capitolo a questioni metodologicamente as­


sai rilevanti: fra le altre, al rapporto della fede con la storia e
la cultura. Chiamo l’approccio teologico applicato in questo
libro cairologia, indicando con tale termine Y esperienza ermeneu­
tica teologica della fede nella storia, in particolare nei momenti cri­
tici di cambiamento dei paradigmi sociali e culturali1.
Considero la crisi come il tempo dell’opportunità, il tempo
quasi maturo (kairos). Esistono due parole greche che si riferi­
scono a due concezioni differenti del tempo. Chronos indica la
quantità di tempo, la successione di ore, giorni e anni, il flusso
del tempo misurabile con l’aiuto dei nostri orologi e calendari.
La parola kairos invece rimanda alla qualità del tempo: kairos è
il tempo dell’opportunità, il tempo per qualcosa, il tempo che
matura, il tempo di una visita: è l’arrivo (avvento) di momenti
unici e irripetibili, di cui è necessario comprendere il significa­
to, cogliere la chiamata e soddisfarla; è il tempo delle decisioni,
il momento che non si deve lasciar passare e vanificare. «C’è un
tempo per nascere e uno per morire, un tempo per piantare
e un tempo per sradicare quel che è piantato. Un tempo per
uccidere e un tempo per curare, un tempo per demolire e un
tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per
ridere», dice nella Bibbia il libro di Qpelet2. Gesù inizia il suo
ministero pubblico con le parole: Il tempo è compiuto! Ai suoi

1 Ho appurato in seguito che questo termine era già stato utilizzato negli anni
Ottanta dal teologo pastorale viennese Paul Zulehner (cfr. P.M. Zulehner, Teo­
logia pastorale [1989], vol. 1 : Pastoralefondamentale, Brescia, Queriniana, 1992).
2 Cfr. Qp 3,1-8.
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
36

contemporanei rimprovera di sapere prevedere che tempo fara


domani, ma di non comprendere e di non voler comprendere
i segni dei tempi3.
Percepire e annunciare i segni dei tempi {ta semeia ton kai-
Ton) è nella Bibbia e nella tradizione cristiana compito dei pro­
feti. I profeti biblici non erano indovini, futurologi o preveg­
genti dell’avvenire,• erano in primo luogo interpreti di eventi
presenti, di una pedagogia divina. La cairologia riconosce que­
sto compito profetico, che Cristo ha affidato alla Chiesa. Se
ne occupa con il sostegno di metodi che la teologia prende in
prestito dalla filosofia contemporanea, innanzitutto dalla feno­
menologia e dall’ermeneutica.
Sono convinto che una teologia che si muova esclusivamen­
te nell’ambito della metafisica tradizionale non sia in grado di
assolvere questo compito. La cairologia si distingue sostanzial­
mente dall’onto-teologia, ‘scienza di Dio’ metafisica, che scam­
bia il Dio biblico della storia per il primo motore immobile dei
greci. Prescindo completamente dalle speculazioni sull’essen­
za, la sostanza e gli attributi di Dio o sulle prove della sua esi­
stenza. Ho sempre ritenuto inaffidabili i trattati teologici con
titoli quali «Dio e la sua vita», se non riguardano la vita di Dio
in noi, nella nostra vita e nella nostra storia.
La liturgia, nel cristianesimo, non può essere separata dal
servizio all’uomo, e la conoscenza di Dio dalla conoscenza
dell’uomo e del mondo. Se la teologia va presa sul serio come
parte necessaria del servizio all’umanità, deve essere contestua­
le, riflettere l’esperienza della fede, la sua presenza nella vita e
nella storia degli uomini. Deve considerare la fede nel contesto
dei cambiamenti culturali e storici, dunque anche dialogare
con le scienze che si occupano dell’uomo, della cultura, della
società e della storia.
La cairologia potrebbe essere definita più come socio-teolo­
gia (intersezione fra teologia e sociologia) che come teologia
‘pura’. Le mie esperienze di collaborazioni accademiche inter-

sCfr. Lc\ 2,54-56.


LEGGERE I SEGNI DEI TEMPI 37

disciplinari fra teologia, filosofia e sociologia della religione


nel corso di incarichi internazionali di ricerca riguardanti la re­
ligione mi hanno persuaso che un lavoro intellettuale respon­
sabile da parte della teologia debba essere accompagnato tanto
da un approccio contemplativo alla realtà, quanto da un dialo­
go franco con la filosofia contemporanea e le scienze sociali.
Non si può comprendere il fenomeno complesso e mutevole
della religione se le prospettive della teologia e della sociolo­
gia restano parziali e separate tra loro. È necessario superare i
pregiudizi reciproci fra teologia e sociologia, occorre che im­
parino a comprendere la lingua l’una dell’altra e ad ampliare
in questo modo la propria prospettiva e la propria esperienza
con uno sguardo complementare che provenga dall’altra riva.
I punti ciechi di entrambe le discipline hanno generato nel
passato teorie superficiali e ideologicamente distorte4.
È necessario proseguire nello sforzo di unire teologia e scien­
ze sociali, attingendo stimoli e ispirazione dalle discipline affini
come la teologia politica, la teologia della liberazione, la dottri­
na sociale cattolica e la teologia sociale protestante. La teologia è
al servizio della fede, ma la fede cristiana si incarna nella cultura
e nella società e, se vogliamo comprendere e servire, dobbiamo
coglierla nel contesto e studiare anche il contesto.

***

Riprendo la concezione della teologia di Michel de Certeau,


il quale sosteneva che l’esperienza umana — e dunque l’espe­
rienza storica - è il luogo del manifestarsi di Dio5. Alle analisi

■* Tra i pionieri della socio-teologia potremmo forse annoverare P.L. Berger, che
diede forma di saggio alle sue importantissime opere sui cambiamenti sociali
contemporanei della religione, opere in cui le analisi sociologiche compenetra­
no le considerazioni teologiche. Penso innanzitutto all’ampia trilogia II brusio
degli angeli. H sacro nella società contemporanea (1969), Bologna, il Mulino, 1995;
L'imperativo eretico. Possibilità contemporanee di affermazione religiosa (1979), Rivoli
(TO), ElleDiCi, 1987; Una gloria remota. Avere fede nell’epoca del pluralismo (1992),
Bologna, il Mulino, 1994.
5 M. de Certeau, Note sur l'expérience religieuse, Paris, Denis Pelletier, 1956.
38 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

di sociologi, storici, politologi, antropologi culturali e psicologi


sociali, la cacologia aggiunge una diagnosi spirituale dei tem­
pi. Si domanda in che modo fede, speranza e amore siano pre­
senti nel contesto culturale e morale, anche in forme tutt’altro
che tradizionali.
È necessario rendersi conto che su queste ‘virtù divine’ il
cristianesimo ecclesiastico tradizionale non ha più il monopo­
lio. D’altronde la Chiesa stessa insegnava, e insegna tuttora,
che Dio distribuisce i suoi doni in modo del tutto libero e non
mediato. Fede, speranza e amore vivono una vita propria an­
che al di là dei confini istituzionali della Chiesa, e di certo,
nei contesti non ecclesiastici i loro nomi cambiano molto o ne
acquistano di nuovi. La Chiesa deve accogliere positivamente
questo ampliamento e questa emancipazione del suo tesoro
più intimo, oppure deve vivere questa perdita di controllo con
preoccupazione e timore? Forse la presenza di ‘valori cristia­
ni’ mutati può ispirare alla teologia un’ecclesiologia nuova,
una più ampia e profonda comprensione di sé da parte della
Chiesa.
Un’interpretazione teologica della Chiesa deve essere più
ampia di una mera descrizione sociologica delle sue forme già
compiute nella storia. Da un punto di vista teologico, la Chiesa
è più di una fra le molte istituzioni sociali o fra i molti gruppi di
interesse: è santità, dunque simbolo e segno attivo {signum effi­
ciens) dell’unità dell’umanità intera in Cristo. Essa deve indica­
re con efficienza ciò che non c’è ancora e ciò che non è neppure
lecito aspettarsi nella storia. La Chiesa intende la conclusione
promessa della storia e allo stesso tempo il compimento del
significato della sua esistenza come una meta escatologica (un
orizzonte, dunque, che trascende la storia). La visione di ‘una
Chiesa senza confini’ (una Chiesa realmente cattolica e univer­
sale) è in una prospettiva storica u-topica, nel senso che non ha
il suo posto {topos) all’interno della storia. Tuttavia quest’uto­
pia può essere importante ed efficace se diviene ispirazione e
motivo di azione per i cristiani, in grado di indirizzare, all’inter­
no del processo storico, verso il punto omega.
LEGGERE I SEGNI DEI TEMPI 39

Questa visione deve però essere accompagnata da un av­


vertimento: non può diventare un’ideologia che affermi la
perfezione di una determinata forma di Chiesa e della sua
conoscenza (lo stato e la forma della teologia) difendendola
da sviluppo e riforme. Nel corso della storia si sono succeduti
molti, infelici, tentativi di ‘ideologizzare un’utopia’, vari sforzi
chiliastici di edificare il regno dei cieli in terra, sia in forme
eretiche di cristianesimo, sia nell’ideologia secolare del comu­
nismo (il quale, in questo senso, può anche essere considerato
una eresia cristiana). Altrettanto infelici sono stati i tentati­
vi già menzionati del trionfalismo cristiano di dichiarare un
certo stadio della Chiesa e della teologia quale definitivo. In
precedenti pubblicazioni ho già messo in guardia dal fatto che
l’omissione della differenza escatologica tra Chiesta terrena
militante {ecclesia militans) e Chiesa celeste trionfante {ecclesia
triumphans) conduce al trionfalismo e al militantisme della re­
ligione6. Più avanti in questo libro proverò a offrire un’altra
via per realizzare gradualmente una ‘cattolicità del cristiane­
simo’: una via di ampliamento e approfondimento della sua
apertura ecumenica.

***

Ritengo la cairologia parte della public theology’’. Questo la impe­


gna a esprimersi in una lingua comprensibile anche al di là dei
confini del settore accademico della teologia e dell’ambiente
ecclesiastico. Per la teologia pubblica lo spazio pubblico è tanto
oggetto di ricerca quanto destinatario dei suoi enunciati; i teo­
logi pubblici in molti casi partecipano ad attività sociali, inizia­
tive civiche e movimenti di opposizione8. La loro opera sociale

6 T. Halik, Stromu ibyvà nadéje, Praha, Nakladatelstvi Lidové noviny, 2009, p. 200.
Torno su questa riflessione nel capitolo XIV.
7 L’espressione ceca verejnà teologie (teologia pubblica) è stata diffusa da L’ubomfr
Martin Ondràsek, pioniere della public theology in Slovacchia (cfr. L.M. Ondràsek,
Verejnà teologia na Slovensku, Trnava, Dobrá kniha, 2019).
8 Pensiamo ai partecipanti alla rivolta antinazista Dietrich Bonhoeffer e Alfred
40 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

è motivata dalla fede, che si rispecchia nella loro teologia. I teo­


logi pubblici si sforzano di pronunciarsi in modo competente,
comprensibile e affidabile sugli eventi della vita pubblica, della
società e della cultura. Ispirati dai profeti della Bibbia, vedono
nei cambiamenti del mondo l’esprimersi di Dio nella storia.
È fondamentale per i teologi contemporanei porre l’accen­
to sulla storia e sulla storicità. La teologia antica si rifaceva ai
due libri della rivelazione di Dio: la Bibbia e la natura (la crea­
zione): se vuoi trovare Dio, leggi di lui nella Bibbia o nel libro
della natura. Mentre per le mitologie prebibliche e le religioni
pagane la teofania, il luogo del manifestarsi divino, è innanzi­
tutto la natura e la sua ciclicità, l’eterno ritorno dell’identico,
per la Bibbia il luogo della teofania è innanzitutto la storia. Non
è forse la storia il ‘terzo libro’, accanto alla Bibbia e alla natura
(creazione)?
Il Dio biblico è Creatore del mondo e Signore della storia.
Natura (creazione) e storia non possono essere separate, la na­
tura è un processo di sviluppo incessante e la storia umana è
una parte specifica di questo processo. La creazione, questa
‘predicazione’ divina sempre in corso, è il mondo, nell’inter­
pretazione biblica il mondo storico, il mondo che evolve e con­
tinua. Il mondo è un processo in corso, creatio continua, e la
società e la cultura umane sono suoi elementi integranti. Già il
passo biblico all’inizio del libro della Genesi parla della creazio­
ne come di un racconto, un evento nel tempo, anche quando
il linguaggio mitopoetico del testo biblico attribuisce a questo
evento una specifica concezione del tempo, che motiva l’istitu­
zione del giorno santo del riposo. Dobbiamo a Darwin l’idea
creativa - chiaramente ispirata da Hegel - di rendere storia la
biologia, di proiettare la storia sulla biologia. Grazie alla teo­
ria dell’evoluzione, possiamo interpretare la natura come un
processo che sfocia nella storia dell’uomo. Teilhard de Char­
din e i teologi processuali hanno proposto un’interpretazione

Delp, a Martin Luther King, ai vescovi Desmond Tutu e Óscar Romero, al teolo­
go del movimento polacco SolidamaséJózef Tischner o ai dissidenti cechi dell’e­
poca del governo comunistajosef Zvëfina ejakub S. Trojan.
• BIBLIOTECA *

LEGGERE I SEGNI DEI TEMPI 41

teologica della teoria evolutiva, evidenziando il suo significato


ispiratore per la teologia e la spiritualità cristiane.
Così come non si può separare la natura dalla storia, non
si può neanche separare la Bibbia dalla storia: la storia non è
qualcosa di parallelo, posto accanto alla Bibbia. La Bibbia è sia
narrazione sulla storia, sia frutto della storia. È testimone della
storia e sua co-creatrice. I racconti biblici vivono attraverso la
memoria culturale nella storia, offrono una chiave d’interpre­
tazione della storia e la co-creano. Co-creano anche i racconti
esistenziali dei singoli, la ‘storia personale’ di un credente. La
fede è apertura, attraverso cui i racconti biblici entrano nella
vita di un individuo e la trasformano.
Il Concilio tridentino ha indicato quali strumenti della rive­
lazione divina sia la Scrittura sia la tradizione. Ma la Bibbia è
parte della tradizione, e a questa appartengono non soltanto
la storia della sua origine, ma in un certo senso anche la storia
sempre in corso del suo commento, della sua vita nella Chiesa
e nella cultura. Soltanto in un contesto come questo la Bibbia
può essere per noi Parola viva di Dio.
Il Dio biblico si rivela in primo luogo in singoli avvenimenti
storici - nei racconti che parlano di questi avvenimenti, che li
interpretano. JHVH, il Dio di Israele, avviene nella storia e si
lascia udire in avvenimenti che sono la sua parola per il suo
popolo - nonché in narrazioni, in racconti che articolano e
trasmettono questa parola. La storia diviene storia umana solo
nei racconti che la narrano, che fanno di un avvenimento espe­
rienza e cultura di un’esperienza trasmessa, di una tradizione:
la storia senza narrazioni è muta.
Il Dio della Bibbia non è ‘al di fuori della storia’, dietro le
quinte a muovere gli esseri umani come burattini. Il Creatore è
presente nell’opera della creazione, nella natura e nella storia,
entra e si incarna nel corpo della storia in vari modi: è presen­
te anche nella storia e nella cultura umane. Il cristianesimo
individua come forma culminante della presenza di Dio nella
storia - non solo umana, ma nell’intero processo della crea­
zione — l’incarnazione, dunque la persona e la vicenda di Gesù
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
42

di Nazaret, «in cui abita tutta la pienezza della divinità»9, che


è il sì e l’amen di Dio all’uomo e al mondo e che ha compiuto
la redenzione, la liberazione e la salvezza del genere umano e
della sua storia. La Scrittura indica Gesù Cristo come «autore e
perfezionatore della fede»10.
La fede come ‘sì’ libero dell’uomo al Creatore e alla sua
azione è espressione dell’unione fra Dio e uomo, relazione di
un patto; per questo in essa è possibile vedere il vertice della
realizzazione della libertà e della dignità umane. Rende possi­
bile una relazione dialogica consapevole e ponderata con Dio,
che è completezza e profondità di tutta la realtà. Dio come tut­
to, onnicomprensivo e onnitrascendente, è il contesto che con­
ferisce senso alla natura e alla storia: con la fede l’uomo scopre
questo contesto e in esso interpreta in modo nuovo il senso
della propria esistenza.
***

La teologia degli ultimi secoli ha attinto in primo luogo a de­


terminati articoli di fede; oggi alla teologia si offrono altre ric­
che fonti: l’esperienza viva della fede, la spiritualità, la mistica,
l’interpretazione teologica dell’arte (l’arte è un’importante
espressione spirituale della vita). Abbiamo detto che la cultura,
vale a dire l’umana ricerca di senso e lo sforzo di comprendere
se stessi e la storia, è una componente sostanziale della storia
umana11. Soltanto la cultura rende la storia una storia umana,
e rende la società una società davvero umana. Per questo il luo­
go in cui innanzitutto è necessario ricercare i segni dei tempi

’Cfr. Co/2,9.
10 Cfr. 12,2.
" Accolgo il concetto di cultura dell’enciclica di Giovanni Paolo II Centesimus
annus. «L’uomo è compreso in modo più esauriente, se viene inquadrato nella
sfera della cultura attraverso il linguaggio, la storia e le posizioni che egli assume
davand agli eventi fondamentali dell’esistenza come il nascere, l’amare, il lavo­
rare, il morire. AI centro di ogni cultura sta l’atteggiamento che l’uomo assume
davanti al mistero più grande: il mistero di Dio» (CA, 24).
LEGGERE I SEGNI DEI TEMPI 43

è proprio la cultura. Se la cultura è mezzo di ricerca di senso,


incluso il senso ultimo {ultimate concern)12, allora la possiamo
considerare un locus theologicus, oggetto legittimo dell’indagine
teologica.
L’uomo è co-creatore della storia e dell’ambiente non sol­
tanto nel momento in cui segue il comandamento divino di
lavorare la terra, ma con tutto il suo modo specifico di essere
all’interno della natura e della storia; a lui appartiene essenzial­
mente anche la sua vita spirituale. Con la sua domanda di signi­
ficato e la sua comprensione del proprio essere (dunque con
la sua cultura), supera se stesso, scopre e realizza le possibilità
che di volta in volta gli si aprono. Con la sua creatività, realizza
la missione che gli è stata affidata dal Creatore e dà un’espres­
sione concreta alla sua somiglianza con Dio.
Per la teologia del profondo13, l’arte e l’interpretazione del­
le opere artistiche possono essere fondamentali fonti d’ispira­
zione, come l’interpretazione dei sogni per la psicologia del
profondo. In fin dei conti proprio nell’arte incontriamo grandi
sogni, e in essi e attraverso essi desideri e aspirazioni significati­
vi (a volte inconsci e non riconosciuti) non soltanto dei singoli
individui ma anche di intere generazioni. Questi grandi sogni
— pensiamo al folle nietzscheano che annuncia la morte di Dio
o alla reinterpretazione freudiana del mito di Edipo - hanno
agito come movens latente della cultura, immagini potenti che

12 II concetto di ultimate concern è stato utilizzato soprattutto da Paul Tillich.


15 L’espressione ‘teologia del profondo’ è stata coniata dal filosofo della religio­
ne Abraham Heschel per indicare il fondamento comune pre-teologico della
religione al quale è necessario tornare nel dialogo interreligioso. Egli confronta
teologia e teologia del profondo in un modo che ricorda la nostra distinzione fra
atto di fede (Jides qua) e contenuto o oggetto della fede {fules quae): «La teologia
è come una statua, la teologia del profondo come musica. La teologia è nei libri,
la teologia del profondo nei cuori. La prima è dottrina, la seconda evento. La
teologia ci divide, la teologia del profondo ci unisce» (A. Heschel, The Insecurity
of Freedom: Essays on human existence, New York, Schocken Books, 1972, pp. 118-
119). La mia interpretazione e il mio utilizzo di questo concetto sono diversi:
da una parte presto attenzione alla dimensione inconscia della religiosità indivi­
duale (dunque in costante dialogo con l’opera di C.G. Jung), dall’altra mi sento
vicino all’interpretazione di Tillich di Dio come profondità del reale.
44 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

esprimevano forze che muovevano i pensieri e le azioni delle


persone. Possiamo mai ignorarli, se vogliamo comprendere le
ragioni del moderno ateismo? E possiamo mai ignorare le testi­
monianze della Bibbia (ma anche di altre religioni) secondo le
quali attraverso i sogni Dio stesso parla agli uomini?
Tra fede, amore e creazione artistica esiste un’intima affini­
tà: in esse possiamo trovare la passio (passione), l’energia che
anima il mondo. Il Romanticismo ha intuito correttamente che
l’eros presente nella passione religiosa, amorosa e artistica ha
un carattere sacro, è un mysterium tremendum et fascinans. Nella
creazione, così come nell’amore e nella fede, l’uomo dà, ma al
contempo riceve, accoglie. Tanto il dare quanto una compren­
siva accettazione del dono, dunque di qualcosa di nuovo, sono
modalità della trascendenza, dell’apertura di sé.
Nella misura in cui la cultura (e soprattutto l’arte, a diffe­
renza del superficiale kitsch consumistico, anche religioso) è
espressione della ricerca umana di senso, in tale desiderio,
in tale apertura e inquietudine del cuore {inquietas cordis) è
presente Dio, e questo già qui in terra, ancor prima che l’in­
quietudine risvegliata da Dio raggiunga (secondo le parole
di sant’Agostino) la sua meta escatologica. Credo che Dio,
che si è espresso pienamente nella kenosis (svuotamento) di
Gesù, sia umile al punto da essere presente in modo anonimo
nelle espressioni umane di apertura, desiderio e speranza,
anche laddove non viene riconosciuto e chiamato - dunque
anche nella cultura secolare, purché umanamente autentica.
***

Anche per quanto riguarda la relazione fra Dio e la cultura


umana si può parafrasare Meister Eckhart: l’occhio con cui
guardiamo Dio e l’occhio con cui Dio guarda noi è sempre un
occhio. Ci imbattiamo in un pensiero analogo nella teologia or­
todossa dell’icona e nella prassi della meditazione con l’aiuto
delle icone. Quando ‘scriviamo le icone’ o quando meditiamo
di fronte alle icone, attraverso la nostra creazione e attraverso
il suo frutto (l’immagine) guardiamo Dio e allo stesso tempo
LEGGERE I SEGNI DEI TEMPI 45

possiamo sentire che Dio guarda noi. Su questa esperienza - il


momento in cui stiamo di fronte a un’immagine e abbiamo
l’impressione che Dio ci guardi - Niccolò Cusano ha fondato la
sua teologia della preghiera: pregando e meditando facciamo
esperienza dello sguardo misericordioso di Dio, che è rivolto
a tutte le creature, ma in particolare all’uomo che desidera e
ragiona. Nella luce dello sguardo di Dio, l’uomo si offre a Dio
e diviene maggiormente se stesso. Dio gli dice: «Sii ciò che ti è
proprio e io sarò ciò che ti è proprio». In questo modo si com­
pie il mistero dell’accettazione divina dell’esistenza umana e
dell’accettazione umana dell’esistenza di Dio ‘senza confusio­
ne e senza separazione’.
Gli uomini sono co-creatori della storia e del loro ambiente
(la natura) non solamente con la loro azione, il loro potere, le
molteplici e seducenti possibilità della ragion tecnica14, ma an­
che con il loro atteggiamento contemplativo nei confronti del­
la vita, con la loro apertura al mistero dell’assoluto. Allo stesso
modo un lettore, un osservatore o un ascoltatore è co-creatore
di un’opera d’arte, sia questa letteraria, figurativa o musicale.
Un’opera artistica non è soltanto il prodotto del suo creatore,
è Y evento di un incontro, del quale, oltre all’autore, sono par­
tecipanti imprescindibili anche i lettori, gli osservatori e gli
ascoltatori. L’opera d’arte vive e si completa nella percezione
di coloro che ne vengono colpiti e per questo ne divengono co­
creatori e completatoli. Così come il processo della creazione
prosegue e si completa nella storia umana, nella libertà delle
vite degli uomini, allo stesso modo l’opera d’arte vive, si attua
e si completa in coloro che la esperiscono: l’arte richiede l’arte
della comunicazione; è allo stesso tempo interpretazione e in­
vito all’interpretazione.
Come è già stato detto, un atteggiamento contemplativo nei
confronti della vita trasforma la vita degli uomini da monolo­
go in dialogo. Si tratta in questo caso di qualcosa di diverso

14 Questo concetto che unisce ragione e tecnica nell’epoca della tarda modernità
è stato utilizzato daj. Patoõka, Saggi eretici sulla filosofia della storia (1990, postu­
mo) , Torino, Einaudi, 2008.
46 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

dall’affermazione di sé dell’uomo, dalla trasformazione tecnica


della natura o dalla manipolazione della società da parte di un
potere, qualcosa di diverso da un atteggiamento ingegneristico
nei confronti del mondo e della storia. Si tratta di restare in
silenzio, in ascolto, si tratta dello sforzo di comprendere, di
perseverare nella ricerca di una risposta autentica. Quando un
approccio tecnico-manipolatorio nei confronti del mondo non
viene corretto da un atteggiamento contemplativo, il mondo
umano si ritrova in pericolo.
Nei mondo umano fede, speranza e amore prendono cor­
po nella cultura: sono il luogo in cui avviene la perichoresis, la
reciproca compenetrazione di divino e umano. Attraverso di
essa Dio è presente nella cultura umana. Un’interpretazione
teologica della cultura, in primo luogo dell’arte contempora­
nea, non dovrebbe dimenticare che nel nostro mondo Dio — se
possiamo prendere in prestito la terminologia della teologia
luterana della croce - può essere anche sub contrario, nel suo
opposto. Un’interpretazione teologica sensibile dovrebbe es­
sere rivolta tanto al dramma dell’assurdo, quanto a certi arte­
fatti blasfemi dell’arte contemporanea, provocatori e urticanti
soprattutto per i fondamentalisti cristiani e i puritani. In certi
momenti è proprio l’esperienza dell’assenza di Dio, dell’in­
comprensibilità del mondo e del destino tragico dell’uomo a
diventare motivo di attesa e di desiderio ardente di Dio.
Dio stesso risveglia questo desiderio, e nel desiderio mede­
simo in un certo senso è già presente: a noi non giunge sola­
mente come risposta, ma anche come interrogativo. Giunge
nel desiderio di comprendere, che travalica qualsiasi risposta
parziale e apre interrogativi sempre nuovi, stimola nuove ricer­
che - imprime alla nostra esistenza un carattere errante. Colui
che ha potuto dire «Io sono la verità» ha detto anche «Io sono
la via e la vita». La verità, se cessa di essere via, è morta. Con la
fede l’uomo compie un eterno cammino verso Dio, in cui la via
e la meta non possono essere separate.

***
LEGGERE I SEGNI DEI TEMPI 47

Quando cerchiamo il significato degli avvenimenti storici (i


segni dei tempi), possiamo rivolgerci a una dimensione pro­
fonda della cultura, in particolare ai sogni profetici dell’arte,
con cui gli avvenimenti storici si manifestano o in cui riecheg­
giano. I sogni hanno una loro voce specifica e una loro logica
e chiedono un approccio ermeneutico adeguato; con i metodi
della teologia metafisica classica non abbiamo accesso al mon­
do di questo linguaggio divino. Ciò che apprendiamo con un
atteggiamento contemplativo nei confronti delle immagini
e dei koan nel mondo dell’arte possiamo applicarlo quando
riflettiamo sui paradossi e gli enigmi della quotidianità: può
esserci d’aiuto in una diagnosi spirituale dei tempi. L’esteti­
ca teologica e la teologia della cultura, in primo luogo quella
dell’arte (compreso un approccio contemplativo nei confronti
della narrativa e della filmografia contemporanee), sono com­
ponenti importanti della teologia occidentale contemporanea.
Mentre continuavo a riflettere sul già citato capitolo sul folle
nella Gaia scienza di Nietzsche15 (la scena nella quale è presente
la celebre espressione sulla morte di Dio), mi è tornato in men­
te il passo di Jung secondo cui le tribù arcaiche distinguevano
fra piccoli sogni privati e grandi sogni significativi per l’intera
tribù. Il racconto nietzscheano sull’assassinio collettivo di Dio,
accantonato nel rimosso, è stato indiscutibilmente un grande
annuncio onirico per tutta la nostra tribù! Nietzsche sapeva
bene che per lui, ai suoi tempi, «non era ancora possibile ar­
rivare alle orecchie degli uomini»: gli avvenimenti del XX e
del XXI secolo permettono invece a noi di comprenderlo e di
continuare a reinterpretarlo.
L’arte è uno scrigno inesauribile di sogni profetici che rac­
chiudono un contenuto religioso, a volte manifesto e a volte
latente, e chiedono un’interpretazione teologica. Penso ad
esempio alla leggenda del Grande Inquisitore nei Fratelli Ka­
ramazov di Dostoevskij, al Processo di Kafka o alla visione di uno
Stato totalitario nel romanzo 1984 di Orwell, e a tutta una serie

15 F. Nietzsche, La gaia scienza (1882), Milano, Adelphi, 2015.


48 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

di altre opere letterarie, cinematografiche e figurative che pos­


sono divenire oggetto dell’analisi teologica.
Northrop Frye, eminente critico letterario del XX secolo
(che per qualche tempo è stato anche un ecclesiastico), ha
scritto che un progresso significativo nella coscienza umana è
stato compiuto quando in Grecia nacque dai riti dionisiaci il
dramma, perché lì si compì un rivolgimento decisivo dalla mi­
tologia a ciò che oggi chiamiamo letteratura16. Forse un approc­
cio contemplativo alla letteratura e all’arte in genere e un’er­
meneutica teologica delle opere artistiche possono portare a
un progresso significativo nel nostro rapporto con la religione,
aprire per i figli del mondo secolarizzato un approccio nuovo
(postsecolare) alla comprensione dell’esperienza religiosa.

***

Come risvegliare la forza terapeutica della fede e come rendere


una Chiesa, indebolita e divisa al suo interno, un ospedale da
campo e una luce per le nazioni? Come resistere alla tentazio­
ne di fare della Chiesa e della religione un ghetto, un bunker
fortificato e inaccessibile, un mausoleo per le certezze di ieri
o un giardino privato per consumatori di sostanze calmanti e
anestetiche? Può venire dal cristianesimo, screditato dai fon­
damentalisti e rigettato e rimosso dalla sinistra liberal, un’ispi­
razione per la creazione di una politica culturale in grado di
cambiare un monologo caotico in un clima morale di rispetto
reciproco, comunicazione e condivisione di valori?
Vorrei augurarmi che la cairologia non rimanga sul piano
di un’analisi e di una diagnosi giudicanti. Sono un uomo che
trascorre la maggior parte del tempo in un’azione pedagogica
e pastorale con gli studenti universitari e vorrei dare il mio con­
tributo nel rispondere alla già citata domanda su quale tipo di
fede (e non di religione) può meglio aiutare le generazioni fu-

10 N. Frye, La duplice visione. Linguaggio e significalo nella religione (1991), Venezia,


Marsilio, 1993.
LEGGERE I SEGNI DEI TEMPI 49

ture a fronteggiare la sfida che porterà l’epoca nascente e qua­


le tipo di trasformazione devono attraversare la Chiesa, la teo­
logia e la spiritualità per poter accogliere la crisi attuale come
un’opportunità e poter essere di sostegno agli uomini in tempi
che in questo libro chiamo il ‘pomeriggio del cristianesimo’.
?
IV. Mille anni come un giorno solo

Ho intitolato questo libro Pomeriggio del cristianesimo. L’utilizzo


della parola ‘pomeriggio’ mi è stato suggerito dalla metafora
scelta dal fondatore della psicologia analitica Cari Gustav Jung
per descrivere le dinamiche della vita individuale umana. Il
mio è un tentativo di applicare questa metafora alla storia del
cristianesimo.
Jung paragona il corso della vita umana al procedere del
giorno. Il mattino dell’esistenza è la giovinezza e la prima età
adulta: il periodo in cui un individuo sviluppa i tratti fonda­
mentali della propria personalità, costruisce le fondamenta e i
muri esterni della casa della propria vita, organizza l’economia
domestica, occupa un posto nella società, sceglie un indirizzo
professionale, avvia una carriera, si sposa e progetta una fami­
glia. Pone le basi della sua image, l’immagine che vuole che gli
altri abbiano di lui, una maschera (persona, nella terminologia
junghiana1) che è il suo ‘volto esteriore’, che gli mette a dispo­
sizione un’identità e allo stesso tempo lo protegge verso l’ester­
no da dolorose incursioni altrui nella regione intima del pro­
prio io. Chi vuole intraprendere il cammino della maturazione
spirituale, della profondità, senza prima aver messo le radici in
questo mondo, si espone irresponsabilmente al rischio di un
naufragio, dice Jung.
Poi giunge la crisi del mezzogiorno. È il tempo meridiano del­
la stanchezza, del torpore: si smette di provare piacere per

1 II concetto di persona (prosopon) è mutuato dalla drammaturgia antica: un atto­


re, che interpretava diversi ruoli, indossava maschere diverse per distinguere le
identità dei singoli personaggi.
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
52

tutto ciò che fino a quel momento ci appagava. Già gli antichi
eremiti conoscevano gli inganni del ‘demone meridiano’, «la
freccia che vola di giorno»2. Mettevano in guardia dal vizio
chiamato acedia. Questa parola significa qualcosa più di ‘pi­
grizia’, anche se di solito è così che viene tradotta. Si trat­
ta piuttosto della perdita di voglia ed energia per la vita, di
spossatezza, di apatia spirituale - oggi potremmo accostarla a
concetti come quelli di depressione ed esaurimento nervoso
(burn-out syndrome). La crisi può intaccare la salute, la carrie­
ra professionale, la relazione coniugale e quelle familiari, la
fede e la vita spirituale.
Questa crisi - come ogni crisi, secondo Jung - è però allo
stesso tempo un’opportunità. In essa chiede la parola quella
parte della nostra esistenza che non abbiamo sviluppato a suf­
ficienza, che abbiamo trascurato, se non addirittura, in modo
subcosciente o cosciente, soffocato o represso nell’inconscio.
Si fa sentire quella parte del nostro io che non vogliamo am­
mettere o riconoscere: la nostra ombra, i nostri debiti. Del re­
sto, nella tradizione cristiana si classificano fra i peccati (i de­
biti) non soltanto le cattive azioni, le brutte parole e i pensieri
perversi, ma anche l’omissione del bene, il seppellimento dei
talenti affidatici.
Solamente nel momento in cui un individuo ha superato la
prova della crisi meridiana - ad esempio nel momento in cui
è in grado di accettare e interrogare ciò che su se stesso non
voleva sapere e non voleva ammettere - è pronto a percorrere
la via del pomeriggio dell’esistenza. Certo, può anche spreca­
re questo nuovo stadio esistenziale riempiendolo con la mera
ripetizione dei gesti del mezzogiorno, preoccupandosi di co­
struire in primo luogo la propria carriera e la propria sicurezza
materiale, lucidando e migliorando la propria immagine agli
occhi degli altri, inseguendo riconoscimenti e applausi, appun­
tandosi al petto altre scintillanti medaglie. La sua persona può
gonfiarsi al punto tale da soffocare la sua vita interiore. Anche

!SaZ9I,5.
MILLE ANNI COME UN GIORNO SOLO 53

i successi hanno i loro rischi e la carriera e i beni materiali pos­


sono diventare una trappola.
Il pomeriggio dell’esistenza (maturità e vecchiaia) ha tuttavia
un compito diverso e più importante di quello del mezzogior­
no: un viaggio spirituale, una discesa nel profondo. Il pome­
riggio dell’esistenza è il kairos, il momento appropriato per lo
sviluppo: della vita interiore, l’opportunità di concludere il
processo di maturazione di tutta una vita. Questo stadio dell’e­
sistenza può portare frutti preziosi: lungimiranza, saggezza,
pace e tolleranza, la capacità di controllare le emozioni e di
superare l’egocentrismo, che è l’ostacolo principale sulla stra­
da che va dall’ego, centro della nostra vita cosciente, al centro
più profondo, al Sé (das Selbst). Con questa conversione dal
‘piccolo io’ a quello più personale ed essenziale (che possia­
mo chiamare Dio o ‘Cristo in noi’), un individuo realizza il
senso della propria esistenza, raggiunge maturità e pienezza.
Completezza per Jung non significa perfezione, bensì integrità
(in alcune lingue le parole ‘intero’ e ‘santo’ sono apparentate:
whole e holy in inglese, beile heiligin tedesco).
Non adempiere al compito di questo stadio esistenziale,
‘invecchiare male’, procura rigidità, disordine emotivo, ansia,
sospettosità, meschinità, autocommiserazione, ipocondria, ter­
rore verso ciò che ci sta intorno. Forse, dice Jung, tutte le diffi­
coltà psichiche nella seconda metà della vita delle persone con
cui sono entrato in contatto nel corso della mia ricca pratica
clinica dipendono dall’assenza di una dimensione spirituale e
religiosa, nel senso più ampio di queste parole.
Credo che almeno sotto un aspetto sia necessario ritocca­
re la metafora junghiana, potenzialmente ricca di ispirazioni.
Jung colloca la crisi del mezzogiorno e la conversione al po­
meriggio dell’esistenza intorno ai trentacinque anni di età.
Tuttavia negli ultimi decenni la vita umana si è allungata e
continua ad allungarsi; il culto della giovinezza, portato dal­
la rivoluzione culturale della fine degli anni Sessanta del XX
secolo, influenza anche la mezza età, in pratica l’intero arco
della vita produttiva, rallentando e mascherando il processo
di invecchiamento che, secondo Jung, doveva rappresentare
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
54

il tempo pomeridiano della maturazione. Contraltare di que­


sta situazione è l’allungamento della vecchiaia, che comporta
molti problemi e molti interrogativi. La vecchiaia deve essere
uno scimmiottamento della giovinezza, oppure agli uomini di
oggi e di domani è concesso il dono raro di sviluppare più a
lungo e approfonditamente la cultura della vita e della matu­
razione spirituali?
***

Come dice la Scrittura, «davanti al Signore un giorno è come


mille anni e mille anni come un giorno solo»3. Per alcuni anni
ho riflettuto sulla questione (che compare qua e là nelle mie
lezioni, nei miei articoli e nei miei libri più recenti) se e fino a
che punto sia possibile che la metafora del giorno che Jung ha
utilizzato per spiegare la dinamica della vita individuale venga
applicata creativamente alla storia del cristianesimo. Per com­
prendere i cambiamenti di paradigma nella storia del cristia­
nesimo - e in primo luogo per comprendere il senso e le sfide
della nostra epoca - propongo la seguente metafora.
Intendo la storia del cristianesimo dal suo inizio fino alle so­
glie dell’era moderna come il mattino, un lungo periodo in cui
la Chiesa ha edificato in primo luogo le sue strutture istituziona­
li e dottrinarie. Quindi è sopraggiunta la crisi del mezzogiorno
- con epicentro nell’Europa centrale e occidentale — che ha
scosso quelle strutture ed è durata dal tardo Medioevo fino a
tutta l’età moderna, dal Rinascimento e dalla Riforma, dalla di­
visione interna al cristianesimo occidentale e dalle guerre con­
seguenti, che hanno messo in dubbio la credibilità delle singole
confessioni, fino aH’Illuminismo, l’epoca della critica delle re­
ligioni e della diffusione dell’ateismo, e sino alla fase seguente
che ha portato a un lento superamento dell’ateismo in favore
dell’apateismo, dell’indifferenza religiosa.
Sono convinto che oggi siamo sulla soglia del pomeriggio

5 2« 3,8.
MILLE ANNI COME UN GIORNO SOLO 55

del cristianesimo: alla fine di un lungo periodo di crisi, traspa­


re una forma storica di cristianesimo nuova, forse più profonda
e matura. La forma pomeridiana del cristianesimo - come tutte
le sue forme precedenti - non è stata tuttavia generata da una
logica impersonale e irreversibile dello sviluppo storico. Si pre­
senta piuttosto come possibilità, come kairos: un’opportunità
che si apre e si offre in un certo momento, ma che si compie
soltanto quando le persone la comprendono e la accettano li­
beramente. Molto dipende dal fatto se in un certo momento
storico si trova un numero sufficiente di persone che, come
le vergini sagge della parabola di Gesù, veglieranno e saranno
pronte di fronte al kairos, il momento in cui è necessario agire.
Anche sulla storia del cristianesimo incombe la minaccia di
‘invecchiare male’. Mancare il momento della riforma, se non
addirittura provare a tornare a un’epoca precedente alla crisi
del mezzogiorno, può generare una forma avvelenata e ripu­
gnante di cristianesimo. Ma sono altrettanto pericolosi i tenta­
tivi di risolvere la crisi attuale in modo avventato, con una mera
riforma esteriore delle istituzioni ecclesiastiche, senza operare
cambiamenti più profondi a livello teologico e spirituale. Essi
possono portare solamente caos e risultati superficiali.
In questo libro presento una determinata visione del pome­
riggio del cristianesimo, ma allo stesso tempo sottolineo sem­
pre che se e fino a che punto si realizzerà questa visione lo sa
solamente il Signore della storia, che crea continuamente la
storia dialogando con le nostre azioni e la nostra comprensio­
ne. Dal punto di vista della teologia della storia, la storia non è
soltanto il prodotto delle attività coscienti e intenzionali degli
uomini, dei rapporti economici o dei conflitti sociali, non è
guidata da un destino cieco o dalle leggi della dialettica, ma
neanche da un burattinaio divino dietro le quinte. È il dramma
della salvezza, l’armonia segreta fra Dio e uomo. Fintantoché li­
bere azioni umane creatrici di storia sono espressione del supe­
ramento di sé dell’uomo (l’espansione di se stessi nell’amore e
nella creazione), esse aprono uno spazio per ciò che l’uomo a
ragione sperimenta come un dono che precede, accompagna e
completa il suo libero agire. Detto con le parole della teologia
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
56

tradizionale, si tratta della relazione fra libertà e grazia nella


storia.
***

Con la metafora della crisi del mezzogiorno indico il periodo


lungo e internamente frastagliato della progressiva estinzione
della Christianitas, una particolare incarnazione della fede cri­
stiana nella cultura e nella civiltà occidentali. Su questo perio­
do sono stati scritti innumerevoli studi storici e sociologici, e di
alcune teorie, differenti l’una dall’altra, tenteremo una descri­
zione. Questo stadio può essere variamente datato, variamente
motivato, variamente valutato e variamente denominato: l’epo­
ca della secolarizzazione, l’epoca del ‘disincanto del mondo’,
della desacralizzazione, della scristianizzazione, l’epoca della
‘demitizzazione del cristianesimo’, l’epoca della fine dell’era
costantiniana o della ‘morte di Dio’.
Le teorie classiche della secolarizzazione ritengono che essa
sia l’ultimo stadio della storia del cristianesimo o delle religio­
ni in genere. Alcuni eredi dell’Illuminismo l’hanno acclamata
come la vittoria del progresso e della luce della ragione sull’o­
scurità e le nebbie delle superstizioni religiose; alcuni cristiani,
nostalgicamente rivolti al passato, se ne sono lamentati e l’han­
no demonizzata. L’idea secondo cui la secolarizzazione può
significare anche kairos per il cristianesimo, una sfida nuova e
possibilità nuove e positive di rinnovare e approfondire la fede,
è rimasta solitaria per molto tempo.
Tuttavia negli ultimi tempi la stessa teoria della secolarizza­
zione è stata messa in discussione. Alcuni sociologi, filosofi e
storici della cultura la considerano un errore scientifico, un
mito ideologico, un prodotto del wishful thinking di certi pen­
satori e circoli socio-politici4. Si è reso manifesto che le teorie
classiche della secolarizzazione, nonostante appartenessero

4 Fra i più noti ‘revisionisti’, in principio sostenitore e in seguito aspro critico


della teoria della secolarizzazione, possiamo indicare il celebre sociologo ameri­
cano Peter L. Bergen
MILLE ANNI COME UN GIORNO SOLO 57

per la maggior parte a circoli anticlericali (ad esempio nel caso


di Emile Durkheim), in molti casi sono rimaste ingabbiate in
una concezione grettamente clericale della fede e della reli­
gione. Nonostante trattassero diversi tipi di religione, hanno
proiettato in primo luogo la forma di religione che avevano da­
vanti agli occhi e che aveva perso vitalità e forza di attrazione,
quindi in primo luogo la forma della Chiesa cattolica a cavallo
tra XIX e XX secolo; hanno generalizzato la crisi di una deter­
minata forma di fede e di religione dichiarandola crisi della
religione in sé. A lungo è rimasto fuori dalla loro attenzione il
fatto che la secolarizzazione non ha comportato la fine, bensì
la trasformazione, della religione.

***

Quando, ormai molto tempo fa - sì, sono trascorsi trent’anni -


ho festeggiato il mio quarantesimo compleanno, andavo ri­
spondendo a brindisi e felicitazioni con grande imbarazzo «C’è
davvero qualcosa da festeggiare? La giovinezza se ne è anda­
ta!». Uno dei miei amici — il filosofo Zdenëk Neubauer — ribattè
immediatamente con enfasi: «La giovinezza non è soltanto una
fase transitoria della vita, la giovinezza è una dimensione della
nostra personalità!».
Dipende da come ci relazioniamo con la giovinezza. Possia­
mo tradire o respingere il giovane o la giovane che siamo stati,
soffocarli in noi stessi; possiamo anche provare follemente a
trattenere la nostra giovinezza, a simularla forzatamente rifiu­
tando maturità e vecchiaia. Ma quel giovane o quella giovane
possiamo anche integrarli, renderli organicamente partecipi
della storia della nostra vita che prosegue; possiamo a volte
tornare da loro, come un compositore torna su un motivo e
lo lascia creativamente riecheggiare in una variazione nuova.
Ciò che abbiamo vissuto viene in un certo modo sempre con
noi, rimane in noi, ma può agire in modo diverso. Dipende
da come abbiamo adempiuto al compito rappresentato da un
determinato stadio della vita, e questo vale sia per la vita degli
individui, sia per quella di popoli e culture. Il tempo in cui si
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
58

sviluppa il racconto della nostra vita e il racconto della nostra


storia non è unidirezionale, e il nostro spazio vitale è pluridi­
mensionale; anche il passato concluso, dimenticato e rimos­
so può presentarsi come morto solo in apparenza, concluso
soltanto temporaneamente. La psicanalisi ci ha insegnato che
quanto è stato rimosso con violenza si ripresenta spesso e vo­
lentieri in una forma mutata.
Qualcosa di simile avviene con il postmoderno e la post­
secolarizzazione. Anche le epoche culturali sono dimensioni
della vita di una società piuttosto che segmenti temporali che
si susseguono semplicemente l’uno all’altro e che in un certo
momento terminano in modo inequivocabile. Il rapporto tra
epoca moderna e postmoderna, secolarizzata e postsecolariz­
zata, è più complicato di un’alternanza di giorni e stagioni. È
necessario trattare con attenzione anche la metafora del gior­
no (mattino, mezzogiorno, pomeriggio della storia): quando
noi stiamo vivendo un mezzogiorno di primavera, da qualche
altra parte del mondo è il mattino o la sera di un inclemente
autunno. Nel nostro mondo globalizzato convivono forme di
vita premoderne, moderne, ipermodeme e postmoderne.
In questi casi il prefisso ‘post’ non significa soltanto una mera
successione temporale o un salto qualitativo. Sostenere la tesi
evolutiva, secondo la quale l’epoca postmoderna e quella post­
secolarizzata sarebbero automaticamente uno stadio superiore
di progresso, rivelerebbe che siamo ancora bloccati all’interno
di una cultura di stampo moderno, perché il mito dell’evolu­
zione come progresso incessante e unidirezionale rientra fra i
tratti caratteristici del pensiero moderno. Riconoscere l’evolu­
zione come principio del vivente non comporta l’accettazione
acritica dell’ideologia del progresso. Se vogliamo evadere dalla
prigionia della modernità, dobbiamo liberarci da uno sguardo
ingenuo sulla storia come inarrestabile movimento unidirezio­
nale verso un domani migliore, governato da chissà quali nor­
me storiche. Nell’ideologia secolare che sta dietro all’idea di
progresso guidato da leggi interne, si nasconde - non ricono­
sciuto - un modello teologico, se non deistico: per l’ideologia
comunista il progresso era un dio nascosto, che manipolava
MILLE ANNI COME UN GIORNO SOLO 59

dall’esterno la storia, e i comunisti stessi erano i suoi profeti e


i suoi strumenti. Una delle molte cose riconosciute con chia­
roveggenza da Nietzsche è la sua idea secondo cui molti ideali
moderni sono solo le ombre di un dio morto5.

***

L’epoca dei molti ‘post’ comporta una serie di domande. Qual


è il rapporto fra postmodernità e modernità? La postmoder­
nità sarà davvero transmoderna, in grado cioè di trascendere
e superare la modernità, o piuttosto supermodema, dunque
soltanto una prosecuzione intensificata di certe tendenze della
modernità in circostanze nuove? Analogamente, in un’epoca
postcomunista non si manifestano forse molte conseguenze
non superate del comunismo, molti tratti del comportamento
delle persone durante il comunismo rivestiti di abiti nuovi?
Come avvenuto per postmodernità e postcomunismo, anche
nel caso della postsecolarizzazione il prefisso ‘post’ non signi­
fica una semplice deviazione rispetto all’epoca precedente. Al
contrario: il fatto stesso che per un nuovo capitolo della storia
non si sia trovato un nome specifico indica che in un certo sen­
so viviamo ancora nella scia del nostro passato. Gli illuministi
hanno trovato presto un nome forte per la propria cultura. E
al passato hanno assegnato etichette spregiative - gotico riman­
dava alla tribù barbarica dei goti, Medioevo indicava già dal suo
nome quell’epoca di mezzo oscura e per niente interessante fra
la nobile antichità e la loro epoca illuminata: nella sua esegesi di
secoli di filosofia medievale, Hegel afferma che abbiamo dovuto
indossare gli stivali delle sette leghe per poter attraversare quan­
to più velocemente possibile questo paesaggio così monotono.
Forse anche il fatto che per la nostra epoca non siamo in grado
di trovare una denominazione nuova, specifica, rivela che si trat­
ta soltanto di un’epoca di passaggio, un’epoca di mezzo. Sola­
mente in questo senso la nostra epoca è un nuovo ‘medio-evo’.

5 F. Nietzsche, La gaia scienza, cit.


POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
60

Quando sarà in grado, l’epoca postsecolarizzata, di sepa­


rarsi a sufficienza da quella secolarizzata? Di individuare e
denominare il suo tema specifico? Forse non ci siamo ancora
confrontati fino in fondo con l’epoca passata. Abbiamo rispo­
sto adeguatamente alle questioni poste dall’esperienza della
secolarizzazione? Abbiamo riflettuto in modo sufficientemen­
te accurato su questo fenomeno della nostra storia culturale?
Nessuna religione ha attraversato un fuoco purificatore come
il cristianesimo. Abbiamo tratto da questo tesoro tutto ciò che
era possibile per uno stadio superiore di maturazione della
fede cristiana? Ci siamo lasciati ispirare dai testi della Bibbia
ebraica - come il racconto della lotta notturna di Giacobbe
o l’intero libro di Giobbe - che ci dicono che Dio ha caro chi
lotta con lui?
Il mondo della religione è il mondo dei paradossi. Se voglia­
mo comprenderlo, dobbiamo mettere da parte l’attaccamento
dogmatico al principio per cui ‘a’ non può essere al contempo
‘non-a’. Ci aiuterà invece una regola che il mio maestro Josef
Zvërina diceva essere un principio fondamentale del cattolice­
simo: el-et, non solo, ma anche...
La nostra epoca è secolarizzata o postsecolarizzata, moderna
o postmoderna? È un’epoca di crisi della religione o di rinasci­
ta della religione? Sono veri entrambi i poli. Tenendo per un
aspetto, non possiamo ignorare l’altro; per una corretta valu­
tazione di uno, non possiamo sottovalutare l’altro. Secolarizza­
zione e modernità hanno segnato la storia della fede e hanno
inscritto in essa tratti specifici, ma non sono state - come rite­
nevano i loro sostenitori più radicali - una fase culminante e
finale dell’evoluzione storica. La secolarizzazione non è stata la
fine della storia della religione, non è stata - come sostenevano
i teorici del secolarismo - la vittoria della luce della ragione
sull’oscurità della religione. È stata piuttosto una trasformazio­
ne della religione e un passo verso un’ulteriore maturità della
fede. Uno degli obiettivi di questo libro è invitare a sfruttare
pienamente questa opportunità.
V. Cristianesimo religioso o non religioso?

Questo libro tratta dei cambiamenti della fede cristiana, ma


anche dei cambiamenti nella religione e nel rapporto tra fede
e religione. Distinguo tre tappe nella storia del cristianesimo:
la prima del mattino, l’era premodema; la seconda, la crisi del
mezzogiorno, l’epoca della secolarizzazione; la terza, l’ormai
prossimo pomeriggio del cristianesimo, la nuova forma che già
oggi si annuncia nel declino postmoderno del mondo moderno.
Nel corso della storia, tuttavia, cambia anche la religione:
tanto il significato e l’utilizzo della parola, quanto gli effetti
e il ruolo socio-culturale che la parola denota. Distinguo in­
nanzitutto due diverse concezioni di religione. Da una parte
la religione come religio, una forza che si integra nella società
e nello Stato, una lingua ‘comune’. Il termine religio, da cui
deriva la parola ‘religione’ nella maggior parte delle lingue oc­
cidentali, è stato utilizzato per la prima volta nell’antica Roma
ai tempi della seconda guerra punica. La religione - nel senso
di religio - aveva nell’impero romano un significato prevalente­
mente politico, indicando un determinato sistema di riti e sim­
boli che esprimevano un’identità sociale: un significato prossi­
mo a quello che l’odierna sociologia attribuisce al concetto di
religione civile (civil religion). Secondo Cicerone, religio era la
«giusta venerazione degli dei giusti» (vale a dire, riconosciuti
dallo Stato); il contrario era superstitio - la religione degli altri*.
Come vedremo, il cristianesimo prende il ruolo di religio solo a
partire dal IV secolo d.C.

1 Cfr. E.J. Sharpe, Understanding Religion, London, Bristol Classical Press, 1997.
62 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

Dall’altra parte parlo di religione così come si è cominciato


a fare e come comunemente si intende a partire dall’Illumini-
smo: la religione, quindi, come settore fra gli altri della cultura
e della società, come ‘idea del mondo’ che riguarda prevalen­
temente ‘quel mondo’ e che nella sfera terrena è rappresenta­
to da istituzioni religiose specializzate (le Chiese).
Non si può tuttavia dimenticare neanche una forma arcaica
di religione intesa come relazione con il sacro, esperita in primo
luogo nella natura. In un primo momento la fede biblicamente
intesa in un Dio che trascende il mondo ha provato a soffocare
questa forma ‘pagana’ di religiosità. Poi, in una certa misura, il
cristianesimo popolare l’ha integrata e ‘battezzata’, soprattutto
nel Medioevo. In seguito la modernizzazione e la secolarizzazio­
ne della società occidentale hanno provato a sradicarla (insieme
alla religiosità cristiana popolare); ma è stata rianimata dal Ro­
manticismo. Oggi il motivo della sacralità della natura toma in
forme mutate - dalla concezione del sacro di Heidegger fino a
varie spiritualità di stampo New Age2 orientate in senso ecologi­
sta. Un tentativo di ‘battezzare’ questa sensibilità contempora­
nea nei confronti della natura è rintracciabile nell’enciclica di
papa Francesco Laudato si’, che - già a partire dal titolo - richia­
ma la tradizione della spiritualità francescana della Creazione.

***

Avanzo l’ipotesi per cui la fede cristiana ha raggiunto la maturi­


tà con la forma attuale di religione e che i tentativi di spingerla
indietro verso forme precedenti sono controproducenti. An­
che per il fiume vivo della storia e per la corrente della tradizio­
ne (una trasmissione creatrice) vale il principio che ‘nessuno
può entrare due volte nello stesso fiume’.
Il cristianesimo come religio, incarnato nella forma politico­
culturale della Christianitas, rappresenta un passato concluso, e

2 La filosofia New Age ha attinto da C.G. Jung la simbologia astrologica banaliz­


zandola: ‘la nuova era deH'Acquario’ che segue l’era cristiana (intesa come ‘l’era
dei Pesci’).
CRISTIANESIMO RELIGIOSO O NON RELIGIOSO? 63

suoi scimmiottamenti nostalgici portano solamente a caricatu­


re tradizionaliste. La secolarizzazione ha poi creato un tipo di­
verso, moderno, di religione: il cristianesimo come idea del mondo,
come confessione, e il cristianesimo si è gradualmente ambientato
in tale forma di religiosità. La modernità però è finita e con
essa è scivolato nel passato anche quel tipo di cristianesimo che
si era identificato con la religione nel senso moderno della pa­
rola.
I critici atei della religione - come lo sono stati Nietzsche,
Marx e Freud - hanno indirizzato i loro attacchi soprattutto a
quel tipo di religione dal quale la fede ha bisogno di liberarsi;
per questo l’ateismo critico (e non dogmatico) può essere un
aiuto per la fede più che un suo nemico. I precursori del cam­
biamento di fronte al quale si trova il cristianesimo nella nostra
epoca annoverano personalità profetiche sorte fra i cristiani,
ad esempio Pascal con la sua critica alla ‘religione dei filoso­
fi’, Kierkegaard con la sua critica a una religione borghese e
Teilhard de Chardin e Jung con la loro critica al cristianesimo
che ‘ha perso la sua forza generatrice’. Né la forma medievale
né quella moderna possono essere una stabile dimora socio­
culturale per la fede cristiana.
II cristianesimo della tarda modernità si è ritrovato privo di
una stabile dimora culturale, il che è una delle cause della crisi
attuale. In questi tempi in cui cambiano i paradigmi delle civil­
tà, la fede cristiana cerca una nuova forma, una nuova dimora,
nuovi mezzi espressivi, nuovi compiti sociali e culturali e nuovi
alleati. Si incarnerà in forme di religione già esistenti o che de­
vono ancora nascere oppure, come annunciano alcuni teologi,
diventerà una fede non religiosa? Forse proprio la dinamicità e
l’eterogeneità del postmoderno, che spaventa molti cristiani, è
una fase di incubazione per il cristianesimo del futuro.

