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Nessuno come Daniel Defoe ha saputo creare mondi fittizi così perfettamente articolati stabilendo
così l’illusione della realtà. Quello di Defoe è un universo totalmente inventato che pullula di
dettagli realistici, sino a porsi come assoluta riproduzione del vero.
Nato a Londra, da famiglia modesta, Defoe viaggiò moltissimo. Impegnato politicamente fu persino
imprigionato e messo alla gogna, fino a che il tory Robert Harley lo impiegò come agente segreto e
lo inviò in varie missioni per tutta l’Inghilterra. Intensa è l’attività anche letteraria di Defoe, autore
di grande versatilità.
La fama di Defoe è comunque soprattutto affidata ai suoi sei romanzi, primo fra tutti, anche
cronologicamente, Robinson Crusoe del 1719.
Non va dimenticato che all’inizio del Settecento ai mecenati si erano sostituiti i booksellers; essi
controllavano giornali, periodici, riviste e pubblicazioni. Ciò spiega l’attenzione di Defoe per i libri
di viaggio e le (auto)biografie di criminali.
Nei romanzi successivi, Defoe si sarebbe mostrato sempre più attento alle esigenze dei suoi lettori.
In Moll Flanders (1722) e in Lady Roxana (1725) egli sfruttò le memorie di malavitosi – Moll è una
ladra e Roxana una prostituta – spingendo alle estreme conseguenze l’ambiguità insita nella
contrapposizione tra la falsità della prospettiva autobiografica e l’attenzione quasi maniacale al
dettaglio sociale e d’ambiente.
Fondamentale per Defoe è convincere il suo pubblico sulla veridicità dei fatti narrati: per questo
infarcisce il suo racconto di particolari sulla realtà del sottobosco criminale, attinti dalla sua
esperienza giornalistica.
La capacità di cavarsela in ogni situazione illegale o difficile, fa di Moll e Roxana perfetti esempi di
eroine opportuniste, sorrette da assoluto materialismo.
Captain Singleton (1720) e Memoir of a Cavalier (1724) narrano, il primo, la storia di un
avventuriero «privo di virtù o religione» che viaggia sul continente africano, nelle Indie occidentali
e sui mari cinesi imbrogliando, finché, diventato ricco, torna in Inghilterra, dove si sposa e conduce
una rispettabile vita borghese; il secondo, la vita di un gentiluomo inglese del Seicento, arruolatosi
prima nell’esercito austriaco e poi al servizio del re contro gli Scozzesi. Quest’ultima opera presenta
vivide descrizioni di eventi e battaglie.
ROBINSON CRUSOE
Il libro racconta le avventure di un giovane marinaio inglese, che naufraga su un’isola deserta
nell’Atlantico e vi resta per quasi ventotto anni; durante questo periodo, avrà tempo e occasione di
mettere alla prova tutte le sue capacità di adattamento all’ambiente, vivendo al tempo stesso grandi
avventure.
Il romanzo, ambientato nella seconda metà del XVII secolo, è narrato in prima persona ed
incentrato sulla figura di Robinson Crusoe, un ragazzo inglese della classe media che decide di
prendere la via del mare contro i desideri del padre, che lo vorrebbe avvocato. La nave su cui
viaggia Robinson fa subito naufragio ma egli non si scoraggia e si imbarca per una seconda volta.
Anche in questo caso, l’esito è infelice: Robinson è catturato da alcuni pirati e preso come schiavo a
Salé, in Africa. Dopo due anni, il protagonista fugge abilmente insieme a un ragazzo arabo di nome
Xury e viene recuperato dal capitano portoghese di una nave. Robinson cede Xury al capitano) e
giunge in Brasile, dove il capitano lo aiuta a fondare una piantagione di canna da zucchero,
riportando interessanti successi commerciali.
Dopo alcuni anni tranquilli, Robinson si rimette per mare per intraprendere la redditizia tratta degli
schiavi dall’Africa. È in questa occasione che si verifica la circostanza decisiva della sua vita: dopo
un altro naufragio, non lontano da Trinidad, egli si ritrova su un’isola che chiamerà Isola della
Disperazione.
Grazie ad alcuni attrezzi recuperati fortunosamente dalla nave naufragata, il protagonista riesce a
costruirsi un’abitazione, tiene un diario, si fabbrica un rudimentale calendario, cominciando a
coltivare e anche ad allevare alcune capre. Robinson, che ha la sola compagnia di qualche animale
in pratica ricostruisce sull’isola deserta il mondo inglese da cui proviene, dimostrando come, con
ingegno, razionalità e spirito d’intraprendenza si possano superare le difficoltà più impervie.
