Sei sulla pagina 1di 138

Pontificio Ateneo S.

Anselmo Facolt di Teologia

I VANGELI SINOTTICI (31007) 2010-2011/II

Punti di orientamento (Ad usum privatum tantum)

Lszl T. Simon

OSB

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

1. LACUNE ELOQUENTI: UN INVITO ALLA LETTURA W. EGGER, I titoli delle pericopi bibliche come chiave di lettura: considerazioni sulle redazione di titoli per il discorso della montagna, RivB 28 (1981) 33-43; J.-C. GIROUD, Lire les critures, Smiotique et Bible 87 (1997) 48-59; W. H. KELBER, Rcit et rvlation: voiler, dvoiler et revoiler, RHPhR 69 (1989) 389-410; X. LON-DUFOUR, tude dvangile, Paris 1965; A. MARCHESE, Lofficina della poesia: Principi di poetica, Milano 1985; D. MARGUERAT, La construction du lecteur par le texte (Marc et Matthieu), in C. Focant, ed., The Synoptic Gospels: Source Criticism and the New Literary Criticism , BETL 110, Leuven 1993, 239-262; ID., Entrare nel mondo del racconto: La rilettura narrativa del Nuovo Testamento, Protestantesimo 49 (1994) 196-213; D. MARGUERAT Y. BOURQUIN, Per leggere i racconti biblici: La Bibbia si racconta, Iniziazione allanalisi narrativa, Roma 2001 [orig., fr.]; E. PARMENTIER, Le rcit comme thologie: Statut, sens et porte du rcit biblique, RHPhR 81 (2001) 29-44; N. R. PETERSEN, The Composition of Mark 4,1-8,26, HTR 73 (1980) 185-217; P. RICOEUR, loge de la lecture et de lcriture, ETR 64 (1989) 395-405; 1.1. At 8,26-40 Introduzione: Problemi e prospettive In questepisodio forse la parte pi intrigante, il dettaglio che stuzzica di pi la curiosit del lettore il passaggio dove il racconto si riferisce a un altro racconto, questultimo per non viene raccontato. Tutto ruota intorno a questo discorso nascosto, non detto, che forse una delle cose pi importanti che lepisodio vuol dire, e che si pu dire nella maniera migliore tacendolo. Questo discorso evocato, ma non riportato, conta di pi, poich responsabile per la trasformazione il cui resoconto il testo di questa pericope. Allora dobbiamo dire piuttosto che il vero significato di questepisodio nella relazione che lega gli avvenimenti alle cose non dette. Filippo, dice il narratore prendendo la parola e cominciando da questo passo della Scrittura, gli annunci la buona novella di Ges (v. 35; avnoi,xaj de. o` Fi,lippoj to. sto,ma auvtou/ kai. avrxa,menoj avpo. th/j grafh/j tau,thj euvhggeli,sato auvtw/| to.n VIhsou/n). Linsegnamento, o forse meglio lomelia, di Filippo non si racconta nel racconto. Non si tratta dunque di un racconto speculare (mise en abyme: riflessione sul racconto portante inserita nella storia raccontata, attraverso un inserto narrativo che funziona come una ripresa miniaturizzata del racconto portante; si chiama anche lopera nellopera o duplicazione interna cf. MARGUERAT BOURQUIN, 2001: 177ss; SKA, 1990: 47-53), ma siamo di fronte a una rappresentazione simile allinizio del vangelo di Marco (1,1 e 1,2-3 cf. Lc 4,18-19.21) dove Ges entra in scena sullo sfondo delle Scritture, entra da unaltra storia che lo precede. La narrativa, la narrativit come tale, stata messa in una nuova luce da parte delle scienze bibliche (e.g. R. Alter, Marguerat Bourquin, etc) come pure dalla teologia (P. Ricoeur, B. Sesbo, Jsus-Christ lunique mediateur, vol. II: Les rcits du salut: proposition de sotriologie narrative, Paris 1992) in generale (cf. Parmentier, 2001). La PARMENTIER (2001: 30) mette in rilievo che il denominatore comune di tutti i racconti la rappresentazione di una trasformazione. Questa caratteristica inalienabile del racconto lo rende molto adatto nella teologia, dove la conversione, unaltra forma di trasformazione, gioca un

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

ruolo del tutto particolare e di spicco. Inoltre, PARMENTIER (2001:32) sottolinea, che c ununione inscindibile tra il kerygma e il genere narrativo (kerygma: evento e proclamazione della salvezza; scopo della trasmissione del vangelo stesso; nellesegesi moderna il termine ha acquistato un significato pi ristretto indicando la predicazione del Vangelo da parte degli apostoli e dalla Chiesa primitiva; lo studio del kerygma ci fa capire meglio come prima di essere scritto, il vangelo fu anzitutto predicato; questo per non toglie nulla dal suo essere raccontato). P. RICOEUR, infatti, (Le rcit interprtatif: Exgse et thologie dans les rcits de la passion, RSR 73 [1985] 17-28) del parere che i vangeli potrebbero venire chiamati racconti kerygmatizzati (rcits krygmatiss) oppure kerygma narrativizzato (krygme narrativis). Poi prosegue dicendo che nel kerygma cristologico c qualcosa che richiede il racconto ( qui demande rcit). P. BEAUCHAMP, da parte sua, (Narrativit biblique du rcit de la passion, RSR 73 [1985] 39-60) colloca il racconto in una posizione intermedia tra il kerygma e la storia (histoire positive), poich il racconto pi corporeo (corporel) e pi robusto (nourri) del kerygma, e simultaneamente pi leggero e pi libero della storia (histoire positive). PARMENTIER (2001: 34) sottolinea che il racconto potrebbe considerarsi come una risposta allaporia fondamentale del discorso su Dio. In effetti, raccontando Dio, la sua identit viene presentata da punti di vista sempre nuovi, il racconto lo mette di continuo in una prospettiva inedita, il che ci impedisce di ridurlo a una mera definizione concettuale. Del resto, da notare che la rivelazione del nome di Dio a Mos (Es 3,14), cio la rivelazione per antonomasia, pu interpretarsi come un divieto, o meglio, unesemplificazione del fatto, che il Dio della Bibbia non si lascia ridurre ad una formula teologica (non viene rivelato un nome-sostantivo), ma si rivela intrinsecamente legato al divenire (si rivela un nome-verbo). PARMENTIER (2001: 31) poi mette in risalto che il racconto proprio tramite le sue categorie di tempo e di spazio, le quali mandano in frantumi tutte le pretese per lassoluto e per luniversale, rende visibile e tematizza laspetto metaforico di tutti i discorsi su Dio e sulluomo. Latto di leggere pu essere ritenuto come una risposta allatto di scrivere (GIROUD, 1997: 48). Per quanto riguarda la lettura il GIROUD (1997: 50) distingue fra due operazioni diverse. Da un canto c il lavoro del lettore (travail du lecteur) che osserva, analizza, valorizza, verifica, e dallaltro il lavoro nel lettore (travail dans le lecteur) che si lascia coinvolgere dal racconto letto, dalle parole, le quali provengono da un altro. Questo lavoro richiede molta pazienza, e gli inciampi (achoppement) incontrati strada facendo devono essere ritenuti fruttuosi (cf. At 8,34). Per quanto riguarda la pazienza: Come afferma J.-P. DUPLANTIER, la lettura non altro che la pesca con la lenza. Il pescatore con la lenza si mette in riva a un fiume o in riva a un lago; sa guardare londa che passa e le increspature dello stagno, sa interpretare le erbe che si muovono e il colore delle acque, ma soprattutto crede che l dentro ci sia il pesce e pazientemente getta la sua lenza e sa aspettareNoi siamo in riva ai testi per interpretare il brulicare delle figure, per seguire i

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

contorni del senso, per riconoscere il discorso che scorre, poich sappiamo che l dentro c la Parola e che, se essa non abita l, quanto almeno vi passa spesso (Questa citazione riportato da GIROUD [1997: 55] si trova pure in MARGUERAT BOURQUIN [2001: 150]). Per quanto riguarda le difficolt che sincontrano durante la lettura il GIROUD (1997: 57) dice che ci fanno un gran servizio. Come nel caso delleunuco. Infatti At 8,35 ( avrxa,menoj avpo. th/j grafh/j tau,thj euvhggeli,sato auvtw/| to.n VIhsou/n ) si potrebbe tradurre: a partire da questo punto dinciampo di questa scrittura, egli gli annunci la buona novella di Ges. Di che cosa, in realt, parla il testo citato: di sofferenza silenziosa, giustizia rinnegata, mancanza di posterit. Filippo non fa un cortocircuito interpretativo spiegando la sua posizione, come farebbe forse un predicatore di indole apologetica o polemica, identificando immediatamente con Ges di Nazaret la persona di cui il profeta parla. Per Luca questo sarebbe una scorciatoia non permissibile, poich raggiungerebbe soltanto lintelletto dellinterlocutore, e cos rimarrebbe a un livello meramente informativo. Filippo non solamente un insegnante, ma anche un testimone la cui vita stata toccata, coinvolta, trasformata dalla Parola, e perci capace di fare questa digressione in modo che la parola letta pervenga al cuore dellinterlocutore, e ci possa nascere la gioia, in cui si sbocca la trasformazione (conversione) raccontata. Il testo profetico interpretato parla sicuramente di Ges, ma parla pure delleunoco stesso, il quale nel suo corpo mutilato ha vissuto fino ad adesso la sofferenza di rimanere senza posterit per sempre, come pure la discriminazione (Dt 23,2 cf. Is 56,3-5). Quando si legge un racconto, si legge sempre tra le righe. Poich il testo letterario non intende dire tutto, anzi, non in grado di farlo. Non facile affatto capire questa propensione a sottacere delle cose. pure vero, che lintenzione di esprimere tutto pu causare delle difficolt per il lettore. Basti pensare alla ricezione assai movimentata di alcuni romanzi del novecento (e.g. Ulisse di J. JOYCE). Il lettore nutrito ed educato da racconti e romanzi convenzionali, con intrecci sviluppati, ben complessi, trover ostacoli che sembrerebbero insormontabili, quando si addentra nel testo di Joyce ad esempio, poich qui dellintreccio al livello degli avvenimenti c ne ben poco. Dire, in realt, che Ulisse racconti una giornata di un personaggio, il quale del resto tuttaltro che un eroe vero e proprio, significa dire praticamente nulla. Le opere della letteratura moderna larte moderna in genere hanno fatto scoppiare le convenzioni vigenti, come daltronde fanno sempre i moderni di qualsiasi epoca, e a causa del loro essere inconsuete venivano bollate non di rado come difficili, o nei peggiori casi, sono state stigmatizzate come incomprensibili. Laffermazione allinizio del paragrafo per quanto sembri lapalissiana, coglie bene il nucleo degli approcci recenti della comunicazione letteraria (U. ECO, W. ISER, W. BOOTH, o in campo biblico: R. A. CULPEPPER, R. M. FOWLER). Il testo [] intessuto di spazi bianchi, di interstizi da riempire, e chi lo ha emesso prevedeva che essi fossero riempiti e li ha lasciati bianchi per due ragioni. Anzitutto perch un testo un meccanismo pigro (o economico) che vive sul plusvalore di senso introdottovi dal

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

destinatario, e solo in casi di estrema pignoleria, estrema preoccupazione didascalica o estrema repressivit il testo si complica di ridondanze e specificazioni ulteriori [] E in secondo luogo perch, via via che passa dalla funzione didascalica a quella estetica, un testo vuole lasciare al lettore liniziativa interpretativa, anche se di solito desidera essere interpretato con un margine sufficiente di univocit. Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare. (U. ECO, Lector in fabula, Milano 1979, 52) Socrate dice a Fedro nellomonimo dialogo di PLATONE (a cura di G. REALE, Fondazione Lorenzo Valla 1998, 275d-e) che una volta che un discorso sia scritto, rotola da per tutto, nelle mani di coloro che se ne intendono e cos pure nelle mani di coloro ai quali non importa nulla, e non sa a chi deve parlare e a chi no. E se gli recano offesa e a torto lo oltraggiano, ha sempre bisogno dellaiuto del padre, perch non capace di difendersi n di aiutarsi da solo. RICOEUR (1989: 402s) ritiene che proprio il lettore a portare aiuto allo scritto, poich nella lettura il testo orfano di suo padre, lautore, diventa figlio adottivo della comunit dei lettori. U. ECO sintetizza cos questa adozione: il funzionamento di un testo [] si spiega prendendo in considerazione oltre o invece del momento generativo, il ruolo svolto dal destinatario nella sua comprensione, attualizzazione, interpretazione, nonch il modo in cui il testo stesso prevede questa partecipazione (I limiti dellinterpretazione, Milano 1990, 16). 1.2. Terminologia Gli aspetti della comunicazione verbale sono sei, dice R. JAKOBSON (1896-1982) nel suo celebre testo Saggi di linguistica generale (Milano 1966, 191; cf. MARCHESE 1985: 65) CONTESTO MESSAGGIO MITTENTE DESTINATARIO CONTATTO CODICE Il mittente (o locutore o parlante) invia al destinatario (o interlocutore) un messaggio, il quale si riferisce a un contesto. Per compiere tale operazione sono necessari: un codice (i segni arbitrari combinati con altri segni dello stesso tipo costituiscono un sistema di segni o codice) comune al mittente e al destinatario; e un contatto (un canale fisico e simultaneamente una connessione psicologica) tra il mittente e il destinatario che consente loro di stabilire la comunicazione o di mantenerla. A questi fattori corrispondono diverse funzioni linguistiche (cf. MARCHESI 1985: 65): REFERENZIALE POETICA EMOTIVA CONATIVA FTICA METALINGUISTICA

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

funzione referenziale: lorientamento verso il contesto, verso ci di cui si parla; funzione emotiva: si concentra sul mittente, mette in risalto latteggiamento del soggetto riguardo a quello di cui si parla (e.g. manifestazione nel messaggio il proprio stato danimo); funzione conativa: lorientamento verso il destinatario; il mittente si propone di influire su di esso ( da conari intraprendere, tentare; si manifesta, tra laltro, mediante luso del vocativo e dellimperativo); funzione ftica: lorientamento verso il canale attraverso il quale passa il messaggio (pronto? Mi senti?; da fari pronunziare, parlare); funzione metalinguistica: lorientamento sul codice; funzione poetica: lorientamento sul messaggio (e. g. laspetto fonico delle parole, il parallelismo tra le frasi e le parti di frasi che compongono un testo, la scelta dei vocaboli e delle costruzioni); la funzione poetica non riguarda soltanto i testi poetici e letterari, ma anche tutte quelle occasioni in cui chi produce il messaggio da un notevole importanza alla forma che esso assume, fino a considerare tale forma come lobiettivo principale del suo atto comunicativo (e.g. linguaggio infantile, o quello della pubblicit); da notare: tali funzioni non appaiono quasi mai isolatamente nei concreti atti liunguistici

del parlante. Capita non di rado che un messaggio sia simultaneamente emotivo e conativo, oppure poetico ed emotivo. Applicato alla lettura di un testo lo schema di Jakobson pu essere riformulato cos (MARGUERAT BOURQUIN, 2001: 12):
INFORMAZIONE

mondo rappresentato

AUTORE

enunciato

OPERA

appello

LETTORE

Segni verbali
LINGUAGGIO

MARGUERAT (1994: 198s.212s; MARGUERAT BOURQUIN, 2001 passim) riassume il credo metodologico dellesegesi narrativa: 1. primo principio: una potenzialit del senso - lanalisi storico critica: il senso del testo legato al suo contesto di enunciazione; linterpretazione = la ricostruzione del senso primo; ricostruire la realt alla quale rimanda il testo, e ricostruire lintenzione dellautore che lha redatto; - lanalisi narrativa (come pure lanalisi semiotica): ogni opera letteraria dotata di una dinamica propria; al di l del senso primitivo, il testo apre una potenzialit di significati; 2. secondo principio: il testo nel suo stato finito - lesegesi storico-critica: il testo va capito a partire dalla storia che lha prodotto, fino a ricostruire anche le diverse tappe della sua formazione; - lanalisi narrativa: solo preso in considerazione il testo nel suo stadio finito, cos come si propone alla lettura (meno interesse a ci che il testo dice [cosa] piuttosto alla maniera in cui lo dice [come]); 3. terzo principio: leggere un percorso programmato - lesegesi storico-critica: il senso una realt oggettuale nascosta nel testo e che lesegeta dovrebbe scoprire;

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

- lesegesi narrativa: il senso risulta nellatto stesso della lettura; leggere = entrare in un contratto proposto dal narratore; la comprensione del senso programmata nel testo come un percorso da effettuare. Importante: percepire la strategia del narratore (come si articolano e.g. lintreccio, tempo, spazio, personaggi etc). La teologia dei racconti biblici non dissociabile dal modo in cui sono costruiti i racconti stessi. E.g. RICOEUR afferma, che non pi concepibile costruire delle teologie dellAntico o del Nuovo Testamento che considerino la categoria narrativa come un procedimento retorico estraneo al contenuto veicolato (Hermneutique philolophique et hermneutique biblique [1975] in Du texte laction: Essai dhermneutique, II. Paris 1986, citato da Marguerat, 1994: 212; cf. F. RIVA Lesegesi narrativa: dimensioni ermeneutici, RivB 37 [1989] 129160). 4. quarto principio: autore e lettore impliciti - Mentre allanalisi strutturale o semiotica interessa il funzionamento del linguaggio (postulato dimmanenza: nulla fuori del testo, nulla se non il testo e tutto il testo), nellanalisi narrativa si pone la seguente domanda: lautore come comunica il proprio messaggio al lettore?; tramite quale strategia organizza il deciframento del senso da parte del lettore? - Lautore e il lettore originali sono fuori portata testuale, perci bisogna individuare lautore implicito ed il lettore implicito (cio lautore ed i destinatari cos come si trovano intrinsecamente presenti nello scritto). - Questi concetti liberano la critica storica dallingenuit con cui essa confonde il piano storico e il piano letterario. In altri termini, dobbiamo guardarci dal considerare il mondo narrativo come un calco della situazione storica dei suoi destinatari (un rischio particolarmente palpabile per la critica della redazione). importante, afferma Marguerat, non creare unalternativa tra critica storica e critica narrativa. Lesegesi narrativa pure corre il rischio di: cedere ad un positivismo testuale in cui la descrizione letteraria prende il posto dellinterpretazione; cadere negli anacronismi per mancata conoscenza della natura storica dei documenti biblici;

1.3. Un esempio (Mt 8,18-27 e par.) Ci accingiamo a leggere un episodio ben conosciuto, il cui contenuto di solito viene riassunto col titolo la tempesta sedata (vedi Appendice A). Il titolo gi uninterpretazione che mette in risalto il miracolo. Se vogliamo classificare i titoli, si possono proporre le seguenti categorie (cf. EGGER, 1981: 33 n1, 42): titoli neutrali (e.g. guarigioni), cherigmatici (Vi far pescatori di uomini) parenetici (Ges chiama), enigmatico-simbolici (preferiti soprattutto dalla TOB: Autrui [Mt 7,12], La lampe du corps [Mt 6,22-23]). Il titolo come il primo incontro tra il testo e il lettore, da un lato, deve coprire in qualche modo il contenuto del testo, e dallaltro deve stimolare il lettore. In altri termini, bisogna che sia fedele al testo e simultaneamente sia amico del lettore. Come si modificherebbero le nostre aspettative pericope scelta a seconda delle categorie appena menzionate? Nellanalizzare dei testi dimportanza fondamentale che gli elementi siano considerati seguendo lordine in cui appaiono nel racconto. Dobbiamo anche vedere se il narratore se cambiassimo il titolo della

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

presente nella storia raccontata o meno. Bisogna pure determinare i confini del racconto: dove inizia e dove finisce. Nel nostro caso chiaro che il comando per partire segnala linizio e lindicazione dellarrivo accenna la fine. Poi molto utile dividere il racconto in quadri (cio in sotto-unit di un micro-racconto, il micro-racconto a sua volta unentit narrativa minima, che presenta un episodio narrativo, la cui unit identificabile grazie agli indicatori dei suoi confini, MARGUERAT BOURQUIN, 2001: 41). Prendiamo la versione di Mt: 1. v.18: comando; discorso indiretto 2. vv. 19-20: dialogo con uno scriba: intenzione e un mettere in guardia 3. vv. 21-22: dialogo con un altro discepolo: riluttanza e comando rafforzato 4. v. 23: partenza 5. v. 24a: grande agitazione nel mare 6. v. 24b: ma Ges dorme 7. vv. 25-26a: dialogo tra Ges e i suoi discepoli 8. v. 26b: tempesta sedata 9. v. 27: lespressione di meraviglia 10. v. 28a: larrivo Il racconto sia in Mc, che in Lc prende il via con una frase in discorso diretto. N luno, n laltro ritarda lo svolgimento con scene inserite come lo fa Mt. Limmediatezza delleseguimento del comando pi accentuata in Lc. Limbarcarsi invece pi dettagliato in Mc, poich l troviamo due riferimenti a monte (folla, [cos] come era nella barca) e poi si menziona un altro elemento particolare, il quale per non si metter in gioco nellepisodio: cerano altre barche con lui. Mentre in Mt fra il comando di Ges e il suo imbarcarsi ( da notare che in Mc sono i discepoli a prendere Ges, in Mt invece lui stesso a farsi salire a bordo per primo e i suoi discepoli lo seguirono) due micro-episodi vengono inseriti il cui tema comune la sequela. Questo tema comune per si articola con due modalit diametralmente opposte: nel primo si tratta di unapplicazione incondizionata (ovunque [tu] vada), mentre nel secondo lesitazione da parte del discepolo a far scattare le parole sferzanti di Ges. Inoltre, se si va a vedere la versione di questi dialoghi in Lc, i quali si trova in un altro contesto, si vedr che lopposizione totale di Mt viene smorzato dal fatto che in Lc si svolgono tra dialoghi sulla sequela, e i partner di Ges non possono etichettarsi come una figura negativa e positiva. Per analizzare la trama dei racconti si usa non di rado la suddivisione secondo la struttura quinaria (MARGUERAT BOURQUIN, 2001: 47-55): 1) situazione iniziale, 2) complicazione, 3) azione trasformatrice, 4) soluzione, 5) situazione finale. I due dialoghi in Mt a parte, lunica divergenza maggiore nello svolgimento del trama nei tre racconti che in Mt lazione trasformatrice Ges rivela la sua autorit sulla natura, o meglio, sulle forze caotiche che coinvolgono la creazione segue la domanda volta ai discepoli. Questa domanda, che per quanto riguarda il suo contenuto ben diversa nelle tre stesure, in Mc e Lc pu considerarsi come un

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

elemento appartenente alla situazione finale, mentre in Mt viene pronunciata in alto mare, il che aumenta la drammaticit della situazione: al grido di aiuto dei discepoli Ges non agisce immediatamente come in Mc e Lc, ma fa una domanda la quale concerne la fede dei discepoli. Non si tratta forse di un segno che per Mt tutto il racconto orientato verso la sequela di Ges ovunque egli vada? Come abbiamo gi visto in Mt Ges a prendere liniziativa e i discepoli lo seguono, guardando indietro dalla domanda di Ges (v. 26a), un altro dettaglio si colloca in unaltra prospettiva. Mentre in Lc la descrizione della complicazione verosimile: prendono il largo Ges si addormenta arriva la burrasca; in Mc la faticosa giornata (v. 35: in quello stesso giorno, venuta la sera) rende possibile che Ges sia addormentato anche durante una grande burrasca (laggettivo manca in Lc), Mt sottolinea leccezionalit dellatteggiamento di Ges durante la grande agitazione nel mare: ma egli dormiva. La trama di risoluzione (trama la cui azione trasformatrice opera sul piano pragmatico [prodezza, guarigione etc] MARGUERAT BOURQUIN, 2001: 62-64; J.-L. SKA, Our Fathers Have Told Us. Introduction to the Analysis of Hebrew Narratives , SubBi 13, Roma 1990,) riceve uno slittamento dopo lazione trasformatrice. La domanda di Ges rimane senza risposta verbale. La descrizione dello stato danimo (meraviglia in Mt, timore in Mc, timore e meraviglia in Lc) prepara la loro domanda, la quale per di nuovo rimane sospeso senza qualunque risposta. Questa domanda (acclamazione) infatti, non riguarda pi lazione trasformatrice, ma lidentit di Ges. Con questa domanda a mezzaria arrivano laltra riva, come pure il racconto condotto in porto. Quali sono i personaggi del racconto? In Mc, bench rimangano sin dallinizio fino alla fine dellepisodio sotto il velo dei pronomi, sono i discepoli (cf. 4,34) e Ges, che per non viene nominato con questo nome. Una volta rivolgendosi a lui lo chiamano Maestro (Dida,skale cf. in Lc 8,24: VEpista,ta), laltra volta parlando di lui il loro riferimento al Maestro si articola con la comanda: Chi dunque costui? No si potrebbe forse supporre che questo cambiamento di designazione della persona di Ges da parte dei suoi discepoli, trapeli una trasformazione, magari molto timida, quasi embrionale, che non si verifichi nella natura attorno, ma dentro i discepoli nei confronti di Ges. In altri termini, si pu dire che siamo di fronte ad uno slittamento verso la trama di rivelazione (la cui azione trasformatrice consiste in un aumento di conoscenza su un personaggio della storia raccontata). Non si arriva certo ad una professione di fede esplicita, tuttavia nella domanda conclusiva si cela implicitamente qualcosa simile che potr verbalizzarsi sullo sfondo veterotestamentario. La folla (e anche le altre barche) sono soltanto una comparsa nel racconto (comparsa: personaggio semplice, che ricopre un ruolo passivo o quasi-passivo [sfondo] nel racconto; cf. MARGUERAT BOURQUIN, 2001: 67-69; SKA, 1990: 83s) e probabilmente per questo in Lc nemmeno si menzionano. La scena la pi affollata in Mt: v. 18 Ges folla; v. 19 uno scriba;

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

10

v. 21 un altro dei [suoi] discepoli; v. 23 i suoi discepoli; v. 27 uomini. Ges stesso viene nominato con diversi nomi. Il narratore lo chiama o cos, oppure si riferisce a lui con pronomi. Diversamente i personaggi stessi. Lo scriba lo chiama Maestro, laltro suo discepolo Signore, come pure i discepoli pi avanti (v. 25). La folla che si trova attorno a Ges sembra di sparire completamente dalla trama. Mt, da questo punto di vista simile a Lc, non parla di altre barche. Alla fine (v. 27) per, assai strano, non si menzionano i discepoli ma si parla di uomini. Perch questo cambiamento? Lepisodio che Mt inserisce fra il comando di partire e la partenza stessa getta luce a questo mutamento. La sequela di Ges sta a cuore a Mt anche in questepisodio. Le due cordicelle (personaggio semplice, che ricopre un ruolo minore [o unico] nello sviluppo della trama; cf. MARGUERAT BOURQUIN, 2001: 67-69; SKA, 1990: 84), cio lo scriba e laltro discepolo, esemplificano due atteggiamenti possibili: sequela totale o meno. Per Mt tertium non datur. I discepoli di cui parla in v. 23 sono quelli che lo seguono ovunque anche in mare egli vada. Andare allaltra riva per mette la loro fede alla prova (v. 26). Non si potrebbe dire, pur correndo il rischio di psicologismo, che stando alla designazione del v. 27 (uomini) Mt mette in risalto che la sequela aperta a tutti, anzi proprio nella sequela incondizionata si riveler chi sono i veri discepoli? In altri termini: la folla che allinizio funge meramente da una massa di comparse senza volto, tramite alla risolutezza della sequela si trasmuta in un gruppo di uomini con profili ben distinti fra di loro. Soltanto in Lc accenna il narratore che a causa della tempesta i discepoli erano in pericolo, in Mc la raffigurazione delle circostanze la pi dettagliata, ma la disperazione dei discepoli (siamo perduti) non viene comprovata dal narratore n qui, n in Mt. In effetti sono i discepoli stessi a valutare cos la loro situazione. Tuttavia, mentre in Mc si rivolgono con parole brusche al Maestro (non timporta che siamo perduti), in Mt sindirizzano a Ges con una frase quasi liturgica: Signore, salvaci, siamo perduti. Anche nella risposta di Ges troviamo differenze cospicue, le quali lasciano intravedere immagini ben diverse che gli evangelisti schizzano i discepoli (poca fede [Mt], non ancora fede [Mc], dove la fede [Lc]). Nella prospettiva di ciascun vangelo dunque i discepoli vengono raffigurati in una fase diversa del loro discepolato. I racconti di Marco solitamente si ritengono schematici. LON-DUFOUR (1990: 37 cf. ID., 1965: 160) mette in rilievo lo schema che si ritrova in alcuni racconti di miracoli: 4,39-41 Ed essendosi risvegliato sgrid e disse Fa silenzio, taci! (effetto del comandamento: calma del mare) ed essi ebbero paura 1,25-27 E Ges lo dicendo Taci ed esci da lui! (effetto del comandamento: guarigione dellindemoniato) e tutti furono fuori di s tanto che si chiedevano

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

11

e si dicevano lun laltro: chi dunque costui?

a vicenda dicendo: che questo?

In questo schema non c posto per il v. 40, in cui unaltra prospettiva domina. La domanda di Ges una domanda catechetica. Sar stata aggiunta, avanza lipotesi Lon-Dufuor, affinch fosse possibile, appunto, sorpassare lo schema. Il v. 40 dunque modifica lorientamento teologico del racconto. Numerosi racconti di miracoli terminano con laffermazione che i miracolati, e/o coloro che ci assistono, lodano Dio (e.g. Mc 2,12). Nellepisodio della tempesta sedata questo dettaglio manca. Perch? Perch, a differenza degli altri miracoli, dove Ges agisce con il dito di Dio (Lc 11,20), qui compie egli stesso un gesto divino. In realt, secondo la convinzione biblica solo Dio pu comandare il mare, e qui proprio questa forza infernale che il mare rappresenta viene esorcizzata da Ges. Il racconto non si conclude con la lode di Dio. Viene da chiedersi, se Ges compie un atto divino, perch non professano i discepoli la sua divinit? Una domanda simile, afferma Lon-Dufour, rivela soltanto la mancata conoscenza dellambiente storica: adorazione di un uomo una cosa impensabile per un israelita. Dobbiamo osservare che la perplessit dei discepoli ci fa intravedere che vivano in una tensione, la quale stata creata dalla loro duplice fedelt: come potrebbero articolare la loro fede monoteista conciliandola con levidenza che si sta svolgendo davanti ai loro occhi. questa conflittualit a far zampillare dal loro cuore la domanda: Chi questuomo? Nellatmosfera di meraviglia e di sbigottimento Ges con la sua domanda sulla fede/fiducia educa i suoi discepoli. La parola che si trova in Mc e Mt (paurosi deiloi, cf. 2 Tim 1,7 deili,a), esprime latteggiamento di qualcuno chi agisce nel pericolo come se Dio non esistesse. Nella burrasca i discepoli hanno palesemente dimostrato la loro mancata fiducia in Dio. Ges invece nel suo addormentarsi era licona di questa fiducia. In altre parole, il comportamento del Maestro assume un valore simbolico. Lo stato di Ges non si spiega a partire degli avvenimenti precedenti (insegnamento, fatica), ma invita i discepoli a scoprire, proprio tramite il silenzio e lassenza apparente di Ges, la presenza di Colui che pu tutto. In Lc mentre la pericope seguente la stessa come in Mt e Mc, nel passo precedente si tratta della vera famiglia di Ges. Cos il racconto della tempesta sedata si slega dalla sezione delle parabole (Mc) e degli altri miracoli (Mt). Inoltre, Mt, da parte sua, mette in risalto la catechesi cos fortemente da far sparire quasi completamente lo schema del racconto di miracolo. Per quanto al contesto, la seguente pericope, bench si tratti di un viaggio nel territorio pagano come in Mc, le divergenze fra la stesura di Mt e Mc sono talmente grandi da far pensare a due tradizioni indipendenti (LON-DUFOUR, 1965: 164). Inoltre, in Mt le parabole del regno si leggono al cap. 13. il discorso sulla montagna a precedere la sequenza dei miracoli in cui sinserisce la pericope della tempesta sedata. In altri termini, dopo essersi dimostrato come colui chi parla con potenza: Quando Ges ebbe finito questi discorsi, le folle rimasero stupite

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

12

della sua dottrina; insegnava infatti come uno che ha autorit, non come i loro scribi (Mt 7,2829), adesso, da 8,1 in avanti, si rivela potente con le opere. Tuttavia, mentre nella prima sezione dei miracoli (Mt 8,1-17) si tratta di guarigioni, nella seconda (8,18-9,18) il tema della sequela viene illustrata. I miracoli non sono solamente segni della salvezza, ma dimostrano pure come Ges pu trasformare il cuore delluomo con le sue parole, e come queste si rivelano pi forti delle potenze caotiche. Lo scriba chiama Ges Maestro (8,19). Questappellativo si trova in 12,38 (scribi e farisei); 19,16 (il giovane ricco); 22,16 (i discepoli dei farisei e gli erodiani); 22,24 (i sadducei); 22,36 (i farisei). Il titolo maestro non appare mai in bocca a un discepolo. In Lc (9,57-62) nessuno dei tre interlocutori usa questo vocabolo. Il secondo interlocutore (8,21) per viene presentato come un altro dei [suoi] discepoli. Con questo cambiamento Mt sembra sottolineare che lo staccamento e la reintegrazione non appartengono solo alla fase iniziale del discepolato (9,9), bens lo caratterizzano per sempre. Il problema precipuo per Mt (e presumibilmente per i suoi destinatari) non come si diventa discepolo, bens come lo si rimane, come si progredisce nel discepolato. Questo rimanere, questo progredire si attua a seconda delle situazioni della vita. La traversata del mare in un certo senso un vero rito di passaggio fornisce loccasione per approfondire il loro impegno iniziale. Come abbiamo visto il termine uomini appare alquanto curioso. In effetti, in altri contesti questo vocabolo assume un significato teologico in Mt. Si usa per riferirsi ai non-credenti, quelli che stanno lontano da Dio: 5,13; a quelli che hanno bisogno del vangelo: 4,19; 5,16.19; 6 passim; chi parlano di Ges da outsider: 16,13; chi nulla capiscono di Dio: 16,23. Servendosi di questa parola in 8,27 Mt mette in risalto che la cerchia dei discepoli aperta a tutti (cf. 1 Cor 14,25). Da un canto Mt sguarnisce il racconto di dettagli realistici (cuscino, poppa, burrasca di vento, onde) e dallaltro lo spennella in modo da rendergli un tono liturgico (Signore, salvaci). Inoltre, invece di parlare di burrasca, Mt si serve del vocabolo agitazione ( seismo.j), il quale ha una coloratura escatologica e apocalittica (e.g. 24,7; 27,51.54; 28,2.4; cf. Ex 19,18; 1Re 19,11; Gb 38,1; 40,6). In Lc i discepoli sembrano di avere la fede, loro manca solamente la capacit di attuarla in una situazione di prova, in Mc non la hanno ancora. Mt a proposito dei discepoli sviluppa il tema della poca fede (ovligo,pistoj, ovligopisti,a). Il concetto, Mt probabilmente lo ha preso dalla tradizione (cf. Mt 6,30=Lc 12,28). I discepoli a pi riprese danno prova della loro ovligopisti,a: 6,30; 8,28; 14,31; 16,8. Al contrario, quelli che vengono lodati per la loro (grande) fede non fanno parte della cerchia dei discepoli: il centurione (8,5), i portatori del paralitico (9,2), lemorroissa (9,22); i due ciechi (9,29), la donna cananea (15,28). Sullo sfondo di questi dettagli dobbiamo ridimensionare i risultati ricavati dai due mirco-episodi inseriti tra il

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

13

comando a partire e la partenza stessa. Questi due quadri infatti suggeriscono che ci siano due atteggiamenti soli di fronte alla sequela: intraprenderla o meno. La domanda di Ges al v. 26 mette in nuova luce questimmagine alquanto semplicistica, poich sono i discepoli, i quali seguono Ges (cf. v. 23) a mostrarsi ovligo,pistoi nel pericolo. In altri termini, mentre i microepisodi (vv. 19-22) potrebbero dare limpressione che la dedizione alla sequela incondizionata a dividere la folla, la domanda di Ges ci fa capire che il diaframma si trova nel cuore del discepolo, il quale deve imparare di nuovo ad andare allaltra riva: rinnovando la sua fiducia in Dio deve vincere la sua ovligopisti,a. La domanda (acclamazione) dei discepoli alla fine dellepisodio rimane senza risposta. Per, se troviamo le radici veterotestamentarie del racconto, questa lacuna si rivela pi apparente che reale. Ps 107,23-30 fornisce il sottofondo biblico. Lintervento divino si verifica tramite diniziativa di un uomo, il quale, proprio attraverso questo gesto, si mostra pi di un uomo. Si delinea una prospettiva cristologica. [per quanto concerne i miracoli di Ges in generale cf. G. THEISSEN A. MERZ, Il Ges storico: Un manuale, Biblioteca Biblica 25, Brescia 1999, 348-389] 2. IL VANGELO QUADRIFORME L. ALEXANDER, The Living Voice: Scepticism towards the Written Word in Early Christian and in Graeco-Roman Texts, in D. J. A. Clines et al., ed., The Bible in Three Dimensions , Sheffield 1990, 221-247; R. BAUCKHAM, For Whom Were Gospels Written?, in ID., ed., The Gospels for All Christians: Rethinking the Gospel Audiences , Grand Rapids 1998, 9-48; R. A. BURRIDGE, Four Gospels, One Jesus? London 1994; P.-M. BOGAERT, Ordres anciens des vangiles et ttravangile en un seul codex, RTL 30 (1999) 297-314; ID., Les Quatre Vivants, lvangile et les vangiles, RTL 32 (2001) 457-478; O. CULLMANN, Die Pluralitt der Evangelien als theologisches Problem im Altertum, TZ 1 (1945) 23-42; J. K. ELLIOTT, Manuscripts, the Codex and the Canon, JSNT 63 (1996) 107-121; E. J. EPP, New Testament Papyrus Manuscripts and Letter Carrying in Greco-Roman Times, in B. A. Pearson, ed., The Future of Early Christianity, Fs H. Koester, Minneapolis 1991, 35-56; ID., The Papyrus Manuscripts of the New Testament, in B. D. Ehrman M. W. Holmes, ed., The Text of the New Testament in Contemporary Research, Fs B. M. Metzger, Grand Rapids 1995, 3-21; W. R. FARMER D. M. FARKASFALVY, The Formation of the New Testament Canon , New York 1983; H. Y. GAMBLE, The New Testament Canon: Its Making and Meaning, Philadelphia 1985; R. H. GUNDRY, EUAGGELION: How Soon a Book?, JBL 115 (1996) 321-325; J. VAN HAELST, Les origines du codex, in A. Blanchard, ed., Les dbuts du codex, Bibliologia 9, Brepols 1989, 13-36; G. M. HAHNEMAN, The Muratorian Fragment and the Development of the Canon , Oxford 1992; M. HENGEL, The Titles of the Gospels and the Gospel of Mark, in ID., Studies in the Gospel of Mark, London 1985 (orig. ted); H. KOESTER, The Text of the Synoptic Gospels in the Second Century, in W. L. PETERSEN, ed., Gospel Traditions in the Second Century, Notre Dame and London 1989, 30-51; ID., From the Kerygma-Gospel to Written Gospels, NTS 35 (1989) 361381; M. MCCORMICK, The Birth of the Codex and the Apostolic Life-Style, Scriptorium 39 (1985) 150-158; H. MERKEL, Die Pluralitt der Evangelien als theologisches und exegetisches Problem in der Alten Kirche, Traditio Christiana 3, Bern Frankfurt Las Vegas, 1978 [versione italiana a cura di G. Toso, Torino 1990]; B. M. METZGER, The Canon of the New Testament: Its Origin, Development, and Significance, Oxford 1987; R. C. MORGAN, The

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

14

Hermeneutical Significance of Four Gospels, Interp 33 (1979) 376-388; W. L. PETERSEN, Textual Evidence of Tatians Dependence upon Justins APOMNHMONEUMATA, NTS 36 (1990) 512-534; A. Y. REED, EUAGGELION: Orality, Textuality, and the Christian Truth in Irenaeus Adversus Haereses, VigChr 56 (2002) 11-34; T. C. SKEAT, Early Christian Book Production: Papyri and Manuscript, in G. W. H. LAMPE, ed., The Cambridge History of the Bible, vol. I. The West from the Fathers to the Reformation, Cambridge 1969, 54-76; ID., Irenaeus and the Four-Gospel Canon, NT 34 (1992) 194-199; The Origin of the Christian Codex, ZPE 102 (1994) 263-268; ID., The Oldest Manuscript of the Four Gospels? NTS 43 (1997) 1-34, G. N. STANTON, Matthew: BIBLOS , EUAGGELION, or BIOS?, in F. van SEGBROECK et al, ed., The Four Gospels 1992, Fs Frans Neirynck, BETL 100, I-III, Leuven 1992, 1187-1202; ID.,The Fourfold Gospel, NTS 43 (1997) 317-346; ID., La verit del vangelo: Dalle recenti scoperte nuova luce su Ges e i vangeli , Cinisello Balsamo 1998 (orig. ingl); D. TROBISCH, Die Endredaktion des Neuen Testaments: Eine Untersuchung zur Entstehung der christlichen Bibel, Freiburg Gttingen 1996; 2.1. La comparsa del problema Perch abbiamo quattro vangeli canonici, n pi n meno? Qual era lorigine e qual era il significato teologico di questo fatto, di questa decisione da parte della chiesa antica? E, infine, quali sono le implicazioni del vangelo quadriforme per la teologia doggi? N lAT, n gli altri scritti del protocristianesimo non presentano cosa simile alla presentazione della vita di una persona che troviamo nei vangeli sinottici: concordanza sorprendente e divergenza sconcertante. Il fatto, che la chiesa primitiva abbia riconosciuto quattro vangeli come testi normativi era un ostacolo o era una facilitazione per le sue pretese riguardanti Ges di Nazaret? Il vangelo quadriforme infatti divent una mira facile per chi voleva ridicolizzare le pretese dei vangeli alla verit (e.g. Celso diceva: Alcuni fedeli, come gente che ha bevuto troppo, giungono ad altercare fra loro, e alterare il testo originario del Vangelo, tre o quattro volte o pi ancora [in ORIGENE, Contra Celsum, 11.27, trad. A. Colonna, Classici delle religioni 4, Torino 1971], Porfirio, il filosofo neoplatonico etc). Da un punto di vista meramente storico, storiografico lesistenza di quattro un vantaggio per ricostruire la vita di Ges: quanto pi fonti, tanto meglio . Il vangelo quadriforme diventa problematico, se si ritiene che gli evangelisti cercassero di provvedere una forma normativa della storia di Ges. Dobbiamo tenere in considerazione che adozione di un vangelo solo era unopzione che si ripeteva di volta in volta (STANTON, 1997: 342). Quando ad esempio Matteo scrisse il suo vangelo, verosimilmente intendeva non supplementare ma sostituire Mc, e voleva diventare il vangelo (cf. THEISSEN, Theory, 267s: Matteo intendeva di riassumere tutto linsegnamento di Ges in una maniera comprensiva. THEISSEN fa notare che Matteo sottolinea insegnando loro ad osservare tutto [threi/n pa,nta] ci che vi ho ordinato [Mt 28,20]; 24,14: Quando questo vangelo [tou/to to. euvagge,lion] del regno sar predicato [in Mc 13,10 manca il pronome demostrativo] cf. Mt 26,13 e Mc 14,9); in altre parole, come se Matteo mettesse in rilievo il vangelo quale opera scritta, mentre in Mc laccento ancora sul contenuto

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

15

evangelico). Similmente, la prefazione di Lc (1,1-4) non deriva semplicemente da un comportamento rispettoso verso le convenzioni letterarie. Evidentemente, con la sua opera molto pi ampia Luca si augurava di sostituire i suoi predecessori senza per disprezzare gli sforzi altrui. Nel caso di Giovanni questo ancora pi lampante, afferma STATON. Qui per bisogna sottolineare che nonostante le marcate divergenze tra il Quarto Vangelo e i sinottici, in Gv sintravede secondo THEISSEN gi laffermazione e il riconoscimento di vangeli differenti (Gv 20,30f; 21,25). Accettando quattro vangeli ignoriamo lintenzione di due o possibilmente tre evangelisti, e in un certo qual modo favoriamo che i vangeli sinterpretino a vicenda. Non bisogna certo abbandonare il lavoro e la ricerca dellintenzione propria dei diversi evangelisti, tuttavia bisogna tenere presente che nella vita della Chiesa il vangelo quadriforme nutriva sempre la fede. Questo atteggiamento si prolungato anche nel secondo secolo. IRENEO (A.H. III,11,7) menziona quattro gruppi di eretici che si aggrappavano a un solo vangelo (ebioniti Mt; Marcione Lc [amputato]; quelli che separano Ges da Cristo ed affermano che Cristo rimase impassibile mentre Ges pat Mc; valentiniani Gv). anche da notare che limpresa di TAZIANO (Diatssaron) che sicuramente non era lunica persona con intenzioni simili era un successo clamoroso. La diffusione immensa del Diatssaron mostra palesemente quanto grande era linflusso e limportanza di questopera. Ci sono pervenuti frammenti di numerose versioni: in siriaco, greco, arabo, latino, fiammingo antico, inglese antico, tedesco antico e italiano antico. Laccettare quattro vangeli era una decisione controcorrente (J. K. ELLIOTT 1996: 107; anche THEISSEN [Theory, 264] mette in risalto che in parecchie chiese locali il principio di un solo vangelo [one gospel principle] era dominante anche nel sec. II; i dati per Syria sono particolarmente ampi: 1. Didach vangelo significa probabilmente uno scritto, e sempre al singolare; 2. Taziano a Roma aveva conosciuto tutti i quattro vangeli; con la sua opera, Diatessaron non voleva introdurre in Syria una novit; la gente l era abituata allidea: unico messaggio evangelico significa un vangelo scritto; 3. I vangeli in uso tra i giudeo-cristiani: Vangelo degli Ebrei, Vangelo dei Nazarei, Vangelo degli Ebioniti non furono attribuiti ad autori, bens a diversi gruppi; una tale attribuzione non avrebbe senso, se nella comunit in questione fossero in uso diversi vangeli). Ireneo sottoliner la continuit tra i quattro vangeli scritti e la proclamazione orale degli apostoli: un Dio, un Cristo, uno Spirito. Secondo Ireneo tre caratteristiche cruciali danno contenuto allaggettivo apostolico: insegnamento del Dio uno, Creatore di tutto, la conformit con le Scritture, e la cristologia. Taziano (attivo a Roma verso il 170) era uno storico (W. L. PETERSEN, Tatians Diatessaron: Its Creation, Dissemination, Significance, and History in Scholarship , Leiden 1994). E come impresa storiografica ben comprensibile che volesse fare uno dai quattro vangeli: eliminando i doppioni, sostituendo certi passi con altri paralleli ritenuti migliori, spostando brani, mescolando

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

16

in uno stesso racconto sfumature diverse desunte dalle varie redazioni (cf. H.E. IV,29.6: [] Taziano aveva composto una combinazione e una collezione dei Vangeli). Rifiutando questa impresa come normativa ed accettando il vangelo quadriforme la Chiesa ha dichiarato che i vangeli non vanno considerati come opere storiografiche (not histories, STANTON, 1997: 343). S, certo che appartenevano al genere molto ampio ed elastico di bi,oi, per non sono bi,oi tout court, sono quattro testimoni allunico vangelo. Il Canone di Muratori (un elenco di libri del NT, conservato in un manoscritto del VIII secolo, pubblicato nel 1740 da L. A. Muratori [16721750]; dora in poi: FM; righe 16-19: anche se viene proposta unintroduzione diversa per ogni libro del vangelo, tuttavia non cambia nulla per la fede dei credenti: in tutti i libri ogni cosa stata rivelata dallunico e superiore Spirito) e Ireneo mettono in risalto che lo Spirito stesso a tenere insieme i quattro vangeli.

