Vento largo è un blog attivo dal novembre 2009. Ad oggi conta oltre due milioni di visualizzazioni.
Che le storie di Hugo Pratt siano piene di elementi magici ed esoterici è cosa nota: basta sfogliare
uno qualsiasi degli album disegnati dal grande maestro veneziano per trovarsi precipitati in un
universo arcano e misterioso dove nulla è come appare e tutto rimanda ad un labirinto di simboli in
cui si rischia ad ogni passo di perdersi.
Corto l'initié di Joel Gregogna, pubblicato dalle parigine Editions Dervy, permette ora di superare
questa difficoltà e di muoversi con sicurezza fra gli arcani dell'alchimia, della Kabbalah e delle
società segrete seguendo le avventure di terra e di mare del celebre marinaio creato da Hugo Pratt
che, iniziato in una loggia veneziana negli anni '70, a differenza di Dan Brown et similia, era un
profondo conoscitore della tradizione esoterica.
Buona lettura!
Nel 1717 nasceva la Gran Loggia d'Inghilterra,madre della Massoneria moderna. Immediatamente
le idee massoniche si diffusero in tutta Europa e l'Italia non fece certo eccezione.
Frequenti furono nei primi tre decenni del XVIII secolo i contatti tra i più vivi ambienti della
cultura e della società civile italiana ed esponenti anche di primissimo piano della Libera Muratoria
inglese. Nel giro di pochi anni, dal 1724 al 1729, soggiornarono in Italia personaggi del calibro del
duca di Wharton, ex Gran Maestro della Gran Loggia di Londra, del cavalier de Ramsey, creatore
degli alti gradi, e di Thomas Howard, duca di Norfolk e nuovo capo dei massoni inglesi.
E' molto probabile, ed alcuni storici soprattutto di area tedesca ne fanno cenno, che proprio da
questi contatti prendessero vita in numerose città fra cui Genova le prime logge italiane.
Per avere notizie certe e documentate sulla Libera Muratoria in Liguria dobbiamo tuttavia attendere
fino al 1747, quando il 25 maggio Pier Maria Giustiniani, vescovo di Ventimiglia, in una lunga
pastorale diretta ai fedeli della sua diocesi lamenta con termini accorati che “in un luogo non molto
lontano da noi, nel venerdì della prima settimana di quaresima nelle logge dei Francs Maçons si
mangiò da tutti i congregati carne in un solenne convito”. (1)
Questa notizia che attesterebbe la presenza di una o più logge massoniche operanti nell'estremo
Ponente ligure già nella prima metà del Settecento, trova una ulteriore conferma nelle dichiarazioni
rilasciate nove anni più tardi dinanzi al tribunale dell'Inquisizione di Milano dal capitano austriaco
Beniamin Obbel. L'ufficiale, messo sotto inchiesta per la sua appartenenza alla Massoneria, dichiarò
in quell'occasione ai giudici che lo interrogavano di essere stato iniziato nell'anno 1745 a Novi
Ligure in una loggia composta da militari delle truppe austriache di stanza nella piazzaforte
piemontese e di avere successivamente partecipato ai lavori di una loggia a Bordighera, la stessa
con tutta probabilità a cui si riferiva la pastorale del vescovo di Ventimiglia.
Pochi anni più tardi, nel 1752, tocca al vescovo di Sarzana il compito di denunciare, con toni più
politici che religiosi, i pericoli derivanti per la società del diffondersi di una società perniciosa come
quella dei liberi muratori, dedita al sovvertimento dell'ordine costituito allo scopo di “sottrarre il
genere umano alla dipendenza dal Principe e dal Sacerdozio” (2)
Parole destinate anche questa volta a restare inascoltate se, all'incirca in questo periodo, almeno due
logge lavorano con buon successo a far proseliti negli ambienti intellettuali della stessa Genova,
come si evince con certezza dagli stessi Atti ufficiali del governo della Repubblica oligarchica
ligure. Accadde, infatti, che la magistratura genovese, preoccupata dal diffondersi degli ideali di
libertà e fratellanza professati dai massoni, si occupasse con una allarmata solerzia del moltiplicarsi
delle logge in città. Dagli esiti dell'inchiesta veniamo così a conoscenza dell'attività di due logge,
probabilmente istituite da ufficiali delle truppe francesi accorse in aiuto della Repubblica durante la
guerra di successione austriaca. Al termine dell'inchiesta gli inquirenti decretarono la proibizione
sul territorio della repubblica di ogni attività massonica, le logge genovesi furono chiuse dalla
polizia e numerosi cittadini stranieri furono espulsi dalla città.
In quel periodo qualcosa doveva muoversi anche a Savona, almeno secondo una nota del Leti (uno
dei principali studiosi dell'attività della Massoneria nel Risorgimento) in cui si accenna alla
costituzione di un Gran Capitolo di Lombardia a cui avrebbe fra l'altro aderito anche una loggia
savonese. (3) L'affermazione non è sostenuta da alcun documento, né ci risultano esistere altrove
altre attestazioni di una tale presenza che tuttavia, sulla base di un ragionamento più complessivo
che per motivi di spazio non riportiamo, non ci appare cosa improbabile.
I tempi stavano comunque rapidamente cambiando e le idee di libertà, fratellanza e tolleranza
trovavano sempre nuovi seguaci all'interno degli ambienti intellettuali anche in una realtà chiusa
come quella ligure di metà Settecento. Prova ne fu il fallimento nel1762 di una nuova inchiesta
penale contro “l'Unione dei Franchi Muratori” a Genova. Lanciata con clamore, nonostante una
pesante intromissione delle autorità ecclesiastiche che pretendevano la consegna dei massoni in
quanto eretici al tribunale dell'Inquisizione, l'inchiesta si risolse in un nulla di fatto. Le sanzioni
risultarono minime e il processo si chiuse con un sostanziale proscioglimento degli imputati.
Con ogni evidenza nel decennio intercorso fra i due processi la Libera Muratoria aveva saputo
radicarsi a fondo nella società ligure, tanto da risultare ormai inestirpabile.
1) C. Francovich, Storia della Massoneria in Italia dalle origini alla rivoluzione francese, Firenze
1974, p. 117
2) Ivi, p. 164
3) G. Leti, Carboneria e Massoneria nel Risorgimento italiano, Genova 1924, p. 42
Li hanno fatti quest'anno i falò? - chiesi a Cinto. Noi li facevamo sempre. La notte di S. Giovanni
tutta la collina era accesa. Poca roba, - disse lui. - Lo fanno grosso alla Stazione, ma di qui non si
vede. Il Piola dice che una volta ci bruciavano delle fascine. Chissà perchè mai, - dissi, - si fanno
questi fuochi. Si vede che fa bene alle campagne, - disse Cinto, - le ingrassa.
(Cesare Pavese, La luna e i falò, 1949)
Non lasciamoci trarre in inganno dalle ingenue parole di Cinto. Pavese sa molto bene di cosa sta
parlando e la spiegazione che il contadino langarolo dà dello scopo dei falò va diritto alle radici di
quel rito antichissimo che ogni anno si ripete sempre uguale anche se se ne è ormai perso il senso.
Le feste del fuoco come riti di fertilità hanno un'origine che si perde nella notte dei tempi, in un
periodo molto anteriore al cristianesimo e allo stesso mondo romano. Con la festa di San Giovanni
Battista esse acquistano veste cristiana, ma è una veste sottile. Riti della stessa natura si ritrovano in
tutta Europa dalla Scandinavia al Mediterraneo, sempre con le stesse caratteristiche. Quello
dell'accensione dei falò al solstizio d'estate è un rito magico legato alla fertilità della terra, degli
animali, degli uomini, ma anche un rito di purificazione e dunque di protezione.
James Frazer, uno dei padri della moderna antropologia, ha dedicato molte pagine della sua opera
monumentale Il Ramo d'Oro (di cui Cesare Pavese stava curando l'edizione italiana per la casa
editrice Einaudi proprio mentre scriveva La luna e i falò) ai riti del fuoco. In particolare egli defisce
solstizio d'estate, cioè in termini cristiani la festa di San Giovanni, " la più diffusa e solenne di tutte
le festività rituali dell'anno celebrate dai popoli primitivi d'Europa"
Il solstizio è un punto di svolta dell'anno, lentamente il sole inizia a declinare, per l'uomo primitivo
è il momento di ricorrere a riti magici con cui arrestarne il declino, o quanto meno garantire la
rinascita della vita delle piante. Il falò deve servire a sostenere l'astro, ad aiutarlo a mantenere la sua
potenza, allontanando le forze avverse Un rito quindi che permette di espellere o tenere lontano
tutto ciò che può essere dannoso a uomini, luoghi, piante, animali.Un rito di purificazione (che fa
appello al carattere purificatore del fuoco, e, come vedremo, anche dell'acqua). Un rito di morte e
resurrezione e dunque di fertilità
"Nell'Europa moderna – scrive Frazer – la grande festa di mezzestate è stata soprattutto una festa
dell'amore e del fuoco. Uno dei suoi caratteri principali è la scelta degli innamorati che saltano
sopra i fuochi tenendosi per mano e si tirano dei fiori attraverso le fiamme".
La festa di San Giovanni ha un carattere misterico e ambivalente. Si tratta della principale festa
della luce, ma ha il suo epicentro nella notte; è una festa del fuoco (simbolo del principio maschile),
ma anche dell'acqua (simbolo del principio femminile). D'altronde il fuoco e l'acqua sono gli
elementi centrali della predicazione del Battista. Dice Giovanni Battista: "Io vi battezzo con
acqua...; ma colui che viene dopo di me... vi battezzerà in spirito santo e fuoco" (Matteo 3.11)
"Notte specialissima carica di magia e di presagi, notte gravida di forze sacrali diffuse nella natura,
quella di San Giovanni è la notte che decide dei destini dell'intero anno solare: da questa magica
notte le ragazze attendono presagi sulla loro sorte nuziale e i contadini risposte sugli esiti del futuro
raccolto" ,
Secondo le tradizioni celtiche e nordiche, la notte del 24 giugno corrisponde alla notte di mezza
estate. Il mondo naturale il soprannaturale si compenetrano e cose ritenute impossibili diventano
possibili. Il tempo si ferma. Cadono le barriere che separano le diverse manifestazioni dell'esistere.
Fate, folletti, elfi fanno irruzione nel mondo. William Shakespeare in Sogno di una notte di mezza
estate ha reso in tutta la sua magia questa notte straordinaria. Ancora una volta appare il simbolismo
della porta (vero e propria immagine archetipale), apertura sull'aldilà. La notte di San Giovanni
questa porta misteriosamente si apre e i due mondi entrano in comunicazione.
Festa pagana, poi cristianizzata
La festa di San Giovanni è quella che forse più esemplarmente di altre testimonia di quella
commistione di pagano e cristiano che è uno dei tratti caratterizzanti la religione popolare almeno
fino al XIV secolo. Il Venerabile Beda annota nelle sue cronache come Gregorio Magno
consigliasse ai monaci che si accingevano a evangelizzare Anglia e Irlanda di distruggere gli idoli,
ma preservare i fana. I luoghi, cioè, dove il sacro si manifesta in tutta la sua potenza numinosa.
Progressivamente, dunque, luoghi, riti, feste vengono cristianizzati. Giano, dio bifronte del
principio e della fine, delle porte e dei confini, cede il controllo delle “porte solstiziali”. A guardia di
tali porte viene sostituito dai due Giovanni: San Giovanni Battista che governa sul solstizio d'estate,
San Giovanni Evangelista che governa sul solstizio d'inverno. Anche la somiglianza fonetica
evidente fra Janus e Joannes, dimostra che la collocazione della festa dei due Giovanni in prossimità
dei solstizi non è casuale. San Giovanni assume nel Cristianesimo, il posto che occupava, nella
ripartizione delle feste della Roma Imperiale, il Dio Giano di cui una faccia guardava il passato,
l’altra l’avvenire, mentre la faccia invisibile contemplava "l’eterno presente". E la posizione dei due
Santi alla data dei solstizi, conferisce loro una doppia parte, spirituale e cosmologica ad un tempo.
Posti in tal modo alle porte solstiziali, essi sono come i pilastri del cielo.
Quanto al Battista ulteriore elemento duplicità consiste nel doppio festeggiamento. Il dies natalis dei
santi, quello cui vengono ricordati nel calendario, corrisponde al giorno della morte a simboleggiare
che morendo sono ri-nati in Cristo. San Giovanni Battista è l'unico santo di cui si festeggia la
nascita naturale il 24 giugno e la morte il 29 agosto. E' un privilegio che condivide solo con la
Madonna.
Che la festa di San Giovanni sia festa della luce (e d'altronde quale luce può illuminare il mondo più
del Battista che predica il prossimo avvento del Messia) lo scrive Jacopo da Varagine nella
Leggenda aurea: “Portavasi anche le faccelline accese, perché san Giovanni fue lucerna ardente e
rilucente; e la ruota del sole si volge però che 'l sole scende allora nel cerchio a significare la
nominanza di san Giovanni, il quale era creduto che fosse Cristo, secondo ched elli medesimo ne
diede testimonianza, quando dice: “Me conviene menomare e lui crescere” Questo fue significato,
secondo che dice santo Agostino, ne li loro nascimenti e ne le loro morti. Ne li loro nascimenti, però
che intorno a la natividade di santo Joanni cominciano i di a minimare; intorno alla natividade di
Cristo cominciano a crescere, secondo che dice uno verso: “Solstitium decimo Christum praecit
atque Johannem”. Anche ne la loro morte, però che il corpo di Cristo fu levato in alto e l'corpo di
Giovanni fu menomato il capo”
In realtà l'uso delle fiaccole è molto più antico: nel calendario romano il 24 giugno è indicato come
Lampas oppure Dies lamparum, per la consuetudine di portare fiaccole accese per i campi e per le
strade.
In epoca cristiana il solstizio estivo si carica di un simbolismo nuovo. Il sole col suo decrescere
segna la fine di un'epoca nel cammino dell'umanità verso la salvezza, quella della fine del Vecchio
Testamento rappresentato da Giovanni Battista. Il solstizio d'inverno, che inizia la fase crescente del
sole, segna la nascita de Nuovo Testamento e dell'era cristiana simboleggiata dal Vangelo di
Giovanni, il Vangelo esoterico, quello di più difficile interpretazione. E a questo punto diventa
inevitabile il richiamo alla mitologia classica e alla figura di Giano, il dio dai due volti. Si, proprio
Giano perchè il simbolismo della porta associato a lui, mette il dio in stretto rapporto con il
simbolismo dell'iniziazione nelle sue varie forme incentrato sul superamento della soglia che separa
gli stati fondamentali dell'esistenza prima e dopo la morte. Non a caso, come dimostra nei suoi studi
René Guénon, gli esoteristi cristiani si sono sempre definiti gioanniti. Giano é detto Janitor , il dio
che apre le porte, il dio dell'iniziazione ai misteri e d'altronde initiatio deriva da in-ire, cioè entrare.
San Giovanni (Evangelista, ma anche Battista) ha sempre rappresentato il punto di riferimento
dell'esoterismo cristiano prima, di quello massonico poi. Non a caso nei testi rinascimentali Giano è
rappresentato spesso come un uomo barbuto con due teste coronate impugnante due chiavi, queste
chiavi sono quelle delle porte solstiziali, Janua Coeli (solstizio d'inverno), Janua Inferi (solstizio
d'estate).
Festa contadina
La notte di San Giovanni si spalancano dunque le Januas inferi. Notte di prodigi e meraviglie, notte
di veglia, in cui gli uomini entrano in contatto con potenze superiori che possono essere sia
benefiche che malefiche. Occorre dunque proteggersi con riti nei confronti delle potenze malefiche
o al contrario ottenere l'aiuto di quelle benefiche. Per secoli, praticamente fino a qualche decennio
fa, i contadini di tutta Europa hanno con una uniformità impressionante praticato riti che dovevano
assicurare protezione e prosperità.
Proteggere i raccolti: saltare tre volte le fiamme o correre in mezzo a due falò assicurava un raccolto
abbondante. Spargere le ceneri nei campi preservava il raccolto dai parassiti. Far correre una ruota
in fiamme attraverso i campi o i vigneti li fertilizzava.
Aumentare la fertilità delle donne e agevolare la formazione delle coppie: giovani dei due sessi
ballavano attorno al fuoco portando corone di artemisia e di verbena. Le ragazze lanciavano corone
di fiori attraverso il falò, gli innamorati dovevano prenderle. Poi ogni coppia si prendeva per mano e
saltava per tre volte attraverso le braci. Da come saltavano si prediceva se si sarebbero sposati
presto o no.
Passare attraverso il fuoco rendeva fertile una coppia senza figli, così come agevolava il parto.
Proteggere gli animali domestici: il bestiame veniva fatto passare attraverso il fumo o le ceneri per
immunizzarlo dalle malattie e dai malefici. Le ceneri poste nei nidi garantivano che le galline
avrebbero fatto molte uova.
Proteggere la salute dei contadini:Saltare il falò preservava il contadino dal mal di reni . Bisognava
però girare tre volte attorno al fuoco con un ramoscello di noce in mano.
Proteggere la casa: il fuoco domestico veniva spento e poi riacceso con un tizzone del falò. Un
tizzone spento veniva messo sul tetto della casa per proteggerla dal fulmine e dagli incendi.
Ottenere fortuna: mangiare lumache. Il significato di questa usanza antichissima (ne troviamo
traccia già fra i Romani) sembra essere legato alle corna delle lumache ( Simbolo lunare
propiziatorio). Più lumache si mangiano, maggiore sarà la fortuna.
Il solstizio d'estate è il periodo in cui le energie della terra sono al culmine, quindi, come nota
Frazer, il giorno migliore tra tutti per raccogliere erbe grazie alle quali non solo si poteva
combattere la febbre e curare una vasta gamma di malattie, ma anche guardarsi dagli stregoni e dai
loro sortilegi.
La festa di mezzestate è dunque una celebrazione della trasformazione. Frazer suggerì che " i fiori
come i fuochi di mezzestate, erano ritenuti in grado di trasferire agli uomini parte dello splendore e
del calore del sole, che li investiva per un certo periodo di poteri straordinari che consentivano loro
di curare le malattie e di smascherare ed evitare tutti i mali che minacciano la vita dell'uomo. A
mezzestate nello sbocciare di un fiore, nel fuoco, nel sesso (...) si liberano le energie, avviene una
trasformazione, e il Cielo e la Terra si riuniscono per un momento. Poi la vita continua rinnovata”.
Molte sono le piante legate alla notte di San Giovanni, vediamone qualcuna:
L'artemisia, chiamata anche erba di San Giovanni (si credeva che il santo portasse una cintura di
artemisia), serviva a far ghirlande e cinture. Ancora oggi usata in erboristeria come un tonico
stimolante. Si credeva che le foglie essiccate messe in un cuscino favorissero sogni particolarmente
piacevoli.
La verbena, raccolta dopo il tramonto della vigilia di mezzestate e messa tutta la notte a bagno, poi
fatta essiccare. Considerata un afrodisiaco, usata anche come profumo.
L'iperico, una pianta molto comune dai fiori gialli che fioriscono in estate e da foglie ovoidali che
osservate controluce appaiono coperte da forellini. Secondo la leggenda cristiana l'iperico era nato
dal sangue di San Giovanni e il diavolo tentò di distruggerlo, trafiggendolo. Dalle foglie e dai fiori
schiacciati veniva ricavata una sostanza che veniva bruciata come incenso per via dell'odore simile,
originando così la convinzione popolare che servisse a scacciare i diavoli, da qui il suo nome antico
“Fugademonum”. L'erba serviva anche per prepare pozioni per cacciare i diavoli dal corpo.
L'ipericina (principio attivo dell'iperico) è un potente antidepressivo naturale ancora oggi usato in
medicina. Inoltre l'olio di iperico (preparato lasciando macerare al sole i fiori in olio d'oliva) ieri
come oggi scaccia i dolori delle scottature.
Un famoso testo di magia apparso nel rinascimento prima in Francia e poi dal 1523 in Italia,
attribuito a Papa Leone III (che ne avrebbe fatto dono a Carlo Magno in occasione della sua
incoronazione) contiene un richiamo alla festa di San Giovanni. Se si vuole vincere al gioco,
occorre cogliere qualche foglia di elleboro la vigilia di San Giovanni a mezzogiorno e intrecciare un
braccialetto che rappresenti le lettere: HUTY. Il braccialetto va poi infilato al braccio destro.
La notte di San Giovanni è anche collegata al noce e ai suoi frutti che in molte zone d'Italia si usa
raccogliere in questa notte, ancora acerbi, per preparare il nocino, liquore ritenuto possedere virtù
magiche.
Come ogni momento critico, di passaggio da un periodo ad un altro, la notte di San Giovanni è
anche notte densa di pericoli, popolata di forze benefiche, ma anche malefiche come demoni e
streghe. Nel Medioevo si pensava che in questa notte tutte le streghe volassero per radunarsi a
Benevento sotto un grande noce, guidate da Erodiade, Salomè e Diana. Si credeva anche, che
durante il viaggio, le streghe potessero introdursi nelle case della gente e portare la malasorte. È per
questo motivo che durante la notte si usava mettere sale grosso sui davanzali delle finestre. La
strega, curiosa di conoscere il numero dei chicchi di sale, si sarebbe messa a contarli perdendo così
tempo finché l’alba non l'avesse costretta a fuggire via. De Andrè riprende questa credenza nella
canzone "A Cimma"
Per proteggersi le campane delle chiese non smettevano di suonare dal tramonto all'alba, affinchè le
streghe (scrive Cesare Cantù nel 1845) "a cui, se nol sapeste, è spaventosissimo lo scampanio, non
potessero cogliere le erne nocive, nè impedire con loro malizie che fossero colte le profittevoli"
Frazer ricorda anche come questa festa fosse presso i romani anche una festa acquatica,
caratterizzata dall'attraversamento del Tevere su barche inghirlandate di fiori e illuminate da
fiaccole, e spiega anche con questo duplice carattere la scelta della Chiesa di dedicare la festa a San
Giovanni Battista e, come abbiamo già visto, al carattere duplice (acqua e fuoco) del battesimo. Il
solstizio è dunque anche glorificazione dell'acqua, simbolo di fecondità e di purificazione, elemento
di rigenerazione. Da qui la credenza nei poteri magici della rugiada della notte di San Giovanni che
consacra le erbe e le rende idonee al loro impiego terapeutico o magico. Le erbe o i fiori raccolti
all'alba della notte di San Giovanni (o lasciate durante la notte in una bacinella all'esterno della
casa) acquisivano così poteri particolari. Rotolarsi nella rugiada guariva dalla rogna, dalle
emorroidi, dai calli, dalle malattie degli occhi, dalla infertilità "perché di essa si bagnavano il sesso
le ragazze in cerca di marito" (dice una fonte citata da Alfonso di Nola)
Testimone d'eccezione di questi riti acquatici fu Francesco Petrarca che racconta ancora
meravigliato e stupito di aver assistito a Colonia ad un'immensa folla di donzelle ornate di erbe
odorose e di fiori immergersi al tramonto della vigilia di San Giovanni nelle acque del Reno. Il
poeta ricorda anche come gli fosse stato spiegato che si trattava di un antichissimo rito popolare,
specificatamente femminile, per allontanare le calamità dell'anno e garantirsi un'annata felice.
Nei confronti di questi riti, caratterizzati da una forte promiscuità sessuale e spesso dalla esibizione
senza pudori del corpo, la Chiesa ebbe fin dai primi secoli un atteggiamento di estrema diffidenza.
Già Sant'Agostino interviene contro l'uso il giorno di San Giovanni di bagnarsi in mare per
purificarsi, definendola una superstizione pagana che toglieva valore al battesimo cristiano. Nel x
secolo Cesario di Arles condanna la pratica del "lavacro sacrilego" nelle fonti e nei fiumi sempre in
occasione di San Giovanni. E Attone da Vercelli nello stesso periodo condanna come "cose da
meretrici"i riti della notte di San Giovanni come pernottare presso fonti e fiumi, cantare e danzare
tutta la notte, tirare presagi, predire la sorte, raccogliere erbe e foglie che "battezzate" nelle acque,
sono religiosamente ("quasi religionis causa") conservate in casa, appese alle pareti, per tutto l'anno.
E' evidente anche da queste prese di posizione che la dimensione ludico-erotica doveva essere una
delle componenti essenziali della festa, festa della fecondità dei campi e della natura, ma anche
degli uomini. La carica liberatoria e di conseguenza radicalmente sovversiva di quella magica notte,
in cui tutto poteva accadere e dunque tutto era lecito, non poteva che essere avvertita come
trasgressiva e pericolosa dal potere ecclesiastico e civile. Una condanna destinata a durare a lungo e
a seguire il ripetersi della festa e dei suoi riti nel corso dei secoli fino quasi alle soglie della mostra
epoca. Così in un bando del governo pontificio del 19 giugno 1753 riferendosi alla credenza che la
rugiada e per estensione l'acqua potesse assicurare la fecondità, si decretava che: "con l'autorità del
nostro ufficio, a qualsiasi persona dell'uno o dell'altro sesso, proibiamo che in detta notte veruno
ardisca accostarsi alle vasche, ai rigagnoli, alle fontane, togliendsi le brache e accucciandosi
sull'erba, pena gli uomini tre tratti di corda da darsi in pubblico e scudi 50 di multa, e per le donne
tre colpi di frusta a posteriori in pubblico, e sì per gli uni, come per gli altri, senza alcuna
remissione"
Una festa tanto complessa,magica, gioiosa e inquietante al tempo stesso non poteva non colpire
profondamente poeti e scrittori di ogni epoca. Abbiamo iniziato con Pavese, rovesciamo la polarità
maschile-femminile per concludere con Sibilla Aleramo che così ne parla: "Legna che arde.
Crepitio nel silenzio. Alari. Bastan due tizzi, spirito reduce, e un palpitar di fiamma azzurra.
Riassunta tutta la miracolosa vivacità degli elementi. Più fresca d'un'acqua corrente, più vicina del
vento alla segreta gioia della terra, cuore del tempo, rosso ganglio eterno. Due tizzi fra alari anche
di camino straniero, in una sosta anche di un'ora sola. O un falò sotto fredde stelle, un rombo, una
scossa han destato minacciosi le case, s'esce al freddo aperto, i campi s'accendono come in una
notte di San Giovanni."
Vento largo – 17 giugno 2010
Un processo per stregoneria nella Val Bormida del Seicento
Solitamente si associa la caccia alle streghe al periodo più cupo del Medioevo, in realtà si trattò di
una intossicazione collettiva delle coscienze in un periodo di fortissima crescita intellettuale, quello
del Rinascimento, della Riforma e della rivoluzione scientifica. Quasi che la fine di un mondo e la
nascita di un'epoca nuova scatenasse fantasmi che andavano esorcizzati con l'eliminazione di ogni
manifestazione di diversità.
I primi decenni del XVII secolo furono anni di ferro, segnati da guerre, carestie, pestilenze.
Infuriava in Europa la guerra detta dei trent'anni che vedeva le grandi potenze di allora, Francia e
Spagna, contendersi il dominio del continente. L'Italia, debole e divisa, era diventata terra di
conquista e campo di battaglia e la Valle Bormida non era certo un'oasi felice. Anzi, il fatto che il
Marchesato del Finale rappresentasse la principale base mattima spagnola al Nord faceva della Valle
la via principale per raggiungere Milano e la Germania dalla Spagna e dunque l''itinerario preferito
dagli eserciti imperiali con tutto quello che ciò comportava. Per anni la Valle Bormida e il
Monferrato furono oggetto di saccheggi e violenze continue da parte degli eserciti regolari in
transito, delle truppe mercenarie al soldo dei vari signori e di bande di fuorilegge e di disperati che
approfittavano della mancanza di un'autorità stabile che facesse rispettare la legge. Lo stato di
devastazione delle campagne che ne conseguì provocò il crollo della produzione agricola, in gran
parte rivolta all'autoconsumo, e dunque l'insorgere di frequenti carestie che indebolirono la
popolazione. Si crearono così le premesse per il rapido e terribile diffondersi della peste portata in
Italia dai soldati. Lo scenario e gli anni in cui Alessandro Manzoni ambienta il suo capolavoro "I
promessi sposi".
Particolarmente grave risultava all'inizio degli anni Trenta del Milleseicento la situazione del tratto
di Valle fra Dego e Spigno, governato dal Marchese di Garessio Francesco Spinola per i feudi di
Dego, Piana e Giusvalla e dal Marchese Marco Antonio degli Asinari Del Carretto di Asti per la
parte di Spigno, Rocchetta e Turpino. Nell'aprile del 1631 truppe tedesche di passaggio dopo aver
devastato alcune frazioni isolate avevano imposto ai cittadini di Cairo Montenotte il pagamento di
una ingente somma per evitare l'occupazione e il saccheggio del borgo. Con gli "Alemanni", come
venivano chiamati quei soldati, era arrivata la peste che in particolare aveva colpito la zona di
Piana, quasi spopolandola.
"In Piana - si legge in una cronaca del tempo - del continuo morono del morbo contagioso, et quello
[il Marchese di Garessio Antonio Spinola] procede in non voler far nettare le case infette; il signor
Marchese ha abbandonato detto locho, e, per quello si va dicendo, credo vi sijno più poche
persone".
Il malcontento popolare causato dalla guerra e dalla fame e il terrore per il dilagare inarrestabile del
morbo trovarono presto uno sfogo nella caccia alle streghe. In Valle si diffusero voci, portate da
viaggiatori provenienti dal Milanese dove si era aperta la caccia agli "untori" accusati di diffondere
la pestilenza, che i mali sofferti fossero il frutto dell'operare di streghe e stregoni agenti agli ordini
del Demonio. In una società piccola e chiusa come quella valligiana i sospetti caddero su chi veniva
considerato marginale, estraneo (e dunque ostile) alla comunità, quasi sempre donne di umilissima
condizione il cui modo di vivere aveva per le più varie ragioni determinato sospetti e risentimenti da
parte dei maggiorenti (sempre maschi) dei borghi.
Accadde così che due donne di Cairo Montenotte, Lucia e Maria Langherio fossero accusate di aver
ballato col Diavolo in una località detta Pianazzo e aver ricevuto l'ordine di andare a spargere la
peste nella città di Savona. Ma arrivate a San Bernardo nei pressi del luogo dove nel 1536 la
Madonna era apparsa a Antonio Botta, il Demonio stesso le aveva fermate dicendo a Lucia:
"Fermati, non andare più avanti, perché Maria Vergine Madre di Dio non vuole, essendo la città di
Savona sua divota, ed essa l'ha in protezione".
Una storia confusa, di cui non si sa altro e che non ha lasciato tracce storiche. Non si conservano
documenti relativi ad un processo e tantomeno ad una esecuzione, nonostante la tradizione popolare
parli di roghi, ma questo avvenimento, sia o no realmente accaduto, rende bene il clima esistente sul
territorio e in qualche modo fa da introduzione al dramma, questo vero e documentato, che stava per
svolgersi più a valle, nel paese di Spigno.
Il 9 luglio 1631 il procuratore fiscale della curia vicaria di Spigno denuncia a Giovanni Verruta,
parroco di Spigno e vicario foraneo, come “alla villa di Rocchetta di Spigno siano cristiani e
cristiane puoco timorati di Dio Benedetto che commettono molti disordini come inobbedienti a
Santa Chiesa, massime di streghe, commettendo molti affascinamenti et stregherie contro gli ordini
di Santa Madre Chiesa...”
Il parroco inizia l'indagine, si reca a Rocchetta, raccoglie testimonianze e denunce da parte di alcuni
abitanti, tutti uomini, economicamente benestanti, definiti "dabbene" e dunque considerati
affidabili. Queste testimonianze sono concordi nel segnalare alcune donne considerate
potenzialmente sospette. Immediatamente iniziano gli arresti. Complessivamente vengono inquisite
quattordici donne, abitanti in varie località della vicaria (comprendente le parrocchie di Piana,
Giusvalla, Spigno, Merana, Turpino e Rocchetta e alle dipendenze della diocesi di Savona) . Sono
donne di varia età e tutte hanno in comune una cosa: appartengono allo strato più povero della
popolazione e si comportano in un modo giudicato strano, non consono alle regole comunitarie e ai
precetti della Chiesa.
Le poverette, accusate di non partecipare con assiduità ai riti religiosi, di avere avuto commerci con
il Diavolo e di "mascare", cioè di spargere il malocchio provocando con le loro arti la morte di
bambini in fasce e animali e la distruzione dei raccolti, si proclamano innocenti. A questo punto, il
parroco, che vuole ottenere al più presto delle confessioni, scrive a Savona al suo vescovo
richiedendo il permesso di usare la tortura negli interrogatori.
“Si sono interrogate una volta - scrive in una lettera del 21 luglio - le donne incarcerate et il Dottore
[l'incaricato della giustizia civile] dice che converrà torquerle.”
Il vescovo prende tempo, evidentemente qualcosa nella relazione del parroco non lo convince.
Decide dunque di coprirsi le spalle, rivolgendosi ad una autorità superiore, quella del Padre
Inquisitore di Genova e ordina pertanto al Verruta di non procedere ulteriormente, ma di
trasmettergli gli atti dettagliati dell'inchiesta.
La posizione della Chiesa è cauta, non si vuole ripetere il caso di Triora dove qualche anno prima
decine di donne erano state arrestate, torturate e (alcune) uccise, senza che l'indagine fosse poi
approdata a qualcosa di concreto. Monsignor Spinola investe dunque della questione i domenicani
genovesi e il Padre Inquisitore gli risponde consigliando prudenza e comunicando la necessità di
trasmettere gli atti a Roma per avere lumi “come stimerei bene facesse anco VS ill.ma, avvisando
intanto con sue lettere quel Signor Marchese che s'astenghi di tentar cosa alcuna contro di dette
streghe, dovendo prima esser conosciuta la loro causa dal Sant'Offizio”
Agendo di conseguenza, il vescovo Spinola informa Roma, dichiarando di non aver acconsentito a
dare “autorità assoluta” al vicario foraneo che con l'assistenza del giudice secolare intendeva
procedere immediatamente e l'intenzione di non fare nulla “che prima non ricevi dalle SS.VV.
Eminentissime espresso ordine di quello dovrò fare in causa si grave”.
Nella bozza della missiva al Santo Uffizio lo Spinola aveva scritto di trasmettere "il sommario della
causa contro alcune streghe", ma la parola "streghe" risulta poi cancellata e sostituita con il più
neutro termine "persone". Una correzione che la dice lunga su quanto la Curia di Savona prendesse
sul serio la denuncia del parroco di Spigno.
Una cautela non gradita dal vicario, sostenuto dal Marchese Asinari, che, nonostante gli inviti ad
astenersi da ogni ulteriore azione, continuò a premere su Savona per ottenere il permesso di
procedere nell'inchiesta. Il fatto era che il potere politico, allarmato dal montare del malcontento
popolare e della richiesta di misure drastiche e immediate contro le donne incarcerate, non
intendeva andare tanto per il sottile, nè temporeggiare. Per cui, nonostante la mancata
autorizzazione vescovile, a Spigno l'inchiesta andò avanti e con i mezzi spicci considerati necessari,
tanto che presto iniziarono le confessioni.
In una lettera del 29 settembre 1631 don Verruta relaziona sul processo in corso nonostante l'ordine
vescovile di non procedere, e comunica che dopo "hore di corda et altri tormenti" le accusate
avevano confessato, "fuor d'una convinta da complici nè delitti che per opera del diavolo nega
tuttavia". Dalle dichiarazioni estorte con la tortura risultava che le quattordici donne si erano date al
diavolo, descritto come un bel giovane vestito di verde, che “puoi si fece adorar con farsi baciar il
cullo e conobbe sodomitice carnalmente”.
Le imputate dichiaravano di aver stretto un patto con il Maligno in cui si impegnavano a non dire
mai la verità in confessione, a non inghiottire l'ostia, ma tenerla per poterla poi calpestare. Le
poverette avevano confessato anche di aver volato a cavallo di un bastone fino al luogo del Sabba
dove “dopo aver ballato con il diavolo da esso furono tutte conosciute carnalmente sodomitice”, di
aver fatto morire bambini e bestiame, di aver causato tempeste. E questo nel seguente modo: “fatto
un fosseto, ivi tutte orinarono, com'anco il diavolo, indi mescolando quell'orina il diavolo vi mise
un poco di polvere et, levandosi in alto fumo, si fanno nuvole da dove dicono al diavolo metti giù
metti giù”. Per delitti così gravi la pena non poteva essere che la morte e questa il parroco chiedeva
per tutte.
