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P R O T E S TA N T E S I M O

Anno 77, n. 1 Primo trimestre 2022

Testo ed esperienza

È questo il titolo di uno dei paragrafi della prolusione all’anno acca-


demico 2021-2022, tenuta dal prof. Oswald Bayer. Questa formulazio-
ne esprime un denominatore comune dei tre saggi riuniti in questo fa-
scicolo collettaneo.
Come ogni anno, anche nel 2022 la nostra rivista si apre con la prolu-
sione. Il prof. Bayer, docente emerito di teologia sistematica all’Univer-
sità di Tübingen, è uno degli specialisti più importanti di Lutero in Ger-
mania e conosce la lingua italiana da quando ha trascorso, da studente,
un anno in Facoltà. Nella sua lezione, egli analizza l’«ultimo biglietto»
di Lutero, scritto due giorni prima della morte. Oltre a illustrarne le qua-
lità letterarie, egli interpreta le affermazioni del Riformatore come pa-
radigma di prassi teologica. Contrariamente a qualche luogo comune, i
criteri dell’esperienza e del testo scritto non sono alternativi ma orientati
l’uno verso l’altro. Ciò vale per ogni settore della vita ma ad ancora mag-
giore ragione per la chiesa: da un lato, il messaggio della Bibbia «crea»
la chiesa, che è creatura verbi; dall’altro, la Bibbia può essere compresa
soltanto sperimentando la chiesa. In quest’ottica, la teologia ha il com-
pito di ricordare che l’esperienza umana non è autarchica ma nasce dal
confronto tra la lettura di testi già fissati e il fare.
Nel contributo successivo, Nicola Mariani presenta al pubblico italia-
no il pensiero ermeneutico del teologo sistematico Ulrich H.J. Körtner
di Vienna. Egli promuove una prospettiva kerygmatica alla luce dell’e-
segesi storico-critica, che ha reso insostenibile il concetto tradiziona-
le dell’ispirazione «verbale». Confrontandosi con Franz Overbeck, che
2 Testo ed esperienza

aveva caratterizzato il passaggio dall’annuncio orale al «canone» scritto


come un momento chiave dell’allontanamento della chiesa antica dalle
sue origini, Körtner rileva l’importanza della lettura e propone una dot-
trina dell’ispirazione focalizzata non sul testo ma su chi lo legge. Que-
sto approccio, che fa tesoro della semiotica ma è anche congeniale alle
considerazioni di Lutero sulla «parola interiore», pone in evidenza che
il testo non è una realtà a sé ma esiste al fine di essere interpretato e,
per così dire, abitato.
Infine, Antonella Varcasia ricorda le vicende del trisnonno Antonio
Tagliarini, che nel 1861 era tra i fondatori della chiesa valdese di Paler-
mo, prima di passare nel corso degli anni Ottanta al metodismo episco-
pale. Come tutti i protagonisti dell’evangelismo risorgimentale, era ani-
mato da un’ispirazione di fede riconducibile all’incontro immediato con
le Scritture, vissuto come una novità dirompente. Sperimentò poi sulla
propria pelle come fosse arduo il compito di tradurre l’ispirazione rice-
vuta in una vita comunitaria che potesse essere percepita come riflesso
di tutto ciò. Il solo fatto che sia la chiesa di Palermo, sia il metodismo
italiano continuino tutt’ora a dare la loro testimonianza ci potrebbe in-
durre alla speranza che il binomio di testo ed esperienza, esposto in que-
sto fascicolo nelle sue molteplici implicazioni, produca ancora frutto.
In questo senso auguriamo e tutte e a tutti una buona lettura!
Sommario

Editoriale
Testo ed esperienza 1
L’ultima parola di Lutero: l’«Eneide divina»
di Oswald Bayer 5
Ispirazione ed ermeneutica della Scrittura nel pensiero
di Ulrich H.J. Körtner
di Nicola Mariani 29
Don Antonino Tagliarini. Un testimone del primo
evangelismo italiano
di Antonella Varcasia 51

Recensioni 73
Sintesi degli articoli 93
Autori e autrici 95
Protestantesimo 77, 2022, 5-28

L’ultima parola di Lutero:


l’«Eneide divina»*

Le ultime parole di una persona, scritte o pronunciate immediatamen-


te prima della morte, hanno da sempre incontrato un’attenzione parti-
colare, perché sono percepite come un lascito intellettuale. Due giorni
prima della sua morte Martin Lutero scrive su un biglietto, in latino, le
seguenti parole, riprodotte qui nella traduzione della versione più vici-
na al testo originale:

Nessuno comprende Virgilio nelle Bucoliche e nelle Georgiche


senza essere stato pastore o contadino per cinque anni.
Secondo me, nessuno comprende Cicerone nelle sue lettere,
se non si è adoperato per vent’anni in uno Stato importante.
Nessuno pensi di aver gustato a sufficienza le sacre Scritture,
se non ha governato le comunità assieme ai profeti per cento anni.
Non provare a essere padrone di questa Eneide divina,
ma adora umilmente le sue tracce!
Siamo mendicanti. Questo è vero.

* Prolusione all’Anno accademico 2021-2022, tenuta il 9 ottobre 2021 nella


Facoltà valdese di teologia. La versione tedesca è stata pubblicata sotto il titolo
Das letzte Wort: die göttliche Aeneis in: O. Bayer, Gott als Autor. Zu einer poieto-
logischen Theologie, Mohr, Tübingen 1999, pp. 280-301.
6 OSWALD BAYER

1. Il testo

Anzitutto, bisogna giustificare le scelte di critica testuale alla base


di questa traduzione. Le annotazioni manoscritte di Georg Rörer, con-
servate nella Biblioteca dell’Università di Jena (MS Bos. 1.24s), danno
su f. 90 il seguente testo:

Virgilium in Buccolicis et Georgicis nemo potest


intelligere, nisi fuerit quinque annis Pastor aut agricola.
Ciceronem in Epistolis (sic prae[= per?]cipio) nemo intelligit,
nisi 20 annis sit versatus in rep[ublica] aliqua insigni.
5 Scripturas sanctas sciat se nemo gustasse satis, nisi
centum annis cum Prophetis Ecclesias gubernarit.

Quare ingens est miraculum


{ 1. Johannis Baptististae [= Bapistae]
2. Christi
3. Apostolorum
10 Hanc tu ne diuinam aeneida tenta, Sed vestigia pronus adora.
Wir sind Bettler [siamo mendicanti], hoc est verum.»
Sancta voHΜατα R. p. M. L. 16. feb: 461.

La riga 12 è una nota di chi ha raccolto questo testo; probabilmen-


te essa risale allo stesso Rörer. Sono invece note a margine di Lutero le
righe 7-9, inserite nel testo da un copista. L’affermazione Quare ingens
est miraculum si riferisce verosimilmente alle righe 5 s. e anche 10 s.:

1In Dr. Martin Luthers Briefwechsel, a cura di E.L. Enders, vol. 17, Haupt,
Leipzig 1920, p. 8, il testo è presentato come segue:
«Virgilium in Buccolicis et Georgicis nemo potest
intelligere, nisi fuerit quinque annis Pastor aut agricola.
Ciceronem in Epistolis (sic praecipio) nemo intelligit,
nisi 20 annis sit versatus in rep[ublica] aliqua insigni.
5 Scripturas sanctas sciat se nemo gustasse satis,

{
nisi centum annis cum Prophetis Ecclesias gubernarit.
1. Johannis Bapistae
Quare ingens est miraculum 2. Christi
3. Apostolorum.
10 Hanc tu ne diuinam Aeneida tenta, Sed vestigia pronus adora.
Wir sind Bettler: hoc est verum.»
Sancta voήματα R. p. D.M. L. 16.Feb: 46».
A parte la lezione erronea sacras, invece di sanctas (r. 5), e l’inserimento di
D[octoris] (r. 12), le differenze con il manoscritto di Rörer riguardano la pun-
teggiatura e l’uso delle maiuscole e sono irrilevanti per l’interpretazione del te-
sto. Il verbo in r. 3 dovrebbe essere il risultato di una metatesi, che ha trasfor-
mato percipio in praecipio. Ringrazio Martin Seils (Jena) per avermi trasmesso
il testo di Rörer.
L’ultima parola di Lutero: l’«Eneide divina» 7

«Perciò è un grande miracolo comprendere bene la parola di Dio»2. Ciò


che nel manoscritto di Rörer è associato nel genitivo a miraculum (Jo-
hannis Baptistae, Christi, Apostolorum) originariamente è stato riferito,
secondo la ricostruzione di Aurifaber, a cum prophetis3. Il caso gram-
maticale di queste parole, scritte probabilmente in abbreviazione, non
sarà neanche stato riconoscibile in maniera univoca. Nelle sue Unschul-
dige Nachrichten [Notizie innocenti] del 1712, Valentin Ernst Löscher
ha riprodotto il testo di Rörer in maniera incompleta e scorretta, pre-
sentando la nota finale come titolo4. Il manoscritto di Monaco di Ba-
viera (Clm 943, del 1567)5 suddivide il testo soltanto in tre paragrafi.
Le menzionate due note a margine sono combinate e interamente inte-
grate, come seconda frase, nel terzo paragrafo6. Giovanni Aurifaber ri-
ferisce come segue7:

Nel 1546, essendo a Eisleben e avendo davanti a sé soltanto due gior-


ni di vita, il dottor Martino ha compilato in latino, lasciandolo poi sul
suo tavolo, un biglietto su come fosse difficile comprendere la Sacra
Scrittura. Io, Giovanni Aurifaber, l’ho copiato e il dott. Justus Jonas,
sovrintendente di Halle, che allora era presente ad Eisleben, ha con-
servato il biglietto […]: “1. Virgilium in Bucolicis nemo potest intel-
ligere, nisi fuerit quinque annis Pastor. Virgilium in Georgicis nemo
potest intelligere, nisi fuerit quinque annis Agricola. 2. Ciceronem in
Epistolis (sic praecipio) nemo integre intelligit, nisi viginti annis sit
versatus in Republica aliqua insigni. 3. Scripturas sanctas sciat se
nemo degustasse satis, nisi centum annis cum Prophetis, ut Elia et
Elissaeo, Ioanne Baptista, Christo et Apostolis Ecclesias gubernarit.
Hanc tu ne divinam Aeneida tenta,

2 M. Lutero, Werke. Kritische Gesamtausgabe [da qui in seguito: WA]. Tisch-


reden, vol. 1, Böhlau, Weimar 1912, p. 29,10: Johannes Aurifaber compone dal
Quare ingens est miraculum e dalle parole circostanti un discorso a sé di Lute-
ro, premesso alla sua versione dell’«ultimo biglietto»: «Un’altra volta il dott. Lu-
tero ha parlato della comprensione della Sacra Scrittura, dicendo che nessuno
dovesse pensare di aver gustato la Scrittura, se non avesse governato la chiesa
per cento anni assieme ai profeti, a Giovanni Battista e agli apostoli. Perciò è un
grande miracolo comprendere bene la Parola di Dio»: Tischreden oder Colloquia
Doct. Mart. Luthers […], a cura di J. Aurifaber, Eisleben 1566 (VD16: L 6748), f.
4v. [le fonti citate in tedesco sono tradotte in italiano].
3 WA. Tischreden, vol. 5, 1919, p. 168,31 s.
4 WA, vol. 48, 1927, p. 241.
5 WA. Tischreden, vol. 1, p. xviii.
6 WA. Tischreden, vol. 5, pp. 317 s. (n. 5677).
7 Secondo WA. Tischreden, vol. 5, p. 168,21-36.
8 OSWALD BAYER

Sed vestigia pronus adora.


Wir sind Bettler, Hoc est verum, 16.
Februarii Anno 1546”8.

Anche se Aurifaber a volte data erroneamente i documenti9, le sue


indicazioni sull’«ultimo biglietto» di Lutero non possono essere messe
totalmente in dubbio. Bisogna ammettere, però, la possibilità che il te-
sto presentato da lui abbia subito delle modifiche nei dettagli, com’è ac-
caduto nella sua opera anche in altri casi10. La sua rielaborazione può
essere ricostruita in base all’ipotesi che il «biglietto» menzionato di Lu-
tero, passando per le mani di Justus Jonas11, sia alla base della versione
riportata da Rörer e dal manoscritto di Monaco di Baviera. Anzitutto,
Aurifaber ha sciolto la prima frase in due proposizioni costruite in pa-
rallelo, disturbando così il ritmo di un climax composto da tre elemen-
ti. Inoltre, ha inserito integre, modificato gustare in degustare e aggiun-
to ut Elia et Elissaeo, per porre in evidenza il significato ecclesiologico
del passo12; con i due profeti sono anche evocati i loro discepoli. Do-
vrebbe risalire a lui anche l’indicazione della data. Diversamente dagli

8 In seguito al testo citato sopra (nota 2), Aurifaber riporta la seguente ver-
sione: «Che la comprensione della Sacra Scrittura sia una cosa difficile, lo ha
scritto dott. Martin Lutero nell’anno 1546, quando era a Eisleben e gli erano ri-
masti soltanto due giorni per vivere. Ha scritto queste parole in latino su un bi-
glietto, lasciandolo sul suo tavolo. Io, Johannes Aurifaber, l’ho copiato e il signor
dott. Justus Jonas, sovrintendente a Halle, che allora era a Eisleben, ha conser-
vato presso di sé questo biglietto.
I. Virgilium in Bucolicis nemo potest intelligere, nisi fuerit quinque annis
Pastor.
Virgilium in Georgicis nemo potest intelligere, nisi fuerit quinque annis
Agricola,
II. Ciceronem in Epistolis (sic praecipio) nemo integre intelligit, nisi vigin-
ti annis sit versatus in Republica aliqua insigni.
III. Scripturas sanctas sciat se nemo degustasse satis, nisi centum annis cum
Prophetis, vt Elia & Eliseo, Ioanne Baptista, Christo & Apostolis, Eccle-
sias gubernarit.
Hanc tu ne diuina [sic!] Aeneida tenta,
Sed vestigia pronus adora.
Wir sind Bettler/ Hoc est verum, 16.
Februarij Anno 1546».
9 WA. Tischreden, vol. 6, 1921, pp. xii s.
10 Vedi WA. Tischreden, vol. 6, pp. xii-xiv, e B. Stolt, Die Sprachmischung in
Luthers Tischreden. Studien zum Problem der Zweisprachigkeit, Almqvist & Wik-
sell, Stockholm 1964, pp. 19-24.
11 Sulle sue raccolte di detti di Lutero, vedi WA. Tischreden, vol. 6, p. xiii.
12 Cfr. WA. Tischreden, vol. 5, p. 675 (n. 6460) e inoltre vol. 1, p. 342 (n. 707);
vedi sotto, nota 51.
L’ultima parola di Lutero: l’«Eneide divina» 9

altri tradenti del testo, Aurifaber ha colto – un punto da porre in risal-


to – il significato delle due note a margine di Lutero: Giovanni Battista,
Cristo e gli Apostoli devono essere associati ai profeti; la seconda nota
a margine (Quare ingens est miraculum!) è interpretata correttamente
come sintesi del terzo elemento del climax e, pertanto, di tutto l’«ultimo
biglietto»; lo ricompone perfino come un detto a sé di Lutero13. L’intro-
duzione del suo resoconto14, però, fa sì che il baricentro si sposti dal-
la meraviglia per i miracoli di Dio verso il peso delle mansioni dell’uo-
mo, senza riconoscere che il terzo elemento effettivamente costituisce
un anticlimax (vedi sotto, cap. 4).
Aspetti importanti per l’interpretazione del testo si evincono dalla
storia della sua trasmissione all’interno della raccolta di Aurifaber, le
cui ottantadue rubriche15 aprono con i discorsi a tavola dal titolo «La
parola di Dio / o la Sacra Scrittura / la Sacra Bibbia»16.

2. Come l’esperienza si esprime in linguaggio

La fonte parla di «esperienza» in campi diversi e in una pluralità di


tipologie, in cui persone differenti – pastori, contadini, politici e infine
ministri della parola divina – la conseguono. L’autore non le racconta
in prima persona, ma si riferisce a esperienze già espresse nella lettera-
tura; egli parla, dunque, della comprensione di esperienza rappresen-
tata. Come ripete in modo stereotipato, ciò è possibile soltanto in base
a un’esperienza analoga. Tale esperienza è evocata non nella forma di
un resoconto pronunciato in prima persona ma in terza persona; non è
espressa in uno stile drammatico, con i tempi narrativi che in quel caso
dovrebbero essere usati, ma nel presente gnomico.
Si dice nello stile della gnome, ovvero del detto esperienziale: «Nes-
suno comprende Virgilio nelle Bucoliche e nelle Georgiche senza essere
stato pastore o contadino per cinque anni. Secondo me, nessuno com-
prende Cicerone nelle sue lettere, se non si è adoperato per vent’anni in
uno Stato importante». Nell’ultimo detto lo stile riservato della gnome,
che dice cose generalmente valide ed esige assenso da parte di tutti, è
già un po’ sciolto, perché si infila per un momento l’io dell’autore: sic
prae[=per?]cipio. Inoltre, nell’ultima delle proposizioni formulate nella
terza persona, il congiuntivo esortativo sciat introduce un movimento
particolare: «Nessuno pensi di aver gustato a sufficienza le sacre Scrittu-
re, se non ha governato le comunità assieme ai profeti per cento anni».

13 Vedi sopra, nota 2.


14 Vedi sopra, nota 8.
15 WA. Tischreden, vol. 6, cit., ne dà solo 80.
16 Tischreden, a cura di Aurifaber, cit., f. 1; cfr. WA. Tischreden, vol. 6, pp. 3-20.
10 OSWALD BAYER

Ora il discorso indiretto è quasi un discorso diretto, che colpisce non


per ultimo per il fatto che il terzo e ultimo elemento del climax non trat-
ta più, come i primi due, un intelligere ma un gustare che abbraccia qual-
siasi intelligenza. Nella realtà dei fatti, si tratta dell’elemento più basso
o comunque del livello che, diversamente dai primi due, non può esse-
re acquisito mediante lavoro e formazione (poiesis e praxis) e neanche
mediante la teoria. Il significato particolare di questo terzo elemento si
evince anche dalle indicazioni degli anni: dalla cifra accettabile «cinque»
si passa per quella plausibile di «venti» al numero iperbolico di «cento».
Non è possibile sviluppare ulteriormente il climax con cui il testo
esprime il rapporto tra intelligenza ed esperienza. L’autore potrebbe
concludere ma non lo fa. Passa invece al discorso diretto, avvalendosi
di una citazione: «Non provare a essere padrone di questa Eneide divi-
na, ma adora umilmente le sue tracce!».

3. Anti-Sphragis

La scelta e rielaborazione della citazione è una mossa felice, che crea


riferimenti di senso precisamente evidenziabili.
Lutero estrae questo discorso diretto dai versetti finali della Tebaide
di Papinio Stazio (40-96), un poeta romano che seguiva le orme di Vir-
gilio e nel Medioevo e Rinascimento figurava tra i modelli principali di
epica e lirica latine. Come si evince dalla nostra fonte, appartenne an-
che al patrimonio intellettuale di Lutero, che riteneva molto importan-
te la frequentazione di poeti e storiografi antichi17. Nei suoi versetti fi-
nali Stazio appone un sigillo al suo grande epos, attribuendosi la gloria
meritata e rapportando la sua opera con l’Eneide del venerato Virgilio.
Rivolgendosi alla sua creazione, Stazio afferma:

Il magnanimo Cesare già ti ritiene degno della sua conoscenza. La


gioventù romana già ti impara e memorizza con zelo. Perciò, ora vi-
vi, per favore! Non competere con l’Eneide divina ma seguila a di-
stanza e adora sempre le sue tracce! [nec tu divinam Aeneida tempta,

17 Come Lutero abbia stimato la grammatica e la retorica, assieme ai «po-


eti» e alle «storie», si evince da WA, vol. 15, 1899, pp. 18-20 (An die Ratsherren
del 1524); cfr. R. Schwarz, Beobachtungen zu Luthers Bekanntschaft mit anti-
ken Dichtern und Geschichtsschreibern, “Lutherjahrbuch” 54 (1987), pp. 7-22;
su Persio, nello specifico, vedi H.U. Delius, Luther und die Satiren des Persius,
“Helikon” 18-19 (1978-79), pp. 364-377. È ancora istruttivo O. G. Schmidt,
Luther‘s Bekanntschaft mit den alten Classikern. Ein Beitrag zur Lutherforschung,
Veit, Leipzig 1883. Sul canone formativo prescritto da Lutero e Melantone e in
particolare sulla lettura di Virgilio, Ovidio e Cicerone, vedi WA, vol. 26, 1909, p.
239,33-36; cfr. ivi, p. 223,7 s. (Unterricht der Visitatoren del 1528).
L’ultima parola di Lutero: l’«Eneide divina» 11

sed longe sequere et vestigia semper adora]. Anche se ora ti adombra


l’invidia, essa si scioglierà presto e dopo di me mi tributeranno gli
onori meritati18.

Stazio chiude con la sphragís, che è un dispositivo stilistico consueto


sin dall’epoca ellenistica. Orazio apre l’epilogo dei primi tre libri dei suoi
Carmina con i seguenti versetti: «Ho portato a termine un monumen-
to più duraturo del bronzo, più alto della regale mole delle piramidi»19.
In maniera simile, Ovidio appone il sigillo, ovvero la sphragís, alle sue
Metamorfosi, la cui fama passerà per tutti i tempi, per omnia saecula20.
Da interprete di Paolo, Lutero non può restare indifferente di fronte
all’autocelebrazione intesa come eschaton, ma si confronta con essa sen-
za falsa delicatezza, una volta in maniera perfettamente ironica, un’al-
tra in modo piuttosto volgare, nel linguaggio fecale. Nell’interpretazione
del Sal. 127 del 1532-1533, Lutero si inserisce, come anche in altri ca-
si, nella tradizione dell’humanitas antica e in particolare della sapienza
economica e politica di Aristotele e Cicerone21. Secondo lui, Cicerone
parla e agisce bene, a parte quando esalta se stesso e la sua azione di-
cendo: ego feci. Ex hoc: feci, vere fiunt feces22. La perfetta ironia, con cui
Lutero combatte l’autogloriarsi alla fine della sua premessa al primo vo-
lume dell’edizione wittenberghese degli scritti tedeschi (1539), trasmet-
te, invece, qualcosa del discorso paolino «del pazzo» (II Cor. 11,1-12,13)
e mostra una stretta vicinanza all’«ultimo biglietto»:

Se tu ti senti e ritieni sicuro, vantandoti di aver fatto particolarmente


bene il tuo libro, il tuo insegnamento o la tua scrittura, predicando
in modo azzeccato, se ti piace molto che altri per questo ti lodino e
se forse vuoi essere lodato, se, appunto, sei fatto così, caro, toccati le
tue orecchie! Se tocchi bene, troverai dei bei, grandi, lunghi e pelosi

18 Papinius Statius, Thebais, lib. XII, vv. 814-819: Iam te magnanimus dignatur
noscere Caesar, / Itala iam studio discit memoratque iuventus. / vive, precor; nec tu
divinam Aeneida tempta, / sed longe sequere et vestigia semper adora. / mox, tibi si
quis adhuc praetendit nubila livor, / occidet, et meriti post me referentur honores.
19 Q. Horatii Flacci, Opera, a cura di H.W. Garrod (Oxford Classical Texts),
1901 (ristampa 1955): Carminum Liber III, XXX,1 s.: EXEGI monumentum ae-
re perennius / regalique situ pyramidum altius […].
20 P. Ovidius Naso, Metamorphoses, Liber XV, (871-879) 878. Cfr. F. Bömer,
P. Ovidius Naso. Metamorphosen. Kommentar zum Buch XIV und XV, Winter,
Heidelberg 1986, pp. 488-491 (Epilogus – Σφραγίς). Ringrazio Hermann Stein-
thal per avermi fatto notare il topos della sphragís.
21 WA, vol. 40/III, 1930, pp. 202 s. Cfr. O. Bayer, Freiheit als Antwort. Zur
theologischen Ethik, Mohr, Tübingen 1995, pp. 141 s.
22 «L’ho fatto, ma sono fecali»: WA, vol. 40/III, pp. 222,34 s. (su Sal. 127,1),
242,6-244,6 (su Sal. 127,2) e 250,8-253,9 (su Sal. 127,3). Cfr. WA, vol. 40/II, 1914, p.
325,22-31 (su Sal. 51,2). Il gioco delle parole non è riproducibile in lingua italiana.
12 OSWALD BAYER

orecchi di asino. In quel caso devi anche sostenere la spesa di met-


tervi delle campanelle d’oro, affinché, dovunque tu vada, ti si senta
e si punti il dito verso di te, dicendo: “Guardate, ecco il bell’animale
che sa scrivere libri così deliziosi e predicare in modo così azzecca-
to!”. In quel momento sei beato e più che beato nel regno dei cieli.
In sintesi, vogliamo cercare gli onori ed essere altezzosi a volontà. In
questo libro l’onore appartiene a Dio soltanto e si dice: “Deus super-
bis resistit, Humilibus autem dat gratiam” [I Pie. 5,5]. Cui est gloria in
secula seculorum. Amen23.

Questa è l’anti-sphragis di Lutero, collocata in maniera efficace alla


fine della premessa ai suoi propri scritti, alla cui pubblicazione aveva
opposto una certa resistenza, accettandola soltanto al fine che essi, da
documenti storici, dessero testimonianza e raccontassero quello che «è
successo a me, anzi, alla cara parola di Dio»24. L’interesse di Lutero per
la storia della sua vita e del mondo, per il corso della propria biografia
e dell’universo, è del tutto assorbito dall’interesse per il corso della Pa-
rola di Dio, condiviso con gli Atti degli Apostoli, ovvero al cursus evan-
gelii25, alla storia operata e subita dalla sacra Scrittura. Per quanto ri-
guarda l’utilità dei suoi libri, nel 1533 Lutero scrive dell’«utilità di impa-
rare e comprendere le storie e narrazioni su quello che è accaduto a me,
sì, alla cara parola di Dio, quanto ha dovuto soffrire da tanti e potenti
nemici in questi ultimi quindici anni»26.

4. Essere mendicante

I due versetti finali presi dalla Tebaide e inseriti da Lutero nel suo
testo mostrano delle modifiche che a prima vista sembrano trascurabi-
li ma in realtà sono determinanti. Lutero introduce la citazione con un
pronome dimostrativo (Hanc). In tal modo, egli trasforma l’«Eneide di-
vina», ovvero l’opera umana elogiata da Stazio, in una metafora delle
«sacre Scritture», ovvero del libro di Dio, al quale l’«Eneide divina» in-
serita da Lutero nel suo testo ora fa richiamo. Bisognerà ancora porre
in evidenza più tardi quale sia l’incremento di conoscenza e compren-

23 WA, vol. 50, 1914, pp. 660,31-661,8. Cfr. il sermone su I Pie. 5,5 ss. del 22
giugno 1539: WA, vol. 47, 1912, pp. 795-802.
24 WA, vol. 38, 1912, p. 134,5-8 (prefazione di Lutero al catalogo di tutti i
suoi scritti dal 1518 al 1533).
25 WA. Tischreden, vol. 4, 1916, pp. 311,25-312,1 (n. 4436 del 1539): «Ipsi vo-
lunt prohibere nobis cursum euangelii, che non è nelle nostre forze, così come
non possiamo prevenire che i campi verdeggino e crescano». Cfr. WA, vol. 42,
1911, p. 501,4-7 (fortuna verbi, su Gen. 13,4).
26 Cfr. sopra, nota 24.
L’ultima parola di Lutero: l’«Eneide divina» 13

sione della Bibbia che scaturisce dalla caratterizzazione della Bibbia


come «Eneide» di Dio. Anche il secondo versetto subisce una modifi-
ca. Stazio rileva la distanza dall’Eneide del grande Virgilio imposta al-
la sua Tebaide; Lutero, invece, omette le parole longe sequere («segui a
distanza!») e inserisce pronus nel versetto. Il lettore al quale si rivolge
non deve mantenere, volendo o meno, nei confronti della Bibbia, ovve-
ro della «Eneide divina», quella rispettosa distanza che trattiene l’invi-
dia, ma deve cercare «umilmente» la vicinanza della sacra Scrittura. In
conformità a ciò, cambia anche il significato del verbo tentare: non indi-
ca più, come in Stazio, l’attacco del competitore ma l’indagine, nel sen-
so della conclusione di un processo di ricerca e approfondimento. Non
è possibile essere padrone dell’«Eneide divina».
Sembra quasi che Lutero, con la sua anti-sphragis, si rivolga a un ter-
zo, anche se il fatto che nella citazione Stazio parli a se stesso suggerisce
che valga lo stesso anche per lui. Questa impressione, però, è definitiva-
mente smentita nell’ultima svolta della dinamica del testo: «Siamo men-
dicanti». Essendo questo il solo passo del testo in lingua tedesca, la frase
richiama un’attenzione particolare. Inoltre, compare qui esplicitamente
la prima persona; l’intermezzo del prae[= per?]cipio non ha lo stesso pe-
so. È significativo che l’asserzione è formulata al plurale, non al singola-
re. In essa, Lutero si unisce alla chiesa intera, «universale».
«Siamo mendicanti»: già in sé questa frase è una confessione, ma ta-
le caratteristica è ulteriormente posta in risalto con l’«Amen», rafforzato
in latino con un Hoc est verum che corrisponde alla famosa formula del
Piccolo catechismo: «Questo è certamente vero»27. Anche la datazione
è degna di nota. Pur senza risalire a Lutero stesso28, essa fa parte della
documentazione relativa a questa confessione pronunciata in circostan-
ze esigenti e addirittura definitive. Lutero l’ha scritta due giorni prima
della sua morte a Eisleben, città in cui era nato e in cui doveva anche
morire. Le caratteristiche di lascito del testo non sono compromesse dal
fatto che non sia stata firmata di mano propria. L’assenza del suo no-
me ci consente, invece, di prestare ancora maggiore attenzione a quan-
to Lutero ha da dirci con questa autodefinizione come «mendicante».
Lutero può professare di essere un mendicante, senza affondare nel-
la propria nullità, solo perché vive fuori di sé, senza interessarsi a quello
che è suo. Egli vive nell’ampiezza delle esperienze della Bibbia. Nel mo-
mento in cui Lutero, da poeta e poetologo – non senza ragione la tradi-
zione ha definito l’«ultimo biglietto» sancta poemata29 – fa diventare la

27 WA, vol. 30/I, 1910, pp. 295,9; 297,12 s.; 299,12 (cfr. 308,5-12).
28 Cfr. il paragrafo 1 («il testo»).
29 WA. Tischreden, vol. 5, p. 317,11 (probabilmente una riproduzione corrotta
dei sancta νοHMατα nella nota finale secondo Rörer, elevata a titolo da Löscher
[WA, vol. 48, p. 241]; vedi sopra, paragrafo 1).
14 OSWALD BAYER

Bibbia un’Eneide, egli ci propone la Scrittura come epos drammatico,


come libro esperienziale. La Bibbia conserva esperienze subite e conqui-
state, diventate letteratura, e in tal modo consente a questa letteratura
di costituire e restituire le stesse esperienze in contesti nuovi. I testi del-
le «sacre Scritture» non soltanto «scoprono» ma fanno «assaporare»30
il loro «succo e midollo»31, in modo da abbracciare e impregnare ogni
conoscenza. Alla luce di tutto ciò posso soltanto professare la mia inca-
pacità di comprendere32.
A livello fattuale, l’espressione iperbolica raggiunta nel terzo elemen-
to del climax è un anticlimax, almeno per quanto riguarda la chiarez-
za interiore della sacra Scrittura33, poiché per comprendere la Scrittura
ci vuole non più ma meno esperienza, ovvero un tipo di esperienza di-
verso da quella basata sul lavoro e sulla formazione, com’era focalizza-
ta nei primi due elementi. Il climax, che riguarda diversi gradi di espe-
rienza professionale nel senso di un aumento delle qualifiche necessa-
rie, viene rovesciato e diventa un anticlimax, la cui conclusione è rap-
presentata dal mendicante con tutta la sua povertà intellettiva: non può
né deve qualificarsi per la sua «professione», che alla luce dei primi due
elementi non è neanche tale. Chi vuole comprendere Virgilio e Cicero-
ne deve disporre di un patrimonio di esperienze in grado di crescere
nel corso della vita; deve avere un habitus acquisito. La sacra Scrittura,
invece, può già essere compresa da un bambino34. Mentre i primi due
elementi del climax trattano essenzialmente un’esperienza da acquisi-
re, il terzo riguarda un evento che accade, al quale si partecipa soltanto

30Cfr. sotto, nota 55.


31WA, vol. 42, p. 367,13: succum Scripturae ac medullam, su Gen. 9,12-16
(del 1536).
32 Le dichiarazioni di umiltà di Lutero potrebbero far eco al topos retorico
della propria incapacità. Cfr. E.R. Curtius, Europäische Literatur und Lateini-
sches Mittelalter, 5a ed., Francke, Bern 1965, pp. 410-415, che distingue tra la
«formula di umiltà» e la «dichiarazione di incapacità»; cfr. anche ivi, pp. 93-95
(sulla «modestia affettata»).
33 La claritas scripturae interna indica l’illuminazione del cuore oscurato, ope-
rata esclusivamente da Dio mediante lo Spirito santo, e comporta una trasforma-
zione radicale dell’esistenza. La claritas scripturae externa, invece, appartiene al-
la sfera della formazione teologica ed è acquisita mediante l’esercizio metodico;
cfr. WA, vol. 18, 1908, p. 609,4-12 (De servo arbitrio del 1525) [trad. it. a cura di
F. De Michelis Pintacuda: Lutero, Opere scelte, vol. 7, Claudiana, Torino 2017].
34 Die Bekenntnisschriften der evangelisch-lutherischen Kirche, herausgegeben
im Gedenkjahr der Augsburgischen Konfession 1930, 12a ed., Vandenhoeck &
Ruprecht, Göttingen 1998, p. 459,20-22: «Grazie a Dio che un bambino di sette
anni sappia che cosa è la chiesa, ossia i santi credenti e le “pecore che sentono
la voce del loro pastore”» (Articoli di Smalcalda) [trad. it. a cura di P. Ricca: M.
Lutero, Opere scelte, vol. 5, Claudiana, Torino 1992].
L’ultima parola di Lutero: l’«Eneide divina» 15

per grazia35. Il discorso sul miraculum è espressione di quest’esperienza.


Diversamente dall’esperienza economica o politica, che richiede azioni
pianificate, l’esperienza del miracolo di comprendere bene la Parola di
Dio non può essere operata.
Il contrasto tra la ricchezza esperienziale divina e la nostra povertà
intellettuale non può essere messo in scena in maniera più incisiva e im-
pressionante di come l’ha fatto Lutero nel suo «ultimo biglietto». In que-
sto modo, egli fa risuonare il tema della sua vita. Leggiamo nelle sue no-
te a margine inserite nel 1509-1511 nelle Sentenze di Pietro Lombardo,
che erano il manuale di dogmatica del Medioevo: Major est enim hujus
scripturae authoritas quam omnis humani ingenii capacitas36. Dieci an-
ni più tardi, questa parola azzeccata torna, quasi senza modifica, nella
Disputa di Lipsia, in cui Lutero fa riferimento alla sacra Scrittura, cuius
est major auctoritas quam totius generis humani capacitas37.