2.2. Perch e come: alcune ipotesi Come si sviluppato il vangelo quadriforme? Th. ZAHN (Grundriss der Geschichte des nautestamentlichen Kanons, 21904, 35-41) era del parere che il canone del NT si form per una dinamica interna alla vita ecclesiale in cui gli scritti apostolici (o ritenuti tali) furono raccolti e letti in contesto liturgico, e il vangelo quadriforme era adottato dalla chiesa molto presto, prima di Marcione. A.
VON

HARNACK (The Origin of the New Testament and the Most Important

Consequences of the New Creation, 1925, 69-72 [orig. ted.]), al contrario, afferma che il canone nato nella lotta contro il marcionismo e la gnosi. In effetti, proprio il canone di Marcione (vissuto a Roma dal 140 fino almeno al 144, quando fu scommunicato) composto dal vangelo di Lc riveduto da Marcione, e dall Apostolikon, una raccolta di dieci lettere di Paolo, sempre corrette da Marcione aveva rappresentato il primo canone di Scritture cristiane (cf. F. BOVON E. NORELLI, Dal Kerygma al canone: lo statuto degli scritti neotestamentari nel secondo secolo, Cristianesimo nella Storia 15 [1994] 525-540; larbitrariet di Marcione faceva scrivere a Tertulliano: Marcione adopera non una penna, ma una lama, sfacciatamente e pubblicamente, e per comporre il suo sistema massacra le Scritture [ De praescr. haeret., 38]). Similmente J. KNOX (Marcion and the New Testament, Chicago 1942, 140-167), K. L. CARROLL (The Creation of the Fourfold Gospel, BJRL 37 [1954-55] 68-77) ritengono che il vangelo quadriforme sarebbe apparso tra 150-175 come una reazione alleresia di Marcione. I primi testimoni del vangelo quadriforme sono il Frammento muratoriano e Ireneo. Questopinione oggi accettata da tutti. Tuttavia, il consenso attuale riguardo il vangelo quadriforme viene sfidato da due punti di vista completamente diversi (STANTON, 1997: 317s): 1. Da un lato, alcuni (e.g. Hahnemann [1992: 101], sulla scia di A. C. Stundberg) datano il FM al quarto sec.; e lopinione di Ireneo, la quale la pi antica difesa del vangelo

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

17

quadriforme viene considerata come uninnovazione in un periodo quando la tradizione evangelica fu ancora fluida e si ebbe una proliferazione dei vangeli. 2. Dallaltro, si assiste a una svolta metodologica: mentre prima si discuteva di questo problema in una prospettiva patristica, cio si domandava come venne presentata la tradizione del vangelo quadriforme negli scritti patristici, oggi si presta molta attenzione ai pi antichi manoscritti dei vangeli, e alla predilezione per il codice (codex) da parte degli autori cristiani e alluso di nomina sacra. Il Canone di Muratori (edizione critica: S. P. TREGELLES, Canon Muratorianus, Oxford 1867; vedi anche Ench. Bibl.): solitamente datato un poco prima o un poco dopo di Ireneo. La datazione per il quarto secolo risale a A. SUNDBERG (Towards a Revised History of the New Testament Canon, Studia Evangelica 4 (1968) 452-461; ID., Canon Muratori: A Fourth Century List, HTR 66 (1973) 1-41), ed stata ripresa con ulteriori argomenti da G. M. HAHNEMAN, The Muratorian Fragment and the Development of the Canon , Oxford 1992). I loro argomenti: 1. Mentre solitamente il riferimento nelle righe 73-76 al Pastore di Erma (e a suo fratello Pio vescovo di Roma; Pastorem vero/nuperrime temporibus nostris in urbe/Roma Hermas conscripsit sedente cathe/ra urbis Romae ecclesiae Pio episcopo fratre/eius; Quanto al Pastore, in realt esso stato scritto recentemente, ai nostri giorni, da Erma, mentre il vescovo Pio, suo fratello, sedeva sulla cattedra della chiesa della citt di Roma) viene considerato come prova di una data non molto pi tardi di 140 d. C., HAHNEMAN ritiene che questa informazione sia erronea e fuorviante. Hahneman sostiene che lattribuzione dellopera a Erma si spiegherebbe come una pseudonimia risalente al quarto secolo che intendeva discreditare lopera ([il libro] non pu essere pubblicamente letto nella chiesa al popolo, n tra i profeti, il cui numero completo, n tra gli apostoli; righe 77-79). STANTON (1997: 323) rifiuta questo dicendo che il Muratorianum annovera il Pastore fra le opere raccommandate: et ideo legi eum quidem oporte/Per questo il libro molto utile da leggere. 2. HAHNEMAN del parere che il FM si inserisce molto bene fra i cataloghi degli scritti canonici del quarto secolo, mentre questo sarebbe anomalo nel secondo. STANTON per fa notare che il Frammento non un catalogo n una lista degli scritti canonici. Il suo genere letterario unEinleitung: commenti introduttori alle origini e allautorit degli scritti cristiani. Sta di fatto che il Frammento sar usato altre due volte ulteriormente, per non in liste, ma in prologhi (cf. J.-D. KAESTLI, La place du Fragment de Muratori dans lhistoire du canon: propos de la thse de Sundberg et Hahneman, Cristianesimo nella Storia 15 [1994] 609-634; secondo Kaestli il FM va datato alla fine del sec. II. o allinizio III. secolo perch: 1. Le scelte dei vari libri hanno ancora bisogno di essere motivate ed illustrate; 2. Si tratta di un corpus ancora aperto; 3. Di un corpus in cui ai vari libri vengono assegnati gradi diversi di accettazione [righe 1-63: autorit indiscutibile, 63-68: autorit contestata]; 4. Manca la terminologia gi codificata che si trova nelle liste del secolo IV.; 5. Solo in un testo del II-III. sec. si possono spiegare la difesa dellautenticit del vangelo di Giovanni [righe 9-34] e il riferimento ad eresie del II. sec. [righe 63-67.81-85]). 3. Secondo HAHNEMAN il Fragmentum Muratorianum datato al sec. II sinserisce male fra le altre testimonianze che riguardano lo sviluppo del canone neotestamentario. Secondo Stanton, i commenti del Frammento sinseriscono meglio nel contesto del secondo che del quarto secolo. Come Ireneo, il Frammento utilizza la frase evangelium secundum Lucam (nientaltro che la traduzione del sintagma euvagge,lion kata. Louka/n), e troviamo pure il plurale dei vangeli (righe: 9

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

18

[quartum evangeliorum]17 [singulis evangeliorum libris]). Nelle righe 16-26 si parla dal vangelo quadriforme: licet varia sin/gulis evangeliorum libris principia/ doceantur, nihil tamen differt creden/tium fidei, cum uno ac principali spiritu de/clarata sint in omnibus omnia: de nativi/tate, de passione, de resurrectione,/ de conversatione cum discipulis suis / ac de gemino eius adventu,/ primo in humilitate despectus, quod fu/it, secundo in potestate regali prae/claro, quod futurum est. (Perci, anche se i singoli vangeli insegnano diversi principi, per la fede dei credenti non cambia niente. infatti per opera dello stesso Spirito che viene manifestato in ogni vangelo tutto ci che riguarda la nativit, la passione, la risurrezione, il dialogo con i suoi discepoli e le sue due venute: la prima, gi avvenuta, nellumilt e nel disprezzo; la seconda, che deve ancora venire, gloriosa, con potere regale.) Come in Ireneo (A.H. III,9-10) anche qui si parla in modo particolare dellincipit dei vangeli e delle differenze che l si trovano. Come per Ireneo, anche qui non si tratta di uninnovazione quando si parla del vangelo quadriforme, ma di una difesa contro le frecciate dei critici che prendevano di mira i diversi incipit dei vangeli. Chi erano questi critici: i valentiniani e Celso (cf. ORIGENE, Contra Celsum II.27). Il modello: due parusie lo troviamo negli scritti di Giustino, Tertulliano, Ippolito, Origene, ma non in autori del quarto secolo. Conclude dunque STANTON che il vangelo quadriforme era gi ben stabile verso la fine del secondo secolo. 2.3. Trasmissione orale e scritta Si deve tener presente un altro aspetto importante della situazione nel sec. II. Fino ad Ireneo la trasmissione orale delle tradizioni su Ges aveva unimportanza pi grande della tradizione scritta. Cf. H.E. III. 39.4: ( Papia che parla) Se per caso veniva qualcuno che avesse seguito i presbiteri, cercavo di conoscere le parole dei presbiteri, che cosa avevano detto Andrea, o Pietro, o Filippo, o Tommaso, o Giacomo, o Giovanni, o Matteo, o qualsiasi altro dei discepoli del Signore; e che cosa dicevano Aristione e il presbitero Giovanni, discepoli del Signore. Non pensavo che le cose (che provenivano) dai libri mi giovassero tanto, quanto le cose (sentite) dalla voce viva e duratura. (Eusebio, Storia della Chiesa, trad., L. Tescaroli, Roma 1999) Con la sua argomentazione Papia sinserisce in una vasta tradizione greco-romana. L. ALEXANDER (1990: 255) ha dimostrato che la sfiducia, o anzi il disprezzo, verso la scrittura era molto diffusa in certi ambienti (in particolar modo nella retorica, nellinsegnamento scolastico filosofico e nel tirocinio di un mestiere). Da questo per, non si pu dedurre che ci fosse stata unopposizione irreconciliabile fra i due modi di trasmissione. Papia non parla contro la tradizione scritta, bens mette in risalto che nellinsegnamento la viva vox pi affidabile ed efficace di uno scritto. I vangeli nascono in un mondo dove esisteva una sviluppata cultura dello scrivere. In questa cultura per, era unopinione comune che i libri sono secondari nel trasmettere il sapere sia filosofico (e.g. Seneca Epist vi,5; xxxiii,9), sia di un mestiere (Galeno,). Alexander del parere che il riferimento a para. zw,shj fwnh/j dalla viva voce, una formula proverbiale, la quale deriva dal latino (viva vox). Papia, a sua volta, prende questa

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

19 duratura alludendo a 1Pt 1,23

formula,

ci

aggiunge

kai.

menou,shj

(avnagegennhme,noi ouvk evk spora/j fqarth/j avlla. avfqa,rtou dia. lo,gou zw/ntoj qeou/ kai. me,nontoj/essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, dalla parola di Dio viva e duratura). Inoltre, assai curioso come vengono citati i loghia del Signore: il Signore disse, il Signore disse nel vangelo senza indicare per di quale vangelo si tratti. Ireneo, ad esempio, nella Prefazione del libro III di A.H., sembra citare di Lc 10,16 (Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me e colui che mi ha inviato): per non si sa se si tratti di un lapsus memoriae (Lc 10,16: Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi disprezza me; ma chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato), oppure bisognerebbe supporre che Ireneo abbia conosciuto una tradizione testuale per noi ignota, oppure si sia servito di una tradizione orale. Tenendo presente quanto si detto prima, non sorprende che per Ireneo anche il Vangelo, e in modo particolare le parole di Ges hanno una maggiore autorit degli scritti individuali degli evangelisti, sebbene ogni tanto i vangeli stessi vengano riferiti in Ireneo come Scritture (Ireneo menziona tutti e quattro i vangeli canonici, e ne cita passi, il che dimostra che li conosceva, e li conosceva nella forma in cui noi li abbiamo: III.14.2 Lc 1,2; III.16.2 Mt 1,1-2; III.16.3 Mc 1,1). Ireneo capace di citare i vangeli sia con cura che con negligenza (eg. Mt 11,27 viene citato in tre modi diversi in IV.6,1 [il Signore diceva: Nessuno conosce il Figlio tranne il Padre e nessuno conosce il Padre tranne il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare]; 3 [diceva agli apostoli: Nessuno conosce il Padre tranne il Figlio, n il Figlio tranne il Padre e coloro ai quali il Figlio lo riveler];7 [il Signore diceva: Nessuno conosce il Padre tranne il Figlio, n il Figlio tranne il Padre e coloro ai quali il Figlio li riveler]). Da questo STANTON (1997: 321s) conclude: il fatto, che questi fenomeni si trovino in uno scrittore per cui il vangelo quadriforme ha unimportanza fondamentale, un segnale, il quale dovrebbe mettere in guardia tutti coloro che vogliono studiare la tradizione evangelica nel secondo secolo. Ireneo non era lunico scrittore a riferirsi alle parole del Signore senza dirci se si trattasse di un vangelo scritto, o invece di una tradizione orale. Si pu dunque desumere che intorno a 180 d.C., il vangelo quadriforme si era gi stabilito. Ireneo non difende uninnovazione, vuole soltanto aumentare la credibilit di un fatto gi accettato, e intende spiegare perch la Chiesa abbia quattro vangeli n pi n meno (cf. A. BENOIT, Saint Irne: Introduction ltude de sa Thologie, Paris 1960, 117; SKEAT, 1992: 194ss). 2.4. La testimonianza di Ireneo Adv. Hear. III.11.8 Del resto i Vangeli non possono essere n pi n meno di questi. Infatti poich sono quattro le regioni del mondo, nel quale siamo, e quattro i venti diffusi su tutta la terra e la Chiesa disseminata su tutta la terra, e colonna e sostegno della Chiesa il Vangelo e lo Spirito di vita,

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

20

naturale che essa abbia quattro colonne, che soffiano da tutte le parti lincorruttibilit e vivificano gli uomini. Perci chiaro che il Verbo Artefice delluniverso, che siede sopra i Cherubini e sostiene tutte le cose, dopo essersi mostrato agli uomini, ci ha dato un Vangelo quadriforme, ma sostenuto da un unico Spirito. Come appunto Davide, domandando la sua venuta, dice: Tu che siedi sopra i Cherubini mostrati. Infatti i Cherubini hanno quattro aspetti e i loro aspetti sono immagini dellattivit del Figlio di Dio. Il primo vivente dice (fhsi,n/inquit) simile al leone e rappresenta la potenza, la eccellenza e la regalit di lui; il secondo simile al vitello e significa la funzione sacrificale e sacerdotale; il terzo ha un volto come di uomo e descrive chiaramente la sua venuta secondo luomo; il quarto simile ad unaquila che vola e indica il dono dello Spirito che vola sulla Chiesa. Ora i Vangeli sui quali siede Cristo Ges sono in accordo con questi animali. Il Vangelo secondo Giovanni racconta la sua generazione dal Padre, che eccellente potente e gloriosa, dicendo: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio, e Tutto stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente stato fatto. Perci questo Vangelo pieno di ogni tipo di coraggio e tale il suo aspetto. Il Vangelo secondo Luca invece, essendo di carattere sacerdotale, comincia con il sacerdote Zaccaria che sacrifica a Dio, perch gi si preparava il vitello grasso, che sarebbe poi stato immolato per il ritrovamento del figlio minore. Matteo racconta la sua generazione umana dicendo: Libro della generazione di Ges Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo, e ancora. La generazione di Cristo avvenne cos. Dunque questo Vangelo di forma umana: per questo in tutto il Vangelo si conserva uomo umile di cuore e mite. Marco, invece, prese inizio dallo Spirito profetico che dallalto discese sugli uomini, dicendo: Inizio del Vangelo, come sta scritto nel profeta Isaia, mostrando limmagine alata del Vangelo e per questo ha fatto lannuncio conciso e rapido: perch questo il carattere profetico. E lo stesso Verbo di Dio parlava ai Patriarchi vissuti prima di Mos secondo la sua divinit e gloria; a quanti vissero nella Legge assegn una funzione sacerdotale e ministeriale; divenuto poi uomo per noi, invi il dono del celeste Spirito su tutta la terra, proteggendoci con le sue ali. Quale lattivit del Figlio di Dio, tale la forma dei viventi, e quale la forma dei viventi, tale anche il carattere del Vangelo. Quadriforme sono gli animali, quadriforme il Vangelo e quadriforme lattivit del Signore. Perci furono dati quattro testamenti al genere umano: uno prima del diluvio, al tempo di Adamo; il secondo dopo il diluvio, al tempo di No; il terzo, che la legislazione, al tempo di Mos; il quarto quello che rinnova luomo e ricapitola in s tutte le cose, quello che avviene mediante il Vangelo e solleva e fa volare gli uomini verso il regno celeste. (Ireneo di Lione, Contro le eresie e gli altri scritti, Introduzione, traduzione, note e indici a cura di E. Bellini, Milano 1981) Questo la difesa pi antica della tradizione quadriforme. La spiegazione basata sul numero quattro, secondo Stanton (1997: 319), molto pi sofisticata di quanto non si pensasse. molto importante non strapparla dal contesto. Ireneo presenta la sua opinione, che ci siano quattro vangeli, molto prima (III.1.1.) Gi fin dallinizio del libro III, il lettore sa che la Chiesa ha un solo vangelo dato da Dio, messo per iscritto da due apostoli e da due loro collaboratori. In altri termini, le altre spiegazioni sul vangelo quadriforme che troviamo in questo capitolo non sarebbero necessarie. SKEAT (1992: 195-199) fa notare che nel passo sopracitato si trovano numerose anomalie: 1) Ireneo identifica i quattro viventi dellApocalisse come Cherubini, malgrado che questa designazione non sia presente nel testo dellApocalisse; 2) dicendo che il Verbo Artefice delluniverso siede sopra i Cherubini Ireneo nuovamente si stacca dalla presentazione

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

21

dellApocalisse dove detto che i quattro viventi erano intorno al trono (4,6), e che si prostrarono (5,8) davanti allAgnello; 3) dicendo poi che i viventi hanno quattro aspetti ( ta. Ceroubi.m tetrapro,swpa) si discosta ancora dalla descrizione che troviamo nellApocalisse, to, pro,swpon, infatti, si menziona solo col terzo vivente che aveva laspetto duomo (Apoc 4,7); inoltre 4) Ireneo sembra citare lApocalisse; si serve in effetti della parola fhsi,n/inquit per sottolineare la citazione; strano per, che non menzioni esplicitamente n il libro citato, n lautore del libro citato. Il verbo della citazione dunque rimane campato in aria. 5) La sorpresa pi grande ci riserva lidentificazione degli evangelisti con i quattro viventi. NellApocalisse questi viventi vengono pure numerati: primo secondo etc. Ecco lidentificazione che Ireneo ci da: Primo leone Giovanni; secondo vitello Luca; terzo aspetto duomo Matteo; quarto aquila mentre vola Marco. Questo ordine risulta del tutto originale. Non coincide nemmeno con lordine che Ireneo stesso riporta altrove (Mt Mc Lc Gv; Mt Lc Mc Gv). Skeat dimostra che quando si ritorna al libro di Ezechiele, il quale era la fonte dellApocalisse pure, tutti i tasselli anomali subito sinquadrano. I viventi di Ezek 1,1-22 ( zw,|on) vengono nominati Cherubini in 10,1.20 (ceroubin): Io guardavo ed ecco sul firmamento, che stava sopra il capo dei cherubini vidi come una pietra di zaffiro e al di sopra appariva qualcosa che aveva la forma di un trono. Inoltre, nella descrizione di Ezechiele tutti e quattro i viventi hanno quattro facce (te,ssara pro,swpa). Lordine delle facce per diverso da quello dellApocalisse. Ezek 1,10: Le forme delle facce erano di uomo; poi forme di leone sul lato destro dei quattro, di bue sul lato sinistro dei quattro, e ciascuno di essi forme di aquila. Se questo schema viene abbinato con lidentificazione degli evangelisti fornita da Ireneo, si arriva allo schema seguente: Primo uomo Matteo; secondo leone Giovanni; terzo bue/vitello Luca; quarto aquila Mc. Questo il cosiddetto Western Order dei vangeli, il quale, nonostante il nome, appare sia in oriente sia in occidente. Questordine poi, stato sostituito dallordine attuale solo al tempo di Girolamo. Si pu concludere dunque, dice Skeat, che la descrizione dei quattro viventi in Ireneo deriva senza ombra di dubbio da una fonte anteriore, la quale, a sua volta, avrebbe cominciato a descrivere ed a identificare gli evangelisti a partire dal libro di Ezechiele, e poi in un secondo momento sarebbe proceduto allApocalisse. Ireneo, da parte sua, mette in rilievo che sta riportando la sua fonte (dice) senza accorgersi che egli stesso non faccia alcun riferimento al libro citato. Quale la portata di questo brano per il canone dei quattro vangeli? La difesa del vangelo quadriforme dovette cominciare ad un tempo anteriore a Ireneo, in modo che questo difesa scritta si potesse utilizzare da Ireneo come fonte. Non pi tardi dunque che 170 circa. Oltre a ci, come ZAHN ha gi dimostrato, la questione dellordine dei vangeli non avrebbe senso, se non tutti

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

22

comparissero nel medesimo codice. Questo libro dunque doveva essere un codex, ritiene SKEAT, poich nessun rotolo, volumen appunto, poteva comprendere tutti e quattro i vangeli. La fonte di Ireneo, dunque, doveva possedere un tale codice. Di conseguenza, il codex contenente tutti e quattro i vangeli risale al secondo secolo. O riformulando la conclusione possiamo affermare: bench largomentazione di Ireneo sia di natura spirituale, essa ha importanti risvolti pratici per la storia del codex cristiano. La domanda fondamentale questa: potevano Ireneo e lautore del Frammento di Muratori servirsi di un codice che conteneva tutti e quattro i vangeli? Per cogliere meglio la portata di questa domanda dobbiamo fare una digressione, e vedere pi da vicino la comparsa del codex come forma di libro nellambito cristiano. 2.4. Il codex cristiano Come si visto sopra, il consenso che il FM e Ireneo siano i primi testimoni del vangelo quadriforme viene sfidato dal punto di vista della datazione, nonch mettendo in risalto le maggiori tappe dello sviluppo del codex cristiano. Le conclusione di Skeat appena menzionate portano gi in questa direzione. SKEAT (1969:59) asserisce che attorno ai papiri due fraintendimenti dovrebbero correggersi. Da un lato si suole dire che il papiro era relativamente costoso, e di conseguenza, il suo uso era assai ristretto; dallaltro, che il papiro era un materiale fragile, e perci la sua durabilit era molto limitata. In primo luogo, la quantit delle scoperte contraddice il primo ragionamento, mentre il secondo pu mettersi in dubbio dal fatto che e.g. 4QSama, un rotolo di pergamena, era stato rafforzato sul verso con delle strisce di papiro. MCCORMICK (1985:152) ci fornisce un paragone illuminante sulla diffusione del codice nella produzione dei libri nei primi cinque secoli. Mentre nella produzione dei libri nel sec. II. il codice occupava un posto del tutto irrilevante (1,5%), e nel terzo secolo ha raggiunto solo il 18,5%, attorno a 300 d. C. si verificata una svolta decisiva. Dei libri prodotti attorno a questa data il 48% sono in una forma codex, e per la fine del quarto secolo questa cifra aumenter al 73,5%, e infine, nel sec. V. raggiunger il 89%. Bisogna concludere che il papiro era un materiale duraturo, e allo stesso tempo non particolarmente costoso (cf. L. ALEXANDER, Ancient Book Production and the Circulation of the Gospels, in R. BAUCKHAM, ed., The Gospels for All Christians: Rethinking the Gospel Audiences, Edinburgh 1998, 71-111). Sullorigine del codex gli specialisti non vanno daccordo. Originariamente il vocabolo codex significava tavolette di legno legate insieme (al massimo dieci). Pi tardi la pergamena prese il posto del legno, e il termine codex assunse laccezione taccuino di pergamena (membranae). (cf. 2 Tim 4,13: Quando verrai, portami il mantello che lasciai a Troade presso Carpo, come pure i libri [ta. bibli,a], specialmente le pergamene [ta.j membra,naj]). Da questo testo si vede

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

23

chiaro che Paolo usa un termine dorigine latina. E da questo poi si svilupp il codice di pergamena. significativo che nel greco non esisteva un termine per il codex. Il vocabolo latino venne semplicemente traslitterato: kw/dix. Ulteriormente, al tempo del concilio di Calcedonia (451 d.C.) la parola bibli,on aveva gi assunto questaccezione e fu tradotta con codex (ROBERTS SKEAT, 1983: 54 n1). MARTIALIS (circa 80-90 d.C.) pubblica i suoi epigrammi in un codice, anzi cos ne descrive i vantaggi (I,2): Qui tecum cupis esse meos ubicumque libellos et comites longae quaeris habere viae, hos eme, quos artat brevibus membrana tabellis: scrinia da magnis, me manus una capit. Ne tamen ignores ubi sim venalis et erres urbe vagus tota, me duce certus eris: libertum docti Lucensis quaere Secundum limina post Pacis Palladiumque forum. (M. Valerii Martialis, Epigrammaton, Liber I, a cura di M. Citroni, Biblioteca di Studi Superiori LXI, Firenze 1975, 19-22. Il verbo artare non comporta necessariamente il significato epitome. Come afferma il CITRONI: Martialis vuol mettere in rilievo che il codice pu contenere in piccolo spazio [artare] un testo che altrimenti occuperebbe molti volumina. Non ci sarebbe invece nessun motivo di meraviglia per il fatto che unepitome occupa poco spazio. Inoltre, il v. 2 di questepigramma fa pensare ad un libro dal contenuto molto ampio, tale da poter intrattenere il lettore per la durata di un viaggio, e quindi molto improbabile si trattasse di unantologia. Per di pi Martialis rifiuta gli scrinia [le custodie in cui si conservavano i rotoli di papiro] per il suo libro.) Poich in Martialis non c alcunch traccia che il codex per lui sia uninnovazione (cf. Epigrammata XIV, 184.186.188.190.192), difficile andare daccordo con ROBERTS e SKEAT (1983) che il codice di Martialis era un nato-morto. SKEAT (1969: 68) del parere che il codice di pergamena non abbia goduto unaccettazione universale poich la pergamena come materiale era strettamente legato allidea degli abbozzi, e il papiro era il materiale esclusivo per i libri. Non sappiamo, asserisce Skeat, chi abbia inventato il codice. Secondo lui, avrebbe potuto essere un cristiano. In effetti, nelluso cristiano del libro siamo di fronte ad una situazione alquanto curiosa: i cristiani non adottarono n il rotolo di pergamena in uso tra i giudei, n il rotolo di papiro in uso dappertutto nel mondo pagano. Nella letteratura cristiana fina al 400 d. C. tra i circa 160 MSS biblici tutti, eccezione fatta per due, sono codici, e lo sono gi dalla prima met del sec. II., mentre nella letteratura pagana solo il 2,5% sono in questa forma. Roberts e Skeat (SKEAT, 1969: 70; ROBERTS SKEAT, 1983: 54-61) affermano che questa preferenza per il codice da parte dei cristiani non pu giustificarsi con ragioni economiche e pratiche. Si soleva dire che si scelto il codice di papiro perch era molto meno costoso dei rotoli, poich ambedue i lati del materiale venivano usati (recto, verso). A questipotesi, secondo lo Skeat, contraddice il fatto, che, sebbene i codici cristiani non fossero

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

24

edizioni di lusso, chiaro che nessuno di loro intendeva utilizzare lo spazio al massimo possibile. Altri ragionavano che il codice era pi adatto alla vita dei missionari itineranti come un manuale, giacch nel codice potessero trovare pi facilmente i passi per un dibattito teologico. Non dobbiamo scordarci, afferma Skeat, che non esistevano n capitoli, n versetti, n paragrafi, n indici in quei codici. Non si pu nemmeno dire che si poteva proteggere meglio il codice del rotolo. Un rotolo di sei metri, in realt, poteva portarsi in un contenitore ( scrinium) di 5-6 centimetri di diametro, ed era molto pi facile a proteggerlo del codice. Siccome i vangeli circolavano inizialmente da soli, la ragione di compattezza del codice non poteva centrare. Roberts e Skeat affermano che doveva essere una motivazione pi forte per questa preferenza. Secondo questi autori la motivazione era religiosa. Due ipotesi sono state proposte da loro (ROBERTS 1954; ROBERTS SKEAT 1983): 1. Siccome non ci sono tracce delluso del taccuino (originariamente di pergamena) nella parte orientale dellImpero, sembra che il codice di papiro (e la forma codex si sviluppato dal taccuino di pergamena) sia stato inventato a Roma. Marco avrebbe vergato la predicazione di Pietro, e per questo scopo avrebbe utilizzato un taccuino, poich non intendeva pubblicare il suo scritto, perch si indirizzato a un gruppo particolare e limitato. La pubblicazione (e;kdosij) avvenne in due fasi allepoca (cf.
VAN

HAELST,

1989: 26s): 1. Fare una copia con grande cura, non su tavolette di cera, bens su un rotolo di papiro; 2. Depositare il manoscritto da un amico influente (e.g. SantAgostino da Firmus) o da un libraio (Martialis da Secundus). Il testo stesso, afferma Roberts, appoggia questipotesi: la perdita del finale si capisce meglio, se si trattava di un codice, dato che lultima pagina di un codice si perde pi facilmente che lultima colonna di un rotolo, la quale si trova proprio al centro ben protetto. Inoltre, come vuole la tradizione (Eusebio, Girolamo) Marco pi tardi avrebbe fondato la chiesa dAlessandira. Qui per naturalmente il contenuto del libro era copiato sul papiro. Ecco la transizione dal taccuino di papiro al codex di papiro. Tuttavia, lipotesi stata messa in questione: da un lato, si ritiene che il finale di Marco (cio 16,8) sia intenzionale; e dallaltro, la tradizione che Marco fond la chiesa dAlessandria viene valutata come legendaria. 2. Nel 1983 ROBERTS e SKEAT prospettano unaltra ipotesi, secondo la quale Antiochia (sullOronte) abbia avuto un ruolo importante. Qui cera unimportante comunit cristiana, anzi era il centro di unestesa attivit missionaria. I missionari avevano bisogno di testi. Fonti giudaiche (Mishna, Kelim xxiv,7) vietano che la legge orale fosse messo per iscritto (nel giudaismo si distingueva tra legge scritta, Torah she-bi-ktav, e legge orale, Torah she-be-al peh), ma permettono questo per le decisioni particolari o per i detti rabbinici. Questi poi erano scritti su tavolette di papiro (pi,nakej) o come la Mishna li chiama piccole rotoli privati (small private rolls). Ad Antiochia cera una notevole

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

25

comunit giudaica. I cristiani cominciarono a utilizzare tavolette di papiro per mettere per iscritto la legge orale che Ges proclam. Queste tavolette si sarebbero sviluppate in codex cristiano. impossibile, asseriscono gli autori, che ladozione del codex da parte dei cristiani si sia verificata dopo il 100 d. C. circa. J.
VAN

HAELST (1989: 31s) ha dimostrato

per che i termini della Mishna (pinkasim, apiporim) non significano tavolette di papiro, bens tavolette di legno (cf. tabula impolita tra i romani). Inoltre, come si spiega il fatto che i non biblici frammenti cristiani risalenti al sec. II. provengono da rotoli? Anche Luca da storiografo ha scritto la sua opera su due rotoli. Perci troviamo da lui due prefazioni (prografh; Lc 1,1-4; At 1,1-3). Siccome n una n laltra ipotesi hanno trovato unaccoglienza favorevole, nel 1994 SKEAT prospetta una nuova. I 42 frammenti di papiro che contengono testi evangelici provengono tutti dai codici. Facendo un paragone con i testi non cristiani, il contrasto sorprende: fra questi testi, fino al 300 d. C., il rotolo era la forma quasi esclusiva. Fino ad adesso, dice SKEAT (1994:263), tra i vantaggi del codex sono stati elencati fattori di grado: pi comprensivo, pi conveniente, pi economico etc. Questargomentazione per non sembra valida per i vangeli, dove la preferenza del 100%. Quale sar stata la motivazione per una scelta simile? Secondo lo Skeat il motivo era molto semplice: un codex poteva contenere tutti e quattro i vangeli, mentre un rotolo no. Ne da una prova convincente. Nel P 45 (Chester Beatty) i vangeli occupano 167 pagine con una scrittura di 16 cm di larghezza. Se mettessimo queste colonne su un rotolo lasciando uno spazio di 2 cm tra le colonne, avremmo i dati seguenti: Matteo (49pp) Marco (32pp) Luca (48pp) Giovanni (38pp) 49 x 18 = 882 cm 32 x 18 = 576 cm 48 x 18 = 864 cm 38 x 18 = 684 cm 3006 cm

Un rotolo di questa lunghezza (30 m) impossibile. La lunghezza massima era 10 m. Il P 45 del secolo III. Per deve aver avuto predecessori. Skeat ritiene dunque che il canone del vangelo quadriforme e il codice contenente tutti e quattro i vangeli sono inseparabili. MCCORMICK, da parta sua, ritiene che il fattore pratico sia da considerare decisivo. 2 Tim 4,13 ci fornisce una chiave. Lautore della lettera attorno a 100 d. C. voleva che i suoi destinatari accettassero questo dettaglio come una particolarit autentica della vita di Paolo. Inoltre, afferma MCCORMICK (1985: 156), fra i dodici codici letterari non cristiani che risalgono al sec. II. la maggior parte, per quanto concerne il contenuto, sono legati allinsegnamento ellenistico e due sono dal contenuto medico. Linsegnante e il medico erano due figure tipicamente itineranti allepoca. Quando e in quali circostanze furono messi insieme i quattro vangeli? Prima di Ireneo non troviamo alcun riferimento esplicito al vangelo quadriforme, e bisogna pure tener presente che luso di pi vangeli non significa necessariamente accettazione del vangelo quadriforme.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

26

Secondo H. VON CAMPENHAUSEN (1968), i riferimenti al vangelo quadriforme in Ireneo e nel Canone di Muratori non hanno niente a che vedere con lattuale produzione dei libri o con luso cristiano di codici, i quali contenevano tutti e quattro i vangeli. F. G. KENYON (1933) ritiene che il P45 sia il primo che conteneva tutti e quattro i vangeli. Secondo SKEAT (1994: 264) possibile che il codice Bodmer P75 sia stato la seconda met di un codice che conteneva tutti e quattro i vangeli, la cui prima parte comprendeva Mt e Mc. P75 solitamente viene datato fra 175 e 225 AD. Non abbiamo altri esempi di un codice che contenga soltanto due vangeli. E poi perch troviamo Luca (non apostolo) e Giovanni (apostolo) insieme? Secondo SKEAT (1994: 264) si tratta di due codici e ognuno consiste di un singolo fascicolo (single-quire codex) uno contenente Matteo e Marco laltro Luca e Giovanni, i quali ulteriormente furono legati insieme. In un recente articolo SKEAT (1997) afferma che P64 (Oxford, Magdalen College, frammento di Mt), P67 (Barcelona, frammento di Mt), P4 (Bibliothque Nationale, Paris, frammento di Lc) provengano dallo stesso codice, il quale sia il pi antico che contenga tutti e quattro i vangeli, e risale alla fine del secondo secolo. Inoltre, codici di papiro furono trovati in Egitto, Ireneo e il Canone di Muratori sono dellovest: il vangelo quadriforme era diffuso sia in oriente che in occidente verso la fine del secolo secondo, e possibilmente gi molto prima. Pu darsi che uno o pi di questi codici fossero stati scritti in occidente: POxy 405 (un frammento di Ireneo, da Lione ad Oxyrynchus in Egitto in ventanni). (Cf. EPP [1995: 8-10] afferma che bench tutti i papiri del NT erano trovati in Egitto, questo non significa che tutti necessariamente erano scritti l. Anzi, teoricamente si potrebbe dire che nessuno dei complessi testuali rappresentati nei papiri sia di origine egiziana. Tra 260-240 a. C. lettere viaggiavano dallAsia Minore ad Alexandria [c. 1200 Km] in due mesi; da Filadelfia alla Siria [c. 600 Km] in quattordici giorni. Bisogna, dunque, tirare la conclusione che gli scritti neotestamentari di qualsiasi origine, potevano trovarsi in qualsiasi altro luogo dellImpero in un assai breve lasso di tempo. Probabilmente le varianti testuali dei papiri dEgitto possono rappresentare testi dellintero Mediterraneo; cf. M.B THOMPSON, The Holy Internet: Communication Between Churches in the First Christian Generation, in BAUCKHAM, 1998: 49-69). Possiamo avvicinare il problema da unaltra angolatura. Per quanto riguarda Giustino, sorge la domanda, se egli anticipa ladozione del vangelo quadriforme oppure anticipa larmonia del suo allievo, Taziano o no? Nella 1Apol 66-67 ricorre il vocabolo vangeli (al plurale verosimilmente per la prima volta nella storia del cristianesimo); nel Dialogo 98-107 parla delle memorie degli apostoli. Giustino sottolinea il loro carattere di essere testi scritti. Quanti vangeli accett Giustino? Sia nellApologia, sia nel Dialogo le memorie vengono identificate con vangeli scritti. Dial 103,8: evn ga.r toi/j avpomnhmoneu,masin( a[ fhmi u`po. tw/n avposto,lwn auvtou/ kai. tw/n evkei,noij parakolouqhsa,ntwn sunteta,cqaij (nelle memorie che ho detto essere state composte dagli apostoli e dai loro discepoli) Questo

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

27

passo implica che secondo Giustino ne erano almeno quattro (cf. gi TREGELLES, 1867: 16.71; STANTON, 1997: 330): siccome non c nessuna evidenza che Giustino conoscesse vangeli non canonici, possiamo essere sicuri che egli aveva in mente Matteo, Marco, Luca e Giovanni niente pi e niente meno. La parola vangelo (al singolare) ricorre solo due volte: Dialogo 10,2; 100,1. In ambedue i casi Giustino avr avuto in mente tradizioni scritte. A differenza di Ireneo, Giustino non si interessa n degli autori n delle caratteristiche dei vangeli individuali. Tuttavia come Ireneo anche Giustino conosce almeno quattro memorie, vangeli scritti, i quali possono essere riferiti insieme come il vangelo. Secondo Stanton, Giustino pu aver avuto un codice contenente tutti e quattro i vangeli nella sua scuola catechetica a Roma attorno 150 AD., malgrado che Giustino non abbia unidea cos chiara del vangelo quadriforme come Ireneo. assai curioso che qualche tradizione armonizzante di Giustino si trovi pure nellopera del suo allievo, Taziano (PETERSEN 1990: 512-34). H. KOESTER va oltre dicendo che Giustino intendeva fare uno vangelo inclusivo che avrebbe reso superflui i suoi predecessori, cio anche i vangeli canonici. La problematica pu riassumersi cos: se da un lato Giustino cita, anzi sembra proprio di comporre i detti di Ges, il che risulta un centone dei diversi testi evangelici, allora, perch si riferisce lo stesso Giustino ai vangeli scritti? STANTON (1997: 332) del parere che Giustino abbia collegato i loghia servendosi dei vangeli scritti, in modo particolare Matteo e Luca, per motivi catechetici ed apologetici, e non per rendere superflui i suoi predecessori, come vorrebbe KOESTER. In un certo senso si potrebbe forse dire che Giustino anticipa Taziano. Questultima affermazione per non vuole dire che Giustino volesse liberarsi dalle memorie degli apostoli, cio dai vangeli sinottici. Giustino si serviva dei vangeli scritti per raccogliere le parole del Salvatore (Dial. 8,2) a seconda dei temi teologici. M. HENGEL (1985:64-84) sulla scia di Th. ZAHN e di A.
VON

