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SCHEMA STORIA DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA

Hegel

Percorso della coscienza:


1) Sapere immediato
La certezza sensibile appare la più ricca perché non ha né limiti esterni né interni e la più
vera perché non ha trascurato nulla dell’oggetto, ma lo ha di fronte a sé in tutta la sua
integrità e completezza.
Tale certezza si rivela come povera e astratta, perché dell’oggetto so solo che esso è.
La certezza sensibile coglie il singolare dell’oggetto.

2) Il sapere coglie l’oggetto come l’essenza e se stesso come la mediazione dell’oggetto


Il sapere immediato o conoscenza sensibile pensa che la verità è inizialmente nell’oggetto e
che il sapere, quindi, dipenda dall’oggetto.
Principio di individuazione  riferirsi ad un oggetto

3) Il sapere coglie l’oggetto come negazione mediata


Esempio Giorno - Notte per capire che cosa sia l’ “Ora”
L’ “Ora” non è né giorno né notte ma è, allo stesso tempo, entrambi.
L’ “Ora” si conserva come negazione (“non è né giorno, né notte”), quindi non si conserva
in se stesso, ma è mediato dalla negazione.
L’ “Ora” resta sempre lo stesso, ma è negazione, negazione determinata, perché nego
quella determinata situazione e non l’ “Ora” in sé (quindi non è negazione assoluta).
<<Una tale semplicità, che mediante negazione non è né questo né quello ma è un non-questo, e
che è anche altrettanto indifferente a essere questo o quello, è ciò che noi chiamiamo un
universale. Il vero della certezza sensibile è dunque di fatto l'universale.>>

Quindi il singolare è IN REALTÀ l’universale.

Esempio:
<<Lo stesso caso si produce con l'altra forma del Questo, cioè con il Qui. Il Qui è, per esempio,
l'albero. Quando mi volto, questa verità è dileguata e si è convertita in quella opposta: il Qui non è
un albero, ma piuttosto una casa. Non è perciò lo stesso Qui a sparire, ma esso è ciò che permane
nel dileguare della casa, dell'albero, ecc., e gli è indifferente essere casa o albero. Anche in questo
caso, dunque, il Questo si mostra come semplicità mediata, cioè come universalità.>>

4) Inversione del rapporto tra sapere ed oggetto


L’oggetto ora è l’universale, ma non è più l’oggetto che mi si faceva presente attraverso la
conoscenza sensibile (sapere immediato).
Quindi l’oggetto diventa tale, perché io SO dell’oggetto.
L’oggetto è perché io so di esso.

5) L’Io fa esperienza che l’Io stesso è un universale e non un singolare

6) La verità sta nel rapporto, nel movimento tra soggetto ed oggetto


«In questo atto dell'indicare, dunque, noi vediamo soltanto un movimento il cui
corso è il seguente:
1) Io indico l'Ora e l'affermo come il vero; lo indico però come essere-stato,
come un qualcosa di rimosso, e rimuovo così la prima verità;
2) adesso, come seconda verità, Io affermo che l'Ora è-stato, è rimosso;
3) l'essere-stato, però, non è; Io rimuovo allora la seconda verità - cioè l'essere-
stato, l'essere-rimosso, nego con ciò la negazione dell'Ora e ritorno infine alla
prima affermazione: l'Ora è.
L'Ora e l'indicazione dell'Ora sono pertanto di natura tale da non costituire né
l'uno né l'altro una semplicità immediata, ma piuttosto un movimento che ha in
sé dei momenti diversi.»

La coscienza deve comprendere che l’oggetto - altro-da-sé è, in realtà qualcosa che gli
appartiene.
La coscienza vive la negazione come un momento tragico (pantragismo) perché vede
opporsi continuamente qualcosa.
Quando la coscienza prende consapevolezza che l’oggetto NON è altro-da-sé, allora diventa
spirito.

7) L’Io ritorna in se stesso diverso da prima, arricchito del movimento vissuto 


AUTOCOSCIENZA
L’autocoscienza è la coscienza arricchita del movimento vissuto, quindi consta dell’io,
dell’oggetto e della negazione dell’oggetto.