5. Inesauribilità dell’apprendimento e diversità delle esperienze

Abbiamo appena cominciato ad analizzare il testo in cui Lutero af-


fronta il tema della sua vita in vista della sua morte, che prevedeva e al-
la quale si preparava38. In base a diverse osservazioni è stato posto in
evidenza che il testo non segue un’intuizione spontanea ma ha dei pa-
ralleli nella produzione letteraria di Lutero. Si tramandano le seguenti
parole del luglio 1538, quando Lutero era malato e desiderava morire39:

O, buon Dio, non è facile comprendere la Sacra Scrittura, anche quan-


do la si legge assiduamente. Vogliamo imparare bene tre parole e re-

35 Il concetto di esperienza affermato da Lutero si contraddistingue per il le-


game tra illuminazione e pensiero, preghiera e lavoro, e al tempo stesso per la
distinzione tra essi. Ciò si evince in maniera esemplare da uno dei Discorsi a Ta-
vola, in cui, corrispondentemente al rapporto tra claritas scripturae interna ed
externa, la «grazia» operata dallo Spirito santo è posta in relazione con l’appren-
dimento delle «arti» e con la cultura acquisita in tal modo: Quae faciant theo-
logum: 1. gratia Spiritus; 2. tentatio; 3. experientia; 4. occasio; 5. sedula lectio; 6.
bonarum artium cognitio (WA. Tischreden, vol. 3, 1914, p. 312,11-13 [n. 3425]).
36 WA, vol. 9, 1893, p. 66,9 s.
37 WA, vol. 59, 1983, p. 509,2352 s. (Disputa di Lipsia del 1519).
38 Cfr. WA, vol. 54, 1928, pp. 478-496. Vedi anche H. Bornkamm, Luthers gei-
stige Welt, 4a ed., Mohn, Gütersloh 1960, pp. 305-320 e 331 (la morte e il lasci-
to di Lutero); M. Brecht, Martin Luther, vol. 3: Die Erhaltung der Kirche, 1532-
1546, Calwer Verlag, Calw 1987, pp. 368-370.
39 WA. Tischreden, vol. 4, p. 489,34 s. (n. 4777; sulla trasmissione e datazio-
ne del detto: ivi, p. xxiii): «O, come mi piacerebbe morire ora, poiché sono fiac-
co ed esausto e ora ho un cuore ben sereno e pacifico». Sulla malattia di Lutero
nel luglio 1538 vedi anche ivi, pp. 2 (n. 3909) e 200-202 (n. 4203).
16 OSWALD BAYER

stare studenti per sempre, imparando che cosa significhi amare e


temere Dio e fidarsi di lui. Dal momento che è impossibile esaurire
Virgilio, Cicerone e Terenzio, come mai siamo così presuntuosi nella
Sacra Scrittura. Vergognati40!

Il confronto tra Virgilio e Cicerone da un lato e la sacra Scrittura


dall’altro, intrapreso qui sotto il profilo dell’inesauribilità dell’appren-
dimento e dell’esperienza conservata e accessibile in questi testi, com-
pare anche altrove. È particolarmente interessante tra queste altre testi-
monianze il discorso di Lutero per la promozione a dottore in teologia
di Petrus Palladius il 6 giugno 153741; si tratta di un sermone su Luca
21,15, ovvero sul dono della parola e della sapienza.
In questo testo di Lutero, però, il confronto non avviene sotto il pro-
filo dell’inesauribilità dell’apprendimento, della conoscenza e del gusto
ma serve a porre in rilievo le differenze della parola e della sapienza ri-
spettivamente nel regime secolare e in quello spirituale di Dio. Cicero-
ne e Virgilio valgono con i loro verba e la loro res nell’ambito secolare,
non in quello spirituale42. «Io distinguo», come dice Lutero con forza43.

Ci sono giustizie diverse, una della legge, nata dalle nostre forze e
opere, e un’altra, riconosciuta dalla misericordia divina mediante la
fede. In questo modo dobbiamo ripulire i termini degli scolastici. La
moneta vale laddove è coniata. [...] Innanzi a Dio le nostre opere non
valgono nulla, se vogliamo guadagnarci con esse la vita eterna. In-
nanzi al mondo e in esso valgono senz’altro44.

La comprensione aristotelica della giustizia – come iustitia commu-


tativa e iustitia distributiva – è pertinente e ineccepibile nel forum po-
liticum: è qui che vale. Bisogna, però, criticare e respingere con deter-
minazione la trasposizione di questa comprensione verso il forum teo-

40WA. Tischreden, vol. 4, p. 492,3-7 (n. 4777); in tal modo è riprodotta la rie-
laborazione della versione di Aurifaber da parte di K. E. Förstemann. Compren-
dere la sacra Scrittura non è altro che comprendere il primo comandamento:
«temere, amare e fidarsi di Dio più di ogni altra cosa» (WA, vol. 30/I, 1910, p.
285,2 s.; Piccolo Catechismo del 1529 [trad. it. a cura di F. Ferrario: Claudiana,
Torino 2004]). L’autorità della sacra Scrittura non è formale ma squisitamente
materiale: è l’autorità di Dio stesso.
41 WA, vol. 39/I, 1926, pp. 258-263.
42 Ivi, pp. 262,11-14; 261,28-35. Cfr. WA, vol. 39/I, pp. 74,30 s.; 75,3-6; WA, vol.
40/I, 1911, p. 586,7-9; WA, vol. 31/II, 1914, p. 15,2 s.; WA, vol. 36, 1909, p. 183,11 s.
43 WA, vol. 39/I, p. 231,18 (disputa per la promozione a dottori di Palladius
e Tilemann, 1° giugno 1537).
44 Ivi, p. 233,11-16.
L’ultima parola di Lutero: l’«Eneide divina» 17

logico. Lutero insiste sulla distinzione: Duplex est forum, theologicum


et politicum45.

6. Esperienza confacente allo «status»

Se integriamo nella sfera politica anche l’economia, che ne costitu-


isce la base e abbraccia le dimensioni della sessualità, del matrimonio
e della famiglia, abbiamo davanti agli occhi la dottrina luterana dei tre
«stati» (status)46 che costituiscono l’essere umano in quanto umano in
mezzo alle sue con-creature non umane. Ogni essere umano appartie-
ne a ciascuno di questi tre stati. Lo stato base, lo status ecclesiasticus, è
quello dell’uomo al quale Dio parla, che è chiamato alla vita, creato per
rispondere con la lode di Dio ma anche obbligato a rendergli ragione.
Lo status ecclesiasticus è la chiesa nel suo ordine creaturale, che è stato
radicalmente corrotto dal peccato e per questo motivo dev’essere ricre-
ato ex novo mediante Cristo. Il secondo stato è lo status oeconomicus,
ovvero lo stato del lavoro, che è intrecciato con la dimensione della so-
lidarietà umana, ma da essa distinta. Lo status politicus, la politia, inve-
ce, non è un ordinamento della creazione ma un ordine di emergenza
(Notordnung), istituito per contenere il peccato.
La struttura dell’«ultimo biglietto» di Lutero segue l’ordine di questa
dottrina dei tre stati; diventa riconoscibile così il senso della tripartizio-
ne che si manifesta in tutte le varianti trasmesse del testo. Lo stato più
importante, ovvero lo status ecclesiasticus rinnovato da Cristo, compa-
re alla fine del climax. È invece collocato all’inizio, con le Bucoliche e le
Georgiche, lo status oeconomicus; anche il matrimonio e la famiglia so-
no contemplati qui. Lo status politicus si trova in mezzo.
Lutero si avvale della sua dottrina dei tre stati in chiave quasi cate-
chetica per rendere concreta, comprensibile, articolabile e comunicabi-
le la totalità dell’esperienza del mondo, del sé e di Dio senza ridurre la
«realtà» a un principio unico a partire dal quale renderla comprensibi-
le. Questa dottrina, radicata in particolare nell’interpretazione della Ge-
nesi ma presente anche altrove47, vuole dare una percezione articolata
di come Dio agisca e governi il mondo. In un Discorso a tavola, in cui

45 Ivi, p. 320,2 s.; cfr. WA, vol. 41, 1910, p. 37,10-13: Ratio cum sua sapientia
maneat in terris, costruisca delle case […]. hoc novit et ad hoc creata. Sed quan-
do venit in divinas res, ibi cieca. Ibi un altro modo di governare, eat ad pradica-
tionem, in biblia legat, quomodo credendum et salvari.
46 Cfr. in part. WA, vol. 26, 1909, pp. 504,30-505,10 (Vom Abendmahl Christi.
Bekenntnis [trad. it. a cura di W. Pfannkuche: M. Lutero, Opere scelte, vol. 18,
Claudiana, Torino 2021]); WA, vol. 42, p. 79,3-9 (su Gen. 2,16 s., del 1535), e O.
Bayer, Freiheit cit. (paragrafo Natur und Institution).
47 A parte WA, vol. 42, p. 79,3-9, cfr. anche ivi, p. 158,16-19 (su Gen. 3,19).
18 OSWALD BAYER

Lutero parla dei suoi principi ermeneutici, è indicata al primo posto la


regola di osservare, come principio strutturante, la distinzione tra i tre
stati ovvero «gerarchie»:

Senza dubbio la Bibbia parla e insegna de operibus Dei; esse, però, si


suddividono in tre hierarchias: Oeconomiam, politiam ed ecclesiam.
Ora, se un detto non combacia con la ecclesia, lo possiamo assegna-
re alla politia, oeconomia, dovunque rientri meglio48.

Per illustrare gli ambiti dell’economia e della politica, Lutero poteva


anche riferirsi, nel suo «ultimo biglietto», all’Antico Testamento, parti-
colarmente alla «preistoria» dei capp. 1-11. La sua scelta, però, di evo-
care l’esperienza contemplata nello status oeconomicus e politicus me-
diante accenni a Virgilio e Cicerone49 mostra inequivocabilmente come
si tratti di un’esperienza generale che non dev’essere costruita o ricostru-
ita in chiave cristologica ma è materia di ordine naturale o di ragione.
Per dimostrare ciò, Lutero fa ricorso all’antichità greco-romana, come
accade anche, e nella stessa strutturazione, nella Disputatio de homine
(1536) relativamente alla definizione dell’uomo come animal rationale.
Del tutto diverso è il discorso sullo status ecclesiasticus rinnovato. Il
forum theologicum è definito esclusivamente mediante testi della sacra
Scrittura50. La differenza decisiva è segnalata dal passaggio da Virgilio
e Cicerone alle «sacre Scritture». L’«ultimo biglietto» non tematizza il
conflitto tra le due sfere, che scoppia quando l’economia e la politica non
si accontentano delle loro sfere di competenza ma aspirano all’assoluto e
l’uomo, che si adopera in queste sfere, vuole abusare del suo lavoro per
giustificare se stesso. Bisogna tener presente, però, questo aspetto, affin-
ché il contesto complessivo rappresentato dalla nostra fonte sia chiaro.

48 WA. Tischreden, vol. 5, p. 218,14-18 (n. 5533, del 1542-1543). Questa rego-
la è applicata, ad es., in WA, vol. 43, 1912, p. 523,16-524,31 (su Gen. 27,28 s.).
Cfr. WA, vol. 31/II, p. 569,21 s. (su Is. 66,1): Cavete altas speculationes et perma-
nete in inferioribus, in politia, in oeconomia, in scriptura.
49 Da confrontare con l’«ultimo biglietto»: WA, vol. 40/III, p. 203,2 (cfr. sopra,
note 21 s.). Per la sua stima di Cicerone: WA. Tischreden, vol. 2, 1913, pp. 456
s. (n. 2412). Il passo «Nessuno comprende bene le lettere di Cicerone se non è
stato per vent’anni in un governo eccellente» (ivi, p. 457,18 s.) dovrebbe essere
stato inserito da Aurifaber nella tradizione risalente al 1532 in base all’«ultimo
biglietto» di Lutero.
50 Cfr. WA. Tischreden, vol. 3, p. 4,33-37 (n. 2808b): «L’esperienza mostra co-
me è forte la verità di Dio. Più la si legge, più è efficace. Questo Cicerone non lo
può con tutta la sua sapienza e retorica, nonostante sia stato un uomo egregio
per quanto concerne la sapienza umana. Ma essa non può andare al di sopra di
se stessa, deve restare laggiù».
L’ultima parola di Lutero: l’«Eneide divina» 19

Altri testi di Lutero formulati in prima persona, che raccontano, con-


densano e riflettono esperienza, suscitano nel lettore o ascoltatore fretto-
loso l’impressione di un’individualità puntualmente attualizzata e di un
approccio esistenzialista; l’«ultimo biglietto», invece, dà voce a un’esten-
sione dello spazio esperienziale insuperabile in tutti i tempi. In manie-
ra sapienziale, il testo disegna un immaginario sobrio del mondo e una
visione d’insieme altrettanto sobria dell’esperienza in quanto tale. Molti
elementi dei quali ci si poteva attendere la menzione sulla base dei suoi
testi catechetici – corpo e anima, il «pane», la dimensione cosmologica
– passano in sottofondo, ma senza essere esclusi. Tutti questi temi sono
comunque considerati dalle «sacre Scritture» nello status ecclesiasticus.
Quasi scandalosa è la sobrietà con cui Lutero parla del tema più im-
portante, ovvero della chiesa, presa in considerazione sotto il profilo
del governo, del gubernare. Bisogna tener presente, però, che il gover-
no spirituale di Dio, esercitato mediante i suoi ministri, che «governa-
no la comunità» assieme ai «profeti» e «apostoli», essendo «Gesù Cri-
sto la pietra angolare» (Ef. 2,20)51, non è un governo politico o simile a
esso, ma avviene esclusivamente attraverso la parola e lo spirito. Non-
dimeno è chiaramente accentuata la specifica esperienza professionale
che Lutero ha fatto come dottore – il che significava per lui in contem-
poranea: predicatore – della sacra Scrittura in lunghi decenni di batta-
glia. Questa non è, però, l’esperienza esclusiva di chi è chiamato all’in-
segnamento pubblico (publice docere: Confessione augustana, cap. 14).

51 Interpretiamo dunque la glossa di Lutero, intesa probabilmente come ag-


giunta a cum Prophetis (vedi sopra, paragrafo 1), in senso tale che Giovanni Bat-
tista sia considerato come l’ultimo dei profeti e che Cristo non sia inteso nei ter-
mini di una storia della salvezza come «mezzo del tempo». L’aggiunta di Aurifa-
ber ut Elia et Elisaeo (vedi sopra, nota 12) corrisponde al senso di un discorso a
tavola come WA. Tischreden, vol. 1, p. 342 (n. 707), in cui è posta in risalto, con
riferimento a II Re 2,12, la conduzione della chiesa: Eliseus vocat Eliam currum
Israel et aurigam eius […]. Cfr. le parole famose di Melantone sulla morte di Lu-
tero: obiit auriga et currus Israel, qui rexit ecclesiam in hac ultima senecta mun-
di! Neque enim humana sagacitate deprehensa est doctrina de remissione pecca-
torum et de fiducia Filii Dei, sed a Deo per hunc virum patefacta, quem etiam A
Deo excitatum vidimus fuisse (C. Schubert, Die Berichte über Luthers Tod und
Begräbnis. Texte und Untersuchungen, Böhlau, Weimar 1917, p. 23,32-35, n. 21).
Cfr. Corpus Reformatorum, vol. 6, Schwetschke, Halle 1839, p. 57 (lettera a Ju-
stus Jonas del 19 febbraio 1546): Erat ille omnino currus et auriga Israel a Deo
excitatus, ut Evangelii ministerium instauraret et repurgaret, quod res ipsa osten-
dit. Necesse est enim fateri, per eum patefactam esse doctrinam, quae supra hu-
mani ingenii conspectum posita est. Tali Doctore et Gubernatore nos orbari, ma-
gno dolore afficimur, non solum propter nostram Academiam, sed etiam propter
universam totius Orbis terrarum Ecclesiam, quam consiliis, doctrina, autoritate,
et Spiritus sancti auxilio regebat. Per il gubernare, cfr. WA, vol. 39/I, p. 267,5 (gu-
bernare et praeesse ecclesiis).
20 OSWALD BAYER

Come mostra la spiegazione che Lutero dà delle «tre regole per studiare
la teologia»52, questa è l’esperienza di ogni cristiano, anzi, di ogni esse-
re umano. Secondo Lutero, la definizione mediante le caratteristiche di
oratio, meditatio e tentatio assicura alla teologia un significato per tutta
l’umanità, oltre qualsiasi competenza settoriale. Al di là di ogni concet-
to di scuola, questa definizione dota la teologia di un concetto del mon-
do che riguarda tutti gli esseri umani53. Ogni essere umano è teologo,
in quanto il confronto con l’ascoltata promessa di vita incondizionata
porta la sua esperienza di sé e del mondo nella tentazione, che può su-
perare soltanto nella preghiera.

7. Testo ed esperienza
Colpisce nel nostro testo, accanto all’intelligere, il gustare, che rico-
pre un ruolo decisivo del concetto esperienziale di Bernardo di Chiara-
valle54. Bisogna comprendere questo elemento alla luce delle tre carat-
teristiche dell’oratio, della meditatio e della tentatio. Per Lutero, gustare
segnala un’attenzione alla dimensione sensuale e corporea del testo55.
La differenza tra intelligere e gustare, che emerge dall’«ultimo bigliet-
to», può essere interpretata in base alla distinzione tra sapere ed espe-
rienza, introdotta da Lutero nella prefazione già più volte menzionata
al primo volume dell’edizione wittenberghese dei suoi scritti. Leggiamo
lì che la tentazione «ti insegna non soltanto a conoscere e comprendere
ma anche a sperimentare»56. Questa distinzione rappresentativa per la

52WA, vol. 50, pp. 658,29-660,30; cfr. O. Bayer, Theologie (Handbuch Syste-
matischer Theologie, 1), Gütersloher Verlagshaus, Gütersloh 1994, pp. 55-106.
53 Vedi O. Bayer, Geistgabe und Bildungsarbeit. Zum Weltbegriff der Theo-
logie, in: Religion, Ethik, Schule. Bildungspolitische Perspektiven in der plura-
len Gesellschaft, a cura di Ch. Th. Scheilke, F. Schweitzer, Waxmann, Münster
1999, pp. 263-275.
54 Cfr. U. Köpf, Religiöse Erfahrung in der Theologie Bernhards von Clairva-
ux, Mohr, Tübingen 1980, pp. 152-161, 165.
55 Sul gustare, vedi WA, vol. 3, p. 186,31-34 (su Sal. 34,9); WA, vol. 4, 1886,
pp. 615,22; 616,3 (con Giov. 8,52); WA, vol. 7, 1897, p. 49,12 s. (cfr sotto, nota
62); WA, vol. 9, p. 355,20-23; WA, vol. 13, 1880, p. 350,38; WA, vol. 14, 1895, p.
274,1-5; WA, vol. 38, p. 569,6 s.; WA, vol. 40/II, pp. 396,14 s. e 419,2; WA, vol. 40/
III, p. 368,1-3 (su Sal. 130,7); WA, vol. 41, p. 357,26; WA, vol. 46, 1912, p. 362,1.
Il verbo degustare, usato da Aurifaber nella sua rielaborazione dell’«ultimo bi-
glietto», è molto raro negli scritti di Lutero, ma cfr. WA, vol. 59, pp. 153,21-26
(su Sal. 23,3), 156,20-26 (su Sal. 22,8) e 161,14-19 (su Sal. 22,15b). In manie-
ra particolarmente toccante Lutero parla del «gusto» e della «voglia» della Pa-
rola di Dio nel sermone sul Sal. 1 del 1541: WA, vol. 49, 1913, pp. 228,10-230,9.
56 WA, vol. 50, p. 660,2. Al posto di diversi discorsi a tavola, cfr. WA. Tischre-
den, vol. 5, p. 384,5 s. (n. 5864): Theologum oportet fieri experimentis et usu, non
lectione tantum sacrarum rerum.
L’ultima parola di Lutero: l’«Eneide divina» 21

teologia di Lutero è espressa in maniera ancora più incisiva nelle Ope-


rationes in Psalmos: Vivendo, immo moriendo et damnando fit theologus,
non intelligendo, legendo aut speculando57.
Comunque si voglia valutare nei dettagli il collegamento del concet-
to esperienziale di Lutero con la tradizione mistica e in particolare con
quella theologia mystica che si intende come theologia negativa, è deci-
sivo che la ricezione e correzione di questa tradizione58 riporta in auge
il concetto di esperienza testimoniato nell’apocalittica del Nuovo Testa-
mento59. I termini di questo campo semantico sono tutti riuniti nel pro-
emio di De libertate christiana, un testo che mostra paradigmaticamente
come Lutero metta in relazione l’esperienza della fede e la produzione
di letteratura teologica; a questo riguardo, non ha ancora trovato nel-
la ricerca l’attenzione che merita60. In questo testo breve61 compaiono,
assieme a gustare62, experimentum, probare, tribulatio e tentationes. Chi
tiene presenti gli equivalenti greci e il loro uso negli scritti del Nuovo
Testamento, si vede introdotto in una specifica percezione del mondo,
di sé e di Dio, caratterizzata anzitutto da una comprensione del tempo
che non può non essere definita apocalittica.
Tale comprensione del tempo è evocata da Lutero in modo tale che
non è possibile disinnescarla mediante una contestualizzazione in ter-
mini di storia delle religioni, con un’interpretazione esistenziale oppure
con una trasposizione nel concetto neoprotestante della coscienza, che
è in qualche modo simile al secondo approccio63. La battaglia contro

57 Archiv zur Weimarer Ausgabe der Werke Martin Luthers, vol. 2, 1981, p.
296,10 s. (= WA, vol. 5, p. 163,28 s.), vedi sopra presso la nota 23.
58 La ricezione e correzione di questa tradizione possono essere osservate
a partire da Archiv zur Weimarer Ausgabe, vol. 2 cit., pp. 294,19-296,11 ([parti-
colarmente importanti sono le note 16-21] = WA, vol. 5, p. 163,17-29). Lutero
si oppone alla teologia negativa, affermata con richiamo a Dionisio Areopagi-
ta, quando essa è soltanto materia di speculazione senza essere vissuta: Sense-
runt autem contraria negativae theologiae, hoc est nec mortem nec infernum di-
lexerunt (ivi, p. 296,3 s. = WA, vol. 5, p. 163,22 s.). Cfr. ivi, pp. 318,11-319,3 (=
WA, vol. 5, p. 176,22-33).
59 Questo aspetto non è stato preso in considerazione nella presentazione,
peraltro ricca di materiale e differenziazioni, di U. Köpf, Erfahrung. III/1, in
Theologische Realenzyklopädie, vol. 10, De Gruyter, Berlin-New York 1982, pp.
113-115 (su Lutero).
60 Questo aspetto si evince in particolare dagli excursus De spe et passionibus
e De fide et operibus delle Operationes in Psalmos: Archiv zur Weimarer Ausgabe,
vol. 2, pp. 283-321 = WA, vol. 5, pp. 158,4-177,28 e 394,20-408,13.
61 WA, vol. 7, p. 49,7-19.
62 Ivi, r. 12 s. (cfr. sopra, nota 55).
63 È paradigmatica per un tale ridimensionamento l’interpretazione di E.
Hirsch, Drei Kapitel zu Luthers Lehre vom Gewissen, in: Id., Lutherstudien, vol. 1,
Bertelsmann, Gütersloh 1954, pp. 136 s., nota 4: «L’unificazione dell’esperienza
22 OSWALD BAYER

«ogni tipo di nemici», che «deve subire» chi «medita», ovvero «conversa
con la parola di Dio»64, è talmente pubblica da non poter essere ridotta
a un combattimento interiore «nella coscienza del singolo»65, anche se
raggiunge in essa la sua profondità.

8. L’esperienza della tentazione

L’esperienza delle tentazioni, di cui Lutero avrebbe voluto scrivere un


libro, verte tutta attorno alla validità del primo comandamento66. L’uni-
tà di Dio, e con essa l’unità della realtà e dell’esperienza fatta con essa,
non è un principio inoppugnabile, eterno e necessario ma è contestata
nella realtà dei fatti e nella prassi in una maniera del tutto «esteriore».
Per questo, chi medita il primo comandamento è coinvolto nel conflit-
to tra l’unico Signore e i tanti signori (cfr. I Cor. 8,5 s.) e non si può sot-
trarre a questo coinvolgimento mediante il ricorso a un’idea speculati-
va dell’unità di Dio. Non basta «sapere soltanto» di quest’unità e, per-
tanto, dell’onnipotenza di Dio per tenersela davanti agli occhi spirituali

della coscienza nel presente e dell’estremo giudizio, vissuta da Lutero nelle sue
tentazioni, è un processo assai degno di nota dal punto di vista della storia del-
le religioni. Si tratta di un risveglio della pietà del cristianesimo primitivo, som-
mersa da molto tempo, e al tempo stesso del fondamento e punto di partenza
della traduzione moderna del mito cristiano nel vissuto interiore della soggetti-
vità. In entrambe le prospettive incorpora l’originalità e novità di una vera rot-
tura, partorita dalla concentrazione appassionata di un’anima singola sul mi-
stero divino, davanti al quale è nuda».
64 WA, vol. 50, p. 660,6-8.
65 D. Lange, Erfahrung und die Glaubwürdigkeit des Glaubens, Mohr, Tübin-
gen 1984, p. 13. Un tale riduzionismo è smentito da un testo tipico per Lutero
come WA, vol. 18, p. 626,8-40 (De servo arbitrio del 1525).
66 WA. Tischreden, vol. 4, pp. 490,24-491 (n. 4777, l’allusione ad Agricola im-
pone una datazione non anteriore al 1537): «Ego si diutius deberem vivere, liben-
ter vellem librum conscribere de tentationibus, nam sine illis homo neque sacram
scripturam neque fidem, timorem et dilectionem Dei agnoscere potest, immo non
potest scire, quid sit spes, qui nunquam fuit in tentationibus. Qualis est noster Io-
annis Agricola, qui multa sibi arrogat non tentatus. Recherà danno post mortem
meam. O caro Signor Dio, lectio sacrae scripturae non tam facile perdiscitur!»
(segue una versione del testo citato sopra e documentato in nota 40). Se la sua
comprensione «apocalittica» del tempo e dell’esperienza mette in conto, nel suo
insieme, esclusivamente il primo comandamento e lo spazio di confronto defi-
nito da esso, e se il primo comandamento rappresenta, come lo afferma il Cate-
chismo, la testimonianza complessiva della Bibbia (WA. Tischreden, vol. 1, p. 358
[n. 751], cfr. Bekenntnisschriften cit., p. 552,16-33 = WA, vol. 30/I, p. 128,22-30;
cfr. sopra, nota 40), poi questo concetto è trasversale a tutte le differenziazioni
basate sulla storia delle forme e delle tradizioni.
L’ultima parola di Lutero: l’«Eneide divina» 23

come se fosse una nozione fuori dal tempo; è, invece, necessario «anche
sperimentarla»67. Tale esperienza, però, necessita di tempo e si presen-
ta soltanto facendo una strada che dev’essere provata68, percorsa e, ap-
punto, sperimentata69.
Tra i fattori che portano il sapere all’esperienza, rendendolo certo70,
figurano, oltre al tempo, anche gli affetti che la qualificano. Contraria-
mente all’illuminazione cieca sostenuta dalla teologia moderna della
coscienza, questi non sono gli affetti dell’uomo credente o miscredente
ma quelli della Parola di Dio, ovvero gli affetti sensuali del deus dicens,
che non è, come il dio della metafisica, un essere meramente intellet-
tuale. Gli affetti si pongono in evidenza concretamente, sensualmente e
temporalmente nella tentazione: «Questa è la pietra di prova che ti in-
segna non soltanto a sapere e comprendere, ma anche a sperimentare,
come sia retta, veritiera, dolce, amabile, potente e confortante la parola
di Dio, che è sapienza al di sopra di ogni sapienza»71.
La tentazione non è la pietra di paragone72 per verificare l’autentici-
tà della fede, intesa come veridicità e credibilità della persona credente,
ma sottopone a prova la Parola di Dio, che dimostra il suo potere nel-
la e contro la tentazione: «Poiché soltanto la tentazione insegna a pre-
stare attenzione alla parola». Colpisce come Lutero interpreti in questo
senso Is. 28,19; anche se non coglie appieno il senso del testo ebraico73,
condensa qui in un unico punto tutta la sua comprensione della Scrit-
tura e della teologia.
Soltanto la tentazione insegna a prestare attenzione alla Parola di
Dio, la quale è, però, la condizione preliminare che consente che sia
sperimentata. Perciò l’uomo fa l’esperienza della parola di Dio subendo-

67 WA, vol. 50, p. 660,2; cfr. sotto, presso nota 71.


68 Cfr. probare ad es. in WA, vol. 7, p. 49,9 (vedi sopra, nota 61).
69 Per l’etimologia della parola tedesca Erfahrung cfr. J. e W. Grimm, Deutsches
Wörterbuch, vol. 3, Hirzel, Leipzig 1862, coll. 788-791; U. Köpf, Erfahrung cit.,
pp. 109 s.; D. Lange, Erfahrung cit., p. 8.
70 Cfr. il parallelismo tra «sperimentare» e «diventare certi» nella nuova pre-
fazione al Grande Catechismo, in cui Lutero riflette sulla meditazione: «leggere,
insegnare, imparare, ragionare e meditare [tichten, meditari]»: Bekenntnisschrif-
ten cit., p. 553,5-9 = WA, vol. 30/I, pp. 128,35-129,2.
71 WA, vol. 50, p. 660,1-3.
72 Grattando con una pietra di paragone (lapis lydeus), si poteva verificare,
nel caso di leghe metalliche verniciate, se si trattava di oro o meno.
73 Lutero traduce sulla falsariga della Vulgata: tantummodo sola vexatio in-
tellectum dabit auditui (cfr. Sal. 118,67 e 75); cfr. WA, vol. 25, 1902, p. 189,15-39
(Lezioni su Isaia del 1532/34); cfr. L. Hutter, Compendium locorum theologico-
rum ex Scripturis S. et libro Concordiae collectum, Helwig, Wittenberg1610, lo-
cus 24: De cruce et consolationibus, 1,1.
24 OSWALD BAYER

la74. Le «due pietre di paragone»75 della Scrittura e dell’esperienza non


si collocano una accanto all’altra; non si completano reciprocamente e
il loro rapporto non può essere espresso con la metafora dei due fuochi
di un’ellisse. Quando Lutero distingue tra di loro76, lo fa esclusivamente
per opporsi al fraintendimento secondo cui la Scrittura è una parola di
carta, non una parola di vita, ricca di affetti. Come dice Lutero nell’in-
terpretazione del Sal. 118, nella sacra Scrittura «non c’è una parola da
leggere soltanto, [...] ma una parola di pura vita, proposta non per fare
speculazioni e considerazioni altisonanti ma per vivere e fare»77.
La famosa sentenza di Lutero Sola experientia facit theologum78 esclu-
de da un lato le considerazioni altisonanti e le speculazioni, e con ciò
un sapere puro79, ma dall’altro non caldeggia neanche un principio di
mera esperienza, che sarebbe per forza un principio di vaga indetermi-
natezza. Un teologo diventa tale non per l’esperienza in quanto tale ma
per l’esperienza della Scrittura.

9. Tre esperienze diverse

L’esperienza che faccio con la sacra Scrittura è che essa interpreta


me, stabilendo la sua propria interpretazione, essendo sui ipsius inter-
pres, come chiosa Lutero con un esplicito riferimento al Sal. 11980. Egli

74 Dei due significati del verbo «sperimentare», cioè di quello attivo e di quel-
lo passivo, il secondo è teologicamente più importante per Lutero.
75 WA, vol. 36, p. 506,21 (sermone su I Cor. 15,3, in particolare sul «secondo
le Scritture»). L’interpretazione che segue si evince dal contesto (ivi, pp. 499-
507), in cui Lutero spiega che cosa sia corrispondente alla Scrittura.
76 A parte il testo indicato in nota 75, cfr. WA, vol. 30/II, p. 673,13-17 (Rhapso-
dia seu concepta in librum de loco iustificationis cum aliis obiter additis del 1530).
77 WA, vol. 31/I, 1913, p. 67,10-12 nel contesto delle rr. 3-14, in cui Lutero
spiega il suo concetto della meditazione.
78 WA. Tischreden, vol. 1, p. 16,13 (n. 46 del 1531). In questo discorso a tavo-
la Lutero ragiona su come il doctor biblicus (r. 6) debba rapportarsi con la sa-
cra Scrittura; cfr. WA, vol. 25, p. 106,27 (Lezioni su Isaia): experientia, quae so-
la facit Theologum.
79 Questo si evince dal parallelismo con il discorso a tavola indicato in nota
78: WA, vol. 25, pp. 106,26-107,19.
80 WA, vol. 7, p. 97,23 (Assertio omnium articulorum M. Lutheri per bullam
Leonis X. novissimam damnatorum del 1520). In rr. 23-35 la sacra Scrittura è ca-
ratterizzata come per sese certissima, facillima, apertissima, sui ipsius interpres,
omnium omnia probans, iudicans et illuminans, sicut scriptum est psal. c.xviii.
«Declaratio seu, ut hebraeus proprie habet, Apertum seu ostium verborum tuorum
illuminat et intellectum dat parvulis» [Sal. 119,130]. Hic clare spiritus [i.e. spiri-
tui?] tribuit illuminationem et intellectum dari docet per sola verba dei, tanquam
per ostium et apertum seu principium (quod dicunt) primum, a quo incipi oporte-
L’ultima parola di Lutero: l’«Eneide divina» 25

insiste: verba divina essere apertiora et certiora omnium hominum, etiam


suis propriis verbis, ut quae non per hominum verba, sed hominum ver-
ba per ipsa doceantur, probentur, aperiantur et firmentur81. Con la Scrit-
tura devo far operare in me il suo autore, ovvero il Dio uni-trino. Que-
sto è il motivo della specifica passività dell’esperienza di fede: la fede è
anzitutto vita passiva82.
La passività che contraddistingue la concezione di esperienza ine-
rente alla terza regola di Lutero, ovvero alla tentazione, con tutta la sua
centralità per il suo concetto di teologia, è in sé differenziata. Non è pos-
sibile ridurla semplicemente a una definizione gnoseologica o antropo-
logica, ad es. nei termini di un «senso di dipendenza complessiva»83, co-
me se Dio fosse «semplicemente l’espressione della costituzione passiva
del senso in generale»84! Non possiamo ricondurre a un denominatore
comune l’imposizione della legge, attraverso la quale Dio uccide, quella
del vangelo, con cui porta alla vita, e, infine, l’azione nascosta e oppri-
mente di Dio al di là di legge e vangelo85. Si subisce il vangelo in manie-
ra del tutto diversa dalla legge e questo vale ad ancor maggiore ragione
per quell’efficacia nascosta di Dio, che ci può far cadere nella massima
tentazione, che è quella operata da Dio stesso86. Il superamento di que-
sta tentazione attraverso il deus praedicatus87 fa «sperimentare» in una

at, ingressurum ad lucem et intellectum. Iterum, Principium seu caput verborum


tuorum veritas [Sal. 119,160]. Vides, et hic veritatem tribui non nisi capiti verbo-
rum dei, hoc est, si verba dei primo loco didiceris et eis velut principio primo usus
fueris pro omnium verborum iuditio. Et quid facet octonarius ille totus quam ut
perversitate nostri studii damnata nos revocet ad fontem et doceat primum et so-
lum verbis die studendum esse, spiritum autem sua sponte venturum et notrum
spiritum expulsurum, ut sine periculo theologissemus? Cfr. La citazione di Sal.
1,2 (ivi, rr. 10 s.). A mia conoscenza, il significato di Sal. 119 e di un concetto di
meditazione legato a Sal. 1,2 (cfr. WA, vol. 7, p. 97,10 s.) nel contesto di tutte e
tre le regole del «principio scritturale» di Lutero è finora rimasto inosservato.
81 WA, vol. 7, p. 98,11-13.
82 Per la vita passiva, vedi Archiv zur Weimarer Ausgabe, vol. 2 cit., pp. 302,12-
303,10 = WA, vol. 5, pp. 165,33-166,16 (su Sal. 5,12).
83 F. Schleiermacher, Der christliche Glaube nach den Grundsätzen der evan-
gelischen Kirche im Zusammenhange dargestellt. Zweite Auflage (1830/31), a cura
di R. Schäfer, De Gruyter, Berlin-New York 2008, § 3 s.
84 Con D. Lange, Erfahrung cit., p. 78.
85 Cfr. O. Bayer, Theologie cit., pp. 425 s.
86 Cfr. ad es. WA. Tischreden, vol. 4, p. 491,21-25 (n. 4777, vedi sopra, note
40 e 66): «C’è qualcosa di più alto della disperazione per i peccati, come lo so-
no le tentazioni espresse in Sal. 8: “Per un breve tempo tu lo lascerai abban-
donato da Dio”, e in Sal. 22: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”.
Come se volesse dire: mi sei nemico senza alcun motivo, anche se non ci fosse
nessun peccato».
87 Al posto di un’ampia documentazione indichiamo WA, vol. 18, p. 685,3-24.
26 OSWALD BAYER

profondità ultima «come sia veritiera, dolce, amabile, potente e confor-


tante la parola di Dio»88.
Arrivati a questo punto, ci possiamo interrogare in che misura la ter-
za regola di Lutero, e con essa tutta la sua comprensione della teologia,
possa essere generalizzata. Corrisponde non soltanto al suo «ultimo bi-
glietto» ma all’opera di Lutero nel suo insieme, se ricerchiamo la rispo-
sta nella sua comprensione della Scrittura.

10. «Principio scritturale»?