HARNACK mette laccento sul fatto che fin dallinizio del secondo secolo

esisteva una possente convinzione che non ci fosse che un vangelo solo secondo (kata) i diversi evangelisti. STANTON accentando lopinione di HENGEL del parere che levidenza di questa convinzione sia cos forte e diffusa (P 66 attorno 200 d.C.: inscriptio: euvagge,lion kata. vIwannhn della stessa mano come il resto del testo; P 75 qualche decennio pi tardivo; due volte troviamo lespressione: euvagge,lion kata. una subscriptio a Lc e uninscriptio a Gv) che con questo siamo alle radici della convinzione di Ireneo: esiste solo un vangelo in quattro forme diverse. H. KOESTER (1989: 29-30) non accetta questa opinione. Secondo lui HENGEL raggiungerebbe conclusioni poco fondati quando presuppone che papiri risalenti alla fine del secondo secolo attestino unusanza ben affermata della prima met del medesimo secolo. Su un solo punto per vanno daccordo. Dal momento che le comunit cristiane usarono pi di un documento scritto sulla vita e linsegnamento di Ges era assolutamente necessario distinguerli con laiuto di qualche specie di titolo, in modo particolare nelluso liturgico (KOESTER 1989: 384 n1; HENGEL 1985: 74-81). Troviamo unevidenza determinante e diffusa di

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

28

una tale usanza gi nella prima parte del secondo secolo, cio Papia (attorno a 110 d. C) fa riferimento a Mt e a Mc e forse anche a Gv (altrimenti, fa notare STANTON [1997: 333], sarebbe difficile spiegare lordine dei discepoli-apostoli da lui nominati, che sempre ricorrono nellordine: Andrea, Pietro, Filippo, Tommaso, il che proprio del Quarto Vangelo; THEISSEN per [Theory, 267] fa notare che in Gv 1 incontriamo pure un discepolo anonimo, e Natanaele non mai menzionata da Papia). Quando usavano diversi vangeli con quale titolo potevano distinguerli? Per il termine bi,oj non vi nessunattestazione; la voce avpomnhmoneu,mata non era usata da parte dei cristiani prima di Giustino. Lunico candidato da prendere sul serio il termine euvagge,lion (STANTON 1997: 334). Com risaputo nella prima met del secondo secolo non sempre facile discernere se questo termine riferisca alla proclamazione orale della buona novella, oppure a un documento scritto (Del resto, secondo STANTON [1992: 1187-1202] Didach 8,2; 11,3; 15,3-4 [bis]; Ignazio Smirna 5,1; 7,2; 2Clemente 8,5 si riferiscono a un documento scritto). STANTON del parere che quando euvagge,lion era gi accettato come riferimento a uno scritto, veniva naturale usarlo come titolo. Inoltre, la separazione molto antica degli Atti dal vangelo di Lc (originariamente scritti su due rotoli [vedi la seconda dedicazione allinizio degli Atti]) unulteriore indicazione del vangelo quadriforme. Quando i cristiani cominciarono ad usare il codice allinizio del sec. II. sarebbe stato possibile mettere Lc e At accanto luno allaltro, per, questo non era il caso (possibile eccezione P53; B. M. METZGER [The Canon of the New Testament: Its Origin, Development, and Significance , Oxford 1987, 296] riporta alcuni mss tardivi dove Lc segue Gv come quarto vangelo). da notare che nel Canone di Muratori Lc e At sono trattati separatamente (righe 2-8; 34-39). Ireneo il primo a sottolineare la stretta affinit fra di loro (Adv. Haer. III, 14,3-4). Perch vennero separati? La causa pi probabile sar stato il fatto che Lc era gi accettato nel vangelo quadriforme, verosimilmente gi prima di Marcione. Si pu concludere, dunque, che il vangelo quadriforme stato accolto ed approvato in diversi ambiti non necessariamente dappertutto poco prima di Giustino. Quali erano i fattori chiave che conducevano alla comparsa del vangelo quadriforme? Due teorie si sono profilate: a) big bang; b) sviluppo graduale. Alcuni dicono che il vangelo quadriforme era necessario per combattere gli eretici, in modo particolare gli gnostici. Viene da chiedersi per, se erano gli eretici in vista, perch adottare quattro? Non sarebbe stato molto pi semplice adottarne uno solo? Anzi con questa scelta molte critiche da parte di non-cristiani (e.g. Celso, Porfirio), e da parte degli eretici si sarebbero rese futili. Secondo altri era una reazione allattivit di Marcione. Certo, Marcione dette una spinta riguardevole alle chiese per ripensare la situazione dei diversi vangeli. Altri ritengono (W. R. FARMER D. M. FARKASFALVY 1983: 73) il canone sia il risultato di un compromesso fra diversi gruppi regionali. Non si pu supporre

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

29

per che i vangeli singoli avessero una circolazione geograficamente assai limitata (cf. E. J. EPP 1991: 35-56 [ragioni pratiche]; 1995: 8-10; BAUCKHAM 1998: 1-40 [ragioni teoretiche]). La comparsa del vangelo quadriforme strettamente legata alladozione del codex da parte dei cristiani. C. H. Roberts e T. C. Skeat hanno dimostrato che con una singola eccezione tutti i frammenti dei papiri cristiani derivano da codici (SKEAT 1994: 263ss). Viene spontanea la domanda: perch avevano i cristiani una tale predilezione per il codex? Skeat (1994: 263) ritiene che il codice poteva contenere tutti e quattro i vangeli mentre un rotolo invece no. Anzi, i singoli vangeli che circolavano a s stanti non erano altro che effetto secondario di codici che a loro volta contenevano i quattro vangeli. Skeat del parere che attorno al 100 d. C. la comparsa del vangelo di Giovanni cre una crisi nella chiesa. Laccettazione del Quarto Vangelo da parte della Chiesa (cf. il ruolo di Gv 21) ha risolto il problema. Il codice era adottato perch poteva racchiudere tutti i quattro vangeli. D. TROBISCH (1996) mantiene una teoria simile: una decisione risoluta da parte dei cristiani aveva come risultato il vangelo quadriforme, per, egli non si sbilancia per il quando e per il dove. In favore dellipotesi prospettata da Skeat si potrebbe menzionare che pure nel FM sembra che ci sia stato un periodo quando era necessario difendere il Quarto Vangelo: in quella stessa notte fu rivelato ad Andrea, uno degli apostoli, che Giovanni doveva scrivere tutto a suo nome e tutti gli altri dovevano verificarne lesattezza (righe 13-16). Anche in Ireneo (vedi sopra) viene sottolineato che Giovanni mette in evidenza il potere e la regalit del Salvatore; e che Giovanni occupa un posto regale in ragione dellimmagine che egli da di Cristo. STANTON (1997: 338) non si lascia convincere da queste teorie, poich, afferma: ambedue presuppongono una struttura e organizzazione sviluppata che non sarebbe stata la realt nel sec. II. Se, come suppone SKEAT, il codice del vangelo quadriforme precede il codice contenente un vangelo solo, allora questo si sarebbe verificato poco dopo linizio del secondo secolo. Per questo difficile da riconciliarsi col fatto che a questepoca vangelo orale e vangelo scritto erano in uso parallelamente. THEISSEN (Theory, 267s) sottolinea che fino alla met del sec. II. i vangeli furono citati senza alcun riferimento di sorta ai loro autori, e quando il vangelo quadriforme si affermato due dei quattro vangeli canonici erano strappati dal loro contesto originario, ovverosia Lc dagli Atti e Gv dal corpus giovanneo, e infine Eusebio non dice nulla che ci farebbe pensare che Papia avesse conosciuto il vangelo di Lc e di Gv. Stanton del parere che gli scribi cristiani facessero una sperimentazione prima con il codice contenente un vangelo solo, adottando cos uninvenzione romana pagana. Il codice come forma era molto pi adatto ad una vita di missionari itineranti (cf. M. MCCORMICK 1985:150-158). Queste sperimentazioni con la forma codex avevano luogo quando i cristiani stavano costruendo la loro identit quale tertium genus distinto da un lato dal giudaismo, e dallaltro dal paganesimo. Copiando i testi del AT in un forma nuova sottolineava la novit del testo antico. Oltre a ci,

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

30

bisogna rammentare che nella maniera di scrivere il testo sacro troviamo un segnale di novit. Si tratta della maniera di scrivere i nomina sacra e i nomina divina, cio le abbreviazioni (QEOS QS, KURIOS KS, PNEUMA PN), le quali si ritrovano solo nei mss cristiani dellAT e NT greco (THEISSEN, Theory, 263) Gli scritti di Giustino, da datare probabilmente a poco prima del 150, confermano che nei decenni dopo la rivolta di Bar Kokhba lautocomprensione cristiana quale tertium genus si andava rafforzando. Sembra verosimile dunque, che il codice per il vangelo quadriforme, anzi il vangelo quadriforme stesso, si affermato al medesimo tempo. Tuttavia dobbiamo tenere presente che laccettazione del vangelo quadriforme non significava la fine delluso delle tradizioni orali. Chiunque consideri che a questepoca la tradizione orale va opposta alla tradizione scritta fortemente sbaglia (L. ALEXANDER 1990: 221ss). La comparsa del vangelo quadriforme non preannunciava la fine delluso, o della produzione di vangeli ulteriori. Inoltre, laccoglimento del vangelo quadriforme costava pi tempo. Bisogna pure rammentare che anche ai giorni di Ireneo le parole di Ges avevano una maggiore autorit dei vangeli scritti. Comunque Ireneo sembra di aver fatto per la prima volta nella storia del cristianesimo una difesa teologica del vangelo quadriforme. 3. IL VANGELO DI MARCO J. C. ANDERSON S. D. MOORE, ed., Mark and Method: New Approaches in Biblical Studies, Minneapolis 1992; ID., Introduction: The Lives of Mark, in IBID., 1-22; J. DRURY, Mark, in R. ALTER F. KERMODE, The Literary Guide to the Bible, Cambridge MA, 1987, 402-417; R. M. FOWLER, Reader-Response Criticism: Figuring Marks Reader, in J. C. ANDERSON S. D. MOORE, 1992: 50-83; E. S. MALBON, Narrative Criticism: How Does the Story Mean?, in J. C. ANDERSON S. D. MOORE, 1992,23-49; C. MINETTE DE TILLESSE, Structure thologique de Marc, in R. VAN SEGBROECK et al., ed., The Four Gospels 1922, Fs F. Neirynck, BETL 100, IIII, Leuven 1992, 905-933; G. THEISSEN, Eine Theorie der urchristlichen Religion, Gtersloh 1999 (trad. ing. [due titoli diversi] The Religion of the Earliest Churches: Creating a Symbolic World, Minneapolis 1999; A Theory of Primitive Christian Relition , London 1999); ID., Evangeliumschreibung und Gemeindeleitung: Pragmatische Motive bei der Abfassung des Markusevangeliums, in B. KOLLMANN W. REIBOLD A. STENDEL, ed., Antikes Judentum un Frhes Christentum, FS H. Stegemann, Berlin New York 1999, 389-416; 3.1. Il libro e il suo autore La relazione tra il libro del Secondo Vangelo e Marco non inequivocabile. Che cosa lautore? Nellintroduzione del libro Mark and Method: New Approaches in Biblical Studies, gli editori J. C. ANDERSON e S. D. MOORE tratteggiano per sommi capi la storia di questa relazione: allinizio il Secondo Vangelo circolava anonimo; poi gli fu dato il titolo vangelo secondo Marco; Marco diventa lo scriba di Pietro; Marco: epitomatore di Matteo. significativo come parla SantAgostino di Mc: Secondo la tradizione, di questi quattro soltanto Matteo scrisse in lingua ebraica; gli altri in greco. E per quanto pu sembrare che ciascuno abbia in certo qual modo

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

31

seguito nella narrazione un suo proprio ordine, tuttavia si constata che nessuno di loro volle scrivere come ignorando il suo predecessore e che nessuno omise, ignorandole, le cose che si riscontrano scritte dagli altri. Seguivano piuttosto lispirazione ricevuta, alla quale ognuno aggiunse una collaborazione personale che non stata certamente superflua (sicut unicuique inspiratum est non superfluam cooperationem sui laboris adiunxit) [] Marco segu Matteo e sembra essere un suo alunno ed epitomatore (Marcus eum subsecutus tamquam pedissequus et breviator eius videtur ). [Il consenso degli evangelisti, Nuova Biblioteca Agostiniana, Opere di SantAgostino X/1, trad. V. Tarulli, Roma 1996, I.2.4] Gli antichi sembrano interessarsi solo al contenuto. Che Marco sia un abbreviatore, non senza fondamento. Infatti, anche gli esegeti moderni sono daccordo che i particolari che arricchiscono dei suoi racconti non suppliscono mai allomissione di parole e racconti essenziali. I padri mostravano uno scarso interesse per il Secondo Vangelo. Infatti, Mc praticamente non offre passi che non siano riportati da Mt e Lc. Sec. 19.: il primo vangelo: una posizione del tutto privilegiata; unica fonte affidabile per conoscere la vita di Ges (critica delle fonti); Wrede (1901): Marco non uno storiografo, bens un teologo; Critica delle forme (Formgeschichte): un compilatore, nel cui scritto sfocia la tradizione precedente; Critica della redazione (Redaktionsgeschichte): un autore, il quale ha dato il suo personale contributo alle tradizione ricevute (cf. W. MARXSEN, Der Evangelist Markus: Studien zur Redaktionsgeschichte des Evangeliums, Gttingen 1956); Lanalisi narrativa (narrative criticism) e la critica della risposta del lettore (readerresponse criticism) si concentrano sul testo stesso e indagano su come si organizza il suo mondo interno; lautore, dunque, non ha interesse per questo approccio, nanche le sue ipotetiche intenzioni teologiche. Questo distanziamento dellautore e del testo ancora pi palese nel caso di deconstruzionismo e nei diversi tipi di approcci sociologici.

3.2. Il Secondo Vangelo viene attribuito a Marco Come e quando stato attribuito il Secondo Vangelo a Marco? ( per quanto segue vedi SANDERS DAVIES, 1989: 5-25). Gli autori dei vangeli non firmarono le loro opere. In altri termini, non seguirono le convenzioni greco-romane, bens le usanze della letteratura giudaica: rimasero anonimi. IRENEO il primo autore, il quale conosceva tutti e quattro gli evangelisti e li conosceva con gli stessi nomi come noi. Attorno 180 a.D. scrisse infatti (A. H. III.11.7): Queste sono le parti iniziali del Vangelo, le quali annunciano un solo Dio Creatore di questo universo, Colui che fu annunciato per mezzo dei profeti e stabil le legislazioni per mezzo di Mos, il Padre del nostro Signore Ges Cristo, e al di fuori di questo non conoscono n un altro Dio n un altro Padre. Ora tanto grande questa autorit dei Vangeli, che gli stessi eretici rendono testimonianza ad essi, e ciascuno di loro tenta di sostenere il suo insegnamento a partire da essi, e ciascuno di loro tenta di sostenere il suo insegnamento a partire da essi strappandone qualche brano. Gli Ebioniti, infatti, usando solo il Vangelo secondo Matteo, da quello stesso Vangelo sono convinti di non pensare rettamente del Signore. Marcione, sebbene amputi il Vangelo secondo Luca, in base agli stessi brani che conserva ancora, si dimostra blasfemo contro il solo Dio che esiste. Quelli che separano Ges da Cristo ed affermano che Cristo rimase impassibile mentre Ges pat, portando innanzi il Vangelo secondo Marco, possono essere corretti, se lo leggono con amore per la verit. Quanto ai

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

32

Valentiniani che usano abbondantemente il Vangelo secondo Giovanni per accreditare le loro coppie, si scoprir in base a questo stesso Vangelo che non dicono il giusto, come abbiamo mostrato nel primo libro. Dunque, poich i nostri contraddittori rendono testimonianza ad esse e se ne servono, solida e vera la nostra prova derivata da essi. Ireneo poi citando i vangeli mostra che li conosceva nella stessa forma come noi li abbiamo (Lc 1,2 citato in III.14.2; Mc 1,1s in III.16.2; Mc 1,1 in III.16.3). Se andiamo indietro nel tempo circa trentanni, troviamo GIUSTINO. Egli scrisse a Roma, e attribuendo parole a Ges, Giustino afferma di averle prese dalle Memorie degli Apostoli. Colpisce di pi il fatto che Giustino non citi i passi nella forma come noi li abbiamo nei vangeli. Apologia I.19.7: [] sappiamo che il nostro maestro Ges Cristo ha detto []: Mh. fobei/sqe tou.j avnairou/ntaj u`ma/j kai. meta. tau/ta mh. duname,nouj ti poih/sai fobh,qhte de. to.n meta. to. avpoqanei/n duna,menon kai. yuxh.n kai. sw/ma eivj ge,ennan evmbalei/n. Non temete quelli che vi uccidono, e dopo queste cose non possono fare altro, ma temete colui che dopo la morte pu gettare e anima e corpo nella geenna. Mt 10,28: kai. mh. fobei/sqe avpo. tw/n avpoktenno,ntwn to. sw/ma( th.n de. yuch.n mh. duname,nwn avpoktei/nai\ fobei/sqe de. ma/llon to.n duna,menon kai. yuch.n kai. sw/ma avpole,sai evn gee,nnh. E non temete (nulla) da parte di quelli che uccidono il corpo, ma che non possono uccidere lanima; ma temete piuttosto colui che pu far perire anima e corpo nella geenna. Lc 12,4-5: Le,gw de. u`mi/n toi/j fi,loij mou( mh. fobhqh/te avpo. tw/n avpokteino,ntwn to. sw/ma kai. meta. tau/ta mh. evco,ntwn perisso,tero,n ti poih/sai u`podei,xw de. u`mi/n ti,na fobhqh/te\ fobh,qhte to.n meta. to. avpoktei/nai e;conta evxousi,an evmbalei/n eivj th.n ge,ennan nai, le,gw u`mi/n( tou/ton fobh,qhte. Ora dico a voi, miei amici, non temete da parte di quelli che uccidono il corpo, e dopo questo non hanno qualcosa di pi da fare. Ma vi mostrer chi dovete temere: temete colui, che dopo aver ucciso, ha potere di gettare nella geenna. In Sanders Davies troviamo un interessante paragone: Giustino non temete quelli vi uccidono vopo queste cose non possono fare altro ma temete colui che dopo la morte Concorda con Mt e Lc N uno n altro Lc Mt Lc Mt Mt e Lc Lc

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

33

pu gettare e anima e corpo nella Geenna

Mt Lc Mt Lc Mt e Lc

Si possono avanzare tre ipotesi, dice Sanders: a) Giustino aveva i nostri vangeli sotto gli occhi, tuttavia lavorava con grande cura in modo da alternare le parole copiando di volta in volta da Matteo e da Luca. Tuttavia, due altre ipotesi sembrano molto pi probabili: b) Giustino sta citando a memoria e da questo fatto deriva il testo conflato (conflated text); c) non aveva sotto gli occhi i nostri vangeli, ma una collezione di loghia che a sua volta dipendeva dai nostri vangeli. Comunque, da notare che Giustino non nomini gli autori dei vangeli, e non si interessa di tenerli separati. Per lui quello che importa sono le parole di Ges, le quali egli riceve dalla tradizione ecclesiale. Sembra, conclude SANDERS, che tra Giustino e Ireneo (egli pure rappresenta il cristianesimo di Roma) che i vangeli come scritti distinti abbiano raggiunto unimportanza riguardevole nella chiesa di Roma. SANDERS ritiene che Marcione abbia avuto un influsso decisivo in questo. Risalendo pi indietro Papia (vescovo di Gerapoli tra 125-150 a.D) scrisse attorno 140 a.D. Papia, secondo Eusebio (H. E. III.39.15-16) diceva: Il presbitero diceva questo: Marco, interprete (e`rmhneuth.j) di Pietro, scrisse con esatezza (avkribw/j), ma senza ordine (ouv me,ntoi ta,xei), tutto ci che si ricordava delle parole e delle azioni del Signore [?]; poich (ou;te ga.r) non aveva udito e seguito il Signore, ma pi tardi, come gi dissi, Pietro. Orbene, poich Pietro insegnava adattandosi ai vari bisogni degli ascoltatori, senza curarsi punto di offrire una composizione ordinata delle sentenze del Signore, Marco non cingann scrivendo secondo che si ricordava; ebbe questa sola preoccupazione: di nulla tralasciare di quanto aveva udito, e di non dire veruna menzogna. Questo ha detto Papia in merito a Marco; [16] Di Matteo poi asserisce quanto segue: Matteo raccolse le sentenze [di Ges] in lingua ebraica (e`brai<di diale,ktw|); e ognuno le traduceva come poteva (h`rmh,neusen d auvta. w`j hvn dunato.j e[kastoj). Papia dunque il primo ad attribuire materiale scritto su Ges a persone, i cui nomi figurano come autori dei nostri vangeli. Viene per da chiedersi se Papia aveva in mente il nostro Marco e il nostro Matteo? Inoltre, dove finiscono le parole del presbitero? Molti studiosi, infatti, sono del parere che il presbitero diceva soltanto la prima frase (fino a poich), dopo seguono i commenti di Papia. Non cerano virgolette in uso nellantichit, la congiunzione per ci fa pensare che questo era il caso. Le citazioni dei loghia di Ges prima di Papia sono come quelle di Giustino: anonime e spesso conflate. da notare che Mt il vangelo pi citato (Ignazio, Smyrn. 1; Didach 8,1-3). Il modo pi tipico di citare dal vangelo lo troviamo in 1Clem 13,1-2 (circa 90 a.D): Ricordiamo soprattutto le parole che il Signore Ges disse, quando insegnava la mitezza e la longanimit. [2] Cos infatti disse: Siate misericordiosi per avere misericordia; perdonate per essere perdonati; come farete, cos sar fatto a voi, come date, cos sar dato a voi, come

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

34

giudicate, cos sarete giudicati; come praticate la benevolenza, cos sar praticata a voi; la misura con la quale misurate, con la stessa sar misurato a voi. [CLEMENTE ROMANO, Lettera ai Corinzi, a cura di E. Peretto, Scritti delle origini cristiane 23, Bologna 1999] Questa citazione infatti prende materiali da Mt 5,7; 6,14 (//Mc 11,25); 6,15; 7,1.2.12; Lc 6,31.36-38, tuttavia li cita con la formula di introduzione: le parole che il Signore Ges disse. In altri termini, lanonimia garantisce una relazione diretta con Ges. In altri termini, funge come le sigle degli autori in unenciclopedia, dove gli autori non contano, almeno nel senso che laccento sul contenuto della voce in questione. Nel periodo tra 90-150, bench i nostri vangeli fossero gi scritti, i nomi degli autori erano sconosciuti oppure erano considerati irrilevanti. Da questo punto di vista dunque Papia con i suoi riferimenti a Mc e Mt sta solo. Prima di lui la Didach, Ignazio, Clemente e anche dopo di lui Giustino, tutti citano i vangeli senza nominare i loro autori. assai dubbio che Papia abbia avuto ragione quando altri cristiani nemmeno sinteressavano in merito. Inoltre, Papia a proposito di Matteo parla di logia. Questi loghia per non possono essere identici con il vangelo di Matteo, poich questo comprende anche materiale narrativo. Per di pi la maggior parte degli studiosi concordano che Mt non una traduzione diretta di una fonte semitica. C pure un terzo argomento contro di Papia: una parte considerevole di Mt identico con Mc, e per giunta si presenta lo stesso ordine. Come potremmo conciliare questo con laffermazione di Papia secondo il quale Marco scrisse con esattezza, ma senza ordine? SANDERS (1989: 10s) conclude che la conclusione pi solida che possiamo tirare da questi dati che il vangelo secondo Matteo era anonimo. Doveva esistere prima del 110 d. C. poich Ignazio e la Didach lo citano. Siamo dunque di fronte a due tradizioni: a) il vangelo secondo Matteo; b) la collezione dei loghia fatta da Matteo (Papia pu aver parlato di una fonte simile a Q). Queste due tradizioni confluiscono dopo il 150 d. C. Per quanto concerne Mc, Papia sembra di essersi sentito il dovere di difendere Marco: egli ebbe questa sola preoccupazione: di nulla tralasciare di quanto aveva udito, e di non dire veruna menzogna. Tuttavia, verosimile che Papia parlando di Marco si riferisca al nostro Mc. Lc 1,3 infatti sembra di fare la stessa critica, che coloro contro cui Papia sembra difendere Mc: adesso, egli, Lc, sta per scrivere con ordine (mi sono deciso a scrivertene con ordine, kaqexh/j soi gra,yai), cio non come i suoi predecessori. Il Marco a cui Papia si riferisce il Giovanni soprannominato Marco di cui parlano gli At 12,12.25; 15,37.39; Filem 24; Col 4,10; 2Tim 4,11. Il testo che sar stato alla radice della tradizione di cui anche Papia un testimone si trova in 1Pt 5,13 (Vi abbraccia la comunit radunata in Babilonia e Marco, figlio mio). Questattestazione rende possibile che Giustino (circa 150) parli del vangelo di Marco come proveniente da Pietro. Dial 106.3: Il fatto che si dica che ha cambiato in Pietro il nome di uno dei suoi apostoli fatto registrato anche nelle

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

35

memorie dei medesimi (kai. gegra,fqai evn toi/j avpomnhmoneu,masin auvtou/ ) e che ha cambiato il nome anche di due fratelli, figli di Zebedeo. Da un lato abbiamo un riferimento inequivocabile al vangelo di Marco: il nome di Boanrghes, cio Figli del tuono, si trova solo in Mc 3,17. Dallaltro non chiaro a chi riferisca sue nel sintagma sue Memorie: le memorie di Pietro oppure le memorie di Ges. La prima testimonianza senza possibilit di dubbio nuovamente Ireneo (A. H. III.10.7: Perci anche Marco, interprete e compagno di Pietro, presenta cos linizio della redazione scritta del Vangelo: Inizio del Vangelo di Ges Cristo, Figlio di Dio). Giustino conosceva alcuni loghia che troviamo solo in Lc. Marcione si serviva di una versione di questo vangelo, Ireneo da parte sua lo chiamava il vangelo secondo Luca. Anche in questo caso, ritiene SANDERS, dobbiamo accettare la probabilit che lidentificazione del terzo vangelo come secondo Luca si sia verificato attorno allanno 150 d.C. La datazione dei vangeli basandosi ai dati esterni (external evidence) permette qualsiasi data prima del 150. Solamente Mt attestato con dati esterni circa il 100 d. C. Questi dati esterni ci possono aiutare a decifrare lattribuzione dei vangeli a diverse persone. Questattribuzione sorprendentemente tardiva. I vangeli sinottici sono stati scritti tra il 65 e l85 d. C., sembra che per 50 anni circolavano come scritti anonimi. I primi cristiani non sembrano di aver avuto interesse di chi avrebbe scritto i vangeli. Questa lacuna nella tradizione parla contro a una tradizione ininterrotta per quanto concerne gli autori. Riguardo allattribuzione a Marco e a Luca, B. H. STREETER (The Four Gospels, 1924: 562) afferma, che lonere della prova sta su coloro che da un canto accettano la tradizionale paternit di Matteo e Giovanni, ma dallaltro sono propensi a negarla nel caso di Marco e di Luca. I cristiani, afferma Streeter, ai tempi di Ireneo sicuramente avrebbero voluto dare la massima autorevolezza ai vangeli legandoli agli apostoli. Il vangelo di Marco avrebbe potuto essere attribuito direttamente a Pietro, e Lc direttamente a Paolo. Non si poteva fare perch era ben noto che il secondo vangelo era stato scritto da Marco, e il terzo da Luca (In modo simile LONDUFOUR [1990:58s] la tradizione unanime ad attribuirlo a san Marco, i critici sono daccordo nel riconoscere il valore di questa tradizione; se si voleva inventare un nome, se ne sarebbe potuto trovare uno pi noto). Questo ragionamento pur essendo plausibile, non del tutto persuasivo, afferma Sanders, poich si offre un altro ragionamento. Ireneo e gli altri non sapevano dove viene il vangelo di Marco, o chi lha scritto. Lo amavano per la sua rozzezza, ruvidezza che aveva laria dei tempi antichi e dei luoghi dove non si parlava bene il greco. Volevano attribuire un vangelo a Pietro, e per questo Mc era il candidato migliore. La tradizione impediva loro di attribuirgli un vangelo. Allora stando ai dati di At 12,12 e 1Pt 5,13 hanno tirato la conclusione che Marco avrebbe potuto scrivere il secondo vangelo. Tuttavia, se i padri del secondo secolo non facevano altro che

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

36

indovinare, perch non attribuivano il secondo vangelo a Silvano/Silas? Egli infatti sembra di aver scritto 1Pt: Per mezzo di Silvano, che ci fratello fedele, vi ho scritto brevemente, come credo, esortando e testimoniando che questa vera grazia di Dio: state saldi in essa (5,12; cf. At 15,22). Si rimane per sempre nel forse, nel senso che si continua a cercare di indovinare come avrebbero potuto ragionare i padri del sec. II. Matteo sar stato scelto per il primo vangelo perch soltanto l si trova che il pubblicano si chiamava Matteo (Mt 9,9-13 e par., in Mc e in Lc per si parla di Levi, e non vi nessuna identificazione con Matteo). Mc e Lc inseriscono uno con questo nome nella lista dei discepoli (Mc 3,18 e par). Chi avrebbe potuto conoscere meglio il vero nome del pubblicano di lui stesso? Per Luca: i passaggi noi negli Atti (e.g. 16,6-10) e Filem 24 e Col 4,14 servivano per identificarlo come lautore del terzo vangelo. Stando ai dati interni (internal evidence) Marco il vangelo pi difficile da datarsi. 13,2 (Ges gli rispose: Vedi queste grosse costruzioni? Non rester qui pietra su pietra, che non sia diroccata) potrebbe essere preso come un riferimento alla distruzione del tempio (cf. Mt 24,2; Lc 21,6). Eppure questo versetto sembra dimostrare piuttosto che gli evangelisti non sempre aggiornavano il loro materiale. Il tempio infatti era distrutto da un incendio e molti dei sui muri rimasero in piedi. In altri termini, qui si tratta di una vera predizione.

3.3. Lo stile di Mc Non ha precisato il suo scopo mentre scriveva; Dobbiamo accostarci al suo scritto senza condizionare una qualsiasi soluzione del problema sinottico. Il vocabolario a) povert: monotono e sorprendente: e, subito, nuovamente, fare, avere, potere, numeroso, sguardo circolare (3,5.34; 5,32; 10,23; 11,11) etc. b) realismo e senso del concreto: e.g. undici parole diverse per indicare la casa e le sue diverse parti dieci per i vestiti, nove per gli alimenti; la variet dei numeri; espressioni volgari: 2,11 lettuccio; 1,38 borgate; 14,31 con grande insistenza (Queste tre ricorrenze si confrontino con Lc) diminutivi: 8,7 (pesciolini cf. Mt 15,34); solo in Mc bambina (5,39; piccola barca (3,9 non si trova negli altri due sinottici, ma in Gv 6,22.23.24; 21,8); punta dellorecchio (14,47 non in Mt e in Lc, bens in Gv 18,10); c) aramismi: in Mc sono sparsi un po a caso; in Lc invece, li troviamo in punti ben precisi: e.g.: Mc 3,17; 5,41; 7,11; 7,34; 10,46; 14,36; 15,34; La sintassi Poco curata rispetto alla grammatica greca; imparentata con lo stile popolare, con lo stile semitico. Turner, Lagrange, Black: la frequenza e la concentrazione dei fenomeni poco greci non tradiscono lesistenza di un originale aramaico, ma la riproduzione di documenti attinti da fonti aramaiche. Le espressioni popolari tradiscono una certa trascuratezza e allo stesso tempo danno

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

37

limpressione del vissuto: e.g. 15,26: Ed era liscrizione del motivo (della) sua (condanna) scritta; 14,33: cambia il tempo (presente aoristo) nella medesima frase. Bisogna per riconoscere che per noi una tautologia pu suonare bene a un orecchio semita: e.g. 5,12: Mandaci nei porci, perch entriamo in essi. Mc si mostra veramente un buon narratore quando fa in modo che la stessa frase ritorni su bocche diverse: 2,5.7.9.10; 6,31.32.35; 9,11.12; 10,38.39; 12,41-44; 15,44.45; quando mette in rilievo la parola importante: 1,44; 2,2; 3,20.27; 5,3; 5,37; 6,5; 7,12; 9,8; 11,14; 11,14; 12,14.34; 14,25.60.61; 15,4.5; 16,8. Preferisce la paratassi come legame fra le frasi. Questa una caratteristica del linguaggio semitico, il greco popolare. Lassenza di qualsiasi legame una spiccata caratteristica dellaramaico. Lassenza del vocabolo dunque (ou=n) notevole: Gv 200x; Mt 57x; Lc 31x; Mc 3x: 10,9; 13,35; 15,12 (alcuni esempi dove in Mt e Lc ricorre, mentre in Mc non si trova: 4,24.30; 9,50; 12,9.10.17.20.23.37; 13,4). Inoltre, Mc fa un uso inflazionato della congiunzione e (kai.). Per quanto riguarda lo stile, c un forte contrasto fra i particolari vivi e gli schemi semplicissimi (lo schematismo dei racconti []): 1,20-22//6,1-12; 7,32-36//8,22-26. Il fatto che Mc solitamente non usi laoristo, il tempo classico della narrazione, ma conserva il presente storico, e mescola i tempi da una notevole vivacit ai racconti. Anche le goffaggini della narrazione contribuiscono a questo effetto: precisazioni delle affermazioni: 1,28.32.35.38.45; parentesi: 2,15s; 6,14; anacoluti: 3,16s; 4,31s; 5,23; context-supplements: 1,16; 3,21; 5,2s; 5,42; 6,14.17s.31; 8,28; 10,22; 11,13; 14,2; 15,25; 16,4. Marco dunque non uno stilista o un narratore di talento, piuttosto un relatore fedele, ingenuo almeno questo era il consenso fino agli anni 70. Il carattere stereotipato dei racconti, povert del vocabolario, gli schemi fissi sembra di averli ricevuti dalla comunit. Dunque conclude LON-DUFOUR (1990: 60): Sarebbe dunque doppia lorigine di Mc: un testimone e una comunit; entrambi operanti. Questa conclusione ci guider nel valutare la composizione letteraria e il valore storico del secondo vangelo. Mc da limpressione di presupporre un vangelo primitivo. Infatti, in numerosi passi Mc sembra secondario rispetto a Mt e Lc. Queste concordanze Mt-Lc contro Mc esigono dunque che ci sia un documento evangelico allorigine di Mc. Alcuni parlano di Urmarkus/proto-Marco, altri presuppongono un Matteo aramaico tradotto in greco; altri ancora ritengono: anche se ci sia stato un documento, bisogna presupporre un materiale fluido. I materiali utilizzati da Marco: a) le sentenze di Ges - la brevit dei discorsi riportati (in senso stretto solo due discorsi) - la frequenza dei discorsi riportati: Mt 4,23 e 7,29 // Mc: come se Mc omettesse il discorso vero e proprio; cf.: 1,21.39; 2,2.13; 4,1.2; 6,2.6.34; 10,1; 11,7; 12,1.31;

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

38

b) -

Mc annuncia talvolta parecchie parabole e non ne riporta che una: 4,2.10.13; 12,1; i racconti molto corti: 1,12s; 1,16-20; 2,13-3,5; molto sviluppati: 2,1-12; 5,1-17; 5,21-43; 6,17-29; 9,14-29; molto arricchiti: 4,36-41//Mt 8,23-27; 6,35-44//Mt 14,15-21; molto condensati: 9,33//Mt 17,24-25; 15,15a//Mt 27,24s

3.4. Composizione letteraria Per sommi capi riprendiamo qui la proposta di C. MINETTE
DE

TILLESSE, poich egli prende

in considerazione simultaneamente la struttura e la teologia di Mc, ragionando che il secondo vangelo ha una struttura teologica. Il suo saggio deve molto al commentario di V. TAYLOR (The Gospel According to Mark, London 1952). Come punto di partenza Minette de Tillesse fa un inventario del materiale di Mc: a) miracoli: 1. 1,23-28: guarigione di un indemoniato a Cafarnao; 2. 1,29-31 (32-34): della suocera di Pietro e molte altre guarigioni; 3. 1,40-45: di un lebbroso; 4. 2,1-12: di un paralitico; 5. 3,1-6: di un uomo dalla mano inaridita; 6. 5,1-17: dellindemoniato geraseno; 7-8. 5,21-43: dellemorroissa e resurrezione della figlia di Giiro; 9. 6,30-44: prima moltiplicazione dei pani; 10. 6,45-52 (53-56): Ges cammina sulle acque; guarigione a Genesaret; 11. 7,24-30: guarigione della figlia di una siro-fenicia; 12. 7,31-37: di un sordomuto; 13. 8,1-10: seconda moltiplicazione dei pani; 14. 8,22-26: guarigione di un cieco a Betsaida; 15. 9,14-29: dellepilettico indemoniato; 16. 10,46-52: di Bartimeo; 17. 11,12-21: il fico sterile; Questi miracoli occupano una gran parte della prima met (1,14-8,26) del vangelo, mentre nella seconda (8,27-16,8) ne troviamo appena tre. Sentenze inquadrate (TAYLOR) /= apoftegmi (BULTMANN) = paradigmi (DIBELIUS) = chreia = aneddoto. Si tratta di un breve racconto il cui apice costituito da un logion. 1,16-20; 2,1-3-6; 3,22-30; 3,20.31-35; 6,1-6; 7,1-23; 7,24-30; 8,11-12; 9,33-37; 9,38-40; 10,1-12; 10,13-16; 10,1731; 10,35-40; (11,12-14.20-23); 11,27-12,37; 12,41-44; 13,1-2; 14,3-9. Le sentenze inquadrate hanno una funzione analoga a quella dei miracoli: dimostrare il carattere paradossale della manifestazione di Ges. I due discorsi: nel senso stretto Mc non ha che due discorsi: 4, 1-34: il discorso delle parabole: affinch la gente non lo capisca; 13: il discorso escatologico, il quale riservato ai discepoli (v.3). Secondo Minette de Tillesse i due discorsi sono paralleli: dicono la stessa cosa con parole diverse.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

39

La passione: occupa un quinto di Mc. Sulla scia di TAYLOR (1952: 90-104; cf. ID., Marks Use of the Gospel Tradition Bulletin SNTS 3 [1952] 29-39) Minette de Tillesse individua 18 gruppi che chiama indivisibili serie redazionali (sries rdactionelles indivisibles) 1,1-13 1, 21-39 2,1-3,6 3,20-35 4,1-34 4,35-5,43 6,30-56 7,1-23 7,24-37 8,1-26 8,27-9,29 9,30-50 10,1-31 10,32-52 11,1-25 11,27-12,44 13,5-37 14,1-16,8

I sommari redazionali fungono da cerniera. Dopo la professione di fede di Pietro questi sommari (1,14-15; 1,21-22; 1,28; 1,39; 1,45b; 2,1-2; 2,13; 3,7-19; 4,1-2; 4,33-34; 6,6b-7; 6,1213; 6,55-56; 7,24.31; 8,10.27; 9,30; 10,1.32.46) spariscono quasi completamente. Le grandi divisioni di Mc: 1,1-13: prologo 1,14-3,6: prima sezione: la vocazione della Chiesa 3,7-6,6a: seconda sezione: listituzione della Chiesa 6,6b-8,26: terza sezione: la missione della Chiesa (sezione dei pani) 8,27-10,52: quarta sezione: la professione di fede da parte della Chiesa 11,1-12,44: quinta sezione: il trionfo messianico 13,1-16,8: sesta sezione: la passione di Cristo e della Chiesa Secondo Minette de Tillesse dunque sintravede il carattere ecclesiale del vangelo di Mc, cio si tratta di uno scritto che cerca di rispondere alle necessit di una chiesa cui si rivolge con il suo vangelo. Questa struttura, afferma Minette de Tillesse, dimostra che lossatura letteraria del vangelo impregnata da considerazioni teologiche. Vediamo pi da vicino le sezioni. a) la sezione dei pani (6,6b-8,26) L. CERFAUX ha individuato la sezione 6,31-8,26 come unit redazionale chiamandola sezione dei pani. Effettivamente, il Leitmotiv il pane. 6,30-44: la prima moltiplicazione dei pani; 6,45: subito dopo ; 6,51b-52: essi internamente erano pieni di stupore. Infatti non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore insensibile. 6,53: stabilisce una sequenza redazionale: Compiuta la traversata, giunsero a Genezaret e vi approdarono.; 7,2: comincia il dibattito con i farisei perch i discepoli mangiano i pani con mani impure; 8,14-15: il contrasto tra il pane dei discepoli e il lievito dei farisei; 7,24: comincia il secondo ciclo di moltiplicazione parallelo al primo; 7,27-28: la donna cananea desidera il pane dei figli; 7,24.31;8,1: la seconda moltiplicazione dei pani per i pagani; la seconda moltiplicazione ripete la struttura della prima (situazione, domanda, risposta); la formula eucaristica prepara 14,22, e fa vedere il senso teologico che ci si cela; In 8,14-21 funge da ricapitolazione redazionale di tutta la sezione (cf. DRURY, 1987: 414ss).