Ma la risposta della curia è di nuovo negativa. Il 3 ottobre il vescovo di Savona intima al parroco:
“non innovi, né permetta che s'innovi cosa alcuna, in far essecutione contro dette incolpate, sino
all'ordine e all'avviso della Sacra Congregatione”
Spinto dal Marchese, che gode dei favori del re di Spagna e che si sente dunque intoccabile, il
Verruta protesta “nei luoghi circonvicini si è venuto all'essecutione contro simili bestie, il che fa
stupir qui s'usi tanta difficultà...”, ma assicura comunque il rispetto degli ordini del vescovo
Passano alcuni mesi e il 31 gennaio 1632 arriva finalmente la risposta da Roma: l'inchiesta è
giudicata molto difettosa, il processo contiene una moltitudine di nullità procedurali, non ci sono
prove, c'è stato un uso eccessivo della tortura. Il vescovo viene invitato a far trasferire presso di sé
le accusate per interrogarle personalmente senza usare alcuna forzatura:
“Di nuovo ex integro si sentano, senza suggerirle cosa alcuna, ma solo interrogarle se sappiano la
causa della loro carceratione, e si devono lasciar dire da sé, perchè apparischino le contrarietà e
variationi degli esami”.
A febbraio una lettera del Padre Inquisitore di Genova preme ulteriormente perchè la causa passi
direttamente nelle mani della Curia savonese: “Juntanto sarà bene che VS Ill.ma avvisi quel Signor
Marchese che non eseguisca cos'alcuna se prima il Sant'Officio non ha fatto la sua parte, acciò non
incorresse nelle censure come già fece il Commissario di Triora...”
Richiesta che non ebbe seguito perchè il 29 febbraio Don Alfonso, figlio del Marchese Asinari,
rispose con arroganza al vescovo che il problema si era risolto da solo: “Già che, per la longhezza e
la dilatione, sono tutte morte, et con haver finito avanti hieri di passar la barca di Caronte, ci hanno
levato a tutti questo impiccio...”.
Non c'era dunque più alcun motivo di contrasto tra potere religioso e potere civile. Diventate un
problema, le donne erano state tolte di mezzo senza clamori o pubblicità inopportuna e inutili
risultarono i tentativi di Monsignor Spinola di far luce su quanto era realmente accaduto nelle
carceri di Spigno.
Il 10 maggio la Curia chiede al parroco di Spigno “ se dette streghe sono morte da se stesse
naturalmente o vero di morte violenta e per ordine di chi e se son statte fatte morire inanti
l'inhibitione che fu fatta sotto li 22 febbraio passato...”.
Il 20 giugno il parroco rispose prendendo tempo e dicendo che appena possibile “saria mandato un
sommario amplissimo”.
Poi più nulla. Il "sommario amplissimo" non giungerà mai, nè verrà più richiesto o sollecitato. Quei
devoti uomini di Chiesa (il vescovo di Savona, gli inquisitori di Genova, il Santo Uffizio di Roma)
non insistettero: ritenevano di aver fatto comunque il loro dovere e tanto bastava. A nessuno
interessava veramente di quattordici povere contadine che contavano meno di niente.
Nel mare di pubblicazioni in continua uscita sulla storia dell'Ordine Templare non molte sono quelle
storicamente attendibili. Proliferano invece libri e articoli che avanzano le tesi più fantasiose senza
il minimo riscontro documentario.
Il fatto è che i documenti esistenti sono davvero molto pochi e che anche le tracce lasciate sul
territorio dai monaci guerrieri sono spesso controverse. Lo notava (e siamo nel 1937) già J.A.
Durbec nella sua pionieristica ricerca sulla presenza templare nelle Alpi Marittime, facendo rilevare
come la maggior parte delle chiese e delle case “templari” nella zona da lui studiata fossero in realtà
posteriori (in qualche caso anche di secoli) al 1312 anno in cui avviene lo scioglimento dell'Ordine
da parte di papa Clemente V.
Sulla scia di trasmissioni televisive di grande audience e di scarsissima serietà la maggior parte
delle opere in commercio punta a impressionare i lettori con storie fantasiose di tesori scomparsi e
di presunti segreti, trascurando invece la concreta quotidianità di quegli uomini, il loro modo di
pensare e di agire, per tanti versi molto più affascinante di ogni possibile mistero.
Lo dimostra il libro di Simonetta Cerrini, autorevolissima ricercatrice e autrice tra l'altro
dell'edizione filologicamente più accurata della regola del Tempio, L'apocalisse dei templari
pubblicato nel 2012 da Mondadori.
Partendo dagli affreschi da poco restaurati della chiesa templare di San Bevignate a Perugia,
Simonetta Cerrini delinea un quadro completo e avvincente della storia dell'Ordine del Tempio,
mettendone in luce elementi di forza (che ne fanno un caso unico nel Medioevo europeo), ma anche
ambiguità e contraddizioni.
Nati in un momento di crisi profonda delle idealità cavalleresche e monastiche conseguenza anche
del sostanziale fallimento delle crociate come momento di rinascita spirituale del mondo cristiano, i
templari rappresentano un fattore importante di mutamento della società feudale. Non a caso
l'autrice parla di “rivoluzione templare” evidenziando l'importanza attribuita dal Tempio al ruolo dei
laici nella Chiesa, aspetto che li accomuna per molti versi al movimento francescano.
Affidandosi a molteplici strumenti di indagine – dall'analisi documentale all'arte figurativa e alla
letteratura – Simonetta Cerrini ricostruisce una storia durata poco meno di due secoli (1120-1314),
ma destinata comunque a lasciare tracce profonde nell'immaginario occidentale.
Nonostante la profondità dei concetti trattati il linguaggio è semplice e accattivante. Una narrazione
ravvivata costantemente da curiosità e aneddoti rigorosamente documentati e mai fini a se stessi. Ne
citiamo uno fra tutti: la possibile origine e il significato del Cristo calvo. Una rappresentazione
atipica della figura del Cristo di cui esistono pochissimi casi fra cui quello (di scarso valore
artistico, ma di grande fascino) presente nella chiesa di Saliceto (CN).
Un solo appunto: non sono stati riprodotti (se non parzialmente sulla sovracopertina) gli affreschi di
San Bevignate ed è un limite serio di un'edizione per tutti gli altri aspetti curatissima.
E' da poco disponibile in libreria “Tra squadra e compasso e Sol dell'avvenire” l'ultimo lavoro di
Roberto Novarino, docente di Storia contemporanea presso l'Università di Torino, che ricostruisce
le influenze massoniche sulla nascita del socialismo italiano.
Come rileva Gian Mario Cazzaniga nella prefazione (che riportiamo) il volume offre una originale
riflessione sulle origini del movimento operaio italiano ricostruendo i rapporti intercorsi tra la
massoneria e le organizzazioni socialiste tra il 1864 e il 1892, dall'arrivo in Italia del massone
Mikhail Bakunin fino alla fondazione da parte del massone Andrea Costa del Partito Socialista
Italiano.
Con questa ricerca Marco Novarino chiarisce con estrema abbondanza di dettagli un aspetto finora
largamente trascurato o trattato con grande superficialità dagli studiosi delle origini del movimento
operaio italiano, che nella stragrande maggioranza dei casi si sono limitati ad accennare di sfuggita
all'appartenenza massonica di questo o quello esponente socialista quasi si trattasse di un dettaglio
insignificante.
Nel suo libro Marco Novarino rovescia questa impostazione e parte dall'appartenenza alla
massoneria di personaggi quali Mikhail Bakunin, Giuseppe Garibaldi, Benoit Malon e Andrea Costa
per comprendere i motivi ispiratori di scelte finora studiate solo sul piano organizzativo. E lo fa
sgombrando il campo fin da subito dall'equivoco che si sia in presenza di una strategia univoca
gestita da un organismo centrale nazionale o sovranazionale, tesi cara ai cospirazionisti di ieri e di
oggi, perchè in realtà più che di massoneria bisognerebbe parlare di massonerie, vista la complessa
articolazione dell'istituzione libero-muratoria nell'Italia di allora. Così come estremamente
complesso e articolato sul piano politico, ideologico e organizzativo è il nascente movimento
socialista.
In realtà quello che emerge è la radicale differenza di vedute di uomini che pure condividono una
comune appartenenza massonica. Da una parte l'approccio strumentale di Bakunin (Novarino parla
di “entrismo” bakuniniano) mirante al reclutamento degli elementi più decisi della democrazia
radicale e alla costruzione di una “nuova” massoneria in grado di svolgere un ruolo di copertura
legale per il suo programma rivoluzionario. Dall'altra la visione gradualista (oggi diremmo
“riformista”) di Benoit Malon, contraria ad ogni ipotesi cospiratoria ed insurrezionalista, che nella
massoneria intravvedeva una scuola di pensiero portatrice di valori etici e morali a cui ancorare il
progetto di emancipazione sociale e politica delle masse proletarie.
Tra questi due estremi si colloca la figura di Giuseppe Garibaldi, Gran Mastro del Grande Oriente di
Palermo ed esponente di primo piano dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori, che da una
militanza massonica di una vita intera (era stato iniziato nel 1844 a Montevideo) deriva una visione
del socialismo fondata sul laicismo, la fratellanza dei popoli e un umanitarismo radicale.
In conclusione una ricerca di grande interesse, fondata su materiali per lo più finora trascurati
(gazzette, epistolari, carte di polizia, verbali di loggia), che documenta in modo dettagliato
l’affiliazione muratoria di molti promotori delle prime associazioni operaie e socialiste offrendo al
lettore una proposta originale di rilettura delle origini del movimento operaio e socialista in Italia
Pontinvrea è piccolo borgo rurale alle spalle della costa, sulla strada che porta verso l'Acquese e le
Langhe.
Conta poco più di 800 abitanti, suddivisi nel capoluogo e in diverse frazioni. Molti savonesi ci
vengono in villeggiatura in estate. Un posto tranquillo e fresco, adatto per anziani e bambini.
Un paese tranquillo, ma che nasconde un mistero.
Tra le tombe di famiglia presenti nel piccolo cimitero, ubicato all'uscita del paese sulla vecchia via
di valico che porta a Montenotte, una attira immediatamente l'attenzione.
L'ingresso è sormontato da un frontone triangolare, dai simboli inequivocabili: siamo in presenza di
un monumento massonico.
Una presenza insolita, se si pensa che dai tempi di Clemente XII, che nel 1738 li scomunicò per
motivi “solo a lui noti” e che mai furono resi pubblici, i liberi muratori sono considerati fuori dalla
chiesa cattolica.
La tomba è orientata in direzione del sole nascente. Guarda all'Oriente come i templi massonici.
Due colonne reggono l'architrave. Jachin e Boaz, simboli di bellezza e forza, del principio maschile
e femminile. I pilastri del cielo, come nelle cattedrali gotiche e appunto nelle logge.
L'interno è spoglio e abbandonato. Non c'è più traccia neppure di nomi.
Spicca però la decorazione lineare e geometrica e un grande triangolo, simbolo di ascesi interiore e
di armonia cosmica.
Chi ha costruito questa tomba? A chi era destinata? Perché proprio in un paese così piccolo ?
Il mistero rimane.
“Massoneria” è termine che evoca misteri e segreti. In realtà anche a un primo approfondimento
della materia il segreto risulta del tutto assente così come i “misteri” che si rivelano molto più
immaginari che reali. L'argomento è da secoli studiatissimo, anche se, va detto, gran parte dei
materiali in circolazione ( e sono migliaia di titoli) sono assai scadenti. Per non parlare di ciò che
circola sul web. In questa serie di articoli, di cui iniziamo oggi la pubblicazione, cercheremo di
ricostruire a grandi linee la storia della Libera Muratoria con particolare attenzione alla realtà
italiana.
I primi tentativi di scrivere una storia della Massoneria risalgono al XIV secolo e precisamente al
Poema Regius e al Manoscritto Cooke in cui vengono fatte risalire le origini delle associazioni di
mestiere (Craft) dei Liberi Muratori al regno di Atelstano (925-40 dC). Una ricostruzione del tutto
mitica secondo gli storici contemporanei che considerano del pari del tutto leggendaria la
ricostruzione fatta dal reverendo James Anderson nelle sue Costituzioni del 1723 che retrodata le
origini della Libera Muratoria all'antichità più remota.
Ad Anderson fece riferimento, a partire da William Prescott (1742-1818) quella che è stata definita
la “scuola mitica” della storiografia massonica che si soffermò soprattutto su una del tutto
immaginaria discendenza della Libera Muratoria da Re Salomone e dai costruttori del Tempio di
Gerusalemme.
Solo verso la metà del XIX secolo videro la luce i primi studi pionieristici di quella che verrà poi
definita la “scuola autentica o verificata” di cui J.G. Findel, R.F. Gould e A.G. Mackey sono i
rappresentanti più conosciuti in Italia. Primo esponente di questa nuova corrente è il tedesco Georg
Moss (1787-1854) che mise alla base della sua Storia della Massoneria in Inghilterra, Irlanda e
Scozia (1847) il concetto che potevano essere presi in considerazione solo i dati verificati,
rinunciando ad ogni ipotesi fondata sull'immaginazione
Ma per arrivare ad una storiografia davvero fondata scientificamente si dovettero attendere gli anni
Trenta-Quaranta del secolo scorso, quando due storici professionali (Douglass Knoop e G.P. Jones),
docenti presso l'Università di Manchester, rivoluzionarono gli studi sulle origini della libera
Muratoria inglese con due opere -The Mediaeval Mason (1933) e The Genesis of Freemasonry
(1947) interamente fondate sullo studio della consistente mole di materiali esistenti negli archivi.
Materiali del tutto trascurati dagli storici precedenti che avevano preferito basare i loro lavori su
quello che, a partire dal 1717, i liberi muratori “speculativi” avevano raccontato in modo molto
contraddittorio e immaginifico dei loro predecessori “operativi”.
I lavori di Knoop e Jones daranno origine alla “scuola scientifica”, che applica alla Massoneria i
metodi di ricerca e di interpretazione (fondati sulla verifica rigorosa di ogni dato) utilizzati per gli
altri campi della ricerca storica, e a partire dall'anno accademico 2000-2001 alla nascita del Centro
di Ricerca sulla Libera Muratoria dell'Università di Sheffield. Tra i lavori più interessanti di questa
corrente va segnalato lo studio del Prof. David Stevenson, Le origini della Libera Muratoria. Il
secolo della Scozia 1590-1710 (Cambridge 1988) che riprende i lavori di Knoop e Jones
attualizzandone criticamente il metodo.
Premesso quanto sopra, vediamo ora di definire meglio chi fossero e come operassero i Massoni
inglesi del Medioevo
Un'industria che è possibile conoscere nei dettagli grazie a un'imponente mole di materiali
conservati negli archivi pubblici e relativi a oltre 1500 resoconti di cantieri, ai registri delle
cattedrali e di molti altri documenti. Fu proprio il carattere “pubblico” dei lavori effettuati a
determinare questo accumulo di documenti, preziosissimi oggi per gli storici. Le spese andavano
rendicontate con estrema cura, trattandosi di denaro regio.
Settimanalmente o mensilmente su questi registri veniva così annotato il numero e spesso il nome
dei lavoratori impiegati, le loro paghe, i passaggi di qualifica, i carichi di lavoro, il costo degli
attrezzi e dei materiali, le spese di trasporto, ecc. Ne emerge un quadro vivo e dettagliato
dell'organizzazione del lavoro e dei cantieri, anche se ovviamente non mancano punti oscuri o di
incerta interpretazione.
Il fatto che fino al XVI secolo la quasi totalità degli edifici privati e anche pubblici (come i teatri in
cui in epoca elisabettiana Shakespeare rappresentava le sue opere) fossero in legno (o al più in
legno e mattoni), fa si che il numero di massoni qualificati impegnati a tempo pieno nelle città fosse
estremamente ridotto. Soprattutto nei primi secoli dopo l'Anno Mille la gran parte degli
appartenenti all'Arte erano, come i frati e i menestrelli, dei girovaghi, costantemente in viaggio da
un cantiere all'altro alla ricerca, volontaria o obbligata dai decreti reali, di lavoro.
Ma per comprendere il lavoro dei muratori medievali e l'organizzazione dell'industria in cui erano
impiegati, è necessario partire dal materiale su cui tale attività era basata: la pietra. Si considerano
veri costruttori solo coloro che conoscevano la pietra, i suoi vari tipi, le sue caratteristiche e
sapevano lavorarla. Chi costruiva edifici o ponti in legno o mattoni era qualcosa di diverso e
inferiore, non possedendo i segreti dell'Arte. Segreti (e simboli) , lo ripetiamo, legati alla pietra.
I costruttori medievali inglesi usavano una grande varietà di pietre, in qualche caso di importazione
(come la pregiata e costosa pietra gialla di Caen, molto usata per decorare gli interni delle chiese),
più spesso autoctona (come il granito di Cornovaglia o la pietra dello Yorkshire e del Dorset).
Esistevano grandi cave, ma la gran parte della produzione proveniva da cave di piccole o medie
dimensioni che richiedevano ridotti capitali d'impianto e che nel caso dei cantieri religiosi erano
spesso di proprietà degli ordini monastici stesse e delle Abbazie.
Il lavoro di estrazione era faticoso e svolto con tecniche ancora rudimentali (solo nel XVII secolo
iniziarono ad essere introdotte pompe ad acqua). Le condizioni in cui si svolgeva erano insalubri.
La silicosi era, come oggi, ma in proporzioni estremamente più vaste e gravi, la malattia
professionale dei cavatori. La carriera professionale dei liberi muratori iniziava di lì.
L'autorità reale operava per decreti. Quando si doveva aprire un cantiere, il Tesoro reale impartiva
allo sceriffo della contea in cui dovevano svolgersi i lavori dettagliate istruzioni in merito alla
raccolta dei fondi, dei materiali e della manodopera. Lo sceriffo era così autorizzato a imporre tasse
e a reclutare, anche forzatamente, gli operai necessari.
Di norma i lavori era gestiti da un “Treasury Official”, un funzionario del Tesoro incaricato della
gestione finanziaria del cantiere. Questi funzionari non possedevano alcuna particolare competenza
tecnica in campo architettonico, ma svolgevano un ruolo essenzialmente amministrativo e di
controllo sul buon uso delle somme a disposizione e sul rispetto dei tempi programmati.
La direzione tecnica dei lavori spettava al “King's Master Mason”, un misto di Architetto-
Ingegnere-Capo cantiere, anch'egli di nomina regia. I suoi compiti tuttavia avevano anche risvolti
amministrativi in quanto egli doveva verificare le competenze tecniche degli operai assunti, pagare i
salari (differenziati per mansioni, capacità e carichi di lavoro), concedere i passaggi di qualifica
(documentati nei registri dagli aumenti di salario. Un uso rimasto nel lessico della moderna
massoneria azzurra che chiama così il passaggio da un grado all'altro).
Sappiamo che questi “Architetti” (il termine è approssimativo, non esistendo oggi un equivalente
preciso di tale figura professionale) provenivano dai ranghi muratori. Per gli storici lo ritengono un
dato certo. Infatti, il nome di alcuni di questi Maestri risulta censito più volte nei registri dei
cantieri, prima accompagnato dalla qualifica di operaio, poi di assistente ai lavori, infine di Maestro.
Si trattava dunque di operai particolarmente qualificati che avevano servito per un certo periodo
come aiutanti di un Maestro, impratichendosi nella geometria e nel disegno, fino a diventare a loro
volta capi cantiere.
Resta ancora oscuro come venissero scelti, come fossero formati teoricamente e se ci fosse qualche
forma di regolamentazione di questi cambiamenti di status professionale. Molto probabilmente ogni
caso era un caso a se. Ma, considerato come il sapere in quest'epoca fosse quasi esclusivamente
patrimonio degli ecclesiastici, si può ipotizzare un ruolo attivo dei monaci delle abbazie o dei
canonici delle cattedrali in tale opera di formazione. E questo, sia detto per inciso, apre interessanti
prospettive in merito ai rapporti delle Arti muratorie con gli Ordini monastico-guerrieri, Templari e
Ospitalieri di San Giovanni in primis.
“Fu nelle logge annesse alle cattedrali e alle abbazie – scrive Knoop nel suo “The Mediaeval
Mason” - che si accumularono le esperienze e le tecniche che trasformarono rozzi lavoratori in
qualificati costruttori capaci di produrre i più splendidi esempi di abilità artigianale del Medioevo”.
Prima competenza richiesta, oltre la capacità (indubbiamente rara anche allora) di saper gestire
efficacemente numeri non disprezzabili di uomini di provenienza, formazione e capacità diverse,
era l'abilità nel calcolare con precisione il numero degli operai e la quantità e il tipo di materiali
necessari, al fine di evitare sprechi di risorse e/o nei tempi programmati di esecuzione dell'opera.
Particolare cura veniva posta allo stato delle vie di comunicazione, alla lontananza dalle cave o dai
porti, perché, vista la situazione dell'epoca, i ritardi nei lavori (o gli aumenti di costo in corso
d'opera) dipendevano il più delle volte proprio dall'inefficienza dei trasporti.
Non molto diversa era l'organizzazione dei lavori nelle costruzioni gestite direttamente dalla Chiesa.
In questo caso l'amministratore era chiamato Custos fabbricae o Custos ecclesiae.
Dai numerosi contratti giunti fino a noi risulta che un Maestro massone veniva ingaggiato
annualmente, ma talvolta anche per più anni e in casi eccezionali a vita. Riceveva uno stipendio
annuale e spesso un alloggio dove vivere con la propria famiglia. Il suo era un lavoro a tempo
pieno, aveva uno o più assistenti che potevano diventare suoi successori. Poteva sovrintendere
contemporaneamente a più cantieri (cosa non infrequente a partire dal XIV secolo); in tal caso
riceveva una indennità di carica annuale aggiunta ad ogni giornata di lavoro effettivamente prestata
nei cantieri.
Il suo peso professionale variava secondo l'importanza dei lavori e il numero degli uomini impiegati
in essi. Egli doveva comunque possedere la capacità di predisporre piani di lavoro. A lui toccava
ricercare gli operai, valutarne le capacità e procedere poi all'assunzione. Solo lui possedeva
l'autorità di licenziare quei lavoratori che si fossero rivelati inadatti. Un'ordinanza del 1345 relativa
al cantiere della cattedrale di York stabilisce con chiarezza che solo al “Master of masons” spetta il
potere di assumere, promuovere o licenziare. Nessun altro può interferire nel lavoro degli operai.
Considerata la durata, talvolta plurisecolare, dei lavori di costruzione di grandi opere come
cattedrali, ponti e castelli il numero dei lavoratori impiegati poteva variare anche di molto a causa di
guerre, pestilenze, mancanza di risorse finanziarie o scarsità di manodopera qualificata. I lavori non
venivano però mai interrotti, il cantiere restava aperto e gestito stabilmente da un gruppo
relativamente ridotto di operai qualificati che poteva essere espanso o contratto a seconda delle
necessità. Fu questo, ad esempio, il caso dell'Abbazia di Westminster.
Ma come funzionava un cantiere? La prima cosa da fare, una volta selezionato il sito, era trovare la
fonte di approvvigionamento del materiale, in primo luogo delle pietre e poi del legname necessario
alla costruzione delle impalcature, dei ponteggi e dei rivestimenti. Considerato il costo elevato dei
trasporti, se appena possibile, si aprivano cave nelle vicinanze. In questo caso gli operai impiegati
nella costruzione potevano lavorare all'estrazione e al taglio delle pietre, anche se di norma le due
attività erano separate. La selezione delle pietre, soprattutto se acquistate altrove, spettava al Master
mason che si recava a visitare la cava (o, se vicina, sovrintendeva anche ai lavori di escavazione).
Una volta scelte, le pietre venivano marcate e trasportate in cantiere dove venivano lavorate
secondo le esigenze della costruzione. Si trattava dunque di veri e propri materiali semilavorati,
pietre squadrate con estrema perizia secondo misure rigorosamente definite, che venivano poi
ulteriormente lavorate o ornate. Poiché il lavoro di estrazione e taglio delle pietre era costoso, si
procedeva spesso al recupero di pietre di seconda mano già utilizzate in opere precedenti, talvolta
anche in modo non proprio legale, tanto da comportare nei casi più gravi (come a Londra nel 1310 e
a York nel 1344 dove erano stati smantellati tratti delle mura cittadine per portarne via le pietre)
l'intervento del potere regio.
Il lavoro era concentrato nei mesi più favorevoli, ridotto e spesso sospeso in inverno. Le paghe
dunque variavano col passare delle stagioni: più alte in estate, più basse in inverno (da novembre a
febbraio). Era vietato lavorare di notte, ma se per cause di forza maggiore accadeva, erano previste
indennità. L'orario andava dal sorgere del sole a mezz'ora prima del tramonto con una pausa di
un'ora per il pranzo, di mezz'ora per dormire e di un'altra mezz'ora per bere. In tutto, dunque, circa 8
ore e mezzo in inverno e 10 ore e mezzo in estate.
La maggior parte dei muratori era pagata a giornata e in denaro anche se c'erano talvolta benefits in
natura (alloggio, cibo, birra). Esistevano poi una specie di straordinari, legati al protrarsi dell'orario
per motivi eccezionali, premi di produzione relativi al rispetto o al miglioramento dei tempi di
costruzione oltre che alla qualità della produzione e una sorta di cottimi legati alla quantità del
lavoro svolto. Aspetti salariali che per Knoop testimoniano della complessità e della modernità di
quella organizzazione del lavoro e che ricordano molto il moderno lavoro in fabbrica. Non
mancavano neppure le ferie, cioè il diritto per i lavoratori di vedersi pagata la giornata anche in
mancanza di prestazione d'opera nel caso di particolari festività religiose o di ricorrenze della
corporazione.
Gli operai, provenienti in larga parte da località spesso anche molto lontane dal cantiere, venivano
alloggiati in appositi edifici, chiamati mansiones, domos o anche hospicium lathomorum. Nelle
spese di gestione del cantiere veniva anche conteggiata l'assunzione di personale addetto alla
fornitura dei pasti. Il lavoro di preparazione delle pietre veniva svolto in locali chiusi chiamati logge
(logia).
La loggia era un luogo di lavoro coperto, costruito solitamente in legno, pensato per proteggere i
muratori dalle intemperie. Mediamente una loggia ospitava dai 15 ai 20 lavoratori. In loggia si
consumano i pasti durante la giornata e ci si riposava nelle pause previste dai contratti di lavoro; vi
venivano conservati gli attrezzi e i progetti. Nei registri della Fabbrica di York è conservata una lista
degli oggetti presenti in loggia nell'anno 1399: 60 asce di pietra, 1 maglietto grande, 96 ceselli in
acciaio, 24 maglietti, 1 compasso, 2 tavole da tracciare, 1 piccola ascia, 1 sega a mano, 1 badile, 1
carriola, 2 secchi, 1 carretto a 4 ruote e 2 più piccoli. Non ci sono squadre, livelle o fili a piombo
che si pensa dunque fossero di proprietà dei singoli.
La loggia era retta da regole che disciplinavano l'operare dei muratori. Assenze ingiustificate o
ritardi sul lavoro venivano punite con trattenute sul salario. Nei casi più gravi si procedeva al
licenziamento immediato del lavoratore che aveva mancato ai suoi doveri.
Assieme ai muratori operavano numerosi “servants” o “labourers” definiti in latino famuli
cementarii. Essi svolgevano i lavori di scavo, trasportavano le pietre, mescolavano la malta,
spingevano le carriole lungo le impalcature, in sintesi assistevano i lavoratori nelle pratiche
ordinarie e in questo modo apprendevano il mestiere. Un processo di formazione qualche volta
spontaneo, qualche volta programmato. Come nel caso di un muratore specializzato di nome John
of Evenesham a cui nel 1359 viene garantito per contratto l'impiego nel cantiere per tutta la parte
restante della sua vita lavorativa a patto che istruisca i labourers (lavoranti) nell'arte della
costruzione e della carpenteria. Già dal XIII secolo si ritrovano riferimenti all'esistenza di
apprendisti, ma poco si sa su paghe, orari e caratteristiche dell'apprendistato. Per una
regolamentazione di questa materia occorrerà attendere la riforma generale del lavoro di epoca
elisabettiana (1558-1603) e in particolare gli Statuti del 1563 che generalizzano per tutte le Arti la
durata del periodo di apprendistato a 7 anni.
La prova dell' esistenza di una complessa stratificazione professionale all'interno del mestiere è
fornita dall'ampio ventaglio salariale testimoniato dai registri. Così, ad esempio, nella fabbrica di
Caernarvon Castle nel nord del Galles, nell'ottobre del 1303 risultavano a ruolino 53 muratori con
17 tipi di salario, ridottisi nell'ottobre del 1316 a 24, ma con ben 12 differenti trattamenti salariali.
Questa grande varietà di qualificazioni professionali è anche evidenziato dai numerosi termini
latini, francesi, inglesi, usati per definire i vari livelli di specializzazione. Termini che pongono un
problema agli storici in quanto spesso è arduo comprendere bene le differenze fra l'uno e l'altro. A
seconda dei casi i muratori vengono definiti cementarii o lathomi, cissores (taylatores, tailleurs),
cubitores (couchours o positores), batrari o scapelers, muratorii (wallers), imaginatores (imagours),
marmorarii (marbelers), alabasterers.
Ma prima di tutto i muratori medievali inglesi si dividono in due grandi categorie: Freestone
masons (sculptores lapidum liberorum, magister lathomus liberarum petrarum, mestre mason de
franche pere) e Rough Masons o rowmasons.
I primi sono coloro capaci di lavorare un tipo di pietra (la cosiddetta pietra libera) particolarmente
pregiata e versatile, gli altri coloro capaci solo di lavorare grossolanamente la pietra grezza. Gli
studi pioneristici di Knoop e Jones hanno dimostrato che quel termine “liberi” associato a muratori
non deriva, come fino ad allora si era pensato, da un qualche tipo di franchigia rispetto agli obblighi
feudali (tanto è vero che anche i “liberi muratori” erano, se necessario, comandati al lavoro nei
cantieri regi), ma dal tipo di pietra lavorata e dunque dalla particolare qualità del lavoro che erano in
grado di produrre. Tesi confermata da tutti gli studi apparsi da allora ad oggi.
I liberi muratori erano dunque i membri dell'arte capaci di squadrare perfettamente la pietra, di
lavorarla con maglietto e scalpello a produrre quei meravigliosi capitelli e quelle statue che ornano i
chiostri delle abbazie e le facciate delle cattedrali, come gli ornamenti che alleggeriscono e
slanciano le pareti e le finestre e i rosoni finemente intarsiati in un gioco di ricami di pietra.
Il dato che più ha sconcertato gli storici è la scarsità di informazioni rispetto all'organizzazione
liberomuratoria. Fino al XVI secolo pochissimi sono gli accenni all'esistenza di una specifica Arte
(Craft) delle costruzioni. Il primo dato certo risale al 1376 e solo nel 1389 si trova traccia di una
“fraternitati de masons Londoni fondatae apud sanctum Thomam de Acres”. Assenza confermata
dal fatto che nel 1356 furono le autorità di Londra che dovettero incaricarsi di regolamentare lo
svolgimento delle attività muratorie in seguito a contrasti nati all'interno della categoria fra
lavoratori cittadini e forestieri e fra operai qualificati e no.
I documenti più antichi relativi alla Corporazione muratoria sono il Manoscritto Regius (in versi,
risalente al 1390) e il Manoscritto Cooke (in prosa, risalente al 1430). Nonostante la datazione
posteriore è il Cooke a risultare più antico, in quanto si pensa possa essere una copia di un
documento andato perduto più antico di circa un secolo e ciò anche per il carattere relativamente
semplice del contenuto rispetto al Regius. Questi due manoscritti rappresentano i primi esempi di
“Old Charges”, gli statuti medievali su cui dopo il 1717 furono edificati i Landmarks della moderna
Massoneria.
Composto di 794 versi suddivisi in un preambolo storico, 15 articoli, 15 punti e 2 parti conclusive,
il Regius (chiamato così perché originariamente di proprietà di Re Giorgio II (1727-1760) non è un
vero statuto, ma piuttosto un codice di comportamento valevole per i liberi muratori e redatto in
versi proprio per renderne più agevole l'apprendimento a memoria.
Quanto al Cooke (pubblicato nel 1861 a cura di Matthew Cooke) si tratta di un testo in prosa di 960
righe, contiene una parte normativa composta di sette articoli e nove punti preceduta da una
narrazione mitica delle origini della Massoneria che servì da canovaccio al pastore Anderson per le
sue costituzioni del 1723.
Il periodo compreso fra la seconda metà del '400 e la fine del '600 fu caratterizzato da profondi
cambiamenti economici, culturali e politici. La scoperta dell'America con l'aprirsi delle rotte
atlantiche e la Riforma protestante con la rottura dell'unità religiosa e culturale dell'Occidente
trasformarono il mondo tanto da segnare per convenzione l'inizio di una nuova fase della storia
umana. Lentamente moriva il mondo medievale e nasceva il mondo moderno. L'Europa ne uscì
radicalmente trasformata e l'Inghilterra non fu da meno.
Per quanto attiene all'industria delle costruzioni i mutamenti furono radicali e incisero in profondità
sulla vita stessa dell' Arte muratoria che iniziò un declino destinato ad arrestarsi solo agli inizi del
XVIII secolo con la nascita a Londra della Gran Loggia d'Inghilterra e di quella Massoneria
speculativa destinata a prendere il posto della libera muratoria medievale e a diffondersi nell'arco di
pochi decenni in tutto il mondo, acquisendo così quel carattere di universalità che da allora la
contraddistingue.
La Riforma
La Riforma segnò la fine dell'epoca della costruzione di grandiosi edifici religiosi, la fase delle
cattedrali gotiche e delle grandi abbazie. Con il protestantesimo l'accento si spostò da una religiosità
rivolta verso l'esterno e il fare ad una visione più intima e personale focalizzata sulla fede. A una
religiosità popolare incentrata su riti di massa che richiedevano grandi spazi si sostituì una pratica
“privata” basata fondamentalmente sul rapporto diretto del singolo con il mistero del divino. Il rito
fu ridotto all'essenziale, sparì il culto dei santi, la credenza nel Purgatorio, le processioni. Gli ordini
religiosi furono spazzati via, le Abbazie e i conventi demoliti.
La Chiesa che, assieme alla Monarchia, era stato il principale committente dell'industria delle
costruzioni sparì quasi totalmente dalla scena. Quanto alla Corona, essa riorientò le sue priorità.
Occorreva sfruttare le enormi potenzialità offerte dalle nuove rotte e dai nuovi continenti. La
grandezza dell'Inghilterra non sarebbe più stata simboleggiata dai suoi castelli e dalle sue cattedrali,
ma dalle sue navi e dai suoi porti. La monarchia abbandonò la costruzione di edifici religiosi e si
dedicò a finanziare la costruzione di cantieri navali e porti e di una rete stradale adeguata a far
circolare le merci in partenza o in arrivo. Il rafforzamento dell'identità nazionale diventò fattore
centrale della costruzione del consenso e dell'egemonia, al posto delle opere di religione. La
monarchia si affrancava dalla Chiesa.
L'edilizia cambiò segno. Ci fu una considerevole espansione delle costruzioni private. Palazzi
signorili e case popolari in pietra sostituirono le costruzioni in legno che fino a metà del
Cinquecento erano state la norma nelle città inglesi. Le nuove opere, intraprese da privati o dalle
municipalità, erano molto più ridotte per dimensioni da quelle precedentemente intraprese da
Chiesa e Corona. Cambiò di conseguenza l'organizzazione del lavoro. Sparirono i grandi cantieri.
Proliferarono quelle che oggi chiameremmo piccole imprese edili. Un impresario, titolare del
contratto con il committente, che lavorava alla costruzione coadiuvato da alcuni operai alle sue
dipendenze. Il lavoro diventò più semplice e meno specializzato. Il piccolo cantiere non richiedendo
la complessa e articolata organizzazione delle mansioni necessaria per le grandi opere del passato.
Venne di fatto abbandonata la regola secondo cui un apprendista non poteva essere impiegato se
non in presenza del maestro. Aumentò di conseguenza il numero degli apprendisti. L'apprendistato
perse il suo carattere di periodo di formazione a termine per diventare un serbatoio di manodopera
da utilizzare a pieno, ma con salari ridotti, non molto diversamente dai moderni precari con
contratto di formazione-lavoro.
Iniziò un processo di forte differenziazione sociale all'interno del Mestiere, solo una minoranza
ristretta avendo il capitale necessario per mettersi in proprio. Il ruolo di Maestro non fu più dovuto
solo al merito acquisito in una vita di perfezionamento professionale, ma sempre più legato alla
disponibilità di capitale e dunque il ruolo tese a farsi ereditario. Le nozioni tecniche ( i segreti
dell'Arte) furono ancora più gelosamente custoditi che nel passato e trasmessi ad una platea sempre
più ristretta di aspiranti.
Peggiorarono le condizioni di lavoro. Al Tempo della Chiesa, scandito da frequenti ricorrenze
religiose e da una visione del mondo che limitava rigidamente l'idea stessa di profitto, si sostituì
progressivamente il Tempo del Capitale che proprio nell'accumulo del profitto vedeva il
manifestarsi della Grazia divina. Una mutazione descritta da Max Weber (1864-1920) nel suo
capolavoro sull'etica protestante e lo spirito del capitalismo.
Fu un periodo di forte crescita economica alimentato dallo sfruttamento sistematico delle nuove
colonie americane e poi (dal Seicento) dalla Tratta degli schiavi africani base fondante di quel
commercio triangolare che rappresenterà per oltre un secolo il cuore del miracolo economico
inglese. Una crescita tanto forte da far scrivere gli storici di una prima “rivoluzione industriale” nel
secolo precedente la guerra civile.
