In sé e per sé
Ogni forma di per sé è in una qualche misura anche in sé
Coscienza naturale è per sé nel senso che essa sa di sé stessa e in sé è spirito assoluto; il sapersi
come coscienza naturale è comunque una forma di in sé, in sé ha una sua specificità (è un ente che
non si è ancora sviluppato fino al sapere assoluto, ma in quanto per sé è anche un ente)
La coscienza naturale in prima battuta fa riferimento alle sue certezze sensibili, questo è il suo
oggetto, la sua naturalità consiste nel riferirsi immediatamente alle sue percezioni
In questo caso, nella certezza sensibile non si fa riferimento al fatto che questo oggetto sia esterno
o interno alla coscienza, non fa una vera distinzione tra soggetto e oggetto quanto piuttosto tra
oggetto della coscienza e coscienza percipiente, non distinzione tra soggetto e mondo
indipendente rispetto al soggetto-> solo tra coscienza e oggetto della coscienza
La certezza sensibile, non avendo ancora totale consapevolezza di sé, non ha la distinzione tra
coscienza e mondo-> le prime tre figure non c’è ancora questa differenza tra oggetto e soggetto
Infatti la condizione perché io possa essere consapevole del mondo come qualcosa di
indipendente da me è che io sia consapevole di me stesso come soggetto autonomo (e ciò si
raggiunge solo nel quarto capitolo-> fino a quel capitolo c’è totale indistinzione tra soggetto e
oggetto)
La condizione perché diventi soggetto pieno è che ci sia un altro soggetto che mi riconosca
Il per sé della coscienza, nella certezza sensibile, ha un oggetto-> sono le sue sensazioni, certezze,
il dato, il questo
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Differenza tra ciò che la coscienza sa e quello che realmente ottiene-> pensa di non conoscere
nulla, di aver stravolto le sue opinioni senza aver raggiunto alcun risultato, invece un risultato lo ha
raggiunto
Il nulla di ciò da cui risulta-> il ciò può essere inteso come il primo momento della dialettica, è la
convinzione della certezza sensibile di avere a che fare con dati immediati di fronte a lei, questo
ciò produce un nulla, viene capovolto dal conflitto che si scatena interno alla coscienza tra la sua
opinione e ciò con cui realmente ha a che fare, questa cosa scatena uno sconvolgimento dentro la
coscienza per cui alla fine essa perviene alla consapevolezza di essere arrivata ad un nulla in
quanto ha criticato quel ciò da cui è partito
La coscienza è partita da un ciò, da un punto di partenza che era la sua opinione-> questo ciò è
stato sconvolto, gli è stata rivolta una negazione-> si produce un risultato che è nulla
È come se la coscienza si fosse dimenticata che aveva un punto di partenza, è talmente travolta
dalla dialettica che lei vede solo il nulla e non vede che era partita da un punto molto preciso-> la
coscienza dovrebbe riconoscere (ma non lo fa) che solo quel punto di partenza, il ciò, è stato
messo in discussione, non la totalità delle cose
Se la coscienza vedesse bene il percorso, capirebbe di non avere in mano nulla
Il risultato è determinato, a differenza di quello che pensa lo scetticismo, è risultato da un punto di
partenza determinato
Se abbiamo il negativo di un determinato, di una opinione, esso è un assolutamente indeterminato
-> la negazione di un determinato è tutt’altro che determinato (bianco e non-bianco)
Hegel però in queste pagine non spiega molto bene perché il risultato della negazione di un
determinato dovrebbe essere un determinato a sua volta
Ciò a cui è arrivata la coscienza è certamente la negazione di un determinato, ma in realtà se la
coscienza mettesse insieme il punto da cui è partita, il processo confutativo e avesse tenuto
insieme i due momenti, a questo punto avrebbe un qualcosa di determinato, perché sarebbe un
qualcosa di più ricco
Hegel presume da noi che si concordi con lui e con la sua tesi per cui alla fine il nulla di un