8) Sapere ed oggetto coincidono nell’AUTOCOSCIENZA

Percorso dell’autocoscienza:
1) L’autocoscienza vede se stessa come essenza semplice ed ha come oggetto questo Io
puro
L’autocoscienza è tale solo in quanto essenza negativa dei momenti strutturati autonomi.
È essenza negativa per tutto il movimento avvenuto prima.
Quindi l’autocoscienza è certa di se stessa solo in quanto “fa suo” l’oggetto fuori di sé,
rimuovendolo come entità esterna e rendendolo parte di sé.
L’autocoscienza è desiderio, perché si spinge verso l’altro-da-sé, per renderlo parte di sé.
Il desiderio viene appagato solamente se l’oggetto (l’altro-da-sé) viene annullato.

2) L’autocoscienza fa esperienza dell’autonomia del suo oggetto


Il desiderio e la certezza di sé, raggiunta nell’appagamento del desiderio, sono condizionati
dall’oggetto stesso.
«Mediante la propria relazione negativa, dunque, l'autocoscienza non può
rimuovere l'oggetto, e piuttosto lo produce di nuovo, come pure si riproduce il
desiderio.»
L’autocoscienza, quindi, fa esperienza dell’autonomia del suo oggetto.
Il desiderio non verrà mai soddisfatto completamente, il desiderio genera frustrazione, la
dinamica del desiderio è destinata al fallimento, non all’appagamento.

3) Autocoscienza per un’autocoscienza


«In virtù dell'autonomia dell'oggetto, allora, l'autocoscienza può ottenere
l'appagamento solo quando l'oggetto stesso compie in sé la negazione; ed è
necessario che l'oggetto compia in sé questa negazione di se stesso perché esso
è, in sé, il negativo, e ciò che è deve esserlo per l'altro. Ora, quando è in se stesso
la negazione, e con ciò è nello stesso tempo autonomo, l'oggetto è coscienza.»
L’autocoscienza appaga il suo desiderio, solo quando si rapporta con un oggetto capace di
negarsi.
Un oggetto, però, capace di negarsi è, esso stesso, coscienza e quindi autocoscienza.
L’autocoscienza si appaga, quindi, solamente con l’annullamento di un’altra autocoscienza.

Percorso della relazione tra autocoscienze:


1) Riconosco nell’altro un “Io” uguale al mio
Riconosco che anche l’altro è coscienza.
Questo implica:
a) L’autocoscienza si perde, perché trova se stessa in un altro-da-sé.
b) L’autocoscienza ha rimosso l’altro, perché l’altro è uguale a sé.

2) Per ritrovare me stesso devo rimuovere l’altro

3) Per rimuovere l’altro devo rimuovere me stesso

4) Le due autocoscienze si riconoscono come reciprocamente riconoscentisi


Mentre mi rapporto ad un oggetto cosciente, anche quest’ultimo fa lo stesso nei miei
confronti.

5) «Nessuna di queste due coscienze si è ancora presentata all'altra come puro essere-per-sé, cioè
come auto- coscienza»
«Ciascuna autocoscienza è certa di se stessa, ma non dell'altra. Questo significa allora che la
propria certezza di sé non ha ancora alcuna verità.»

6) Ognuna delle autocoscienze deve mostrarsi come tale


L’autocoscienza è tale quando si mostra come essere-per-sé.
L’autocoscienza si mostra come essere-per-sé quando mostra di non essere legata a
nessuna esistenza determinata, né alla vita («né alla singolarità universale dell'esistenza in
generale»).

7) «Il rapporto tra le due autocoscienze, dunque, si determina come un dar prova di sé, a se stesso e
all'altro, mediante la lotta per la vita e la morte»
«La necessità di questa lotta risiede nel fatto che ciascuna autocoscienza deve
elevare a verità, nell'altra e in se stessa, la propria certezza di essere per sé. Ed è
soltanto rischiando la vita che si mette alla prova la libertà; […] così si dimostra
[…] che essa è soltanto puro essere-per-sé. »
«Parallelamente, quando mette a rischio la propria vita, ogni individuo deve
tendere alla morte dell'altro proprio perché ritiene di non valere meno
dell'altro.»

8) L’esito dello scontro non può portare alla morte


«L'altro è una coscienza essente e variamente coinvolta [112] nel processo
vitale: l'individuo deve allora intuire il proprio essere-altro come puro essere-
per-sé, cioè come negazione assoluta.
Mediante la morte, tuttavia, questa prova rimuove tanto la verità che doveva
scaturirne, quanto l'autocertezza in generale. Infatti, come la vita è la posizione
naturale della coscienza, è l'autonomia senza la negatività assoluta, così la morte
è la negazione naturale della coscienza, la negazione senza l'autonomia: tale
negazione, dunque, non ha quel significato del riconoscimento di cui siamo alla
ricerca.
Mediante la morte è certamente risultata la certezza che ciascuna
autocoscienza, mettendosi a rischio nella lotta, ha disprezzato la propria vita e la
vita dell'altra; questa certezza, però, non è divenuta tale per coloro che hanno
sostenuto la lotta.»