Un periodo caratterizzato da una forte crescita dei prezzi, conseguenza diretta dell'arrivo
dall'America di grandi quantità d'argento e d'oro. Un processo inflattivo comportante la riduzione
del potere d'acquisto dei salari e dunque il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e
delle loro famiglie.
Se si osservano le tabelle riportate da Knoop in “The Genesis of Freemasonry”, apparso nel 1947,
ma ancora oggi opera fondamentale di riferimento, questo processo di progressiva proletarizzazione
appare evidente. Il XVI e il XVII secolo segnano una forte crescita dei salari monetari, ma una
molto più forte riduzione del loro potere d'acquisto. Ne diamo una sintesi:
Dunque nel corso del XVI secolo mentre i salari raddoppiano i prezzi quasi quintuplicano con il
risultato che a parità di lavoro il salario giornaliero reale in termini di potere d'acquisto di beni di
prima necessità di un muratore (mason) inglese dell'inizio del '600 era pari a circa la metà di quanto
guadagnato un secolo prima. Una tendenza al ribasso che proseguirà per tutto il XVII secolo e poi
nel Settecento.
In questo contesto il Master mason, figura centrale nella industria medievale delle costruzioni, nel
XVI secolo perde rapidamente di importanza. Eppure l'arte di costruire si raffina. I progetti e i
disegni delle costruzioni scarsissimi fino ad allora si moltiplicano, ma non sono più opera dei
maestri massoni, ma di una nuova figura, estranea all'Arte che prefigura quelle dell'ingegnere e
dell'architetto moderno.
Sono i cosiddetti “Gentleman Architect”, dove l'aggettivo sta a indicare lo status intellettuale e non
manuale o professionale di uomini di elevata condizione sociale e di grande cultura, che hanno
viaggiato e accumulato una conoscenza diretta della cultura antica e che a un certo punto della loro
vita, mettendo in pratica l'ideale leonardiano del genio universale, si dedicano all'architettura come
prima si erano dedicati alla scienza o all'arte.
Ben li rappresenta Sir Christopher Wren (1632-1723), il più grande architetto della sua epoca,
celebre soprattutto per aver diretto i lavori di ricostruzione del centro di Londra dopo il disastroso
incendio del 1666 e, ispirandosi alla Basilica di San Pietro, l'edificazione della Cattedrale di St.
Paul, il più importante edificio rinascimentale inglese. Prima scienziato e astronomo, fondatore e
poi presidente della Royal Society, Wren solo in età matura si dedicherà all'architettura.
L'architettura dunque si autonomizza dall'opera concreta del costruire. Come la matematica o la
filosofia o il disegno, diventa uno degli ambiti di formazione del perfetto gentiluomo. Nel 1563 esce
il primo libro inglese di architettura , The first and chief groundes of architecture di John Shute,
“paynter and archytecte”, protetto del Duca di Northumberland. Il libro, che riscuote grande
successo, riprende e diffonde gli elementi dell'architettura classica di Vitruvio secondo la rilettura
che ne aveva fatto Andrea Palladio (1508-1580). Trionfano i canoni classicistici del Rinascimento
italiano, mentre viene rigettata l'arte gotica considerata barbarica.
Tutti questi fenomeni contribuirono a determinare il declino dell'Arte muratoria. La nascente società
moderna progressivamente procedette all'affossamento delle strutture politiche, culturali e religiose
che avevano sostanziato il mondo medievale e il suo immaginario collettivo. L'autunno del
Medioevo, per usare la felice definizione di Huizinga, recava inevitabilmente con se il declino
irreversibile dell'istituzione corporativa e l'Arte dei costruttori non rappresentava certo
un'eccezione.
I secoli XVI e XVII furono caratterizzati da un profondo fermento intellettuale e politico. Nasce la
scienza, la filosofia e la politica moderna. Centrale nei dibattiti è il tema della religione, della
coesistenza pacifica di fedi diverse. L'Europa e l'Inghilterra non hanno ancora superato il trauma
della Riforma e delle sanguinose guerre di religione che ne sono seguite. L'Inghilterra in particolare
sarà funestata da due rivoluzioni (con relativa decapitazione di un re, una dittatura militare e una
lunga e feroce guerra civile. Non è strano, dunque, che l'aspirazione alla pace civile e alla tolleranza
diventi motivo centrale del dibattito filosofico e politico.
Nel 1627 appare la Nuova Atlantide, opera postuma di Francesco Bacone (1561-1626) in cui viene
esaltato l'ideale di una società utopica, guidata da una Collegio di illuminati (che fra loro si
chiamano fratelli) definita la “Casa di Salomone o Collegio delle Opere dei sei giorni”, capace di
vivere come un grande laboratorio scientifico dedito alla ricerca delle leggi della natura per poterle
poi usare al fine del progresso e del benessere universale superando le divisioni sociali, politiche e
religiose che insanguinavano l'Europa e presto anche l'Inghilterra.
Bacone, associato da molti studiosi alla Massoneria, esprimeva le aspirazioni universalistiche della
parte più avanzata degli spiriti colti dell'Europa del XVI e XVII secolo e la tendenza di questi ad
organizzarsi in modo sotterraneo in società più o meno segrete per sfuggire le persecuzioni di
Chiesa (cattolica e protestante) e Stato.
Temi già avanzati da Tommaso Moro nella sua famosa opera Utopia (1516), descrizione di una
società avvenieristica in cui tutte le religioni sono tollerate. Idee riprese e diffuse da più parti e da
molti, allora e oggi, associate con l'esistenza di un misterioso e potente Ordine dei Rosa Croce, e ciò
soprattutto dopo l'apparizione nel 1614 di un'opera avente per titolo: Fama fraternitatis Rosae
Crucis. Il volume, scritto da un religioso tedesco, Jean-Valentin Andréa (1586-1634), ebbe un
grande successo, particolarmente in Inghilterra.
Biblioteche intere sono state dedicate ai possibili, per alcuni studiosi indiscutibili per altri del tutto
fantastici, rapporti fra Massoneria e Rosa Croce. Per molti fu proprio l'ingresso nelle Logge dei
membri di questo “Collegio invisibile” a determinare il passaggio dalla massoneria operativa a
quella speculativa. La questione è aperta e non possiamo occuparcene qui. Resta il fatto, singolare,
della poesia “Muses Threnodie” di un certo Henry Adamson, pubblicata a Edimburgo nel 1638. Il
poemetto è letterariamente insignificante ma contiene due versi che hanno fatto scorrere fiumi di
inchiostro e che recitano:
La critica storica più recente tende ad escludere una filiazione diretta della Massoneria dai Rosa
Croce, qualunque cosa essi realmente fossero (e anche su questo il dibattito è apertissimo), mentre è
concorde nel ritenere che gran parte delle idee e dei valori che sostanzieranno a partire dal 1717
l'Istituzione libero-muratoria abbiano la loro origine proprio in questi fermenti e aspirazioni ad un
futuro più civile e giusto, capace di andare oltre la barbarie delle guerre di religione e di definire le
linee portanti di un progetto di società incentrato sui pilastri della tolleranza e della fratellanza.
Aspirazioni fortissime nell'Inghilterra del XVII secolo, tragicamente segnata dalla rivoluzione e
dalla guerra civile (1640-1649), dalla repubblica dittatoriale di Cromwell (1649-1658), dalla
restaurazione monarchica degli Stuart (1660) e infine dalla seconda rivoluzione con l'ascesa al trono
di Guglielmo d'Orange (1688-1689).
Un secolo di sangue che sta alla base della lucida riflessione di John Locke (1632-1704) e dei suoi
scritti, ancora oggi attualissimi, sulla tolleranza. Idee riprese nel 1717 dai fondatori della Gran
Loggia d'Inghilterra in modo tanto convinto da far ipotizzare l'appartenenza del filosofo alla
Massoneria. Una tesi fortemente dibattuta agli inizi del secolo scorso, ma oggi abbandonata.
I “Massoni Accettati”
Ma come avviene in concreto la fusione di queste nuove idee con la vecchia Arte muratoria ormai in
pieno declino? Qui la storia si fa complessa anche per la scarsità e talvolta l'oscurità dei dati
disponibili. Di certo sappiamo che nel corso del Seicento diventa sempre più grande il numero dei
Massoni cosiddetti “Accettati”, di quei fratelli, cioè, ricevuti nella Corporazione anche in mancanza
delle caratteristiche professionali richieste dagli statuti.
Mentre cala il numero delle Logge e diminuisce a causa dei processi economici e sociali già
evidenziati il numero degli “Operativi”, entrano nella Craft esponenti della borghesia e della
nobiltà, militari, scienziati, artisti e letterati. In una parola, il meglio della società inglese di allora.
Ad essere precisi non si tratta in sé di una novità. Già nel Medioevo non era infrequente la presenza
di non operativi nella corporazione. Membri del clero ne fecero parte come cappellani a causa del
carattere religioso delle associazioni di mestiere che operavano anche come confraternite. Dalle
Costituzioni Gotiche (come vengono chiamati gli statuti medievali rimasti) veniamo poi a sapere
che in particolari occasioni alle riunioni dei Maestri costruttori partecipavano anche rappresentanze
delle autorità civili. In entrambi i casi però non si trattava di una vera ammissione e gli esterni non
venivano messi a parte dei segreti dell'Arte.
Ora, invece, si tratta di un'ammissione piena, anche se, soprattutto nei primi decenni, i nuovi
ammessi restano a parte della vita della corporazione e questo proprio per il loro essere non
operativi e dunque non coinvolti nella gestione quotidiana delle attività.
La prima accettazione di un non operativo di cui resti documentazione risale all'anno 1600, quando
un nobile scozzese, Sir John Boswell di Auchinlech fu ricevuto presso la loggia Mary's Chapel di
Edinburgo. Ma è a partire dal secondo decennio del secolo che il fenomeno prende dimensioni così
consistenti da sorprendere anche i contemporanei. Farsi Massoni diventa nelle classi elevate una
vera e propria moda, come annota il Dottor Robert Plot nel suo libro sulla storia dello Staffordshire
pubblicato nel 1686: “Tutte le persone di più alto rango amavano farsi membri di questa
associazione ormai sparsa in tutta l'Inghilterra, essendo ormai di moda farsi iniziare”.
Un'ulteriore conferma dell'ampiezza di questo fenomeno ci viene dai Libri contabili della
Compagnia dei Muratori della Città di Londra. Da tali libri risulta che negli anni 1620 e 1621,
alcune persone (e dunque non casi eccezionali), registrate come Accepted Masons, hanno versato
somme per la loro Acceptance (accettazione) nelle casse della Compagnia. I dati non sono del tutto
chiari, ma sembrano indicare che la quota di partecipazione fosse doppia per i Massoni non di
mestiere.
Fra i primi non operativi “accettati” nella Massoneria spicca la figura di Elias Ashmole (1617-
1692), uno dei maggiori scienziati del XVII secolo, ma anche studioso di arti occulte, di magia, di
alchimia e di astrologia, ricevuto il 16 ottobre 1646 nella Loggia di Warrington nel Lancashire e
ritenuto da molti studiosi un membro influente della società rosacruciana.
A differenza della Scozia, dove i non operativi entrano a pieno titolo nelle Logge esistenti, in
Inghilterra non sembra che i nuovi ammessi abbiano fatto realmente parte di logge operative. Essi
diventano quello che oggi diremmo dei membri onorari, partecipano ai lavori di logge occasionali
in occasione di nuove accettazioni o a strutture semipermanenti consistenti principalmente di non
operativi. Secondo Knoop e Jones sia queste Logge occasionali che quelle semipermanenti
sembrerebbero essere state organizzate proprio allo scopo di ammettere Massoni Accettati.
Samuel Prichard nel suo libro Masonry Dissected – opera fortunatissima pubblicata a Londra nel
1730 e di cui uscirono ben venti ristampe e traduzioni in tedesco nel 1736 e in francese nel 1737 - li
definisce “Gentleman Masons”, un appellativo che ricorda molto da vicino i Gentleman Architects
di due secoli prima. E in effetti l'ambiente sociale da cui provenivano era lo stesso e simile era il
modo di vivere e la concezione del mondo.
Nel corso del secolo il numero degli Accettati aumentò costantemente, mentre parallelamente
diminuiva quello degli autentici maestri d'opera. Per sopravvivere le logge si aprirono sempre più
agli Accettati. Ne è dimostrazione la decisione assunta nel 1703 dalla Loggia Saint Paul che mostra
quanto la Massoneria si fosse ormai trasformata: “I privilegi della Massoneria non saranno ormai
più riservati solamente agli operai costruttori, ma, dato che questo avveniva già, saranno estesi a
tutte le persone che vorranno prendervi parte, ammesso che siano debitamente presentate, che la
loro ammissione sia autorizzata e che esse siano iniziate in maniera regolare”.
L'Arte perdeva il suo carattere di mestiere e si trasformava in un'Associazione a cui chiunque
poteva aderire se possedeva i requisiti necessari per l'ammissione. Nei fatti la Massoneria
speculativa era nata. Mancava solo la sanzione ufficiale.
Non esiste a tutt'oggi una spiegazione esaustiva del fenomeno. Resta difficile capire perchè tanti
personaggi influenti raggiungessero le Logge. I documenti esistenti ricordano la data dell'ingresso
nella Craft e (anche se non sempre) il nome dei nuovi membri, ma non riportano le ragioni
dell'adesione. In effetti queste possono essere state molte e moto diverse fra loro , come peraltro
ancora accade oggi.
Prima di tutto la curiosità. Molti aderivano alla ricerca di un sapere segreto. Molti, considerando
autentiche le storie mitiche dell'Arte premesse agli Statuti Gotici, pensavano di trovare nella
Massoneria i segreti degli antichi misteri egiziani, ebraici, greci, romani e druidici. E non si trattava
certo di ingenui o di sognatori. Il dottor William Stuckeley (1687-1765), ecclesiastico anglicano,
precursore della moderna archeologia e biografo di Newton, dichiarò nella sua autobiografia che
proprio la curiosità lo aveva indotto a farsi iniziare ai misteri della Massoneria , pensando che questi
fossero ciò che restava dei misteri dell'antichità.
Un'altra attrattiva può essere stato il fascino del simbolismo e dei riti , anche se nulla si conosce sui
lavori delle logge operative e molti studiosi ritengano che il simbolismo, almeno quello dei riti
ancora oggi praticati, sia stato introdotto solo a partire dal XVII secolo e proprio dagli Accettati.
Di certo riti e simboli, rigorosamente celati ai profani, esistevano e lo ricaviamo proprio dai cenni
che ne danno nelle loro opere Robert Plot (a cui abbiamo già accennato) e John Aubrey (1626-1697)
scrittore, antiquario e filosofo.
Il resoconto presente nel libro di Plot, Naural History of Staffordshire (1686), sebbene scritto da un
osservatore che sembra non essere stato massone, è il più accurato fra tutti quelli rimasti. Secondo
Plot l'uso di ammettere uomini nella “Società dei Liberi Muratori” si era diffuso in tutta
l'inghilterra, ma sopratutto nello Staffordshire. Egli riferisce di un grosso volume che contiene storia
e regole della Massoneria. “Quando uno è ammesso nella Società – scrive - si tiene una riunione
chiamata loggia a cui debbono partecipare almeno 5 o 6 degli anziani dell'ordine. L'ammissione
principalmente consiste nella comunicazione di certi segni segreti che permettono di riconoscersi
fra di loro”.
Questo resoconto è rafforzato da un passo della Storia naturale dello Wiltshire di John Aubrey,
un'opera composta nel 1686, ma pubblicata solo nel 1847. Annota Aubrey: “Essi si riconoscono fra
di loro per certi segni e parole. Essi hanno diverse logge nel paese per le loro riunioni. E se uno di
loro cade in disgrazia, la Fratellanza si adopera a sostenerlo. Il modo della loro adozione è molto
formale e coperto di segretezza”.
Segretezza che alimentava però anche i sospetti e le calunnie, tanto che già nel 1698 appare a
Londra un opuscolo che mette in guardia contro i pericoli per la società e per lo Stato rappresentati
dalla Massoneria.
Questo ultimo dato ci permette anche considerazioni di altro genere. Con gli Accettati entrano
anche nella Massoneria, fino ad allora fedelissima alla Chiesa e alla Corona, le lotte e gli intrighi
della politica. Come abbiamo visto, l'Inghilterra del XVII secolo è travagliata dall'aspra contesa fra
sovrano e Parlamento prima e successivamente fra gli Stuart cattolici e gli Orange protestanti. Una
contesa che ora inizia a toccare anche le logge, grazie anche al fatto della mancanza di un'autorità
centrale dotata di poteri normativi e di controllo.
Secondo un'attendibile ricostruzione la creazione agli inizi del secolo XVIII di una Gran Loggia di
Inghilterra composta solo di logge non operative ( o “speculative”, come verranno chiamate con
termine più tardo) risponde proprio alla necessità di porre fine a questo stato di cose e di strappare il
controllo delle logge agli stuardisti, edificando una massoneria protestante e fedele alla Corona.
Rendeva possibile tale impresa l'esistenza in Londra di una serie di logge ormai composte solo di
non operativi. Furono quattro di queste logge, qualcuno sostiene erette per l'occasione, che si fusero
il 24 giugno 1717, festa di San Giovanni, per dare vita alla Gran Loggia di Inghilterra.
Conclusioni
La Gran Loggia, appena istituita, si accinse immediatamente a unificare regolamenti e rituali per
dare organicità ad una realtà molto frammentata. Compito adempiuto nel 1723 con le Costituzioni
di Anderson. Da questo momento i semplici artigiani sparirono dalle logge e la Massoneria cessò di
essere una corporazione di maestri d'opera per diventare un'istituzione iniziatica composta da
aristocratici, intellettuali ed esponenti della nascente borghesia, dedita interamente a quella
rivoluzione del pensiero e dei costumi che ancora oggi ricordiamo con il nome di Illuminismo. Cosa
che la porterà presto in rotta di collisione con la Chiesa cattolica e le monarchie assolute di mezza
Europa.
E quanto accadrà anche in Italia dove la Libera Muratoria giungerà presto portata da mercanti e
nobiluomini inglesi. Ne parleremo nei prossimi articoli.
Nel 1885 (quindi ben 15 anni dopo la liberazione di Roma dal giogo pontificio) fu formato un
comitato per la costruzione di un monumento al monaco ribelle, cui aderirono le maggiori
personalità dell’epoca: Victor Hugo, Michail Bakunin, George Ibsen, Giovanni Bovio, Herbert
Spencer e molti altri. La battaglia fu dura e lunga. Il consiglio comunale, controllato da una
maggioranza filo-clericale, si oppose in ogni modo, tanto che la questione divenne il simbolo della
lotta del libero pensiero contro l'oscurantismo e una sfida alla Chiesa e al papa.
La situazione si sbloccò solo dopo le elezioni amministrative del giugno 1888, con l'entrata in
Consiglio comunale di una nutrita rappresentanza della sinistra radicale e repubblicana, tra cui il
Ettore Ferrari, che sarà poi l'artefice del monumento (e che nel 1904 sarà eletto Gran Maestro del
Grande Oriente d'Italia).
La statua fu inaugurata il 9 giugno 1889, in quel Campo de’ Fiori dove era arso il rogo, con la
partecipazione di un’immensa folla festante. Una storia travagliata, ma non ancora conclusa. Al
tempo dei Patti Lateranensi (1929) si parlò di forti pressioni vaticane perché la statua fosse demolita
come segno di “riconciliazione” fra le due Italie, quella laica e quella cattolica. Ma alla fine non ne
se fece nulla e il regime si limitò a vietare ogni forma pubblica di commemorazione e di omaggio
alla figura del martire.
Dunque per la Massoneria italiana fin dal suoi inizi post-unitari Giordano Bruno rappresentò il
simbolo identitario per eccellenza. Parliamo del Grande Oriente d'Italia, perché l'Obbedienza di
Piazza del Gesù (e successive filiazioni), nata dalla scissione del 1908 su posizioni filo-cattoliche e
conservatrici, si mostrò sempre molto tiepida sulla questione sia prima che dopo l'avvento del
fascismo che (nella figura del suo Gran Maestro Raoul Palermi e di molti suoi dignitari) sostenne
attivamente fino al momento del suo scioglimento nel 1925.
Ma quello che è stato celebrato più che il pensiero di Giordano Bruno, è il suo rifiuto della
sottomissione, l'essere cioè un simbolo luminoso della libertà di pensiero, della volontà dell’uomo a
lottare in difesa delle proprie idee. Il tutto con venture anticlericali più o meno accentuate a seconda
dei periodi storici. Fortissime nel periodo giolittiano, avvertibili ancora fino agli anni sessanta,
pressoché scomparse oggi.
Molto minore, invece, allora e oggi, l'interesse per il pensiero bruniano nella sua essenza filosofica
e per gli influssi profondi che esso esercitò su quella generazione di intellettuali inglesi che a
cavallo fra la metà del Seicento e gli inizi del Settecento si attivarono per la nascita della moderna
Massoneria speculativa sulle basi di ciò che restava della vecchia libera muratoria operativa di
epoca medievale.
Come è spesso accaduto per la storia della Massoneria anche in questo caso il cambiamento di
prospettiva non fu interno all'Istituzione, ma esterno, interamente opera di studiosi esterni che, forse
proprio perché liberi da ogni forma di condizionamento e di conservatorismo “ideologico” si
dedicarono con entusiasmo e spirito innovatore alla ricerca sul quel periodo di transizione,
drammatico e contraddittorio, in cui sulle ceneri di un Rinascimento uscito in pezzi sotto i colpi
della Controriforma Tridentina e delle guerre di religione, lentamente fermentarono quelle idee di
libertà e tolleranza che saranno poi alla base della ripresa illuministica e dell'Europa moderna.
Idee veicolate da uomini e club (spesso segreti per sfuggire alla persecuzione della Chiesa e dei
principi) che in larga parte ritroveremo poi nel processo, estremamente complesso e sfaccettato, che
porterà nel 1717 alla creazione della Gran Loggia d'Inghilterra.
Un cambiamento di prospettiva dovuto soprattutto agli studi pionieristici di Frances A. Yates (1899-
1981), prestigiosa ricercatrice dell'Università di Londra e dell'Istituto Warburg, che a partire dalla
fine degli anni '50 si dedicò interamente allo studio degli effetti di lungo periodo della filosofia
rinascimentale (la cosiddetta magia naturalis) sulla cultura del Seicento. Una dopo l'altra videro in
pochi anni la luce opere di grande respiro che rivoluzionarono lo stato degli studi, a partire da
“Giordano Bruno e la tradizione ermetica” (1964), a “L'arte della memoria” (1966) e “Theatrum
Orbis” (1969), per culminare poi nel fondamentale“L'illuminismo dei Rosa Croce” (1972) un vero
punto di svolta nella ricerca sull'underground esoterico tardo-rinascimentale.
Nelle sue opere la Yates colloca il pensiero di Giordano Bruno all'origine della filosofia di John Dee
(il Prospero shakespeariano) figura centrale della cultura elisabettiana e dunque dei manifesti
rosacrociani (che Dee influenzò moltissimo) e infine della Massoneria:
“Verso la fine del sedicesimo secolo – scrive nel suo Giordano Bruno e la tradizione ermetica –
c'erano uomini che consideravano l'ermetismo religioso un modo per giungere alla tolleranza o
all'unione delle diverse sette in lotta tra loro... C'erano molte varietà di ermetismo cristiano,
cattoliche e protestanti, la maggior parte delle quali tendeva, però, ad evitare la magia. E poi arriva
Giordano Bruno, declamando un ermetismo egizio pienamente magico, predicando una sorta di
Controriforma Egizia, profetizzando il ritorno all'egizianesimo in cui tutte le difficoltà religiose
spariranno in una qualche nuova soluzione; predicando anche una riforma morale con un'enfasi
particolare sulle opere buone socialmente e su un'etica di utilità sociale... Dove c'è una tale
combinazione di tolleranza religiosa, legame emotivo con il passato medievale, enfasi sulle opere
buone per gli altri e attaccamento intellettuale alla religione e al simbolismo degli Egiziani? L'unica
risposta a cui sono capace di pensare è: la Massoneria”.
Dunque, per la studiosa inglese, Giordano Bruno diventa punto di snodo fra i più significativi fra
momenti, figure e percorsi collettivi nell'Europa a cavallo dei secoli XVI e XVII. Un insieme di
fiumi carsici che scorrono in superficie per poi inabissarsi (e come i Rosa Croce divenire invisibili)
per riapparire poi alla luce agli inizi del Settecento e confluire nel grande alveo della Massoneria
inglese in piena trasformazione “speculativa”.
Una chiave interpretativa subito impostasi e ripresa e continuata dall'americana Margaret Jacob e
recentemente dalla giovanissima studiosa italiana Vittoria Feola, autrice di un'affascinante ricerca
sulle origini e gli sviluppi della Massoneria in età moderna.
Proveniente dalla corte di Enrico III di Francia, Bruno arrivò in Inghilterra (per insegnare a Oxford)
nel 1583 e vi si fermò due anni. Un periodo breve, ma intenso, sufficiente a segnare in profondità la
cultura inglese del tempo.
Non è questa la sede per trattare il tema della filosofia bruniana, basterà accennare all'influsso
profondo sulla cultura (inglese e più in generale europea) di opere come lo Spaccio della bestia
trionfante, scritta proprio per gli amici inglesi e pubblicata nel 1585, in cui si auspicava il recupero
in funzione antipapale dell'antica unità spirituale europea al di sopra dei conflitti religiosi che
insanguinavano il continente.
Ma quello che lasciò probabilmente le tracce più profonde fu l'arte della memoria che Bruno aveva
sviluppato su basi ermetiche. Perché, come scrive Vittoria Feola, riprendendo le conclusioni a cui
erano giunte precedentemente sia Yates che Jacob:
“L'arte della memoria [di Bruno]andò in Scozia ed entrò, senza più uscirne, nelle logge massoniche,
mentre, in Inghilterra, essa influenzò quei teatri costruiti seguendo le indicazioni di John Dee; la sua
cosmografia penetrò nel Gresham College di Londra, nel quale si formarono i fondatori della Royal
Society, quasi tutti massoni”.
Vediamo ora come le teorie di Bruno arrivarono nelle logge scozzesi. Fondamentale a questo
proposito è l'opera di un ricercatore dell'Università di Edimburgo, David Stevenson,, che sulla base
di numerosissime fonti sostiene che fu in Scozia e non in Inghilterra che iniziò il processo di
trasformazione della Massoneria da operativa a speculativa.
In un libro, di grandissimo spessore culturale e storico, The Origins of Freemasonry, Scotland's
Century 1590-1710, Stevenson anticipa in Scozia di oltre un secolo:
1)l'uso della parola “loggia” nel significato massonico attuale; 2) il primo tentativo di
organizzazione nazionale delle logge; 3) la presenza diffusa di massoni non operativi; 4) i
riferimenti a una Mason Word con relativi catechismi 5) il progressivo emergere di un terzo grado;
6) la connessione delle logge con idee filosofiche ed etiche provenienti dal mondo profano.
Proprio su questo ultimo punto si innesta il ruolo determinante svolto dal pensiero di Giordano
Bruno. Stevenson dimostra come già dalla fine del Cinquecento per farsi ammettere in una loggia
venisse richiesta una “prova di memoria e arte della corporazione” e come l'intero insegnamento
simbolico-rituale dovesse essere tramandato a memoria, vietandone i regolamenti ogni forma scritta
o incisa. Da qui, con la crescita dell'Istituzione dovuta al suo organizzarsi in una Gran Loggia
centralizzata, la necessità dell'introduzione e dell'uso di sofisticate tecniche di memoria.
Centrale in questo processo fu la figura di William Schaw, Maestro delle opere del re, Maestro delle
Cerimonie e Praefectum Architecturae, che, seguace dell'ermetismo mistico e riformatore del tardo
Rinascimento, si affidò a Alexander Dicson, amico intimo e fedelissimo seguace di Giordano
Bruno, molto attivo alla corte degli Stuart. A Schaw non interessava una semplice tecnica di
memoria, ma qualcosa di più. Quello che desiderava era una tecnica più sofisticata e
filosoficamente fondata, imperniata su una visione magico-religiosa del cosmo e l'arte della
memoria di Bruno era quanto di meglio si potesse trovare.
Non si può essere del tutto certi che Schaw introdusse per primo l'arte della memoria nella
Massoneria scozzese. Ci sono nei documenti citati richiami a pratiche più antiche. Certo è che
questa appare come dovere nel 1599 e che Schaw aveva in mente come preciso riferimento l'opera
di Giordano Bruno. Due evidenze sufficienti a dimostrare scientificamente il collegamento tra la
Massoneria moderna e la visione ermetica (e magica) del mondo elaborata da Bruno e a elevare il
filosofo da riferimento identitario dei massoni italiani a una delle fonti ispiratrici della Massoneria
universale
Si è scritto molto sull'esperienza tragica di Unidad Popular e poi sul tormentato e lungo percorso del
Cile dalla dittatura sanguinaria di Pinochet al ristabilimento della democrazia, ma poco spazio è
stato dedicato alla figura di Salvador Allende, alle sue idee e al suo percorso politico.
Un libro, di cui appare oggi la versione italiana, permette di colmare questa lacuna e nel contempo
di approfondire il tema dei rapporti fra Massoneria e movimento socialista e democratico. Un tema
valido non solo per l' America Latina dove riguarda figure importanti del passato o della
contemporaneità ( tra i tanti: Martì, Haya de la Torre, Sandino, Fidel Castro, Chavez), ma anche per
l'Italia. Basti pensare al ruolo nella nascita del movimento operaio e socialista di massoni dichiarati
come Bakunin e Andrea Costa.
Perchè Allende fu esponente di primo piano della massoneria cilena e l'intera suo percorso politico
nel Partito socialista fino all'esperienza di Unidad Popular ha una esplicita (e dichiarata)
connotazione massonica.
Nato nel 1908, Salvador Allende si forma all'interno di una famiglia fortemente connotata in senso
massonico. Massone il padre, ma soprattutto il nonno, Ramon Allende Padin, medico progressista,
soprannominato “ il rosso” per la sua azione in favore del popolo, eletto Gran Maestro della Gran
Loggia del Cile nel 1884.
Per Allende impegno politico e militanza massonica procedono insieme fin dagli inizi. Iniziato il 16
novembre 1935 nella Loggia “Progreso” n. 4 di Valparaiso, fondata dal nonno, si trasferisce nel
1940 per seguire i suoi impegni politici a Santiago del Cile dove entra nella Loggia Hiram n. 65,
alla quale appartiene fino alla tragica morte nel 1973.
Come emerge dalla ricca documentazione del volume, Allende riconoscerà sempre l'influenza
profonda sul suo pensiero e sulla sua azione politica degli ideali massonici di libertà, fratellanza e
uguaglianza. E questo nonostante le contraddizioni che egli fin da subito nota nell'Istituzione.
“Dal punto di vista squisitamente teorico, la massoneria è una istituzione perfetta. Ma questo mondo
ideale puo’ aiutare l’uomo reale, l’uomo comune che affronta gli imperativi della vita quotidiana? I
massoni proclamano uguaglianza, libertà e fraternità come somma sintesi della convinzione
collettiva. Possiamo, con onestà intellettuale, immaginare che la composizione delle nostre logge
rifletta la società cilena dei nostri giorni? La mia risposta è negativa. Nella massoneria si combinano
solo elementi della borghesia o di chi aspira ad essere borghese. E’ una constatazione”.
Constatazione (del 1965) che non interrompe la sua militanza massonica, che anzi ne riceve nuovo
slancio. Per Salvador Allende lottare per una Massoneria democratica e progressista in un Cile più
libero e giusto fa parte della stessa battaglia culturale, civile e politica.
Significativo è il suo discorso su “massoneria e socialismo” durante la tornata della Gran Loggia di
Colombia a Bogotà il 28 agosto 1971, quando già era presidente del Cile.
“Avevo piena coscienza che l’Ordine non è né una setta, né un partito, e che sgrossando la pietra
grezza ci si prepara per agire nel mondo profano…quando per la prima volta, ascoltando il Rituale,
udii che «gli uomini senza principi e senza idee ferme, sono come le imbarcazioni che, una volta
rotto il timone, si sfasciano contro gli scogli». Appresi anche che nel nostro Ordine non ci sono
gerarchie di natura sociale né economica. Fin dal primo momento divenne dunque più forte in me la
convinzione che i principi dell’Ordine, proiettati nel mondo profano, potevano e dovevano essere
un contributo al gran processo rinnovatore che tutti i popoli del mondo cercano di effettuare,
specialmente i popoli di questo Continente, la cui dipendenza politica ed economica accentua la
tragedia dolorosa dei paesi in via di sviluppo”.
Marxista rigoroso, Allende fu dunque sempre ben consapevole della difficoltà del compito e dei
limiti e delle ambiguità della massoneria riflesso delle contraddizioni della società cilena. Lo stesso
Pinochet d'altronde aveva avuto frequentazioni massoniche e forse questo spiega perché fino
all'ultimo Allende se ne fidò. Leggendo il libro colpisce la lucidità con cui Allende valutò sempre il
rischio di isolamento e incomprensione sia in Loggia che nel Partito. Il discorso di Bogotà lo
testimonia chiaramente:
“Nelle Tavole presentate alle diverse Logge della mia patria ho sempre insistito sulla sicurezza, per
me certa, che potevo coesistere nei Templi con i miei Fratelli, anche se per molti era difficile
immaginare che questo fosse possibile per un uomo che nella vita profana dice pubblicamente di
essere marxista… Sostenni il mio diritto a essere massone e socialista allo stesso tempo. Nei
Congressi dissi pubblicamente che qualora si fosse accettata questa incompatibilità, avrei
abbandonato il partito come militante, anche se non avrei mai smesso di essere socialista in quanto
a idee e principi. Allo stesso tempo sostenni che il giorno che nell’Ordine si fosse accettata
l’incompatibilità tra le mie idee e la mia dottrina marxista, e l’essere massone, avrei abbandonato le
Officine, convinto che ivi la tolleranza non era una virtù praticata. Ho potuto vivere questa realtà
(essere marxista e massone) e credo di poter offrire ai Fratelli della Gran Loggia di Colombia
solamente una vita leale ai principi dell’Ordine, dentro l’Ordine e nel mondo profano”.
Una alterità quella fra impegno politico e massonico che il presidente di Unidad Popular rifiutò
sempre di prendere in considerazione, considerando il suo essere socialista e massone come
elementi coerenti di una vita intera dedicata alla lotta per un Cile migliore. Un impegno coerente e
rigoroso che Salvador Allende onorò fino al suo assassinio, l'11 settembre 1973, e che il libro di
Juan Gonzalo Rocha ricostruisce a fondo.
Gian Mario Cazzaniga, dirigente del PSIUP, fondatore del Potere Operaio pisano, poi dirigente
nazionale del PCI e fino al 1997 dei DS, professore di filosofia morale all'Università di Pisa, da anni
si dedica ad una ricostruzione rigorosa della storia della massoneria in Italia. Fra i suoi lavori più
importanti ricordiamo la direzione dei due Annali della Storia d'Italia Einaudi dedicati alla
Massoneria e all'Esoterismo. Due opere fondamentali per chi voglia avvicinarsi alla conoscenza di
un fenomeno complesso come quello della massoneria evitando di perdersi in un mare di
pubblicazioni contraddistinte per lo più dalla ricerca del sensazionale e da intenti denigratori (la
vecchia ma sempre verde tesi del complotto pluto-giudaico-massonico) oppure meramente
apologetiche e dunque inutili.
Esce ora La catena d'unione, raccolta di trentuno saggi, con cui l'autore traccia le linee portanti di
una possibile storia universale della massoneria e di altre società ad essa storicamente legate come
la Carboneria, i Fratelli Cacciatori, i Cavalieri del Lavoro. Il volume, suddiviso in sei sezioni
tematico-cronologiche, conduce dalle origini della massoneria, ai rapporti con l' illuminismo e le
rivoluzioni moderne (compreso il Risorgimento italiano) per concludersi con una serie di scritti sul
ruolo giocato dalla Libera Muratoria nella nascita e negli sviluppi del movimento operaio.
Come si legge nella presentazione del volume “In questi saggi la massoneria viene collocata
all’interno della fioritura dell’associazionismo volontario nel XVIII secolo, espressione dunque del
fenomeno costitutivo della modernità: l’invenzione del legame sociale e l’affermarsi di una visione
della comunità umana come autopoiesi. La catena d’unione, simbolo di fraternità universale e
legame che unisce fra loro sia ritualmente i membri di una loggia sia idealmente tutti i massoni
sparsi per il mondo, ne è immagine esemplare. Il programma di perfezionamento dell’uomo che
aspira a riacquistare libertà ed eguaglianza naturali, maturato nelle logge settecentesche, finirà per
incontrare, con esiti alterni, le rivoluzioni atlantiche, il sorgere di stati-nazione e il tentativo di unirli
in associazioni sovranazionali di arbitrato e difesa della pace. “
Dopo gli studi di Francovich, Giarrizzo e Ciuffoletti sulla massoneria settecentesca italiana ed
europea questo volume cerca dunque di delinearne una storia mondiale inserita nella vita culturale e
sociale del mondo occidentale, collocandosi autorevolmente nel filone più interessante degli studi
contemporanei a fianco di studiosi del calibro di Pierre-Yves Beaurepaire e Margaret Jacob.
