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Riassunto Marx

VITA E PENSIERO

Karl Marx nasce a Treviri nel 1818. Studia prima a Bonn e poi a Berlino, dove si laurea nel 1841,
con una tesi sulla Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro. Redattore
della «Gazzetta Renana», poi condirettore degli «Annali franco-tedeschi», nel 1843 pubblica a
Parigi - dove entra in contatto con Proudhon e Blanc, e dove conosce Engels - la Critica del diritto
pubblico di Hegel. Del 1844 sono i Manoscritti economico-filosofici. Si distacca dalla Sinistra
hegeliana e nel 1845 proprio contro Bruno Bauer e gli Hegeliani di sinistra dà alle stampe La sacre
famiglia, lavoro scritto insieme a Friedrich Engels. Insieme ad Engels, Marx scrive anche
L’ideologia tedesca, ancora contro gli Hegeliani di sinistra. Le tesi su Feuerbach risalgono al 1845. Il
Manifesto del partito comunista è del gennaio del 1848. Stabilitosi a Londra, alla fine dell’agosto
del 1849, aiutato economicamente colossale opera: Il Capitale, il cui primo volume appare nel
1867, mentre gli altri due volumi verranno pubblicati postumi rispettivamente nel 1885 e nel 1894.
Fu attivamente impegnato nell’organizzazione del movimento operaio. Del 1859 è la Critica
dell’economia politica. Il suo dissenso con la dottrina di Ferdinand Lassalle, Marx lo esplicita nella
Critica al programma di Gotha, del 1875. Marx muore il 14 marzo 1883; fu sepolto nel cimitero di
Heghhate.

La grande costruzione del pensiero di Marx si sviluppa in contatto e in contrasto con la filosofia
di Hegel, le concezioni della Sinistra hegeliana, le teorie degli economisti classici e le idee dei
socialisti utopisti. Marx è critico:
- Di Hegel: Marx ne riprenderà, rovesciandola, la concezione dialettica della storia ma critica
duramente Hegel, perché subordina la società civile allo Stato, e perché la descrizione che
fa dell’essenza dello Stato non è altro che la giustificazione dello Stato prussiano;
- Della Sinistra hegeliana, perché i Giovani hegeliani combattono contro le “frasi” e non
contro quel mondo reale di cui quelle “frasi” sono il riflesso. Difatti Marx è convinto che
«non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza»;
- Degli economisti classici: costoro (Smith, Ricardo, ecc…) hanno elaborato la teoria del
valore-lavoro (il valore di una merce equivale al lavoro socialmente necessario per
produrla), tuttavia sono in errore quando pensano che le leggi da essi messe in evidenza
siano leggi eterne ed immutabili di natura: la proprietà privata è un fatto e non una legge
eterna;
- Del Socialismo utopistico, i cui esponenti sono Babeuf, Saint-Simon, Fourier e Owen.
Costoro hanno dei grandi meriti - hanno visto l’antagonismo delle classi, hanno reso più
acutamente consapevoli gli operai -, ma non hanno saputo riconoscere le condizioni
materiali per l’emancipazione del proletariato; condannano e maledicono la misera vista del
proletariato, ma non sanno trovare un via d’uscita. A questi socialisti utopisti Marx ed
Engels contrappongono il loro socialismo scientifico;
- Di Proudhon, perché Proudhon è un “moralista” che vorrebbe cambiare la realtà
eliminandone i lati cattivi; la questione, però, non sta nel dividere, come voleva Proudhon,
la proprietà tra i lavoratori, ma nel sopprimerla del tutto attraverso la rivoluzione vittoriosa.

Secondo Marx, Feuerbach ha ragione nel dire che l’uomo che crea Dio e non viceversa. Solo che
Feuerbach si è fermato sul punto più importante: perché l’uomo crea Dio? Ed ecco la risposta di
Marx: esiste il mondo fantastico degli dei perché esiste il mondo irrazionale e ingiusto degli
uomini.
«La miseria religiosa è in un senso l’espressione della miseria reale, e in un altro senso la
protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di
un mondo senza cuore, lo spirito di situazioni in cui lo spirito è assente. Essa è l’oppio del popolo».
Ma le illusioni non svaniscono se non si eliminano le situazioni reale che le creano: «i filosofi hanno
interpretato il mondo in modo diverso; ora si tratta di cambiarlo», è questa una delle Tesi su
Feuerbach.

Dunque: la critica della religione diventa critica del diritto, la critica della teologia si fa critica
della politica. La critica del cielo si trasforma in critica della terra. E qui, sulla terra, Marx trova un
uomo alienato. L’uomo non alienato è un uomo che si realizza trasformando o umanizzando,
secondo suoi piani, insieme agli altri, la natura, per soddisfare i suoi bisogni. Quello, però, che
Marx vede è un uomo alienato, vale a dire espropriato del proprio valore di uomo ad opera
dell’espropriazione del lavoro. L’uomo non lavora per realizzare i propri progetti, insieme agli altri,
umanizzando così la natura. Egli lavora per la pura sussistenza. La proprietà privata, basata sulla
divisione del lavoro, rende il lavoro costrittivo. Il lavoro del proletario è un lavoro forzato. In esso
l’operaio annienta il suo spirito e distrugge il suo corpo.