Nel contesto in cui compare la formula della sacra Scrittura come sui
ipsius interpres89, Lutero mette in relazione la sua comprensione della
Scrittura, rilevata esplicitamente dal Salmo 119, con il discorso aristote-
lico sul principium primum90 e, di conseguenza, con il concetto corren-
te della scienza91. Secondo quest’approccio, la conoscenza scientifica si
contraddistingue per necessità incondizionata; tutto ciò, però, «che esi-
ste con necessità incondizionata è eterno, e ciò che è eterno non è mai
divenuto ed è indistruttibile»92. È dunque effettivamente un’incredibile
provocazione che Lutero chiami principium primum la Bibbia, un libro
divenuto nel tempo, contingente, sottoposto alla storia e contrassegnato
dalla sensualità degli affetti. Questo paradosso non dev’essere trascura-
to quando si parla del «principio scritturale»93. L’utilizzo di questa pa-
rola ha senso soltanto a patto che sia intesa come indice di un conflit-
to, cioè di quella dialettica che sollecita la scienza teologica ossia la te-
ologia scientifica non solo nei tempi di Lutero ma ancora oggi e che la
solleciterà ancora. Chi parla del «principio scritturale» lo può fare sol-
tanto criticando radicalmente un concetto di scienza orientato verso un
apriori puro, sottratto al tempo; farà valere sempre un apriori impuro e
storico e da teologo ragionerà sulla falsariga di una verità contingente

88WA, vol. 50, p. 660, 2s.


89Cfr. sopra, note 80 s.
90 WA, vol. 7, p. 97,28 e 31 (nel plurale: ivi, p. 98,4 e 9); cfr. in part. Aristotele,
Metaphysica V,1 (1013a); VI,1 (1025b-1026a); Topica IV,1 (121b); Analytica poste-
riora I,2 (72a, 6 s.). Sono state utilizzate le edizioni degli Oxford Classical Texts.
91 Come rappresentazione dei passi inerenti a questo tema negli Analytica,
Topica, Rhetorica, Physica e Metaphysica, indichiamo Ethica Nicomachea VI,3
(1139b, 14-16).
92 Ivi, rr. 22-24.
93 Lutero si avvale del termine «principio» con una certa riserva, perché sa
della sua provenienza: principium (quod dicunt) primum (WA, vol. 7, p. 97,28).
Egli si riallaccia a questo concetto contestandolo, così come definisce la fede
opus operum (WA, vol. 5, p. 396,32: excursus De fide et operibus su Sal. 14,1).
L’ultima parola di Lutero: l’«Eneide divina» 27

a priori, ma necessaria a posteriori. Con quest’approccio, egli darà da


pensare anche alle altre scienze94.

11. Ricchezza e povertà

L’interrogativo relativo alla possibilità di generalizzare l’esperienza


della tentazione e del suo superamento, da attendere e da richiedere nuo-
vamente in ogni circostanza, ha dunque in qualche modo trovato una ri-
sposta. Come l’indagine sulla comprensione che Lutero aveva dell’espe-
rienza e della Scrittura, anche questa ricerca ci porta in un campo tal-
mente profondo e largo da sottrarsi a presunte categorie metastoriche
e giustificate in anticipo. L’idea che Lutero ha della teologia è estranea
al pensiero moderno ed entra in conflitto con esso, così come con l’ari-
stotelismo. In maniera specifica, si oppone a una costruzione di storia
universale teologizzata, com’è avversa, nella sua profondità, a un’inter-
pretazione esistenziale.
L’esperienza delle «sacre Scritture», come si evince dall’«ultimo
biglietto» di Lutero, è ecclesiologica in una maniera piuttosto particolare:
«Nessuno pensi di aver gustato a sufficienza le sacre Scritture, se non ha
governato le comunità assieme ai profeti per cento anni». Il numero de-
gli anni non si spiega soltanto in senso iperbolico ma azzecca la realtà:
chi «governa le comunità» vive di storie e testi esistenti prima e anche
dopo il periodo della sua vita individuale. Come l’interpretazione me-
dioevale di Virgilio riscontrava nel testo dell’Eneide una metafora della
vita umana movimentata, caratterizzata da viaggi ed esperienze95, co-
sì Lutero intende le «sacre Scritture» come un’«Eneide divina», ovvero
come il libro di Dio, che conserva esperienze subite e conquistate, in
modo da consentire con esse nuove esperienze da subire e da conqui-
stare. Nella frequentazione di questo inesauribile libro esperienziale si
compie il governo della chiesa e si partecipa alla communio sanctorum,
alla comunione dei peccatori giustificati e di coloro che ricevono con-
solazione nella tentazione. Poiché governare la chiesa «assieme ai pro-
feti» vuol dire, non da ultimo, condividere le loro tentazioni: «I profeti
[...], come Geremia, Giobbe, Davide, Asaf e altri, sono tentati dall’inter-
rogativo se Dio è ingiusto»96.

94 La sfida è dunque di liberare il problema dell’autorità della Scrittura dal


ghetto dei dibattiti interni alla chiesa e alla teologia e di adoperare l’interpreta-
zione della Scrittura come critica della ragione; cfr. O. Bayer, Autorität und Kri-
tik. Zur Hermeneutik und Wissenschaftstheorie, Mohr, Tübingen 1991, pp. 39-58.
95 Cfr. ad es. J. v. Salisbury, Polycraticus VIII,24 (Patrologia latina, a cura di
J.-P. Migne, vol. 199, coll. 816 ss.).
96 Prophetae […] tentantur de iniquitate Dei, ut Hieremias, Hiob, David, As-
saph et alii: WA, vol. 18, 785,9 s. (De servo arbitrio del 1525).
28 OSWALD BAYER

In che senso sia opportuno definire come ecclesiologica l’esperien-


za delle «sacre Scritture» si evince in maniera particolarmente evidente
dalla prefazione di Lutero al salterio del 1528. Secondo lui, il salterio è
la summa di tutta la Bibbia97 e introduce alla communio sanctorum, in
cui consente anche di soffermarsi:

Poiché nella gioia, nell’ansia, nella speranza e nella tristezza ti inse-


gna ad avere lo stesso sentimento e le stesse parole di tutti i santi. In
sintesi, se tu vuoi vedere dipinta la santa chiesa cristiana in un pic-
colo quadro, in colori e profili vividi, prendi in mano il salterio! Co-
sì hai uno specchio buono, chiaro, puro, che ti farà vedere che cosa
sia il cristianesimo. Troverai lì perfino te stesso e il giusto gnōthi se-
auton, e inoltre Dio stesso e tutte le creature98.

Alla luce di questa ricchezza possiamo tranquillamente confessare la


nostra povertà: «Siamo mendicanti. Hoc est verum».

Oswald Bayer
(trad. it. Daniele Garrone e Lothar Vogel)

97 WA. Deutsche Bibel, vol. 10/I, 1950, p. 100,2.


98 Ivi, p. 104,2-9.
Protestantesimo 77, 2022, 29-50

Ispirazione ed ermeneutica della Scrittura


nel pensiero di Ulrich H.J. Körtner

Il teologo riformato Ulrich H.J. Körtner dedica due intere opere1 al-
lo studio dell’ermeneutica della Scrittura, tema che rappresenta uno dei
suoi interessi teologici più spiccati. Alla luce del dialogo che conduce, il
teologo si pone la domanda della ricerca del senso (Sinn) della Scrittu-
ra, riconoscendo pienamente la problematicità di una mera riproposi-
zione odierna di ogni ermeneutica precritica. Tale riconoscimento, co-
me si vedrà, rende impossibile al teologo l’assunzione non problema-
tizzata della categoria di ispirazione elaborata dalle ortodossie prote-
stanti del xvi e xvii secolo. L’intento di Körtner è quello di ridefinire la
prospettiva evangelica circa l’ispirazione della Scrittura mediante cate-
gorie che possano essere proposte con onestà intellettuale entro il di-
battito culturale odierno. Nel suo pensiero, l’ispirazione diventa il con-
cetto-chiave per delineare i tratti di una rinnovata ermeneutica evange-
lica della Scrittura, che rifiuti di trincerarsi dietro alla «transustanzia-
zione» del testo da un lato e di configurarsi unicamente come ricerca
filologica dall’altro, accettando l’inevitabile fallimento di ogni impresa

1 Le opere in questione sono Der inspirierter Leser. Zentrale Aspekte biblischer


Hermeneutik, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1994, dedicata alla riformu-
lazione della categoria teologica di ispirazione, e Theologie des Wortes Gottes.
Positionen, Probleme, Perspektiven, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2001,
nella quale il teologo propone una teologia della Parola di Dio in dialogo sim-
patetico-critico con la filosofia, l’ermeneutica letteraria, la linguistica, la semio-
tica e, naturalmente, la tradizione teologica. Molte delle questioni trattate nelle
due opere sono quindi oggetto di riformulazione nella sua più recente Dogma-
tik, Evangelische Verlagsanstalt, Leipzig 2018.
30 NICOLA MARIANI

ermeneutica, radicalmente determinata dal peccato strutturale. Proprio


attraverso tale fallimento, lungi da perdere senso, l’ermeneutica bibli-
ca si riscopre dono e compito della chiesa (dei lettori ispirati) riunita
attorno alla mensa della Parola. L’impresa ermeneutica riceve, nella ri-
flessione di Körtner, una struttura intimamente kenotica che, nel segno
della croce, muore al peccato strutturale dell’incomprensione e si sco-
pre, nella speranza, destinataria della promessa performativa e genera-
tiva di senso del Dio fedele.

1. L’ispirazione per le ortodossie protestanti

Nel quadro del dibattito confessionale tra protestantesimo e cattoli-


cesimo romano, le ortodossie luterana e riformata del xvi e xvii secolo
insistono, seppur da prospettive parzialmente diverse, sulla infallibilità
della Scrittura e sulla sua autorità, che le pertiene ex sese e non è con-
ferita dalla chiesa. La Scrittura è la Parola di Dio, Egli ne è l’unico au-
tore, di cui gli esseri umani sono amanuenses o librarii2. Tutto ciò che
costituisce la Scrittura, dalle singole affermazioni del testo fino alla vo-
calizzazione dell’originale ebraico veterotestamentario, è direttamente
ispirato da Dio e, di conseguenza, privo di errore. Il rapporto tra testo
biblico e Parola di Dio si avvicina alla totale coincidenza, assumendo i
contorni della dettatura, a opera di Dio, di quanto è scritto3.
Il conflitto ermeneutico tra protestantesimo e cattolicesimo romano
sospinge l’ortodossia protestante, da un lato, a sottolineare massiccia-
mente l’autorità della Scrittura rispetto alla tradizione. Dall’altro, però,
è proprio sulla tradizione (e segnatamente sugli scritti confessionali e
sulle confessioni di fede) che l’ortodossia protestante si concentra per
dispiegare tutto il proprio potenziale argomentativo. Si assiste, dunque,
a un duplice fenomeno che, già avviatosi nel corso del xvi secolo, giun-
ge a piena maturazione in quello seguente. In primo luogo, le categorie
teologiche centrali per i Riformatori, come la dottrina della giustifica-
zione per grazia soltanto e la dottrina dell’elezione, divengono oggetto
di una massiccia rilettura dottrinaria e vengono presentate sempre più
come verità proposizionali4 argomentate con gli strumenti della coeva

2 Più nello specifico, Dio, in quanto autore della Scrittura, ne è definito cau-
sa efficiens principalis, mentre gli autori umani della stessa ne sono causa effi-
ciens instrumentalis (cfr. U.H.J. Körtner, Theologie des Wortes Gottes cit., p. 89).
3 Cfr. F. Ferrario, Dio nella parola, Claudiana, Torino 2008, p. 207.
4 Per «verità proposizionali» intendiamo, seguendo Lindbeck, affermazioni di
fede che intendono esprimere una verità oggettiva immutabile, spesso compresa
mediante categorie ontologiche, trascurando o negando la dimensione dell’evo-
luzione storica della dottrina: «For a propositionalist, if a doctrine is once true,
it is always true, and if it is once false, it is always false. This implies, for exam-
Ispirazione ed ermeneutica della Scrittura 31

filosofia. In secondo luogo, lo sforzo di definire le verità di fede ortodos-


se contro l’eresia produce una ipertrofica sottolineatura della portata te-
ologica della norma normata rispetto alla Scrittura, che pure, in quanto
norma normans, rimane teoricamente investita di un’autorità incompa-
rabilmente superiore a quella degli scritti confessionali. Le ortodossie
protestanti, nel momento in cui si adoperano con zelo per presentare la
verità evangelica minacciata dagli avversari, finiscono paradossalmen-
te per allontanarsi dal respiro teologico dei Riformatori proprio quan-
do intenderebbero garantirne gli esiti. Si assiste, riformulando, a uno
spostamento di enfasi dalla Riforma come movimento teologico-pasto-
rale di interesse cristologico-pneumatologico fondato sulla Scrittura al-
la Riforma come deposito delle verità di fede espresse dalla Scrittura e
inverate negli scritti confessionali con l’ausilio della strumentazione fi-
losofica5. Tale ridistribuzione dei pesi riguarda anche la dottrina dell’i-
spirazione, nell’ambito della quale le ortodossie protestanti concepisco-
no l’autorità della Scrittura in modo marcatamente diverso rispetto, per
esempio, a Lutero6.
A differenza di quanto sostenuto dai Riformatori, la dottrina dell’i-
spirazione classica difesa dalle ortodossie incorre in un deficit cristo-
logico e pneumatologico. La storicità del testo e il suo carattere di pro-
dotto della cultura religiosa umana, ossia, dal punto di vista teologico,
la cifra creaturale della Scrittura, fondamentale per Lutero7, vengono
evacuati. Per converso, si assiste a una «transustanziazione» del testo,
la cui storicità non viene presa sul serio in sede ermeneutica finché es-
so diviene un manufatto divino calato dal cielo al quale lo Spirito santo
non è liberamente vincolato, ma incatenato.
Il deficit è anzitutto cristologico, perché la dottrina dell’ispirazione
classica non legge il rapporto tra Parola e Scrittura secondo le linee di
quello tra la natura umana e la natura divina di Gesù Cristo, bensì nega

ple, that the historic affirmations and denials of transubstantiation can never be
harmonized. Agreement can be reached only if one or both sides abandon their
earlier positions» (G.A. Linbeck, The Nature of Doctrine. Religion and Theology
in a Postliberal Age, Westminster John Knox Press, Louisville 2009).
5 U.H.J. Körtner, Theologie des Wortes Gottes cit., pp. 87-89.
6 «Die Autorität des Wortes Gottes hängt für Luther mit der Wirksamkeit der
Verwandlung zusammen, die sich im Leser ereignet und christologisch interpre-
tiert wird. Unter dem Druck der kontroverstheologischen Situation deutet die alt-
protestantische Theologie jedoch Luthers Affektionslehre zu einer Merkmalsleh-
re um, was die Auflösung des inneren Zusammenhangs von Autorität und Wir-
ksamkeit zur Folge hat» (U.H.J. Körtner, Theologie des Wortes Gottes cit., p. 89).
7 «Dio e la Scrittura sono due cose distinte, proprio come due cose distin-
te sono il Creatore e la creatura di Dio» (M. Lutero, Il servo arbitrio. Risposta a
Erasmo, «Opere scelte» 6, ed. it. a cura di F. De Michelis Pintacuda, Claudiana,
Torino 1993, p. 84).
32 NICOLA MARIANI

la dimensione creaturale della Bibbia proprio come il docetismo nega


la natura (veramente) umana di Gesù Cristo.
Allo stesso tempo, il deficit è pneumatologico, perché la dottrina in
esame non permette di valorizzare la sovrana libertà dello Spirito san-
to8 e non presenta l’accadere della Parola di Dio come dinamica di pro-
messa e dono, bensì concepisce tale Parola come grandezza intrappo-
lata nelle pagine della Scrittura e sempre disponibile. È questa costante
disponibilità del dato (!) biblico cercata dalla dottrina dell’ispirazione
classica a illustrare, secondo K. Barth, il carattere secolarizzante, piut-
tosto che spiritualista, dell’ermeneutica biblica ortodossa9.
L’intenzione delle ortodossie protestanti, risalente ai Riformatori, è
certamente contrastare il sequestro clericale dell’interpretazione biblica
che viene rimproverato al cattolicesimo romano. Si può tuttavia osser-
vare che, a ben vedere, l’insistenza ortodossa sull’autorità che la Bibbia
detiene ex sese si colloca in un rapporto di analogia con la comprensione
cattolico-romana del magistero papale espressa eminentemente dal Con-
cilio Vaticano I10. In entrambi i casi, la strategia intrapresa sottrae del
tutto l’ultima istanza in materia di fede alla dimensione della storicità11.
Contro le ortodossie protestanti, però, alla critica teologica si aggiun-
ge la critica di ordine storico-filologico. A partire dal xviii secolo, e se-
gnatamente dopo l’affermarsi del paradigma di plausibilità introdotto
dall’Illuminismo, non è più possibile ignorare le implicazioni ermeneu-
tiche della profonda e radicale storicità della Scrittura12. Di conseguen-
za, la Bibbia non è più concepibile come un libro privo di errori per-
ché garantito dall’autorità di Dio e le sue affermazioni non possono più
essere arbitrariamente sottratte alla verifica. Inoltre, l’applicazione del
metodo storico-critico alla esegesi biblica, sviluppatasi nel contesto del
neoprotestantesimo, rende impossibile considerare la Bibbia un unico
libro in sé materialmente unitario e formalmente coerente. Ancora più
radicalmente, non solo la coerenza dell’insieme, ma anche l’unitarietà e
la coesione dei singoli libri biblici paiono ormai criticamente insosteni-
bili13. Il paradigma neoprotestante, che si sviluppa gradualmente a par-
tire dalla riflessione di Semler e culmina nella teologia di Schleierma-

8
Cfr. Giov. 3,1-21.
9
Cfr. F. Ferrario, op. cit., p. 208.
10 Ivi, p. 204.
11 Nella stessa direzione vanno anche le proposte provenienti dall’universo
evangelical, cfr. F. Ferrario, op. cit., pp. 208-209.
12 Cfr. U.H.J. Körtner, Theologie des Wortes Gottes cit., pp. 302-315.
13 «Aufklärung und historische Kritik haben nicht nur die theoretischen
Voraussetzungen reformatorischer Schriftauslegung, sondern den Begriff der
Schrift als solchen, der ein dogmatisch-normativer ist, in Frage gestellt» (Id.,
Dogmatik cit., p. 533).
Ispirazione ed ermeneutica della Scrittura 33

cher14, è identificato dallo spostamento del fulcro teologico della teolo-


gia dogmatica da Dio alla coscienza religiosa dell’essere umano credente.
Per quanto riguarda l’ispirazione della Scrittura, il neoprotestante-
simo sottolinea che il richiamo all’autorità biblica non può, in sé, co-
stituire la base della fede; al contrario, è soltanto in un contesto già de-
terminato dalla fede che l’autorità della Scrittura può essere accolta15.
Alla luce di tutto ciò, la dottrina dell’ispirazione classica richiede-
rebbe, per essere sostenuta oggi nella sua forma originale, niente meno
che il sacrificio dell’onestà intellettuale. Allo stesso tempo, anche altre
imprese ermeneutiche, come quella harnackiano-liberale d’ispirazione
neoprotestante, si rivelano problematiche. Non solo la Bibbia non è un
manufatto divino disceso dal cielo e codificato da calami viventes, ma
essa non contiene nemmeno un presunto nucleo di verità astoriche fon-
damentali accessibili alla ragione filosofica, le quali dovrebbero e po-
trebbero essere distinte, mediante distillazione, dall’incrostatura dog-
matica sopraggiunta nella storia del cristianesimo16. Sostenere una si-
mile tesi, infatti, implica fare propria la convinzione che il testo bibli-
co costituisca un insieme coerente e unitario di testi la cui intenzione si
esprimerebbe in un orientamento teologico fondamentalmente costan-
te che, a sua volta, sarebbe esprimibile sotto forma di proposizioni ra-
zionali universalmente condivisibili.
L’accantonamento della dottrina dell’ispirazione classica, che aveva
condotto la teologia di matrice neoprotestante, nel corso di due secoli,
alle posizioni liberali espresse da Harnack, può essere compreso in tut-
ta la sua portata se si considera la radicalità delle questioni che esso im-
plica. Come si può difendere il principio Sola Scriptura se non sappia-
mo nemmeno più con certezza che cosa si intenda per «Scrittura», da-
to che lo stesso concetto di un insieme di scritti intimamente unitario e
coerente non può più essere applicato alla Bibbia? In che rapporto stan-
no la Parola di Dio e la Scrittura, se non si può presumere né una coin-
cidenza tra le due grandezze, né l’instaurarsi tra di esse di un rapporto
analogo a quello intercorrente tra nucleo e scorza? Come comprende-
re e come fondare l’autorità della Scrittura senza ricorrere all’autorità
della chiesa, una volta accantonata la dottrina dell’ispirazione classica

14 Id., Theologie des Wortes Gottes cit., p. 91.


15 È interessante che, su questo punto, il contributo neoprotestante persi-
ste anche in quelle prospettive teologiche (tra cui quella alla quale Körtner è
più vicino) che lo ricevono criticamente. La tesi secondo cui ha senso parlare
di autorità della Scrittura soltanto in un contesto già determinato dalla fede
è centrale, pur in una marcata differenza di comprensione dei termini, nella
teologia della Parola (cfr. U.H.J. Körtner, Theologie des Wortes Gottes cit., p. 93).
16 Per una presentazione dettagliata della posizione harnackiana, contrap-
posta a quella barthiana, cfr. J. Moltmann (a cura di), Le origini della teologia
dialettica, tr. it. Queriniana, Brescia 1976.
34 NICOLA MARIANI

e riconosciuta l’impraticabilità di un approccio che coniughi filologia e


filosofia con lo scopo di mettere in luce una presunta verità atemporale
soggiacente al testo? Ancora più radicalmente: che ne è della categoria
di «Parola di Dio», una volta affermata la radicale e completa umanità
delle Scritture ed (eventualmente) esclusa una comprensione di detta
categoria che la veda coincidente con la coscienza religiosa dell’essere
umano credente?

2. La proposta di Körtner: il «lettore ispirato»

L’impossibilità di riproporre la dottrina dell’ispirazione classica nel


contesto odierno conduce Körtner a chiedersi come sia possibile, per
la teologia evangelica, fondare l’autorità della Scrittura e articolare re-
sponsabilmente la relazione tra testo biblico e Parola di Dio senza igno-
rare la problematicità della dottrina tradizionale e le acquisizioni degli
ultimi secoli. Più nello specifico, Körtner studia la questione dialogan-
do con la semiotica e con l’ermeneutica letteraria, approdando a risul-
tati che coincidono con possibili risposte alle domande che concludo-
no il precedente paragrafo.
Distanziandosi dalle teorie testuali fondate su una estetica della pro-
duzione, secondo le quali il senso (Sinn) di un testo coincide con l’in-
tenzione dell’autore, Körtner integra le prospettive di una estetica della
ricezione17, le quali sottolineano il ruolo attivo rivestito dal lettore nella
costituzione del senso del testo. Dal punto di vista letterario, una simile
prospettiva va nella direzione percorsa, tra gli altri, da U. Eco, secondo
il quale il testo richiede la partecipazione attiva del lettore quale condi-
zione per la propria attualizzazione, nella misura in cui per «testo» si in-
tende un prodotto la cui interpretazione ne costituisce una componente
essenziale18. Il testo, di conseguenza, non si attualizza nel mero mate-
riale scritto, bensì nell’interpretazione fornita dal lettore. L’essenza del
testo non è nelle pagine che lo contengono, ma nell’incontro tra il ma-
teriale scritto e la ricezione che il lettore ne fa. Da ciò, argomenta Eco,

17Nello specifico, la prospettiva che Körtner, seguendo Eco, definisce «ri-


cettiva» intende riconoscere e superare la problematicità di un’impresa erme-
neutica centrata in modo univoco sulla categoria della intentio auctoris e sotto-
lineare con forza il ruolo costitutivo della ricezione operata dal lettore in ordi-
ne all’attualizzarsi del senso del testo.
18 U. Eco, Lector in fabula, die Mitarbeit der Interpretation in erzählenden
Texten, tr. ted. DTV, München 1987, p. 65, cit. in: U.H.J. Körtner, Dogmatik cit.,
p. 542: «So schreibt beispielsweise Umberto Eco, der Text fordere „die Mitarbeit
des Lesers als wesentliche Bedingung seiner Aktualisierung“, weil er „ein Pro-
dukt ist, dessen Interpretation Bestandteil des eigentlichen Mechanismus sei-
ner Erzeugung sein muß».
Ispirazione ed ermeneutica della Scrittura 35

consegue che un testo rimane costitutivamente incompleto nella misura


in cui esso è costantemente attualizzabile nella ricezione del lettore19.
Il ruolo costitutivo del lettore per l’attualizzazione del testo relativizza
l’assolutezza criteriologica dell’intentio auctoris20, pur senza evacuarla
del tutto. Uno spostamento unilaterale del criterio ermeneutico dalla in-
tentio auctoris alla intentio lectoris, cifra distintiva di un’ermeneutica let-
teraria decostruttivista21, non rappresenta tuttavia una valida alternati-
va, poiché interpreta astrattamente l’autonomia del testo nei confronti
dell’autore, rendendo il primo completamente indipendente dal secon-
do. La lettura proposta da Körtner è invece solidale con la prospettiva
di Eco, il quale impiega la categoria della intentio operis per porre in
tensione dialettica l’autore e il lettore, distinguendo tra le due grandez-
ze senza mai separarle22. La categoria della intentio operis permette di
valorizzare sia la necessaria pluralità delle interpretazioni di un testo,
sia la effettiva verificabilità delle stesse. Per meglio dire, la intentio ope-
ris assume valore criteriologico nei confronti delle interpretazioni del
testo, poiché essa crea un campo di tensione all’interno del quale la le-
gittima libertà delle interpretazioni è mantenuta nella sua produttività,
per via negativa, mediante l’esclusione di tutte quelle interpretazioni che
contraddicono il senso del testo, impendendone dunque l’attualizzazio-
ne. Visto che, come indicato sopra, l’attualizzazione del testo ne costi-
tuisce la genesi e il senso, la categoria della intentio operis permette di
reperire un criterio che denunci come in-sensate le interpretazioni che
si collocano al di fuori del campo di tensione costituito nell’incontro di
autore, testo23 e lettore24.
Dal punto di vista teologico, la prospettiva di Körtner, messo a frut-
to il dialogo con l’ermeneutica letteraria, inquadra la comprensione
evangelica della Scrittura in un orizzonte marcatamente cristologico e
pneumatologico. La incompletezza costitutiva di un testo è legata al suo

19 U. Eco, op. cit., p. 65, cit. in: U.H.J. Körtner, Dogmatik cit., p. 542.
20 Nell’ambito dell’ermeneutica biblica, la forte sottolineatura del sensus lite-
ralis si fonda tradizionalmente proprio sulla valorizzazione della categoria del-
la intentio auctoris come criterio ermeneutico fondamentale per la compren-
sione del significato (Bedeutung) di un testo (cfr. U.H.J. Körtner, Der inspirier-
ter Leser cit., p. 89).
21 Cfr. ivi, pp. 88-90.
22 Cfr. Id., Dogmatik cit., pp. 542-543.
23 Qui nel senso restrittivo di «materiale scritto».
24 «Die Kategorie des intentio operis hypostasiert den Text nicht als eigen-
ständiges Subjekt. Wenn einem Text eine Intention unterstellt wird, besagt das
zunächst nur, dass er zwar vieldeutig ist, aber dennoch nicht alles Mögliche be-
deuten kann. Will man dem Text und seiner Grammatik nicht Gewalt antun, las-
sen sich bestimmte Interpretationen als wenig überzeugend oder als abwegige
Überinterpretationen zurückweisen» (U.H.J. Körtner, Dogmatik cit., p. 542).
36 NICOLA MARIANI

permanere attualizzabile, cui abbiamo accennato sopra. Essa pone un


problema non secondario alla ermeneutica evangelica della Scrittura:
se il lettore è parte costitutiva dell’attualizzazione del testo, il cui senso
non può prescindere dal momento della ricezione operata da moltepli-
ci lettori, come evitare di giungere alla conclusione sinergistica secon-
do cui il lettore costituisce il testo? Si può parlare di sola Scriptura se il
testo biblico non è attualizzato nel materiale scritto, bensì nella ricezio-
ne operata dal lettore?
A queste domande si può rispondere, seguendo Körtner25, mediante
un ragionamento fondato cristologicamente e pneumatologicamente. In
sede cristologica, possiamo prendere in prestito una categoria centrale
della teologia di P. Tillich26. Secondo quest’ultimo, il Nuovo Testamen-
to, nel suo rendere testimonianza all’evento cristologico, non si limita
a registrarlo, bensì ne costituisce una parte27. Tillich introduce una im-
portante distinzione: il Nuovo Testamento rappresenta (repräsentiert) l’a-
spetto ricettivo (die aufnehmende Seite) dell’evento cristologico, mentre
ne testimonia (bezeugt) l’aspetto fattuale (die faktische Seite)28. L’aspetto
ricettivo, che il teologo esprime mediante il campo semantico aperto dal
verbo aufnehmen, indica l’accogliere dell’evento cristologico qualificato
dal suo divenire testimonianza della fede. Per questo motivo, quanto va-
le per il testo del Nuovo Testamento vale anche per i suoi lettori odier-
ni, che si lasciano coinvolgere, nello spazio della fede cui il testo punta,
dalla medesima dinamica ricettiva.
Conseguentemente, l’apporto di un’ermeneutica letteraria della ri-
cezione deve essere integrato criticamente in sede teologica. Mentre si
può affermare che i lettori del testo biblico sono in grado di compren-
derne il significato (Bedeutung) indipendentemente dal loro collocar-
si o meno nella dinamica ricettiva illustrata da Tillich, non si può dire
che i lettori ricettivi del testo biblico costituiscono il suo senso (Sinn),
perché, una volta collocati nella dimensione ricettiva, essi comprendo-
no il testo nello spazio della fede nella quale e per la quale il materia-
le scritto del Nuovo Testamento è stato prodotto29. Il senso del testo
biblico, secondo questa prospettiva, si attualizza nel e con il lettore, le
cui interpretazioni sono suscitate e garantite dalla dinamica ricettiva

25 Ivi, pp. 542-544.


26 Per una presentazione più ampia degli aspetti cristologici che prenderemo
in esame ai fini del nostro studio, cfr. ivi, pp. 418-428. Per approfondire la cristo-
logia di Tillich, cfr. P. Tillich, Systematische Theologie II, de Gruyter, Stuttgart
1977. Va nello stesso senso la prospettiva espressa da M. Kähler, cfr. M. Kähler,
Der sogenannte historische Jesus und der geschichtliche, biblische Christus, Ernst
Wolf (TB 2), München 1969.
27 Cfr. P. Tillich, op. cit., p. 128.
28 Cfr. U.H.J. Körtner, Dogmatik cit., pp. 543-544.
29 Cfr. Rom. 1,17.
Ispirazione ed ermeneutica della Scrittura 37

sprigionata dalla fede nell’evento cristologico. Le interpretazioni legit-


time del testo biblico, dal punto di vista della intentio operis, sono dun-
que tutte quelle che si collocano all’interno della ricettività nei confron-
ti dell’evento cristologico.
In sede pneumatologica, possiamo ora completare il ragionamento,
traendo le conseguenze di quanto finora mostrato. Se il senso del testo
biblico, come abbiamo appena visto, si attualizza nella ricezione del let-
tore qualificata dalla fede nell’evento cristologico, allora esso sta o ca-
de con una dottrina dell’ispirazione orientata pneumatologicamente. È
infatti lo Spirito santo che abilita la possibilità della ricezione del testo
nella fede e quindi ne dischiude il senso (Sinn), quantunque il signifi-
cato (Bedeutung) del materiale scritto sia in sé e per sé, come abbiamo
visto, accessibile indipendentemente dalla fede. Il senso del testo, come
illustrato sopra, si dà nel suo attualizzarsi nel e con il lettore, tanto che
quest’ultimo diventa parte ricettiva dell’evento cristologico testimoniato
dal testo, di cui il materiale scritto è segno (Sinnspur)30. Il lettore ricet-
tivo è dunque concepibile, in un orizzonte pneumatologico, quale letto-
re ispirato (inspirierter Leser). Egli, inserito nella dinamica ricettiva del-
la fede, legge e comprende la Scrittura nel suo vero senso, che si rende
disponibile per opera dello Spirito santo ogni volta che il testo, attua-
lizzato nella tensione tra il materiale scritto, il suo autore e il lettore, di-
venta segno efficace dell’evento cristologico.
La prospettiva di Körtner qui presentata interpreta la Scrittura come
medium salutis (Heilsmittel). La Parola di Dio, ossia Gesù Cristo stesso,
è offerta come promessa dallo Spirito santo al lettore nello spazio della
fede. L’accoglienza credente della testimonianza della Scrittura attua-
lizza il senso del testo e riproduce fedelmente la intentio operis nella mi-
sura in cui interpreta l’evento cristologico secondo la sua verità. Se pe-
rò, come discusso sopra, il lettore è parte dell’evento cristologico stesso,
allora è egli stesso nuovamente creato nell’attualizzarsi del testo. Que-
sta nuova creazione del lettore deve essere naturalmente compresa in
orizzonte pneumatologico31. Essa indica che, quando il testo biblico si

30 «Das Verstehen des biblischen Textes ist nicht die Leistung des Lesers, son-
dern ein sich zwischen Text und Leser abspielendes Geschehen, in welchem der
Text als tote Sinnspur des Geistes zu neuem Leben erweckt wird und zugleich
den Leser erfasst, der seinerseits zu einem neuen Verständnis seiner Existenz
gelangt» (U.H.J. Körtner, Dogmatik cit., p. 544).
31 Essa può essere illustrata, se vogliamo, osservando la dinamica tra perfor-
matività del sacramento e momento responsoriale della persona credente. La Pa-
rola di Dio, comunicata efficacemente nel sacramento, realizza ciò che predica
(il perdono dei peccati) e abilita alla risposta credente (nella libertà aperta dal
comandamento). Essa non è da comprendersi primariamente in senso noetico,
come informazione, bensì secondo le categorie dell’atto linguistico performati-
vo, che crea la realtà predicata nel momento in cui la predica (cfr., ad esempio,
38 NICOLA MARIANI

attualizza nella potenza dello Spirito santo, il lettore che lo comprende


perviene a una nuova comprensione di sé strettamente determinata dal-
la Parola di Dio e imponentesi al lettore stesso nel campo di possibilità
spalancato dalla ricezione credente del senso del testo. In questo senso,
con Körtner, è possibile mantenere l’intenzione profonda del Sola Scrip-
tura protestante, affermando la sufficienza soteriologica della Scrittu-
ra nel quadro della dottrina del lettore ispirato32. Da tutto ciò consegue
che lo Spirito santo rappresenta il fossato invalicabile, dunque anche
l’unico ponte possibile, tra il senso della Scrittura e il suo significato.
La dottrina del lettore ispirato può essere riformulata come segue:
il senso del testo biblico si attualizza quale sensus litteralis del materia-
le scritto ogni volta che, secondo la promessa di Dio e nella potenza del
suo Spirito, il lettore ispirato viene costituito nuova creatura dall’evento
cristologico a cui la Scrittura rende testimonianza e in esso performati-
vamente inserito. L’autorità e normatività della Scrittura, così come la
sua sufficienza salvifica e il suo carattere di testo ispirato, devono essere
compresi entro il campo di tensione nel quale figurano la pluralità delle
interpretazioni concordi con il senso del testo (intentio lectoris), il ma-
teriale scritto della Bibbia (radicalmente umano e storico), l’intenzione
degli autori biblici (intentio auctoris) e la fede apostolica (comune agli
autori e ai lettori ricettivi)33, la quale testimonia e annuncia sempre di
nuovo come possibilità futura quella, già realizzatasi, dell’accoglimento
credente dell’evento cristologico comunicato nel kerygma (intentio operis).
La comunità riunita dei lettori e lettrici ispirati, nei quali e con i
quali lo Spirito santo attualizza il vero senso della Scrittura, costituisce
la chiesa qualificata come comunità interpretante la Scrittura (Ausle-
gungsgemeinschaft). Nella misura in cui essi sono coloro che lo Spirito
santo pone nella dinamica ricettiva della fede, tali lettori e lettrici, all’in-
terno di tale dinamica, diventano chiesa.
Il lettore ispirato, nel suo diventare chiesa, partecipa alla medesima
dinamica di ricezione e testimonianza della Parola di Dio che fonda la
chiesa stessa e la interpella nella tensione tra i due poli del dono e del
compito. Egli, cioè, è coinvolto nella doppia mediazione34 dell’even-