La storia della massoneria è complessa e articolata risentendo fortemente del contesto culturale e
politico dei singoli paesi in cui essa opera. In Francia massoneria e sinistra (anche nella versione più
radicale) mantengono da sempre forti legami. Altrettanto si può dire dell'Italia fino al fascismo e
alla messa fuorilegge della massoneria (e immediatamente dopo dei partiti politici) nel 1925. Oggi
in Italia non è più così, ma in Francia nessuno si stupisce che il leader della sinistra radicale Jean-
Luc Mélenchon sia un membro del Grande Oriente di Francia. Una tradizione antica a cui una casa
editrice anarchica ha dedicato un interessantissimo volume che abbiamo trovato in rete e che
proponiamo accompagnandolo con la nota introduttiva degli editori.
* Introduzione alla presentazione del libro di Léo Campion, Le drapeau noir l'équerre et le compas,
Éditions Alternative Libertaire
Nostradamus, medico a Savona
Sei quartine di Nostradamus parlano di Savona, una cita esplicitamente Albisola e Carcare. Anche
ad una superficiale lettura viene da pensare ad una sua conoscenza diretta, di prima mano, del
territorio. Ed infatti Nostradamus soggiornò a lungo a Savona, fra il 1548 e il 1549. E' lui stesso a
raccontarlo in uno dei pochissimi cenni autobiografici della sua ampia produzione letteraria.
Nell'introduzione al suo Trattato di cosmetici e confetture del 1552 egli racconta come alla fine del
1548 venisse a Savona per studiare alchimia vegetale presso Antonio Vigerchio (Viglierchio)
“speziale e uomo dabbene”, tanto capace nella sua professione da meritare dall'università “palma o
alloro”, insomma una laurea honoris causa. Forse un accenno polemico al rifiuto del mondo
accademico di riconoscere ai farmacisti uno status pari a quello dei medici. Una chiusura che al
giovane Nostradamus era costata nel 1529 l'espulsione dalla facoltà di medicina dell'Università di
Montpellier per aver operato negli anni precedenti proprio come speziale.
Una presenza confermata dal primo storico savonese Giovanni Vincenzo Verzellino che nel suo
“Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri della città di Savona”, pubblicato nel
1885, ma scritto nei primi decenni del Seicento e dunque a ridosso dei fatti narrati, annota come «In
questo tempo medicava in Savona M. Michele Nostradamo medico francese eccellente
nell’astrologia il quale molte cose predisse».
D'altronde di un Antonio Viglierchio, speziale, parlano anche le “Cronache savonesi” di Giovanni
Agostino Abate che lo cita nell'elenco degli “artigiani che esplicano la loro arte senza aver bisogno
dell'usuraio” (e dunque in buone condizioni economiche) per l'anno 1565.
Buone condizioni economiche attestate anche da uno studio di qualche anno fa di Giuseppe Milazzo
da cui si evince come proprio in quegli anni (1545) Antonio Viglierchio possedesse a Savona, in
enfiteusi, la Cappella di San Saturnino e le due ville adiacenti, su quella che, fin dal Medio Evo, era
conosciuta col nome di collina dei Folconi e che oggi è conosciuta come via Privata degli Angeli.
Un edificio antichissimo, ancora oggi esistente anche se reso quasi invisibile dalla selva di
palazzoni che gli sono stati costruiti attorno negli ultimi decenni.
La Savona che Nostradamus trova giungendo dalla Provenza è una città devastata dall'occupazione
genovese, che da poco ha visto interrare il porto e distruggere la città vecchia e la cattedrale che
aveva tanto colpito per la sua bellezza Francesco Petrarca in viaggio verso la corte papale di
Avignone. Un contemporaneo, Ottobuono Giordano, notaio di origini savonesi rientrato in città
dopo aver passato gran parte della sua vita altrove, ci ha lasciato un drammatico resoconto della
vera e propria sensazione di straniamento causata dalla distruzione del Priamar. Tornato a Savona in
tarda età (70 anni), egli arrivando dal mare non riconosce più i luoghi della sua giovinezza tanto da
pensare che il padrone della barca l'abbia portato per errore in un altra località, ma
“alla fine accostandomi a terra paria e non paria quella... vidi il bello arsenale tutto ruinato, vidi il
vago molo tutto guasto, et afracasso ito, vidi il porto essere soleva tutto pieno et sopra v'erano case
fabbricate, del che restai così stupito che pareva un marmore, et ancora dubitava, che questo non
fosse il luoco per il quale m'era partito dal mio paese, ma sequendo oltre vidi la bella muraglia et
eminente torre tutte in ruina et abbandono che mi fu un coltello al cuore, talche appena poteva
favellare”.
E' in questo quadro di rovine che Nostradamus svolge la sua attività di studioso e di medico e con
risultati tali da attirare clienti anche da lontano. Egli ricorda come sulla base dei consigli del
Viglierchio avesse confezionato un unguento miracoloso per curare l'arrossamento delle pelle che in
una sola notte aveva guarito la moglie di un certo Messer Bernardo Grasso e la fidanzata di Messer
Giovanni Ferlino, di Carmagnola.
Un successo crescente tanto che nel 1549, appena prima di ripartire per Salon, Nostradamus riceve
dal Marchese di Finale l'incarico di curare la sorella Benedetta, non sappiamo colpita da quale
afflizione, che egli guarisce con un rimedio a base di pinoli tostati.
Una ricetta inserita nel Trattato sui cosmetici e le confetture che egli compila non appena tornato a
Salon e che esplicitamente presenta come il frutto più alto dell'intero suo percorso di ricerca e di
studio. Un'arte medico-farmacologica che il grande luminare era venuto ad apprendere a Savona.
Nel 1945-47 rapporti intensi legarono il Grande Oriente d'Italia di Guido Laj e il Partito
comunista di Palmiro Togliatti. Una pagina interessante della storia italiana del dopoguerra,
ancora oggi poco conosciuta.
Ricostituitasi all'indomani della caduta del fascismo, già nei primi giorni del governo Badoglio la
Massoneria comincia a riorganizzarsi, alla luce del sole nei territori liberati dagli Alleati,
clandestinamente nella parte d'Italia ancora occupata dai tedeschi. Logge clandestine nascono a
Roma, Milano e nelle più importanti città italiane, mentre molti Liberi Muratori partecipano
attivamente alla Resistenza. Una lotta a cui la Massoneria versò un pesante contributo di sangue a
partire dai 18 massoni romani trucidati nell'eccidio delle Fosse Ardeatine.
Una opposizione ben nota a Mussolini e al governo della Repubblica Sociale, tanto che Giovanni
Preziosi, Ispettore generale per la demografia e la razza della RSI, nell'agosto 1944 giunge a
proporre la pena di morte mediante fucilazione per i massoni clandestini e Julius Evola, dopo esser
volato già nel settembre 1943 al Quartier Generale di Hitler per ricevere disposizioni, si stabilisce a
Vienna dove opera attivamente fino all'arrivo dei russi e alla fine delle ostilità al servizio dell'ufficio
speciale delle SS incaricato della liquidazione definitiva della Massoneria nei territori occupati dalle
armate del Reich.
Quella che rinasce dopo il ventennio fascista, che aveva visto la devastazione delle logge e la messa
fuorilegge dell'istituzione, è dunque una massoneria che guarda a sinistra, al Partito repubblicano di
Randolfo Pacciardi e al Partito socialista di Nenni, ma anche ai comunisti. Soprattutto dopo la fine
dell'effimera esperienza del Partito democratico del lavoro prima e dell'Unione Democratica
Nazionale poi, il Grande Oriente d'Italia si volge decisamente a sinistra. Netta è la preclusione
antifascista, mentre forti sono le preoccupazioni per una Democrazia cristiana che presenta forti
elementi di integralismo religioso.
In quest'ottica già dalla primavera 1945 contatti vengono stretti con il Partito comunista a cui il GOI
fa pervenire tramite un alto dignitario del Rito Scozzese, materiali interni e circolari. Significativa è
anche la presenza massonica nelle fila del partito di Togliatti: solo a Roma i massoni iscritti al
partito sono tra i 100 e i 150. Altrettanto forte l'interesse del PCI per le vicende, invero piuttosto
travagliate (sono operanti diversi gruppi massonici che si combattono aspramente), della Libera
Muratoria italiana. In un documento, conservato presso la Fondazione Istituto Gramsci,
contrassegnato dalla dicitura a penna “segreto”, si stabilisce di “introdurre nella massoneria un certo
numero di compagni allo scopo di influenzarne l'indirizzo politico; cosa non solo possibile data la
situazione interna della massoneria, ma particolarmente opportuna dato che la M. ha una certa
influenza sui ceti medi (piccola borghesia radicale)”.
Con molta spregiudicatezza il Pci apre alla Massoneria. Così il 10 marzo 1946 lo stesso segretario
Palmiro Togliatti tiene alla Normale di Pisa una prolusione su Giuseppe Mazzini, con Garibaldi
figura di riferimento fondamentale per la Massoneria italiana, in cui esalta la figura dell'esule come
il più grande riformatore italiano dell'Ottocento. “Mazzini – afferma Togliatti – giganteggia perchè
la sua intuizione riformatrice e le sue idee riformatrici sono inserite in una concezione generale del
mondo e della vita dalla quale egli ricava una direttiva per l'azione”. Concezione generale del
mondo e della vita, sia detto per inciso, che il Grande Oriente rivendicava orgogliosamente come
propria fin dalla sua fondazione all'indomani dell'unità d'Italia.
Approcci che inquietano le autorità, massoniche e non solo, americane, ormai entrate nell'ottica
dell'incipiente guerra fredda. Chiarimenti in merito vengono chiesti al GOI, che è in attesa di
riconoscimento, anche su pressioni insistenti di gruppi massonici concorrenti come il gruppo diretto
da Liborio Granone che, allo scopo di accreditarsi come il più filoamericano, invia lettere di fuoco
alla Gran Loggia di New York per denunciare le compromissioni del GOI con i comunisti.
Nonostante le preoccupazioni americane il Grande Oriente insistette a puntare sulla sinistra nel suo
complesso e in particolare sul Pci perchè la Repubblica in via di definizione costituzionale nascesse
laica e aconfessionale e dunque per il rigetto degli accordi fra Stato e Chiesa negoziati da Mussolini
nel 1929, i famosi Patti lateranensi. In questo senso,il Gran Maestro del GOI, Guido Laj, inviò un
proprio delegato al Pci proponendo un patto di collaborazione su tre punti: lotta all'integralismo
clericale, divorzio e scuola laica. Lo stesso Laj alla vigilia del voto alla Costituente si recò
personalmente da Togliatti per comunicargli che “la massoneria non poteva neppure considerare
l'ipotesi che i patti del Laterano potessero essere recepiti nella Costituzione”. Togliatti gli assicurò
che il Pci era fermamente della stessa opinione, ma il giorno dopo, rompendo con socialisti e laici, i
rappresentanti comunisti votarono compatti assieme alla DC per l'inserimento.
Come sottolinea Giuseppe Vacca nel suo recentissimo lavoro su comunisti e democristiani nel
“lungo dopoguerra” a Togliatti interessavano le masse cattoliche per l'influenza che avrebbero
potuto esercitare sui vertici della gerarchia ecclesiastica in funzione filocomunista all'interno e
filosovietica all'estero. Un lucido tentativo di inserire una zeppa nel fronte occidentale e staccare la
Chiesa dalla logica della Guerra fredda e dall'abbraccio con Washington. In quest'ottica, avallata dai
sovietici e da Stalin, anche il momentaneo idillio con il Grande Oriente d'Italia poteva essere
tranquillamente sacrificato.
I massoni si sentirono traditi e ci restarono male, ma non per questo cessarono di auspicare
l'adozione di una decisa politica riformatrice da parte di tutta la sinistra Pci compreso. Illusioni
spazzate vie nel breve arco di due anni dagli sviluppi della situazione nei paesi dietro la cortina di
ferro dove la massoneria veniva messa fuorilegge e perseguitata con la stessa durezza usata dai
regimi fascisti filonazisti durante la guerra. Anche per i massoni il punto di rottura fu rappresentato
dai fatti cecoslovacchi dell'inizio 1948 con l'assassinio del primo ministro Jan Masaryk, la presa del
potere del Pc e la messa fuorilegge della massoneria, molto influente nel paese, di cui Masaryk era
stato un illustre esponente. Da allora non ci furono più rapporti con il Pci, anche se non pochi
massoni restarono iscritti al partito.
Nata a Londra nel 1717 la Massoneria moderna si diffuse presto anche in Italia portata da
viaggiatori e commercianti inglesi. Venezia fu, con Firenze e Livorno, una delle prime città in cui la
nuova società si diffuse negli ambienti intellettuali che guardavano alla rivoluzione dei lumi. Come
ogni parto, anche la nascita della Massoneria non fu indolore: ben presto fioccarono le accuse di
empietà. sovversione, segretezza. Qualcuno, come Giacomo Casanova, finì in carcere, altri, come
Carlo Goldoni, ne presero le difese. Nonostante il mito del “segreto” (che dura ancora) la Libera
Muratoria divenne argomento di articoli, opere teatrali, dipinti e persino giardini.
Nella seconda metà del Settecento, soprattutto tra il 1770 e il 1780, cominciò a diffondersi nel
Veneto il gusto per il giardino all’inglese o pittoresco. "Non più teatro di feste e di spettacoli con
gran concorso di pubblico, come in epoca barocca, il giardino divenne luogo preposto alla
meditazione dotta, meta di passeggiate solitarie o in compagnia di piccoli e selezionati gruppi di
amici. Con l’abile manipolazione dell’elemento naturale, degli alberi che venivano appositamente
selezionati, dei corsi d’acqua, delle rocce, e con la creazione di false rovine, di labirinti, di
padiglioni architettonici riproducenti diversi stili del passato, dal gotico al cinese, dal rustico al
moresco, di sculture e iscrizioni, il visitatore veniva guidato in una passeggiata didattica e si
immergeva in una rappresentazione che poteva essere storica, letteraria, filosofica o, con appositi
filtri atti a conservare il segreto, di ambito massonico". (B. Mazza Boccazzi, Simbologia massonica
nel giardino veneto tra Settecento e Ottocento, Studi Veneziani, 2002)
Ma i giardini non sono l'unico indizio della presenza della istituzione massonica nella Serenissima
Repubblica di San Marco. Tracce evidenti di simbologia massonica si riscontrano anche negli
affreschi di Giambattista Tiepolo che adornano le sale del Palazzo Marchesini-Valle a Vicenza.
Affreschi realizzati su committenza del massone Giorgio Marchesini tra il 1750 e il 1760.
Le prime notizie sull'esistenza di logge sul territorio della Repubblica di San Marco risalgono
intorno al 1730. Per quanto riguarda Venezia il Francovich fa coincidere il sorgere di una prima
loggia con la permanenza nella città lagunare di Thomas Howard, duca di Norfolk, Gran Maestro
della Gran Loggia di Londra. Una loggia raggruppante soprattutto residenti inglesi. Sempre il
Francovich ipotizza che nel 1738, in concomitanza con la bolla "In Eminenti" di Clemente XII, le
logge veneziane venissero chiuse d'autorità per riformarsi segretamente immediatamente dopo. E'
solo nel 1746 che si inizia ad avere notizie certe sulla presenza in città di una loggia sempre inglese.
Parte importante in questa storia ebbe il veneziano Giacomo Casanova. Ricordato come seduttore e
giocatore, casanova fu un autorevole esponente della massoneria europea di cui fu uno dei
principali agenti. Racconta Francovich come "il suo costante viaggiare dalla Spagna alla Russia,
dall'Inghilterra all'Olanda e alla Germania fosse giustificato anche dalla funzione di agente segreto
della confraternita. Egli stesso allude più volte a questo suo segreto". (C. Francovich, Storia della
Massoneria in Italia dalle origini alla rivoluzione francese, La Nuova Italia, 1975)
Nelle sue Memorie l Casanova racconta di essere stato iniziato alla Libera Muratoria a Lione nel
1751. "Due mesi dopo ricevetti a Parigi il secondo grado e, alcuni mesi dopo ancora il terzo, quello
di maestro, che è il massimo. Tutti gli alti titoli che mi fecero prendere in seguito, sono garbate
invenzioni, di valore simbolico, che nulla aggiungono alla dignità di maestro".
Rientrato a Venezia nel maggio del 1753, egli entra in stretto contatto con il console inglese John
Murray e con Joseph Smith, animatori della loggia massonica operante nella città lagunare,
composta in prevalenza da inglesi, ma anche da patrizi e borghesi veneziani. Cosa ben nota in città,
tanto da destare curiosità e interesse nei salotti e fra i cittadini. Lo testimonia il fatto che in pochi
mesi fra il 1753 e il 1754 ben due commedie trattarono l'argomento, prendendo le difese della
società attaccata pesantemente dalla Chiesa e dall'Inquisizione come eretica e sovversiva.
"Le donne curiose" di Carlo Goldoni
"Coss'è sto arcano? Qua no se fa scondagne, no se dise mal de nissun, né se offende nissun. Ecco
qua i capitoli della nostra conversazion. Sentì se i pol esser più onesti, sentì se ghe xe bisogno de
segretezza.
«Che non si riceva in compagnia persona che non sia onesta, civile e di buoni costumi».
«Che ciascheduno possa divertirsi a suo piacere in cose lecite e oneste, virtuose e di buon esempio».
«Che si facciano pranzi e cene in compagnia, però con sobrietà e moderatezza; e quello che
eccedesse nel bevere, e si ubbriacasse, per la prima volta sia condannato a pagar il pranzo o la cena
che si sarà fatta, e la seconda volta sia scacciato dalla compagnia».
«Che ognuno debba pagare uno scudo per il mantenimento delle cose necessarie, cioè mobili, lumi,
servitù, libri e carta ecc.».
«Che sia proibita per sempre la introduzion delle donne, acciò non nascano scandali, dissensioni,
gelosie e cose simili».
«Che l'avanzo del denaro che non si spendesse, vada in una cassa in deposito, per soccorrere
qualche povero vergognoso».
«Che se qualcheduno della compagnia caderà in qualche disgrazia, senza intacco della sua
riputazione, sia assistito dagli altri, e difeso con amore fraterno».
«Chi commetterà qualche delitto o qualche azione indegna, sarà scacciato dalla compagnia».
(E questo el xe el più grazioso, el più comodo de tutti). «Che sieno bandite le cerimonie, i
complimenti, le affettazioni: chi vuol andar, vada, chi vuol restar, resti, e non vi sia altro saluto,
altro complimento che questo: amicizia, amicizia». Cossa ghe par? Èla una compagnia adorabile?"
E' possibile che Goldoni fosse entrato in contatto con ambienti massonici durante il suo soggiorno
in Toscana del 1744-48 e che quindi fosse stato spettatore diretto delle polemiche ivi sorte proprio
in merito ai fini "occulti" dell'associazione. Infatti, proprio in quegli anni, un ex benedettino ed ex
massone senese, Giovanni Gualberto Bottarelli aveva pubblicato anonimamente due libelli che
avevano suscitato grande scalpore in tutta Europa: L'Ordre des Francs-Maçons trahi, et le secret des
mopses revelé (1745) e Les francs-Maçons écrasés (1746) in cui si rivelavano i rituali della
Massoneria e si sosteneva che essa fosse stata fondata dal rivoluzionario inglese Oliver Cromwell
con l'intento di sovvertire l'ordine politico esistente, abbattere le monarchie e instaurare il
comunismo.
Nel 1746 poi era apparso Relazione della Compagnia de' Liberi Muratori di Valerio Angiolieri
Alticozzi, gentiluomo di Cortona, in cui l'autore conferma l'esattezza delle notizie sui rituali
pubblicate dal Bottarelli, ma nega che la Massoneria abbia fini eversivi. Quando questo libro uscì
Goldoni viveva a Firenze e deve averne avuto conoscenza diretta. Prova ne sia che l'Alticozzi
racconta la storia di una giovane ginevrina, mademoiselle Chantillon, che gelosa del suo innamorato
massone, vestita da uomo tenta di penetrare nella sua loggia e di farsi addirittura iniziare. La
coincidenza dei particolari con quanto rappresentato ne Le donne curiose è tale da escludere
ragionevolmente che si tratti di semplice casualità.
Gli indizi di stretti rapporti fra il commediografo veneziano e la Massoneria sono numerosi e paiono
confermare l'appartenenza di Goldoni all'istituzione liberomuratoria. Dato non sorretto da prove
documentali e di conseguenza rifiutato da una parte degli studiosi, ma, come si diceva, suggerito da
numerosissimi indizi. Oltre quanto scritto nelle Memorie, molti suoi amici e conoscenti erano
massoni, fra i quali proprio i gentiluomini inglesi amici di Casanova. Scrive a questo proposito
Francovich: "Non sappiamo se lo stesso Goldoni facesse parte della loggia veneziana; documenti in
merito non esistono. Ma la lunga amicizia con Parmenione Trissino, venerabile della loggia di
Vicenza, e con molti altri patrizi veneziani, che figureranno nell'elenco dei massoni del 1785,
farebbero propendere per il si. (...) Nella sospettosa Repubblica di San Marco prendere apertamente
le difese di una società segreta. Doveva richiedere un certo coraggio, che a nostro avviso, si
giustifica meglio come autodifesa". E ancora: "Le prudenti ma chiare affermazioni di democrazia
che si possono leggere ne Le donne curiose, sono perfettamente in chiave con i principi della libera
muratoria inglese".
L'anno successivo (1754) uscì a Venezia I Liberi Muratori, un'altra commedia il cui carattere
muratorio è esplicito già nel titolo. L'opera, che stranamente non fu mai rappresentata in teatro,
ebbe però un certo successo nelle librerie tanto da essere dopo pochi mesi ristampata e poi ancora
ripubblicata nel 1785.
L'autore era Francesco Griselini, figura di modeste origini ma di non secondaria importanza
nell'ambito dell'illuminismo italiano, intellettuale multiforme (pittore, commediografo, studioso di
filosofia e di scienze naturali d economiche, giornalista), sicuramente massone. Il Griselini usa per
firmare l'opera l'anagramma Ferling Isaac Crens "fratello operaio della loggia di Danzica" e pone
come località di stampa la città di Libertapoli. In apertura pone una dedica a Aldinoro Clog,
anagramma questa volta di Carlo Goldoni.
Anche questa commedia, di scarsissimo per non dire inesistente valore artistico, tratta di donne
curiose che tentano di penetrare in una loggia per scoprirne i segreti. Ma Griselini non si limita
come il più illustre collega a mettere in ridicolo le dicerie anti massoniche, ma descrive con dovizia
di particolari gli arredi e gli oggetti della loggia, l'insediamento del nuovo Maestro Venerabile. La
precisione con cui egli descrive le varie fasi del cerimoniale mostrano chiaramente la volontà di far
conoscere ai profani cosa sia veramente la Massoneria in modo da rendere evidente l'infondatezza
delle accuse di segretezza e di comunismo.
Illuminante è il discorso del Segretario nella quarta scena del quinto e ultimo atto in cui questi
dichiara:
“Vi sono poi certi maligni che ci giudicano come persone che nodriscono delle massime opposte
alla pubblica quiete, contrarie agli interessi de' principi (...) rivolte a studiare il modo di (...)
rivolgere il sistema delle presenti dominazioni, riduceno il mondo a un'universale repubblica, ove
tutti servano e comandino, che il tutto sia di tutti (...) [Costoro] non s'avvedono che, se la nostra
società covasse un pensamento così contrario alle mire politiche del principato (...) non verressimo
tolerati in qualche città dove le nostre loggie si possono mostrare a dito? Con queste prevenzioni in
vienna ed in Napoli non che a Berna furono sorprese delle loggie con i franchi muratori radunati.
Furono carcerati; ma, conosciuta la loro innocenza e ch'essi non nutrano cattive intenzioni, furono
riposti incontinente il libertà".
Ma chi sono allora i massoni per Griselini? La risposta va ben oltre a quanto affermato dal Goldoni
che aveva in qualche modo ristretto il fine della Massoneria al semplice perfezionamento morale
individuale da raggiungersi attraverso l'amicizia e le buone opere, per assumere valenza sociale e
dunque, nonostante le stesse affermazioni dell'autore, politica.
I Liberi Muratori sono "un ceto di persone illustri, che altro non annidano nella loro mente che idee
magnanime e sublimi. Aspirano a far rinascere nel mondo l'età felice dell'oro, ed a sbandire la
miseria e la povertà dal consorzio umano"
Dunque in pochi mesi ben due opere teatrali trattano della Massoneria e questo non passò di certo
inosservato agli ambienti conservatori e filo papali, rinfocolando sospetti e paure. Come non passò
sotto silenzio che nella polemica allora in corso fra Carlo Goldoni e l'ex gesuita Pietro Chiari sugli
ambiti e gli scopi della "Commedia" e in cui il primo sostiene contro la stanza riproposizione della
vecchia commedia dell'arte fatta di personaggi stereotipati una nuova commedia capace di
rappresentare la società borghese in formazione, il massone dichiarato Giacomo Casanova si schieri
apertamente a fianco dell'amico usando toni irridenti nei confronti del teatro dell'abate Chiari
considerato semplice riproposizione di temi e situazioni ormai da tempo superate, sterile "copiar
carte".
Paure e sospetti, aizzati dalla corte papale e dalle stesse gerarchie ecclesiastiche venete, che finirono
infine per scaricarsi sull'anello più debole e al tempo stesso più noto della catena massonica, quel
Giacomo Casanova, libertino e presunto baro, accusato di spingere i giovani all'ateismo con le
parole e l'esempio della sua vita dissoluta.
"... essendomi portato questa mattina alla di lui casa... mi fece vedere una pelle bianca, che aveva in
detto baule, in forma di una piccola traversa da potersi cingere alla vita, le ho domandato in che se
ne servisse, mi rispose che quella si usa quando si va in un certo luogo, ove si adoperano anche dei
ferri, et un abito nero, le ricercai dove fossero i ferri e l'abito, mi disse che si tengono nella loggia,
perchè di troppo pericolo sarebbe tenerli in casa".
Sulla base di rapporti come questo di spie e informatori, Giacomo Casanova fu arrestato e
interrogato; davanti ai giudici si comportò con coraggio: ammise la sua appartenenza alla
Massoneria, ma rifiutò di rivelare agli inquisitori notizie sui riti e i partecipanti. Fu così condannato
a cinque anni di carcere da scontare ai Piombi, dai quali riuscì a fuggire forse con l'aiuto dei
"fratelli" quindici mesi dopo il suo arresto.
Al di là degli aspetti più legati alla discussa e contraddittoria figura dell'avventuriero veneziano,
questo processo riveste grande importanza per gli storici delle origini della Libera Muratoria in
Italia confermando la presenza di una loggia a Venezia in quegli anni e come ciò venisse vissuto
come una possibile minaccia per l'ordine costituito. Situazione destinata a durare con alti e bassi
fino all'arrivo alla fine del secolo delle truppe francesi e al formarsi di quelle logge napoleoniche
destinante a diventare poi all'inizio del XIX secolo il primo Grande Oriente d'Italia.
Custode di misteri e portatore di luce, San Giovanni è anche il santo della Libera Muratoria che accomuna in
un'unica simbologia l'Evangelista e il Battista. Una storia che inizia nel Medioevo con i costruttori di
cattedrali.
Abbiamo già avuto modo di notare come il carattere misterico della figura di San Giovanni abbia da
sempre attirato l'interesse degli esoteristi. In particolare si è accennato al fatto che, allo stesso tempo
custode di misteri e portatore di luce, San Giovanni è anche il santo della Libera Muratoria che
accomuna in un'unica simbologia l'Evangelista e il Battista e ciò da ben prima della nascita
nell'Inghilterra del Settecento della Massoneria moderna. La cosa può stupire: abituati come siamo
a pensare alla Massoneria come a qualcosa di lontano, se non addirittura di avverso alla religione,
viene immediatamente da domandarsi cosa ci faccia un santo cristiano in una loggia massonica.
La domanda è legittima, ma solo se ci si limita alla posizione di condanna della Chiesa cattolica che
nel 1738 con la bolla papale detta In Eminenti Apostolatus Specula proibì ai fedeli l'adesione senza
peraltro spiegarne i motivi. (46) Ben diversa la situazione del mondo protestante, tanto che uno dei
padri della Massoneria moderna, quel James Anderson autore nel 1723 delle Costituzioni
massoniche ancora oggi in vigore, risulta essere stato un importante esponente della chiesa
presbiteriana. E forse, come qualcuno ha ipotizzato, la proibizione papale derivò proprio dal
sospetto che la rapida diffusione delle logge anche nel mondo cattolico fosse il frutto di oscure
manovre da parte della corte protestante d'Inghilterra. Ma se si approfondisce la conoscenza dei
principi massonici svanisce ogni motivo di stupore. E' sufficiente la lettura del primo articolo delle
Costituzioni, quello «Concernente Dio e la religione». Il testo è chiarissimo:
“Un muratore è tenuto per la sua condizione a obbedire alla legge morale; e se intende rettamente
l’Arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso. Ma sebbene nei tempi antichi i
Muratori fossero obbligati in ogni Paese ad essere della religione di tale Paese o Nazione, quale essa
fosse, oggi peraltro si reputa più conveniente obbligarli soltanto a quella Religione nella quale tutti
gli uomini convengono, lasciando loro le loro particolari opinioni; ossia essere uomini buoni e
sinceri o uomini di onore ed onestà, quali che siano le denominazioni o le persuasioni che li
possono distinguere; per cui la Muratoria diviene il Centro di Unione, e il mezzo per conciliare
sincera amicizia fra persone che sarebbero rimaste ad una perpetua distanza.” (47)
“Giano presiedeva i Collegia Fabrorum, depositari delle iniziazioni che, come in tutte le civiltà
tradizionali, erano legate alla pratica dei mestieri; ed è molto notevole che si tratti di qualcosa che,
lungi dall'essere scomparso con l'antica civiltà romana, si è prolungato senza soluzione di continuità
nel cristianesimo stesso (…). La successione degli antichi Collegia Fabrorum è stata del resto
singolarmente trasmessa alle corporazioni le quali attraverso l'intero Medioevo, hanno conservato lo
stesso carattere iniziatico, e in particolare a quella dei costruttori; essa ebbe dunque naturalmente
per patroni i due san Giovanni, e di qui viene la ben nota espressione di 'Loggia di San Giovanni',
conservata dalla massoneria, che è anch'essa precisamente la continuazione, per filiazione diretta,
delle organizzazioni di cui abbiamo parlato. Anche nella sua forma 'speculativa' moderna, la
massoneria ha comunque sempre conservato, come una delle testimonianze più esplicite della sua
origine, le feste solstiziali, dedicate ai due San Giovanni dopo esserlo state alle due facce di Giano;
ed è così che il dato tradizionale delle due porte solstiziali, con le sue connessioni iniziatiche, si è
mantenuto ancora vivo (…) fin nel mondo occidentale moderno.” (48)
Questa filiazione diretta dalle corporazioni muratorie medievali spiega perché tradizionalmente le
logge massoniche si chiamino “Logge di San Giovanni” e anche il motivo per cui proprio sulla
prima pagina del Vangelo di Giovanni si aprano i lavori in grado di Apprendista con la lettura del
versetto che recita: “In principio era il Verbo. E il Verbo era Dio. E il verbo era presso di Dio”.
Coerentemente con questa tradizione per secoli gli antichi Liberi muratori tennero le loro più
solenni riunioni nella giornata del 24 giugno, festa di San Giovanni, come attestato da documenti
inglesi del 1427, 1501 e 1561. E' dunque in assoluta fedeltà alla tradizione dell'Arte che proprio il
giorno 24 giugno fu prescelto nel 1717 per la costituzione della nuova Gran Loggia d'Inghilterra,
“Loggia Madre” di tutte le associazioni massoniche moderne.
In un lavoro dedicato proprio ai rapporti fra Massoneria e mito giovanneo, Louis Trebuchet, alto
esponente della Massoneria francese e autore di importanti ricerche sulle origini dei miti e dei riti
massonici, mette l'accento più che sulle motivazioni storiche su quelle iniziatiche. Secondo questa
interpretazione la figura di San Giovanni simboleggia il cammino verso la Luce, obiettivo
fondamentale di ogni massone:
“Dai tempi più antichi, e ben prima del celebre San Giovanni Battista del 1717, la vita dei Liberi
Muratori è ritmata dalle feste di San Giovanni: San Giovanni Battista , il San Giovanni d'estate, il
24 giugno, e San Giovanni Evangelista, il San Giovanni d'inverno, il 27 dicembre, solstizio
d'inverno e solstizio d'estate. Ancora oggi, oltre agli aspetti storici, il nostro banchetto annuale e la
nostra festa solstiziale, ritmi e riti fondamentali del nostro anno massonico, sembrano significare
simbolicamente un ritmo fondamentale del nostro lavoro massonico che giustifica pienamente il
fatto che noi ci ricolleghiamo alla Loggia di San Giovanni. I nostri due San Giovanni, eredi del
mito, antico come l'agricoltura, del Dio che muore col grano al Solstizio d'inverno per rinascere con
le messi al Solstizio d'estate, ci indicano le due modalità del nostro cammino verso la Luce,
semenza e messi, morte e vita, pensiero e azione. L'una, festa del Solstizio d'inverno, ci apre la via
del Gabinetto di Riflessione, dell'approfondimento interiore, dello spogliarsi dei metalli, il lavoro
silenzioso su se stessi; l'altra, festa del Solstizio d'estate, ci porta a testimoniare, a agire, a costruire
la nostra opera. Ma come a San Giovanni d'inverno i giorni cominciano a crescere annunciando il
San Giovanni d'estate che condurrà poi di nuovo al San Giovanni d'inverno, la vita del Massone non
è probabilmente che una interazione perpetua dell'approfondimento e dell'apertura, come una
respirazione fatta d'inspirazione e di espirazione quando si apre davanti a lui il vasto ambito del
pensiero e dell'azione.” (49)
La Massoneria, nelle forme in cui è oggi conosciuta e praticata dai Corpi regolari, nasce dunque nel
segno di San Giovanni, riprendendo miti, simboli e riti delle antiche corporazioni muratorie
medievali. Esistono addirittura riti, come lo Svedese (codificato fra il 1775 e il 1811 su basi
neotemplari), che prevedono un grado esplicitamente gioannita, quello di Illuminato confidente di
San Giovanni. Il 27 dicembre e il 24 giugno, feste solstiziali dei due San Giovanni, rappresentano le
principali ricorrenze massoniche, celebrate con riti suggestivi riguardanti i temi archetipali del
fuoco e della luce. (50) Particolarmente significativo il rituale utilizzato nella ricorrenza del
solstizio d'estate che si conclude con il dono ai convenuti di una rosa, immagine della
manifestazione dell'Uno che si dispiega nel molteplice, simbolo del tempo che scorre, dell'eterno
fluire della vita. (51) Perché, come ha ben intuito il poeta Thomas Stearns Eliot, il fuoco e la rosa
sono manifestazioni dello stesso Principio:
“E tutto sarà bene, e
ogni sorta di cose sarà bene
quando le lingue di fuoco s'incurvino
nel nodo di fuoco in corona
e il fuoco e la rosa sian uno.” (52)
46. “Per giusti e razionali motivi a Noi noti” è l'espressione utilizzata da Benedetto XIV per
motivare la promulgazione della Bolla.
47. Le Costituzioni del 1723: http://lamelagrana.net
48. Guénon, Simboli della Scienza sacra, cit., pp. 213-215.
49. Louis Trebuchet, Les deux Saint Jean, un mythe pluri-millenaire, in: “Les Mistères de Saint-
Jean”, Points de Vue Iniziatiques, n.134, Hiver 2004.
50. Per un approfondimento della materia: Paul Naudon,Le Logge di San Giovanni e la filosofia
esoterica della conoscenza, Roma, Atanor, 1997.
51. Al simbolismo della rosa, fiore mistico per eccellenza, Alfredo Cattabiani dedica l'apertura del
suo libro sul simbolismo dei fiori e delle piante. A. Cattabiani, Florario, Milano,Oscar Mondadori,
998, pp. 15-42.
52. Thomas Stearns Eliot, Quattro quartetti, Milano, Garzanti, 1994, p. 81.
In una prima fase di vita, durata quasi dieci anni, Vento largo ha funzionato come cassa di risonanza
per articoli, tesi, proposte culturali, che non necessariamente ricalcavano il mio pensiero, ma che
ritenevo essere possibili buoni spunti di riflessione o validi contributi alla discussione. Questa
seconda fase, determinata da una traversia legale su cui non ritorniamo, sarà invece maggiormente
incentrata su quello che è, o che è stato in altri periodi del mio percorso personale e culturale, il mio
pensiero. Il che ovviamente non impedirà di dare spazio ad altre voci, ma ponendo la massima
attenzione a evitare il ripetersi di nuovi conflitti legati al copyright.
