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Enzo Bianchi

Priore di Bose

LA PEDAGOGIA DI GES NELLEDUCARE ALLA FEDE

Ges Cristo, il nostro pedagogo, ha tracciato per noi il modello della vita vera e ha educato luomo che vive in lui < Assumiamo *dunque+ il salvifico stile di vita del nostro Salvatore, noi figli del Padre buono e creature del buon pedagogo. (Clemente Alessandrino, Il pedagogo I,98,1.3)

Introduzione

Viviamo in unora contrassegnata da molti ostacoli, da diverse contraddizioni recate alla fede, sicch la fede sembra incapace di interessare gli uomini e le donne di oggi, che vivono nellindifferenza riguardo alla fede cristiana e, pi in generale, sono indifferenti a ogni ricerca di Dio. Non solo, proprio in coloro che si dicono credenti e

cristiani di fatto la fede appare debole, a corto respiro, incapace di manifestare quella forza che cambia la vita, il modo di pensare, sentire e agire. Sempre di pi noi cristiani siamo letti come una minoranza in una societ plurale per credenze religiose, etiche ed espressioni spirituali che non fanno alcun riferimento a Dio o a vie tradizionali. Anche la trasmissione della fede diventata difficile, e le nuove generazioni definite dalla sociologa Danile Hervieu-Lger en rupture de mmoire, in rottura di memoria sembrano incapaci di ricevere quelleredit di fede e di cultura che per secoli ha contrassegnato la nostra gente. Dobbiamo dirlo: se vero che cristiani lo si diventa, non lo si nasce1, altrettanto vero che fino a qualche decennio fa si nasceva, per cos dire, cristiani, si cresceva pi o meno come cristiani, e il tessuto famigliare ed ecclesiale assicurava un cammino che portava la maggior parte delle persone a definirsi cristiane. Oggi invece il quadro profondamente cambiato: per questo la chiesa, anche in Italia, si interroga sulla trasmissione della fede, sulleducazione alla fede come primo compito da assumere, e richiama spesso lattenzione sullemergenza educativa. Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia per riprendere il titolo dato dai vescovi italiani agli Orientamenti pastorali per il primo decennio del 20002 , trasmettere la fede in nuove comprensioni antropologiche dunque per noi una sfida, un compito che non possiamo evadere. In questa situazione difficile e critica

Tertulliano, Apologetico 18,4. Conferenza episcopale italiana, Orientamenti pastorali (2001), Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia.
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dobbiamo per tenere presente che cattiva consigliera la paura, lansia per il futuro della fede: questi sentimenti, infatti, portano non ad avere fede, ma da un lato ad assumere posizioni difensive, a chiudersi in una cittadella che si sente assediata e minacciata, e dallaltro a confidare in un buon metodo o in una strategia astuta, entrambi ricercati con affanno. Nella breve riflessione che questa sera vi offro vorrei percorrere unaltra via; o meglio, vorrei adottare semplicemente la via percorsa da Ges stesso e di cui danno ampia testimonianza la sante Scritture del Nuovo Testamento. Perch, come aveva gi compreso la chiesa primitiva nellora in cui quale piccolo gregge (Lc 12,32) si impegnava nella missione tra le genti del Mediterraneo, Ges stato e resta un pedagogo, un iniziatore alla fede. Clemente dAlessandria, un padre vissuto tra la met del II e linizio del III secolo, che definisce Ges Cristo pedagogo3, invitando i cristiani a guardare a lui non solo come modello di vita ma anche, appunto, come educatore alla fede. Questa scelta dovuta alla convinzione che c in Ges unarte nellincontrare laltro, nel comunicare con laltro, nel tessere con laltro una relazione: larte di un educatore alla fede4.

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Cf. Clemente dAlessandria, Il pedagogo, passim. Cf. anche B. Chevalley, La pedgogie de Jsus, Descle De Brouwer, Paris 1992.