E. Jüngel, Il vangelo della giustificazione come centro della fede cristiana, Que-
riniana, Brescia 2000, pp. 201-215).
32 «Für das soteriologische Problem der Suffizienz der Schrift folgt aus die-
sen Überlegungen, dass die biblischen Texte zwar in gewissem Sinne durchaus
unvollständig sind, sich aber selbst den Leser schaffen, dessen sie zu ihrer Ver-
vollständigung bedürfen» (U.H.J. Körtner, Dogmatik cit. p. 544).
33 Nel senso esplicitato sopra e descritto dalla categoria tillichiana dell’Aufnahme.
34 Parliamo qui, riferendoci alla predicazione, di «doppia mediazione» per-
ché già la Scrittura, su cui la predicazione si basa, non è da intendersi, come già
visto, quale Parola di Dio in senso immediato, bensì mediato. Si tratta quindi di
una mediazione su due livelli, di cui il primo è indice della non sovrapponibili-
Ispirazione ed ermeneutica della Scrittura 39

to cristologico operata nella chiesa come peccatore ricevente la Parola


(dimensione del dono) e come nuovo essere umano chiamato ad agire
molteplici nuove interpretazioni della Scrittura (dimensione del com-
pito), le quali, nel segno della promessa, possono diventare a loro volta
Parola di Dio secondo la stessa dinamica. Il diventare chiesa del lettore
ispirato è separabile dalla sua esistenza individuale soltanto in sede te-
orica, per così dire in astratto, ma non concretamente. Nell’istante stes-
so in cui il lettore è ricreato come «ispirato» in quanto riceve il senso
della Scrittura entro la fede, egli è, con ciò stesso, costituito parte del-
la chiesa in forma immediata, ossia coinvolto nel divenire chiesa degli
altri lettori e lettrici ispirati35. Ciò accade nell’atto dell’udire36 ed esem-
plifica la comunicazione dell’evento cristologico entro la comunità in-
terpretante. Tale comunicazione rimane dono e compito tanto per chi
esercita l’interpretazione biblica pronunciando la predicazione o cele-
brando il sacramento quale ministro di culto37, quanto per chi la svi-
luppa ascoltando il sermone o celebrando come membro della comuni-
tà riunita senza esplicito incarico ministeriale38.
In conclusione, quanto già detto circa l’interpretazione della Scrit-
tura in senso stretto vale anche per la predicazione e per la celebrazio-
ne dei sacramenti quali forme di esercizio di tale interpretazione all’in-
terno della chiesa. Anche in questo caso, si tratta di valorizzare il con-
tributo di una estetica della ricezione rispetto al tradizionale approccio
estetico-produttivo39.
Barthes ed Eco utilizzano la categoria «morte dell’autore»40 per espri-
mere che quest’ultimo, nell’atto stesso dello scrivere, consegna al pro-
prio testo un’autonomia radicale, relativizzando in sede ermeneutica la
portata vincolante della intentio auctoris.
Applicata alla predicazione ecclesiale, la categoria di «morte dell’au-
tore» implica che il compito del predicatore o predicatrice non consi-
ste primariamente nella ricostruzione della intentio auctoris, come se la
persona che predica puntasse a una identificazione diretta e totale con

tà tra Parola di Dio e Scrittura e il secondo della ulteriore distanza tra Parola di
Dio e predicazione (cfr. U.H.J. Körtner, Dogmatik cit., p. 545).
35 Cfr. Rom. 1,17.
36 «Zum Wort Gottes wird die Predigt nicht schon allein im Akt des Redens,
sondern erst im Akt des Hörens» (U.H.J. Körtner, Dogmatik cit., p. 546).
37 Anche questa è da comprendersi come distinzione valida solo in sede te-
orica, dato che, a rigore, è la comunità intera, e non il solo ministro, a celebra-
re il culto.
38 Cfr. U.H.J. Körtner, Dogmatik cit., pp. 545-547.
39 Ivi, p. 546.
40 R. Barthes, La mort de l’auteur, in: Le bruissement de la langue, Seuil, Pa-
ris 1984, pp. 61-67. U. Eco, Nachschrift zum Namen der Rose, tr. ted., DTV, Mün-
chen 1986, p. 14.
40 NICOLA MARIANI

l’autore del materiale scritto della Bibbia41. Al contrario, il predicato-


re o predicatrice, in quanto predica, è anzitutto lettore o lettrice ispira-
to della Scrittura, che l’accoglimento dell’evento cristologico determina
quale nuova creatura (momento del dono) e chiama a farsi a sua volta
autore o autrice, ovvero cassa di risonanza per ulteriori interpretazioni
della Scrittura (momento del compito)42. Tali interpretazioni nascono
nell’evento della predicazione e ne dipendono strettamente. Quale pa-
rola predicata sulla base della Scrittura letta, tale evento viene a mori-
re con la conclusione del sermone; quale parola ascoltata da fede a fe-
de43 e promessa ai lettori ricettivi, la predicazione è destata a nuova vi-
ta entro la comunità interpretante. È in questa dinamica, attivata dallo
Spirito santo, che le molteplici interpretazioni della Scrittura conformi
al suo senso (Sinn), chiamate alla vita entro la comunità interpretante,
ridicono efficacemente l’evento cristologico44 e costituiscono ulteriori
testi autonomi fedeli a tale evento, ovvero occasioni per la sua ulterio-
re performatività storica45. Non solo la predicazione pronunciata dun-
que, ma anche (ed eminentemente) la predicazione udita è segno effi-
cace della Parola di Dio.

3. Il canone come luogo dello straniamento rispetto all’evento


cristologico

Secondo Körtner, lo specifico apporto che una ermeneutica estetica


può fornire all’interpretazione biblica consiste, come abbiamo visto so-

41 Cfr. U.H.J. Körtner, Dogmatik cit., pp. 546-547.


42 «Die Predigt ist aber nicht nur ein gegenüber dem biblischen Text und sei-
nem Autor eigenständiger Text, sondern sie gewinnt im Akt des Predigens und
Hörens Autonomie gegenüber ihrem Autor, dem Prediger» (ivi, p. 547).
43 Cfr. Rom 1,17.
44 Tutto ciò ha implicazioni notevoli sulla comprensione evangelica del sa-
cerdozio universale e sul ruolo della chiesa quale comunità interpretante circa la
ricezione performativa della predicazione. Cfr: «Nicht nur der Prediger, sondern
auch der Hörer als Medium des Wortes Gottes begriffen werden muss. Die Kom-
petenz einer Gottesdienstgemeinde darf also nicht auf die Fähigkeit zur Beurtei-
lung der Lehre beschränkt werden. […] Sie erstreckt sich auch auf die Tätigkeit
der Gemeinde, sich im buchstäblichen Sinne eigene Verse auf die Predigt zu ma-
chen, die wiederum zu hundert Prozent vom Evangelium und zu hundert Pro-
zent von ihrer Situation motiviert sind» (U.H.J. Körtner, Dogmatik cit. p. 547).
45 «Die Predigt ist also nicht die Wiederholung des biblischen Textes, son-
dern ein diesem gegenüber neuer Text, zwar ein vom biblischen Text provozier-
ter und inspirierter, jedoch ein eigenständiger Text. Der biblische Text ist ein im
Akt des Lesens gewissermaßen zum Schwingen gebrachter Resonanzboden, der
nun im Leser neue Töne hervorbringt, die wiederum in der Predigt zum Klin-
gen gebracht werden» (ivi, p. 547).
Ispirazione ed ermeneutica della Scrittura 41

pra, nell’assunzione della categoria del lettore, a fianco dell’autore, co-


me elemento costitutivo dell’atto ermeneutico. Tale integrazione non è
senza conseguenze, in quanto determina la conquista di una certa au-
tonomia del testo rispetto all’autore46, che l’insistenza sul primo come
artefatto materiale induce a interpretare negativamente47 attraverso la
categoria di «morte dell’autore». Positivamente parlando, invece, l’au-
tonomia del testo significa la sua moltiplicabilità attraverso le interpre-
tazioni fornite dai lettori, i quali sono parte delle condizioni di produ-
zione (Produktionsbedinungen)48 del testo stesso, ovvero di quel proces-
so che, visto dal punto di guardatura del suo risultato, ho chiamato at-
tualizzazione.
Dalla morte dell’autore, interpretata negativamente e positivamente,
consegue che l’applicazione della ermeneutica estetica allo studio del-
la Bibbia condotto con il metodo storico-critico non può essere intesa
né semplicemente quale correzione dei limiti dell’approccio filologico
classico, né quale esercizio limitato all’analisi testuale49. Entro tale er-
meneutica, infatti, il lettore cessa di rivestire un ruolo meramente pas-
sivo nei confronti del senso del testo, nella misura in cui ne diventa un
luogo di ri-produzione50.
Le implicazioni decostruttive della categoria «morte dell’autore», cui
ho già accennato sopra, sono messe eminentemente in luce dal giudi-
zio negativo formulato da F.C. Overbeck nei confronti di una ermeneu-
tica filologica51.
La tesi di Overbeck, che si occupa delle origini del cristianesimo, è la
seguente: ogni storia della letteratura (Literaturgeschichte) protocristiana
è necessariamente critica delle forme (Formengeschichte, al plurale)52.
Prima di procedere con l’esposizione dell’apporto di Overbeck al pen-
siero di Körtner, è necessario introdurre una precisazione: quando, qui
di seguito, si parlerà di «critica delle forme», il termine sarà impiegato
nel senso ampio utilizzato da Overbeck. Egli, con ciò, non intende, tra-
dizionalmente, lo studio delle unità testuali minime identificabili nei

46 U.H.J. Körtner, Der inspirierter Leser cit., p. 118.


47 Ossia in senso decostruttivo.
48 Ibid.
49 Ivi, p. 120.
50 «Der Leser ist aber nicht, wie die herkömmliche Linguistik unterstellt, le-
diglich ein Beobachter, da nämlich der Sinn eines Textes keineswegs eine seiner
Struktur rein immanente Erscheinung ist. Nach rezeptionsästhetischer Auffas-
sung ist es vielmehr der Leser, welcher den Sinn eines Textes im Akt des Lesens
schöpferisch hervorbringt» (Ibid.).
51 Per approfondire la critica di Overbeck, cfr. F.C. Overbeck, Über die Anfänge
der patristischen Literatur, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1966.
52 U.H.J. Körtner, Der inspirierter Leser cit., p. 123.
42 NICOLA MARIANI

testi e/o nella tradizione orale contestuale alla loro comparsa53, bensì
quello dei macrogeneri (Großformen) del Nuovo Testamento e degli altri
scritti protocristiani54. Invece, per «storia della letteratura» (Literatur-
geschichte), Overbeck intende lo studio dei testi protocristiani non com-
presi nel canone neotestamentario, eminentemente quelli patristici55.
Di conseguenza, l’ampia critica mossa da Overbeck alla possibilità
di fondare l’ermeneutica biblica sulla «critica delle forme» (Formenge-
schichte) deve essere estesa a tutti quegli approcci che, adottando una
ermeneutica filologica, ricercano sempre nuovi testi dietro il testo ca-
nonico, nella convinzione di poter risolvere il problema ermeneutico ri-
salendo a un presunto testo originario sul quale svolgere l’interpretazio-
ne. Nella prospettiva di Overbeck, il testo canonico così come ci è con-
segnato costituisce l’unico oggetto della impresa ermeneutica56. Lo stu-
dioso comprende il problema dell’interpretazione biblica in una forma
assolutamente radicale: esso non può essere risolto attraverso un lavoro
scientifico condotto sul testo, poiché si colloca a un livello più profon-
do, che, come si vedrà immediatamente, ha a che fare direttamente con
l’essenza stessa del cristianesimo quale fenomeno storico.
Alla luce di quanto precede, la tesi centrale di Overbeck può essere
ora riformulata come segue: ogni letteratura protocristiana esterna al
canone neotestamentario è necessariamente una critica dei macrogene-
ri dei testi canonici. A riprova della plausibilità della presente riformu-
lazione57, vale il fatto che Overbeck definisce gli scritti canonici neote-
stamentari come illetterarî (Nicht-Literatur)58. Il Nuovo Testamento, se-
condo lo studioso, pertiene alla protostoria (Urgeschichte) del cristiane-
simo, ossia è manifestazione del fenomeno cristiano nella sua fase sto-
rica immediatamente fondativa e generativa di senso. Di conseguenza,

53 Tale è invece la comprensione di «critica delle forme» (Formgeschichte)


divenuta tradizionale negli studî esegetici. Essa, successiva a Overbeck, indica
la prospettiva esegetica storico-critica sviluppata, nel quadro degli studi neote-
stamentari, da Dibelius, Schmidt e Bultmann (per approfondire, cfr. M. Dibe-
lius, Die Formgeschichte des Evangeliums, Evangelische Verlangsanstalt, Berlin
1969 (prima edizione: 1919);, K.L. Schmidt, Die Stellung der Evangelien in der
allgemeinen Literaturgeschichte (prima edizione: 1923), in: F. Hahn, Zur Formge-
schichte des Evangeliums, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1985,
pp. 126-228; R. Bultmann, Die Geschichte der synoptischen Tradition, Vanden-
hoeck & Ruprecht, Göttingen 1995 (prima edizione: 1921)).
54 Ibid.
55 Ibid.
56 U.H.J. Körtner, Der inspirierter Leser cit., p. 132.
57 La quale, del resto, lascia già intuire la radicalità delle implicazioni della
tesi di Overbeck nei confronti di una esegesi biblica informata a una ermeneu-
tica filologica in senso stretto.
58 Cfr. U.H.J. Körtner, Der inspirierter Leser cit., p. 124.
Ispirazione ed ermeneutica della Scrittura 43

la possibilità di una ricostruzione metodica della composizione dei testi


decisiva in ordine alla esegesi degli stessi è del tutto esclusa59. Dato che
i testi canonici, nella loro forma definitiva consegnata dalla tradizione,
sono, come già detto, testimonianza scritta della protostoria del cristia-
nesimo, essi ne rappresentano altresì, secondo Overbeck, la conclusione
definitiva e irreversibile. Per sostenere ciò, egli si sforza di mostrare, at-
traverso la comparazione del Nuovo Testamento con la lettura patristi-
ca, come tra l’uno e l’altra non vi sia, a suo dire, continuità. Impiegan-
do la terminologia estetico-ricettiva, si può dire che, secondo Overbeck,
il canone neotestamentario rappresenta la «morte dell’autore» dei testi
fondativi e produttivi di senso del cristianesimo, in quanto fotografa,
nelle sue forme letterarie (Formengeschichte), il narrare della testimo-
nianza cristiana originaria, intesa come protostoria (Urgeschichte) che
si esaurisce nel pervenire a tacere del materiale scritto.
Applicata al Nuovo Testamento, la categoria «morte dell’autore» è
eminentemente rappresentata dalla canonizzazione come atto e come
prodotto e implica il tramonto definitivo e irreversibile delle condizio-
ni di comprensibilità della protostoria cristiana, la cui vitalità si consu-
ma nella produzione degli scritti canonici e va dissipandosi con la loro
fissazione ultima60. Tale fissazione ultima dei testi segnala, per Over-
beck, l’imbarazzo della comunità protocristiana, portata a confrontarsi
con l’impossibilità di accedere spontaneamente, ossia senza consapevo-
le lavoro di mediazione ermeneutica, al contenuto (Sache) del fenomeno
protostorico cristiano. Se a ciò si aggiunge che, per Overbeck, tale con-
tenuto della protostoria cristiana61 è identico alla essenza del cristiane-
simo tout court, ne consegue che la canonizzazione degli scritti neote-
stamentari, segnando la conclusione della protostoria cristiana, impli-
ca la fine del cristianesimo stesso. Parlare di «storia del cristianesimo»
è dunque, per Overbeck, una contraddizione in termini, tanto più che,
nel quadro filosofico che qualifica i presupposti del suo ragionamen-
to, esiste una marcata differenza qualitativa tra i concetti di storia (Ge-
schichte) e protostoria (Urgeschichte). Tale differenza può essere inter-
pretata secondo il classico schema della decadenza, per cui ogni feno-

59 «Um zu verstehen, weshalb Overbeck die Zugehörigkeit der neutestamen-


tlichen Schriften zum Universum der Literatur bestreiten konnte, ist sein Be-
griff des Urchristentums bzw. der Urgeschichte zu erläutern. Durch ihn nämlich
wird Overbecks Überzeugung begründet, daß eine methodisch kontrollierbare
Rekonstruktion der Vorgeschichte beispielsweise der Evangelien nicht möglich
sein» (ivi, p. 124).
60 Ibid.
61 Esso sarebbe la negazione apocalittica del mondo (Weltverneinung) e, con
il dilatarsi del tempo storico determinato dal ritardo della parusia, si sarebbe di
fatto diluito fino a scomparire totalmente (cfr. ibid.).
44 NICOLA MARIANI

meno storico (Erscheinung der Geschichte)62 perviene necessariamente,


presto o tardi, al proprio declino63.
Dal punto di vista di Overbeck, dunque, la stessa sopravvivenza sto-
rica del cristianesimo ne implica paradossalmente la morte, poiché si-
gnifica il trapasso dalla dimensione apocalittica propria della protosto-
ria cristiana alla qualifica mondana del cristianesimo storico, trapasso
marcato dal dissiparsi delle attese dell’immediata parusia del Cristo64.
Proprio il canone, dal canto suo, è il punto di massima concentra-
zione della contraddizione tra protostoria e storia del cristianesimo. La
contraddizione risiede nel fatto che il canone è il luogo letterario fonda-
tivo e produttivo di senso (Urliteratur) che reca testimonianza dell’illet-
teraria65 protostoria cristiana. Prima e con il canone, c’è la protostoria
cristiana, che conserva e veicola l’essenza apocalittica del cristianesi-
mo. Con e dopo il canone, c’è invece la letteratura cristiana (patristica),
che Overbeck interpreta quale letteratura greco-romana di confessione
o interesse cristiano66, frutto storico della mondanizzazione del feno-
meno cristiano protostorico.
Secondo Körtner, l’apporto di Overbeck può essere valorizzato nella
misura in cui chiarisce che l’esegesi della Scrittura necessita di una er-
meneutica speciale67, poiché, come abbiamo visto, un approccio esclu-
sivamente orientato alla ermeneutica filologica si rivela insufficiente68.
Detto questo, l’apporto di Overbeck è fruttuoso, ai fini dell’ermeneu-
tica biblica, limitatamente al momento decostruttivo, ovvero nella mi-
sura in cui permette di valorizzare la radicalità delle implicazioni della
«morte dell’autore».
L’operazione ermeneutica compiuta da Körtner non si ferma a tale
momento negativo-decostruttivo, bensì lo integra con l’apporto positi-
vo-costruttivo della ermeneutica estetico-ricettiva che, come già visto,
qualifica la dottrina del lettore ispirato.

62 Ciò non vale, invece, per la storia in sé. Essa non ha, propriamente, al-
cun senso, ossia non è legata intrinsecamente né a una coazione alla decaden-
za, né a una costante spinta progressiva (cfr. U.H.J. Körtner, Der inspirierter
Leser cit., pp. 128-129).
63 Ivi, p. 128.
64 «Aber das Christentum unter den Begriff des Historischen stellen, also
zugeben, daß es historisch geworden ist, heißt zugeben, daß das Christentum
von dieser Welt ist und in ihr, wie alles Leben, nur gelebt hat, um sich auszule-
ben» (cit. in: ivi, p. 129).
65 Cfr. sopra.
66 U.H.J. Körtner, Der inspirierter Leser cit., p. 129.
67 Vale a dire di una ermeneutica che tenga presente la specificità dei gene-
ri letterari espressi dal canone cristiano e riconfiguri contestualmente i proprî
strumenti analitici.
68 Cfr. ivi, p. 130.
Ispirazione ed ermeneutica della Scrittura 45

Nello specifico, Körtner riconosce, con Overbeck, che la formalizza-


zione del canone introduce effettivamente un fossato invalicabile tra l’e-
vento cristologico e la testimonianza resa dalla chiesa allo stesso. Egli,
però, interpreta la canonizzazione non come momento della irreversi-
bile conclusione della protostoria cristiana e luogo della irrecuperabile
perdita di senso del cristianesimo69, bensì come evento dello straniamen-
to (Verfremdung) del Nuovo Testamento rispetto al proprio contenuto.
Se per Overbeck tale straniamento è indice della inconciliabile alterità
sussistente tra la protostoria cristiana e il fenomeno storico conosciu-
to come cristianesimo, per Körtner esso può essere invece produttore
di significato, nella misura in cui diventa condizione (Bedingung) della
comprensibilità della Scrittura dopo il momento della canonizzazione70.
Seguendo il ragionamento, possiamo dire che, secondo Körtner, la
«morte dell’autore», assunta in tutta la sua realtà, non rappresenta l’ul-
tima parola rispetto alla comprensione della testimonianza scritturale
(come è invece il caso in Overbeck), bensì conosce, proprio attraverso
il canone da cui tale «morte» è attestata, un ritorno alla vita che diven-
ta condizione per la ulteriore produttività dell’evento testimoniato dal
canone stesso71. Tale ritorno alla vita del testo, di cui la morte dell’au-
tore è condizione, è quindi interpretato da Körtner nel quadro della te-
ologia della croce.
Il teologo, dunque, integra l’apporto di Overbeck nella misura in cui
esso sottolinea la problematicità costitutiva dell’interpretazione biblica
in modo particolarmente eloquente. Tuttavia, tale integrazione non com-
porta l’adozione, da parte di Körtner, delle conclusioni di Overbeck, se-
condo il quale la problematicità dell’ermeneutica biblica, significando
la insuperabile impossibilità di comprendere il senso del testo, condu-
ce giocoforza a riconoscere la fine (per svuotamento di senso) del cri-
stianesimo come fenomeno protostorico72. Al contrario, per Körtner, la
problematicità costitutiva dell’ermeneutica biblica, proprio quando è
presa sul serio teologicamente in tutta la sua radicalità, permette di in-
tendere la Scrittura come luogo teologico generativo di rinnovate pos-
sibilità di senso.
Ancora una volta, il ragionamento del teologo si configura pneuma-
tologicamente: lo Spirito santo rappresenta la potenza che sola vivifica

69 Così invece Overbeck.


70 «Overbecks Programm einer Formengeschichte korrespondiert dem An-
satz einer literarischen Hermeneutik aber auch insofern, als beide Einsicht in
die Notwendigkeit geben, das Faktum des Kanons, d.h. das Kanonisiert-sein der
neutestamentlichen Texte als Erscheinungsweise ihrer Verfremdung und somit
als heutige Bedingung ihres möglichen Verstehens hermeneutisch und metho-
disch zu bedenken» (U.H.J. Körtner, Der inspirierter Leser cit., p. 131).
71 Cfr. Giov. 12,24-26.
72 Cfr. sopra.
46 NICOLA MARIANI

la Scrittura, trasformando la morte dell’autore in condizione e occasio-


ne per il rinnovato e fecondo vivificarsi del testo canonico.

4. Conclusioni: per una ermeneutica in signo crucis

Alla luce del dialogo con Overbeck, Körtner nega l’esistenza di un si-
stema di precomprensioni che, una volta adottato, renda possibile una
comprensione naturale73 del senso della Scrittura. La possibilità di per-
venire a una sintonia ermeneutica con l’orizzonte di senso espresso dal-
la Scrittura è invece convinzione di quell’approccio che Körtner defini-
sce ermeneutica dell’assenso (Hermeneutik des Einverständisses), ricon-
ducibile per esempio a P. Stuhlmacher74. Tale approccio sostiene che
la comprensione della Scrittura può realizzarsi soltanto entro un con-
testo ermeneutico già determinato dalla fede, dove tale determinazione
è interpretata quale atteggiamento di assenso preliminare nei confron-
ti del testo. L’incomprensione (Unverständnis) della Scrittura, in que-
sta prospettiva, viene superata da una comprensione (Verstehen) sorta
dall’assunzione consapevole di una ermeneutica solidale con le doman-
de e le risposte espresse dal testo biblico75.
Körtner critica la proposta di Stuhlmacher poiché ritiene che essa
renda impossibile concepire la fede quale forma e frutto della compren-
sione (Gestalt und Frucht des Verstehens) e la concepisca piuttosto co-
me precondizione (Vorbedingung) della stessa, incappando in tal modo in
una petitio principii76. A tale posizione, Körtner contrappone una visio-
ne della fede come modalità (Weise) del comprendere, la quale non eli-
mina l’incomprensione in via preliminare, bensì la attraversa per giun-
gere solo successivamente alla comprensione credente77.
Dal punto di vista di chi scrive, la posizione di Körtner ha il merito
di sottolineare con forza che l’incomprensione del testo biblico è tanto
radicale da coinvolgere tutti gli interpreti, tanto increduli quanto cre-

73 Ossia non radicalmente predeterminata dal peccato strutturale.


74 P. Stuhlmacher, Vom Verstehen des Neuen Testaments. Eine Hermeneutik,
Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1986.
75 U.H.J. Körtner, Der inspirierter Leser cit., p. 47.
76 «Der Glaube ist in diesem Fall nämlich nicht mehr wie bei Paulus eine Frucht
oder Gestalt des Verstehens, sondern dessen Vorbedingung. […] Die Hermeneu-
tik des Einverständnisses läuft also auf eine petitio principii hinaus» (ivi, p. 48).
77 «Ist aber der Glaube selbst eine Weise des Verstehens, wie Rudolf Bultmann
oder Ernst Fuchs dargelegt haben, so versucht Stuhlmachers Hermeneutik des
Einverständnisses das vorherrschende Unverständnis gegenüber den neutesta-
mentlichen Texten im Grunde dadurch zu unterlaufen, daß sie das Verstehen,
welches doch nur Ziel des Auslegungsprozesses sein kann, appellativ zur Vo-
raussetzung erklärt» (ivi, pp. 48-49).
Ispirazione ed ermeneutica della Scrittura 47

denti. Su questa linea, non è dunque possibile intendere la fede come


condizione esistenziale acquisita, grazie alla quale sarebbe possibile li-
berarsi dell’incomprensione una volta per tutte.
Inoltre, la fede, in quanto dono che si rinnova ubi et quando visum
est Deo, è anzitutto lo scopo (Ziel) dell’interpretazione biblica e non è
mai un dato acquisibile e ipostatizzabile. Essa è sempre miracolo da in-
vocare nella lotta ardua contro il peccato strutturale e mai una realtà la
cui presenza può essere presupposta o indotta. Quale grandezza teolo-
gica creata dalla Parola di Dio, la fede condivide la struttura essenzial-
mente promissoria di tale Parola (verbum promissionis); di conseguen-
za, essa è costituita da Dio quale dono offerto all’essere umano, a cui la
fede appartiene nella dimensione della risposta credente, come la posi-
zione espressa da Körtner sottolinea vigorosamente.
Tuttavia, pare ora legittimo chiedersi se la critica mossa da Körtner
alla posizione di Stuhlmacher renda effettivamente giustizia a quest’ul-
tima e se l’ermeneutica dell’assenso debba necessariamente incappare
in una petitio principii.
Affermare che la fede è precondizione per la comprensione della Scrit-
tura non esclude necessariamente, come Körtner sembra invece soste-
nere, che essa possa esserne anzitutto lo scopo. L’ermeneutica dell’as-
senso formulata da Stuhlmacher, a mio avviso, può essere accolta nella
misura in cui si limita a sottolineare che il vero senso della Scrittura si
dispiega soltanto in un contesto esistenziale ed ermeneutico determinato
e delimitato dalla fede, poiché solo in tale contesto il testo biblico rice-
ve la sua attualizzazione nell’incontro tra la potenza dello Spirito santo,
la parola della predicazione fondata sulla Scrittura e il lettore creden-
te, quindi ricettivo, inserito nella comunità interpretante. Ciò significa
semplicemente che, fuori dalla fede, non è possibile comprendere il ve-
ro senso della Scrittura. Da ciò non consegue necessariamente, tutta-
via, che la fede diventi un dato presupposto e, quale precondizione per
la ricezione del testo, rimanga a disposizione e in possesso della comu-
nità interpretante. A giudizio di chi scrive, dunque, la fede può legitti-
mamente essere considerata precondizione della comprensione creden-
te della Scrittura, a patto che si sottolinei con forza il suo essere dono,
radicalmente indisponibile ma assolutamente reale, della sola grazia di
Dio. Seguendo Körtner, ritengo che la teologia non sottolinei mai abba-
stanza la serietà e la radicalità del peccato, che, quale peccato nel com-
prendere (Sünde im Verstehen)78, abita la dimensione della ermeneutica
della Scrittura. Tuttavia, Stuhlmacher mi pare condivisibile quanto alla
convinzione che, dal punto di vista ermeneutico, la fede, donata e indi-
sponibile, costituisca effettivamente la precondizione dell’attualizzarsi
del senso della Scrittura nella comunità interpretante.

78 U.H.J. Körtner, Der inspirierter Leser cit. p. 51.


48 NICOLA MARIANI

Riformulando, poiché la fede è dono, essa non è data stabilmente una


volta per tutte; anzi, come precondizione ermeneutica essa nasce, agisce
e muore ogni volta che la comunità interpretante legge la Scrittura nel-
la preghiera e nell’attesa del compimento della promessa. Sarebbe for-
se possibile, allora, parlare piuttosto della fede quale insieme delle pre-
condizioni che, senza mai farsi dato oggettivabile, predeterminano ef-
fettivamente ogni interpretazione della Scrittura secondo il suo senso.
Körtner, come già detto, sostiene che una ermeneutica dell’assenso
liquidi troppo frettolosamente la profondità e la radicalità dell’incom-
prensione che tutti sperimentano di fronte al testo biblico; pertanto, egli
ritiene che sia più assennato parlare piuttosto di ermeneutica dell’incom-
prensione (Hermeneutik des Unverständisses). Il teologo, proseguendo il
ragionamento, fonda tale incomprensione in sede amartiologica, elabo-
rando la categoria, già menzionata sopra, di «peccato nel comprende-
re» (Sünde im Verstehen)79.
Mediante tale categoria, Körtner comprende il circolo vizioso che
si instaura nella dimensione del peccato e determina l’incomprensio-
ne ostinata dell’evento cristologico attestato dalla Scrittura e l’indispo-
nibilità a condurre una vita alla sequela di Gesù Cristo80. Tale circolo
vizioso, e non la condizione della fede, costituisce la precomprensione
dei lettori (increduli e credenti!) della Scrittura81. Di fronte al peccato
nel comprendere, l’interprete della Scrittura si trova preceduto da e im-
merso nella incomprensione, che ne caratterizza l’esercizio ermeneuti-
co alla radice e totalmente.
Se ciò è vero, allora la fede, quale modalità di comprensione del te-
sto biblico, può essere soltanto il miracolo del superamento vittorioso
(Überwindung) dell’incredulità strutturale82. Tale superamento è sì segno
di una vittoria reale, ma non può essere assolutamente inteso in senso
trionfalistico. Esso, al contrario, ha la propria scaturigine nella confes-
sione del peccato, dunque avviene soltanto in forza della promessa per-
formativa della grazia comunicata dalla Parola di Dio83.
La riflessione di Körtner sulla ermeneutica dell’incomprensione si
colloca, come già esposto, in dialogo critico e fruttuoso con Overbeck84,

79 Ivi, p. 51.
80 «Unser Unverständnis gegenüber der Botschaft des Neuen Testaments und
unsere fehlende Bereitschaft zur Nachfolge bilden einen circulus vitiosus. Ein-
verstanden mit den zentralen Inhalten der Bibel ist nur der, welcher versteht,
und das heißt glaubt und seinen Glauben lebt» (ibid.).
81 Ibid.
82 Ivi, p. 51.
83 Cfr. Mt. 9,2.
84 Un’analisi approfondita della ripresa delle posizioni di Overbeck a opera
di Körtner è contenuta in 2.3, a cui rimandiamo. Per questo motivo, essa non
sarà riproposta nel presente capitolo.
Ispirazione ed ermeneutica della Scrittura 49

il quale è convinto che, a partire dalla formalizzazione del Nuovo Testa-


mento, i contenuti del canone non possano più essere compresi (verstan-
den), ma solo interpretati (ausgelegt), poiché ormai irreversibilmente e
insuperabilmente separati dalla protostoria (Urgeschichte) cristiana, la
quale ne esprime l’essenza (Wesen)85.
Dialogando con Overbeck, Körtner integra fruttuosamente una erme-
neutica dell’incomprensione con una estetica della ricezione elaborata
entro l’ermeneutica letteraria. Il teologo sottolinea come lo stesso pro-
cesso di scrittura significhi il pervenire ad autonomia del testo nei con-
fronti dell’autore e aggiunge che ciò consegna al lettore e all’atto della
lettura un significato fondamentale in ordine alla costituzione e com-
prensione del testo86. Nell’atto della lettura, il mondo del testo, di cui
il lettore diventa parte integrante, infrange (zerbricht) non solo quello
dei lettori precedenti, ma anche ed eminentemente quello dell’autore, il
quale ora «muore», ossia è costretto ad abdicare a qualsivoglia assolu-
to diritto ermeneutico nei confronti del testo87.
Dal punto di vista di una ermeneutica letteraria orientata all’estetica
della ricezione, la «morte dell’autore», come già accennato, viene inter-
pretata quale straniamento (Verfremdung)88, categoria che ora assume un
valore eminentemente positivo. Tale straniamento, infatti, non rappresen-
ta solo, con Overbeck, la radicale problematizzazione di ogni compren-
sione del testo89, bensì anche la sua stessa imprescindibile condizione90.
Applicando quanto finora esposto all’ambito dell’ermeneutica teo-
logica, Körtner, seguendo Ricœur91, perviene a definire la comprensio-
ne credente del testo biblico un comprendersi al cospetto del testo (Sich
verstehen vor dem Text), da intendersi come un lasciarsi trasformare in
una versione qualitativamente amplificata di sé (erweitertes Selbst) dal
contenuto profondo (Sache) del testo92.

85 U.H.J. Körtner, Der inspirierter Leser cit., p. 53.


86 Ivi, pp. 57-58.
87 Ivi, p. 58.
88 Così, ad esempio, P. Ricœur, Ermeneutica filosofica ed ermeneutica reli-
giosa, in: Id., E. Jüngel, Dire Dio. Per un’ermeneutica del linguaggio religioso, tr.
it. Queriniana, Brescia 2013, pp. 41-72.
89 Ciò vale, si noti, per ogni testo, non solo per il Nuovo Testamento, a cui
invece si limita la critica di Overbeck (cfr. U.H.J. Körtner, Der inspirierter Le-
ser cit., p. 58).
90 Ibid.
91 Cfr. ivi, p. 59.
92 «Das Verstehen […] ist – mit Ricœur gesprochen, ein “Sich verstehen vor
dem Text. Es heißt nicht, dem Text die eigene begrenzte Fähigkeit des Verstehens
aufzuzwingen, sondern sich dem Text auszusetzen und von ihm ein erweiter-
tes Selbst zu gewinnen […] – das Selbst wird durch die “Sache” des Textes kon-
stituiert» (ibid.).
50 NICOLA MARIANI

Naturalmente, il comprendersi al cospetto del testo, quale momento


positivo-costruttivo della dinamica sprigionata dalla morte dell’autore,
non può essere separato dal momento negativo-decostruttivo sottoline-
ato dal contributo di Overbeck. Nella fattispecie, tale momento negativo
significa la decostruzione (Abbau) dei preconcetti che, facendo violenza
al mondo del testo, opacizzano la trasparenza della morte dell’autore93.
Se il testo è la Scrittura, l’adozione della prospettiva qui esposta col-
loca il rapporto tra fede e comprensione credente nella prospettiva di
una teologia della croce. Ciò significa che la ricezione credente del te-
sto94 non accade automaticamente e serenamente, bensì nel segno del-
la croce, ossia attraverso il doloroso morire nell’incomprensione di ogni
tentativo ermeneutico, irrimediabilmente predeterminato dal peccato
strutturale. L’impresa ermeneutica ha cioè un carattere segnatamente
kenotico95, perché illustra che l’interpretazione vera96 della Scrittura è
possibile unicamente nella forma del miracoloso passaggio dalla morte
alla vita e, come tale, dipende dalla sola grazia di Dio.