Vista le buona accoglienza fatta al libriccino sui Fuochi di San Giovanni, presenterò nei prossimi
giorni come lettura estiva un altro libriccino, da sempre introvabile, apparso una quarantina di anni
fa, in cui si ricostruisce la storia, anche leggendaria, della Massoneria di mestiere, dalle origini alla
fondazione della Gran Loggia d'Inghilterra nel giorno di san Giovanni del 1717.
Si tratta di un'opera giovanile e di carattere divulgativo, oggi non la scriverei più così, ma che,
credo, possa ancora risultare di un qualche interesse soprattutto per chi di questi temi conosce il
poco che se ne scrive, e spesso assai malamente, sui giornali.
Iniziamo oggi con la pubblicazione della copertina, che già da sola meriterebbe un libro intero, e
che rappresenta l'iniziazione rituale di Compagni d'Arte ad opera di Pierre d'Aubusson, Gran
Maestro dell'Ordine degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme. La scena si svolge nel 1480
nell'isola di Rodi, sede generale dell'Ordine, assediata dalla flotta turca che si intravvede sullo
sfondo, mentre ci si affretta a rialzare e a rafforzare le mura di difesa della città e del porto.
Davanti ai Fratelli, riuniti “in piedi e all'ordine”, il Gran Maestro tocca ritualmente con il bastone,
simbolo della sua “dignità magistrale”, sulla spalla un Apprendista elevandolo al grado di
Compagno.
Primo capitolo di un lavoro, scritto alla fine degli anni 70 e pubblicato nel 1980. Una precisazione
è doverosa: in questi quasi 40 anni la ricerca storica sulle origini della Massoneria ha fatto passi
da gigante, il testo è quindi da considerarsi datato, come peraltro dimostrano i testi citati, i più
recenti dei quali sono degli anni '70.
I rappresentanti delle quattro logge londinesi che il 24 giugno 1717 si riunirono per costituire la
“Grande Loggia d'Inghilterra”, non avrebbero di certo mai potuto immaginare che la loro decisione
avrebbe suscitato nei secoli a venire tali e tante discussioni e fatto versare così cospicui fiumi
d'inchiostro.
Da quella data, e sono trascorsi oltre due secoli e mezzo, gli studiosi di cose massoniche non hanno
mai cessato di disputare aspramente tra loro sulle autentiche origini dell'associazione libero
muratoria. Anzi col trascorrere dei secoli il clamore è divenuto tale che, come è stato detto,
«approfondire gli studi storici sulla Massoneria vuol dire percorrere una strada in un labirinto. Di
più in un'infinità di labirinti. Perché, quanto più grande è il numero dei lavori storici sulla
Massoneria, tanto più sono i pareri degli autori». 1
Sull'esiguità dei dati storici certi, leggende e miti hanno potuto proliferare, colmando i vuoti
storiografici più con la fede nell'Istituzione che con i frutti di una ricerca rigorosa e documentata.
Tanto che uno studioso della levatura di Giordano Gamberini si è sentito in dovere di precisare,
proprio nei confronti di una tale storiografia, come il compito dei Massoni fosse di rappresentare il
proprio passato e non di giustificarlo rispetto ai propri presupposti teorici. 2
A intorbidare le acque dettero, tuttavia, non poca mano gli stessi padri fondatori che, nel ricostruire
le vicende della Libera Muratoria non diedero di certo prova di eccessiva prudenza. Essi, infatti,
mentre da un lato non si diedero soverchia pena di spiegare come e perché le quattro logge
londinesi fossero pervenute in quel lontano 1717 alla decisione di compiere un passo di importanza
storica, quale la creazione di una Gran Loggia Madre con giurisdizione sul mondo intero; diedero
per quanto attiene alle origini della neo-costituita associazione libero sfogo alla loro fantasia,
sostituendo la leggenda alla storia, il mito alla realtà.
Già nel 1723 il reverendo James Anderson si acquistava il titolo di «primo grande storico della
Massoneria», facendo seguire alle Costituzioni che portano il suo nome, un lungo documento nel
quale si pretendeva ricostruire integralmente la storia dell'associazione. Nel testo si faceva risalire la
fondazione della Massoneria ad Adamo, per passare poi a Seth, ai profeti, al re Salomone, agli
assiri, agli Egiziani, ai greci, ai Romani che infine avrebbero introdotto l'arte reale in Inghilterra. 3
All'Anderson seguirono miriadi di “ricercatori”, animati dal fiero proposito di nobilitare la Libera
Muratoria da poco fondata, riscoprendone antichissime origini addirittura situate in una sfera extra-
umana. Tra tutti costoro spiccano certamente per inventiva autori quali William Preston che, nella
sue “Illustrations of Masonry», pubblicate a Londra nel 1772, ne collocò le origini all'epoca della
creazione; o il dottor George Oliver, autore nel 1823 di un ponderoso “Antiquities of Green
Masonry”, in cui si possono leggere affermazioni del calibro della seguente: «La nostra istituzione
già esisteva in diversi sistemi solari, prima della creazione del globo terrestre». 4
Altri, in polemica con la tradizione corporativa, democratica ed egualitaria della Massoneria
inglese, favoleggiarono di una discendenza aristocratica e cavalleresca dell'associazione, onde fare
appello alla nobiltà europea. Così il Ramsay potè nel 1737 proclamare le origini crociate della
Libera Muratoria ed il barone von Hund creare le premesse col suo Regime della Stretta Osservanza
della cosiddetta Massoneria Templare.
Altri ancora, espressione dei circoli misteriosofici in voga nel XVIII e XIX secolo, videro i Massoni
come gli eredi dei grandi iniziati dell'antichità, dagli Atlantidei, ai sacerdoti egizi, dai filosofi
pitagorici ai mistici Rosa Croce.
Questo inconscio desiderio di nobili progenitori pervade anche ricercatori a noi contemporanei. Ne
è prova tra le altre l'opera del Ventura, il quale sulla base degli studi del Keller 5, a cui tuttavia
rimprovera di aver dato «all'umanesimo massonico carattere cristiano» 6, colloca la «culla della
Massoneria» in Roma nell'ambito delle Unioni culturali a sfondo iniziatico sorte nel II secolo a.C.
per opera di Publio Cornelio Scipione.
Oggi gran parte della critica storica è concorde nel relegare nel campo delle allegorie queste
interpretazioni tradizionali, per ricercare nel concreto divenire storico-economico della società
europea le vestigia dell'istituzione muratoria.
Così il Francovich che fonda storicamente l'ipotesi della derivazione della Massoneria moderna
dalle antiche corporazioni, derivazione temperata, tuttavia, dall'acquisizione di «finalità umanitarie
e filantropiche, le quali nulla hanno più in comune con il mestiere del muratore» 8; o l'Hutin per il
quale «la stessa parola frammassoneria evoca immediatamente l'idea di costruzione, di edificazione
progressiva» 9; o il Pontevia che ritiene «certa l'origine delle organizzazioni massoniche dalla
associazioni operaie dei muratori esistenti in Germania ed in Inghilterra». 10
Così, per concludere, il Moramarco, per il quale «la Massoneria non è nata né dai Rosacroce, né
tanto meno dai templari. L'evidenza storica depone a favore dell'ipotesi di una filiazione della
Massoneria “speculativa” dalla Massoneria “operativa” con un processo di intellettualizzazione le
cui tappe non ci sono note […]. Di più allo stato attuale della storiografia massonica, non si può dire
e non si deve dire». 11
(G. Amico, Dalla Massoneria di mestiere alla Gran Loggia d'Inghilterra, CSI, Ars Graphica, Savona
1980.)
La storia della Massoneria medievale è ricca di leggende. Oggi ne raccontiamo due, quella dei
Culdei e quella degli architetti Vichinghi. Non è leggendario invece il ruolo fondamentale svolto
nella preservazione della cultura classica (architettura compresa) dai monaci seguaci di San
Benedetto e San Colombano, così come la derivazione monastica del termine “Maestro
Venerabile” che ancora oggi contraddistingue chi dirige i lavori di loggia. Buona lettura.
Se per gli storici è ormai certa la derivazione delle organizzazioni massoniche dalle associazioni
operaie dei muratori sviluppatesi in Europa nell'alto Medioevo, meno sicura è la genesi di queste
associazioni che tuttavia dovettero essere antichissime.
Fin dall'epoca longobarda si ha notizia dell'esistenza nell'Italia del nord di una confraternita
muratoria, denominata dei «Maestri Comacini», della cui perizia architettonica sono rimaste poche
vestigia, sparse fra Lombardia e Piemonte. Di essi sappiamo che già nel 632 d.C., grazie all'editto di
Rotari, ottennero il riconoscimento di particolari «franchigie»: i membri della fratellanza erano
esenti da ogni obbligo o servitù feudali e godevano, cosa rarissima per i tempi, della più completa
libertà di circolazione.
Le notizie sicure sono, tuttavia, assai scarse. Non conosciamo con certezza neppure il significato
preciso del loro nome. Mentre tradizionalmente il termine «comacinus» viene fatto derivare dalla
città di Como, ad indicare il luogo d'origine della fratellanza, recentemente da più parti 12 è stata
proposta una diversa etimologia. Secondo questa tesi il termine «macinus» deriverebbe dalla radice
europea «mag» o «mak» (fare, foggiare), la stessa che sta all'origine di «massone» ed il prefisso
«co» indicherebbe invece l'organismo muratorio. Per cui «comacinus» non starebbe ad indicare il
luogo d'origine dei Maestri (nel cui caso sarebbe stato più corretto «comensis» o «comanus»), ma
l'appartenenza ad una compagnia di muratori.
Altrettanto misteriosa resta la fine di questa scuola artistica, di cui non si trova più traccia dopo il
IX secolo; probabilmente essa assunse caratteristiche stilistiche nuove confluendo nel grande alveo,
allora in piena espansione, dell'arte carolingia.
Ancora più sfocata appare la vicende dei «Culdei», un ordine di monaci-muratori irlandesi
fortemente intrisi di cultura druidica.
Mentre del monachesimo irlandese antecedente al Mille gli storici hanno saputo ricostruire
un'immagine pressochè completa – si conosce, ad esempio, come, partiti dall'Irlanda, San
Colombano e i suoi monaci fondassero monasteri in Belgio, in Borgogna, nelle Argonne, in
Piccardia, come entrassero in contrasto con Roma ed infine venissero assorbiti nel grande
movimento benedettino 13 – sul particolare fenomeno rappresentato dai Culdei i dati accertati
scarseggiano. A questo proposito ci serviamo delle notizie riportate dal Moreau nel suo «La
tradition celtique dans l'art roman» (Bordeaux 1963), pur premettendo che la ricostruzione dello
studioso francese non ci pare in qualche passaggio del tutto convincente:
“Verso il 926 – scrive il Moreau – i costruttori Kuldées ottennero una carta di franchigia e
formarono una società segreta contraria al papa, ma che restava tuttavia cristiana. Essi non
battezzavano nello stesso modo degli ordini religiosi sottomessi a Roma. Esisteva, anche in
Inghilterra, prima del X secolo, un'altra forma d'arco diversa dal tuttotondo. Ne rimane ancora
qualche vestigia in Scozia. Dopo la conquista normanna, Guglielmo il Conquistatore, cattolico
romano, è meno liberale dei suoi predecessori e impone la dottrina architettonica dei costruttori
romani. Molti Kuldées emigrarono sul continente, ove costituiscono società segrete per diffondere
le loro idee. Si uniscono così a San Bernardo. Si sa che egli non era affatto infeudato a Roma e
conservava un'assoluta indipendenza in architettura.
Certe abbazie da lui edificate, in particolare quella di Loc-Dieu nel Rouergue, sono rappresentate da
una T in luogo di una croce latina. Sulla base orizzontale della T si trovano cinque absidiole.
Sarebbe questo, pare, il modello che avrebbe voluto far adottare san Bernardo che sembra essere
stato uno degli ultimi Kuldées a voler difendere la tradizione celto-cristiana». 14
La vicenda dei culdei, sebbene infarcita di elementi leggendari, permette tuttavia di operare un
collegamento fra le prime confraternite muratorie e il grande movimento monastico antecedente al
Mille. Prima, però, accenniamo di passaggio all'opera di un altro studioso d'oltralpe, Maurice
Guignard, per il quale le logge massoniche dei costruttori di cattedrali discenderebbero direttamente
dagli equipaggi delle navi vichinghe. Egli spiegherebbe così anche l'origine del grembiule
massonico, derivato dalla fascia di tela a forma triangolare indossate dagli equipaggi dei vascelli
nordici.15 È un'ipotesi a prima vista assai fantasiosa, ma che può vantare precisi riscontri storici,
quali l'esistenza di una dozzina di vescovi-architetti normanni con nomi contenenti la radice «geirr»
(triangolo di tela in antico norvegese). Eccone alcuni tra i più significativi: Gervold (755-788) =
Geirr Waldr (Maestro del Triangolo); Sigered (1017-1022) = Sar-Geirr-Aett (confraternita del
triangolo) ecc. 16
Conferme vengono anche dall'iconografia nordica: in un'incisione su pietra, rinvenuta nello Jutland,
appare uno scalpellino intento al lavoro, cinto da un grembiule triangolare e impugnante un martello
a punta, entrambi da sempre classici emblemi massonici. 17
Nel Nord della Francia restano chiese, erette in puro stile normanno, con il tetto costruito a forma di
chiglia rovesciata secondo l'uso vichingo di riprodurre nelle costruzioni la forma dello scafo dei
loro agili drakkar. D'altronde un canto dei tagliapietre francesi dell'alto Medioevo non dice forse a
proposito delle cattedrali:
Ma riprendiamo il filo storico interrotto. Nel 529 San Benedetto fonda il grande monastero di
Montecassino, destinato a diventare uno dei centri spirituali dell'intera Europa. Nel 590 San
Colombano erige assieme ai suoi monaci il monastero di Luxeuil. Nel 909 nasce il grande centro di
Cluny.
Il movimento monastico rivoluziona la cultura europea, valorizzando il lavoro manuale considerato
fino ad allora degradante da un'aristocrazia terriera intrisa del concetto dell'otium romano e resa
altera dalle consuetudini militari germaniche.19
I monaci sviluppano la scienza delle costruzioni e proteggono le prime confraternite degli
scalpellini. Nei conventi l'abate è il capo costruttore, mentre un religioso esperto nell'arte edilizia è
il capo cantiere, o «caput magister», che disegna la pianta dell'edificio e dirige il lavoro ripartendolo
fra i monaci e gli scalpellini laici.20
Per questi motivi l'abate dei grandi monasteri benedettini e cistercensi è stato definito «il primo
Maestro d'Opera del Medioevo, il modello del Venerabile della Libera Muratoria», in quanto
considera l'utensile come una forza sacra e fa del lavoro una preghiera».21
12. Ad esempio il Jones (Freemasons' Guide and Compendium, London 1973) ripreso in Italia dal
Moramarco.
13 Vedere a questo proposito G. Pepe, Il Medio Evo barbarico in Europa, Mondadori, Milano 1949,
p. 34 e sgg.
14 Marcel Moreau, La tradition celtique dans l'art roman, Atlantis, Bordeaux 1963, p. 168.
15 Maurice Guignard, Les architectes odinistes des cathedrales, 1971.
16 J.M. Angebert, Il libro della Tradizione, Mediterranee, Roma 1977, p. 362
17 Riprodotto in Gwyn Jones, I Vichinghi, Newton Compton, Roma 1977, p. 362
18 J.M. Angebert, cit., p. 330n.
19 Vedere a questo proposito Jacques Le Goff, Il Cristianesimo medievale in Occidente, in “Storia
delle religioni”, vol. X, Laterza, bari 1977, p. 43 e sgg.
20 Eugen Lennhoff, Il Libero Muratore, Bastogi, Livorno 1976, p. 35.
21 Christian Jacq, La Massoneria. Storia e iniziazione, Mursia, Milano 1978, p. 79
Terzo capitolo del nostro libriccino sulla Massoneria medievale, Oggi parliamo della nascita e
degli sviluppi delle corporazioni muratorie fra l'XI e il XII secolo.
A partire dalla seconda metà dell'XI secolo, in stretta concomitanza con il rinascere impetuoso
dell'economia urbana, si assiste nelle regioni socialmente più avanzate d'Europa (Inghilterra,
Francia, Germania, Italia) al rapido sorgere ed affermarsi di confraternite raggruppanti i lavoratori
delle varie professioni cittadine. Queste associazioni, nate con tutta probabilità ad imitazione delle
più antiche gilde commerciali, rispondevano ad esigenze di ordine religioso ed economico. Erano,
infatti, al tempo stesso società di preghiera e carità ed organismi di mutuo soccorso degli artigiani.
Chiamate in molti modi («officium» o «ministerium» in latino, «arte» in italiano, «metier» o
«jurande» in francese, «ambacht» o «nering» in olandese, «amt» o «innung» o «handwerk» in
tedesco, «craftgild» o «mistery» in inglese), le corporazioni appaiono in tutta Europa del tutto
identiche nelle loro caratteristiche fondamentali, sì da essere definite «la più generale e caratteristica
espressione dell'economia urbana» medievale.22
Le prime notizie certe risalgono alla fine dell'XI secolo. Nel 1099, infatti, si associano i tessitori di
Magonza, nel 1106 i pescivendoli di Worms, nel 1218 i calzolai di Wurtzburg, nel 1149 i fabbricanti
di trapunte di Colonia.
In Inghilterra le prome craftgild vedono la luce sotto il regno di Enrico I (1100-1135) a oxford,
Huntington, Winchester, Londra, Lincoln per diffondersi presto in tutte le principali città del reame.
Quanto alla Francia, sappiamo che all'inizio del XII secolo i conciatori di Rouen formarono un gilda
alla quale furono costretti ad appartenere tutti coloro che intendevano esercitare quel mestiere
dentro le mura della città.
Quanto alle confraternite muratorie, la loro nascita deve essere stata, se non più antica, perlomeno
contemporanea. Gli studi di Hervé Masson confermano questa ipotesi. Nel suo «Dictionaire
Initiatique» (Parigi 1970) e gli scrive a questo proposito:
«In Germania i tagliatori di pietra o “steinmatzen” esistono già come associazione segreta dal XII
secolo e possiedono logge, principalmente la Gran Loggia di Strasburgo che ne era tribunale
supremo, ma vi erano anche altre importanti logge, come quella di Colonia, Vienna, Zurigo, ecc. Gli
“steinmatzen” giuravano già sul compasso e la squadra, compiendo un viaggio tradizionale
(Wanderjahre), nel corso del quale visitavano le diverse logge dell'impero. Avevano motti di
riconoscimento e segni particolari». 23
Nel 1268 Luigi IX di Francia, reso inquieto dalla rapida crescita di prestigio delle corporazioni,
diede incarico ad Etienne Baileau, prevosto dei mercanti di Parigi, di operare un vero e proprio
censimento delle associazioni di mestiere raccogliendone gli statuti. Vide così la luce il “Libro dei
Mestieri” nelle cui pagine vennero scrupolosamente censite tutte le notizie attinenti le corporazioni
allora esistenti nel regno.
Riferendosi ai membri delle associazioni muratorie, per i quali usa l'espressione «i nostri Fratelli, i
Framassoni del nostro tempo»,24 mastro Boileau afferma come essi si dichiarino detentori di un
segreto attinente alla loro professione, segreto che, tuttavia, egli non sa o non vuole rivelare.
Ricorda, invece, come i Maestri siano soliti festeggiare l'accoglimento rituale di un nuovo fratello
con un grande banchetto.
All'incirca in questo periodo iniziano ad apparire le prime notizie storicamente accertabili. Veniamo
così a sapere di un grande raduno muratorio, svoltosi a Strasburgo nel 1275, in cui, sotto la
direzione del Maestro Erwin von Steinback, viene decisa la ripresa dei lavori per l'erezione della
cattedrale cittadina. Convegno sanzionato da un atto dello stesso imperatore, Rodolfo I d'Asburgo,
concedente particolari franchigie ai tagliatori di pietra impegnati nel cantiere.
Un altro documento, conservato nel cartulario di Notre Dame di Parigi e risalente al 1283, da invece
notizia di un incidente occorso in una loggia di scalpellini.
Quanto al termine stesso “loggia”, esso, secondo il Jones, appare la prima volta proprio in quegli
anni (1278), su carte riguardanti i lavori dell'Abbazia Reale di Vale. Sappiamo tuttavia che già nel
secolo precedente l'erigenda cattedrale di Saint-Gatieu, in Francia, aveva annessa una «camera dei
metalli» riservata ai costruttori.
Come si è già accennato le confraternite medievali non si limitavano a svolgere semplici funzioni di
mutuo soccorso o sindacali, ma aspiravano ad essere qualcosa di assai superiore.
«Si può anzi asserire» - scrive lo Jacq - «che il loro carattere fu soprattutto “aristocratico”,
raggruppando solo artigiani altamente qualificati e che avevano dato inequivocabile prova delle loro
virtù spirituali, morali e tecniche».25
Così le organizzazioni muratorie non riunivano che costruttori scelti: i semplici manovali non
specializzati , impiegati in modeste opere di costruzione (case, fattorie, ecc.) o come semplice forza-
lavoro nei grandi cantieri, ne erano rigidamente esclusi,
In Inghilterra i veri «massoni» davano loro il nome di «cowans», termine che ancora oggi designa
nella Libera Muratoria britannica coloro che, pur non appartenendo all'Istituzione, tentano di
spacciarsi per tali.26
22 H. Pirenne, Storia economica e sociale del Medioevo, Garzanti, Milano 1967, p. 197.
23 J.M. Angebert, Il libro della Tradizione, Mediterranee, Roma 1977, p. 328.
24 J.C. Pichon, L'altra storia, Rosada, Torino 1972, p. 35.
25 C. Jacq, La Massoneria. Storia e iniziazione, Mursia, Milano 1978, pp. 84-85
26 S. Hutin, La Frammassoneria, in “Storia delle religioni, vol. XII, Laterza, Bari 1977 p. 161.
Ma chi erano i Massoni medievali? Come erano organizzati e come lavoravano? Quali erano i
“Doveri” che dovevano rispettare? E soprattutto: cosa era una “loggia”?
Secondo la ricostruzione fattane dal Pirenne, ogni corporazione era suddivisa in tre categorie di
adepti: maestri, apprendisti e lavoranti. I maestri costituivano la categoria principale e dirigevano il
lavoro, sovraintendendo nel contempo alla formazione professionale degli apprendisti. I lavoranti,
invece, erano dei dipendenti retribuiti che, pur avendo terminato il periodo di apprendistato, non
avevano potuto o saputo diventare maestri.27
Assai diversa la struttura delle corporazioni muratorie. La massoneria medievale conosceva soltanto
due gradi: apprendista e compagno d'arte.
L'appellativo di Maestro non sottintedeva un vero e proprio grado raggiungibile da ogni compagno,
come nella Massoneria moderna, ma definiva un ruolo particolare, quello di Maestro Architetto,
ossia del Libero Muratore incaricato di dirigere i lavori del cantiere. In questa accezione il termine
di maestro verrebbe ad equivalere a quello attuale di “Maestro Venerabile” che, come si sa, non
designa un grado, ma una “dignità”.28
A questo proposito pare ormai storicamente accertato la derivazione monastica dell'appellativo.
Negli antichi monasteri dove, come si è visto, l'abate era anche maestro architetto, egli riceveva dai
suoi confratelli il titolo di Fratello Venerabile o Venerabile Maestro.29
I rituali iniziatici degli antichi Massoni ci sono in gran parte sconosciuti. Sappiamo tuttavia che
l'apprendistato durava sette anni, al termine dei quali il giovane muratore, se si era dimostrato
all'altezza dei compiti affidatigli e moralmente e spiritualmente degno, veniva iniziato ai misteri
dell'arte.
Durante la cerimonia di iniziazione al nuovo adepto venivano minuziosamente spiegati i simboli
attinenti la sua professione (squadra, compasso, livella, filo a piombo, ecc.), quindi gli venivano
illustrati i suoi nuovi “Doveri”. Più tardi, durante la narrazione della storia leggendaria dell'Ordine,
venivano rivelati al nuovo confratello i segni di riconoscimento e le parole di passo. Questi segni,
che non dovevano per nessun motivo essere rivelati ai profani, servivano a farsi riconoscere come
membro della corporazione muratoria.
«In un tempo in cui non esistevano diplomi, determinavano la qualifica professionale dell'artigiano.
Essi erano tanto più necessari in quanto lo spostamento degli artigiani da un paese all'altro li
costringeva a rivolgersi per lavoro e per assistenza ai fratelli di altre città».30
Al termine della cerimonia l'iniziando prestava un solenne giuramento, in cui si impegnava a non
far conoscere quanto gli era stato rivelato e veniva festeggiato con un gran banchetto.
In seguito il nuovo Compagno compiva un viaggio d'istruzione, visitando numerose altre logge
(ossia altri cantieri), per meglio impratichirsi del mestiere accostandosi a diverse tecniche di
costruzione. Terminato anche questo periodo, gli veniva fatto l'obbligo di approfondire le
fondamenta teoriche dell'arte, frequentando per circa due anni la “camera dei disegni”, dove erano
custodite le chiavi simboliche e tecniche dell'arte reale.
Quanto ai “Doveri”, grazie alla fortuita scoperta avvenuta nel 1830 al British Museum del
cosiddetto “Manoscritto Regius”, siamo incommensurabilmente più informati. Il manoscritto,
consistente in 784 versi scritti in un inglese arcaico, viene fatto risalire attorno al 1400 e contiene
brani delle leggende e degli ordinamenti della corporazione muratoria, oltre ad istruzioni per
adempiere scrupolosamente ai “Doveri” (Charges) attinenti al rango di massone. Tali doveri
riguardavano tutti gli aspetti della vita, non solo quelli della professione, ma anche minute regole di
comportamento «circa il modo di stare a tavola, di comportarsi con l'ospite, la moglie dell'ospite,
sua figlia».31
Alla nostra sensibilità di moderni un simile accostamento può sembrare bizzarro, in realtà esso cela
una profonda saggezza ed una grande conoscenza dell'animo umano. Con queste norme gli antichi
muratori volevano, infatti, testimoniare che l'appartenenza alla corporazione non era un fatto
professionale, ma una vera e propria scelta di vita, intimamente rivissuta in ogni momento, anche il
più banale dell'esistenza. Una specie di sigillo che a prima vista doveva contraddistinguere il Libero
Muratore dal profano.
L'iniziato, infatti, in ogni circostanza doveva caratterizzarsi per la misura e la correttezza dei modi,
prova della sofferta capacità di esercitare un totale dominio su se stesso.
Quanto al termine “Libero Muratore” (Freemason) non ne esiste ancora una interpretazione
univoca. Mentre la parola “massone” è di origine francese, importata in Inghilterra dai normanni,32
numerose sono le versioni riguardo al prefisso”free”. Secondo la tradizione, il massone era detto
“libero” (free o franc) perché affrancato dai vincoli feudali. In tempi recenti si è invece affermata
l'ipotesi che i liberi muratori fossero muratori particolarmente specializzati che, contrariamente ai
manovali (cowans) che muravano le pietre già squadrate, sapevano lavorare la “freestone”
(pietralibera), una pietra arenaria di qualità superiore particolarmente adatta ad essere modellata. A
confermare questa tesi viene un documento del 1350 in cui in un francese arcaico di fa menzione
del «mestre mason de franche pere» (maestro massone della pietra libera).
Vediamo ora come doveva essere organizzato un cantiere. Sopra tutti stava il Maestro architetto che
sovrintendeva all'elaborazione dei progetti e alla realizzazione dell'opera. Egli era assistito da un
“Parlatore” con il compito di tramettere ai Compagni i suoi ordini. Questo assistente del Maestro
curava anche la ripartizione del lavoro fra i singoli muratori e la sorveglianza dei lavori del cantiere.
Ogni singolo scalpellino squadrava la pietra assegnata e la lavorava artisticamente a seconda
dell'uso a cui veniva richiesta, infine la firmava col proprio marchio personale (gelosamente
custodito con gli altri nel libro dei soci della corporazione).
Sembra che nei cantieri delle cattedrali il numero dei Liberi Muratori non fosse molto elevato. C'è
chi dice dai venti ai quaranta coadiuvati da una gran massa di manovali.34 Di certo sappiamo che
attorno alle associazioni muratorie si formarono, per la stessa gigantesca complessità dei lavori,
delle leghe assai estese comprendenti contadini e mercanti il cui scopo era la fornitura dei materiali
da costruzione e delle provviste necessarie al cantiere, pittori, lattonieri, ceramisti, vetrai, ecc.
Accanto agli edifici in costruzione veniva eretta la loggia, sempre orientata come le cattedrali da
oriente a occidente. Le autorità ecclesiastiche la proteggevano dal potere civile e dalla polizia
sanzionando con la loro autorità il divieto di penetrarvi per coloro che non fossero membri
riconosciuti della corporazione.
Nei locali, oltre a compiere i lavori più delicati, i muratori depositavano gli utensili, tenevano le
loro riunioni e prendevano i pasti. In fondo alla costruzione vi era la “stanza delle linee” o “camera
dei disegni”, riservata al Maestro Architetto, dove venivano conservati i progetti e dove venivano
impartite lezioni di perfezionamento ai giovani Compagni.
Anche il termine loggia (che troviamo per la prima volta citato nel 1278) è oscuro. Alcuni lo fanno
discendere dal latino, altri addirittura dal sanscrito. Secondo le varie interpretazioni esso
designerebbe la Luce, il Cosmo o molto più semplicemente un luogo coperto.
27. cfr. H. Pirenne, Storia economica e sociale del Medioevo, Garzanti, Milano 1967, p. 204.
28. Cfr. M. Moramarco, La Massoneria, ieri, oggi e domani, De Vecchi, Milano 1977, p. 93.
29. Cfr. C. Jacq, La Massoneria. Storia e iniziazione, Mursia, Milano 1978, p. 95
30. Cfr. C. Francovich,Storia della Massoneria in Italia, La Nuova Italia, Firenze 1974, p. 3.
31. Cfr. J.C. Pichon, L'altra storia, Rosada, Torino 1972, p. 250.
32. Cfr. E. Lennhoff, Il Libero Muratore, Bastogi, Livorno 1976, p. 40.
33. Cfr. M. Moramarco, cit., p. 100.
34. Cfr. C. Jacq, cit., p.85.
L'opera in cui la corporazione muratoria trasfuse per intero il suo sapere iniziatico fu la cattedrale
gotica. In questo capitolo si accennerà al linguaggio simbolico della cattedrale, ai suoi rapporti
con l'alchimia e infine al più spinoso dei problemi: il rapporto fra Liberi Muratori e Templari.
Abbiamo già visto come per i cronisti medievali l'esistenza stessa della corporazione muratoria
fosse intimamente legata ad un grande, inesplicabile segreto. Un segreto che resta tale ancora oggi.
Mai, nel corso dei secoli, un Maestro architetto tradì il giuramento tanto solennemente prestato al
momento dell'accoglienza nella confraternita. Mai, nonostante le ricerche di generazioni di studiosi,
fu possibile rinvenire un solo documento che gettasse una qualche luce sui segreti dell'associazione.
Attorno alla Massoneria andò così condensandosi col trascorrere del tempo quell'alone di mistero
che ancora oggi essa di porta appresso e che ha costituito nei secoli l'argomento preferito di chi,
forte della credulità popolare, intese intralciarne il cammino. E basi a questo proposito il celebre
episodio delle «rivelazioni» di Leo Taxil.
Eppure proprio coloro che più si accanirono contro i presunti «misteri» della Massoneria ne furono
paradossalmente i depositari e i custodi.
Quasi per un'ironia della storia, la Chiesa, per secoli accanita persecutrice dei Liberi Muratori,
custodì gelosamente, senza afferrarne l'intimo significato, proprio l'opera in cui essi avevano
trasfuso tutto il loro sapere iniziatico. Quest'opera, meravigliosa e solenne al tempo stesso, simile a
un gigantesco libro di pietra, è la cattedrale gotica.
In essa, chi sa leggervi, ritrova intatto l'antico sapere degli iniziati del Medioevo: dai rapporti
rigorosamente numerici fra le sue parti, ai rosoni alchemici, dai capitelli scolpiti riproducenti gli
atteggiamenti rituali, a motivi islamici, buddistici e perfino cinesi e tibetani, giunti in Europa al
seguito dei cavalieri crociati di ritorno dall'Oriente.
Tutto il grande patrimonio simbolico della Massoneria medievale è racchiuso dentro al gran libro
della cattedrale. Il fatto che la Chiesa sia sempre costruita con l'abside rivolta a sud-est e la facciata
a nord-ovest risponde all'intenzione che i fedeli entrando nel luogo sacro da Occidente (il regno
delle tenebre) ,avanzassero verso l'Oriente, dove sorge il sole e da dove proviene la Luce.
Così la pianta a forma di croce latina con la semplice aggiunta di un'abside semicircolare o elittica
assume la forma e il valore simbolico della croce ansata, l'ank sacro ai sacerdoti dell'antico Egitto,
che indica la Via universale nascosta nelle cose.
Così i labirinti tracciati sul pavimento all'incrocio tra la navata e il transetto, simboleggiano le
asperità dell'Opera e l'impossibilità per l'uomo privo di una guida sicura (la figura del grande
iniziato – spesso Salomone - effigiata al centro del tracciato dedalico) di trovare e mantenere il retto
cammino sulla via della perfezione interiore.
Così le scale a chiocciola, racchiuse all'interno delle torri della facciata, alludono alla necessità nelle
alterne vicende dell'avventura terrena di mantenersi fedeli ad un asse centrale spirituale, il solo in
grado di attribuire significato al mistero dell'esistenza.
Così, infine, i rosoni e le vetrate, tanto artisticamente cesellate, esprimono con i loro vividissimi
colori l'ansia di purificazione e di autoperfezionamento che rendeva incandescente il sogno
alchemico.
Il grande iniziato che si cela sotto il nome di Fulcanelli ha scritto a questo proposito parole ricche di
poesia:
In seguito a questa disposizione, uno dei tre rosoni che ornano il transetto e il grande portico non è
mai illuminato dal sole; è il rosone settentrionale che s'irradia nella facciata del transetto sinistro. Il
secondo fiammeggia al sole di mezzogiorno; è il rosone aperto all'estremità del transetto destro.
L'ultimo si illumina ai raggi colorati del sole che tramonta; è il grande rosone del portale, di gran
lunga più grande, per estensione e per bellezza dei suoi fratelli laterali. In questo modo, sul frontone
delle cattedrali gotiche si succedono i colori dell'Opera, secondo un processo circolare che va dalle
tenebre, - rappresentate dall'assenza e dal colore nero, - alla perfezione del colore rosso, passando
per il colore bianco, considerato come una media tra il nero e il rosso».35 [La nigredo, l'albedo e la
rubedo sono le tre fasi dell'opera alchemica. Nota aggiunta a questa riedizione]
La costruzione delle cattedrali segna anche il periodo di massimo splendore della corporazione;
infatti come nota il Lennhoff:
«I membri di questa grande corporazione di Fraatelli, i costruttori dei monumenti gotici erano
altamente rinomati quali possessori di cognizioni e tradizioni del tutto particolari, di nozioni che
essi soli avevano e che permettevano loro di innalzare le loro slanciate colonne, di tendere le loro
ampie volte ed i loro archi tanto tesi, di calcolare in modo che fosse possibile che essi sostenessero
il peso sovrastante e che l'enorme pressione fosse esattamente ripartita». 36
I maestri architetti francesi girano l'Europa aprendo cantieri ovunque richiesti. Dalla Spagna alla
Polonia, dalla Scandinavia all'Ungheria il gotico porta il suo linguaggio simbolico in ogni angolo
del continente. In Germania le cattedrali di Strasburgo e Colonia si ispirano ai modelli francesi di
Reims ed Amiens; in spagna si costruisce a Toledo, Burgos e Leon sulla falsariga di Bourges; in
Olanda, in Scandinavia, in Ungheria, in Italia, in Polonia, dove a Cracovia San Stanislao riproduce
fedelmente la pianta della cattedrale di Amiens, la Libera Muratoria rivela, nella frantumazione
degli angusti limiti nazionali, la sua vera essenza universalistica.
D'altronde, secondo la tradizione iniziatica ripresa da Fulcanelli, la stessa definizione di arte gotica
(art gotique) altro non sarebbe che una deformazione del termine «argotique» con la quale si
indicava nel Medioevo la lingua segreta internazionale degli iniziati, una sorta di esperanto che
permetteva ai veri sapienti di ogni paese di comunicare fra di loro al di là delle barriere linguistiche.