***

In conclusione di questo libro rifletteremo su tali possibili sce­


nari futuri, ma prima dobbiamo provare a ricordare brevemen­
te le tappe principali dell’evoluzione storica del cristianesimo
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
64

rivolgendo l’attenzione ai cambiamenti nel rapporto tra fede e


religione.
All’inizio della sua storia il cristianesimo non e una religione
nel senso antico di religio. È piuttosto la ‘sequela di Cristo’, una
tra le sette ebraiche di tipo messianico. Riprende tuttavia cer­
ti pensieri ‘universalistici’ introdotti nell’ebraismo soprattutto
dai profeti. Per questi ultimi il Signore non era soltanto il Dio
‘locale’ di una nazione, del popolo eletto, bensì il Creatore, si­
gnore del cielo e della terra, sovrano di tutte le genti. Nella pre­
dicazione di Gesù si può seguire un’evoluzione: da principio
si pone prevalentemente, se non esclusivamente, come inviato
«al gregge smarrito della casa di Israele», poi però manda i suoi
discepoli in tutto il mondo a insegnare a tutti i popoli e afferma
«mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra»3.
L’apostolo Paolo opera la ‘prima riforma’, portando il gio­
vane cristianesimo fuori dal giudaismo coevo. Radicalizza la po­
lemica di Gesù con gli interpreti più rigidi della legge di Mosè.
Libera i convertiti dal paganesimo dall’obbligo di divenire pri­
ma ebrei (con la circoncisione e una serie di altre prescrizioni
rituali della legge mosaica) e pone al centro una fede che si
esprime con la prassi dell’amore per il prossimo4. In questo
modo apre ai ‘pagani pii’ (greci simpatizzanti per il giudaismo,
fra cui anche sostenitori di un monoteismo filosofico) la via
delle comunità cristiane e contemporaneamente rende possi­
bile a quelle stesse comunità, ora libere da molte, gravose pre­
scrizioni giudaiche, un più agevole ingresso nel vasto mondo
della cultura antica. Nella concezione paolina la fede supera
tutti i confini; tutti sono ora uguali in Cristo, sono «creati di
nuovo»5.
Emancipandosi dalla missione di Pietro, Giacomo e gli altri
primi discepoli di Gesù, e ponendo l’accento sulla fede intesa
come ‘nuova esistenza’, sulla libertà del cristiano, Paolo ha pro-

5 Cfr.M 15,24 e 28,17-20.


♦Cfr. ICor 13,8-10.
’Cfr. Gal 3,28.
CRISTIANESIMO RELIGIOSO O NON RELIGIOSO? 65

tetto il giovane cristianesimo dal rischio di assumere l’aspetto


di un sistema giuridico. La religione intesa innanzitutto come
sistema giuridico gioca un ruolo importante nel giudaismo e
poi nell’islam. La tentazione del legalismo lambisce costante-
mente la storia della Chiesa: le grandi personalità riformatrici
- da Lutero a Bonhoeffer - si sono sempre appellate alla libertà
paolina dalla legge.
Le colonne della comunità apostolica di Gerusalemme
- Giacomo, Pietro e Giovanni - hanno dato prova a Paolo, il
riformatore radicale, di essere capaci di fare marcia indietro e
hanno scongiurato uno scisma grazie a una separazione delle
sfere di competenza e a un reciproco riconoscimento: Gerusa­
lemme avrebbe proseguito nell’opera apostolica fra gli ebrei
e i giudeo-cristiani, ma avrebbe anche concesso fiducia a Pao­
lo, lasciandogli la libertà di continuare la missione nell’ampio
mondo dei pagani6. Ricordiamoci che ciò che oggi chiamiamo
cristianesimo si è sviluppato a partire anzitutto dalla coraggiosa
missione riformatrice paolina, mentre le diverse correnti giu­
deo-cristiane si sono gradualmente estinte. Possiamo solo fare
ipotesi sul fatto che questo sia dipeso da eventi storici esterni
oppure dalle differenze fra il ‘conservativismo’ della comunità
gerosolimitana e la dinamica della riflessione della visione mis­
sionaria paolina.
Paolo introduce la sua versione del cristianesimo e dell’u­
niversalismo cristiano in un mondo modellato dalla filosofia
greca e dalla politica romana in un’epoca di crisi della mitolo­
gia greca e della religione politica romana. Tuttavia, col tempo,
l’idea di un ‘nuovo Israele’ senza confini si scontra con i limiti
della cultura antica: al posto del nuovo Israele, la Chiesa diviene
il ‘secondo Israele’ e la terza ‘religione’ accanto all’ebraismo e
al paganesimo ellenico. Parimenti si deve differenziare rispet­
to alle correnti gnostiche, coeve scuole di saggezza e pietas, e a
molti altri culti religiosi. I rappresentanti della religione di Stato
romana considerano il cristianesimo, in straordinaria espansio-

°Cfr. Gal 2,6-10.


I

POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO


66

ne un fenomeno politicamente pericoloso. Lo perseguitano e


in questo modo rafforzano il suo aspetto di controcultura, di
dissenso politico-religioso. Allo stesso tempo lo rendono una
proposta nuova, un’alternativa al mondo religioso circostante.
I cristiani che si rifiutano di partecipare ai rituali pagani ro­
mani per motivi religiosi (li ritengono idolatria) vengono per­
seguiu come traditori, dunque cittadini politicamente perico­
losi, come ‘atei’ che rinnegano la protezione degli dei dell’im­
pero {pax deorum).
Il conflitto tra la religo romana e la giovane fede cristiana
dura alcuni secoli, durante i quali si susseguono periodi di per­
secuzioni sanguinose e altri di relativa calma. Ciononostante, la
testimonianza dell’eroico spirito di sacrificio dei martiri cristia­
ni e della solidarietà all’intemo delle comunità cristiane, più
tardi gli sforzi dei primi teologi di incorporare la fede nei con­
cetti della filosofia greca e infine il calcolo politico degli impera­
tori portano al cambiamento della posizione del cristianesimo
nell’impero, alla ‘rivoluzione costantiniana’. Dapprima tollera­
to, poi privilegiato, il cristianesimo assume il ruolo politico-cul­
turale di religio. Questo ovviamente lo trasforma: non soltanto
modifica il suo ‘oggetto’ e il suo contenuto ideale, ma arricchi­
sce sostanzialmente anche la sua forma. La religio nel suo ma­
nifestarsi cristiano unisce una serie di campi precedentemente
separati: ritualistico, filosofico, spirituale, nonché politico.
La Roma pagana conosceva aspetti che per molte persone
della nostra epoca sono connessi con il concetto di religione,
vale a dire la devozione e una certa filosofia dell’esistenza,
un’idea del mondo, ma non li collegava alla religio. Devozione,
spiritualità, pietas riguardavano invece i misteri; la ‘ricerca del
senso della vita’ e le domande sull’origine e la natura del mon­
do ricadevano nella competenza della filosofia, in primo luogo
dell’interpretazione filosofica dei miti. Questi fenomeni viveva­
no uno accanto all’altro, ma separati; all’unione di convinzio­
ni religiose, prassi morale, spiritualità e riflessione filosofica,
rituali privati e pubblici in un tutto organico, rappresentato
e diretto da una sola istituzione, si arriverà solamente con il
cristianesimo.
CRISTIANESIMO RELIGIOSO O NON RELIGIOSO? 67

Nel II secolo a.C. il filosofo pagano Marco Terenzio Varrone


distingueva tre tipi di teologia: theologia naturalis (la teologia
filosofica), theologia civilis (la forma politico-sociale) e theologia
mythica (simboli e narrazioni religiosi tramandati); a cavallo
tra II e III secolo d.C. Tertulliano, teologo cristiano, nonché
influente creatore di terminologia teologica in latino, integra
tutti questi aspetti nel concetto di religio1. Per distinguerla dal­
la religio pagana di Roma (ma anche dall’ebraismo che, molto
prima del cristianesimo, aveva ottenuto nell’impero romano lo
statuto giuridico di religio), ora gli apologeti cristiani indicano
la loro fede come religio vera.
Con la legittimazione costantiniana del cristianesimo e la
proclamazione da parte di Giustiniano di questa fede come re­
ligione di Stato, la sequela di Cristo diviene religione nel senso
della religio politica romana, di ‘lingua comune’ e di principale
pilastro culturale di una potente azione civilizzatrice. In questo
modo la fede ottiene la corazza protettiva (ma anche limitante)
della religione, che ricorda il ruolo della persona nella conce­
zione junghiana della personalità umana: una maschera che
rende possibile la comunicazione esteriore e allo stesso tempo
protegge l’intimità e l’integrità interiore. Se però questa ma­
schera si dilata e si indurisce, soffoca la vita, e questo vale non
solamente per gli individui, ma anche per i sistemi spirituali e
sociali.
Quanto più la fede cristiana viene incorporata nella filosofia
(o, se preferite, quanto più si lascia che la fede fecondi la filoso­
fia, unendo lo spirito ebraico con il pensiero greco), tanto più
prende la forma di teologia metafisica cristiana con connota­
zioni differenti nelle sue versioni romana e greca. La fede vie­
ne sempre più intesa come insegnamento, dottrina. Gli ascolta­
tori di Gesù avevano reagito stupiti alla sua predicazione: «Che
è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità...»8.

7 Cfr. D. ¿ervenková, Jak se krest'anslvi stalo nàbozenslvim, Praha, Karolinum, 2012,


p. 25.
8 Cfr. Me 1,21-28.
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
68

Sorge allora la domanda se l’unione di fede e potere politico e


l’aver incorporato la fede nella forma di una ‘dottrina’ non ab­
biano comportato un graduale indebolimento di quella autori­
tà divina che tanto aveva affascinato i primi discepoli di Gesù.
Parimenti, già nell’antichità il cristianesimo svolge piena­
mente il ruolo della spiritualità, di cura sistematica della di­
mensione profonda della fede. Questo avviene in primo luogo
grazie ai Padri del deserto, una visione radicalmente alternativa
di cristianesimo, all’inizio dissidente rispetto al ‘cristianesimo
imperiale’ che si era presto trovato a proprio agio tra poteri e
privilegi. Questo movimento di uomini e donne che partivano
per il deserto in Palestina, Siria ed Egitto e lì creavano comu­
nità di ‘cristianità alternativa’, più tardi venne integrato e isti­
tuzionalizzato dalla ‘grande Chiesa’ nella forma di regola di
vita di comunità monastiche. Quelle comunità ricevettero una
loro forma giuridica a fianco delle altre strutture della Chiesa,
e ovviamente proprio da tali ambienti monastici sarebbero pro­
venute nel corso dei secoli spinte per la riforma della Chiesa.
Il cristianesimo come unione di religio, fides filosoficamente
meditata e scuola di pietas è incredibilmente fecondo dal pun­
to di vista culturale, e vincente da quello politico. Per secoli
rafforza uno degli imperi più potenti del mondo. È in grado
di integrare stimoli nuovi provenienti da culture e filosofie di­
verse, di sopravvivere alla caduta dell’impero e più tardi allo
scisma fra Roma e Bisanzio. Si difende da incursioni esterne
e si espande nelle parti del mondo che vengono man mano
scoperte. La fede cristiana (in particolare in forma di dottrina
e liturgia) diviene la lingua comune di gran parte del mondo9.
Ciononostante deve essere accolta con riserva l’interpreta­
zione romantica del Medioevo quale età dell’oro della fede.
Analisi storiche più approfondite mostrano che cristianizza­
zione ed evangelizzazione toccano solo determinati strati della

9 Soprattutto nel primo millennio è esistita nel cristianesimo una notevole plura­
lità per quanto riguarda liturgia, spiritualità e accenti teologici: solamente dopo
la separazione dal cristianesimo bizantino, la Chiesa latina ‘si romanizza’ signifi­
cativamente.
CRISTIANESIMO RELIGIOSO O NON RELIGIOSO? 69

società del tempo. Influenzano in primo luogo coloro che (so­


prattutto nei monasteri e più tardi nelle università) plasmano
attivamente quella cultura; e noi spesso ci facciamo un’imma­
gine di quell’epoca solo sulla base di questa fascia di persone.
In vasti strati popolari, però, la spiritualità e l’ethos cristiani
penetrano lentamente e gradualmente, rimanendo a lungo
fortemente confusi con forme di religiosità arcaiche precristia­
ne. Paradossalmente, gli strati popolari sono maggiormente in­
fluenzati dalla fede cristiana al principio dell’epoca moderna,
quando la Chiesa comincia a perdere il potere politico detenu­
to fino a quel momento. Allora i vescovi - fin lì prevalentemen­
te feudatari che amministrano grandi proprietà - cominciano
a essere scelti fra i ceti urbani istruiti e proprio questi si preoc­
cuperanno dell’istruzione di clero e popolo10.
All’interno della Christianitas si arriva, dopo l’oscuro X se­
colo (in particolare dopo la grande crisi del papato), a una
differenziazione significativa. Un movimento di riforma, sorto
principalmente nell’abbazia di Cluny, genera uno scontro fra
clero e laici: si cerca di riformare, elevare, disciplinare il clero
per assimilarlo ai frati con attenzione alla disciplina, all’obbe­
dienza, alla regola della preghiera, al celibato e all’istruzione.
I protagonisti della riforma cluniacense raggiungono le posi­
zioni più alte della gerarchia ecclesiastica e provocano, nella
lotta per le investiture (il diritto di nominare i vescovi), la ‘ri­
voluzione del papato’. In questo modo viene spezzato il mono­
polio del potere imperiale e si genera un dualismo fra potere
laico ed ecclesiastico, imperiale e papale, cosa che influenzerà
sostanzialmente la cultura politica dell’occidente. Un effetto
collaterale di questa lotta è la nascita della cultura secolare,
della sfera della ‘mondanità’, che si emancipa lentamente dalla
sfera del potere e del controllo ecclesiastici.
Nel corso del Rinascimento (oltretutto per influsso degli esuli
bizantini emigrati dopo la caduta di Costantinopoli alla corte di

10 Cfr. C. Taylor, Una modernità cattolica?, in La modernità della religione (1999),


Sesto San Giovanni (MI), Meltemi, 2004.
70 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

Lorenzo de’ Medici) questa nuova cultura riceve un impulso po­


tente pervia dell’interesse degli eruditi per lo studio del greco.
Tale interesse da una parte risveglia lo studio del Nuovo Testa­
mento basato sul testo originale, ispira le traduzioni della Scrit­
tura dalle lingue originali alle lingue delle singole nazioni, un la­
voro che rafforza la consapevolezza di queste ultime e, fra l’altro,
prepara il terreno per la riforma della Chiesa. Dall’altra ravviva
lo studio e la divulgazione della cultura antica contribuendo alla
nascita dell’umanesimo rinascimentale. La svolta dal latino al
greco, e soprattutto alle lingue nazionali, sovverte l’impero cul­
turale medievale (preparando la nascita degli Stati nazionali) e
l’egemonia della teologia scolastica in campo intellettuale.
La Christianitas medievale riceve un colpo fatale dalla gran­
de divisione del cristianesimo d’Occidente, soprattutto nel
momento in cui le dispute teologiche travalicano dalla sfera
teologica a quella politica e sfociano nelle devastanti guerre del
XVII secolo. Non meno fatale è l’altro scisma: la frattura fra la
teologia tradizionale e il mondo in via di emancipazione delle
scienze naturali. II potere e il prestigio della religione cristiana
sono indeboliti da questo duplice scisma, causato dall’attacca-
mento a un sistema teologico ormai fossilizzato, incapace di in­
terpretare in modo creativo e insieme critico tanto gli impulsi
riformatori teologici, quanto le nuove conoscenze scientifiche.
Gli intellettuali cristiani critici - il cui prototipo è Erasmo da
Rotterdam -, disgustati da entrambi i campi di battaglia della
Chiesa, si sforzano di creare una ‘terza via del cristianesimo’.
Rifiutati da entrambi i campi, diventano sempre più estranei
al cristianesimo ecclesiastico tradizionale. Questa corrente sfo­
cia infine nell’Illuminismo, che prende forme diverse. Molti
illuministi lottano per una umanizzazione della religione, altri
sostituiscono il Dio biblico con il ‘dio dei filosofi’ e il cristiane­
simo con il deismo, altri ancora soppiantano la fede cristiana
con il culto della ragione umana.
Lo sbocco del terzo ramo del cristianesimo nell’Illuminismo e
nella moderna cultura secolarizzata realizza chiaramente uno
scenario che affonda le sue radici nel carattere stesso del cristia­
nesimo: secondo Marcel Gauchet, il cristianesimo è una «reli-
CRISTIANESIMO RELIGIOSO O NON RELIGIOSO? 71

gione sorta da un’altra religione» e si sposta dall’infrastruttura


politica della società a una ‘superstruttura’ (sovrastruttura) - la
cultura11. È un processo che giunge a compimento dopo l’illu­
minismo: la cultura non è più una parte della religione, ma la
religione lo è della cultura.
Le istituzioni ecclesiastiche perdono un passo alla volta il
potere politico; la forza e la vitalità del cristianesimo adesso
consistono principalmente neH’influenza morale e intellettua­
le della fede sulla mentalità culturale della società.
Ma la mentalità culturale della società moderna si trasforma e
il cristianesimo perde gradualmente anche la sua influenza cul­
turale.

***

Il processo di modernizzazione è un processo di frammenta­


zione, di separazione di singoli piani precedentemente uniti in
un tutto. Con il declino della Christianitas, della ‘civiltà cristia­
na’, nascono gli Stati nazionali e le rispettive culture. Il latino
perde la sua posizione privilegiata; le traduzioni della Bibbia,
sostenute in primo luogo dai riformatori, aiutano lo sviluppo
delle lingue nazionali. Le giovani e consapevoli scienze natu­
rali rifiutano l’autorità della teologia. La conoscenza razionale
sistematica, alla quale aveva dato un forte contributo la scola­
stica medievale, viene ora integrata con metodi sperimentali e
si rivolta contro la teologia scolastica.
Sopraggiunge Y epoca della secolarizzazione, nell’era moderna
la religione cristiana cessa di svolgere il ruolo di religione inte­
sa come religio'2.
Secolarizzazione non significa fine della religione né fine
della fede cristiana. Significa invece cambiamento nel rappor-

11 Cfr. M. Gauchet, Il disincanto del mondo. Una stona politica della religione (1985),
Torino, Einaudi, 1997.
12 Distinguo fra secolarizzazione (il processo socio-culturale), secolarismo (l’inter­
pretazione ideologica della secolarizzazione) ed epoca secolare (un determinato
periodo storico). Per approfondire, si veda l’inizio del VII capitolo.
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
72

to reciproco tra fede e religione: è la fine del ‘matrimonio’ tra


la fede cristiana e la religione intesa come religio.
La religione nel senso di religio, che integra le forze della so­
cietà, non è sparita, ma la fede cristiana ormai non svolge quel
ruolo. ‘Lingua comune’ delle società moderne sono divenuti
altri fenomeni. La fede cristiana, tuttavia, dopo la separazione
dalla religione come religio non diviene non religiosa, ma prende
gradualmente corpo in altre forme di religione - quelle create
dalla cultura secolare moderna.
***

Il ruolo di religio, di religione come ‘lingua comune’ e fonda­


mento culturale condiviso della civiltà europea, comincia a
essere svolto dalle scienze naturali, dalla cultura mondana, in
primo luogo dall’arte (pensiamo al culto religioso per gli arti­
sti, i geni, dal Rinascimento al Romanticismo fino al culto post­
moderno per le star della cultura pop), ma anche dal naziona­
lismo e più tardi dalle ‘religioni politiche’ come comunismo,
fascismo e nazismo.
Oggi potremmo indicare come religio l’economia capitalista,
il mercato globale che connette tutti con tutto. Diversi sociolo­
gi e filosofi della cultura si sono occupati del ruolo pseudoreli­
gioso del capitalismo13, della sostituzione del monoteismo con
il ‘money-teismo’, il culto capitalista del denaro.
Alcune religioni secolari hanno una loro mistica, offrono
una certa relazione ‘estatica’ con una trascendenza variamente
intesa. Se rivolgiamo l’attenzione al mercato in espansione di
droghe chimiche, psicologiche e spirituali, strumenti di rilassa­
mento o eccitanti, si è tentati di rivoltare la celebre espressione
di Karl Marx: oggi l’oppio è la religione dei popoli.
Tuttavia questi fenomeni, per quanto spesso ricoprano alcu­
ni aspetti psicologici e sociali della religio, non possono essere

,JSul capitalismo come pseudoreligione, cfr. ad esempio T. Ruster, Der verwechsel-


bare Goti: Théologie nach der Entjlechtung von Chrislentum und Religion, Freiburg,
Herder, 2000.
CRISTIANESIMO RELIGIOSO O NON RELIGIOSO? 73

intesi e segnalati come religione. Il concetto di religione, così


come è nato e si è stabilizzato nel corso del processo di secola­
rizzazione, ha un significato e un contenuto del tutto diversi.
***

A partire daH’Illuminismo, la parola ‘religione’ ha indicato un


settore della vita sociale accanto agli altri. La religione, così
come intesa dall’uomo moderno, non è più un intero onni­
comprensivo, la lingua che tutti comprendono, che unisce
quasi tutti: non è più religio. Nell’interpretazione moderna la
religione è divenuta soltanto uno dei giochi linguistici, se pos­
siamo prendere in prestito un concetto di Wittgenstein. Le so­
cietà unite da questo gioco e che ne hanno accettato le regole
diminuiscono gradualmente.
Oggi la religione viene intesa come ‘idea del mondo’, una
fra le altre. Accanto alla religione esistono molti altri campi
della vita che si vogliono regolare con leggi proprie. La reli­
gione ha cessato di essere onnipresente e quindi non è più
‘invisibile’ come l’aria che respirano tutti; ha cessato di essere
‘naturale’, è possibile mantenere da essa un distacco critico - a
partire dall’illuminismo la religione è divenuta oggetto di stu­
dio e di critica. La teologia medievale si considerava la ‘scienza
di Dio’; dall’illuminismo (pensiamo a Schleiermacher) la teo­
logia è divenuta ermeneutica della fede, prendendo piuttosto
la direzione di ‘scienza della fede’.

***

Alle soglie dell’epoca moderna il cristianesimo è stato indebo­


lito, tra gli altri fattori, anche dall’essersi disintegrato in ‘con­
fessioni’ o ‘denominazioni’ sostenute da diverse Chiese e, in
seguito, dal venir screditato dalle guerre devastanti fra queste
confessioni. Dopo la Riforma, anche in contesto occidentale
esiste un cristianesimo ‘al plurale’: vi si trovano ‘alcune religio­
ni cristiane’. Gradualmente le correnti riformatrici hanno ces­
sato di considerarsi un rinnovamento all’interno di un’unica
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
74

Chiesa e hanno cominciato a separarsi dalla ‘vecchia’ Chiesa


dal punto di vista mentale, teologico e organizzativo. Accanto
al cattolicesimo, ecco porsi il protestantesimo, mentre anche il
campo evangelico comincia a differenziarsi. Diversamente dal­
la religio, politica del tutto, la confessio è faccenda di una parte. È
- anche se in genere non si è disposti ad ammetterlo - un gioco
linguistico fra gli altri.
In seguito è stato compiuto un altro passo: il cristianesimo
ha raggiunto lo statuto di religione fra le altre. Gli scopritori e
i colonizzatori dei continenti extraeuropei vengono a contatto
con rituali oscuri, usi e narrazioni che percepiscono con gli oc­
chi della propria esperienza del cristianesimo a loro contempo­
raneo, quindi come una religione - ‘un’altra religione’. Anche
l’islam, con cui il cristianesimo si confronta da secoli, cessa di
venire inteso dai cristiani come un’eresia cristiana (una forma
di cristianesimo distorta dal demonio) e comincia a essere per­
cepito come ‘un’altra religione’.
***

Nel corso dell’era moderna la religione viene intesa secondo il


concetto di religione proprio dell’epoca della secolarizzazione:
anche molti cristiani la percepiscono come un’idea del mon­
do, che riguarda in primo luogo ‘l’altro mondo’, e in questo
mondo soprattutto la morale. Come ha dimostrato il sociologo
Ulrich Beck, dopo le iniziali dispute fra la razionalità scientifica
e la religione cristiana, la razionalità ha riconosciuto di non
poter governare e realizzare tutte le dimensioni della vita in­
dividuale e sociale e ha permesso alla ‘religione’ di diventare
esperta di ciò che è ‘oltremondano’ e ‘spirituale’ e di ornare
esteticamente e retoricamente alcune celebrazioni private, fa­
miliari e, in via eccezionale, pubbliche14.
Questa concezione della religione perdura ancora oggi non

14 Cfr. U. Beck, Il Dio personale. La nascita della religiosità secolare (2008), Roma-
Bari, Laterza, 2009.
CRISTIANESIMO RELIGIOSO O NON RELIGIOSO? 75

solo in un’opinione pubblica secolarizzata, ma anche in molti


cristiani: per cristianesimo si intende una religione (cioè una
delle religioni) : «il sistema della fede e la pratica che unisce tutti
i suoi seguaci in un’unica collettività morale chiamata Chiesa»15.
Il cristianesimo moderno è più povero, ‘più snello’ rispetto
alla sua forma medievale. Molti ruoli culturali e sociali, ricoper­
ti in epoca premodema dalla religione cristiana, che ne dete­
neva anche il monopolio, sono passati alle istituzioni secolari.
Per quanto il cristianesimo si sia incarnato nella cultura moder­
na, l’elemento dominante di questa cultura è stato l’umanesi­
mo secolare, questo ‘figlio indesiderato’ del cristianesimo che
si è allontanato sempre di più dal cristianesimo ecclesiastico.
Il cristianesimo nella sua forma ecclesiastica (in primo luogo
cattolica) è divenuto de facto una componente del mondo mo­
derno, ma con la modernità (e la sua filosofia fondante, l’uma­
nesimo illuminista) non è mai riuscito a riconciliarsi, anzi con
essa ha addirittura condotto numerose - e perse in partenza -
guerre culturali.
Proprio nel corso delle guerre culturali con le ideologie del­
la tarda modernità si è giunti a un’altra deformazione dell’a­
spetto moderno del cristianesimo: la fede stessa si ideologizza
in maniera considerevole. La religione cattolica controcultura­
le della cosiddetta ‘età piiana’ (fra i pontificati di Pio IX e Pio
XII, fra la metà del XIX e la metà del XX secolo), di cui si dirà
ancora più avanti, diviene ‘cattolicesimo’, dunque in una certa
misura un ‘ismo’ fra gli altri ‘ismi’ (protestantesimo, sociali­
smo, liberalismo). In altre parole: si ideologizza.
A metà del XX secolo, il Concilio Vaticano II ha rappresen­
tato non soltanto il tentativo di un gentlemen’s agreement fra la
Chiesa cattolica e la modernità, ma anche lo sforzo di passare
dal cattolicesimo alla cattolicità, alla ecumenicità del cristiane­
simo, alla de-ideologizzazione della fede, alla de-clericalizza-
zione della Chiesa. Il Concilio voleva liberare la Chiesa dalla

15 É. Durkheim, Leforme elementari della vita religiosa ( 1912), Roma - Ivrea, Edizioni
di Comunità, 1963.
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
76

nostalgia per Ia Christianitas premoderna, allontanarla da quel­


la forma moderna angustamente confessionale e indirizzarla
verso un’apertura ecumenica.
Lo sforzo di conciliare la Chiesa con la modernità è però
arrivato più tardi nel tempo: paradossalmente, nel momento
in cui la modernità usciva di scena. Il tentativo dell’ecumenici­
tà della Chiesa in un triplice senso - di unità fra i cristiani, di
dialogo con le altre religioni e di avvicinamento all’umanesimo
secolare, ai ‘non credenti’ - è rimasto a metà strada nonostante
molti passi significativi: proseguire su questa via rimane il com­
pito del pomeriggio del cristianesimo. Nel corso di questo libro
torneremo su tali riflessioni.
***

Abbiamo visto che la forma moderna della religione non è sta­


ta la prima, né evidentemente sarà 1 ultima, incarnazione della
fede cristiana nella storia. La secolarizzazione al suo inizio ha
plasmato questa forma di religione, ma nella sua fase finale (a
cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo) la fatti­
bilità di un tale tipo di religione è entrata in crisi ed è crollata.
Mi sembra che questo processo abbia raggiunto il suo culmi­
ne proprio nella nostra epoca, e ciò per due fenomeni pande­
mici, che ne sono però più sintomo che causa o sostanza. Il pri­
mo è la scoperta di una pandemia di abusi sessuali, psicologici
e spirituali all’interno della Chiesa e il secondo è l’esperienza
della chiusura delle chiese e della sospensione delle funzioni
sacre nel corso della pandemia da Coronavirus. Il primo evi­
denzia una crisi del sacerdozio come stato, invita a superare il
clericalismo e a riflettere in modo nuovo sul ruolo dei sacerdo­
ti e sul rapporto fra clero e laici nella Chiesa. Il secondo è stato
una sfida per i cristiani a non confidare solamente nelle funzio­
ni liturgiche, ma a cercare nuove forme per vivere e celebrare
il mistero della fede anche al di fuori della liturgia tradizionale
e degli spazi sacri.
Abbiamo detto che la fede cristiana ormai differisce chiara­
mente dalle due forme storiche di religione. Si troverà o verrà
CRISTIANESIMO RELIGIOSO O NON RELIGIOSO? 77

creata un’altra forma di religione o arriverà il tempo di un cri­


stianesimo non religioso? La forma religiosa del cristianesimo è
stata solo una delle tappe della sua evoluzione storica?
***

Il pensiero per cui il cristianesimo possa e debba vivere al di


fuori della religione, che sia addirittura ‘antireligioso’, è stato
espresso nel modo più chiaro in Germania dalla teologia dia­
lettica. Questa si differenzia tanto rispetto ai tentativi liberali di
conciliare la fede con la cultura della società borghese, quanto
rispetto alla civetteria e alla collaborazione dei nazionalisti di
Deutsche Christen con il nazismo. Karl Barth ha provato a tirare
la fede cristiana fuori dalle secche della teologia liberale del
XIX secolo con un pathos e una radicalità simili a quelli con
cui Martin Lutero voleva liberarla dalle ragnatele della teologia
scolastica medievale, dall’accumulo di precetti morali e dalla
mediazione della gerarchia ecclesiastica. Secondo Barth, la re­
ligione è un tentativo sacrilego di giungere a Dio con le pro­
prie forze e di manipolare Dio con strumenti umani: specula­
zioni teologiche, sforzi morali e tutto ciò con cui l’uomo vuole
anticipare e de facto sostituire il dono immeritato della grazia
divina. Barth intende la fede come un protendersi compieta-
mente libero di Dio verso l’uomo tramite la Parola, tramite il
donarsi di Dio nella parola della Bibbia e soprattutto nella Pa­
rola incarnata, in Gesù Cristo crocifisso.
Per Dietrich Bonhoeffer la religione è connessa soprattut­
to con l’immagine di un Dio forte, potente, un’immagine che
maschera e falsa il vero volto di Dio testimoniato dalla Bibbia
che, al contrario, si manifesta nella ‘impotenza di Dio’, nel dar­
si di Gesù sulla croce. Un cristiano adulto deve fare a meno
di un Dio inteso come ipotesi scientifica, un Dio che di fron­
te alla luce della conoscenza razionale si ritrae negli antri del
‘mistero’. Un cristiano adulto deve accettare un mondo privo
di spiegazioni religiose, metafisiche e pseudoscientifiche e in
esso vivere ‘come se Dio non esistesse’ (etsi Deus non daretur),
deve riporre ogni ‘pre-comprensione religiosa’ così come san
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
78

Paolo ha rinunciato alla circoncisione come precondizione per


diventare cristiani. Liberi da un’immagine patriarcale di Dio,
è possibile vivere in modo onesto, responsabile e maturo di
fronte a Dio e con Dio.
In un certo senso Bonhoeffer raccoglie la sfida lanciata al
cristianesimo tradizionale dalla critica della religione per boc­
ca di Feuerbach, Marx, Nietzsche e Freud. La sua teologia di
un cristianesimo non religioso non è nata su una cattedra uni­
versitaria; la sua urgenza è intensificata dal fatto di essere stata
concepita e messa per iscritto in una prigione nazista nelle ul­
time lettere prima di essere giustiziato16.
La critica di Bonhoeffer del cristianesimo borghese, che ha
tradito il Vangelo ed è diventato conformista rispetto all’etsia-
blishment, ci ricorda Kierkegaard. E nel suo rifiuto delle imma­
gini religiose di Dio, Bonhoeffer è anche vicino a quanto il mi­
stico medievale Meister Eckhart ha espresso nella sua preghie­
ra «prego Dio di liberarmi da Dio»17.
Il ‘cristianesimo non religioso’ di Bonhoeffer, tuttavia, aveva
anche significativi tratti sociali e politici. Egli riconosceva un’u­
nica trascendenza autenticamente cristiana - l’umano supera­
mento di sé nell’amore disinteressato. La sua concezione della
fede confermava il suo impegno politico e il sacrificio della vita.
Possiamo indicare come erede di questo aspetto politico della
sua concezione del cristianesimo la teologia latino-americana
della liberazione.

***

Lo sforzo di liberare la fede cristiana dalla ‘religione’ nella for­


ma di una ‘onto-teologia’ metafisica e dalla mentalità di una
Chiesa a suo agio nella società borghese della tarda modernità

16 Queste lettere sono state pubblicate nel volume postumo Resistenza e resa
(1951), ora in Opere, voi. Vili, Brescia, Queriniana, 2002.
17 Motivi simili a quelli eckhartiani risuoneranno più tardi nella teologia esisten­
zialista di Paul Tillich, nella sua fede in «Dio al di sopra del teismo di Dio» (cfr. P.
Tillich, Il coraggio di esistere [1952], Roma, Astrolabio-Baldini, 1968).
CRISTIANESIMO RELIGIOSO O NON RELIGIOSO? 79

ha sicuramente rappresentato un tentativo legittimo di far rie­


mergere la radicalità dell’annuncio evangelico da sotto i mol­
teplici strati di detriti e le riverniciature ideologiche e sociali.
È però necessario tenere a mente che i tentativi dei riforma­
tori di proporre un ‘cristianesimo originario’ restano la proie­
zione di ideali personali sulla storia. E necessario ammettere
che anche queste sono interpretazioni storicamente condizio­
nate, le quali possono essere molto preziose, ma non dovreb­
bero essere intese come ricostruzioni di un cristianesimo puro,
‘nudo’.

***

Per questo sono convinto anche che un ‘cristianesimo comple­


tamente non religioso’ sia una pura astrazione. Nella realtà sto­
rica incontriamo sempre la fede nel contesto di una determina­
ta cultura, di un sistema culturale. Il cristianesimo ha compiuto
i suoi primi piccoli passi nello spazio di una determinata reli­
gione, l’ebraismo rabbinico. Quindi ha attraversato diversi tipi
di religione, nonché il processo di secolarizzazione della socie­
tà moderna. Come nella vita personale non possiamo uscire
da una situazione senza entrare in un’altra, così anche la fede
è sempre ‘situata’ e presto o tardi troverà una forma culturale
e sociale, manifestandosi come religione. Ma può avere una
forma e un significato diversi da quelli che la parola ‘religione’
ha indicato in passato.
Oggi, in un’epoca postsecolare - come di certo vediamo - si
propongono principalmente due forme di religione, che sono
frutto e conseguenza della trasformazione della religione nel
processo di secolarizzazione: religione come giustificazione
dell’identità di un gruppo (ad esempio, nazionale o etnico) e
religione come spiritualità separata dalla Chiesa e dalla tradi­
zione. Mentre la prima deve soprattutto rafforzare la coesione
di un gruppo e si avvicina a un’ideologia politica, la seconda
propone una certa integrazione della personalità e si avvicina
al ruolo svolto dalla psicoterapia. La fede cristiana dovrebbe
mantenere un distacco critico da entrambe queste forme; il cri-
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
80

stianesimo del futuro non dovrebbe trasformarsi né in un’ideo­


logia politica identitaria né in un’indefinita spiritualità sconfi­
nante nell’esoterismo.
I cristiani che hanno vissuto con grande intensità la notte
oscura del XX secolo - Teilhard de Chardin sul fronte della Pri­
ma guerra mondiale, Bonhoeffer nella prigione nazista e i teo­
logi cechi, miei maestri di fede, nelle carceri comuniste18 - sul
fondamento di questa esperienza della fede ci hanno lasciato
visioni e intuizioni su cui è necessario riflettere ancora da un
punto di vista teologico perché siano d’ispirazione per il pome­
riggio della storia cristiana.
Le forme di religione viste finora - la premoderna religio­
ne come religio, la moderna religione come idea del mondo
o ideologia - difficilmente possono rappresentare uno spazio
vitale per la fede: sono troppo anguste, la soffocherebbero. È
necessario condurre la fede in uno spazio nuovo, come Paolo
ha portato il cristianesimo fuori dai confini dell’ebraismo a lui
coevo.
Solitamente si fa derivare il sostantivo religio dal verbo religa­
re, riunire. La religione nel senso di religio aggrega una comu­
nità: ciò che aggrega una società è la sua religione (reZzgz'o). Ma
possiamo far derivare tale parola anche dal verbo relegere, leg­
gere di nuovo. Questo può fornire un senso nuovo al concetto
di religione.
Sono convinto che il cristianesimo di domani sarà soprattut­
to la comunità di una nuova ermeneutica, di una nuova lettura,
di una nuova e più profonda interpretazione tanto delle due
fonti della rivelazione divina - la Scrittura e la Tradizione -
quanto della parola di Dio nei segni dei tempi.

18 Penso soprattutto a Antonín Mandi (1917-1972), Josef Zvërina (1913-1990) e


Oto Mádr (1917-2011).
VI. Buio a mezzogiorno

In questo capitolo parlerò della crisi del mezzogiorno della


storia del cristianesimo. Ho preso in prestito il titolo dal ro­
manzo di Arthur Koestler1, che è stato una delle prime ope­
re letterarie ad attirare l’attenzione del mondo sui crimini del
regime stalinista in Russia. Il titolo era una chiara allusione al
passo evangelico in cui si racconta che durante la crocifissione
di Gesù il buio è sceso su tutta la terra a mezzogiorno. Per me
la connessione lessicale dell’espressione ‘buio a mezzogiorno’
associa e unisce alcuni importanti motivi: la croce di Gesù, la
notte oscura sulle vie personali e storiche della fede e la simili­
tudinejunghiana della vita umana con il giorno.
Prima di provare ad affrontare la crisi del mezzogiorno è ne­
cessario porsi la domanda se è appropriato parlare oggi di crisi
della fede, crisi della Chiesa, crisi del cristianesimo. La parola
‘crisi’ rientra tra i termini più frequenti della nostra epoca: non
stupisce che ormai abbia stancato e irritato molti. È mai esistita
un’epoca senza crisi? La nostra epoca con le sue crisi è davvero
qualcosa di eccezionale? Questo sentimento di esclusività non
è solamente un’illusione che cattura ogni generazione? Non è
addirittura un’espressione dell’egocentrismo narcisistico, ma­
lattia tipica della nostra epoca, il fatto che, se non possiamo
parlare al superlativo dei nostri successi, lo facciamo almeno
per le nostre crisi? Non screditiamo e non sottovalutiamo forse
le crisi del passato soltanto perché non ci riguardano diretta-
mente?

1 A. Koestler, Buio a mezzogiorno (1940), Milano, Mondadori, 1946.


I

POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO


82
Dobbiamo ammettere di non saper rispondere a queste
domande Sono questioni per il Signore della stona, noi non
siamo in una godlike position, non possiamo uscire dalla nostra
epoca e giudicarla dall’esterno ‘oggettivamente’. D’altra parte,
non si tratta di confrontare la gravità delle cnsi attuali con altre
che non abbiamo vissuto. Dal punto di vista escatologico della
teologia cristiana, ogni momento è una sorta di crisi (il mo­
mento della decisione e del giudizio), a differenza della pro­
spettiva apocalittica che percepisce ogni crisi in arrivo come
quella definitiva.
***

Le statistiche ci dicono che il numero dei cristiani cresce co­


stantemente, sul nostro pianeta non sono mai vissuti tanti cri­
stiani come oggi, i cristiani continuano a rappresentare il più
grande ‘gruppo di opinione’ del mondo contemporaneo. Ma
il numero dei cristiani cresce soprattutto grazie all’alta natalità
nelle nazioni non occidentali. E per gli stessi motivi cresce il
numero dei musulmani, a un ritmo assai più veloce.
Concentriamoci adesso sulla maggiore delle Chiese cristia­
ne, quella cattolica. Quando studiamo la storia del papato, ci
imbattiamo in un gran numero di scandali spaventosi. Oggi va
diversamente: almeno nel corso dell’ultimo mezzo secolo, sulla
cattedra di Pietro si sono succedute personalità degne di stima.
Nonostante la Chiesa debba oggi affrontare molti scandali, si
può dire che l’autorità morale del papato non è mai stata così
alta sul piano intemazionale come ai nostri giorni. Eppure, tra
i paradossi della nostra epoca rientra il fatto che papa Fran­
cesco - un pastore convincente, un’indiscussa autorità morale
mondiale, rispettato e amato anche al di fuori dei confini della
Chiesa - è esposto all’interno della Chiesa stessa ad attacchi e
a un aperto dissenso come nessun altro pontefice nella storia
moderna. Proprio i cattolici, che hanno sempre giurato lealtà
incondizionata nei confronti dell’autorità pontificia, si levano
con un odio aggressivo contro un papa che non corrisponde al
loro gusto e non sostiene le loro idee.
BUIO A MEZZOGIORNO 83

La crisi della ‘religione organizzata’ colpisce soprattutto la


Chiesa cattolica. In molti Paesi occidentali si svuotano, si chiu­
dono e si vendono chiese, conventi e seminari, cresce il nu­
mero delle persone che escono formalmente dalla Chiesa, che
smettono di frequentare regolarmente le funzioni religiose.
Nella primavera del 2020, di fronte alle chiese chiuse e vuote a
causa della pandemia da Coronavirus, mi sono posto la doman­
da se quello non fosse un ammonimento profetico su come po­
trebbero apparire quelle stesse chiese tra un paio di decenni2.
L’idea che il declino delle grandi Chiese riguardi solamente
una parte dell’Europa e che sia la conseguenza del liberalismo
della teologia cristiana e dell’indebolimento della disciplina del
clero, mentre negli altri continenti la Chiesa prospera, è un’au-
toillusione di certi circoli ecclesiastici. Gli Stati Uniti d’America
non sono più quella cristiana ‘città sulla collina’ che l’alleanza
dei conservatori cattolici ed evangelici ha contrapposto all’Eu­
ropa secolarizzata. I critici conservatori occidentali della cultu­
ra secolare hanno posto come esempio per l’Occidente prima
le nazioni postcomuniste (ex Oriente lux, ex Occidente luxus) e,
dopo la caduta di questa illusione, la fioritura del cristianesimo
nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo. Alcuni di loro si aspet­
tano dagli immigrati cristiani, principalmente dall’Africa, una
rinascita del cristianesimo tradizionale in Occidente. Ma i sobri
teologi africani ci mettono in guardia dall’idealizzare il cristia­
nesimo africano e dall’illuderci con il conteggio dei battezzati;
ci avvertono che l’aumento del numero dei cattolici in Afri­
ca è dato più dall’incremento della popolazione che dal suc­
cesso dell’evangelizzazione. Il teologo africano Alain Clément
Amiézi ha scritto: «In Africa produciamo battezzati piuttosto
che comportarci cristianamente»3. Confessa che le Chiese afri-

2 Cfr. T. Halik, Il segno delle chiese vuole. Per una ripartenza del cristianesimo, Milano,
Vita e Pensiero, 2020.
’ A.C. Amiézi, En Afrique, on produit des baptisés et non des chrétiens, on leur donne
les sacrements, sans évangéliser, https://africa.la-croix.com/pere-alain-clement-
amiezi%E2%80%89-en-afrique-on-produit-des-baptises-et-non-cles-chretiens-on-
leur-donne-les-sacrements-sans-evangeliser/
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
84

cane spesso mantengono le persone in una religiosità infantile


invece di offrire una catechesi che vada nel profondo, e che si
accontentano di un sincretismo in cui I’identificazione con la
cultura africana oscura significativamente l’identità cristiana.
Dall’inarrestabile processo della globalizzazione ci si può
aspettare che un’evoluzione simile a quella che ha accompa­
gnato la secolarizzazione in Europa si verifichi, con un certo ri­
tardo, anche negli alni continenti, compresi in molti dei cosid­
detti Paesi in via di sviluppo. Lì la secolarizzazione ha inizio con
le élites che studiano in Occidente e con i giovani che usano in­
ternet. Un’immagine fortemente semplificata degli standard di
vita occidentali, amplificata da film e media, modifica l’orienta­
mento dei valori nei Paesi poveri e suscita nei loro abitanti un
rapporto contraddittorio con l’Occidente, fatto di desiderio e
odio, imitazione e rifiuto, timore e resistenza. Qualcosa di simi­
le avviene nei Paesi musulmani: anche lì ho incontrato lo stesso
rapporto ambivalente con l’Occidente, la forza seducente del
proibito e il tentativo di reprimere questa tentazione demoniz­
zando e aggredendo. I fanatici religiosi vogliono annientare
quanto di un’altra cultura li attira e insieme li spaventa.
La Chiesa cattolica ha perso molti membri in quelle che tra­
dizionalmente sono le ‘cattolicissime nazioni’ dell’Europa e
dell’America Latina. Nel corso dei miei viaggi in Sud America
ho più volte sentito l’opinione secondo cui, dal momento che
la Chiesa fa affidamento sull’inerzia della tradizione e trascura
l’educazione dei credenti e una solida formazione morale, si è
verificato un esodo di massa dei cattolici verso sette pentecosta­
li, una conversione alla loro semplice teologia fondamentalista
e a una religiosità emotiva spesso superficiale. L’Irlanda ha dato
il suo contributo alla secolarizzazione scoprendo molti casi di
abusi sessuali da parte del clero e delle istituzioni ecclesiastiche.
In Polonia il rapido collasso in corso della potente Chiesa lo­
cale è stato innescato proprio dall’infelice alleanza fra politici
nazionalisti e maggioranza conservatrice della gerarchia: in due
anni sono riusciti a nuocere alla Chiesa molto più di quanto sia
riuscito a fare nel corso di alcuni decenni il governo comunista
che poteva contare su tutti gli strumenti del potere.
BUIO A MEZZOGIORNO 85

Dove la Chiesa si limita a somministrare sacramenti e la re­


ligiosità non si trasforma in fede personale, il cristianesimo di­
viene una mera ‘religione culturale’ che di fronte al cambia­
mento del paradigma socio-culturale appassisce e scompare.
***

La Chiesa cattolica sta vivendo, all’interno dell’intera civiltà


occidentale, una grave crisi del clero. Gli scandali relativi agli
abusi sessuali sono solamente uno degli aspetti della ben più
ampia e profonda crisi del clero come stato. In cosa consiste l’i­
dentità del sacerdote, il suo ruolo nella Chiesa e nella società?
Le risposte finora fornite a questa domanda sono sconvolte dai
cambiamenti della società e soprattutto dalla menzionata crisi.
Alla domanda su come deve apparire il sacerdote del futuro
difficilmente troveremo una risposta comprensibile, plausibile
e credibile non soltanto nell’opinione pubblica della società se­
colarizzata, che in maggioranza ritiene un sacerdote un relitto
del passato; troviamo dell’imbarazzo anche in molti credenti,
e addirittura in alcuni sacerdoti. Dietro formule devote spesso
si nasconde l’insicurezza. Evidentemente, il tradizionale ruolo
patriarcale del prete - l’immagine ideale cui è ancora orientata
la formazione in molti seminari - non risponde alla realtà e alle
condizioni della società.
Diminuiscono drasticamente le vocazioni al sacerdozio e
l’intera rete dell’amministrazione parrocchiale, come si è an­
data formando nel corso di alcuni secoli, vacilla irrimediabil­
mente in molti Paesi. I tentativi di salvataggio operati dalla ge­
rarchia - l’importazione di sacerdoti da Polonia, Africa e Asia,
la fusione di parrocchie e altro - non sono soluzioni reali e non
fermeranno né attenueranno l’approfondirsi di questa crisi: si
tratta piuttosto di ‘un cambio di cuccetta sul Titanic’. La sod­
disfazione per il fatto che in alcuni seminari si riscontra un fer­
vore tradizionalista nella maggior parte dei casi finisce presto:
il tradizionalismo rimane una ‘malattia infantile’ passeggera di
convertiti umanamente immaturi, oppure la copertura di uno
squilibrio psichico di persone che provocano gravi problemi
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
86

alle strutture ecclesiastiche. Se decenni di preghiere da parte


di tutta la Chiesa per un nuovo sacerdozio sono rimasti inascol­
tati, forse Dio sta provando a dirci che invece di un testardo
bussare a una porta che lui stesso ci ha chiuso, dovremmo cer­
care altre porte e altre soluzioni.
Penso che neanche alcuni passi che dovremo necessaria­
mente compiere, presto o tardi, e sui quali il Vaticano continua
a esitare, come la consacrazione di uomini sposati e, quanto
meno, il diaconato femminile, non risolveranno a sufficienza
questa crisi. La situazione non cambierà finché la Chiesa non
accetterà un modello pastorale completamente nuovo, diver­
so da quello delle parrocchie territoriali, finché non creerà
le condizioni per uno stile nuovo di formazione sacerdotale e
non costruirà uno spazio ancora più ampio per coinvolgere i
laici, uomini e donne, nella vita e nelle attività ecclesiastiche.
Anche stimoli provenienti dalla prassi - come l’attività dei
preti-operai o l’esperienza dei sacerdoti della Chiesa sotterra­
nea nella Cecoslovacchia comunista, che univano il servizio
sacerdotale a una professione civile - meritano di essere rivalu­
tati. Il modello della sinodalità, della decentralizzazione della
Chiesa, avanzato da papa Francesco può forse aiutare questi
cambiamenti, perché le soluzioni concrete devono sempre ri­
spondere alle condizioni sociali e culturali dei singoli Paesi.
Dobbiamo però tenere sempre a mente che un rinnovamen­
to reale della Chiesa non può venire dalle scrivanie dei vescovi
né da riunioni e conferenze di esperti, ma presuppone potenti
impulsi spirituali, approfondite riflessioni teologiche e il corag­
gio di sperimentare.

***

La dolorosissima crisi degli ultimi anni ha fatto emergere le


ferite che rappresentanti ufficiali della Chiesa hanno inferto a
persone inermi, in particolare bambini e giovani e che, al con­
tempo, hanno inciso cicatrici difficilmente rimarginabili sul­
la credibilità della Chiesa nel mondo con temporaneo. I casi,
a lungo coperti e minimizzati, di abusi sessuali e psicologici,
BUIO A MEZZOGIORNO 87

di abusi di potere e di autorità da parte di membri del clero


hanno evidentemente rappresentato per decine di migliaia di
cattolici l’ultima goccia verso la decisione di lasciare la Chiesa.
Di pochi temi ha parlato tanto frequentemente la Chiesa
negli ultimi secoli come della sessualità; in pochi campi ha spa­
ventato a tal punto le persone con il peccato e le pene inferna­
li, ha posto sulle loro spalle un peso tanto grave e si è rifiutata
di ascoltare con comprensione e misericordia i problemi che
sorgono nel tentativo di osservare rigorosamente tutti i precetti
riguardanti la vita sessuale. Di certo anche per questo, dopo
che è emersa l’ipocrisia di un così grande numero di assertori
di questa morale, l’opinione pubblica si è scagliata attraverso i
media contro la Chiesa con un vigore di gran lunga superiore
a quello impiegato per altre istituzioni in cui si è assistito ad
abusi. La Chiesa ha pagato il prezzo per la sua tendenza a fare
del sesto comandamento il primo e il più importante. Dopo
gli imbarazzanti interrogatori dei fedeli nei confessionali, ades­
so anche confessori e giudici devono rispondere di fronte al
tribunale dell’opinione pubblica, e a volte anche di fronte ai
tribunali ecclesiastici.
Il fenomeno degli abusi svolge oggi un ruolo simile a quello
svolto nel Medioevo dagli scandali relativi alla vendita delle in­
dulgenze, che accelerarono la Riforma. In ciò che in principio
sembra solamente un fenomeno locale, oggi - come allora - si
rivelano problemi ben più profondi, una malattia del sistema-, i
rapporti fra Chiesa e potere, clero e laici e molti altri.
Nel caso degli abusi sessuali ha giocato e gioca un ruolo an­
che il rapporto con la sessualità all’interno della Chiesa cat­
tolica, soprattutto nei membri del clero che spesso non sono
pronti a sostenere le conseguenze psicologiche di una perdu­
rante astinenza sessuale e di una vita priva di un ambiente fa­
miliare. Credo che l’unione di sacerdozio e celibato presto o
tardi tornerà lì dove è sorta: nelle comunità monastiche che in
una certa misura possono compensare l’assenza di un ambien­
te familiare con la ‘famiglia spirituale’ e forse anche sublima­
re l’assenza di vicinanza sessuale meglio di quanto possa farlo
un’ordinaria formazione in seminario.
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
88

L’incapacità di molti detentori di un’autorità religiosa di


lavorare con la propria ‘ombra’ (la complessa personalità rele­
gata nell’inconscio) e di affrontare la pressione dei superiori e
del contesto a mantenere una persona rigida (un ruolo prescrit­
to, imposto, atteso all’esterno, uno stile di vita e di comporta­
ménto) è un fenomeno palese. A volte i detentori di un’auto­
rità religiosa, per salvaguardare Y image richiesta, deformano la
propria umanità, reprimono le proprie ‘debolezze’ nel subcon­
scio. Ma queste non cessano di esistere e di agire; al contrario,
sfuggono al controllo razionale. Ciò porta non solo all’ipocri­
sia, ma anche alla scissione della personalità, a condurre una
‘dóppia vita’, a sintomi da dottor Jekyll e mister Hyde.
Molti di questi fenomeni sono descritti in ampi studi psica­
nalitici (pensiamo al provocatorio libro di Eugen Drewermann
Kleriker) o in reportage giornalistici (come il libro di Frédéric
Martel Sodoma)4. È utile ricordare ciò che riguardo alle radici
di questo male ha detto Gesù nelle sue polemiche con i farisei,
da lui definiti «sepolcri imbiancati», che emanano all’esterno
purezza, ma all’interno sono colmi di putridume5. Anche Pa­
scal ha avvertito che il desiderio di ‘essere un angelo’ conduce
spesso a conclusioni demoniache.
In relazione a questi fenomeni sono emerse delle differenze
all’interno della Chiesa: mentre il papa emerito Benedetto ha
attribuito la colpa degli abusi sessuali a un presunto allenta­
mento della morale da parte del clero in conseguenza della
rivoluzione sessuale degli anni Sessanta, papa Francesco ha co­
raggiosamente diagnosticato una causa più profonda per que­
sti fenomeni: il clericalismo, il trionfalismo e la manipolazione
del potere e dell’autorità nella Chiesa. I casi di abusi all’inter­
no della Chiesa erano diffusi ben prima degli anni Sessanta.
Sembra che, soprattutto da quando la Chiesa ha perso il potere
terreno, alcuni membri del clero abbiano compensato questa

4 E. Drewermann, Kleriker: Psychogramm eines Ideals, Freiburg, Deutscher


Taschenbuch Verlag, 1989; E Martel, Sodoma (2019), Milano, Feltrinelli, 2019.
5Cfr. M23.27.
BUIO A MEZZOGIORNO 89

perdita con l’uso e l’abuso di potere e autorità all’interno della


Chiesa, nei confronti principalmente di persone indifese come
bambini e donne, che nella Chiesa cattolica non avevano, e
tuttora non hanno, una posizione di pieno diritto.
La Chiesa, sull’onda di questi scandali, si ritrova in una situa­
zione morale e psicologica simile a quella del popolo tedesco
dopo la scoperta delle atrocità dei campi di concentramento.
Con questa affermazione non ho intenzione di paragonare 1’0-
locausto e gli abusi sessuali, penso a qualcosa di diverso: come
la stragrande maggioranza dei tedeschi non aveva commesso
crimini nei campi di concentramento e neanche era a cono­
scenza della loro esistenza - o come minimo della loro portata -
così la maggioranza dei cattolici, compresa la maggioranza dei
sacerdoti, non ha commesso abusi su bambini e giovani e di
queste cose - o come minimo della loro portata - non era a
conoscenza. Pensatori come Karl Jaspers si sono posti la do­
manda di quanta parte di responsabilità si devono far carico i
tedeschi come popolo per i crimini commessi da alcuni di loro
in nome di tutti, e hanno distinto fra diversi gradi di complici­
tà6. Oggi bisogna porsi invece la questione sulla responsabilità
della Chiesa come tale per come alcuni suoi membri hanno
abusato di un ‘potere sacro’ e della loro autorità. È possibile
che il dato di fatto per cui proprio in Germania - soprattutto
nell’ambito dei cosiddetti percorsi sinodali - la Chiesa locale si
stia ponendo questa questione sia da collegare alla sensibilità
tedesca per la memoria storica.
Gli abusi sessuali e psicologici all’interno della Chiesa sono
abusi di potere che sfuggono al controllo e alla critica per il
fatto di rimandare a un’inconfutabile origine sacra. Uno pseu­
domisticismo romantico del sacerdozio che pone l’accento sul
‘potere sacro’ del prete ha generato intorno alla persona del sa­
cerdote - in radicale antitesi con lo spirito del Vangelo e con la
sua concezione del servizio - un’aura magica {persona, nel senso

6 Cfr. K. Jaspers, La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania
(1946), Milano, Raffaello Coruna, 1996.
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
90

della psicologiajunghiana del profondo) che a volte ha attirato


candidati psicologicamente e moralmente problematici.
Gesù non era un sacerdote, ma un ‘laico’. Nella tensione fra
la religione sacerdotale e rituale e la critica rivoltale dai profe­
ti, stava dalla parte dei profeti. Le sue parole profetiche sulla
fine del tempio e della religione dei sacerdoti del tempio gli
sono costate la vita. Gesù non ha fatto del circolo dei suoi do­
dici amici dei sacerdoti nel senso della religione del Tempio di
Israele. Voleva che si sforzassero di essere, secondo il suo esem­
pio, ï più umili e i servitori di tutti’. Gesù non ha fondato una
‘gerarchia’, un governo ‘santo’ nel senso di un’aula di governo
in mezzo al popolo di Dio. Ha dato ai suoi discepoli il mandato
di essere un’opposizione provocatoria rispetto al mondo del
potere e alle manipolazioni religiose e politiche. Mentre spez­
zava il pane durante la sua ultima cena, ha affidato loro il com­
pito di imitare la sua kenosis: la rinuncia di sé, l’annullamento
di sé, il dono di sé7.
Il Nuovo Testamento - nella Lettera agli Ebrei - chiama
Gesù Sommo sacerdote non in un senso sociologico o storico,
ma in uno più profondo, mistico, simbolico. La frase sacerdos
alter Christus (il sacerdote è un altro Cristo) è stata pronunciata
dalla bocca di alcuni pontefici, si trova in molti documenti pa­
pali e viene ripetuta in molte ‘prime messe’. È però una frase
pericolosa: la accompagna il rischio di un grande fraintendi­
mento. Non esiste nessun secondo o altro Cristo. Cristo è uno
soltanto e unico, unico mediatore fra Dio e gli uomini. Gesù
è l’unico mediatore, l’unico rappresentante di Dio per gli uo­
mini e degli uomini presso Dio8. Gesù non è un ‘altro Dio’ e il

’ Per un certo tipo di candidati contribuisce all’attuale attrattiva dei seminari tra­
dizionalisti anche il fatto che spesso diventano un rifugio per persone prive della
capacità e del coraggio di vivere e servire la Chiesa nella società contemporanea:
cercano piuttosto un ben protetto parco archeologico del passato. Purtroppo la
Chiesa cattolica non ha ancora attuato in misura sufficiente la necessaria riforma
della formazione dei sacerdoti.
8 Dorothee Sèlle distingue fra rappresentante e sostituto. Il rappresentante svolge
temporaneamente il compito del rappresentato, ma a lui fa riferimento. Il sosti­
tuto tenta invece di rendere inutile colui il quale sta sostituendo (cfr. D. Sofie,
BUIO A MEZZOGIORNO 91

sacerdote non è un suo supplente. Il sacerdote non è un sup­


plente di Cristo. Ogni cristiano, attraverso il battesimo, parteci­
pa al ruolo sacerdotale di Cristo mostrando al mondo l’amore
disinteressato di Dio. La Chiesa cattolica distingue fra sacerdozio
comune di tutti i battezzati e sacerdozio ministeriale dei servitori
ordinati dalla Chiesa, ciononostante riconosce che ogni cristia­
no è chiamato a rendere presente, a rappresentare, Cristo in
questo mondo. In un certo senso, la vita di ogni cristiano ha un
carattere eucaristico.
Un’esistenza cristiana ha un carattere iconico-, è l’arte che at­
traverso la testimonianza della fede rende visibile l’invisibile. È
però necessario distinguere fra icona e idolo9: il sacerdote non
può essere adorato come un idolo. La lotta con il clericalismo
è una forma salutare di iconoclastia. Coloro che vengono chia­
mati sacerdoti dalla Chiesa portano il sigillo incancellabile del
sacerdozio di servizio (il menzionato sacerdozio comune si fon­
da sul sigillo indelebile del battesimo) e come missione devono
compiere il comandamento di Gesù di essere come gli ultimi
e i servitori di tutti10. Questa è la loro sequela di Cristo. Questo
è un elemento non trascurabile della ‘successione apostolica’.