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

40

Minette de Tillesse poi aggiunge alla sezione individuata da Cerfaux il passo 6,6b-30: linvio dei discepoli in missioni e poi il loro ritorno. b) I tre annunzi della passione (8,27-10,52) Questa sezione interamente dedicata ai discepoli. Il punto di partenza la professione di fede da parte della Chiesa (8,27-30). Fino ad adesso la messianicit di Ges era un tab. Ora invece egli stesso solleva la domanda: Chi dicono gli uomini che io sia? La professione di Pietro fa scattare il primo annunzio della passione. Questi tre annunzi completano il kerygma iniziale (1,14-15). 8,34-9,1 applica ai discepoli (alla Chiesa) il destino messianico di Ges. La trasfigurazione legata a questa scena: e dopo sei giorni. 9,14-28 funge da contrasto alla trasfigurazione (9,19 cf. Dt 32,5.20; Ps 78,8). Il secondo annunzio della passione introduce linsegnamento ecclesiale (9,33-50). Il terzo annunzio viene di nuovo seguito da un insegnamento dei discepoli. Come la sezione dei pani, anche questa termina con la guarigione di un cieco, il quale, secondo Millette de Tillesse, rappresenta i discepoli, i quali adesso sono in grado di seguire Ges verso la sua passione, comerano capaci di riconoscerlo dopo la guarigione di un altro cieco (8,22-26). Sorge per la domanda, se i discepoli siano veramente in grado di seguire Ges. Infatti, al momento del suo arresto loro sfuggono. c) La prima e la seconda sezione (1,14-3,6; 3,7-6,6a) Per delimitare le altre sezioni Minette de Tillesse ricorre da un lato alle serie redazionali indivisibili e dallaltro ai sommari redazionali. Mc 1,1-13 costituisce un prologo al vangelo intero. Egli considera 1,14-15 e 1,21-22 un unico sommario (cf. Lc: tutto il programma per la sua opera: 4,16.33; At 13,14-15.44-46; 14,1; 17,1-2.10; 18,19 etc). La prima manifestazione messianica si svolge nella sinagoga. 1,16-20; 2,13-14: tre scene di vocazione. Mc 2,1-2 lintroduzione a cinque controversie. 3,7-12 il pi grande sommario di Mc: introduce una nuova tappa. Con 3,6 (Ma i farisei, usciti di l, tennero subito consiglio con gli erodiani contro di lui, per vedere come farlo perire.) si conclude la prima sezione, Ges si ritira per costituire un popolo nuovo di Dio, formato di giudei e non-giudei: Allora Ges si ritir con i suoi discepoli presso il lago e dalla Galilea una grande moltitudine lo segu. Anche dalla Giudea, da Gerusalemme, dallIdumea, dalla regione oltre il Giordano e da quella intorno a Tiro e Sidone, una grande moltitudine, avendo saputo quanto egli faceva, venne a lui (3,7-8). d) La quinta e la sesta sezione (11,1-12,44; 13,1-16,8) La passione costituisce una suddivisione redazionale indivisibile. Siccome siamo abituati a leggere il vangelo come biografia di Ges ci riesce naturale che la divisione debba trovarsi dopo il cap. 13, ma seguendo R. H. LIGHTFOOT (The Gospel Message of St. Mark, Oxford 1950) il discorso escatologico, afferma Minette de Tillesse, risulta parallelo alla passione:

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

41

in Mc 13 tre volte il verbo consegnare ( paradi,dwmi), in Mc 14-15 lo troviamo ben dieci volte (cf. 13,9.11.12; 14,10.11.18.21.41.42.44; 15,1.10.15); in 13,22-23 lAnticristo disperde gli eletti; in 14,27: Ges annunzia che i discepoli si disperderanno; lora e il giorno: 13,32-33; 14,35; 14,41; 13,35: di sera, a mezzanotte, al canto del gallo, al mattino; 14,7 (la sera); 14,35-41 (mezzanotte?); 14,72 (il canto del gallo); 15,1 (il mattino); annunzio solenne della parusia (cf. 13,26 e 14,62); tutto ci che Mc annunzia al capitolo 13, in un certo senso, si compie durante la passione: 13,2 14,58 15,38; 13,24-25 15,33;

13,1-16,8 dunque costituisce una sezione unica. La bipartita struttura teologica ancora pi fondamentale in Mc. La professione di Pietro funge da cerniera. Tutta la prima parte (1,14-8,26) dominata dallinterrogativo: chi questuomo? I demoni lo sanno, ma Ges chiude loro la bocca (1,24-25.34; 3,12). Ges agisce con una tale autorit che stupisce e scandalizza le autorit (2,7.10), la sua famiglia e i suoi compaesani (3,21.22; 6,2-3). In questa prima parte egli compie molti miracoli, ordina per ai beneficiari di non parlarne. Nella terza sezione si pu individuare una pseudo-professione (pseudo-confession) da parte di Erode, la quale prepara quella vera: 6,14-16//8,27-30. A partire dalla professione di Pietro tutto il vangelo procede decisamente verso il suo scioglimento. I discepoli per il momento devono tacere (8,30), dopo la risurrezione per, il silenzio perde la sua ragione dessere (9,9). Lannunzio della passione, afferma Minette de Tillesse, era implicitamente inglobato nella professione di fede, poich questa professione di fede ha unefficacia simile a quella della parola di Dio (cf. Is 55,10-11; la professione di fede della chiesa parola di Dio cf. At 10,43-45). 8,31 ( necessario, dei/) esprime la necessit irreversibile comunicata dalla parola di Dio. La prima parte del vangelo, la quale si svolge in Galilea e nei dintorni la misteriosa manifestazione messianica, che prepara la grande scoperta: 8,27-30. La professione di fede introduce la seconda. Il vangelo di Marco dunque pu ritenersi un gran dittico. Da qui partono le ipotesi di Minette de Tillesse riguardo alle sezioni parallele. Lautore sottolinea che si tratta di suggerimenti molto congetturali. a) prima e quinta sezione (1,14-3,6 e 11,1-12,44) le cinque controversie: 2,1-3,6 2,1-12: autorit di Ges (2,13-14: la chiamata di Levi) 2,15-17: pubblicani 2,18-22: sposo presente/assente 2,23-28: Signore del Sabato (Davide) 3,1-5: salvare una vita o toglierla (3,6:) decisione: uccidere Ges 11,27-12,37 11,27-33: autorit di Ges (12,1-12: vignaioli omicidi) 12,13-17: il tributo a cesare 12,18-27: una donna di sette mariti 12,28-34: il primo comandamento 12,35-37: figlio e signore di Davide (12,38-44: scribi e la vedova: un contrasto)

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

42

La prima serie un crescendo: 2,6 (alcuni scribipensavano nei loro cuori); 2,16 (Gli scribi dei farisei, vedendo che egli mangiava assieme ai peccatori e ai pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: Perch mangia assieme ai pubblicani e ai peccatori?); nella terza (2,18) e nella quarta (2,24) controversia parlano direttamente con Ges, tuttavia mentre nella terza si tratta del digiuno, nelle quarta Ges si mostra come signore del Sabbato. Nella quinta Ges in persona viene messo in questione. Lopposizione raggiunge il suo apice: Ma i farisei, usciti di l, tennero subito consiglio con gli erodiani contro di lui, per vedere come farlo perire. (3,6). La seconda serie invece va in decrescendo. 11,18: condanna a morte; 11,33: manca la conclusione; 12,12: il loro atteggiamento ostile non si concretizza in nessunazione; 12,14: adulazione; 12,1727: gli avversari vengono ridicolizzati in pubblico; 12,34 (dopo la quarta controversia) nessuno osa pi interrogarlo; 12,35: Ges stesso che fa scattare la quinta, lultima controversia. Possiamo dire che la seconda serie sbocca al trionfo messianico di Ges: il messia non soltanto figlio di Davide, ma anche il signore di Davide. In questa serie inoltre non si sente pi del segreto. Le due serie si corrispondono come un gran chiasmo. stato levangelista a creare queste strutture che si rispondono. E ancora, questo parallelismo cinvita ad unulteriore indagine, se ci siano altri riscontri fra queste due sezioni. 1,14-45: una giornata a Cafarnao (1,21.32.35); 11,1-33: una giornata a Gerusalemme (11,11.12.19.20). La prima sezione una settimana: 1,21-3,2 (da sabato fino a sabato); come pure la quinta: 11,11.12.19.20.27; 14,1.12.17.72; 15,1.42; 16,1). Questa strutturazione stata ripresa da Giovanni, anzi il Quarto Vangelo ne ha fatto unelaborazione molto pi accentuata. b) La seconda e la sesta sezione (3,7-6,6a e 13,1-16,8) Il discorso in parabole (cap. 4) e il discorso escatologico (cap. 13) sono i soli discorsi veri e propri che si trovino nel Secondo Vangelo. Il primo si svolge in pubblico, mentre il secondo rivolto a quattro discepoli privilegiati (13,3). Tuttavia il vero messaggio delle parabole si dischiude soltanto ai discepoli: 4,10-12.34. Il contenuto delle parabole il mistero del regno di Dio (4,11) e bench questo termine non si trovi in Mc 13, il tema principale del discorso escatologico il mistero della venuta del Regno 13,26 (Allora si vedr il Figlio delluomo giungere tra le nuvole con grande potenza e gloria). Mc 4 dimostra che malgrado le apparenze contrarie la raccolta doner risultati eccellenti, come Mc 13 svela che nonostante le guerre, persecuzioni etc. il trionfo del Figlio delluomo sicuro. C un parallelismo tra 4,29 e 13,28: ambedue annunziano che il giudizio arriver. 4,24 e 13,33-37: sono entrambi appelli alla vigilanza. Il parallelismo tra le due parti narrative (4,35-6,6a e 14,1-16,8) sembra per molto pi ipotetico. c) La terza e la quarta sezione (6,6b-8,26 e 8,27-10,52) L. CERFAUX ha gi dimostrato il paragone tra le due moltiplicazioni dei pani. Ambedue, infatti, sono seguite da traversate di mare (6,45 e 8,10), dibattiti con i farisei (7,1-23 e 8,11-13) e

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

43

guarigioni (7,31-37 e 8,22-26). Minette de Tillesse presuppone che si potrebbe rintracciare altre rispondenze. La confessione di Erode e quella di Pietro; la morte di Giovanni Battista annunzia quella di Ges (9,12-13). Tutte e due le sezioni terminano con la guarigione di un cieco. Dopo queste osservazioni Minette de Tillesse mette a fuoco tre cristofanie, le quali segnalano i punti salienti di tutto il vangelo. Battesimo (1,9-11; cf. Appendice B): non a caso che la prima presentazione di Ges in assoluto in Mc una teofania: Ges fu battezzato (evbapti,sqh, pass.). Accettando il battesimo di penitenza Ges rivela il suo programma messianico. Nellintero NT, afferma lautore, e in modo particolare in Mc (cf. 10,38) il battesimo simbolo della morte e della sepoltura. Qui per, dobbiamo fare qualche osservazione critica: nella pericope che solitamente viene intitolata il battesimo di Ges, il battesimo stesso rimane secondario; in effetti, in tutti e tre i sinottici la teofania a stare al centro; non si trovano riferimenti n alla morte, n alla sepoltura; il collegamento di questi ultimi con il battesimo dovuto alla teologia Paolina. Mc insiste sullo stretto legame tra il battesimo e la teofania che lo segue: E subito, salendo dallacqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito come colomba discendere verso di lui. In altri termini, Mc fin dallinizio mette in rilievo il paradosso fondamentale del suo vangelo: la passione e la gloria sono inseparabili. Trovando questo proprio nella prima scena della vita di Ges, possiamo ritenerlo come programmatico. Lo squarciarsi del cielo (cf. Is 63,19) alluderebbe ad unintronizzazione celeste. Nelloracolo divino si ha unallusione multipla: Ps 2,7; Is 42,1. Di nuovo un richiamo: morte e esaltazione devono considerarsi insieme. La trasfigurazione (9,2-8) inaugura la seconda parte del vangelo, e illumina tutta la salita verso Gerusalemme. Loracolo divino quasi identico con quello del battesimo. Ma la voce celeste qui si rivolge ai discepoli per manifestare loro la gloria di Ges. Dopo il battesimo segue la tentazione, dopo il primo annuncio della passione prima della trasfigurazione si assiste ad una nuova tentazione, adesso quella da parte di Pietro. La crocifissione (15,33-39): loscurit che copre la terra (15,33) evoca la nuvola della trasfigurazione (sko,toj evpiskia,zousa). Loscurit nellAT: il giorni di Jahve (Jl 3,4; Am 8,19). 15,2.9.12.18.26: riferimenti al re dei giudei, in 15,32 gli scribi chiamano Ges re dIsraele. Minette de Tillesse ritiene che in questa terza cristofania la professione di fede del centurione prende il posto delloracolo divino che troviamo sia al battesimo, sia alla trasfigurazione. Si pu rilevare che Elia in un certo qual modo presente a tutte e tre le cristofanie (al battesimo la raffigurazione del Battista fa di lui un Elia redivivus). 15,38 (Allora il velo del tempio si squarci [evsci,sqh] in due, dallalto fino al basso.) richiama 1,10 E subito salendo dallacqua, vide squarciarsi i cieli (scizome,nouj tou.j ouvranou.j). Nella sua conclusione Minette de Tillesse mette in risalto che Mc un vangelo ecclesiale, e uno scritto che dipende in larga misura dalle circostanze in cui nato ( crit de circonstance), e

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

44

intendeva rispondere alle questioni demergenza della chiesa cui si rivolge (Roma?). Anzi, dice lautore, si potrebbe delineare il profilo di questa chiesa (1992: 932): una chiesa perseguitata, esterrefatta da questa persecuzione. Le sei sezioni corrispondono ai sei aspetti fondamentali della Chiesa. Qui per c un soffio di non liquet nel ragionamento di Minette de Tillesse. Egli infatti mette in risalto che in tutte le sei tappe si trova un ma (1992: 932): 1) la Chiesa chiamata da Ges, ma Ges condannato a morte (3,6); 2) la Chiesa istituita da Ges, ma egli rifiutato dalla sua famiglia e dai suoi compaesani (3,20-35; 6,1-6a); 3) la Chiesa mandata in missione, ma non comprende il messaggio del vangelo (6,52; 8,14-21); 4) la Chiesa esprime la sua professione di fede in Cristo, ma rifiuta il suo messaggio che la salvezza e la croce sono inseparabili (8,33; 9,10.32-34; 10,32.35-45); 5) la Chiesa testimone della passione del suo Signore, ma fugge (14,50-52; 16,8), rinnega (14,66-72) e tradisce (14,10.43-45). Questa corrispondenza tra il vangelo e la Chiesa sembra alquanto forzata. Marco scrive un vangelo (cf. 1,1). Se poi scrive come ritiene Minette de Tillesse a una comunit, a una chiesa locale perseguitata, viene da chiedersi: come avrebbe potuto funzionare il suo scritto da buona novella, se mettesse in risalto le mancanze della Chiesa a ogni pi sospinto. Inoltre, dubbio se la crocifissione in s possa ritenersi la terza cristofania. THEISSEN (1999a: 171) ha fatto notare che la tomba vuota, che peraltro lultima scena in Mc, faccia parte della terza epifania (epiphany scene). La prima era il battesimo (1,11), la seconda la trasfigurazione (9,7), e la terza langelo alla tomba vuota (16,6). Tre professioni di fede preparano le tre epifanie, afferma Theissen: 1,7-8 (Giovanni il Battista), 8,29 (Pietro), 15,39 (centurione). Tuttavia le epifanie che le seguono, le superano: 1,7-8 (pi forte battezza con lo Spirito Santo) 1,11 (Figlio prediletto); 8,29 (Tu sei il Cristo) 9,7 (Questi il Figlio mio prediletto, ascoltatelo!); 15,39 (Questuomo era [qui manca larticolo definitivo] figlio di Dio) 16,6 ( risorto, non qui). Seguendo questo tragitto si constata pure come si allarga luditorio: Ges stesso discepoli e infine, rilevante che non sono soltanto le donne le destinaterie, bens il contenuto da trasmettere, e il vangelo stesso si conclude con questo comando di trasmissione. 3.5. Il segreto messianico Ormai da centanni a questa parte il segreto messianico ha sempre avuto un posto privilegiato nello studio del Secondo Vangelo. Il termine stesso stato coniato da W. WREDE nel suo libro apparso 1901 (Das Messiasgeheimnis in den Evangelien: Zugleich ein Beitrag zum Verstndnis des Markusevangeliums, Gttingen). Mentre nel secolo XIX. il vangelo di Marco veniva considerato come una fonte se non lunica fonte per ricostruire la vita di Ges, e il motivo della segretezza, la quale ombreggia nella stragrande maggioranza degli episodi di Mc era interpretato in chiave storica e biografica (Ges voleva rivelare la sua identit solo

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

45

gradualmente ai suoi seguaci, affinch essi potessero raggiungere a una pi profonda conoscenza di lui); dal lavoro di Wrede questopinione comune stata messa in questione. Wrede asserisce che non si pu evidenziare nessuno sviluppo nella comprensione dei discepoli in Mc, e dallaltro canto il motivo del segreto non riguarda soltanto il rapporto tra Ges e i suoi seguaci, bens lo troviamo un po dappertutto (comando ai demoni: 1,25.34; 3,11-12; dopo i miracoli: 1,43-44; 5,43; 7,36; ordine ai discepoli: 8,30; 9,9; Ges cerca di mantenere segreto dove si trova: 7,24; 9,30; impartisce insegnamento solo ai pochi prescelti: 7,17; 10,10; Ges si serve di parabole per nascondere dalle folle le sue vere intenzioni: 4,11-12; i discepoli malgrado la loro situazione di privilegio non sono in grado di comprendere Ges: 6,52; 8,17-21). Wrede afferma: queste caratteristiche non hanno niente a che vedere con il Ges storico, bens sono secondarie aggiunte editoriali. Non sarebbe ragionevole, infatti, considerare storico 5,43. E poi, per quanto concerne le parabole, esse erano per Ges degli strumenti per far capire il suo messaggio alla gente, e non per nasconderlo. Wrede punta a 9,9 come chiave del segreto messianico. I discepoli devono tacere fino alla risurrezione. Prima il tempo del silenzio e del segreto, ma dopo sopraggiunge il tempo per la rivelazione nella sua pienezza. Possiamo rintracciare lorigine di questo motivo teologico-redazionale? La risposta di Wrede affermativa. Nel protocristianesimo, argomenta, vigeva la convinzione che Ges diventato messia al momento della risurrezione (At 2,36; Rm 1,3-4). Soltanto dopo unulteriore riflessione i cristiani cominciarono a professare la loro fede che anche la vita terrestre di Ges era messianica. Secondo Wrede, dunque, lidea del segreto messianico nato da un compromesso: quando due contraddittorie nozioni teologiche si sono scontrati. Secondo luna, Ges divenuto Messia allora della risurrezione, secondo laltra invece lo era gi durante la sua vita terrestre. Wrede ritiene 9,9 come un punto assiale a riguardo. Tuttavia sorge la domanda: se la risurrezione significava per Marco la svolta decisiva nella rivelazione dellidentit di Ges, allora perch non figurano racconti delle apparizioni del Risorto al termine del Secondo Vangelo. Wrede per salvaguardare la sua teoria supponeva che un finale di Mc sarebbe andato perduto. Nel frattempo per si dimostrato (LOHMEYER,
17

1967: 352-360; J. L. MAGNESS, 1986) che lassenza di

racconti delle apparizioni intenzionale da parte dellevangelista. Wrede spinge il suo argomento fino ad asserire che Ges non si presenta nella sua vita come messia. Questaffermazione ha causato parecchio scalpore, bisogna per riconoscere che in fin dei conti deriva da un fraintendimento. Wrede, in effetti, non voleva fare altro che spiegare il motivo del segreto nel vangelo di Marco. Lopera di Wrede ebbe un notevole influsso nellesegesi neotestamentaria, ma non mai stata adottata da molti nella sua integrit. Egli col suo lavoro ha aperto la strada per gli studi di stampo critico-redazionale. Reazioni alla teoria di Wrede:

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

46

il segreto messianico risale a Ges stesso; egli voleva evitare linterpretazione falsa della sua messianicit (TAYLOR, AUNE, DUNN, MOULE); il motivo entrato nella tradizione con levangelista stesso (STRECKER); il segreto messianico spiega perch la maggior parte dei giudei non hanno accettato Ges come il loro messia (DIBELIUS, BURKILL), e perch gli stessi contemporanei di Marco hanno rifiutato la fede cristiana (WATSON); (Stando a questa teoria come spiegare i seguenti passi: 1,45; 7,36-37; 14,61-62?); il segreto messianico ha il suo origine nel modo come Marco comprendeva la storia della rivelazione. Levangelista avrebbe ricevuto una tradizione imbevuta dellidea della messianicit di Ges. Lautore del Secondo Vangelo per, proprio tramite il motivo del segreto, intendeva inglobare questa teologia messianica (cristologia del theios anr, [WEEDEN, 1971]) nella sua theologia crucis, la quale del resto impregna tutto il suo vangelo: la vera identit di Ges va compresa a partire della croce.

3.6. I racconto e il segreto 3.6.1. Lanalisi di Kelber KELBER (1989: 391) prende il via dal celebre studio di Wrede e afferma che per oggi diventato unopinione comune asserire che nei vangeli e in modo particolare in Mc e in Gv il racconto e il segreto vanno a pari passo. Bench oggi come oggi il concetto del segreto messianico non venga pi utilizzato senza avanzare delle riserve, e siano molto pochi coloro che accettino linterpretazione di Wrede, lassociazione del racconto di Mc col segreto si tenuto con tenacia nellopinione della maggioranza degli esegeti e anche oltre. E. g. il rinomato critico letterario F. KERMODE (The Genesis of Secrecy: On the Interpretation of Narrative , Cambridge, MA, 1979) si serve di Mc per dimostrare come il segreto funga da paradigma fondamentale in tutti i racconti. Kelber invece del parere che il Secondo Vangelo ci incoraggia a fare esperienza di una nuova logica secondo la quale si deve diffidare dellopinione comune, del segreto, poich, afferma Kelber, in Mc il racconto a forza di disorientare e riorientare ripetutamente il lettore differisce continuamente la propria chiusura (closure; fermeture). Dallaltro canto, Kelber ci avverte che bisogna stare in guardia contro un anacronismo: il lettore moderno cresciuto nella mentalit dei romanzi del XVIII-XIX. sec. in cui lintreccio tende sempre ad essere particolarmente denso. Anzi, ritiene Kelber (p. 392) che lo stesso interessamento al segreto, allambiguit abbia le sue radici nella modernit. Detto questo, egli dichiara che gi latto di scrivere qualcosa depone contro di mantenerlo segreto. Effettivamente, conservare il segreto sarebbe meglio non dirlo, per non parlare di scriverlo. Il racconto dunque, gi in s intende piuttosto rivelare anzich velare. Contro la convinzione molto in voga da partire dello studio di Wrede, Kelber propone unaltra: il vangelo di Marco pu ritenersi come paradigma di quel desiderio fondamentale che vuole lo svelamento proprio tramite il racconto. Cos Kelber intende

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

47

dimostrare gli sforzi nel racconto di Mc, i quali hanno intenzione di screditare e di svelare il segreto. Tuttavia nel Secondo Vangelo sintravede un doppio movimento, il quale si potrebbe caratterizzare come lalternarsi di svelamento (disclosure/unveiling, dvoilement) e di rivelamento (reveiling; revoilement), ovverosia larticolazione del segreto allinterno del messaggio. Da questo punto di vista Mc 4,1-34 la scena pi intrigante e pi complessa dellintero vangelo. Qui si delineano due cerchie contrastanti: insider e outsider (4,11; 4,34). Sembrerebbe, di primo acchito, che tutto giovasse in favore degli insider, degli iniziati. Infatti, se consideriamo questa sezione di parabole isolata dal contesto narrativo, essa risulta simile a quei vangeli apocrifi i quali non contengono racconto (o soltanto un racconto estremamente scarno che funge da cornice) ma solo dei logia (e.g. Vangelo di Tommaso; la maggior parte dei codici di Nag Hammadi). In seguito, Kelber (pp. 398ss) sottolinea che nella transizione dalloralit al vangelo scritto da un lato, e quella dalle parole separate alla narrativa, dallaltro, si pu cogliere bene il nocciolo del cambiamento fondamentale anche per quanto riguarda il segreto esoterico e il suo svelamento. Dal momento che il vangelo si articola in una forma narrativa, la necessit di conservare, la necessit del segreto, il che, del resto, caratterizza loralit, cedono il posto allinterpretazione. Kelber (p. 400) mette in rilievo che nella spiegazione della parabola centrale (4,14-20) la stessa interpretazione impartita in privato fa scoppiare il quadro concettuale del genere parole esoteriche. importante vedere che qui la parola ( lo,goj) prenda il posto della semenza, la quale in tre casi su quattro non porta frutto. In altri termini sembra che lo stesso insuccesso della proclamazione faccia parte essenziale del mistero del Regno. Si potrebbe dire che la spiegazione esoterica stesse a minare dal di dentro la logica della comunicazione segreta (cf. 4,21.22.24b.25). La saggezza parabolica affidata agli iniziati relativizza il proprio carattere di essere qualcosa di confidenziale, dirotta (dranger) lautorit dei beneficiari privilegiati, e impedisce la chiusura esoterica. In Mc il segreto esoterico esplode. In un certo senso si pu parlare di uninversione dei ruoli: si veda come 4,12 viene applicato agli iniziati in 6,52 e 8,1718. Trasformando gli iniziati in non-iniziati il racconto porta a termine la distruzione del segreto esoterico. Secondo il Kelber (402ss) un altro tipo di segreto si dischiude nella trama del vangelo: 1,34: Ges non permette ai demoni di parlare; 1,44: di nuovo un comando di tacere (lebbroso guarito); 3,11-12: Ges sgridava gli spiriti immondi perch non lo manifestassero; 5,19: diversamente: Va nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro; 5,43: dopo la resurrezione della figlia di Giiro: comando di tacere; 7,24: arrivato nella regione di Tiro e di Sidone: voleva che nessuno lo sapesse; 7,36: dopo la guarigione del sordomuto: comando di tacere; 8,29-30: nuovamente dopo la professione di fede di Pietro; 9,9: dopo la trasfigurazione di nuovo; 9,30-31: i discepoli non comprendono (il secondo) annunzio della passione;

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

48

significativo che durante la passione non si da ai personaggi alcun divieto di sorta di proclamazione. I segreti appena menzionati si distinguono dal segreto esoterico: a) questi segreti sparsi lungo nellintreccio non riguardano gli aforismi e le parabole; si rapportano piuttosto alla persona di Ges: non le sue parole, bens le sue azioni e la sua personalit. Kelber (p. 403) li chiama segreti di identit (secrets didentit). b) Le persone che si confrontano con questo tipo di segreto non appartengono a un gruppo ristretto, si tratta piuttosto di individui diversi. Il segreto di identit non vuole formare e conservare lidentit di un gruppo. c) In questi casi non si tratta di una dottrina sistematicamente applicata. Il segreto e il suo diffondersi sono in una relazione simbiotica. Si pu concludere che la posta in gioco qui non il rimanere segreto, bens accelerare lo slancio verso la rivelazione. A questo punto bisogna rilevare che il segreto di identit e il segreto esoterico si convergono: Infatti, non c cosa nascosta se non perch sia manifestata, n cosa segreta che non venga alla luce (4,22). I segreti di identit sboccano ad una piena rivelazione dellidentit di Ges: 8,31-32. Il vocabolo parrhsi,a| apertamente un hapax in Mc. Questo avverbio indica lo scioglimento del meccanismo segreto svelamento. In altre parole, i segreti di identit sparpagliati lungo il racconto hanno un duplice ruolo: drammatico e teologico. Tuttavia, bisogna riconoscere che il racconto di Marco si vela nuovamente ( reveil; revoile) in modo che al centro rimane qualche cosa di irriducibile, un vuoto o un mistero ( laissant en son centre quelques chose dirrductible, un vide ou un mystre , p. 403). Effettivamente linterpretazione della parabola centrale funge da parabola essa stessa. Inoltre, altre parabole (4,21-32) si aggiungono allinterpretazione della parabola centrale. Si pu ricavare la logica seguente: una parabola viene spiegata da unaltra. Se il mistero sta proprio al cuore della proclamazione della parola (lo,goj/semente), allora la parabola veramente la maniera ideale per impartirla, poich la parabola per natura richiede altre parabole. Il loro messaggio non si riduce a una formula. Per gli iniziati non resta nientaltro che il mistero, e ulteriori parabole. Bisogna per sottolineare che sebbene il segreto esoterico venga ripetutamente svelato ( dvoil) e ri-velato (revoil), la trama procede verso unapertura totale. Quando Ges parla parrhsi,a| (8,32), senza ombra di dubbio si tratta di uno svelamento ( d-voilement). Come e quando si verifica questo? I discepoli sfuggono allarresto di Ges. Il lettore preparato sin dalle parole dette apertamente ad assistere alla morte violenta, brutale di Ges. Tuttavia non stato preparato nemmeno lui ad una fine, dove Ges chiama suo Padre in una maniera del tutto inaspettata: Dio mio, Dio mio, perch mi hai abbandonato? (15,34).

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

49

Per quanto riguarda il lettore afferma Kelber, il narratore gli concede una posizione privilegiata tramite lincipit del vangelo. La situazione del lettore dunque rassomiglia a quella dei discepoli. Vale la pena di proseguire questa strada e vedere pi da vicino il ruolo del lettore. 3.6.2. Lanalisi di Marguerat MARGUERAT (1993) indaga su come il racconto di Mc e di Mt costruiscono il proprio lettore. (Marguerat presuppone che Mt abbia conosciuto Mc, e che Mt sia una rilettura di Mc). Lautore mette in rilievo che non si tratta di una nuova ricerca, solo gli attrezzi sono nuovi, poich la retorica greco-romana aveva come scopo precipuo di esercitare un influsso sulluditorio. Si ritorna allantica questione: quale effetto abbia intrinsecamente il racconto/discorso sul destinatario (p. 242)? Ma chi il lettore? Per quanto sembri banale, la domanda assai spinosa (cf. MARGUERAT BOURQUIN, 2001: 19-24). Alcune definizioni: lettore reale figura individuale o collettiva, che rappresenta sia i lettori a cui lautore reale ha destinato il proprio testo (lettore primo), sia ogni persona impegnata nellatto della lettura. In quanto tale, questa entit non di competenza della narratologia. Lettore implicito ricettore del racconto costruito dal testo e in grado di attualizzarne i significati nella prospettiva voluta dallautore; questa immagine di lettore corrisponde ai lettori immaginati dallautore. Marguerat (p. 243) limita la sua indagine sul lettore implicito, cio sul lettore la cui partecipazione allatto della lettura viene programmata dal testo, in altre parole si tratta di una lettura pragmatica (la quale un metodo di lettura che interroga il testo a partire dagli effetti che esercita sul lettore; essa ne individua gli indizi pragmatici, che sono le istruzioni che suggeriscono al lettore in qual modo il testo vuole essere accolto [MARGUERAT BOURQUIN, 2001: 15]; tra le letture pragmatiche vanno annoverate lanalisi narrativa, lanalisi retorica, lanalisi della risposta del lettore). Marguerat propone lipotesi che la maniera con la quale si annodano i rapporti tra i personaggi al livello del racconto evangelico, abbia unattinenza sulleffetto che il testo intende esercitare sul lettore. Questomologia tra il piano della trama e il piano dei lettori non va intesa in una maniera semplicistica. Non si pu dire che basta e.g. sostituire i discepoli con i lettori. Questo risulta chiaro dal fatto che i discepoli non assistano alla passione. In altri termini la loro posizione gnoseologica ben diversa da quella del lettore implicito. Marguerat disamina tre aspetti dei racconti di Mc e di Mt: la cristologia, il rapporto tra il credere e il comprendere, e infine ne accenna brevemente i risvolti etici. Il racconto di Marco si presenta come un susseguirsi di episodi frammentati. Lunit si crea solo nella lettura. In altri termini, poich non c una continuit tematica, lunit leffetto della contiguit narrativa. Questa caratteristica del racconto del Secondo Vangelo si vede palesemente come gestisce Mc lo

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

50

spazio. Ges si muove in continuazione da un luogo allaltro. Nei primi 10 capitoli di Mc si contano ben 54 cambiamenti di luogo (cf. MARGUERAT 1993: 246 n20), mentre in Mt dove agli avvenimenti raccontati in Mc 1-10 corrispondono i primi 20 capitoli si contano solo 47. La giornata a Cafarnao (Mc 1) si pu considerarla programmatica in Mc: 1,21-28 sinagoga; 1,2932 casa; 1,32-34 alla porta della citt. Si tratta dunque di tre luoghi simbolici: sinagoga luogo dove si fa presente lautorit liberatrice di Ges; casa prossimit con i suoi discepoli; spazio aperto le folle vengono da Ges. In Mc un quarto luogo simbolico viene aggiunto: 1,3538 (manca in Mt) un luogo solitario, deserto. Tramite questo cambiamento di luogo cambia pure la prospettiva. Durante la giornata di Cafarnao la questione fondamentale : chi Ges (1,24.34), adesso invece: dove Ges? In altre parole, non appena la sua identit stata svelata dai demoni, Ges sparisce. Questa caratteristica si trova soltanto in Mc, e va ripetendosi lungo la trama. Ges, afferma Marguerat (p. 248), sfugge non solamente dai discepoli, ma si sottrae anche dal lettore, tant vero che la questione della sua identit continua a riaprirsi non appena la si crede risolta. Mt, a sua volta, segue un altro modo di rappresentazione. La mobilit di Ges viene rallentata da soggiorni assai lunghi, durante i quali la parola del Maestro si offre sia ai discepoli sia alle folle. Per Mt il verbo seguire (avkolouqei/n) caratterizza la situazione del credente (cf. J. D. KINGSBURY, The Verb Akolouthein [to follow] as an Index of Matthews View of his Community, JBL 97 [1978] 56-73), come pure luso frequente del vocabolo discepolo (maqhth,j). Il lettore di Mt invitato a identificarsi con la figura del discepolo, il quale ha risposto alla chiamata del Maestro, il quale ascolta il suo insegnamento e staccandosi dal mondo rimane in comunione con lui (cf. Mt 4,18-22; 8,18-22; 9,9; 10,37-39; cf. J. ZUMSTEIN, La condition du croyant dans lvanglie selon Matthieu, OBO 16, Fribourg Gttingen 1977). La differenza dunque cospicua: dove Mt insiste sulla sequela, Mc mette in risalto il Signore che se ne va. Il lettore di Matteo orientato sulla difficolt di seguire, mentre il lettore di Marco disorientato da un Signore inafferrabile (per unulteriore conferma di questa osservazione cf. p.249 n33.34). Mc 16,7 dove sincontrano il mondo del racconto e il mondo del lettore non va compreso come un appuntamento, bens come un annuncio che lidentit di Cristo rimarr inafferrabile per sempre per i suoi. Unaltra riprova: dove i discepoli precedono Ges, Mc subito mette il rilievo che si tratta di unanomalia: Mc 6,33 (Mt omette li precedettero) 6,34: erano come pecore che non hanno pastore; 11,9 la storia della passione dimostra chiaro come veloce si cambiano i sentimenti della folla. Si potrebbe parafrasare: precedere il Cristo significa cercare di appropriarsene, di prenderlo in possesso (cf. 8,32s). 6,45 precedere ( proa,gein) 6,48 sorpassare (parelqei/n). Questultimo vocabolo nei LXX un verbo della teofania: e.g. Es 33,19.22; 1 Re 19,11 (cf. T. SNOY, Marc 6,48 et il voulait les dpasser: Proposition pour la solution dune nigme, in M. SABBE, ed., Lvangile selon Marc: Tradition et rdaction , BETL

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

51

34, Leuven Gembloux 1974, 347-363). Questepisodio enigmatico riassume bene, afferma Marguerat, quanto si detto finora: in Mc Ges si manifesta ai suoi e allo stesso tempo ci si sottrae sempre di nuovo. Nellepisodio Ges cammina sulle acque il verbo sorpassare ristabilisce la posizione adeguata per lui: egli chi precede. Marguerat non spiega per come interpretare 6,45: E subito costrinse i suoi discepoli a montare nella barca e a precederlo allaltra riva. Si potrebbe dire che il comando di tacere (1,25.34.44; 3,12; 5,43; 7,36; 8,26.30; 9,9) ha lo stesso effetto sul livello del discorso che il motivo (motivo: la pi piccola unit narrativa delimitabile come unit autonoma) del precedere di Ges sul livello narrativo. In altri termini, litinerario di Ges nel Secondo Vangelo provvede la cristologia del segreto di una configurazione narrativa. Due esempi (p. 251): 1,23-27: in questo programmatico atto liberatore che inaugura lattivit pubblica di Ges Mc comunica al lettore che lappropriarsi del sapere su Ges demoniaco (Io so chi tu sei: il Santo di Dio! Ma Ges lo sgrid dicendogli: Taci ed esci da lui! vv. 24b-25). DELORME (1997:383) da uninterpretazione pi sfumata: Ges fa tacere il demonio che parla nelluomo, non perch ci che dice sia falso, ma perch non c un soggetto umano che parli, poich il demone, appunto, completamente lo controlla. Marguerat giustamente asserisce che in questa maniera il credere di possedere il mistero cristologico viene designato come qualcosa di demoniaco. 9,1-13: questa pericope ha una posizione centrale, culminante in Mc. istruttivo confrontare il racconto di Mt e di Mc dal punto di vista di come reagiscono i discepoli. Mt: avendo udito la voce dal cielo i discepoli caddero sul loro volto (Mt 17,6), Ges li tocca e dice loro Alzatevi e non temete; poi alla fine del dialogo che segue i discepoli compresero che aveva parlato loro di Giovanni il Battista (Mt 17,13). Si tratta dunque di una cristologia di svelamento (cristologie du dvoilement). In Mc non c n prostrazione, n incoraggiamento da parte del Maestro, n comprensione. I discepoli al termine della scena ricevono un comando, lo osservano, per senza comprenderlo (Mc 9,9-10). Tramite questo commento (Essi osservarono lordine, ma intanto si chiedevano tra loro che cosa significasse quel risorgere dai morti) al lettore viene chiesto, se egli stesso comprenda meglio dei discepoli. Perch qui certamente non si tratta della risurrezione in generale, ma della risurrezione di questo Ges, il che lascer perplesse, costernate anche le donne al sepolcro vuoto.

Marguerat (p. 252) sottolinea: lincomprensione dei discepoli non deriva dalla curiosit storica dellevangelista, bens mira ad interpellare il lettore sulla propria comprensione. Per sondare il tema credere e comprendere, il capitolo delle parabole serve da punto di partenza. Marguerat (p. 253) mette in risalto che bisogna essere attenti di non lasciarsi guidare nellinterpretazione di Mc 4,1-34 da Mt 13, dove le parabole fungono come insegnamento sul Regno. Anzi, in Mt 13 le parabole servono ad insegnare le folle: Gli si accostarono i discepoli e gli dissero: Perch parli ad essi in parabole? (13,10). In Mt la risposta di Ges isola ermeticamente due gruppi: da un lato ci sono i discepoli, ai quali Dio concede di conoscere i misteri del Regno dei cieli (u`mi/n de,dotai gnw/nai ta. musth,ria th/j basilei,aj tw/n ouvranw/n), dallaltro c la folla, gli outsider, cui questa conoscenza rifiutata

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

52

(evkei,noij de. ouv de,dotai), poich anche loro rifiutano di capire: 13,13-15 (cf. D. MARGUERAT, Le jugement dans lvangile de Matthieu, MdB 6, Genve 1981, 415-423). Secondo lautore (p. 253) il redattore del Primo Vangelo sta facendo una rilettura di Mc 4,1-34 a partire della sua esperienza di essere escluso dalla sinagoga a causa della sua fede cristiana, in altre parole, a partire dal rifiuto perpetrato da Israele. Matteo voleva incoraggiare e rafforzare la sua chiesa/comunit traumatizzata da questesperienza (cf. 13,16-17). Come stanno le cose con Mc? Come parla al lettore il Secondo Vangelo? Qui si profila una diversa costellazione teologica (cf. V. FUSCO, Parola e regno: La sezione delle parabole [Mc 4,1-34] nella prospettiva marciana, Brescia 1980; C. M. TUCKETT, Marks Concerns in the Parables Chapter [Mk 4,1-34], Bib 69 (1988) 1-26; . CUVILLIER, Parabol dans la tradition synoptique ETR 66 (1991) 25-44). Marguerat (p. 254s) rileva tre divergenze: Mc non si interessa della rottura tra Israele e la Chiesa. Si concentra piuttosto ad indagare come funzionano le parabole come mezzo di comunicazione (cf. limportanza del vocabolo lo,goj e gli altri termini che riguardano il processo comunicativo). In Mc non il contenuto dellinsegnamento nuovo che viene trasmesso (a differenza di Mt dove proprio questo loggetto dellinsegnamento: Mt 13,11 ta. musth,ria), bens il fatto che in Ges si manifesta, e simultaneamente si nasconde il musth,rion del Regno (Mc 4,11). Marco sembra di percepire nelle parabole una forma adatta, anzi obbligatoria per la comunicazione del suo kerygma, poich la trasmissione del kerygma deve adattarsi al suo oggetto/contenuto che si svela e si nasconde simultaneamente. Ecco perch, asserisce Marguerat, troviamo alcuni logia sul contrasto nascosto rivelato (Mc 4,21-25; questi fanno parte della terza (ultima) fase nello sviluppo redazionale di questo capitolo). La spiegazione della parabola centrale, 4,14-20 (la quale infatti una rilettura ecclesiale della parabola stessa [vv. 3-9] e risale alla seconda fase della redazione) lascia intravedere una trama doppia. Da un lato c la diffusione della parola (lo,goj semente), dallaltro si presenta pure linsuccesso, il quale per, sembrerebbe di far parte inerente del mistero (musth,rion) del Regno. vero che Mc 4,11 installa una divisione insider outsider. Tuttavia, bisogna tener presente che prima di cominciare il discorso parabolico Ges ha dichiarato: Chi fa la volont di Dio, questi mio fratello, mia sorella e mia madre (3,35 si faccia un confronto con i diversi contesti che si trovano in Mt e in Lc). Inoltre, non sono solo i Dodici gli iniziati: quelli che erano intorno a lui con i Dodici (4,10). Come se non bastasse, il Secondo Vangelo crea un atmosfera di paradosso di cui peraltro Mt non porta nemmeno le tracce. In altri termini per Mc il dono del mistero che i discepoli hanno ricevuto ( strano che non si dica dove e quando) non vale a dire che hanno ricevuto il dono della comprensione (cf. 4,13).

Quale lettore dunque viene costruito da Mc? Senza dubbio di sorta si pu affermare che il testo favorisce lidentificazione del lettore col gruppo degli iniziati (cf. 1,16-20; 3,13-19; 3,35). Tuttavia, levangelista stesso a smantellare questo stato di privilegio, e lo fa non appena stato costruito: 4,35-41: la loro fiducia viene a mancare;

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

53

6,37: non riescono sfamare la gente; 6,45-51: scambiano il Signore per un fantasma; 6,52; 8,14-21: non comprendono neanche dopo due moltiplicazioni dei pani; 8,31-32: Pietro, tramite il suo rifiuto, sembra appartenere agli outsider; 9,10: osservano un comando di tacere senza comprenderlo;

Mc trasformando gli iniziati in outsider annichila il concetto di privilegio legato a certe informazioni confidenziali (p. 256). Il Secondo Vangelo non un vangelo gnostico: non protegge il segreto, anzi ne narrativizza la dissoluzione. Ci nonostante non questa lultima parola di Mc. Da un canto chiama allattenzione del lettore alcune figure esemplari, le quali per si trovano al margine in rapporto agli insider: la donna siro-fenicia (7,24-30); la folla affamata della parola (6,34; 8,2); un padre che confessa Credo! Aiutami nella mia incredulit! (9,24); il centurione romano (15,39), e infine sono i discepoli falliti che il Risorto preceder in Galilea (16,7) (cf. M. EBNER, Du hast eine zweite Chance! Das Markusevangelium als Hoffnunsgeschichte, in FS R. Zerfa, 1999, 31-40). Mc gioca con il lettore un gioco molto pi sottile di Matteo (p. 257). A questo punto per sorge la domanda: come spiegare questi due profili di lettore talmente diversi (p. 259)? Marguerat del parere che la risposta la si pu trovare nella situazione storica in cui i testi sono nati, e prospetta qualche ipotesi a riguardo delineando per sommi capi letica di Mc e Mt, in particolare per quanto concerno il loro atteggiamento alla Torah. Questi due vangeli danno due visioni marcatamente diverse della Torah. Eccone i punti salienti: Mc non si interessa affatto alla Torah, bens alla cristologia: 2,1-3,6; 12,13-34; in Mt invece Ges ristabilisce la volont originaria del Creatore interpretando la Torah: 5,17-20.21-48; 7,12; 22,34-40; 23,23; In Mc gli avversari di Ges utilizzano dei comandamenti della Torah per camuffare la loro incredulit davanti a una rivelazione nuova; mentre in Mt la causa degli scontri tra Ges e i suoi avversari proprio una lettura erronea della Torah. In altri termini, il vangelo di Mt fornisce una nuova ermeneutica. Sintravedono i fondamenti di unhalakah cristiana.