«I dizionari» argomenta Fulcanelli «definiscono la parola “argot” come “il linguaggio particolare di
tutti quegli individui che sono interessati a scambiasi le proprie opinioni senza essere capiti dagli
altri che stanno intorno”. È quindi, una vera e propria cabala parlata (…). Ancor oggi si dice di un
uomo molto intelligente, ma anche assai scaltro: sa tutto, capisce l'argot. Tutti gli iniziati si
esprimevano in argot, anche i vagabondi della Corte dei Miracoli – Col poeta Villon alla loro testa –
ed anche i Frimasons o frammassoni del Medioevo, che “costruivano la casa di Dio” ed edificavano
i capolavori argotiques ancor oggi ammirati».37
Negli ultimi anni, poi l'attento esame dell'enorme patrimonio iconografico rappresentato dai
capitelli scolpiti, dalle decorazioni delle facciate e dei portali, ha recato ulteriori argomenti a
sostegno della tesi che nell'ambito delle corporazioni muratorie si sarebbe celata una ultrasegreta
società esoterica depositaria della più antica tradizione iniziatica.
Proprio in questo senso l'Ambesi fa rilevare come «i Massoni operativi medievali riuscirono ad
infiltrare nelle raffigurazioni testamentarie ed apocalittiche allegorie e simboli che nulla avevano a
che spartire con l'insegnamento della Chiesa di Roma, ma che si collegavano con segreti nodi al
preesistente mondo pagano e alla grande tematica gnostica, d'elaborazione asiatica ripudiata dal
Cristianesimo».38
È una tesi che porta assai lontano e che si collega a chi, per spiegare il rapido fiorire del gotico nei
secoli XII e XIII, ha sostenuto l'ipotesi di una filiazione della Libera Muratoria dall'Ordine del
Tempio allora in piena espansione. È il caso del francese Charpentier, la cui opera 39 contiene una
massa di informazioni preziose mescolate purtroppo ad altre che non possono che lasciare perplesso
il lettore, quale la asserita derivazione templare di alcuni miti delle civiltà precolombiane del
Centroamerica.
Ora è certo che l'influenza delle crociate sulla cultura europea fu notevole e valse a far riscoprire in
Occidente «il fascino del misticismo orientale che i secoli avevano sopito, i suoi segreti, le sue
magiche formule esoteriche».40 Così come è assodato che contatti anche stretti intercorsero fra i
templari e le associazioni di mestiere ed in particolare quella muratoria,
Dopo lo scioglimento dell'Ordine e l'esecuzione dei suoi capi nel 1314, le confraternite operaie
accolsero nel loro seno i membri del Terzo Ordine del Tempio, coloro cioè (sellai, fabbri, armieri,
carpentieri, ecc.) che nelle Case dell'Ordine assolvevano ai compiti non militari e non religiosi. Essi
erano degli operai altamente qualificati, che grazie alla loro permanenza nelle fila templari, avevano
potuto arricchire il loro bagaglio professionale con tecniche nuove ancora sconosciute in europa; è
chiaro, quindi, l'impulso che da questo afflusso di sangue nuovo venne all'avanzamento delle
associazioni di mestiere.
Tutto ciò, se vale a spiegare le persecuzioni di cui in seguito esse furono fatte oggetto da parte delle
autorità ecclesiastiche, non porta però alcun sostegno documentabile all'ipotesi avanzata per la
prima volta nel Settecento, che i cavalieri superstiti ricostituissero al coperto delle confraternite
operaie o delle logge massoniche i capitoli dell'Ordine.
Ciò che in realtà turbava e turba ancor oggi molti, è il dover riconoscere le origini operaie e
democratiche della Libera Muratoria- Proprio a questo scopo vennero introdotti nelle logge, a
fianco degli umili simboli del lavoro (la squadra, il compasso, la cazzuola, ecc.) una miriade di
altisonanti gradi cavallereschi, destinati a snaturare irrimediabilmente l'antica semplicità della
fratellanza.
A tutti costoro sfugge il particolare concetto che il Maestro Massone medievale aveva del lavoro,
non subito «come un male necessario, un compito ingrato ma obbligatorio, ma elevato all'altezza di
un sacramento, trasmutato in un atto d'amore, incluso nell'organizzazione di Dio, l'architetto
supremo».41
Con la crisi del mondo medievale e poi con la Riforma protestante la Chiesa cattolica inizia a
guardare con sospetto alle Corporazioni di mestiere e in particolare a quelle muratorie.
Significativa la condanna del Compagnonaggio da parte dell'Università di Parigi.
I massoni medievali erano dei ferventi cattolici, animati da un profondo senso religioso
dell'esistenza; le loro corporazioni che, non va dimenticato, erano nate come confraternite di
preghiera, videro sempre la presenza di ecclesiastici anche illustri. Ciò non deve stupire, in
quell'epoca ogni associazione, anche la più profana, poggia su di una base religiosa e non solo per
l'accesa spiritualità che pervade il tempo. Nella società medievale non c'è spazio per il laicismo,
fuori della Chiesa non c'è salvezza, né possibilità di sopravvivenza. Il clero non solo esercita un
forte controllo sulle istituzioni civili, ma è anche l'unica realtà in grado di assicurare la copertura
finanziaria delle ingenti opere muratorie legate alla cosiddetta “crociata delle cattedrali”.
Tuttavia, nonostante i Liberi Muratori contribuissero fortemente con i loro capolavori architettonici
alla gloria di Dio e della Chiesa, le gerarchie ecclesiastiche guardarono sempre con sospetto al
carattere segreto delle associazioni operaie. Sospetto destinato inevitabilmente a crescere con
l'affermarsi dell'istituzione corporativa.
Nel 1189 il concilio di Rouen condanna le Confraternite operaie per l'uso che questi artigiani fanno
di parole e segni segreti di riconoscimento. In questa condanna vengono compresi i “Fratelli
Pontefici” che si erano dedicati alla costruzione dei ponti e ai quali si attribuisce il famoso ponte di
Avignone oltre alla maggior parte degli antichi ponti del Sud della Francia.42
Dal 1214 al 1326 dei nuovi concili confermarono la condanna, prendendo a pretesto le riunioni
rituali ed i giuramenti di segretezza, ritenuti contrari all'insegnamento della Chiesa.
Nel 1326 il Concilio di Avignone segna l'attacco più duro alla Libera Muratoria. Riuniti in solenne
consesso, i vescovi condannano severamente tutte le confraternite professionali, comunque
organizzate.
La persecuzione continua con fasi alterne nei secoli seguenti. Secondo la famosa “Carta di Colonia”
- che alcuni studiosi ritengono però apocrifa – nel 1535 si riuniscono in Germania maestri
provenienti da tutta Europa per respingere l'accusa di collegamenti con i Templari e ribadire la vera
natura dell'Ordine dei Fratelli di San Giovanni o Ordine dei framassoni. 44
Novant'anni più tardi è la volta della Francia, dove la Compagnia del Santissimo Sacramento
attacca il compagnonaggio per deviazione dalla fede. L'accusa è di parodiare i sacramenti. Nel 1655
giunge la condanna definitiva. I dottori della facoltà di teologia di Parigi, che in francia occupa il
posto dell'Inquisizione, condannano le «pratiche empie, sacrileghe e superstiziose» del
compagnonaggio ed in particolare rigettano i riti di iniziazione, considerati una blasfema imitazione
della Passione e del sacramento del Battesimo, ed il solenne giuramento di mantenere il segreto sui
misteri dell'associazione «anche in confessione».
Vediamo le conclusioni del documento, conservato insieme a molti altri nel Museo del
Compagnonaggio di Tours:
1. Che in queste pratiche vi sia peccato di sacrilegio, d'impurità e di bestemmia contro i misteri
della nostra Religione.
2. Che il giuramento che essi fanno di non rivelare queste pratiche neanche in confessione, non sia
né giusto né legittimo, e non li obblighi in alcun modo; al contrario è proprio ciò che essi fanno che
li obbliga ad accusarsi da se stessi di questi peccati durante la Confessione.
3. Nel caso che il male continui e che essi non possano rimediarvi in altro modo, essi sono obbligati
in coscienza a rivelare queste pratiche ai Giudici Ecclesiastici, e se è il caso, a quelli Secolari in
modo che vi si possa porre rimedio.
4. che i compagni che si fanno ricevere nelle forme sovraesposte, non possono senza commettere
peccato mortale, servirsi della parola che essi usano per farsi riconoscere compagni o impegnarsi
nelle malvagie pratiche del compagnonaggio.
5. Che coloro che appartengono a questo compagnonaggio non sono in sicurezza di coscienza,
finché intendono continuare n queste malvagie pratiche che dovrebbero invece abbandonare.
6.Che i lavoranti che non appartengono a questo compagnonaggio, non possono entrare a farne
parte senza commettere peccato mortale.
42. Cfr. Vade-Mecum del Libero Muratore apprendista, Oriente di Roma, Roma 1948, p.13 e R.
Oursel, Pellegrini del Medio Evo, Jaca Book, Milano 1979, p. 57.
43. Cfr. C. Jacq, La Massoneria. Storia e iniziazione, Mursia, Milano 1978, p. 106
44. E. Bonvicini, La Massoneria nella storia, in AA.VV., La Libera Muratoria, Sugarco, Milano
1978, p. 169
45. Geoges Allary, Le Compagnonnage, Métiers d'art, Paris 1978, p.22
Il declino del mondo medievale e l'affermarsi del mondo moderno portano con sé la fine della
istituzione corporativa. All'artigiano che conosce i segreti del mestiere, si contrappone il borghese
che conosce i segreti del capitale. È una battaglia persa in partenza che pone le premesse, come
vedremo nel prossimo capitolo, del passaggio in Inghilterra dalla Massoneria di mestiere
medievale a quella filosofica moderna.
Il fiorire del gotico segna il periodo di massimo splendore dell'associazione muratoria, per due
secoli la corporazione vede crescere il proprio prestigio e le proprie fortune, poi con i primi segni
della grave crisi che incombe sull'Europa, inizia improvviso il declino.
Nei primi anni del XIV secolo l'ondata espansiva dell'economia medievale iniziata con il Mille si
arresta bruscamente. Il commercio ristagna, l'industria declina, l'incremento demografico si blocca,
le città si spopolano nuovamente.
Il continente è devastato da spaventose catastrofi naturali e dalla terribile guerra dei Cent'anni che,
protrattasi dal 1339 al 1459, mette in ginocchio i due paesi più prosperi: Francia ed Inghilterra.
La carestia che per tre anni, dal 1315 al 1317, devasta l'Europa, la peste nera, arrivata dall'Asia, che
infuria dal 1347 al 1250 con virulenza inaudita, cancellano d'un colpo oltre un terzo dell'intera
popolazione europea.
Passato l'incubo delle guerre e delle pestilenze, ne rimangono le tragiche conseguenze: bande di
briganti terrorizzano le campagne, la fame del il freddo fanno strage degli abitanti delle città,
ovunque dilaga la violenza.
È il mondo desolato che François Villon descrive in un pugno di versi:
La crisi del mondo tradizionale, giunto ormai al culmine della sua parabola, segna la nascita di un
ampio antagonismo sociale. Scrive il Pirenne:
«Verso la fine del secolo il proletariato cominciò a formarsi anche all'interno di quelle piccole
corporazioni artigiane, la cui organizzazione era diretta alla difesa dell'indipendenza economia dei
membri. Tra i maestri artigiani e gli apprendisti e i compagni, che lavoravano alle loro dipendenze,
l'intesa era durata finché fu possibile ottenere facilmente la qualifica di maestro. Ma dal giorno in
cui, con l'arresto dell'incremento demografico, gli artigiani si videro costretti a rinunciare a
sviluppare ulteriormente la loro produzione l'ascesa verso tale qualifica era diventata sempre più
difficile. La tendenza a riservarla alle famiglie che già la detenevano si manifestò con ogni genere di
disposizioni: prolungamento dell'apprendistato, aumento della tassa per ottenere il titolo di maestro,
obbligo di eseguire un “capolavoro” a garanzia delle capacità dell'aspirante. In breve, ogni
corporazione artigiana si trasformò in un gruppo egoista di padroni decisi a trasmettere ai figli o ai
generi la clientela ormai numericamente ristretta delle loro piccole botteghe. Non c'è da stupirsi,
quindi, se fin dalla metà del XIV secolo, tra gli apprendisti e specialmente tra i lavoranti che
vedevano sfumare la possibilità di migliorare la propria condizione, affiorò uno scontento che si
manifestò con scioperi e richieste di aumento salariale e infine con la lotta per partecipare insieme
con i maestri al governo della corporazione è...]. L'identità di interessi e rivendicazioni che legava
tra loro i lavoranti, fece presto sorgere fra di loro associazioni di mutuo soccorso e difesa, che si
estesero a molte città. Si tratta dei compagnonnages o gesellenverbande, che apparvero dapprima in
Francia e un poco più tardi in Germania, e il cui scopo fu quello di fornire lavoro ai membri e
proteggerli contro lo sfruttamento dei maestri». 47
Nel 1420 il compagnonaggio appare in Francia ormai nettamente definito, In una ordinanza di Carlo
VII ai compagni calzolai di Troyes si parla di «Molti Compagni e operai del detto mestiere, di molte
lingue e nazioni, che vanno e vengono per le città per apprendere, conoscere e sapere gli uni degli
altri». 48
È da questa drammatica lacerazione del tessuto sociale medievale che, crediamo abbia avuto origine
la leggenda di Hiram, maestro architetto del tempio di Salomone, assassinato da tre apprendisti
gelosi. La leggenda, sconosciuta nell'antichità, riflette infatti la consapevolezza di una dualità
maestro-apprendista, contrapposta al mito del Maestro simbolo di unità e di ordine. 49
Verso la metà del secolo le menti più acute della Libera Muratoria compresero che occorreva al più
presto rilanciare l'associazione. Nel 1459 si svolse, sotto la protezione dell'imperatore
Massimiliano, raffigurato in una incisione commemorativa dell'avvenimento con le insegne di
maestro architetto, l'Assemblea Generale di Ratisbona della corporazione degli scalpellini e
tagliatori di pietre della Germania.
Nel congresso, a cui parteciparono 19 maestri, venne deciso di redigere una nuova costituzione
dell'associazione e di nominare Gran Maestro l'architetto del cantiere principale del Duomo di
Strasburgo, Jost Dotzinger di Worms. Nonostante tutti questi sforzi, il corso della storia non poteva
più essere deviato.
La ripresa delle corporazioni non fu di lunga durata. Le corporazioni edili perdettero via via i loro
privilegi e per la maggior parte furono sciolte nel XVII secolo. A questo declino non fu estranea la
rottura dell'unità culturale e religiosa d'Europa dovuta alla Riforma.
Nel 1495, ad esempio, nella fino allora tranquilla Inghilterra si registrò un brutale attacco alla
Massoneria. Enrico VIII, accentratore e tirannico, sospettando che nelle confraternite si
annidassero, proteggendosi con il velo del segreto oppositori e cospiratori cattolici, per sventare
ogni possibile minaccia al suo potere, emanò un editto col quale si vietava ogni associazione
fondata su riti e segni di riconoscimenti segreti.
Anche in Francia il clima non era più favorevole alle società iniziatiche: nel luglio del 1500 il
Parlamento di Parigi vietò severamente ogni riunione di massoni sotto pena della confisca dei beni e
del decadimento delle rispettive qualifiche professionali. 50
Di fronte alle persecuzioni della Chiesa e dei sovrani, le organizzazioni massoniche e
compagnoniche furono costrette, per non interrompere i loro lavori, ad entrare in una specie di
clandestinità e a celarsi sotto l'insospettabile facciata di innocue associazioni religiose.
In Inghilterra nel 1509 nasce la “Gilda dei costruttori” sotto il patrocinio di San Giovanni e la
protezione della Chiesa. A Parigi, nel corso del XVII secolo opera una “Confraternita di san
Giuseppe dei Compagni carpentieri”, con sede presso la chiesa dei canonici regolari al Faubourg
Saint-Germain.
La natura religiosa dell'associazione copre il mantenimento delle pratiche segrete del
compagnonaggio, allora proibite, come testimonia un'immagine sacra della Confraternita.
L'illustrazione, risalente al 1677, rappresenta San Giuseppe al lavoro, la Vergine seduta e Gesù
fanciullo impugnante un compasso. Ai lati panoplie d'utensili, fra i quali spiccano un compasso ed
una squadra incrociati. 51
Se queste misure ebbero una qualche efficacia concreta, le condanne ecclesiastiche e le angherie dei
despoti, poco o nulla valsero nei confronti della ben più grave insidia rappresentata dal nuovo
spirito, emanazione dell'allora nascente borghesia, che a partire dal secolo XVI diede mano
all'affossamento delle strutture politiche, culturali, religiose della società medievale. L'autunno del
Medioevo recava inevitabilmente con sé il declino irreversibile dell'istituzione corporativa.
«Il commercio – scrive lo Jacq – si erge contro l'artigianato e comincia a prevalere su esso. Oramai
non vi sono più “artefici” e “operativi”, bensì semplici “operai”, cioè persone considerate dei poveri
diavoli senza intelligenza e che formano il più basso strato della società». 52
Nella prima metà del Seicento la corporazione muratoria inglese è in piena crisi. In cerca di
protezioni i Liberi Muratori “accettano” nelle logge personaggi influenti del mondo “profano”.
Sono i primi massoni “non operativi”. Alla fine del secolo i “non operativi” sono ormai la
stragrande maggioranza dei membri delle logge. Nel 1717 quattro legge londinesi “non operative”
fondano la Gran loggia d'Inghilterra dando vita alla Massoneria moderna.
Come abbiamo visto, se già nel Medioevo non era infrequente la presenza di ecclesiastici nelle
corporazioni, ora con il declino delle associazioni di mestiere diventa sempre più grande il numero
dei Massoni cosiddetti “accettati”, cioè di quei “fratelli” ricevuti nell'Ordine anche senza le
caratteristiche professionali richieste dagli statuti.
Soprattutto in Inghilterra, mentre cala il numero degli autentici operai, entrano a far parte delle
Logge esponenti della borghesia e della nobiltà. Già nella seconda metà del XVII secolo la Libera
Muratoria perde così la sua caratteristica di associazione di mestiere per trasformarsi poco a poco in
una associazione culturale e filantropica.
Nella più antica raccolta di verbali massonici esistente, relativa alla Loggia “Mary's Chapel” di
Edimburgo e risalente al 1598, troviamo la prima iniziazione di un «non operativo», sir John
Boswell di Auchinleck, in data 1600.53
Ma è a partire dal 1620 che il fenomeno prende dimensioni consistenti, fino a diventare una vera e
propria moda, come scrive il dottor Robert Plot nel suo libro “The History of Staffordshire”,
pubblicato nel 1686: «Tutte le persone di più alto rango amavano farsi membri di questa
associazione ormai sparsa in tutta l'Inghilterra, essendo ormai di moda farsi iniziare».
Fra i primi “non operativi” accettati nella Massoneria spicca la figura di Elias Ashmole, uno dei
maggiori scienziati del XVII secolo, ricevuto il 16 ottobre 1646 nella Loggia di Warrington nel
Lancashire e ritenuto dagli studiosi un membro influente della fratellanza rosacruciana.
L'appartenenza dell'Ashmole alla Massoneria sembra confermare l'esistenza di stretti rapporti fra
Liberi Muratori e Rosa Croce. Esula totalmente dai fini di questo nostro breve lavoro tentare una
precisa definizione di una questione tanto dibattuta. Non possiamo, tuttavia, esimerci dal citare qui
la singolare poesia “Muses Threnodie” di un certo Henry Adamson, pubblicata ad Edinburgo nel
1638. Il poema, letterariamente insignificante, è diventato famoso fra gli studiosi di cose
massoniche per due versi che riproduciamo testualmente:
Verso la fine del secolo il passaggio dalla Massoneria “operativa” a quella “speculativa” si può dire
in gran parte concluso. Così nel 1670 ad Aberdeen, nel nord della Scozia, su 59 membri di Loggia
solo 14 erano muratori o carpentieri; tutti gli altri “fratelli” erano “speculativi”, esercitanti in genere
professioni intellettuali (medici, insegnanti, religiosi). Analoga situazione troviamo ad Hangoot,
sempre in Scozia, dove nel 1702 la locale loggia era composta ormai quasi esclusivamente da “non
operativi”.55
Con i nuovi membri “accettati" entrano nella fratellanza muratoria anche le lotte e gli intrighi della
politica. L'inghiltera di quegli anni è travagliata dall'aspra contesa fra il sovrano ed il Parlamento e,
successivamente, fra gli Stuart (cattolici) e gli Orange (protestanti). In tale contesto le «società
segrete diventavano punti di riunione per i vinti, i quali se ne servono per i loro intrighi».56
Questo processo è agevolato dal fatto che, nonostante nel 1688, gli Stuart con la detronizzazione di
Giacomo II vengano cacciati dal potere, la Libera Muratoria inglese resta cattolica e stuardista.
Gran maestro è infatti Christopher Wren, professore di matematica e di astronomia, architetto
responsabile dei lavori della Cattedrale di St. Paul, il quale nel 1693 riconferma l'obbligo per la
Massoneria di restare «fedele a Dio e alla Santa Chiesa». Obbligo ulteriormente ribadito dagli
statuti emanati nel 1704 dalla Loggia di York.
Gli anni che seguono vedono l'istituzione muratoria, ormai completamente “speculativa”, diventare
terreno di scontro fra gli opposti schieramenti politico-religiosi. Scrive il Francovich:
«Ai primi del secolo XVIII, da parte dei seguaci degli Hannover, per lo più protestanti o deisti, si
cerca di reagire a questo stato di cose e di strappare il controllo delle logge agli stuardisti,
opponendo alla massoneria giacobita una massoneria hannoveriana. Se presta a tale impresa
l'esistenza in Londra di una serie di logge che avevano perduto ogni carattere operativo […]
vivacchiando alla meno peggio[...] Furono appunto quattro di queste logge che, per iniziativa di
alcuni dirigenti hannoveriani si fusero de dettero vita il 24 giugno del 1717 durante la solennità
massonica di San Giovanni Battista – alla Gran Loggia di Londra. La gran loggia si assunse subito
l'incarico di unificare i regolamenti della massoneria e si può dire che da questo momento i semplici
artigiani sparirono dalle assemblee e la massoneria cessò di essere una corporazione di maestri
d'opera per diventare un corpo puramente speculativo». 57
53. Cfr. Eugenn Lehnnoff, Il Libero Muratore, Bastogi, Livorno 1976, p. 41-42.
54. cfr. F.A. Yates, L'Illuminismo dei Rosa Croce, Einaudi, Torino 1976, p. 243 e sgg.
55. Cfr. E. Lennhoff, cit., p. 42.
56. Cfr. B. Fay, La Massoneria e la rivoluzione intellettuale del secolo XVIII, Einaudi, Torino 1939,
p.100.
57. Cfr. C. Francovich,Storia della Massoneria in Italia, La Nuova Italia, Firenze 1974, p. 11-12.
Ad Alatri in ciò che resta del medievale convento di San Francesco, del 1359, ma dal 1873 al 1968
utilizzato per uffici pubblici, si trova su un'intera parete l'immagine di un grande labirinto che
all'interno contiene la figura di Cristo.
L'affresco è un unicum, perché non ne esistono altri di questo tipo in alcuna parte d'Europa ed è
stato scoperto per caso nel 1996, quando a causa di una infiltrazione d'acqua venne ritrovato un
corridoio che lo conteneva assieme ad altre decorazione dal profondo valore simbolico.
La parete, rivolta ad oriente, delimitava una grande sala, ma, non sappiamo quando e perché, fu
chiusa da una controparete, lasciando un piccolo corridoio senza accessi esterni e dunque invisibile,
tanto che col passare del tempo se ne perse memoria.
Il labirinto a una sola entrata e una sola uscita contiene dodici cerchi neri che delimitano i corridoi
bianchi e porta con un percorso obbligato al centro in cui troneggia Cristo benedicente che con la
destra indica il percorso. Un arco divide in due il corridoio. Sulla parete del locale attiguo sono
presenti decorazioni rappresentanti sfere, girali e fiori della vita che rafforzano il simbolismo
cosmico e solare dei dodici cerchi dell'affresco principale.
Il simbolismo è evidente: nella sala si entra da Occidente, dove tramonta il sole, e ci si dirige ad
Oriente da dove sorge la luce, proprio come nelle chiese precedenti l'anno Mille e oggi ancora nei
templi massonici. Un viaggio verso la Luce, che per il cristiano è rappresentata dal Cristo. Il
labirinto ci dice che si tratta di un viaggio interiore, come nel motto degli antichi alchimisti
V.I.T.R.I.O.L. (Visita interiora terrae rectificandoque invenies occultum lapidem) che troneggia nel
Gabinetto di riflessione ed indica al futuro iniziando lo scopo e il senso dell'appartenenza alla
Massoneria.
L'affresco, sicuramente realizzato in un arco temporale che va dall'XI secolo agli inizi del XIV
secolo, richiama immediatamente il labirinto di Chartres, che al centro ha il fiore di vita a sei petali,
e quelli più vicini di Pontremoli e Lucca.
In realtà, come per quasi tutti i luoghi presunti templari, che negli ultimi anni si sono moltiplicati in
modo esponenziale, quasi sicuramente i templari non c'entrano nulla. Non esiste infatti la minima
indicazione che nei due secoli di esistenza dell'Ordine, essi abbiano mai realizzato labirinti o
utilizzato questo simbolo.
L’affresco poi non ha nulla di eretico, ammesso e non concesso che i Templari fossero depositari di
un sapere segreto contrario alla dottrina della Chiesa, ma è assolutamente canonico, tipico della
simbologia medievale usata dai costruttori delle cattedrali, quei "liberi muratori" da cui deriva la
moderna Massoneria che ancora oggi, lo abbiamo visto, ne utilizza i simboli.
In conclusione resta il mistero di un affresco affascinante di cui non sappiamo quasi nulla. Chi lo
dipinse? Perché fu nascosto? Non lo sappiamo e probabilmente non lo scopriremo mai.
Assolutamente chiaro invece il suo messaggio simbolico, universale ed eterno. E' all'interno di sé
che l'uomo deve cercare il senso profondo della vita. Il vero viaggio è quello interiore. E questo vale
per ogni uomo, credente o laico che sia.
Nel 1099 la conquista della Palestina e di Gerusalemme fa aumentare enormemente il numero dei
pellegrini diretti in Terrasanta. Molti erano privi di risorse, molti si ammalavano lungo il viaggio,
inoltre le vie di comunicazioni marittime e terrestri restavano insicure. Nascono così ordini religiosi
allo scopo di proteggere i pellegrini, ospitarli, dar loro cure mediche. Come l'ordine dell'Ospedale di
S. Giovanni di Gerusalemme, riconosciuto dal Papa nel 1113 anche se già nel 1048 il Beato Gerardo
di Amalfi aveva ottenuto dal Califfo d'Egitto l'autorizzazione a costruire un ospedale in
Gerusalemme.
Nel 1118 nasce l'Ordine dei “Poveri commilitoni di Cristo e del Tempio di Salomone”, più
comunemente conosciuto come Templare dal fatto che il loro quartier generale era ubicato nel luogo
ove in antico sorgeva il Tempio di Gerusalemme costruito da Salomone e distrutto dai romani nel
70 dC.
Quello del Tempio è fin dalle origini un ordine di monaci combattenti, destinato a proteggere i
pellegrini dagli attacchi dei mussulmani. Come gli altri monaci fanno voto di castità e ubbidienza,
ma sono prima di tutto guerrieri, l'élite della nobiltà feudale.
Presto l'Ordine del Tempio diventa una potenza senza rivali nel mondo cristiano. Padrone di terre,
fattorie, castelli in tutta Europa. Dalle sue Commende un flusso incessante di risorse affluisce in
Terrasanta passando per Parigi , vero quartier generale in Occidente dell'Ordine.
Rapidamente l'Ordine acquisisce una posizione privilegiata nei rapporti fra cristianità e Terrasanta,
grazie alla sua organizzazione e al rispetto che lo circonda, l'Ordine emette lettere di credito (la
prima forma di assegno) che sono accettate in ogni paese cristiano e permettono ai mercanti e ai
pellegrini di spostarsi da un luogo all'altro senza portare con sé grandi somme di denaro.
Il Tempio di Parigi, in particolare, diventa il centro europeo della finanza e per il re di Francia una
sorta di banca cassiera, fornendo per un secolo prestiti alla corona.
Sempre più ricco, l'Ordine acquisisce straordinari privilegi da papi e sovrani in forza dei quali
diventa un'istituzione sottomessa solo al papa, totalmente indipendente da ogni altra autorità
religiosa o politica, esente da tasse e da obblighi di qualunque natura. Grazie a ciò l'Ordine
acquisisce il controllo di larga parte del traffico marittimo verso la Terrasanta, si fornisce di una
grande flotta, gestisce porti e scali, scatenando le gelosie delle corporazioni dei mercanti, dei
banchieri e delle repubbliche marinare italiane.
Quando nel 1209 con la caduta di Acri la Terrasanta ritorna sotto il controllo mussulmano, l'Ordine
Templare perde la sua ragione d'esistere. Mentre gli Ospedalieri di San Giovanni continuano sul
mare la lotta contro l'Islam (prima a Cipro, poi a Rodi e infine a Malta), i Templari (con l'eccezione
di Spagna e Portogallo dove partecipano alla guerra di riconquista contro i Mori) sono ormai solo
un Ordine enormemente ricco dedito a traffici di ogni tipo, composto in larga parte di cavalieri
francesi e con il suo centro a Parigi, dove risiede il Gran Maestro.
Terminata l'epoca d'oro delle crociate e il fervore religioso che le animava la ricchezza e il potere
dei Templari, spesso ostentati con grande arroganza, iniziano a essere guardati con sospetto
soprattutto da chi come Filippo IV di Francia, si era votato interamente a consolidare l'unità del
regno intorno alla corona e ad un apparato amministrativo centralizzato, embrione del nascente stato
nazionale moderno, non più dipendente dalla Chiesa o dalla aristocrazia.
Un impegno che richiedeva la disponibilità continua di grandi somme di denaro e la messa sotto
controllo del potere ecclesiastico. Indebitato con il Tempio, che dal 1285 finanzia la sua politica,
fortemente contestato dal popolo di Parigi (dopo una svalutazione particolarmente pesante della
moneta, nel giugno 1306, il re era di misura sfuggito alla folla inferocita che aveva invaso la reggia,
rifugiandosi nella sede dell'Ordine), Filippo decide di scaricare il malcontento sugli ebrei. Il 22
luglio 1306 in tutta la Francia gli ebrei, accusati di complottare contro il re e la cristianità, vengono
arrestati, i loro beni confiscati e poi venduti all'asta a beneficio della corona, i loro affari trasferiti
alle banche italiane a cui il re si è rivolto per diminuire il peso finanziario dei templari; molti
vengono uccisi, gli altri espulsi dal Regno. L'operazione è un successo, ma non basta. Il re mira più
in alto. La persecuzione e cacciata degli ebrei diventa' la prova generale dell'attacco in preparazione
al Tempio.
Filippo sa bene che fino a che il Tempio fosse sopravvissuto come istituzione autonoma il potere
regio non si sarebbe mai potuto pienamente affermare. Questo, unito al bisogno drammatico di
recuperare fondi, convince il re a superare ogni indugio e ad agire, consapevole dell'appoggio di
gran parte della nascente borghesia bancaria e commerciale, ansiosa quanto lui di scrollarsi di dosso
vincoli feudali sentiti ormai come obsoleti.
Il 13 ottobre 1307 i templari vengono arrestati su tutto il territorio del Regno e delle sue dipendenze
italiane. In quel momento l'Ordine conta circa 4000 membri, di cui la metà in Francia. I cavalieri
sono qualche centinaio.
L'accusa è terribile: i cavalieri praticano riti segreti in cui rinnegano Cristo, si danno a pratiche
contro natura, adorano un idolo. In una parola l'Ordine del Tempio da primo difensore della
cristianità si è ormai trasformato in una setta segreta di eretici dediti all'adorazione di Satana.
Sottoposti a feroci torture molti cavalieri confessano quanto viene loro imputato dagli inquisitori.
Via via si aggiungono nuovi particolari: l'idolo veniva unto con il grasso di neonati arrostiti, i corpi
dei templari deceduti erano arsi e le loro ceneri usate per preparare pozioni magiche, Satana in
persona in forma di gatto presiedeva le riunioni capitolari accompagnato da demoni in forma di
fanciulle con cui i cavalieri si accoppiavano in orge abominevoli. Sono le stesse accuse rivolte un
secolo prima a catari e valdesi, che vengono ora riprese dagli inquisitori con lo stesso intento:
discreditare l'Ordine, scatenare una campagna d'odio nei suoi confronti, giustificare l'eliminazione
fisica dei suoi membri. Filippo deve sopprimere l'Ordine per incamerarne le ricchezze, doveva
quindi dimostrare che non si tratta di semplici deviazioni di qualche Templare anche illustre, ma che
l'Ordine stesso si è trasformato in una setta eretica. Tutti i templari, qualunque sia il ruolo rivestito,
sono dunque colpevoli. I verbali dell'inquisizione ritornavano utili e furono abbondantemente
utilizzati.
Colpire il Tempio significa colpire il Papato. Filippo agì al di fuori delle norme vigenti senza
richiedere, come previsto, l'autorizzazione preventiva del Papa. Egli sapeva di poterlo fare. Il
pontefice, Clemente V, era un francese, doveva a lui la sua elezione e risiedeva ad Avignone e non a
Roma. Il Re ignorò ogni norma e consuetudine: non furono rispettate le immunità di cui i cavalieri
godevano, gli inquisitori erano di nomina regia, agli accusati non fu permesso di difendersi.
Tenuti in isolamento, agli arrestati fu promesso che se avessero confessato sarebbero stati
risparmiati e riconciliati con la Chiesa. Le prime confessioni produssero confessioni a catena. Chi
non si piegava veniva torturato. Nella sola Parigi 36 prigionieri morirono sotto tortura.
Nel frattempo fu avviata una grande campagna propagandistica contro l'Ordine utilizzando
francescani e domenicani da sempre ostili al Tempio.
Ben presto anche i vertici cedettero: il 25 ottobre 1307 il Gran Maestro Jacques de Molay ammise
tutte le colpe senza essere sottoposto a tortura.
Nonostante la sua sudditanza nei confronti del Re, Clemente V non si mostrò agli inizi convinto
delle accuse. Infuriato dalla mancanza di rispetto del Re nei suoi confronti, all'inizio del 1308 rifiutò
di sopprimere l'Ordine, affermò che gli inquisitori regi non avevano il potere di indagine e riservò a
se ogni decisione in merito. Filippo rispose intensificando la propaganda antitemplare e convocando
prima gli Stati Generali a Tours e poi una grande assemblea dei vescovi di Francia a Poitiers con
l'intento di intimidire il Papa. Clemente V cedette e abbandonò ogni velleità di opporsi al Re. Per
salvare la faccia costituì commissioni papali nei vari paesi per investigare direttamente. Fuori del
regno di Francia l'iniziativa non ebbe praticamente seguito, i Templari non furono perseguiti o, se lo
furono, risultarono assolti o sottoposti a lievi penitenze per colpe minori. In Francia le conseguenze
di questa decisione papale furono significative: interrogati dagli inquisitori papali gran parte dei
cavalieri ritrattarono le confessioni dichiarando che queste erano state loro estorte sotto tortura o
con la promessa dell'impunità.
Filippo fu costretto ad intervenire e costrinse il papa a nominare un giovane di 22 anni, fratello di
un suo cortigiano, vescovo di Parigi. Questi, nella sua veste di inquisitore di Francia, condannò al
rogo come eretici relapsi i cavalieri che avevano ritrattato, facendone bruciare circa 120. Sempre su
pressione del Re, il Papa convocò un Concilio ad Avignone per condannare l'Ordine. Ma i cardinali
rifiutarono di pronunciarsi per mancanza di dati certi. La cosa rischiava di andare per le lunghe,
Filippo aveva fretta di concludere anche perché crescevano le perplessità e i dubbi fra aristocratici e
grandi borghesi. Il 22 marzo 1311, su richiesta del re, Clemente V emanò un atto pontificio che
sopprimeva l'Ordine e trasferiva le sue proprietà agli Ospitalieri, ma in Francia si trovò ben poco
essendo gran parte dei beni già stati requisiti dalla monarchia.
Nel maggio 1312 Clemente si pronunciò in merito ai cavalieri sopravvissuti. Eccettuati i relapsi
(cioè coloro che avevano ritrattato), essi dovevano essere relegati in monastero per passarvi in
penitenza il resto dei loro giorni. I principali dignitari dell'Ordine furono invece condannati al
carcere a vita.
Il 18 marzo 1314 i quattro alti dignitari comparvero davanti al Re e al popolo di Parigi per sentire
proclamata la sentenza. Il Gran Maestro Jacques de Molay dichiarò solennemente che l'Ordine era
innocente dei crimini ascrittigli, denunciò l'operato del Re e del Papa e affermò di meritare la morte
per aver confessato per paura delle torture. Il precettore di Normandia, Geoffroi de Charnay si
associò.
La reazione di Filippo fu spietata: De Molay e Geoffroi de Charnay furono immediatamente bruciati
come eretici relapsi.