1. Che cos la fede?

Diciamo subito che la fede come ha sempre recitato il Catechismo che tutti conosciamo un dono che viene da Dio. Scrive lApostolo Paolo in 2Ts 3,2: Non di tutti la fede, ma essa abita soltanto coloro cui Dio lha donata. La fede nasce dallascolto (fides ex auditu: Rm 10,17) annota sempre Paolo e dunque occorre che la Parola di Dio giunga al cuore delluomo e vi desti la fede. Ma la fede, proprio perch deve essere accolta dalluomo, proprio perch luomo a credere, anche un atto umano, un atto della libert delluomo che risponde al Dio che parla: Non Dio ma luomo che crede, ha affermato giustamente Karl Barth. Cos la fede una scelta delluomo che coinvolge tutto il suo essere personale, manifestandosi come un atto umanissimo e vitale, teso alla vita; entrare in una relazione, in un rapporto vivo con un altro. Fede dire: Amen, cos; io aderisco, faccio fiducia, mi fido di qualcuno. Quando si parla di fede occorre fare attenzione a non pensare immediatamente al credere in verit, in dogmi (quella che i teologi definiscono fides quae); no, dobbiamo pensare la fede come quellatto, di cui ci testimoniano le sante Scritture, che consiste nel mettere il piede sul sicuro (cf. Sal 20,8-9; 125,1; Is 7,9), nellaffidarsi come un bambino attaccato con una fascia al seno di sua madre (cf. Is 66,12-13), sicuro in braccio a lei (cf. Sal 131,2). La fede appare pertanto come una necessit umana. Possiamo dire che non ci pu essere autentica vita umana, umanizzazione, senza fede 5. Come sarebbe possibile
Cf. P. Royannais, Qu'est-ce que croire ?, in Esprit et Vie 186 (2008), pp. 32-36 e 187 (2008), pp. 29-35; cf. anche R. Mager, Nous sommes des marcheurs, in Lumen Vitae 59/4 (2004), pp. 365-377.
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vivere senza fidarsi di qualcuno? Noi uomini, a differenza degli animali, usciamo incompiuti dallutero della madre, e per venire al mondo e crescere come persone abbiamo bisogno di qualcuno in cui mettere fede-fiducia. Pensiamoci bene: quante azioni della nostra vita dipendono dal nostro avere fede< possibile crescere senza avere fiducia in qualcuno, a partire dai genitori? possibile iniziare a percorrere una storia damore senza avere fede nellaltro? significativo che, un tempo, in una storia damore ci si sentiva prima fidanzati, cio persone che danno e ricevono fede; poi si sanzionava la storia damore con un anello chiamato, non a caso, fede. Lo ripeto: in tutta la vita noi uomini dobbiamo avere fede, fare fiducia, credere a qualcuno. Quando accediamo alla pienezza delle relazioni, in quelle pi personali e intime come in quelle sociali e pubbliche, dobbiamo fidarci, fare credito, credere a qualcuno. In breve, non si pu essere uomini senza credere, perch credere il modo di vivere la relazione con gli altri; e non possibile nessun cammino di umanizzazione senza gli altri, perch vivere sempre vivere con e attraverso laltro6. Proprio per questa umanit della fede, oggi dobbiamo confessare che la crisi della fede incomincia dalla crisi dellatto umano del credere, che diventato difficile e sovente contraddetto. Abbiamo difficolt a credere allaltro, siamo poco disposti a fare fiducia allaltro, non osiamo credere allaltro fino in fondo. Lo constatiamo ogni giorno: perch si preferisce la convivenza al matrimonio? Perch diventata cos difficile la storia perseverante nellamore? Perch cos spesso soffriamo a causa della separazione, del venire meno dellalleanza nellamore umano o dellalleanza stretta

Cf. L. Manicardi, L'umanit della fede, Qiqajon, Bose 2005 (Testi di meditazione 123).

allinterno di una vita comunitaria? La verit che non siamo pi capaci di porre, nella nostra vita, latto umano del credere. Tanto che ormai, di fronte a quella celebrazione della fede e della promessa che il matrimonio, il pensiero che ci attraversa la mente : Fino a quando durer?7. Noi non crediamo allamore, contraddicendo cos quella definizione lapidaria dei cristiani data dallapostolo Giovanni: Noi crediamo allamore (1Gv 4,16)! A chi si lamenta della crisi della fede in Dio, mi viene da rispondere: Ma com possibile credere in Dio che non si vede, se non sappiamo credere allaltro, al fratello che si vede (cf. 1Gv 4,20)?. Per questo decisivo cogliere come Ges educava alla fede, come generava alla fede gli uomini e le donne che incontrava lungo le strade della Palestina. Ges sapeva che non ci pu essere vita umana senza fede e per questo aveva come prima preoccupazione quella di destare fede, di mostrare un atteggiamento capace di comunicare e di generare la fede. Diventare credente un compito mai portato a termine, allo stesso modo che diventare un soggetto responsabile e libero. Ma per molti uomini non facile avere fiducia, credere a qualcuno cos come non facile accedere a una vera soggettivit a causa delle contraddizioni patite nella vita. La vita attraversata dal male in varie forme: malattia, sofferenza, malessere, separazioni, morte< E quando ci si dispone a leggere la vita passata, si trovano molte ragioni per non credere. Come contrastare queste forze di morte che ci abitano? E soprattutto, ci che pi conta, come Ges ci insegna a contrastarle e ci educa dunque alla fede?