Dopo alcuni anni di totale solitudine, Robinson scopre di non essere solo: prima nota un’altra
impronta umana sulla spiaggia, poi scopre che sulla sua isola un gruppo di cannibali è solito
sacrificare le proprie vittime. Quando questi si recano lì con una nuova preda, Robinson li attacca e
li uccide, salvando un selvaggio a cui egli darà il nome di Venerdì, in onore del giorno della
settimana in cui quest’ultimo è stato liberato. Venerdì è un ragazzo gentile e intelligente e presto si
affeziona a Crusoe, che gli legge la Bibbia e lo converte al Cristianesimo. Con lui Robinson libera
altre due vittime dei cannibali: una è il padre di Venerdì, l’altra un marinaio spagnolo che svela al
protagonista come sulla terraferma ci siano altri naufraghi spagnoli. Robison organizza allora un
piano per cui lo spagnolo e il padre di Venerdì avrebbero dovuto ritornare a terra, radunare gli altri
marinai, costruire una nave e tornare verso l’Europa.
Tuttavia, prima che ciò si verifichi, sopraggiunge una nave inglese di ammutinati, che vogliono
abbandonare a riva il comandante; Robinson, dopo essersi accordato con quest’ultimo, sbaraglia gli
ammutinati, li lascia sull’isola e si impadronisce della nave, con cui, il 19 dicembre 1686, Crusoe
salpa per l’Inghilterra, dove giunge l’11 giugno del 1687.
Qui, dopo che è stato dato per morto da tutta la famiglia, scopre di essere ricchissimo: recatosi a
Lisbona, scopre per il tramite del capitano portoghese che le sue piantagioni in Brasile sono
diventate molto produttive. Mentre trasporta via terra le sue ricchezze, sempre seguito dal fedele
Venerdì, il protagonista si scontra sui Pirenei con un branco di lupi affamati. Egli poi vende la
piantagione, si sposa e ha tre figli, diventa per un breve periodo governatore dell’isola che lo ha
ospitato per quasi trent’anni e infine si ritira a vita privata nella natia Inghilterra.
Probabilmente la storia è basata su una vicenda reale, quella vissuta da Alexander Selkirk, che,
preso il mare, a sua richiesta venne asciato sull’isola disabitata di Juan Fernandez, da dove venne
riportato in patria cinque anni dopo.
Presentato come una storia vera, Robinson Crusoe, è un racconto vivido, esemplare della centralità
dell’individuo caratteristica del romanzo moderno.
Accolto da un successo che non è ancora estinto, il romanzo, nella sua complessità e ricchezza di
implicazioni, rende plausibili una serie di interpretazioni. Alcuni critici, come Ian Watt, mettono in
relazione la vicenda di Robinson con il nascere dell’individualismo borghese, con la divisione del
lavoro, e con l’alienazione sociale e spirituale che ne consegue; altri mettono l’accento sulla
creazione di personaggi “eroici” all’interno di una dinamica socioeconomica che essi
contribuiscono a formare ma da cui sono minacciati.
Scritto per bisogno di denaro, e per questo legato alle convenzioni di un sottogenere particolarmente
in auge al tempo (quello dei travel books), Robinson Crusoe impone la propria novità fin dalla sua
genesi di prodotto confezionato per il mercato.
Robinson non è un qualsiasi marinaio, ma è il prototipo dell’English merchant settecentesco, il
commerciante che naviga attraverso tutti i mari, spingendosi fino alle terre più lontane, per
procacciarsi nuovi affari.
Uomo economico, privo di emotività, incarna il moderno borghese opportunista.
Sull’isola, egli ricostruisce la realtà che si è lasciato alle spella. Non per caso, quando Robinson
finalmente incontra un indigeno, sceglie di farne il proprio servo, un autentico rappresentante del
proletariato, che il mercante borghese sfrutterà a suo piacere. In tal modo Crusoe diviene anche il
prototipo del colonizzatore, che strappa al colonizzato le sue credenze e la sua lingua, obbligandolo
a imparare l’inglese e a inchinarsi di fronte al Dio degli anglicani.
I tanti dettagli che Defoe ammassa nel corso della narrazione sono segnali, non solo di una evidente
mimesi realistica, ma anche della volontà di creare un’empatia tra autore e lettore, suscitando in
quest’ultimo l’immedesimazione attraverso il riconoscimento degli oggetti quotidiani.