***

I fenomeni critici più appariscenti e mediáticamente più trat­


tati non sono però i più seri, sono piuttosto la loro versione
superficiale. La crisi del cristianesimo contemporaneo non ri­
guarda solamente le strutture ecclesiastiche, ma la fede per­
sonale. Reputo molto avventate affermazioni come «la fede si
indebolisce». Ciò che invece si indebolisce è non solo il già

Rappresentanza. Un capitolo di teologia dopo la ‘morte di Dio’ (1965), Brescia, Queri-


niana, 1968.
9 Cfr. J.L. Marion, L'idolo e la distanza (1977), Milano,Jaca Book, 1979.
10 Le parole con cui molte lingue europee indicano il sacerdote (priest, Priester,
prete ecc.) derivano dal greco presbyter (anziano) e ricordano l’origine neotesta­
mentaria di questo servizio (completamente diversa dal sacerdote-sacrificatore
dell’ebraismo e delle religioni pagane).
92 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

menzionato potere della Chiesa di controllare e disciplinare la


vita della fede, ma, ad esempio, il legame fra l’espressione lin­
guistica della fede e la sua attuazione. La crisi della forma con­
temporanea della Chiesa non consiste solamente nella diminu­
zione dei partecipanti alle funzioni religiose; quanto piuttosto
nella distanza sempre più ampia fra ciò che la Chiesa professa,
il modo in cui lo professa e le idee e le opinioni dei credenti.
Come nota Charles Taylor, i cristiani durante la liturgia ripe­
tono da secoli parole identiche (ad esempio, quando recitano
il Credo), ma le intendono in modo diverso11 e alcuni non le
intendono affatto.
Molte di queste formulazioni sono nate come parti di un’im­
magine di un mondo a noi molto lontano. La Chiesa con la sua
teologia ha una missione ermeneutica: le è stato assegnato il
compito di reinterpretare il racconto affidatole, in modo tale
che il suo significato non venga travisato in relazione al muta­
mento del contesto culturale e sociale. Se i predicatori utilizza­
no i testi biblici, dogmatici e liturgici senza sforzarsi di edificare
un ponte fra il mondo di quei testi e il mondo interiore dei loro
ascoltatori, se la loro conoscenza di entrambi questi mondi è
soltanto superficiale, tradiscono allora un difetto di interesse,
responsabilità e amore nei confronti della loro missione; sono
soltanto come un «bronzo che risuona»12.
Quando ho letto dei casi in cui la Congregazione per la dot­
trina delia fede ha redarguito o punito i teologi per alcune
sottili formulazioni nei loro testi specialistici che si scostavano
dalla lingua tradizionale dei documenti ecclesiastici, mi sono
posto la domanda se i solerti uffici del Vaticano si rendano con­
to di quanto drammaticamente si scostano oggi le opinioni e
le posizioni anche dei ‘credenti praticanti’ da ciò che recitano
durante le liturgie, da ciò che hanno imparato al catechismo e
sentono nelle prediche13.

11 Cfr. C. Taylor, L’età secolare (2007), Milano, Feltrinelli, 2009.


11 Cfr. ICor 13,1.
15 Cfr. U. Beck, Il Dio personale, cit., pp. 95-96: «durante un’indagine nazionale
BUIO A MEZZOGIORNO 93

***

Uno dei miei grandi maestri di fede (ma anche di coraggio civi­
le) , il teologo Josef Zvèfina, che per la sua fedeltà a Cristo e alla
Chiesa ha trascorso trent’anni nelle prigioni comuniste e nei
campi di lavoro, ancora ai tempi del comunismo riassumeva il
suo rapporto con la Chiesa con queste parole: «Chiesa - mio
amore e mia croce». Allora, giovane ed entusiasta convertito,
non capivo come la Chiesa — che a quel tempo a me sembrava
una combattente per la libertà spirituale contro il regime to­
talitario ateo - potesse essere vissuta come una croce, un peso
doloroso. Ora lo so.
Quando, in seguito al contagio da Covid-19, per un certo
periodo non ho potuto lavorare, leggere né dormire, nelle
lunghe notti insonni mi opprimeva dolorosamente il pensiero
dello stato attuale della Chiesa. Mi tornavano in mente le storie
degli abusi che avevo ascoltato nel corso delle mie conversa­
zioni con le vittime, il sentimento di delusione per le posizioni
del mio vescovo, il disgusto verso i cristiani che sostenevano
Donald Trump e altri pericolosi populisti o demagoghi nazio­
nalisti che si facevano scudo con la retorica cristiana (‘la difesa
dei valori cristiani’). Si impadroniva di me la tristezza per gli
attacchi rancorosi contro papa Francesco.
E mi sono tornate alla mente le parole del profeta Isaia: «La
testa è tutta malata, tutto il cuore langue. Dalla pianta dei piedi
alla testa non c’è in esso una parte illesa, ma ferite e lividure e
piaghe aperte»14.
Dopo che alcuni documenti hanno dimostrato che si erano
lasciati andare a corruzione e abusi sessuali anche membri del
collegio dei cardinali e che un predatore sessuale senza scrupo-

sulla convinzione religiosa di cattolici e protestanti in Svizzera, solo il 2% degli


interpellati si è detto d’accordo con l’affermazione ‘Bisogna rispettare tutte le
religioni, ma solo la mia è quella vera’. [...]. In base a una statistica condotta in
Francia nel 1998, il 6% di tutti gli interpellati e solo il 4% dei partecipanti tra i 18
e i 29 anni ritiene che la propria religione sia l’unica autentica».
14/51,5-6.
94 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

li era il rispettato fondatore di un ordine conservatore, amico


del pontefice canonizzato Giovanni Paolo II, è impossibile non
pensare alla Roma rinascimentale, la visita della quale aveva
scosso Martin Lutero convincendolo del fatto che da quella for­
ma di Chiesa era necessaria una separazione radicale. È possi­
bile impedire che una nuova riforma, che in modo sempre più
evidente si manifesta come una risposta necessaria allo stato
attuale della Chiesa, non si accompagni a uno scisma?
In quelle notti insonni mi sono sforzato di superare una di­
sposizione interiore che sant’Ignazio chiama «il tempo della
desolazione» ripetendo continuamente il versetto della profes­
sione di fede apostolica: Credo in Spiritum Sanctum, sanctam Ec­
clesiam catholicam, sanctorum communionem... (Credo nello Spiri­
to Santo, la Chiesa cattolica, la comunione dei santi...)
Cosa significa che credo nella Chiesa? La lingua stessa del
Credo pone una differenza tra la fede in Dio ( Credo in Deum, in
lesum Christum, in Spiritum Sanctum) e la relazione con la Chiesa
(Credo... ecclesiam)-, la nostra fede non si riferisce alla Chiesa
nello stesso modo che a Dio. La fede nella Chiesa non è posta
sullo stesso piano della fede in Dio, ma non è neanche qualco­
sa accanto alla fede in Dio. La nostra relazione con la Chiesa è
parte della nostra fede nello Spirito Santo, consiste nel credere
nella promessa da parte di Gesù ai suoi discepoli di un Aiu­
tante e di un Consolatore, lo Spirito della Verità, che sarebbe
rimasto con loro: la Chiesa è Chiesa di Cristo fintantoché in
essa agisce lo Spirito di Cristo: «Se qualcuno non ha lo Spirito
di Cristo, non gli appartiene»15. La dichiarazione di Gesù, così
come tramandata dal Vangelo di Matteo, con cui fonda la sua
Chiesa sulla professione petrina, dunque sul riconoscimento di
Gesù quale Messia, deve essere integrata con la scena del vento
impetuoso dello Spirito Santo, in cui la tradizione riconosce la
nascita della Chiesa. La Chiesa è stata fondata su una pietra, ma
non può pietrificarsi. Lo Spirito, in qualità di principio della
sua vita, sua ‘circolazione sanguigna’ che unisce i diversi organi

15 Rm 8,9.
BUIO A MEZZOGIORNO 95

del suo corpo, ne garantisce tanto l’unità quanto l’incessante


rinnovamento.
***

Non appena ho potuto di nuovo lavorare, in una delle mie notti


insonni ho scritto un testo affilato dal titolo PseudonábozenstvíF6
(Pseudoreligione F), in cui ho definito molti dei fenomeni che
mi avevano ferito - dall’odio e dalla violenza giustificati con
la religione fino alla difesa di una religione strettamente le­
galistica, un ‘cattolicesimo senza cristianesimo’ - come pseu­
doreligioni che, nonostante le molte differenze, hanno alcuni
tratti in comune: il fondamentalismo (un utilizzo selettivo e
pretestuoso di connessioni ricavate dai testi sacri), il fanatismo
(l’incapacità e l’indisponibilità al dialogo, alla riflessione criti­
ca sulle proprie opinioni) e il fariseismo (l’attaccamento alla
lettera del testo, che ricorda le posizioni di quei farisei con
cui Gesù ha lottato per tutta la vita). In modo particolare mi
inquietavano i tentativi dei politici populisti in Polonia, Un­
gheria, Slovacchia e Slovenia, ma anche da noi in Repubblica
Ceca, di abusare della retorica religiosa come strumento per
una politica populista, spesso xenofoba, nazionalista, di estre­
ma destra - e la collaborazione con questi ambienti da parte di
alcuni rappresentanti della Chiesa.
Sotto la maschera della religione non si nasconde forse
qualcosa che con la fede, come io la intendo, non ha niente
in comune? Non si tratta forse di una strumentalizzazione e
di una caricatura della religione, di un abuso della retorica re­
ligiosa per suscitare emozioni forti, per ‘far sorgere demoni’
dall’abisso dell’inconscio? Laddove le persone vivono qualcosa
di davvero forte, tremendum et fascinans1’1, il linguaggio secolare

16 T. Halik, PseudonábozenstvíF, Chrismet, 12.11.2020, https://www.christnet.eu/


clanky/6471/pseudonabozenstvi_f_priklad_nabozenske_patologie.url
17 Con le parole mysterium tremendum et fascinans il fenomenologo Rudolf Otto
ha caratterizzato il sacro (numinoso), che ritiene la dimensione essenziale della
religione (cfr. R. Otto, Il sacro [1917], Milano, SE, 2009).
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
96

non è in grado di esprimere l’intensità di quelle esperienze e le


persone (anche i ‘non credenti’) si rivolgono spontaneamente
ai concetti e agli attributi della religione. Parlano di bellezza
divina, ma anche di demoniaco: i loro nemici non sono più dei
semplici antagonisti, ma il Grande Satana . Le persone secola­
ri, che generalmente sottovalutano la forza della religione, non
si rendono conto di quali forze inconsce, irrazionali, sprigio­
nino con questi concetti. Non sanno maneggiarle, non sono in
grado di domarle. Come nota Richard Kearney, con il ‘Grande
Satana’ non si può negoziare: in questo modo i conflitti politici
si trasformano in battaglie apocalittiche.
Laddove manca una fede viva, si apre uno spazio tanto per
cinici populisti secolari, che usano ‘l’agenda religiosa’ (come la
promessa di criminalizzare l’aborto) per sedurre gli elettori cri­
stiani, quanto per i fanatici, che usano i concetti della religione
come proiettili per le loro guerre. Non posso scendere a compro­
messi: non posso avanzare sotto la stessa bandiera di coloro nella
cui retorica religiosa riconosco le ‘pseudoreligioni F’. Quando
vedo quei cristiani che forse non hanno mai compreso l’annun­
cio gioioso di Gesù e che del cristianesimo hanno fatto una reli­
gione militante, perdo la speranza che in un’epoca storica vicina
si riesca a unire tutti coloro che si riconoscono nel nome di Gesù.
Anch’io nutro un rispetto sacro per la vita dei non nati, ma non
posso partecipare alle marce di coloro che si fissano ossessiva­
mente su quest’unico campo e che del cristianesimo hanno fatto
una crociata per criminalizzare l’aborto e vietare gli anticoncezio­
nali. Hanno reso ciò il principale, a volte l’unico, criterio per sta­
bilire il ‘grado di cristianità’ dei politici e per scegliere chi votare
alle elezioni: in questo modo diventano facili prede di demago­
ghi astuti. Gli abissi - non fra le Chiese, ma all’interno di esse - in
questo momento sono troppo profondi. La divisione dei cristiani
è uno dei tratti dolorosi dell’ultima crisi.

***

La crisi del mezzogiorno può essere considerata come I' l’epo-


ca dell’ateismo e della ‘morte di Dio’. L’espressione ‘morte di
BUIO A MEZZOGIORNO 97

Dio’ viene solitamente collegata a Nietzsche. Ma già prima di


lui Hegel aveva proposto una versione diversa di ‘morte di Dio’
nella Fenomenologia dello Spirito, quella biografia di Dio (Lebens-
lauf Gottes) ispirata dall’interpretazione trinaria della storia di
Gioacchino da Fiore. Per Hegel la locuzione ‘morte di Dio’ è il
codice per il momento storico fra ‘l’era del Figlio’ e ‘l’era dello
Spirito’. Hegel attribuisce a questo momento della storia dello
Spirito un significato chiave: l’esperienza dell’eclissi radicale
della presenza di Dio è un’attualizzazione del sacrificio di Cri­
sto sulla croce (il ‘Venerdì Santo della storia’). Nel sacrificio
volontario di Gesù per amore, la morte, che nella sua essenza è
negazione della vita e della libertà, viene negata dalla libertà e
dall’amore e in questo modo diviene negazione della negazio­
ne, morte della morte. Dunque per Hegel l’ateismo, che espri­
me questo momento della storia dello Spirito, è un fenomeno
transitorio della storia.
Mi occupo di ateismo da anni e gli dedicherò un capitolo
di questo libro. Ho definito l’ateismo esistenziale - l’ateismo
del dolore e della protesta contro il dolore, il male e la soffe­
renza nel mondo - una presenza mistica sulla croce, nel grido
di Gesù per l’abbandono di Dio18. Sono convinto che una fede
matura debba prendere sul serio, abbracciare e integrare l’e­
sperienza del buio a mezzogiorno che appartiene tanto al rac­
conto evangelico, quanto al percorso spirituale dei credenti. Il
cosiddetto ‘ateismo della protesta’ rifiuta legittimamente una
rappresentazione ingenua di Dio come garante della felicità e
dell’armonia del mondo, così come una pericolosissima teodi­
cea che tenti di banalizzare il mysterium iniquitatis^ con formule
religiose apparentemente devote.
Si sono sforzati di interpretare teologicamente la crisi del
mezzogiorno notevoli pensatori del ‘cristianesimo non religio­
so’ (in primo luogo Dietrich Bonhoeffer), della ‘teologia della

18 Cfr. ad esempio T. Halik, Pazienza con Dio (2007), Milano, Vita e Pensiero, 2020;
Id., Tocca le ferite. Per una spiritualità della non-indifferenza (2008), Milano, Vita e
Pensiero, 2021.
19 II «mistero dell’ingiustizia»: cfr. 27s2,7.
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
98

morte di Dio’ (in particolare Thomas Altizer), delT‘ateismo


cristiano’ (come Don Cupitt) o filosofi postmoderni (come
Gianni Vattimo). Tutti costoro hanno constatato l’incapaci­
tà della teologia metafisica classica di comprendere le conse­
guenze radicali dei cambiamenti storici e culturali, la necessità
di prendere sul serio la crisi dell’attuale concezione di Dio, il
buio a mezzogiorno e la valle dell ombra della morte del dio
metafisico dei filosofi. All’annuncio del folle nietzscheano, che
andava in giro con una lanterna di giorno per provocare atei e
cristiani superficiali, loro «hanno prestato orecchio».
Né il teismo premodemo, né l’ateismo moderno possono
esprimere adeguatamente l’esperienza spirituale del nostro
tempo e rappresentare una risposta sufficiente ai suoi interro­
gativi e alle sue sfide, condizione che ha fornito nuovi stimo­
li alla filosofia postmoderna. Orizzonti nuovi e un linguaggio
nuovo vengono offerti soprattutto da pensatori europei, non­
ché dalla filosofia americana delle religioni, sia fenomenolo­
gica sia ermeneutica, e dalla teologia filosofica, in particolare
in unione con la cosiddetta rivoluzione teologica nella feno­
menologia francese20. Vedo qui una fonte di ispirazione per
quel rinnovamento della teologia che ritengo un elemento in­
dispensabile della necessaria riforma del cristianesimo.
Richard Keamey e la sua scuola di anateismo, a me molto
vicina, mostrano che il pensiero sulla fede dopo la rottura con
il teismo tradizionale (la concezione di Dio quale ente sommo
fra gli altri enti) può estrapolare tutto ciò che si è rivelato vali­
do e prezioso nella critica moderna della religione senza accet­
tare l’ateismo come unica alternativa. Anateismo significa ‘cre­
dere di nuovo’; in modo rinnovato e più profondo dopo che
la fede ha superato il fuoco purificatore della critica filosofica.
L’anateismo è lontano tanto dal tradizionale teismo metafisico,
quanto dall’ateismo. Secondo Kearney, Dio si presenta all’uo-

” Penso ad autori quali Paul Ricoeur, Jean-Luc Marion, Jean-Luc Nancy, Michel
Henry, all’irlandese William Desmond, agli americani John D. Caputo, Merold
Westphal e a Richard Kearney, irlandese a lungo attivo negli Stati Uniti, il più
prossimo al mio pensiero. ’ H
BUIO A MEZZOGIORNO 99

ino come possibilità21, come offerta: l’uomo è nella condizione


di una libera scelta tra fede e incredulità. Tuttavia non si tratta
soltanto di un calcolo razionale, come nel caso della scommes­
sa pascaliana, ma di una scelta esistenziale. Dio si presenta spes­
so come uno straniero e pone l’uomo di fronte alla decisione
se accoglierlo come ospite o come nemico.
A me sembra che il concetto di anateismo implichi una ri­
sposta precisa alla seguente domanda: quale modo di pensare
la fede ci accompagnerà sulla soglia del pomeriggio del cristia­
nesimo dopo che la fede ha attraversato la crisi del mezzogior­
no, la notte oscura, ed è ora in cerca di nuove forme di espres­
sione? Nella mia opera pastorale ho incontrato, nel corso di
alcuni decenni, un numero crescente di persone che hanno
riscoperto in età matura la fede cui erano da tempo estranee.
Affermavano: «Oggi credo di nuovo in qualcosa in cui ho già
creduto, ma ci credo in modo diverso». Proprio quel ‘modo di­
verso’ attira la nostra attenzione; proprio quel ‘modo diverso’
ha stimolato in me le riflessioni contenute in questo libro.

***

Ho detto che espressioni come crisi del mezzogiorno e buio a


mezzogiorno mi ricordano le notti oscure lungo i percorsi di
fede individuali e storici. Generalmente associamo la locuzio­
ne ‘notte oscura’ all’opera omonima del mistico barocco spa­
gnolo Giovanni della Croce22. Egli scrive dapprima della ‘notte
oscura dei sensi’. Al principio del viaggio mistico l’anima è con­
quistata dall’amore per Dio al punto che, nella furia di un desi­
derio appassionato, simile alla corsa dell’amante verso l’amato
nelle notti d’estate, tutto ciò che è ‘terreno’ e che potrebbe
trattenere e distrarre l’amore in questo suo viaggio viene spro­
fondato nel buio: l’unica luce è il desiderio stesso. Ma Dio con­

21 Cfr. R. Kearney, The God Who May Be: A hermeneutics of religion, Bloomington
(IN), Indiana University Press, 2001.
22 Giovanni della Croce, Notte oscura, Bologna, EDB, 2011.
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
100

duce l’uomo lontano da un simile inizio. L anima, abituata ai


sentimenti della consolazione, alle conoscenze e alle esperien­
ze ottenute nella contemplazione, potrebbe essere minacciata
da una ‘ingordigia spirituale’. Per questo Dio la porta in uno
stato di ‘sete spirituale’: non è più in grado di contemplare.
L’anima si ritrova nel ‘buio’, ha sete, ma allo stesso tempo pro­
va l’incessante desiderio di rimanere sola e in silenzio con Dio.
Poi però giunge l’amara e dolorosa ‘notte dello spirito’, la
notte della fede in cui Dio si perde nell’oscurità del silenzio e
l’anima soffre la sua assenza. In questa fase del cammino spiri­
tuale, la fede non ha alcun sostegno esterno, e anche nell’inti­
mo dell’uomo, al posto del fiume fecondo delle consolazioni
della preghiera, regna l’arsura e la solitudine del deserto. Le
certezze fondamentali del pellegrino spirituale vengono scon­
volte. Teresa d’Avila era sprofondata nella convinzione che tut­
ta la sua vita spirituale fosse stata, e fosse ancora, opera del
diavolo; Giovanni della Croce si sentiva respinto per sempre
da Dio; Teresa di Lisieux aveva la sensazione che Dio non esi­
stesse e solidarizzava con gli atei del suo tempo. Tuttavia, per
Giovanni della Croce proprio questa tappa del cammino rap­
presenta una trasformazione importante della vita spirituale in
‘fede nuda’, durante la quale essa si spoglia e risveglia il suo
vero cuore.
In modo simile, molto prima di lui, il mistico medievale Mei­
ster Eckhart parlava di «uomo interiore», che insieme all’uomo
esteriore (superficiale) lascia da parte il dio esteriore e scopre
«un Dio al di sopra di dio», con cui l’anima, liberata dalle ‘im­
magini’ e dalla fissità sulle cose esteriori, si incontra «nuda con
un nudo».
***

Contemplando questi classici della mistica cattolica mi sorge


la domanda: non ha luogo una maturazione simile della fede
anche nelle ‘notti oscure collettive’ della storia della Chiesa e
della società? Appartengono sicuramente alle notti oscure del­
la storia gli avvenimenti tragici del XX secolo, in primo luogo
BUIO A MEZZOGIORNO 101

le due guerre mondiali, l’Olocausto e i gulag, le mostruosità


delle dittature nazista e comunista - nonché il terrorismo della
nostra epoca che papa Francesco ha definito «una terza guerra
mondiale a pezzi».
Una riflessione molto stimolante sull’esperienza della guer­
ra, quello ‘scivolare della vita nella notte’, dal mondo del gior­
no, della ragione e della forza nella notte del non essere, del
caos e della violenza, è stata offerta da Jan Patocka nel saggio
conclusivo del suo ultimo scritto dal titolo significativo Le guerre
del XX secolo e il XX secolo come guerra^. Patocka ricorda qui anche
l’esperienza del fronte di Teilhard de Chardin. Sento questo
saggio - compreso l’appello a una «solidarietà degli scossi» -
come un esempio di approccio cairologico alla storia, un esem­
pio di lettura spirituale degli eventi storici. Delle ‘notti oscure
dello spirito’ e dell’‘eclissi di Dio’ nel tempo della tarda moder­
nità danno testimonianza le opere di molti autori della lettera­
tura, della filosofia e della teologia esistenziale che riflettono la
perdita delle certezze religiose nella società secolarizzata.
Riflettendo sulle ‘notti oscure collettive’ nella storia, non
possiamo rimanere concentrati esclusivamente sulla nostra sto­
ria, la storia del cristianesimo. Un capitolo non omissibile della
storia moderna è l’Olocausto, il tentativo criminale del genoci­
dio totale di un popolo cui appartengono irrevocabilmente le
promesse e la benedizione del Dio della nostra fede comune. A
ragione alcuni teologi cristiani - per tutti facciamo il nome di
J.B. Metz - hanno rivolto lo sguardo a una ‘teologia dopo Au­
schwitz’ e dato ascolto alla riflessione ebraica su quel tentativo
di sterminio del popolo eletto.
Già la decisione della Chiesa di accogliere la Bibbia ebraica,
la Bibbia di Gesù, come parola vincolante di Dio ha significato
dichiarare la memoria del popolo di Israele come parte del­
la propria memoria storica. Per questo la cristianità non può
escludere dalla propria memoria neanche gli avvenimenti tra­
gici della storia ebraica moderna. I molti modi in cui la fede

25 Contenuto in J. PatoCka, Saggi eretici sulla filosofìa della storia, cit.


POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
102

ebraica si è confrontata e si confronta con il mistero radicale


del male sono un’ispirazione anche per il cristianesimo, che
nel mondo contemporaneo è esposto a una violenza estrema,
con un numero di vittime che oggi supera ormai il numero dei
martiri dei primi secoli.
Alcuni pensatori ebrei - ricordo, ad esempio, Hans Jonas -
sono giunti alla convinzione che l’esperienza dell’olocausto
non può lasciare immutata la nostra rappresentazione di Dio
né il nostro parlare di Dio24. L’idea di un Dio del potere non
è forse solo la proiezione verso il Cielo delle nostre aspirazio­
ni di potere? Jonas torna alla rappresentazione cabalistica del
Creatore che si è volontariamente chiuso in se stesso per lascia­
re spazio alla creazione, e di conseguenza anche alla libertà e
alla responsabilità dell’uomo. Altri teologi percepiscono l’ora
più buia della storia ebraica come hesterpanim, il volto nascosto
(di Dio): un termine che incontriamo nei Salmi. Elie Wiesel
vede nella fede dopo l’Olocausto una manifestazione di fedeltà
a coloro che hanno mantenuto la fede anche nell’infemo di
Auschwitz.
Per i pensatori cristiani, la crisi della rappresentazione di
Dio come apatico onnipotente governatore della natura e della
storia è l’occasione di riscoprire la teologia della croce: trovare
Dio che mostra il suo amore patente (amore appassionato e sof­
ferente) in Gesù che si offre sulla croce.
Anticipo qui una delle riflessioni principali di questo libro:
l’identità cristiana della fede sta nel suo continuo ingresso nel
dramma pasquale della morte e resurrezione. Anche il pro­
lungato buio a mezzogiorno prima di entrare in una nuova,
pomeridiana, fase della storia del cristianesimo simboleggia
una certa anamnesis, memoriale che rende presente la Pasqua.
Ogni festeggiamento della Pasqua è un’occasione per toccare
nuovamente il cuore stesso del cristianesimo, e comprenderlo
più a fondo. Scrivo questo testo poco dopo la seconda Pasqua

M Cfr. H. Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica (1987), Genova,
Il Nuovo Melangolo, 1993.
BUIO A MEZZOGIORNO 103

che i cristiani nella gran parte del mondo non hanno potuto
festeggiare al solito modo a causa della pandemia da Coronavi­
rus. Forse anche questa nuova esperienza è un invito da parte
di Dio a comprendere in modo nuovo il mistero della Pasqua
che ricordiamo ogni anno.
VII. Dio sta tornando?

Riprendiamo la riflessione sulla secolarizzazione. Distinguo tre


fenomeni: la secolarizzazione come processo socio-culturale, il se­
colarismo come interpretazione ideologica unilaterale della se­
colarizzazione e l’epoca secolare come capitolo della storia in cui
in un certo numero di Paesi europei si è svolto, in modi diversi,
un processo di secolarizzazione.
Quella che io chiamo epoca secolare si confonde cronologica­
mente con l’età moderna, la ‘modernità’. In questo periodo,
soprattutto nell’Europa centrale, occidentale e settentrionale,
cambiano la forma e i ruoli della religione cristiana nella so­
cietà e nella cultura. Il processo di secolarizzazione, però, ha le sue
radici in un’epoca ben anteriore a quella moderna, e i suoi
effetti l’hanno oltrepassata. Dalla fine del XX secolo possiamo
parlare di epoca postsecolare.
Il processo di secolarizzazione ha origine nel biblico ‘disincan­
to del mondo’: nella demitizzazione della natura nel racconto
della creazione del mondo nella Genesi e nella desacralizzazio­
ne del potere politico che incontriamo nel libro dell’Esodo e
nelle critiche dei profeti ai detentori del potere1. U epoca della
secolarizzazione include l’età moderna, tuttavia quest’ultima non
comincia con l’Illuminismo del XVII e XVIII secolo, e neppu­
re con il Rinascimento, ma è già annunciata dalla separazione
della sfera ecclesiastica e del potere statale nella lotta per le

1 La natura nella Bibbia non ha carattere divino, non è ‘piena di dei e demoni’, è
invece creazione di Dio affidata alla cura dell’uomo. Anche i governanti politici
non sono dei né figli di dei: Mosè rifiuta di ubbidire al faraone e Nathan critica
aspramente il re Davide.
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
106

investiture nel Medioevo. Seguono poi secoli di convivenza,


ma anche di reciproche tensioni e conflitti aperti tra la sfera
di influenza ecclesiastica e quella ‘laica’ (secolare) del potere
politico. Conflitti particolarmente drammatici si sono avuti so­
prattutto in Francia, dalla Rivoluzione all’Affare Dreyfus, tra
XIX e XX secolo.
L’inizio dell’epoca postsecolare è stato proclamato da Jürgen
Habermas durante il celebre intervento tenuto alla Fiera del
Libro di Francoforte nell’autunno 2001, poco dopo l’attacco
terroristico dell’11 settembre ai grattacieli newyorkesi. Il filo­
sofo ha dichiarato che il secolarismo, l’ideologia dominante di
lungo corso che considera la religione come un fenomeno in
via di indebolimento e di passaggio definitivo al passato, non è
più sostenibile: le religioni saranno attori importanti che biso­
gnerà considerare nel prossimo capitolo della storia.
***

Le teorie della secolarizzazione, che prevedono un indeboli­


mento della religione nel processo di modernizzazione e anche
una sua rapida fine, sono state influenzate dall’ideologia del
secolarismo; nell’ultimo quarto del XX secolo hanno però perso
del tutto la loro credibilità. Sugli scaffali delle librerie, i volumi
sulla secolarizzazione sono stati scalzati dalla ricca letteratura
sulla nuova fioritura della religione, sulla ‘de-secolarizzazione ’,
o anche sulla de-privatizzazione della religione, con titoli del
tipo «Il ritorno della religione» o «Dio è tornato»2.
Davvero la religione sta tornando? Non concordo con que­
sta convinzione, per almeno due motivi. Il primo è che la reli­
gione non sta tornando perché non se n’è mai andata. Non se
n’è andata, non è scomparsa, è sempre stata qui, ha solo conti­
nuato a cambiare nell’intero corso della sua storia e continua a
farlo anche oggi. È uscita temporaneamente dallo spazio d’at-

2 Penso soprattutto al libro di J. Micklethwait - A. Wooldridge, God Is Back: How the


global revival offaith is changing the world, London, Penguin, 2009.
DIO STA TORNANDO? 107

tenzione delle accademie, dei media e del pubblico del mon­


do occidentale sotto l’influsso della profezia auto-realizzantesi
delle teorie della secolarizzazione. La maggior parte di queste
teorie però, come è stato già detto, si concentra solo su alcune
forme della religione, e ne tralascia altre.
Il secondo motivo per cui la religione non sta tornando è
che ciò che oggi riempie lo spazio spirituale della gran parte
del nostro mondo, svincolato dalla religione tradizionale e an­
che dall’era della severa secolarizzazione avvenuta negli Stati
comunisti, è di gran lunga diverso da ciò che esisteva nell’epo­
ca premoderna. L’apparente ‘ritorno della religione’ - di fatto
la scoperta di aspetti nuovi, trasformati, della religione - suscita
una certa sorpresa sia nei sostenitori della teoria della secola­
rizzazione radicale che non si aspettavano alcun futuro per la
religione, sia in quei rappresentanti delle istituzioni religiose
tradizionali che non avevano preso in considerazione il carat­
tere storico e mutevole della religione.
Il ‘tradizionalismo’ e il fondamentalismo, che sono a loro
volta forme della scena religiosa contemporanea, non sono
una mera prosecuzione della religione premoderna alla quale
si riferiscono, ma piuttosto un fenomeno moderno, e nel loro
sforzo di imitare e fissare una certa forma di religione del pas­
sato divengono anzi antitradizionalr. negano la sostanza stessa
della tradizione, che è movimento creativo di ricontestualizza­
zione dei contenuti religiosi e loro adattamento a nuovi con­
testi.
L’epoca premodema della religione aveva - così come tutte
le altre forme della religione - una sua temperie socio-culturale
che gradualmente si è spenta anche là dove era sopravvissuta a
lungo (come in Polonia). Il passaggio da una società sostanzial­
mente agricola alla civiltà industriale e urbana, il passaggio da
comunità {Gemeinschafì) a società {Gesellschaft}* e la prevalenza
del pensiero scientifico e tecnico nella cultura hanno provoca­
to uno sconvolgimento della religione tradizionale che ha reso

3 F. Tonnies, Comunità e società (1887), Roma-Bari, Laterza, 2011.


POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
108

necessaria una trasformazione del cristianesimo e soprattutto


del suo posto nella cultura.
Al tempo delfetà piiana’ (come ricordato, da Pio IX a Pio
XII, dalla metà del XIX secolo alla metà del XX), la Chiesa di
Roma ha messo in atto un’autocastrazione intellettuale ridu­
cendo al silenzio, nella sua battaglia antimodemista, molti pensa­
tori creativi presenti tra le sue file. Così, all’apice della moder­
nità, ha perso la capacità di condurre un dialogo dignitoso con
la filosofia del tempo e con una scienza in tumultuoso sviluppo.
Il trauma della fase giacobina della Rivoluzione francese e
di altre rivoluzioni successive (che talvolta hanno perpetrato la
soppressione dei monasteri e l’omicidio di massa del clero) ha
portato la Chiesa di Roma ad alleanze politiche sfortunate. La
paura ha paralizzato la sua capacità di ragionare criticamente e
ha portato alla costruzione di trincee e barriere difensive con­
tro l’intero complesso della cultura moderna. Questo tipo di
cattolicesimo ha adottato nei confronti del mondo moderno
la strategia della controcultura, attenendosi alla regola di op­
porre ‘partito a partito, stampa a stampa, alleanza ad alleanza’.
Il cattolico ‘ideale’ di quell’epoca doveva trascorrere tutta la
vita - dal fonte battesimale in una chiesa cattolica alla tomba
in un cimitero cattolico - dentro un ghetto clericale. Anche
gli incoraggiamenti all’attività dei laici - ad esempio da parte
di Pio XI, ispiratore dell’Azione Cattolica - non deviavano dal
modello clericale della Chiesa, perché sempre legati al princi­
pio secondo cui tutte le attività dei laici dovevano essere gestite
e controllate dalla gerarchia ecclesiastica.
Il retrocattolicesimo del XIX secolo nasceva da un’imita­
zione improduttiva del passato, proprio come il neogotico e il
neoromanico nell’arte e la nuova scolastica in teologia e nella
‘filosofia cristiana’. Ai neotomisti mancava il coraggio di san
Tommaso d’Aquino, che aveva rinnovato radicalmente la teo­
logia della sua epoca, con l’aiuto delle riflessioni del filosofo
pagano Aristotele, all’epoca vietato dalle autorità ecclesiasti­
che. Sforzandosi di costruire un solido sistema di ‘teologia
scientifica’, i neotomisti hanno di fatto copiato l’infausta for­
ma di pensiero del loro antagonista, il positivismo. I fautori
DIO STA TORNANDO? 109

della nuova scolastica negavano la dinamica storica della fede


e ostacolavano la creatività della propria riflessione filosofico-
teologica allo stesso modo in cui i positivisti e gli esponenti
del ‘materialismo scientifico’ desideravano far convergere in
modo dogmatico la conoscenza scientifica nel loro sterile si­
stema filosofico. A entrambe le parti era sfuggito che la fede e
anche la scienza si manifestano come corrente viva e possono
essere comprese solo nel contesto del loro sviluppo storico, du­
rante il quale avvengono cambiamenti di paradigmi e legittimi
conflitti interpretativi.
Il Magistero della Chiesa ha condannato in modo precipi­
toso e poco saggio e con ‘ardita fiducia’ in una comprensione
automatica della Provvidenza molte visioni valide e molti sti­
moli profetici, trovandosi poi, con fatica e goffaggine, a dover
rivedere le proprie posizioni e recuperare terreno in un ca­
ratteristico ritardo4. Molti rappresentanti del Magistero hanno
preso più seriamente il proprio ruolo di guardiani della tradi­
zione e dell’ortodossia rispetto all’altrettanto importante com­
pito di proteggere lo spazio per un’apertura profetica e una
sensibilità per i segni dei tempi. A più riprese, in un tempo di
cambiamenti sociali e culturali, essi hanno assunto posizioni
ansiosamente difensive e ostacolato chi tentava di interpretare
in modo creativo nuovi approcci al mondo e di integrarli nel
mondo spirituale della cristianità.
Lo sforzo della Chiesa di generare, nel XIX secolo e nella
prima metà del XX, una polis parallela contro il protestantesi­
mo, il liberalismo e il socialismo, ha condotto a una escultura-
zione del cattolicesimo, contribuendo così in modo significa­
tivo alla secolarizzazione delle società moderne. Agli aspetti
positivi di questo tipo di cattolicesimo è necessario ascrivere il
fatto che la Chiesa cattolica si è espressa per tempo e con chia­
rezza contro le ideologie totalitarie del comunismo e del na-

1 Ricordiamo l’esempio ‘iconico’ della condanna di Galileo Galilei e della sua


successiva riabilitazione a opera di Giovanni Paolo II, così come il divario tra
il Syllabus errorum modernorum di Pio IX e i documenti del Concilio Vaticano II,
soprattutto Gaudium et spes, Nostra aetate e Dignitatis humanae.
110 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

zismo, un’opposizione testimoniata dal martirio di molti cat­


tolici nelle esecuzioni e nei campi di concentramento nazisti
in Germania, così come nei campi di lavoro comunisti in mol­
ti Stati di Europa e Asia. Tuttavia molta parte della gerarchia
cattolica non ha affatto risposto in maniera altrettanto vigile
alle tentazioni del fascismo in Paesi come la Spagna, l’Italia, il
Portogallo, la Croazia e la Slovacchia. Anche oggi, negli Stati
postcomunisti, l’alleanza con il nazionalismo e l’estremismo
di destra affascina molti cattolici. Ma se è apprezzabile che il
mondo parallelo del ‘cattolicesimo integralista ’ abbia prodot­
to non solo estenuanti guerre culturali perse in partenza con­
tro il mondo moderno, ma anche un’eroica opposizione alle
ideologie e ai regimi totalitari, non si può trascurare il fatto
che in queste battaglie il cattolicesimo della tarda moderni­
tà si è fatto esso stesso, in un certo senso, sistema totalitario
(chiuso, intollerante) e che questa mentalità sopravvive in una
parte dei cattolici ancora oggi.
Nella cosiddetta ‘era piiana’ la Chiesa non è riuscita a tro­
vare la via mediana della saggia cautela tra le due vie rischiose
della fascinazione acritica per i pensieri nuovi e dell’angoscio­
so, imbelle e aprioristico sospetto nei confronti di ogni novità.
Spesso ha optato per la seconda, pagando questa scelta con
una teologia sterile che ha portato alla marginalizzazione del­
la Chiesa e alla sua espulsione dal crogiolo della creazione di
nuove forme di cultura e di società, verso una triste valle di
nostalgia per un mondo già tramontato. Il cattolicesimo ame­
ricano ha costituito un’eccezione; non minacciato dalla paura
della modernità (l’Illuminismo anglosassone non ha avuto, a
differenza di quello francese, una passione antireligiosa e le
rivoluzioni anglosassoni non hanno avuto una fase giacobina),
ha imparato a vivere nello spazio della democrazia, della socie­
tà civile e della pluralità religiosa, e infine (dopo essere stato
tacciato da Roma di ‘eresia americana’) ha fortemente ispirato
con la sua esperienza le riforme del Concilio Vaticano II5.

5 Per questo hanno avuto un grande merito il gesuita americano John Courtney
DIO STA TORNANDO? Ill

***

Nel corso del XX secolo si sono rafforzate le voci di pensa­


tori cristiani che si stavano accorgendo che la cultura della
modernità derivata dall’Illuminismo aveva in sé parecchi geni
cristiani, e che riconoscere la ‘legittimità dell’era moderna’6
non doveva per forza significare la capitolazione del cristiane­
simo e la perdita della sua identità in un disfacimento nella
modernità.
Il momento d’oro per gli sforzi di questi pionieri del rinno­
vamento nelle aree della teologia, degli studi biblici, degli studi
storici, della liturgia e della prassi pastorale è stato il Concilio
Vaticano II (1962-1965). I teologi che stavano provando a tra­
durre i contenuti del cristianesimo nel linguaggio e nel modo
di pensare della cultura moderna, e che fino al Concilio erano
visti con preconcetta diffidenza, ricevettero legittimità e spazio.
Il Concilio ha assunto una posizione di dialogo che andasse
incontro sia alle altre Chiese cristiane sia alle altre religioni e
all’umanesimo secolare della società civile globale. La Chiesa
ha ricordato il coraggio, un tempo non riconosciuto, dei mis­
sionari gesuiti nel processo di inculturazione della fede cristiana,
per averla incarnata in modo creativo nelle culture extraeuro­
pee invece di esportarne meccanicamente la forma europea:
un coraggio che ha aperto la strada verso un cristianesimo re­
almente globale, ma al contempo culturalmente plurale. Di
grande aiuto sono state anche le riforme liturgiche, soprattutto
l’introduzione delle funzioni celebrate nelle lingue nazionali.
All’epoca delle guerre culturali del XIX secolo, l’azione del­
la Chiesa in Occidente era stata progressivamente spinta dalla
sfera pubblica a quella privata. Dopo il Vaticano II è sembrato
che la disposizione ecumenica e l’accoglimento del principio
della libertà di religione e della tolleranza avrebbero aperto

Murray e il filosofo francese Jacques Maritain, che ha lavorato a lungo nelle uni­
versità statunitensi.
6 Cfr. H. Blumenberg, La legittimità dell’età moderna (1966), Genova, Marietti,
1992.
112 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

alla Chiesa cattolica la possibilità di partecipare attivamente


alla creazione di una società civile globale plurale. Molti catto­
lici hanno inteso il Concilio come una nuova primavera eccle­
siastica, come una ‘nuova Pentecoste .
Tuttavia, le chiese, i seminari e i conventi di nuova fonda­
zione non si sono riempiti ed è sopraggiunta invece una bassa
marea di vocazioni al sacerdozio. Negli anni immediatamente
seguenti al Concilio, la brezza primaverile della libertà ha ine­
briato migliaia di sacerdoti a tal punto che hanno abbandonato
la propria fede e talvolta la Chiesa stessa; questa tendenza per­
dura ancora oggi, mentre si dibatte e ci si chiede se questa crisi
sia stata provocata dalle riforme del Concilio o, al contrario,
dai tentativi di rallentarle; se la Chiesa sia stata troppo affretta­
ta o troppo lenta e inconcludente nell’introdurre le idee rifor­
matrici del Concilio nella propria prassi pastorale.
Nella reazione alle riforme conciliari, all’interno della Chie­
sa cattolica si è venuto a creare un piccolo gruppo di oppo­
sizione radicale, guidata dall’arcivescovo Marcel Lefebvre, il
cui dissenso è culminato in uno scisma formale nel 1988. Ma
anche nella schiacciante maggioranza dei cattolici che hanno
accolto le riforme del Concilio si sono distinte poco a poco due
correnti. Il teologo gesuita americano - e più tardi cardinale -
Avery Dulles ha dato a tali correnti e alle loro interpretazio­
ni del Concilio un nome (in seguito lo ha fatto anche papa
Benedetto XVI), operando una distinzione tra l’ermeneutica !
della continuità e l’ermeneutica della discontinuità. La prima
si richiama alla lettera dei documenti conciliari e sottolinea che i
!
il Concilio non ha in alcun modo deviato dal contesto della
tradizione attuale; la seconda si è sforzata di sviluppare, nello
spirito del Concilio, le novità che esso ha introdotto nella storia
della Chiesa.
Nel primo enunciato della costituzione Gaudium et spes, la
Chiesa cattolica ha giurato solidarietà all’umanità contempora­
nea nelle gioie e nelle speranze, nelle tristezze e nelle angosce.
È una frase che riecheggia il giuramento matrimoniale di amo­
re, rispetto e fedeltà, ma non sembra che l’‘uomo moderno’
abbia accolto questa offerta con grande entusiasmo; forse ha
DIO STA TORNANDO? 113

avuto l’impressione che la ‘sposa’ che gli si è proposta fosse


piuttosto vecchia e non troppo ricca di attrattive.
Di certo la Chiesa ha avuto il merito di smettere di temere
e demonizzare la modernità. Però non è possibile evitare di
chiedersi, criticamente, se la Chiesa non si sia rappacificata con
la cultura moderna proprio nel momento in cui la modernità
si concludeva. Una modernità che già dall’Illuminismo aveva
vinto nella politica e nella cultura della civiltà occidentale, che
negli anni Sessanta del XX secolo era allo zenit del suo potere,
e nondimeno era ora prossima alla fine. Il Concilio ha prepara­
to la Chiesa al dialogo con la modernità; ma l’ha munita della
giusta attrezzatura per incontrare e confrontarsi con la postmo­
dernità che era già alle porte?
***

La rivoluzione culturale del Sessantotto è stata sia il culmine sia


l’ultima fase dell’era moderna. La protesta globale dei giova­
ni nelle università europee, americane, ma anche giapponesi,
contro l’autorità dei padri e la disciplina del ‘Super-Io’ dell’or­
dine sociale dominante è stata repressa nella politica, ma ha
trionfato nella cultura. Essa ha introdotto nella mentalità pre­
valente della società occidentale alcuni valori che potremmo
riassumere in parole-chiave portate nell’uso comune principal­
mente dalla psicologia umanistica: ‘auto-realizzazione’ e ‘auto­
affermazione’. Tuttavia, da quel momento la modernità ha ces­
sato il suo apporto di reali innovazioni. Possiamo considerare il
1969, l’anno in cui l’uomo ha messo piede sulla Luna ed è stato
inventato il microprocessore, come l’inizio simbolico dell’era
postmoderna, globale: P'era di internet’.
Come reazione alla rivoluzione culturale del Sessantotto e
soprattutto alla sua componente di liberazione sessuale, si è raf­
forzato all’interno della Chiesa cattolica l’intento di rallentare
i processi riformatori. L’enciclica Humanae vitae di Paolo VI,
risalente allo stesso anno, ha rifiutato tassativamente i metodi
di contraccezione artificiale e per questo è stata intesa come il
primo segnale di un ‘cambiamento di corso’. Gli sforzi di appli-
114 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

caria in modo rigoroso nella prassi pastorale hanno causato in


alcuni Paesi una vera e propria necrosi del sacramento della ri­
conciliazione: molti laici cattolici si sentivano troppo adulti per
presentare i dettagli della propriavita sessuale matrimoniale al
conuollo e al severo giudizio dei confessori celibi. Il divario tra
l’insegnamento e le prediche ecclesiali da una parte e le opi­
nioni e le pratiche di vita di un non esiguo numero di cattolici
dall’altra ha cominciato ad allargarsi in modo preoccupante.
Nello stesso periodo, per una serie di cause esterne e in­
terne, in molti Paesi dell’Europa occidentale (ad esempio in
Germania) il carattere del cattolicesimo come milieu culturale
relativamente uniforme si è dissolto7. Il processo di individua­
lizzazione della fede è aumentato in velocità e intensità. La mo­
difica dell’orientamento nei valori della cultura occidentale ha
contribuito alla scissione tra i cristiani: la maggior parte di loro
si è lasciata influenzare profondamente dalla mentalità degli
anni Sessanta e ha allentato il proprio legame con la Chiesa, la
sua dottrina e la sua pratica, mentre un’altra parte ha rifiutato
quella mentalità e ha cominciato a percepire lo spazio eccle­
siale come un rifugio dove sfuggire alle influenze del mondo
circostante. Nei Paesi comunisti un’apparenza di unità è stata
mantenuta - a parte le tensioni tra i rappresentanti delle Chie­
se collaborazioniste e i cristiani attivi nel dissenso politico - da
una pressione esterna, e le differenze di mentalità religiosa si
sono palesate solo dopo la caduta dell’impero sovietico.
Il cardinale Ratzinger, in seguito papa Benedetto XVI, in
un’intervista ha attribuito agli sviluppi interni alla Chiesa suc­
cessivi al Concilio la corresponsabilità della rivoluzione cultu­
rale liberale degli anni Sessanta: la Chiesa di allora sembra­
va aver cessato di svolgere il proprio ruolo di pilastro di uno
stabile ordine sociale8. Ma poteva, e doveva, espletare questa
funzione? Aveva ancora, a quel tempo, il potere e l’influenza

7 Cfr. ad esempio K. Gabriel, Christentum zwischen Tradition und Postmoderne, Frei­


burg, Herder, 1992.
8 Cfr. J. Ratzinger - V. Messori, Rapporto sulla fede, Cinisello Balsamo (MI), San
Paolo Edizioni, 1985.
: DIO STA TORNANDO? 115

per fermare l’avanzata di un trend della civiltà? E l’avrebbe fer­


mata insistendo su principi immutabili oppure si sarebbe in
tal modo condannata al ruolo di oscura setta trascurabile ai
margini della società, proprio come l’ala scismatica dei seguaci
dello scomunicato arcivescovo Lefebvre?
Durante il pontificato di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Bene­
detto XVI, sono stati ripresi, nei documenti papali (soprattutto
nelle encicliche sociali) e in alcune azioni nell’ambito del dia­
logo ecumenico e interreligioso, alcuni impulsi del Concilio,
ma non si è giunti a una necessaria riforma delle strutture della
Chiesa. Anche il Magistero morale della Chiesa si è, di nuovo,
focalizzato troppo su questioni di etica sessuale, in un modo cui
solo papa Francesco ha avuto il coraggio di dare l’appropriato
nome di ‘ossessività nevrotica’. La percezione della sessualità è
cambiata nella maggior parte delle società occidentali, e l’ar­
gomentazione della Chiesa, basata su una concezione astorica
di una natura umana immutabile - che ignora, ad esempio, le
conoscenze acquisite dalle scienze mediche o l’orientamento
omosessuale -, si è dimostrata incapace di essere convincente.
L’influenza della Chiesa sulla società dipende oggi solo dalla
persuasività dei suoi argomenti; già dall’Illuminismo la Chiesa
non può appoggiarsi a un altro potere. Per un dialogo ragio­
nevole tra teologia e mentalità liberale secolare (quella ‘terza
via’ tra rifiuto tout court e accettazione acritica) non si è però
trovato un fondamento filosofico comune, riconosciuto da en­
trambe le parti. La mentalità pubblica secolare ha comincia­
to a percepire la Chiesa come una sorta di società arrabbiata,
ossessivamente interessata ad alcuni temi (aborti, profilattici,
rapporti omosessuali) cui rivolgere continuamente e incom­
prensibilmente il proprio anatema-, le persone sapevano contro
cosa fossero i cattolici, ma hanno smesso di capire per cosa fosse­
ro, e come potessero contribuire al mondo contemporaneo. La
ferocia con cui alcune cerehie ecclesiastiche si appoggiavano
a un’antropologia fondata sulla concezione astorica aristoteli-
co-tomista della natura umana e il modo in cui rifiutavano di
considerare seriamente le conoscenze delle scienze naturali e
sociali ricorda il dissennato attaccamento di un tempo al mo-
116 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

dello geocentrico dell’universo. La necessità di rinnovare l’an­


tropologia teologica si dimostra sempre più forte: riflettere a
fondo, per esempio, sull’etica sessuale non in base a una ‘natu­
ra umana’ intesa come statica, ma a un’etica dei rapporti inter­
personali compresa nel suo dinamismo; e risvegliare, nell’era
della sessualità commercializzata, l’erotismo della tenerezza e
del rispetto reciproco.
La sfida alla ‘nuova evangelizzazione’, che è risuonata, pie­
na di buoni intenti, nella Chiesa cattolica alla soglia del nuovo
millennio, non ha ottenuto la risposta sperata - di certo anche
perché non era sufficientemente ‘nuova’ e radicale. Gli sforzi
di alcuni nuovi ‘movimenti’ nella Chiesa di concentrarsi sul lato
emozionale della religione, di imitare l’entusiasmo degli evan­
gelici e la spiritualità dei gruppi pietistici, evidentemente non
erano sufficienti per risvegliare la stanca cristianità occidentale
dal suo torpore. Dopo oltre mezzo secolo, a tornare allo spirito
riformatore del Concilio è stato papa Francesco; tuttavia i suoi
tentativi di riformare le strutture della Chiesa e ravvivarne la
dottrina si sono ben presto scontrati con la corrente più con­
servatrice, che comprende una parte della curia e del collegio
cardinalizio. L’invito di papa Francesco a un approccio pasto­
rale saggio e al contempo misericordioso nei confronti delle
persone in ‘situazioni irregolari’, che rispetti le differenze indi­
viduali e solleciti alla responsabilità della propria coscienza, si
è scontrato con la riluttanza di una parte significativa del clero
ad abbandonare il ruolo di giudice e a smettere di applicare
meccanicamente la lettera del diritto canonico.

***

L’appello a rispondere ai segni dei tempi con la partecipazione


attiva alla vita politica non è rimasto inascoltato. I cattolici di
molti luoghi nel mondo, dall’America Latina e Centrale fino
ad alcuni Stati africani, e il dissenso europeo verso i regimi
autoritari di destra (ad esempio in Spagna e Portogallo) così
come verso le dittature comuniste, si sono uniti alla battaglia
per i diritti umani, la giustizia sociale, la democrazia e le liber-
DIO STA TORNANDO? 117

ta civili, spesso offrendo un contributo significativo al passag­


gio non violento dai regimi autoritari alla democrazia. Alcuni
cattolici, però, hanno poi sperimentato la sgradita sorpresa, la
delusione e talvolta lo shock culturale della graduale perdita
di peso della Chiesa dopo la caduta delle dittature e la vitto­
ria della democrazia in uno spazio plurale nuovo o rinnovato,
e sempre più hanno incontrato diffidenza e rifiuto da parte
del liberalismo secolare. La loro aspettativa che il cristianesimo
riempisse lo spazio liberato dalla cadute del comunismo (come
in certe misura è accaduto, ad esempio, in Germania alla ca­
dute del nazismo) non si è realizzate. Si dice che la delusione
più grande per papa Giovanni Paolo II sia stata la presa di co­
scienza che, dopo la fine del regime ateistico in Polonia, molti
cittadini invece che in chiesa si siano diretti al supermercato.
Sembra che la Chiesa, che tutto sommato ha retto all’epoca
della secolarizzazione dura dei regimi di stampo ateistico, sia sta­
ta colte molto più alla sprovviste dalla successiva secolarizzazione
morbida del rinnovamento democratico. È come se alcuni non
riuscissero a vivere senza un nemico: dopo la cadute del comu­
nismo, per questo ruolo hanno scelto il ‘marcio Occidente’.
Nelle omelie tenute negli Stati postcomunisti sono proliferate
lamentose geremiadi sugli ‘tsunami del secolarismo, del libe­
ralismo e del consumismo’ che copiavano, senza dichiararlo,
la retorica antioccidentalista degli ideologi comunisti. Queste
cerehie ecclesiastiche sono cadute preda della paura della li­
bertà, dell’agorafobia intesa come paura dello spazio libero,
letteralmente: paura del mercato.

***

Mezzo secolo dopo il Vaticano II, i contrasti tra conservatori e


progressisti nella Chiesa cattolica sono giunti al culmine. Que­
sti scontri estenuanti hanno contribuito a portare la Chiesa cat­
tolica di oggi sull’orlo dello scisma. Non posso fare a meno di
pensare che a entrambe le parti di questo conflitto, soprattutto
a quelle più radicali, manchi una comprensione profetica dei
segni dei tempi. Gli sforzi dei tradizionalisti per rifiutare i ne­
118 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

cessari passi di riforma e per tornare a un mondo premoderno


hanno causato alla Chiesa molti danni, e finiranno, per usare
un’espressione classica, più in farsa che in tragedia. Tuttavia,
anche i numerosi sforzi dei progressisti hanno dimostrato la
validità del detto che chi sposa lo spirito del tempo resta presto
vedovo.
Chi ha compreso la necessità àe\Y aggiornamento richiesto dal
Concilio - la necessaria revisione delle modalità di utilizzo di
ciò che la Chiesa conserva come un tesoro a essa affidato -
soltanto come conformità alla società secolare e frettolosa di­
smissione della tradizione, è rimasto mentalmente bloccato nei
confini troppo stretti della modernità. Per questo le critiche
che alcuni cristiani conservatori colti indirizzano al progressi­
smo superficiale nella Chiesa e nella teologia apportano una
riflessione produttiva ed è utile ascoltarle con attenzione. Una
fatale mancanza dei conservatori sta tuttavia nell’incapacità di
proporre un’alternativa realizzabile.
La differenza tra i sostenitori di un’ermeneutica della con­
tinuità e di una della discontinuità nell’interpretazione del
messaggio del Concilio riflette le più comuni differenze tra i
conservatori e i riformatori nella storia della Chiesa. Entram­
be le tipologie sono necessarie, l’una o l’altra maggiormente
a seconda delle situazioni. Forse è stato inevitabile che negli
anni turbolenti dopo il Concilio a esprimersi fossero più quelli
che desideravano mitigare la radicalità dei cambiamenti. Però
sono convinto che sia giunto il kairos per una riforma fonda­
mentale, e che non sia affatto un caso che al seggio episco­
pale romano sia stato chiamato un uomo che rappresenta la
dinamicità del continente latino-americano. Ritengo urgente
il compito del magistero dei teologi di elaborare con cura le sue
spinte riformatrici.
Papa Francesco vede una soluzione nell’allentamento del
centralismo ecclesiastico e nel rafforzamento del principio si­
nodale, in una maggiore indipendenza e responsabilità delle
Chiese locali. Ma un altro problema emerge, in generale, nelle
tensioni interne alle Chiese locali. Le cariche più alte, soprat­
tutto i vescovi, sono pronte a rinunciare al concetto monarchi-
DIO STA TORNANDO? 119

co del proprio ruolo e a diventare mediatrici del dialogo all’in­


terno della Chiesa? Sono preparate a sufficienza per creare
e difendere uno spazio per lo sviluppo dei carismi di ogni cre­
dente, uomo o donna? Sono preparate a riconoscere la capaci­
tà delle donne di essere, a parità di diritti, corresponsabili della
comunità dei credenti?
Voglio ancora una volta sottolineare che la riforma della
Chiesa deve andare più in là della sola modifica delle strutture
istituzionali, deve sgorgare da fonti teologiche più profonde e
dal rinnovamento spirituale.
Il pomeriggio del cristianesimo, la via d’uscita dalla prolun­
gata crisi del mezzogiorno, non sarà annunciato dallo squillo
di trombe degli angeli dell’Apocalisse, ma arriverà piuttosto
«come un ladro di notte»9. Molti già da tempo gridano vittorio­
si «Dio è tornato», ma anche in questo caso vale l’avvertimento
di Gesù: «Non andateci, non seguiteli!»10. Il pomeriggio del cri­
stianesimo arriverà come è arrivato Gesù il mattino di Pasqua:
lo riconosceremo dalle ferite sulle mani, sul fianco e sui piedi.
Saranno però ferite trasfigurate.