Se si muore, si afferma di non tenere alla vita, ma non si è più, quindi non si è più
nemmeno autocoscienza.
Se si uccide l’altro, si elimina l’essere-altro-da-me, ma non si ha più il riconoscimento
dell’altro.

9) Nascita della dinamica servo-signore


«Ora, nel corso di questa esperienza, l'autocoscienza apprende che la vita le è
tanto essenziale quanto l'autocoscienza pura.»
Qualcuno deve cedere, perché la vita è necessaria.
Chi non cede è il signore, che è un’autocoscienza pura.
Chi cede è il servo, che è:
«una coscienza che non è puramente per sé, ma è per un altro, una coscienza,
cioè, meramente essente, che ha la figura della cosalità.»
È servo perché ha dimostrato di essere dipendente dall’essere, l’essere è posseduto dal
signore quindi il servo è servo del signore.

Percorso della dinamica servo-signore:


1) Il signore domina sul servo mediatamente
Il signore domina l’essere, il servo è dipendente/schiavo dell’essere  il signore domina sul
servo (sillogismo).
Però solo attraverso l’essere, non direttamente.

2) Il signore si rapporta mediatamente alla cosa attraverso il servo


Il servo nega la cosa e la rimuove, ma pur negandola, non può annientarla del tutto, perché
non domina l’essere e quindi non può dominare la cosa; egli può solo, attraverso il lavoro,
trasformarla.
Grazie a questa mediazione, il signore ha la possibilità di avere un rapporto immediato con
la cosa negata già dal servo.
«Il fallimento del desiderio era dovuto all'autonomia della cosa; adesso, invece,
inserendo il servo tra la cosa e se stesso, il signore si conclude sillogisticamente
solo con la non-autonomia della cosa, e quindi ne gode allo stato puro. Il lato
dell'autonomia della cosa egli lo lascia al lavoro, del servo.»

3) Riconoscimento dell’inessenzialità del signore


«Al riconoscimento vero e proprio, tuttavia, manca il momento in cui ciò che il
signore fa verso l'altro, lo fa anche verso se stesso, e ciò che il servo fa verso se
stesso, lo fa anche verso l'altro. Mancando questo momento, pertanto, è sorto
un riconoscimento unilaterale e disuguale.»
Riconoscendo nell’altro se stesso, ciò che il signore fa al servo dovrebbe essere ciò che egli
stesso fa a sé, ma così non è.

«[114] Per il signore, in tal modo, la coscienza inessenziale è l’oggetto che


costituisce la verità della certezza di se stesso. È chiaro, però, che questo oggetto
non corrisponde affatto al suo concetto. Proprio quando il signore si realizza
compiutamente come signore, egli vede dinanzi a sé tutt'altro che una coscienza
autonoma, ma piuttosto una coscienza non-autonoma. Il signore, dunque, non è
certo dell' essere-per-sé come verità, al contrario: la sua verità è la coscienza
inessenziale e il fare inessenziale di questa coscienza.»
Per il signore, il servo è l’oggetto, che dà conferma della propria autonomia (della propria
autocoscienza, dell’autocoscienza del signore).
Però il servo è la coscienza inessenziale, non è un’altra autocoscienza autonoma, anzi è
non-autonoma.
Quindi il signore non è certo della propria autonomia, poiché il riconoscimento della
propria autonomia gli viene da una coscienza inessenziale e dal lavoro di essa.

«Di conseguenza, la verità della coscienza autonoma è la coscienza servile.»


Se il signore per essere se stesso ha bisogno del servo, la verità del signore è il servo; di
conseguenza la verità della coscienza del signore è nella coscienza del servo.
La coscienza del servo però non è autonoma, quindi anche la coscienza del signore risulta
essere non-autonoma.
Quindi il signore si mostra dipendente dal servo e, quindi, si accorge di NON essere
un’autocoscienza essente-per-sé.

