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❖ Corso di ESCATOLOGIA-La condizione dei credenti nel nuovo mondo Massimo Scotellaro

Le considerazioni seguenti, riprese dal mio testo non ancora pubblicato “Corso di
escatologia”, si riferiscono alla condizione dei credenti nella nuova creazione di Dio.
Benché il testo biblico ci dica molto poco, fornendoci semplicemente immagini di gioia e
felicità, alcuni studiosi si sono fatti domande sulla natura di questa felicità. Riportiamo
di seguito le diverse prospettive maturate in campo teologico.

La condizione dei credenti nel nuovo mondo


Dopo questa descrizione del nuovo mondo, sorge spontanea la domanda: ‘ma come sarà
la condizione dei credenti in questo nuovo mondo?
Nel corso della storia della Chiesa si è cercato di immaginare e costruire un modello che
riuscisse a suggerire quale sarà la condizione dei credenti nella nuova Gerusalemme 1, descritta
principalmente come una città o come un giardino, coniugando così cultura e natura. Alcuni
studiosi2 hanno identificato due concezioni principali del cielo nel corso della storia: (1) quella
antropocentrica, una visione idealizzata della vita terrena basata sulle relazioni e sulle attività
umane, dove Dio spesso occupa un posto periferico sullo sfondo; (2) quella teocentrica, che pone
l’accento sulla contemplazione di Dio e sul riposo del credente, bandendo ogni forma di crescita
e di attività umana3.
L’idea preponderante nel mondo cristiano occidentale sino ai tempi recenti è stata quella
che cerca di coniugare l’immutabilità e la perfezione di Dio con l’idea di eternità e assenza di
tempo. Si è quindi costruito un modello statico che esclude attività e movimento e che vede nei
credenti e in Dio una perfezione raggiunta che non ammette cambiamenti, in quanto un
cambiamento implicherebbe un miglioramento, un progresso che escluderebbe la perfezione
precedente relegandola a qualcosa di meno. Ha avuto quindi un facile consenso l’idea perorata da
Tommaso d’Aquino di una perfezione intesa come contemplazione da parte dei credenti che,
essendo esseri razionali, trovano così il pieno appagamento del loro intelletto. L’idea della
‘visione beata’, però, è stata criticata ultimamente da vari teologi che hanno contestato una tale
contemplazione come un’istantanea ‘congelata’ in cui l’immobilismo ci condannerebbe ad una
noia mortale, derubandoci di una vera felicità4.
Questa concezione della Chiesa occidentale è stata sfidata e contrastata da un modello
dinamico, improntato all’azione, presente nella Chiesa orientale5, quella Ortodossa, che, nelle
considerazioni di alcuni studiosi6, si differenza per almeno tre aspetti dal modello occidentale: (a)
mentre per Tommaso d’Aquino la condizione terrena ci limita la piena conoscenza di Dio che
invece sarà prerogativa della nostra condizione celeste, per la Chiesa Ortodossa noi, pur
progredendo nella conoscenza di Dio nella nostra condizione ultraterrena, conserveremo

1
Per un quadro storico vedi McGrath, Alister (2003) A Brief History of Heaven. Oxford: Wiley-Blackwell.
2
McDannell, Colleen & Lang, Bernhard (1990, rpt. 2001) Heaven: A History (177–180, 303–306). New York:
Vintage/rpt. Yale University Press.
3
La visione teocentrica classica è quella di Tommaso d’Aquino, la beata visione, perorata recentemente in una prospettiva
cattolico-romana da Saward, John (2005) Sweet and Blessed Country: The Christian Hope for Heaven (15-55). Oxford:
Oxford University Press.
4
Williams, Bernard, “The Makroupulos Case: Reflections on the Tedium of Immortality” in Fischer, John Martin ed. (1993)
The Metaphysics of Death (73–92). Stanford, CA: Stanford University Press. Possibili soluzioni a questa obiezione sono
state presentate da Fischer, John Martin, “Why Immortality Is Not So Bad” in International Journal of Philosophical
Studies 2 (1994), 262–267, e da Hallett, Garth L., “The Tedium of Immortality” in Faith and Philosophy 18 (2001), 279–
291.
5
Per un brevissimo quadro cfr. Walls, Jerry L., “Heaven” in Walls, Jerry L. ed. (2008) The Oxford Handbook of
Eschatology (379-380). New York: Oxford University Press.
6
Bradshaw, David (2004) Aristotle East and West: Metaphysics and the Division of Christendom (255-257). New
York/Cambridge: Cambridge University Press; vedi anche Sherrard, Philip (1995) The Greek East and the Latin West.
Limni, Evia, Greece: Denise Harvey Pub.
❖ Corso di ESCATOLOGIA-La condizione dei credenti nel nuovo mondo Massimo Scotellaro