Ma come si è arrivati ad una situazione del genere? Come si è prodotta la rivoluzione


industriale? E come è possibile - se mai lo è - uscire da una situazione siffatta? È qui che entra in
gioco la concezione marxiana della storia, incentrata sull’idea di materialismo storico è la teoria
stando alla quale la struttura economica di un’epoca determina la sovrastruttura ideologica (cioè il
complesso delle idee religiose, morali, politiche, giuridiche, estetiche, ecc… di quest’epoca). «Le
rappresentazioni e i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini appaiono […] come emanazione
del loro comportamento materiale».
Ma le idee mutano, mutano le sovrastrutture perché mutano le strutture economiche e queste
mutano in forza di una legge dialettica, nel senso che la storia umana si sviluppa per contrasti, per
contraddizioni, per triadi dialettiche, insomma. Così, per esempio, è dalla società feudale che è
sorta la borghesia si sviluppa e cresce alimentando in se stesso il proletariato, cioè gli uomini che
impugneranno le armi contro di essa, i suoi seppellitori.

Il tramonto della borghesia e la vittoria del proletariato sono, per Marx, eventi ineluttabili. Ed
egli argomenta a favore di tale ineluttabilità ne Il Capitale. La merce ha un valore di uso e un
valore di scambio. Il valore di uso si basa sulla qualità posseduta dalla merce in relazione alla
soddisfazione di qualche bisogno. Il valore di scambio è dato dal tempo di lavoro sociale
necessario per produrla. Anche il lavoro, la forza-lavoro, è una merce che il capitalista acquista sul
mercato e che paga secondo il valore che tale merce ha, valore che è dato dalla quantità di lavoro
necessaria per produrla, vale a dire dal valore delle cose necessarie per tenere in vita il lavoratore
e la sua famiglia.
La forza-lavoro è, però, una merce speciale giacché produce plusvalore. Il capitalista reinveste
questo plusvalore per non soccombere alla concorrenza. Alla fine si avrà che il capitale sarà
sempre in meno mani, mentre si ingrandirà il grande esercito dei proletari, sempre più coscienti
dello sfruttamento subìto, della propria forza, della missione storica che spetta al proletariato. Il
proletariato impugnerà le armi contro la borghesia; la rivoluzione porterà di necessità ad una
società senza classi: è questa l’avvento del comunismo. È questo lo sbocco finale di una storia che
finora è stata storia di lotta di classe.
Alienazione del lavoro
L’uomo non è alienato, vive umanamente, quando può umanizzare la natura, insieme agli altri,
secondo una sua propria idea.
Ciò che distingue il peggior architetto dall’ape migliore - leggiamo ne Il Capitale - è il fatto che
l’architetto «ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera».
Il capitalismo, che si fonda sulla proprietà privata, fa dell’operaio una merce nelle mani del
proprietario.
L’alienazione del lavoro «consiste prima di tutto nel fatto che il lavoro è esterno all’operaio, cioè
non appartiene al suo essere, e quindi nel suo lavoro egli non si afferma, ma si nega, si sente non
soddisfatto ma infelice, non sviluppa una libera energia fisica e spirituale, ma sfinisce il suo corpo e
distrugge il suo spirito».

Materialismo storico
È la teoria stando alla quale la struttura economica determina la sovrastruttura delle idee. «Il
mulino ad acqua vi darà la società col signore feudale e il mulino a vapore la società col capitalista
industriale». O ancora: «Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al
contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza». Questo scrive Marx nella
Prefazione a Per la critica dell’economia politica.
E, da ultimo, «le idee dominanti di un’epoca - affermando Marx ed Engels - sono sempre state
soltanto le idee della classe dominante».

Materialismo dialettico
Marx rovescia la dialettica hegeliana, la rimette in piedi. Hegel applicava il movimento dialettico
al “processo del pensiero”; Marx lo riporta al mondo della storia reale e concreta - quella dei
bisogni economici e sociali - degli uomini.
Ogni realtà storica (governi, Stati, ecc…) genera nel suo seno delle “contraddizioni” che
necessariamente portano al suo superamento: la borghesia nasce dall’interno della società
feudale, e sarà proprio la borghesia che con la Rivoluzione francese spezzerà quasi vincoli feudali
ormai soffocanti e non più sopportabili; dal canto suo, la borghesia non può nemmeno esistere
senza quel proletariato che la porterà nella tomba.
La dialettica è la legge di sviluppo della realtà storica ed esprime l’evitabilità del passaggio dalla
società capitalista a quella comunista.

Plusvalore
Quello di plusvalore è uno dei concetti fondamentali dell’economia marxista e un cardine
dell’intera costruzione teorica di Marx.
Il capitalista acquista sul mercato oltre il capitale costante (macchinari, materie prime, ecc…)
anche il capitale variabile, e cioè la forza-lavoro. «Il valore della forza-lavoro è il valore dei mezzi di
sussistenza necessari per la conservazione del possessore della forza-lavoro». L’uso della forza-
lavoro è il lavoro stesso. Il prodotto del lavoro è proprietà non del lavoratore ma del capitalista.
Ora, se il proletariato la vora dodici ore e in sei ore produce tanto da coprire quanto il capitalista
spende per il salario, il prodotto delle altre sei ore di lavoro è valore di cui si appropria il
capitalista. Questo valore che passa nelle mani del capitalista è il plusvalore.

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