9 ITs5,2.
10 Cfr. Le 17,23.
Vili. Gli eredi della religione moderna

La secolarizzazione non ha eliminato la religione, l’ha trasfor­


mata. È divenuto evidente che la religione è un fenomeno mol­
to più dinamico, vivo, forte, e soprattutto molto più ampio e
complesso, rispetto a quanto è sembrato negli ultimi due seco­
li. La religione non è morta, si riversa piuttosto in nuove forme
- oggi non più solo nella sfera privata, ma nuovamente anche
nello spazio pubblico. La fede ha lasciato le vecchie sponde
istituzionali. Le Chiese hanno perduto il monopolio della reli­
gione. Durante il periodo illuminista hanno perso il controllo
sulla sfera secolare, ora anche sulla vita religiosa. Il maggiore
concorrente delle Chiese oggi non è l’umanesimo secolare né
l’ateismo, bensì una religiosità che si allontana dalla Chiesa.
La cultura secolare dell’era moderna ha generato una forma
di religione come Weltanschauung e questa forma adesso affoga
nella radicale pluralità postmoderna. Mentre prosegue la crisi
delle istituzioni religiose tradizionali, si indebolisce anche il vec­
chio ateismo dogmatico. Nel mondo di oggi tre fenomeni meri­
tano attenzione: anzitutto, la metamorfosi della religione in un’i­
deologia politica identitaria, poi il cambiamento della religione
in spiritualità, infine l’aumento del numero di coloro che non si
riconoscono in nessuna delle ‘religioni organizzate’, ma neppure
nell’ateismo.
Come conseguenza della secolarizzazione, molti fenomeni
che la forma tradizionale della religione manteneva uniti - l’e­
ducazione, la morale, i rituali, la devozione personale ecc. -
si sono resi indipendenti e vivono ora di vita propria1. Nella

1 Cfr. U. Beck, Il Dio personale, cit.


POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
122

società plurale postmoderna queste parti emancipate della re­


ligione divengono una fonte pubblicamente disponibile, alla
quale sia gli individui sia le comunità attingono liberamente
per comporre propri collages.
I simboli religiosi, estrapolati dal contesto originario, si ri­
trovano nell’arte contemporanea, comprese la cultura pop2 e
la moda. Talvolta il contesto originale di questi simboli è di­
menticato e ignorato, talvolta invece una tensione volutamente
provocatoria nei confronti di tale contesto ne aumenta la per­
turbante attrattiva. Gli autori di simili opere spesso mettono in
conto già da prima il fatto che le autorità ecclesiastiche, che
percepiscono l’uso non tradizionale o provocatorio dei simboli
religiosi solo come mera blasfemia, protesteranno apertamen­
te contro di loro, garantendo così pubblicità gratuita e succes­
so commerciale. A volte però un uso non tradizionale, provo­
catorio e apparentemente blasfemo di temi religiosi sortisce
un effetto paradossale: stimola la riflessione, la ricerca e una
riscoperta del contesto originario3.
***

Possiamo pensare alla forma politico-ideologica e a quella ‘pu­


ramente spirituale’ di religiosità come alle eredi di due poli
opposti di un tipo precedente di religione, che ha una forma
pubblica e privata. Nell’epoca della modernità, quando il cri­
stianesimo è divenuto confessionale, ha perduto l’influenza
sulla società moderna nella sua globalità e si è spostato dalla
sfera pubblica verso uno spazio sempre più angusto - lo spazio

2 Un esempio è lo pseudonimo Madonna usato dalla cantante pop, che chiara­


mente non rappresenta attributi tradizionalmente mariani.
’ Io stesso sono stato più di una volta testimone di come alcune opere cinemato­
grafiche o teatrali alle quali i cristiani conservatori hanno reagito con indigna­
zione - ad esempio i film L’ultima tentazione di Cristo o Jesus Christ Superstar- han­
no risveglialo i giovani dall’apatia e hanno richiamato in loro l’interesse per la
religione, alla fine ispirandoli alla conversione al cristianesimo. La parabola di
Gesù sul grano e la zizzania dovrebbe mettere in guardia i rappresentanti della
Chiesa dagli sforzi diretti alla censura dell’arte.
gli eredi della religione moderna 123

della Chiesa, della famiglia e poi della persona - come una


convinzione privata. Si è ‘privatizzato’. Anche il cattolicesimo
come controcultura nei confronti di protestantesimo, libera­
lismo, socialismo e infine contro l’intero mondo moderno,
come ho già scritto nei capitoli precedenti, ha avuto carattere
difensivo più che offensivo.
All’incirca nell’ultimo quarto del XX secolo, però, la situa­
zione comincia a cambiare: le religioni passano al contrattacco,
si sforzano di sfruttare le crisi e le fragilità della società liberale
per diventare parti significative del gioco politico. Tentando
di recuperare il ruolo della religio, di forza d’integrazione di
un certo gruppo (per esempio etnico), ambiscono a ergersi a
difesa della sua identità. Ma ora si tratta di una difesa d’attac­
co. Queste forme di religione divengono intolleranti: talvolta
si fermano a una retorica militante (come nella maggior par­
te dei casi dell’odierno fondamentalismo cristiano), talvolta
- come nel caso dell’islamismo politico radicale - non esitano
a istigare e giustificare anche la violenza fisica, le guerre e gli
attacchi terroristici.
Tra i primi autori a osservare questa tendenza globale c’è il
sociologo francese Gilles Kepel nel suo libro La rivincita di Did1.
Kepel ha dimostrato che l’islamismo radicale, di cui il pubblico
intemazionale ha cominciato ad accorgersi dalla rivoluzione
di Khomeini in Iran, ha alcune analogie con la politicizzazione
delle altre religioni monoteiste. Il libro di Kepel è presto diven­
tato un bestseller e ha inaugurato una serie di studi sul tema
della ripoliticizzazione religiosa a livello mondiale, soprattutto
dopo l’attentato del 2001 a New York.
Un esempio di uso e abuso politico di simboli e retorica del
cristianesimo è l’americana Religious Right (la ‘destra religiosa’
o ‘destra cristiana’), che ha contribuito a portare il populista
privo di morale Donald Trump a capo degli Stati Uniti. In Eu­
ropa i cosiddetti difensori dei valori cristiani dell’occidente

4 G. Kepel, La rivincita di Dio. Cristiani, ebrei, musulmani alla riconquista del mondo
(1991), Milano, Rizzoli, 1991.
124 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

si collocano soprattutto tra i demagoghi politici dell’estrema


destra e i populisti nazionalisti in Francia e Italia, ma anche
in Ungheria, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca.
Il bersaglio preferito dei loro attacchi sono l’Unione Europea
e i migranti dalle terre islamiche. Queste tendenze nazionali­
stiche sono sistematicamente aizzate, attraverso lo strumento
delle fake news e di reti social di disinformazione, dalla massiva
produzione di propaganda russa. La guerra ibrida del regime
di Putin all’occidente punta specialmente ai conservatori cri­
stiani, dipingendo il presidente Putin come un ‘nuovo san Co­
stantino’ condottiero del mondo cristiano nelle crociate con­
tro il degradato Occidente, e sfruttando il fatto che nel DNA
del cristianesimo conservatore sia presente una pericolosa affi­
nità con i regimi autoritari.
Sono convinto che la democrazia liberale sia ancor oggi una
forma di cultura politica insuperata e che offra anche ai cristia­
ni un ambiente molto più favorevole di qualsiasi ‘Stato catto­
lico’. Ciononostante vedo anche i punti deboli del liberalismo
contemporaneo e credo che un’educazione sociale cristiana,
soprattutto all’epoca delle encicliche sociali di papa Francesco,
possa ispirare la cultura politica del futuro e bilanciare un neo­
liberalismo unilaterale.
Il populismo di oggi, soprattutto negli Stati postcomunisti,
oppone alla democrazia liberale un ideale di ‘democrazia il­
liberale’ (o controllata) - un nome di copertura per lo Sta­
to autoritario. Laddove queste forze populiste ottengono il
potere, cominciano a liquidare la democrazia liberale di tipo
occidentale, aggredendo la libertà dei media, delle università,
delle organizzazioni senza scopo di lucro e della magistratura,
soprattutto delle corti costituzionali.
Appartengono tipicamente alle schiere più rumorose dei
propugnatori di un ‘ritorno all’Europa cristiana’ quelle per­
sone che per mentalità e stile di vita sono lontane mille mi­
glia dal Vangelo, e la cui ‘cristianità’ si manifesta solo nell’o­
stilità verso migranti, musulmani e minoranze sessuali. Tal­
volta anche esponenti della Chiesa collaborano con populisti
e nazionalisti, tentando di sovrastare, soffocare e screditare
gli eredi della religione moderna 125

la voce di profetico avvertimento di papa Francesco. Non è


chiaro se nei casi menzionati si tratti di politicizzazione della
religione oppure di sacralizzazione della politica, cioè della
creazione di una falsa aura intorno agli interessi di potere
empi e disonesti di alcuni gruppi. Sto tornando di nuovo al
tema ‘politica e religione’ perché ritengo che questo modo
di collegare i due ambiti sia un fenomeno straordinariamen­
te pericoloso. Sotto l’influsso dell’ideologia secolare, la sfera
pubblica del mondo ha a lungo sottovalutato la forza della
religione, non l’ha tenuta in considerazione e non l’ha com­
presa. La religione è una forza che può essere usata in modo
terapeutico o distruttivo: in determinate circostanze può
trasformare i conflitti politici internazionali in un rovinoso
scontro di civiltà. Perciò è necessario ricercare il modo in cui
l’influenza morale della religione si unisce al tiqqun 'olam-'ù
‘riparare il mondo’. Può contribuire a questo la seconda ere­
de della religione moderna, la spiritualità? Se le religioni del
mondo sapranno sviluppare la propria dimensione spiritua­
le, questa potrà contribuire in modo significativo al dialogo
interreligioso, che è tra i compiti più urgenti della nostra
epoca. Proprio in questo campo le grandi religioni si somi­
gliano di più.
I tentativi attuali di restituire la religione alla vita pubblica,
specialmente politica, sono una reazione alla tendenza moder­
na a privatizzare e individualizzare la fede; il ritorno postmo­
derno alla spiritualità è la manifestazione e il frutto di questo
trend di religione personalizzata. Alle prospettive e agli ostacoli
della spiritualità della nostra epoca dedicherò un capitolo a se
stante.
***

Un’importante chiave interpretativa delle grandi differenze


sulla scena religiosa è offerta dallo psicologo di Harvard Gor­
don Allport. A metà del XX secolo negli Stati Uniti si è svolta
un’ampia ricerca empirica che aveva il compito di verificare
l’ipotesi secondo la quale le persone religiose sono inclini a
126 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

intendere il mondo in modo autoritario e rigido, similmen­


te ai seguaci delle ideologie totalitarie fasciste e comuniste.
Il risultato non è stato affatto univoco: alcuni dei soggetti re­
ligiosi presentavano tali caratteristiche, mentre in altri ven­
nero accertate tendenze verso l’altruismo, la tolleranza e la
creatività. Gordon Allport ha quindi individuato, sulla base
delle conoscenze acquisite, due tipi di religiosità: una esterio­
rizzata (estrinseca), una interiorizzata (intrinseca)5. Le persone
con una religiosità esteriorizzata (estrinseca), per le quali la
religione è un mezzo per il raggiungimento di qualche altro
scopo (ad esempio il riconoscimento sociale o l’affermazione
di un’identità di gruppo, di un’appartenenza) sono davvero
rigide e autoritarie. Le persone con una religiosità interioriz­
zata (intrinseca), per le quali la fede ha senso in se stessa, sono
invece aperte, tolleranti, flessibili, sensibili nella sfera sociale,
disposte al sacrificio e alla solidarietà. Allport ha descritto la
religiosità esteriorizzata come immatura, e ha individuato una
serie di indicatori di maturità della fede interiorizzata: la sua
ricchezza e articolazione interna, la dinamicità, la capacità di
costruire una filosofia di vita complessa, di sopportare i dub­
bi, di confrontarsi con il male e con le conoscenze culturali e
scientifiche attuali, di essere strumento di un agire concreto.
Mentre la religiosità esteriorizzata apprezza la Chiesa soprat­
tutto per la sua funzione socio-culturale e partecipa alle sue
attività solo marginalmente, ad esempio nelle festività princi­
pali, per la religiosità interiorizzata la Chiesa è soprattutto una
società alla cui vita si partecipa attivamente e alle cui funzioni
si prende regolarmente parte.
Lo psicologo americano Daniel Batson ha in seguito aggiun­
to a questa classificazione un ulteriore genere di religiosità: la
fede come quest, come spedizione avventurosa, ricerca inces­
sante, viaggio nelle profondità6.

5 Cfr. G. Allport, The Individual and His Religion: A psychological interpretation,


Oxford, Macmillan, 1950.
0 Cfr. C.D. Batson - P.A. Schoenrade, Measuring Religion as Quest: 1) Validity Con­
cerns, in «Journal for the Scientific Study of Religion», 30, 1991, 4, pp. 416-429.
gli eredi della religione moderna 127

Cosa dire a proposito di queste teorie alla luce delle nostre


esperienze attuali? Incontriamo la religiosità estrinseca a ogni
passo. Vi appartiene la strumentalizzazione politica del lin­
guaggio religioso e dei simboli (dai radicali islamici ai ‘difen­
sori dei valori cristiani’ di destra) unto quanto il commercio
della spiritualità, un miscuglio di religione e psicoterapia nelle
beauty farm dello spirito.
Allport ha trovato la religiosità matura intrinseca tra i mem­
bri attivi e fedeli delle comunità religiose, delle parrocchie e
degli oratori. Tuttavia questa forma istituzionale di religiosi­
tà, come in diversi punti di questo libro stiamo dimostrando,
oggi attraversa sconvolgimenti e crisi che probabilmente non
cesseranno neppure con la fine della crisi del mezzogiorno
della cristianità. Di certo non scompariranno le parrocchie,
gli oratori e le più varie istituzioni nate nel corso della sto­
ria, ma la loro collocazione nella società è già mutata e con­
tinuerà a mutare. Il cristianesimo cerca nella società plurale
postmoderna e postsecolare una nuova casa, nuove forme di
espressione.
La viulità delle Chiese - e la vitalità della religiosità intrin­
seca - di certo dipende da quanto riuscirà a comunicare con
la terza forma di religiosità, quella descritta da Batson come
fede-viaggio, che di per sé non ha forme istituzionali stabili.
Accanto al dialogo della Chiesa con il mondo secolare, richie­
sto dal Concilio Vaticano II, si sta presentando la necessità di
un dialogo tra i diversi tipi percepiti di fede all’interno del cristiane­
simo-. tra la fede come viaggio e la fede come certezza, tra la
Chiesa come società di pellegrini e la Chiesa come casa, tra
la Chiesa come società della memoria e della narrazione e la
Chiesa come ospedale da campo. Sarà in grado, la Chiesa del
futuro, di essere la casa comune per questi differenti aspetti e
forme di religiosità?
Molte forme istituzionali di cristianità stanno attraversando
una crisi, e per questo la fede ricerca nuove forme. Ciò non
significa che sia possibile considerare qualsiasi forma istituzio­
nale di fede come un mero relitto del passato. Sottovalutare
il significato delle istituzioni è un vizio tipico della teologia li-
128 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

berale, certamente è influenzata anche dal fatto che oggi le


istituzioni religiose siano in mano a cristiani conservatori e tra­
dizionalisti7.
***

Dedichiamoci ora al terzo fenomeno notevole sulla scena post­


secolare: il numero sempre crescente di persone che, alla do­
manda in quale religione si riconoscano, rispondono in nessu­
na. I sociologi hanno dato a questo crescente insieme di perso­
ne la denominazione globale di nones.
I nones rappresentano oggi l’insieme più consistente dopo i
cristiani e i musulmani. Si tratta di una scala insolitamente va­
riegata di orientamenti di pensiero ed esistenziali (beliefe faith).
Può sorprendere l’osservatore esterno il fatto che gli atei cate­
gorici rappresentino tra i nones solo una minima percentuale.
Un esempio degno di attenzione è la Repubblica Ceca, che
a torto viene ritenuta uno dei Paesi più atei, se non il più ateo,
d’Europa e forse del mondo intero. In realtà si tratta del Paese
con la quota maggiore di nones, che superano abbondantemen­
te coloro che si riconoscono nelle diverse Chiese o nelle varie
religioni. Le terre ceche hanno vissuto un’evoluzione religiosa
molto complessa. Un tempo erano un focolaio religioso dei
movimenti di riforma che avevano anticipato la Riforma tede­
sca, dopo le bufere rivoluzionarie dell’hussitismo, dopo cinque
crociate e dopo la riconciliazione dei cattolici con gli utraqui­
sti (al Concilio di Basilea e soprattutto con la Lettera di maestà
dell’imperatore Rodolfo), sono apparse per un certo periodo
come un’oasi di tolleranza religiosa. Poco tempo dopo, però,
le terre ceche sono divenute il focolaio della devastante guerra
dei Trent’anni e hanno subito la ricattolicizzazione barocca e
le riforme illuministe di Giuseppe II. Sono poi seguite tre di­
verse ondate di secolarizzazione. A cavallo tra XIX e XX secolo

’ Lo segnala tra gli altri lo storico delle religioni italiano Massimo Faggioli, cfr.
https://www.commonwealmagazine.org/wake-call-liberal-theologians .
gli eredi della religione moderna 129

si assiste a una prima secolarizzazione morbida, dovuta principal­


mente alle conseguenze culturali della rivoluzione industriale.
Si manifesta quindi una secolarizzazione dura, in forma di per­
secuzione della religione, durante il regime comunista, mol­
to brutale negli anni Cinquante e poi soprattutto burocratica
ma di certo più sofisticata negli anni Settanta e Ottanta. Dopo
un breve accenno di rinnovate vitalità religiosa alla soglia de­
gli anni Novanta, si presente un’altra ondate di secolarizzazione
morbida, che dal punto di viste esteriore avvicina la società ceca
alla moderna mentalità culturale di alcuni Paesi fortemente se­
colarizzati dell’Europa occidentale e settentrionale.
Neppure nella Repubblica Ceca, però, questo corso ha lascia­
to una società puramente atea, ma piuttosto una forte distanza
dalla Chiesa, in cui si compenetrano apateismo (l’indifferenza
nei confronti della religione), agnosticismo, analfabetismo re­
ligioso (l’assenza di conoscenze religiose anche elementari),
anticlericalismo (l’allergia a molti aspetti della Chiesa) e diver­
si tipi di spiritualità alternativa e di ricerca spirituale.
A volte ciò che viene troppo frettolosamente definito come
ateizzazione della società testimonia invece il fatto che la vita
spirituale delle persone ha superato, nella sua crescita, le for­
me offerte dalle Chiese e che la richieste di forme di vita spi­
rituale più mature e variegate si scontra con l’offerta troppo
esigua e stereotipata delle Chiese stesse. A differenza di altri
Paesi vicini, come la Germania, l’Austria e, negli ultimi anni, la
Polonia, nella Repubblica Ceca non registriamo un aumento
di allontanamenti formali dalla Chiesa; i battezzati che in nu­
mero crescente perdono la voglia di partecipare alle funzioni o
di rivendicare l’appartenenza a una Chiesa durante i sondaggi
non si preoccupano di richiederne ‘l’espulsione’8. Cresce mo­
deratamente il numero di adulti che richiedono il battesimo;
tuttavia non è chiaro se questi credenti, che di solito trovano
la fede grazie alla lettura di testi, a programmi sui media o alle
testimonianze di amici e di una minoranza di gruppi religiosi

8 Di certo è così anche perché non esistono tasse sul credo religioso.
130 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

attivi (specialmente i centri pastorali studenteschi), troveranno


nelle strutture parrocchiali tradizionali la propria casa spiritua­
le permanente.
Una certa parte dei nones è costituita da persone che hanno
lasciato la Chiesa - in particolare la Chiesa cattolica. Abbiamo
già sottolineato più volte il ruolo giocato dall’ondata di pro­
gressivo svelamento di gravi casi di abuso sessuale e psicologico
nel provocare la decisione di molti credenti di uscire formal­
mente dalla Chiesa. Per diversi di loro si è forse trattato soltan­
to della goccia che ha fatto traboccare il vaso o dello sviluppo
razionale del culmine di delusione verso una Chiesa che già da
molto tempo non consideravano come sostegno per la propria
esistenza, come - nelle parole di papa Francesco - «madre e
pastore».
Tuttavia, le persone che divorziano dalla Chiesa non sem­
pre diventano atee. Si riconoscono nell’ateismo dopo l’uscita
dalla Chiesa soprattutto quelli che erano atei già in preceden­
za e il cui rapporto con la Chiesa rientrava nella categoria del
belonging without believing, una affiliazione formale senza con­
vinzione interiore9. Dalla Chiesa divorziano anche alcuni che
prendono molto seriamente la fede e il Vangelo, e il motivo
del loro allontanamento è la convinzione che la Chiesa si sia
distaccata dalla sua missione.
In passato, i cristiani che lasciavano la Chiesa cattolica di
solito entravano in un’altra Chiesa; oggi abbandonano l’affilia­
zione pur rimanendo credenti. Anche nella Repubblica Ceca,
in occasione di censimenti e sondaggi sulla religiosità, una per­
centuale non indifferente di cittadini che non si riconoscono
in una Chiesa si identifica nel cristianesimo come confessione.
Negli ultimi decenni, in molti Paesi le Chiese - e in partico­
lare la Chiesa cattolica per note ragioni - stanno sempre più
perdendo credibilità: non sono soltanto i ‘non credenti’ ma
anche una buona parte dei fedeli a ritenerle incapaci di offrire

9 Appartenenza meramente formale derivata piuttosto dall’inerzia nei confronti


di una tradizione familiare o culturale, non sostenuta da un’esperienza persona­
le di fede.
GLI EREDI DELLA RELIGIONE MODERNA 131

risposte competenti, convincenti e comprensibili alle doman­


de fondamentali. Quando ascolto una predica o leggo lettere
pastorali e un certo tipo di stampa religiosa, mi viene in mente
che, oltre che sul perché le persone si allontanano, dovremmo
indagare anche su dove trovano la forza e la pazienza quelli che
rimangono.
***

La parte più interessante dei nones è per me quella dei seekers, i


cercatori di spiritualità. I sociologi distinguono tra dwellers (‘re­
sidenti’, ‘stanziali’) e seekers. Sarebbe errato suddividere le per­
sone tra credenti e cercatori, perché tra i credenti, come tra gli
atei, si trovano sia cercatori sia residenti.
Sono convinto che il futuro della cristianità dipenderà so­
prattutto dall’ampiezza del rapporto che i cristiani costruiran­
no con i cercatori di spiritualità tra i nones.
Come dev’essere questo rapporto? Suggerisco decisamente
di diffidare del proselitismo, di un semplicistico approccio apo­
logetico e missionario, dello sforzo di pigiare queste persone
dentro gli esistenti confini istituzionali e mentali della Chiesa.
Sarà piuttosto necessario superare e aprire tali confini.
Un passo oltre i confini visibili della Chiesa verso i cercatori di
spiritualità è stato compiuto da Benedetto XVI con l’invito - for­
mulato per la prima volta, non a caso, su un aereo in viaggio per
la Repubblica Ceca - affinché la Chiesa creasse, tra le proprie
strutture, qualcosa di somigliante al Cortile dei Gentili nel Tem­
pio di Gerusalemme, destinato ai ‘pagani pii’. Si tratta di un’ini­
ziativa senza dubbio ben concepita, cui oggi si ricollegano incon­
tri e dibattiti in varie parti del mondo. Tuttavia il volto spirituale
del nostro mondo cambia velocemente, e questo passo oggi è di
gran lunga insufficiente. L’aspetto esteriore della Chiesa come
‘tempio’ è ormai definitivamente parte del passato.
In un certo senso a questo ha contribuito anche la chiusura
delle chiese durante la pandemia da Coronavirus. Mentre una
parte dei credenti - soprattutto là dove le parrocchie più vitali
sono diventate il luogo naturale della società cittadina e hanno
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
132

elaborato sostegni di vario tipo durante la pandemia - attende­


va con impazienza la ripresa delle funzioni pubbliche, un’altra
parte, per la quale andare in chiesa la domenica era una que­
stione di abitudine piuttosto che di necessità interiore, ha tro­
vato abbastanza in fretta un altro modo di trascorrere il giorno
festivo e in chiesa non è più tornata. Altri ancora si sono abituati
alle comodità delle funzioni in televisione o su internet. Il tem­
po ci dirà se le persone che non andavano in chiesa, ma nelle
quali il confronto con la sofferenza, la morte e la vulnerabilità
umana provocate dal virus ha sollecitato domande metafisiche,
esistenziali e spirituali, si dirigeranno verso le chiese e se vi tro­
veranno risposte alle loro domande, o almeno comprensione.
La Chiesa oggi non può permettersi di invitare i cercatori
di spiritualità a entrare nel suo ‘tempio’. Il cardinale Bergo­
glio, che aveva citato le parole di Gesù: «Ecco, sto alla porta e
busso»10 la sera prima della sua elezione a papa, ha tuttavia ag­
giunto che oggi Gesù bussa da dentro la Chiesa e vuole uscirne,
per raggiungere soprattutto i poveri, gli emarginati, i feriti del
nostro mondo, e noi dobbiamo seguirlo.
***

È necessario fare menzione anche di un’altra forma di fede


presente nel nostro mondo. Robert Traer, allievo di Wilfred C.
Smith, parla di «fede secolare», proponendo molte citazioni di
documenti e rappresentanti ONU e di altri documenti interna­
zionali sui diritti umani in cui si fa espresso riferimento alla fede
- soprattutto alla fede nella dignità dell’individuo e nei suoi
inalienabili diritti fondamentali11.
Non si tratta in questo caso di ‘fede religiosa’, ma potremmo
addurre svariati argomenti a sostegno di una sorta di fede cri­
stiana anche in assenza di riferimenti espliciti al cristianesimo.
Spesso si sentono citare le parole di Émst-Wolfgang Bòcken-

10 Ap 3,20.
" R. Traer, Faith, Belief, and Religion, Aurora (CO), Davies Group Publishers, 2001.
GLI EREDI DELLA RELIGIONE MODERNA 133

fórde, giurista e giudice costituzionale tedesco, secondo il quale


la democrazia si regge su presupposti di valore che non sono stati
adottati nel corso di una votazione democratica. Essasi regge sulla
fedein alcuni valori, una fede che non è ‘caduta dal cielo’, ma non
è neppure il frutto di una qualche universale e onnicomprensiva
natura umana astorica oppure un’effusione di un ‘intelletto natu­
rale’; bensì il frutto di una determinata cultura, quella giudaico-
cristiana, che emerge dalla Bibbia, dalla filosofia ellenistica e dal
diritto romano.
Si tratta di un flusso di fede che pervade la storia e nel qua­
le il cristianesimo ha impresso una serie di sue caratteristiche
fondamentali. Si sbaglia chi fa derivare la fede nella dignità
dell’individuo e nella legittimità dei diritti umani solo dall’il­
luminismo; dovrebbe indagare più in profondità e chiedersi
da dove l’Illuminismo abbia ricavato questi concetti. Spesso si
tratta di temi del Vangelo che non sono stati sviluppati a suffi­
cienza nella teologia e soprattutto nella prassi delle Chiese del
passato, o che si sono imposti forse anche contro le posizioni
politiche delle istituzioni ecclesiastiche.
Charles Taylor documenta in alcuni suoi libri come molti
temi evangelici siano diventati parte integrante della cultu­
ra politica europea solo quando la Chiesa ha perduto la sua
forza politica12. Similmente Hans Küng ricostruisce l’origine
evangelica e la legittimità cristiana delle parole d’ordine della
Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e fraternità13. Se la
Chiesa cattolica di oggi intende rafforzare la propria cattolicità,
la propria universalità, sulla strada del ‘terzo ecumenismo’14
- quella del dialogo aperto con l’umanesimo secolare inaugu­
rato daH’Illuminismo - potrà ritrovare in questo dialogo molto
della propria eredità che di tanto in tanto nel corso della storia
non ha messo in gioco, o che ha addirittura tradito.

12 Cfr. C. Taylor, Una modernità cattolica?, cit.


15 Cfr. H. Küng, Preti perché? Un aiuto (1971), Cavriago (RE), Anteo, 1971.
14 L’espressione ‘terzo ecumenismo’ è stata coniata dal teologo e filosofo di
Erfurt Eberhard Tiefensee (cfr. Kirche hai eine Stellverlreterfunklion, in «Herder
Korrespondenz», 51, 2016, 12, pp. 17-21).
IX. Dal villaggio globale alla civitas oecumenica

La globalizzazione è indubbiamente il più importante proces­


so sociale che ha determinato lo sviluppo economico, politico,
culturale e morale del nostro mondo per alcuni secoli. Faccio
parte della generazione che è stata testimone tanto dell’apice
quanto della grave crisi di questo processo.
Una riflessione sulle radici della globalizzazione oltrepasse­
rebbe le possibilità di questo libro. Accontentiamoci di un’i­
potesi che la colloca nella cristianità, e segnatamente nella sua
espansione missionaria. Lo sforzo di rispondere alla sollecita­
zione di Gesù di ‘andare per il mondo’ ha fatto della Chiesa un
attore globale e ha significativamente contribuito al processo
per cui da civiltà variamente disseminate per il mondo si è an­
dato costituendo un unico ‘mondo intero’, e dalle stirpi e dai
popoli una ‘umanità’.
L’evangelizzazione dei ‘nuovi mondi’ (le culture extraeu­
ropee) ha però spesso proceduto di pari passo con la coloniz­
zazione di questi ultimi da parte degli europei. L’entusiasmo
e lo spirito di sacrificio dei missionari, risoluti fino al marti­
rio, non sono stati l’unico volto dell’espansione europea. Dal
suo lato oscuro stanno l’avidità criminale e la violenza dei
conquistatori, nonché i loro interessi commerciali e di po­
tere. La propagazione della fede cristiana era spesso accom­
pagnata (e sempre più oscurata) dall’esportazione di merci,
scienza, tecnica e ideali politici dall’Europa. Nel XIX secolo
si erano diffusi praticamente in ogni angolo del mondo sia le
prediche del Vangelo, sia molti aspetti della civiltà occiden­
tale, che andava inglobando una parte sempre maggiore del
pianeta.
136 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

II ‘suicidio dell’Europa’ nelle due guerre del XX secolo che


hanno avuto inizio in questo continente ha fatto sì che il ti­
mone del processo di globalizzazione passasse nelle mani degli
‘eredi dell’Europa’, soprattutto degli Stati Uniti d’America1. Lo
sviluppo tecnologico, in particolare quello dei mezzi di comu­
nicazione, ha accelerato e reso più profonda la dinamica della
globalizzazione, che ha raggiunto la propria fase apicale alla
fine della Guerra fredda, con un mondo bipolare in cui due
superpotenze si erano suddivise le rispettive sfere di influenza.
***

La rapida e apparentemente facile caduta del comunismo,


avvenuta per la concomitanza di molteplici circostanze, non
è stata di per sé il mutamento culturale significativo che ci si
aspettava, soprattutto perché i regimi del socialismo reale non
sono stati in grado di fronteggiare la concorrenza sul libero
mercato globale di merci e idee. Timothy G. Ash ha chiamato
i cambiamenti politici dell’autunno 1989, annus mirabilis, una
«rivoluzione senza idee».
La ribellione contro il comunismo ha mutuato le proprie
idee dalla filosofia dei diritti umani, quindi dall’eredità del
cristianesimo e dell’umanesimo secolare illuministico. Attin­
gendo all’eredità del pensiero occidentale, ha prodotto alcu­
ne personalità stimolanti, come Václav Havel, tuttavia non ha
apportato nessuna visione originale, nessuna filosofia politica
realmente nuova. Sul piano spirituale non ha affatto avuto lo
stesso impatto della Rivoluzione francese due secoli prima.
La rivolta degli operai polacchi da cui è nato il movimento
Solidarnosc - forse l’unica vera ‘rivoluzione proletaria’ che pa­
radossalmente si è sbarazzata di un regime marxista -, grazie
all’influsso di Giovanni Paolo II ejózef Tischner, si è indirizzata
alle idee della dottrina sociale cattolica. Si è realizzata così l’u­
nione tra intellettuali anticonformisti (che erano stati gli attori

1 Cfr.J. Pilota, Europa e Post-Europa (1988, postumo), Roma, Gangemi, 2018.


dal villaggio globale alla civitas oecumenica 137

principali delle proteste precedenti, ad esempio del movimen­


to cecoslovacco Charta 77) e le rivendicazioni sociali degli ope­
rai. Alle esigenze di libertà spirituale, formulate da una ristretta
parte di intellettuali dissidenti, ha dato forza il desiderio delle
parti più ampie di cittadini di raggiungere lo standard materia­
le delle vicine società occidentali, oltre a un’opportuna compa­
gine internazionale, all’azione di alcuni influenti statisti occi­
dentali e, non ultima, all’autorità morale di un Papa polacco.
L’assenza di idee nuove ha collaborato alla rapida ascesa,
nello spazio ideologico-politico degli Stati postcomunisti, de­
gli ideologi del fondamentalismo economico, dei pionieri del
capitalismo selvaggio e, dopo di loro, dei populisti e dei nazio­
nalisti. L’improvvisa apertura del mercato globale negli anni
Novanta ha portato al potere e alla prosperità nei Paesi post­
comunisti coloro che erano pronti alla lotta per la concorren­
za: spesso proprio ex membri dell’élite comunista, gli unici a
disporre di capitali in denaro, contatti e informazioni. Coloro
che invece sono stati colti di sorpresa dai cambiamenti politici,
economici e sociali sono precipitati al limite della povertà e
dell’insignificanza. Affidarsi alla mano invisibile del mercato si
è dimostrata una pericolosa illusione di ingenuità. L’Unione
Europea ha provveduto a sostenere generosamente i nuovi Sta­
ti membri, ma, per la grave mancanza di una cultura del diritto
nei Paesi postcomunisti, la corruzione si è impossessata della
gran parte di quel capitale.
Di certo è un fatto positivo che le rivoluzioni nella maggior
parte degli Stati dell’Europa centro-orientale siano avvenute
senza violenza - diversamente che in Romania o nell’ex Iugo­
slavia-, tuttavia queste terre hanno pagato l’incredibile facilità
del passaggio da un regime di polizia a una società libera con
l’omissione di un importante compito politico, psicologico e
morale: affrontare il passato. È una buona cosa che l’inizio del­
la nuova epoca non sia stato macchiato dalla violenza e dallo
spirito di vendetta. Tuttavia la mancanza della volontà di af­
frontare il passato non è stata espressione delle virtù di mise­
ricordia e perdono, ma piuttosto un peccato di omissione, un
peccato contro la verità e la giustizia.
138 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

Siccome il male a cui la società è stata esposta e da cui è


stata moralmente disgregata non è stato oggetto di sufficiente
riflessione e non è stato neppure denominato secondo verità,
non è stato possibile superarlo. È un peccato che non si siano
adoperati come manuali per questo tratto del cammino verso
la libertà il libro di Karl Jaspers La questione della colpa oppu­
re l’esperienza del Sudafrica dopo l’abolizione dell’apartheid.
Anche le Chiese hanno fallito nel confronto con il passato nel­
le società postcomuniste. Quali ‘esperte nel perdono’, avrebbe­
ro dovuto dimostrare che il perdono e la riconciliazione sono
processi faticosi che non si possono affrontare semplicemente
ricacciando le colpe nell’oscurità dell’oblio e dell’ignoranza.
Le Chiese, non avendo trovato il coraggio di affrontare prima
di tutto il collaborazionismo tra le proprie file e di togliere la
trave dal proprio occhio, hanno cominciato a perdere la cre­
dibilità e il diritto morale di dedicarsi alla cura delle cicatrici
ancora fresche della società.
Il dono della libertà si è dimostrato, per una grande par­
te delle società postcomuniste, comprese le Chiese nei relativi
Stati, un compito faticoso e di difficile svolgimento. I successi
elettorali dei populisti negli Stati postcomunisti di oggi (soprat­
tutto grazie alle fasce più anziane e meno istruite della popo­
lazione) sono in gran parte dovuti alla nostalgia delle ‘pentole
piene di carne in Egitto’, delle certezze date dai regimi auto­
ritari e totalitari che non esponevano i cittadini all’obbligo di
decidere liberamente e di assumersi le proprie responsabilità.
***

Dopo la caduta del comunismo, Francis Fukuyama ha annun­


ciato con spirito hegeliano la «fine della storia», la vittoria pla­
netaria del capitalismo e della democrazia di tipo occidentale.
Nel corso dei successivi tre decenni, il mondo si è risvegliato
da questa illusione trovandosi faccia a faccia con una serie di
eventi allarmanti: l’attacco terroristico dell’ll settembre 2001,
la crescita del fondamentalismo islamico e dell’estremismo di
destra e di sinistra, il fallimento delle Primavere arabe, la crisi
dal villaggio globale alla cjvjtas oecumenìca 139

delle democrazie postcomuniste, l’ascesa di politici populisti in


tutto il mondo (Stati Uniti e Gran Bretagna inclusi), la Brexit
le crisi finanziarie, le ondate migratorie, l’arroganza autocra­
tica delle potenze egemoni di Cina e Russia, l’invasione rus­
sa della Crimea, la guerra ibrida del regime di Putin contro
l’Occidente con l’aiuto della disinformazione o la guerra vera
e propria in una parte dell’ucraina.
Il processo di globalizzazione ha cominciato a svelare pe­
santemente i propri lati oscuri e i gravi problemi che l’attuale
sistema economico e politico del capitalismo globale, richie­
dendo una crescita illimitata di produzione e consumo, non
è in grado di risolvere. I cambiamenti climatici, la distruzione
dell’ambiente, le pandemie di malattie infettive e la crescente
disoccupazione giovanile rappresentano minacce serie e susci­
tano angoscia per il futuro; l’odierna società del rischio è una
società post-ottimista2.
***

Strumento fondamentale della globalizzazione sono stati, e


continuano a essere, i mezzi di comunicazione di massa, che
maneggiano la merce più preziosa nella nostra epoca: le infor­
mazioni. Soprattutto nel periodo in cui è stata il medium do­
minante, la televisione con uno o pochi canali ha sottratto alla
religione molti rilevanti ruoli sociali: interpretava il mondo,
era arbitro di verità e rilevanza, offriva vicende e simboli socia­
li, influenzava lo stile di vita e di pensiero della maggior parte
della società. Ciò che l’uomo vedeva ‘con i propri occhi’ (ma
in realtà nella prospettiva della videoripresa e della regia) sullo
schermo delle notizie televisive era la verità, e la sua importan­
za era valutata, in linea di massima, a seconda della priorità che
aveva nella trasmissione (anche questa scelta dalla redazione).

! Ho utilizzato questo termine nel libro La notte del confessore (2005), Roma, Edi­
zioni Paoline, 2013. Miloslav Petrusek l’ha inserito tra le diagnosi sociologiche
contemporanee della nostra epoca (cfr. M. Petrusek, Spoleânostipozdnídoby, Praha,
SLON, 2007, pp. 303-304).
140 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

La rete oggi offre panem et circenses: la quantità necessaria di


informazioni per la sopravvivenza e l’industria del divertimen­
to. Offre anche una partecipazione virtuale ai ‘giochi sacri’ del­
la nostra era: gli incontri sportivi, i concerti di musica pop e le
competizioni pre-elettorali dei politici.
Negli anni Sessanta del XX secolo il teorico dei media
Marshall McLuhan aveva previsto che i media elettronici avreb­
bero rafforzato in modo sostanziale la coesione della società e
fatto gradualmente del mondo intero un ‘villaggio globale’3.
Questo è accaduto solo fino a un certo punto. Le persone negli
svariati luoghi del mondo seguono gli stessi programmi (so­
prattutto di intrattenimento); tuttavia l’ulteriore sviluppo dei
social ha creato una pluralità di media che, invece di sostenere
una cultura della comunicazione e una reciprocità, riflette e
amplifica la frammentarietà del mondo. Spesso genera ‘bolle’:
molti mondi separati che si scontrano tra loro.
I media non hanno creato un ‘villaggio globale’, non han­
no proposto ciò che rende tale un villaggio: una ‘piazza del vil­
laggio’, uno spazio di vicendevolezza tra vicini, e neppure una
chiesa comune. Si è dimostrata tutta la veridicità del pensiero di
Martin Heidegger: la tecnica ha superato tutte le distanze, ma
non ha creato nessuna vicinanza4. Ha costruito una sorta di falsa
vicinanza - le persone fanno a gara per il numero di cosiddetti
amici su Facebook, ma quanti di questi ‘amici’ le sosterrebbero
nelle situazioni difficili della vita? Questa pseudovicinanza tec­
nologica maschera e aggrava ciò da cui, nel corso dell’epoca
moderna, metteva in guardia l’esistenzialismo: lo straniamento
crescente, la solitudine, il disorientamento e l’angoscia.
Alcuni autori - tra cui Teilhard de Chardin - speravano che
la tecnologia rendesse maggiormente possibile a persone fisica-
mente distanti vedersi, percepirsi e provare compassione. Alcu­
ne immagini condivise hanno cambiato il mondo: ad esempio la

’M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare (1964), Milano, Il Saggiatore, 1967.
4 Cfr. M. Heidegger, Poeticamente abita l’uomo, in Id., Saggi e discorsi, Milano, Mur­
sia, 1991, pp. 125-138.
dal villaggio globale alla civitas oecumenica 141

fotografia di una ragazzina vietnamita nuda e in lacrime, in fuga


da un villaggio bruciato dal napalm, ha contribuito alla sconfitta
americana nella guerra del Vietnam più delle armi dei partigiani
comunisti. L’eccesso di immagini di violenza che oggi si osserva
nelle notizie in televisione, però, non porta a un risveglio, quan­
to piuttosto a un intorpidimento della coscienza; tutti infatti ab­
biamo una limitata capacità di percezione e di compassione.
In molti, all’inizio della pandemia da Coronavirus, avevamo
la sensazione, ascoltando le notizie del mattino, di star vivendo
un orrendo incubo o di esserci svegliati in un set mediático dal
sapore horror, come nel caso della celebre e suggestiva trasmis­
sione radiofonica di Orson Welles (dal libro di Herbert George
Wells La guerra dei mondi) sull’invasione dei marziani, che nel
1938 creò il panico in tutti gli Stati Uniti. Dopo oltre un anno di
pandemia, molti spettatori e ascoltatori saltavano annoiati le sta­
tistiche quotidiane sul numero di morti e contagiati nel mondo.
Ciononostante, nel periodo della pandemia da Coronavi­
rus, quando praticamente tutto il mondo nell’arco di poche
settimane ha vissuto il drammatico pericolo di perdere la vita,
la salute e anche la sicurezza socio-economica, qualcosa nel
nostro mondo è accaduto: sono diventati più profondi il senti­
mento di perdita delle certezze e la paura di una minaccia glo­
bale. Al prolungato sconvolgimento delle tradizionali certezze
religiose, nella nostra epoca si è aggiunto quello delle certezze
dell’umanesimo secolare e della fiducia nell’onnipotenza di
un controllo tecnico-scientifico sul mondo. Lo stress psichico e
la paura per il futuro hanno preparato il terreno per inquietu­
dini razziali e sociali e per un’ulteriore crescita dell’influenza
ideologica di populisti ed estremisti di destra e di sinistra, per
le fake news e le teorie cospirazioniste, per la ricerca di capri
espiatori e per la xenofobia, la demonizzazione di tutto ciò che
è straniero e sconosciuto.

***

Il processo di globalizzazione ha raggiunto l’acme all’inizio del


nuovo millennio: tutto il nostro mondo è connesso in molti
142 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

modi, tuttavia non è unito, e anzi questa interconnessione ren­


de ancora più palesi e profonde le grandi differenze sociali e
culturali esistenti.
Siamo testimoni di molte proteste contro la globalizzazione
e di una ‘controcultura’ nei confronti dei tentativi di connette­
re ancora di più il nostro pianeta. Nel mondo non occidentale
molte persone percepiscono il processo di creazione di una ci­
viltà globale come una minaccia, come la manifesta aspirazio­
ne aH’egemonia da parte della società occidentale e delle sue
élites. Non ritengono ideale né universale il modello di società
occidentale. Samuel Huntington ha espresso questo sentimen­
to in un suo libro: «Ciò che per l’Occidente è universalismo,
per il resto del mondo è imperialismo»5.
Ma anche in Occidente (soprattutto nel mondo post-co­
munista che è divenuto parte dell’occidente) le teorie co-
spirazioniste generano la paura della globalizzazione. Molte
persone non sono in grado di accettare il fatto che la globaliz­
zazione non è un processo gestito da un unico centro; è diffi­
cile per loro comprenderlo e controllarlo a livello razionale e
preferiscono allora immaginare l’esistenza di segreti centri di
potere gestiti da determinati gruppi o personalità6.
Esiste, nel nostro mondo globalmente connesso, ancora
qualcosa che possa creare una cultura della vicinanza e di una
autentica vicendevolezza? C’è qualcosa che possa avvicinare al­
meno un poco il nostro mondo alla visione di Gesù della casa
del Padre, dove «vi sono molte dimore»7? Le religioni nella loro
forma tradizionale non riescono più a recitare il ruolo dell’in-

5S.P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale (1996), Milano,
Garanti, 2000.
6 Come le fantasie sugli ‘illuminati’ o la demonizzazione di personalità quali
George Soros o Bill Gates, che sostituiscono o completano le paure precedenti
verso i complotti internazionali di ‘ebrei e massoni’. Un caso estremo è rappre­
sentato dalla bugia paranoica chiamata QAnon, una teoria cospirazionista nata
nell’ottobre del 2017 e appoggiata anche dal presidente Trump e dai suoi soste­
nitori.
’Cfr. Gvl4,2.
DAL villaggio globale alla civitas oeojmenica 143

tegrazione - il ruolo della religio- e non ci riuscirà nessuna tra


le ideologie secolari.
Se il cristianesimo intende contribuire alla coltivazio­
ne della società globale, allora dev’essere un cristianesimo
‘svuotato’ (nel senso della kenosis) da qualsiasi rivendicazio­
ne di potere e da qualsiasi grettezza clericale. Questo mondo
non ha bisogno di un ‘impero della cristianità’, né di un’i­
deologia cristiana; esso può trarre beneficio solo da un cri­
stianesimo ecumenicamente aperto e pronto al servizio di tutti
i bisognosi.
***

La riflessione di Teilhard de Chardin secondo cui la fase più


alta dell’evoluzione, della civilizzazione planetaria, presuppone
l’energia dell’amore suona idealistica agli scettici della nostra
epoca; tuttavia ci ricorda qualcosa di estremamente importan­
te. ‘Spiritualità’, come ci accingiamo a dimostrare, è il nome
della passione dello spirito - e ci sono compiti che è impossibile
svolgere senza passione. «Solo l’amore», ha scritto Teilhard de
Chardin, «[...] sa prendere e congiungere gli esseri mediante
il loro lato più profondo, [... ] solo l’amore è capace di compie­
re gli esseri, in quanto esseri, riunendoli»8. L’amore è desiderio
appassionato di unione.
Teilhard de Chardin percepiva i tentativi di unità dei regimi
totalitari come una caricatura pericolosa della reale unità, cui
solo la libera scelta può condurre, e manifestazione più alta di
questa libertà è l’amore, la libertà dall’egoismo. Perciò vedeva
in questa fase dell’evoluzione un compito particolare per i cri­
stiani, per l’idea cristiana di amore.
Sono convinto che la diffusione dell’amore così come lo in­
tendeva Gesù sia un compito non solo per i cristiani come sin­
goli, ma anche per la società cristiana, per le Chiese che sono

8 P. Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano (1995), Brescia, Queriniana, 2010,


p. 247.
144 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

‘intessute’ nel grande organismo dell’umanità e che di questo


insieme hanno la responsabilità condivisa.
Una forma convincente di amore cristiano, soprattutto per
l’epoca attuale, è Y ecumenismo, lo sforzo di convertire il mondo
in una oikoumene, uno spazio da abitare, una casa. Con il termi­
ne ‘ecumenismo’ la maggior parte delle persone intende l’a­
spirazione aH’awicinamento tra le Chiese cristiane. Il Concilio
Vaticano II ha introdotto spunti per riflettere su un ‘secondo
ecumenismo’ come dialogo interreligioso e infine su un ‘terzo
ecumenismo’, per costruire una reciprocità tra i credenti e chi
non condivide una fede religiosa.
Tra i diversi documenti della storia cristiana, a lanciare la
sfida più urgente all’apertura ecumenica è stata l’enciclica di
papa Francesco del 4 ottobre 2020, Fratelli tutti.
Sono convinto che, come la democratizzazione della Chie­
sa nella Riforma ha contribuito alla democratizzazione della
società europea in quanto tale, così gli sforzi ecumenici po­
tranno oltrepassare, nella loro crescita, lo spazio ecclesiastico e
contribuire a ciò che papa Francesco chiama fratellanza uma­
na, il compito più grande dell’oggi: trasformare il processo di
globalizzazione in processo di comunicazione e condivisione
culturale, di autentica vicinanza.
Il fatto che le persone in tutto il mondo utilizzeranno gli
stessi prodotti e le stesse conquiste tecnologiche, guarderanno
gli stessi film e giocheranno agli stessi videogames e forse paghe­
ranno con la stessa moneta, non le renderà parte di un’unica
famiglia. Lo scopo del processo di unità dell’umanità, o dell’u­
nità dei cristiani, non è l’omologazione, l’omogeneizzazione,
ma la reciproca conoscenza e il reciproco completamento,
l’ampliamento delle prospettive e il superamento dell’unilate­
ralità.
Bisogna mettersi in guardia nei confronti delle promesse
ideologiche sul ‘cielo in terra’ che vengono da progetti po­
litici di stampo totalitario. Il cristianesimo ci insegna la ‘pa­
zienza escatologica’ (e con essa anche il realismo politico):
non si arriva all’unità completa dell’umanità nel corso della
storia, il suo culmine sarà nell’abbraccio di Dio. Tutto allora
pal villaggio globale alla crvms oecumenica 145

sarà sottomesso a Cristo, Cristo lo sarà a Dio Padre e Dio sarà


«tutto in tutti»9.
Tuttavia, compiere certi passi su questa strada è un dovere
per l’oggi e per il domani - per il pomeriggio del cristianesimo
Sono convinto che la fede che nasce dai suoi ruoli premodemi
di religione e da quello moderno di Weltanschauung possa esse­
re il lievito che fa crescere la nuova oikoumène. Specialmente
nella nostra epoca percepiamo la dialettica interna tra fede e
pensiero critico, tra la convinzione originaria e la ricerca con­
tinua che porta con sé anche i dubbi. Questo apre uno spazio
per una riflessione più umile su di sé, e quindi anche per una
reciprocità più profonda tra culture e religioni. Ed è uno dei
principali messaggi morali di questo libro: è giunto il tempo
per un ecumenismo più profondo - per V autotrascendmza della
cristianità.
***

L’attuale crisi della globalizzazione mette il mondo di fronte


alla scelta tra due alternative, al punto di intersezione fra la
minaccia di uno ‘scontro di civiltà’ e la speranza di una civitas
oecumenica.
Al tempo della caduta di Roma e delle grandi migrazioni
di popoli - in una situazione storica in qualche modo simi­
le alla nostra, un’epoca che segue alla disgregazione di un
mondo bipolare, un’epoca di crisi migratoria e di paura pel­
le tensioni interne a un mondo fatalmente interconnesso -
sant’Agostino rifletteva su una serie di domande teologico-
politiche. Chi e per cosa voleva Dio punire con tali eventi?
Agostino rigettò questo tipo di speculazione e alla soglia di
una nuova epoca elaborò la sua originale teologia della storia.
Non parlò di scontro tra civiltà, ma di lotta tra due amori che
pervadevano il mondo e anche la Chiesa: l’amore di sé fino al

9 «E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’Egli, il Figlio, sarà sottomesso a
Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (ICor 15,28).
146 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

disprezzo di Dio e l’amore di Dio fino al martirio di se stessi.


Questi sono i fondamenti delle due comunità: la civitas terrena
e la civitas Dei.
Anche la nostra epoca necessita di una nuova teologia del­
la storia, di una nuova visione. Se i singoli popoli, le singole
culture e religioni, in un mondo in cui non è più possibile iso­
larsi, coltiveranno ‘l’amore per se stessi’ senza rispetto per il
prossimo e i suoi bisogni e interessi, a emergere sarà la civitas
terrena di cui scriveva sant’Agostino. Gli Stati in cui la politica è
dominata dall’egoismo nazionale senza scrupoli (nello spirito
dello slogan di Trump America first), in cui si innalzano muri di
disinteresse per il prossimo e si rinnega la responsabilità condi­
visa della giustizia globale, diverranno - per citare ancora Ago­
stino - «bande di ladri»10.
Ma partendo dal punto in cui è oggi la civitas terrena, dove
porta la strada verso la civitas Dei? Nei documenti ecclesiasti­
ci degli ultimi decenni troviamo molti spunti per una ‘civiltà
dell’amore’ e una ‘nuova cultura politica’. Il compito del po­
meriggio del cristianesimo è riempire queste parole con azioni
ed esempi concreti.

10 Agostino, De civilaleDei, IV, 4.


X. Un terzo illuminismo?

Papa Francesco ha descritto il nostro tempo non solo come


epoca di cambiamento, ma come cambiamento d’epoca1. Con
epoca intende chiaramente un capitolo della storia caratte­
rizzato da un determinato complesso sia di condizioni di vita
esterne sia di modi di comprenderle e di reagire ai relativi mu­
tamenti. I cambiamenti d’epoca, inclusa quella in cui ci trovia­
mo a transitare, per me sono il kairos, la sfida e l’opportunità
di cambiare il nostro pensiero e le nostre azioni, di superare
un’ulteriore soglia sul cammino del cambiamento stesso (me­
tanolo,) cui ci ha invitati Gesù nei suoi primi discorsi. Uno dei
motivi d’esistenza della Chiesa è ricordare sempre questa sfida
al cambiamento: «Non conformatevi alla mentalità di questo
mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di
pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buo­
no, a lui gradito e perfetto»2. Metanoia è rinnovamento interio­
re, mai conformità a ciò che ci è esternamente prossimo e alla
sua mentalità. Essa presuppone l’arte del discernimento spirituale.
È necessario continuare a chiedersi sempre «ciò che lo Spirito
dice alle Chiese»3, impegnarsi a comprendere i segni dei tempi.

1 «Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cam­
biamento d’epoca» (cfr. il discorso di papa Francesco all’incontro con i rappre­
sentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10 novembre
2015, Il nuovo umanesimo in Cristo Gesù: https://www.vatican.va/content/france-
sco/it/speeches/2015/november/documents/papa-francesco_201511 lOJiren-
ze-convegno-chiesa-italiana.html).
2ñml2,2.
Mp2,ll.
148 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

***

Mi chiedo se nell’ultimo quarto di secolo non sia iniziata un’e­


poca culturale che potremmo chiamare ‘terzo illuminismo’ e
quale influsso avrà questa epoca sulla nostra civiltà, compresa
la vita religiosa.
Così come nella storia continuano a ripresentarsi riforme e
rinascimenti variamente importanti, esistono anche varie epo­
che e forme di illuminismo4. Con ‘illuminismo’ intendo quelle
rivoluzioni culturali o quei mutamenti dei paradigmi culturali
che rappresentano la ribellione contro le autorità e le tradizioni
di un dato momento, il desiderio di libertà ed emancipazione,
e quindi sempre una certa forma di liberalismo. Intendo qualco­
sa di più radicale dei cambiamenti che investono le mentalità
culturali al passaggio tra una generazione e l’altra. Anche se
le forme politiche di queste rivoluzioni risultano solitamente
sconfitte, il loro impulso culturale si inscrive per sempre nella
vita della società.
I periodi illuministi hanno di solito un doppio volto. Spesso
associamo il termine ‘illuminismo ’ con il culto della ragione.
Tuttavia anche il notissimo Illuminismo del XVII e soprattutto
del XVIII secolo, che invocava l’intelletto come nuova divinità
salvatrice, mostrava una certa dialettica di luce e oscurità, ragio­
ne e follia. L’Illuminismo di allora ha preparato il terreno per
la Rivoluzione francese, la cui fase radicale fu il Terrore giaco­
bino. Il lato oscuro e complementare del culto della razionalità
è stata la liberazione dei ‘demoni’ della violenza rivoluzionaria,
di quegli spettri perfettamente ritratti negli schizzi di Franci­
sco Goya o ne Z demoni di Fëdor M. Dostoevskij. Filosofi della
cultura come Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, Michel
Foucault, Hannah Arendt o Zygmunt Bauman, che non è leci­
to sospettare di nostalgia conservatrice per la premodernità,
hanno dimostrato in modo molto convincente questo aspetto

4 Quando uso qui ‘Illuminismo’ con l’iniziale maiuscola, intendo il primo illumi­
nismo del XVII e XVIII secolo.
UN TERZO ILLUMINISMO? 149

nascosto deH’Illuminismo che sfocia nella razionalità degenere


dei regimi totalitari5.
Con il termine ‘secondo illuminismo’ indico la protesta
contro le autorità svoltasi alla fine degli anni Sessanta del XX
secolo, che ha dato adito a una serie di fondamentali movi­
menti di emancipazione. Espressione del bisogno di libertà
era allora l’esigenza di autenticità e realizzazione di sé. Questo
secondo illuminismo ha raggiunto il proprio apice con la ri­
voluzione culturale del 1968, la cui fase radicale è giunta con
le proteste studentesche in Francia, Germania, Stati Uniti e
altri Paesi.
Anche la Primavera di Praga del 1968 si può considerare
come una variante della rivolta antiautoritaria di quel perio­
do. Quando il tentativo dei marxisti riformisti di trasformare il
regime comunista cecoslovacco in un più democratico ‘socia­
lismo dal volto umano’ è sfuggito alla regia del Partito comu­
nista e ha suscitato un forte desiderio di democrazia effettiva
negli strati più ampi della popolazione, tutto è finito sotto i
cingoli dei carri armati dei neostalinisti sovietici.
In Occidente la ribellione degli studenti e degli intellettuali
di sinistra si è arenata in politica, ma ha avuto successo nella
cultura, segnandone in modo permanente la temperie morale.
Oltre a un individualismo più profondo, ne è espressione tipi­
ca il culto della giovinezza. Mentre tradizionalmente la giovinezza
era considerata come una fase preparatoria della vita, in quel
momento è divenuta attributo dell’umanità ideale. Se come
archetipo dell’ideale del primo Illuminismo - la conoscenza
come potere - possiamo considerare il Faust di Goethe, l’im­
magine profetica del grande mito del secondo illuminismo,
del culto dell’eterna giovinezza, è il romanzo di Oscar Wilde II
ritratto di Dorian Gray.

sCfr. ad esempio T.W. Adorno - M. Horkheimer, Dialettica dell’illuminismo (1947),


Torino, Einaudi, 1966; Z. Bauman, Modernità e Olocausto (1989), Bologna, il Muli­
no, 1992; H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Mila­
no, Feltrinelli, 1964; M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione (1975),
Torino, Einaudi, 1976.
150 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

Mentre l’illuminismo del XVIII secolo tendeva all’affranca­


mento della ragione dalla supremazia della tradizione e dell’au­
torità ecclesiastica, il secondo illuminismo ambiva alla liberazio­
ne di ciò che nel dominio della ragione era sottovalutato: la sfera
emotiva, la libido, la sessualità. Il secondo illuminismo ha oppo­
sto al culto apollineo della ragione la cultura dionisiaca del not­
turno, dello ctonio, del caotico, degli stati alterati della coscienza
(anche sotto l’effetto di sostanze psichedeliche) posta in rilievo
da Nietzsche; alla censura del ‘superego’ paterno e sociale, Freud
ha opposto la ritrovata forza della libido, e parte integrante della
rivolta contro le convenzioni sociali è stata la rivoluzione sessuale.
Non è stata, però, la repressione della polizia a soffocare la
carica rivoluzionaria degli anni Sessanta, bensì la vittoria della
mentalità consumista. Un esempio dell’ironia della storia sta
nel fatto che molti attributi dell’an ti conformismo e della pro­
testa di allora contro la società del consumo (il modo di vestirsi
e di portare i capelli, la musica e le manifestazioni artistiche
provocatorie) sono diventati in poco tempo uniformi e beni
di consumo nell’industria dell’intrattenimento di massa. Impa­
dronendosi della rivoluzione sessuale, l’industria della porno­
grafia ha introdotto la banalizzazione e la commercializzazione
del sesso piuttosto che l’umanizzazione di questa importante
dimensione della vita. Alla necessità di andare oltre la quotidia­
nità, sfuggire alla noia e sperimentare stati estatici di coscienza
ha poi risposto il meccanismo di mercato con un’ampia offerta
di droghe di ogni tipo.
Il clima morale e psicologico del secondo illuminismo - met­
tere in discussione e scuotere tradizioni e autorità - ha influen­
zato anche la scena religiosa degli anni Sessanta. L’atmosfera
di generale ammorbidimento (compreso un mitigarsi della
Guerra fredda) ha permeato il contesto culturale del Concilio
Vaticano II, portatore di riforme, e ha sostenuto la tendenza
liberale nel pensiero cattolico. Con quel Concilio, la Chiesa è
stata capace di assumere (soprattutto nella propria dottrina so­
ciale) molti valori dell’umanesimo secolare in precedenza de­
monizzati, provenienti dal primo Illuminismo, come la libertà
di coscienza e di credo.
UN TERZO ILLUMINISMO? 151

L’altro volto spirituale degli anni Sessanta è stato il boom


di spiritualità non tradizionali in forma di nuovi movimenti re­
ligiosi; a partire dalle carismatiche correnti cristiane come i
Jesus People, che in quel periodo si sono diffusi in primo luo­
go nelle università americane, per arrivare a un miscuglio di
alcuni elementi di spiritualità orientale e di psicologia e psico­
terapia umanistica, del profondo e transpersonale, solitamente
chiamato New Age. A differenza della sobria religione moraliz­
zatrice, queste correnti spirituali offrivano esperienze emozio­
nali di estasi, una ‘ebbrezza di Spirito Santo’, svariate tecniche
di meditazione e anche l’uso di sostanze psicotrope. Anche il
secondo illuminismo, dunque, ha avuto tanto una fonna politi­
ca quanto una spirituale. H

***

Siamo ora testimoni di un ‘terzo illuminismo’? Quello che


stiamo vivendo oggi ha molte sfaccettature differenti. La parte
emotiva, irrazionale, ctonia della nostra epoca di cambiamenti
forse si manifesta tanto nelle proteste no global quanto nell’at­
tuale ondata di violenze e disordini, che vanno dall’abbatti­
mento di monumenti considerati simbolo di un passato colo­
niale iniziato nel 2020 (cancel culture) - una protesta tipicamen­
te illuminista contro le autorità del passato -, fino all’attacco
fascista al Campidoglio, simbolo della democrazia americana,
provocato nel gennaio 2021 dal presidente populista Trump.
Se il secondo illuminismo era insorto, alla fine degli anni
Sessanta, soprattutto contro la generazione immediatamente
precedente, quella dei genitori che avevano vissuto la Secon­
da guerra mondiale e l’inizio della Guerra fredda negli anni
Cinquanta, il terzo illuminismo procede più in profondità nel
rifiuto del passato - ad esempio con il già menzionato abbat­
timento dei monumenti - e contesta l’eredità secolare della
civiltà occidentale, che incolpa di razzismo, colonialismo, ma­
chismo e sciovinismo culturale.
La sfiducia nei confronti dell’attuale organizzazione eco­
nomica e politica del mondo favorisce l’estremismo politico,
152 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

il populismo e il fanatismo. Analogamente a quanto accadu­


to durante la crisi economica degli anni Trenta del XX seco­
lo, le sinistre e le destre si fanno più radicali. In alcuni Stati
postcomunisti, come si è già detto, arriva al potere la destra
nazionalista, mentre, soprattutto nell’ambiente accademico di
alcune università in America ed Europa occidentale, i fautori
delle ideologie di sinistra di multiculturalismo e politicamente
corretto (che in origine dovevano proteggere il pluralismo e la
tolleranza) si comportano con una tale intolleranza, arroganza
e fanatismo verso i propri avversari ideologici da ricordare le
epurazioni dell’epoca comunista.
Diversamente dagli anni Sessanta dello scorso secolo, nell’at­
tuale era di internet il processo di globalizzazione si è molto
velocizzato; lo stato di connessione del mondo aumenta però
il carattere di rischio della nostra epoca: molte minacce, dalle
crisi economiche e finanziarie alle malattie infettive, si diffon­
dono in modo fulmineo e a macchia d’olio oltre ogni confine.
E a velocità simile si diffondono anche slogan, idee e umori
della società.
Le nuove visioni culturali e politiche del terzo illuminismo
stanno per molti aspetti ancora prendendo forma. Di queste
ci dicono qualcosa i valori e le parole d’ordine che attraggono
la generazione più giovane. Se il primo Illuminismo ha signi­
ficato uno sforzo di emancipazione della ragione dall’oppressione
della tradizione e dell’autorità, e il secondo una emancipazione
deU’emotività (e con essa della sessualità) dall’oppressione delle
convenzioni sociali, la chiave del terzo illuminismo sarà soprat­
tutto una liberazione della natura dall’oppressione della manipo­
lazione tecnico-economica operata dall’uomo, il rispetto per le
minoranze e per tutto ciò che è minacciato, compresa la natu­
ra. E evidente che i giovani di oggi che manifestano contro la
devastazione della natura e lo sterminio degli animali talvolta
proiettano nel ‘mondo che non ha voce’ il proprio sentimento
di vulnerabilità.