Cf. E. Bianchi, Il rischio della fede, Qiqajon, Bose 2000 (Testi di meditazione 97).

2. Ges, educatore alla fede

a) Ges, uomo credibile e affidabile8 Ges ci ha mostrato innanzitutto una necessit: chi inizia alla fede o a essa vuole generare, deve essere credibile, affidabile. Del resto lo sappiamo per esperienza anche i genitori che vogliono educare un figlio possono farlo solo se sono credibili, affidabili. La credibilit di Ges nasceva principalmente dal suo avere convinzioni e dalla sua coerenza tra ci che pensava e diceva e ci che viveva e operava. Non erano solo le sue parole che, raggiungendo laltro, riuscivano a vincere le sue resistenze a credere; non era un metodo o una strategia pastorale a suscitare la fede: era la sua umanit contrassegnata secondo il quarto vangelo da una pienezza di grazia e di verit (cf. Gv 1,14). Grazia e verit che dicevano lautenticit e la coerenza di Ges, non lasciando alcuno spazio tra le sue convinzioni e ci che egli diceva e viveva. Incontrando Ges, tutti percepivano che non cera frattura tra le sue parole e i suoi gesti, i suoi sentimenti, il suo comportamento. Ed proprio da questa sua integrit che nasceva la sua exousa, la sua autorevolezza, che spingeva gli uomini a esclamare con stupore: Che mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorevolezza! (Mc 1,27); e a constatare che egli non insegnava come gli scribi (cf. Mc 1,22), come chi lo fa per mestiere, come chi ha solo una competenza tecnica. Se avveniva una persuasione di uomini e donne in ascolto di Ges, questa era
Cf. C. Theobald, Trasmettere un Vangelo di libert, EDB, Bologna 2010. Pi in generale, lo stesso autore ha trattato il tema della santit ospitale di Ges in molti suoi scritti. Tra di essi segnalo soprattutto Il cristianesimo come stile, vol. I, EDB, Bologna 2009, pp. 49-58; La rception du Concile Vatican II, Vol. I, Cerf, Paris 2009, pp. 823-827.
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soprattutto causata dalla testimonianza, non da una somma di parole. Si pu anche dire che in Ges cera la capacit di testimoniare con le sue azioni, anche senza le parole; per parafrasare un detto tradizionale dei padri del deserto, bastava vederlo< Nella pedagogia, nelleducazione alla fede, liniziatore deve dunque essere affidabile. Certo, per noi non possibile raggiungere la coerenza vissuta da Ges, questuomo in cui traspariva Dio; ma anche per noi lessere affidabili dipende dalla nostra coerenza, e la nostra affidabilit decisiva nelleducare alla fede e nel trasmetterla. E se vero che la nostra fede sempre fragile, basta metterla nella fede di Ges Cristo, lui che la fede perfetta (he telea pstis), secondo la bella definizione di Ignazio di Antiochia9.

b) Ges, uomo che si spogliato per entrare in dialogo innegabile nella pratica della relazione e dellincontro da parte di Ges la dimensione dialogica, che sempre accompagnata dalla dimensione kenotica, di condiscendenza. Ges non consegna mai a chi incontra una verit astratta, ma instaura innanzitutto con lui/lei una relazione umana, nella quale il momento concreto dellincontro un kairs, nel pieno senso della parola biblica (cf., per es., 2Cor 6,2). Il suo un comunicare in situazione e apre un dialogo, ma sempre preceduto da un cammino di abbassamento, di condiscendenza, che rinnova quel cammino di knosis

Ignazio di Antiochia, Agli smirnesi 10,2.