Così finiva l'Ordine del Tempio e si concludeva il primo grande processo politico della storia, un
processo in qualche modo destinato a prefigurare nei suoi lineamenti essenziali (la costruzione di un
teorema accusatorio, l'uso su larga scala di campagne propagandistiche, il terrore come strumento di
pressione, l'uso di una burocrazia professionale) i peggiori aspetti di quello che sarebbe poi
diventato nel XX secolo lo Stato moderno, centralizzato e burocratico, nelle sua involuzione
totalitaria.
La leggenda di Hiram è centrale nella simbologia e nella ritualità massonica. La figura di Hiram,
capo architetto agli ordini di Salomone nei lavori di costruzione del Tempio di Gerusalemme, la sua
uccisione a opera di tre operai infedeli, il processo di morte-rinascita che ne consegue danno vigore
e sostanza iniziatica al Terzo Grado e insieme pongono le premesse dei gradi di perfezione almeno
per quanto attiene al Rito Scozzese Antico e Accettato.
Verrebbe dunque da pensare che tutto sia chiaro in materia e che non ci sia nulla da ricercare su
Maestro Hiram e la sua storia. E quello che, con grande disinvoltura, ha fatto la maggior parte dei
commentatori di cose massoniche, i quali hanno scritto, senza procedere a nessuna verifica, di
leggenda medievale risalente alle corporazioni degli scalpellini. Ma è davvero così?
Qualcuno è andato anche oltre e ha imbastito sulle spalle del povero Hiram storiacce alla Dan
Brown. E' il caso del fanta-archeologo italiano Flavio Barbiero che usa il racconto della morte di
Hiram per riscrivere la storia della Massoneria, secondo lui copertura nei secoli dell'azione nella
diaspora della famiglia sacerdotale di Gerusalemme entrata in clandestinità dopo la distruzione del
Tempio:
“La Bibbia – scrive Barbiero - racconta la storia del popolo ebraico. I rituali massonici si riferiscono
a tutt'altra storia. Essi riportano soltanto avvenimenti che avevano rilevanza per la famiglia
sacerdotale di Gerusalemme e la cui descrizione in nessun modo poteva essere ricavata dalla Bibbia
stessa. Si tratta di episodi che si inseriscono in maniera appropriata nella storia biblica e che spesso
vi sono citati espressamente, ma nei rituali sono narrati con una quantità di informazioni che non
sono presenti nella Bibbia e soprattutto con un'ottica strettamente unilaterale, interna alla famiglia
sacerdotale [di Gerusalemme](...) Questa convinzione è rafforzata dal fatto che ci sono molti
paralleli tra le tradizioni massoniche e i testi apocrifi del Vecchio Testamento, libri di autori ignoti,
ma certamente appartenenti alla classe sacerdotale della Gerusalemme dal terzo al primo secolo
a.c.”.
Altri (è il caso degli inglesi Christopher Knight e Robert Lomas e del loro La chiave di Hiram) si
spingono ancora più avanti sul sentiero delle affabulazioni fantastiche, rintracciando nella leggenda
di Hiram la manifestazione di uno stesso simbolismo esoterico che, partito dai Faraoni e ripreso poi
da un Gesù segreto e sconosciuto (perché rifiutato e tradito dalla Chiesa di Paolo), arriva ai
Templari e poi nel Rinascimento a logge segrete di massoni scozzesi per riaffiorare di nuovo alla
superficie nel 1717, al momento della costituzione della Gran Loggia d'Inghilterra che ne
tramanderebbe il ricordo nelle sue Costituzioni e nei suoi riti, ma non ne comprenderebbe più
l'autentico significato.
Fantasie che hanno prosperato sul fatto (questo si storicamente documentato e dunque
incontrovertibile) che sulla genesi della leggenda di Hiram a tutt'oggi si conosce tanto poco da far
scrivere a uno studioso del calibro di Umberto Gorel Porciatti come, nonostante le “appassionate
ricerche da parte di storici perspicaci ed assai ben documentati” la genesi della leggenda di Hiram
fosse ancora avvolta “nel più impenetrabile mistero”.
In termini non dissimili, ma con una punta di umorismo british in più, un esponente dell'autorevole
Loggia di ricerca inglese Ars Quatuor Coronatorum No. 2076, tirando le somme sullo stato dell'arte,
scriveva nel 1961:
“Forse noi abbiamo ricercato la cosa sbagliata nella direzione sbagliata e con metodi sbagliati, come
nella ben nota analogia del cieco che cerca in una stanza buia un gatto nero che neppure c'è”.
Ed in effetti i risultati della ricerca storica (quasi esclusivamente svoltasi in ambito anglosassone)
dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio che la Leggenda di Hiram nelle forme attualmente
conosciute e tramandate dalla Libera Muratoria non è anteriore al XVIII secolo.
Cerchiamo di fare il punto della situazione a partire dalle origini. E dunque partiamo dalla Bibbia.
Hiram e la Bibbia
Il nome Hiram appare nella Bibbia in alcuni passi del Primo libro dei re e del Secondo libro delle
Cronache. Vediamo i passi solo per la parte che ci interessa, considerato che sono piuttosto estesi e
si dilungano in dettagli ininfluenti per il tipo di argomentazione che stiamo sviluppando:
“Hiram, re di Tiro, inviò i suoi servi presso Salomone, poiché aveva udito che questi era stato uno
re al posto di suo padre e Hiram era sempre stato amico di Davide” (1 Re, 5,15)
Così inizia il racconto del libro dei re. Continua poi spiegando come Salomone chieda a Hiram di
aiutarlo nella costruzione del Tempio inviandogli operai e materiali. Segue una lunga descrizione
dello svolgimento dei lavori. Infine, la Bibbia narra dell'arrivo a Gerusalemme di Hiram
“Il re Salomone mandò a prendere Hiram di Tiro. Questi era figlio di una vedova della tribù di
Neftali, però suo padre era di Tiro e lavorava il bronzo. Egli era dotato di abilità, d'intelligenza e di
perizia nell'eseguire qualsiasi lavoro in bronzo. Venuto presso il re Salomone, eseguì tutti i suoi
lavori”. (1 Re 7, 13-14)
Il passo si conclude con la descrizione minuziosa dei lavori svolti da Hiram il quale evidentemente,
anche se il testo non lo dice esplicitamente, è un altro personaggio rispetto al re di Tiro. Questo
secondo Hiram è un abilissimo artigiano, specializzato nella lavorazione del bronzo e il suo compito
è dedicarsi in particolare alle opere di rifinitura degli interni.
Più chiaro il Secondo libro delle cronache, che riprende con maggiore precisione quanto già narrato
dal libro dei re. Anche qui si inizia con il racconto dell'accordo fra i due re, Salomone e Hiram, per
procedere alla costruzione del Tempio di Gerusalemme.
“Salomone mandò a dire a Hiram, re di Tiro:«Come hai fatto con Davide, mio padre, inviandogli
cedri per costruirsi una casa in cui abitare, così agisci anche con me». (2 Cronache 2,2)
Re Hiram risponde sollecitamente alle richieste di aiuto di Salomone e gli promette l'invio di un
abilissimo artigiano, Hiram-Abi:
“Ora ti mando un uomo esperto, pieno di abilità, Hiram-Abi, figlio di una donna della tribù di Dan e
di un padre di Tiro. Egli sa lavorare l'oro e l'argento, il bronzo, il ferro, le pietre, il legname, le stoffe
di porpora di violetto, di bisso e di cremisi; sa eseguire qualunque intaglio e creare qualunque opera
d'arte che gli venga affidata. Egli lavorerà con i tuoi artigiani e con gli artigiani del mio signore,
Davide, padre tuo”. (2 Cronache 2,10-13)
Hiram e il Compagnonaggio
In un lungo studio (Appunti sulle origini) apparso nel 1992 sulla rivista Hiram, Giuseppe Abramo
entra nel merito della leggenda di Hiram.
Secondo Abramo che si basa sulle ricerche di Etienne Martin Saint-Leon, uno studioso francese
della seconda metà dell'Ottocento, i testi della leggenda di Hiram, conservati negli archivi dei vari
Compagnonnages, tutti con il riprodurre, come proemio, più o meno esattamente il racconto biblico
della costruzione del Tempio di Salomone, per poi passare al racconto della leggenda della morte di
Hiram per mano di tre apprendisti infedeli, della ricerca e del ritrovamento del corpo del Maestro,
della sua sepoltura “in una tomba di rame larga tre piedi, profonda cinque e lunga sette, con un
triangolo d'oro e questa iscrizione A.L.G.D.G.A.D.L.U (A' la gloire du Grand Architecte de
l'Universe) e vi si pone una medaglio triangolare dove stava scritto il nome di Jehova”; e infine
della cattura e della punizione dei tre assassini.
Nel suo lavoro Giuseppe Abramo da per scontato che la leggende hiramitica sia nata in Francia, fra
l'XI e il XII secolo, nelle logge degli scalpellini e dei tagliapietre,che l'avrebbero importata
dall'Oriente dove si era conservata nonostante il passare dei secoli. Ma le cose non sembrano stare
così.
Abramo cita le opere di Saint-Leon di seconda mano e soprattutto ignora che già nel 1946 nel loro
The Genesis of Freemasonry (una pietra miliare negli studi scientifici sulle origini della Libera
Muratoria), gli autorevolissimi storici Douglass Knopp e G.P. Jones avevano demolito le tesi di
Sain-Leon in quanto “sfortunatamente, sembra impossibile datare queste leggende o tracciare la
loro storia”, considerato che lo stesso Saint-Leon non porta documenti a sostegno delle sue
affermazioni in quanto, come egli sostiene, queste leggende sarebbero state trasmesse oralmente
almeno fino all'Ottocento.
In mancanza di documentazione certa Knoop e Jones non hanno dubbi: le somiglianze fra i rituali
del compagnonaggio francese e della massoneria inglese esistono, ma sono dovute al fatto che per
nobilitare la loro storia i francesi ripresero leggende e catechismi dai massoni inglesi del Settecento
e non viceversa.
A complicare ulteriormente le cose c'è un passo delle Costituzioni di Anderson del 1723 e
precisamente quello in cui si afferma che, decaduta l'arte muratoria in Britannia a causa delle
devastazioni causate dai “danesi” (vichinghi), “Carlo Martello, re di Francia, mandò in Inghilterra,
per desiderio dei re Sassoni, parecchi esperti Compagni della Fratellanza e dotti architetti: cosicché,
durante l'Eptarchia, l'Architettura gotica fu qui incrementata, come in tutte le terre cristiane”.
Dunque, secondo James Anderson, la Massoneria, scomparsa in Inghilterra, sarebbe stata
ricostituita in pieno Medioevo ad opera dei Compagnoni francesi che avrebbero trasmesso ai
confratelli inglesi insieme al loro sapere tecnico anche le leggende e i riti della loro corporazione.
Tutto dunque si terrebbe, a confermare le tesi di Saint-Leon riprese in Italia da Abramo. Ma anche
in questo caso si tratta di affermazioni prive di riscontri storici. Non esiste, infatti, la benché minima
documentazione di questo presunto passaggio di consegne. Anzi i ricercatori dell' Ars Quatuor
Coronatorum No. 2076 e in particolare Lionel Vibert, forse il più autorevole commentatore delle
Costituzioni del 1723, considerano il passo su Carlo Martello una delle tante forzature compiute
dall'Anderson che su un canovaccio tratto da manoscritti medievali interpolò sue considerazioni a
costruire una storia assai fantasiosa dell'Ordine. (Si può vedere a questo proposito l'introduzione del
Vibert all'edizione Bastogi delle Costituzioni, curata nel 1974 da Lino Salvini e Giordano
Gamberini)
E' ormai storicamente assodato il fatto che in nessun testo medievale inglese riguardante l'arte
muratoria (e sono oltre 130 risalenti a epoche diverse comprese fra il 1390 e il XVII secolo) si tratti
della leggenda di Hiram. Nelle fonti esistenti, i cosiddetti Manoscritti Gotici, non se ne trova alcuna
traccia. Solo nel cosiddetto Manoscritto Cooke, risalente agli inizi del 1400, si accenna vagamente
al Libro dei re, ma non c'è nulla che ricordi anche lontanamente la leggenda di Hiram nella versione
che prenderà nel Settecento. Nel MS Cooke si trova la seguente frase:
“E nella costruzione dei Tempio, al tempo di Salomone, com'è detto nella Bibbia, nel 3° Libro dei
Re quinto capitolo, Salomone ebbe 80 mila muratori al suo servizio. E il figlio del re di Tiro era il
suo maestro muratore”.
Dunque non appare neppure il nome Hiram. Sappiamo invece con certezza che la prima volta che fu
conferito il terzo grado (e dunque utilizzato l'attuale rituale) fu a Londra nel corso del 1724.
Sappiamo anche che le Costituzioni del 1723 non fanno alcuna menzione dell'assassinio di Hiram,
limitandosi a riprendere il racconto biblico. Scrive infatti l'Anderson, dopo aver descritto l'ampiezza
dei lavori e la moltitudine di operai impiegati:
“Per questo grande numero di abili Muratori, Salomone fu molto grato a Hiram o Huram, Re di
Tiro, che mandò i suoi Muratori e Carpentieri a Gerusalemme, e abeti e cedri del Libano a Ioppe, il
più prossimo porto di mare. Ma soprattutto, egli mandò il suo omonimo Hiram o Huram, il più
perfetto Muratore della Terra”.
Al testo biblico aggiunge (e non stupisce, trattandosi di una storia ufficiale della Libera Muratoria)
solo una notazione sull'appartenenza di Salomone e Hiram alla Massoneria:
“il saggio Re Salomone era stato Gran Maestro della Loggia di Gerusalemme, il sapiente Re Hiram
Gran Maestro della Loggia di Tiro e l'ispirato Hiram Abif Maestro del Lavoro”.
Più interessante anche se oscura la lunga nota posta in calce relativa al significato del nome Hiram
Abif. Come nota il Vibert “benchè non contenga nessuna frase riguardante mistero. È un indice che
a quel tempo il vero significato del nome, aveva un interesse per la Craft [la Corporazione]”
Ci vorranno ancora quindici anni perchè nel 1738 nella seconda edizione delle Costituzioni del
1723 Anderson introduca il racconto dell'assassinio di Hiram per mano dei tre apprendisti infedeli e
della scoperta del cadavere. Questa per gli studiosi è la prova decisiva che la leggenda hiramitica
divenne parte integrante della tradizione massonica fra il 1723 e il 1738 e non prima. Resta aperta la
questione se la leggenda fu redatta ex novo dai compilatori dei nuovi rituali o se elementi della
leggenda preesistessero alla formazione della Gran Loggia nel 1717. Robert F. Gould, uno dei primi
grandi storici della Massoneria, è perentorio:
“Se Hiram Habif avesse figurato, in quel periodo, nelle cerimonie o nelle tradizioni del mestiere, le
Costituzioni manoscritte dell'epoca non conserverebbero, come fanno, un silenzio uniforme e
ininterrotto sull'esistenza reale o leggendaria di un personaggio così eminente nella storia e nella
leggenda posteriore dell'Ordine.”
Tanto meno, continua Gould, il ricordo dell'assassinio di Hiram “sarebbe apparso nei primi gradi e
non introdotto senza alcuna forma di preavviso nel terzo grado”.
Hiram e Noè
Ma allora cosa accadde fra il 1723 e il 1738 di tanto importante da convincere il reverendo
Anderson a modificare il testo delle sue Costituzioni e ad introdurre la storia della morte-rinascita di
Hiram nella forma che ancora oggi viene insegnata nelle Logge di tutto il mondo?
Probabilmente niente o forse tutto. Perché passo dopo passo si era andata consolidando in quegli
anni la moderna Massoneria speculativa nata a Londra nel 1717. Di certo i cambiamenti erano stati
profondi: l'originario primo grado si era diviso in due e il secondo grado era divento il terzo. anche i
rituali si erano evoluti da una semplice cerimonia per comunicare ai nuovi ammessi i segreti della
Corporazione a un sistema filosofico assai sofisticato di allegorie e simboli. Un processo che
comunque non era stato indolore, come dimostra nel 1719 l'incendio non accidentale degli archivi
delle vecchie logge operative. Non è dunque poi così strano che la prima menzione della leggenda
di Hiram nella sua interezza risalga al 1730, al libello di Samuel Prichard Masonry Dissected in cui
in polemica con l'Ordine ne venivano svelati i segreti.
Sembra che Samuel Prichard fosse stato un massone operativo e che non vedesse di buon occhio i
cambiamenti in corso, tanto da scrivere:
“I miei Fratelli colpevoli hanno sviluppato la superstizione e le fantasticherie inutili nelle Logge per
le loro pratiche e le loro recenti affabulazioni. Dei rapporti allarmanti, delle storie di spiriti malvagi,
delle stregonerie, degli incantesimi, delle spade sguainate e delle camere oscure hanno prodotto il
terrore. Ho deciso di non mettere più piede in una Loggia, a meno che il Gran Maestro non metta
termine a questi processi con una pronta e perentoria ingiunzione a tutta la Fraternità.”
E in un'altra lettera:
“Raccontano delle strane e vane storie a proposito di un albero che sarebbe sortito dalla tomba di
Hiram, con delle foglie meravigliose ed un frutto di mostruosa qualità, per quanto nel contempo essi
non sappiano né quando né dove morì, e non ne sappiano più nulla sulla sua tomba che su quella di
Pompeo.”
Grazie al tradimento di Prichard, che violando il giuramento prestato, svela i segreti della Craft,
sappiamo con certezza che nel 1730 la leggenda di Hiram circola nelle logge inglesi, e forse in più
di una versione ,se in un altro testo di quell'epoca, il Manoscritto Graham del 1726, si racconta una
strana storia identica in molti particolari a quella di Hiram. Protagonisti sono i tre figli di Noè, Sem,
Cam e Japhet che:
“andarono alla tomba di Noè, loro padre, per cercare di trovare qualcosa che li conducesse al
segreto della virtù che questo famoso patriarca possedeva”. Non trovando quanto cercavano, i tre
sollevarono il cadavere del padre già in via di decomposizione “mettendo piede contro piede,
ginocchio contro ginocchio, petto contro petto, guancia contro guancia e mano sul dorso e
invocarono 'aiutaci o padre'”
Non sappiamo come e perché nella forma definitiva Noè diventò Hiram. Di certo sappiamo che la
leggenda prese corpo nella sua forma attuale in quegli anni. Sappiamo anche che si diffuse con
estrema rapidità prima in Inghilterra e poi in Francia riapparendo dal 1730 al 1806, quando
diventerà la base dell'appena costituito Rito Scozzese Antico e Accettato, in una cinquantina di
rituali in Inghilterra, Scozia, Francia e nelle colonie americane. Un corpus vasto e articolato, di
grande interesse iniziatico e simbolico, che varrebbe la pena di esaminare con attenzione. Ma questo
semmai sarà argomento di un'altra ricerca.
Da bambino dalla finestra della mia camera al Parasio vedevo la casa natale di San Leonardo di
cui mia nonna mi raccontava i miracoli. Mai avrei immaginato allora che da adulto mi sarei
occupato del ruolo importante che il predicatore francescano ebbe nella violenta persecuzione
antimassonica scatenata nel 1751 da Papa Benedetto XIV.
Con l'enciclica Providas Romanorum Pontificum del 28 maggio 1751, Benedetto XIV rinnova la
scomunica nei riguardi degli appartenenti alla Massoneria, rinnovando la condanna emessa solo
tredici anni prima da Clemente XII (In eminenti, 28 aprile 1738).
Il Pontefice è particolarmente preoccupato dalla situazione venutasi a creare nel regno di Napoli
dove gli inquisitori gli segnalano il rapido diffondersi di quella che per la Chiesa è una setta
diabolica che mette in pericolo i pilastri della società: la corona e la tiara.
Tant'è che il Papa inizia un serrato scambio di lettere con il re di Napoli affinché anche il potere
politico si attivi contro la malefica setta: "Noi - scrive Benedetto XIV - con ogni maggiore efficacia
prescriviamo l'aiuto delle Potestà secolari, essendo i Principi Cattolici prescelti da Dio per essere
Protettori della Fede ed alla Chiesa".
Spaventa la Chiesa "l'accoppiamento di persone di qualsivoglia religione e setta nelle adunanze: il
che ognuno ben sa quanto possa essere nocivo alla nostra santa cattolica Religione".
È inaccettabile che si riuniscano nelle logge uomini di fedi e idee politiche diverse in un clima di
fratellanza e di armonia. Questo viene visto come un pericolo mortale per una istituzione come la
Chiesa che si ritiene depositaria della verità e considera nell'errore (e spesso perseguita) chi non ne
condivida le posizioni. Insomma a preoccupare è la tolleranza e il rifiuto dell'assolutismo
monarchico dei massoni che, nota il Papa, osano associarsi e riunirsi senza il permesso preventivo
dell'autorità regia. "Radunanze e società vietate - scrive nell'enciclica- mancando l'autorità del
principe".
Uno dei maggiori sostenitori di questa nuova campagna antimassonica é il predicatore francescano
di Porto Maurizio Paolo Girolamo Casanova, meglio conosciuto come frate Leonardo, inventore del
rito della Via Crucis, canonizzato nel 1867, proprio nel periodo di maggior contrasto tra la Chiesa e
il pensiero liberale, di cui la Massoneria settecentesca era stata in qualche modo la prima
manifestazione.
San Leonardo è tra i più ascoltati consiglieri del Papa ed è considerato anche da uno studioso
cattolico come il paolino Rosario F. Esposito, tra i principali ispiratori della scomunica. In una
lettera del 9 luglio a Benedetto XIV S. Leonardo plaude entusiasticamente all'opera antimassonica
del pontefice. La riportiamo per la parte che ci interessa:
"La grazia dello Spirito Santo sia sempre colla Santità vostra. Non mi posso saziare di ripetere più
volte. Benedetto sia Dio! Benedetto sia Dio per due punti di grande conseguenza di che si è
compiaciuto ragguagliarmi colla sua amorevolissima, cioè l'accomodamento delle differenze insorte
tra i religiosi francesi ed italiani della Missione, e destrezza con cui si è accattivato il re di Napoli
per dare addosso ai Liberi Muratori che son veri ateisti e la peste del mondo cattolico
[sottolineatura nostra]. In quanto al primo... In quanto al secondo vorrei potermi disfare per
estirpare questa gramigna che va serrando per la nostra Italia, con tanto danno per le povere anime.
In Nizza, in Provenza, avevano fatto il nido, e fui condotto a vedere il luogo dove facevano le loro
conventicole: sul pavimento v'erano alcune figure stravaganti, e si conosce che si servono della
magia ed hanno corrispondenza con l'inferno [Sottolineatura nostra]. Mi è stato detto che la
Santità vostra abbia fatto una nuova Bolla contro questi perfidi, ed avrei molto caro di vederla.
Spero che Iddio aprirà gli occhi a' Principi cristiani, acciò facciano una sacra Lega per distruggerli
affatto. In Nizza si crede che loro operassero in modo che quel Vescovo a ciò non si facesse la
missione. E infatti loro riuscirono; e ci convenne partire con le trombe nel sacco; il che dispiacque
al re Sardo, che già mi aveva dato il placet, e mi mandò a dire che avevo fatto male a non scrivere a
lui, perché avrebbe dato tutta la mano". (1)
Sembra di capire che al futuro "santo" bruci molto che nella tollerante Nizza, città di mercanti
aperta ai contatti e agli scambi, non lo si fosse seguito nella sua campagna persecutoria
antimassonica, tanto da costringerlo ad allontanarsi dalla città.
Altri, ben più potenti, lo seguiranno. In Spagna e Portogallo per i Liberi Muratori si apriranno le
porte dei carceri dell'Inquisizione. Costretti sotto tortura a rivelare i segreti dell'Istituzione, molti
finiranno non più sul rogo, che nel Settecento ormai non si usa più, ma incatenati ai remi delle galee
della marina imperiale.
a) l'agenzia di affari di Gelli, gestita sia in conto proprio che in conto terzi. Basti a questo proposito
pensare ai rapporti mai smentiti fra Gelli, Andreotti e ambienti vaticani;
b) un centro di mediazione e compensazione dei poteri forti (militari, politici, giudiziari ed
economici) operanti allora in Italia in funzione di una stabilizzazione moderata del quadro politico-
sociale;
c) un centro operativo della CIA e in subordine dei nostri Servizi del tipo Aginter Press, disponibile
per tutti quei lavori sporchi che gli apparati dello Stato non possono svolgere in proprio;
d) un possibile governo ombra, alternativo a quello in carica, da tirare fuori in caso di necessità.
Quello che credo vada escluso è invece che la P2 sia stata un'organizzazione golpista. Concentrando
nelle sue mani già tutto il potere (soprattutto quello militare) non ne aveva alcun bisogno. È anche
la tesi di Franco Astengo e di autorevoli studiosi come Giorgio Galli. Scopo della P2 era semmai il
condizionamento costante della vita politica. Quella di Gelli e di chi lo manovrava era più la
strategia del ragno che tesse la tela che quella muscolare del gorilla alla maniera latinoamericana.
Nel suo libro “La venerabile trama” Galli esclude con fermezza che le due principali obbedienze
massoniche italiane, il Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani e la Serenissima Gran Loggia
degli ALAM di Piazza del Gesù, abbiano avuto un qualunque ruolo nei progetti eversivi legati alla
strategia della tensione. Il che ovviamente non impedisce la partecipazione a quei progetti di singoli
appartenenti o di gruppi “spuri”. Va infatti sempre ricordato che in Italia esistono più di cento
piccoli gruppi sedicenti massonici, privi di qualunque regolarità iniziatica. Un sottobosco oscuro e
in continuo mutamento nel cui ambito si collocano la quasi totalità delle collusioni accertate a
livello giudiziario con il crimine organizzato (mafia e ndrangheta). Insomma, gruppi spontanei
messi in piedi spesso da faccendieri in qualche caso proprio al fine di gestire spregiudicate
operazioni economico-finanziarie e che a nessun titolo, nonostante i nomi altisonanti che si danno,
possono essere considerate obbedienze massoniche.
Resta invece aperto il tema delle responsabilità politiche degli organismi dirigenti del Grande
Oriente d'Italia, di cui la P2 faceva regolarmente parte, ed in particolare delle Gran Maestranze di
Giordano Gamberini e Lino Salvini che non seppero ( o forse anche non vollero) vedere cosa stava
accadendo e intervenire in tempo prima che Gelli e la sua loggia sfuggissero completamente di
mano.
Scrive a questo proposito Galli nel libro già citato: “La Massoneria storica di Palazzo Giustiniani e
il suo vertice non hanno voluto e saputo fare chiarezza, con una franca assunzione di responsabilità,
sulle iniziative di Gelli”.
Oggi, soprattutto dopo la lunga e lungimirante Gran Maestranza di Gustavo Raffi, si può
tranquillamente affermare che il Grande Oriente d'Italia operi con criteri di trasparenza e visibilità
pubblica come mai precedentemente era accaduto nella storia repubblicana. Resta tuttavia ancora la
necessità da parte dell'Istituzione di elaborare definitivamente il lutto sull'affare P2 con una
rivisitazione storica che finora a livello ufficiale è mancata. Solo allora si potrà davvero dire che il
GOI si è definitivamente lasciato alle spalle una storia terribile che ne ha per lungo tempo
drammaticamente segnato l'immagine.
Avvicinandosi la data del referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari si infittiscono su
Facebook le denunce di un presunto complotto massonico mirante allo smantellamento della
Costituzione. Ipotesi deliranti, come ogni teoria complottistica, ma anche frutto di una diffusa
ignoranza su come la nostra costituzione è nata.
In genere si dice che la Costituzione italiana sia stata soprattutto il frutto dell'incontro delle due
grandi componenti popolari comunista e cattolica. Il che è vero, ma solo parzialmente. Quasi tutti
ignorano infatti che importante, a livello ideale perchè la Massoneria non è una entità politica, fu
anche il ruolo della Massoneria. Pochi infatti sanno che dei 75 padri costituenti, 8 erano massoni a
partire dal Presidente della Commissione Meuccio Ruini, iniziato nel 1901 e perseguitato dal
fascismo proprio per la sua irriducibile fedeltà alla causa massonica.
Meucci Ruini sintetizzò così il lavoro della Commissione costituente da lui presieduta:
“Nello sforzo di conquistare stabilmente la libertà e di ancorarla ad una sfera di valori alti,
convergono correnti profonde: dalle democratiche fedeli agli ‘immortali principi’ e dalle liberali che
invocano ‘la religione della libertà’; alla grande ispirazione cristiana che rivendica a sé la fonte
eterna di quei principi ed all’impulso di rinnovamento che muove dal Manifesto dei comunisti e
che, per combattere lo sfruttamento di una classe da parte di un’altra, risale alla liberazione
dell’uomo dal giogo dell’uomo; e cioè ai suoi inalienabili diritti”.
Una dimostrazione di tolleranza e di democrazia a conferma di come molti dei principi compresi
nella prima parte della Costituzione siano di diretta derivazione massonica e si ispirino appunto agli
“immortali principi” sintetizzati dal trinomio libertà, eguaglianza, fratellanza, nato con la
rivoluzione francese, che campeggia in ogni loggia sopra lo scranno del Maestro Venerabile.
Meuccio Ruini
Sean Connery, Rudyard Kipling e la Massoneria
Il 31 ottobre moriva a Nassau Sean Connery, il primo indimenticabile 007, un mito per la nostra
generazione, anche se onestamente nel primo film, quello che lanciò la serie, a colpirci decisamente
di più fu l'apparizione folgorante di una statuaria Ursula Andress, sorgente dalle acque come una
Venere rinascimentale appena coperta da un bikini bianco che, come ha scritto qualcuno, turbò i
sonni di un'intera generazione di adolescenti.
Unanime il cordoglio in tutto il mondo, d'altronde proprio grazie al personaggio di 007 Connery era
diventato un mito universale. Ma pure qualche differenza navigando su internet si trova. Qualcuno
penserà una a perdita di tempo. Sicuramente ci sono cose più importanti da seguire. Ma che volete,
noi anziani, ormai fuori dal processo produttivo qualcosa dobbiamo pur fare in attesa che il
presidente della Liguria Toti ci mandi tutti, come il vecchio cavallo della Fattoria degli animali, alla
fabbrica della colla.
Ebbene, per tornare a Connery, mentre in Italia si è parlato esclusivamente del personaggio di James
Bond nel mondo anglosassone e particolarmente in Inghilterra, si è sviluppato in rete un vivace
dibattito sull'appartenenza o meno dell'attore alla Massoneria. Il perché è semplice. Nel 1975
Connery, insieme ad un grande Michael Caine, gira “L'uomo che volle farsi re”, spettacolare film di
John Huston, tratto da un racconto del 1888 di Rudyard Kipling compreso nella raccolta “The
Phantom Rickshaw & other Eerie Tales”.
Lo scrittore, premio Nobel per la letteratura nel 1907, viveva allora in India e risentiva fortemente,
come l'argomento di questi racconti giovanili chiaramente dimostra, del fascino esercitato
dall'esoterismo sulla cultura borghese di fine Ottocento. Kipling era stato solo due anni prima
iniziato giovanissimo, aveva appena 23 anni, alla Loggia "Hope and Perseverance" n.782 all'
Oriente di Lhaore, loggia di cui fu subito segretario. Non stupisce quindi che anche i suoi scritti ne
risentissero e “L'uomo che volle farsi re” è pieno di riferimenti alla Massoneria a partire dal
protagonista del racconto, un ex soldato inglese, amante del whisky scozzese e delle donne, ma
soprattutto orgoglioso della sua appartenenza alla Massoneria che ostenta fin dalla sua prima entrata
in scena.
Da qui l'equivoco su Connery massone. L'attore aveva saputo rendere così bene il personaggio che
era impossibile che non fosse anche lui un “figlio della vedova”, il modo con cui i massoni si
definiscono fra loro. E invece no. Sean Connery era solo un grande attore, capace di immedesimarsi
totalmente con i personaggi che rappresentava al punto che per lo spettatore non c'era più possibilità
di distinzione fra finzione e realtà, fra attore e personaggio.
Nel caso di Kipling invece la cosa è diversa, l'esoterismo non fu per lui un interesse passeggero, né
la sua appartenenza alla Massoneria un fatto episodico. Kipling fu massone fino in fondo e tutta la
sua opera è improntata a questa vera e propria scelta di vita. Lo testimonia Il libro della giungla,
opera massonica per eccellenza non a caso ripreso da un altro grande massone inglese di
quell'epoca, Sir Robert Baden-Powell, per l'ideazione della branca infantile dello scoutismo, i
lupetti. Scoutismo che, nonostante nel mondo cattolico sia stato in larga parte gestito dalla Chiesa, è
zeppo di simboli, riti e soprattutto principi squisitamente massonici.
Di Rudyard Kipling, che fu anche un buon poeta, ricordiamo l'omaggio alla sua Loggia
d'iniziazione, in assoluto la migliore rappresentazione che mai un Libero Muratore abbia dato degli
ideali di fraternità e di tolleranza dell'Istituzione che unisce uomini di ogni lingua, etnia, religione.
Si intitola “La mia Loggia Madre” ed è ancora oggi un testo di riferimento ideale per i massoni di
tutto il mondo.
Figure femminili scolpite si ritrovano in tutto il bacino del Mediterraneo- Sono le cosiddette Veneri
neolitiche. Fino a non molto tempo fa si pensava che le più antiche avessero tra i 30 e i 40 mila
anni. È il caso delle Veneri dei Balzi Rossi e di Willendorf. Statuette di piccole dimensioni, qualche
volta in ocra rossa. Ricordiamo di passata che l'ocra rossa, simbolo del sangue e dunque di vita,
veniva spesso usata nelle sepolture ad indicare la sopravvivenza in un'altra dimensione del defunto.
Scoperte più recenti, nei siti di Berekhat Ram (Israele 1981) e Tan Tan (Marocco 1999) hanno
retrodatato, con un balzo all'indietro vertiginoso, le prime Veneri a 300 mila anni fa.
Si tratta con ogni evidenza di un simbolismo connesso alla fertilità anche se il carattere di questo
culto risulta in sostanza ancora incerto. Ed in effetti, tanti sono ancora i misteri irrisolti. Mentre
nelle pitture rupestri sono prevalenti raffigurazioni di animali e le figure umane sono spesso figure
maschili mascherate da animali, e dunque immediato è l'accostamento a riti riguardanti la caccia,
nella scultura si rappresentano figure femminili mai mascherate, sempre nude. Oggetti pensati per
stare in piedi conficcati nel terreno e dunque oggetti di culto.
In quelle antichissime culture il corpo femminile, generatore di vita, fu sentito come sede della
Forza numinosa che anima il Cosmo. Una realtà misteriosa attorno a cui ruotava un sistema di riti.
Ma di che tipo di riti si trattasse resta sconosciuto. Erano riti maschili, femminili o misti? E che
legame avevano con i riti dei cacciatori rappresentati nelle pitture? Non lo sappiamo.
La Grande Dea partogenetica, cioè autogenerata, è generatrice di vita, e quindi rappresentata spesso
nella posizione del parto, dispensatrice di fertilità, nutrice, rappresentata con seni e glutei
prominenti, ma anche reggitrice della morte. Il tema centrale del simbolismo della Dea ruota attorno
al mistero della nascita e della morte. L'utero, la vulva, i seni, le natiche diventano i segni costitutivi
della simbologia della Dea.
La scoperta della ceramica determina la nascita di altre forme simboliche. Levi Strauss ce lo
racconta ne La vasaia gelosa. Il vaso diventa rappresentazione della forma femminile. Il contenitore
del principio vitale. Una cosa è certa. Fin da tempi remotissimi la donna, in quanto madre, diventa
non solo il simbolo della vita, ma anche dell'immortalità, cioè della continuazione della vita in
un'altra dimensione. La forza magica della donna appare altrettanto misteriosa di quella del cosmo e
a questo direttamente legata da una molteplicità di fili invisibili. È un potere che turba gli uomini.
Chi è padrone del mistero della vita lo è anche di quello della morte. La dialettica santa-strega non è
una scoperta moderna, ma una costante della storia dell'umanità ed esprime il tentativo inconscio
del genere maschile di porre sotto controllo quelle forze misteriose che il corpo femminile sembra
possedere.
Nel 1851 Johann Bachofen, eminente storico tedesco, collega il culto della dea ad una teoria
generale dello sviluppo sociale. Le società più antiche sarebbero state matriarcali con discendenza
matrilineare. E questo anche per la mancanze di conoscenze su come avviene la fecondazione
dell'ovulo. Le pietre della fertilità, su cui le donne si strofinavano o scivolano per restare incinte,
dimostrano come in origine la fecondazione non venisse collegata allo sperma maschile, ma a
potenze numinose esterne presenti in luoghi ben precisi o evocabili con riti particolari. Una tesi
ripresa parzialmente anche da Freud per il quale il culto delle divinità femminili rappresenta
l'emergere di fantasie inconsce universali. Jung nella sua teoria degli archetipi, ci ritornerà con il
principio femminile dell'Anima.