La redazione di Mc avvenuta verosimilmente negli anni 60 a Roma oppure ad Antiochia (p. 260), in un ambiente ben distante dal giudaismo, mentre Mt, circa 15 anni dopo, si rivolge a una comunit appena espulsa dalla sinagoga (per un ragionamento diverso si veda BROWN MEIER, Antioch and Rome). Al lettore, conclude Marguerat (p. 262), viene dato un privilegio per quanto riguarda la cristologia del vangelo: Mc 1,1. Tuttavia, il racconto non fa altro che problematizza tutto ci che concerne il sapere su Ges. Come afferma J. DELORME (vangile et rcit: la narration evanglique en Marc, NTS 43 [1997] 367-384; 384) la domanda che troviamo al centro del vangelo (8,27-30) non chi Ges?, come se dovessero sapersi o trovarsi le parole giuste per rispondere, bens chi dicono gli uomini che io sia?Ma voi, chi dite che io sia?. Queste ultime

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

54

domande richiedono un soggetto che parla, che prende posizione nei confronti di un altro. Dunque, affinch ci siano persone adatte a raccontare il Vangelo, lessenziale non acquistarsi un sapere o ripeterlo, bens essere guariti dagli handicap degli occhi, degli orecchi e del cuore. In altri termini, non si tratta soltanto di una formazione pedagogica, ma anche di uniniziazione sovente dolorosa. 4. IL VANGELO DI MATTEO D. C. ALLISON, Matthew: Structure, Biographical Impulse, and the Imitatio Christi, in The Four Gospels 1992, Fs F. Neirynck, 1203-1221; A. D. BAUM, Papias als Kommentator evangelischer Aussprche Jesu: Erwgungen zur Art seines Werkes, NT 38 (1996) 257-276; ID., Der neutestamentliche Kanon bei Eusebios (Hist. Eccl. III,21,1-7), ETL 73 (1997) 307348; ID., Papias, der Vorzug der viva vox und die Evangelienschriften, NTS 44 (1998) 144151; ID., Der Presbyter des Papias ber einen Hermeneuten des Petrus: zu Eusebius, Hist. Eccl. 3,39,15, ThZ 55 (1999) 21-35; ID., Ein aramischer Urmatthus im kleinasiatischen Gottesdienst: Das Papiaszeugnis zur Entstehung des Matthusevangeliums, ZNW 92 (2001) 257-272; M. BLACK, The Use of Rhetorical Terminology in Papias on Mark and Matthew, JSNT 37 (1989) 31-41; C. J. CLASSEN, Rhetorical Criticism of the New Testament, WUNT 128, Tbingen 2000; J. D. G. DUNN, Matthews Awareness of Markan Redaction in The Four Gospels 1992, Fs F. Neirynck, 1349-1359; R. GRYSON, propos du tmoignage de Papias sur Matthieu: le sens du mot lo,gion chez les Pres du second sicle, ETL 41 (1965) 530-547; J. KRZINGER, Das Papiaszeugnis und die Erstgestalt des Matthusevangeliums, BZ 4 (1960) 1838; J. LIEU, Temple and Synagogue in John, NTS 45 (1999) 51-69; U. LUZ, Lvangliste Matthieu: un judo-chrtien la croise des chemins: Rflexions sur le plan narratif du premier vangile, in D. MARGUERAT J. ZUMSTEIN, La mmoire et le temps, Fs P. Bonnard, MdB 23, Genve 1991, 77-92; M. MAYORDOMO-MARN, Den Anfang hren: Leserorientierte Evangelienexegese am Beispiel von Matthus 1-2, FRLANT 180, Gttingen 1998; J. MUNCK, Presbyters and disciples of the Lord in Papias: Exegetical Comments on Eusebius Ecclesiastical History III, 39, HTR 52 (1959) 223-243; F. NEIRYNCK, APO TOTE HRXATO and the Structure of Matthew, ETL 64 (1988) 21-59 = ID., Evangelica II, BETL 99, Leuven 1991, 141-182; B. NOLAN, The Royal Son of God: the Christology of Matthew 1-2 in the Setting of the Gospel, OBO 23, Fribourg Gttingen 1979; K.-H. OSTMEYER, Der Stammbaum des Verheienen: Theologische Implikationen der Namen und Zahlen in Mt 1,1-17 NTS 46 (2000) 175-192; K. F. PLUM, Genealogy as Theology, SJOT 3 (1989) 66-92; A. PUIG I TRRECH, I prolegomeni del Vangelo secondo Matteo (1,1-4,25) in E. Franco, ed., Mysterium Regni ministerium Verbi, Fs V. Fusco, Supplementi alla Rivista Biblica 38, Bologna 2000, 447-462; B. STANDAERT, Lvangile selon Matthieu: Composition et genre littraire, in The Four Gospels 1992, Fs F. Neirynck, 1223-1249; G. THEISSEN, Vom Davidssohn zum Weltherrscher: Pagane und jdische Endzeiterwartungen im Spiegel des Matthusevangeliums, in M. Becker W. Fenske, ed., Das Ende der Tage und die Gegenwart des Heils, Fs H.-W. Kuhn, Leiden 1999, 145-164 [1999a]; H. C. WAETJEN, The Genealogy as the Key to the Gospel According to Matthew, JBL 95 (1976) 205-230; 4.1. Cominciare La mia famiglia non senza gloria, ma discende da sacerdoti. Come infatti ogni popolo ha un suo modo diverso di fondare la nobilt cos da noi la partecipazione al sacerdozio segno di una famiglia illustre. Con queste parole esordisce FLAVIO GIUSEPPE la sua Autobiografia (1,1;

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

55

introduzione, traduzione e note di G. Jossa, Studi sul giudaismo e sul cristianesimo antico 3, Napoli 1992). Siccome anche Matteo avvia il suo libro con la genealogia di Ges, apriamo questo capitolo sul Primo Vangelo con la pericope che si presenta allincipit del suo scritto: 1,217. Perch inizia cos Mt? Perch riconduce il lettore fino ad Abramo, e perch rievoca numerosi personaggi della stroria di Israele prima di presentare le vicende della nascita di Ges? Ma dove si dovrebbe iniziare la narrazione se allorizzonte del racconto si presagisce la fine del mondo (28,20)? Cominciare unopera un momento cruciale. il momento della scelta afferma I. CALVINO in un saggio che apparso nellappendice delle sue Lezioni americane ci offerta la possibilit di dire tutto, in tutti i modi possibili; e dobbiamo arrivare a dire una cosa, in un modo particolare. Prima di dar avvio al discorso prosegue Calvino abbiamo a disposizione tutti i linguaggi: quelli elaborati della letteratura, gli stili in cui si sono espressi civilt e individui nei vari secoli e paesi, e anche i linguaggi elaborati dalle discipline pi varie, finalizzati a raggiungere le pi varie forme di conoscenza: e noi vogliamo estrarne il linguaggio adatto a dire ci che vogliamo dire, il linguaggio che ci che vogliamo dire. Anche agli incipit dei vangeli canonici si deve prestare unattenzione solerte, poich tutti gli evangelisti esordiscono il loro discorso con testi articolati con premura e sollecitudine (DAVIES ALLISON, 1988: 186ss). Mc (si veda eg. CLASSEN, 2000: 69-75) comincia in un modo alquanto insolito rispetto alle convenzioni contemporanee. Lincipit di Mc, secondo Classen, avr ricordato ai suoi lettori linizio del libro di Osea (1,2: avrch. lo,gou kuri,ou pro.j Wshe ; kai. ei=pen ku,rioj). Tuttavia, apportando dei cambiamenti il Secondo Vangelo non mirava soltanto a suscitare lattenzione dei suoi lettori e a facilitare loro la ricezione del suo scritto, ma voleva anche renderli curiosi. Classen, infatti, del parere che Mc avrebbe scelto questo incipit insolito per accennare a due temi fondamentali del suo libro: la buona novella e il Messia. Per quanto riguarda il termine avrch., questo vocabolo deve considerarsi come qualcosa dalla quale tutto ci che segue dipende, da cui tutto sorge. In effetti, non sarebbe totalmente banale, si chiede Classen, affermare allinizio che si tratta dellinizio? In seguito, prima di parlare della missione del Battista, Mc mette in chiaro che Giovanni non ha alcuna rilevanza allinfuori di essere il precursore del Messia. La sezione che apre il vangelo si conclude col menzionare lo Spirito Santo (1,8: Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzer con lo Spirito Santo) anticipando cos i tre riferimenti allo Spirito nel Vangelo: 3,28-29 immediatamente dopo listituzione dei dodici; 12,36 dove si parla della relazione fra Davide e il Messia; e 13,11 cio nel discorso escatologico. A proposito del Battista si utilizza due volte il verbo khru,ssw predicare (1,4.7). Successivamente il medesimo verbo verr usato in rapporto con Ges quattro volte nel primo capitolo: 1,14.38.39.45. A questuso si aggiungono altre sei ricorrenze: 3,14; 6,12 (i discepoli), 5,20; 7,36 (persone guarite da Ges), 13,10; 14,9 (Ges

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

56

parlando della predicazione futura del vangelo). Classen sottolinea: presentando il vangelo come oggetto della predicazione e ripetendo questo ben sei volte nel primo capitolo (1,4.7.14.38.39.45) Mc mette a fuoco limportanza di questattivit predicatrice. Cos sin dallinizio il vangelo di Mc focalizza sui temi centrali del libro: la buona novella sulla Messia, promesso dai profeti e la cui venuta fu preparata dal precursore. Lc comincia la sua opera (cio vangelo e Atti) con una frase lunga ed accurata, seguendo le norme della retorica greca (si veda eg. O. FLICHY, Loeuvre de Luc: Lvangile et les Actes des Aptres, Cahier vangile 114, Paris 2000, 10-15): (1)Poich molti hanno intrapreso +ad esporre ordinatamente la narrazione delle cose che si sono verificate in mezzo a noi, (2) come ce le hanno trasmesse coloro che da principio ne furono testimoni oculari e ministri della PAROLA, (3) parso bene anche a me, dopo aver indagato fin dallinizio ogni cosa accuratamente, +di scrivertene per ordine, eccellentissimo Teofilo, (4)affinch tu ti renda conto della solidit delle PAROLE che ti sono state insegnate. La struttura della frase potrebbe essere raffigurata anche nel modo seguente: molti hanno intrapreso ad esporre la narrazione delle cose che si sono verificate in mezzo a noi da principio come ce le hanno trasmesse coloro parso bene anche a me di scrivere per ordine ogni cosa fin dallinizio affinch tu ti renda conto

La prefazione di unopera sempre stabilisce un patto per la lettura ( pacte de lecture), afferma la Flichy. Questo concetto si pu definire cos: insieme di convenzioni tramite cui il narratore programma la ricezione del testo da parte del lettore e circoscrive latto di leggere. Il patto di lettura si stringe esplicitamente attraverso il peritesto (enunciati che precedono o seguono immediatamente il testo e che ne condizionano la lettura [titolo, prefazione, prologo, conclusione]), implicitamente tramite il genere letterario del racconto (cf. MARGUERAT BOURQUIN, 2001: 130). Il patto di lettura si lega dunque pi precisamente a due posizioni testuali privilegiati: il peritesto e lincipit. Ambedue sono strumenti a disposizione del narratore per segnalare perch e come occorre leggere. importante mettere in chiaro che la funzione del peritesto non semplicemente quella di introdurre il racconto, bens quella di fissare lo statuto del racconto dettando le norme del patto di lettura. Cos il peritesto e lincipit hanno un ruolo decisivo per determinare laffiliazione del racconto a un genere letterario. Cera una volta Un re! diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. Cera una volta un pezzo di legno.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

57

Dallinizio de Le avventure di Pinocchio salta agli occhi quanto profondamente sia radicata nella nostra percezione di letteratura lidea del genere letterario. Perfino il narratore di una fiaba si sente costretto a spiegare il suo scostarsi dalla tradizione fiabesca, a chiarire che, malgrado questo divario fra le aspettative dei piccoli lettori e il suo racconto, quanto seguir rientra nel genere letterario fiaba, chiamata in causa tramite lincipit convenzionale, ovverosia tramite il fiabema Cera una volta. Certo, lidea del genere letterario non necessariamente tematizzata, anzi uno se ne accorge soltanto dopo un distanziamento interpretativo, tuttavia essa costituisce lalveo della comunicazione letteraria. Sbagliare la mira del genere letterario fuorvia la comprensione di qualsiasi enunciato anche nellambito della comunicazione quotidiana. Giorno per giorno dobbiamo riconoscere parecchi generi diversi e crearne altrettanti. Forse ci si potrebbe azzardare a dire che la percezione a seconda dei generi letterari, e il generare i medesimi, fa parte della socializzazione, e quindi si tratta di un sistema di convenzioni, le quali ci aiutano a comunicarsi a vicenda nella nostra vita di esseri socievoli, tanto per usare la definizione di ARISTOTELE. (Di fatto fu egli [Politica 1253 a3] a definire luomo come essere socievole [politiko,n zw/on]: lo stato un prodotto naturale e [] luomo per natura un essere socievole cf. Etica Nicomachea I, 1169 b18: luomo, infatti, un essere politico e portato naturalmente alla vita in societ). Come si delinea questo patto nel terzo vangelo? Lc, da parte sua, non scarta affatto le opere precedenti, anzi sottolinea la rilevanza del loro contributo. Servendosi del perfetto ( peri. tw/n peplhroforhme,nwn) mette in risalto che il passato raccontato ha la sua valenza per il proprio presente e per il presente dei suoi lettori, fra cui egli stesso si annovera ( evn h`mi/n). Daltro canto, ricorrendo alla forma passiva, egli suggerisce che Dio stesso abbia condotto gli avvenimenti al loro compimento. In altre parole, Lc inserisce i suoi predecessori nel flusso della tradizione. La parola (logos) significa nellopera lucana, da un lato, la parola di Dio (At 4,31; 6,2.7; 8,14; 11,1; 12,24; 13,5.7.46; 17,13; 18,11) e dallaltro, la parola del Risorto (At 13,44.48.49; 15,35.36; 16,32; 19,10.20), ma anche la buona novella della salvezza che Ges ha portato (At 10,36). In questa frase iniziale dunque si profila il progetto dellevangelista. Lc precisa il suo metodo, il quale il metodo dello storiografo. Il significato dellordine (cf. avnata,ssomai) non si esaurisce con la cronologia, osserva la Flichy, bens insinua una logica inerente (cf. At 11,4). Le parole che stanno allincipit di Gv (1,1), asserisce il CLASSEN (2000: 91) non dischiudono alcuninformazione di fatto, ma offrono unaffermazione di indole filosoficoteologica. Questa maniera di iniziare non un procedimento che caratterizzi sia la narrativa, sia il discorso argomentativo. Inoltre, Classen sottolinea che se un lettore non avesse conosciuto di che cosa lautore stava parlando, si sarebbe trovato assai perplesso, poich per un estraneo non chiaro affatto chi colui che viene onorato e ricoperto di titoli elogiativi in questo brano. In altri

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

58

termini, questo sarebbe un argomento in pi che il Quarto Vangelo non pu venir considerato come uno scritto missionario. Il Prologo mette in risalto che il racconto del ministero di Ges va considerato come la rivelazione dei disegni del Dio eterno. Leternit e il tempo, dunque, sono fortemente legati tra loro. Leternit continuamente interferisce nel tempo, tuttavia, e questo veramente essenziale per capire il vangelo, il tempo conserva la sua importanza, poich rimane il punto di legame tra il creatore e la creazione. Per cui la vita di Ges vissuta nella sua concretezza, ben radicata nel sistema di coordinate del tempo e dello spazio, ha una rilevanza insuperabile per il Quarto Vangelo, anzi, una delle caratteristiche che costituiscono lessenza di essere un vangelo. Siamo, dunque, davanti a un paradosso: la linea del tempo e della storia rimane in Dio e Dio irrompe nella storia. Tramite il loro incipit tutti e quattro i vangeli dunque preparano il lettore ognuno a modo suo a quanto segue nei libri rispettivi. 4.2. La genealogia Gli evangelisti, in particolare Matteo e Luca, cercano di presentare Ges come colui che adempie le speranze dellumanit, e innanzitutto quelle di Israele. Allinizio del Primo Vangelo questa caratteristica viene palesemente accentuata. Al lettore moderno sfugge questenfasi, poich la genealogia gi come tale qualcosa di oscuro e di ostico per lui. Tuttavia, cruciale riconoscere che si di fronte a un genere letterario ben conosciuto e diffusamente utilizzato nella letteratura veterotestametaria. Rilevando dunque le caratteristiche di questa forma, si getter luce sia al metodo, sia alle intenzioni dellevangelista. Da un canto, valendosi di questaccorgimento letterario Mt rende omaggio allAT, riassume la storia in cui Yhwh ha fatto attraversare il suo popolo; dallaltro, come si vedr pi in avanti, Mt si serve di questo passato con una fedelt creativa: interpreta il passato, interpreta la storia da cui Ges entra nelluniverso narrativo dellevangelista. Si potrebbe anche dire che tramite questa pericope iniziale al lettore implicito viene fornito il programma del Primo Vangelo, viene comunicata lidea organizzatrice, la quale si scandir il racconto nel libro della genesi di Ges Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo (1,1). Pur correndo il rischio di simplificare le cose in una maniera del tutto eccessiva, si potrebbe magari dire che il messaggio di questo genere letterario alla porta del vangelo non altro che se vuoi comprendere Ges, leggi lAT. Quando il primo vangelo inizia a raccontare la storia di Ges di Nazaret imita dunque un genere letterario ben conosciuto nellAT. La storia di No (Gen 5-9) prende il via con una genealogia (Gen 5,1-31), come pure quella di Abramo (Gen 11-25; 11,10-32). Anche le Cronache principiano con lunghe genealogie (1Cr 1-9). Utilizzando questo genere letterario Mt si presenta come uno che concepisce la propria opera quale ulteriore svolgimento della storia biblica. Daltra parte, iniziando con un riferimento al libro della Genesi (Bi,bloj gene,sewj

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

59

VIhsou/ Cristou/ ui`ou/ Daui.d ui`ou/ VAbraa,m) il primo evangelista suggerisce che si accinge a scrivere unopera, la quale in un certo senso fa da pendant alla Genesi. Presentando Ges come figlio di Davide e figlio di Abramo, lo tratteggia come il Messia davidico. Il fatto di inserire la sua storia collegandolo allesilio, da un lato, intende di mettere in rilievo con chiarezza che Ges arrivato al tempo opportuno (cf. Gal 4,4), e dallaltro, tenendo presente che nellapocalittica del giudaismo (Dan 9,24-27; 1 Enoch 91,12-17; 93,3-10; 2 Baruch 67,1-74,4) lepoca dellesilio veniva presentata come una che precedeva lepoca della redenzione imminente, Mt, con Ges messo al momento conclusivo delle quattordici generazioni esiliche, segnala con nitidezza la fine dellepoca esilica. Cos Mt 1,2-17 tratteggia una storia il cui garante Dio, e il cui culmine Ges Cristo. Le promesse date ad Abramo e a Davide vengono messe in pericolo durante lesilio. In Ges, per, la storia della salvezza raggiunge il suo telos (cf. Rm 10,4). Inoltre, la nascita di Ges accade in circostanze straordinarie. La genealogia prepara il lettore a questi avvenimenti senza precedenti dimostrando come Dio benedisse relazioni potenzialmente scandalose (Tamar, Racab, Rut, Betsabea), e che Dio ha stabilito e, nonostante tutto, ha mantenuto la stirpe di Davide, la quale, come suggerisce appunto la linea ininterrotta delle generazioni, non mai venuta meno. Daltronde, la genalogia rivela, almeno implicitamente, lidentit della chiesa (cf. m. Abot 1,1 un trattato della Mishn, inserito nel quarto ordine, Nezikn danni, relativo al diritto civile e penale rabbinico chiamato anche Pirk Avt lezioni dei Padri incomincia con la shalshlet hakabbal catena della tradizione ed elenca 14 generazioni tra Mos e Hillel; la prima frase enumera cinque anelli della catena di trasmissioni; i rabbini ci vedono un chiaro riferimento ai cinque libre della Tor: Mosh ricevette la Tor dal Sinai e la trasmise a Yehosha, e Yehosha agli Anziani, e gli Anziani ai Profeti, e i Profeti la trasmisero agli Uomini della Grande Congregazione, Pirk Avt Lezioni dei Padri con il Commento Maghn Avt di Rav D. Z. S. Segre di Vercelli [sec.XIX] e le annotazioni Shalm Banm di Rav A. M. SOMEKH, Milano 1996): giudei e pagani trovano identit nel loro comune Signore (Mt 18,20). Malgrado che la Chiesa appartenga al mondo ellenistico senza radici, dicono Davies e Allison, in virt della sua unione con Cristo, ha un legame certo e sicuro con il passato, il che nellantichit aveva unimportanza senza pari. 4.2.1.Le difficolt con la genealogia Per quanto concerne la frase introduttiva (Bi,bloj gene,sewj VIhsou/ Cristou/ ui`ou/ Daui.d ui`ou/ VAbraa,m; ge,nesij pu significare nascita, inizio, genealogia) due opinioni si sono profilate. Secondo alcuni qui si tratta del titolo del vangelo (questo parere risale a Girolamo, nellet moderna: ZAHN [1903], KINGSBURY [1975: 10 n54], DAVIES ALLISON [1988: 150], D. DORMEYER [1992: 1364]); altri (GUNDRY [1981: 13], LUZ [1985: 88], STANTON [1992: 1189s] affermano che il primo versetto si riferisca o alla genealogia vera e propria (vv. 2-

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

60

17) oppure al racconto intero dellorigine di Ges (vv. 2-25). STANTON mette in risalto che i testi paralleli pi vicini sono Gen 2,4 e 5,1: Gen 2,4a: au[th h` bi,bloj gene,sewj ouvranou/ kai. gh/j Gen 5,1a: au[th h` bi,bloj gene,sewj avnqrw,pwn chiaro che queste frasi non sono titoli, ma si collegano alle genealogie (tledot). Dando unocchiata pi attenta alla genealogia di Ges, si affacciano ulteriori problemi: lultima sezione della genealogia tripartita (dopo Ieconia) contiene solo 13 generazioni (Ges incluso), e cos laddizione al v. 17 non quadra: Dunque tutte le generazioni da Abramo fino a Davide (sono) quattordici generazioni, e da Davide fino alla deportazione di Babilonia quattordici generazioni, e dalla deportazione di Babilonia al Cristo quattordici generazioni. Possiamo scartare lopinione, secondo la quale Mt non poteva cambiare la genealogia, perch questa sarebbe pervenuta dalla stessa famiglia di Ges. Effettivamente, se questo fosse stato il caso, cio se nel cristianesimo primitivo fosse stata conosciuta la genealogia anagrafica di Ges, come potrebbe spiegarsi la genealogia di Lc? Inoltre, con 13 generazioni sarebbe difficile abbracciare circa 575 anni (cf. OSTMEYER, 2000: 177n8, 178n12; SANDERS [SANDERS DAVIES, 1989: 35s] afferma che se i nomi moltiplicano per 25 o 30, cio con il numero degli anni per ciascuna generazione, la versione di Luca con i 21 nomi in questa sezione sembra pi plausibile). Da questo punto di vista la versione di Luca convince di pi. Mt cancella alcuni nomi dalla lista dei re, la quale si trova nel 1 Cron, per arrivare al numero 14 da Davide fino a Ieconia. Mancano: Acazia, Joas, Amazia (1Cron 3,11-12) e Joakm (1Cron 3,15-16). Tenendo presente questa libert non forse lecito pensare che Mt avrebbe potuto tranquillamente inserire un altro nome nella terza parte della genealogia in modo da avere il computo corretto alla fine (v. 17)? Non chiaro perch cominciare la genealogia con Abramo: essere figlio di Abramo una cosa completamente ovvia per un ebreo (cf. LUZ, 1985: 92ss). Sorge cos la domanda, se Abramo non sia stato introdotto affinch si arrivasse nella prima sezione al computo desiderato, cio al numero 14. alquanto curioso che allincipit venga sottolineato che Ges figlio di Davide e figlio di Abramo, quando pi tardi ambedue le figliolanze saranno relativizzate: 3,9; 8,11-12; 22,41-46. Non si fa riferimento alle grandi figure femminili della storia di salvezza come Sara, Rebecca, Rachele. La loro assenza si fa tanto pi sorprendente, quanto sconcertante la presenza delle donne nella prima sezione: Tamar, Racab, Rut e Betsabea. Questultima non viene nominata con il suo nome, ma si riferisce a lei tramite il nome del marito eliminato da Davide. In altri termini, ci che si mette in risalto la colpa di Davide.

4.2.2. La struttura della genealogia Per ricavare la struttura della genealogia il computo che troviamo alla fine fornisce una chiave. Guardando indietro dalla fine (v. 17) entrambi le 14e generazioni hanno una posizione di spicco: Davide e Ieconia. Non v ombra di dubbio che il posto di Abramo, essendo il primo, gi una collocazione di gran rilievo. Le fonti della prima parte sono Rt 4,18-22 e 1Cr 1,34-2,15; per la seconda invece 1Cr 3,1-16; i primi tre nomi della terza vengono da Esd 3,2; Ag 2,2; 1Cr 3,16-19. I cambiamenti effettuati nella lista dei re rivelano le intenzioni di Matteo. Dalla liste del

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

61

1 Cron tre nomi vengono tralasciati in modo che Azaria/Ozia possa trovarsi al posto settimo, e per la stessa ragione si omette il padre (Iakm) affinch il figlio Ieconia occupi il posto quattordicesimo. Questo gioco con i numeri era unusanza conosciuta nella letteratura giudaica (cf. gematria; DAVIES ALLISON, 1988: 164). Il settimo e il quattordicesimo nella lista dei re ricevono dunque un rilievo marcato. Chi sono queste due figure? Ozia/Azaria re di Giuda, il quale secondo 2Re 15,3-5 era lebbroso, e Ieconia/Ioiachin, il re deportato in Babilonia, il quale viene soprannominato il prigioniero nei LXX 1Cron 3,17 (Ieconia&asir, asir semplicemente la traslitterazione del termine ebraico rSia; prigoniero, per nei LXX questo fa parte del nome stesso). Come spiegare queste scelte da parte di Mt? Nellantropologia del giudaismo, come pure in quella del protocristianesimo era unopinione comune che gli antenati hanno un influsso decisivo per i loro discendenti. E.g.: Adamo in FILONE (La creazione del mondo secondo Mos, in Filone di Alessandria, La filosofia mosaica, trad. C. Kraus Reggiani, Milano 1987): [136]Ora, quel primo uomo nato dalla terra, il capostipite di tutto il nostro genere, mi sembra fosse generato perfetto nellanima e nel corpo e differisse di molto dagli uomini venuti dopo, per questa sua eccellenza in ambedue gli elementi che lo costituivano []; [145]Si dunque detto della bellezza spirituale e fisica del primo uomo creato, sia pure rimanendo molto al di sotto della verit, ma certo quanto era possibile entro i limiti delle nostre forze. Quanto ai suoi discendenti, che allIdea del primo uomo partecipano, essi conservano di necessit, anche se affievolite, le impronte della loro parentela con il progenitore. Cf.: Rm 5,12-14; VitAd 44; 49; syrBar 17,3; 23,4; 48,42; 54,15; 4Esra 3,7.26. Nella Genesi ad esempio gli antenati sono sorgenti di benedizione o di maledizione per i loro posteri: 9,25-27; 12,2; 16,12; 25,18; 27,37-40; 48,19; 49,3-27. In questa forma mentis quello che contava non era solamente il primo degli avi, bens tutta la loro catena. Anche per Paolo questo modo di pensare e di ragionare era una cosa scontata: Isacco e Ismaele (Rm 9,7-8; Gal 4,28-31), Sara e Agar (Gal 4,22-27), Cristo e Adamo (Rm 5,12-14; 1Cor 15,21-22.48). Si pu dunque affermare, che gli evangelisti (Mt e Lc) si servono delle genealogie per pennelleggiare le fattezze di Ges. In altri termini, la genealogia, e in particolare alcune figure che occupano un posto di rilievo nellalbero genealogico, fanno parte del loro messaggio teologico, il quale non si deve dimenticare si articola in una narrativa.
Patriarchi e madri dorigine pagana (1) Abramo Isacco Giacobbe Giuda da Tamar Fares Esrom (7) Aram Aminadab Naason Re Salomone Roboamo Abia Asaf Giosafat Ioram (3 nomi mancano) (21) Ozia Iotam Acaz Sacerdoti Salatiel Zorobabele Abiud Eliacim Azor Sadoc (35) Achim Eliud Eleazar

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

62
Mattan Giacobbe (40) Giuseppe Ges

Salmon da Racab Boes da Rut Obed Iessai (14)Davide dalla (donna) di Uria

Ezechia Manasse Amos Giosia (28) Ieconia

Per quanto riguarda i re (del resto Lc non fa menzione dei re di Giudea) Ozia e Ieconia hanno una posizione di privilegio. Le informazioni che si possono ricavare al loro riguardo dal 1Re 15,5 (malattia), e dal LXX 1Cron 3,17 (prigionia) non si figurano nella genealogia. Ci per, una carenza pi apparente che reale. In realt, nessuninformazione viene fornita neppure nei casi dove si menzionano le donne. Il lettore implicito invitato a rievocare in mente i dettagli sottaciuti. A comunicare al lettore questo compito il posto che i nomi in questione occupano. Come Mayordomo-Marn (1998: 220) mette in risalto i nomi sono sigle (Kurzschiffren), le quali stanno per racconti interi. Non a caso che il primo racconto di miracolo in Mt la guarigione di un lebbroso (8,2-4; cf. Mc e Lc, nei quali la guarigione della suocera di Pietro [Mc 1,29-31; Lc 4,38-39] il primo, e la guarigione del lebbroso segue pi tardi [Mc 1,40-45; 5,12-16]) e poi in Mt 8,17 Ges viene presentato come guaritore e liberatore. Per quanto concerne la prima sezione, colpisce il fatto che Davide venga annoverato tra i patriarchi. C unaltra caratteristica che rende questa parte diversa dalle altre due: la presenza delle donne, e per giunta alcune pagane. Il fatto di essere straniero non gioca nessun ruolo nelle altre parti della genealogia. Perci non ci si riferisce alla madre di Roboamo (Naama) ad esempio, la quale era pure una straniera (1Re 14,21.31; cf. 1Re 11,1ss se qualcuno, allora Salomone sarebbe stato il personaggio ideale per nominare donne straniere). Abramo era considerato anche padre di tutti i credenti (Rm 4,11), compresi i pagani (Gal 3,7-9). Nella genealogia le donne pagane prefigurano la salvezza dei gentili, il che, del resto, lorizzonte estremo del Primo Vangelo (28,16-20; cf. DAVIES ALLISON, 1988: 158; LUZ, 1985: 94ss). Perch viene conferito ad Aram un posto che suggerisce unimportanza particolare? OSTMEYER (2000: 181) fa notare che in 1Cron 2,9 nella versione dei LXX troviamo questo nome, mentre nel TM manca. probabile che i LXX identifichino Aram con gli Aramei (1Cron 2,23), questi ultimi altrove si ritengono come la quintessenza dello straniero (Inbegriff der Fremdheit). Del resto, gli aramei sono sovente dipinti come i pi feroci e duraturi nemici di Israele (e.g. Num 23,7; 2Sam 8,5-13; 10,6-19; 1Re 11,25; 20,20-30; 22,1; 2Re 6,8-9). I nomi della terza parte hanno tutti dei loro pendant ( Namensvettern) veterotestamentari. Gi i primi due segnalano lorientamento: Salatiel e Zorobabele. Zorobabele aveva un ruolo di primo piano in Gerusalemme dopo il ritorno da Babilonia (Agg 1,1.14; 2,2.21; Esd 3,2.8; 5,2). Abid 1Cr 5,29; Elacim Neh 12,41; Azor Neh 3,19; Sadoc un nome tipico dei sacerdoti: 2Sam 15,29; 1Cr 5,34.38; 6,38; 9,11; Elid 1Cr 26,7; Eleazar uno dei figli del sommosacerdote Aron si chiama cos: 1Cr 24,1-4; Mattan il nome ha delle reminiscenze negative; secondo 2Re

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

63

11,18 e 2Cr 23,17 un sacerdote di Baal portava questo nome; comunque pu darsi che Mt abbia pensato ad uno dei numerosi sacerdoti che si chiamavano Mattia/Mattatia. In un certo senso, questa terza sezione rimane campata in aria. Si ha qui soltanto un solo nome in una posizione di rilievo: Achim. OSTMEYER (2000: 184) del parere che per via della somiglianza fonetica ci sarebbe evocata qui la colonna destra del vestibolo del tempio di Salomone: !ykiy"/Iacoum (1Re 7,21/LXX 1Re 7,7). Cos la colonna del tempio diviene la colonna della terza parte. La genealogia vuole mettere a fuoco che Ges quello in cui le promesse dellAT sboccano. Essere figlio di Abramo o essere figlio di Davide possono relativizzarsi, poich per Mt Ges il postero promesso ad Abramo, e quello che conta non la discendenza biologica, bens il fatto che Ges secondo leterno piano di salvezza di Dio il figlio di Davide, cio il Messia, e come tale superiore di Davide. Perch non ha aggiunto Matteo un nome (cosicch Ges fosse in una posizione di rilievo) oppure due (in modo che Ges cominciasse una nuova sezione)? Ges viene nella 40a generazione dopo Abramo. Il numero 40 ha valori simbolici molto sviluppati nel giudaismo (OSTMEYER, 2000: 187-189). Ad esempio si fiorivano delle speculazioni di gematria attorno alla gravidanza. Il valore numerico delle lettere del vocabolo gravidanza !wyrh sono 271 (h=5, r=200, y=10, w=6, n=50). A questo numero ulteriormente si aggiunse due e cos si arriv a 273: 39 settimane precise. Secondo questo computo con la nascita comincia la 40a settimana. Cos il numero 40 era la cifra del cambiamento, di un nuovo inizio per eccellenza. Le 40 generazione, afferma Ostmeyer, rappresentano la storia di Israele, la quale era gravida di promesse, le quali con la nascita di Ges si adempiono (cf. limportanza che viene attribuita nel primo vangelo alla cosiddetta formula di adempimento che ricorre 10 volte). La venuta al mondo di Emmanuele (1,21) inaugura una nuova epoca: la salvezza arrivata e rimarr presente per sempre (28,20). Tutta la storia, tutte le promesse arrivano al loro compimento, per cui sono rappresentati nella genealogia patriarchi, re, sacerdoti, pagani etc. Cos questa prima pericope che apre il vangelo non soltanto un albero genealogico, bens un riassunto di tutta la storia della salvezza. La posizione di Ges in questa genealogia vuole comunicare al lettore che con lui si verifica una svolta cos decisiva come con Davide e con lesilio. 4.2.3. Un confronto: La genealogia di Lc (3,23-38) Lc riporta una genealogia in un contesto diverso, ossia dopo il battesimo di Ges. Le somiglianze tra le due versioni sono poche: la linea genealogica di Ges tracciata attraverso Giuseppe; gli stessi nomi troviamo tra Davide e Aminadab, tra Esrom e Abramo.

Oltre al contesto diverso le principali differenze sono: in Lc c un ordine ascendente; nessun riferimento alle donne;

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

64

36 nomi completamente sconosciuti a Mt e allAT: Lc ha utilizzato una fonte diversa da quella di Mt; Ges inizia la dodicesima ed ultima serie di sette: cf. 4Esd 14,11 (Dio 77: doppiamente perfetto; Davide 42: sei volte sette); Lc delineando chiaramente lidentit di Ges come discendente di Davide e di Abramo, mostra altrettanto chiaro come egli si inserisca allinterno del piano divino che risale alla creazione dellumanit (Cf. E. SAMAIN, La notion de ARCH dans loeuvre lucanienne in F. Neirynck, ed., Lvangile de Luc, Fs L. Cerfaux, BETL 32, Gembloux 1973, 299-328).
Iosech Ioda Ionan Resa Zorobabel Salatiel (21) Neri Melchi Addi Kosam Elmadam Er Ges (28) Eliezer Iorim Mattat Levi Simeone Giuda Giuseppe (35) Ionam Eliacim Melea Menna Mattata Natam Davide (42) Iesse Obed Boos Sala Naasson Aminadab Admin (49) Arni Esrom Fares Giuda Giacobbe Isacco Abramo (56) Tara Nachor Seruch Ragau Falec Eber Sala (63) Cainam Arfaxad Sem No Lamech Matusala Enoch (70) Iaret Maleleel Cainam Enos Set Adamo Dio(77)

Ges Giuseppe (1) Eli Mattat Levi Melchi Iannai Giuseppe (7) Mattatia Amos Naum Esli Naggai Maat Mattatia (14) Semein

4.3. Alcune caratteristiche del Primo Vangelo Passare dal secondo vangelo al primo un po come lasciare la natura per entrare in una chiesa (LON-DUFOUR, 1990: 69). Mt il vangelo ecclesiastico: il pi citato fin dagli inizi della Chiesa. Questaffermazione per viene sfumata dal fatto, che il Primo Vangelo citato anche negli scritti delle tradizioni, le quali rappresentano orientamenti che la grande Chiesa non ha riconosciuto come normativi: e.g. il Vangelo dei Nazarei, e il Vangelo degli Ebioniti (LUZ, 1991: 84; W. D. KHLER, Die Rezeption des Matthusevangeliums in der Zeit vor Irenus , WUNT II/24, Tbingen 1987). Questa possibilit di essere accolta da varie comunit, magari fra di loro contrapposte, da differenti impostazioni religiose che si escludono a vicenda, trova il suo punto dappiglio, paradossalmente, nella pretesa di totalit da parte di Mt. Questa pretesa si articola in due maniere fondamentali nel racconto. Da un lato Mt sottolinea che in Ges le promesse dellAT si sono adempiute (cf. la genealogia e luso caratteristico delle citazioni di adempimento), in altre parole Mt mette in risalto che Ges il Messia atteso, e questo adempimento viene poi dimostrato sia nel lignaggio sia nel comportamento di Ges; e oltre ci, Mt rimarca che in Ges anche le speranze dei gentili si adempiono (2,1-12; THEISSEN, Theory, 177s; ID., 1999a: 145-164). Dallaltro lato Mt formula unetica aristocratica (Theissen, Theory, 176s), unetica di superamento: la comunit cristiana deve demarcarsi tramite una migliore interpretazione delle tradizioni che condivide con il giudaismo (5,20; 23,3) e allo stesso tempo questa giustizia migliore la separa dal paganesimo (5,47s; 6,7.31). La Chiesa secondo Matteo

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

65

riceve una missione universale (28, 16-20) con un insegnamento che pu considerarsi dal punto di vista etico un giudaismo universalizzato (THEISSEN, Theory, 179). Secondo il Theissen questa visione sinserisce bene nel periodo dopo la distruzione del Tempio (22,7) quando anche il guidaismo, a partire della fondazione della scuola a Jamnia, era alle prese con il forgiare una nuova identit. Il giudaismo che si stava formando ha dovuto crearsi unidentit nuova senza il culto del Tempio. Non sar a caso che in Mt viene due volte ripreso una citazione veterotestamentaria, la quale era molto cara anche a Yohanan ben Zakkai, il fondatore della scuoa a Jamnia. Si tratta di Os 6,6 che troviamo anche in Mt 9,13 e in 12,7. 4.3.1. Alcune caratteristiche dello stile di Mt Le suture topografiche sono vaghe e non permettono di stabilire un preciso itinerario di Ges. Tuttavia, dal vangelo emana unatmosfera di concretezza. I racconti sono sempre collocati nel tempo e nello spazio. Mt non lascia adito ai dubbi: si tratta di una vita reale. Le parole-richiamo (5,14.16; 18, 4.5.6); il parallelismo sinonimico o antitetico, una della caratteristiche dello stile semitico (7,24-27 cf. Lc; 16,25 [ABBA]; 13,53-58 [ABCDCBA]) hanno lo scopo di facilitare il meccanismo della memoria (cf. Meynet). Vedi anche le inclusioni: 6,19.21 (tesoro), 7,16.20 (frutti), 16,6.12 (da confrontare con Mc 8,15-21), 12,39.45; 15,2.20. ripetizioni delle stesse formule: 4,12=14,13; 8,2=9,18; 9,4=12,25 (in Mc tre volte sole, in Lc due volte, in Mt 15 volte circa); il fenomeno pi curioso che la stessa formula pu trovarsi su bocche differenti (e.g. 3,2=4,17 cf. anche parzialmente 10,7; 3,7=12,34=23,33); il ritmo di stile; difficile immaginare come Mt avrebbe potuto comporlo (e.g. 12,2232) sulla base di Mc o dalla fonte di Lc;

Paragonando i racconti con i discorsi si arriva alla conclusione che mentre i racconti sono contrassegnati dalla brevit, i discorsi sono ampi. Oltre ci, la maggior parte dei racconti di Mt risulta come abbreviazione dei lunghi racconti marciani: meno parole, Mt preferisce non usare nomi propri, Tralascia dettagli che danno ai racconti di Mc molta vivacit e intensit. Mancano in Mt per esempio le seguenti particolarit: il cuscino su cui Ges dormiva (8,24 cf. Mc 4,38), il denaro speso invano dallemorroissa (9,20 cf. Mc 5,26), il colore verde dellerba alla moltiplicazione dei pani (14,19 cf. Mc 6,39); come pure mancano gli intermediari: episodio del centurione (8,5 cf. Lc 7,2); manca linteresse a giustificare certe osservazioni (9,2 cf. Mc 2,3)

Il Primo Vangelo contraddistinto da uno stile ieratico. E.g.: la guarigione della suocera di Pietro (8,14-15=Mc 1,29-31=4,38-39; vedi Appendice C). unaltra caratteristica la ricerca della chiarezza (21,24 cf. Mc 11,29). Le frasi di Mt sono al solito meno dure, meno semitizzanti e meglio collegate. Preferisce il vocabolo to,te allora e cos evita luso inflazionato di kai.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