***
UN TERZO ILLUMINISMO?
153

Il primo Illuminismo ha inaugurato un’epoca di modernità di


cui il secondo è stato palesemente l’ultimo capitolo. Il terzo
illuminismo, quello odierno, cerca ‘la luce’, la libertà e il senso
nel caotico mondo postmoderno globalizzato, dove i frutti del
potere tecnico-scientifico della razionalità umana, e soprattut­
to la manipolazione e la devastazione della natura, portano a
sentimenti di impotenza contro l’irrazionalità del mondo.
Il primo Illuminismo ha invocato libertà e uguaglianza, so­
vranità di popolo e nazione, ha smantellato la società fondata
su aristocrazia e gerarchia dei ceti, ha portato alla società bor­
ghese. Il secondo illuminismo, ispirato in Occidente da un’in­
terpretazione peculiare di marxismo e maoismo, ha invocato
l’abbattimento della ‘democrazia borghese’ e, in particolare
sotto l’influsso della psicologia umanistica, ha fatto propria
la bandiera della realizzazione di sé contro qualsiasi censura e
limitazione: ‘vietato vietare’. (La protesta contro la censura e
il controllo di Stato - allora da parte del regime comunista
molto più rigido e repressivo - ha giocato un ruolo signifi­
cativo anche negli eventi della Primavera di Praga.) Lo zelo
anarchico delle proteste studentesche occidentali è passato
L’ideale della realizzazione di sé dell’individuo e di uno stile
di vita edonistico senza alcun vincolo è stato conquistato dal
mercato privo di limiti del capitalismo globale. Tale sistema
economico ha però condotto l’umanità sull’orlo della cata­
strofe ecologica.
È per questo motivo che il terzo illuminismo pone un accen­
to forte sulla responsabilità nei confronti dell’ambiente, soprattutto
di fronte a ormai innegabili cambiamenti climatici, e rifiuta con
veemenza il capitalismo neoliberale e la sua ideologia di cresci­
ta senza limiti. I movimenti legati alla diffusione di uno stile di
vita alternativo esigono austerità, finanche un certo ascetismo,
nell’alimentazione e nell’abbigliamento, acquisendo talvolta
un carattere pseudoreligioso. La profetessa bambina di questo
movimento, Greta Thunberg, ha ottenuto l’attenzione dei me­
dia globali.
Grande parte della gioventù di oggi è cosmopolita, accoglie
e apprezza la pluralità culturale; come ho già ricordato, è sensi-
154 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

bile al rispetto peri diritti delle minoranze, comprese quelle sessua­


li6, rifiuta il razzismo, il nazionalismo e lo sciovinismo culturale.
Si radicano ancor più profondamente l’individualismo e il di­
sprezzo per le istituzioni tradizionali, compresi i partiti politici
e le Chiese. Al contempo, però, cresce la disponibilità di una
parte considerevole della generazione più giovane a partecipa­
re a diverse iniziative e movimenti civili. All’epoca della marea
migratoria verso l’Europa, così come al tempo della pandemia
da Coronavirus, molti giovani hanno mostrato solidarietà per
le persone in difficoltà e hanno preso parte con spirito di sacri­
ficio alle attività di volontariato.
Etichettando troppo facilmente i movimenti dei giovani
come neomarxisti, i rappresentanti dell’attuale establishment
sociale (ma anche ecclesiastico) affermano la loro incapacità
di comprendere a fondo le novità che essi propongono. Spes­
so trascurano il fatto che tali movimenti hanno una notevole
componente etica, ma si concentrano su valori morali diversi
rispetto a quelli della generazione precedente.
La generazione dei giovani di oggi si sente a casa in una so­
cietà digitale, postindustriale e postmaterialista; è attratta più
dal mutamento costante e dalla ricchezza di esperienze che da
un reddito alto e dalla carriera. Il suo spazio vitale principale è
il mondo virtuale della rete. Là, tuttavia, sono in agguato i pe­
ricoli che questa civiltà corre: la superficialità frivola, generata
da una sovrabbondanza di informazioni impossibile da elabo­
rare a dovere sia sul piano intellettuale sia su quello emotivo, e
la pseudo-vicinanza sui social networks’.
Il primo e il secondo illuminismo erano accompagnati
dall’impaziente attesa dell’approdo rivoluzionario a un futuro

6 Questi motivi si riscontravano già nell’ambito del secondo illuminismo negli


anni Sessanta.
7 Nel periodo in cui sto scrivendo questo libro non è ancora chiaro se il passaggio
obbligato della comunicazione interpersonale (nell’ambito professionale, educativo
e anche ecclesiastico) alla rete, come conseguenza della pandemia da Coronavirus,
ci porterà ad abituarci a un nuovo tipo di comunicazione oppure se, al contrario,
ci permetterà di renderci conto dell’insostituibilità del contatto personale diretto.
UN TERZO ILLUMINISMO?
155

migliore, la generazione odierna non associa la rabbia per lo


stato attuale della società e i suoi responsabili ad alcuna esca­
tologia contemplativa della speranza: i giovani percepiscono il
proprio futuro e quello del mondo per lo più a ùnte molto
cupe. Barlumi di speranza si trovano nei suddetti tentativi di
trovare uno stile di vita alternativo, non commerciale Alcuni
fenomeni radicali che investono le giovani generazioni porta
no i testimoni del Sessantotto a ritenere che si tratti piuttosto
di una recidiva delle battaglie della sinistra di allora Tuttavia è
probabile che l’inquietudine morale di oggi nei prossimi anni
acquisti, confrontandosi con mutamenti sociali, politici e an­
che spirituali, una dimensione ideale e politica propria
XI. L’identità del cristianesimo

Le riflessioni presenti in questo libro sono accompagnate dalla


convinzione che un aspetto importante del cristianesimo del
pomeriggio sarà un’apertura ecumenica sempre più profonda.
I passi coraggiosi intrapresi sulla via del superamento dei con­
fini mentali e istituzionali esistenti si scontrano con domande
allarmanti: non tradiremo, così, il nostro cristianesimo? Non
renderemo opaca l’identità della nostra fede? Questi dubbi
- come del resto la gran parte dei dubbi che ci portano alla
riflessione critica su noi stessi - sono sani e utili. Conducono
alla domanda che è sempre necessario continuare a porsi, so­
prattutto in situazioni di mutamento dei paradigmi culturali:
in cosa consiste la cristianità della nostra fede, in cosa consiste
l’identità del cristianesimo?
La risposta semplice che la cristianità del cristianesimo sta
nella fede in Gesù Cristo è certamente giusta. Tuttavia, la sua
correttezza deve superare la prova del confronto con molte al­
tre domande. In cosa crediamo, quale fede professiamo quan­
do affermiamo di credere in Cristo? Crediamo nella natura di­
vina di Cristo e nella sua resurrezione, ostacoli per quei ‘non
credenti’ che, pur condividendo con noi la meraviglia e l’amo­
re per la natura umana e l’umano carattere di Cristo, su questo
punto si separano da noi? Oppure crediamo con la fede di Gesù,
quella con cui Gesù credeva (Jides qua) e in cui credeva (Jìdes
quaé) ? La nostra fede è soprattutto fiducia nella veridicità della
testimonianza di Gesù su Colui che chiamava Padre?
Per secoli la preparazione dei candidati sacerdoti nelle fa­
coltà di teologia è consistita nel dedicarsi, prima che allo studio
della teologia in senso stretto, allo studio della filosofia e della
158 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

‘teologia naturale’. Questa organizzazione didattica ha però


portato al fatto che alla domanda ‘chi intendesse Gesù quando
parlava di suo Padre nei cieli’ i candidati avessero una risposta
già pronta: lo stesso Dio di cui avevano potuto imparare le ca­
ratteristiche e le qualità ai corsi di metafisica. Temo che questa
precomprensione abbia condotto a una fatale incomprensio­
ne, a una comprensione distorta del cuore stesso del Vangelo.
Gesù non credeva nel Dio dei filosofi, ma nel Dio di Àbra­
mo, Isacco e Giacobbe, nel Dio che ha parlato a Mosè fra le
fiamme di un fuoco. Questa differenza è stata colta da Pascal
nel suo illuminismo notturno. Presupposto della teologia cri­
stiana dev’essere, al contrario, il coraggio di ‘dimenticare’ ra­
dicalmente, di ‘mettere tra parentesi’, tutte le nostre idee uma­
ne su Dio, dalle costruzioni metafisiche fino alle fantasie indi­
viduali, con l’umile ammissione (o la saggia consapevolezza)
che non sappiamo chi è Dio, non sappiamo che cosa le persone
(noi compresi) intendevano e intendono con questa parola, e
dobbiamo piuttosto cercare a. chi si riferiva Gesù quando parla­
va del Padre.
Desideriamo fare il nostro ingresso nel rapporto di Gesù
con il Padre, il che equivale a tentare l’impossibile, se non sarà
Gesù stesso a inviarci l’intercessore e Aiutante.
II Concilio Vaticano I ha insegnato - prendendo le distanze
dal fondamentalismo biblico da una parte e dal vago fideismo
emotivo dall’altra - che rientra nelle possibilità dell’intellet­
to umano giungere, attraverso la riflessione sulla creazione, a
una salda convinzione dell’esistenza del Creatore. Tuttavia non
dovremmo in nessun caso confondere tale convinzione con la
fede, virtù in cui il dono divino della grazia pervade nell’essenza
la libertà umana di accogliere questo dono; con la fede in cui
l’apertura di Dio (la Rivelazione) incontra l’apertura dell’uo­
mo; con la capacità di ascoltare Dio e ubbidire a Dio {potentia
oboedientialis). La nostra fede non si appoggia alle opinioni dei
metafisici su Dio. Il fulcro del cristianesimo è il rapporto di
Gesù con il Padre. Questo ci è mostrato dai Vangeli, in quanto
conservano la parola di Gesù e raccontano la sua storia, che a
sua volta testimonia tale rapporto.
l’identità del cristianesimo
159

Gesù dice ai suoi discepoli: «Abbiate la fede di Dio!». Tra­


duzioni più prudenti indeboliscono e alterano questa frase-
«Abbiate fede in Dio!»1. Ma Gesù dice qualcosa di più- in lui
Dio non è ‘oggetto’, ma ‘soggetto’ della fede. I classici manua­
li di teologia stabiliscono che Gesù non possiede la virtù della
fede, non ne ha bisogno perché, dopotutto, è Dio. Tuttavia
la Scrittura stabilisce che Gesù è «guida e perfezionatore di
fede»2. Nella sua fede c’è la fede di Dio stesso, la sua rischiosa
fiducia in noi. Dio risveglia la nostra fede e la accompagna con
la fiducia nella nostra libertà, la fiducia che risponderemo al
suo dono con la nostra fede e la nostra fedeltà. Dio «rimane
fedele, perché non può rinnegare se stesso»3. È fedele anche
quando noi siamo infedeli. Crede in noi anche quando noi
non crediamo in lui. E più grande del nostro cuore, del cuore
umano in cui sempre la fede combatte con l’incredulità la
fedeltà con l’infedeltà.
Nella vicenda di Gesù, la fede, la fiducia e l’amore di Dio
per noi uomini è da noi uomini crocifissa, uccisa, seppelli­
ta. Tuttavia non resta chiusa nel sepolcro. Il poeta ceco Jan
Zahradnicek, che come pochi altri ha sofferto il buio del Get­
semani, ha scritto che le potenze terrene cercano disperate-
mente «di impedire che la storia superi il mattino del Venerdì
Santo»4. La vicenda della Pasqua, però, non lascia all’inferno e
alla morte l’ultima parola. Si conclude con la notizia che l’amo­
re è più forte della morte.

1 Entrambe le citazioni sono da Me 11,22. L’Autore cita però per prima la tra­
duzione della Bibbia di Kralice («Mëjte vini Bozil»), versione ceca autorevole
risalente all’ultimo trentennio del XVI secolo. La seconda citazione, «Mèjte viru
V Bohal», è tratta, al pari della versione italiana, dall’ultima traduzione nazionale
approvata dalla Conferenza episcopale [NdT\.
* Eb 12,2. Come sopra, l’Autore cita la Bibbia di Kralice («[Hled’me na] pùvodee
a dokonavatele viry Jezise») invece della traduzione più recente ([s pohledem
upfenÿm na] Jezise, kterÿ vede nasi vini od poëâtku az do Cile»), corrispondente
all’italiano «Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» [NdT].
3 2Tm2,13.
’ J. Zahradnifiek, Znameni mod, in Id., Dito II, Praha, Ceskoslovenskÿ spisovatel,
1992.
160 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

Nei Vangeli leggiamo come lentamente e faticosamente la


luce del mattino di Pasqua si fa strada nel buio del lutto e del
dubbio degli apostoli. Gesù giunge loro trasfigurato in modo
irriconoscibile dall’esperienza della morte. A volte mi sembra
che neppure a noi si siano ancora ‘aperte le orecchie’ per rice­
vere questa notizia; che, mentre la notizia del folle nietzsche­
ano sulla morte di Dio si è già radicata tra di noi, quella della
resurrezione non sia stata ancora del tutto compresa e accolta.
Arriva a noi spesso in una forma banale (come la notizia della
mera rianimazione di un corpo morto o come l’espressione
simbolica che ‘la questione di Gesù va avanti’), facilmente re-
spingibile.
Questa notizia diventa invece credibile nel fatto che, attra­
verso la testimonianza di vite dei cristiani, è evidente che Cristo
vive in laro, nella loro fede, speranza e soprattutto nella forza e
nell’autenticità del loro amore solidale. «[...] perché io impari
a credere al loro redentore: più redenti dovrebbero sembrar­
mi i suoi discepoli!»5, dice Nietzsche a noi cristiani. La nostra
libertà - la redenzione dalla schiavitù di ogni tipo - diviene così
la testimonianza più credibile della resurrezione di Cristo, di
queste pietra angolare della nostra fede.

***

L’espressione ‘Gesù è Dio’ ha molti significati, e alcune del­


le sue interpretazioni hanno generato una grande quantità di
incomprensioni ed eresie, come quelle del monofisismo e del
docetismo, che negavano la reale umanità di Gesù. L’idea che
Gesù sia Dio accanto a Dio ha portato al conflitto con gli ebrei
e i musulmani, che sospettano il cristianesimo di tradire il mo­
noteismo, la fede nell’unico Dio. Tali eresie non hanno dan­
neggiato solo il pensiero cristiano e la teologia, ma anche la
spiritualità e la prassi sociale cristiana. L’umanità (umanesimo)

5F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per lutti e per nessuno (1883), Milano,
Adelphi, 1995, p. 138.
l’identità del cristianesimo
161

dei cristiani si è sentita soffocata dall’ombra di questo accento


posto sulla divinità di Gesù, che a sua volta ha adombrato o
messo in dubbio la sua reale umanità. I cristiani possono pro­
fessare al meglio la fede nella reale, radicale, umanità di Gesù
attraverso l’ortoprassi, l’umanità radicalmente realizzata e la
‘con-umanità’, l’umanità-insieme.
E la professione della divinità di Gesù? Nei Vangeli la incon­
triamo esplicitamente in un unico luogo, quando il dubbioso
apostolo Tommaso nel toccare le ferite di Gesù risponde: «Mio
Signore e mio Dio!»6. Credo che dovremmo allontanare la fede
nella divinità di Gesù dalle molte interpretazioni teologiche e
definizioni dogmatiche e posizionarla in questa scena, dove ha
il suo Sitz im Leben (il suo posto nella vita, il suo contesto vitale)
A partire dalla fiamma della risorta fede di Tommaso, potrem­
mo riesaminare la verità di tutte quelle dichiarazioni che da
questo fondamento si sono allontanate.
Ripercorro spesso il ricordo di un momento di ‘risveglio’
quando si è aperta per me una nuova comprensione di questa
frase, e al contempo della mia fede in Cristo, nella sua resur­
rezione e nella sua unità con Dio Padre. È accaduto durante
una mia visita della città indiana Madras: nelle vicinanze del
luogo dove secondo la leggenda l’apostolo Tommaso è stato
martirizzato, mi sono recato in un orfanotrofio cattolico, pieno
di bambini abbandonati affamati e malati7. Là ho compreso-
sono queste le ferite di Cristo! Chi nel nostro mondo ignora le
ferite della miseria, della sofferenza e dei dolori di ogni tipo,
chi chiude gli occhi davanti a essi e rifiuta di toccarli, non ha il
diritto di dire: «Mio Signore e mio Dio». Richiamiamo indietro
la nostra fede nella divinità di Gesù dalle definizioni dogmati­
che, il cui linguaggio è per molti nostri contemporanei incom­
prensibile, riportiamola indietro fino all’ortoprassi della nostra
apertura solidale verso la teofania (la rivelazione di Dio) nella
sofferenza delle genti nel mondo. Lì, nelle ferite del nostro

6 Gv 20,28.
’ Cfr. T. Halik, Tocca leferite, cit., pp. 17-19.
162 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

mondo, possiamo vedere Dio in modo autenticamente cristia­


no e toccare un mistero altrimenti difficilmente tangibile.
***

Se siamo in cerca di ciò che il cristianesimo ha portato nel­


la storia della fede, allora non possiamo tralasciare l’insegna­
mento di Gesù, e in particolare la sua insistenza sul legame tra
l’amore per Dio e l’amore per l’uomo. Molti testi del Nuovo
Testamento ripetono che chi afferma di amare Dio (che non
ha visto) e non ama il proprio fratello è un ipocrita e un bugiar­
do8. E, al contrario, l’amore solidale per il prossimo implica la
fede in Dio. Nella descrizione che Gesù fa del Giudizio univer­
sale leggiamo che la verità della propria fede e l’appartenenza
a Cristo sono dimostrate da chi ha manifestato un amore attivo
per i bisognosi, anche senza una motivazione esplicitamente
‘cristiana’. Queste persone non sapevano di star servendo Cri­
sto stesso9. Gesù ha affermato che non è suo vero discepolo chi
adora il suo nome, chi lo chiama ‘Signore, Signore’, ma chi
compie la volontà di Dio10.
Questa è una rettifica importante dell’interpretazione delle
parole di Gesù riguardo al suo essere l’unica porta che consen­
te l’accesso a Dio Padre11 in modo ‘esclusivo’ (attraverso un’e­
sclusione). Un’interpretazione rigidamente esclusiva di queste
parole significa negare ai non cristiani la possibilità della sal­
vezza. Tuttavia il racconto del Giudizio universale nel Vangelo
di Matteo mostra come l”io’ di Gesù sia più ampio: ne fanno
parte tutti quei ‘più piccoli’ con i quali si identifica. Ciò signifi­
ca che chi rende loro il servizio dell’amore solidale arriva a Dio
attraverso Cristo, anche se non lo nomina e non lo riconosce.
Cristo è nascosto in lui.

«Cfr. IGv 4,20.


9 Cfr. Mi 25,31-46.
10 Cfr. Mi 7,21.
11 Cfr. Gv 10,7-10.
l’identità del cristianesimo
163

collie insegna xPaolo nella Lettera


Come nnegna Mlippesi, «egli svuotò
tenera ai Filippesi,
se stesso» (ekenosen seauton, letteralmente: si rese vuoto)12. Egli
è la porta, e la porta aperta è uno r*- —-------
spazio ¿
vuoto, dunque 8
un pas-
saggio che può consentire l’accesso13. La vera kenosìs (il donare
. . .. -------K- donare
seistessi, lo svuotare se stessi) e il motivo per cui il Padre ha
‘elevato’ Gesù e gli ha dato un nome potente: lo ha reso*‘Cristo
universale’, Signore onnipotente e onnipresente.
Torniamo al tema della fede implicita nella Lettera di Gia Gir ­
( ’
como: chi si riempie ’la bocca con *la fede,
"
ma di una fede senza
nessun atto d’amore, è un ipocrita, la sua fede è morta­

mi :altro può' mostrare una fede implicita, anonima, inespressa
a parole, eppure presente nel suo modo di vivere14. Se dunque
siamo in cerca della fede cristiana così come la descrive il Nuo­
vo Testamento, non la dobbiamo cercare solo là dov’è legata a
una dichiarazione esplicita per Gesù, non la dobbiamo cercare
esclusivamente entro i confini della Chiesa tradizionalmente
intesi. Esistono anche ‘discepoli che non ci seguono’, ‘cristiani
anonimi’, una ‘Chiesa invisibile’15. Gesù non ha permesso ai
suoi discepoli troppo zelanti e gretti di impedire a chi ‘non ci
seguiva’ di testimoniarlo liberamente a modo proprio.

***

La vicenda umana di Gesù è incorniciata, nelle narrazioni del


Nuovo Testamento, dalla teologia degli scritti di Paolo e di
Giovanni, in cui l’uomo Gesù è soprattutto Cristo. Ciò, in Pao­
lo e Giovanni, ha un significato di portata ancora maggiore
del Messia degli ebrei promesso dalle profezie. La Chiesa ci
insegna che l’umanità terrena di Gesù è una paleo-santità, un
simbolo, un segno attivo che rimanda a ciò che è dietro e al
di sopra di sé, e allo stesso tempo è l’espressione di sé di Dio
stesso. Per il Vangelo di Giovanni, Gesù Cristo è il Verbo, legato

12 Cfr.FiZ 2,6-11.
15 Cfr.Gv 10,7-10.
"Cfr. Gc 2,17-18.
15 Cfr. Afe 9,38-40.
164 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

nell’essenza a Dio stesso; attraverso di lui, e con lui e in lui, Dio


è il principio creatore di tutte le cose, «il mondo è stato fatto
per mezzo di lui»16. Perciò in questo Vangelo traspare, nelle
parole di Gesù su se stesso introdotte da «Io sono» {ego cimi),
l’io di Dio stesso: «Io e il Padre siamo una cosa sola»17. Nell’A­
pocalisse di Giovanni, Gesù Cristo è alfa e omega, inizio e fine
della storia del tutto; è il suo senso primo e ultimo.
Per Paolo, Gesù è crocifisso, risorto e accolto nella gloria
cosmica del Padre come Cristo universale, Signore e giudice
del cielo e della terra. L’universalità del cristianesimo di Pao­
lo è fondata sull’universalità di Cristo, non solo sulla persona,
sulle vicende e sugli insegnamenti dell’uomo Gesù di Nazaret.
Più che dal Gesù storico (‘secondo il corpo’), Paolo è attratto
dal Cristo ‘secondo lo Spirito Santo’, che abbatte ogni limite e
infine vince e sostituisce anche l’ego stesso dell’apostolo, che
afferma infatti «non vivo più io, ma Cristo vive in me»18.
Se il cristianesimo vuole essere di nuovo, nel contesto dell’at­
tuale società globale, un’offerta universale, deve mostrare, così
come hanno fatto Paolo, i Padri greci della Chiesa, i mistici,
la spiritualità francescana, la teologia spirituale dell’oriente
cristiano e la cosmologia mistica di Teilhard de Chardin, un
Cristo decisamente molto ‘più grande’ di quello descritto nelle
varie predicazioni di carattere sentimental-moralista o scolasti­
camente insipido degli ultimi secoli. Una tra le coraggiose e
stimolanti prove di cristologia che si collegano principalmente
alla teologia e alla mistica francescane è il concetto di «Cristo
universale» nell’omonimo libro di Richard Rohr19.
Questa visione di un Cristo onnipresente e onnipotente nel
quale si giunge all’unità del divino e dell’umano e al compi­
mento dell’incarnazione attraverso la cristificazione della ma-

,6Cfr. Gv 1,10.
17 Gv 10,30.
18Cfr. Gal 2,20.
19 Cfr. R. Rohr, The Universal Christ: How a forgotten reality can change everything we
see, hopefor, andbelieve, Colorado Springs (CO), Convergent Books, 2019.
l’identità del cristianesimo
165

teria, a mio parere risuona in armonia non solo con la lezione


di Teilhard su Cristo come punto omega dello sviluppo cosmi­
co, ma anche con la nota teoria di Karl Rahner sui «cristiani
anonimi»: incontriamo Cristo in tutte le persone, battezzate
e non battezzate, credenti e anche non credenti. Per Rahner
ogni uomo è, già per la sua umanità, legato a ciò in cui Dio ha
realizzato la theosis dell’umanità come tale.
La theosis dell’umanità attraverso Cristo è un tratto caratteri­
stico soprattutto della teologia e della spiritualità dell’oriente
cristiano. Questo ‘segreto del Natale’ è d’altronde articolato
dal sacerdote anche nella liturgia cattolica occidentale a ogni
messa: come l’acqua si lega al vino, chiediamo che la nostra
umanità si leghi al divino di colui che ha accolto la nostra uma­
nità. Afferma Richard Rohr: Cristo è in tutte le creature
L idea di Cristo come obiettivo escatologico misterioso della
storia e anche di ogni vita umana apre nuove possibilità al se­
condo e al terzo ecumenismo: consente di avvicinarsi alle altre
religioni e alle ‘persone non religiose, ma spirituali’. In dialogo
con l’ebraismo e con l’islam, possiamo dimostrare che la nostra
fede non è il culto pagano dell’uomo Gesù, che potremmo far
passare per un ‘secondo dio’ mettendo, in tal modo, in perico­
lo la purezza della fede in un unico Dio. In dialogo con l’uma­
nesimo secolare, poi, possiamo dimostrare la profondità mi­
stica del nostro rispetto per l’umanità. Il nostro rapporto con
l’umanesimo non religioso non può rimanere sulla posizione
di superficiale alleanza di convenienza, deve invece essere ela­
borato dal punto di vista teologico e filosofico e sfociare in una
meditazione comune. Solo allora potrà divenire un contributo
maturo alla comune ricerca di una risposta alla remotissima,
non semplice, domanda ‘cos’è l’uomo?’.

***

Ma procediamo ancora oltre e più in profondità. La Chiesa e la


sua fede sono cristiane nella misura in cui sono pasquali: muore
e risorge dai morti. Esistono molte forme di fede, su un piano
personale (la fede infantile, la fede come mera ‘eredità dei pa-
166 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

dri’, ma anche l’entusiasmo primigenio dei convertiti) e anche


sul percorso della Chiesa attraverso la sua storia, che un gior­
no dovrà estinguersi. Talvolta i credenti attraversano l’oscurità
del Venerdì Santo, la sensazione che Dio li abbia abbandonati,
quando una forma di fede cui erano abituati perisce. Ma chi
resiste a queste notti oscure (alle prove della fede individuale,
ma anche alle notti collettive della fede nella storia), presto o
tardi potrà vivere la luce del mattino di Pasqua, il cambiamento
della propria fede.
Al dramma pasquale appartiene infatti anche il mistero
esplicitato in una frase importante della professione di fede
apostolica: è disceso agli inferi. Nella vicenda della Passione,
Gesù scende prima negli inferi della crudeltà e della violenza
umane e poi ancora in inferi più profondi, i più profondi in­
feri dell’abbandono: l’abbandono da parte di Dio stesso. Nella
devozione popolare del Venerdì Santo, e soprattutto nella spi­
ritualità francescana, è evidente il rispetto per le ferite inflitte
al corpo di Gesù; non possiamo però dimenticare la ferita più
profonda, quella nel cuore, espressa con una domanda colma
di dolore: Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Se tocchiamo le ferite di Gesù nei dolori e nella miseria de­
gli uomini, allora nelle tenebre della fede trafitta, crocifissa e
morente di molte persone tocchiamo la ferita senza cui la vi­
cenda pasquale non sarebbe completa. Solo due degli evangeli­
sti hanno avuto il coraggio di citare queste parole. In Giovanni
sono inghiottite dalla luce (il suo concetto di Passione lega la
croce direttamente alla vittoria pasquale) : nelle tue mani con­
segno il mio spirito, tutto è compiuto. Tuttavia, nella vita di
molte persone questa ferita resta aperta e non cicatrizzata, la
domanda sul senso della sofferenza rimane senza risposta.
Anche la nostra fede, temo, non è completa e pienamente
cristiana se non trova il coraggio di entrare in questa oscurità
della croce e nel silenzio del Sabato Santo. La morte di Gesù
sulla croce come ‘morte di Dio’ è il tema di molti sofisticati
trattati teologici e filosofici, e anche di certa poesia mistica.
Mi viene in mente questo pensiero: quando la devozione po­
polare contempla il Sabato Santo presso la tomba di Dio, non
l’identità del cristianesimo 167

significa forse che, in un certo senso, anch’essa sa della ‘mor­


te di Dio’?
Nelle icone bizantine vediamo illustrato il senso della disce­
sa di Gesù negli inferi: da lì, Gesù conduce a passo di danza il
corteo dei morti. Davanti a questa icona penso sempre che la
resurrezione di Cristo conduca verso la luce della salvezza an­
che quelli che la nostra fede troppo stretta ha per secoli inviato
all’inferno: un mondo intero di ‘credenti in un altro modo’
In realtà non c’è alcun dogma che ci impedisca di sperare che
dopo il passaggio di Gesù all’infemo, questo rimanga vuoto
Ho scartato vigliaccamente il titolo originario di questo ca­
pitolo: «Gesù all’infemo». Ciononostante credo che l’enuncia­
to ‘è disceso agli inferi’ sia un articolo importante della nostra
fede e che il passaggio per il cristianesimo pomeridiano sia
attraverso il buio del mezzogiorno, di cui è parte integrante
anche l’esperienza dell’abbandono che Gesù ha gridato nell’o­
scurità meridiana sul Golgota e che condivide con molte perso­
ne sofferenti nel nostro mondo.
***

Il cristianesimo vivo è in movimento, accade, diviene, è sem­


pre imperfetto, sta percorrendo la strada della propria conclu­
sione escatologica. Nel cristianesimo si tratta proprio di quel
‘nascere di nuovo [dall’alto]’20; del mutamento (metanoia). In­
tendo questo mutamento in modo piuttosto diverso dai mol­
ti cristiani pentecostali ‘rinati’ o da coloro che pensano alla
conversione solo come cambio d’opinione o ‘miglioramento
morale’. Tutti questi sono solo aspetti parziali sulla strada del
‘divenire cristiani’; si tratta più che altro di qualcosa che ac­
compagna naturalmente la conversione, sono conseguenze

" Cfr. Gv 3,1-21. A differenza della versione ceca (Gv 3,3: «nenarodi-li se kdo
znovu», «se uno non nasce di nuovo»), quella italiana usa «dall’alto». L’identità
del significato è dichiarata in glossa al testo, ma si è scelto di renderla esplicita in
tutte le occorrenze accanto alla traduzione CEI per non generare confusione nel
lettore [NdT].
168 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

della stessa, tuttavia non è possibile ridurre la conversione solo


a questi fattori. La vita che viene dalla fede non è riducibile né
al convincimento {belief), né alla morale, né al vissuto emotivo
della ‘seconda nascita’; la meta-noia è il mutamento esistenziale
integrale dell’uomo.
Cristo non è venuto per offrirci un ‘insegnamento’ (una
dottrina), ma piuttosto un cammino da percorrere, nel qua­
le impariamo ininterrottamente a mutare la nostra umanità,
il nostro modo di essere umani, comprese tutte le nostre re­
lazioni: con noi stessi e con il prossimo, con la società, con la
natura e anche con Dio. Questo è il suo ‘insegnamento’: non
certo la dottrina, la teoria, l’insegnamento ‘a proposito di qual­
cosa’, ma il processo attraverso cui si impara, l’insegnamento
‘di qualcosa’. Questa è la prassi pedagogica e terapeutica di
Gesù. Il suo ‘nuovo insegnamento ’ è «dato con autorità»21, e
questa autorità consiste nella capacità di mutare l’uomo, di
cambiare le sue motivazioni e i suoi scopi, il suo orientamento
fondamentale nella vita. Gesù è maestro di vita (Lebenmeister,
se vogliamo prendere in prestito il termine usato da Meister
Eckhart), più che rabbino o filosofo o solo ‘maestro di morale’.
La fede che insegna, questa risposta esistenziale alla sfida della
conversione, è la partecipazione alla vicenda sempre in atto
della resurrezione.
Non è possibile ridurre la resurrezione di Gesù alla ‘riani­
mazione di un cadavere’ e la resurrezione dei credenti a una
vicenda post mortem. Paolo parla della resurrezione dei credenti
come di una vita radicalmente nuova qui e ora22. La resurrezio­
ne - la resurrezione di Gesù, la resurrezione dei credenti (la
conversione), anche la resurrezione della Chiesa (le riforme e
i movimenti di rinnovamento) - non è un ritorno al passato,
una ripetizione di ciò che è cessato. La resurrezione è sempre
un mutamento radicale.
La narrazione del Giudizio universale nel Vangelo di Mat-

21 Cfr. Afe 1,27.


22 Cfr.Rm 6,3-11.
l’identità del cristianesimo
169

teo ci dice che Cristo attraversa la storia e le nostre vite nell’a­


nonimato, e solo sulla soglia del futuro escatologico si spoglia
dei suoi molti travestimenti: già, quel povero, nudo, indifeso
perseguitato... quello ero Io! In quei bisognosi lungo la neh
stra strada c’è già la parusia, la sua seconda venuta e allo stesso
tempo il giudizio su di noi. L’ultima crisi, il giudizio finale, sarà
solo il compimento di questo processo nascosto. La nostra vita
e la storia della Chiesa sono l’avventura della ricerca del Cristo
nascosto. Non tappiamo le orecchie di fronte al pianto di chi
soffre, è sfruttato e perseguitato, non chiudiamo gli occhi da­
vanti alle ferite e al dolore del nostro mondo, non chiudiamo
il cuore ai poveri e agli emarginati, perché così facendo po­
tremmo non udire in loro la voce di Gesù, potremmo mancare
1’incontro con Gesù.
La resurrezione non finisce con il mattino dopo il Sabato
Santo. Come parliamo di creatio continua, possiamo parlare an­
che di resurrectio continua. La vittoria di Gesù sulla morte, sulla
colpa e sulla paura continua nella storia, nella fede della Chie-
sa e nelle vicende delle singole persone. La vita nascosta del
Risorto (Gesù si è mostrato «non a tutto il popolo»23) è come
un fiume sotterraneo che sgorga in superficie negli eventi di
conversione dei singoli, e anche nelle riforme della Chiesa.
Sant Agostino ha affermato che pregare significa chiudere
gli occhi e accorgersi che Dio, ora, crea il mondo. Aggiungo
questo: credere, diventare cristiani, significa aprire il cuore e
accorgersi che Gesù, ora, risorge dai morti.

a Al 10,41.
• •
XII. Dio da vicino e Dio da lontano

Possiamo immaginare la storia della fede, di cui quella cristia­


na è una parte importante, come un fiume che scorre nei terri­
tori di diverse culture. Possiamo anche paragonare la fede alla
memoria collettiva, nella quale si iscrivono le esperienze delle
persone e delle società credenti1.
In che modo questo fiume sfocia nelle vite dei singoli? Come
diventano credenti gli individui? In che modo partecipano alla
vita della fede? E come diventano cristiani?
La risposta del diritto canonico è semplice: una persona di­
venta cristiana con il battesimo. Un adulto può essere battezzato
- a eccezione di casi straordinari - solo dopo una debita prepa­
razione catechistica e dopo aver fatto professione di fede. È pos­
sibile battezzare i bambini piccoli solo quando la Chiesa - rap­
presentata durante il rito dai genitori e dai padrini e preferibil­
mente da tutta la comunità parrocchiale riunita - ne garantisce
la fede. I bambini vengono battezzati ‘sulla fede della Chiesa’ e
dovranno poi farla propria attraverso l’educazione: nella Chiesa
cattolica il sacramento della cresima, concesso idealmente alla
soglia dell’età adulta, funge da sigillo del battesimo, è l’occasio­
ne in cui la persona battezzata in età infantile nella fede della
Chiesa dichiara consapevolmente la propria, personale fede.
Un passo significativo nel processo verso l’ecumenismo è
stata la decisione di una serie di Chiese cristiane di riconosce­
re la vicendevole validità del battesimo. Il teologo americano

1 II concetto di religione come memoria collettiva è elaborato, ad esempio, dal­


la sociologa francese Danièle Hervieu-Léger (cfr. D. Hervieu-Léger, Religione e
memoria [1993], Bologna, il Mulino, 1996).
172 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

David M. Knight ha di recente sollevato la questione, piutto­


sto logica, del perché allora la Chiesa cattolica non riconosca
ai cristiani non cattolici che abbiano un battesimo valido - se
ammette che con ciò essi vivono, come i cattolici, nella ‘grazia
santificante’ - le stesse condizioni dei propri membri anche
rispetto agli altri sacramenti2. Non costituiscono, i sacramenti
stessi, un valore più grande delle rispettive interpretazioni teo­
logiche e dei vetusti conflitti che ci dividono anche quando
ormai alla maggior parte dei cristiani non dicono più nulla?
Un altro aspetto dei dibattiti teologici sul sacramento del bat­
tesimo - sul battesimo come requisito per la salvezza - è emer­
so già all’inizio della storia della Chiesa. Possono essere salvati
i catecumeni che credono in Cristo, ma non hanno ricevuto
il battesimo perché sono morti durante il catecumenato - e
soprattutto se sono morti da martiri? Sebbene non battezzati,
hanno infatti affermato la loro fede con la testimonianza più
grande che sia pensabile, il sacrificio della vita! La Chiesa di
allora - ad esempio con le parole di san Cipriano - ha risposto
a queste domande parlando di ‘battesimo di sangue’ e più tardi
anche di ‘battesimo di desiderio’, intendendo quei catecumeni
battezzati, per quanto in via eccezionale, validamente.
Il concetto di battesimo di desiderio, su cui ha scritto an­
che Tommaso d’Aquino, è stato approfondito nel XX secolo
dal teologo ceco Vladimir Boublik, nel corso del suo esilio ro­
mano, nella sua teoria del «catecumenato anonimo»3. Boublik
ha proposto questa teoria come alternativa al noto concetto di
Rahner dei «cristiani anonimi». Similmente a Rahner, egli so­
stiene la speranza della salvezza anche per coloro che per vari
motivi (almeno soggettivamente legittimi) non hanno ricevuto
il battesimo e non sono entrati formalmente nella comunità
della Chiesa, ma nel corso della loro vita sono stati condotti

2 Cfr. D.M. Knight, Should Protestants receive Communion at Mass?, in «La Croix
International», 23 luglio 2020: https://international.la-croix.com/news/reli-
gion/should-protestants-receive-communion-at-mass/12797.
5 Cfr. V. Boublik, Teologie mimokfest’anskÿch nábozenství, Kostelni Vydfi, Kanne-
litánské nakladatelstvi, 2000; cfr. Id., Teologia delle religioni, Roma, Studium, 1973.
DIO DA VICINO E DIO DA LONTANO
173

dalla propria coscienza sulla via della ricerca della verità, del
bene e della bellezza. L’insegnamento sulla possibilità della
salvezza per i non battezzati e per le persone senza una fede
esplicita in Cristo è divenuto un punto saldo della dogmatica
cattolica per mezzo dei documenti del Concilio Vaticano II4
L’assenza di una fede esplicite non deve essere allora intesa
come il suo rifiuto. Persino il rifiuto verbale di Cristo e della
Chiesa può in alcuni casi essere (e talvolta è) solo il rinnega­
mento di false nozioni che una persona si è creata (ad esempio
generalizzando le esperienze negative avute con l’ambiente dei
credenti). Al contrario, il gesuita americano Leonard Feeney è
stato scomunicato dalla Chiesa cattolica per disubbidienza nei
confronti dei superiori e per l’intransigente affermazione che
i non cattolici non possono essere salvati - quindi per l’appli­
cazione radicale ed esplicite dell’enunciato extra Ecclesiam nulla
salus-, e questo ben prima dell’ultimo Concilio5. Le questioni
riguardanti i confini della Chiesa, il rapporto tra Chiesa visi­
bile e invisibile, sono dibattute da secoli in teologia, e non è
possibile racchiuderle in un’unica definizione dogmatica. Lo
Spirito di Dio guida la Chiesa nella storia, ne cambia il volto, la
introduce senza interruzione nella pienezza della verità e ispira
anche la sua riflessione teologica su di sé, così come sui suoi
mutamenti storici. Tale azione dello Spirito nella Chiesa finirà
solo con il compimento della sua storia nell’abbraccio di Dio;
negarla significherebbe rischiare di macchiarsi della colpa con­
tro lo Spirito Santo, colpa dalla quale Gesù ci ha messo in guar­
dia con forza6. Non solo nella dottrina del Concilio Vaticano II,
ma anche nel pensiero di importanti teologi ortodossi, possia­
mo incontrare l’affermazione che «sappiamo dov’è la Chiesa,
ma non possiamo essere sicuri di dove non sia»7.

4 Cfr. Lumen Gentium, 16; Gaudium et spes, 22.


5 La scomunica di Leonard Feeney del 1953 è stata preceduta dalla presa di posi­
zione del Sant’Uffizio dell’8 agosto 1949.
6 Cfr. Me 3,28-29.
7 K. Ware, The Orthodox Church, London, Penguin, 1993, p. 308.
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
174

Un’ultima riflessione sul battesimo. Se in questo libro svi­


luppiamo una teologia processuale della fede, dobbiamo
accogliere anche l’idea di un processo dei sacramenti, soprat­
tutto del sacramento del battesimo. Il mistero del battesimo,
l’evento dell’‘immersione in Cristo’, non si esaurisce mai, non
finisce nel momento della somministrazione del sacramento.
La vita divina (la ‘grazia’) irrora con il battesimo l’intera esi­
stenza e l’intera persona del battezzato irriga in modo perma­
nente tutto ciò che in lui è ‘arido e imperfetto’ e scalza nell’in­
tero corso della sua vita le pietre del peccato e dell’incredulità;
si infiltra negli strati più profondi della sua consapevolezza e
del suo inconscio, nel suo pensiero, nel suo sentimento, nel­
le azioni, e anche nel santuario della sua coscienza. La grazia
del battesimo è la vita di Dio nell’uomo, l’energia dello Spirito
Creatore ( Creator Spiritus) e Consolatore (Parakletos) che ci è
stato promesso e genera il movimento permanente della meta-
noia, del mutamento. Il battesimo è signum indelebile che perma­
ne anche laddove lo stesso battezzato non se ne renda conto e
non collabori attivamente con tale grazia; il dono non perde il
suo carattere di dono neanche quando chi lo ha ricevuto non
lo apprezza.
Nella nostra epoca i teologi continuano a tornare su un con­
cetto più ampio di sacramento e di sacralità, antecedente alla
limitazione medievale del numero di sette sacramenti sancito
dal Concilio di Lione del 1274. Proprio il Concilio Vaticano II
ha ampliato e approfondito la dottrina dei sacramenti con il
concetto di Cristo e della Chiesa come paleo-sacramento - anche
in questo caso si tratta del ‘segno visibile della grazia invisibi­
le’. Tuttavia, la Chiesa cattolica insegna al contempo che l’a­
zione dello Spirito nell’uomo non è legata solo ai sacramenti
(Deus non tenetur sacramentis suis) e non è neppure circoscritta
ai confini della ‘Chiesa visibile’. Se la Chiesa sostituirà il con­
cetto strettamente giuridico di se stessa con la meraviglia per la
generosità della libertà di Dio e per l’amore che trascende ogni
cosa, allora questo darà un impulso allo sviluppo dell’ecume-
nismo in tutte e tre le sue dimensioni di cui ci siamo occupati
in precedenza.
DIO DA VICINO E DIO DA LONTANO 175
***

Alla domanda su come il fiume della fede sfoci nella vita delle
singole persone, come queste diventino credenti e cristiane,
non possiamo trovare una risposta soddisfacente rimanendo
solo entro il diritto ecclesiastico. Abbiamo accennato al fatto
che il battesimo presuppone una professione di fede (per i
bambini almeno supplente) e che la Chiesa richiede che que­
sta professione non sia solo una formale ‘dichiarazione a paro­
le’, ma che sia sostenuta da un atto di fede (faith) consapevole,
libero e informato, da un convincimento (belief) e dalla deci­
sione di introdurre questo convincimento nella propria prassi
esistenziale.
La fede personale dei singoli individui è in ogni caso un se­
greto che sfugge al ‘controllo ecclesiastico’; chi battezza non
può mai avere la certezza totale che la fede del battezzando
sia autentica, così come non la possono avere neppure i testi­
moni ai quali viene chiesto per l’ammissione al catecumenato
di dichiarare che il catecumeno sia in buona fede. E non può
averne certezza assoluta neppure lo stesso credente, perché la
fede del singolo individuo può essere pienamente conosciu­
ta e giudicata, come stabilisce una delle preghiere liturgiche,
solo da Dio stesso8. Quando parliamo della fede delle singc>
le persone, e anche quando riflettiamo sulla nostra propria
fede, dobbiamo fare talvolta ricorso a parole di speranza: cre­
do che credo.
La fede è un viaggio, e per questo possiamo dire di essere
sul cammino della fede anche quando ci affligge la sensazio­
ne della sua debolezza e insufficienza; già il nostro desiderio
di credere e di ‘credere per davvero’ è un passo importante
su questa via. La fede è il cammino verso la certezza, tuttavia
la vera certezza, la pienezza della fede, sopraggiunge solo tra
le braccia di Dio, oltre l’orizzonte di questa vita e di questo

8 Nella preghiera per i defunti in uno dei canoni della messa si dice «perché Tu
conosci la loro fede».
176 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

mondo, nella visio beatifica, in cui fede e speranza si compiono


e terminano allo stesso tempo: vengono assorbite dall’amore,
che non cessa neppure in quel momento9.
Se la nostra fede si rivolge a Dio, allora si rivolge a ciò che
non possiamo possedere e neppure pienamente comprendere;
si comprehendis, non est Deus- ciò che credi di aver compreso, sii
certo che quello non è Dio, insegna sant’Agostino10. Se pren­
diamo in considerazione la definizione di amore come desi­
derio attribuita ad Agostino - amo: volo ut sis (amo significa:
voglio che tu sia) -, allora è lecito dire che al cuore della fede
cristiana in Dio c’è il desiderio dell’amore.
Quel ‘voglio’ non è in questo caso il comando autoritario
della volontà umana, ma l’umile riconoscimento del desiderio
che entra con speranza anche sul terreno dell’incertezza, nella
nube del mistero11. Il desiderio, come insegna Giovanni della
Croce, è luce interiore anche nella notte della fede. Il deside­
rio, la passione che brama intensamente di essere soddisfatta,
costituisce la linfa segreta della fede che possiamo indicare con
la parola ‘spiritualità’ - vita spirituale.
Chi è allora il ‘credente autentico’? Colui che ama. E sic­
come Dio, che non è una ‘cosa’ (e non può quindi essere ‘og­
getto d’amore’), ma è presente in tutto e al contempo tutto
trascende, l’amore per Dio racchiude tutto, è un amore senza
confini. L’amore umano per Dio non è un rapporto esclusivo
con una ‘creatura soprannaturale’ oltre l’orizzonte del mondo,
ma nella sua assenza di confini e di condizioni dev’essere assi­
milato all’amore di Dio stesso, che tutto racchiude e contiene
nell’esistenza; dev’essere assimilato a Dio, che è presente in tut­
to attraverso l’amore e in quanto amore.
Questo comandamento dell’amore (di un amore indivisibi­
le per Dio e per il prossimo) è il compito con il quale in questo

9Cfr. lCorl3,8-13.
10 Agostino, Discorsi, 117.3.5 (su Gv 1,1-3).
11 Per approfondire, cfr. T. Halik, Voglio che tu sia. L'amore dell’altro e il Dio cristiano
(2012), Milano, Vita e Pensiero, 2017.
DIO DA VICINO E DIO DA LONTANO 177

mondo e in questa vita non è mai possibile mettersi in pari


possiede - così come la fede - il carattere di invito a percorrere
una via sempre aperta. Il cristiano è invitato a somigliare a Dio
che non esclude nessuno dal suo amore12.
La grazia della fede sfocia dunque nella vita della singola
persona non primariamente nel momento in cui essa aderisce
razionalmente agli articoli di fede, ‘quando comincia a pensa­
re che Dio è’ - come molti immaginano la conversione -, ma
piuttosto nel momento in cui nella propria vita giunge alla tra­
scendenza (al superamento di sé, dell’egoismo e dell’interesse
egoistico), dunque a ciò che il cristianesimo intende con la pa­
rola ‘amore’. Il convincimento della fede (belief), dell’opinione
su Dio, è parte integrante dell’atto di fede a condizione che il
contesto sia la prassi dell’amore. Al di fuori di questo contesto
è solo una fredda «fede morta»13.
Persino la ricezione della grazia (quindi della vita di Dio)
nei sacramenti, senza una fede legata all’amore, sarebbe solo
un vuoto rituale, una sorta di magia14.

***

La Chiesa ha a lungo definito la fede come un atto di volontà


umana prodotto dalla grazia di Dio, una volontà che muove
l’intelletto affinché accordi il suo consenso agli articoli di
fede proposti dalla Chiesa. La fede è quindi ‘virtù infusa’ in
cui il dono di Dio incontra la libertà dell’uomo; l’iniziativa di
Dio è prioritaria, ma la libertà dell’uomo è altrettanto insosti­
tuibile. Per quanto questa descrizione della fede sia macchi­
nosa e scolastica, anche in essa si conserva l’esperienza che
la fede ha un carattere dialogico, che è incontro tra divino e
umano.

12 Cfr. Mi 5,43-48.
"Cfr. G« 2,17.
14 Ciò è espresso, nella teologia cattolica dei sacramenti, con la relazione di opus
operatum e opus operantis, l’elemento ‘oggettivo’ e ‘soggettivo’ nella somministra­
zione e ricezione dei sacramenti.
178 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

Una risposta alla domanda se e fino a che punto questo


modello teorico corrisponda all’empiria delle vicende umane
è proposta dalla psicologia. La psicologia della religione si è
concentrata spesso soprattutto sull’età dell’adolescenza, quan­
do in genere prende forma un orientamento verso una visione
del mondo. L’adolescente può consapevolmente dire sì o no
alla fede nella quale è stato educato, può discostarsene o al
contrario comprenderla meglio e accoglierla in modo nuovo,
più maturo rispetto a come gli è stata proposta nell’infanzia.
Le conversioni si verificano più frequentemente nel passaggio
all’età adulta: il credente può passare da una religione a un’al­
tra, oppure rinunciare del tutto alla vita di fede, così come una
persona fino a quel momento non credente può accogliere la
fede. Ma anche i credenti tradizionali possono attraversare,
nella nostra civiltà, una specie di ‘conversione’, accorgendo­
si che la loro religione non è universalmente accettata come
un fatto naturale e ciononostante decidendo liberamente di
proseguire nella tradizione accolta in precedenza. La sociolo­
ga britannica Grace Davie osserva che, mentre in passato mol­
ti credenti percepivano la propria partecipazione alla liturgia
come un obbligo incontestabile dato dalla tradizione, oggi si
recano a messa soprattutto coloro che vogliono parteciparvi in
base a una libera decisione15.
L’assenza di una pressione sociale che spinga le persone ad
‘andare in chiesa’ e a professare una fede ha portato una cer­
ta parte dei ‘cristiani culturali’16 ad allontanarsi dalla parteci­
pazione alla vita della Chiesa (forse con rare eccezioni per le
funzioni in occasione delle feste più importanti o di eventi fa­
miliari). Questo ‘salasso’ ha però rinvigorito sia le Chiese sia la
loro fede. Se la religiosità non è solo un’abitudine, se i credenti
riflettono sulla fede e mettono in pratica la religiosità per mez-

15 G. Davie, Religion in Modem Europe: A memory mutates, Oxford, Oxford Univer­


sity Press, 2000.
16 La sociologia indica con questo termine quei laici che riconoscono la religione
come parte della cultura, ma sono privi della fede come esperienza religiosa per­
sonale o rapporto individuale con Dio.
DIO DA VICINO E DIO DA LONTANO 179

zo della propria fede personale, allora ne reinterpretano di


norma il contenuto, ponendola in un nuovo contesto rispetto
alla propria educazione, che cresce, e alla propria maturazione
personale. La fede che viene accolta, se non è anche interio­
rizzata, se non ha messo radici nel mondo interiore emotivo e
intellettuale dell’uomo, difficilmente resisterà nei momenti di
crisi inevitabili nel mondo secolarizzato.
La psicologia del profondo e la psicologia dello sviluppo in­
fluenzata dalla psicanalisi hanno però messo in dubbio l’idea
che l’età chiave per la vita religiosa sia quella adolescenziale.
Erik Erikson ha coniato il termine basic trust (fiducia fonda­
mentale, Ur-vertraueri) indicando con esso un atteggiamento
basilare per la vita che si costruisce nei primissimi mesi di vita
del bambino, dal primo contatto del neonato con la madre e
con altre persone significative. Ana-Maria Rizzuto, psicoioga di
Harvard di origine argentina, ha sviluppato una psicologia del­
lo sviluppo della religione molto stimolante17. Le idee religiose
del bambino si generano spontaneamente nella primissima in­
fanzia sulla base delle esperienze infantili e in esse si riflettono
la fiducia o la sfiducia ‘fondamentali’. Con l’avanzare dell’età
queste idee religiose possono contribuire a sviluppare la fidu­
cia fondamentale o a correggere la sfiducia fondamentale. Da
quest’ultima può originarsi l’immagine patologica di un dio
malvagio foriera di disturbi della psiche e dello spirito. Una
reazione psicologica a quest’idea può essere l’ateismo, che in
genere si presenta inizialmente come una protesta contro un
certo tipo di religione, per poi evolvere in un’avversione per la
religione in quanto tale.
L’immagine infantile e spontanea di Dio, una personale,
emotiva, imprecisa e soprattutto inconscia image of God, giun­
ge prima o poi a confrontarsi con il concetto culturale di Dio
(concept of God) che al bambino viene somministrato dalla vita
religiosa in una data società soprattutto per mezzo dell’educa-

,7A.M. Rizzuto, La nascita delDio vivente. Studio psicoanalitico (1979), Roma, Boria,
1994.
180 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

zione in famiglia o a scuola. In questo percorso può accadere


che l’immagine infantile e spontanea di Dio venga completata
in armonia con il quadro culturale (il che promette una reli­
giosità più salda nel resto della vita), oppure che il bambino
rifiuti tale quadro e conservi la sua personale idea di Dio. In al­
tri casi, il bambino potrebbe scartare o relegare all’inconscio la
propria idea spontaneamente formata e accogliere al suo posto
il concetto offerto dalla cultura.
Ritengo che questa teoria possa contribuire a chiarire la si­
tuazione religiosa in Paesi come la Repubblica Ceca, dove la
maggior parte dei bambini per generazioni (e spesso ancora
oggi) non ha ricevuto alcun tipo di educazione religiosa. Le
persone si creano dunque un ‘proprio dio’, oppure diventa­
no atee quando, crescendo, escono dal periodo della religio­
sità spontanea dell’infanzia e non incontrano più alcun tipo
di religione. L’assenza di un’educazione religiosa vera e pro­
pria - soprattutto l’incapacità di comunicare con uno specifi­
co momento religioso mitopoietico del bambino - concorre
all’ampliamento del mondo dei nones, di cui si parla in uno dei
capitoli di questo libro.
***

La fede si incarna gradualmente nelle vicende umane degli in­


dividui. È un processo dinamico che dura una vita: nell’uomo
che in età adulta ha vissuto la conversione dall’incredulità alla
fede, anche il periodo dell’incredulità fa parte della sua vicen­
da di fede. Dal punto di vista teologico, Dio ha una propria sto­
ria con tutte le persone, credenti o meno, è presente nella loro
fede come nella loro incredulità: «Sono forse Dio solo da vici­
no? Oracolo del Signore. Non sono Dio anche da lontano?»18.
Ciò che la Lettera agli Ebrei descrive come un evento nella
storia della salvezza avviene anche sul piano individuale nelle
vicende dei convertiti: «Dio, che molte volte e in diversi modi

18 Gn-23,23.
DIO DA VICINO E DIO DA LONTANO 181
i
nei tempi antichi aveva parlato ai padri [,..] ultimamente, in
questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio»19. Dio ha
parlato a ognuno molte volte e in molti modi già prima che
l’uomo pronunciasse, di fronte all’annuncio del Vangelo, il ‘sì
e amen’ della propria fede consapevole.
Per questo, per una fede che non smetta mai di essere ricer­
ca di Dio, è importante la preghiera, non come mezzo dell’uo­
mo per spingere Dio a esaudire i suoi desideri, ma come crea­
zione di un silenzio interiore in cui la persona prova a perce­
pire la presenza del Dio nascosto e a capire la Sua volontà. A
differenza della visio beatifica dei santi in paradiso, la fede non
dispone dell’evidenza, della certezza di una conoscenza piena.
Se è umanamente autentica, conserva uno spazio legittimo per
le domande critiche che l’aiutano a crescere e a collaborare
con il suo lato divino (la fede come dono della grazia di Dio).
Il dubbio, accompagnamento salutare della fede che la rende
umile, non consiste nel dubitare di Dio, nel dubitare che Dio
esista, ma nel dubitare di se stessa, di quanto il credente com­
prenda la chiamata di Dio.
Il più profondo mistero della fede, dunque, non riguarda re­
sistenza di Dio. In poche parole, il cristiano non crede in un Dio
che potrebbe non esistere. Solo gli esseri contingenti (acciden­
tali), le ‘cose’, possono non essere. Un Dio che potrebbe non esse­
re, un Dio come essere tra gli esseri, davvero non esiste: un tale
Dio materiale sarebbe un idolo, non Dio. Il Dio in cui crediamo
da cristiani contiene tutto e al contempo tutto trascende0. Non
ha senso chiedersi se l’insieme del tutto esista; è invece naturale
chiedersi quale carattere abbia questo tutto e se sia possibile co­
municare in qualche modo con esso, posto che è infinitamente
più grande di qualsiasi nostro concetto o idea al riguardo.
La fede non acquista il proprio carattere cristiano attraverso
la convinzione che Dio esiste; non siamo diventati credenti cri-

19 Eb 1,1-2.
20 II cristianesimo rifiuta il panteismo, l’assimilazione di Dio al mondo; tuttavia
nella Bibbia troviamo alcuni passi importanti vicini al panenteismo, secondo cui
Dio comprende e allo stesso tempo trascende tutto ciò che è creato.
182 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

stiani perché crediamo nell’esistenza di Dio, ma - come dicono


le Scritture - perché «abbiamo conosciuto e creduto l’amore
che Dio ha per noi»21. L’obiezione che bisogna prima credere
nell’esistenza di Dio e solo allora nell’amore di Dio contrasta
con la logica del Vangelo: solo colui che ama può comprendere cosa
significhi la parola Did2.
L’amore non è una delle qualità di Dio, ma ne è la sostanza,
è il suo nome proprio. Forse il divieto di pronunciare il nome
di Dio è stato posto anche perché non è possibile costringere
l’amore in una parola. Si può esprimere l’amore solo attraverso
la propria vita. Dire parole d’amore che non sono sostenute da
atti di vita equivale a pronunciare questo nome di Dio invano
- equivale a peccare.
***

Ho già menzionato l’invito di Gesù: «Abbiate la fede di Dio!»23.