Nicola Mariani

93 Cfr. ivi, p. 60.


94 Quella, cioè, suscitata dall’attualizzarsi del suo senso.
95 Cfr. I Cor. 1,19-25.
96 Nel senso di «corrispondente al suo senso».
Protestantesimo 77, 2022, 51-72

Don Antonino Tagliarini


Un testimone del primo evangelismo
italiano

Antonino Tagliarini è una figura sconosciuta nell’evangelismo italia-


no, ma è emblematica sia delle motivazioni che hanno portato alla sua
diffusione in Italia nell’immediato periodo postrisorgimentale, sia del-
le difficoltà interne ed esterne contro cui esso si è dovuto scontrare, sia
delle cause della sua frammentazione in denominazioni diverse.
Nato a Palermo nel 1835, apparteneva ad una famiglia dell’alta bor-
ghesia: fu proprietario terriero, avvocato, inventore e fotografo. Genero
del console sardo che teneva informato Cavour sui movimenti di Gari-
baldi in Sicilia, si convertì alla fede evangelica nel 1861 e contribuì alla
fondazione della prima chiesa valdese di Palermo, per poi transitare al-
la chiesa metodista retta dal massone Saverio Fera e sperimentare an-
che una forma di Chiesa libera. Don Antonino Tagliarini è stato, nel suo
piccolo, un protagonista dell’Italia postunitaria: la storia non ne ha tra-
mandato le gesta eroiche o il pensiero politico o gli ideali rivoluziona-
ri, ma egli ha vissuto in un’epoca di grandi cambiamenti e valori e, co-
me tanti altri, li ha assorbiti e trasmessi, partecipando in modo attivo
alla trasformazione storica in atto e offrendo il suo contributo all’affer-
mazione dei valori di giustizia, libertà, uguaglianza, che sono il lascito
risorgimentale1.

1 Per approfondire la figura di Antonino Tagliarini e le vicende del primo


evangelismo italiano a Palermo, vedi A. Varcasia, Don Antonino Tagliarini. Un
evangelico a Palermo dopo l’Unità d’Italia, Aracne, Roma 2021.
52 ANTONELLA VARCASIA

1. Gli inizi dell’evangelizzazione in Italia

Con l’Unità d’Italia, come è noto, si concretizzò l’opera di evangelizza-


zione: il momento era quello più adatto, considerato lo spirito anticleri-
cale alimentato dagli ideali del Risorgimento, cui si aggiungeva il richia-
mo del Risveglio a una fede autentica e a un’etica coerente, basate sulla
lettura della Bibbia2. Motivazioni politiche e ideologiche, economiche e
sociali si unirono a quelle religiose per preparare il terreno all’opera di
evangelizzazione, che si configurava «come protesta e come sfida alle for-
ze allora dominanti nel nostro Paese»3, in particolare all’autorità papale.
Lo spirito rivoluzionario non comportava necessariamente un avvici-
namento ai protestanti, dato che questi erano considerati stranieri che
venivano a colonizzare l’Italia: in particolare non riscuotevano fiducia
i valdesi, che parlavano francese ed erano fedeli ai Savoia. Con la con-
quista dell’Unità d’Italia i valdesi decisero di lanciarsi nell’impresa mis-
sionaria, attraverso la predicazione, la fondazione di scuole, la creazio-
ne di asili, ospedali, società di mutuo soccorso4.

2 Sulle variabili che influirono sul processo di evangelizzazione in Italia dopo


la conquista dell’Unità esiste una vastissima bibliografia. Segnalo, in particola-
re: P. Sanfilippo, Il protestantesimo italiano nel Risorgimento, Tip. Ugo Quintily,
Roma 1961; L. Santini, Dalla Riforma al Risorgimento. Protestantesimo e Unità
d’Italia, Società di Studi Valdesi, Torre Pellice 1961; G. Spini, I Protestanti in Ita-
lia, 1965, in: AA.VV., Storia dell’evangelizzazione in Italia (miscellanea, n. 11, pp.
5-24); Id., Risorgimento e protestanti, il Saggiatore-Mondadori, Milano 1989; P.
Ricca, Le Chiese protestanti, in: G. Filoramo, D. Menozzi (a cura di), Storia del
Cristianesimo, vol. 4, Laterza, Bari 2006; G. Tourn, Risorgimento e chiese cristia-
ne, Claudiana, Torino 2011; E.F. Biagini, Risorgimento e protestanti, in: S. Ma-
ghenzani, G. Platone (a cura di), Riforma, Risorgimento e Risveglio, Claudia-
na, Torino 2011; L. Vogel, Protestants in the Italian Risorgimento, in: R. Dagni-
no, A. Grazi (a cura di), Believers in the Nation. European Religious Minorities
in the Age of Nationalism (1815-1914), Peeters, Leuven-Paris-Bristol (CT) 2017.
Sul Risveglio, vedi in part. U. Gastaldi, I movimenti di Risveglio nel mondo pro-
testante. Dal «Great Awakening» (1720) ai «revivals» del nostro secolo, Claudia-
na, Torino 1989.
3 G. Spini, op. cit., p. 9.
4 Sulla prima evangelizzazione valdese, vedi in part. A. Muston, G. Bon-
net, E. Meynier (a cura di), Riassunto storico dell’evangelizzazione valdese du-
rante i primi cinquant’anni di libertà (1848-1898), Tipografia Chiantore-Masca-
relli, Pinerolo 1899; E. Comba, Storia dei Valdesi, Claudiana, Torre Pellice 1950;
AA.VV., Cento anni di storia valdese, Claudiana, Torre Pellice 1952; V. Vinay, Sto-
ria dei Valdesi, vol. 3: Dal movimento evangelico italiano al movimento ecume-
nico. 1848-1978, Claudiana, Torino 1980; G. Bouchard, I valdesi e l’Italia. Pro-
spettive di una vocazione, Claudiana, Torino 1988; F. Chiarini, L. Giorgi (a cura
di), Movimenti evangelici in Italia dall’Unità ad oggi, Claudiana, Torino 1990, pp.
51-87; AA.VV., Dalle valli all’Italia (1848-1998). I valdesi nel Risorgimento, Clau-
Don Antonino Tagliarini 53

Decisivo fu il Sinodo del 1860, che approvò la creazione di un appo-


sito Comitato di evangelizzazione, che doveva seguire la nascita e lo svi-
luppo delle chiese «italiane», mentre la Tavola rimaneva responsabile
di quelle delle valli. Il Comitato rispondeva al Sinodo, ma era libero «di
inviare pastori e maestri dove riteneva opportuno, disponeva di un pro-
prio bilancio, gestiva i suoi locali, pubblicava i suoi organi di stampa»5.
Da allora fu un’estensione continua dell’opera missionaria. E dopo i val-
desi arrivarono i metodisti wesleyani, i battisti inglesi e americani e in-
fine i metodisti episcopali6.
In Sicilia l’evangelismo si diffuse abbastanza rapidamente, tanto che,
a fronte dei 742 protestanti (di cui l’80 percento stranieri), presenti nel
censimento del 1861, dieci anni dopo se ne contavano 67557.
Sin dall’inizio il movimento evangelico in Italia fu caratterizzato da
dissidi interni, in particolare tra i valdesi e le Chiese libere, repubblica-
ne, antipapali e deistituzionalizzate, che si stavano contemporaneamen-
te diffondendo in Italia, nonché, all’interno delle stesse Chiese libere, tra
plimuttisti guicciardiniani, che volevano una rete di fratellanze gover-
nate esclusivamente dallo Spirito santo, e coloro che desideravano una
maggiore organizzazione ecclesiastica, come Bonaventura Mazzarella e
Luigi De Sanctis, o come Gavazzi, che auspicava addirittura una Chiesa
nazionale evangelica, ossia una rete unitaria e coordinata di Chiese libe-
re per formare un unico fronte contro la Chiesa di Roma8.

diana, Torino 1998; G. Tourn, I Valdesi. La singolare vicenda di un popolo chie-


sa, Claudiana, Torino 2008.
5 G. Tourn, I Valdesi cit., p. 211. Il Comitato esaurì il suo compito nel 1915 e
fu riassorbito dalla Tavola (vedi A. Comba, Valdesi e Massoneria. Due minoranze
a confronto, Claudiana, Torino 2000, p. 22).
6 Con qualche lieve oscillazione di date, vedi G. Spini, Risorgimento e prote-
stanti, il Saggiatore-Mondadori, Milano 1989, pp. 339-343; V. Vinay, op. cit., pp.
75-78; P. Ricca, Minoranze cristiane nell’Italia unita, in: Cristiani d’Italia, Trec-
cani, Roma 2011, vol. 1, pp. 112-113; S. Carile, Il metodismo, Claudiana, Tori-
no 1984, pp. 185-187.
7 G. Spini, Movimenti evangelici nell’Italia contemporanea, “Rivista storica
italiana”, anno LXXX, fasc. III, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1968, p.
485. Secondo Vinay, invece, al 31 dicembre 1861 erano presenti 600 protestan-
ti in tutta la Sicilia (V. Vinay, op. cit., p. 22). Sulla prima evangelizzazione in Si-
cilia, vedi in part. G. Tourn, Giorgio Appia dalle Alpi alla Sicilia, Claudiana, To-
rino 1964; R. Ferrara, Movimenti evangelici in Sicilia dal Risorgimento al fasci-
smo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007; G. Cerrito, Appunti sulla diffusione del
Protestantesimo in Sicilia dopo l’Unità, “Bollettino di Studi Valdesi” 144 (1963).
8 Sulle origini, la diffusione e le caratteristiche della Chiesa Libera, vedi in
part. D. Borgia, Cenni storici sulle origini ed i progressi della Chiesa Cristiana Li-
bera in Italia, Tipografia Barbera, Firenze 1880; G. Spini, L’Evangelo e il berretto
frigio, Claudiana, Torino 1971; F. Chiarini, Gli studi sulle singole denominazioni
evangeliche, in: F. Chiarini, L. Giorgi (a cura di), op. cit., pp. 5-20; G. Gangale,
54 ANTONELLA VARCASIA

Questi movimenti, che potremmo definire «italiani», erano spesso


influenzati dalle dottrine d’oltralpe, assimilate direttamente in loco da-
gli esuli per motivi politici o religiosi, al punto da poter affermare che
«il protestantesimo italiano dell’Ottocento prima dell’Unità si costituì in
esilio»9. Ma la tensione caratterizzava anche le chiese italiane: a Londra
si scontravano una visione anglicanizzante, che richiedeva un ordina-
mento liturgico, una struttura episcopale e una visione plimuttista, che
non riconosceva alcun ministero e prevedeva la conduzione della comu-
nità da parte di anziani10; a Ginevra si era sviluppata una distinzione fra
la Chiesa valdese, di struttura presbiteriana, e la Chiesa libera ginevrina,
influenzata dalle idee darbyste11, mentre Malta fu turbata dai dissensi
e dalla rottura personale fra Giacinto Achilli e Luigi De Sanctis, le due
colonne della comunità12.
Le Chiese evangeliche italiane dell’esilio furono caratterizzate dalla
ricerca di un cristianesimo evangelico non protestante, che si ispirasse
direttamente alla Bibbia, «elaborando così una versione autentica, non
cattolica, e specificamente italiana di Cristianesimo»13. Altra caratteri-
stica fu il taglio plimuttista, che rifletteva la mentalità anticlericale, an-
tigerarchica e repubblicana degli esuli.
Oltre al movimento evangelico italiano, all’estero era vivo l’interesse
dei protestanti stranieri, che si manifestò attivamente, ad esempio con
l’intervento diplomatico per la liberazione di alcuni evangelici impri-
gionati, come l’Achilli o i coniugi Madiai14, o fornendo aiuti finanziari.

Revival, Sellerio, Palermo 1991; R. Salvaggio, Vivere il Vangelo in minoranza. Bre-


ve storia dei valdesi a Palermo, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2005. Sul pensie-
ro di Guicciardini e Rossetti e la polemica contro i valdesi e le altre chiese evan-
geliche, vedi in part. S. Maghenzani, Storiografia protestante e Riforma italiana
del Cinquecento nell’età del Risorgimento, in: Il protestantesimo italiano nel Ri-
sorgimento. Influenze, miti, identità (Atti del LI Convegno di studi sulla Riforma
e sui movimenti religiosi in Italia, Torre Pellice 2-4 settembre 2011), “Bollettino
di Studi Valdesi” 210-211 (giugno-dicembre 2012), pp. 133-138.
9 P. Ricca, Minoranze cristiane nell’Italia unita cit., p. 110. Sull’evangelismo
italiano all’estero, vedi in part. A.A. Hugon, Correnti evangeliche tra gli italiani in
esilio. 1840-1860, estratto dalla “Rassegna storica del Risorgimento”, anno XLIII,
fascicolo II, aprile-giugno 1956, Istituto Poligrafico dello Stato, pp. 215-224; G.
Spini, Risorgimento e protestanti cit.; G. Gangale, op. cit.
10 G. Spini, Risorgimento e protestanti, EDI, Napoli 1956, p. 246.
11 L. Vogel, Comunità e pastori del protestantesimo italiano, in: Cristiani d’I-
talia cit., vol. 2, p. 1029. Il darbysmo è una radicalizzazione del plimuttismo, che
proclama una separazione assoluta dal mondo, con venature apocalittiche (ve-
di S. Nitti, Il sogno protestante, in: Cristiani d’Italia cit., vol. 1, p. 184; P. Ricca,
Minoranze cristiane nell’Italia unita cit., p. 117).
12 L. Vogel, Comunità e pastori cit., p. 1028.
13 Ivi, p. 1029.
14 P. Sanfilippo, op. cit., p. 25.
Don Antonino Tagliarini 55

A questi movimenti dobbiamo aggiungere la presenza di stranieri


evangelici sul suolo italiano: parlando con gli italiani, trasmettevano in-
formazioni e regalavano Bibbie, diffondendo l’interesse per l’evangelo.
A Palermo, ad esempio, si trovavano molti inglesi di fede anglicana, co-
me i Whitaker, che si impegnarono a fondo per l’affermazione della li-
bertà religiosa15. L’influenza degli anglicani sullo sviluppo dell’evangeli-
smo italiano è controversa: secondo alcuni, essi rifuggivano dal proseli-
tismo16; secondo altri, invece, miravano a introdurre il protestantesimo
in Italia17. In ogni caso, non possiamo sapere se il loro esempio, la loro
condotta o qualche chiacchiera fra amici può aver predisposto l’animo
di qualche italiano alla conversione.
Una parte importante nello sviluppo dell’evangelismo in Italia la eb-
be poi la pubblicazione e la diffusione della Bibbia, a opera della Società
Biblica Britannica e Forestiera, che lavorò attivamente attraverso i col-
portori, che non si limitavano a vendere o regalare i libri, ma fornivano
anche spiegazioni con parole semplici, comprensibili a tutti18. In Sicilia
quest’opera venne svolta, in particolare, da tre colportori che precedet-
tero l’arrivo del primo evangelizzatore ufficiale, il pastore valdese Gior-
gio Appia: Cereghino, Cherubini e Zanardi19.
Anche i colportori, come gli evangelisti e i pastori, affrontarono sa-
crifici e subirono violenze per l’affermazione dell’evangelo: grazie alla
loro abnegazione decine di migliaia di copie della Scrittura arrivarono
agli Italiani poveri e ignoranti.

Ci sarebbe da cercar di capire in quale misura quell’improvvisa ondata


di libri abbia svegliato le menti di queste masse sino ad allora addor-
mentate, contribuendo non solo alla germinazione di nuclei evange-
lici nella penisola, ma a quello stesso risveglio civile, da cui trassero
alimento la democrazia mazziniana o garibaldina20.

15 Sulla presenza degli anglicani a Palermo, vedi R. Ferrara, op. cit., pp. 24-
31. Sui Whitaker vedi M. D’angelo, I Whitaker di Villa Malfitano, in: Atti del Se-
minario di studio del 16-18 marzo 1995, Palermo 1995.
16 M. D’angelo, op. cit., p. 10.
17 M. Galeotti, L’autorità della Chiesa. Dispute e polemiche con un ministro
valdese, Tipografia Poliglotta De Propaganda Fide-Tipografia Pontificia Mariet-
ti, Roma-Torino 1866, p. 265.
18 G. Tourn, Giorgio Appia dalle Alpi alla Sicilia cit., p. 48.
19 Georges Appia, pasteur et professeur en Italie et a Paris (1827-1910). Souve-
nirs réunis par sa famille, Flammarion, Paris 1910, tomo II, p. 67; R. Ferrara,
op. cit., p. 49, nota 2.
20 G. Spini, Studi sull’evangelismo italiano tra Ottocento e Novecento, Clau-
diana, Torino 1994, p. 98.
56 ANTONELLA VARCASIA

2. Don Antonino Tagliarini

Fu in questo ambiente e con questi personaggi che entrò in contatto


Antonino Tagliarini. Nato cattolico, nel 1861 risulta già convertito all’e-
vangelo. Non possiamo avere la certezza di chi lo convertì: potrebbe es-
sere stato Gavazzi che, sbarcato a Marsala al seguito di Garibaldi, distri-
buiva Bibbie e parlava al popolo di politica e religione21; oppure qualche
colportore; o la lettura di una Bibbia, la barca che ha traghettato da una
riva all’altra del cristianesimo tanti italiani di fine Ottocento22; oppure
ancora una chiacchierata con qualche amico straniero.
Secondo Giorgio Bouchard «la chiesa di Palermo nasce da un esule
convertito in Corsica che invita il pastore Giorgio Appia a tenere il pri-
mo culto in casa sua»23, mentre Roberto Ferrara, parlando delle riunioni
che si svolgevano «nel grande salone della casa di Antonio Mastrichi», lo
definisce «un evangelico convertitosi a Marsiglia dove era stato esule»24.
Il nome di Antonino Mastricchi compare al terzo posto nel registro de-
gli iscritti nella chiesa valdese di Palermo, subito dopo quello del pasto-
re Giorgio Appia e della moglie; è lui che accoglie l’Appia al suo arrivo
a Palermo nel febbraio 1861 ed è nella sua casa che si svolgono i primi
culti25; è lui che viene considerato il fondatore, insieme a don Antonino
Tagliarini, della chiesa di Palermo26. Un Antonino Mastricchi compare
anche nella lista dei richiamati dall’esilio per i moti del 1848-184927: in-
sieme ai due fratelli, Pasquale e Lorenzo, fu un ardente partigiano e ap-
poggiò l’entrata di Garibaldi a Palermo28.
Fu quindi in terra d’esilio che Antonino Mastricchi conobbe l’evan-
gelo e lo riportò a Palermo al suo ritorno, diventando il trait d’union più
probabile tra Antonino Tagliarini e la nascente evangelizzazione sicilia-
na. Non sappiamo se il Tagliarini condividesse le idee politiche dei fra-

21P. Ricca, citato in S. Falzone, I Garibaldini “eretici” liberatori protestanti,


“La Repubblica” 23 aprile 2010.
22 S. Nitti, Pietro Taglialatela. Un filosofo pastore metodista, in: D. Bognan-
di, M. Cignoni (a cura di), Scelte di fede e di libertà. Profili di evangelici nell’Italia
unita, Claudiana, Torino 2011, p. 87.
23 G. Bouchard, I valdesi e l’Italia cit., pp. 33-34.
24 R. Ferrara, op. cit., p. 50.
25 Georges Appia, Pasteur cit., tomo II, p. 58.
26 J.S. Kay, Lettera a Matteo Prochet, 7 dicembre 1885, in: ATV IX, 62, Kay
John Simpson.
27 F. Guardione, Il dominio dei Borboni in Sicilia dal 1830 al 1861, in relazio-
ne alle vicende nazionali con documenti inediti, vol. 2, S.T.E.N. (Società Tipogra-
fico Editrice Nazionale), Torino 1907, pp. 123-124.
28 N. Giordano, Pasquale Mastricchi, il vecchio di Gibilrossa, “Il Risorgimen-
to in Sicilia” 3/4 (1966), p. 440.
Don Antonino Tagliarini 57

telli Mastricchi; in ogni caso è in questo clima eroico, pieno di entusia-


smo e di desiderio di cambiamento che egli maturò la sua conversione.
Antonino Tagliarini era nato a Palermo il 9 marzo 1835 da una fami-
glia dell’alta borghesia, che possedeva diverse proprietà terriere, tanto
che nei vari documenti si firmava «benestante» o «possidente». Si era
laureato in legge, ma abbandonò quasi subito la professione per dedi-
carsi ad altre attività: insieme al fratello Tommaso mise a punto l’inven-
zione di un liquore, il Citrus, una specie di limoncello fatto con le aran-
ce, che destò l’interesse dei Whitaker, i quali avevano costruito un impe-
ro sulla produzione e la vendita del vino Marsala, in concorrenza con i
Florio, ma Antonino rifiutò di associarli nell’impresa con la motivazio-
ne che il Citrus doveva rimanere nella sua famiglia29.
Sempre con il fratello Tommaso aprì uno studio fotografico in una
delle vie più centrali di Palermo ed esercitò questo mestiere ad altissi-
mo livello, tanto che i due fratelli sono ricordati insieme ai più celebri
Incorpora, Interguglielmi, Sommer e Rive30. La loro specialità fu la fo-
tografia architettonica, con la ripresa di monumenti e vedute di Paler-
mo e della Sicilia, realizzate in albumina, ma essi si dedicarono anche a
documentare le opere d’arte dei musei siciliani, a ritrarre pastori prote-
stanti e personaggi contemporanei31. Parteciparono all’Esposizione Uni-
versale di Filadelfia del 1876 ed ebbero l’onore di fotografare la princi-
pessa Margherita di Savoia, la futura regina d’Italia, che li autorizzò a
fregiarsi del titolo di «Fotografi di Sua Altezza Imperiale la Principes-
sa di Piemonte».
Dalla moglie Carolina Antonino ebbe sette figli. Carolina era figlia di
Gaetano Rocca, funzionario del Regno delle Due Sicilie, viceconsole e
poi console a Palermo dal 1844 al 1854. Il suo nome è legato alle vicen-
de del Risorgimento: egli teneva informato Cavour sui movimenti di Ga-
ribaldi in Sicilia, sulle insurrezioni di Palermo e le repressioni borboni-
che32 e svolgeva attività diplomatica di intermediario, specie nella deli-
catissima questione relativa all’annessione della Sicilia al Regno d’Ita-

29 V. Mirisola, Era Palermo, Lanterna Magica, Palermo 2008, p. 203.


30 Id., Era Sicilia, Lanterna Magica, Palermo 2010, p. 178.
31 Dei Fratelli Tagliarini si conservano alcune fotografie nel Fondo Giglioli
presso l’Istituto Geografico Militare di Firenze, nel Fondo Supino della Biblio-
teca dell’Università di Bologna e nell’Archivio Valdese di Torre Pellice.
32 Rapporto del console sardo al conte di Cavour, 11 febbraio 1860, in: M. Ro-
si, Il Risorgimento italiano e l’azione d’un patriota cospiratore e soldato, Casa Edi-
trice Nazionale Roux e Viarengo, Roma-Torino 1906, pp. 187-188 e 194; L. Vil-
lari, Bella e perduta: l’Italia del Risorgimento, Laterza, Bari 2012, pp. 278-279.
58 ANTONELLA VARCASIA

lia33, esprimendo valutazioni politiche su Crispi e Mordini34. Era quindi


un uomo fedele al suo incarico, sempre bene informato dei fatti, fautore
delle imprese garibaldine finché queste potevano portare all’unità d’Ita-
lia, ma sostenitore della monarchia sabauda e quindi pronto a contrasta-
re il dittatore, ove rischiasse di mettere in pericolo le mire cavouriane e
favorire l’instaurazione della repubblica da parte dei seguaci di Mazzini.

3. Il periodo valdese

Qualunque sia stato il tramite e il motivo della sua conversione, fon-


damentale fu l’incontro del Tagliarini con il pastore Giorgio Appia, man-
dato a Palermo dal Comitato di evangelizzazione nel febbraio 1861. All’e-
poca il capoluogo della Sicilia era «una delle città più degradate e più
arretrate d’Italia»35: la maggior parte della popolazione viveva in condi-
zioni misere; dilagavano corruzione e mafia, analfabetismo e supersti-
zione36. La Chiesa cattolica si limitava a piccoli interventi assistenzia-
li e promuoveva una religiosità esteriore, fatta di festeggiamenti, messe
solenni e processioni37. La situazione si presentava critica per un inter-
vento di evangelizzazione, soprattutto presso le masse popolari. Perciò
i missionari puntarono principalmente all’istruzione, nella convinzio-
ne che la degradazione morale del popolo fosse dovuta principalmen-
te all’ignoranza e che le scuole avrebbero trasformato la popolazione in
una sola generazione38.
Il pastorato dell’Appia a Palermo fu molto breve (durò solo un anno),
ma egli trovò nel Tagliarini un aiuto fondamentale per la costruzione del-
la prima comunità valdese nel capoluogo siciliano. Il «giovane avvocato
di ottima condizione economica e di carattere rispettabile, che, si spera,
sarà una colonna della chiesa nascente»39 faceva parte del primo grup-
po di italiani raccolti intorno al pastore valdese, provenienti dal mondo
borghese e universitario. Egli mise a disposizione del pastore una par-

33Rapporto del console sardo al conte di Cavour, 20 luglio 1860, in: C. Ma-
raldi, La Rivoluzione siciliana del 1860 e l’opera politico-amministrativa di Ago-
stino De Pretis, “Rassegna storica del Risorgimento”, aprile-giugno 1932, p. 544.
34 Rapporto del console sardo al conte di Cavour, 4 settembre 1860, in: C. Ma-
raldi, op. cit., pp. 208 e 565.
35 R. Salvaggio, op. cit., p. 13.
36 Ivi, pp. 13-16.
37 Ivi, p. 17.
38 Georges Appia, pasteur cit., tomo II, p. 63.
39 “La Buona Novella”, 15 giugno 1862, p. 164. Vedi anche Georges Appia, pa-
steur cit., tomo II, p. 58.
Don Antonino Tagliarini 59

te della propria casa, «sfidando i pregiudizi e l’ostilità»40, e contribuì a


fondare la chiesa valdese di via Ponticello41.
Il rapporto di stima e fiducia si trasformò in amicizia, al punto che
una «piccola merenda fatta a casa di don Antonino»42 diventò un casus
belli e motivo di chiacchiere e polemiche nelle dispute teologiche che
l’Appia dovette sostenere con i sacerdoti cattolici Domenico Turano e
Melchiorre Galeotti. Il Turano, infatti, aveva rimproverato il pastore val-
dese di essere voluto sfuggire al confronto teologico facendo credere di
dover andare a Torino, mentre «egli avea disposto tutto per andare nel
paese nostro di Bagheria»43. Questa «insinuazione» aveva molto altera-
to l’Appia, che aveva smentito duramente44. La reazione esagerata ave-
va scatenato una catena di polemiche, sarcasmi e reciproche accuse45:
il viaggio a Bagheria diventò tema di discussione quasi quanto i prin-
cipi dottrinali46 e l’argomento ritorna nell’opuscolo del Galeotti, come
uno degli «obbliqui artifizi nel Ministro valdese per distornare le con-
troversie dottrinali, schiamazzando di essere stato fieramente offeso»47.
Ma probabilmente il famoso viaggio a Bagheria ci fu e aveva come
scopo un pranzo a casa di don Antonino, come dimostrerebbe anche
una lettera dell’Appia ai suoi familiari, in cui egli accusa il Turano di fal-
sità, calunnie e pettegolezzi sulla sua vita privata, relativi, fra l’altro, al
«mio cuoco Cosimo, la mia domestica, una piccola merenda fatta a ca-
sa di don Antonino»48.
La predicazione dell’Appia è un esempio della prima evangelizzazio-
ne valdese in un ambiente diffidente e ostile: nonostante la reazione del
clero, gli scontri polemici e gli episodi di violenza che sfociarono anche
in assalti al locale di culto49, l’Appia

40 «Enfin Don Antonino Tagliarini, un des premiers prosélytes, qui devien-


dra un pilier de la jeune église, bravant les préjugés et l’hostilité, mit à leur di-
sposition une partie de sa maison» (Georges Appia, pasteur cit., tomo II, p. 58).
41 J.S. Kay, Lettera 7 dicembre 1885 cit.
42 «un petit goûter donné à la maison de don Antonino» (Georges Appia, pa-
steur cit., tomo II, p. 72).
43 D. Turano, Il cattolicismo esposto ai valdesi, ovvero risposta ad una lettera
del signor Cereghino Giuseppe d’Andrea, proselito del pastore valdese, Stamperia
Montes, Girgenti 1874, p. 23.
44 Ivi, p. 327.
45 Ivi, pp. 375-378.
46 Ivi, p. 399.
47 M. Galeotti, op. cit., p. 53.
48 «il est difficile d’imaginer à quel degré l’auteur a su tisser tous les cancans
de la ville sur mon compte, se procurer de minutieux détails sur notre vie de fa-
mille, mon cuisinier Cosimo, ma domestique, un petit goûter donné à la maison
de Don Antonino» (Georges Appia, pasteur cit., tomo II, p. 72).
49 G. Spini, Risorgimento e protestanti cit., p. 353; G. Tourn, Giorgio Appia
cit., p. 54; La Buona Novella cit., p. 164.
60 ANTONELLA VARCASIA

in più circostanze si manifestò desideroso di aiutare l’ambiente eccle-


siastico e civile della città a rinnovarsi. Egli cercò di dare indicazioni
e impulsi, per cui si preoccupò di trovare giusti e buoni rapporti, e so-
prattutto una possibilità di dialogo aperto e fraterno con i siciliani50.

Oltre alla vocazione evangelistica Giorgio Appia aveva quella assisten-


ziale, specialmente nei confronti dei carcerati, per i quali propose alcu-
ne riforme; per gli ammalati, che assistette durante l’epidemia di cole-
ra del 186551; per i soldati feriti, che curò, durante la seconda e la terza
guerra d’Indipendenza, coadiuvando il fratello Luigi nell’organizzazione
di un servizio di assistenza, considerato il prototipo della Croce Rossa52.
È da sottolineare, infine, la sua vocazione democratica e rivoluzionaria:
egli scriveva sul “Precursore”, giornale politico mazziniano53, e mostrò
grande entusiasmo per Garibaldi, quando questi marciò alla conquista
di Roma. La sua visione era però più ampia: egli sosteneva infatti che
«anche quando il potere del papa sarà caduto rimarrà il suo potere spi-
rituale, non è la caduta del papato che farà la riforma d’Italia, ci vuole
un’opera di ravvedimento»54.
Molto diverso da lui fu il pastore scozzese John Simpson Kay, man-
dato in sua sostituzione a Palermo nell’autunno 1863: carattere angolo-
so, dispotico e accentratore, che «prediligeva la predicazione polemica
anziché quella puramente biblica», ottenendo spesso effetti contrari55.
Egli irritava soprattutto gli stranieri, che ritenevano la polemica inutile
e nociva56, ma non era ben visto nemmeno dai siciliani sia perché par-
lava male l’italiano, risultando incomprensibile e noioso57, sia per il suo
egoismo e la smania d’accentramento58, sia per il suo legalismo purita-
no, che imponeva l’osservanza di norme considerate troppo rigide, co-
me quella del riposo domenicale, pena l’esclusione dalla santa Cena59.

50V. Vinay, op. cit., p. 93.