da lui percorso per passare dalla forma di Dio alla forma di uomo come noi (cf. Fil 2,6-7). Ges si fa viandante assetato al pozzo di Sicar dove incontra la donna samaritana (cf. Gv 4,5-30); si fa pellegrino sulla strada di Emmaus dove incontra i due pellegrini (cf. Lc 24,13-35); si fa frequentatore della tavola dei pubblicani e dei peccatori, per incontrarli e poter annunciare loro la buona notizia (cf. Mc 2,16 e par.; Lc 7,34)10< Ges percorre dunque un cammino di abbassamento, si mette in dialogo il che significa innanzitutto ascolto dellaltro e si confronta con linterlocutore. Primo effetto dellincontro con lui linterrogarsi su cosa si cerca, su cosa si vuole, su cosa brucia nel cuore. Basta ricordare alcune domande che Ges rivolge a quanti incontra: Che cosa cercate? (Gv 1,38); Donna, chi cerchi? (Gv 20,15); Che discorsi state facendo? (Lc 24,17). A partire da domande come queste nel dialogo avviene un vero incontro, unesperienza condivisa, un parlare e un rispondersi reciprocamente. Anche questo un tratto delleducazione alla fede praticata da Ges: accettare di scendere, di svuotarsi per stare accanto allaltro; accettare di rinunciare a certi diritti e privilegi che rischiano di essere un ostacolo, per proporre la fede in modo credibile. S, perch la buona notizia del Vangelo non pu risuonare n esistere senza unincarnazione concreta, senza che si inscriva nella vita di uomini e donne. In questo senso significativo che i discepoli da Ges siano da lui chiamati amici (Gv 15,15), in una vera e propria relazione di amore.

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Cf. J. Rigal, Horizons nouveaux pour lglise, Cerf, Paris 1999, pp. 179 ss.

c) Ges, uomo capace di accogliere e di incontrare tutti Unaltra caratteristica di Ges, che emerge dai suoi incontri, la sua capacit di accoglienza verso tutti. Ges sapeva incontrare veramente tutti: in primo luogo i poveri, i primi clienti di diritto della buona notizia, del Vangelo; poi i ricchi come Zaccheo (cf. Lc 19,1-10) e Giuseppe di Arimatea (cf. Mc 15,42-43 e par.; Gv 19,38); gli stranieri come il centurione (cf. Mt 8,5-13; Lc 7,1-10) e la donna siro-fenicia (cf. Mc 7,24-30; Mt 15,21-28); gli uomini giusti come Natanaele (cf. Gv 1,45-51), o i peccatori pubblici e le prostitute presso i quali alloggiava e con i quali condivideva la tavola (cf. Mc 2,15-17 e par.; Mt 21,31; Lc 7,34.36-50; 15,1)11. Comera possibile questo? Perch Ges sapeva non nutrire prevenzioni, sapeva creare uno spazio di fiducia e di libert in cui laltro potesse entrare senza provare paura e senza sentirsi giudicato. Sulle strade, lungo le spiagge, nelle case, nelle sinagoghe, Ges creava uno spazio accogliente tra se stesso e laltro che veniva a lui o che lui andava a cercare; si metteva sempre innanzitutto in ascolto dellaltro, cercando di percepire cosa gli stava a cuore, qual era il suo bisogno. Mi si permetta di dire: Ges non incontrava il povero in quanto povero, il peccatore in quanto peccatore, lescluso in quanto escluso. Ci avrebbe significato porsi in una condizione in cui laltro veniva rinchiuso in una categoria, avrebbe significato ridurre laltro a ci che era solo un aspetto della sua persona. No, Ges incontrava laltro in quanto uomo come lui, membro dellumanit, uguale in dignit a

Cf. E. Bianchi, I pubblicani e le prostitute vi precedono nel regno di Dio, Qiqajon, Bose 2004 (Testi di meditazione 120).
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ogni altro uomo. E nellincontrare e ascoltare un uomo Ges sapeva coglierlo, questo s, come una persona segnata da povert, da malattia, da peccato12< Quando Ges incontrava laltro, cercava di creare un clima relazionale, consentiva allaltro di emergere come persona e soggetto, non lo giudicava mai, ma sapeva accogliere il linguaggio di cui laltro era capace: il linguaggio corporeo della prostituta (cf. Lc 7,37-38.44-47), il linguaggio espresso dalla donna emorroissa con il fugace tocco del suo mantello (cf. Mc 5,25-44; Lc 8,43-48), il linguaggio sconnesso di tanti malati di mente. Pi in generale, quando incontrava laltro colpito da ogni sorta di malattia, Ges si prendeva cura di tutto luomo nella sua unit di corpo, psiche e anima , fino ad assumere le nostre debolezze e ad addossarsi le nostre malattie (cf. Mt 8,17; citazione di Is 53,4). S, Ges era veramente un uomo di compassione, capace di sentire-con fino a patire-con, dunque un uomo per il quale ogni relazione era aperta alla comunione. Solo avvicinandoci allaltro nel modo insegnatoci da Ges, anche noi possiamo vivere un incontro ospitale, un incontro allinsegna della gratuit e teso alla comunione. E cos possiamo giungere a fare spazio non solo allaltro che vediamo davanti a noi, ma allAltro per eccellenza, Dio, che allora ci pu veramente parlare.