66

(cf. per luso di ga.r R. A. EDWARDS, Narrative Implications of Gar in Matthew, CBQ 52 [1990] 636-655). Troviamo pure alcune eccezioni (Mt 15,5s cf. Mc 7,11s). Queste per non fanno altro che confermano la regola. Eppure, la ricerca della chiarezza non significa che Mt lavorerebbe sempre nella prospettiva di rendere pi chiaro Mc. Nello spennellare il ritratto di Ges Mt punta il suo interesse sulla confessione cristiana del Figlio di Dio (si usa spesso il nome Ges il Cristo; Figlio di Davide: in Mc e in Lc soltanto due volte; Mt 20,30s par. cieco di Gerico; controversia sul figlio di Davide (Mc 12,35 = Lc 20,41 cf. Mt 22,42); solo in Mt: 1,1.20; 9,27; 12,23; 15,22; 21,9.15. Mentre Mc si mostra riservato nel chiamare Ges figlio di Dio, Mt lo fa senza timore). Si trovano molti ricordi della compassioni di Ges: 9,36; 14,14; 15,32; 20,34; della sua violenza: 23,1-36; ma non si parla della sua collera (cf. Mc 1,41 [D] ovrgisqei,j adirato; 3,5), della sua irritazione (Mc 1,43; 8,12; 10,14), della sua tenerezza (Mc 9,36; 10,16.21). La sua dignit pi accentuata. Divergenza nellespressione: Mc 6,3: Non costui lartigiano? 6,5: E non poteva fare l alcun miracolo 14,36: tutto possibile a te; allontana questo 14,58 e Mt 26,61; 15,45 e Mt 27,58. Gli apostoli vengono presentati sotto una luce pi favorevole che non in Mc; Ges li pone molto in alto: 13,52; 19,28. Li raggruppa e fortifica (14,1-16,20); rivela loro il mistero della passione, e insegna la legge del servizio fraterno (16,21-20,28). Mt Mc 8,26: uomini di poca fede 4,40: non avete ancora fede 13,16: beati i vostri occhi Manca 14,33: si prostrarono davanti esclamando: 6,52: non avevano capito il fatto dei pani, Veramente sei Figlio di Dio! essendo il loro cuore insensibile 16,8-11 8,17-20: (+) Avete il vostro cuore indurito; citazioni: Ger, Ez 16,12: allora compresero 8,21: E diceva loro: Non comprendete ancora? La loro famigliarit con Ges viene sfumata: Mt Mc 8,25: Signore, salvaci, siamo perduti 4,38: Maestro non ti importa che siamo perduti 15,33: Donde a noi in un deserto tanti pani per 8,4: Donde potr qualcuno saziare di pani saziare tanta folla? costoro qui in un deserto? Cf. ancora Mt 14,17 e Mc 6,37; Mt 18,1 e Mc 9,33ss. da rilevare che Ges viene presentato nel Primo vangelo come un modello etico da seguire. La congruenza tra le sue parole e il suo comportamento aumenta e garantisce la sua credibilit come esempio (ALLISON, 1992: 1216; cf. ID., A New Approach to the Sermon on the Mount ETL 64 [1988] 405-414): Parole Comportamento Mt 13,55: Non costui il figlio dellartigiano? 13,58: E non fece l molti miracoli 26,39: se possibile passi da me questo calice

Si vedano ancora: Mc 8,4 e Mt 15,33; Mc 10,18 e Mt 19,17; Mc 14,12-16 e Mt 26,17-19; Mc

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

67

5,5: Beati i miti

11,29: sono mite e umile di cuore; 21,5: Ecco il tuo re viene a te, mite, 5,7: Beati i misericordiosi 9,27: Figlio di Davide, abbi piet di noi; 15,22; 20,30 5,10: Beati i perseguitati a causa della giustizia 27,23: Pilato aggiunse: Ma che male ha fatto? 5,17-20: Non pensate che io sia venuto ad 8,4: va a mostrati al sacerdote; 12,1-8.9-14; abolire la Legge o i Profeti 15,1-20 5,39: se uno ti percuote la guancia destra 26,67: Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; 27,30 6,6: Tu invece quando preghi, entra nella tua 14,23: Congedata la folla, sal sul monte, solo, a camera pregare I discepoli imitano Ges (ALLISON, 1992: 1217): Discepoli Ges 10,1: diede loro il potere di scacciare gli spiriti 4,23: andava attorno per tutta la Galilea, [] immondi e di guarire ogni sorta di malattie e curando ogni sorta di malattie e di infermit del dinfermit popolo 10,7: predicate che il regno dei cieli vicino 4,17: Convertitevi, perch il regno dei cieli vicino. Cf.: 10,8 e 11,5; 10,18 e 27,1-2.11-26; 10,25 e 9,34. La giustizia cristiana nellottica del Primo Vangelo contraddistinta dallidea del superamento (THEISSEN, Theory, 176ss). Il comportamento cristiano, letica cristiana, la cui quintessenza il concetto giustizia, secondo Mt deve essere superiore di quella giudaica (5,20) e di quella pagana (5,47). 4.4. Composizione letteraria Il vangelo di Matteo dice U. LUZ (1991: 77) stato scritto per essere letto dallinizio sino alla fine, vale a dire, il primo vangelo non un lezionario, il quale andrebbe letto a pericopi, nemmeno una collezione di racconti e discorsi, per linsegnamento ad esempio, della quale ci si potrebbe servire come di un prontuario; bens un libro, una composizione litteraria ben sviluppata. Questaffermazione viene corroborata da varie caratteristiche letterarie di Mt: parole chiave: giustizia (dikaiosu,nh) ricorre 5x nel discorso della montagna, il vocabolo padre (path.r) per 15x nella stessa sezione; nei capp. 8-9: seguire (avkolouqe,w) 9x; e nei capp. 11-12 il termine giudizio (kri,sij) 7x; ripetizione di testi: da un canto Mt ripete ci che ha trovato ripetuto in Mc: due moltiplicazioni dei pani, due domande di segno; dallaltro ne crea ulteriori: 7,15-20 e 12,33-35 (albero frutto); 9,27-31 e 20,29-34 (due ciechi); 4,23 e 9,35; inclusioni: 1,23 e 28,20; 5,17 e 7,12; anticipazioni (Signalen, foreshadowing), cio allusioni a futuri avvenimenti, il cui scopo, afferma Luz (31992: 23), di sensibilizzare il lettore: e.g. 4,8-10.15 e 28,1620; in questo senso il prologo (Mt 1,1-4,22, cf Puig i Trrech) un preludio in termini di cristologia, ecclesiologia e anche per quanto riguarda il concetto della storia ( e.g.: Erode e i magi: rifiuto da parte di Israele, missione verso i pagani); pericopi che fungono da cerniera: 16,13-20 a cui fanno riferimento da un lato 11,2527; 13,16-17; 14,33 e dallaltro 18,18; 23,13; 26,61-63;

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

68

Il racconto della passione a parte, le suture cronologiche del vangelo non hanno alcuna importanza, perch le notazioni sono stereotipate e generiche: venuta la sera (8,16; 14,15.23), dopo sei giorni (17,1), al mattino (21,28), allora ( to,te; 92x in Mt, 6x in Mc, 15x in Lc). Tuttavia, bisogna riconoscere che due riferimenti al ministero di Giovanni il Battista (3,1 e 14,1) segnalano svolte decisive nellesistenza di Ges. 4,17 e 16,21 sono considerati da alcuni (e.g. E. KRENTZ [1964], J. D. KINGSBURY [1975]) come punti cruciali nella struttura del primo vangelo. Troviamo infatti a questi due versetti la formula VApo. to,te h;rxato o` VIhsou/j Da allora Ges cominci. Questa formula segnalerebbe due periodi nellinsegnamento di Ges, e di conseguenza dimostrerebbe che il primo vangelo ha una struttura tripartita. Su questo punto non regna accordo tra gli esegeti. Si menziona le seguenti difficolt contro questa strutturazione (ALLISON, 1992: 1205): VApo. to,te ricorre anche in 26,16; il verbo h;rxato con Ges come soggetto anche in 11,7.20; in 26,16 Mt segue e amplifica Mc: chi penserebbe a introdurre una cesura tra Mc 14,11a e 14,11b (cf. STANDAERT, 1992: 1243); I versetti 4,17 e 16,21 non possono tagliarsi dal contesto precedente (cf. NEIRYNCK, 1991: 141-182); Presupporre che Mt abbia tre parti unaffermazione troppo generica. Tutti i racconti infatti hanno principio, mezzo e fine. Standaert, inoltre, sottolinea che gli antichi non volevano fare delle cesure, n divisioni. Al contrario, il loro scopo era di lisciare le divisioni e di cancellare le tracce delle cesure. N lo stile di Mt, n il paragone con la sua fonte, n la composizione del contesto permettono di concludere, afferma lo stesso Standaert, che la formula dia rilievo a una cesura (cf. LUCIANO DI SAMOSATA, Come bisogna scrivere la storia, 55).

Allison perci si schiera con coloro (e.g. B. W. BACON [1920], J. P. MEIER [1979], M. H. CROSBY [1988]) che hanno prospettato una strutturazione per Mt secondo i cinque grandi discorsi, i quali terminano con una formula ben individuabile ( evge,neto o[te e evte,lesen ricorrono solamente in queste cinque clausole): 7,28-29: Quando Ges ebbe finito questi discorsi (Kai. evge,neto o[te evte,lesen o` VIhsou/j tou.j lo,gouj tou,touj ), le folle rimasero stupite della sua dottrina; insegnava infatti come uno che ha autorit, non come i loro scribi. 11,1: Quando Ges ebbe finito di dare i suoi avvertimenti ai suoi dodici discepoli, si mosse di l per insegnare e predicare nelle loro citt. 13,52: Quando Ges ebbe terminato queste parabole, se ne and di l. 19,1: Quando Ges termin questi discorsi, part dalla Galilea e si incammin verso il territorio della Giudea al di l del Giordano; 26,1: Quando Ges ebbe terminato tutti questi discorsi (Kai. evge,neto o[te evte,lesen o` VIhsou/j pa,ntaj tou.j lo,gouj tou,touj), disse ai suoi discepoli: Allison del parare che il capitolo 23 non pu ritenersi come il sesto discorso, come ritengono alcuni, poich l manca questa formula. In realt, Mt contiene molto pi discorsi che non cinque, tuttavia questi cinque vengono conclusi con la formula stereotipata, quindi vanno

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

69

considerati strutturanti. da notare pure che bench si trovino queste formule conclusive a 11,1 e a 26,1, Ges subito dopo ricomincia a parlare. Mt poteva prendere come punto di partenza Mc per quattro sui cinque discorsi: 10,1-42 da Mc 6,6-12; 13,1-52 da Mc 4,3-32, 18,1-35 da Mc 9,33-37.42-47; 24-25 da Mc 13,5-37 (STANDAERT, 1992: 1238ss). Il discorso della montagna non trova nessun appiglio nel testo di Mc. Eppure, significativo che sia per Mt che per Mc il primo gesto pubblico di Ges linsegnamento con autorit (Mc 1,22.27; Mt 7,28s). In Mc e in Lc Ges tiene il suo primo discorso nella sinagoga (Mc 1,23s; Lc 4,16; 6,17), Mt invece ritiene importante introdurre il ministero di Ges presentandolo seduto su una montagna (5,1). Questo dettaglio insieme con i cinque grandi discorsi fanno pensare a una tipologia Mos Ges. 4.4.1. Lo spazio simbolico-teologico fondamentale tener presente che non solo il monte, bens casa e sinagoga si caricano con valore simbolico lungo il racconto.Nel vangelo di Mc c una forte antitesi fra sinagoga e casa. Dopo il rifiuto nella sua citt- patrij (non-identificata; 6,1-6) Ges non entra pi nelle sinagoghe. Egli va a una casa (oivki,a, oi=koj). Gi prima in 1,29: Appena furono usciti dalla sinagoga, vennero nella casa di Simone e di Andrea. Il fatto che gli avvenimenti si svolgono in una casa viene sottolineato anche in 2,1.29. Cf. 3,20; 3, 31-35; 4,11. Mc mette in risalto che la casa il luogo dove Ges istruisce i suoi: 7,17.24; 9,28.33; 10,10 (vedi la differenza in Mt e in Lc). Inoltre, Mc da rilievo al fatto che coloro che sono guariti da Ges ritornano a casa loro: 2,11; 5,19; 7,30; 8,26 (Mt omette 5,19; 7,30; 8,26; Lc omette 7,30 e 8,26). Cos in Mc la sinagoga abbandonata, e la casa il luogo dove si radunano coloro che hanno sperimentato lintervento salvifico. Per quanto riguarda il Tempio, quando appare per la prima volta in 11,11 (Cos Ges entr in Gerusalemme e nel tempio; e, dopo aver osservato bene ogni cosa, essendo ormai tardi, usc con i dodici diretto a Betania), segue immediatamente la maledizione del fico, il che, a sua volta, interpreta e anticipa la scena della purificazione del Tempio. Il Tempio il luogo delle controversie (capp. 11-12). Dopo aver preannunciato la distruzione di essa, Ges la lascia e si siede di fronte al tempio (13,3 cf. Mt e Lc). Mt parlando delle sinagoghe evidenzia che sono di loro (una forma che ha trovato in Mc 1,39 e lha sviluppata ulteriormente: 4,23; 9,35; 12,9; 13,54). La sinagoga per Mt il luogo del conflitto (12,9-14), di un falso atteggiamento religioso (6,2.5), della sofferenza (10,17; 23,34). In un forte contrasto con Lc n il centurione (Lc 7,5), n Giairo (Lc 8,41) sono legati alla sinagoga. Tuttavia in Mt la casa non si considera come alternativa alla sinagoga. Verso il Tempio Mt si mostra ambivalente: da un lato 21,14-15 (guarigioni); 21,23 (insegnamento), o 5,23 (lasciare lofferta sullaltare cf. 23,18-20); dallaltro, prima del discorso

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

70

escatologico Ges lo lascia. da notare tuttavia che molto prima di abbandonarlo egli ha gi dichiarato: Ora io vi dico che qui c qualcuno pi grande del tempio (12,6). Lc: Ges va in sinagoga secondo la sua consuetudine (4,16: kata. to. eivwqo.j auvtw/). Tuttavia lepisodio che segue non significa il rifiuto della (oppure da parte della) sinagoga (cf. 4,44; 13,10). Lc mette a fuoco sia nel proprio materiale, sia redigendo le sue fonti, che Ges predica ed insegna nelle sinagoghe (4,15.44; 6,6; 13,10). Eppure egli anticipa la persecuzione da parte della sinagoga: 12,11; 21,12. Anche in Lc troviamo uno spostamento verso la casa: 5,29; 7,36. La casa, con tutto ci, non viene raffigurato come il luogo dellinsegnamento privato dei discepoli, ma come il luogo dei pasti (10,38; 14,1; 19,5.9). Anche nel suo atteggiamento verso il Tempio si trovano delle ambiguit. Il vangelo, infatti, inizia e finisce nel Tempio. Cos viene suggerita una certa continuit fra il Tempio e la Chiesa. In Lc la purificazione del Tempio significa linizio e non la fine dellinsegnamento di Ges che si svolger col (19,47 cf. 20,1). Anche il discorso escatologico sembra di essere ambientato nel Tempio (cap. 21). Per Lc il Tempio non il luogo dei sacrifici ma il luogo della preghiera (cf. 18,10). 4.5. La struttura di Mt Se volessimo dunque dare una strutturazione congeniale al primo vangelo, dobbiamo prendere sul serio, afferma ALLISON (1992) lalternarsi dei racconti e dei discorsi. Con questo stile Mt si radica nella tradizione biblica: in Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio questalternazione uno delle pi cospicue caratteristiche dello svilupparsi dellintreccio. 1-4 5-7 8-9 10 11-12 13 14-17 18 19-23 24-25 26-28 R D R D R D R D R D R introduzione: il protagonista viene introdotto; lesigenza di Ges verso Israele; lazioni di Ges compiute in e per Israele; lestensione del ministero tramite le parole e lattivit altrui; il rifiuto da parte di Israele; spiegazione del rifiuto; la Chiesa, il popolo nuovo di Dio viene costituita; istruzione alla Chiesa; linizio della passione; il futuro: giudizio e salvezza; conclusione: passione e risurrezione;

Viene per da chiedersi se questa struttura vada oltre a una mera descrizione del susseguirsi delle pericopi del vangelo; come LON-DUFOUR (1990:79) fa notare: non forse un paralogismo ragionare dal punto di vista della forma per i discorsi (le loro clausole) e dal punto di vista del contenuto per i racconti? Secondo questautore il vangelo racconta un dramma (ibid., 83) e il piano da lui proposto: leconomia della salvezza (ibid., 79ss). Prologo (1-2) Il popolo ebreo si rifiuta di credere in Ges (3-13)

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

71

Ges onnipotente in opere e parole (4,12-9,34) I discepoli inviati dal Maestro (9,35-10,42) Lopzione per o contro Ges (11,1-13,52) La passione e la gloria (14-28) Verso Gerusalemme (14-20) A Gerusalemme (21-28) Per ritrovare la prospettiva di Mt di fronte a Ges di Nazaret diventato Signore, dobbiamo delineare il senso della storia di Matteo, che prima di tutto la storia del regno dei cieli (LonDufour). Il regno dei cieli, basilei,a tw/n ouvranw/n (51x, in Mc 14x, in Lc 34x); 13,11: misteri del Regno; 13,19: parola del Regno. Mt usa soltanto raramente lespressione basilei,a tou/ qeou/. LON-DUFOUR (1990: 84) ritiene che Mt ha conservato la forma regno dei cieli che pu risalire a Ges stesso, ma che scomparsa rapidamente dal linguaggio cristiano; troppo complessa per essere intesa correttamente, e viene sostituita dal suo significato e cio dai termini chiesa, vita eterna, cielo. LUZ (31992: 145) rileva che come nellinsegnamento rabbinico si parlava dellobbligo di vivere in conformit con la Legge con la metafora portare il giogo del regno, anche per Mt la presenza del basilei,a tw/n ouvranw/n ha un forte accento etico. Il regno realt futura (regno del Padre 13,43; 25,34; 26,29; contesto escatologico 7,21; stretto rapporto con il passato di Israele 8,11s; dove si entra 5,3.10.19; 8,11s) e realt presente instaurata da Cristo (signoria messianica). BONSIRVEN distingue tre tempi nellattuarsi del Regno: a) signoria instaurata dalla venuta di Ges, b) signoria in divenire sulla terra dopo la risurrezione, c) signoria escatologica propriamente detta. Bonsirven da un lato confuta lescatologia conseguente (LOISY, SCHWEITZER) e dallaltro lescatologia realizzata (DODD, GLASSON). Il regno: realt celeste e realt terrestre. Per la realt della storia del regno determinata meno dal suo sviluppo terrestre che dalla sua origine e dalla sua fine (Cf. LON-DUFOUR, 2000: 569-581). Da questi due aspetti risulta che il regno dei cieli una realt dinamica. 4.5.1. La proposta di Standaert Per delineare la struttura del vangelo STANDAERT (1992: 1223) prende il via, ispirandosi da H. WEINRICH (Tempus), con laffermare che il primo compito nellanalisi di percepire dietro alla strutturazione di un testo il tipo di comunicazione che lautore voleva stabilire con i suoi destinatari. Questa ricerca non altra che trovare il genere letterario, che viene definito come il rapporto qualificativo che lautore intende stabilire con i suoi destinatari (Sprechsituation), dopo di che si pu vedere meglio lintelaiatura del textus (il termine etimologicamente parlando deriva, appunto, dal verbo texo tessere). Secondo Standaert nel caso dei vangeli questo determinato dalle regole della retorica antica.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

72

Standaert mette in chiaro il suo presupposto sin dallinizio: Mt ha utilizzato Mc nella sua forma attuale. Qui per dobbiamo mettere a fuoco (cf. DUNN, 1992: 1350ss) che quando la chiesa locale, in cui Matteo era attivo, ricevette una copia del vangelo di Marco, una parte riguardevole delle tradizioni ivi contenute poteva conoscere dalla tradizione orale, magari in forme variegate, cosicch non tutte le varianti che si trovano in Mt derivano necessariamente dallattivit editoriale dellevangelista. Infatti, non dobbiamo ritenere che la conoscenza del materiale contenuto in Mc da parte di Matteo dipenda esclusivamente da una copia di Mc, la quale era accessibile per Matteo. Non bisogna nemmeno presupporre che la relazione tra le variegate tradizioni che si trovano in Mt e in Mc sia di carattere meramente letterario. Indipendenti tradizioni orali presenti nella chiesa di Matteo possono spiegare, almeno parzialmente, perch Mt omette dettagli e passaggi contenuti in Mc. I passaggi in discussione, afferma Dunn, non sono le introduzioni delle pericopi, o le loro conclusioni, non si tratta qui nemmeno dei sommari o di brani da collegamento ( link-passages). E.g. sia Mt che Lc omettono le parole pa/sin toi/j e;qnesin/per tutte le nazionida Mc 11, 17 (Mt 21,13; Lc 19,46). Tutti e tre gli evangelisti citano Is 56,7 e queste parole omesse da Mt e Lc si trovano sia nel testo ebraico che nel greco. Secondo DUNN (1992: 1357) la logica dietro questa modifica sarebbe questa: tenendo presente Mt 10,5-6 e 15,24, per Mt la missione che abbraccia tutte le nazioni apparterr al periodo post-pasquale (28,19-20 cf. 24,14); mentre lomissione da parte di Lc si capisce a partire dal programma missionario che si offre negli Atti: la missione comincia da Gerusalemme (1,8), il Tempio per non viene designato come il centro verso cui si appressano tutte le nazioni. STANDAERT del parere che Mt sdrammatizza (ddramatiser) lintreccio di Mc. Effettivamente, in Mc troviamo una palpabile tensione tra il prologo (1,1-13) e la professione di fede da parte di Pietro (8,29): mentre il lettore sa fin dallinizio chi questo Ges, la cui storia si dispiega lungo il racconto, i discepoli progrediscono a tastoni nel conoscerlo. In Mt al contrario, gi prima della professione di fede di Pietro (16,16) i discepoli professano: Veramente sei Figlio di Dio! (14,33 cf. 11,25-27). In Mc non troviamo un prologo vero e proprio. Giovanni il Battista entra in scena allimprovviso. Quando invece appare in Mt 3,1, il lettore gi ben preparato alla sua comparsa. Non pu avere un ruolo simile a quello che ha in Mc, cio il ruolo di introdurre il protagonista. La sua parte in Mt ridotta a confermare ci che si gi detto e dimostrato a pi riprese in Mt 1-2. Inoltre, da notare che in Mc dopo il prologo Giovanni scompare per sempre dalla scena (cf. Mt 9,14: Allora gli si avvicinarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: Perch, mentre noi e i farisei facciamo molti digiuni, i tuoi discepoli invece non digiunano?; cf. Mc 2,18: In quel tempo i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Allora vengono alcuni e gli dicono: Perch i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?). Mt sdrammatizza Mc in funzione di

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

73

una biografia, perci troviamo in Mt la genealogia, i racconti della nascita e dellinfanzia, e infine degli avvenimenti dopo la morte del protagonista (STANDAERT, 1992: 1229), mentre in Mc tutti questi dettagli mancano (sulla base dellevidenza interna ed esterna sembra che la forma pi antica di Mc abbia terminato con 16,8; per i dettagli si veda B. M. METZGER, ed. A Textual Commentary on the Greek New Testament, Stuttgart 1975). Retoricamente parlando in Mc la narratio (la parte informativa del discorso/racconto) abbraccia la sezione 1,14-6,13, poi segue largumentatio (la quale viene anche chiamata probatio: parte del discorso, durante la quale loratore o lo scrittore sviluppa gli argomenti che confermano la sua tesi o il suo punto di vista). Mt cambia lordine delle pericopi nella narratio, ma segue lordine di Mc passo per passo nell argumentatio. Le formule di adempimento (Erfllungszitate, citations daccomplissement, cf. Exkurs in LUZ, 31992: 134-142), cos caratteristiche di Mt, si trovano concentrate nei primi tredici capitoli, mentre in Mt 14-20, che corrisponde a Mc 6,14-10,52 non ne troviamo; si ricominciano ad apparire dopo lentrata in Gerusalemme. Con le citazioni Mt da alla sua narratio una nuova profondit ed oggettivit (STANDAERT, 1992: 1236). Infatti, invitano il lettore a meditare e a riflettere ( ibid., 1236): da un lato, le citazioni mettono in rilievo che le promesse messianiche sfociano a Ges, e il divino piano della salvezza trova il suo compimento in lui (cf. luso costante del verbo plhro,w), dallaltro sollecitano il lettore a cercare le corrispondenze, a guardare dietro le apparenze. Da un punto di vista dottrinale le citazioni di adempimento gettano i fondamenti della cristologia matteana. Era, infatti, una convinzione fondamentale del protocristianesimo che lAT rendeva possibile la comprensione della persona di Ges, e di conseguenza, la proclamazione del Risorto. Dunque, era necessario la pretesa con cui la Chiesa rivendicava propri gli scritti che chiamiamo AT. Questa pretesa per si presentava diversamente prima e dopo la rottura definitiva con il giudaismo. Per Paolo mette in risalto LUZ (ibid., 140s) bastava prendere degli esempi per dimostrare come lAT testimonia il Cristo. Dopo la rottura invece, e secondo Luz Mt rappresenta gi questa fase, la questione si affacciava cos: a chi apparterr tutta leredit, cio lAT nel suo insieme. Un ulteriore aspetto della formula di adempimento, e che tramite queste citazione delle Scritture la storia di Ges non si riduce a un avvenimento gi immerso nel passato, bens rimane il culmine del disegno di Dio nel hic et nunc del lettore. La digressio su Giovanni il Battista (Mc 6,17-29) molto ridotta in Mt (14,3-12; vedi anche la sutura in Mt 14,12 cf. Mc 6,29). La triplice identificazione erronea che sta allinizio della digressio marciana (6,14-16) appena si ritrova in Mt (14,1-2 cf. 16,13-14). Il discorso parabolico viene spostato: in Mc si trova al centro della narratio (Mc 4,1-34), mentre in Mt appare tra la narratio e largumentatio, proprio in una posizione di digressio (cap. 13). Come pu il medesimo testo essere una digressio e allo stesso tempo ritenersi il centro del libro. In realt, la maggioranza degli esegeti sono del parere che il cap. 13 costituisca il centro dellintero vangelo.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

74

STANDAERT sottolinea, luso attuale del termine digressione (deviazione del discorso) non corrisponde alla funzione della digressio della retorica classica, e riporta un testo di PASCAL, che in questo passo si mostra un allievo fedele della retorica classica, che pu essere istruttivo: Lordine. Contro lobiezione che la Scrittura non ha ordine. Il cuore ha il proprio ordine; lintelletto ha il suo, che procede per principi e per dimostrazioni, il cuore ne ha un altro. Non si dimostra che si deve essere amati, indicando ordinatamente i motivi dellamore: ci sarebbe ridicolo. Ges Cristo, san Paolo hanno lordine della carit, non dellintelletto: infatti, volevano infiammare, non istruire. SantAgostino lo stesso. Tale ordine consiste principalmente nella digressione, su ogni punto che abbia rapporto con il fine, verso questultimo, per mostrarlo sempre. (B. Pascal, Pensieri, Opuscoli, Lettere, introduzione e note di A. Bausola, trad. di A. Bausola e R. Tapella, Milano 1978, 283 [Brunschviecg]). Con le sue sette parabole Mt 13 si presenta come una sintesi vera e propria di tutto il vangelo (cf. SANDERS DAVIES, 1989: 201-223). Questo capitolo centrale funge da cerniera. Dopo aver capito tutto, i discepoli possono intraprendere la sequela di Cristo con uno slancio nuovo: Avete capito tutto questo?. Rispondono: S (13,51). A partire dal capitolo 14 il lettore (uditore) invitato ad appropriarsi del punto di vista dei discepoli. Oltre ci, Mt mette sempre in risalto la dimensione ecclesiale dellinsegnamento di Ges (ibid. 1237): in altri termini, per Mt liniziazione al mistero di Cristo comporta limpegno di entrare nella realt della Chiesa fondata da Cristo stesso. La cristologia e lecclesiologia vanno a pari passo (CARLSTON, 1992). Il ruolo di Pietro pi accentuato che non in Mc (Mt 14,28-31; 16,17-19.22-23; 17,24-27; 18,21-22). Tenendo presente questa strutturazione dobbiamo riconoscere che il primo vangelo vicino al genere letterario della biografia. Prima della critica del Novecento i vangeli venivano considerati come vitae di Ges. Poi nel Novecento questa classificazione ha trovato un feroce rifiuto. Mt, afferma ALLISON, pu considerarsi come biografia, ma non nel senso moderno del termine, bens in quello antico, cio fa parte del genere molto elastico dei bi,oi (cf. BURRIDGE, 1994). Paragonando con la letteratura giudaica non cristiana salta subito agli occhi una caratteristica: nei vangeli le considerazioni teologiche ruotano attorno a una persona umana, Ges di Nazaret. Nelle fonti rabbiniche si trovano dei detti di rabbini e delle storielle riguardo la loro vita, per queste fonti non possono ritenersi biografia. Nel testo qumranico 1QpHab 8,2-3 si richiede fedelt al Maestro di Giustizia, per questa figura non sta al centro della religione rappresentata dagli esseni. Al contrario, al centro di Mt, come pure negli altri vangeli, si trova una persona la cui vita ha unimportanza del tutto particolare. Scrivere un bios di Ges, asserisce il THEISSEN (Theory, 162), era gi in s un primo passo nellallontanarsi dal giudaismo. Nella mentalit ellenistica la vita del re era considerata come legge animata ( no,moj e;myucoj), e gi ARISTOTELE considerava luomo esemplare/buono come kanw,n nella sua etica (Ethica

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

75

Nicomachea 3,4) cos per Mt Ges la Tora incarnata (cf. D. C. ALLISON, The New Moses: A Matthean Typology). Anche nella tradizione giudaica era sempre forte la tendenza di associare linsegnamento con certi individui: e.g. i cosiddetti hakomm mrm (i sapienti dicono) nella letteratura rabbinica, gli pseudoepigrafi (1-2 Esdra, Enoch etc). Fra i profeti, pi evidente nel libro di Geremia che le parole del profeta non possono capirsi senza una dimestichezza con la vita del profeta raffigurata nel libro che porta il suo nome (del resto, si notato che nellincipit di Ger troviamo il sintagma Why"m.r>yI yreb.DI il quale viene tradotto nei LXX con to. r`h/ma tou/ qeou/ o] evge,neto evpi. Ieremian; questa traduzione restringe per il significato del termine rbd il quale pu indicare sia parola, sia avvenimento); e infine, tutta la legislazione del Pentateuco viene attribuita a Mos. 4.6. Mt e la tradizione: tra fedelt e innovazione LUZ (1991: 79) afferma, che da un lato, Mt si mostra un autore fedele alla tradizione (omette solo cinque pericopi di Mc (1,23-28; 4,26-29; 7,31-37; 8,22-26; 12,41-44), e a partire del cap. 13 trasmette nella sua integrit Mc senza trasposizione), eppure appaiono in lui brani fittizi (des passages de caractre fictif) dove levangelista da testimonianza di una riguardevole temerariet. E.g. Mt 8-9 si presenta una storia ininterrotta. Gli avvenimenti si susseguono senza sosta. 8,1-13: due miracoli prima di arrivare alla casa di Pietro (cf. Mc); 9,11-18 due dibattiti. Da una lettura diacronica risulta che Mt ha cambiato Mc 1,29-22 e 4,35-5,43, inoltre, ha preso due miracoli da Q (8,5-13; 9,27-31), e un testo supplementare sempre da Q (9,35-38). Mt, dunque, doveva essere consapevole, afferma Luz, che la storia raccontata della vita di Ges fosse fittizia ( fictive), in altri termini, il risultato della fedelt creativa dellautore di Mc. Come potremmo spiegare la fedelt alla tradizione e le innovazioni? Secondo LUZ (1991: 81) queste caratteristiche vanno interpretate a partire della storia della comunit in cui nato il vangelo di Mt. Storicamente parlando la comunit matteana appartiene alla stessa tradizione nella quale si formata la fonte dei logia, una comunit giudeo-cristiana fondata da missionari, i quali erano portatori di questa tradizione. Dopo linsuccesso in Israele e dopo la guerra giudaica la comunit di Matteo si stabilita nella Siria. In questo nuovo ambiente era influenzata dal vangelo di Marco, il quale proveniva da un ambito pagano-cristiano. Tuttavia Mt non da prova della stessa libert nei confronti della Legge come lo fa Mc (eg. Mt 15,1-9; 23,23; 24,20). Secondo Luz, mentre la teologia del Primo Vangelo palesa linflusso di Mc, nellinsegnamento etico rimane portavoce della tradizione dei logia. La comunit matteana dopo 70 d.C. si apre verso la grande chiesa pagano-cristiana, per, sempre cercando di mantenere la sua identit. Questa dualit percepibile nel Primo Vangelo lo rendeva molto adatto a una ricezione multipla: divenuto ulteriormente il

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

76

vangelo principale della Chiesa ha lasciato anche la sua impronta su quel ramo del giudeocristianesimo, il quale non si integrato nella grande Chiesa. Questo spiega perch viene citato Mt nel Vangelo degli Ebioniti o nel Vangelo dei Nazarei (cf. KHLER, 1987). S, certo, il Primo Vangelo una storia di Ges, eppure racconta questa storia in una maniera, nella quale traspare la situazione della comunit, alla quale proprio tramite il racconto della vita di Ges levangelista intende dare un nuovo orientamento. LUZ (1991: 91) ritiene che la comunit matteana sia stata traumatizzata dallesclusione dalla sinagoga (cf. THEISSEN, Lokalkolorit, 1989, cap. 6). 4.7. Lanalisi di H.E. III. 39,15-16 Mt non firmato. Collegarlo con Matteo non ha alcun appoggio nella critica interna del vangelo.La testimonianza di Papia (vescovo di Gerapoli tra 125-150 a.D.; scrisse attorno 140 a.D.) troviamo in Eusebio (H. E. III.39.15-16): Il presbitero diceva questo: Marco, interprete (e`rmhneuth.j) di Pietro, scrisse con esatezza (avkribw/j), ma senza ordine (ouv me,ntoi ta,xei), tutto ci che si ricordava della parole e delle azioni del Signore ( ta. u`po. tou/ kuri,ou h' lecqe,nta h' pracqe,nta). Poich (ou;te ga.r) non aveva udito e seguito il Signore, ma pi tardi, come gi dissi, Pietro. Orbene, poich Pietro insegnava adattandosi ai vari bisogni degli ascoltatori, senza curarsi punto di offrire una composizione ordinata delle sentenze del Signore ( avllV ouvc w[sper su,ntaxin tw/n kuriakw/n poiou,menoj logi,wn ), Marco non cingann scrivendo secondo che si ricordava; ebbe questa sola preoccupazione: di nulla tralasciare di quanto aveva udito, e di non dire veruna menzogna. Questo ha detto Papia in merito a Marco. [16] Di Matteo poi asserisce quanto segue: Matteo raccolse le sentenze (ta. lo,gia suneta,xato) [di Ges] in lingua ebraica (e`brai<di diale,ktw|); e ognuno le traduceva come poteva (h`rmh,neusen d auvta. w`j hvn dunato.j e[kastoj). Nellinterpretare la testimonianza di Papia su Mt nel testo di Eusebio (H. E. III. 39.16) non regna accordo tra gli esegeti. Infatti, afferma BAUM (2001: 257) quasi tutte le parole del vescovo di Gerapoli sono oggetto di contenzione. Che cosa significa suneta,xato (sunta,ssw): redigere (abfassen) oppure disporre (zusammenordnen)? Come dobbiamo interpretare il termine ta. lo,gia? Il sintagma e`brai<di diale,ktw| (solitamente tradotto in lingua aramaica/ebraica) si riferisce alla maniera (Art und Weise) in cui Matteo, secondo Papia, avrebbe ordinato/redatto i logia di Ges, oppure dovrebbe essere compreso come un riferimento alla lingua di questo documento? Non senza ambiguit neanche il verbo h`rmh,neusen nella seconda frase principale: si tratta di una traduzione scritta oppure una orale (vedi innanzitutto: BAUM, 2001)? Per quanto il termine ta. lo,gia tre interpretazioni si sono delineate: 1. Secondo F.D.E. SCHLEIERMACHER (1832) Papia con questo termine si sarebbe riferito a uno scritto diverso dal canonico vangelo di Matteo. Si sarebbe trattato di un documento scritto in

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

77

una lingua semitica. Questo documento poi avrebbe potuto risalire allevangelista Matteo, e avrebbe potuto essere la fonte del Mt canonico. Schleiermacher asserisce che ta. lo,gia denota i detti e i discorsi di Ges. Questinterpretazione della testimonianza di Papia ha servito da base per Ch. H. WEISSE per la sua teoria delle due fonti (Mt e Lc dipendono da un canto da Mc, e dallaltro da una collezione dei detti di Ges, la cosiddetta Q). Contro questinterpretazione si sollevano i seguenti argomenti: a) Nel testo di Eusebio (III, 39,15-16) c un parallelismo tra la notizia che riguarda Marco e quella concernente Matteo. Per Marco si legge: tutto ci che si ricordava delle parole e delle azioni del Signore[]una composizione ordinata delle sentenze del Signore/ta. u`po. tou/ kuri,ou h' lecqe,nta h' pracqe,nta[]tw/n kuriakw/nlogi,wn. Per Matteo: ta. lo,gia kuriaka,. Ne consegue che Papia con questultimo non si riferisce solamente ad una collezione di detti. Bisogna per ammettere che, secondo molti studiosi, le parole di Papia finiscano dopo la frase tutto ci che si ricordava della parole e delle azioni del Signore, e la frase seguente (dopo il poich), dove si menzionano le sentenze del Signore, appartenga gi al commento di Eusebio. b) Nel secondo secolo i Padri citano di pi il vangelo di Matteo. Questo rende assai improbabile che Papia non abbia conosciuto il Mt canonico. Per, se Papia lavesse conosciuto, sicuramente non lavrebbe sottaciuto. 2. J. KRZINGER (1960) del parare che Papia avrebbe pensato al vangelo canonico di Matteo in questo passo. Secondo questautore il sintagma ta. lo,gia kuriaka, non significa le parole del Signore, bens le parole sul Signore (Aussagen ber den Herrn). Il termine lo,gion andrebbe paragonato con il vocabolo lo,goj nel senso in cui viene utilizzato in At 1,1: Il libro precedente (To.n me.n prw/ton lo,gon ) lho dedicato, o Teofilo, ad esporre tutto ci che Ges ha operato e insegnato dallinizio, e quindi, per Papia ta. lo,gia sarebbero le parti, le pericopi di un libro, di una maggiore composizione. Contro questipotesi si pu affermare che nel paragrafo precedente in cui si parla di Marco del tutto chiaro che laggettivo kuriako,j si riferisce al soggetto, allorigine delle logia e non al loro contenuto (cf. ta. u`po. tou/ kuri,oulecqe,nta). Il termine lo,gia aveva allepoca il significato detti di una divinit, avpofqe,gmata divini. Del resto, Krzinger non fornisce alcunattestazione dellaccezione, la quale egli attribuisce al vocabolo lo,gion. 3. Una soluzione di compromesso (BAUM 2001): da un lato, il termine lo,gia (kuriaka,) va interpretato come (divine) sentenze del Signore ([gttliche] Aussprche des Herrn), questo era, del resto, la conclusione di Schleiermacher; dallaltro, va inteso, qui seguendo il Krzinger, come un riferimento al contenuto del Mt canonico, gi conosciuto da Papia. Da questo punto di vista istruttivo il titolo che Papia da alla sua opera: A Papia si attribuiscono cinque trattati, il

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

78

cui titolo Interpretazione degli oracoli del Signore ( H. E. III. 39.1). Ci dimostra che Papia sinteressava innanzitutto per i detti di Ges. Il termine ta. lo,gia sarebbe stato per Papia un pars pro toto, per indicare ci che gli interessava di pi, e con il termine egli si sarebbe riferito al contenuto intero del vangelo. da notare che i Padri apostolici, quando riportano dei testi di Mt, citano quasi esclusivamente le sentenze di Ges. Qui per potremmo aggiungere che BAUM (2001: 261) non prende in considerazione a quale genere letterario appartengono gli scritti dei Padri in cui si trovano queste citazioni. Per quanto riguarda il vocabolo dia,lektoj, alcuni ritengono che non indichi la lingua, bens lo stile, gli accorgimenti letterari, le tecniche narrative di uno scritto ( Art und Weise). Krzinger ad esempio traduce il sintagma e`brai<di diale,ktw| con nach hebrischer Darstellungsweise (secondo la maniera ebraica di rappresentazione). Bisogna ammettere (LON-DUFOUR, 1990: 98-99) che stando al vocabolario, agli usi riportati, alle preoccupazioni teologiche, Mt si presenta come il vangelo palestinese. Cf. laffermazione di Origene: Come ho ricevuto dalla tradizione sui quattro Vangeli, che soli senza controversia sono ammessi in tutta la Chiesa di Dio che sotto il cielo: primo fu scritto quello secondo Matteo, che una volta era collettore di tasse e poi vero apostolo di Ges Cristo, e lo scrisse in ebraico e lo pubblic per i convertiti alla fede (H.E. VI. 25.4). Nellesegesi attuale si formato un (quasi) consenso che va contro questipotesi: nel caso di Mt non si tratta di una traduzione di un documento precedente scritto in una lingua semitica. KRZINGER (1960: 35) mette in rilievo che nel testo di Eusebio ( H. E. III.39.16) non c articolo determinativo davanti al termine dia,lektoj. Se Papia avesse voluto riferirsi alla lingua ebraica/aramaica, avrebbe usato larticolo come lo fa lautore degli Atti: 21,40; 22,2; 26,14; 1,19; 1,6.8. BAUM (2001: 262 n26-28) per dimostra che sia in Filone sia nella letteratura cristiana antica si trovano parecchie ricorrenze dove il significato chiaramente lingua, eppure non troviamo larticolo. vero che dia,lektoj pu designare stile, tuttavia questaccezione non molto usuale. In realt, quando il sostantivo veniva usato insieme con un nome gentilizio (greco, ebraico etc), sempre significava lingua. Laccezione che Krzinger attribuisce a Papia non attestata n nei LXX, n nel NT, n in Flavio Giuseppe, n negli altri autori seriori. Riguardo al verbo h`rmh,neusen (e`rmhneu,w), bisogna comprenderlo come un riferimento alla traduzione e non allinterpretazione, poich in Papia il vocabolo ta. lo,gia in parallelo con delle parole e delle azioni del Signore/ta. u`po. tou/ kuri,ou h' lecqe,nta h' pracqe,nta, quindi si tratta del contenuto di Mt e di Mc. Mentre ci si accorda che in Papia si tratta di una traduzione greca, si discute se si riferisca a una traduzione orale oppure a una traduzione scritta. Di per s, si potrebbero supporre diverse traduzioni scritte, come per lAT. VAGANAY (1954: 85) ad esempio afferma: se Papia avesse voluto riferirsi alle ripetute traduzioni orali che si fanno durante le celebrazioni liturgiche, si sarebbe valso della forma allimperfetto