51G. Tourn, Giorgio Appia cit., pp. 55-56.
52 AA.VV., Storia della Croce Rossa in Piemonte dalla nascita al 1914, Franco
Angeli, Milano 2015, p. 360.
53 M. Galeotti, op. cit., p. 284.
54 G. Tourn, Giorgio Appia cit., p. 54.
55 R. Salvaggio, op. cit., p. 26.
56 A.G. Malan, “L’Eco della Verità”, 14 novembre 1863, pp. 3-4.
57 Lettera anonima a Giovanni Pietro Revel, 12 marzo 1869; Lettera di al-
cuni membri di chiesa al sig. Giurà, senza data; Lettera di due membri di chie-
sa alla Commissione evangelica riunita in Firenze, senza data, in: ATV III, 142-
143, Palermo.
58 Lettera anonima a Giovanni Pietro Revel, 12 marzo 1869 cit.
59 Chiesa Evangelica Valdese, Relazione annua sulle opere di evangelizzazio-
ne in Italia presentata al venerabile Sinodo di detta Chiesa sedente in Torre Pellice
il 18 maggio 1869, Claudiana, Firenze 1869, pp. 28-29; Id., Relazione annua sul-
le opere di evangelizzazione in Italia presentata al venerabile Sinodo di detta Chie-
Don Antonino Tagliarini 61

Il suo carattere polemico lo vide protagonista di molti scontri all’in-


terno della comunità: una delle vicende più dure fu quella relativa a Sal-
vatore Ingegnieros Napolitano, un cappellaio che ricopriva un ruolo di-
rigenziale nella massoneria e dirigeva un giornale socialista e massone,
l’“Umanitario”. Sulla stampa questi aveva sostenuto la possibilità di es-
sere nello stesso tempo vero massone e vero cristiano, mentre i valdesi
affermavano l’incompatibilità tra le due visioni del mondo60. A seguito
di un colloquio in cui il pastore si dimostrò critico nei suoi confronti,
egli si separò dalla Chiesa evangelica valdese, dichiarando di voler rima-
nere «libero cristiano evangelico», e provocando la fuoriuscita anche da
parte di altri membri61.
Un’altra polemica vide il Kay al centro di un scandalo per via di un-
dici «apostati», ossia undici evangelici che, nell’aprile 1869, tornarono
al cattolicesimo: per questo il Kay fu oggetto di pesanti ammonizioni da
parte di un giornalista del “Risveglio”62.
Il carattere autoritario del pastore provocò l’abbandono della comu-
nità da parte dei membri stranieri e la richiesta, da parte di quelli italia-
ni, di mandare un nuovo pastore. Ciò causò una grave scissione: infatti,
la comunità intendeva intervenire nella scelta del pastore e chiedeva al
Comitato di evangelizzazione che consultasse preventivamente il Con-
siglio di chiesa, il quale, in base al par. 15 dell’Organamento del 1875,
aveva la soprintendenza generale della chiesa locale. Ma il Comitato non
accettò questa interpretazione e allora nel 1884 tutti i consiglieri, tranne
uno, si dimisero e la comunità perse oltre 40 membri63.
Non si possono addossare unicamente al carattere del Kay le diverse
defezioni della comunità valdese di Palermo: molte di esse furono cau-
sate, come altrove, dalla mancanza di convinzione degli aderenti, che si
erano convertiti per un’affinità superficiale con il movimento evangelico
e non resistettero alla prova del tempo; contribuirono anche l’intolleranza
cattolica e le difficoltà di convivenza con le altre comunità evangeliche.
Inoltre, la chiesa di Palermo era una chiesa difficile, dove, sin dall’ini-
zio, covavano tensioni, rivalità, ripicche, calunnie, malumori, «spiriti di

sa sedente in Torre Pellice il 17 maggio 1871, Claudiana, Firenze 1871, p. 40; Id.,
Relazione annua sulle opere di evangelizzazione in Italia presentata al venerabile
Sinodo di detta Chiesa sedente in Torre Pellice il 7 settembre 1875, Genova 1875,
p. 69; J.S. Kay, Rapporto della stazione di Palermo al Comitato di evangelizzazio-
ne per l’anno 1869-1870, 16 marzo 1870, in: ATV III, 142-143 cit.
60 “L’Eco della Verità”, 7 agosto 1869, pp. 313 e 336.
61 J.S. Kay, Lettere a Giovanni Pietro Revel, 13 gennaio 1870, 19 gennaio 1870,
10 febbraio 1870, in: ATV IX, 62 cit.
62 “Il Risveglio”, 1° maggio 1869, p. 115.
63 V. Vinay, op. cit., p. 95; R. Ferrara, op. cit., p. 58.
62 ANTONELLA VARCASIA

vendetta, d’invidia, di orgoglio e di crassa ignoranza»64 fra i membri di


chiesa, fra questi e i predicatori, nonché fra gli evangelisti stessi. Le let-
tere dei membri della chiesa di Palermo documentano molto bene que-
sto clima65: si parla, fra l’altro, di «camarille» (ossia di combriccole) e si
citano minacce, tumulti, violenze e interventi della polizia per dividere i
facinorosi66. Perfino i giornali parlano «delle vergognose scissure»67 che
hanno trasformato la chiesa di Palermo in una «vera Babele»68.
In ogni caso, John Simpson Kay rimase a Palermo ventiquattro an-
ni, durante i quali ottenne molte conversioni69, aprì scuole gratuite per
i poveri70 e un oratorio per una comunità popolare alle falde del monte
Pellegrino71, costituì diverse società a scopo benefico72, fondò un quin-
dicinale, “Lo specchio della verità”, e affrontò le epidemie di colera del
1867 e del 1885, attivandosi nei soccorsi materiali ed economici attra-
verso la Croce Bianca, di cui era socio73.
I suoi rapporti con il Tagliarini furono ancora più stretti di quel-
li dell’Appia: don Antonino fu per il Kay un vero e proprio braccio de-
stro, ma anche un amico, cui rivolgersi in ogni circostanza per un con-
siglio e un aiuto concreto. Ad esempio, il Tagliarini contribuì in modo
determinante all’acquisto del nuovo locale di culto, inaugurato nel mar-
zo 1880, che occupava metà di Palazzo Cutò, un palazzo nobile situato
nella centralissima Via Maqueda. Il suo acquisto fu possibile grazie al-
le sovvenzioni estere e alle collette dei membri di chiesa; don Antonino
effettuò l’acquisto come prestanome, comprando il locale dal proprie-
tario, il principe di Cutò, e passandolo alla Chiesa valdese tre giorni do-
po. Egli si preoccupò anche di supervisionare i lavori di ristrutturazione
necessari, tenendo i contatti con ingegnere, architetto e capimastri, di-
scutendo per far abbassare i prezzi, mettendo a disposizione la sua ca-
sa per gli incontri, cofirmando il contratto per i lavori, trovando perfino

64 Lettera di Salvatore De Caro, senza destinatario, 30 novembre 1867, in:


ATV III, 142-143 cit.
65 Le lettere dei membri della chiesa valdese di Palermo sono consultabili pres-
so l’Archivio storico della Tavola valdese di Torre Pellice (ATV III, 142-143 cit.)
66 Lettera di Girolamo Papa a Luigi De Sanctis, 26 ottobre 1867, in: ATV III,
142-143 cit.
67 “Il Risveglio”, 1° giugno 1869, p. 121.
68 Ibid.
69 A. Muston, G. Bonnet, E. Meynier (a cura di), op. cit., p. 87; M. Gale-
otti, op. cit., p. 286.
70 M. Galeotti, op. cit., p. 272.
71 J.S. Kay, Relazione sulla chiesa evangelica valdese di Palermo per l’anno
1880-1881, in: ATV III, 142-143 cit.
72 A. Muston, G. Bonnet, E. Meynier (a cura di), op. cit., p. 87.
73 “Il Bollettino della missione della chiesa evangelica valdese”, Roma 1885,
p. 222. Vedi anche J.S. Kay, Lettera a Matteo Prochet, 5 ottobre 1885, in: ATV
IX, 62 cit.
Don Antonino Tagliarini 63

uno scultore cui vendere alcune colonne ritrovate sotto la chiesa. Si im-
pegnò anche in prima persona nella vicenda giudiziaria che coinvolse la
Chiesa valdese contro gli eredi del barone Sutera, i quali reclamavano la
proprietà di un muro di confine del nuovo locale: fornì l’avvocato, tenne
i contatti con i Sutera, con gli avvocati e con gli intermediari, effettuò i
conteggi per le spese da affrontare nella lite, ammalandosi per il dispia-
cere e la rabbia della scandalosa sentenza sfavorevole. E, poiché questa
prevedeva la demolizione del muro, procurò un ingegnere che avrebbe
reso comune il muro, evitandone la demolizione74.
Altri contributi il Tagliarini li diede come anziano del Consiglio di
chiesa, ma anche come consigliere privilegiato del Kay75, che lo con-
sultava su diverse questioni: su uno scambio di evangelisti tra Messina
e Palermo76, sulle dimissioni di un consigliere77, su una pretesa di da-
naro da parte del Mc Dougall, rappresentante della Chiesa libera in Ita-
lia78, su questioni comportamentali di alcuni membri di chiesa79. Come
membro del Consiglio don Antonino partecipò attivamente al contrat-
tacco organizzato contro la Chiesa cattolica nel 1881: poiché questa cer-
cava di conquistare aderenti attraverso le conferenze del gesuita Luigi
Previti e l’istituzione di un nuovo giornale, il Consiglio reagì realizzando
un «giornale occasionale», “La Polemica”, che tenne testa alle conferen-
ze del gesuita per sei mesi, finché il Previti non sospese le conferenze80.
Come si è visto, il Consiglio dovette affrontare, durante il pastorato
del Kay, diversi episodi spiacevoli. Uno di questi riguardò le scuole, do-
ve le tensioni sfociarono nelle dimissioni della Commissione scolastica:
in particolare, un «malaugurato amoreggiamento»81 fra due insegnan-
ti seminò lo scompiglio e fu causa di scandalo, sia perché si trattava di
un «amoreggiamento clandestino»82, sia perché la scuola veniva usata
per fini immorali, sia perché i due amanti sottraevano il tempo all’edu-
cazione dei ragazzi. Si arrivò addirittura alla violenza, quando il fratel-
lo della signorina, un ufficiale, si presentò a scuola armato di revolver,

74 Tutti gli interventi del Tagliarini in: J.S. Kay, Lettere a Matteo Prochet, 13 e
24 aprile 1877, 11 dicembre 1877, 7 gennaio 1878, 4 e 8 aprile 1879, 30 maggio
1879, 20 settembre 1879, 7 gennaio 1881, 2 febbraio 1881, 19, 30 e 31 marzo 1881,
9, 12, 14 e 16 aprile 1881, 17 giugno 1882, 26 gennaio 1883, in: ATV IX, 62 cit.
75 J.S. Kay, Lettera a Matteo Prochet, 29 agosto 1881, in: ATV IX, 62 cit.
76 J.S. Kay, Lettera a Matteo Prochet, 3 ottobre 1879, in: ATV IX, 62 cit.
77 Ibid.
78 J.S. KAY, Lettera 8 aprile 1879 cit.
79 Ibid.
80 J.S. Kay, Relazione sulla chiesa evangelica valdese di Palermo per l’anno
1880-1881 cit.
81 Per il resoconto di tutta la vicenda, vedi Commissione scolastica, Relazio-
ne a Matteo Prochet, 24 settembre 1877, in: ATV III, 142-143 cit.
82 Ibid.
64 ANTONELLA VARCASIA

pretendendo di vedere il maestro. Lo scandalo determinò anche il riti-


ro di alcuni ragazzi dalla scuola e soprattutto fornì materia di scherno
ai cattolici, che «mormorano continuamente contro l’immoralità degli
evangelici»83. Perciò la Commissione scolastica chiese il trasferimen-
to del maestro e il licenziamento della maestra, e, di fronte alla reazio-
ne negativa del Kay, si dimise, lasciando al pastore «tutta la responsa-
bilità del suo illegale procedere»84. Il Comitato appoggiò il Kay, mante-
nendo in servizio la maestra e sollevando quindi il sospetto «che il Co-
mitato cura le proposte dei pastori e trascura quelle delle altre autori-
tà delle Chiese»85.
Ma la vicenda decisiva per il Tagliarini, il Kay e la stessa chiesa val-
dese di Palermo fu la lunga crisi con il Comitato di evangelizzazione. Il
punto fondamentale era la richiesta del Consiglio di avere voce in ca-
pitolo, di godere di una qualche considerazione da parte del Comitato,
che invece faceva piovere dall’alto le sue decisioni. Il Consiglio si appel-
lava al par. 15 dell’Organamento del 1875, che dava diritto ai membri
dei Consigli di chiesa di essere consultati dal Comitato sulla scelta de-
gli «operai» da inviare alla comunità: dalla seduta del Consiglio del 30
settembre 1879, cui partecipò anche don Antonino, scaturì una lettera-
documento in cui si difendeva con argomentazioni giuridiche l’autorità
del Consiglio di esprimersi nella nomina dei pastori86.
La situazione cominciò a precipitare dopo la conferenza distrettua-
le del 1880, perché i consiglieri ritenevano di essere stati trattati «con
ingiustizia e senza riguardi»87 e volevano sottoporre la questione alla
Conferenza generale e al Sinodo. Tuttavia, il Kay temeva ripercussioni
d’immagine negative sulla intera Chiesa valdese, che avrebbero potu-
to provocare «dispiacere e vergogna»88 nei finanziatori stranieri. Per-
ciò tentò di mediare, proponendo una lettera di riconciliazione che il
Comitato avrebbe dovuto mandare al Consiglio, esprimendo dispiacere
per l’accaduto e chiedendo perdono89. Ma il Comitato reagì duramen-
te nei confronti della chiesa di Palermo, sia verso i consiglieri, le cui
pretese erano considerate «incredibili»90, sia verso il pastore, al quale

83Ibid.
84Ibid.
85 Commissione scolastica, Lettera a Matteo Prochet, 11 ottobre 1877, in: ATV
III, 142-143 cit.
86 Consiglio di Chiesa, Lettera a Matteo Prochet, 30 settembre 1879, in: ATV
III, 142-143 cit.
87 J.S. Kay, Lettera a Matteo Prochet, 24 luglio 1880, in: ATV IX, 62 cit.
88 Ibid.
89 Ibid.
90 Commissione di evangelizzazione, Deliberazioni (anni 1860-1886), in: AATV,
Comitato di evangelizzazione, serie 2 – verbali, vol. 1, Deliberazioni della Commis-
sione di evangelizzazione, p. 210.
Don Antonino Tagliarini 65

fu chiesto di scegliere se essere ancora pastore della Chiesa valdese e


agente del Comitato91.
Il Kay rispose positivamente, facendo marcia indietro rispetto alle
sue posizioni iniziali92. In realtà, egli cercava di barcamenarsi tra i due
contendenti, ma si era espresso più volte a favore della sua comunità,
considerando «insoffribile prepotenza»93 quella del Comitato. Tuttavia,
egli si rifiutò sia di seguire i consiglieri dimissionari, sia di sciogliere la
congregazione, come proposto dal Comitato, cioè, in sostanza, allonta-
nare i ribelli, anzi, egli minacciò di stigmatizzare un’eventuale azione
del Comitato in tal senso come un abuso di autorità94. L’unica soluzio-
ne che gli rimaneva era quella di dimettersi: anche in questa occasione
sentì la necessità di parlare della faccenda con don Antonino, per sfrut-
tare la sua influenza e scongiurare la manovra che si stava realizzando95.
Bisogna riconoscere che il Kay tentò di tutto per salvare la sua con-
gregazione: il suo intervento più insistente fu nei confronti del presiden-
te del Comitato di evangelizzazione, Matteo Prochet96, considerato uno
straordinario organizzatore e diplomatico, colui che «costruì per gran
parte, sul piano geografico, la chiesa valdese qual è attualmente»97. Lo
scozzese cercò in tutti i modi e per diversi anni di convincerlo a venire
a Palermo, o almeno a scrivere una lettera per sanare il dissidio tra Co-
mitato e Consiglio: Prochet doveva venire a parlare con don Antonino,

91 Ibid.
92 Ivi, p. 250.
93 J.S. Kay, Lettere a Matteo Prochet, 8 febbraio 1881, 30 marzo 1881, 11 no-
vembre 1881, 20 novembre 1882, 3 marzo 1883, in: ATV IX, 62 cit.
94 J.S. Kay, Lettera 11 novembre 1881 cit.
95 J.S. Kay, Lettera a Matteo Prochet, 14 ottobre 1881, in: ATV IX, 62 cit.
96 Matteo Prochet (1836-1907) fu pastore, presidente del Comitato di evange-
lizzazione dal 1871 al 1906 e rappresentante della Chiesa valdese in Europa, ne-
gli Stati Uniti e in Sudamerica (Matteo Prochet, voce in Società di Studi Valdesi,
Dizionario biografico dei protestanti in Italia). Secondo diversi studiosi fu anche
un affiliato alla massoneria (vedi, ad es., A. Comba, op. cit., p. 88; R. Salvaggio,
op. cit., pp. 29-30; G.B. Furiozzi, Alle origini del massonevangelismo. Massone-
ria e protestantesimo in Italia tra ’700 e ’900, in: M. Novarino (a cura di), L’Ita-
lia delle minoranze. Rapporti tra massoneria, protestantesimo e repubblicanesi-
mo nell’Italia contemporanea, Edizioni Età dell’Acquario, Torino 2003, p. 62; G.
Spini, Italia liberale e protestanti, Claudiana, Torino 2002, p. 155; M. Novarino,
Massoneria e protestantesimo, in: G.M. Cazzaniga (a cura di), Storia d’Italia. An-
nali 21. La Massoneria, Einaudi, Torino 2006, p. 276; tuttavia, un recente studio
di M. Novarino (Evangelici e liberimuratori nell’Italia liberale, Claudiana, Tori-
no 2021, pp. 209-214), pur riconoscendo l’esistenza di stretti rapporti di colla-
borazione tra il Prochet e le logge massoniche, nega l’esistenza di prove certe
sulla sua affiliazione.
97 A. Comba, op. cit., p. 45.
66 ANTONELLA VARCASIA

presentato come il membro più influente e dal carattere irruente: era con
lui che bisognava trattare per risolvere la questione98.
Di contro, il Comitato rimaneva irremovibile sulle sue posizioni, in
difesa della propria autorità. Il pensiero di Prochet era molto chiaro in
proposito: il Comitato era lo stato maggiore preposto a un’armata di cen-
to e più soldati, conosceva i particolari di ogni chiesa ed era quello che
poteva meglio decidere in base ai bisogni di ciascuno, mentre i Consi-
gli di chiesa dovevano limitarsi a reggere la chiesa «nei casi di interim
e servire di guida ad un giovane Evangelista o ad un nuovo, quando lo
richiedono le circostanze»99. Prochet portava esempi di comunità che
si erano sottomesse ai voleri del Comitato, sacrificandosi di buon grado
per la causa comune, e avevano ottenuto grandi successi: «il Signore si
è compiaciuto di benedire il sistema seguito finora e che non si potreb-
be mutare senza pericolo»100.
In realtà, tutta la vicenda dimostra che il governo ecclesiastico valde-
se fuori delle Valli «era accentratore, dimenticava i principi presbiteriani
e non considerava le nascenti congregazioni evangeliche come soggetti
responsabili»101. Questo atteggiamento era giustificato dal compito pre-
cipuo di coordinamento del Comitato, tuttavia, sarebbe bastato un ge-
sto simbolico di avvicinamento. Invece, nonostante le dichiarazioni del
Comitato di aver «esaurito tutti i mezzi suggeritigli dalla carità cristia-
na onde pacificare gli animi inaspriti da cose per le quali ripudia qua-
lunque responsabilità»102, si ha l’impressione che l’intera faccenda non
sia stata ben gestita dai vertici valdesi, non tanto per quanto riguarda il
merito della questione, quanto per la totale assenza di tatto e di diplo-
mazia. Dal punto di vista sostanziale, il Comitato non era tenuto a inter-
pellare i Consigli di chiesa:103 tuttavia, nella situazione di Palermo, sa-
rebbe bastata una visita del presidente del Comitato o una breve lettera
esprimente comprensione e vicinanza per tranquillizzare gli animi esa-
cerbati dall’indifferenza. Questo non avrebbe significato per il Comita-
to perdita di autorità, ma sarebbe stato un segno di attenzione nei con-
fronti di una comunità che chiedeva solo di essere ascoltata. Invece, di
fronte a fatti così gravi, il Comitato rimaneva indifferente, aspettando
che «tosto o tardi gli verranno forniti l’uomo ed i mezzi per giungere ad
una soluzione»104.

98 J.S. Kay, Lettera a Matteo Prochet, 4 ottobre 1880, in: ATV IX, 62 cit.
99 M. Prochet, Lettera a John Simpson Kay, 18 ottobre 1881, in: ATV IX, 62 cit.
100Ibid.
101V. Vinay, op. cit., p. 95.
102 Commissione di evangelizzazione, Deliberazioni. cit., p. 250.
103 J.S. Kay, Relazione sulla chiesa di Palermo per l’anno 1884-1885, in: ATV
III, 142-143 cit.
104 Commissione di evangelizzazione, Deliberazioni cit., p. 230.
Don Antonino Tagliarini 67

4. Il periodo metodista

La soluzione venne dalla stessa chiesa di Palermo e fu brutale: nell’ot-


tobre 1884 il Consiglio di chiesa si dimise in blocco, ad eccezione di un
diacono: si trattava di cinque consiglieri su sei. Quattro di essi, tra cui
don Antonino Tagliarini, si ritirarono anche dalla comunità insieme alle
loro famiglie105. Il Kay manifestò preoccupazione per questa decisione,
anche per il fatto che si trattava di «persone rispettabili ed influenti»106,
e fece di tutto per recuperare la situazione. Si appellò alla gratitudine
verso il Signore e verso gli stranieri che finanziavano la chiesa, ma don
Antonino rispose che l’amore per il Signore «non lo obbligava a stare
soggetto alla tirannia del Comitato»107.
La decisione fu grave, anche perché destabilizzò la comunità e gene-
rò un clima di sfiducia: molti si ritirarono per timore «della discordia e
dello scompiglio che regnava nelle file dei fratelli d’una stessa chiesa»108.
Essa segnò anche un trionfo per la Chiesa cattolica: «un concilio di tut-
to il clero palermitano, il quale avesse voluto trovare il modo di paraliz-
zare l’opera evangelica in questa città, non avrebbe potuto indovinare e
desiderare meglio»109. In quell’occasione il Comitato, invece di fare au-
tocritica, aggravò la situazione, accusando i dimissionari di aver cerca-
to di influenzare gli altri confratelli per creare un movimento in proprio
favore110 e fece firmare ai restanti membri della chiesa valdese di Pa-
lermo un documento in cui essi riconoscevano la totale supremazia del
Comitato: un documento inquietante, a metà tra un atto di sottomissio-
ne e una confessione di fede111.
L’allontanamento del Tagliarini venne a costituire per il Kay una
«spina nelle carni»112: egli continuò a cercarlo e a tentare un riavvicina-
mento, tanto era «rattristato della perdita che facciamo di una preziosa
famiglia»113. Ma la faccenda non si risanò, nemmeno con i tentativi di
intermediazione della figlia di Antonino, Francesca, che, pur criticando
gli eccessi degli ex consiglieri, rimproverò i membri del Comitato per il
loro atteggiamento di indifferenza e, appellandosi al perdono recipro-

105 J.S. Kay, Lettera a Matteo Prochet, 18 ottobre 1884, in: ATV IX, 62 cit.
106 Ibid.
107 Ibid.
108 A. Muston, Chiesa di Palermo. Relazione annua al Comitato, 1° luglio 1886,
in: ATV III, 142-143, Palermo.
109 Ibid.
110 Deliberazioni della Commissione di evangelizzazione cit., p. 250.
111 Il documento è consultabile in: J.S. Kay, Relazione sulla chiesa di Paler-
mo per l’anno 1884-1885 cit.
112 A. Muston, Lettera a Matteo Prochet, 21 dicembre 1885, in: ATV IX, 138.1,
(anni 1878-1897), Muston Arturo.
113 J.S. Kay, Lettera 18 ottobre 1884 cit.
68 ANTONELLA VARCASIA

co, chiese al presidente del Comitato di venire urgentemente a Palermo,


per offrire un gesto di apprezzamento nei confronti degli ex consiglie-
ri114. L’iniziativa di Francesca non sortì alcun effetto e il Kay manifestò
preoccupazione per i tentativi della chiesa metodista di approcciare gli
ex consiglieri, offrendo loro un ambiente confortevole ed elegante, una
«chiesa dei ricchi»115, sostenuta com’era dai fondi inglesi. E infatti il 16
dicembre 1884 l’intera famiglia di don Antonino passò alla chiesa me-
todista, seguita da diversi altri membri della chiesa valdese116. La fram-
mentazione denominazionale117 favoriva passaggi da una chiesa all’altra,
pentimenti e ritorni: questi, tuttavia, non riguardavano i principi essen-
ziali della fede, ma «le scelte per viverla, o tutt’al più – sul versante teo-
logico – preferenze ecclesiologiche»118, dato che la formazione teologica
non era profonda e «la predicazione genericamente biblica e spiritualista
non si differenziava sostanzialmente da una denominazione all’altra»119.
Anche il Muston, subentrato al Kay, tentò inutilmente un riavvici-
namento: colpito dal carattere scorbutico di don Antonino, lo definisce
«freddo e riservatissimo»120, «un tipo curioso»121, che il Kay ha abitua-
to «a tanta degnazione, come se fosse un “principotto”»122.
L’ostinazione dei membri del Consiglio è ben spiegata:

Noi evangelici del mezzogiorno, che vivemmo tanto tempo sotto l’op-
pressione politica e religiosa, troviamo molte analogie tra la libertà
politica e quella religiosa. Se lo Statuto ci garantisce la nostra libertà
personale, l’Evangelo ci franca, e se lo Statuto ci fa solamente servi
della legge, di certo l’Evangelo non ci fa schiavi che del comune pat-
to sotto il quale abbiamo deciso vivere uniti. Noi vogliamo vivere sot-
to il comune patto, al quale però tutti devono sottostare. Noi voglia-
mo rispettare le istituzioni e ci vogliamo stare attaccati. Ma se l’Or-
ganamento deve essere come quella tale rete che incappava i pescio-
lini e faceva andare via i grossi, allora non abbiamo dimenticato an-
cora il glorioso grido del Re che iniziò l’indipendenza d’Italia: «L’Ita-
lia farà da sé»123.

114 Lettera di Francesca Tagliarini, senza destinatario, 6 dicembre 1884, in:


ATV III, 142-143 cit.
115 J.S. Kay, Lettera a Matteo Prochet, 4 aprile 1885, in: ATV IX, 62 cit.
116 Id., Lettera a Matteo Prochet, 4 marzo 1885, in: ATV IX, 62 cit.
117 Giorgio Spini usa la felice immagine del «vestito di Arlecchino» (G. Spi-
ni, Risorgimento e protestanti cit., p. 343).
118 S. Nitti, Il sogno protestante, in: Cristiani d’Italia cit., vol. 1, p. 189.
119 V. Vinay, op. cit., p. 120.
120 A. Muston, Lettera a Matteo Prochet, 18 dicembre 1885, in: ATV IX, 138.1 cit.
121 Id., Lettera 21 dicembre 1885 cit.
122 Ibid.
123 Commissione scolastica, Lettera 11 ottobre 1877 cit.
Don Antonino Tagliarini 69

Con queste premesse ideologiche, era inevitabile che l’indifferenza


del Comitato fosse così umiliante da determinare la decisione di dimet-
tersi non solo dal Consiglio, ma anche dalla comunità di Palazzo Cutò
e perfino dalla Chiesa valdese, segnando così il passaggio della famiglia
Tagliarini alla Chiesa metodista wesleyana.
Com’è noto, i primi metodisti comparvero in Italia nel 1816, a Firen-
ze, ma solo nel 1861, con l’invio di Henry James Piggott, ebbe inizio la
vera e propria attività evangelistica wesleyana in Italia. I metodisti epi-
scopali americani giunsero invece solo dopo il 1870.
La comunità metodista wesleyana di Palermo, fondata nel 1874124,
era stata retta fino al maggio 1877 dal pastore Gaetano Zocco125. All’ini-
zio contava una ventina di persone, quasi tutti artigiani, ma s’ingrandì
dopo l’arrivo di Saverio Fera. Calabrese e garibaldino, allievo di Pietro
Taglialatela, Fera si era convertito grazie ai wesleyani nel 1872, diven-
tando pastore metodista prima a Napoli e poi appunto a Palermo, do-
ve arrivò nel 1879. «Assoluto come un papa, duro come un birro, spie-
tato come un esattore delle imposte»126, egli è legato alla storia sia del-
la Chiesa libera sia della Chiesa metodista, ma anche della massoneria,
cui era stato iniziato proprio a Palermo.
Nella massoneria il Fera ebbe un ruolo determinante: oltre al fatto
che ricopriva importanti incarichi gerarchici e godeva del titolo di So-
vrano Gran Commendatore, fu uno dei promotori dello scisma che nel
giugno 1908 staccò dal Grande Oriente d’Italia un diverso filone che si
rifaceva al Rito scozzese antico e accettato127. Nel 1887, quando i we-
sleyani lo trasferirono a Cremona, passò alla Chiesa libera, che lo accol-
se perché era un «pezzo grosso della massoneria, bene ammanigliato
con le consorterie politiche facenti capo a Crispi»128. Allora la massone-
ria era molto diffusa, anche fra gli evangelici: i metodisti, gli episcopali
americani e i liberi erano più disposti al compromesso e alla collabora-

124 G. Cerrito, op. cit., p. 74.


125 Gaetano Zocco, voce in Società di Studi Valdesi, Dizionario biografico dei
protestanti in Italia.
126 D. Borgia, Agli onorevoli signori rappresentanti alla prossima XXI Assem-
blea Generale della Chiesa Evangelica d’Italia, Milano, 1895, p. 13; G. Spini, L’E-
vangelo e il berretto frigio cit., p. 192. Vedi anche G. Spini, Reverendo e massone.
Il ruolo di Saverio Fera nella composita geografia dell’Italia evangelica, in: M. No-
varino (a cura di), L’Italia delle minoranze cit., p. 85.
127 Sullo scisma massonico del 1908 e sul ruolo del Fera, vedi in part. G. Spi-
ni, Italia liberale e protestanti cit., pp. 286-290; A. Comba, op. cit., pp. 74-92; F.
Chiarini, Storia delle chiese metodiste in Italia. 1859-1915, Claudiana, Torino
1999, pp. 138-140; M. Novarino, Evangelici e liberimuratori cit., pp. 384-412.
128 G. Spini, L’Evangelo e il berretto frigio cit., p. 173; Id., Italia liberale cit., p.
175; Id., Reverendo e massone cit., p. 75.
70 ANTONELLA VARCASIA

zione129, mentre i valdesi furono a lungo contrari130. Sul piano religio-


so c’era diffidenza, ma diversi furono gli evangelici, anche di un certo
nome, che, spinti da varie motivazioni, entrarono a farne parte, dando
vita al fenomeno noto come «massonevangelismo»131.
Anche nella Chiesa libera Fera svolse un ruolo importante, cercando di
salvarla dalla profonda crisi in cui era caduta per motivi finanziari e per
le tensioni interne132, ricorrendo a tutti i mezzi possibili, compresi prov-
vedimenti discutibili133, finché dovette rassegnarsi al fallimento, ottenen-
do da entrambe le denominazioni metodiste la spartizione di quello che
rimaneva della Chiesa evangelica italiana134: la chiesa di Palermo toccò
ai wesleyani e lo stesso Fera rientrò nei ranghi della Chiesa metodista.
Dopo le dimissioni del Consiglio della chiesa valdese di Palermo, an-
che il Kay decise di abbandonare la congregazione. Il Comitato gli ad-
dossava la colpa dell’accaduto; aveva nemici dentro e fuori la chiesa e
la comunità chiedeva un cambiamento di pastore e di indirizzo135. Nel
1886 il Comitato mandò a Palermo il pastore Arturo Muston, trasferen-
do il Kay a Termini Imerese. Questi, allora, si staccò dalla Chiesa valde-
se e formò una propria congregazione, portandosi dietro alcuni fedeli
della chiesa di Palermo, quegli stessi che si erano allontanati nel 1884,
in primis don Antonino Tagliarini136.
All’inizio il Kay ottenne dal Fera l’utilizzo della chiesa metodista per
tenere i propri culti. Questo «mostruoso ed ibrido connubio»137 destò
molto sconcerto nella chiesa valdese, in particolare nel Muston, perché
i rapporti tra il Fera e il Kay non erano mai stati dei migliori: ognuno
accusava l’altro di volergli sottrarre i fedeli e non erano mai riusciti di-

129 V. Vinay, op. cit., p. 98; P. Ricca, Le Chiese protestanti cit., p. 68; G. Spini,
Profilo storico della presenza metodista in Italia, in: F. Chiarini (a cura di), Il Me-
todismo italiano (1861-1991), Claudiana, Torino 1997, p. 16.
130 A parere di Gangale la resistenza dei valdesi era dovuta più al segreto
massonico e all’interesse politico che alla consapevolezza di un’incompatibilità
di fondo (G. Gangale, op. cit., p. 61).
131 G. Gangale, Consensi e dissensi, “Conscientia” 29, 19 luglio 1924. M. No-
varino (Evangelici e liberimuratori cit., p. 9) preferisce sostituire il termine con
quello di «evangelmassonismo», data la maggiore frequenza di evangelici affi-
liati alla massoneria rispetto a liberimuratori convertitisi alla fede evangelica.
132 G. Spini, L’Evangelo e il berretto frigio cit., p. 192.
133 Ivi, p. 217.
134 Nel 1899 la Chiesa libera aveva mutato nome in Chiesa evangelica italia-
na per sottolineare il suo carattere nazionale.
135 B. Pons, Relazione sulla chiesa evangelica valdese italiana di Palermo, apri-
le-maggio-giugno 1872, in: ATV III, 142-143 cit.
136 Chiesa Evangelica Valdese, Relazione annua sulle opere di evangelizzazio-
ne in Italia ed all’estero presentata al venerabile Sinodo di detta Chiesa sedente in
Torre Pellice dal 5 al 9 settembre 1887, Pinerolo 1887, pp. 75-78.
137 A. Muston, Lettera a Matteo Prochet, 30 novembre 1886, in: ATV IX, 138.1 cit.
Don Antonino Tagliarini 71

versi tentativi di collaborazione138. Il Kay aveva sempre espresso una


pessima opinione nei confronti del Fera, mentre ora i due andavano «a
braccetto»139 e sembravano «fratelli siamesi, riuniti dalle membrane
ipocondriache della glandola biliare»140. Inoltre, il Kay cominciò a fa-
re opera di proselitismo presso i suoi vecchi parrocchiani: recuperato
il Tagliarini e gli altri ex consiglieri, teneva riunioni in casa per gettare
«le basi della novella Chiesa libera indipendente e democratica»141, che
prevedevano un ordinamento il cui primo articolo disponeva l’esclusiva
e integrale dipendenza del pastore dal Consiglio di chiesa.
La colpa di tutta la vicenda è attribuita dal Muston agli ex consiglieri,
soprattutto il Tagliarini, che avrebbero abbindolato il loro vecchio pasto-
re: «siamo con dei siciliani, camorristi nell’anima e che anche nelle co-
se della Chiesa arrecano quei raggiri, quei mezzi illeciti […] e con le mi-
naccie di dimostrazioni, di rivoluzioni, ottengono o cercano di ottenere
quel che vogliono!»142. E ancora: sono «un popolo che è passato senza
transizione dall’abbiettezza dell’oppressione all’intera libertà, essi con-
fondono questa con l’anarchia […] faziosi per natura e cospiratori, pre-
diligono le quistioni, le opposizioni»143; sono «una fazione di ribelli ad
ogni principio d’ordine e d’autorità»144. Le lettere del Muston al presi-
dente Prochet contengono commenti ironici, riferiscono sospetti, rive-
lano addirittura indagini da poliziotto sul comportamento del Kay145. E
le malignità non risparmiano nemmeno la moglie del pastore, accusata
di aver trattenuto denaro raccolto per le scuole, né don Antonino, in oc-
casione di un culto da lui presieduto: «Oh potenza dell’odio, trasforma
dei freddisti e indifferenti in predicatori!»146, mentre i separatisti ven-
gono definiti «pecore scabbiose»147 da tenere lontane. Muston stigma-
tizza soprattutto i tentativi di convincere i membri della chiesa valdese
ad aderire alla nuova congregazione puntando sulla solidarietà dovuta
al Kay, insultato e maltrattato dal Comitato148, e riferisce con amarezza
un commento del Tagliarini al rifiuto di un’ex parrocchiana ad abban-

138 J.S. Kay, Rapporto della stazione di Palermo al Comitato di evangelizzazio-


ne per l’anno 1879-1880, in: ATV III, 142-143 cit.; Id., Relazione sulla chiesa evan-
gelica valdese di Palermo per l’anno 1880-1881 cit.
139 A. Muston, Lettera 30 novembre 1886 cit.
140 Id., Lettera a Matteo Prochet, 7 marzo 1887, in: ATV IX, 138.1 cit.
141 Id., Lettera a Matteo Prochet, 3 dicembre 1886, in: ATV IX, 138.1 cit.
142 Ibid.
143 Ibid.
144 Id., Lettera a Matteo Prochet, 10 dicembre 1886, in: ATV IX, 138.1 cit.
145 Id., Lettera 7 marzo 1887 cit.
146 Ibid.
147 A. Muston, Chiesa di Palermo. Relazione annua al Comitato, 1° luglio 1886 cit.
148 Id., Lettera 10 dicembre 1886 cit.
72 ANTONELLA VARCASIA

donare la chiesa valdese di Palermo: «Come potete voi donne andare a


sentire un uomo come il sig. Muston che non è ammogliato!»149.
La costituzione di una chiesa autonoma non era però così semplice:
la Chiesa unita presbiteriana non riconobbe la nuova congregazione e
le rifiutò l’aiuto economico, non considerando prudente incoraggiare un
movimento che sembrava in opposizione alla Chiesa valdese, con la qua-
le invece essa manteneva contatti da anni e alla quale forniva fondi150.
Del resto, il Kay incontrò la morte all’improvviso appena un anno dopo,
nel novembre 1887. A questo punto il Fera si riprese il suo gruppetto e
lo gestì fino al 1888, anno in cui passò alla Chiesa libera.
Da allora non sappiamo più nulla di Antonino Tagliarini, la cui sto-
ria, pur nella sua marginalità rispetto ai grandi nomi dell’evangelismo
italiano, può essere considerata paradigmatica del recepimento e della
successiva trasmissione, attraverso l’ambiente familiare, dei valori del-
la fede evangelica e delle tensioni che sin dall’inizio ne accompagnaro-
no la diffusione.