determinato sia un determinato, quando però il nulla di un determinato è l’assolutamente
indeterminato (bianco e non-bianco)
In Hegel il passaggio dal primo al secondo momento della dialettica, per cui si passa da un
determinato all’altro, è in realtà è un processo di deduzione-> Hegel invece che prendere atto che
la negazione di un determinato sia l’assolutamente indeterminato (per cui il discorso sarebbe
chiuso e addio sistema) deve introdurre un qualcosa di suo che non era presente nel primo
momento e che quindi gli consenta di andare avanti
La dialettica sarebbe una continua intromissione di intuizioni che Hegel mette ogni volta nel terzo
momento della dialettica per impedire che lo speculativo finisca nell’assoluta indeterminazione
(questa è la grande obiezione di Trendelenburg)
Trendelenburg, da aristotelico, sa che il contraddittorio di un determinato è indeterminato
Obiezione di Cortella a Trendelenburg-> Hegel non procede per negazione (non parte da una tesi
per arrivare ad una antitesi), ma fa una operazione interna di deduzione e tira fuori un significato
che appare contraddittorio rispetto al primo e a quel punto si innesca la dialettica
Intuizione è organo fondamentale secondo Schelling per conoscere l’assoluto-> per tutta la fase
jenese Hegel condivide in parte questa tesi, che noi dell’assoluto possiamo avere una intuizione
Quando scriverà la Fenomenologia, obietta a Schelling che con l’intuizione non si vada da nessuna
parte (la centralità sta nel concetto, articolazione logica)
Radicale presa di distanza di Hegel verso l’intuizione-> se pensassimo che l’assoluto basti intuirlo
non faremo nessuna fatica
Dobbiamo fare una analisi interna, una deduzione-> così mettiamo insieme la determinazione e la
sua negazione
Questa è la fatica del concetto, fatica della deduzione comporta più fatica rispetto alla deduzione
tradizionale (es: sillogismo aristotelico, alla fine siamo confortati dal fatto che arriviamo a
conclusioni che non ci mettono in discussione)-> se facciamo una deduzione come quella di Hegel,
dovremo fare la fatica di tenere insieme due cose
La fatica del concetto ha anche fare con il fatto che nella Fenomenologia Hegel dia più importanza
a chi compie il lavoro (v. servo-signore)-> chi compie il lavoro è sollevato, il prosieguo dell’opera
avviene solo se si lavora
Per Hegel funziona il lavoro e anche la Scienza della logica sarebbe debitrice di questa scelta a
favore del lavoro servile, ci sarebbe un’eco nella fatica del passaggio da determinazioni in
determinazione
Linguaggio
La soggettività non deve rimanere chiusa in sé stessa (se lo fa rimane chiusa nell’astrazione dell’Io
fichtiano)-> per conoscere sé stesso deve mettersi a confronto con altri soggetti ed esteriorizzare
sé stesso
La prima esteriorizzazione avviene nel linguaggio-> il linguaggio è la prima modalità per cui noi non
siamo più un vuoto interiore ma usciamo anche fuori
Il linguaggio non è tanto lo strumento che noi abbiamo per denominare le cose, ma usciamo fuori
di noi-> rendiamo palese agli altri (dimensione intersoggettiva) la nostra interiorità
Parlo di me, io che mi esprimo sul mondo, una parte di me che si fa oggettiva-> Entäusserung
Uscire fuori di sé, è una esteriorizzazione-> questa parola verrà ricuperata da Marx ma le darà un
significato fondamentalmente negativo, che è ciò che chiama alienazione
In Hegel ha significato neutro-> è semplicemente il fatto che ognuno esca fuori di sé e lo fa nel
linguaggio
In questo modo l’Io non è più solo nostro, ma diventa un universale, a disposizione degli altri
Linguaggio-> è come se il nostro venisse diffuso a tutti gli altri, produce due risultati:
- Noi non rimaniamo più rinchiusi al nostro interno, ma finalmente usciamo la di fuori
- Gli altri possono conoscersi
Senza la dimensione dell’esteriorizzazione, il soggetto sarebbe costretto a rimanere richiuso
dentro sé stesso-> saremmo dentro quella condizione fichtiana dell’Io=Io