Abbiate la stessa fede che ha Dio! Dio ci ama e crede in noi, per­
ciò noi possiamo partecipare a questa sua fede avendo fiducia in
essa. Il contenuto della nostra fede non consiste nelle opinioni
sull’esistenza di Dio, ma in una risposta di fiducia nella sua fi­
ducia, in una risposta di amore al suo amore. La fede è infatti
inseparabile dall’amore e noi abbiamo entrambi, fede e amore,
solo in forma di speranza e desiderio, mai di possesso.
Credo per capire (credo ut intelligam), ma allo stesso tempo
ho bisogno di un certo tipo di comprensione come di uno spa­
zio dove la fede può vivere (intelligo ut credam)24. In genere la

!1 7Gv4,16.
“Cfr. IGv4,8.
a Meli ,22. [Nella Bibbia di Kraiice: cfr. supra, cap. XI, nota 1, NdT\.
“ Neque enim quaero intelligere ut credam, sed credo ut intelligam ( «Non cerco di capire
per credere, piuttosto credo per capire») - con questa frase Anseimo di Canter­
bury completa, nel suo Proslogion, l’enunciato di sant’Agostino credo ut intelligam
(dal Commento al Vangelo di Giovanni). L’idea di Agostino di una fede che cerca
di capire deriva dalla traduzione latina di Is 7,9: nisi credideritis non intelligetis («se
non crederete, non capirete»). Cfr. il Discorso 43di Agostino.
DIO DA VICINO E DIO DA LONTANO 183

fede in sé, come esperienza esistenziale specifica, è a suo modo


una forma di comprensione, di interpretazione del mondo e
della vita. Tra la fede e la comprensione, così come tra la fede
e l’amore, si instaura un circolo ermeneutico: si comprendono
a vicenda, non è possibile separarle.
Gesù ha promesso ai suoi apostoli che, se avessero avuto una
fede pari a un granello di senape, questa fede avrebbe com­
piuto cose inconcepibilmente grandi25. Spesso si interpreta­
no queste parole come un rimprovero agli apostoli, che non
avrebbero avuto una fede abbastanza forte. Ho propósto in un
mio libro un’interpretazione diversa come provocazione: la no­
stra fede è forse incapace di compiere grandi cose perché non
è abbastanza piccola26. Su di essa si sono accatastate tante cose
secondarie, idee e desideri. Solo la fede nuda, libera da ogni
zavorra, è la ‘fede di Dio’. Da san Paolo sappiamo infatti che
ciò che è grande negli occhi delle persone, per Dio è minusco­
lo e viceversa27.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù dice che un chicco di grano,
perché dia frutto, deve prima morire; se non muore, rimane
solo e perisce senza utilità28. Non funziona così anche la nostra
fede? Non deve forse imitare la kenosis di Gesù - estinguersi
nella sua forma attuale e svuotarsi - perché la pienezza di Dio
la possa riempire?
Nel corso delle nostre vite e della nostra storia festeggiamo
ripetutamente la Pasqua, per comprenderne meglio il senso
anno dopo anno; allo stesso modo anche la nostra fede deve
attraversare il mistero pasquale — la morte e la resurrezione. Le
notti oscure della fede, come ben sapevano i mistici, sono la
scuola della sua maturazione. Questo vale tanto per le nostre
vicende di fede quanto per la storia della fede. Non dobbiamo
temere i momenti in cui la nostra fede è inchiodata alla croce

25 Cfr. Mt 17,20.
26 T. Halik, La notte del confessore, cit.
27 Cfr. ICor 1,25-29.
28 Cfr. Gv 12,24.
184 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

del dubbio, quando discende negli inferi del dolore e dell’ab­


bandono e qualcuna delle sue forme perisce ed è posta nel
sepolcro. Dio parla a volte nel vento impetuoso della Penteco­
ste, altre in una brezza silenziosa, appena udibile, come a Elia
sull’Oreb29.
A volte le nostre personali crisi di fede coincidono con quel­
le storiche; d’altronde le nostre vicende esistenziali sono intes­
sute nella trama della storia. La nostra fede personale partecipa
non solo alla luce e alle gioie della fede della Chiesa, ma anche
ai suoi momenti bui. Cari Gustav Jung ha dichiarato che nel
corso di una profondissima depressione e crisi personale lo ha
aiutato il fatto di accorgersi che, in un certo senso, la sua crisi
stesse anticipando la crisi della nostra civiltà, la guerra mondia­
le30. Forse anche noi possiamo trarre beneficio dalla consape­
volezza che i dolori della nostra fede sono la partecipazione
misteriosa ai dolori della Chiesa e quindi al mistero della croce
di Gesù che continua. San Paolo ha scritto che i nostri dolori
sono quanto resta della sofferenza di Cristo da completare nel­
la storia31; a parte la creatio continua e la resurrectio continua, il
primo e più grande tra i teologi cristiani introduce la dottrina
della passio continua.
L’esortazione a sentire cum ecclesia è di solito posta come in­
vito all’obbedienza nei confronti delle autorità ecclesiastiche;
io la intendo invece come incoraggiamento a porre le proprie
domande, i propri dolori e dubbi, le proprie notti della fede in
un contesto più ampio, nella fede della Chiesa tutta. La Chiesa
come società della fede è anche società della condivisione di
esperienze sulla via che passa per oscure valli di ombre. Non
solo la nostra vicenda di fede, ma anche la storia della Chiesa
ha le sue primavere e i suoi lunghi, freddi inverni.

!9Cfr. /«e 19,12.


” C.G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni di C.G. Jung raccolti ed editi da Aniela Jaffi
(1961), Milano, 11 Saggiatore, 1965, pp. 218-220.
51 Cfr. Col 1,24.
DIO DA VICINO E DIO DA LONTANO 185

***

In che modo la Chiesa partecipa alla pienezza della verità di


Dio, di questa certezza di tutte le certezze? In che modo e
quanto essa versa quest’acqua della vita nei cuori e nelle menti
dei singoli credenti? Credo che possiamo usare il verbo subsistit
(sussiste, abita, è compreso), che ha prestato all’ecclesiologia
nei documenti dell’ultimo Concilio, un’importante dimensio^
ne ecumenica. Nel corso del burrascoso dibattito conciliare, in
una frase indicante che la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo
quell’est (è, equivale) è stato sostituito con subsistit. Nella Chie­
sa cattolica tangibile, quella che esiste qui e ora, è presente
(sussiste) la Chiesa di Cristo, la sposa misteriosa di Cristo la cui
piena gloria e bellezza sarà manifestata solo nell’orizzonte esca­
tologico deH’eternità.
Da ciò consegue anche che la concreta Chiesa cattolica ro­
mana ‘non occupa tutto lo spazio’ della Chiesa di Cristo, che
lascia un posto legittimo anche per le altre Chiese cristiane.
Questo importante fondamento teologico dell’ecumenismo
cristiano è stato conquistato una volta per tutte nel Vaticano II
anche se una successiva dichiarazione del Magistero ha smorzai
to con cautela tale generosità, emendandola in modo che nelle
altre Chiese sussiste la Chiesa di Cristo in modo un po’ diverso,
più modesto, rispetto alla cattolica romana32.
Potremmo affermare, in modo analogo, che nella dottrina
del Magistero sussiste la Verità che è Dio stesso, senza che tale
dottrina possa mai esaurire, in qualsiasi momento della storia,
la pienezza del mistero di Dio. L’asserzione che la dottrina uf­
ficiale della Chiesa propone la rivelazione di Dio in modo au­
tentico e sufficiente per la salvezza, e che non c’è bisogno di
attendere alcuna altra rivelazione, non significa certo che la
Chiesa ponga allo Spirito Santo il divieto di agire ulteriormen-

32 La dichiarazione Dominus lesus, pubblicata dalla Congregazione per la dottrina


della fede nell’agosto del 2000 e approvata da papa Giovanni Paolo II, aspira
addirittura a conservare il termine Chiesa solo per quella cattolica romana; le
altre comunità cristiane sono ‘Chiese’ in un altro senso rispetto a quella.
186 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

te. C’è sempre spazio per il libero soffiare dello Spirito, che
continuerà fino alla fine della storia a condurre i discepoli di
Cristo alla pienezza della verità. L’apertura ai nuovi doni dello
Spirito non deve però indicare una perdita, ingrata e sconside­
rata, del rispetto per il carattere fondamentale e vincolante del
tesoro costituito dai doni già ricevuti dallo stesso Spirito; Gesù
ha elogiato la saggezza dei maestri che da quel tesoro estraeva­
no cose nuove e antiche33.
Anche nella fede del singolo cristiano o di una data comu­
nità cristiana (ad esempio una scuola teologica) sussiste la fede
della Chiesa tutta, la pienezza dell’insegnamento cristiano; tut­
tavia la fede e la conoscenza del singolo cristiano o del dato
gruppo avranno sempre i propri limiti umani (storici, culturali,
linguistici e psicologici), e non potranno quindi assorbire la
fede della Chiesa nella sua pienezza. Per questo motivo sia i
singoli credenti sia le varie, concrete scuole di fede e spirituali­
tà hanno bisogno dell’integrazione e dell’eventuale correzione
offerta dalla Chiesa e dal suo Magistero. L’individuo credente
partecipa alla fede della Chiesa nella misura in cui la sua limi­
tata capacità di persona gli consente di incarnare il tesoro della
fede nella propria comprensione, nel proprio pensiero e nel
proprio agire. Già Tommaso d’Aquino insegnava la fede im­
plicita: nessun credente può contenere tutto ciò che la Chiesa
crede, ma ne comprende e accoglie esplicitamente solo una
parte. A ciò che supera la sua comprensione e la sua conoscen­
za partecipa in modo implicito attraverso l’atto di fede in Dio,
nella sua rivelazione e anche nella Chiesa, che gli consegna tale
rivelazione. La consapevolezza di ciò dovrebbe portare all’u­
miltà e al riconoscimento della necessità di comunicazione e
dialogo nella Chiesa.
La fede cristiana, inoltre, non riempie mai in modo perfetto
- forse neppure nei santi e nei mistici - l’intero spazio dell’ani­
ma umana, la parte cosciente e inconscia della psiche. In questo
senso intendo l’affermazione del cardinal Daniélou che «un cri-

” Cfr. Mt 13,52.
DIO DA VICINO E DIO DA LONTANO 187

stiano è sempre in parte un pagano battezzato». Il battesimo ha


carattere di segno indelebile (signum indelebile) e di partecipa­
zione reale al corpo mistico di Cristo, ma la grazia del battesimo
agisce nell’uomo in modo dinamico, gli consente di crescere e
maturare nella fede nella misura in cui l’uomo le apre lo spazio
della propria libertà a tutti i livelli dell’esistenza. Siccome è vero
che la fede della Chiesa risiede (subsistit in) nella vita spirituale
del credente, ma la conoscenza religiosa che questi ha ricevuto
non riempie l’intero spazio della sua vita spirituale, allora nella
sua mente e nel suo cuore rimane un luogo legittimo per la
ricerca, per il critico interrogarsi e anche per l’onesto dubitare.
È salutare chiedersi con umiltà se il proprio cammino di fede
sia autentico, fedele alla tradizione ma anche al modo in cui
Dio guida le nostre coscienze. Perciò l’ultimo destinatario delle
nostre domande non può essere solo l’autorità ecclesiastica, ma
Dio stesso, presente nel santuario della nostra coscienza Dio
che non ci parla solo negli insegnamenti della Chiesa, ma an­
che nei segni dei tempi e negli eventi della nostra vita.
Il dono della fede, che sia mediato dall’educazione e dall’in­
flusso dell’ambiente oppure accolto come frutto di una ricerca
personale, è un dono immensamente prezioso della grazia di
Dio, ma non meno preziosa è 1’‘inquietudine del cuore uma­
no’ di cui parla sant’Agostino. Questa inquietudine non per­
mette di adagiarsi in una certa forma di fede accolta o raggiun­
ta, ma spinge sempre alla ricerca e al desiderio di andare oltre.
Anche gli interrogativi critici, i dubbi e le crisi di fede possono
divenire stimoli produttivi su questo cammino. Anch’essi pos­
sono essere considerati come un dono di Dio, come una ‘gra­
zia adiuvante . Lo Spirito di Dio non solo illumina la ragione
dell’uomo, ma agisce anche come ‘intuizione’ nel profondo
del suo inconscio, e questa consapevolezza è preziosa per riflet­
tere sulla ‘fede dei non credenti’: anche le persone a cui l’an­
nuncio della Chiesa non è giunto o che non l’hanno ricevuto
in una forma che avrebbero potuto accogliere, possono avere
una certa ‘intuizione della fede’; il dialogo di fede tra la Chiesa
e questa ‘fede intuitiva’ di persone che dalla Chiesa sono lonta­
ne può essere utile per entrambe le parti.
188 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

«Dio è più grande del nostro cuore», leggiamo nella prima


Lettera di Giovanni34. Tuttavia il ‘nostro cuore’ è più grande
di quanto la nostra ragione, la nostra convinzione religiosa, i
nostri atti di fede consapevoli e inconsapevoli, la nostra profes­
sione di fede sappiano di Dio. Dobbiamo evitare di relegare il
concetto biblico, agostiniano (e pascaliano) di cuore solo alla
sfera emotiva33.
Jung ha affermato che la componente conscia e razionale
della nostra psiche è come l’infinitesimale parte dell’iceberg
che emerge dal mare; la parte più corposa e importante risiede
nell’inconscio, non solo individuale, ma anche collettivo: è lì che
nascono le idee, le ispirazioni e i motivi nascosti del nostro agi­
re. Forse possiamo dire che la psicologia del profondo descrive,
solo con parole diverse o da una diversa prospettiva, l’esperienza
dei mistici deH’‘anima senza fondo’: la profondità della realtà
stessa che chiamiamo Dio pervade la profondità dell’uomo. Con
le parole del Salmo: «Un abisso chiama l’abisso»36.
La psicologia della religione, che deriva dalla psicologia del
profondo, sostiene che la fede - come convinzione originaria esi­
stenziale di quella profondità del reale che sfugge alla nostra
regia - pervade 1’esistenza umana tutta, e che le sue radici psi­
cologiche affondano proprio nel profondo dell’inconscio. La
teologia spirituale, che riflette sull’esperienza mistica, comple­
ta questo sguardo ‘dall’altra parte’: Dio parla all’uomo nella
sua interezza, tuttavia quella parte che la psicologia del profon­
do chiama inconscio e che la Bibbia e i mistici (da Agostino a
Pascal, agli autori contemporanei di testi spirituali) indicano
di solito con la metafora del cuore, è capace di comprendere
Dio meglio della nostra mera razionalità. E bene non sottovalu­
tare ma neanche sopravvalutare il ruolo della ragione nella vita
della fede.

“Cfr. 7Gv3,20.
55 David Steindl-Rast definisce il cuore «l’organo che percepisce il significato».
Cfr. D. Steindl-Rast, The Way of Silence: Engaging the sacred in daily life, Cincinnati,
Franciscan Media, 2016, p. 19.
56 Cfr. Sal 42,8.
DIO DA VICINO E DIO DA LONTANO
189

La ‘grazia della fede’ è un dono senz’altro più grande e di­


namico della ‘fede’ così come la intendiamo usualmente Essa
agisce negli strati più profondi del nostro essere e non è pos­
sibile esaurirne il significato con ciò che ‘pensiamo’ o con il
modo in cui la ‘realizziamo’ nella consueta prassi religiosa (col
fatto di andare in chiesa e rispettare i comandamenti). A mag­
gior ragione questo non basta in un periodo di sconvolgimenti
(ad esempio, quando durante una pandemia da virus non è
possibile recarsi in chiesa o quando le persone si trovano in
condizioni di vita eccezionali e i libri di morale o le prediche
stereotipate dal pulpito non servono loro a molto). Compiere
appieno la volontà di Dio richiede, soprattutto nelle situazioni
limite, qualcosa in più: il miglioramento costante della propria
coscienza, della creatività, del coraggio e della responsabilità
personale. E l’umanità di oggi non si trova forse in una situa­
zione limite?
Dio, che è ‘più grande del nostro cuore’ entra nella nostra
vita e amplia all’infinito la profondità e l’apertura del nostro
essere che indichiamo con la metafora del cuore. In noi acca­
de qualcosa di più grande e più significativo di quanto possia­
mo comprendere, ‘afferrare’ ed ‘esaurire’ nella nostra usuale
prassi religiosa. Per questo è importante non fermarci entro
tali confini, non ritenerci soddisfatti della forma abituale, ma
cercare ancora, anche se la ricerca è accompagnata dalla crisi,
anche se affiorano interrogativi difficili che vanno oltre le ri­
sposte della tradizione proposta nel catechismo.
Gesù ha guardato l’uomo che rispettava tutti i comanda-
menti sin dalla giovinezza con amore, ma anche con tristezza,
perché quel giovane era troppo ricco. Forse abbondava noti
solo in ricchezze materiali, ma pure in devozione e giustizia in­
tese secondo la legge di Mosè. Non era abbastanza libero inte­
riormente da lasciare tutta la sua ricchezza, mettersi in cammino
e seguirlo37. Anche la nostra devozione e lealtà, soprattutto se
ne siamo debitamente orgogliosi, può trasformarsi in una trap-

”Cfr. Me 10,17-22.
190 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

pola o in una corazza, come la pesante armatura di Saul di cui


il fanciullo Davide si dovette spogliare per potersi battere con
Golia. Ciò vale tre volte di più per la splendente e pesante co­
razza della teologia, che ha il compito di proteggerci da tutti gli
interrogativi per cui non ha risposta. Ricordiamo ancora una
volta Meister Eckhart: dobbiamo incontrare Dio come «nudi
con un nudo».
Nel rito di ammissione al catecumenato segniamo le orec­
chie, gli occhi, la bocca, il cuore e le spalle di coloro che hanno
creduto e hanno intrapreso il cammino per il fonte battesima­
le; benediciamo i loro sensi esterni e interni, i loro corpi e le
loro anime, reclamiamo da loro che si aprano e percepiscano
con attenzione Dio e la varietà di carismi poco appariscenti
che Dio ha preparato per loro e che talvolta ha nascosto in
piccolezze incredibili, negli accadimenti della quotidianità. Li
troveranno più facilmente e li useranno di più se li cercheran­
no e li accoglieranno con la consapevolezza che questi variegati
aspetti del dono della fede sono loro dati per servire gli altri,
perché divengano gli occhi, le orecchie, la bocca o il cuore del­
la comunità dei credenti.
XIII. La spiritualità come passione della fede

In molte Chiese si sentono ancora lamentele e allarmismi an­


gosciati per il pericolo degli ‘tsunami del secolarismo e del
liberalismo’. Tuttavia, da tempo ormai l’umanesimo secolare
ateo non è l’antagonista principale del cristianesimo ecclesiale
della tradizione; anch’esso oggi risulta invecchiato, indebolito
e senza più fiato. In entrambi i casi, la realtà si mostra nel lin­
guaggio: a tradire la perdita di vitalità spirituale è un’espressi­
vità malandata, un parlare appesantito da una grande quantità
di cliché e frasi fatte.
La sfida principale per il cristianesimo ecclesiale di oggi è
il cambiamento di rotta dalla religione alla spiritualità. Mentre le
forme istituzionali della religione tradizionale ricordano sot­
to molti aspetti l’alveo di un fiume quasi in secca, l’interesse
per la spiritualità di ogni tipo sembra una piena in precipitosa
crescita che sfonda i vecchi argini e scava nuovi percorsi. Sem­
bra anche che il Concilio Vaticano II abbia preparato la Chiesa
al confronto con l’umanesimo secolare e l’ateismo senza però
tener conto dello sviluppo esplosivo dell’interesse per la spiri­
tualità. Le Chiese cattoliche non erano preparate alla sete di
spiritualità, e spesso ancora oggi non sono in grado di rispon­
derle adeguatamente.
Articoliamo ora una delle tesi fondamentali di questo libro,
ovvero che il futuro delle Chiese dipende consistentemente dal
modo, dal tempo e dalla misura in cui sapranno comprendere
l’importanza di questa inversione, e da come sapranno rispon­
dere a questo segno dei tempi. L’evangelizzazione - il compito
principale della Chiesa - non sarà mai abbastanza ‘nuova’ e
utile se non arriverà alla dimensione più profonda della vita
192 POMERÌGGIO del cristianesimo

umana e della cultura, spazio vitale della spiritualità. Se l’evan­


gelizzazione consiste nella semina dell’annuncio evangelico su
un terreno fertile, allora questo terreno deve essere qualcosa di
più profondo della parte razionale ed emotiva della personalità
umana. Dev’essere la regione più interna, quella che Agostino
chiamava memoria, Pascal cuore e Jung das Selbst, è lì il grembo
materno dal quale la persona - nello spirito delle parole di
Gesù a Nicodemo - «deve nascere di nuovo [dall’alto]»1.
Il compito che spetta al cristianesimo nella fase pomeridia­
na della sua storia consta in gran parte dello sviluppo della
spiritualità, e una spiritualità cristiana compresa in modo nuo­
vo può contribuire significativamente alla cultura spirituale
dell’umanità di oggi anche lontano dai confini delle Chiese.
***

A questo punto sorge una serie di interrogativi. Qual è la causa


dell’interesse attuale per la spiritualità? Quali sfide presenta al
cristianesimo e alla Chiesa? Quali rischi e quali ostacoli sono
legati a questo trend? L’interesse per la spiritualità è forse una
prova della nuova vitalità della religione o rappresenta, al con­
trario, un surrogato della religione in declino? Qual è il rap­
porto della spiritualità con la fede e con la religione?
Rispondere a queste domande è impegnativo, poiché le ri­
sposte dipendono dalle varie definizioni e concezioni di reli­
gione, fede e spiritualità; è ovvio che sia del tutto impossibile
aspettarsi definizioni universalmente accettabili in questo am­
bito. A proposito della diatriba sulla spiritualità - se essa appar­
tenga alla sfera religiosa, se sia una dimensione della religione,
o se sia parte della sfera secolare e quindi più un ‘surrogato
della religione’ -, farò riferimento a una lezione recente e sti­
molante. Per Boaz Huss, professore israeliano di Kabbalah, la
spiritualità costituisce un fenomeno autonomo, che non fa par­

1 Cfr. Gv3,3-6 [perle due dizioni, cfr. supra, cap. XI, nota 20, NdT\.
la spiritualità come passione della fede 193

te né del campo religioso, né di quello secolare2. Egli mette


in dubbio, sulla base dello studio della spiritualità, la rilevan­
za dei termini ‘religione’ e ‘secolarità’, documentando che il
concetto di religione e anche quello di secolarità (e dunque
le teorie sulle relazioni tra religione e sfera secolare) sono
nati in un contesto esclusivamente europeo e cristiano sulla
soglia dell’epoca moderna, il periodo delle riforme, del colo­
nialismo, della formazione degli Stati nazionali e della società
capitalistica. Questi concetti e queste teorie sono stari successi­
vamente adottati per descrivere anche la situazione del mondo
extraeuropeo, a cui però una tale suddivisione risulta del tutto
estranea, tanto che nelle lingue di queste aree non esistono
termini equivalenti né per ‘religione’, né per ‘secolarità’. Huss
sostiene che la rilevanza di queste categorie sia limitata non
solo localmente (a livello geopolitico), ma anche cronologica­
mente. Esse individuano fenomeni appartenenti a un’epoca
che anche in Occidente è già passata, e non sono quindi adat­
te neppure a descrivere la situazione dell’occidente odierno
Invece il termine ‘spiritualità’, sebbene sia frutto della cultura
occidentale moderna e sia posteriore ai concetti di religione e
secolarità, secondo Huss è idoneo a esprimere il carattere del
panorama spirituale contemporaneo.
In favore di questa teoria si pronunciano anche numerose
ricerche sui nones, tra le quali si trova il progetto intemazionale
Faith and Beliefs of 'Nonbelievers’, in corso di svolgimento in una
collaborazione ceca ed estera3. Ho già menzionato in prece­
denza che non solo il dualismo ‘religioso e secolare’, ma anche
le analoghe categorie di ‘credente e non credente’, ‘teista e
ateo’, si dimostra fallimentare nel tracciare un profilo adeguato

2 B. Huss, Spiritual, but not Religious, but not Secular: Spirituality and its new cultural
formations, Paper read at the European University at Saint Petersburg, Novem­
ber 17th, 2018: https://www.academia.edu/37804743/Spiritual_but_not_Reli-
gious_but_not_Secular_Spirituality_and_its_New_Cultural_Formations_Lec-
ture_draft_
5 Faith and Beliefs of ‘Nonbelievers’, John Templeton Foundation, September 2019-
May 2022: https://www.templeton.org/grant/faith-and-beliefs-of-nonbelievers
194 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

per la situazione della spiritualità oggi. La trasformazione del­


la religione nell’era globalizzata ha anche relativizzato questi
confini: la società contemporanea non si lascia suddividere in
questo modo, e le persone, quantomeno nella civiltà occiden­
tale, assai difficilmente possono oggi essere definite da catego­
rie univoche. Non solo oltre i confini delle Chiese, ma anche
tra i loro membri cresce il numero di coloro che potremmo
definire simulfidelis et infidelis - persone nel cui mondo interio­
re si compenetrano fede e scetticismo, convinzione originaria
e dubbio, interrogativi critici e incertezze.
In questo modo, il mondo interiore di un gran numero di
nostri contemporanei allo stesso tempo riflette e contribuisce
a formare la mentalità predominante della società e anche il
suo panorama culturale ‘esteriore’. La cultura postmoderna
ha nella propria genetica tanto il cristianesimo quanto la mo­
dernità e la secolarità da esso derivate, in un’eredità spiccata-
mente mescolata. La stragrande maggioranza dei cristiani pra­
ticanti in Occidente è profondamente influenzata dalla società
secolare moderna sul piano culturale. Tuttavia anche molti atei
potrebbero essere catalogati come ‘atei cristiani’ (sempre sul
piano culturale), perché portano con sé una parte di eredità
culturale cristiana molto maggiore di quanto non siano in ge­
nere disposti ad ammettere4.
Le autorità ecclesiastiche hanno tentato per secoli di guida­
re la spontaneità e la vitalità della vita spirituale, di custodire
l’ortodossia della professione di fede, di controllare le manife­
stazioni formali del convincimento {belief) e di disciplinare la
morale dei credenti. La spiritualità, in quanto dimensione in­
teriore dinamica e forma di fede, ha eluso tali tentativi di con­
trollo. Anche per questo motivo, nel corso della storia le auto­
rità ecclesiastiche l’hanno spesso considerata con prudenza e
diffidenza, nell’intenzione di confinarla in uno spazio limitato
(soprattutto dietro le mura dei monasteri) e in un determina-

4 Cfr. A. Comte-Sponville, Lo spirito dell’ateismo. Introduzione a una spiritualità senza


Dio (2006), Milano, Ponte alle Grazie, 2007.
LA SPIRITUALITÀ COME PASSIONE DELLA FEDE 195

to tempo (come il tempo prescritto per la meditazione nello


stile di vita dei membri del clero). Un movimento spirituale
non conforme - com’è stato ad esempio quello di Francesco
d’Assisi e dei suoi seguaci - ha sempre provocato nell’autorità
ecclesiastica lo sforzo di disciplinare e istituzionalizzare. Ciono­
nostante, la spiritualità monastica si è spesso irradiata dai con­
venti verso la popolazione laica, nella forma delle confraternite
e dei ‘terzi ordini’.
Anche molti pionieri di nuove correnti spirituali, poi cano­
nizzati, hanno incontrato all’intemo della Chiesa diffidenza,
prepotenza e repressione: è il caso di Teresa d’Avila, Giovanni
della Croce e inizialmente anche Ignazio di Loyola. La psicana­
lisi e molti esempi nella storia ci insegnano che tutto ciò che è
represso ed escluso torna sempre, pur se in forma mutata.
Ai grandi risvegli della spiritualità in contesto cristiano laico
si è giunti infatti in epoche di crisi della religione istituzionale.
Per esempio, all’epoca della profondissima crisi della Chiesa
nel pieno Medioevo, quando tensioni interne e conflitti tra
Chiese hanno raggiunto l’apice della propria forza, la gerar­
chia ha abusato della pena dell’interdetto a mo’ di sciopero
generale dell’apparato ecclesiastico. Quando le attività eccle­
siali si sono fermate, e tra queste anche la somministrazione
dei sacramenti, i cristiani laici sono stati obbligati a cercare vie
alternative, una delle quali passava per il risveglio della spiri­
tualità personale. Ciò ha contribuito, tra le altre cose, anche a
uno sviluppo individuale della fede, concretizzatosi nella Rifor­
ma protéstente e nella spiritualità secolare. All’epoca della crisi
della Chiesa medievale severamente gerarchica, le confraterni­
te laiche sono aumentate e hanno diffuso sia la tendenza alla
devozione pietistica silenziosa, sia la spiritualità rivoluzionario-
chiliastica di un’appassionata opposizione anticlericale5.
Forse anche il risveglio dell’interesse per la spiritualità alla
fine del secondo millennio di cristianesimo coincide con il

5 Uno dei movimenti di opposizione è stato, ad esempio, quello hussita sviluppa­


tosi in Boemia.
196 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

crescendo della crisi del potere, dell’autorità, dell’influenza e


della credibilità delle istituzioni religiose tradizionali. Proprio
il fatto che la spiritualità sia il meno controllabile dall’autorità
nell’ampio ventaglio dei fenomeni religiosi, la rende l’area che
più facilmente può emanciparsi dalla forma ecclesiastica di re­
ligiosità. Oggi, il rapporto tra spiritualità e religione è oggetto
di acceso dibattito.
Visto che sia l’arte sia molti altri fenomeni culturali si sono
gradualmente emancipati dalla religione, perché mai la spi­
ritualità non dovrebbe seguirli e stabilirsi come campo auto­
nomo regolato da un proprio ordinamento? Se la Chiesa, nei
documenti del Concilio Vaticano II, ha riconosciuto la legitti­
ma autorità di scienza, arte, economia e politica e ha rinun­
ciato all’aspirazione di dominare questi settori della vita, non
potrebbe allo stesso modo riconoscere anche l’emancipazione
della spiritualità dalla religione nella sua forma ecclesiastica?
Ma cosa ne sarebbe della Chiesa e della vita religiosa, senza la
spiritualità? Afferma l’apostolo Giacomo che la fede, «se non
è seguita dalle opere, in se stessa è morta»6. Tuttavia, anche la
fede senza spiritualità muore.
***

La spiritualità, la fede viva, precede la riflessione intellettuale


(l’aspetto dottrinale) e anche l’espressione istituzionale della
fede; le supera in valore e talvolta, nei momenti di crisi, le rav­
viva e le trasforma. Dai centri di spiritualità sono emersi soprat­
tutto stimoli che hanno dato nuova vita al pensiero teologico
e che hanno portato a riformare la Chiesa. Gli sconvolgimenti
più tragici all’interno della Chiesa si sono verificati principal­
mente quando le autorità ecclesiastiche non sono state capaci
di (e disponibili a) ascoltare gli impulsi di questi centri7, guar-

6Cfr. Gc 2,14-26.
’ Tradizionalmente questi centri di innovazione si trovavano nelle aree peri­
feriche, come nel caso del monacheSimo celtico. A partire dal pontificato di
papa Francesco, gli impulsi riformatori più significativi arrivano direttamente
LA SPIRITUALITÀ COME PASSIONE DELLA FEDE
197

dando a essi con sfiducia preconcetta e talvolta con l’arroganza


di chi possiede la verità e detiene il potere.
Alla vitalità e all’attrattiva esercitate dalla spiritualità non
solo nei circoli cristiani laici, ma anche oltre il mondo eccle­
siale, hanno contribuito diverse circostanze nel periodo tra il
secondo e il terzo millennio (un’epoca talvolta indicata come
‘nuovo periodo assiale’). Una di queste è stata di certo la ne­
cessità di compensare il rumore, lo stress e la superficialità di
uno stile di vita ipertecnologico con l’immersione nel silenzio
neH’interiorità, nella profondità. Un certo numero di mona­
steri di vita contemplativa ha cominciato ad aprire le proprie
porte per brevi soggiorni di esperienza del silenzio e con la pos­
sibilità di un accompagnamento spirituale per i seekers (i cer­
catori). Provare per un breve periodo la vita monastica è oggi
tra le iniziative ecclesiali meglio accolte nei Paesi fortemente
secolarizzati. Molte comunità monastiche invecchiano e muo­
iono; quelle più severe, puramente contemplative, sono forse
l’eccezione, poiché offrono qualcosa che il ‘mondo’ non può
dare. Tali monasteri, la vita monastica in generale e l’eremitag­
gio non hanno ancora perso la loro attrattiva per le persone
del mondo (e non solo per le anime romantiche).
In alcuni edifici monastici storici abbandonati hanno trova­
to la propria casa nuovi movimenti e comunità ecclesiali; a vol­
te laici e chierici, uomini e donne, famiglie e persone che vivo­
no nel celibato temporaneo o permanente, vivono insieme. In
alcuni casi, dal silenzio degli eremi sono emerse ispirazioni per
la spiritualità di persone che vivono nel rumore delle metro­
poli ma le percepiscono come deserti spirituali, luoghi di forte
solitudine in mezzo alla folla8. Uno dei primi monaci cattolici
che dal proprio eremo nei pressi di un monastero contempla­
tivo in Kentucky si è rivolto, attraverso i suoi libri, al grande

dalla Cattedra di san Pietro, un fatto che sta diventando un notevole segno dei
tempi.
8 Penso ad esempio alla spiritualità delle congregazioni dei Piccoli Fratelli e delle
Piccole Sorelle di Gesù (soprattutto nei libri di Carlo Carretto) o alle fraternità
monastiche di Gerusalemme.
198 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

pubblico del XX secolo è stato il trappista americano Thomas


Merton9. Dagli anni Sessanta a oggi, sempre più autori hanno
scritto di contemplazione, spesso catturando l’interesse anche
di quei lettori che potremmo definire più come cercatori che
come saldamente credenti in una religione.
Gli anni Sessanta del XX secolo sono stati il periodo d’o­
ro per la nascita di nuovi movimenti religiosi e spirituali. Ho
già menzionato come alla fine di quel decennio si sia formato,
all’interno dei gruppi evangelici nella università americane,
un movimento carismatico molto dinamico, che dopo un certo
periodo ha visto nascere il proprio omologo in ambiente cat­
tolico: il movimento del Rinnovamento carismatico. Le Chiese
pentecostali hanno poi cominciato, soprattutto in America La­
tina, a inglobare su larga scala i membri della tradizionalmente
forte Chiesa cattolica. Là dove la vita delle parrocchie tradi­
zionali appariva stanca, hanno imposto la propria vitalità ed
emozionalità i gruppi pentecostali. Là dove la Chiesa cattolica
trascurava l’educazione dei credenti e la catechesi degli adulti,
ha mietuto un rapido successo la semplice teologia fondamen­
talista degli evangelici.
Anche il processo di globalizzazione, la mescolanza di mon­
di, ha contribuito all’arricchimento e al rinnovamento della
spiritualità in Occidente. La postmoderna inversione di rotta
verso la spiritualità ha tratto molta ispirazione dalla spiritualità
orientale. Anche in questo caso, varie autorità ecclesiastiche e
tanti cristiani conservatori hanno guardato (e qua e là ancora
guardano) questo trend con grande sospetto, e a volte lo de­
monizzano persino. L’interesse per la spiritualità - soprattutto
quella del lontano Oriente (yoga, zen e altre scuole di medita­
zione - già dagli anni Sessanta ha trovato un terreno fertile nei
circoli di psicologia e psicoterapia umanistica e transpersonale,
nei corsi di sviluppo personale e nell’ambiente della cultura al-

9 Negli ultimi anni di vita, Thomas Merton ha arricchito la propria spirituali­


tà monacale di altri elementi ancora: il dialogo interreligioso con buddhismo e
induismo e la partecipazione alla politica di sinistra nello spirito della teologia
della liberazione.
LA SPIRITUALITÀ come passione della fede 199

ternativa (ad esempio nel movimento della Beat Generation).


L’onda variopinta di questa subcultura, la cui terra promessa
era soprattutto la California, è stata poi indicata con il termine
New Age. L’atteggiamento critico delle autorità ecclesiastiche
nei confronti del sincretismo di questo movimento era di cer­
to comprensibile e legittimo; ma esse non si sono interrogate
sulle necessità e sui segni dei tempi cui movimenti come que­
sto stavano rispondendo, né si sono chieste se la Chiesa stessa
avrebbe potuto rispondervi in maniera più competente.
In ambito cristiano, dopo la prima ondata di ‘yoga cristiano’
e ‘zen cristiano’, si sta finalmente risvegliando l’interesse per
lo studio dei classici della mistica cristiana, e stanno nascendo
molti centri che propongono un’introduzione alla prassi della
meditazione cristiana. Alcuni di questi hanno carattere ecume­
nico e rinunciano a qualsiasi tipo di proselitismo: la comunità
ecumenica di Taizé, per esempio, ha ispirato movimenti cri­
stiani giovanili a livello intemazionale che si rivolgono anche a
molti ‘cercatori’.
Avremo ancora modo di dimostrare che mentre in molti Pae­
si le chiese si svuotano, i sacerdoti mancano, la rete delle par­
rocchie presenta crepe sempre più profonde e non c’è un solo
segno che lasci prevedere un’interruzione di questa tendenza,
l’accompagnamento spirituale dei cercatori è chiaramente una forma
di servizio che la Chiesa può offrire non solo ai propri credenti,
ma al sempre più folto mondo dei nones. Premetto che non si
tratta di una missione in senso tradizionale, di acquisire nuovi
membri per la Chiesa. Aspettarsi che la maggior parte dei nones
trovi entro gli attuali confini (mentali e anche istituzionali) del­
la Chiesa la propria dimora permanente non è molto realistico.
I centri della cristianità aperta, che si dedicano soprattutto ai
corsi di meditazione, possono ampliare questi confini.
Il servizio di maggior valore per la credibilità e la vitalità del­
la fede sarà nell’azione di quei cristiani che avranno il coraggio
di uscire dagli attuali confini mentali e istituzionali della Chie­
sa tradizionale, che sapranno, secondo l’esempio di san Paolo,
«farsi tutto per tutti» e, come cercatori tra gli altri, si incammi­
neranno su una nuova via.
200 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

***

Parlando dell’interesse crescente per la spiritualità, occorre


fare riferimento anche ai relativi ostacoli. Il lato negativo della
popolarità di questi percorsi è la tendenza a commercializzar­
li e banalizzarli. Espressione dell’*economizzazione’ della vita
nella civiltà contemporanea è il modo in cui il mercato globale
di merci e idee ha reagito velocemente alla domanda di ‘gene­
ri spirituali’ con un’inondazione di materiale scadente: imita­
zioni kitsch delle spiritualità orientali, cianfrusaglie esoteriche,
occultismo, magia, ricette di ciarlatani che promettono illumi­
nazioni, guarigioni miracolose, esperienze di felicità estatica
o poteri magici. La pseudomistica è entrata nel mercato con
droghe di ogni tipo e con l’industria del divertimento. Auto-
proclamad ‘maestri spirituali’, maghi e guru spesso si dedicano
nei propri ashram alla manipolazione e all’abuso psicologico,
alla spremitura finanziaria dei creduloni, talvolta anche alla
violenza sessuale.
Nelle beauty farm dello spirito si esercita la ‘meditazione’
come attività di svago nel tempo libero o surrogato dilettan­
tesco di assistenza pastorale e psicoterapia insieme. È lì che
si vende al meglio la merce di tipo spirituale di falsi marchi
con l’esotica dicitura made in Orient. Alcuni miei amici monaci
buddhisti giapponesi mi hanno detto con triste ironia, dopo
una visita presso uno dei luna park pseudobuddhisti occidenta­
li: «Ciò che queste persone spacciano per buddhismo è solo un
cristianesimo storpiato - un cristianesimo da quattro soldi; si
sono sbarazzati di ciò che a loro non è simpatico perché richie­
derebbe uno sforzo; è un cristianesimo comodo, senza Chiesa,
dogmi e morale. Ma non sospettano che anche il buddhismo è
un cammino faticoso».
Gli astuti imprenditori del ‘settore spirituale’ offrono una
scorciatoia pervivere ‘esperienze spirituali’ o acquisire capaci­
tà eccezionali. Nei monasteri dove si coltiva una diligente pras­
si spirituale, chi è interessato a un addestramento in tal senso
viene accolto con queste parole: «Sii consapevole che sei arriva­
to qui non per ottenere qualcosa, ma per spogliarti di molto».
la SPIRITUALITÀ COME PASSIONE DELLA FEDE 201

Quando mi sono occupato per un certo periodo delle mo­


struosità del populismo religioso, mi sono dovuto domandare
fino a che punto siano responsabili di questa situazione anche
le Chiese cristiane, che per lungo tempo hanno presentato il
cristianesimo come una religione di comandamenti e divieti
Non sono state in grado di rispondere per tempo a un sincero
desiderio di spiritualità, di rendere disponibili i tesori della
mistica cristiana, nascosti in un forziere chiuso di cui talvolta
loro stesse hanno perso la chiave, e così hanno lasciato che
questo spazio libero fosse inondato dall’opposto della fede: la
superstizione e l’idolatria. L’interesse per la spiritualità - que­
sto importantissimo segno di speranza per un cambiamento
positivo del nostro mondo - potrebbe essere un’opportunità ■

sprecata e dissolversi in fretta se invece di una proposta di cul­


tura della vita spirituale avanzerà l’esoterismo, che è una ver­
sione degradata dello gnosticismo e propone una spiritualità
banalizzata e triviale10.
Di certo non solo in quella cristiana, ma anche nella tradi­
zione di molte altre religioni, così come nella cultura secolare
sono presenti strumenti di spiritualità incredibilmente validi
e spesso dimenticati che potrebbero aggiungere profondità
vigore e forza terapeutica alla civiltà contemporanea. Se quei
sto potenziale sarà dispiegato nell’ambito delle varie religioni,
potrebbe aprirsi uno spazio per la condivisione e il reciprocò
arricchimento. Seguo con grande interesse l’incontrarsi delle
persone attraverso le religioni che si dedicano responsabilmen­
te a una prassi spirituale seria e attingono ai tesori della misti­
ca. La coltivazione di un proprio lato spirituale può essere lo
strumento che consentirà alle tradizioni religiose di proporsi
come valida alternativa al fondamentalismo, alla banalizzazio­
ne e alla commercializzazione della religione e contro l’abuso

10 Di questo rischio parla anche Ulrich Beck: «Il processo pragmatico di depu­
razione delle religioni dai dogmi è ambivalente, perché apre le porte alla bana­
lizzazione e volgarizzazione: un qualsiasi hotel è adomato da motti di saggezza
buddhista; l’analfabetismo religioso si va propagando; gli atei non sanno neppu­
re a quale Dio essi non credono più» (cfr. U. Beck, Il Dio personale, eie, p. 156).
202 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

ideologico e politico dell "energia religiosa’ per attizzare le bra­


ci del nazionalismo, dei pregiudizi, dell’odio e della violenza.
La spiritualità - più della teologia accademica, della liturgia
e degli imperativi morali - è lo strumento a lungo sottovaluta­
to della forza della religione. Non strappiamolo però via dalle
altre dimensioni della fede: perché la rinnovata forza della spi­
ritualità conduca a pace e saggezza, non è possibile separarla
dalla razionalità, né dalla responsabilità morale, né dall’ordine
sacro che la liturgia soffia come un vento nella vita.
***

Abbiamo discusso della relazione tra spiritualità, religione e


Chiesa. Torniamo ora a domandarci quale sia il rapporto tra
fede e spiritualità. A mo’ di risposta indiretta, posso citare il
commento di Agostino al Vangelo di san Giovanni: «Non è gran
cosa essere attratti da un impulso volontario, quando anche la
voluttà riesce ad attrarci». Qui Agostino ha sorprendentemen­
te scelto una parola - e di certo non solo per il gioco voluntas/
voluptas - che potremmo anche tradurre come libido (piacere,
passione, smania, desiderio). E aggiunge: «Se i sensi del corpo
hanno i loro piaceri, perché l’anima non dovrebbe averli? [...]
Dammi un cuore che ama, e capirà ciò che dico. Dammi un
cuore anelante, un cuore affamato, che si senta pellegrino e
assetato in questo deserto, un cuore che sospiri la fonte della
patria eterna, ed egli capirà ciò che dico. Certamente, se parlo
a un cuore arido, non potrà capire»11.
Agostino non intende forse con questa ‘passione della fede’
proprio ciò che noi oggi chiamiamo spiritualità? Non troviamo
forse in queste parole la risposta all’interrogativo che ci siamo
posti poco sopra? La spiritualità aggiunge alla fede la passione,
la vitalità, l’attrattiva, l’ardore; per questo non bisogna dimen­
ticare, nel trasmettere la fede, la fiamma della spiritualità; non

11 Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 26,4 (Trahit sua quamque volup­
tas).
LA SPIRITUALITÀ COME PASSIONE DELLA FEDE 203

bisogna spegnerla, ma prendersene cura, se non vogliamo che


della fede resd solo un’arida, impietrita religione. Non dob­
biamo però dimenticare che il fuoco può essere pericoloso -
come lo è d’altronde la vita stessa.
XIV. La fede dei non credenti e la finestra
della speranza

Comincio a scrivere questo capitolo con grande imbarazzo. In


alcune delle prossime pagine la mia argomentazione su fede
e incredulità sarà (ancora) più personale e soggettiva che nel
resto del libro. Ma non ci hanno forse insegnato i teologi, da
sant’Agostino a Gerhard Ebeling, o i filosofi della religione,
come Martin Buber, che la lingua autentica della fede è ne­
cessariamente personale? Agostino ha messo in luce il circui­
to ermeneutico tra conoscenza di sé e conoscenza di Dio e a
uno dei suoi libri di teologia più influenti - forse uno dei più
influenti libri di religione in assoluto - ha dato la forma di
un’autobiografia. Ebeling ha messo in guardia da un linguag­
gio su Dio ‘scientifico’, oggettivo, affermando che il linguag­
gio della teologia cristiana deve sorgere da una coscienza in
ascolto di Dio e personalmente coinvolta1. Sui libri di Buber
ho compreso che, se Dio non è per noi un Tu personale, ma
solamente un ‘lui’ oppure ‘quello’ - una cosa di cui possiamo
parlare con distacco in modo impersonale, senza coinvolgi­
mento, ‘oggettivamente ’ - allora non stiamo parlando di Dio
ma di un idolo.
Non nascondo la mia vicinanza alla filosofia e alla teologia
esistenzialista e la mia distanza nei confronti della neoscolasti­
ca. Ho analizzato accuratamente da cosa scaturisce questa mia
‘allergia’ per il ‘realismo metafisico’. La certificano forse anche
le mie esperienze traumatiche a partire dall’inizio degli anni
Novanta con alcuni neoscolastici e con la facoltà di Teologia

1 G. Ebeling, Das Wesen des christlichen Glaubens, Tübingen, J.C.B. Mohr (Paul Sie-
beck), 1959.
206 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

di Praga di impostazione neoscolastica? Allora, quel tentativo


di teologia ‘scientifica’, ‘oggettiva’ mi ricordava tanto l’ateismo
scientifico quanto la pretesa arrogante e al contempo ingenua
del positivismo scientistico di una ‘conoscenza oggettiva della
realtà’. La teologia aggiustato nella forma di un sistema chiuso
e inconfutabile di sillogismi, in cui non c’è traccia del dramma
della ricerca personale di Dio e della lotta tra fede e scettici­
smo, mi è sempre apparsa fredda e immobile come un corpo
morto senza anima.
Ho sempre guardato con sospetto la pretesa di conoscere la
‘verità oggettiva’ e di poterne disporre liberamente, come una
forma di orgoglio e limitatezza, una pretesa ingenua e sfaccia­
ta di assumere la ‘posizione di dio’, l’incapacità di riconosce­
re umilmente i confini della propria ristretta prospettiva. Ho
sempre temuto i ‘possessori della verità’ che non lasciavano
nessuno spazio al dubbio, alle domande critiche e a ulterio­
ri ricerche. Uno dei motivi per cui stimo Nietzsche - e non
temo il presunto relativismo della postmodernità - è la sua
ammissione che ogni nostra visione è già un’interpretazione.
In una certo misura mi ha riconciliato con il concetto di og­
gettività in filosofia della scienza il mio amico, filosofo e scien­
ziato, Zdenèk Neubauer affermando che «l’oggettività è una
virtù della soggettività», la virtù dell’imparzialità e della giusti­
zia2. Dal punto di visto teologico, ritengo che questa virtù sia la
kenosis, il ‘mettere fra parentesi’ e relativizzare la propria espe­
rienza e il proprio punto di visto, perché questa ‘rinuncia a sé’
ci aiuta ad ascoltare meglio gli altri e a cercare un fondamento
per la comprensione reciproca. Neanche il relativismo può es­
sere assolutizzato.
Un altro motivo per la mia estrema moderazione e la mia
sospettosità nei confronti del ‘positivismo in teologia’ e della
sua rivendicazione di un’oggettività come ‘verità impersonale’
probabilmente è che la chiave che mi ha aperto la compren­
sione del mondo - anche del mondo della fede - è stata l’arte.