Antonella Varcasia

149
Ibid.
150
Report al Sinodo della Chiesa Unita Presbiteriana, maggio 1887, in: ATV
IX, 62 cit.
RECENSIONI

nuovo testamento che sta acquistando sempre maggiore


spazio sia nel campo degli studi lette-
rari che in quello degli studi biblici:
Pasquale Basta, Prima lettera ai Corinzi. l’analisi retorica. Questa, a differenza
Edificare nella difficoltà, EDB, Bolo- dell’analisi storico-critica, che scava a
gna 2020, pp. 192, € 20,00. fondo ogni singolo versetto, affronta
Pasquale Basta, Seconda lettera ai Co- il testo come un tutt’uno e, rimanen-
rinzi. Un apostolato a misura di Dio, do per così dire in superficie, descri-
EDB, Bologna 2021, pp. 200, € 20,00. ve le dinamiche interne del discorso
in funzione dei risultati che l’autore
A distanza di pochi mesi uno dall’al- dello scritto desidera raggiungere. Ciò
tro, Pasquale Basta, presbitero, pro- permette di cogliere una certa coeren-
fessore di teologia biblica alla Ponti- za e continuità nel pensiero di Paolo,
ficia Università Urbaniana e autore di benché la stesura delle lettere possa
numerosi saggi su diverse riviste, ha essere stata frammentata, e consente
fatto uscire presso l’Editrice EDB due al Basta anche di difendere l’apostolo
brevi commentari alle Epistole di Pa- Paolo contro varie critiche, spesso su-
olo ai Corinzi. Il fatto di questa qua- perficiali (quali un suo maschilismo
si contemporaneità risulta molto uti- becero o un suo antisemitismo), che
le, in quanto permette al lettore di se- gli sono piovute addosso nel tempo.
guire tutto il percorso dell’apostolo nel Inoltre, e questo è forse l’aspetto per
suo rapporto, sempre travagliato, con me più interessante, il Basta mostra
questa comunità ricca di doni e di di- in Paolo non solo un utilizzo sapien-
visioni. È un fatto ormai assodato che te e coerente della retorica classica,
i testi entrati nel canone nella veste di ma anche di quella rabbinica, di cui
due epistole siano in realtà il risulta- per formazione era intriso. È dunque
to dell’assemblaggio di diversi bigliet- attraverso questo percorso che si può
ti e lettere scritti da Paolo nell’arco di cogliere quello che abbiamo definito
almeno un paio di anni. Tuttavia, se il il «metodo» di Paolo. Scrive il nostro
dato generale pare essere ampiamente autore: «Paolo non ama creare nuove
accolto dalla critica, rimane controver- regole, quanto piuttosto innescare nei
sa la suddivisione del testo, come te- credenti processi di riflessione umana
stimoniato dalle molte ipotesi messe e spirituale, perché essi giungano con
in campo, per cui la ricerca è ancora autonomia, dopo aver ascoltato lo Spi-
lontana dall’essere conclusa. rito Santo che si muove dentro di loro
Il Basta qui precisa che non inten- a operare scelte sagge rispetto a situa-
de proporre un «nuovo» commenta- zioni, comunitarie o individuali, pro-
rio in senso classico alle due lettere ai blematiche [...]. Non si può non rima-
Corinzi, essendocene già molti in com- nere ammirati nell’apprezzare la capa-
mercio di notevole spessore. Egli vuo- cità con cui Paolo rileva come, all’in-
le piuttosto presentare il «metodo» che terno di una situazione problematica,
l’apostolo usa nella discussione con i vi siano sempre elementi sui quali po-
suoi interlocutori e lo fa utilizzando ter lavorare nella direzione di una cre-
uno strumento relativamente recente scita spirituale, sia a livello personale
Protestantesimo 77:1 - 2022
74 recensioni

che comunitario. Questo metodo pao- versari vengono individuati dall’autore


lino è una costante di I Cor., ma più in nei «giudeocristiani di marca zelota, i
generale dell’epistolario tutto» (I Cor. quali volevano sdoganare, tramite l’a-
pp. 92 e 102). postolo, il panebraismo e diffonderlo
Questo tipo di analisi del testo, che cavalcando il grande successo che la
abbiamo definito «lineare», lascia pe- missione cristiana andava man mano
rò degli spazi vuoti, in quanto sorvola ottenendo nei territori pagani dell’Im-
su alcuni temi per i quali si vorrebbe pero» (II Cor. pp. 186 e segg). Ma que-
un approfondimento maggiore e una sta tesi mi sembra ancora da verificare
presa di posizione dell’autore. Mi rife- nei dettagli, anche se pare chiaro che
risco in particolar modo al tema del- il tema della Legge fosse dirimente nel
la Cena del Signore di I Cor. 11,23-25. dibattito a Corinto. Questo stesso ar-
Questi versetti vengono giustamente gomento, il rapporto con l’ebraismo,
inseriti dal Basta nel contesto dei «di- dà poi lo spunto al Basta per una po-
sordini nei culti», ma, quando si arriva lemica presa di posizione nei confronti
alle parole di Gesù sulla «istituzione», di Lutero e del suo atteggiamento ne-
egli si limita a dire che Paolo segue la gativo nei confronti degli ebrei, a cui
tradizione antiochena (come Luca e di- contrappone la recente New Perspective
versamente da Marco e Matteo che se- on Paul che, sulla base soprattutto de-
guono una tradizione gerosolimitana). gli studi di Stendhal, Sanders e Dunn,
Ci si aspetterebbe qualcosa di più, vi- i quali hanno offerto nuovi strumenti
sta l’importanza di queste parole nella per la comprensione dell’ebraismo del
storia teologica e spirituale dei cristia- i secolo, offre una visione molto più
ni e visto che questo tema ha diviso la ampia, articolata e positiva del giudai-
cristianità ed è ancora quanto mai at- smo. Ma, scrive il Basta: «Il riformato-
tuale nel dibattito ecumenico. Si ha la re [Lutero] si propone nella veste di un
sensazione di una certa reticenza, come nuovo Paolo, campione dell’evangelo
sul tema dell’ecclesiologia, quando si e di una religione sola fide, sola gratia,
afferma che «non vi può essere gerar- solus Christus [corsivo dell’autore], at-
chia alcuna davanti a Dio e alla croce to a combattere contro i nuovi farisei
di Cristo» (I Cor. pp. 33 e 48), ma non del suo tempo [identificati nella Chie-
si procede oltre. È mio parere che, vi- sa di Roma]» (II Cor. p. 182). Se è un
sto che la dogmatica troppo spesso se- dato certo che Lutero, come pratica-
gue sue convenzioni e tradizioni, sen- mente tutti al suo tempo, avesse una
za tenere sufficiente conto dei progres- visione parziale e preconcetta dell’e-
si dell’esegesi, sia compito dell’esegesi braismo, sembra difficile però pensare
indicare dei percorsi di riflessione bi- che la sua concentrazione sul sola gra-
blicamente fondati alla chiesa tutta. tia rappresenti soltanto «un cratere la-
Vi è poi il tema, anch’esso molto di- terale» del pensiero paolino, per usare
scusso, su chi fossero gli avversari di l’immagine di A. Schweitzer. Si veda al
Paolo a Corinto. Per quanto riguarda riguardo la severa risposta a Stendhal
la I Cor., il Basta li individua negli en- da parte di Käsemann, il quale osserva
cratiti, che propugnavano l’astinenza che non si possono giocare una con-
sessuale, o, al suo opposto, una sepa- tro l’altra le carte della giustificazione
razione tra anima e corpo che rende- e quella della storia della salvezza; al-
va indifferente ogni tipo di comporta- trimenti − afferma Käsemann − anche
mento sessuale, come nel caso dell’in- la croce di Cristo perderebbe il proprio
cestuoso del cap. 5. Nella II Cor. lo sce- posto centrale e tutto si distorcerebbe.
nario sembra cambiare, per cui gli av- Questa osservazione vale tanto più in
Protestantesimo 77:1 - 2022
recensioni 75

quanto il Basta stesso descrive gli av- fondamentali di fonologia, morfologia


versari di Paolo, come abbiamo detto, e sintassi necessari alla comprensione
come dei nazionalisti ebraici che, nel- del copto, con particolare rilievo alle
la loro visione panebraista, vogliono due varianti dialettali più diffuse: il sa-
rimettere al centro la Legge. hidico e il bohairico.
L’epistolario corinzio si mostra an- Infine, il volume è completato da
cora, dunque, come un cantiere aper- una notevole crestomazia, accompa-
to, particolarmente utile per la rifles- gnata da analisi grammaticale e tra-
sione in un tempo di profonde trasfor- duzione italiana, di esempi tratti da
mazioni come il nostro. vari contesti di espressione della lin-
gua: da brani evangelici a trattati ma-
Paolo Ribet
nichei, passando per testi di carattere
agiografico, fino a testimonianze epi-
grafiche e documenti papiracei, of-
storia frendo così un’ampia panoramica sui
diversi generi letterari in cui si attesta
la lingua copta nelle sue varietà dialet-
Paola Buzi, Agostino Soldati, La lingua tali principali, senza tralasciare brani
copta, «Lingue antiche del Vicino esemplari in mesokemico, licopolita-
Oriente e del Mediterraneo», Hoe- no, e fayyumico, e presentando persi-
pli, Milano 2021, pp. 365, € 34,90. no un dotto e curioso tentativo di uso
moderno della lingua copta a opera
dell’eminente studioso torinese Ame-
L’ottimo volume di Paola Buzi e deo Peyron nel 1842.
Agostino Soldati colma una conside- Se certamente saranno maggiormen-
revole lacuna nell’ambito degli studi te gli egittologi o i linguisti ad avvalersi
di coptologia in Italia. Era dalla pub- con profitto di alcune delle sezioni del
blicazione degli essenziali Elementi di volume che stiamo presentando, anche
grammatica Copto-Saidica di Tito Or- gli studiosi di Nuovo Testamento e più
landi nel 1983 che nel nostro paese in generale di Storia del cristianesimo
mancava uno studio completo sull’ul- vi troveranno un punto di riferimento
tima fase della lingua egiziana. essenziale, dal momento che la cono-
Il volume è diviso essenzialmente in scenza del copto si rivela sempre più
tre parti. Nella prima, a cura di Paola significativa anche nelle facoltà di teo-
Buzi, si presenta una esaustiva intro- logia, sia per lo studio della trasmissio-
duzione storica sull’origine e il conte- ne testuale biblica e del cristianesimo
sto di diffusione della lingua copta ag- antico, sia per lo studio di quel com-
giornata agli studi più recenti, a cui se- plesso mondo di fenomeni religiosi e
gue una notevole sezione dedicata agli filosofici che viene ascritto alla gnosi.
strumenti di ricerca oggi a disposizio- Per questo, anche il teologo trove-
ne di chi volesse cimentarsi nello stu- rà nella prima parte, a carattere stori-
dio del copto e dei fenomeni culturali co, una delle disamine tra le più chia-
a esso connessi. re, aggiornate e complete attualmen-
Nella seconda parte, a cura di Ago- te a nostra disposizione, ma anche,
stino Soldati, si presenta il vero e pro- nell’impianto generale della trattazio-
prio nucleo del volume, che offre una ne grammaticale del volume, un’agile
assai dotta trattazione storico-linguisti- e precisa opera di consultazione.
ca, senza dubbio rilevante per chiunque Nonostante tutte queste premesse,
si occupi di egittologia, storia della lin- probabilmente il volume risulterebbe
gua araba o greca, nonché gli elementi abbastanza complesso per l’autodidat-

Protestantesimo 77:1 - 2022


76 recensioni

ta che fosse completamente a digiuno tà del processo di trasmissione (mano-


di copto e non possedesse una pregres- scritta prima e poi stampata) dei detti
sa formazione linguistica; del resto, se di Lutero e inoltre della funzione che
forse manca dell’immediatezza di cor- la memoria della sua persona poteva
si pratici in lingua inglese come quel- assolvere nelle circostanze storiche in
li di B. Layton, Coptic in 20 Lessons, cui sono stati raccolti. Per forza, que-
Peeters Publishers, Leuven 2007, e T. sta funzionalità ha avuto ripercussio-
Lambdin, Introduction to Sahidic Cop- ni non solo sulla selezione, ma anche
tic, Mercer University Press, Maco 1983, sulla formulazione dei detti di Lutero
il nostro volume presenta una ricchez- messi per iscritto.
za e una precisione che supera di gran I capitoli introduttivi riassumono
lunga quelle dei citati corsi di lingua. lo stato della ricerca sui discorsi a ta-
Per questa ragione, La lingua copta vola e offrono riflessioni sul loro gene-
costituisce un essenziale punto di rife- re letterario e Sitz im Leben. In linea
rimento per tutti coloro che, forse do- di massima, essi rientrano tra gli apo-
po una prima introduzione, desiderino phthegmata di persone famose. La se-
un solido strumento di approfondimen- de conviviale nella casa di Lutero è da
to e consultazione a carattere storico, un lato ben testimoniata, ma ciò non
linguistico e grammaticale, in italiano, vuole dire, dall’altro, che essa non sia
sull’ultima fase della lingua egiziana. diventata un luogo comune adoperato
Vittorio Secco anche per memorie che originariamente
erano collocate in circostanze diverse.
L’analisi delle fonti si concentra su
Ingo Klitzsch, Redaktion und Memo- tre corpi relativamente tardivi: 1) quel-
ria. Die Lutherbilder der „Tischre- lo costituito principalmente dal codi-
den“, «Spätmittelalter, Humanismus, ce Gotha Chart. A 402 del 1551; 2) la
Reformation» 114, Mohr Siebeck, raccolta dei teologi Anton Lauterbach
Tübingen 2020, pp. xii + 635, € e Josph Hänel (il manoscritto fondan-
119,00. te – D 116 2° delle Franckesche Stiftun-
gen a Halle – è del 1560); e 3) la raccol-
Questa corposa monografia è una ta di Johannes Aurifaber, pubblicata in
tesi di abilitazione all’insegnamento stampa nel 1566. Quest’ultima costituì
accademico, accolta dall’università l’opera principale di riferimento per i
di Tübingen ma prodotta in una joint discorsi a tavola di Lutero prima del-
venture con l’Augustana Hochschule la pubblicazione delle edizioni critiche
di Neuendettelsau. La ricerca prende dell’Otto- e Novecento.
spunto dalla richiesta di un approccio La rappresentazione di Lutero che
nuovo nell’interpretazione dei discor- emerge dal primo corpo, tradizional-
si a tavola di Lutero. Tale impulso era mente messo in rapporto con Hiero-
stato lanciato da Volker Leppin, che nel nymus Weller (senza che ce ne siano,
2013 curò la raccolta Martin Luthers però, delle evidenze univoche), è con-
Tischreden. Neuansätze der Forschung dizionata, come mostra questa ricerca,
(«I discorsi a tavola di Lutero. Approcci dalle circostanze politiche dell’Interim
nuovi della ricerca»). Dal punto di vista imposto dall’imperatore Carlo V dopo la
metodologico, si tratta dell’esigenza di Guerra smalcaldica. Chi è responsabile
superare il riferimento ingenuo a que- per la redazione della raccolta mostra
sto tipo di fonte per ricavarne informa- una presa di posizione a favore della
zioni sulla biografia di Lutero. Bisogna, dinastia ernestina, che in queste circo-
invece, prendere atto della complessi- stanze aveva perso la dignità elettorale
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e la città di Wittenberg. Lì, oramai sot- 95 Tesi. Appare oramai consolidata la


to il governo del ramo albertino della distanza dai «papisti» e da quelle cor-
casata dei Wettin, Melantone continuò renti che oggi vengono definite come
a insegnare e Georg Rörer istituì – con la «Riforma radicale». Melantone, in-
l’edizione wittenberghese delle opere di vece, compare come una persona do-
Lutero – una memoria del riformatore tata di elevata autorevolezza.
focalizzata sui primi anni della Rifor- L’edizione di Aurifaber, infine, fu
ma, con le sue affermazioni possibili- pubblicata nel 1566 a Eisleben come
ste su un certo tipo di riconoscimen- parte integrante di un progetto edito-
to del papato. La memoria codificata riale più grande degli scritti di Lutero.
nel codice di Gotha pone una sorta di Il curatore era legato alla corte ernesti-
antitesi: è privilegiato il Lutero «an- na, motivo per cui è difficile, secondo
ziano», il che anticipa l’orientamento Klitzsch, interpretare questo volume
dell’edizione di Jena delle sue opere; come espressione di una memoriali-
nei confronti di Melantone, invece, si stica specifica coltivata nel ducato di
mostra qualche riserva. Per di più, il Mansfeld. Aurifaber presenta se stesso
papato è percepito in maniera catego- come discepolo autorevole di un pro-
ricamente negativa. In base a confron- feta escatologico per criticare lo sta-
ti oculati della versione di Gotha con tus quo delle chiese protestanti, se-
testimonianze precedenti dei discorsi condo lui non confacente al recupero
a tavola, risalenti in particolare a Veit del vangelo avvenuto con Lutero. Per
Dietrich e Conrad Cordatus, l’autore il- il curatore, l’antipapalismo non è più
lustra l’impatto di questo orientamen- motivato da esperienze storiche ma
to sulle singole formulazioni. Tuttavia, è questione di principio. La figura di
il corpo «welleriano» non riporta ne- Melantone è quasi assente, il che cor-
anche le specificità della memoria di risponde alla mancanza di contatto
Lutero ribadite nello stesso periodo a tra lui e il curatore della raccolta. In-
Magdeburg dal gnesioluterano Mattia fine, Lutero è presentato anche come
Flacio Illirico, che narrava ad esempio modello di condotta cristiana nelle av-
– a fini apologetici – la «morte beata» versità della vita e come paradigma di
del riformatore. un buon padre di famiglia. In questo
Il secondo corpo, prodotto solo alcu- senso, l’opera di Aurifaber compie un
ni anni più tardi, non risente più della passo in avanti nell’idealizzazione del
crisi dell’Interim. La sua raccolta può riformatore.
essere localizzata nei dintorni della cit- In sintesi, i tre corpi sono interpre-
tà albertina di Pirna. Ora l’interesse si tati come espressioni di «culture» di-
focalizza sulla persona di Lutero, deli- vergenti di commemorazione di Lute-
neato come «dottore» per antonomasia ro. Secondo l’autore è per questo ne-
e figura profetica in un momento chia- cessario un cambio di prospettiva nel-
ve della storia della salvezza. Di con- la ricerca sui discorsi a tavola: «Biso-
seguenza, una particolare attenzione è gna indagare meno sul loro contenuto
dedicata, come fece anche Rörer, ai pri- materiale come ipsissima vox Luthe-
mi anni della Riforma. In quest’ottica ri. Bisogna invece metodologicamente
anche il «martirio» di Lutero, dovuto prendere per seri come interpreti (te-
alle persecuzioni diaboliche, è sottoli- ologici) autonomi coloro che li han-
neato. Tutto ciò contribuisce a quella no trasmessi, invece di ridurli al ruo-
«monumentalizzazione» della memo- lo di copisti» (p. 558). In linea di prin-
ria del riformatore descritta da Leppin cipio, questo risultato vale anche per
già per il motivo dell’affissione delle i corpi prodotti in precedenza rispet-
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to a quelli analizzati (Dietrich e Cor- L’immagine che ci può aiutare a en-


datus) e posti alla base dell’edizione trare nella tematica di questo libro po-
critica della Weimarana. In questi ca- trebbe essere quella della matita rossa
si, però, un’indagine analoga a quel- e blu propria (in altri tempi) della fun-
la presentata qui per i corpi degli an- zione dell’insegnante: una sola matita
ni Cinquanta e Sessanta è ancora da con due punte, due diversi colori. Da
compiere. Per un lavoro sulla biogra- un lato la libertà, dall’altro: che cosa?
fia di Lutero, il ricorso ai discorsi a La scelta, certo, ma a che scopo? Di
tavola non è dunque di per sé esclu- per sé è difficile armonizzare pura li-
so, ma deve adoperare un protocollo bertà umana e criteri dell’azione pura
metodologico attento alle condizioni e della scelta opportuna.
in cui queste testimonianze sono state Dall’Ottocento in poi i grandi alvei
raccolte e messe per iscritto. La ricer- del pensiero teologico si sono messi in
ca di Klitzsch è un contributo prezioso movimento dopo che i grandi alvei del
alla ricerca sulla figura di Lutero e al pensiero filosofico – talvolta osteggia-
tempo stesso sulla cultura confessio- ti nelle curie – si erano mossi con ri-
nale del primo luteranesimo. cerche fondamentali sul loro terreno.
Lothar Vogel Condeterminante è stato inoltre il te-
ma dell’«inizio». Qual è, per così dire,
il «Big Bang» su cui verte il procedere
teologia SISTEMATICA della discussione? E che significa
«procedere»? In che rapporto stanno
inizio e iniziativa?
Claudio Ciancio, Maurizio Pagano (a La filosofia cattolica del xx secolo,
cura di), Il pensiero della libertà. Lui- abbandonata l’identità preconcetta pro-
gi Pareyson a cent’anni dalla nascita, iettata sul terreno della metafisica, di-
«Essere e libertà» 31, Mimesis, Mi- venta ricerca su due sommità (già no-
lano- Udine 2020, pp. 310, € 26,00. te al Concilio di Trento: grazia divina e
libertà creaturale dell’uomo). Si proce-
Sulle tematiche principali del xx se- de non solo nel campo cattolico, ovvia-
colo l’opera del filosofo cattolico tori- mente. Dualità e unità è stato il gran-
nese Luigi Pareyson (1918-1991) non de tema del secolo scorso nelle filosofie
poteva essere trascurata. Il libro pub- come nelle teologie. In vari contesti il
blica i saggi raccolti dopo il convegno teorema noto come derivata e integrale
(Università di Torino) dedicato al cen- emergeva dalla matematica e affiorava
tenario della nascita. Non potendo sof- in teologia e filosofia al posto d’onore.
fermarci su ognuno, riferiamo sul te- Nel volume che stiamo esaminando
ma partendo da due titoli che hanno alcuni contributi affrontano il pensie-
attirato subito la nostra attenzione: li- ro di Pareyson in corrispondenza con
bertà come inizio e come scelta (Bottu- quello di contemporanei. Giuseppe Ri-
ri, Perone). Scrive Pareyson: «Proprio conda ricorda Del Noce e il nodo della
qui si presenta la maggior difficoltà libertà nella persona e nella storia (o
del problema della libertà: compren- della persona nella storia). Sul Dirit-
dere come essa possa essere al tempo to scrive D. Cananzi. Altri riferimen-
stesso inizio e scelta. [...] I termini non ti sono a Ricœur, a Karl Barth (anche
sussistono se non in reciproco riferi- Heinrich Barth, per esempio, si sareb-
mento» (Heidegger, la libertà e il nulla, be potuto introdurre).
ESI, Napoli 1990, pp. 44-46). Ma che Tornando alla nostra matita rosso-
significa «al tempo stesso»? blu, il saggio di Botturi approfondisce
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il tema del rapporto libertà e scelta. Tra i numerosi riferimenti esposti


Abbandonando il conflitto tra essenza con studio e dovuta profondità, forse ci
ed esistenza, si cerca da tempo il con- si poteva attendere una rilettura anche
trario: il compimento dell’azione nella del filosofo francese cattolico Maurice
valorizzazione di ciò che l’uomo con- Blondel (1861-1949), ancora attuale al-
duce al suo fine vero insieme con Dio. meno per certi aspetti della sua opera.
Tuttavia, il negativo non rischia di fi- Fu notevolmente impiantato nella tra-
nire relegato in secondo piano, come dizione cattolica della sua chiesa, ma
puro supporto di uno slancio vitale? attraverso il suo lavoro quest’ultima si
Così dobbiamo interrogarci leggendo è molto cambiata.
L. Ghisleri. In un passaggio, secondo Il riferimento a Blondel nella di-
noi capitale, l’iniziativa umana si libe- scussione filosofica e teologica sem-
ra del suo ingombrante negativo. Ab- bra ora accantonato, forse per non ri-
biamo capito bene? Ecco il riferimen- schiare un eccesso di avvicinamento
to: iniziando dalla libertà dell’uomo tra filosofi e teologi. Il reinserimento
«risulta pensabile il porsi, l’attivarsi, di Blondel nella discussione recente è
il desiderarsi, il volersi, l’amarsi del un sincero auspicio di chi scrive (cfr.
principio, in cui vergono verso la lo- G. Widmer, Maurice Blondel et ses com-
ro sintesi invisibile i primi significati mentateurs récents, “Revue de Théo-
fondamentali della libertà, quali l’au- logie et de Philosophie” 6 (1966), pp.
tomotivazione, la decisione di sé, l’a- 378-388. Consultato 25 agosto 2021,
desione a sé bene, senza la necessità di http://www.jstor.org/stable/45275991.).
passare attraverso la prova della nega- Insomma, leggendo i vari contri-
zione e di doversi riguadagnare hege- buti ci sembra di ritrovare la chiave
lianamente attraverso la opposizione/ non soltanto del xx secolo, ma anche
contraddizione» (p. 40). il problema non risolto dell’ecumeni-
Perone, ponendosi sulla scia di Pa- smo (nonostante che molti in Mitteleu-
reyson (con cui si è laureato), gli ob- ropa lo considerino cosa del passato,
bietta tuttavia che inizio e scelta non su cui «passare oltre»).
si trovano sullo stesso piano ontologi- Alcune pagine di questo volume
co, pur appartenendo allo stesso pro- meritano di essere attentamente ri-
blema e avendo, come sopra si è già studiate da chi vuol occuparsi in Ita-
visto, un «reciproco riferimento». La lia di questioni fondamentali della te-
scelta scende di un piano e diventa co- ologia e filosofia.
sa più umana, mentre la libertà resta Sergio Rostagno
pura, ma con il rischio di rimanere so-
spesa al nulla.
A conclusione del volume L. Ghi- Bruno Rostagno, Dio incontra, ama,
sleri afferma: «Come ha osservato, tra unisce, «Piccola Biblioteca Teolo-
l’altro, Giuseppe Riconda, si può soste- gica» 140, Claudiana, Torino 2021,
nere che il rapporto tra “ontologicità” pp. 165, € 15,00.
e “condizionatezza storica”, al centro
dell’ermeneutica di Pareyson, dice del B. Rostagno (1935-2021) premet-
suo tentativo di collegarsi al “pensie- te nel suo nuovo libro sui grandi temi
ro metafisico tradizionale”, proprio della fede cristiana: «Non è stata mia
per il riferimento all’essere, e insieme intenzione scrivere un’opera di teolo-
la sua volontà di innovarlo, proprio in gia sistematica». Ma i sistematici sa-
relazione alla storicità e alla finitezza rebbero contenti se scrivessero un li-
dell’esistenza» (p. 307). bro così bello e completo come egli è
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riuscito a fare. Di proposito egli usa so- Con questa inclusione dell’etica nel
lo e esclusivamente riferimenti biblici, secondo settore, la sezione terza tro-
cogliendo sempre la sostanza, il moti- va spazio per trattare la Comunione e
vo caratteristico, senza cadere nel let- la Speranza. Le tre sezioni sono rac-
teralismo biblico. Fin dalle prime pa- cordate alle tre parole del titolo e del-
gine si resta conquistati per esempio la citazione di II Corinzi 13,13. Se non
dall’affermazione: «La fede cristiana è sistematico questo!
[…] non ha la sua consistenza in se Un altro punto essenziale è l’unio-
stessa; non è un sistema concluso di ne tra il dialogo e la convinzione, ca-
certezze assolute. Vive di una serie di vallo di battaglia di ogni apologetica.
avvenimenti che non è stata essa a su- La disponibilità all’argomentazione e
scitare, fa parte di un movimento che la fermezza della convinzione si nota-
non è stata essa ad avviare. Gli avve- no. Un pregio dell’opera è proprio que-
nimenti sono quelli testimoniati nella sto: il richiamo iniziale circa la carat-
Bibbia; riguardano la storia di un po- teristica della fede si trova ora applica-
polo chiamato Israele e l’opera di un to come metodo. Nessuna conclusione
uomo chiamato Gesù. Da questa sto- autoritaria o imperiosa: parliamone.
ria e quest’opera nasce il movimento Nel complesso, l’autore si rivolge a
di una nuova esistenza che ha un ca- noi tutti (cosiddetti credenti o non cre-
rattere aperto e coinvolge persone di denti) e non lascia da parte nessuna del-
ogni tempo e di ogni luogo» (p. 11). le obiezioni al cristianesimo. Egli trova
C’è già quasi tutto in questa pre- l’argomento che porta avanti il discor-
messa. L’autore si lascia dare la dispo- so e che ripaga ampiamente lo studio.
sizione dalla chiusa di un’epistola apo- Due ultime osservazioni. Il libro ri-
stolica: «La grazia del Signore Gesù discute la fede cristiana senza imporla,
Cristo e l’amore di Dio e la comunio- anzi avendo sempre in vista l’interlo-
ne dello Spirito Santo siano con tutti cutore. La ricerca del motivo della fe-
voi» (II Corinzi 13,13). Il titolo del li- de premia lo studio molto di più che la
bro riprende i tre aspetti con le paro- ricerca di motivi fuori della fede, anzi
le: incontra, ama, unisce (si potrebbe colloca questi ultimi nella loro giusta
dire, in assonanza con il grande Ago- luce, in modo positivo. In secondo luo-
stino, che riconciliando fa incontrare, go, l’autore cerca sempre di coinvolge-
amando riconcilia, incontrando lascia re il lettore in prima persona. Il lettore
spazio all’altro). Nel gioco realtà-illu- diventa così soggetto di una relazione
sione l’autore mira a dare rilievo alla primaria Dio-Umanità. «La persona in-
realtà di cui è partecipe sia il messag- teriore sei tu» si legge a p. 54.
gio, sia chi lo legge (per esempio pp. Altri luoghi interessanti del libro
26, 54, 57-60, 136, 141). sono le idee sull’Antico Testamento,
La disposizione si discosta legger- sulla storicità di Gesù e sul Regno di
mente da quella del Credo apostolico, Dio, sull’argomentazione «scientifica».
ma diventa tanto più interessante. Per Alla fine, restiamo stupiti che un sedi-
esempio, tutta l’esortazione apostolica cente non-sistematico abbia potuto ri-
la troviamo nella seconda sezione, sulla uscire così bene a essere sistematico e
base dell’amore (il che è biblico). L’au- a far parlare la fede parlando a tutti.
tore vuol far comprendere che il com-
portamento si distingue (cioè fa que- Sergio Rostagno
sto, non quello) non in modo ipocrita,
ma perché una distinzione è necessa-
ria e dipende dalla «persona» e dai do-
ni della grazia.
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Giuseppe Savagnone, Il miracolo e il ra teatrale di una scrittrice ebrea, Anat


disincanto. La provvidenza alla pro- Gov, Oh Dio mio! (Giuntina, 2016), che
va, EDB, Bologna 2021, pp. 127, identifica la debolezza di Dio non con
€ 13,00. l’impotenza, ma con una potenza di-
versa, per cui Dio si fa debole per stare
vicino alle sue creature senza schiac-
Un libro più che mai utile, in que- ciarle. La debolezza di Dio è testimo-
sto tempo di pandemia, quando l’espe- niata anche a livello biblico dagli epi-
rienza del dolore e della morte fa va- sodi della lotta di Giacobbe con l’ange-
cillare la fiducia nella bontà di Dio e lo (Gen. 32,23-33) e della voce di silen-
nel suo intervento nella storia dell’uo- zio sottile che parla a Elia nel deserto
mo. L’autore si rende conto delle dif- (I Re 19,12), ma soprattutto, nel Nuo-
ficoltà che incontra oggi tale fiducia e vo Testamento, dalla marginalità della
propone una nuova prospettiva in cui storia di Gesù, dalla sua disposizione
incanalarla. al servizio, dal suo amore per i poveri,
Una prima parte del testo espone la dalla sua morte in croce. Dice l’auto-
fede nella provvidenza portata avanti re: «Come nella creazione, anche nella
dalla tradizione cristiana, prima dalla storia di Cristo l’onnipotenza di Dio si
Bibbia e poi dalla chiesa, a livello sia manifesta proprio nella sua apparen-
cosmico sia storico, nell’Antico come te negazione» (p. 39). Segue una terza
nel Nuovo Testamento. Una seconda parte che affronta l’obiezione «scien-
parte analizza in dettaglio la critica no- tifica» al concetto di provvidenza, che
vecentesca all’idea della provvidenza, sarebbe resa superflua dall’autonomia
che si basa soprattutto sulla messa in del creato, ossia da una visione dell’u-
discussione, dopo l’Olocausto, dell’onni- niverso che, dopo Darwin, non lascia
potenza divina e sulla presenza del ma- spazio a un progetto provvidenziale, a
le nel mondo. Qui assumono un ruolo un disegno intelligente. Qui Savagno-
centrale la teologia di Dietrich Bonho- ne analizza la posizione di Richard
effer, con la sua critica al «Dio tappa- Dawkins, lo scienziato autore de L’illu-
buchi» e la sua insistenza sulla debo- sione di Dio, per contestarne l’unilate-
lezza di Dio, che si tira indietro per la- ralità della prospettiva, la limitazione
sciare spazio all’autonomia degli esse- al linguaggio scientifico, che non tie-
ri umani, e le posizioni di Elie Wiesel, ne conto delle ragioni della filosofia e
Etty Hillesum, Hans Jonas, che inten- della teologia: la conclusione è quel-
dono sollevare Dio dalla responsabilità la di una cooperazione tra Creatore e
del male che accade e assolverlo dalla creature, che si esplica attraverso l’u-
sua inerzia. Il tema della debolezza di tilizzo che Dio fa delle cause naturali
Dio è approfondito con il riferimento per realizzare il proprio disegno. Ana-
alla teoria cabalistica dello Zim Zum, logo discorso si può fare per la cate-
che sostiene un ritirarsi, un contrarsi goria del caso, che tanta parte ha nel-
di Dio all’atto della creazione per con- la fisica quantistica: la provvidenza si
sentire l’esistenza del mondo; teoria ri- può servire del caso come delle cause
presa dal concetto di kenosis di Filip- naturali. Passando dalla creazione al-
pesi 2, in cui l’onnipotenza di Dio vie- la storia, l’autore analizza il concetto
ne fatta coincidere proprio con il suo di tempo ciclico, proprio della civiltà
amore verso l’uomo, talmente forte che classica, e di tempo lineare, tipico del-
Egli limita la propria onnipotenza per la Bibbia, nonché il rapporto tra l’in-
consentire la libertà della sua creatu- tervento divino e la libertà dell’uomo:
ra. È l’idea sostenuta anche dall’ope- anche nella storia Dio si serve dei pro-
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cessi di causa ed effetto, ma qui «un delle circostanze e alla libertà degli es-
ruolo fondamentale è svolto dalle libere seri umani» (p. 96). Dio quindi agisce
scelte degli uomini» (p. 59). Savagno- attraverso le cause naturali e le azioni
ne trova espresso questo concetto nel stesse degli uomini, ma è anche possi-
tema biblico dell’alleanza. Una quarta bile un suo intervento soprannaturale,
parte affronta il problema dell’esisten- come segno della cura che egli ha per
za del male, che rende difficile la fede le sue creature e il cui senso si può co-
nella provvidenza. Innanzitutto, rifa- gliere solo se si esce dalla logica di un
cendosi a Tommaso d’Aquino, l’autore mondo separato dal suo Creatore e lo
sostiene che la negazione di Dio e della si riconduce a una dipendenza da Dio
provvidenza non solo non risolverebbe in ogni fase del suo divenire.
il problema del male, ma renderebbe Molti i riferimenti del testo al cate-
anche inspiegabile l’esistenza del bene, chismo della chiesa cattolica, ma anche
essendo il male «l’estrema manifesta- i richiami alla filosofia, alla teologia e
zione della precarietà del mondo e una alla letteratura, da Italo Calvino a Da-
prova della sua incapacità di spiegarsi niel Defoe, da Umberto Eco a Jacques
da sé» (p. 68). Ritorna qui il discorso Monod, da Thomas Merton a Georges
sulla debolezza di Dio, che non poteva Bernanos, da Alessandro Manzoni ad
che creare un mondo fragile e precario, Albert Camus, da Martin Heidegger a
proprio per non invaderlo imponendo Blaise Pascal, per terminare con un’e-
la sua onnipotenza e la sua perfezione. semplificazione dell’intervento della
La riflessione sul mistero del male se- provvidenza nel film Forrest Gump di
gue due linee parallele: il male fisico, Robert Zemeckis.
ossia le catastrofi naturali e le malat- Scopo del testo è quello di ravvi-
tie, e il male morale, ossia la cattiveria vare la fiducia nella provvidenza, non
dell’uomo contro l’uomo. Nel primo ca- negando i dubbi e le critiche dell’uo-
so l’autore insiste sulla compassione di mo e della scienza moderni, ma invi-
Dio, sulla sua condivisione della soffe- tandoci a guardarli da un’altra pro-
renza umana, sul valore positivo della spettiva e suggerendo delle risposte
sofferenza; nel secondo caso sottolinea che offrono spunti di riflessione per
ancora una volta il valore della libertà, un ripensamento del nostro rapporto
il cui cattivo uso è un rischio calcola- con Dio, che non annulla, anzi raffor-
to e necessario. Oltre alla provviden- za, la nostra fede in lui e nel suo amo-
za generale, che investe il cosmo e la re per l’umanità.
storia, il testo analizza quella partico- Antonella Varcasia
lare, che interviene nelle vicende per-
sonali dei singoli esseri umani. Qui la
riflessione riguarda, tra l’altro, il con- Emmanuel D urand , Gesù contem-
cetto di miracolo e il significato e l’ef- poraneo. Cristologia breve e attua-
ficacia della preghiera. Prendendo ad le, Queriniana, Brescia 2020, pp.
esempio la storia di Giuseppe e i suoi 287, € 32,00.
fratelli (Gen. 37 - 45), che sembra de-
terminata all’apparenza esclusivamen- Nel panorama teologico contem-
te da fattori umani, l’autore suggerisce poraneo, e segnatamente tra quanto
un diverso livello di lettura, in cui la vi- riguarda i lavori dedicati alla cristolo-
cenda di Giuseppe appare guidata dal- gia in Europa, il testo del domenicano
la volontà divina, senza che i due piani francese Emmanuel Durand porta uno
si contraddicano grazie alla debolezza sguardo rinnovato e indica una origina-
di Dio, «che non si sovrappone al gioco le prospettiva metodologica: nell’avvi-
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cinare la figura di Gesù di Nazareth, il lativi della figura del Cristo, il perdo-
Cristo, il riferimento all’impianto clas- no, è particolarmente ampia e si avva-
sico della dogmatica è affiancato a una le del supporto filosofico di autori co-
elaborazione che unisce felicemente la me Jankélévitch, Derrida e Ricœur; la
base filosofica e l’apporto esperienzia- nozione di perdono e quella di ricon-
le e storico, raggiungendo un risultato ciliazione ricevono particolare atten-
di indubbio valore sia per lo speciali- zione in quanto sono presentate come
sta sia per un pubblico più ampio. Il la via di accesso al tema centrale del-
lavoro si articola in sette capitoli che, la croce di Cristo, il cui significato è
pure nella loro densità, costituiscono rivisitato precisamente attraverso tali
comunque un testo snello e attuale, categorie. Emerge una delimitazione
come vuole il sottotitolo del libro: la della nozione di perdono che lo ricon-
necessaria ricognizione storica, quasi duce al superamento dell’ingiustifica-
un rapido riassunto dello status quae- bile, sulla scorta della elaborazione di
stionis, è trattata in apertura dell’ope- Jankélévitch, sottolineandone la com-
ra, ed è però subito ricontestualizzata pleta gratuità: all’impossibilità umana
nel secondo capitolo dedicato alla ca- di raggiungerlo nella sua purezza e as-
tegoria del «martire» nella contempo- solutezza si aggiunge il suo essere svin-
raneità, e nel terzo capitolo in cui vie- colato dalla necessità che il colpevole
ne tratteggiata la figura del Cristo nel lo chieda. La riconciliazione viene di-
pensiero emergente dall’epistolario pa- stinta come un evento di tipo sociale
olino, con uno sguardo rivolto ai capi- che consente la convivenza delle parti
saldi della sua teologia. anche laddove il perdono non sia stato
La prospettiva strettamente dogma- dato né ricevuto. L’accurata trattazione
tica, base essenziale in ogni trattazione conduce a rivisitare sia l’insegnamento
del tema cristologico, è tematizzata nel evangelico (Mt. 18,21-35) sul perdono,
quarto capitolo, che ha il pregio di il- sia il carattere assoluto del perdono di-
lustrare il cammino delle enunciazioni vino e della riconciliazione che acca-
conciliari, delle dispute, delle fratture e dono nella croce di Cristo. Un ultimo
delle riconciliazioni ecclesiali intorno capitolo è dedicato alla risurrezione e
alla figura del Cristo con uno sguardo viene svolto con una attenzione speci-
che non esclude né la contestualizza- fica al coinvolgimento del corpo in ta-
zione storica, pur non approfondendo le evento: la novità della fede cristia-
troppo, né la trattazione teoretica, pur na rispetto alle prospettive di immor-
ricondotta anch’essa all’essenziale. I talità dell’anima viene fatta emergere
capitoli quinto e sesto dispiegano l’o- proprio attraverso una riflessione sul-
riginalità dell’impianto di questa bre- la rilevanza del mancato ritrovamen-
ve cristologia: percorrendo una via al- to del corpo e della tomba vuota. La
meno in parte inedita che assume co- scena della trasfigurazione, i racconti
me medium di conoscenza del Cristo i di apparizioni e alcuni insegnamenti
vissuti della compassione e dell’empa- di Gesù, come quello sul destino di fe-
tia, categorie universali dell’esperienza condità del chicco di grano che muore,
umana, si ripercorrono pagine evange- sono i punti di riferimento tra i qua-
liche facendo emergere l’interpellazio- li l’autore si muove per delimitare l’e-
ne come struttura specifica della rela- vento inafferrabile della risurrezione e
zione inaugurata da Gesù di Nazareth avvicinarlo al lettore contemporaneo
negli incontri testimoniati nei vangeli. dei vangeli. La breve conclusione met-
La trattazione del quarto vissuto te l’accento proprio sul lettore che vie-
tra quelli scelti dall’autore come rive- ne in contatto con la testimonianza bi-
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blica e di fronte a parole e narrazioni in cui il lettore di oggi può facilmente