IAN WATT
Daniel Defoe scrive tre volumi riguardanti le avventure di Robinson Crusoe, ognuna con un titolo
differente:
- Aprile 1719, 1° volume: La vita e le strane, sorprendenti avventure di Robinson Crusoe…;
- Agosto 1719, 2° volume: Le altre avventure di Robinson Crusoe, cioè la seconda e ultima
parte della sua vita;
- Agosto 1720, 3° volume: Serie riflessioni sulla vita e sulle strane e sorprendenti avventure
di Robinson Crusoe: con le sue visioni del mondo angelico.
I titoli non descrivono accuratamente il contenuto dei libri.
Defoe non prestò particolare attenzione al fatto che la «vita» promessa nel primo volume
riservava un’altra vita di ulteriori sorprese nel secondo. E tuttavia i tre volumi non sono mai
stati considerati una trilogia. Il secondo è narrativamente simile al primo ma molto meno
interessante; mentre il terzo ben presto abbandona la pretesa di essere stato scritto o vissuto da
Robinson.
Defoe è autore di una quantità di altre opere di prosa, più o meno romanzesca, tra cui Memoirs
of a Cavalier e Captain Singleton nel 1720, Moll Flanders, A Journal of the Plague Year, e
Coloner Jack nel 1721 e Roxana nel 1724. Ma quei cinque anni, 1719-1724, furono gli unici in
cui si dedicò al romanzo. In seguito, passò a occuparsi soprattutto di opere più lunghe e serie.
La maggior parte delle sue opere, romanzi inclusi, furono pubblicate in forma anonima. Lo
stesso Defoe non attribuiva particolare importanza a Robinson Crusoe. Ancora non sappiamo
con esattezza come Defoe considerasse questo romanzo, che sarebbe diventata la sua opera più
famosa, ma abbiamo almeno due indizi molto illuminanti.
1. Ripetute insistenze perché l’opera venisse considerata storicamente vera e non frutto di
fantasia.
Nella prefazione di The Father Adventures, Defoe attacca con indignazione coloro che
attribuiscono la trama alla fantasia dell’autore. Lo stesso Robinson Crusoe sostiene a sua
volta che si tratta di un’accusa falsa e scandalosa e afferma che la vicenda è anche storica.
Queste affermazioni sembrano dettate da una logica folle.
La sua situazione di confino forzato è rappresentata da un uomo confinato su di un’isola.
Defoe certamente confonde le acque, ma noi siamo autorizzati a credere che ci sia del vero
quando dice che esiste davvero un uomo e che piuttosto famoso: quell’uomo è Defoe stesso
ed è lui, in un certo senso, il soggetto di Robinson Crusoe.
2. Secondo indizio importante per capire il pensiero di Defoe lo troviamo nel primo capitolo di
Serious Reflections, intitolato Della solitudine. Benché si finga sia stato scritto anch’esso da
Robinson, l’enfasi della sua eloquenza ci trasmette la sensazione che i sentimenti in esso
espressi siano quelli autentici di Defoe.
Per quanto sia una difficoltà esasperante interpretarlo con certezza assoluta, abbiamo
comunque motivo di ritenere che Defoe considerasse la sua opera come rappresentazione
delle sue esperienze di vita personali, oltre che come un testo dal più vasto significato
simbolico.
Individualismo economico
Il mito di Robinson Crusoe è per tutti noi collegato quasi interamente alle sue avventure sull’isola.
Nel contesto della vita di Robinson nell’isola, il suo intervento razionale, ecologico ed economico
sul mondo può essere interpretato come premessa morale su cui si fonda la sua personalità.
Sul momento, quando viene gettato dalle onde sulla riva dell’isola, Crusoe si sente esausto e
infelice. In seguito, l’entusiasmo di Robinson nel costruirsi la casa sembra sconfinato; apporta
continue modifiche alla sua grotta e fa la stessa cosa con la casa di campagna e la grande grotta nel
bosco.
Questo sviluppo ripercorre il progresso storico dell’adattamento dell’uomo all’ambiente. Le stesse
fasi della storia umana sono esemplificate nelle soluzioni che Robinson trova per il cibo, arnesi e
mobilia. Comincia come raccoglitore, cacciatore, pescatore. Ben presto però si dedica all’attività
pastorale e infine a quella agricola.
Questa è una scoperta che meraviglia i lettori, abituati a un sistema economico complesso ed
evoluto basato sulla scoperta di quella che viene chiamata divisione del lavoro.
Ma la sua vita non si riduce ad una serie di operazioni manuali meccaniche. Robinson si diverte nel
fare quello che fa, o almeno gode dei risultati che ottiene.
Uno degli elementi del successo di Robinson Crusoe è certo il fatto che rappresenta nu modello di
come i processi economici fondamentali possano essere trasformati in attività terapeutiche.