Tappe del percorso di liberazione del servo:


1) Riconoscimento che l’essenza, la verità è il signore e non è in sé
«Per la servitù, inizialmente, l'essenza è il signore. Ai suoi occhi, dunque, la
verità è la coscienza autonoma essente per sé, ma tale verità, per la servitù, non
è ancora nella servitù stessa.»

2) Non coscientemente il servo ha in se stesso la verità della pura negatività e dell’essere-


per-sé, grazie alla paura della morte
«In effetti, invece, la servitù ha in se stessa la verità della pura negatività e
dell'essere-per-sé, in quanto ha fatto in sé esperienza di questa essenza.
In altre parole, tale coscienza non ha tremato per questa o per quella
circostanza, né in questo o in quell'istante: essa ha provato angoscia dinanzi alla
totalità della propria essenza perché ha avuto paura della morte, cioè del
signore assoluto. In questa angoscia, la coscienza è stata intimamente dissolta,
ha tremato fin nel suo più remoto recesso, e tutto quanto c'era in essa di fisso è
stato scosso. Questo puro movimento universale, questo assoluto divenire-
fluida di ogni sussistenza, però, è appunto l'essenza semplice dell'autocoscienza,
la negatività assoluta, il puro essere-per- sé: ecco perché la coscienza servile ha
tutto ciò in se stessa.»
La paura della morte, del puro negativo, ha fatto sì che il servo facesse esperienza della
propria autocoscienza, sebbene ancora in maniera non consapevole, perché avvenuto
forzatamente e non in maniera spontanea.
Inoltre, il servo ha fatto esperienza della propria autocoscienza poiché l’autocoscienza del
servo si riconosce nel signore e quindi ha fatto esperienza della propria autocoscienza,
come oggetto, nel signore.
«D'altra parte, come abbiamo visto, il momento del puro esse- re-per-sé è anche
per la stessa coscienza servile, in quanto essa lo ha come oggetto nel signore. La
coscienza servile, inoltre, non è soltanto dissoluzione universale in generale, ma
lo è anche realmente, in quanto il suo servizio compie effettivamente tale
dissoluzione. Il servo rimuove in tutti i singoli momenti il proprio attaccamento
all'esistenza naturale, e, lavorandola, la trasforma e l'elimina.»

«Anche se la paura dinanzi al signore costituisce l'inizio della saggezza, la


coscienza è qui per essa stessa, ma non è ancora l’essere- per-sé.»

3) Il lavoro come attività liberante


Il servo lavora l’oggetto, ma non ne gode, quindi il suo desiderio non è mai appagato.
Però attraverso il lavoro egli forma l’oggetto, “imprimendo” in esso la propria coscienza.
«In tal modo, dunque, la coscienza che lavora giunge a intuire l'essere autonomo
come se stessa.»

«Il formare ha anche un significato negativo rispetto al primo momento, il


momento della paura. In effetti, formando la cosa, la coscienza vede divenire
suo oggetto la propria negatività, il proprio essere-per-sé, solo perché essa
rimuove la forma essente opposta. Ora, questo negativo oggettivo è proprio
quell'essenza estranea dinanzi a cui la coscienza servile ha tremato; adesso,
invece, la coscienza distrugge tale negativo estraneo, pone se stessa come
negativo permanente e diviene quindi, per se stessa, un essente-per-sé.»

L’autocoscienza vede la propria coscienza fuori da sé, impressa nell’oggetto, e quindi ha


un riconoscimento della propria autonomia dall’oggetto.

- «Nel signore, l'essere-per-sé appare alla coscienza servile come qualcosa


d'altro, è cioè solo per essa;»
- «nella paura, l'essere-per-sé è nella coscienza stessa;»
- «nell'attività formatrice, infine, esso diviene l'essere-per-sé proprio della e per
la coscienza,»

Conclusione:
«la quale giunge cosi alla consapevolezza di essere in sé e per sé.»

«Di conseguenza, agli occhi della coscienza, la forma posta nell'esteriorità non
diviene affatto un altro da essa; questa forma, infatti, è appunto il puro essere-per-
sé in cui la coscienza vede divenire la propria verità. Nel lavoro, dunque, in cui
essa sembrava essere solo un senso estraneo, la coscienza ritrova sé mediante se
stessa e diviene senso proprio.»

«Affinché si giunga a questa riflessione, sono necessari entrambi i momenti nella


loro universalità, e cioè: (a) la paura e il servizio in generale, e (b) l'attività
formatrice.»

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