d) Ges, uomo che cerca e fa emergere la fede dellaltro13 Ges era capace di compiere un ulteriore passo per iniziare, per educare alla fede. Nel rispondere a chi incontrava, Ges cercava la fede presente nellaltro, come se
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Cf. A. Durand, Dieu choisit le dernier, Cerf, Paris 2009, pp. 36-40. Cf. C. Theobald, Il cristianesimo come stile, vol. I, pp. 59-60.

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volesse risvegliare e far emergere la sua fede. Egli sapeva infatti che la fede un atto personale, che ciascuno deve compiere in libert: nessuno pu credere al posto di un altro! Ges sapeva che a volte negli uomini c lassenza di fede, atteggiamento che lo stupiva e lo rendeva impotente a operare in loro favore (cf. Mc 6,6); era anche consapevole che ci pu essere una fede non affidabile nel suo Nome, suscitata dal suo compiere segni, miracoli, come annota il quarto vangelo: Molti, vedendo i segni che faceva, mettevano fede nel suo Nome; ma Ges non metteva fede in loro (Gv 2,23-24), perch luomo diventa rapidamente religioso, ma lento a credere< Ges cercava invece in chi incontrava la fede autentica, e quando essa era presente poteva dire: La tua fede ti ha salvato. Si noti che Ges non ha mai detto: Io ti ho salvato, bens: La tua fede ti ha salvato (Mc 5,34 e par.; 10,52; Lc 7,50; 17,19; 18,42); Va, e sia fatto secondo la tua fede (Mt 8,13); Donna, davvero grande la tua fede! Ti sia fatto come desideri (Mt 15,28). Ecco come Ges rendeva possibile la fede, ecco come faceva emergere la fede gi presente nellaltro: attraverso la sua presenza di uomo affidabile e ospitale, che non dice di essere lui a guarire e a salvare, ma la fede di chi a lui si rivolge. Ha scritto Benedetto XVI nel prologo della sua Enciclica Deus caritas est:

Allinizio dellessere cristiano non c una decisione etica o una grande idea, bens lincontro < con una Persona, che d alla vita un nuovo orizzonte e con ci la direzione decisiva14.

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Benedetto XVI, Enciclica Deus caritas est, 25 dicembre 2005, n. 1.

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Purtroppo noi dimentichiamo questa verit e rischiamo cos di rendere sterile la nostra missione e il nostro sforzo per comunicare il Vangelo. Proprio perch il Vangelo buona notizia, esso vuole raggiungere luomo nel suo cuore e suscitare in lui in primo luogo la fede nella bont della vita umana, in modo che egli possa intraprendere lavventura dellesistenza credendo allamore. in questo senso che Ges insegnava che nulla resiste alla fede, anche quando essa nella misura di un granello di senape (cf. Mt 17,20; Lc 17,6), il pi piccolo di tutti semi che sono sulla terra (Mc 4,31); che occorre non dubitare (cf. Mc 11,23; Mt 21,21), perch tutto possibile a colui che crede (Mc 9,23); e si diceva addirittura impegnato a pregare affinch la fede di uno dei suoi discepoli, Simone, non venisse meno (cf. Lc 22,32).

e) Ges, uomo che annuncia il Regno e si decentra rispetto a Dio Infine, va messo in rilievo come leducazione alla fede da parte di Ges tenda allannuncio del Regno di Dio, alla buona notizia che Dio regna. Ges non faceva riferimento a se stesso, ma nellopera di evangelizzazione appariva sempre decentrato rispetto a Dio, al Padre che, con fiducia assoluta, chiamava: Abba, Pap (Mc 14,36). Ges levento in cui Dio ha potuto parlare in un uomo senza alcun ostacolo! Di pi, con lintera sua vita, fatta di azioni e di parole, Ges cercava di raccontare Dio, di rendere il Dio dei padri un euanghlion, una buona notizia,