comunque una limitazione intrinseca alla nostra natura che ci differenzierà dalla piena conoscenza
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che solo Dio ha; (b) mentre nella concezione di Tommaso d’Aquino il corpo non trova posto o
conserva una posizione irrilevante, nella tradizione orientale viene sottolineato il ruolo del corpo
che partecipa alla trasformazione7 della persona; (c) mentre per l’aquinate l’obiettivo finale è la
beata visione che consiste in completezza e riposo, per la Chiesa orientale il credente realizza un
continuo progresso dove la condizione di riposo è parallela ad un incremento del desiderio.
Volgendoci alle Scritture troviamo che “la gloria celeste è rappresentata simbolicamente con
l’immagine di una città che vive. Questo suggerisce non un riposo statico, ma un movimento
dinamico progressivo. Di contro l’epistola agli Ebrei offre un aspetto dialettico che limita questo
modello: “Rimane dunque un riposo sabatico per il popolo di Dio” (Eb. 4:9; cfr. 4:4; 4:8; 4:10). Per
dei pellegrini stanchi il pensiero di viaggiare per sempre senza posa potrebbe apparire come un
tradimento della gloria promessa se non ci fosse una promessa di riposo [Cfr. H. W. Attridge, “Let
Us Strive to Enter That Rest” in HTR 73 (1980) 279–288]. Come può la gloria futura essere insieme
azione e riposo?”8.
I due aspetti, come spesso accade nelle Scritture, altro non sono che due lati della stessa
medaglia che ci offrono una visione integrata, non due visioni competitive. La visione statica che
è stata predominante finora nella Chiesa occidentale trova probabilmente in parte le sue ragioni
nell’influenza che la filosofia greca e quella alessandrina hanno avuto nel pensiero dei prima padri
della Chiesa. Per Platone la realtà dell’iperuranio era immutabile e consisteva nell’essere, non nel
divenire: il mutamento era appannaggio del mondo terrestre che si riduceva a ‘mera apparenza’.
Anche per Aristotele la causa prima dell’universo era il ‘motore immobile’. Queste idee
filosofiche che possono in parte aver inconsapevolmente condizionato i primi interpreti della
Bibbia, non trovano però riscontro nelle Scritture che ci presentano un Dio dinamico, che si
muove, opera, stabilisce e realizza i Suoi piani, crea il mondo dal nulla con una varietà che
testimonia della Sua multiforme saggezza, spiega continuamente la Sua potenza per sostenerlo e
attua il Suo piano di redenzione per l’universo che patisce le conseguenze della caduta dando vita
ad un nuovo cosmo ove dimensione celeste e terrena si fondono. Questo è tutt’altro che un Dio
immobile e statico! La Sua immutabilità riguarda la Sua natura, i Suoi sentimenti ed i Suoi
progetti, ma questo non richiama certo l’idea di immobilità. Il ‘riposo’ del credente di cui la Bibbia
parla fa riferimento al riposo dal travaglio che scaturisce dalla condizione di mortalità presente,
dalla continua lotta contro le tentazioni ed il male che attualmente ci affligge, ma non si riferisce
certo ad una sorta di ‘paralisi’ contemplativa. Se già nel giardino dell’Eden il Signore aveva
destinato l’uomo all’attività (Gen. 2:15), tanto più la pienezza della realizzazione finale dell’uomo
costituirà per lui l’opportunità di esprimere in pieno le sue capacità creative nel contribuire alla
maggior gloria di Dio nella nuova creazione.

7
Nella teologia orientale si preferisce il termine ‘deificazione’ per indicare la nostra piena trasformazione ad immagine
di Dio, quella che nella teologia occidentale viene comunemente chiamata ‘glorificazione’.
8
Thiselton, Anthony C. (2007) The Hermeneutics of Doctrine (575). Grand Rapids, MI; Cambridge, U.K.: William B.
Eerdmans Publishing Company.

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