Nel 1955 Erich Neumann sviluppa le tesi junghiane in un'opera fondamentale La Grande Madre. Il
matriarcato viene visto non tanto sul piano sociale o politico, ma come una realtà che ancora opera
nella psiche dell'uomo. Importante la conclusione a cui perviene: “la cultura primitiva è in larga
misura il prodotto del gruppo femminile”.Una tesi oggi largamente accettata e ripresa in particolare
da Joseph Campbell per il quale si può parlare di una grande rivoluzione nei rapporti con il sacro,
parallela alla trasformazione della società da matriarcale in patriarcale. Anche nei riti gli uomini
prendono il sopravvento. Lo sciamano, come tramite con il sacro e dunque espressione delle forze
positive del cosmo sostituisce la sciamana ridotta allo stato di strega e dunque potenza negativa e
malefica.
Inutile dire che il femminismo riaprirà la questione, recuperando Bachofen e cercando in alcune sue
espressioni, che si rifanno sia a tradizioni esoteriche sorte a a cavallo del XIX e del XX secolo, sia a
ricerche scientifiche come quelle di Margaret Murray, di ripristinare la tradizione primordiale. È la
cosiddetta religione delle streghe, il neopaganesimo della Wicca, con riti legati ai cicli lunari e della
vegetazione.
Riprendendo in modo più scientifico le tesi di Bachofen e fondandole su una robusta ricerca
archeologica la studiosa lituana Marija Gimbutas (1921-1994) ritrova in tutta Europa. dal Baltico ai
Balcani, numerosissime tracce che rivelano “la grammatica e la sintassi di una sorta di meta
linguaggio” primordiale. Simboli che rappresentano un sistema ideologico organico, la religione del
primo periodo agricolo del bacino del Mediterraneo. Una religione incentrata su una figura
femminile, la Dea, fonte di vita, Grande Madre dal cui grembo sgorga la vita di tutte le cose, la
“Signora” delle piante e degli animali.
Tracce di una religione precedente, legata alla rivoluzione agricola del neolitico, scomparsa poi
dopo l'arrivo degli indeuropei, portatori di una visione maschile del sacro incentrata su culti solari.
La religione degli dei solari, prende il posto della dea lunare, signora della notte e dell'acqua. Ma la
Dea non sparisce nel nulla, essa continua a vivere nella psiche della specie, generando le fantasie
inconsce di cui parla Freud. Lo testimoniano, al di là dei significati massonici dell'opera, la Regina
della notte e il Sarastro mozartiani.
La Dea primigenia viene assunta, anche se in posizione subalterna, nella religione solare olimpica.
Il mondo classico erediterà le dee (Atena, Minerva, Era, Artemide, Ecate) che diventeranno spesso
spose degli dei celesti. Divinità della natura, della terra, della generazione in una società, diventata
patriarcale, dove il potere politico e religioso è saldamente nelle mani degli uomini, la Dea resta
padrona della notte e dei suoi riti, sempre più legata alla morte e ad una magia vista come
pericolosa.
L'invasione degli indoeuropei rovescia totalmente i valori tradizionali. Il guerriero prende il posto
dell'agricoltore-allevatore. Il maschio sottomette definitivamente la femmina. Il padre prende il
posto della madre. Il rapporto con il numinoso diventa, e per la chiesa cattolica lo è ancora,
monopolio maschile. Nondimeno, la religione della Dea e i suoi simboli sopravvissero, come una
corrente sotterranea, sotto la forma della dea vergine, signora degli animali e delle piante, non
maritata a un dio, di cui è esempio Artemide. Un culto sotterraneo, misterico di cui Apuleio, che ne
fu iniziato e forse sacerdote, nell' Asino d'oro, (II secolo d.C.) ci ha lasciato una traccia vivissima.
“Io, madre di tutte le cose, signora di tutti gli elementi, principio di tutte le generazioni nei secoli, la
più grande dei numi, la regina dei Mani, la prima dei celesti, archetipo immutabile degli dei e delle
dee, a cui concedo di governare col mio assenso le luminose volte del cielo, le salutari brezze di
mare, i lacrimati silenzi degli inferi; io, la cui potenza, unica se pur multiforme, tutto il mondo
venera con riti diversi, con diversi nomi”.
La fine del mondo classico non segna la morte della Dea, in epoca cristiana essa riappare nella
figura della Madonna, la Vergine Madre, collegata con l'acqua e le sorgenti miracolose simbolo di
vita e di purificazione. Ma questo è un altro discorso.
Oggi per il mio 72° compleanno mi è arrivato del tutto inaspettato questo graditissimo dono.
“Fratelli a tavola. Cibi, menù, vizi e virtù della cucina massonica”.
In questo libro vedrete schemi di comportamento per fare una cucina che non è né utile né pratica
ma piena di sentimenti e di fascino. Agli iniziati risulterà emotiva ed edificante, agli occultisti un
po’ magica e ai profani, scettici del mondo esoterico, piacevole e accattivante. Un viaggio nelle
sacralità del cibo e nei suoi significati, ma anche nelle tecniche e nelle culture gastronomiche. Un
modo per vedere il piatto con altri occhi e gustare il cibo con un palato “risvegliato”.
Così recita il risvolto di copertina.
Ma pochi sanno che, oltre a tramare oscuri complotti, come molti ancora pensano, i Liberi Muratori
hanno consuetudine al termine dei loro lavori rituali di condividere il pane ed il vino a rinsaldare la
loro fratellanza. Si tratta di una usanza antichissima che risale alle corporazioni muratorie, ai
costruttori delle grandi cattedrali gotiche che, a stare alle parole di un famoso cronista medievale,
"come un manto bianco ricoprono l'Europa”. Consuetudine ripresa dalla Massoneria speculativa
moderna. Che un pasto in comune fosse abitualmente consumato al termine dei lavori di Loggia,
almeno a partire dal 1717 o comunque dalla fondazione della Gran Loggia di Londra, è attestato dai
Doveri di un Libero Muratore allegati alle Costituzioni elaborate dall’Anderson nel 1723. Infatti,
all’art. 2 dei Doveri, sotto il significativo titolo di “Comportamento quando la Loggia è Chiusa ed i
Fratelli non sono usciti” che consente di situare le relative prescrizioni dopo la chiusura dei lavori
rituali, si legge: «Potete divertirvi con innocente allegria, trattandovi l’un l’altro a vostro talento, ma
evitando ogni eccesso, o di spingere alcun Fratello a mangiare o bere oltre la sua inclinazione…».
Ancora meno persone sanno che proprio a questo tipo di banchetto si riferiva il giovane Marx,
iniziato con Engels alla Lega dei Giusti (che diventerà poi dei Comunisti), organismo
paramassonico che in derivazione diretta dal Compagnonaggio riuniva gli operai socialisti francesi
che della Fratellanza universale avevano fatto il loro motto, lo stesso che ancora oggi campeggia
all'Oriente di ogni Loggia italiana: Libertà-Uguaglianza-Fratellanza.
Scrive Marx, che a questi banchetti partecipò da giovane liberale e ne uscì conquistato all'idea di
una società di uomini liberi e uguali:
“Quando gli operai comunisti si riuniscono, essi hanno primamente come scopo la dottrina, la
propaganda, ecc. Ma con ciò si appropriano insieme di un nuovo bisogno, del bisogno della società,
e ciò che sembra un mezzo è diventato scopo. Questo movimento pratico può essere osservato nei
suoi risultati più luminosi se si guarda ad una riunione di “ouvriers” socialisti francesi. Fumare,
bere, mangiare ecc. non sono più puri mezzi per stare uniti, mezzi di unione. A loro basta la società,
l'unione, la conversazione che questa società ha a sua volta per iscopo; la fratellanza degli uomini
non è presso di loro una frase, ma una verità, e la nobiltà dell'uomo s'irradia verso di noi da quei
volti induriti dal lavoro”.
Meglio non si sarebbe potuto descrivere lo spirito autentico di una agape massonica, che non è una
semplice appendice conviviale ai lavori nel Tempio.
Un libro da leggere dai "figli della vedova", ma anche dai "profani". Fonte di meditazione per chi
voglia comprendere il senso profondo di pratiche spesso ripetute in modo meccanico e superficiale,
e dunque non iniziatico, ma anche una scoperta per chi non ha timore ad andare controcorrente e
vuole non giudicare secondo stereotipi, ma capire.
La storia della massoneria russa presenta elementi di grande interesse. Prima di tutto è una storia
complessa e anche drammatica, scandita da periodi di clandestinità e di altri, più rari, di attività alla
luce del sole.
Lasciando da parte la tesi, che la ricerca storica contemporanea respinge come leggendaria, che
l'introduzione della Massoneria in Russia risalga a Pietro il Grande che sarebbe stato a sua volta
iniziato in una loggia operativa (cioè di veri muratori) inglese, l'arrivo della Liberia Muratoria in
Russia risale ai tempi dell'imperatrice Caterina che, affascinata dall'illuminismo francese, ne favorì
le attività al fine di modernizzare il paese e portarlo al livello culturale della parte più avanzata
d'Europa. Il progetto fallì clamorosamente quando l'imperatrice stessa capì che in un regime
autocratico fondato sulla servitù della gleba la diffusione di principi di uguaglianza e libertà non
poteva restare chiuso nell'ambito dei circoli intellettuali, ma rappresentava un potenziale pericolo
per l'ordine costituito. Di conseguenza le logge furono chiuse nel 1792.
Seguì dunque un periodo di persecuzione poliziesca, interrottosi poi brevemente alla morte
dell'imperatrice sotto gli imperatori Paolo I, lui stesso massone, e Alessandro I . Periodo chiuso
definitivamente nel 1822 con il bando delle logge, bando riconfermato nel 1826 dopo il tentativo di
colpo di stato democratico degli ufficiali decabristi in gran parte massoni e fortemente influenzati
dalla Carboneria italiana.
Dal 1822 dunque la Massoneria cessò di esistere in Russia, anche se non ne cessarono le attività.
Alcune logge continuarono a riunirsi clandestinamente a Pietroburgo e a Mosca, ma con una
partecipazione sempre più ristretta e in una assoluta clandestinità.
Diversa la situazione all'estero, dove a partire già dai primi anni trenta dell'Ottocento troviamo russi
che si fanno iniziare nelle logge dell'Europa occidentale, soprattutto in Francia. Per tutto l'Ottocento
Parigi sarà il vero centro della Massoneria russa, ruolo che rivestirà di nuovo dopo il bando
bolscevico della Massoneria nel 1918.
All'inizio sono uomini d'affari e mercanti che cercano nelle logge contatti utili per le loro attività,
ma a partire dal 1840 e dall'aperto coinvolgimento della Massoneria nei movimenti rivoluzionari
che porteranno poi alla grande ondata rivoluzionaria del 1848, a iniziarsi sono soprattutto
intellettuali, molti di provenienza aristocratica, affascinati dal giacobinismo e dalle attività delle
società segrete di cui la Carboneria italiana rappresenta uno dei principali esempi.
Questo spiega l'adesione del futuro padre dell'anarchia Michail Bakunin, iniziato nel 1845, e attivo
soprattutto in Italia in una loggia fiorentina del grande Oriente d'Italia, fino a raggiungere il 32°
grado (il penultimo) del Rito Scozzese Antico e Accettato. Bakunin addirittura organizzò una sua
“Fratellanza Internazionale” e scrisse un “Catechismo moderno della Massoneria”, convinto che
come era avvenuto per la Carboneria, la Massoneria rappresentasse la via migliore per la
costruzione di una efficace organizzazione rivoluzionaria. Questo spiega anche come N. I. Utin, uno
dei fondatori della sezione russa della Prima Internazionale, pur non essendo massone, si riunisse
con i suoi compagni nei locali del tempio massonico di Ginevra.
Per tornare a Bakunin, egli era stato fortemente influenzato dall'esperienza italiana ed in particolare
dalla figura di Giuseppe Garibaldi, a sua volta iniziato nel 1844 in una loggia di Montevideo. E
proprio a Garibaldi si deve una delle prime apparizioni, dopo il bando del 1822, di logge
massoniche sul territorio dell'impero russo.
Nel 1874 il Grande Oriente d'Italia costituì una loggia a Odessa, la “Stella di giustizia” attiva nella
comunità italiana. Va ricordato che la Crimea era stata di fatto colonia genovese e che fino alla
seconda guerra mondiale ospitava una comunità di lingua italiana di circa 300 mila persone. Nella
seconda guerra mondiale questa comunità fu deportata da Stalin nel gulag siberiano e praticamente
sterminata. Dopo la guerra gli italiani di Crimea non erano ormai più di tremila, costretti a
nascondere le loro origini e a prendere nomi russi, pur mantenendo nel segreto della famiglia l'uso
della lingua italiana. Una storia drammatica quasi sconosciuta in Italia che solo dopo la caduta del
comunismo si è incominciato a ricostruire. La Loggia ebbe comunque vita breve, tanto che negli
anni Ottanta non se ne trova più traccia. Lo stesso accadde con le logge aperte dal Grande Oriente
di Francia ai tempi della guerra di Crimea. Va comunque detto che anche questo logge riunivano
soprattutto mercanti e marinai francesi e non svolgevano alcuna attività fra i russi e dunque
venivano tollerate. Anch'esse comunque ebbero vita breve.
La rinascita della Massoneria russa avvenne a Parigi e solo a partire dalla fine dell'Ottocento con la
fondazione della loggia “Cosmos” nel 1887 di cui il principale esponente fu il Professor Pavel
Nikolayevich Yablochkov (1847-1894), prestigiosissimo uomo di cultura in esilio volontario in
Francia.
La Loggia Cosmos si rivolse ai giovani intellettuali russi, soprattutto medici e scienziati, venuti a
studiare e a lavorare nelle università occidentali, raccogliendone l'élite. Scopo della loggia la
modernizzazione della Russia, la trasformazione del paese in una monarchia costituzionale, la
soluzione del problema contadino e delle minoranze nazionali oppresse a partire da quella polacca.
In questo ambito si colloca l'adesione alla Massoneria di Maxim Maximovich Kovalevsky (1851-
1916) prestigioso professore universitario e vero padre della Massoneria russa moderna.
Nell'estate del 1900 Kovalevsky aprì a Parigi un “Istituto russo di Scienze sociali”, aperto a giovani
ricercatori di tutte le tendenze che divenne la fucina della futura classe politica democratica
protagonista della storia russa dalla rivoluzione fallita del 1905 al 1917. La Scuola teneva corsi di
filosofia, storia, letteratura, diritto costituzionale, economia politica, sociologia, antropologia. A
questi corsi parteciparono centinaia di giovani studiosi che in parte non piccola si inizieranno alla
Massoneria e durante i fatti rivoluzionari del 1905 torneranno in Russia ad aprire le prime logge. La
Scuola, gestita secondo i principi massonici della tolleranza e della più assoluta libertà di pensiero,
vide la partecipazione come relatori sulla questione sociale in Russia di personaggi del calibro di G.
V. Plekhanov, il padre del marxismo russo, e dello stesso Lenin.
La partecipazione ai corsi era praticamente gratuita, l'iscrizione costava solo 30 franchi all'anno. Le
spese venivano coperte dallo stesso Kovalevsky, ricco proprietario terriero, che a questo scopo
vendette gran parte delle sue proprietà a Kharkov. Coerente con le sue idee democratiche e con la
convinzione che il problema centrale della Russia fosse la trasformazione dei contadini russi da
massa informe a classe di piccoli proprietari, egli cedette le sue terre ai contadini che già le
lavoravano.
Da questo ambiente uscirono i quadri dei futuri partiti russi ed in particolare del Partito
Costituzionale Democratico e del Partito Socialista Rivoluzionario. Ma qui inizia la storia di un
altro periodo della Massoneria russa destinato a concludersi con la rivoluzione del febbraio 1917 e
il rovesciamento dell'autocrazia zarista. Ne parleremo in un'altra occasione.
Quello del Grande Oriente dei popoli della Russia e del suo ruolo nella rivoluzione del febbraio
1917 rappresenta uno dei segreti meglio conservati della storia del Novecento.Solo quattordici anni
dopo quegli avvenimenti uno dei protagonisti, lo storico Sergey Petrovich Mel'gunov (1879-1956) ,
già esponente del partito cadetto, poi condannato a morte dal potere sovietico e infine nel 1923
esiliato a Parigi, pubblicò un libro, «На путях к дворцовому перевороту» (Sulla strada di un colpo
di Stato di Palazzo) in cui si alludeva al ruolo importante giocato nella preparazione della caduta di
Nicola II da una organizzazione massonica segreta. Ma fu solo nel 1955 con la pubblicazione a
New York delle memorie del leader del partito cadetto Pavel Nikolayevich Miljukov (1859-1943)
che si iniziò ad alzare il velo sulla appartenenza alla massoneria di molti esponenti di primo piano
del Governo provvisorio nato dopo la rivoluzione di febbraio.
Il Grande Oriente dei Popoli della Russia (Великий восток народов России ) nato nel 1912 sulle
ceneri delle logge russe create a partire dal 1905 dal Grande Oriente di Francia, aveva tagliato ogni
legame con corpi massonici stranieri e si era convertito in una organizzazione cospirativa dedita al
rovesciamento dell'autocrazia zarista e all'instaurazione in Russia di un regime parlamentare
democratico. Proprio per meglio operare vennero quasi completamente abbandonate le attività
rituali e si cominciò ad iniziare anche donne. L'obiettivo era contribuire da dietro le quinte a
costruire una forte coalizione di tutte le forze liberali e radicali contro il regime dello zar Nicola II.
Negli anni fra il 1912 e il 1917 il Grande Oriente dei Popoli della Russia riuscì a costruire una rete
di logge nei principali centri del paese con una partecipazione complessiva di circa 300-350
affiliati. Un piccolo numero per un paese delle dimensioni della Russia, ma in grado di esercitare
una notevole influenza per il ruolo svolto sulla scena politica, economica e culturale dai suoi
membri.
Membri dell'organizzazione erano ad esempio Aleksandr Fëdorovič Kerenskij (1881-1970),
esponente di punta della frazione dei trudoviki; Aleksandr Ivanovich Konovalov (1875-1045),
grande industriale tessile e leader del partitio progressista; Yekaterina Dmitriyevna Kuskova (1869–
1958), influente giornalista; Nikolai Vissarionovich Nekrasov (1879-1940), uno dei leader del
partito cadetto; M. I. Terescenko (1886-1956), importante industriale e politico; l'ottobrista
Aleksandr Ivanovič Gučkov (1862-1936), già presidente della Duma; il menscevico Nikolaj
Semënovič Čcheidze (1864-1926) , il socialista popolare Vladimir B. Stankevič (1884-1968), il
socialista rivoluzionario Boris Viktorovich Savinkov (1879-1925) e il bolscevico Semyon
Pafnuteevich Sereda (1871-1933). Come si vede il Grande Oriente dei popoli della Russia ospitava
nelle sue logge elementi di primo piano di tutto lo schieramento progressista rivoluzionario dai
liberali di sinistra del Partito Costituzionale democratico all'estrema sinistra bolscevica.
Conoscendo l'avversione dei bolscevichi per la massoneria, che misero fuori legge pochi mesi dopo
la presa del potere, la partecipazione ad una organizzazione massonica segreta di militanti
importanti del partito, come era Sereda, poi ministro di uno dei primi governi sovietici, può stupire.
La cosa si spiega invece con il principio leninista, ribadito da Trotsky nel suo pamphlet del 1939,
"La nostra morale e la loro", che per un rivoluzionario è morale tutto ciò che serve alla rivoluzione.
D'altronde per lo stesso Lenin si parlò a lungo di una presunta affiliazione massonica durante il
periodo dell'esilio, voce ancora ripresa oggi dai gruppi antisemiti che vedono la rivoluzione
d'Ottobre, come d'altronde quella francese del 1789, come il frutto del complotto giudaico-
massonico rivelato dai cosiddetti “Protocolli dei Savi di Sion”, il falso documentale creato nel 1903
dall'Ochrana, la polizia segreta zarista, con l'intento di diffondere l'odio verso gli ebrei nell'Impero
russo. Ipotesi, nettamente smentita, almeno allo stato attuale della documentazione, dal principale
storico della Massoneria russa nel Novecento, Andrej Ivanovich Serkov, nella sua fondamentale
“Storia della Massoneria russa (1845-1945)”, in cui comunque si ammettono stretti rapporti
personali fra il leader bolscevico ed esponenti non marginali del Grande Oriente di Francia.
Non sono ancora uscite tutte le liste per le prossime elezioni comunali a Savona e già qualcuno su
FB grida allo scandalo per l'eccessivo numero dei massoni che sarebbero candidati. Naturalmente ci
si guarda bene dal farne i nomi anche per evitare possibili spiacevoli conseguenze legali. Ma
soprattutto impedendo così a chi legge di verificare se di affermazioni veritiere si tratta o di
semplici sparate da imbecilli.
Ma il problema vero è un altro: la singolare concezione della democrazia che costoro dimostrano di
avere. Ovviamente ciascuno può avere della massoneria l'opinione che vuole, ma questo non tocca
minimamente il diritto di ciascun cittadino (massoni compresi) di esercitare pienamente i propri
diritti politici fra cui quello di potersi candidare.
A questi giganti del pensiero non farebbe male rileggersi, ammesso che l'abbiano già letta cosa di
cui dubitiamo, l'articolo 3 della nostra Costituzione (redatta tra l'altro da una Assemblea Costituente
in cui i massoni non erano pochi):
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
Non sarebbe poi male ricordare che la normativa sulla privacy ha rafforzato questo concetto
considerando, proprio per evitare possibili discriminazioni, dati sensibili quelli relativi a:
Ricordiamo anche che il fascismo in Italia non c'è più dal 1943 e con lui sono sparite anche le leggi
che vietavano in quanto antinazionale la massoneria. I nostri massonofobi se ne facciano una
ragione. Potranno sempre consolarsi pensando che “quando c'era Lui...”.
Verso la fine del 1968 padre Rosario Esposito (1921-2007), già autore di libri e articoli sulla
Massoneria, redige un lungo documento di una trentina di cartelle, “Dialogo con la Massoneria”,
che viene poi inviato a esponenti della chiesa cattolica, giornalisti e ai vertici del Grande Oriente
d'Italia. Lo scritto suscita vivo interesse in ambiente massonico anche se non è ben chiaro se si tratti
di una iniziativa del tutto privata o di un tentativo ufficioso da parte della Chiesa di instaurare un
dialogo. Il Gran Maestro in carica, Giordano Gamberini (1915-2003), decide comunque di cogliere
l'occasione e verificare. Dopo oltre due secoli di ostracismo da parte della Chiesa il fatto è
oggettivamente rilevante Per Gamberini, il documento rappresenta «la prima pubblica confessione
di “apertura” di un cattolico italiano verso la Massoneria». 1
Considerato uno spiritualista, Gamberini, vescovo della minuscola Chiesa Gnostica d'Italia fondata
nel 1945 da Mario de Conca, già nel 1961 all'atto dell'assunzione della Gran Maestranza aveva
posto la riconciliazione con la Chiesa come uno dei suoi principali obiettivi, essendo gli altri il
riconoscimento del Grande Oriente d'Italia da parte della Gran Loggia “madre” d'Inghilterra e il
superamento dello scisma del 1908 mediante la riunificazione con la Massoneria di Piazza del
Gesù. 2
Va detto che Giordano Gamberini è figura controversa e ancora oggi discussa. Esponente del PSDI,
sospettato di essere vicino ad ambienti legati alla CIA, è lui che agevola l'ascesa all'interno del GOI
di Licio Gelli e lo inserisce ai massimi vertici dell'istituzione. 3 Ma questo, vista la complessità del
tema, sarà argomento da approfondire in altra occasione. Restando all'argomento di oggi, va notato
come Gamberini sia da sempre un deciso avversario del laicismo non privo di punte anticlericali
tradizionalmente tipico del GOI. 4 Fautore di una Massoneria più vicina al modello inglese, egli
aveva già nel 1967 provveduto a far adottare una nuova Costituzione e nuovi Regolamenti, oltre che
a operare una revisione dei rituali dei primi tre gradi. Lo scritto di padre Esposito è l'occasione che
egli ricerca da tempo di stabilire contatti con la Chiesa e dunque va colta senza indugi.
Immediatamente vengono presi contatti con ambienti vaticani che si dimostrano disponibili ad un
incontro.
Nella massima riservatezza viene istituita una commissione mista incaricata di verificare le
possibilità di un dialogo tra le due istituzioni. Ne fanno parte per la Chiesa cattolica oltre a padre
Esposito, don Vincenzo Miano, professore di filologia presso la Pontificia Università Salesiana, e
padre Giovanni Caprile, gesuita, redattore de La civiltà Cattolica su cui ha pubblicato molti articoli
sulla massoneria. Se la Chiesa mette in campo una delegazione di alto profilo culturale, ma non
direttamente rappresentativa dei vertici ecclesiastici, il Grande Oriente d'Italia schiera invece i suoi
principali esponenti: oltre al Gran Maestro, Giordano Gamberini, il Gran Maestro Aggiunto Roberto
Ascarelli e Augusto Comba, Gran Sorvegliante e professore di Storia del Risorgimento
all'Università di Torino. 5 Nessuno dei tre è cattolico. Come si è visto, Gamberini è vescovo della
Chiesa gnostica con il nome iniziatico di Tau Julianus, di religione ebraica Ascarelli, mentre Comba
è un esponente della Chiesa valdese.
La commissione si riunisce due volte. L'11 aprile 1969 presso la casa del Divin Maestro di Ariccia e
il 17 maggio a Roma a Villa Malta, sede de La Civiltà Cattolica. Al di là della conoscenza reciproca
fra esponenti di due istituzione che dal Settecento si erano sempre aspramente contrapposte, i
risultati concreti restano modesti.
Poco dopo, il 15 giugno a Savona nella sala del Cinema Astor si tiene un gremitissimo dibattito fra
Giordano Gamberini e Padre Esposito organizzato dalla Loggia Sabazia n.96 6 in occasione delle
celebrazioni per il centenario della sua fondazione. È il famoso incontro di Savona, dalla forte
valenza simbolica, ma di fatto privo di effetti concreti. L'incontro in effetti è fortemente sbilanciato:
da una parte il massimo esponente della Massoneria italiana, dall'altra un padre paolino, eminente
storico ma sconosciuto ai più e soprattutto presente a livello personale. Certo, senza l'autorizzazione
dei massimi vertici vaticani l'incontro non si sarebbe potuto tenere, ma ufficialmente la Chiesa
come istituzione non risulta in alcun modo rappresentata. Anzi, con la prudenza tipica di quegli
ambienti, da Oltre Tevere si era fatto pervenire per mezzo di Padre Miano all'allora vescovo di
Savona, monsignor Parodi, la raccomandazione a sottolineare “il carattere privato” della
partecipazione di padre Esposito ad una iniziativa della Massoneria.
Il 5 luglio successivo Gamberini verrà invitato a partecipare all'incontro cattolico-massonico di
Einsiedeln, piccolo centro svizzero vicino a Zurigo. Un'ampia informazione sul convegno apparirà
sul numero di luglio 1969 della Rivista Massonica, organo ufficiale del GOI, diretta dallo stesso
Gamberini.
Sembra l'inizio del disgelo, tanto che ancora oggi in ambito massonico molti ritengono (e qualcuno
lo ha anche scritto) che il famoso interdetto papale di Clemente XII, del 1738 ma più volte
rinnovato dai suoi successori, sia stato abolito. In realtà non è così. Anche se la Chiesa ha di fatto
abbandonato agli ambienti integralisti la propaganda antimassonica spesso connotata da un esplicito
antisemitismo, nulla è cambiato nella sostanza. I massoni restano scomunicati e ai cattolici è vietato
aderire alla Massoneria. A ribadirlo, il 26 novembre 1983 (quindi ben 22 anni dopo “l'incontro” di
Savona), è l'allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (l'ex Sant'Uffizio) cardinal
Joseph Ratzinger il futuro papa Benedetto XVI con la Dichiarazione che riportiamo qui di seguito.
È stato chiesto se sia mutato il giudizio del Chiesa nei confronti della massoneria per il fatto che nel
nuovo Codice di Diritto Canonico essa non viene espressamente menzionata come nel Codice
anteriore.
Questa Congregazione è in grado di rispondere che tale circostanza è dovuta a un criterio
redazionale seguito anche per altre associazioni ugualmente non menzionate in quanto comprese in
categorie più ampie.
Rimane pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni
massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della
Chiesa e perciò l'iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni
massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione.
Non compete alle autorità ecclesiastiche locali di pronunciarsi sulla natura delle associazioni
massoniche con un giudizio che implichi deroga a quanto sopra stabilito, e ciò in linea con la
Dichiarazione di questa S. Congregazione del 17 febbraio 1981 (Cf. AAS 73, 1981, p. 240-241).
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al sottoscritto Cardinale
Prefetto, ha approvato la presente Dichiarazione, decisa nella riunione ordinaria di questa S.
Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla Sede della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, il 26 novembre 1983.
Joseph Card. RATZINGER
Prefetto
Fr. Jérôme Hamer, O.P.
Arcivescovo tit. di Lorium
Segretario
Note
1. R.Esposito, La riconciliazione fra Chiesa e Massoneria, Ravenna, Longo Editore 1979, p. 42.
2. Aldo A. Mola, Storia della Massoneria italiana, Milano, Bompiani 1997, pp. 715-16.
3. Cfr. gli Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica P2 e in
particolari le audizioni di Francesco Siniscalchi e dello stesso Gamberini.
4. Un esempio delle posizioni dell'ala anticlericale del GOI è offerto dagli scritti del savonese Aldo
Chiarle (1926-2013), socialista, Gran Maestro Onorario del Grande Oriente d'Italia, insignito del
33° grado del Rito Scozzese Antico e Accettato.
5. Augusto Comba, cofondatore della rivista massonica l'Ipotenusa e del Centro Ricerche storiche
sulla Massoneria di Torino, è autore di una vasta serie di saggi e volumi sulla Massoneria fra cui di
particolare interesse “Valdesi e Massoneria : due minoranze a confronto”, Torino, Claudiana
Editrice, 2000.
6. Le logge del Grande Oriente d'Italia sono contraddistinte da un nome e da un numero progressivo
di fondazione a partire da quando la Massoneria si ricostituisce dopo la parentesi buia della
persecuzione fascista. La Loggia Propaganda 2 deve così il suo numero, non come spesso si legge
alla presenza di una Loggia P1, ma al fatto di essere stata la seconda loggia del GOI ad essere
ricostituita ufficialmente. La prima era stata la Loggia Santorre di Santarosa n.1 all'Oriente di
Alessandria.
Il volume, uscito nel 2018, rappresenta una sintesi del percorso storico della massoneria in Italia
dalla nascita della Gran Loggia di Londra nel 1717 ai giorni nostri. E questo partendo dal formarsi
nell'Italia del Settecento dei primi nuclei massonici nati prevalentemente su impulso inglese, ma
con forti influenze provenienti anche dalla Francia e dal mondo germanico, e dunque molto
differenti fra di loro per impostazioni e riti praticati, tanto che l'autore si chiede se per il periodo
intercorrente fra la fondazione della loggia di Firenze (1731) e l’età napoleonica con la nascita nel
1805 a Milano del primo Grande Oriente d'Italia a guida francese, si possa parlare di una autentica
massoneria italiana con caratteri autoctoni o ci si debba limitare a registrare la presenza della
massoneria in Italia come un fenomeno meramente d'importazione.
Dopo due capitoli dedicati rispettivamente alla rinascita del Grande Oriente d'Italia subito dopo
l'unificazione del Paese, alla sua ascesa e al suo declino, parallelo a quello degli assetti socio-poltici
dell'Italia giolittiana, fino alla definitiva messa fuori legge nel 1925 da parte del regime fascista,
inizia la parte più interessante della ricerca, dedicata alla Massoneria nell'Italia repubblicana. Una
indagine dettagliata che occupa ben 7 dei 10 capitoli e tratta con particolare attenzione
l'atteggiamento verso la Chiesa e verso la politica dei Gran Maestri via via succedutisi nel tempo, da
Guido Laj (1945) all'attuale G.M. Stefano Bisi.
Un'opera - anche se, va detto, Adilardi si rivela eccessivamente dipendente dalla interpretazione
conservatrice della storia e del ruolo dell'Istituzione tipica di Aldo Mola - che fornisce dunque una
utile informazione su un periodo poco trattato dalla storiografia massonica che ha preferito finora
concentrarsi soprattutto sul periodo intercorrente tra l'Unità d'Italia e l'avvento del fascismo, forse
proprio per il timore di confrontarsi con temi ancora eccessivamente “caldi”.
* Recensione del volume di Guglielmo Adilardi, Massoneria, società e politica (1717-2017). Profilo
storico dalla fondazione ad oggi, Angelo Pontecorboli Editore,Firenze 2018.
Massoni russi agli inizi del XX secolo*
Dopo la fine del regime sovietico si è sviluppata in Russia un enorme interesse degli storici verso la Massoneria
con particolare riguardo al ruolo da essa giocato negli avvenimenti che dal 1905 al 1917 portarono poi alla
Rivoluzione di febbraio e alla caduta dello zarismo. Un segno premonitore di questo risveglio di interesse fu nel
1990, proprio alla fine dell'era Gorbačëv, la pubblicazione a Mosca dello studio scritto nell'esilio americano
dallo storico e militante menscevico Boris Nikolaevsky (1887-1966), sulla storia dei massoni russi all'inizio del
Novecento. Nikolaevsky, che non era massone, vi raccolse numerose preziose testimonianze di esuli russi che di
quei fatti erano stati testimoni e che per la prima volta rompevano la ferrea cortina di silenzio che fino ad allora
aveva avvolto la massoneria russa del primo Novecento. Dell'opera, completamente sconosciuta in Italia,
presentiamo la parte dell'introduzione in cui l'autore spiega gli scopi del suo lavoro.
* Introduzione allo scritto di Boris Nikolaevsky, Massoni russi all'inizio del XX secolo, Edizioni
Terra , Mosca 1990.
1922-2022: Amadeo Bordiga e la Massoneria*
Cento anni fa Amadeo Bordiga, allora principale esponente (la figura del segretario generale non
esisteva ancora) del Partito comunista d'Italia, scrive un articolo per la stampa dell'Internazionale
comunista in cui precisa il suo punto di vista sulla Massoneria. Il problema non era secondario,
visto che sia in Italia che in Francia numerosi erano i militanti anche con funzioni dirigenti che
erano stati massoni al tempo della loro militanza nei partiti socialisti e qualcuno continuava ad
esserlo soprattutto nel partito comunista francese.
Bordiga si era fatto conoscere prima nella giovanile del PSI e poi nel partito grazie anche alla
battaglia condotta contro la Massoneria che allora svolgeva un ruolo egemone negli ambienti
radicali e socialisti. Proprio a causa della presenza dei massoni nel partito Bordiga era entrato in
aperta polemica con la direzione della sezione di Napoli del PSI e stretto rapporti molto intensi con
Benito Mussolini, esponente di punta della componente rivoluzionaria del partito e implacabile
sostenitore della tesi dell'incompatibilità fra l'appartenenza al Psi e alla massoneria. Tesi fondata
sulla convinzione ferrea che fosse necessario nella battaglia rivoluzionaria per l'abbattimento del
potere borghese e l'instaurazione della dittatura proletaria distruggere la Massoneria in quanto
principale pilastro politico e culturale della democrazia in Italia.
Per Mussolini e Bordiga la Massoneria era il veicolo attraverso cui le idee democratiche
penetravano nella classe operaia e questo la rendeva il nemico principale che andava abbattuto ad
ogni costo. E d'altronde l'influenza delle tesi mussoliniane sul “complotto massonico” emerge ben
chiara anche nello scritto del 1922 che riportiamo in appendice. Nonostante la divaricazione dei
loro percorsi dall'ottobre 1914, entrambi rimasero fedeli tutta la vita a questo convincimento.
Mussolini mettendo la Massoneria fuori legge nel 1925, Bordiga continuando fino alla fine della
sua vita (1970) nei suoi scritti e discorsi a ribadire la coerenza marxista delle sue posizioni
antimassoniche e a giudicare corrette le posizioni mussoliniane. Sempre e comunque per entrambi
in nome di un odio viscerale contro la democrazia vista come strumento della borghesia.
Non è dato sapere quanto, almeno per Bordiga, giocò in questo sua avversione profonda verso
l'istituzione massonica il fatto che la sua famiglia sia nel ramo paterno che in quello materno avesse
legami profondi con la Massoneria che risalivano addirittura alla partecipazione alle attività della
Carboneria. I bordigologi ci perdonino, ma da nipotini di Freud in questa vera e propria fobia
antimassonica di Bordiga, un pochino ci pare di intravvedere anche l'uccisione simbolica della
figura paterna. Non a caso il giovane Amadeo iniziò a manifestare questa sua avversione prima
ancora di iscriversi al Psi, ai tempi dell'Università e dunque agli inizi della sua vita autonoma da
adulto. D'altronde fu lo stesso Bordiga a ricordare in svariate occasioni come avesse preso la
decisione d iscriversi al Psi in aperta reazione al fatto che alcuni amici del padre, come lui massoni,
lo avessero contattato per proporgli di entrare in Loggia.
*Introduzione alla ristampa dello scritto di Amadeo Bordiga, Il movimento operaio italiano e la
Massoneria.
Savona - 2022