ha la possibilità di entrare egli stesso riconoscersi.
nella realtà profonda del messaggio. In
Ilenya Goss
meno di trecento pagine viene traccia-
to un itinerario alla portata del letto-
re contemporaneo, muovendo da ele-
menti della cristologia classica e pas-
sando per riflessioni di carattere più
TEOLOGIA PRATICA
esperienziale: l’interesse del lavoro è
precisamente in questo suo carattere
Paolo Ricca, Sermoni, EDB, Bologna
un po’ «sperimentale», nel cercare una
2020, pp. 232, € 19,00.
trattazione quanto più possibile vicina
alla sensibilità e alle prospettive dell’at-
È quasi un instant book l’ultima fati-
tualità, restando fedele ai capisaldi di
ca di Paolo Ricca. Le Edizioni Dehonia-
una elaborazione dogmatica emersa al
ne di Bologna hanno infatti pubblicato
tempo delle dispute cristologiche dei
un libro contenente diciassette sermo-
primi secoli del cristianesimo. Il lettore ni pronunciati tra il 25 dicembre 2018
esperto può trovare interesse nella pro- (Natale) e il 31 maggio 2020 (Penteco-
spettiva originale attraverso cui Gesù, ste). Si tratta dunque di un percorso
il Cristo, viene avvicinato; il lettore in- di pensiero che abbraccia tutto l’arco
teressato, ma con meno strumenti te- dell’anno liturgico, dall’Avvento alla
ologici, può trovare una ricognizione «Domenica dell’eternità», in un tem-
tecnica seria, ma rapida e scorrevole. po molto particolare quale quello che
Provare a guardare alla figura di Gesù abbiamo vissuto a causa della pande-
da diversi punti di vista e assumendo mia. Le comunità a cui il messaggio è
i risultati di metodi diversi di ricerca stato rivolto sono varie, sia per la lo-
e di lettura, da quello storico, a quello ro collocazione geografica (da Reggio
esperienziale, a quello dogmatico, ten- Calabria al Canton Ticino), che per
de altresì a rispondere all’esigenza di la collocazione «spirituale», in quan-
unità e integrazione che molti mani- to il nostro autore ha parlato davanti
festano oggi di fronte alle diverse voci a pentecostali e valdesi, battisti e cat-
che si sovrappongono nel raccontare tolici e anche di fronte a un pubblico
l’esperienza della fede cristiana o nel che immagino eterogeneo come quel-
metterla in discussione. Per svolgere il lo di Guardia Piemontese in occasio-
compito si è imposta all’autore la ne- ne della commemorazione del 17 feb-
cessità di compiere scelte e di assume- braio 2020.
re un materiale di partenza molto se- Questa quantità di inviti in ambi-
lezionato, condizione che certamente ti così diversi dice già da sola quanto
da un lato penalizza la figura di Gesù Ricca sia conosciuto e apprezzato, per
ivi tratteggiata, ma dall’altro consen- cui potrebbe essere persino superfluo
te di mantenere la promessa del libro presentare il suo testo. Basterebbe una
di proporre una cristologia alla porta- segnalazione e un invito ad acquistar-
ta di una lettura snella e accattivante. lo e leggerlo perché è veramente denso
Del resto, il progetto ambizioso che e sicuramente se ne trae un vantaggio
traspare nel titolo, Gesù contempora- spirituale. Sia consentito, comunque,
neo, è proprio quello di studiare la sua fare alcune riflessioni. Già il titolo −
figura nell’effetto che l’incontro con Sermoni − mi ha colpito perché, per
Lui ha determinato e determina nel- quanto ne so, questo è una terminolo-
le persone, secondo categorie umane gia tipicamente protestante. Di solito
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si sente parlare di «omelie», o di «pre- rischia di diventare un pretesto, oppu-


diche» e il fatto che una editrice catto- re perché lo sguardo del predicatore è
lica usi questo termine mi ha sorpreso. rivolto altrove, non su Dio ma sulle re-
Ma c’è un fatto ulteriore che qualifica altà umane.
il nostro testo: il sermone è una parte Se il sermone è, secondo la famosa
del culto. Direi di più: è un atto di cul- definizione che ne ha dato Karl Barth,
to, e questo va tenuto presente quando «parola di Dio pronunciata da un es-
si legge il libro. sere umano», la sua prima caratteri-
Ho però notato che Paolo Ricca non stica deve essere la sua biblicità ed es-
ha premesso, né qui né nelle preceden- sere fondata su una accurata esegesi.
ti sue raccolte di sermoni, un capito- In questo, Ricca è maestro. Ogni pa-
lo dedicato alla riflessione su ciò che rola del testo viene ascoltata e affron-
il momento specifico della predicazio- tata in profondità. Se ne vedono e de-
ne è, o dovrebbe essere, nella cultura scrivono le varie sfumature affinché la
e nella spiritualità protestante. E, se Parola di Dio possa scaturire in tutta
vedo bene, non lo fa neanche nel qua- la sua forza e attualità, tanto che nei
si contemporaneo libretto Happening sermoni di Ricca mi pare di cogliere
dello Spirito, edito da Claudiana nello una certa sintonia con l’approccio e lo
stesso anno. In esso l’autore parla del- stile di Lutero.
le varie parti del culto, ma dedica solo Si sente spesso affermare che la
una pagina o poco più al sermone, pur parola deve adattarsi al contesto in
affermando che ogni parte del culto è cui viene pronunciata; ma in questa
annuncio della grazia di Dio. Sarebbe raccolta è diverso. Abbiamo detto che
invece stato interessante un approfon- l’autore ha predicato in luoghi diversi
dimento o una discussione, anche per- e di fronte a uditori diversi, ma l’ap-
ché il giudizio che dà della predicazio- proccio al testo rimane lo stesso. È il
ne nel tempo presente è molto severo. contesto, infatti, che deve adattarsi al
Scrive: «Conosco persone che la do- testo per riceverlo nella sua profondi-
menica girano per le chiese di mezza tà, non il contrario − e il predicatore
Roma nella speranza di udire la Pa- in questo deve essere soltanto il servi-
rola di Dio, e non la trovano, e allora tore della Parola.
si stancano e rinunciano a cercare. E La stessa osservazione riguarda il
penso che se le chiese sono poco fre- mezzo di comunicazione che si sce-
quentate, non è necessariamente per- glie. È un dogma ormai affermato che
ché la gente si è stancata di udire la il mezzo determinerebbe il contenuto,
Parola di Dio, ma perché si è stancata ma non è necessariamente così. Du-
di non udire la Parola di Dio, perché rante l’anno e mezzo di pandemia in
tante volte nelle chiese si parla d’altro: molte chiese si sono sperimentati culti
molto di quello che fa la chiesa o che e studi biblici «in remoto» e anche al-
dobbiamo fare noi, poco di quello che cuni sermoni riportati nel libro hanno
fa Dio» (p.100). Come detto, si tratta avuto luogo attraverso questi strumen-
di un giudizio molto severo, che meri- ti informatici. Il contenuto e la forma
terebbe una discussione. Dunque, se- però non sono cambiati. Poteva esser-
condo l’opinione di Ricca, oggi, nella ci il rischio che venisse a mancare un
chiesa, la Parola di Dio non risuona − aspetto importante, cioè quel rapporto
o risuona troppo poco. Una carenza diretto che il predicatore ha e deve ave-
forse determinata da due fattori: per re con la comunità che si raccoglie per
una predicazione non sufficientemente il culto − infatti, a mio avviso, la predi-
radicata nella Bibbia, tanto che il testo cazione si deve esprimere anche attra-
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verso la fisicità. In modo particolare, italiana; nel secondo presenta la rifles-


il nostro autore quando parla emana sione sul maschile in corso in ambito
sempre una forte empatia col suo udi- teologico. Scopriamo che la ricerca di
torio, e questo aspetto potrebbe in par- Bertin è guidata soprattutto da tre stu-
te venir meno quando la predicazione dios*: il noto Stefano Ciccone, che fa
viene da un video, o da un libro. Non proprio il «partire da sé» del movimen-
mi pare che questo sia il caso, perché to femminista; la sociologa australia-
anche dalle righe stampate affiora la na Raewynn Connell, che in Masculi-
figura del predicatore e, per chi lo co- nities (1993) svela l’aspetto relaziona-
nosce, anche le sue espressioni − direi le e plurale della maschilità, e Rhian-
quasi il tono della voce. non Graybill, che nel suo saggio sulla
Da questo libro emerge a tutto ton- «mascolinità instabile dei profeti ebrei»
do la figura pastorale di Paolo Ricca adotta un approccio queer.
che prende per mano il suo ascoltato- Al terzo capitolo tocchiamo con
re/lettore e lo conduce a una riscoper- mano il problema che deve affronta-
ta sempre nuova ed emozionante del- re l’autore. Per le esegete femministe
la Parola di Dio. la marginalità del femminile, spesso
Paolo Ribet di per sé segno di una frattura nel te-
sto, si rivela una risorsa. L’esegeta che
parte dalla propria parzialità maschi-
le, invece, viene quasi sopraffatto dal-
TEOLOGIA DI GENERE la «“fittizia universalità” del punto di
vista patriarcale» (p. 40). Per cercare
di risolvere questo problema, l’autore
Gabriele Bertin, Mosè: mito di un uo- offre una breve panoramica degli epi-
mo racconto di un maschio, Claudia- sodi «in cui Mosè viene presentato in
na, Torino 2021, pp. 155, € 15,00. una prospettiva interessante dal punto
di vista dei men’s studies» (p. 57), sce-
Scrivendo nel 1973, Mary Daly gliendone 64 e poi operandone un’ul-
pensava che il movimento delle donne teriore scrematura. Rimangono dieci
avrebbe portato gli uomini a una ana- episodi che vengono analizzati alla lu-
loga presa di coscienza e trasformazio- ce della ricerca degli attuali studi bibli-
ne. Da allora molte teologhe hanno au- ci. Sebbene la lettura risulti piuttosto
spicato che i loro colleghi accogliesse- densa e ripetitiva, l’approccio laborio-
ro la propria parzialità maschile, adot- so dell’autore dà a chi legge la possibi-
tandola come punto di partenza della lità di entrare nel testo biblico e veri-
propria ricerca. Nel suo libro Mosè: ficare per proprio conto le conclusio-
mito di un uomo racconto di un ma- ni di Bertin.
schio Gabriele Bertin, pastore valdese, L’autore dispiega fondamentalmen-
raccoglie questa sfida. Riconoscendo te due categorie di analisi provenien-
l’importanza della Bibbia nella forma- ti dagli studi di genere e queer: la re-
zione del patriarcato, Bertin sceglie di lazionalità e la corporeità. Scopriamo
confrontarsi con un personaggio chiave che la maschilità di Mosè si forgia in
delle scritture, Mosè, limitandosi alla una rete di relazioni con altri maschi
Bibbia ebraica e, al suo interno, ai li- (Aaronne, Ietro, Giosuè e yhwh), ognu-
bri tra Esodo e Deuteronomio. no dei quali incarna una maschilità di-
Nel primo capitolo l’autore ci in- versa, e anche con delle figure femmi-
troduce ai gender e ai men’s studies, ri- nili quali Miriam, la figlia del faraone
ferendosi soprattutto alla produzione e Sefora. In questo modo abbiamo la
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possibilità di considerare come Mo- divino ripetutamente come il maschi-


sè si colloca nell’«intersezione identi- le egemone, l’autore corre il rischio di
taria fra razza - ceto sociale - identità ribadire la sua centralità e legittima-
sessuale» (p. 110). Bertin mette molto re il suo dominio. Bisogna leggere at-
bene in evidenza i diversi tipi di ma- tentamente per vedere come Bertin ri-
schilità con i quali Mosè si relaziona. esce a scongiurare questo pericolo ri-
Partendo dall’«immagine di fra- conoscendo che la paternità di Dio è
gilità e fluidità che questo [Mosè] vi- davvero sui generis. Non solo «la ca-
ve nell’atto della vocazione profetica» ratteristica principale del Dio dei pa-
(p. 50), Bertin conduce un’illuminante dri è proprio il suo non essere legato
analisi della corporeità di Mosè in ter- a un luogo preciso, né a una funzione
mini di disabilità (la lingua pesante, la particolare» ma «l’immagine paterna
difficoltà di stare con le mani alzate), di Dio si rivela fortemente soggetta al
di femminilità («Sono forse io a con- piano relazionale» (p. 41).
cepire questo intero popolo?», Num. Dal mio punto di vista, questa car-
11,12), e di «assemblaggio» (la mano ta andava giocata con più forza. Ber-
colpita dalla lebbra, il volto che riful- tin mette in evidenza come Mosè è del
ge). Elementi che hanno tutti a che fa- tutto privo di un’identità paterna, ma,
re con la relazione peculiare ed esclu- avendo identificato Dio col Padre, non
siva tra Mosè e Dio. coglie bene il fatto che Mosè (in quan-
Dallo studio dettagliato di Bertin to immagine di Dio per Aaronne, p. 90)
emerge un Mosè che, da una parte, rispecchia un divino altresì al di fuori
rappresenta una maschilità egemone delle norme patriarcali. Un divino, tra
(sebbene venga ripetutamente conte- l’altro, la cui opera – come nota Bertin
stata dal popolo di Israele), e dall’altra, − è anticipata, espressa e resa visibile
è configurato a partire da una mancan- da alcune figure femminili chiave. Per-
za. È la relazione con yhwh, conclude ciò, se a un livello yhwh opera come il
Bertin, a consentire «a Mosè di crescere maschile che più egemone non si può,
nella sua comprensione di sé» in mo- a un altro, ovvero nella relazione con
do che si presenti «più uomo e meno Mosè, tale egemonia viene decostrui-
maschio» (p. 147). Bertin avrebbe po- ta. Non escluderei la possibilità che la
tuto esplorare maggiormente questa mancanza, costitutiva della maschilità
dinamica, per chiedersi come mai la di Mosè (eventualmente letta in chia-
relazione intima ed esclusiva tra Dio e ve cristologica, come in Ebr. 11,23-27),
Mosè apra delle crepe in una (o due?) indichi un vulnus, un’apertura, nello
maschilità «tutta d’un pezzo». stesso divino. Ovviamente, tali consi-
A differenza di molti, Bertin non derazioni esulano da questo libro che
ha nessun problema a riconoscere il ha già messo molta carne al fuoco e of-
suo debito alle teologhe femministe, ferto molti spunti di riflessione.
la cui critica a Dio Padre egli accoglie. Mosè: mito di un uomo racconto di
Tuttavia, invece di prendere in consi- un maschio è un primo libro coraggioso
derazione la lettura di Dio «al femmi- di interesse per tutt* coloro che si oc-
nile», nonché la decostruzione delle cupano delle Scritture e della loro in-
stesse categorie di genere, l’autore ten- terpretazione. Offre una visione di una
de a inchiodare il divino alla sua (pre- delle figure centrali della tradizione bi-
sunta) identità paterna. «Mi sembra blica da un’angolatura pressoché inedi-
fondamentale assumere come dato la ta. Non possiamo che sperare che l’au-
diffusa immagine maschile di Dio co- tore stesso approfondisca alcune delle
me Padre» (p. 69). Identificando tale sue riflessioni (delimitando maggior-
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mente il campo) e che altri studiosi, zione lascia il posto a rivendicazioni


incoraggiati da questo testo, cominci- difficili da gestire.
no a leggere le Scritture a partire dal- Qua e là potrebbe trasparire un’e-
la consapevolezza della propria par- sortazione a ribellarsi a uno stato di
zialità maschile. cose mondiale certo non accettabile
né giustificabile in nessun modo. Ma
Elizabeth Green
con chi ce la possiamo prendere se non
con noi stessi? D’altra parte, la religio-
ne non costituisce più un ambito cir-
coscrivibile politicamente. Ma allora a
RELIGIONI
che cosa mira la religione? A che cosa
dovrebbe servire il sacro?
Arriviamo così al centro del libro:
Luca Ghisleri, Iolanda Poma (a cu-
che senso ha tener distinti due ambiti,
ra di), Il sacro e la polis. Interse-
considerandone uno più «alto» dell’al-
zioni simboliche, «Intessiture» 10,
Mimesis, Milano-Udine 2021, pp. tro e interrogarsi proprio della diffe-
279, € 24,00. renza prestabilita?
La trascendenza è un evento con
Non potendo riprodurre interamente cui Dio si fa conoscere nella «soglia»
l’indice, elenco (a titolo esemplificativo) come «autotrascendente»: sta lì «la
alcuni titoli cui potrò alludere nel cor- sua disponibilità a farsi (ma non a es-
so della recensione: Il sacro e l’origine sere fatto) storia» (Perone, p. 69, con
del linguaggio (Trabant); Teseo e Ulis- richiamo anche qui, ma diverso, a Ma-
se (Chiarini); Il sacro e la legge (Cosi); ria di Nazareth).
La «città santa» nella tradizione ebrai- Anche Habermas (discusso in To-
ca (Giuliani); Mediare differenze (Da- taro) rappresenta un aspetto accetta-
nani); Europa cristiana? (Lingua). La bilmente «laico» del religioso. A un
costituzione di un gruppo individuato altare non si può rinunciare, purché
nella massa si richiama al «numinoso» «santo». Se Habermas afferma che la
e ne sfrutta l’imperativo (Bojanić) (torna trascendenza è una dimensione neces-
in mente Tacito, Historiae V,4: Moyses saria all’immanenza (garanzia socia-
quo sibi in posterum gentem firmaret, le), Todaro, insoddisfatto, quantunque
novos ritus contrariosque ceteris mor- propenso e vedervi il positivo, sostiene
talibus indidit. Profana illic omnia quae una dimensione propria, autonoma, e
apud nos sacra…). La «pietà», già rap- quindi pura (santa) della trascendenza
presentata nel Medioevo con Maria (la stessa. A evitare confusioni. Nel conte-
madre di Gesù) che tiene in grembo il sto Totaro ha una utile nota sul «rito»
Figlio morto, è elemento tipicamente (cfr. anche Lazzari su Fink).
umano e insieme religioso. Per antico Affiora anche sempre, quale ecce-
che sia, lo evocano anche le opere ci- denza (eccezione), il «santo». Il santo
nematografiche quale sentimento ec- è la «forma purissima» del sacro (Pero-
cedente (Pezzoli-Olgiati). ne, p. 68). Con riferimento a Levinas,
Oggi la filosofia si trova a fronteg- si sottolinea una «anteriorità an-archi-
giare una situazione politica univer- ca irriducibile al tempo dell’esperienza
salmente problematica (Madera; Lin- archetipa del sacro» (Tura, p. 266), e
gua; Poma), dove le religioni non pos- si dice «L’immemorialità della “paro-
sono più garantire la coesione politi- la di Dio”, che risuona nella dedizio-
ca, ma non riescono neppure a scom- ne incondizionata all’altro e che le as-
parire, tutt’altro, anzi. La secolarizza- segna un valore profetico, costituisce
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il tempo-anarchico del santo» (ivi). Si e non più religiosi. E, se ci trasferia-


dimostra profetico ciò che è preserva- mo nell’ordine del pubblico e del poli-
to nella persona del santo. Altrove si è tico, avremo due estremi: il rifiuto o il
favorevoli al «santo» che viene nel no- compromesso. Escludendo la terribi-
me della fratellanza orizzontale al po- le guerra santa.
sto del «sacro» verticale che va (Cian- Il risvolto politico di questi atteg-
cio, pp. 273-274). Ciancio termina con giamenti è stato così spesso descritto
la cena del Signore che dovrebbe ricon- che qui possiamo risparmiarci di ri-
dursi preferibilmente all’incontro fra- cordarcelo. In esso, tuttavia, il richia-
terno purtuttavia senza ridursi a esse- mo alla nozione di «prossimo» (seco-
re meno santa. lare, eppure di origine religiosa) sem-
Può alla fine soltanto il richiamo bra indispensabile e indicatore della
o il rinvio a un improbabile santità di via giusta, più di quello che si appella
soggetti privilegiati sostituire la ricerca (con santo rigore) a un fuoco amoroso
di un territorio che partendo proprio che vanta indipendenza e non confor-
dalla distinzione millesimale (che il lin- mismo e decerne giudizi di conformi-
guaggio rispecchia) trova faticosamen- smo secolare a chi non vi si conforma.
te, ma con successo, il modo di evitare Invece di insegnare l’uso appropria-
il sopruso, il caos, la sottomissione? È to della statistica, che lega la realtà al
questa la strada dell’Europa? È questa numero, e quindi a probabilità, e alla
la strada del cristianesimo in Europa? generalità, si invoca uno stato generi-
Vi è chi mette al sicuro la religiosità co come inautentico e uno stato santo
su un piano del tutto trascendente. Ma come unica vera alternativa.
nel cristianesimo almeno, la trascenden- Il concetto di «prossimo» ha la for-
za si trasmette alla realtà storica. Allo- tuna particolare di non essersi «secola-
ra il sacro/santo lo definisce qualcosa rizzato» che in parte, nel «socio» della
come una progressione cartesiana da società per azioni e nel «socialismo» an-
impossibile, a possibile, a ultrapossibi- tagonista. Il concetto di «prossimo», se
le, a opportuno, a necessario. I mistici mantenuto, testimonia dell’inciampo,
hanno indicato tale luogo come certo della «soglia» (per dirla con Perone).
«in noi e fuori di noi» (anche Lutero usa La parabola «del Soccorritore» (nota
tale formula e ne esclude la polis). Ma come parabola «del Samaritano», Lu-
qui si discute se il «certo» si possa an- ca 10) oggi intesa dalle maggioranze
che convalidare nella società o soltanto soltanto come richiamo all’esborso per
fuori di essa. Al quesito alludono alcu- beneficenza, sta per un inciampo, una
soglia, ben più notevole rispetto a ca-
ni dei contributi. Manca forse nell’in-
tegorie «sacre» divenute inutilizzabi-
sieme una poderosa risorsa teologica.
li. Ma (non dispiaccia all’autore della
Se abbiamo ben compreso il sug-
detta parabola) «sacerdote» e «levita»
gerimento implicito nelle tesi esposte,
potrebbero invece ricordare una soglia
avremo due esiti contrastanti. Da un lato
che non può essere semplicemente ac-
la santità si accredita con l’ossimoro. Il
cantonata (cfr. Totaro, Perone).
Credo quia absurdum si manifestereb-
Bartolomei avverte in partenza
be come azione inconsueta o persona
che la strada della esposizione è an-
santa (con l’applauso dei malcontenti
cora lunga e ulteriori pieghe e risvolti
cronici). Dall’altro lato si avrebbe una
della questione possono portare altra
soluzione più empirica, prudente, di
luce nel continuo interrogare e tenta-
tipo clausewitziano. Predilette, l’una
re di essere.
oppure l’altra soluzione, da cerchie a
loro volta composte da nuovi religiosi Sergio Rostagno
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90 recensioni

Lydia Schumacher (a cura di), The Le- verrebbero superate, alla luce dell’ac-
gacy of Early Franciscan Thought, quisizione di Aristotele anche in am-
Veröffentlichungen des Grabmann- bito francescano.
Institutes zur Erforschung der Per quanto nei due periodi ci sia
mittelalterlichen Theologie und spesso un riferimento ad auctoritates di-
Philosophie, vol. 67, de Gruyter verse, i saggi che compongono quest’o-
GmbH, Berlin-Boston 2021, pp. pera dimostrano come si tratti di stra-
xii + 409, hardcover € 99,95, for- tegie argomentative più che di adesio-
mato digitale open access: https:// ni a modelli epistemologici e metafisi-
www.degruyter.com/document/ ci radicalmente differenti. Era prassi,
doi/10.1515/9783110684827/html difatti, l’impiego di numerose citazio-
ni, anche decontestualizzate, per soste-
Il francescanesimo rappresenta un’e- nere proprie tesi, in un’epoca che non
sperienza di fede e di pensiero su cui celebrava il culto del nuovo, ma che
convergono tensioni spirituali e interes- anzi riteneva essenziale l’inserimen-
si scientifici di matrice laica, cattolica e to all’interno della tradizione. Questo
protestante. Non è secondaria dunque comporta la necessità, per l’interprete
la rilevanza di uno studio della teolo- contemporaneo, di non lasciarsi trar-
gia e della filosofia espresse dall’Ordi- re in inganno dai nomi citati, ma di
ne minoritico nei suoi primi decenni, saper riconoscere piuttosto l’uso che
sia in ordine a ragioni ecumeniche, sia ne viene fatto.
per il contributo speculativo e storico- La ricerca degli ultimi anni ha di-
teoretico che tale studio offre. mostrato inoltre come sia stata appros-
Risponde a questa esigenza The simativa la lettura della Summa uni-
Legacy of Early Franciscan Thought. Il versae theologiae attribuita ad Alessan-
volume, curato da Lydia Schumacher, dro di Hales, ma composta anche dai
si articola in due parti. La prima vie- suoi allievi, nei termini di una mera
ne dedicata alla filosofia e alla teolo- sistematizzazione e difesa dell’agosti-
gia (Part I: Philosophy and Theology, nismo. Molto più complessa è la base
pp. 13-182), la seconda all’eredità del- metafisica di quest’opera: essa porta-
la Summa Halensis (Part II: The Lega- va a sintesi una molteplicità di istan-
cy of Summa Halensis, pp. 183-397). ze teoretiche che, in particolare attra-
Quest’opera offre una feconda prospet- verso il prisma del pensiero di Avicen-
tiva agli studi sul pensiero francescano, na, erano messe in dialogo produttivo.
tesa a rintracciare e a dimostrare l’e- Agostino e Aristotele, più che contrap-
sistenza di una continuità fondamen- posti, risultavano così almeno in par-
tale nell’arco della sua storia. L’obiet- te armonizzati in un’impostazione che
tivo del testo è mettere così in discus- si poggiava sulla tradizione, ma che,
sione la diffusa idea di una cesura tra anche al di là della propria autocom-
un primo e un secondo periodo della prensione, la innovava creativamen-
teologia francescana. te. In questo modo emerse una linea
L’ipotesi della cesura enfatizza la di pensiero che affrontava in maniera
distanza che intercorre tra un primo originale le sfide speculative che la ri-
periodo, dagli anni Venti ai Cinquan- scoperta di Aristotele portava con sé.
ta del xiii secolo, caratterizzato dalla L’opera che qui presentiamo rico-
difesa del paradigma agostiniano con- struisce l’influenza della Summa Ha-
tro la crescente diffusione dell’aristote- lensis su quelle che saranno le peculia-
lismo, e un secondo, successivo perio- ri caratteristiche del pensiero france-
do, in cui le precedenti impostazioni scano dei decenni successivi.
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recensioni 91

Le linee di continuità tra Summa e impegnata la curatrice e, in base alle


francescanesimo medievale più tardo varie competenze, numerosi speciali-
sono affrontate attorno ad alcuni dei sti del settore. Gli altri frutti di que-
principali problemi della metafisica e sto lavoro, tutti a cura di Lydia Schu-
della teologia, che permettono di trar- macher, sono The Summa Halensis
ne un quadro unitario di apprezzabile Sources and Context (2020), The Sum-
chiarezza e completezza. La materia, ma Halensis Doctrines and Debates
il dualismo anima-corpo, lo statuto (2020), Early Thirteenth-Century En-
scientifico della teologia, l’infinitezza glish Franciscan Thought (2021), tut-
di Dio, la provvidenza, la bellezza, il li- ti editi dalla De Gruyter. Una serie di
bero arbitrio, la posizione sul Talmud volumi, accessibili in formato digitale
sono alcuni tra i temi del volume. Al- open access sul sito della casa editrice,
tre questioni rilevanti sono ancora la che costituisce un riferimento per una
volontà di Dio e la libertà, la natura conoscenza più puntuale, anche nella
del Cristo, umana e divina, oltre a de- prospettiva dei suoi necessari svilup-
gli importanti contributi sulla ricezio-
pi, del contributo speculativo del pri-
ne della Summa.
mo francescanesimo.
Il volume rientra all’interno di un
più ampio filone di ricerca che vede Mario Lupoli

Protestantesimo 77:1 - 2022


Protestantesimo 77, 2022, 93-94

SINTESI D EGLI A R T IC OL I

Oswald Bayer, L’ultima parola di Lutero: l’«Eneide divina»

Il biglietto scritto da Lutero due giorni prima della morte si compone come
antitesi alla conclusione autocelebrativa della Tebaide del poeta romano Publio
Papinio Stazio. In un climax ascendente sono evocati i tre ambiti della vita pri-
vata, della politica e della chiesa e le esperienze da compiervi richiedono un las-
so di tempo sempre crescente e la comprensione di testi esemplari, che nel ca-
so della chiesa sono rappresentati dalla Scrittura. L’indicazione iperbolica se-
condo la quale la comprensione della Scrittura richiede cento anni di governo
ecclesiastico assieme ai profeti segnala che questa dimensione della conoscen-
za umana costituisce una critica radicale a quelle precedenti. Praticandola, ci
si rende conto di essere «mendicante».

Oswald Bayer, Luther’s Last Word: «The Divine Aeneid»

The short note written by Luther two days before his death is composed as
an antithesis to the self-celebrating conclusion of the Thebais by the Roman po-
et Publius Papinius Statius. In a rising climax, the three fields – his private life,
politics and the Church – are remembered. The experiences to be lived in these
fields require an ever-increasing length of time and the comprehension of exem-
plary texts, which, in the case of the Church, are represented by the Scripture.
The hyperbolic statement according to which the comprehension of the Scrip-
ture requires one hundred years of ecclesiastical government together with the
Prophets, indicates that this dimension of human comprehension involves a
radical critique of the preceding ones. When one puts it into practice, one finds
oneself to be a “beggar.

Nicola Mariani, Ispirazione ed ermeneutica della Scrittura nel pensiero di Ul-


rich H.J. Körtner

Il vero senso della Scrittura si attualizza quale promessa di Dio ogni volta
che il lettore ispirato viene costituito membro performativo della comunità in-
terpretante dall’evento cristologico testimoniato dalla Scrittura. Autorità e ispi-
94 sintesi degli articoli

razione della Scrittura devono essere comprese entro il campo di tensione in cui
figurano la pluralità delle interpretazioni concordi con il senso del testo, il ma-
teriale scritto della Bibbia, l’intenzione degli autori e la fede apostolica, che an-
nuncia come possibilità futura quanto già comunicato nel kerygma. La comuni-
cazione del senso della Scrittura non dipende da precomprensioni solidali con
questa, ma è evento kenotico che accade in signo crucis.

Nicola Mariani, Inspiration and Hermeneutics of the Scripture in the Thought


of Ulrich H.J. Körtner

The real sense of the Scripture becomes real as God’s promise in the present,
every time that the inspired reader becomes a performative member of the Con-
gregation, which interprets the Christological event as testified in the Scripture.
Authority and inspiration of the Christological event must be understood within
the field of the tension which includes the plurality of interpretations in accor-
dance with the sense of the text, the material written in the Bible, the intention
of the Authors, and Apostolic faith, which announces as a future possibility what
has already been announced in the kerygma. The communication of the sense of
the Scripture does not depend on pre-comprehensions in agreement with this,
but it is a kenotic event, which happens in signo crucis.

Antonella Varcasia, Don Antonino Tagliarini. Un testimone del primo evan-


gelismo italiano

Sullo sfondo della «grande» storia del Risorgimento l’articolo ricostruisce la


«piccola» storia della conversione alla fede evangelica di un proprietario terrie-
ro nella Palermo del 1861: la costituzione della prima chiesa valdese in Sicilia
tra opposizioni esterne, tensioni interne e rapporti con la massoneria; il ruolo
di consigliere dei pastori Appia e Simpson Kay; la crisi con il Comitato di evan-
gelizzazione e il passaggio alla chiesa metodista; il tentativo fallito di costitui-
re una Chiesa libera; la vita privata e l’attività di inventore e fotografo. Un testi-
mone del primo evangelismo italiano, paradigma della trasmissione dei valori
evangelici alle generazioni future.

Antonella Varcasia, Don Antonino Tagliarini. A Witness of the First Italian


Protestantism

Against the background of the “big” history of Risorgimento, this article tells
the “small” history of the conversion to the Protestant faith of a land owner in
Palermo in 1861: the creation of the first Waldensian church in Sicily among
external opposition, internal tensions and the rapport with freemansonry; his
role as a counsellor of the Ministers Appia and Simpson Kay; the crisis with the
Committee for evangelization and passing to the Methodist Church; the failed
attempt to create a Free Church; his private life and his activities as an inventor
and a photographer. A witness of the first Italian Protestantism, a paradigm of
how to hand out Protestant values to future generations.
Protestantesimo 77, 2022, 95

a utori e a ut rici

Oswald Bayer, professore emerito di Teologia sistematica all’Università di


Tübingen e presidente del consiglio di amministrazione della Luther-Akademie
di Ratzeburg. Numerose pubblicazioni su Martin Lutero e su questioni di prin-
cipio della teologia.

Nicola Mariani, completati gli studi magistrali in ambito linguistico, conse-


gue nel 2021 la laurea presso la FVT con il prof. Fulvio Ferrario. Vive e lavora a
Berlino e si interessa di ermeneutica, cristologia e soteriologia.

Antonella Varcasia, metodista, laureata in Lettere antiche, ha conseguito la


laurea in Scienze bibliche e teologiche presso la FVT. È membro del Consiglio
della SBI.
Oswald Bayer
La teologia di Martin Lutero
Opere scelte - Lutero
pp. 483
ISBN 978-88-7016-691-0

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