Tutto questo è motivato dall’intento di sottolineare l’eroicità dei successi conseguiti da Robinson
nelle sue imprese, ma serve anche a mostrare realisticamente come il duro lavoro non sia un
piacevole passatempo bensì un dovere che richiede diligenza infinita.
Non dobbiamo però credere che Robinson si esaurisca nel tipo ideale dell’Homo oeconomicus; non
arriva a fare come il suo modello reale, Alexander Selkirk, che cantava e ballava con i suoi gatti e le
sue capre. Potremmo dire che si colloca a metà tra l’homo oeconomicus e l’uomo comune.
Molto è stato scritto sul pensiero economico di Defoe e Ian Watt ci tiene a dimostrare quanto sia
d’accordo con l’opinione generale secondo cui l’autore adotta una posizione mercantilistica
piuttosto antiquata: è il più interessato al profitto a breve termine che alla capitalizzazione della
produzione secondo le teorie economiche classiche.
Robinson lavora duro non tanto per rispondere alla «vocazione» quanto per necessità. L’obiettivo
determinante è il suo vantaggio economico. Il protagonista è l’evidente personificazione di un
atteggiamento psicologico già descritto dallo stesso Defoe in Jure divino.
Robinson dimostra un’abilità negli affari superiore alla media. C’è per esempio la famosa lista delle
sue situazioni sull’isola divise in «male» e «bene». Quest’abitudine gli rimane anche dopo aver
lasciato l’isola.
Robinson è molto attento, se non addirittura dominato, da interessi economici. Si preoccupa di cose
materiali, ha i piedi per terra, lavora in modo produttivo, ha il senso degli affari e registra con cura i
risultati del suo lavoro.
Individualismo religioso
Ian Watt classifica, e viene bacchettato dai suoi colleghi per questo, Robinson come un «cristiano
della domenica».
Le due opere principali che difendono un’interpretazione più strettamente religiosa di Robinson
Crusoe sono quelle di George Starr e di J. Paul Hunter. Starr sostiene che Defoe seguiva la vecchia
tradizione in cui lo scrittore autobiograficamente descrive un modello piuttosto convenzionale di
peccato seguito da pentimento e rinascita spirituale. Questo modello si ritrova in tutta la narrativa di
Defoe.
Hunter invece si concentra su Robinson Crusoe e in particolare sui suoi predecessori dissidenti.
Non intendiamo mettere in discussione la fede di Crusoe, ma non possiamo fare a meno di
domandarci fino a che punto Defoe avesse instillato nel testo le proprie convinzioni religiose.
Durante il quindicesimo anno sull’isola Robinson scopre l’orma sulla sabbia. Terrorizzato, si
convince che sia opera di Satana.
Un anno e mezzo dopo, durante un altro sbarco dei cannibali, Robinson decide che era giunto il
momento di procurarsi un servo. Appena il «selvaggio» lo vede, si pone il piede di Robinson sul
capo. Venerdì è un aiuto mandato dal cielo.
Robinson riesce finalmente a fare di Venerdì «un buon cristiano». La storia è edificante, ma va detto
che nel seguito del volume non ci sono altri accenni a temi religiosi. Per esempio, Robinson non fa
alcun tentativo di convertire il padre di Venerdì o lo spagnolo papista, quando arrivano.
Non siamo del tutto d’accordo con l’affermazione di Irving Howe secondo cui Robinson «quando
lascia l’isola è esattamente lo stesso di quando c’è arrivato». Va tuttavia osservato che, quando
finalmente abbandona l’isola, Robinson non ringrazia Dio né mostra traccia della sua nuova
redenzione religiosa per tutto il resto del volume. È questa una delle differenze principali tra il
romanzo di Defoe e le opere più note della tradizione religiosa puritana.
Con questo non si vuol sostenere che la redenzione di Robinson non continui, solo che non è più
evidente.
L’accento è posto su una religiosità cui Robinson approda essenzialmente attraverso una personale
indagine circa le intenzioni di Dio nei suoi confronti. La religione di Robinson è individualista in
senso protestante: è la concentrazione, individuale e determinata, del credente che cerca di scoprire
le intenzioni di Dio e di capire come i più piccoli eventi della vira possano contribuire alla sua
collocazione nel progetto divino di punizione e salvezza.
Defoe voleva dimostrare come gli eventi casuali della vita fossero ricchi di un possibile, immediato
significato sia per la vita dell’individuo sia per il destino della sua anima; vi è in lui una
consapevolezza interiore, e la ricerca della provvidenza divina come forza che guida l’uomo.