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

79

h`rmh,neue, e non laoristo h`rmh,neusen. BAUM basandosi sulla grammatica (cf. Blass Debrunner Rehkopf, 332: il punto dinizio e il punto di fine vengono espressi dallaoristo come un tutto [] anche azioni ripetute sono allaoristo quando la ripetizione data nel suo complesso e definita nei suoi limiti [2Cor 11,25]; e.g. Mc 12,41 descrittivo iterativo [imperf.], 12,44: una constatazione definitiva, per senza considerazione della caratteristica iterativa) afferma che laoristo poteva riferirsi ad unazione ripetuta. Inoltre, adottando lipotesi di Vaganay, come spiegare che queste traduzioni scritte non abbiano lasciato alcune tracce nella letteratura contemporanea? Conclude dunque BAUM (2001: 268s), il riferimento a varie traduzioni (e[kastoj, ognuno) indica traduzioni orali di Mt. Con luso dellaoristo Papia avrebbe voluto sottolineare che queste traduzioni orali ormai appartenessero ad un passato. Quando e dove Papia scrisse non cera bisogno pi di queste traduzioni. La traduzione orale per era ancora in uso al IV. sec., come dimostra il testo seguente di EGERIA (Pellegrinaggio in Terra Santa, a cura di N. Natalucci, Biblioteca Patristica 17, Firenze 1991, 47,3-4): E, poich in questa provincia una parte del popolo conosce sia il greco che il siriaco, unaltra parte, invece, il greco, unaltra parte solo il siriaco, cos, dato che il vescovo, anche se sa il siriaco, parla per sempre in greco e mai in siriaco, c sempre un prete, che, mentre il vescovo parla in greco, traduce in siriaco, perch tutti capiscano quello che viene spiegato. [4] Anche per tutte le letture che si fanno in chiesa, visto che si devono fare in greco, c sempre qualcuno che traduce in siriaco per il popolo, perch possano capire sempre. Per i latini che si trovano qui, quelli cio che non conoscono n siriaco n greco, perch non si affliggano, anche a loro si fa la spiegazione, perch ci sono altri fratelli e sorelle di lingua greco latina, che spiegano loro in latino. Papia si riferirebbe a un targum cristiano? Quanto alluso dei Targumim, nellepoca della Mishna questusanza gi unistituzione ben consolidata. Anzi, alcuni lo fanno risalire al tempo di Esra e di Neemia. BAUM (2001: 270s), interpretando il sintagma come poteva (w`j hvn dunato.j), afferma che nei frammenti papiracei dellepoca, la frase di Papia trova paralleli, in cui il traduttore voleva esprimere con una formula simile, che per quanto egli avesse voluto essere corretto nella traduzione, non poteva garantire esattezza assoluta. Accettando lopinione di Baum, secondo la quale Papia avrebbe avuto in mente luso liturgico del Matteo aramaico, il quale durante la stessa liturgia fu tradotto nella maniera targumica, viene da chiedersi, che cosa avrebbe potuto significare in un uso celebrativo ed orale la notificazione come poteva nel senso che il traduttore non voleva prendere piena responsabilit per lesattezza? Dobbiamo per concordare con il Baum, che non si pu escludere che ci sia stata una versione aramaica del Primo Vangelo, magari un Urmatthus. 4.8. La fine del Primo Vangelo Concludiamo questo capitolo dando unocchiata alla conclusione di Mt. STANDAERT (1992: 1245s) ritiene che sia lo scenario che i temi dellultima pericope del vangelo (28,16-20) evochino

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

80

tutte e tre le grandi divisioni del canone veterotestamentario. Se prendiamo la prima parte della nostra Bibbia, che noi chiamiamo AT, risulta chiaro che il canone ebraico e il canone cristiano si presentano in unimpostazione ben diversa riguardo le loro conclusioni (cf. J.-L. SKA, Il canone ebraico e il canone cristiano dellAntico Testamento, CivCatt 148 [1997] 213-225; E. ZENGER, Einleitung in das Alte Testament, Stuttgart 1995, 23-26). Il TaNaKH, lacronimo che comunemente significa la Bibbia ebraica, si compone di tre parti: la Legge (T Tor), i Profeti (N Nebm) e gli Scritti (K Ketbm); e termina con il 2 Cr. Come gli esegeti fanno notare, qui si tratta di una scelta voluta e oculata. Da un punto di vista cronologico, infatti, i libri di Esra e di Neemia dovrebbero seguire il 2 Cr (come nel canone cristiano). Cos nel canone ebraico le parole delleditto di Ciro sono state collocate al tempo della formazione del canone volutamente alla conclusione: Dice Ciro, re di Persia: Il Signore, Dio dei cieli, mi ha consegnato tutti i regni della terra. Egli mi ha comandato di costruirgli un tempio in Gerusalemme, che in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il suo Dio sia con lui e salga ( l[;y"w>, cf. sec. 19-20: alya) (2 Cr 36,23). Il canone cristiano dispone i libri in modo tale che alla fine troviamo i profeti. In altre parole, il canone orientato verso il futuro, cio verso la venuta di Ges Cristo. Ml 3,23-24: Ecco, io invier il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore, perch converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri; cos che io venendo non colpisca il paese con lo sterminio cf. Lc 1,17 (Ed andr davanti a lui nello spirito e potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti, per preparare al Signore un popolo ben disposto); Mt 11,14 (egli Elia che doveva venire); 17,10-13(v. 12: Ma io vi dico che Elia gi venuto ed essi non lhanno riconosciuto, anzi lhanno trattato come hanno voluto). Quali sarebbero le rispondenze tra le grandi divisioni del canone veterotestamentario e il finale del Primo Vangelo. Alla fine della sua vita Mos sal sul monte Nebo e ripercorre con lo sguardo la terra promessa (Deut 34). Secondo i Targumim e i Midrashim stato concesso a Mos anche di ripercorrere tutti gli avvenimenti della storia del popolo ebraico. Lo sguardo di Ges volto verso tutte le nazioni e sino alla fine del mondo. Inoltre, afferma lo Standaert, le parole di Ges rammentano lultima frase dei Ketbm, cio 2Cron 36,23. Paralleli: Il Signore, il Dio dei cieli, ha dato in mio potere tutti i regni della terra//Ogni potere mi stato dato in cielo e in terra (Mt 28,18); il Signore, suo Dio, sia con lui//Io sono con voi (28,20); mi ha incaricato (auvto.j evnetei,lato, moi)//vi ho ordinato (evneteila,mhn u`mi/n). Oltre ai parallelismi bisogna pure rilevare le divergenze: il Cristo non si volge verso il Tempio di Gerusalemme, bens verso tutte le nazioni; per Mt il luogo santo di essere in comunione con il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Mentre nelle parole di Ciro il nome di Dio

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

81

incornicia la frase, in Mt al centro delle parole di Ges si fa riferimento alla Trinit, e allinizio e alla fine si mette in risalto la signoria di Cristo. La frase Ogni potere mi stato dato in cielo e in terra (Mt 28,18) ha una coloritura apocalittica (cf. Dan 7,14.27; Mt 10,13; 16,28; 24,27.30; 26,64). In alcune edizioni dei LXX le ultime parole dellAT sono Dan 12,13: Quanto a te, va' sino alla fine (suntelei,aj); ti riposerai e quindi ti rialzerai per ricevere la tua parte, alla fine (eivj sunte,leian) dei giorni! Il termine che significa fine ( sunte,leia) ricorre anche in Mt. Lipotesi veramente accattivante. Tuttavia dobbiamo tener presente che quando Mt fu scritto, lo stato del canone della Bibbia Ebraica era ancora fluido sia nel ordine dei libri, sia riguardante il loro numero (cf. J. TRUBLET, Constitution et clture du canon hbraque in C. Theobald, Le canon des critures, LD 140, Paris 1990, 77-187). G. THEISSEN in un recente suo saggio (1999a) delinea la situazione storica con cui il Primo Vangelo avrebbe dovuto confrontarsi proclamando Ges il Cristo. Theissen afferma che la specificit dellimmagine di Ges tratteggiato da Mt si vede pi chiaro nei brani dove Mt non poteva basarsi sulle sue fonti, cio Mc e Q, poich n luno n laltro non contenevano avvenimenti prima della predicazione di Giovanni il Battista e le apparizioni del Risorto. Tra lincipit e il finale di Mt sintravede una cristologia a due gradi (Zwei-Stufen-Christologie, 1999a: 146 n5): da un lato Ges viene presentato come Figlio di Davide (1,1), e dallaltro come sovrano di tutto il mondo (28,18). Questa raffigurazione fa pensare alla formula analoga di Rom 1,3s. Traspare per anche la divergenza tra questa formula prepaolina derivante dal giudeocristianesimo e Mt. In questultimo Ges Figlio di Dio sin dalla sua nascita. Theissen asserisce che Mt con il suo scritto rispondeva a un fenomeno assai diffuso sia tra i giudei che i pagani: si tratta dellattesa di un sovrano universale che doveva venire, secondo questaspettativa, dalloriente. Mt presenta Ges come colui che adempie le attese giudaiche e pagane. Per nel presentare il suo protagonista, Mt dimostra che in Ges le attese si adempiono in una maniera diversa da queste attese: i giudei hanno atteso il Figlio di Davide, i pagani speravano che arrivasse un sovrano universale. I magi cercano un principe con potenza e trovano un bambino, il quale vittima di violenza; e quando alla fine del vangelo la signoria universale del Cristo viene proclamata, chiaro che questa sovranit non si attuer con potere militare, bens in forza delle parole e dellinsegnamento. Il seguente testo di Flavio Giuseppe documenta che questattesa era uno delle cause della guerra giudaica (citato da THEISSEN, 1999a: 150): [VI, 312]Ma quello soprattutto che li eccit alla guerra fu un oracolo ambiguo, ritrovato egualmente nelle scritture sacre, secondo cui in quel tempo uno del loro paese avrebbe dominato su tutta la terra abitata;[313]costui essi interpretarono per uno della loro stirpe e molti sapienti errarono nel giudizio, mentre la sentenza in realt alludeva alla sovranit di Vespasiano, proclamato imperatore in Giudea.[314]Ad ogni modo impossibile agli uomini sfuggire al Destino, quandanche lo prevedano;[315]e cos i Giudei interpretarono alcuni presagi a piacer loro, mentre di altri non tennero alcun conto, fino a che con la conquista della

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

82

patria e con la loro propria rovina rimasero convinti di stoltezza. ( La guerra giudaica, a cura di G. Ricciotti, Torino 1937,) Queste attese, afferma il Theissen, rimasero vive anche dopo la guerra giudaica. Parlare dunque un sovrano dorigine palestinese era estremamente pericoloso. Era assolutamente necessario che levangelista reinterpretasse queste aspettative. Colpisce il fatto con quanta temerariet Mt si sia avvalso di astrologia nel suo parlare della nascita di Ges, come abbia collegato le aspettative pagane stimolate dallastrologia con la testimonianza delle scritture (cf. Mt 12,21 = Is 42,4). Se Mt proclama un sovrano dalloriente, deve proclamarlo in una maniera, la quale non si potesse interpretare come pericolo per coloro che possedevano il potere politico. Perci levangelista deve ridefinire in che senso Ges il Messia e sovrano universale. Con la sua nascita Ges adempi attese giudaiche: 1,23 (vergine) Is 7,14 (LXX); 2,5 (Betlemme) Mic 5,1.3; 2,17s (fuga in Egitto) Ger 31,15. Le altre ricorrenze della formula di adempimento, asserisce il Theissen, mettono in risalto come vengono corrette e riorientate nella vita, nel modo di agire di Ges le attese messianiche, cio le letture messianiche dei passi biblici in chiave militare, i quali, del resto, come conferma anche Flavio Giuseppe, avevano grande importanza per lo scoppiare della guerra giudaica. Mt dunque mette in rilievo: Ges non un pericolo per i pagani, siccome egli stesso viene dalla Galilea delle genti (4,14-16 = Is 8,29-9,1); Non un eroe militare (8,17 =Is 53,4); Porta giustizia (12,17-21 cf. Is 42,1-4; modifiche: TM ayciAy ~yIAGl; jP'v.mi e LXX kri,sin toi/j e;qnesin evxoi,sei [realizzer]; Mt: kai. kri,sin toi/j e;qnesin avpaggelei/ [annunzier]; TM q[;c.yI al{ e LXX ouv kekra,xetai [grider]; Mt ouvk evri,sei [litigher]); Entrata in Gerusalemme (24,4f = Zach 9,9).

Theissen dimostra come modifica Mt il materiale di Mc: Mt 24 v.5: Perch molti verranno nel mio nome dicendo: Sono io il Cristo!, e inganneranno (planh,sousin) molti. v. 11: e molti falsi profeti si leveranno e inganneranno (planh,sousin) molti; v. 23s: Allora se qualcuno vi dicesse: Ecco, il Cristo qui oppure qui, non credete; si leveranno infatti falsi cristi e falsi profeti, e daranno segni grandi e prodigi, cos da ingannare (planh/sai), se fosse possibile anche gli eletti. Mk 13 v. 6: Molti verranno nel mio nome dicendo: Sono io, e inganneranno (planh,sousin) molti. Non c testo corrispondente! v. 21s: E allora se qualcuno vi dicesse: Vedi, il Cristo qui!, Vedi, l!, non credete; si leveranno infatti falsi cristi e falsi profeti, e daranno segni e prodigi per ingannare (avpoplana/n), se fosse possibile, gli eletti.

Al v. 5 Mt parla dei pseudomessia in generale, al v. 11 dei pseudoprofeti, e infine al v. 24 di ambedue.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

83

Mt ha preso il titolo Figlio di Davide da Mc (dove lo troviamo 4x). Mt da parte sua lo utilizza ben 10 volte, e spesso menziona al momento di guarigioni: 9,27; 12,23; 15,22; 21,15. Per Mt dunque il Figlio di Davide non un guerrigliero bens un guaritore. La regalit di Ges si avvera ad un diverso livello. In altri termini, conclude il Theissen, Mt testimonia la trasformazione del potere politico in etica. 5. LUCA-ATTI L. ALEXANDER, Reading Luke-Acts from Back to Front, in J. VERHEYDEN, ed., The Unity of Luke-Acts, BETL 142, Leuven 1999, 419-446; ID., Lukes Preface in the Context of Greek Preface-Writing, NT 28 (1986) 48-74; C. K. BARRETT, The Third Gospel as a Preface to Acts? Some Reflections, in The Four Gospels 1992, Fs F. Neirynck, 1992, 1451-1465; ID., The First New Testament, NT 38 (1996) 94-104; P. A. CUNNIGHAM, The Synoptic Gospels and their Presentation of Judaism, in D. P. EFROYMSON E. J. FISHER L. KLENICKI, ed., Within Context: Essays on Jews and Judaism in the New Testament , Collegeville 1993, 41-66; O. FLICHY, Loeuvre de Luc: Lvangile et les Actes des Aptres, Cahier vangile 114, Paris 2000, C. FOCANT, Du Fils de lhomme assis (Lc 22,69) au Fils de lhomme debout (Ac 7,56): enjeux thologique et littraire dun changement smantique, in Verheyden, 1999, 563-567; D. MARGUERAT, Luc-Actes entre Jrusalem et Rome: un procd lucanien de double signification, NTS 45 (1999) 70-87; ID., Luc-Actes: un unit construire, in Verheyden, 1999, 57-81 [1999a]; ID., Matthieu et le judasme: une rivalit de frres ennemis, in S. LGASSE et al., Le Nouveau Testament est-il anti-juif?, Cahiers vangile 108, 16-23 [1999b]; ID., Juifs et chrtiens selon Luc-Actes: une qute didentit, in S. Lgasse et al., Le Nouveau Testament est-il anti-juif?, Cahiers vangile 108, 24-36 [1999c]; D. P. MOESSNER, The Lukan Prologues in the Light of Ancient Narrative Hermeneutics: parhkolouqhko,ti and the Credentialed Author, in Verheyden, 1999, 399-418; ID., The Meaning of kaqexh/j in the Lukan Prologue as a Key to the Distinctive Contribution of Lukes Narrative among the Many, in The Four Gospels 1992, Fs F. Neirynck, 1992, 1513-1527; F. NEIRYNCK, Luke 4,16-30 and the Unity of Luke-Acts, in Verheyden, 1999, 357-395; J. STRICHER, Le paralllisme hommes-femmes dans loeuvre de Luc, in Flichy, 2000, 58-63; J. VERHEYDEN, The Unity of Luke-Acts: What Are We Up To?, in ID., 1999, 3-55; 5.1. Lc-At: una sigla da decifrare Indirizzandoci al Terzo Vangelo dobbiamo affrontare una sfida inaspettata: il vangelo di Luca, secondo un consenso praticamente completo dellesegesi odierna, dello stesso autore che gli Atti degli Apostoli. Come si visto a proposito dello sviluppo del vangelo quadriforme, al vangelo di Luca fu consegnato un posto tra i vangeli, e cos, come anche il Quarto Vangelo, venne strappato dal suo contesto originario. Il canone dei vangeli, infatti, non organizza gli scritti considerati normativi a seconda degli autori (o ritenuti tali): gli Atti (come le lettere giovannee) non si figurano insieme al vangelo. Per quanto riguarda la ricerca attuale, la paternit comune di Lc e degli Atti riconosciuta; rimane per discusso, quale relazione si debba presupporre tra i due scritti. M. RESE (Das Lukas-Evangelium: Ein Forschungsbericht, in ANRW II.25.3, 1985, 22582328) passando in rassegna i risultati della ricerca su Lc conclude che il Terzo Vangelo e gli Atti

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

84

debbono ritenersi come ununica opera (ein einheitliches Werk) e non si comprenderanno se vengono trattati separatamente. I. H. MARSHALL (Acts and the Former Treatise, in B. W. WINTER A. D. CLARKE, ed., The Book of Acts in Its Ancient Literary Setting , BAFCS 1, Grand Rapids 1993, 163-182) del parere che gli Atti degli Apostoli fu concepito sin dallinizio come una parte consecutiva del vangelo ([]Act as the intended sequel to the Gospel). Marshall trova particolarmente istruttivo e convincente in merito i due prologhi, i quali segnalano con chiarezza che le due opere costituiscono un racconto unificato (one connected story). M. C. PARSONS e R. I. PERVO (Rethinking the Unity of Luke and Acts , Minneapolis 1993) invece esprimono la loro perplessit davanti alla disinvoltura, con la quale alcuni studiosi presuppongono lunit di Lc e At, senza per chiarire come andrebbe concepita e dimostrata una tale unit postulata, e preferiscono, a loro volta, ritenere che gli Atti sia semplicemente la continuazione di unopera gi in s completa. MARGUERAT (1999a), da parte sua, non nega affatto lunit letteraria e teologica di Lc e At. Tuttavia ritiene che questunit sia una proposta euristica da verificarsi sul testo. In altri termini, egli cerca di far emergere come lautore avrebbe plasmato il racconto inserendoci segnali, i quali inviterebbero il lettore a leggere i due volumi come unit. H. J. CADBURY nel suo lavoro divenuto ormai classico (The Making of Luke-Acts, London 1927; cf. M. C. PARSONS J. B. TYSON, ed., Cadbury, Knox, and Talbert: American Contributions to the Study of Acts, Atlanta 1992) sottolinea: lo stile e il vocabolario, nonostante le differenze, sono la prova che entrambe le opere risalgono allo stesso autore; per, e qui si palesa la novit dellapproccio di Cadbury, i due volumi costituiscono una singola opera con una trama continua (a single continuous work). Gli Atti non possono etichettarsi come appendice al vangelo oppure come un ripensamento (afterthought) da parte dellautore. Il secondo libro dunque faceva parte integrale, con molta probabilit, del piano dellautore sin dallinizio. (Daltronde, la sigla Lc-At stata coniata da Cadbury, e da allora divenuto di uso comune.) Quali sono gli indicatori di una tale unit? La prefazione che si trova in Lc 1,1-4; At 1,1-2 non una prefazione seconda, sennonch secondaria (e.g.: lassenza della particella de in At 1,1: il secondo volume, stando alla sua prefazione, non viene presentato come un contrasto, bens come una continuazione al primo[cf. BARRETT, 1996:94]). Lo scopo globale di Lc-At di fornire unapologia del cristianesimo. Certo, questo aspetto non si presenta con uguale chiarezza nel vangelo e negli Atti: si deve tener presente che il tema fondamentale dei due volumi diverso; perci non si pu forzare Lc-At nel letto di Procruste di un unico genere letterario: lopera lucana non n una biografia n una storiografia. Bench appaiano caratteristiche di ambedue, non si pu identificarla n con luna n con laltra.

Con la comparsa della critica della redazione avvera una svolta nello studio di Lc-At: ad Theophilum viene considerato come unopera di un teologo dotato. P. VIELHAUER (Zum

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

85

Paulinismus der Apostelgeschichte, EvT 10 [1950-51] 1-15) sottolinea che gi il fatto che il secondo volume esista, dimostra come viene meno lescatologia nell opus lucanum (wie uneschatologisch Lukas denkt). Lo scopo precipuo di Luca, asserisce Vielhauer, di presentare che il kerygma cristiano innanzitutto il kerygma della storia della salvezza. Il contributo maggiore a proposito sicuramente viene da H. CONZELMANN (Die Mitte der Zeit: Studien zur Theologie des Lukas, BeitHistTheol 17, Tbingen 1954). Nellepoca precedente alla seconda generazione cristiana, che era quella di Luca, i cristiani attendevano il ritorno del Signore come prossimo. Ma questa fine imminente, sempre annunciata, non arrivava mai, e lattesa della salvezza escatologica si andava indebolendo al punto da rendere inquieta la stessa decisione della fede. Spinto da questa crisi Luca avrebbe dovuto prendere coscienza del futuro della chiesa: davanti a s la chiesa ha ormai un avvenire indeterminato sarebbe stata la soluzione lucana; la chiesa deve stabilirsi nel mondo, nel tempo della salvezza, nel quale deve operare come istituzione salvifica per garantire il messaggio di salvezza. In altri termini, Luca storicizza il messaggio escatologico: la salvezza viene gi nel tempo della chiesa, che ne portatrice. Secondo il Conzelmann, per Lc-At il racconto non pi identico con il kerygma, come era il caso in Mc, ma si delinea lo sviluppo del kerygma nella storia. Da ci deriva che lattivit pubblica di Ges viene considerata come un dato del passato. Queste osservazioni poi si cristallizzano nella famosa periodizzazione del tempo. Per via del ritardo della parusia, dice Conzelmann, Luca sostituisce lattesa imminente del giorno escatologico con una visione della storia della salvezza, nella quale Ges costituisce il punto medio del tempo, fra il tempo di Israele (fino alla morte di Giovanni Battista) e quello della chiesa. Si devono rilevare alcune difficolt con la visione di Conzelmann: si rischia di costruire una teoria teologica prendendo lo spunto da Luca, invece di farne unesegesi precisa; pur riconoscendo il fatto che sia nel vangelo, sia negli Atti la tensione escatologica talvolta singolarmente attenuata (e.g. Lc 19,11; 21,8; At 1,6-8), bisogna domandare: dov che appare in qualche modo una delusione per il ritardo della parusia? In realt, ci sono testi nel vangelo che non eliminano affatto la possibilit di un giudizio improvviso e imminente (e.g. Lc 10,9; 12,35s; 21,34-36; o ancora 9,27; 18,8; 21,32); Luca considera gi i tempi presenti come gli ultimi giorni (At 2,17 in particolar modo le modifiche effettuate al testo di Gioele 3,1. Per da notare che nellinterpretazione successiva [At 2,22] a questa frase viene tolta la dimensione escatologica rapportando i segni cosmici con i miracoli di Ges terreno. I segni, dora in avanti manifestano lazione dello Spirito che stato donato alla Chiesa, affinch appoggiassero la predicazione dei discepoli. In altri termini, i segni fanno presente la salvezza che i discorsi proclamano);

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

86

Viene pure chiedersi se la periodizzazione non soffra di un certo anacronismo attribuendo a Luca un modo di ragionare che di oggi, e un senso di storia che forse non aveva. In realt, Luca non tenta tanto di aprire la storia verso lavvenire indeterminato del tempo della chiesa, quanto di ricondurre il tempo attuale della chiesa nellunit dellevento fondatore. W. K. KMMEL (Luc en accusation dans la thologie contemporaine, ETL 46 [1970] 265-281) mette in risalto che Lc 16,16 consente di distinguere solamente due epoche, e non tre: il tempo di Israele, fino a Giovanni Battista compreso, e il tempo della salvezza di Dio (cf. Lc 3,6; At 28,28), ovverosia il tempo di Ges e della chiesa insieme, in attesa del Regno. G. THEISSEN (Theory, 181) propone due correzioni alla teoria di Conzelmann. Anzich una tripartita storia di salvezza, sintravede in Lc-At il concetto tradizionale che nel protocristianesimo si formato a proposito della storia, secondo il quale si distingueva il tempo della promessa e il tempo delladempimento. Mentre il primo abbraccia tutto lAT e tutta la storia di Israele, il secondo intrinsecamente tripartito: 1/ un preludio i racconti dinfanzia, 2/ la storia dellattivit pubblica di Ges e la sua passione, e poi 3/ dopo pasqua comincia il tempo della chiesa. Cos, asserisce il Theissen, invece di parlare di una tripartita storia della salvezza, bisognerebbe parlare della tripartita storia delladempimento (dreigliedrige Erfllungsgeschichte/a tripartite history of fulfilment). Questa periodizzazione del tempo delladempimento deriva da una cosciente percezione del tempo che se ne va: da un lato, siccome numerosi periodi delladempimento sono gi passati, la fine pu irrompere a qualsiasi momento; e dallaltro, lidea delladempimento che si attua in tappe successive rende possibile vivere andando sempre avanti nel tempo, e contemplare tutto ci come un compito.

5.2. Lc-At: ununit da costruire 5.2.1. Le osservazioni di Barrett BARRETT (1992: 1462 e passim; 1996: 94ss) asserisce che lopera lucana (Lc + At) era il primo Nuovo Testamento; cio unopera che intendeva trasmettere tutto ci di cui il cristiano aveva bisogno di conoscere. Nel primo volume si dispiega la storia di Ges dal suo concepimento, anzi dal concepimento del Precursore, e poi tratteggia il suo carattere amabile, trasmette una selezione del suo insegnamento, un mazzo dei suoi atti prodigiosi, racconta come ha chiamato i suoi primi discepoli, i quali, del resto, costituiscono il germe della Chiesa, narra la sua ingiusta condanna, la sua morte innocente in pieno accordo con le Scritture, poi per concludersi con la sua risurrezione trionfale. Da questa traiettoria si vede, afferma il Barrett (1992: 1462) che questa storia lucana comportava negli ambienti, dove trov unaccoglienza

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

87

favorevole la scomparsa delle sue fonti, ovverosia implicava leclisse di Mc e le sue altre fonti, Q1, Q2Qn. Del resto, Barrett ritiene che per quanto riguarda la duplice tradizione, cio il materiale comune per Mt e Lc, non ci sia stato una fonte, bens bisogna supporre lesistenza di diverse fonti. Secondo Barrett nella prefazione dell opus lucanum ne troviamo un indice: Lc 1,1 infatti parla di molti, polloi.. Dobbiamo per aggiungere che non si pu escludere che questultimo riferimento sia soltanto une dei consueti topoi, i quali facevano parte delle prefazioni nella storiografia ellenistica [cf. AUNE, 1987: 120s; LUCIANO
DI

SAMOSATA, Come

bisogna scrivere la storia, 23; 52-54]). Luca per non si accontent con sostituire i suoi predecessori. Poich i lettori di Luca erano gi separati da qualche decennio dagli avvenimenti raccontati su Ges, Luca nella seconda parte della sua opera voleva colmare questo divario delineando come davano testimonianza gli apostoli di Ges sul loro Maestro. Quindi, gli Atti possono ritenersi un tipo di avpostoliko,n. Originariamente si chiamava cos la collezione di dieci lettere paoline che Marcione considerava normativa. Marcione viene ritenuto il primo a creare un Nuovo Testamento (il quale conteneva accanto all apostolikon una forma riveduta [mutilata secondo TERTULLIANO, Adversus Marcionem 4,2] del vangelo di Luca. Lopinione di J. KNOX [Marcion and the New Testament, Chicago 1942], secondo la quale la stesura utilizzata da Marcione sarebbe stata la forma originale del Terzo Vangelo non si imposta. La differenza tra l avpostoliko,n di Lc e quello di Marcione era che negli At la parte narrativa integrante (cf. D. MARGUERAT, 1999c: 27 n2). Mentre Marcione mise in rilievo laspetto argomentativo per far risaltare lopposizione tra Paolo e le altre tradizioni, Lc, da parte sua, sottoline la consonanza armoniosa tra Paolo e gli altri apostoli. Marcione imbott di teologia speculativa il suo scritto, aggiungendo la sua opera, Antitesi, mentre in Lc-At la chiave interpretativa si emerge da una narrativa (BARRETT, 1992: 1465s). Unaltra divergenza ancora pi cospicua che Lc-At, in un forte contrasto con Marcione, mettono a fuoco che il messaggio apostolico in piena sintonia con lAT. A.
VON

HARNACK nella sua opera magistrale (Marcion: Das Evangelium vom fremden Gott,

Leipzig 1921, 39) asserisce che Marcione abbia scelto Luca come il suo (unico) vangelo poich era condizionato dal semplice fatto che il Terzo Vangelo era il primo, se non lunico, vangelo che aveva raggiunto Pontus, la patria di Marcione. Barrett invece fa un ulteriore passo in avanti affermando che Marcione avrebbe scelto il Terzo Vangelo, perch considerava Lc-At come un Nuovo Testamento. Di conseguenza, ha basato il suo proprio Nuovo Testamento su di esso, sostituendo gli Atti con unopera di maggiore peso teologico, Antitesi, e completandolo con la raccolta di dieci lettere di Paolo, con il cosiddetto avpostoliko,n. Rifacendosi a unaffermazione di W. C.
VAN

UNNIK (The Book of Acts the Confirmation

of the Gospel NTS 4 [1960] 26-59), secondo la quale lo scopo degli Atti non era altro che confermare il messaggio fondamentale del vangelo di Lc, ovverosia che la vita, morte e

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

88

risurrezione di Ges costituisce il piano di salvezza di Dio per tutta lumanit, afferma BARRETT (1992: 1452) che questipotesi in armonia con lopinione, secondo la quale quando Luca cominci a lavorare, aveva in mente soltanto il vangelo. Dopo averlo terminato gli venne in mente lidea che poteva confermare il suo messaggio raccontando come questo messaggio cristiano raggiunse da Gerusalemme fino a Roma. Questa possibilit non pu escludersi a priori. Tuttavia, BARRETT (p. 1453) avanza unaltra possibilit: Lc abbia scritto il suo vangelo intendendo che esso servisse (inter alia) come prefazione agli Atti. In altri termini, il secondo volume faceva parte integrale del piano dellautore sin dallinizio. Per verificare se questa seconda possibilit sia accettabile Barrett propone di rileggere il vangelo di Lc cercando di rilevare passaggi, nei quali lautore sembra riferirsi ad alcuni momenti degli Atti, cio, in un certo qual modo prepara il secondo volume. Barrett convinto che la presenza di taluni di questi riferimenti in avanti nel racconto evangelico non sono soltanto a testimoniare in favore allopinione che le due opere hanno il medesimo autore, bens rivelano le intenzioni di questautore. Barrett ne rileva ben 41. Ne ricordiamo alcuni (cf. MARGUERAT, 1999a: 64 n23): la prefazione (1,1-4; gi CADBURY, 1922); 3,6: riferendo alla predicazione di Giovanni tutti e quattro gli evangelisti riportano il testo di Is 40. Per, solo Luca a citare lultima frase, Is 40,5: kai. o;yetai pa/sa sa.rx to. swth,rion tou/ qeou/ /e ogni carne vedr la salvezza di Dio. Lc, bench abbia utilizzato Mc come fonte (qui importante da notare che Barrett chiarisce da quali presupposte precede la sua argomentazione), per preparare il suo secondo volume ha aggiunto una frase del testo profetico, la cui attuazione si dispiegher negli Atti. La grande omissione: i seguenti brani di Mc si omettono in Luca: A 6,45-52 (Ges cammina sulle acque); B 6,53-56 (guarigioni a Gennesaret); C 7,1-23 (puro e impuro); D 7,24-30 (la donna sirofenicia); E 7,31-37 (il sordomuto); F 8,1-10 (la seconda moltiplicazione dei pani); G 8,11-13 (la domanda di segni, cf. per con Lc 11,16.29); H 8,14-21 (il lievito dei farisei, cf. per con Lc 12,1); I 8,22-26 (il cieco di Bethsaida). Per quanto riguarda la seconda moltiplicazione dei pani, Luca la consider un doppione, come pure i racconti di guarigioni: Lc ne ebbe abbastanza. La domanda per segni ha paralleli non-marciani, e Lc sembra di aver avuto preferenza per una fonte alternativa (cf. Lc 11,16.29). Rimangono tre A, C, e D da risolvere. Perch lautore del Terzo Vangelo non si fatto propri questi testi, domanda BARRETT (p. 1457). In C infatti la maggiore barriera tra giudei e pagani viene sollevata, in D invece Ges viene presentato come lui stesso anticipa la missione tra i pagani, anzi la fede della donna cananea viene raccomandata come esemplare.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

89

Bisogna cambiare lottica, afferma Barrett, se vogliamo comprendere il perch dellomissione di questi passi. At 10,14 e 15,29: la reazione di Pietro sarebbe stato incomprensibile, come pure la richiesta del concilio di Gerusalemme, se il vangelo avesse gi risolto questi problemi. In Mc lepisodio della donna cananea lunica eccezione nelle missione di Ges sempre limitata tra i giudei. Per Luca la missione tra i gentili comincia solo dopo la risurrezione, dopo leffusione dello Spirito (cf. Lc 10,1-12 e At 13,51). Bisogna dunque tirare la conclusione, lomissione di questi episodi si capisce nella luce del racconto che Luca presenter nel secondo volume della sua opera. 9,51: il termine assunzione (avna,lhmyij) suggerisce lascensione (At 1,11: avnalhmfqei.j), tuttavia, ancora pi importante la sottolineatura della risolutezza con la quale Ges sta per andare al luogo del pericolo e della morte, il che poi trova una rima nellatteggiamento di Paolo in At 19,21; 23,11. 11,37-54: mentre Mt 23,34 parla di figure che si collegano con lAT e con il giudaismo (profh,taj kai. sofou.j kai. grammatei/j ), Lc 11,49 diverso (profh,taj kai. avposto,louj): gli apostoli infatti senza dubbio di sorta appartengono al cristianesimo. 21,7-11: mentre in Mc 13,6 e in Mt 24,5 coloro che ingannevolmente parlano nel nome di Cristo dicono sono io (il Cristo) ( VEgw, eivmi o` Cristo,j), Lc aggiunge sono io e il tempo si fatto vicino ( VEgw, eivmi( kai,( ~O kairo.j h;ggiken). Evidentemente per Lc la fine non ancora presente. 21,12-19: in v. 12 solo in Lc ricorre il verbo perseguiteranno ( diw,xousin), e invece di per causa mia (e[neken evmou/, Mt 10,18; Mc 13,9) troviamo il sintagma per causa del mio nome (e[neken tou/ ovno,mato,j mou). Mettere in rilievo il nome di Ges una delle caratteristiche degli Atti: e.g. 2,38; 3,16. 22,31-34: Pietro ha e avr un ruolo particolare nella vita degli discepoli; 23,6-12: Pilato e Erode sono ambedue coinvolti nel processo di Ges. In At 4,27 questa loro collaborazione viene considerata come adempimento delle Scritture. da notare che in Lc manca il riferimento allAT in proposito. 5.2.2. La proposta di Marguerat MARGUERAT (1999a) dimostra come questi riferimenti e allusioni a monte e a valle invitano il lettore a costruire lunit dellopera ad Theophilum (Secondo unaltra terminologia questi riferimenti a monte e a valle si chiamano analessi e prolessi: analessi [dal greco anlpsis, ripresa] e di prolessi [dal greco prlpsis, anticipazione]. Ambedue possono essere interne, esterne e miste. Le analessi interne: se la portata [secondo la terminologia di Genette, la

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

90

distanza temporale dall adesso narrativo, cio dal momento della storia in cui il racconto interrotto] non raggiunge il punto di partenza del racconto; esterne: se la portata esterna allincipit e lampiezza [la durata dellanacronia] non raggiunge tale inizio; miste: se il punto di portata anteriore e il punto di ampiezza posteriore rispetto allinizio del racconto. Le analessi esterne non interferiscono con racconto principale, come accade invece con le analessi interne e miste. Analessi e prolessi sono due tipi di anacronia. L anacronia: discordanza tra lordine del racconto [discorso narrativo] e lordine della storia raccontata dal punto di vista della disposizione degli avvenimenti dei segmenti temporali [cf. MARGUERAT BOURQUIN, 2001: 95ss; SKA, 1990: 8ss; e.g. Gen 22,8; Dt 26; Gv 1,19-35]). Adottando questunit letteraria, la quale da partire degli anni sessanta si imposta (cf. M. DUMAIS 1995: 313; VERHEYDEN 1999: 3-56) gli esegeti hanno sancito due decisioni importanti. La prima di indole metodologico: presupporre una tale unit infatti significa rifiutare la disposizione canonica. Questa scelta molto feconda, afferma MARGUERAT (1999a: 58), poich ha reso possibile di misurare Luca, in qualit di storico, e anche come teologo, e infine, quale scrittore. La seconda: accettare lunit di Lc-At significa anche, almeno implicitamente, riconoscere che lopera lucana un hapax, unopera del tutto singolare nel NT, nonch nella seriore letteratura cristiana. Come diceva C. K. BARRETT (1992; 1996), Lc-At the first New Testament. Troviamo qui infatti euvagge,lion kai. avpostoliko,n. Come si comprende lunit dellopera? Recentemente M. C. PARSONS e R. I. PERVO hanno invitato al ripensamento del (quasi) consenso riguardo di questunit: Rethinking the Unity of Luke and Acts (Minneapolis 1993, cf. VERHEYDEN, 1999: 4-8). Questi due autori mettono in evidenza numerose tensioni tra le due opere (cf. MARGUERAT, 1999a: 59s). Eccone alcune: Lc e At appartengono a due diversi generi letterari: mentre il primo dal tipo biografico, il secondo storiografico; Si differenziano anche riguardo luso delle loro fonti; Stilisticamente parlando i grandi discorsi e le lunghe sequenze narrative degli Atti (e.g. 3-5; 10-11; 13-14; 21-26) non trovano riscontri in Lc; Il vangelo centrato sul regno di Dio, negli At invece eccelle il kerygma cristologico; Lopposizione giusto vs peccatore (di,kaioj, a`martwlo,j) cos fondamentale per il vangelo, sparisce in At (e.g. Lc 5,32; 7,34s.39; 15,1-17; 19,6-10); Secondo Lc 16,17 la Tora va rispettata nella sua integrit, mentre secondo At 15,10.28s, ad esempio, non ha nessun ruolo soteriologico; Le parole dure contro i ricchi (e.g. Lc 6,24s; 12,13-21; 20,47) e sul pericolo della ricchezza (e.g. Lc 12,33s; 16,19-31; 18,18-30) spariscono negli Atti, oppure forse meglio dire, cedono il posto allidea della condivisione (At 2,42-45; 4,32-37). Inoltre negli Atti troviamo un interessamento per le persone agiate: 8,27; 9,36; 16,14; 17,34; 18,7 etc.

PARSONS e PERVO non contestano che Lc-At siano dello stesso autore, mettono per in questione lomogeneit dellopera sia dal punto di vista letterario che teologico. Sottolineano: la

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

91

relazione tra i due libri una relazione tra due libri, quindi non si tratta di rispondenze allinterno di un insieme diviso in due soltanto per motivi di comodit (P ARSONS PERVO, 1993: 126). MARGUERAT accetta lopinione, perch ritiene che la sottolineatura dellunit di Lc-At possa avere risvolti negativi correndo il rischio di attribuire allautore dell ad Theophilum un modo di pensare omogeneizzato (une pense massifie). Tuttavia Marguerat mette in risalto: se la divisione viene rimarcata a scapito dellunit, come si pu rendere conto del rapporto tra i due libri. In realt, in una prospettiva narratologica ci si domanda, se il macro-racconto (cio Lc 1-At 28) provochi un effetto di unit per il lettore e come lo faccia? Prima di analizzare lopera, MARGUERAT prospetta due ipotesi (1999a: 61) 1. Il racconto Lc-At rappresenta ununit al livello teologico. Questunit per non enunciata nel testo, bens da costruire da partire dal testo durante la lettura. In altri termini, si tratta di un compito che il racconto da al lettore. At 1,1a si riferisce al vangelo come prw/toj lo,goj. Affermando ci non si sbilancia per quanto riguarda come si articola la coerenza dei due volumi. Il senso (e lunit) di unopera si vede soltanto alla fine, quando lopera si mostra nella sua totalit. Durante la lettura il narratore sollecita il lettore a costruire lunit del racconto tramite analessi e prolessi. Potremmo forse soggiungere con N. FRYE (Anatomy of Criticism, 77) che unopera letteraria, da un lato si svolge nel tempo come la musica, ma dallaltro lato, si stende ( spread out) in immagini come la pittura. Il mythos (cio la trama/lintreccio) ci da il senso dellopera come uno svolgersi, un susseguirsi di episodi, un movimento insomma, mentre la dianoia (cio il significato) dischiude lidea di simultaneit (we see what it means). (cf. SANTAGOSTINO, Le confessioni, XI, 28, 37-38; 14,17). In altre parole, a differenza degli storici ellenistici, lautore di Lc-At non si sofferma lungo il racconto per mettere in chiaro le sue intenzioni (cf. AUNE, 1987: 119). 2. La ricerca dellunit deve integrare le tensioni e le rotture che si presentano nella narrativa. Come sottolinea S. MOORE (Are the Gospels Unified Narratives? in SBLSP 1987, 443-458): le tensioni e gli spostamenti ( dplacement) fanno parte intrinseco della narrativit a differenza del discorso argomentativo, dove prevale la tendenza sistematizzatrice. 5.2.2.1. Differimento delle informazioni Lc-At dunque si presenta come unentit narrativa (MARGUERAT, 1999a: 62). Quali sono gli accorgimenti letterari che fanno pensare che Lc abbia concepito i 52 capitoli di Lc-At come un insieme, come unentit narrativa? Paradossalmente, il primo indice stato rilevato dalla critica delle fonti. Dallo studio dei paralleli sinottici reperibile numerose volte, che il narratore dellopera ad Theophilum sposta dei dettagli che si riscontrano nei racconti di Mt e/o Mc

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

92

collocandoli negli At. Oltre ai passi gi riferiti da Barrett, si pu nominare Lc 22,66 dove il Terzo Vangelo salta il riferimento ai falsi testimoni (cf. Mc 14,55ss; Mt 26,59ss) nel processo di Ges, per poi riportarli in At 6,14. Luca non ha ignorato affatto la critica del Tempio nella predicazione di Ges: Poi produssero falsi testimoni che dicevano: Questuomo non la smette di dire parole offensive contro questo luogo santo e contro la legge. Lo abbiamo infatti udito dire che quel Ges Nazareno distrugger questo luogo e cambier le leggi che ci ha tramandato Mos (At 6,13s). I falsi testimoni collegano le accuse contro Stefano con la tradizione che riguarda il rapporto teso tra Ges e il Tempio. Dunque si tratta semplicemente di uno spostamento dal Maestro al discepolo. Perch? La ragione, secondo MARGUERAT (1999a: 63) si trova nel fatto che il Tempio di Gerusalemme ha un ruolo di riguardevole importanza sia nel vangelo, sia in At 1-5. Un altro esempio: la citazione di Is 6 molto breve nel vangelo (Lc 8,10b cf. Mc 4,12; Mt 13,14s), tuttavia la ritroviamo in una forma integrale in At 28,26s. Questo differimento/ritardamento dellinformazione (rtention dinformation) fa pensare, che lautore contava, sin dallinizio del vangelo, con un intreccio il cui scioglimento si trova in At 28, anzich in Lc 24. 5.2.2.2. Inclusioni Un altro indice viene fornito dalle inclusioni significative: Lc 1,5-25 e 24,53: il racconto inizia nel Tempio e alla fine vediamo i discepoli ancora nel Tempio in attesa dello Spirito. Il Tempio poi continua ad essere centrale per la comunit cristiana di Gerusalemme in At 1-5. Anzi, ha conservato il suo valore insostituibile anche per Paolo, fino a quando vi fu un accorrere di popolo. Impadronitisi di Paolo, lo trascinavano fuori del recinto del tempio e subito furono chiuse le porte (At 21,30). La trama degli Atti si dispiega tra la predicazione sulla basilei,aj tou/ qeou/ da parte del Risorto (1,3) e quella di Paolo, sempre sulla basilei,aj tou/ qeou/ (28,31). Accanto alla palese continuit importante rilevare uno spostamento di altrettanto rilievo: Paolo annuncia il regno di Dio e insegna le cose riguardanti il Signore Ges Cristo (28,31). Il sintagma la salvezza di Dio (to. swth,rion tou/ qeou/) lo troviamo solo in due ricorrenze, prima nella predicazione del Battista (Lc 3,6 da sottolineare che questa parte della citazioni di Is 40 si trova solamente in Lc) e poi, stavolta non in un testo profetico riportato, bens nel commento di Paolo ad un altro testo profetico in At 28,28.