2Z. Neubauer, Opotátku, cesti a inameni cosà, Praha, Malvern, 2007, p. 214.
LA FEDE DEI NON CREDENTI E LA FINESTRA DELLA SPERANZA 207

La letteratura, in particolare, offre la possibilità di partecipare


all’esperienza altrui. L’arte, più della scienza, mi ha aperto la
via alla ricerca infinita della verità. Nella storia della filosofia
ho sentito più vicini quei pensatori che sono stati anche splen­
didi letterati: gli esistenzialisti e i loro due grandi precursori
Nietzsche e Kierkegaard. Sono cresciuto nella famiglia di uno
storico della letteratura, in seguito ho scelto lo studio della so­
ciologia e della psicologia, probabilmente in modo intuitivo,
anche perché i migliori autori di queste due discipline si rm
vono al confine tra scienza e letteratura.
Verso il mondo della religione mi ha attratto in primo luo­
i

go la sua componente estetica: la prima porta sul mondo del­


la fede per me sono state l’arte e l’architettura delle antiche
chiese di Praga, veri forzieri di opere figurative, e la musica
sacra: tracce indelebili del sacro in mezzo all’uniforme grigiore
nell’epoca di un’ideologia primitivamente materialista imposta
dallo Stato. L’iniziazione intellettuale al cristianesimo, seguito
alla fascinazione emotiva, mi è stata offerta non dai libri di teo­
logia, bensì dalla letteratura: i saggi di G.K. Chesterton e i ro­
manzi di Fëdor M. Dostoevskij, Graham Greene, Heinrich Bòli
Georges Bernanos, François Mauriac, Léon Bloy e molti altri’
corne anche l’opera di poeti cechi cattolici, in primo luogo Jan
Zahradniéek ejakub Demi. Quando mi sono convertito, sin dai
primi anni di ardore missionario ho introdotto molti amici e
colleghi nel mondo allora proibito del cattolicesimo soprattut­
to diffondendo quel genere di letture, meditazioni sulle opere
figurative a tema religioso conservate nelle gallerie con l’ascol­
to comune di musica, dai canti gregoriani a Johann S. Bach e
Georg F. Hàndel, fino a Igor Stravinsky e Olivier Messiaen. Alla
letteratura teologica e filosofica contemporanea, che oggi è la
mia lettura principale e il mio mondo spirituale, sono arrivato
solamente molto più tardi, attraverso le crepe nella cortina di
ferro della censura comunista.
Solo in un secondo momento mettevo in mano ai poten­
ziali convertiti anche il catechismo, ma sempre con la postilla
ammonitrice che né con una perfetta conoscenza degli arti­
coli di fede, né con un consenso razionale a essi - vale a dire
208 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

ritenendoli veri - possiamo considerarli come fede, al massimo


come anticamera della fede. Ho poi studiato con grande pia­
cere intellettuale la dogmatica, quest’architettura da cattedrale
della cultura cattolica, ma con l’aiuto della storia dei dogmi,
che permette di conoscere il contesto storico e le lotte da cui
sono sorti gli articoli di fede. Se però lo studio della dogmatica
non viene accompagnato dalla cura di una spiritualità sana e
forte, se il lavoro intellettuale non è illuminato dall’‘intelligen­
za del cuore’, allora questa cattedrale è solamente un museo,
non la dimora viva di Dio. Alcuni studenti di teologia e alcuni
novizi con cui ho avuto occasione di incontrarmi mi sono ap­
parsi come persone che siedono tutto il giorno di fronte alle
partiture delle opere senza però averne mai ascoltato la musica
né averle mai viste a teatro.
***

In alcuni Paesi postcomunisti che hanno attraversato sia la


secolarizzazione dura del comunismo, sia la secolarizzazione
culturale morbida prima e dopo di esso - in primo luogo la
Repubblica Ceca e la Germania Orientale - molte persone si
dichiarano atee con grande facilità. Il loro ateismo è più una
manifestazione di conformismo alla mentalità prevalente che
un’opinione chiaramente definita e meditata. L’affermazione
‘sono ateo’ qui significa: sono normale, non sono un membro di
qualche oscura società, sono come quasi tutti gli altri intorno a
me; non ho niente contro la religione nel suo complesso, ma la
ritengo qualcosa di ‘risolto da tempo’ e di fumoso, che non mi
riguarda affatto personalmente.
Dopo il vano tentativo di trovare persone interessate a un
dialogo su questo tema, mi è sembrato che avrei dovuto trova­
re l’ateo che è in me e portare avanti un soliloquio. Ho quindi
cominciato finalmente a comprendere che il presupposto per
un dialogo proficuo con l’ateismo è scoprire anzitutto in me
stesso un ateo, uno scettico oppure un credente non conformi­
sta, e avviare con lui un dialogo sincero. Nietzsche affermava di
avere due opinioni su tutto. Io mi sono abituato a un dialogo
la fede dei non credenti e la finestra della speranza 209

interiore da diversi angoli visuali sulla fede. La fede - così come


la Chiesa, la Bibbia e la santità - è rincontro di divino e umano
possiede entrambi gli aspetti. Come sociologo e psicologo, mi
interessa più il suo lato umano; come teologo, quello divino- la
fede come dono, come grazia, vita di Dio nell’uomo. Il dialogo
interiore fra queste due prospettive mi è sempre sembrato in­
teressante e utile.
Il libro di J.B. Lotz Injedem Menschen steckt ein Atheist («C’è un
ateo in ogni uomo»)3 mi ha ispirato a cercare se non si nascon­
desse un ateo anche in me. Non ho trovato in me proprio un
ateo, però alcune esperienze traumatiche con la Chiesa han­
no suscitato non soltanto una crisi del mio rapporto con essa
ma anche una certa crisi della fede, accompagnata da molte
domande critiche e molti dubbi. La solidarietà con la Chiesa
perseguitata è stata una delle madrine della mia conversione
dunque in me l’amore per la fede è sempre stato profonda­
mente compenetrato con l’amore per la Chiesa. Se uno di que­
sti amori subiva una ferita, veniva colpito e soffriva anche l’al­
tro. Ma quella crisi ha condotto la mia fede in profondità, l’ha
accompagnata verso una maggiore maturazione e un rapporto
più adulto con la ‘madre Chiesa’.
Gradualmente ho imparato a sentire la fede e il dubbio
come due fratelli che hanno bisogno l’una dell’altro, che de­
vono sostenersi a vicenda per non precipitare dallo stretto
ponte su cui si trovano e non cadere nell’abisso del fondamen­
talismo e del bigottismo (in questo il dubbio aiuta la fede),
né nell’abisso di uno scetticismo amaro, del cinismo o della
disperazione (e in questo ci aiuta la fede come convinzione
originaria). Ho detto di aver messo la fede in discussione: se
siamo coerenti sulla strada del dubbio, allora questa strada ci
insegna a dubitare anche dei nostri dubbi.
Quando sugli scaffali delle librerie (soprattutto nei Paesi an­
glosassoni) hanno cominciato a bilanciare l’ondata di lettera­
tura religiosa, spirituale ed esoterica con i libri dei ‘nuovi atei’,

’J.B. Lotz, Injedem Menschen steckt ein Atheist, Frankfurt am Main, Knecht, 1981.
210 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

in primo luogo quelli del divulgatore scientifico di Oxford Ri­


chard Dawkins, mi aspettavo di avere l’opportunità, rimasta a
lungo insoddisfatta, di un interessante dialogo. Sono stato de­
luso. Mi sembra che l’ateismo militante di alcuni chiassosi apo­
stoli del neodarwinismo rasenti l’ingenuità del rozzo ateismo
scientifico marxista-leninista. Esso si fonda principalmente su
un equivoco, su uno scambio di obiettivi: questi atei combat­
tenti confondono la religione con il fondamentalismo e la fede
in Dio Creatore con la primitiva ipotesi scientifica di un ramo
del creazionismo. Dawkins dopo qualche tempo ha mitigato la
sua retorica militante e ha cominciato ad atteggiarsi più come
un agnostico che afferma soltanto che Dio ‘probabilmente non
esiste’. Di fronte all’immagine di Dio di Dawkins sarei un ateo
ben più radicale di lui: sono convinto che questo postulato
deirilluminismo, Dio come ipotesi ‘scientifica’, sia veramente
solo una finzione, che il dio di Dawkins per fortuna davvero
‘non esiste’. Esiste solamente come rappresentazione dei fon­
damentalisti credenti e dei fondamentalisti atei. I combattenti
del ‘nuovo ateismo’ - che però al vecchio ateismo di Ludwig
Feuerbach e dei materialisti della tarda modernità non hanno
aggiunto niente di ‘nuovo’, se non forse la retorica militante
- si sono mai imbattuti in una fede cristiana matura e in una
teologia contemporanea competente?
Fortunatamente qualche anno più tardi ho scoperto il libro
di un autore che si dichiara ateo, non agnostico, ma il cui ap­
proccio alla religione ho potuto apprezzare. Si tratta di André
Comte-Sponville e del suo libro Lo spirito dell’ateismo^.
***

André Comte-Sponville ha ricevuto un’educazione cattolica,


riconosce apertamente di conservare ancora molti valori mo­
rali, spirituali e culturali acquisiti dal cristianesimo, conosce e

4 A. Comte-Sponville, Lo spirilo dell'ateismo. Introduzione a una spiritualità senza Dio


(2006), Milano, Ponte alle Grazie, 2007.
LA FEDE DEI NON CREDENTI E LA FINESTRA DELLA SPERANZA 211

descrive in modo non stereotipato le opinioni dei suoi amici


credenti, le rispetta e le apprezza. Ha perso la sua fede in Dio
e il legame con la religione sulla soglia della maturità, e per
quanto la sua educazione religiosa non sia stata traumatizzan­
I
te, ha vissuto la perdita della fede come una liberazione. Pro­
babilmente ha vissuto l’esperienza di molte altre persone che
nel corso del passaggio all’età adulta diventano troppo ‘grandi’
per la loro religione e la ripongono nella scatola dei ricordi
dell’infanzia (il poeta Jaroslav Seifert scrive qualcosa di simile
nei suoi ricordi: «Sì, chiusi il libro del catechismo e comprai
per due corone il Maggio di Mâcha nell’edizione colibrì»5)
Comte-Sponville aggiunge di sapere di persone che alla stessa
età hanno attraversato una conversione opposta in direzione
della fede e l’hanno vissuta come una liberazione: è l’esperien­
za anche dell’autore che state leggendo. Comte-Sponville nel
suo libro scrive della sorpresa suscitata in lui da un sacerdote
che dopo una sua lezione sull’ateismo lo ha ringraziato e gli ha
detto di essere d’accordo con la maggior parte delle sue paro­
le. Comte-Sponville allora gli ha elencato una serie di articoli
di fede in cui non crede. Il prete gli ha risposto: sì, ma questo
non è importante. Leggendo quel paragrafo avrei voluto dire
all’autore che esiste almeno un altro anziano sacerdote che gli
avrebbe detto qualcosa di simile. Differenze e somiglianze tra
fede e incredulità giacciono molto più in profondità della su­
perficie delle opinioni religiose.
Comte-Sponville cita anche l’aneddoto di due rabbini che
dopo una notte di discussioni giungono alla conclusione che
Dio non esiste. Uno dei due, al mattino, vedendo l’altro che
prega, gli chiede stupito perché lo stia facendo, se si sono tro­
vati d’accordo che Dio non esiste. «Scusa, ma cosa c’entra Dio
con questo?» chiede altrettanto stupito quello che prega. Non
sono sicuro di intendere questo racconto allo stesso modo di
Comte-Sponville. In esso io vedo un buon esempio dell’impor­
tante distinzione fra mere opinioni religiose e prassi religiosa,

5J. Seifert, Tutte le bellezze del mondo (1981), Roma, Editori Riuniti, 1991, p. 17.
212 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

esperienza della fede. In un dibattito intellettuale si può arriva­


re al fallimento totale delle mie argomentazioni religiose, dei
miei convincimenti religiosi {belief). La prassi della preghiera,
invece, viene da qualcosa di molto più profondo delle mie opi­
nioni: viene dalla fede come fiducia fondamentale (faith, basic
trust). Non capisco perché dovrei smettere di pregare per il fat­
to che qualcuno mi ha dimostrato l’insufficienza intellettuale
di tutta la mia teologia, di tutto ciò che penso su Dio; sarebbe
piuttosto un motivo perché io preghi ancora di più.
Scoprire che non pochi atei pregano non dovrebbe sorpren­
dere. Non penso solamente alla preghiera in un momento di
difficoltà esistenziale (in situazioni di vita estreme le convinzio­
ni di molti atei svaniscono ed essi cominciano a invocare Dio
con grandi suppliche), né a un’effusione spontanea, ammaliata
e grata di fronte alla ‘bellezza divina’. Molte persone, che per
i motivi più diversi non comprendono la lingua della religione
e non pensano in termini religiosi, comprendono cosa sono la
preghiera, la meditazione, l’adorazione, e le praticano, a volte
in modo del tutto spontaneo, anche se forse con nomi diversi.
Molti che non si riconoscono in nessuna religione non sono
‘amusici’ rispetto a quella dimensione della vita spirituale, an­
che loro sentono la necessità di articolare in qualche modo la
gratitudine per il dono non scontato della vita, per il miracolo
dell’amore e per la bellezza del mondo.
Anche per molti credenti che attraversano una crisi dei con­
vincimenti religiosi, una ‘valle di tenebre’, la fede può conti­
nuare a vivere nell’esperienza della preghiera. Non sto pen­
sando all’esperienza di una ‘preghiera esaudita’ con cui si po­
trebbero superare i dubbi interpretandola come prova salvifica
dell’esistenza di Dio. Per me una preghiera inascoltata è scuola
di fede molto più di una preghiera esaudita. Essa è l’esperienza
che Dio non è un distributore di desideri esauditi, che la sua
esistenza non ‘funziona’ secondo le nostre rappresentazioni.
In un altro saggio aneddoto ebraico, un rabbino dice a una
donna che si lamenta perché in tanti anni Dio non ha mai ri­
sposto alla sua preghiera di vincere alla lotteria: «Invece ti ha
risposto, la sua risposta è ‘no’».
=

LA FEDE DEI NON CREDENTI E LA FINESTRA DELLA SPERANZA 213

Che Dio non risponda come vorremmo, non significa che


non risponda affatto. Proprio una preghiera non esaudita aiuta
a comprendere in cosa consiste il dialogo con Dio: la risposta di
Dio non si trova in superficie né nelle singole cose che scegliamo,
speriamo o ‘ordiniamo’; l’insieme della nostra vita è la risposta dì
Dio. Dio è ‘Dio in tutte le cose’ ed è necessario cercarlo incessan­
I temente, scoprirlo un passo alla volta e di nuovo cercarlo nell’in­
sieme e come insieme che include ed eccede il mondo intero.
Di questo insieme, d’altro canto, Comte-Sponville parla con
un’inclinazione quasi mistica nella parte conclusiva del suo
libro, nella sua proposta di una spiritualità per gli atei. Qui
- come durante tutta la lettura del libro Lo spirito dell’ateismo -
non ho potuto evitare di interrogarmi su quale immagine di
Dio (e quale esperienza personale) abbia urtato il nostro auto­
re e lo abbia portato a rifiutare a questo insieme il suo nome
tradizionale, vale a dire il nome di Dio.
Comte-Sponville parla dell’insieme della realtà come di un
mistero che è possibile contemplare senza parole, e in questo
siamo d’accordo. Ma rifiutandosi categoricamente di definire
questo mistero con la parola Dio (e affermando che questo
significherebbe attribuire a tale mistero la realtà di un mistero
diverso e già definito), dimostra di avere già una sua immagine di
Dio in cui non crede, e non vi crede probabilmente perché non
corrisponde all’immagine che lui stesso si è fatto di Dio.
Ma se vogliamo aprirci davvero al mistero assoluto, che noi
credenti definiamo con la parola Dio, dobbiamo anzitutto de­
porre (‘mettere fra parentesi’) le numerose rappresentazioni
che ci siamo precedentemente fatti di lui.
Il Dio della mia fede non è un qualche ente reificato, dun­
que un qualche ‘mistero aggiunto’. Se del mistero dell’insie­
me parlo come di Dio, dunque analogicamente di una ‘persona’
(in un modo consapevolmente ‘antropomorfo’, metaforico),
esprimo la mia esperienza della preghiera: quando resto in
ascolto delle realtà della vita, percepisco quest’ultima come un
appello a cui rispondo. Non è di certo la prova con cui convin­
cere dell’esistenza di Dio un non credente, è l’interpretazione
della mia esperienza, che ho scelto liberamente. Viktor Frankl
214 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

ammette che a.volte, mentre prega, si pone la domanda se non


stia parlando solamente a un suo ‘io più alto’, ma questo dub­
bio non indebolisce la sua fede intesa come fiducia. Frankl so­
stiene che, se Dio dovesse esistere, allora non fraintenderebbe
se qualcuno lo scambiasse con il proprio io e lo chiamasse così6.
Aggiungo: Dio non può essere così umile da venire all’uomo e
parlargli per mezzo del suo ‘io più alto’?
***

La preghiera, che rende possibile alla fede vivere anche nell’o­


scurità delle incertezze intellettuali e sulla natura dell’esistenza
di Dio e a volte sull’esistenza stessa, è in primo luogo preghiera
contemplativa. Dal pensiero, fortificato da opinioni scettiche se
non atee, la fede può spostarsi nel profondo, da dove, malgrado
tutto, è possibile pronunciare con sincerità e ardore le parole
del Salmo: «Io ti amo, Signore, mia roccia!». L’amore ha dunque
un suo genere specifico di conoscenza e di certezza, e può vivere
e respirare anche nell’oscurità delle incertezze e dei dubbi. Esi­
ste un amore che precede e sopravvive alle nostre parole, ai no­
stri sentimenti, alle nostre opinioni; è l’amore umano saturato,
rinnovato e guarito dalla ‘grazia’ - l’amore di Dio.
Facendo dialogare teologia mistica e psicologia del profondo,
possiamo esprimerlo così: le nostre opinioni, comprese quelle
sulla religione, girano continuamente intorno al nostro ego; si
muovono su un livello della nostra psiche ristretto, superficiale,
solo cosciente, solo razionale. Ma i doni della grazia, dunque l’a­
more, la fede e la speranza, espressi nella preghiera provengono
dall’io profondo {self, das Selbst), da quella scintilla divina che,
secondo la testimonianza dei mistici, in esso dimora. La fede,
come in un tempo non lontano hanno sottolineato soprattutto
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ha bisogno di una dimensio­
ne razionale quale assicurazione contro il fondamentalismo e il

6 V.E. Frank! - P. Lapide, Ricerca di Dio e domanda di senso ( 1984), Torino, Claudia­
na, 2016.
la fede dei non credenti e la finestra della speranza 215

fideismo sentimentale. Ma tutta la cultura moderna, compresa


la teologia moderna, ha sopravvalutato la componente razionale
e conscia della vita spirituale, anche nel campo della fede. Nel­
le sue riflessioni sulla componente umana della fede, l’odiema
teologia dovrebbe tener presente quanto la psicologia e la neu­
rofisiologia ci dicono sul primato degli elementi irrazionali nella
psiche umana, nel campo della percezione, della motivazione,
della decisione e dell’azione. Ego cogito non è un padrone asso­
luto nella casa della vita umana, come pensavano Cartesio e gli
illuministi.
Una volta la psicologia del profondo è stata in grado di rispon­
dere al mio tormentato interrogativo sul perché spesso mi trovo
in accordo più con alcuni non credenti che con alcuni credenti.
Se la fede pervade, in quanto dono di Dio, tutti gli strati della
nostra psiche, allora una sua parte sostanziale vive in quel luogo
molto più profondo e significativo che chiamiamo inconscio. Tra
il piano cosciente e quello inconscio delle nostre posizioni reli­
giose non deve esserci - e spesso infatti non c’è - armonia. Que­
sto è uno dei motivi per cui possiamo parlare di ‘fede dei non
credenti’ e di ‘incredulità dei credenti’. Anche se di certo è vero
che ‘solo Dio vede nel cuore’, un osservatore esperto e percettivo
intuisce cosa viene espresso oltre le parole della persona con cui
sta dialogando. Ci sono ‘credenti’ con il pensiero e la bocca pieni
di religione, di fronte ai quali si riesce però a percepire che tutto
quello che dicono - e non deve trattarsi per forza di una consape­
vole e ipocrita simulazione - proviene dalla superficie, non dalla
loro vita spirituale. Accade anche con alcuni convertiti entusiasti,
così come con professionisti religiosi di successo.
La discrepanza tra la religiosità consapevole (espressa con le
parole e vissuta con le emozioni) da una parte, e qualcosa di
totalmente diverso, finanche di nascosto demoniaco, dall’altra,
è meglio riconoscibile nei fanatici religiosi (e qualcosa di simile
si trova anche tra i fanatici dell’ateismo). 11 fanatico di rado è
una persona di saldi principi, che li rispetta e vi si attiene. Spesso
i fanatici sono sballottati tra forti dubbi e incredulità nei con­
fronti di ciò che professano, a volte dubbi inconsapevoli, non
riconosciuti e perciò difficilmente gestibili. Provano a estirparli
216 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

proiettandoli sul prossimo e, di conseguenza, cercando di mette­


re in atto una liquidazione morale, nel migliore dei casi, ma tal­
volta anche fisica dei propri avversari, eretici o scettici effettivi o
presunti. Dal fanatismo può guarirci un metodo semplice in ap­
parenza, ma nella prassi piuttosto faticoso, consigliato da Jung:
possiamo guardare quelli con cui stiamo lottando come in uno
specchio che può mostrarci i nostri tratti a noi stessi sconosciuti,
le nostre ombre, l’altra faccia della medaglia. Negli atteggiamen­
ti estremisti spesso si nasconde, inconscio, l’esatto opposto, che
istintivamente cerca compensazione.
Talvolta, in un lampo inaspettato, in un attimo di verità, pos­
siamo riscontrare in un buon numero di persone che si dichia­
rano atee e che nella sfera del proprio io consapevole hanno un
problema con la religione, la respingono, la sentono estranea,
inaccettabile, persino offensiva, che sono invece fortemente
attratte dal ‘sacro’. Alcuni respingono questa attrazione incon­
fessata: i biografi di Freud scrivono di come si proteggesse dal
mistico ‘sentimento oceanico’ nell’ascolto della musica; teme­
va la vertigine che l’esperienza intensa della bellezza avrebbe
potuto provocare nel suo razionale, scettico ego.
Se studiamo attentamente l’atteggiamento verso la religione
di molti suoi acuti critici ‘atei’, troveremo spesso in loro una
certa ambivalenza, una Hassliebe - una mescolanza di amore
e odio. Possiamo intuirlo soprattutto nell’ateismo inquieto,
talvolta appassionato, di coloro che ‘lottano con Dio’, come
Nietzsche. Non vi pare che questa posizione sia più vicina a Dio
di quanto non lo sia la tiepida indifferenza?
Ci sono poi i ‘cristiani anonimi’, persone che per qualche
motivo non accettano la fede, ma delle quali sarebbe possibile
dire la stessa cosa che il pastore Oskar Pfister scrisse a Freud:
«Direi che forse non è mai vissuto cristiano migliore di lei!»7.
Ho conosciuto anche alcuni convertiti al cristianesimo la cui
‘conversione’ consisteva solo nella sorprendente scoperta che il

’ Cfr. la lettera del 29 ottobre 1918, in S. Freud, Psicoanalisi e fede. Carteggio col
pastore Pfister 1909-1939, Torino, Boringhieri, 1970.
LA FEDE DEI NON CREDENTI E LA FINESTRA DELLA SPERANZA
217

cristianesimo, di cui fino a quel momento non sapevano nulla


era solo il nome del modo in cui ‘anonimamente’ avevano sem­
pre vissuto, di ciò che avevano sempre ritenuto vero e giusto.
***

Torniamo al testo di Comte-Sponville. Del suo ‘ateismo’ ap­


prezzo soprattutto il fatto che indaga ciò che del cristianesimo
andrebbe conservato anche dopo la fine della religione. È un
atteggiamento che lo avvicina a molti atei umanisti, da Ludwig
Feuerbach a Ernst Bloch, da Milan Machovec a Erich Fromm,
fino a Slavoj Zizek. Tutti questi rifiutano un certo tipo di religio­
ne (che rischia di sfociare in infantilismo, fondamentalismo,
bigottismo e fanatismo), ma al contempo sono consapevoli che
il monoteismo ebraico e quello cristiano offrono qualcosa di
incredibilmente prezioso, che sarebbe insensato e irresponsa­
bile e financo pericoloso perdere. So/arso good-capisco questo
punto di vista e lo condivido. Nella stessa direzione si muove
¡’«anateismo» di Richard Keamey o la «seconda ingenuità» di
Paul Ricoeur, e anche l’invito che questo libro rivolge: arrivare,
dalle macerie del cristianesimo del mezzogiorno, alla sua for­
ma pomeridiana, più matura.
Tuttavia ci sono alcune differenze di opinione riguardo a
cosa sia necessario lasciare (o cosa sia in effetti già morto) e
1
cosa invece sia bene conservare. Comte-Sponville sostiene che
I sia opportuno abbandonare la fede (foi) e conservare invece la
fedeltà (fidélité). Entrambi i termini derivano dal latino jìdes e
indicano due concetti vicini che è bene esplicitare.

Fede e fedeltà possono naturalmente andare di pari passo: è quello


che chiamo devozione, verso cui tendono, e a ragione, i credenti. Ma
si può anche avere una senza l’altra. È quello che distingue l’empietà
(l’assenza di fede) dal nichilismo (l’assenza di fedeltà). Attenzione a
non confonderli! Quando si è perduta la fede, resta la fedeltà. Quan­
do si sono perdute entrambe, non resta che il nulla, se non peggio8.

8 A. Comte-Sponville, Lo spirito dell’ateismo, ci t., p. 26.


218 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

Comte-Sponville ha perso la fede (e ha constatato come essa


stia indebolendosi anche nella società), tuttavia sostiene il con­
cetto di fedeltà. Senza la fedeltà, cadremmo nella barbarie - sia
questa un’assenza di fede che porta al nichilismo e all’egoismo
sfrenato, oppure un fanatismo che porta alla violenza.
Mi sembra che la differenza tra il mio punto di vista e quello
di Comte-Sponville sia solo terminologica. Ciò che io chiamo
fede (faith), lui lo chiama fedeltà (fidélité). Ciò che lui indica
con fede (foi), io lo chiamo idea del mondo, convincimento
religioso (belief). È indubbio che esistano idee del mondo di
tipo religioso che l’umanità, nella sua maturazione, ha abban­
donato, così come esistono convincimenti religiosi e ideologie
pericolosi, distruttivi: è necessario separarli da ciò che indico
come fede e che il nostro autore chiama fedeltà.
Quando Comte-Sponville si esprime contro la ‘fede in Dio’,
riesco ancora a seguirlo, poiché la sua è soprattutto una cri­
tica a quei concetti ‘materiali’ di Dio che anch’io considero
come simulacri da cui bisogna allontanarsi. Quando si riferisce
ai concetti relativi a Dio che mi sono più vicini - Dio come
esistenza stessa, Dio come mistero inconoscibile, il Dio della
mistica e dell’apofatismo teologico -, li tratta con cortese re­
spingimento: non capisce perché dovrebbero chiamarsi con la
parola Dio o perché noi dovremmo occuparci di qualcosa che
è inconoscibile. Scrive:

Se Dio è inconcepibile, niente ci autorizza a pensare che sia un Sog­


getto o una Persona, né che è Creatore, né che è Giusto, né che è
Amore, né che è Protettore o Benefattore [...]; ma un dio senza
nome non sarebbe più un Dio. L’ineffabile non è un argomento. Il
silenzio non fa una religione9.

Qui invece mi trovo in profondo disaccordo. È possibile che


‘niente ci autorizzi’ a pensare tutto ciò nel senso di presumere,
ma nulla ci impedisce di crederci, di avere il coraggio di fidarci. È
qui che risiede la differenza nei nostri due pensieri: per Comte-

9 Ibidem, p. 94.
la fede dei non credenti e la finestra della speranza 219

Sponville la fede è una speculazione, un’opinione {belief), per


me è fiducia e speranza. Credo nel Dio della Bibbia che è un
I Dio senza nome, ovvero il cui nome è vietato pronunciare; un
Dio che, se avesse un nome con il quale apostrofarlo, sarebbe
solo uno qualsiasi tra i vari dei e demoni. Tacere di fronte a un
mistero incomprensibile non sarà forse una ‘religione’ nel sen­
so pagano del termine, ma è un atto di fede, speranza e amore
per il Dio di cui scrive la Bibbia e in cui noi cristiani ed ebrei
crediamo.
Comte-Sponville afferma di non essere solo un non credente
(un ‘ateo negativo’, che non crede in un Dio), ma si definisce
come vero ateo, ateo ‘positivo’ che crede che Dio non esista10. La
fede come la intendo io non è solo una convinzione, ma un
atto indissolubilmente legato alla speranza e all’amore che ha
in sé anche la passione del desiderio. Amare - ripeto con Ago­
stino - significa volo ut sis, voglio che tu sia11. In una situazione
in cui 1’esistenza e il carattere di Dio non sono evidenti, possia­
mo guardare nelle profondità del nostro cuore e domandarci
se vogliamo che Dio sia oppure che non sia, se questo è il desiderio
profondo del nostro cuore.
Ammiro il desiderio del cuore umano per l’amore assoluto.

i Comte-Sponville ne è estremamente sospettoso: lo ritiene un


forte argomento contro la fede; come Freud, crede che il desi­
derio generi illusioni. Ma perché la sete dovrebbe far dubitare
dell’esistenza della fonte? Perché il desiderio di Dio dovrebbe
essere meno vero del desiderio che Dio non sia? Comte-Spon­
ville ha liberamente scelto la fede nella non esistenza di Dio e
raccoglie argomenti contro la libera scelta opposta, rifiuta il
desiderio e la speranza della fede.
Allo stesso tempo, però, Comte-Sponville condanna severa­
mente l’agnosticismo sulla base della sua presunta indifferenza
nei confronti degli interrogativi fondamentali che la religione
e la fede hanno posto una volta per tutte e continuano a porre.

10 Ibidem, p. 95.
11 Cfr. T. Halík, Voglio che lu sia, cit

i
220 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

In questo senso considera la propria libera scelta dell’ateismo


come molto più vicina alla libera scelta della fede rispetto all’a­
rida ‘neutralità’ degli agnostici12. (Qui siamo di nuovo in disac­
cordo, per quanto solo nella terminologia: ho sempre apprez­
zato, più che quello ‘freddamente indifferente’, l’agnosticismo
gentile, onesto e umile che tace sulla soglia del mistero; ho
sempre inteso invece l’ateismo come un passo ulteriore, una
risposta negativa inopinatamente dogmatica, incapace di pa­
zientare di fronte al Mistero.)
Per quanto riguarda la parola Dio, mi affianco a Rahner nel
riconoscere come questa sia talmente carica di nozioni proble­
matiche che forse sarebbe utile distanziarsene almeno in parte.
Invece il Mistero indicibile a cui è giunta la teologia apofatica
attraverso la distruzione di tutte le interpretazioni, positive e
infine anche negative, di Dio, io lo difenderei fino all’ultimo
respiro. A differenza del nostro autore ateo, ma in questo caso
anche di Nietzsche, sono convinto che, se ignorassimo o ri­
fiutassimo apertamente questa dimensione trascendentale, il
nostro rapporto con la vita terrena non ne gioverebbe affatto
in vitalità, pienezza e autenticità, piuttosto il contrario. Con le
parole di un altro ateo contemporaneo vicino al cristianesimo,
Slavoj Zizek, affermo che «l’umanesimo non basta»13; che chi
è soddisfatto pienamente di ‘questo mondo’ nella sua forma
attuale da noi corrotta, ne impoverisce e banalizza la propria
percezione e la propria esperienza. Lascerei cadere molte ‘idee
religiose’, ma non abbandonerei mai la speranza, compresa quella
di una vita che supera la morte.
Comte-Sponville sceglie, delle tre virtù per la grazia, solo l’a­
more. Nella sua suggestiva esegesi dell’«inno alla carità», di san
Paolo nella Prima lettera ai Corinzi — in uno dei passaggi più
intensi del suo libro - egli si appella all’affermazione di Paolo
(ma anche di Agostino e Tommaso d’Aquino) che la fede e la

12 A. Comte-Sponville, Lo spirilo dell’ateismo, cit., pp. 67-68.


” Cfr. M. Hauser - S. Zizek, Humanism is noi enough. Interview with Slavoj Zizek, in
«International Journal of Zizek Studies» 3, 3, 2007.
LA FEDE DEI NON CREDENTI E LA FINESTRA DELLA SPERANZA 221

speranza sono provvisorie mentre l’amore è eterno. Arriva, con


il pensiero di Paolo, al punto di concedere che l’amore in un
certo senso renda relativa persino la morte.
Comte-Sponville sa che per Paolo, Agostino e Tommaso la
fine stessa della fede e della speranza, e il compimento della
carità, dell’amore, sopraggiungono solo nell’eternità; il nostro
autore invece fa dell’ateismo un ‘paradiso in terra’, dove (già
qui, in questa vita) vede il kairos in cui la fede e la speranza si
dimostrano essere inutili e al loro posto subentra l’amore. Già
questo stesso mondo è per lui il cielo in cui nell’Apocalisse di
Giovanni «non sarà alcun tempio». Comte-Sponville si riferi­
sce ai teologi scolastici, secondo i quali Gesù non aveva fede
né speranza - non ne aveva bisogno, poiché era Dio: era solo
Amore. La nostra imitatio Christi (la sequela di Cristo) non deve
mirare a essere come Cristo - quindi a essere come Dio? (Esplicito
qui ciò che il nostro autore non spiega nel dettaglio, ma che
emerge dalla logica della sua esegesi.) È una domanda molto
suggestiva, ma da diligente lettore del libro della Genesi mi
avvicino con cautela alla mela che il nostro ateo mi sta con
simpatia offrendo.

***

Con Comte-Sponville, così come con molti agnostici, condivi­


do l’umile ‘non so’ riguardo alla vita dopo la morte, più preci­
samente condivido la distanza critica da tutte le nostre umane,
troppo umane, idee del cielo. Ciononostante vedo, nella fede e
nella speranza che la morte non avrà l’ultima parola, che la vita
di ognuno di noi e la storia dell’umanità intera non cadrà nel
nulla, ma subirà un profondo cambiamento, inimmaginabile
per noi qui e ora, in qualcosa di molto importante; importante
anche per la nostra vita qui. Percepisco non solo l’amore, ma
anche la speranza e la fede, quella sacra inquietudine del cuo­
re che non risiede ancora in Dio, come apertura verso ciò che
qui e ora trascende, rende profondi e amplia la nostra vita e
il mondo. Anche la speranza ha carattere di trascendenza, di
superamento di sé; se decidiamo di limitarla e forzarla entro
222 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

le dimensioni di questo mondo, se la priviamo del tutto di uno


spazio libero per il suo pieno sviluppo, allora danneggeremo
non solo la speranza, ma anche noi stessi e il nostro mondo. Se
scambieremo questa virtù essenzialmente escatologica per l’a­
spettativa di un ‘paradiso in terra’ (nella forma delle promesse
comuniste di una società senza classi o dei progetti capitalisti
per una società del benessere e del consumismo illimitato), ap­
pesantiremo la nostra vita in questo mondo con rivendicazioni
e aspettative irrealistiche. Con il desiderio di saziare la fame di
eternità con il cibo del nostro tavolo terreno di oggi, preparia­
mo per noi stessi un circolo vizioso di stress e frustrazione. Sen-

prometta il cielo in terra, e lo faccio sulla base dell’esperienza


storica, pagata a caro prezzo, del nostro cammino. Di certo ri­
tengo vero che non possiamo saziare la nostra speranza con
idee terrene, troppo umane, del paradiso celeste; e qui torniamo
al nostro ‘non so’, un ‘non so’ che deve però lasciare aperta la
porticina della speranza e del desiderio.
Non posso di certo seguire il nostro autore nel suo rifiuto
della fede. Per me - e qui mi trovo in disaccordo sostanziale con
Comte-Sponville - l’amore, la fede e la speranza sono indivisi­
bili. Ci sono momenti in cui la fede attraversa l’oscurità. Teresa
di Lisieux ha riconosciuto, nell’agonia che ha preceduto la sua
morte, che la sua fede si era svuotata e oscurata, era come morta;
ha però aggiunto che in quei momenti si è rivolta a Dio attraver­
so l’amore, solo l’amare. Questa testimonianza potrebbe essere un
altro argomento a favore del concetto che Comte-Sponville ha
dell’amore, ovvero che esso sostituisce la fede già in questa vita,
sebbene nel caso di Teresa si trattasse di un tempo al confine tra
la vita e la morte. Comte-Sponville però rigetta l’idea di un dio
nascosto, silenzioso. Egli stesso sembra abbia ‘perso’ la fede in
un momento analogo di silenzio da parte di Dio. Ma è possibile
perdere la fede come si perde un mazzo di chiavi?
Chi davvero è vissuto di fede e nella fede, può perdere le
‘illusioni’ e le idee che si è fatto della religione (quindi ciò che
l’autore chiama fot). Molti sinceri ‘ex credenti’ possono ‘ritro­
vare’ la fede nelle varie strade che percorrono nella vita, anche
LA FEDE DEI NON CREDENTI E LA FINESTRA DELLA SPERANZA
223

se in forma assai diversa. Del resto Comte-Sponville resta fedele


a ciò che chiama ‘fedeltà’ (fidélité), e ho già ipotizzato che la
sua fidélité sia molto vicina a ciò che in questo libro chiamo fede
e che come fede vivo e riconosco nella mia vicenda esistenziale.
Porto un solido argomento a favore della mia tesi su questa ncn
stra vicinanza: un elemento fondamentale della fede per come
la intendo io è la spiritualità, per me è la linfa e la passione della
fede, è ciò che le dà vita e continuamente la ravviva, è l’apertu­
ra stessa per la quale la grazia, la vita stessa di Dio, può scorrere
nella mia fede personale.
Comte-Sponville rifiuta la fede e la speranza ma vuole con­
servare la spiritualità, la difende anche per i ‘senza dio’, per gli
atei devoti per simpatia (i fedeli, nella sua terminologia), gli atei
non dogmatici. Per coloro i quali sanno di non sapere che Dio
non è, allo stesso modo in cui non sanno se Dio sia. 11 loro atei­
smo - come riconosce onestamente - è una fede, non un sapere,
in questo somiglia alla fede dei credenti non dogmatici, ai qua­
li sento di appartenere. Neppure noi ‘sappiamo’, non abbiamo
una prova che Dio ‘è’, e ‘non sappiamo’ cosa significhi ‘essere’
nel caso di Dio. Se Dio è, allora è in modo indubbiamente di­
verso dalle cose e da noi mortali. Anche la nostra fede è ‘solo’
fede - pur se non metterei mai questa virtù divina accanto alla
parola ‘solo’.
Entrambi siamo d’accordo sul fatto che ci troviamo tutti
nella situazione della scommessa di Pascal, le tradizionali ‘pro­
ve dell’esistenza di Dio’ non convincono nessuno dei due. La
fede e l’assenza di fede in noi due sono libere scelte. Qui però
le nostre strade si dividono: Comte-Sponville ha il coraggio di
scommettere sull’ateismo, io sulla fede. Entrambi ci accordia­
mo sul ‘non sapere’; il mio ‘non so’ è però del tutto diverso dal
suo. Per entrambi si tratta di una difesa dal fanatismo, dal fon­
damentalismo e anche dal nichilismo, da un ‘sapere’ illusorio
da quattro soldi (là dove non possiamo ‘sapere’), e anche dalla
rassegnazione.
Io però abito un ‘non so’ che tiene una finestra aperta sul
‘forse’. In questo modo anche nei miei dubbi e momenti bui
fluisce liberamente la fresca brezza della speranza. Lo ripeto:
224 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

quella finestra non la chiuderò mai per nessun motivo. Temo


che un ateo, nella sua libera scelta di rifiutare Dio, la fede e la
speranza, chiuda quel ‘non so’. Sono convinto che rifiutare la
speranza renda il mondo dei non credenti più povero e angusto.
Temo che in questo spazio chiuso anche lo spazio per la spiritua­
lità sarà presto privo d’aria, e che senza fede e speranza la spiri­
tualità ateistica possa prima o poi soffocare; le mancherà il fiato.
Comte-Sponville si accanisce bizzarramente nel rifiuto del­
la speranza in modo esplicito e ripetuto. Si rivolge al buddhi­
smo, per cui la speranza è una forma di cupidigia, di bramosia,
espressione e causa di infelicità. Si rivolge a Nietzsche, per il
quale la speranza è un’infedeltà nei confronti della terra, della
vita terrena del qui e ora. La mia speranza, però, non è una
fuga nell’oltretomba, nell’Hinterweltlichkeit. Non interrompo il
nostro comune e onesto ‘non so’ con un contrabbando sleale
di presunte certezze, di affermazioni sul quando, dove e come
la speranza sarà compiuta. Davvero ‘non so’ in quale spazio e
tempo esista il Regno di cui parla Gesù, ho fiducia nella sua pa­
rola e prego perché giunga. Non compio una facile identifica­
zione tra il Regno promesso e la vita dopo la morte, ultramon­
dana; il Vangelo ci dice che il Regno di Dio «è tra noi»14; che è
giunto con Gesù e che l’uomo vi entrerà quando, con fede, ca­
rità e speranza, congiungerà la propria vita con Cristo. Mi fido
della Parola di Gesù che egli è resurrezione e vita, credo che sia
l’amore di Dio incarnato, che sia più forte della morte. Anche
Comte-Sponville parla del fatto che la vita, mutata dall’amo­
re, renda la morte relativa; è un ateo che non esita a parlare
di Assoluto. Afferma di voler solo liberare l’Assoluto dei suoi
tratti antropomorfi - e in questo tutti noi educati alla teologia
apofatica mistica lo applaudiamo. Ma domando nuovamente:
perché mai l’Assoluto, spogliato dei suoi tratti antropomorfi,
cesserebbe di essere Dio?
La mia fede e la mia speranza non spogliano il mio amore
della fedeltà alla terra, all’oggi e al presente, non tolgono al

"Cfr.Lc 17,20-21.
LA FEDE DEI NON CREDENTI E LA FINESTRA DELLA SPERANZA
225
mondo la sua bellezza e alla vita nel mondo le sue serietà e re
sponsabilità. Quando l’Assoluto, con un umile ‘forse’ soffia la
speranza nella nostra vita, piuttosto che indebolirla la rafforza
Quando un raggio di santità illumina la nostra quotidianità le
dona bellezza, gioia, libertà e profondità. Il Dio in cui credo
- qui rispondo a Nietzsche - si è spogliato della sua pelle di
morale, non emana il cattivo odore di «moralina», è un dio che
danza'5. Gli amici di Dio che attraverso il confine della morte
sono diventati miei amici, già ‘sembrano redenti’ e mi inse­
gnano questa danza di libertà16. Nonostante tutte le parole di
critica che ho rivolto alle Chiese, posso affermare che conosco
cristiani che si sono trovati tra le fiamme di grandi prove; an­
che Comte-Sponville ne menziona alcuni e aggiunge che per la
loro testimonianza non può disprezzare neanche la loro fede
cristiana. Anche Nietzsche, dopotutto, ha dichiarato che il cri­
stianesimo, degno di rispetto, era già al mondo nella liberazio­
ne di Gesù dallo «spirito di gravità», e che è possibile anche
oggi17-

***

Ernst Bloch una volta ha detto che solo un ateo può essere un
buon cristiano e solo un cristiano può essere un buon ateo18.
Penso di capire ora cosa intendesse dire, anche se la penso di­
versamente: l’ateismo può essere utile ai cristiani credenti, ma

15 Nietzsche annuncia che forse vedremo ancora Dio anche dopo la sua ‘morte’,
quando si sarà spogliato della sua pelle di morale. Nietzsche inventa come ete­
ronomo della morale la «moralina», un neologismo che richiama la parola e il
puzzo della naftalina. E afferma che può credere solo in un «dio che danza». Cfr.
E Nietzsche, LAnlicrislo. Maledizione del cristianesimo (1895), Milano, Adelphi,
1977.
16 Lo Zarathustra di Nietzsche dice ai cristiani: «Perché io impari a credere al loro
redentore: più redenti dovrebbero sembrarmi i suoi discepoli!»: E Nietzsche,
Così parlò Zarathustra, cit., p. 138.
17 Cfr. Lo spirilo di gravità, in F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit.
18 Cfr. E. Bloch, Ateìsmo nel cristianesimo. Per la religione dell’Esodo e del Regno (1968),
Milano, Feltrinelli, 1971.
226 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

pericoloso per gli atei. L’ateismo è come il fuoco: un buon ser­


vitore, ma un cattivo signore. Il cristiano credente è ‘ateo’ nei
confronti di molti tipi di teismo problematico; per secoli i cri­
stiani sono stati perseguitati come atei a causa della loro oppo­
sizione alla religione di Stato della Roma pagana, e anche oggi
sussistono molti tipi di teismo ai quali la fede cristiana a buon
diritto si oppone. Quando la fede di un credente attraversa le
fiamme del purgatorio della critica atea, può accedere a uno
spazio libero come fede più profonda, più pura, più matura.
L’ateismo critico è relativo, si applica a un certo tipo di tei­
smo. Se però l’ateismo rende la propria posizione assoluta e
ambisce a essere qualcosa di più che la critica di un certo tipo
di religione, allora esso stesso diviene ‘religione’, spesso dog­
matica e intollerante. Ho sperimentato in prima persona una
simile religione atea e non consiglio a nessuno il suo paradiso.
Invece non ho ancora incontrato un ateismo che riempisse
lo spazio liberato dal teismo e da una religiosità decaduta con
qualcosa che si potesse considerare di maggiore ispirazione ri­
spetto a una fede matura. Non scambierei la fede cristiana con
l’adorazione dell’uomo nell’ateismo umanistico di Feuerbach,
né con il paradiso terrestre marxista della società senza classi,
né con la spiritualità da ‘cristiano anonimo’ di Comte-Sponvil-
le, che sostituisce la parola Dio con l’infinito o l’Assoluto. Pen­
so che queste utopie dell’ateismo necessitino di una accurata
‘demitologizzazione’.
Nello stretto spazio della religione dogmatica, dove il pen­
siero libero respira a fatica, l’ateismo critico apre una salvifica
finestra di scetticismo. Se l’ateismo che resiste alla tentazione
di diventare dogmatico lascerà aperta la piccola finestra del
‘forse’, la finestra della speranza, da entrambi - la fede umile
e l’ateismo autocritico - potrà soffiare quello stesso Spirito che
accompagna nella profondità del Mistero, fino al tesoro inac­
cessibile a qualsiasi dogmatismo e rigidità.
XV. La società della Via

La poetessa tedesca Gertrud von Le Fort negli anni Venti del


secolo scorso ha scritto una raccolta di poesie1 pervasa dalla
fascinazione di una convertita nei confronti di un riscoperto
mondo spirituale. Oggi chi avrebbe il coraggio di pubblicare
un libro con un titolo del genere?
In un mio libro ho paragonato la Chiesa a Dulcinea del To­
boso. Nel celebre romanzo di Cervantes questo personaggio ci
viene descritto da due punti di vista diversi. Don Chisciotte in lei
vede una nobile dama, mentre il suo servitore Sancho Panza una
sporca ragazzetta di campagna. In un approccio superficiale, il
lettore si identifica immediatamente con il realismo di Sancho
Panza: il servitore vede ciò che è reale; il folle Chisciotte nau­
fraga nelle sue allucinazioni. Ma don Chisciotte, questo folle di
Dio, non ingiustamente è stato chiamato, ad esempio da Miguel
de Unamuno, cavaliere veramente cristiano2. Nel realismo terra
terra di Sancho, la sua visione del mondo è una vera follia. San­
cho riporta quel che vede con i suoi occhi e che comprende con
la sua ragione. Chisciotte invece vede in quella ragazza ciò che
potrebbe essere, attraverso la sua miseria, a lui traspare la ‘femmini­
lità eterna’ che anche lei porta in sé3.
Lo sguardo dei media e dell’opinione pubblica sulla Chie­
sa e sulla sua forma attuale per niente attraente è lo sguardo

1 G. von Le Fort, Inni alla Chiesa (1924), Brescia, Morcelliana, 1947.


2 Cfr. M. de Unamuno, Del sentimento tragico della vita negli uomini e nei popoli
(1913), Milano, SE, 2020.
5 Cfr. T. Halik, Pazienza con Dio, cit.
POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO
228

di Sancho, realista, verificabile: la Chiesa è questa, a tal punto


screditata da scandali e peccati. Per me, invece, la chiave di
tutte le considerazioni sulla Chiesa è il paradosso espresso da
Paolo: «noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta...»4. Perciò,
alla luce della follia della speranza, in questo libro analizzo
molti aspetti della crisi contemporanea della Chiesa, ma cerco
la forma nascosta alla quale è stata chiamata e che sboccerà in
base alla nostra fede alla fine dei tempi: quel tesoro nascosto in
fragili, polverosi, scheggiati vasi della stessa creta di cui siamo
fatti noi che formiamo la Chiesa.
Il fiume della fede è uscito dagli argini del passato, la Chiesa
ne ha perso il monopolio. Le istituzioni ecclesiastiche non han­
no più il potere di controllarlo e disciplinarlo; se ci provassero,
rischierebbero un’ulteriore perdita di influenza e autorità mo­
rale. La Chiesa come società dei credenti, società della memo­
ria, dell’annuncio e della celebrazione, ha tuttavia la missione
permanente di servire la fede, e questo sia con le sue esperienze
storiche, sia soprattutto con il potere dello Spirito, che dimora
e agisce anche in ‘vasi di creta’.
Credo nel carattere mariano della Chiesa - la Chiesa è chri­
stotokos e theotokos, madre che genera e porta al mondo la Pa­
rola incarnata di Dio5, ma la Chiesa può continuare ad adem­
piere questo ruolo o è giunto il tempo in cui la fede è divenu­
ta matura e si è resa autonoma dal grembo materno? Il ruolo
materno può assumere molte forme differenti, la relazione
fra madre e figlio cambia nel corso della vita. Quale forma di
Chiesa può oggi essere vantaggiosa, se non essenziale, per la
vita della fede? E quale invece soffoca la fede e la costringe in
una forma infantile? Quale forma di Chiesa può rispondere
agli attuali bisogni della fede e allo stesso tempo agli odierni
segni dei tempi?

1 2Cor4,7.
5 La disputa medievale se a Maria spetti solamente il titolo di christotokos (geni­
trice, portatrice di Cristo) o anche di theotokos (Madre di Dio) è stata risolta con­
tro Nestore nel 431 nel Concilio di Efeso a favore della correttezza del titolo di
theotokos.
LA SOCIETÀ DELLA VIA 229

Vedo nella contemporaneità quattro concetti ecclesiologici ai


quali è possibile e necessario ricollegarsi, che occorre approfon­
dire da un punto di vista teologico e immettere, un passo alla
volta, nella vita. Innanzitutto il concetto di Chiesa come popolo
di Dio in pellegrinaggio nella storia; in secondo luogo, il concet­
to di Chiesa come scuola di sapienza cristiana; in terzo luogo, il
concetto di Chiesa come ospedale da campo; infine l’interpre­
tazione della Chiesa come luogo di incontro e di dialogo, per il
servizio di accompagnamento spirituale e di riconciliazione.
***
i
La prima definizione di Chiesa come popolo di Dio in pellegrinag­
gio nella storia è un elemento cardine del Concilio Vaticano II.
Questa immagine è tratta dalla Bibbia ebraica, in cui è riferita
a Israele in cammino dalla terra dell’esilio alla terra promessa
della libertà. Secondo questa concezione, la Chiesa è parte del
fiume che scaturisce da Israele; nelle parole di Paolo, è un ger­
moglio sull’ulivo del popolo eletto.
Questa immagine descrive il rapporto fra la Chiesa e Israele
senza ritirarsi in un modello pericoloso di sostituzione del po­
polo e della religione ebraica con il cristianesimo.
Era necessario dire chiaramente che il cristianesimo non
nega all’ebraismo legittimità né diritto all’esistenza; l’anti-
giudaismo cristiano di un tempo ha avuto conseguenze tra­
giche, ha aperto la strada aH’antisemitismo neopagano6.
Già quando, nei primi secoli, la Chiesa ha deciso di acco­
gliere la Bibbia ebraica, la Bibbia di Gesù, come parola di Dio
vincolante, questo ha significato dichiarare la memoria del
popolo di Israele come parte della propria memoria storica.
La memoria di Israele, la Bibbia ebraica, è parte della memo­
ria della Chiesa. Gli autori cristiani della teologia del dopo

6 L’apostolo Paolo, riguardo all’elezione di Israele, afferma chiaramente: «per­


ché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Jim 11,29). Su questa afferma­
zione si è appoggiato il Concilio Vaticano II quando ha rifiutato l’immagine di
una Chiesa che sostituisce Israele.
230 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

Auschwitz hanno sottolineato che la Chiesa non può rimanere


indifferente rispetto all’intera storia ebraica, compresa la tra­
gedia dell’olocausto.
Noi cristiani non possiamo dimenticare le radici comuni che
ci uniscono agli ebrei: se mancassimo di rispetto agli ebrei, di­
sconosceremmo il Signore e la nascita di Gesù. Attraverso l’euca­
restia, segno della nuova alleanza, attraverso il sangue ebraico di
Gesù che è stato versato per tutti, siamo ‘consanguinei’ del popo­
lo della prima alleanza. L’ebraismo e la fede ebraica di Gesù ap­
partengono inseparabilmente alla sua umanità, alla sua ‘natura
umana’, che, secondo la famosa nota del Concilio di Calcedonia,
è unita senza confusione e senza separazione alla sua ‘natura di­
vina’, alla sua unità con il Padre. Forse potremmo analogamente
dire che, almeno per noi cristiani, l’ebraismo - la fede di Gesù e
la ‘religione’ di Gesù - è unito al nostro cristianesimo, alla nostra
fede cristiana. Questa è sia la fede di Gesù sia la nostra ‘fede in
Gesù’: credere che in Gesù Cristo sono uniti (senza confusione
e senza separazione) umano e divino, e che questo può unire
anche ‘circoncisi e non circoncisi’, «egli infatti è la nostra pace,
colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di
separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia»7.
Tale unità ‘senza separazione’, sicuramente voluta da Dio,
presuppone di certo anche un’unità ‘senza confusione’, cioè
il rispetto della reciproca diversità senza provare a sostituirsi,
impadronirsi o colonizzarsi l’un l’altro. D’altra parte, ciò che
qui dico a proposito del rapporto fra cristianesimo ed ebraismo
vale anche per il rapporto fra il cristianesimo tradizionale e il
suo ‘figlio non desiderato’, la moderna secolarizzazione. Tan­
to il rapporto fra ebraismo e cristianesimo, quanto quello fra
cristianesimo e modernità secolarizzata somigliano, nella loro
fatalità e insieme ambivalenza e tesa dinamicità, ai rapporti che
si generano all’interno delle famiglie. Avere in comune geni e
provenienza offre grandi possibilità positive, ma non garanti­
sce un’armonia priva di problemi.

’ Cfr.Ef 2,14-16.
LA SOCIETÀ DELLA VIA 231

Torniamo però alla definizione di Chiesa come popolo di


Dio in pellegrinaggio nella storia. Questa immagine delinea
una Chiesa in movimento e alle prese con incessanti cambia­
menti. Dio plasma la forma della Chiesa nella storia, le si rivela
per mezzo della storia e le impartisce i suoi insegnamenti attra­
verso gli avvenimenti storici. Dio è nella storia. Nella prospet­
tiva della teologia processuale, questa concezione dinamica di
Dio è uno stimolo per un’interpretazione dinamica della Chie­
sa. Per nessun momento storico della Chiesa né per nessuna
sua forma storica possiamo dire con il Faust di Goethe: sei così
bello, fermati8! In tutto il corso della sua storia la Chiesa è in
cammino, mai alla meta. La meta della sua storia è escatologi­
ca: rincontro atteso con Cristo (le ‘nozze dell’agnello’), verrà
solamente oltre l’orizzonte del tempo storico. Se la nostra te­
ologia, la nostra continua riflessione sulla fede, perde il suo
carattere peregrinante aperto, diventa un’ideologia, una falsa
coscienza9.
Riguardo alla Chiesa come popolo di Dio in pellegrinaggio
è possibile dire ciò che papa Francesco ha detto sul popolo nel
senso comune della parola:

La categoria di ‘popolo’ è aperta. Un popolo vivo, dinamico e con


un futuro è quello che rimane costantemente aperto a nuove sinte­
si assumendo in sé ciò che è diverso. Non lo fa negando se stesso,
ma piuttosto con la disposizione a essere messo in movimento e in
discussione, a essere allargato, arricchito da altri, e in tal modo può
evolversi10.

Anche i principali attributi della Chiesa - unità, santità, cattoli­


cità, apostolicità - non possono essere realizzati perfettamente
nella storia; nella loro forma perfetta sono oggetto di speranza
escatologica. La storia della Chiesa è un processo di maturazio-

’J.W. Goethe, Faust (1808), Firenze, Le Lettere, 1997, p. 120.


9 II concetto di ideologia come falsa coscienza è una di quelle riflessioni su cui
Marx non si sbagliava.
10 Papa Francesco, Fratelli tutti, 160.
232 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

ne e non un progresso unidirezionale verso l’alto e il meglio. In


essa si mescolano unità e diversità, univocità e discordia, santità
e peccato, universalità cattolica e ristrettezza e ‘cattolicismo’
culturalmente limitato, fedeltà alla tradizione apostolica e un
labirinto di eresie e apostasie. Con la preghiera e il lavoro dob­
biamo aprire il nostro mondo, il nostro cuore, la nostra storia
e le nostre relazioni alla luce del regno di Dio, al trionfo finale
della volontà di Dio («come in cielo così in terra»). Tuttavia
dobbiamo avere la consapevolezza vigile e umile che la storia
non è il cielo, la storia non è Dio. Nel cammino storico della
ricerca di Dio non possiamo evitare la tensione continua fra il
‘già’ e il ‘non ancora’. E non possiamo dimenticare e discono­
scere la nostra esperienza della storia del XX secolo in cui le
ideologie che promettevano il cielo in terra hanno trasformato
la terra in un inferno.
La tradizione ecclesiastica distingue fra tre tipi di Chiesa:
ecclesia militans, Chiesa terrena che combatte, ecclesia poenitens,
Chiesa che soffre e si pente con l’anima in purgatorio; ecclesia
triumphans, Chiesa vittoriosa dei santi in cielo. Non considera­
re le differenze escatologiche, scambiare la Chiesa terrena con
la Chiesa celeste vittoriosa e trionfante, genera il trionfalismo.
L'ecclesia militans, la Chiesa terrena, deve combattere soprattut­
to contro le proprie tentazioni, le proprie debolezze e i propri
peccati - compresa la tentazione del trionfalismo. Se cederà al
trionfalismo, diventerà l’istituzione di una religione militante
che combatterà soprattutto contro gli altri, i diversi, ma anche
i non allineati nei suoi ranghi11. Il trionfalismo, un miscuglio di
orgoglio e cecità, è una malattia della Chiesa - Gesù l’ha chia­
mata «lievito dei farisei», papa Francesco clericalismo.

***

La ‘scuola’ è la seconda visione della Chiesa - scuola di vita e


scuola di sapienza. Viviamo in un’epoca in cui nello spazio pub-

11 Cfr. T. Halík, Stromuzbyvà nadèje, Nakladatelstvi Lidové noviny, 2009, p. 200.


LA SOCIETÀ DELLA VIA 233

blico di molti Paesi europei non domina né una religione tra­


dizionale né l’ateismo, ma prevalgono piuttosto agnosticismo,
apateismo e analfabetismo religioso. Numericamente più debo­
li, ma molto rumorose sono due minoranze, il fanatismo religio­
so e l’ateismo dogmatico. Questi arroganti possessori di verità
si somigliano tra loro: condividono un’immagine primitiva pra­
ticamente identica di Dio, della fede e della religione, distin­
guendosi solo perché i primi prendono sul serio e difendono
una caricatura di Dio, mentre i secondi la rifiutano senza però
essere in grado di proporre un’alternativa, un rapporto più pro­
fondo con ciò che i credenti intendono per Dio. Gli uni e gli
altri ‘sono a posto’ con Dio, non sentono e non comprendono
l’incessante chiamata: ‘cercate il Signore!’. La fede è la via, la via
della ricerca: il dogmatismo e il fondamentalismo, sia religiosi
sia atei, sono un vicolo cieco, se non addirittura una prigione.
In questa epoca è urgentemente necessario che la società
cristiana si trasformi in una ‘scuola’ seguendo l’ideale origina­
rio delle università medievali12, sorte come comunità di docen­
ti e alunni, comunità di vita, preghiera e insegnamento. Qui
valeva la regola: contemplata aliis tradere, possiamo trasmettere
agli altri solo ciò su cui abbiamo precedentemente meditato
noi stessi, che abbiamo assimilato e gustato interiormente (non
è un caso che la parola latina sapientia derivi dal verbo sapere,
che significa anche aver sapore, gustare).
Una componente imprescindibile delle università sin dal
loro inizio erano le dispute, a volte anche nella forma di tor­
nei intellettuali pubblici: dominava la convinzione che alla ve­
rità si può giungere solamente per la via di un dibattito libero
che seguisse norme logiche. Anche nelle società ecclesiastiche
odierne — le parrocchie, i conventi, i movimenti ecclesiali - si
dovrebbe rinnovare questa cultura del dialogo con Dio e fra i
cristiani, l’unione di teologia e spiritualità, di formazione reli­
giosa e cura della vita spirituale.

12 Una rappresentazione simile della Chiesa è stata proposta da Nicholas Lash in


Holiness, Speech and Silence: Reflections on the question of God, London, Routledge,
2004, p. 5.
234 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

Quale dovrebbe essere oggi il principale oggetto di studio


e di preghiera? Credo che, fra i molti temi che meriterebbero
di essere approfonditi, meditati e discussi, non dovremmo mai
dimenticare ciò che è il cuore stesso del cristianesimo: le tre
‘virtù teologali’ - fede, speranza e carità. Esse sono modi della
presenza di Dio nel nostro mondo che è necessario riscopri­
re separando la fede dal convincimento religioso, la speranza
dall’ottimismo e la carità dalla semplice emozione. Educare a
una fede meditata e matura deve avere un aspetto non solo
intellettuale e morale, ma anche terapeutico: una simile fede
protegge da malattie infettive quali l’intolleranza, il fondamen­
talismo e il fanatismo.
Tutte le grandi tradizioni religiose sono delle scuole: offro­
no modi diversi per superare l’egoismo, civilizzare gli istinti
(soprattutto quello dell’aggressività) e insegnano l’arte di una
convivenza sociale giusta e pacifica; ma soprattutto, dal tesoro
delle tradizioni propongono esperienze vecchie e nuove per
aprirsi al mistero che chiamiamo Dio. Di certo in molti casi esse
possono ispirarsi reciprocamente.