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distruggendo tutte le immagini perverse di Dio elaborate dagli uomini. Ges parlava di Dio soprattutto nelle parabole, narrando vicende umane, mostrando come il Regno di Dio sia buona notizia per uomini e donne, buona notizia nelle loro storie quotidiane, reali. Attraverso la sua vita umanissima, da vero uomo, lautentico adam voluto da Dio (cf. Col 1,15-16), Ges ha raccontato e annunciato Dio; ha mostrato come Dio regnava su di lui e, regnando, combatteva e vinceva la malattia, il male, la sofferenza, la morte. per averlo visto vivere in questo modo che Giovanni ha potuto scrivere alla fine del prologo del quarto vangelo: Dio nessuno lha mai visto, ma proprio lui, Ges, ce ne ha fatto il racconto (exeghsato) (cf. Gv 1,18). Ges ha, per cos dire, evangelizzato Dio, e ha mostrato luomo autentico, chiamato a essere a sua immagine e somiglianza. Con la sua umanit piena e non segnata dal peccato che sempre philauta, amore egoistico di s , Ges dunque riuscito a raggiungere lintimo delluomo e a generarlo alla fede in un Dio che ama per primo (cf. 1Gv 4,10.19), un Dio il cui amore ci precede sempre, un Dio il cui amore noi non dobbiamo meritare, perch il suo stesso essere: Dio amore (1Gv 4,8.16). Ci che Ges chiedeva, o meglio destava in chi incontrava, era nientaltro che la possibilit di credere allamore. Ecco il fulcro della fede cristiana: credere allamore attraverso il volto e la voce di questo amore, cio attraverso Ges Cristo.

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Conclusione

Educare alla fede per la chiesa, per noi, il compito primario; ma nel tentativo di riuscirvi possiamo imboccare molte strade, alcune decisamente sbagliate, altre poco efficaci. Tutto dipende in verit, e non pu essere diversamente, dalla nostra capacit di assumere la stessa pedagogia vissuta da Ges nellincontrare gli uomini e le donne. Anche oggi la fede pu essere generata, destata, fatta emergere da chi, volendosi testimone ed evangelizzatore di Cristo, sa incontrare gli uomini in modo umanissimo; sa essere una persona affidabile, la cui umanit credibile; sa essere presente allaltro, sa fare il dono della propria presenza; sa, in un decentramento di s, fare segno a Ges e, attraverso di lui, indicare Dio, il Dio che amore.

Pu darsi come molti affermano che oggi il discorso su Dio lasci gli uomini indifferenti: io stesso penso che questa osservazione contenga del vero. Pu darsi che oggi la chiesa come scriveva quarantanni fa il teologo Joseph Ratzinger sia divenuta per molti lostacolo principale alla fede15. Ma rimane vero che gli uomini sono sensibili allavere fede o al non avere fede nellamore, al credere o non credere allamore, perch da questo dipende il senso dei sensi della vita.

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J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, p. 330.

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Resto convinto che ancora oggi molti ci chiedono: Vogliamo vedere Ges! (Gv 12,21), perch sentono che la sua umanit li riguarda, li intriga, li interroga. Ma noi cristiani, noi chiesa, sappiamo rispondere a questa domanda, a questo anelito profondo, oppure non lo ascoltiamo, lo evadiamo? Forse noi per primi non sappiamo vedere Ges, oppure lo conosciamo poco. Sappiamo noi cristiani che tutto quello che possiamo conoscere di Dio ce lo ha narrato Ges Cristo? Sappiamo che nessuno ormai pu andare a Dio se non attraverso di lui (cf. Gv 14,6)? Se verifichiamo tanta sterilit nel nostro educare gli altri alla fede, perch non ci impegniamo noi per primi a essere ri-educati alla fede, attraverso lincontro con Ges? Ci che Ges aveva di eccezionale non era di ordine religioso, ma umano (Joseph Moingt): egli, la vera immagine del Dio invisibile (Col 1,15), a somiglianza del quale siamo stati creati e diventiamo uomini, ci ha insegnato a vivere in questo mondo (cf. Tt 2,12), ci ha lasciato delle tracce umanissime sulle quali camminare per essere suoi fratelli e figli di Dio. Dobbiamo soltanto credere allamore che lui, Ges, ha vissuto fino alla fine, fino allestremo (cf. Gv 13,1). Questa la nostra fede cristiana.

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