***

Ci guida verso la terza visione della Chiesa la similitudine che


papa Francesco cita spesso: la Chiesa come ospedale da campo.
Il Papa ha in mente l’ideale di una Chiesa che non resta rinchiu­
sa fra le mura delle proprie certezze in una splendid isolation, ma
con coraggio e disinteresse si fa trovare nei luoghi in cui le per­
sone sono ferite fisicamente, socialmente, psicologicamente e
spiritualmente, e prova a medicare e guarire quelle ferite.
Un ospedale da campo ha bisogno di avere alle spalle un
ospedale solido e moderno, che abbia reparti per le analisi,
fornisca diagnosi valide, si occupi di prevenzione, terapia e
riabilitazione. La Chiesa come ospedale dovrebbe avere da­
vanti agli occhi non solamente le sofferenze degli individui,
ma anche le malattie collettive della società e della civiltà di
oggi. Troppo a lungo, faccia a faccia con le malattie della so­
cietà, la Chiesa si è limitata a fare la morale; ora si trova davan-
LA SOCIETÀ DELLA VIA 235

ti al compito di riscoprire e applicare il potenziale terapeutico


della fede.
La missione diagnostica dovrebbe essere svolta da quella di­
sciplina per la quale ho proposto il nome di cairologia - l’ar­
te di leggere e interpretare i segni dei tempi, l’ermeneutica
teologica dei fatti della società e della cultura. La cairologia
dovrebbe dedicare la sua attenzione alle epoche di crisi e di
cambiamento dei paradigmi culturali. Dovrebbe sentirle come
parte di una ‘pedagogia di Dio’, come il tempo opportuno per
approfondire la riflessione sulla fede e rinnovarne la prassi. In
un certo senso, la cairologia sviluppa il metodo del discerni­
mento spirituale, che è una componente importante della spi­
ritualità di sant’Ignazio e dei suoi discepoli; lo applica quando
approfondisce e valuta lo stato attuale del mondo e i nostri
compiti in esso.
La funzione della prevenzione è vicina a quella che a vol­
te viene chiamata ‘pre-evangelizzazione ’, la cura del terreno
culturale e morale nel quale può essere coltivato il seme del­
la fede perché metta radici. Alla domanda sul perché in certi
tempi e luoghi la fede sia vitale e in altri appassisca e non porti
alcun buon frutto risponde la già citata parabola del seminato­
re: molto dipende da dove cade il seme. Il seme della fede ha
bisogno di un ambiente favorevole. Questo ambiente è la vita
intera del credente, ma anche il contesto culturale e sociale
della storia della sua esistenza. Possiamo intendere il terreno
- buono, sassoso o coperto di spine - di cui parla la parabola
sia come il singolo cuore umano, sia come i diversi ambienti
culturali e sociali.
Anche il rispetto dei diritti umani, la lotta per l’equità socia­
le o la cura della stabilità della vita familiare fanno parte della
‘pre-evangelizzazione ’, costituiscono un’imprescindibile ‘parte
terrena della fede’. Se la Chiesa non accettasse la propria cor­
responsabilità nei confronti del mondo, se non si sforzasse di
migliorare la società e si occupasse soltanto di attività ‘esplicita­
mente religiose’, renderebbe queste stesse attività non credibili
e infeconde. Vita activae vita contemplativa appartengono l’ima
all’altra: se posso prendere in prestito la formula del dogma
236 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

cristologico del Concilio di Calcedonia, si appartengono senza


confusione e senza separazione: dividerle significa danneggiar­
le entrambe.
Qui si tratta della prevenzione da malattie spirituali e morali
della società, del rafforzamento del suo sistema immunitario
- di un clima favorevole allo sviluppo della persona umana e
della società, di una ecologia integrale, in cui i cristiani devono
collaborare solidalmente con molte istituzioni e iniziative se­
colari; non possono rivendicare il monopolio della guarigione
del mondo.
Come cure riabilitative possiamo considerare l’azione dei
credenti in quelle società che sono state a lungo ferite da con­
flitti sociali e politici, da guerre o da regimi dittatoriali, in cui
si è arrivati a un esaurimento del capitale sociale di fiducia e
solidarietà. Dove da lungo periodo perdurano traumi, colpe
non pacificate, relazioni danneggiate fra persone o gruppi, i
cristiani devono applicare la loro esperienza nella pratica di
penitenza, riconciliazione e perdono.
Nelle società postcomuniste, anche decenni dopo la caduta
della torre di Babele del comunismo permangono non rimosse
le sue rovine, e su di esse hanno attecchito bene le erbacce. Le
dure lezioni della storia recente vengono dimenticate in modo
veloce e criminale e molte persone corrono come topi dietro al
flauto di seducenti demagoghi politici. Indubbiamente in que­
sto hanno la loro parte di colpa anche le Chiese, che quando
si è aperto uno spazio di libertà si sono preoccupate troppo
dei loro interessi istituzionali e hanno trascurato la missione
terapeutica nei confronti di tutta la società. Nei Paesi postco­
munisti le Chiese hanno volentieri scaricato la colpa dell’indif­
ferenza o dell’inimicizia nei confronti della religione nella sua
forma ecclesiastica sullo ‘tsunami del liberalismo’ e sui media
avversi; ma la colpa più grande è di quei loro rappresentan­
ti che si sono lasciati corrompere dalle promesse e dal falso
favore dei politici. Alcuni rappresentanti della Chiesa si sono
rifugiati in una lealtà acritica nei confronti del potere costitui­
to e in un silenzio codardo, laddove con la lungimiranza dei
profeti e il coraggio dei veri pastori sarebbe stato necessario
LA SOCIETÀ DELLA VIA 237

chiamare il male col suo nome. La nostalgia di alcuni notabili


della Chiesa per i tempi dell’unione del trono e dell’altare ha
paralizzato la loro capacità di comprendere la nuova epoca e
il suo significato. Quando i rappresentanti della Chiesa hanno
cominciato a stringere una non-santa alleanza con rappresen­
tanti populisti del potere statale, gradualmente hanno comin­
í
J ciato anche a somigliare loro. A volte tutto questo mi ricorda
la famosa scena finale della Fattoria degli animali di Orwell: gli
uomini si guardano e hanno smesso di riconoscersi l’un l’altro.
Peccato che sia finito per essere dimenticato così velocemen­
te il cosiddetto Patto delle catacombe nel quale, in conclusione
del Concilio Vaticano II, alcuni padri conciliari si impegnavano
a rinunciare agli ornamenti feudali nel loro stile di vita, nelle
loro abitazioni, nel loro abbigliamento e nei loro titoli e chia­
1 mavano a fare altrettanto i loro confratelli nell’autorità episco­
pale. Quando papa Francesco ha deciso di risiedere, invece che
nel Palazzo apostolico, in un umile appartamento, ha mandato
un segnale chiaro in direzione degli ordini ecclesiastici e del
i mondo circostante: lo stile esteriore e l’ambiente di vita che
i le persone scelgono e sviluppano esprime e influenza il loro
stile di pensiero e la loro posizione morale. Se la Chiesa vuole
aiutare a guarire le ferite del passato e a superare le patologie
della società contemporanea, di cui è parte, non può limitarsi a
farlo con sermoni moraleggianti, ma deve innanzitutto fornire
un esempio pratico.
***

Il quarto modello di Chiesa che ritengo necessario per il pre­


sente, e soprattutto per il futuro, è strettamente connesso con
gli ultimi due menzionati - la scuola e l’ospedale - e attinge an­
cora allo scrigno di papa Francesco. È necessario che la Chiesa
istituisca dei centri spirituali, luoghi di adorazione e contem­
plazione, ma anche di incontro e dialogo, dove sia possibile
condividere l’esperienza della fede.
Molti cristiani sono preoccupati del fatto che in un gran nu­
mero di Paesi si stia sfilacciando la rete delle parrocchie, che
238 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

è stata costituita alcuni secoli fa in una situazione socio-cultu­


rale e pastorale completamente diversa e nell’ambito di una
differente interpretazione di sé della Chiesa. Non è realistico
aspettarsi che questo processo si arresti (ad esempio con l’aiuto
dell’importazione di sacerdoti dall’estero). Anche se la Chiesa
cattolica romana avesse il coraggio di consacrare al sacerdozio
uomini sposati (viri probatí), di concedere uno spazio ancora
maggiore ai laici e soprattutto di usare il carisma delle don­
ne nella liturgia, nella predicazione e nella conduzione delle
comunità - passi cui prima o poi si arriverà -, non è realistico
aspettarsi che sia possibile riparare in questo modo la rete delle
parrocchie territoriali ripristinandole nella forma che aveva in
epoca premodema.
La Chiesa non dovrebbe solamente riflettere sin da ora su
una pastorale alternativa in un mondo mutato, ma riformare in
tale direzione l’istruzione e la formazione di coloro che sceglie
e prepara al servizio nella Chiesa. Sono convinto che, non le
parrocchie territoriali, ma i centri spirituali e l’accompagna­
mento spirituale saranno i punti focali del cristianesimo nel
pomeriggio della sua storia.
Qualche anno fa ha suscitato un’eco notevole il libro di Rod
Dreher L’opzione Benedetto'3. Il suo autore, un cristiano conser­
vatore, passato dalla Chiesa cattolica a quella ortodossa russa,
consiglia ai cristiani di ritirarsi dalla società secolarizzata con­
temporanea e fondare comunità sul modello dei monasteri
benedettini. A differenza di molti autori cristiani conservatori,
che in centinaia di pagine indignate e lamentose esprimono
un solo concetto, vale a dire che il passato è finito e il presen­
te non gli somiglia affatto (cosa che chiaramente è una verità
indiscutibile per quanto un po’ banale), Dreher fa lo sforzo
di proporre una via di uscita. Invita i cristiani a fondare polis
parallele e cita Vaclav Havel e Václav Benda, che avevano usato
questo concetto per definire la Chiesa e il dissenso politico al

ls R. Dreher, L’opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano


(2018), Cinisello Balsamo (MI), San Paolo Edizioni, 2018.
LA SOCIETÀ DELLA VIA 239

tempo delle persecuzioni comuniste. Qui è però nettamente


visibile la povertà del tradizionalismo che ignora i cambiamenti
del contesto storico: ciò che è stato necessario al tempo di un
regime poliziesco repressivo, sarebbe devastante al tempo di
una società libera e pluralista. Se la Chiesa cattolica ascoltasse il
consiglio di Dreher, diventerebbe una setta, con tutti gli effetti
collaterali di una simile trasformazione14.
Il tradizionalismo è la negazione dell’essenza stessa del­
la tradizione, corrente viva di una trasmissione creatrice. È
un’eresia nel senso vero e originario del termine: sceglie arbi­
trariamente dal tesoro della tradizione solamente un elemento
(ad esempio, una certa forma di Chiesa e di teologia in una
certa epoca), lo estrapola dal contesto complessivo e si fissa
solo su di esso. L’idealizzazione del passato e la percezione apo­
calittica della contemporaneità sono altri fenomeni frequenti
della sordità tradizionalista di fronte al discorso continuo di
Dio nella storia.
Il libro di Dreher, ben concepito e contenente anche alcu­
ne osservazioni e proposte parzialmente valide, è però, nel suo
messaggio fondamentale, veramente eretico: ciò cui esorta rap­
presenta il disconoscimento del senso stesso della cattolicità.
Nel momento in cui la Chiesa ha integrato la forma radicale
di cristianesimo del monacheSimo, il fatto che la maggioran­
za dei cristiani non si sia impegnata in quella regola di vita
è stata una scelta fondamentale di cattolicità. La proposta di
rifugiarsi in un ghetto, in un artificiale parco archeologico del
passato, di fronte alla continua necessità di prendere decisio­
ni nelle difficili condizioni della libertà, e sfuggire al compito
assegnatoci da Dio di vivere nella contemporaneità, oggi è evi­
dentemente una seduzione allettante e aumenta l’attrattività
delle sette. La tempesta della paura minaccia la fiamma della
fede, il coraggio di cercare Dio incessantemente in modo nuovo
e più profondo.

14 Dreher invita i cristiani a edificare uno stile di vita cristiano che diventi un isola
di santità in mezzo alla marea della modernità.
240 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

Come ogni eresia, anche F'opzione Benedetto’ di Dreher


contiene una parte di verità, e purtroppo una verità trascurata:
la Chiesa di oggi ha davvero bisogno di centri spirituali che
seguano la missione spirituale e culturale dei monasteri bene­
dettini dell’alto Medioevo. La Chiesa ha bisogno di oasi di spi­
ritualità e di persone che consacrino la propria vita alla loro
cura. È un servizio necessario per quella maggioranza di cristia­
ni che non può e non deve isolarsi dalla società e dalla sua cul­
tura, per quanto multiforme sia questa cultura ed esprima più
l’orizzontalità della vita che l’erta verticalità della spiritualità.
L’insieme della Chiesa non può e non deve creare nella società
un’isola di controcultura.
Esistono di certo momenti storici in cui la Chiesa deve ri­
tirarsi nelle catacombe, ma l’incapacità di uscire in tempo da
esse nell’areopago della cultura e della società contemporanee
la renderebbe stantia e ammuffita; dei cristiani barricati diffi­
cilmente possono essere lievito e sale della società. I cristiani
non devono creare ghetti, il loro posto è nel mondo, non de­
vono impegnarsi in società parallele né introdurre una cultura
della guerra.
I discepoli di Gesù, prima di ricevere ad Antiochia il nome
di cristiani, venivano chiamati ‘la Via’. Oggi, sulla soglia del
pomeriggio del cristianesimo, la Chiesa deve tornare a essere la
società della Via, sviluppare il carattere peregrinante della fede
per attraversare questa nuova soglia. Ha però bisogno anche di
edificare centri spirituali vivi, da cui trarre il coraggio e l’ispi­
razione per nuovi viaggi. I cristiani hanno bisogno di attingere
da questi centri, ma non possono trasferirsi in essi stabilmen­
te, costruire al di sopra delle preoccupazioni quotidiane e del
mondo ‘tre capanne’, come desideravano fare gli apostoli sul
monte Tabor.
XVI. La società dell’ascolto
e della comprensione

Secondo un’antica leggenda ceca, il costruttore di una catte­


drale gotica a Praga, terminati i lavori, lasciò bruciare le im­
palcature di legno. Quando il fuoco divampò e le impalcature
in fiamme precipitarono a terra con fragore, il costruttore, in
preda al panico e nella convinzione che il suo edificio sarebbe
crollato, si suicidò. A me sembra che molti cristiani che in que­
sta epoca di cambiamenti si fanno prendere dal panico com­
mettano un errore simile. A crollare sarà solo l’impalcatura di
legno: bruci pure, l’edificio della Chiesa sarà sicuramente dan­
neggiato dal fuoco, ma la parte essenziale, a lungo nascosta,
sarà finalmente visibile.

***

Se la Chiesa deve essere Chiesa, se non deve diventare una setta


chiusa su se stessa, deve realizzare un cambiamento radicale
della concezione che ha di sé, dell’interpretazione del suo ser­
vizio di Dio e degli uomini in questo mondo. Deve compren­
dere in modo nuovo e sviluppare pienamente la sua cattolicità,
l’universalità della sua missione, sforzarsi davvero di «essere
tutto a tutti»1. Lo ripeto: è giunto il tempo <àe.\V autotrascendenza
del cristianesimo.
Se la Chiesa vuole uscire dai propri confini e servire tutti, il
suo servizio deve allora essere unito al rispetto per la diversità e
la libertà di coloro cui si rivolge. Deve liberarsi dall’intenzione

1 Cfr. ICor 9,20.


242 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

di stipare tutti nelle proprie file per tenerli sotto controllo, ‘co­
lonizzarli’. Deve avere fiducia nel potere di Dio, prendere sul
serio l’azione dello Spirito anche al di fuori dei confini visibili
della Chiesa.
Finora la Chiesa ha sviluppato soprattutto la cura pastorale
dei suoi credenti e la missione pastorale nel senso dello sforzo
di ampliare le proprie file. Sin dall’inizio del cristianesimo, un
altro campo è stato la diaconia, la carità: qui in particolare i
cristiani imparavano a servire tutte le persone che si trovavano
in una condizione di dolore o di necessità, adempiendo così
alla chiamata di Gesù all’amore universale, alla misericordia
e all’impegno nell’apostolato. Qui i cristiani davano e danno
testimonianza di atti senza parole, con un amore solidale e una
vicinanza comprovata. Nello spirito della parabola del buon
samaritano, non chiedono ‘chi è il mio prossimo?’ (e chi dun­
que mio prossimo non è), come ha chiesto il fariseo che vole­
va «giustificarsi»2, cioè giustificare i confini ristretti della sua
disponibilità ad amare e aiutare. Sanno che loro stessi devono
‘farsi prossimo’, essere vicini agli altri, in particolare a coloro
che hanno bisogno di aiuto. Questa vicinanza terapeutica, que­
sta solidarietà, aveva e ha gli aspetti più diversi, e ha anche una
dimensione politica.
Come abbiamo già detto, la Chiesa come ospedale deve
prendersi cura anche della salute della società, occuparsi di
prevenzione, della diagnosi di malattie che colpiscono l’intera
società, ma anche della terapia e della riabilitazione: sforzarsi
di superare i ‘peccati sociali’ e le strutture deviate all’interno
dei sistemi sociali. La dottrina sociale della Chiesa ormai da
alcuni decenni avverte che il peccato non è solamente una que­
stione individuale, siamo tutti sempre più interconnessi in una
rete caotica di rapporti economici e politici, in cui spesso il
male acquisisce una forma sovrapersonale, anonima.
Una delle molte cause per cui si sono svuotati i confessionali
è che la coscienza della responsabilità personale è coperta da

2 Cfr. Le 10,25-29.
LA SOCIETÀ DELL’ASCOLTO E DELLA COMPRENSIONE 243

quanto sappiamo riguardo a fattori biologici, psicologici e so­


ciali che influenzano fortemente il nostro agire. Possiamo sem­
pre nasconderci in una boscaglia di scuse e pretesti. «Come
può mai essere colpevole un uomo? E qui siamo tutti uomini,
l’uno come l’altro», dice Joseph K. nel Processo di Kafka3. Ma
forse anche il conformismo e la superficialità della vita sono
una colpa ben più grave di molte che vengono solo sussurrate
nella penombra dei confessionali. Non pochi cristiani intuisco­
no che a separarli da Dio sono realtà molto più profonde e al
contempo più sottili di quelle conteggiate nei tradizionali ‘esa­
mi di coscienza’, elenchi di peccati in cui quelli ‘mortali’ sono
contrassegnati con un asterisco.
Durante i miei quarantatré anni di servizio sacerdotale, ho
ascoltato decine di migliaia di confessioni. Per molti anni, accan­
to al sacramento della penitenza, ho offerto anche dei colloqui
spirituali, che sono più lunghi e profondi di quanto permesso
dalla forma comune del sacramento e riguardano un contesto
più ampio della vita spirituale. A questi colloqui ogni tanto si
presentavano persone che si sarebbero definite, o si potevano
definire, non religiose, tuttavia spiritualmente stabili o in ricer­
ca. Ho ampliato la mia squadra di collaboratori per questo ser­
vizio con laici dalla formazione teologica e psicoterapica. Sono
fermamente convinto che un servizio personale di accompagnamento
spirituale sarà una funzione cardine e fra le più richieste della
Chiesa nel futuro pomeriggio della storia cristiana.
Allo stesso tempo è il servizio in cui io pure ho appreso di più e
nel corso del quale sono arrivato ad alcuni cambiamenti nel mio
pensiero teologico e nella mia spiritualità, così come nella mia
comprensione della fede e della Chiesa. Quando il mio vescovo,
il cardinale Dominik Duka, ha risolutamente rifiutato di ammet­
tere ai colloqui le vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti
(compresi alcuni membri di un convento di cui al tempo era il
superiore), rimandandole alla polizia, ho intrattenuto con molte
di loro lunghe conversazioni notturne dopo le quali spesso non

3 E Kafka, Ilprocesso (1925), Milano, Garzanti, 2008, p.183.


244 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

riuscivo a prender sonno fino al mattino. Non ho scoperto molto


di più di quanto era già stato pubblicato, ma ho guardato negli
occhi quelle persone e le ho tenute per mano mentre piangeva­
no. Ed è stato qualcosa di completamente diverso dalla lettura
dei verbali degli interrogatori della polizia o di un tribunale.
Ho lavorato per anni come psicoterapeuta e conosco la vici­
nanza e la partecipazione alla sofferenza mentale e spirituale,
ma l’esperienza di quei colloqui notturni è stata qualcosa di
diverso dalla semplice psicoterapia: lì ho sentito, con tutto il
mio cuore, la presenza di Cristo, e questo in entrambe le parti,
nei ‘piccoli, nei malati, nei carcerati e nei perseguitati’ e nel
servizio dell’ascolto, della consolazione, della riconciliazione
che potevo fornire loro.
Alcuni miei colleghi dell’università, che stimo come perso­
ne e della cui devozione e buona volontà non dubito, hanno
sottoscritto il farisaico documento Correzione filiale che rimpro­
verava papa Francesco per aver invitato, nell’esortazione apo­
stolica Amoris laetitia, a un approccio pastorale misericordioso,
individuale e di discernimento nei confronti delle persone
che si trovano nelle cosiddette ‘situazioni irregolari’, come ad
esempio gli omosessuali, i divorziati e i civilmente risposati.
Non mi ha stupito che abbiano pronunciato quei giudizi così
rigidi uomini che non si sono mai seduti in un confessionale e
che non hanno mai ascoltato le storie di quelle persone. Forse,
se guardassi il mondo dall’ottica dei manuali neotomistici di
morale, in cui i singoli argomenti si incastrano l’uno nell’altro
agevolmente e logicamente come in un freddo congegno, ma
che sbagliano del tutto di fronte alla complessa realtà della vita,
mi accosterei ai problemi delle persone con giudizi altrettanto
semplicistici, bianchi o neri, e disumani. Forse mi scandalizze­
rei anch’io con un Papa che ricorda che l’eucarestia non è una
ricompensa per i cattolici perfetti, bensì panis viatorum, pane
sulla via della maturazione, un generoso rimedio e un alimento
per i deboli e per coloro che hanno delle mancanze4.

4 Cfr. Papa Francesco, Euangelii Gaudium, 47.


LA SOCIETÀ DELL’ASCOLTO E DELLA COMPRENSIONE 245

Ho ascoltato un numero incalcolabile di storie di donne


sconsideratamente abbandonate dai mariti, che dopo anni
trovano un sostegno per sé e per i figli in un matrimonio nuo­
vo e ben funzionante e, in base al diritto ecclesiastico vigente,
sono per sempre escluse dal banchetto eucaristico. Quel ban­
chetto al quale Gesù, suscitando l’indignazione dei farisei, in­
vita persone in ‘situazioni irregolari’ senza porre prima sulla
loro strada dure condizioni. E di esse ha detto che proprio
loro che sanno apprezzare i doni incondizionati e gratuiti del
perdono e dell’accoglienza, entreranno nel regno dei cieli
prima di chi le critica e le giudica. Gesù sapeva che solamente
l’esperienza dell’accoglienza incondizionata e del dono può
generare un cambiamento di vita, una conversione. A poche
cose Gesù era estraneo come al pensiero legalistico dei suoi
più grandi antagonisti fra i ranghi dei farisei. Chi si richia­
ma alle parole di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio
dovrebbe rendersi conto che con quelle parole Gesù voleva
proteggere le donne dalla sconsideratezza di mariti che po­
tevano facilmente lasciarle per futili motivi con una sempli­
ce ‘lettera di separazione’, e non voleva aggiungere un altro
peso alle vittime di un comportamento del genere, alle donne
divorziate5.
Sentendo un ecclesiastico che, in una predica infuocata
nella cattedrale di Praga, evocava il dominio mondiale degli
omosessuali e dei rappresentanti della teoria del gender, che
prenderanno con la violenza i figli delle famiglie tradizionali
e li venderanno come schiavi, confinando i pii cattolici nei
campi di concentramento, mi sono reso conto che questo dis­
vangelo della paura non è davvero la mia religione - e soprat­
tutto che non è evangelion, la religione di Gesù. Ho sentito

5 Chi sostiene che le affermazioni di Gesù nel Vangelo riguardanti il divorzio


non possono essere cambiate, ammorbidite, né si possono ammettere eccezio­
ni, dovrebbe sapere che proprio questo viene fatto dal Nuovo Testamento stesso
quando Matteo introduce l’eccezione «salvo il caso di unione illegittima» (Mi
5,32), correggendo così le più antiche e inflessibili dichiarazioni contenute in
Marco e in Luca (Me 10,2-12 e Le 16,18).
246 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

migliaia di racconti di cristiani che hanno accettato il loro


orientamento omosessuale non scelto e che dopo il loro co­
ming out hanno subito il linciaggio psicologico dei devoti in­
torno a loro, spesso dei loro stessi genitori e parenti. Alcuni
di loro, per la disperazione di essere esclusi dal loro ambien­
te, hanno tentato il suicidio. Posso costringere queste perso­
ne, proprio nel momento in cui trovano un compagno per la
vita, a rinunciare per sempre al desiderio dell’intimità, o al
massimo considerare ‘magnanimamente’ il loro amore come
un ‘male minore’ rispetto alla solitudine e alla promiscuità?
Anche a me i manuali di morale cattolica hanno troppo a
lungo celato i problemi individuali delle persone, e di questo
oggi mi vergogno. Tanto grande è la tentazione di noi confes­
sori, detentori di un’autorità ecclesiastica, di diventare come
quegli scribi e farisei dai quali Gesù ha messo in guardia con
tanta sollecitudine - quelli che caricano gli uomini di pesi in­
sopportabili, che loro non toccano nemmeno con un dito6! È
di certo molto più facile e veloce giudicare le persone in blocco
citando qualche paragrafo di diritto canonico, piuttosto che
agire come invita a fare papa Francesco: riconoscere l’unicità
di ogni uomo e aiutarlo - con riguardo proprio all’unicità del­
la sua situazione esistenziale e al livello della sua maturazione
personale - a trovare una soluzione responsabile fra le possibi­
lità reali che ha a disposizione7.
Quando arriverà, finalmente, all’interno della nostra Chie­
sa, la conversione da un ‘cattolicesimo senza cristianesimo ’,
dalla giustizia senza misericordia8 a quella ‘nuova lettura del
Vangelo’ alla quale ci invita papa Francesco?

***

6 Cfr. Le 11,42-46.
7 Cfr. Papa Francesco, Amoris laetitia, 300, 303, 312.
8 Nella Lettera di Giacomo leggiamo: «Parlate e agite come persone che devo­
no essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza
misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha
sempre la meglio nel giudizio» (Gc2,12-13).
LA SOCIETÀ DELL’ASCOLTO E DELLA COMPRENSIONE 247

Torno spesso al breve passo, che è una sorta di ‘minivangelo’


all’interno del Vangelo di Marco, della donna che da dodici anni
soffre di emorragia, ha provato molte soluzioni di molti medici,
ha speso per le cure tutti i suoi averi, ma nulla le è stato di aiuto.
Questa donna è stata evidentemente colpita nel santuario della
sua femminilità, porta in sé un trauma pesante in un territorio
intimo. Secondo le prescrizioni ebraiche una ‘emorroissa’ è ri­
tualmente impura, non può prendere parte alle funzioni religio­
se, non può toccare nessuno e da nessuno può essere toccata.
Il desiderio impellente di vicinanza umana l’ha portata al gesto
con cui infrange l’isolamento impostole: ha toccato Gesù.
Lo ha toccato furtivamente, anonimamente, da dietro, na­
scosta nella folla. Ma Gesù non vuole che lei ottenga la sua
guarigione in questo modo. Cerca il suo volto, a suo modo ìa
chiama per nome’, come aveva chiamato per nome lo stupito
Zaccheo; rompe il suo anonimato. La donna avanza nella folla,
e dopo anni di isolamento da tutti «dice tutta la verità». E in
quel momento di verità viene liberata dal suo male9.
Espressione della sua fede - una fede che, stando alle paro­
le di Gesù, l’ha salvata - era però già stato il tocco, quel gesto
imprudente pieno di desiderio e fiducia. Era stato un atto con
cui aveva infranto la legge: con il suo contatto rendeva Gesù
ritualmente impuro, e questo, secondo i severi interpreti della
legge, era peccato. Eppure Gesù comprende ciò che esprimeva
con quel tocco e con la sua interpretazione attribuisce a quel
gesto un significato salvifico. Ciò che ha detto con il linguaggio
del corpo - il quale parlava ancora solamente la lingua del san­
gue e del dolore - finisce di esprimerlo inchinandosi di fronte
a lui e ‘dicendo tutta la verità’10.
Questo ho provato nel corso delle conversazioni con le vit­
time di abusi sessuali e psicologici nella Chiesa: il loro dolo­
re represso, la delusione nei confronti della Chiesa e i rimorsi
spesso inconfessati verso Dio, che troppe volte si sono trasfor-

9Cfr. Me 5,25-34.
10 Cfr. anche T. Halik, Pazienza con Dio, eie, pp. 153-155.
248 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

mati in autoimputazioni e disturbi psicosomatici, devono po­


ter essere pronunciati, e per questo è indispensabile lo spazio
sicuro dell’accoglienza incondizionata. Lì si mostra la verità,
ed è un’interpretazione della verità completamente diversa da
quella di cui parlano i ‘padroni della verità’. Sogno una Chiesa
che crei questo spazio sicuro, uno spazio di verità, una verità
che salva e libera.
***

Considero un’avanguardia di questo servizio della Chiesa - il


servizio di accompagnamento spirituale-la pastorale ‘per settori’,
vale a dire il servizio dei cappellani negli ospedali, nelle carceri,
nelle forze armate e nelle scuole, così come l’accompagnamen­
to di persone che si trovano nelle più diverse e impegnative
situazioni esistenziali, e anche il sostegno a chi, prestando agli
altri un servizio altrettanto impegnativo, rischia un esaurimen­
to nervoso.
Il servizio dei cappellani è destinato a tutti, non soltanto ai
credenti. Si distingue tanto dal tradizionale servizio pastorale,
ad esempio dei parroci che visitano i parrocchiani in ospedale
e somministrano loro i sacramenti, quanto dalla missione inte­
sa come ‘conversione dei non credenti’ e reperimento di nuovi
membri della Chiesa. Si distingue anche dall’opera degli psico­
logi e degli assistenti sociali. Si tratta di un accompagnamento,
di un servizio spirituale. Questo poggia sul presupposto che il
campo spirituale sia una costante antropologica che appartie­
ne essenzialmente all’uomo e co-crea la sua umanità. Spirituale
è ciò che riguarda il senso: tanto il senso dell’esistenza, quanto
il senso di una determinata situazione della vita. L’uomo ha
bisogno non solamente di sapere in via teorica, ma anche di
vivere ed esperire realmente che la sua vita, con tutte le sue
gioie e i suoi dolori, ha senso; la necessità di un significato e la
consapevolezza della pienezza di senso fanno parte dei bisogni
fondamentali dell’uomo. La coscienza di questa pienezza di
senso viene però sconvolta nelle situazioni difficili dell’esisten­
za ed è necessario farla risorgere alla vita.
LA SOCIETÀ DELL’ASCOLTO E DELLA COMPRENSIONE
249

La cosa peggiore che ci minaccia nei momenti di situazioni


esistenziali di crisi in cui proviamo paura e senso di abbando­
no, in periodi di dolore, di profonda tristezza, di pericolo e
di sofferenza di ogni genere, è ciò che Kierkegaard chiamava
‘malattia mortale’: la disperazione, la perdita della speranza, la
perdita di senso della vita. Abbiamo bisogno della consapevo­
lezza del senso della vita come di aria, cibo e acqua: nell’oscuri­
tà interiore e nel disorientamento non riusciremmo a vivere a
lungo. Da tempo immemorabile alla religione e alla filosofia si
chiede il servizio di governare le contingenze, i ‘deragliamen­
ti’: un aiuto nell’elaborare e integrare gli avvenimenti nuovi e
rivoluzionari cui l’uomo ha bisogno di dare un nome e un po­
sto nella sua immagine del mondo e nella sua interpretazione
della vita.
Il servizio di accompagnamento spirituale si muove al con­
fine tra sfera religiosa e sfera secolare: può attingere dai tesori
spirituali della religione, ciononostante vive in uno spazio non
ecclesiastico, secolare, e deve esprimersi in un modo che per
questo ambiente risulti comprensibile. A tal proposito il servi­
zio spirituale ha una posizione e un compito simili a quelli del­
la teologia pubblica {public theology) di cui ho parlato nel terzo
capitolo di questo libro. Deve uscire dai confini di un gioco
linguistico ecclesiastico.
Per questo servizio, le Chiese devono inviare sacerdoti e teo­
logi laici - dopo una preparazione specifica che preveda anche
una certa competenza in psicoterapia - anche a persone che
non si riconoscono nelle Chiese stesse e nei ‘credenti’. Occor­
re ascoltarle e parlare con loro, risvegliare la loro fiducia e la
loro speranza, la loro personale ricerca di senso; non è compi­
to di tali inviati ‘convertire alla propria fede’ quelle persone e
farle diventare membri della propria Chiesa. L’accompagna­
tore deve avere una capacità molto sviluppata di empatia e di
rispetto dei valori del suo interlocutore.
Ci sono momenti in cui anche un ‘non credente’ chiede
una preghiera e in cui anche nel servizio a persone che non
sono completamente ‘ambientate’ nello spazio spirituale di
una religione tradizionale è necessario utilizzare subito il po-
250 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

tere terapeutico del linguaggio sacro, dei simboli, dei riti e dei
sacramenti; ma in altri momenti l’accompagnatore deve rinun­
ciare a qualsiasi elemento di questo campo. Nelle corsie degli
ospedali, nelle celle delle prigioni, nei campi militari e nei club
universitari i cappellani non possono servirsi dei tradizionali
strumenti espressivi della fede, e questo non solo a ragione del
politicamente corretto, ma soprattutto perché la maggior parte
dei loro interlocutori non comprende quel linguaggio. In un
dialogo fraterno con i ‘diversamente credenti’ l’accompagna­
tore deve maneggiare i concetti tradizionali e i simboli della
fede in modo parsimonioso. Con persone che non si ricono­
scono nella loro confessione, raramente i cappellani parlano
esplicitamente di Dio e di Gesù Cristo. Si trovano nello spazio
di altri giochi linguistici. Ma questo non significa affatto che
qui Dio non sia presente.
A differenza della missione tradizionale e della tradizionale
terapia del dialogo, questo servizio ha carattere reciproco. Noi
cristiani non possiamo considerare ‘chi non è con noi’11 so­
lamente come oggetto della missione di conversione, oppure
come un potenziale oppositore o nemico. Gesù ci ha comanda­
to di amare tutti gli uomini, di farci prossimo. Una delle facce
dell’amore è il rispetto per la diversità dell’altro; l’amore è uno
spazio di libertà che apriamo al prossimo perché in esso possa
essere veramente e pienamente se stesso, non debba in nessun
modo crearsi un personaggio e meritarsi continuamente il no­
stro favore. L’amore è uno spazio di fiducia, sicurezza, acco­
glienza; uno spazio in cui il prossimo possa sviluppare ciò che
ha in sé di più prezioso, diventare se stesso. Soltanto l’esperien­
za di essere accolti così come siamo ci insegna ad accogliere e
amare il prossimo.
La via regale dell’accompagnamento spirituale, il suo alfa e
il suo omega, è la cura di un approccio contemplativo al mon­
do e alla propria vita. L’accompagnatore spirituale non può
aiutare nessun uomo se non gli insegna una prassi di concen-

11 Cfr. Le 9,49.
LA SOCIETÀ DELL’ASCOLTO E DELLA COMPRENSIONE 251

trazione interiore, l’arte di staccarsi dalla superficie deliavita e


di ‘scendere nel profondo’, di ottenere un distacco e una vista
liberi, di percepire ed esperire la propria vita in un orizzonte
più ampio. La sua missione è dire ai suoi interlocutori ciò che
Gesù ha detto nel primo discorso ai suoi primi discepoli: scen­
dete nel profondo e ascoltate in silenzio. Deve però anche inse­
gnare loro come si fa, introdurli all’arte della contemplazione.
Solo in questo modo si può ritrovare un contatto con il senso,
raggiungere un nuovo equilibrio esistenziale e un orientamen­
to nelle situazioni di crisi.
L’accompagnatore può sviluppare un servizio proficuo per
chi sta accompagnando e per la società solamente se è egli stes­
so contemplativo, vale a dire se è una persona che medita rego­
larmente. Il suo compito è insegnare l’arte del discernimento
spirituale, senza il quale l’uomo di oggi è completamente smar­
rito in un mercato globale chiassoso e invadente. L’accompa­
gnatore spirituale non è ‘spirituale’ nel senso di essere un ‘ser­
vitore ordinato della Chiesa’; deve essere un uomo spirituale, un
uomo che non vive solamente sulla superficie della vita, ma
attinge dal profondo.
***

Con queste considerazioni ci avviciniamo alla risposta alla do­


manda nascosta nel titolo di questo libro. Qual è il compito del
pomeriggio: del pomeriggio della vita di un individuo, del po­
meriggio della storia umana, del pomeriggio del cristianesimo,
del pomeriggio della storia della fede? Cosa doveva morire nel­
la lunga crisi storica delle certezze, nella crisi del mezzogiorno,
di cui percepiamo i riverberi in molte crisi della nostra epoca?
Per cosa dovevamo maturare e quale deve essere il contenuto
del pomeriggio?
Se vogliamo esprimere l’esperienza dei mistici - dal mo­
mento che in questo campo soprattutto loro possono essere
per noi dei consiglieri competenti - dobbiamo utilizzare il
linguaggio della psicologia del profondo: si tratta del pas­
saggio dall’egocentrismo, dalla concentrazione sul ‘piccolo
252 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

io’ a quella sul più profondo e allo stesso tempo molto più
ampio ‘nuovo io’. Questa trasformazione - uno spostamento
di peso dall’ego al self (Io interiore) - viene spesso espressa
con la metafora spaziale del viaggio nel profondo, un viag­
gio nell’interiorità. Qui le parole ‘profondo’ e ‘interiorità’
indicano il loro contrario: ‘scendere nel profondo’ non si­
gnifica voltare le spalle alla nostra quotidianità e alle nostre
relazioni con gli altri. Se spostiamo il baricentro della nostra
vita su quel centro interiore, incontreremo in modo nuovo
e più pieno Dio, ma anche le altre persone e l’intera orche­
stra della Creazione. Dio come profondità del reale è ‘Dio in
tutte le cose’.
Di questa trasformazione parlano i percorsi dei mistici e
la metafora del pomeriggio della vita di Cari Gustav Jung. Mi
sono sforzato di mostrare che questa trasformazione non av­
viene solamente nelle storie individuali (come d’altra parte è
sempre avvenuto nella storia), ma anche nella nostra storia,
compresa la storia del cristianesimo. La crisi della Chiesa è un
kairos. il momento benedetto del passaggio daU’egocentrismo
ecclesiastico a una partecipazione consapevole all’avvenimento
continuo del mistero del Natale e della Pasqua, alla incarnatio
continua, crucifixio continua e resurrectio continua.
Anche la Chiesa deve abbandonare la fissazione esclusiva sul
proprio ‘piccolo io’, sulla sua forma istituzionale in una data
epoca e sui suoi interessi istituzionali. I termini clericalismo,
fondamentalismo, integralismo, tradizionalismo e trionfalismo
indicano diverse manifestazioni dell’egocentrismo della Chie­
sa, della sua contrazione su ciò che è superficiale ed esteriore.
Cedere alla nostalgia di un passato idealizzato, del mezzogior­
no della storia cristiana, significa arenarsi in una forma angusta
(e spesso anche angosciante) di cristianesimo: è una manifesta­
zione di immaturità. Di fronte a una Chiesa incapace di offrire
una forma di cristianesimo diversa da quella meridiana, o più
esattamente un’alternativa alla nostalgia per questa forma e ai
tentativi di una sua ricostruzione o imitazione, non stupisce
che molte persone siano convinte che l’unica possibilità rima­
sta sia abbandonare il cristianesimo e la fede.
LA SOCIETÀ DELL’ASCOLTO E DELLA COMPRENSIONE 253

In molti luoghi sopravvive ancora la convinzione che l’unica


alternativa alla religione, che ha ormai perso la sua vitalità e la
sua persuasività, sia l’ateismo di questo o quel genere. Ma evi­
dentemente aveva ragione Hegel quando considerava l’ateismo
meramente un momento di passaggio nella storia dello Spiri­
to. Non dovremmo lasciare lo spazio liberato da una religione
ormai agonizzante né all’ateismo dogmatico, né alla religione
come ideologia politica identitaria o come vago esoterismo. È il
tempo e il luogo per una fede matura e insieme umile.

Qual è il futuro del cristianesimo? Se nella storia del cristiane­


simo continua l’incarnazione, allora dobbiamo essere pronti
al fatto che Cristo entri ancora e in modo creativo nel corpo
della nostra storia, in culture diverse - e che spesso vi entri con
discrezione e anonimamente come ha già fatto nella stalla di
Betlemme.
Se nella storia continua il dramma della crocifissione, allora
dovremmo imparare ad accettare che molte forme di cristiane­
simo moriranno dolorosamente e che alla morte appartiene
anche il momento oscuro dell’abbandono, della ‘discesa agli
inferi’. Se fra tutte le trasformazioni storiche la nostra fede
deve rimanere fede cristiana, allora il segno della sua identità
è la kenosis, il dono di sé, la rinuncia a sé, il superamento di sé.
Se nella storia continua il mistero della resurrezione, allora
dovremmo essere pronti a cercare Cristo non fra i morti, fra le
tombe vuote del passato, ma scoprire la ‘Galilea di oggi’ (una
‘Galilea pagana’) dove lo troveremo sorprendentemente trasfor­
mato. Attraverserà di nuovo le porte chiuse della nostra paura, si
rivelerà con le sue ferite. Sono convinto che la Galilea di oggi sia
quel mondo dei nones al di fuori dei confini risibili della Chiesa.
Se la Chiesa è nata dall’evento della Pentecoste e questo
evento continua nella storia, allora bisogna sforzarsi di parla­
re in modo da essere compresi da persone di culture, nazioni,
lingue diverse: e la Chiesa deve imparare a comprendere le
culture straniere e le diverse lingue della fede, deve parlare
254 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

in modo comprensibile, ma non banalizzato, deve parlare so­


prattutto in modo credibile, «cuore a cuore»12. Deve essere
un luogo di incontro e dialogo, sorgente di riconciliazione e
pace13.
Molte nostre idee, rappresentazioni e aspettative, molte
forme della nostra fede, molte forme di Chiesa e di teologia
devono morire - erano troppo piccole. La nostra fede deve va­
licare le mura erette dalla nostra paura, dalla mancanza del
coraggio di metterci in viaggio come Abramo verso una meta
ignota in un futuro ignoto. Probabilmente solo su strade nuo­
ve incontreremo persone che hanno rappresentazioni perso­
nali, per noi sorprendentemente ignote, della direzione e della
meta del viaggio, e anche questi incontri sono per noi un dono
che dobbiamo imparare a riconoscere: vedere in loro il nostro
prossimo e farci noi prossimo per loro.
Il rispetto per le differenze e l’accettazione degli altri nella
loro diversità - dimensione dell’amore che è un criterio per
la sua veridicità - sono essenziali non soltanto nelle relazioni
fra individui, ma anche nelle relazioni fra popoli, culture e
religioni. Una frase importante della dichiarazione congiunta
di papa Francesco e dell’imam Ahmed al-Tayyeb, secondo cui
«il pluralismo e le diversità di religione [...] sono una sapiente
volontà divina»14, è il frutto di un’esperienza millenaria, paga­
ta con le vittime incalcolabili delle guerre di religione. Questa
frase ha suscitato obiezioni in certi circoli religiosi: non è un
tradimento del diritto della nostra religione a una propria ve­
ridicità?

12 «Il cuore parla al cuore» (corad cor loquitur) era il motto del cardinale Newman.
” È questo uno dei messaggi principali dell’enciclica di papa Francesco Fratelli
tutti
14 Per esteso: «Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di raz­
za e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli
esseri umani»: Documento sullafratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza
comune, Abu Dhabi, 3-5 febbraio 2019. Disponibile alla pagina internet: https://
www.vatican.va/content/francesco/it/travels/2019/outside/documents/papa-
francesco_20190204_documen to-fratel lanza-umana. h tml
LA SOCIETÀ DELL’ASCOLTO E DELLA COMPRENSIONE 255

No, è il linguaggio di una fede matura adulta, libera dal narci­


sismo collettivo e dall’egocentrismo di quelle comunità religiose
che non sono in grado di riconoscere il proprio status ài pellegri­
ni. Per i musulmani significa il ritomo a un passo importante e
sapiente del Corano, in cui si dice letteralmente che Allah vuole
la diversità delle religioni e che questa diversità è un’occasione
per competere nel bene15; per i cristiani è un rimando all’intu­
izione di Niccolò Cusano per cui un’unica verità ci è stata data
nella diversità (una religio in rituum varietati). Non dobbiamo
avere paura: la forma più alta di verità per i cristiani è l’amo­
re per Dio e per gli uomini: ovunque questo si realizzi, lì sono
presenti Dio, Cristo e la fede cristiana. Se oggi dimostra questa
fiducia in Dio, superiore a tutte le nostre rappresentazioni, de­
finizioni e istituzioni, la Chiesa raggiunge qualcosa di nuovo e
significativo: l’ingresso nel pomeriggio della fede.
L’ecumenismo è una delle forme non omissibili dell’amore
cristiano. È una delle facce più credibili e convincenti del cri­
stianesimo. Se la Chiesa cattolica deve essere veramente cattoli­
ca, deve completare quella conversione cominciata con il Con­
cilio Vaticano II: la conversione dal cattolicismo alla cattolicità.
Tutte le Chiese e tutti i cristiani che recitano la professione di
fede apostolica o niceno-costantinopolitana si riconoscono nel
dovere di coltivare la cattolicità del cristianesimo; quell’aper­
tura della Chiesa che rispecchia le braccia spalancate di Cristo
sulla croce. Nessuno è al di fuori dell’amore di Cristo.

***

In questo libro ci siamo occupati delle forme diverse che il cri­


stianesimo ha assunto nel corso della storia. Ci siamo occupa-

15 Si tratta della sura della Tavola Imbandita (stira 5c,48) in cui alla gente della
Scrittura (ebrei e cristiani) si dice: «se Allah avesse voluto, avrebbe fatto di voi
una sola comunità. Vi ha voluto però provare con quel che vi ha dato. Gareggiate
in opere buone: tutti ritornerete ad Allah ed Egli vi informerà a proposito delle
cose sulle quali siete discordi».
16 «Un’unica religione nella diversità dei riti» (cfr. De pacefidei, 1,6).
256 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

ti principalmente di due versioni religiose del cristianesimo:


della fede cristiana come religio, forza integrante della società
(il premodemo ‘impero cristiano’, la Christianitas) e del cri­
stianesimo come confessio, un’idea del mondo di una Chiesa
istituzionale, quindi delle Chiese. Abbiamo menzionato anche
i tentativi di un cristianesimo non religioso.
Ho indicato la risposta su quale forma può avere il cristianesi­
mo del futuro nella conclusione del quinto capitolo: non possia­
mo far derivare la parola religio solamente dal verbo religare (riu­
nire) e quindi intendere la religione principalmente come forza
integrante di una società, ma anche dal verbo relegere (leggere di
nuovo). La Chiesa di domani può essere la società della nuova er­
meneutica, di una lettura e interpretazione nuova e più profonda,
e questo sia della Scrittura e della tradizione (le due fonti della
rivelazione divina secondo il Concilio tridentino) sia dei segni dei
tempi. A questo fine è necessaria l’arte della contemplazione. Con
la contemplazione l’uomo impara di nuovo, in modo più profon­
do e accurato, a leggere e ascoltare. Ascoltare ciò che avviene in
lui e intorno a lui: i due modi in cui gli può parlare Dio.
Ritengo molto utile che i credenti di religioni diverse (ma
anche le persone ‘senza una appartenenza religiosa’) leggano
insieme i libri sacri e insieme parlino delle loro interpretazio ­
ni17. Guardare ai propri testi fondativi con gli occhi degli altri
può contribuire a una loro interpretazione più profonda e a
una migliore comprensione reciproca. Un facile sincretismo o
il tentativo di un artefatto e onnicomprensivo ‘esperanto reli­
gioso’ sono vicoli ciechi, è necessario imparare a comprendere
la diversità dell’altro e a rispettarla, e non mascherarla, mini­
mizzarla o ignorarla.
Alcuni anni fa ho contribuito a realizzare un’inchiesta tele­
visiva girata in diversi continenti: abbiamo domandato a ‘cre­
denti regolari’ delle cinque grandi religioni del mondo con
quali rituali accompagnassero avvenimenti e fenomeni chiave

17 Uno di questi tentativi è stato il dialogo sul Vangelo con il Dalai Lama. Cfr.
Gyatso Tenzin (Dalai Lama), Incontro con Gesù. Una lettura buddhista del Vangelo
(1996), Milano, Mondadori, 2009.
LA SOCIETÀ DELL’ASCOLTO E DELIA COMPRENSIONE 257

della vita (la nascita di un figlio, il passaggio all’età adulta, il


matrimonio, la malattia e la sofferenza, la morte), che cosa si­
gnificasse per loro il tempio, il pellegrinaggio, la preghiera, il
cibo, come intendessero il ruolo della donna, quale relazione
avessero con la bellezza e la violenza. In quell’occasione mi
sono reso conto di quanto sia importante ‘non parlare al posto
dell’altro’, non giudicarlo dall’esterno, ma parlare con lui, dar­
gli la parola e ascoltarlo. Nel nostro mondo variopinto, in cui
etnie e culture si mescolano, l’incontro con l’altro non è più
un privilegio di chi viaggia in terre lontane.
Un compito non meno importante è lo sforzo di compren­
dere i segni dei tempi, imparare da sant’Ignazio l’arte del di­
scernimento spirituale. Cos’è che negli avvenimenti dei nostri
tempi ci entusiasma e ci affascina oppure ci irrita e ci spaventa,
e perché? Abbiamo bisogno dell’arte di ‘calmare il nostro cuo­
re’, di saper controllare le reazioni immediate di entusiasmo e
collera, per poter far entrare gli avvenimenti della storia, di cui
siamo parte, nel santuario della nostra coscienza e lì ‘leggerli
di nuovo’ e riconoscere intelligentementem essi il codice del mes­
saggio di Dio18.
Quando in gran parte del mondo la rete delle parrocchie
territoriali crollerà come è crollata fra le fiamme l’impalcatura
della cattedrale della leggenda che ho citato all’inizio di questo
capitolo, sarà necessario attingere forza spirituale dai centri di
preghiera comune, di meditazione, di celebrazione e anche di
riflessione e condivisione di esperienze di fede. È necessario
costruire questi centri aperti sin da ora. Li potremo distinguere
fra strutture ‘d’appoggio’, che nel corso della storia svanisco­
no, e quelle su cui sarà possibile edificare di nuovo.
Forse non solamente la Chiesa cattolica, ma anche le altre
Chiese cristiane e le altre religioni dovrebbero passare attra­
verso un ‘processo sinodale’, come quello cui, all’interno del­
la Chiesa cattolica, ha invitato papa Francesco: un processo di

18 Teniamo a mente che la parola intelligenza deriva da inter-legere, leggere fra le


righe.
258 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

ascolto comune e di ricerca comune di una via nel futuro. Cre­


do che questo processo di consultatio catholica de rerum huma­
narum emendatione - se posso usare l’espressione di un grande
pensatore ceco del XVII secolo, Giovanni Amos Comenio - sa­
rebbe un passo significativo verso quella fratellanza universale
di cui scrive papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti.
Ritengo tale enciclica il documento più importante della
nostra epoca, paragonabile alla Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo. Se cerchiamo un’ispirazione spirituale per la trasfor­
mazione del processo di globalizzazione in un processo di co­
municazione umana, troveremo lì ispirazioni e intuizioni che
sarà necessario continuare a meditare e sviluppare.
Nella Bibbia la prima frase che il Signore generalmente dice
a coloro cui si rivolge è: non avere paura! La paura distorce la
nostra visione del mondo. Molti ‘professionisti della religione’
sono stati, e spesso sono, trafficanti di paura: credono che, se
prima spaventano per bene le persone, poi venderanno me­
glio la loro mercanzia religiosa. Sulla soglia di un nuovo capi­
tolo della storia del cristianesimo, dobbiamo lasciare da parte
la religione della paura. Non compriamo da venditori di facili
certezze. Sulla soglia del futuro, non dobbiamo avere neanche
paura di un umile e sincero ‘non so’, da cui non ci libererà
neppure la fede; la fede è il coraggio di entrare con fiducia e
speranza nella nube del mistero.

***

Nelle considerazioni contenute in questo libro ho riflettuto su


una nuova riforma, che in modo sempre più evidente appare
come una risposta necessaria allo stato attuale della Chiesa e
che, finché la famiglia dei credenti è intessuta nella totalità del­
la società umana, riguarda i cambiamenti dell’intera famiglia
umana. Mi domando come sia possibile impedire che una nuo­
va riforma avvenga senza uno scisma doloroso, e soprattutto
che non resti incompleta e non deluda la speranza che suscita.
Può esserci di una certa ispirazione la riforma cattolica attuata
nel XVI secolo da mistici quali Teresa d’Avila, Giovanni della
LA SOCIETÀ DELL’ASCOLTO E DELLA COMPRENSIONE
259

Croce e Ignazio di Loyola o da vescovi riformatori come Carlo


Borromeo.
Sant’Ignazio nei suoi Esercizi spirituali ha mostrato le quattro
tappe della metanoia™. Per prima cosa deformata reformare, cor­
reggere le deformazioni. Per seconda reformata conformare, è ne­
cessario incamminarsi sulla via della sequela di Cristo, lasciarsi
ispirare dall’esempio delle sue virtù. Per terza cosa conformata
confirmare, trarre forza dalla croce di Gesù, attraversare la notte
oscura della sofferenza. E infine, confirmata transformare, lasciar
trasformare quanto è stato rafforzato, far si che venga irradiato
dalla luce della resurrezione di Gesù, dalla presenza del Risor­
to - trovare Dio in tutte le cose. Non dobbiamo permettere che
i nostri sforzi di riformare la Chiesa si arenino al primo punto,
il cambiamento di strutture distorte e deformanti. Una riforma
vera deve essere una sequela di Cristo, e ciò presuppone una
ricerca sempre nuova del Risorto.
Questo compito non è stato assolto dalle forme tradizionali
di pastorale dei credenti né dalle forme tradizionali di ‘conver­
sione dei non credenti’. Una nuova evangelizzazione, realmente
nuova, degna di questo nome, oggi ha un compito difficile: cer­
care il Cristo universale, la cui grandezza è spesso nascosta dal­
la limitatezza della nostra visione, dalle nostre troppo ristrette
prospettive e categorie di pensiero.
Cercare il Cristo universale è un compito e un segno di questi
tempi. La visione di Teilhard de Chardin del Cristo universale,
presente nell’evoluzione del cosmo, deve essere integrata dalla
ricerca del Risorto, presente (spesso in modo anonimo) nei
cambiamenti della storia, nell’evoluzione della società. Dob­
biamo cercarlo ‘in base alla sua voce’ come Maria Maddalena;

19 Sanl’Ignazio ha chiamato così i compiti delle quattro settimane dei suoi Eserci­
zi spirituali: deformata reformare, riformare (correggere) le deformazioni; reformata
conformare, adattare le correzioni (conformarle alla vita di Gesù Cristo); confor­
mata confirmare (rafforzare ciò che è stato conformato - con la meditazione sulle
sofferenze di Cristo); infine confirmata transformare, trasformare ciò che è stato
rafforzato, meditare sulla resurrezione di Gesù e sull’amore di Dio ‘presente in
tutte le cose’.
260 POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO

cercarlo negli stranieri in viaggio come i suoi discepoli sulla


strada di Emmaus; cercarlo nelle ferite del mondo come l’a­
postolo Tommaso; cercarlo ovunque entri attraverso le porte
chiuse dalla paura; cercarlo ovunque porti il dono del perdono
e di un nuovo inizio.
Dobbiamo riformare quanto era deformato fino a trasfor­
mare tutto quanto è stato rafforzato; molto di quanto abbiamo
rafforzato e fortificato è stato sconvolto. Ma questo libera lo
spazio per la ricerca di un ‘Cristo più grande’, un Cristo che su­
pera le rappresentazioni che di lui abbiamo avuto finora, e per
un’evoluzione del cristianesimo che superi i suoi attuali confini
istituzionali e mentali.
In un cristianesimo dinamico, che supera se stesso attraverso
Cristo, incontriamo un Dio sempre più grande {semper maior),
presente in tutte le cose, in tutti gli avvenimenti della nostra
vita e in tutti i cambiamenti del nostro mondo.
Ho intitolato questo libro Pomeriggio del cristianesimo. L’im­
magine del pomeriggio non evoca forse la prossimità della sera,
della fine e della morte? Nell’interpretazione biblica del tempo
il nuovo giorno comincia con la sera. Non lasciamo passare il
momento in cui nel cielo della sera apparirà la prima stella.

Scritto fra il 2015 e il 2021 negli Stati Uniti,


in Repubblica Ceca e in Croazia;
concluso sulle rive del mar Adriatico il 7 settembre 2021
Ringraziamenti

Vorrei ringraziare soprattutto l’Università di Notre Dame (In­


diana) e la Templeton Foundation, per l’opportunità, offerta­
mi nel corso di due soggiorni accademici nel 2015 e nel 2017
presso ITnstitute for Advanced Study di Princeton, di un in­
tenso scambio di riflessioni con molti teologi, sociologi e filo­
sofi americani. Ringrazio l’Università di Oxford per l’invito a
partecipare alla stimolante conferenza del 2017 sulla religione
nella vita pubblica. Ringrazio il gesuita Boston College, dove
sono stato come visiting professor all’inizio del 2020, e i profes­
sori dell’università di Harvard per i colloqui del 2018 e del
2020, che mi sono stati d’ispirazione. Sono grato anche a quei
teologi, filosofi e rappresentanti delle Chiese che nel corso de­
gli ultimi anni e dei miei viaggi di studio e insegnamento in
Europa, Australia, Stati Uniti, Asia e Africa mi hanno aiutato ad
allargare la mia prospettiva.
Per le osservazioni critiche, ringrazio gli amici che hanno
gentilmente letto il mio manoscritto, e la redattrice responsabi­
le Barbora Ciháková per l’aiuto nella revisione finale del testo.
Letture consigliate

Documenti di papa Francesco

Euangelii Gaudium (24 novembre 2013), Esortazione Apostolica


sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale: https://www.vatican.
va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-
francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html

Laudato si’ (24 maggio 2015), lettera enciclica sulla cura della casa
comune: https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/
documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html

Amoris laetitia (19 marzo 2016), Esortazione Apostolica sull’amo­


re nella famiglia: https://www.vatican.va/content/francesco/it/
apost_exhortations/documen ts/papa-francesco_esortazione-
ap_20160319_amoris-laetitia.html

Gaudete et exsultate (19 marzo 2018), Esortazione Apostolica sulla


chiamata alla santità nel mondo contemporaneo: https://www.va-
tican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/
papa-francesco_esortazione-ap_20180319_gaudete-et-exsultate.html

Fratelli tutti (3 ottobre 2020), lettera enciclica sulla fraternità e l’ami­


cizia sociale: https://www.vatican.va/content/francesco/it/encycli-
cals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti .
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Volumi già pubblicati nella collana:

1. G. Angelini, Ilfiglio. Una benedizione, un compito


2. R. Guardini, Le età della vita. Loro significato educativo e morale
3. B. Maggioni, Le parole evangeliche
4. P.A. Sequen, Il timore di Dio
5. R. Guardini, Il testamento di Gesù
6. K. Rahner, Visioni e profezie. Mistica ed esperienza della trascendenza
7. B. Maggioni, Padre Nostro
8. R. Guardini, Le cose ultime
9. R. Vignolo, Sillabe preziose. Quattro salmi per pensare e pregare
10. G. Angelini, Lettera viva, ¡vangeli e la presenza di Gesù
11. V. Melchiorre, Al di là dell’ultimo
12. R. Guardini, Gesù Cristo. La sua figura negli scritti di Paolo e di Gio­
vanni
13. B. Maggioni, La brocca dimenticata. I dialoghi di Gesù nel vangelo di
Giovanni
14. F.G. Brambilla, Esercizi di cristianesimo
15. RA. Sequeri, Senza volgersi indietro. Meditazioni per tempi forti
16. B. Maggioni, Davanti a Dio. Isalmi 1-75
17. B. Standaert, Comesi fa a pregare?
18. B. Maggioni, Davanti a Dio. ¡salmi 76-150
19. G. Zanchi, Lo Spirito e le cose. Luoghi della liturgia
20. B. Maggioni, Il seme e la terra. Note bibliche per un cristianesimo nel
mondo
21. B. Maggioni, Un tesoro in vasi di coccio. Rivelazione di Dio e umanità
della Chiesa
22. S. Pagani, Tra Gesù e la gente. Il prete, uomo per questo tempo
23. B. Standaert, Il timore di Dio è il suo tesoro
24. B. Standaert, Spiritualità arte di vivere: un alfabeto
25. G.C. Pagazzi, C'è posto per tutti. Legami fraterni, paura, fede
26. B. Maggioni, Come l’erba che germoglia. Precarietà dell’uomo efedeltà di
Dio
27. A. Spadaro, Svolta di respiro. Spiritualità della vita contemporanea
28. B. Maggioni, Dio nessuno l’ha mai visto. Carità e rivelazione nel van­
gelo di Giovanni
29. M.I. Angelini - R. Vignolo (a cura di), Un libro nelle viscere. I salmi,
via della vita
30. G. Canobbio, Destinati alla beatitudine. Breve trattalo sui novissimi
31. M.I. Angelini - R. Vignolo (a cura di), Nei paesaggi dell’anima. Come
i salmi diventano preghiera
32. P. Bovati, Igiorni di Dio
33. J.-P. Sonnet, Generare è narrare
34. C.M. Martini, La famiglia alla prova. Parole della sapienza cristiana
35. J. Tolentino Mendonça, La mistica dell’istante. Tempo e promessa
36. M.I. Angelini - R. Vignolo (a cura di), Quando vedrò il tuo volto? La
sete di Dio nella preghiera dei Salmi
37. P. Bovati, La porta della Parola. Per vivere di misericordia
38. T. Halik, Voglio che tu sia. L’amore dell’altro e il Dio cristiano
39. G. Zanchi, Rimessi in viaggio. Immagini da una Chiesa che verrà
40. T. Bartolomei, Dove abita la luce? Figure in cammino sulla strada della
Parola
41. T. Halik, Pazienza con Dio
42. J. Dotti - M. Aldegani, Venite a mangiare con me. Una nuova convivia-
lità per tornare umani
43. M.I. Angelini - R. Vignolo (a cura di), Perché ogni carne dia lode al
Signore. Per meditare i salmi delLVe VLibro del Salterio
44. T. Halik, Tocca le ferite. Per una spiritualità della non-indifferenza
45. P. d’Ors, Biografia della luce
46. J. Dotti - M. Aldegani, Che cosa cercate? Dialoghi e Vangelo
Finito di stampare
nel mese di ottobre 2022
Galli Edizioni S.r.l.
Varese

23 0807
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sapienza cristiana, ospedale da campo in
mezzo alla famiglia umana, luogo acco­
gliente di accompagnamento spirituale e
riconciliazione.

Tomás Halík, nato a Praga nel 1948, dopo


gli studi in filosofia, sociologia e psicologia
in patria, e di teologia prima clandestina­
mente nella sua città e poi a Roma, viene
espulso daH'insegnamento universitario e
perseguitato come nemico del regime co­
munista cecoslovacco. Ordinato prete nel
1978, è stato un esponente della 'Chiesa
sotterranea' e in seguito uno dei collabo­
ratori e consiglieri più stretti del presiden­
te Vaclav Havel. Oggi insegna sociologia
all'università Carlo di Praga. Per i suoi
libri, tradotti in varie lingue, e per il suo
impegno a favore del dialogo interreligio­
so, dei diritti umani, della libertà spirituale,
ha ricevuto in patria e all'estero numerosi
premi, tra cui nel 2014 il prestigioso Tem­
pleton Prize e nel 2020 il Comenius Prize.
Vita e Pensiero ha già pubblicato i suoi vo­
lumi Voglio che tu sia (2017), Pazienza con
Dio (2020), Tocca le ferite (2021) e l'ebook
// segno delle chiese vuote (2020).

In copertina:
Filippo Rossi, La ferita che salva (dettaglio), 2016,
acrilici, foglia oro e bitume su polistirene estruso,
proprietà dell'artista.
© 2022 Filippo Rossi - www.magnifice.it

Progetto: studio grafico Andrea Musso

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