Il ritardamento dellinformazione e le inclusioni, afferma il Marguerat, sono due lati della stessa medaglia. Ambedue mettono chiaro: Lc e At formano un insieme. 5.2.2.3. Prolessi ellittiche Un altro accorgimento unificatore sono le prolessi ellittiche (MARGUERAT, 1999a: 65s). Il libro degli Atti esordisce con una gigantesca prolessi (1,8), il cui orizzonte supera di gran lunga anche la conclusione del libro. Poich Roma, dove arriviamo alla fine degli Att non pu ritenersi lestremit della terra, sennonch il suo centro. C

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

93

dunque, afferma Marguerat, qualcosa di ellittico nelle prolessi lucane (cf. F. BOVON, Effet de rel et flou prophtique dans loeuvre de Luc in Rvlation et critures, MdB 26, Genve 1993, 65-74). Seguendo unaltra terminologia bisognerebbe parlare di una prolessi mista. Altri esempi: in Lc 2,34b-35 si parla di sofferenza, e di fallimento parziale. Il lettore pu scoprire solo nella lettura di che cosa questo consista. In 9,51 nel sintagma i giorni della sua assunzione (ta.j h`me,raj th/j avnalh,myewj auvtou/) il vocabolo avna,lhmyij un hapaxlegomenon nella forma sostantivale. Il lettore non sar in grado di decidere se si tratti dellascensione (At 1,2.11.22) o della passione. Il verbo avnalamba,nw si trova in At 7,43; 10,16; 20,13s; 23,31. Il plurale ta.j h`me,raj favorirebbe il riferimento alla passione, poich in At 2,21 parlando dellascensione si usa il singolare ( e[wj th/j h`me,raj h`j avnelh,mfqh avfV h`mw/n). Lc 12,49s troviamo un riferimento al fuoco. Nel linguaggio del giudaismo il termine era strettamente collegato con il giudizio escatologico (cf. Lc 3,9.17; 9,54). Il collegamento tra fuoco e battesimo gi proclamato in 3,16 evoca un riferimento allo Spirito, dunque alla Pentecoste (cf. Lc 24,49 [ du,namij] ; At 1,8 Ma lo Spirito Santo verr su di voi e riceverete da lui la forza [du,namin] per essermi testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, e la Samaria e fino allestremit della terra). Il vocabolo come metafora dello Spirito deriva dai LXX, e ricorre pi volte in Lc-At (Lc 1,17.35; 4,14; At 8,10; 10,38). At 9,15 13,2 21,11: le prolessi ellittiche segnalano la strada da percorrere anche nel caso di Paolo. Perch non parla lautore chiaro? Secondo Marguerat siamo di fronte di una voluta ambivalenza semantica.

5.2.2.4. Ambivalenza semantica Per quanto riguarda questaspetto di Lc-At, MARGUERAT ha approfondito questo tema in un articolo (1999) che vale la pena di essere riassunto. Lautore dellopera ad Theophilum, asserisce Marguerat, avrebbe utilizzato un accorgimento retorico; il gioco con il doppio significato (double signification) di alcuni termini, il che orienta il lettore in direzioni diverse: verso una cultura imbevuta dai LXX, e verso quella impregnata dal modo di pensare (conceptualit) grecoromano. Questo procedimento testimonia la volont dellautore, che vuole stabilire lidentit cristiana tra Gerusalemme e Roma. Il vangelo inizia a Gerusalemme, gli Atti terminano a Roma. Questo tragitto geografico carico dunque di un simbolismo teologico: il cristianesimo secondo Luca simultaneamente in continuit con la storia di salvezza, e si presenta come una risposta alla ricerca religiosa greco-romana. Come programma teologico il tentativo di Luca potrebbe paragonarsi con quello di Flavio Giuseppe. Se vogliamo rispondere alla domanda come posiziona Luca il cristianesimo, dobbiamo confrontare la continua oscillazione della ricerca esegetica tra due poli che si delinea a proposito di Lc-At. Per alcuni (E. HAENCHEN, H. CONZELMANN, J. DUPONT, J.T. SANDERS) lopus lucanum espone come Dio si allontana da Gerusalemme, dal giudaismo che ha rifiutato il Cristo, per adottare Roma e aprire una porta per il mondo pagano, e per luniversalismo. Altri (J. JERVELL, D. TIEDE, D. JUEL), invece, leggono Lc-At in un senso inverso: la visione lucana colloca la Chiesa come la continuazione della storia di Israele. Marguerat non intende valutare le

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

94

soluzioni diverse, sennonch mettere in questione il paradigma nel suo insieme. Egli, infatti, del parere che questo modo di pensare polarizzato non sar adeguato. Il continuo moltiplicarsi delle opinioni in merito, afferma Marguerat, sarebbe un segnale eloquente che lopera resista lapplicazione di un tale approccio ancorato nel pensamento antitetico. In altri termini, a titolo euristico Marguerat propone un altro paradigma: Gerusalemme e Roma non si escludono nellopera lucana, bens concorrono nel definire lidentit del cristianesimo. In altre parole, il rapporto con il giudaismo altrettanto importante per Luca, come lo la relazione con limperium romanum. Non si tratta dunque di un facile e superficiale accomodaticcio della tradizione giudeo-cristiana per una cerchia di lettori greco-romani. In Lc-At, si dovrebbe piuttosto dire, si profila un teologico programma dintegrazione ( programme thologique dintgration). Un primo aspetto di questo programma si ricava dal modo come vengono costruiti i personaggi del racconto: Paolo: nei racconti che parlano della sua chiamata usano il suo nome aramaico, Saul (At 9,4; 22,7; 26,14); egli per, ha anche un altro nome, Paolo (13,9) possiede la cittadinanza (politei,a) romana (22,28); tuttavia, ci non toglie che lui un fariseo zelatore (22,3-5; 23,6). Vive dunque a crocevia di due mondi (cf. J. ROLOFF, Die Paulus-Darstellung des Lukas: Ihre geschichtlichen Voraussetzungen und ihr theologisches Ziel, EvTh 39 [1979] 510-531). Barnaba: cio Giuseppe, chiamata dagli apostoli Barnaba, levita, nativo di Cipro. Quando veniamo a sapere questo (4,36) non si parla ancora della missione tra i pagani, dove egli accompagner Paolo (capp. 13-14), eppure, afferma Marguerat, la sua identit, viene dalla diaspora, levita ma non di Gerusalemme, lanticipa. Sar, effettivamente, il proconsole di Cipro, Sergius Paulus, sotto linflusso di Paolo e Barnaba, a convertirsi per primo (13,6-12). Stefano e leunuco apparterrebbero a questo tipo di personaggi: il primo un ebreo ellenista, il secondo invece un proselita. Timoteo: la sua doppia appartenenza culturale e religiosa ancora pi palese (16,1-5). I timorati di Dio (oi` fobou,menoi to.n qeo,n) di nuovo rappresentano questa duplice appartenenza (cf. 10,22; 13,16.26; 17,4.12.17; 18,4.17).

Questaspetto rimarrebbe a un livello aneddotico se si presentasse soltanto a proposito di alcuni personaggi. Non lo , per, poich palpabile nello stesso linguaggio di Luca: troviamo infatti varie ambiguit, le quali permettono due interpretazioni diverse. nel racconto della passione linnocenza di Ges molto accentuata in Lc: 23,4.14.22.41.47. Cosa significa per il termine di,kaioj in questo contesto? Alcuni lo prendono in senso giuridico, mentre per altri si tratta di una designazione teologica del giusto sofferente. Bisogna riconoscere, che da un punto di vista lessicografico ambedue sono accettabili. Secondo FITZMYER (1985: 1520) il primo significato apparterrebbe alla tradizione, il secondo invece plausibile al livello della redazione da parte dellevangelista. MARGUERAT (1999: 74) del parere che lambiguit sia

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

95

intenzionale. Il redattore raffigura cos la morte di Ges come la morte del martire innocente (tradizione ellenistica) e simultaneamente come la morte del giusto sofferente (tradizione giudaica). Lambivalenza trova un punto dappiglio nel contesto: il senso giuridico domina nel vangelo, mentre il senso teologico negli Atti (3,14; 7,52; 22,14). Il discorso di Paolo ad Atene (17,16-34). I lavori di M. DIBELIUS e di B. GRTNER hanno dimostrato che questo capolavoro dellapologia si presta a una lettura filosofica e religiosa greca come pure a una lettura giudaica, improntata ai LXX. Il termine deisidaimoneste,roi, con cui Paolo si rivolge al suo uditorio pu significare molto religiosi, oppure molto superstiziosi. Secondo Marguerat, lautore avrebbe lasciato aperto la scelta per i suoi lettori. Nellinterpretare il v. 26 (Egli da un solo ceppo ha fatto discendere tutte le stirpi degli uomini/ evpoi,hse,n te evx e`no.j pa/n e;qnoj avnqrw,pwn) i commentatori solitamente decidono con grande fretta tra due alternative per quanto riguarda evx e`no.j: a) il Dio di cui Paolo parla il Dio Creatore dellAT, il pronome una forma mascolina, e designa Adamo; oppure b) si tratta del principio divino in cui credono i stoici, e il pronome dunque neutro. Il discorso diventa univoco solo alla fine: poich egli ha stabilito un giorno nel quale sta per giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, accreditandolo di fronte a tutti, col risuscitarlo da morte(17,31). Fino a questo momento, afferma MARGUERAT (1999: 76) il monoteismo filosofico e la fede biblica vanno luno accanto allaltra (cf. At 7,46-50; 14,15-17; e anche SENECA ad Lucilium, 15.95.47). Anche negli ultimi due capitoli (At 27-28) troviamo numerosi casi di ambivalenza semantica. Il salvataggio di Paolo e i suoi compagni rinvia il lettore ai testi biblici dove Dio si mostra come signore delle acque, o anche alla storia della tempesta sedata (Lc 8,22-25). Eppure, anche il lettore pagano si trovato di fronte un topos classico: la protezione divina del giusto (cf. G. B. MILES G. TROMPF , Luke and Antiphon: The Theology of Acts 27-28 in the Light of Pagan Beliefs about Divine Retribution, Pollution, and Shipwreck, HTR 69 [1976] 259-267; D. LADOUCEUR, Hellenistic Preconceptions of Shipwreck and Pollution as a Context for Acts 27-28, HTR 73 [1980] 435-439). Lo stesso vale per il pasto presieduto da Paolo sulla nave (27,3336). Si tratta di un pasto eucaristico? S e no, risponde MARGUERAT (1999:77). Il lettore arrivato dal vangelo sicuramente percepisce le allusioni (Lc 22,19), mancano per i dettagli della distribuzione (Lc 22,19a) e il riferimento al calice (Lc 22,17.20). Sarebbe pi adeguato parlare di una prefigurazione delleucaristia cristiana. Dallaltro canto per, il gesto di Paolo rende lapostolo come un eroe, un saggio, e un esperto

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

96

nella navigazione. Un effetto simile poteva avere il dettaglio che la nave con la quale Paolo arriv a Pozzuoli portava per insegni i Dioscuri (28,11). Castor e Pollux erano i protettori dei viaggiatori in mare, i guardiani della verit, e punitore dei spergiuri. Il termine swth,r da un lato era un titolo messianico, dallaltro faceva parte della titolatura imperiale. Il vocabolo no,moj: la Tora e/o la legge romana. Ci sono dei temi che potevano andare benissimo in ambedue culture: come la genealogia, lascensione (tradizione apocalittica dellesaltazione del giusto e il topos del rapimento delleroe al cielo nella letteratura ellenistica). Levocazione delle nazioni pagane a Pentecoste (luniversalismo dellescatologia profetica e lidea romana delloikoumen). Dire che la moltitudine di coloro che avevano abbracciato la fede aveva un cuore e unanima sola (kardi,a kai. yuch. mi,a) poteva riferirsi, a seconda dei lettori, sia alla formula dxa bl della Bibbia ebraica, sia allideale greco di mi,a yuch. (ARISTOTELE Eth.Nic. 9,8; CICERO De amicitia 92). Non si tratta dunque di una mancanza di chiarezza da parte dellautore, bens di unarte squisita. Luca mostra la sua bravura nelluso di una tecnica retorica: lanfibologia (cf. LAUSBERG, 1969: 132; quando il testo consente due [o pi] possibilit di comprensione sia in seguito ad ambigue parole singole, sia in seguito a una dubbia sintassi). Lanfibologia non impone un senso, ma interpella, e invita al discernimento. Ha dunque una funzione pragmatica. Nella tradizione giudaica si chiama tartey mashma (TbMegilla 14b; cf. M. DUMAIS, Le langage de lvangelisation, Tournai Montral 1976, 94). Quale era lintenzione di Luca con questambivalenza semantica? Non si pu dire che si tratti di un sottile gioco di offuscamento (brouillage) da parte dellautore. Guardando pi da vicino le direzioni di queste ambivalenze trapela qualcosa di pi profondo. Infatti, la dualit semantica si costruisce sempre con una dimensione giudaica orientata verso i LXX, e con una dimensione ellenistica orientata verso la cultura e filosofia greca. In altri termini, lautore sindirizza sistematicamente verso Gerusalemme e verso Roma. In questi esempi di ambivalenza semantica dunque si pu intravedere un programma teologico, che MARGUERAT (1999: 79ss) chiama un programma teologico dintegrazione (programme thologique dintgration). Luca, lo scrittore, si mette al servizio di Luca, il teologo. Mantenendo questambiguit la sua opera cerca di stabilire lidentit cristiana: da un lato cerca le radici della Chiesa a Gerusalemme, vale a dire in continuit con la storia di salvezza cominciata con Israele, e dallaltro, delinea lorizzonte universale nel piano di Dio, un piano che si traduce in realt nellImpero Romano con le sue strutture amministrative e politiche.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

97

Il programma dintegrazione, sottolinea il Marguerat (1999: 80) non si esaurisce in un tentativo di compromesso tra Gerusalemme e Roma, bens va considerato come uno sforzo, da parte di Luca, di riunire Gerusalemme e Roma nel definire il cristianesimo. Non si pu nemmeno dire che per Luca Gerusalemme raffiguri il passato e Roma rappresenti il futuro. Unaffermazione simile, pur essendo vero al livello storico, risulta insufficiente al livello teologico, poich nellottica di Luca nel cristianesimo sfocia tutto il migliore che ci sia nel giudaismo: lindefettibile attaccamento alla Tora e la speranza nella risurrezione il Paolo degli Atti non si stanca mai di ripetere questo (13,32-39; 20,27; 21,24; 23,6; 28,20b) e tutto il migliore che lImpero sia in grado di offrire, ovverosia luniversalismo, un ideale che si concretizza nella cultura, nella rete di comunicazione (stradale e marittima), nella ricchezza delle citt, nel funzionamento degli istituzioni (cf. J. TAYLOR, The Roman Empire in the Acts of the Apostles, ANRW 2.26.3, Berlin New York 1996, 2436-2500). Si potrebbe parlare addirittura di unapologia pro imperio da parte di Luca (cf. P. W. WALASKAY, And So We Came to Rome: The Political Perspective of St Luke , SNTSMS 49, Cambridge 1983): in Lc-At percepibile che lautore cerchi di mettere in una luce positiva lImpero agli occhi dei suoi lettori cristiani, siccome egli ben consapevole che il futuro della loro religione si svolger in questa realt. Secondo Lc-At con lincontro di Pietro e Cornelio si verifica una svolta decisiva nella storia del cristianesimo. Questo nuovo orientamento si va rafforzando nella presentazione del successo di Paolo fuori della sinagoga (13,12.48; 14,11-18; 16,14-16.29-32 etc). Da questo punto di vista si pu asserire che per Luca la kurio,thj di Ges si presenta come il contrappunto (contrepoint) dellautorit imperiale, e la eivrh,nh di Cristo realizza ci, in cui la Pax romana ha fallito, e infine la Pentecoste traduce in realt lunanimit dei popoli auspicata invano da Cesare. Questo duplice aspetto di continuit nella discontinuit, secondo MARGUERAT (1999: 82) si delinea nellultima scena degli Atti (28,16-31). Paolo riceve tutti quelli (pa,ntaj) che vanno a trovarlo nel suo alloggio annunciando loro il regno di Dio e il Signore Ges Cristo. Questo finale programmatico, afferma Marguerat: la predicazione di Paolo ha diviso il suo uditorio giudaico. La citazione di Is 6,9-10 non significa che dora in poi la rottura con i giudei sia ormai definitiva. Al contrario, il finale dellopera sottolinea che Paolo riceveva tutti che venivano da lui. Inoltre, da notare che il luogo dove si svolge lattivit apostolica di Paolo non il Tempio, il luogo delle radici, n la sinagoga, il luogo del rifiuto da parte dei giudei, bens la casa. Lambizione di Luca di conciliare il particolarismo giudaico e luniversalismo romano ha delle analogie nellepoca contemporanea. FLAVIO GIUSEPPE ambiva di tradurre in pratica il medesimo scopo nelle sue opere (Antichit giudaiche, La guerra giudaica). A MARGUERAT preme di sottolineare: non si tratta di una dipendenza tra i due autori, sennonch di unanalogia nel loro progetto apologetico (cf. K.-S. KRIEGER, Geschichtschreibung als Apologetik bei

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

98

Flavius Josephus, TANZ 9, Tbingen 1994; G. E. STERLING, Historiography and SelfDefinition, NovTSup 64, 1992). Ecco alcuni punti comuni: luno e laltro danno una definizione del loro movimento religioso tramite unopera storiografica; dimostrano lantichit del loro religione, il che aveva un grande prestigio nella cultura greco-romana; ambedue rivendicano la compatibilit delle loro usanze religiose con l ethos della societ romana; in altri termini, lappartenenza al movimento presentato non mette in pericolo la fedelt a Roma; entrambi presentano il loro Dio come onnipotente signore del mondo, detentore della suprema provvidenza, anche nei confronti delle autorit romane; tutti e due cercano di rimarginare delle ferite per quanto riguarda la relazione tra Gerusalemme e Roma dopo la guerra giudaica, di scrivere unopera di riconciliazione.

Inoltre, Marguerat fa notare che il fenomeno dellambivalenza semantica sia percepibile anche in alcuni discorsi di Flavio Giuseppe: BJ 5,362-74 (parte greco-romana) 5,375-419 (parte giudaica); 7,323-26 (rievocazione dellideale stoico della nobile morte) 7, 327-33 (la disfatta dei ribelli di Massada il risultato dellira divina a causa delle colpe degli stessi ribelli). Si deve pure rilevare anche le differenze: il Dio di Luca non sidentifica con la pronoi,a provvidenza divina dei stoici; il rapporto verso lautorit romana pi critica in Luca: il potere di Roma rimane sempre secondaria ed inferiore alla basilei,a tou/ qeou/ (Lc 1,33; 4,43; At 28,23.31); Flavio Giuseppe sfiora la blasfemia agli occhi degli suoi lettori giudei considerando la tu,ch sorte, destino, fato, caso come la manifestazione della volont di Dio ( BJ 2,390; 3,353; 4,622; 5,412; 6,38; cf. J. D. COHEN, Josephus, Jeremiah, and Polybius, HTh 21 [1982] 366-381).

La storia della ricezione delle due opere marcatamente diversa. Nel giudaismo normativo sempre pi improntato allisolazionismo rabbinico, limpostazione di Flavio Giuseppe era considerata come una minaccia per lidentit giudaica. La proposta lucana nella terza generazione cristiana rappresenter una posizione mediana tra la sottomissione al potere politico rappresentato da 1Pt e il combattivo scontro con il mondo rappresentato dallApoc. Lideale di Luca uninculturazione del cristianesimo nellImpero contrassegnato dallapertura del cristianesimo verso le sue radici, e dalla critica accettazione del mondo non si attuato pienamente. Si deve riconoscere, afferma Marguerat, che lantigiudaismo continuava ad essere presente marcatamente nel cristianesimo, come pure la conformazione al mondo. 5.2.2.5. Catena narrativa Dopo questa digressione ritorniamo alle procedure unificatrici rilevate da MARGUERAT (1999a: 64ss). Il secondo tipo la catena narrativa (cf. FLICHY, 2000: 41ss): i tre centurioni: Lc 7,1-10; 23,47; At 10-11 (cf. MARGUERAT BOURQUIN, 2001: 5862);

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

99

la catena delle conversioni: At 8-10. Simone il mago (8,4-25), leunuco etiope (8,2640), Paolo (cap. 9), il centurione Cornelio (cap. 10); infine, afferma la FLICHY (2000: 44) si pu parlare della conversione della comunit cristiana, in quanto due volte coloro che la rappresentano si lasciano trasformare dallo Spirito, e accettano colui che prima sembrava loro come un nemico pericoloso (Anania 9,10-18; Barnaba 9,27); la missione a Gerusalemme (2,42-8,1): Sommario (la crescita della comunit) 2,42-47 4,32-35 5,12-16 5,42 6,7-8 Arresto 4,1-4 5,17-18 6,9-11 Comparsa davanti al sinedrio 4,5-22 5,27-39 6,12-7,53 Scioglimento 4,23-31 5,19-26.40-41 7,54-8,1

i tre racconti della conversione/vocazione di Paolo (9 un racconto del narratore; 22; 26 in due discorsi di Paolo); quattro racconti della visione di Cornelio (10,1-8: il narratore onnisciente; 10,22: gli uomini inviati da Cornelio; 10,30-33: Cornelio stesso; 11,1-14: Pietro; cf. R. WITHERUP, Cornelius Over and Over and Over Again: Functional Redundancy in the Acts of the Apostles, JSNT 49 [1993] 45-66; W. S. KURZ, Effects of Variant Narrators in Acts 10-11, NTS 43 [1997] 570-586); Lc 15 e 19,1-10 (MARGUERAT 1999a: 68; cf. J.-N. ALETTI, Il racconto come teologia: Studio del Terzo Vangelo e del libro degli Atti degli Apostoli , Roma 1996, 200ss); La catena pentecostale (MARGUERAT 1999a: 69).

5.2.2.6. La syncrisis La modellazione: si chiama anche syncrisis (tecnica retorico, che consiste nel mettere in parallelo due personaggi o due situazioni del racconto al fine di paragonarli; la syncrisis instaura tra loro un gioco di continuit e di superamento; si tratta di un fenomeno di eco; cf. ARISTOTELE, Retorica I,38; PLUTARCO, Vite parallele). E.g.: le tre guarigioni di un paralitico (Lc 5,18-25; At 3,1-8; 14,8-10); Lc 23,34-46 e At 7,55-60; Lc 24,13-35 e At 8,26-40; At 9,3-19a e 10,1-23; Lc 24,5-36 e At 12,12-17; Giovanni Battista e Ges: Il Battista 1,5-7 1,8-23 1,24-25 1,57-58 1,59-66 1,67-79 1,80 Pietro e Paolo (At 1-12; 13-28); Presentazione dei genitori Annunciazione Risposta della madre Nascita Circoncisione Risposta profetica Crescita del fanciullo Ges 1,26-27 1,28-38 1,39-56 2,1-20 2,21-24 2,25-39 2,40.52

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

100

Ges e i suoi discepoli: Ges e Pietro; Ges e Paolo (cf. W. RADL, Paulus und Jesus im lukanischen Doppelwerke, Frankfurt 1975). FOCANT (1999: 571 = M. GOURGUES, 1978: 186): Paralleli negli At 1. testimoni falsi contro Stefano (6,13a) 2. Accuse che riguardano il Tempio (6,14a) 3. Il comportamento dellaccusato: il silenzio estatico di Stefano (6,15) 4. Accusa di blasfemia (6,11b) Paralleli negli At 1. Dichiarazione di Stefano a) Il Figlio delluomo (7,56a) b) alla destra (Ps 110,1 7,56b) 2. La morte di Stefano: forte grido (7,60a) Paralleli negli At La morte di Stefano: 1. Invocazione a Cristo (7,59a) 2. Riferimento al Ps 31,6 (7,59b) 3. Domanda di perdono per i carnefici (7,60b) 4. detto questo (tou/to eivpw.n 7,60c) D. Elementi propri degli At 1. Visione che precede la dichiarazione (7,55) 2. Reazione dei presenti (7,57-58a) 3. Riferimento a Saul: presenza e comportamento (7,58b; 8,1)

A. Elementi comuni a Mt-Mc 1. testimoni falsi contro Ges (Mt 26,59b.60b; Mc 14,56a.57a) 2. Accuse che riguardano il Tempio (Mt 26,61; 14,58) 3. Il comportamento dellaccusato: il silenzio di Ges (Mt 26,63a; Mc 14,61a) 4. Accusa di blasfemia (Mt 26,65b; Mc 14,64a) B. Elementi comuni a Mt-Mc-Lc 1. Dichiarazione di Ges a) Il Figlio delluomo (Mt 26,64a; Mc 14,62a; Lc 22,69a) b) alla destra (Ps 110,1 Mt 26,64b; Mc 14,62b; Lc 22,69b) 2. La morte di Ges: forte grido (Mt 27,50a; Mc 15,37a; Lc 23,46a) C. Elementi propri di Lc La morte di Ges: 1. Invocazione al Padre (23,46a) 2. Riferimento al Ps 31,6 (23,46b) 3. Domanda di perdono per i carnefici (23,34a) 4. detto questo (tou/to eivpw.n 23,46c)

TALBERT (1974 = FLICHY, 2001: 54ss): Luca Atti

1,1-4: prefazione 3,21: Ges prega al suo battesimo

1,1-5: prefazione 1,14: gli discepoli pregano aspettando di essere battezzati nello Spirito Santo 3,22: Dopo la preghiera di Ges lo Spirito 2,1-13: Lo Spirito riempie i discepoli dopo la discende in una forma corporea loro preghiera: fenomeni fisici 4,16-30: Linizio del ministero di Ges: un 2,14-40: Linizio del ministero della chiesa: un sermone che introduce il tema sermone che introduce il tema delladempimento delle profezie, rigetto di delladempimento delle profezie, rigetto di Ges Ges 4,31-8,56: Illustrazione del tema di 2,41-12,17: Illustrazione del tema di adempimento con esempi di predicazione e di adempimento con esempi di predicazione e di guarigione; le controversie sono illustrazione guarigione; le controversie sono illustrazione del rigetto del rigetto 5,17-26: guarigione dun infermo con lautorit 3,1-10: un infermo viene guarito col nome di di Ges Ges 5,29-6,11: controversia con i capi religiosi 4,1-8,3: controversia con i capi religiosi

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

101

7,1-10: un centurione che gode di una buona fama presso i giudei domanda a Ges di venire da lui 7,11-17: una storia di una vedova e di una risurrezione; Ges dice alzati, e il morto si alz a sedere 7,36-50: un fariseo rimprovera Ges perch si lasciato toccare da una peccatrice 10,1-12: la missione dei 70 discepoli (che preannunzia la missione tra i pagani) 9,51-19,28: il viaggio di Ges a Gerusalemme un viaggio verso la Passione (9,31.51; 12,50; 13,33; 18,31-33); caratterizzato dal bisogna che divino e lincomprensione dei discepoli

Cap. 10: un centurione che gode di una buona fama presso i giudei domanda a Pietro di venire da lui 9,36-43: una storia di una vedova e di una risurrezione; Pietro dice alzati, e la donna si alz a sedere 11,1-18: i farisei criticano Pietro dessere andato dai pagani Cap. 13-20: viaggi missionari di Paolo tra i pagani 19,21-21-17: Paolo va a Gerusalemme consapevole della sua passione (20,3.22-24.3738; 21,4.10-11.13) il suo viaggio caratterizzato dal bisogna che divino e lincomprensione dei suoi amici (21,4.12-13) 9,51.53: Ges si decide risolutamente di andare 19,21: Paolo si decide risolutamente di andare a a Gerusalemme Gerusalemme 13,22: andava verso Gerusalemme 20,22: sto andando a Gerusalemme 13,33: Tuttavia, bisogna che oggi e domani e 21,4: dicevano a Paolo di non salire a il giorno seguente io parta, poich non Gerusalemme possibile che un profeta perisca fuori di Gerusalemme. 17,11: Mentre andava verso Gerusalemme, 21,11s: Agabo dice a Paolo che i giudei Ges attravers la Samaria e la Galilea lincatenano a Gerusalemme. 18,31: Saliamo a Gerusalemme (annuncio 21,13: Paolo risponde di essere pronto a morire della passione) in Gerusalemme 19,11: Ges vicino a Gerusalemme 21,15: salimmo a Gerusalemme 19,28: Dopo questi discorsi, Ges camminava 21,17: al nostro arrivo a Gerusalemme in testa agli altri, salendo a Gerusalemme 19,37: Quando fu vicino alla discesa del 21,17-20a: Paolo ben accolto, e Dio monte degli Ulivi, tutta la folla dei discepoli, glorificato per tutto ci che ha fatto in mezzo ai esultando, cominci a lodare a gran voce Dio pagani per tutti i miracoli che aveva visto. 19,45-48: Ges va al Tempio; ben disposto 21,26: Paolo va al Tempio; ben disposto verso verso il Tempio il Tempio 20,37-39: i sadducei non credono nella 23,6-9: i sadducei non credono nella resurrezione; gli scribi sostengono Ges resurrezione; gli scribi sostengono Paolo 22,19a: Poi, preso un pane, rese grazie, lo 27,35: Paolo prese il pane, rese grazie a Dio spezz davanti a tutti, lo spezz 22,54: una folla cattura Ges 21,30: una folla simpadronisce di Paolo 22,63s: i servi del sommosacerdote percuotono 23,2: lassistente del sommosacerdote percuote Ges Paolo 22,66; 23,8; 23,13: i quattro processi di Ges: Capp. 23; 24; 25; 26: quattro processi di Paolo: sinedrio, Pilato, Erode, Pilato sinedrio, Felice, Festo, Erode Agrippa 23,4.14.22: a tre riprese Pilato dichiara 23,9; 25,25; 26,31: tre uomini (Lysias, Festo e linnocenza di Ges Agrippa) dichiarano linnocenza di Paolo 23,6-11: Pilato invia da Erode Ges per essere 25,13-26,32: Erode con la permissione di Festo interrogato ascolta Paolo 23,13-22: Pilato intende rilasciare Ges 26,32: Agrippa afferma: Costui poteva essera rimesso in libert. 23,18: i giudei gridano: A morte costui! 21,36: i giudei gridano: A morte! 23,47: Un centurione ha opinione favorevole di 27,3.43: un centurione ha opinione favorevole

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

102

Ges Cap. 24: conclusione su una nota positiva delladempimento delle scritture

di Paolo Cap. 28: conclusione su una nota positiva delladempimento delle scritture

Quale era lo scopo dellautore con tali accorgimenti? - La modellazione del discepolo sul Maestro tocca soltanto le azioni (agire e soffrire) del Maestro, ma non le sue parole. Le parole del testimone non sostituiscono le parole di Ges, nemmeno le imitano, bens rinviano al kerygma cristologico (e.g. 2,22-36; 3,13-26; 4,10-12; 7,52; 10,37-43; 13,26-39). Inoltre, la modellazione si prolunga nella storia: ogni lettore-discepolo chiamato, a sua volta, a vivere in conformit con la vita del Maestro. Gli Atti attestano come i primi discepoli vissero in sintonia con lesempio di Ges. Il vangelo dunque viene presupposto come una lettura obbligatoria per comprendere i discorsi degli Atti (cf. VERHEYDEN, 1999: 53). In realt, stupisce il fatto che il vangelo non venga mai citato. Solo due detti di Ges si trovano in At (11,16; 20,35): il primo rimonta a At 1,5, mentre lorigine della seconda sconosciuta. In altri termini, gli Atti non si presentano come un pesher (commentario) del vangelo. - La tecnica lucana non si lascia irrigidire negli schemi. La correlazione tra il vangelo e gli Atti rimane sempre discreta. E.g. At 12; 27,9-28,6: non si sa se si tratta di un rappresentazione simbolica della morte e risurrezione di Pietro e di Paolo (MARGUERAT, 1999a: 73). La syncrisis non un ricalco. Negli Atti non si avvera mai lidentificazione di Cristo con i suoi apostoli come il caso in alcuni apocrifi ( Atti di Paolo e Tecla, 3.21; Atti di Tommaso, 151-155). 5.3. Permanenza e sospensione della Tora 5.3.1. Matteo Per cogliere meglio la portata della questione dovremmo paragonare il trattamento della Tora nellopera lucana con quello che si presenta in Mt. In Mt siamo di fronte a un paradosso: il Primo Vangelo simultaneamente il pi giudaico e il pi anti-giudaico tra i vangeli (MARGUERAT, 1999b: 16). Infatti, troviamo parole dure contro i pagani e contro i samaritani: Non andate nella via dei pagani e non entrate in nessuna citt di samaritani; ma partite piuttosto verso le pecore perdute della casa di Israele(10,5-6 cf. 15,24). La stessa prospettiva si delinea in una maniera pi velata, non per questo meno chiara, nellannunzio della nascita di Ges: Ora partorir un figlio e tu chiamerai il suo nome Ges: egli infatti salver il suo popolo dai loro peccati (1,21). Un altro passo (2,6) mette in chiaro che in 1,21 non si tratta ancora del popolo cristiano, ma di Israele: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei la pi piccola fra i capoluoghi di Giuda. Da te uscir un capo che pascer il mio popolo, Israele (cf. 4,16). da notare che lungo il racconto evangelico il dibattito di Ges con i farisei verte sullinterpretazione della Tora (5,17-48; 12,114; 19,1-12; 22,34-40; da questo punto di vista, cf. la comunit di Qumran, e.g.: 1QHa XII,1315a.18b-20a e chi mai sognerebbe di accusare la comunit di Qumran con antigiudaismo?) e sul comportamento religioso (6,1-18), sui riti (15,1-20; 23,23-28) e sui sacrifici (5,23-24). THEISSEN (Theory, 1999) a proposito parla di unetica di superamento. Questorizzonte limitato a Israele non si allarga prima di 28,19.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

103

Laltro lato della medaglia: il rifiuto. Va rilevato che questaspetto negativo anche presente lungo il racconto intero. Un paragone con il testo di Mc e di Lc si rivela che Matteo ha indurato il messaggio delle sue fonti: e.g. Mt 8,5-13 e Lc 7,1-10; Mt 13,10-17 e Mc 4,10-12. Gi allinizio del vangelo si profilano due poli: mentre Erode, rappresentante di Israele in balia di impulsi assassini (2,16-18), latteggiamento positivo da parte dei pagani si cristallizza nella figura dei magi (2,1-12). Questa divisione poi viene corroborata dalla fuga in Egitto. La tipologia di esodo si presenta a rovescio: un faraone regna a Gerusalemme, e lEgitto sar la terra che accoglie il Messia. La predicazione di Giovanni metta in prospettiva questa divisione: lappello alla conversione valido anche per Israele, poich Dio capace di suscitare figli ad Abramo da queste pietre (cf. 3,7-9). La spaccatura tra la folla giudaica e i discepoli diventa ancora pi chiaro in 13,10-17. Ai discepoli stato concesso di conoscere i misteri del Regno, ma non per alla folla giudaica, poich (o[ti) guardando non guardano e ascoltando non ascoltano n comprendono (13,13). Per Mt i giudei non sono esclusi dalla storia della salvezza, ma per levangelista la benedizione che raggiunger tutti gli uomini non passa dora in avanti attraverso Israele. Il popolo eletto ha rifiutato il suo Messia. Il privilegio di Israele non negato, ma appartiene al passato. In questottica il racconto di Mt si presenta come uneziologia della rottura tra la comunit cristiana e la sinagoga (MARGUERAT, 1999b: 19): fornisce, insomma, la cronaca di una rottura annunciata. Se vogliamo capire la contraddizione stridente tra lanatema sferzante contro Israele e limpostazione, secondo cui lamore del prossimo si designa come la quintessenza della Tora (5,21-48; 7,12; 22,34-40), dobbiamo tenere presente lesperienza vissuta dellevangelista, la quale unesperienza di sofferenza (cf. 5,11-12; cap. 10). La comunit ha vissuto lesclusione dalla sinagoga, dal giudaismo sempre pi impregnato dal farisaismo. I giudeo-cristiani, cui si rivolge levangelista, vennero annoverati tra i minim, tra gli eretici, asserisce Marguerat, il che spiegherebbe lacerba invettiva di Mt contro la sinagoga. Tuttavia dobbiamo notare: si suole dire che la prova della rottura con la sinagoga si trova nella 12a ampliata (che si chiama Birkat haMinim) delle diciotto Benedizioni (Shemone esre). Il termine ebraico mn tipo, variet nel senso figurato indicava colui che devia (dalla linea del giudaismo). In Gv il termine avposuna,gwgoj (9,22; 12,42; 16,2) si riferisce a questa situazione di rottura. Facile per esagerare limportanza della Birkat ha-Minin nel rapporto giudeo-cristiano. vero che c un consenso che proprio a Jamnia sia stata introdotta la maledizione contro i minim, rimane, per, incerto chi fossero i minim: Non ci sia speranza per gli apostati, periscano i nazareni ( ~yrcnh) e i minim (~ynymh). I nazareni sembra riferirsi ai cristiani, per ci sono parecchi studiosi che lo ritengono unulteriore aggiunta (J. JOCZ, The Jewish People and Jesus Christ: A Study in the Controversy between Church and Synagogue, London 1962, 56s). Il termine minim originariamente aveva un significato largo: gli eretici, e solo pi tardi, circa il 180-200 d.C.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

104

veniva usato con il significato cristiani come eretici per eccellenza (R. KIMELMAN, L. H. SCHIFFMAN). Come fa osservare G. STEMBERGER (Il giudaismo classico: cultura e storia del tempo rabbinico dal 70 al 1040, Tradizione dIsraele 7, Roma 1991, 261s): Chi si intenda con questo termine deve venire desunto di volta in volta dal contesto. Sicuramente con questa espressione possono essere intesi cristiani, gnostici e altri; e per impossibile decidere per luna o per laltra soluzione. Per capire dunque le parole estremamente dure da parte di Mt dobbiamo immaginarci una comunit traumatizzata e fragile, cui stata strappata la sua tradizione, una chiesa locale che sta cercando e progettando il proprio futuro. importante notare (MARGUERAT, 1999b: 20) che la Chiesa non si rivendica i privilegi di cui Israele stato privato. La Chiesa non si chiama nuovo Israele (cf. 21,43). Oltre ci, nel Primo Vangelo non ci si dilunga nellesempio negativo dei farisei con sentimenti di vendetta. I farisei servono piuttosto da un contro-modello (contre-modle) per avvertire la Chiesa al pericolo, il quale anche per essa sempre in agguato (cf. laggiunta redazionale alla parabola delle nozze regali: 22,11-14). Lantigiudaismo da parte di Mt dunque una questione storica prima di essere una questione teologica. Per valutarlo in un modo giusto dobbiamo situarlo nel suo sviluppo storico. Marguerat distingue tre stadi: 1) Mt redige il suo vangelo; la sua chiesa stata appena escluso dalla sinagoga; Mt reagisce utilizzando larsenale familiare della controversia; siamo attorno al 70 d.C.; 2) apertura per la missione tra i pagani dalla parte delle comunit matteana; una volta abbandonata la matrice originale della controversia, la polemica acquisisce uno stato nuovo: non giustifica pi lidentit di una setta giudaica, ma legittima un sistema religioso separato dalla sinagoga; solo a questo momento si pu parlare di antigiudaismo; 3) siamo verso la fine del sec. II., quando il canone del NT si afferma; il vangelo ormai un testo normativo per lidentit cristiana; il testo serve per denigrare i giudei. Questultimo stadio per fa gi parte della ricezione del testo. 5.3.2. Luca Per quanto riguarda lopera lucana, il rapporto tra giudei e cristiani ivi raffigurato divenuto oggetto di un acceso dibattito da partire degli anni ottanta (MARGUERAT, 1999c: 24; cf. ID., ed., Le dchiremenet: Juifs et chrtiens au premier sicle , MdB 32, Genve 1996, 151-178; M. RESE, The Jews in Luke-Acts: Some Second Thoughts, in J. Verheyden, 1999: 165-183). La causa di questa discussione che Lc-At lo scritto del NT in cui ci si imbatte le pi difficolt, se si cerca di discernere, come viene articolato, valutato questo rapporto. Considerando il tragitto da Gerusalemme fino a Roma che si profila nei 52 capitoli di Lc-At dobbiamo tirare la conclusione, che Luca ha voltato le spalle al giudaismo per aprirsi verso Roma e verso il paganocristianesimo? Oppure, riformulando la domanda: il cristianesimo secondo Luca si costruisce sul ripudio del giudaismo?

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

105

Innanzitutto si deve fare una distinzione sempre da rispettare (cf. MARGUERAT 1999c: 24 n2): al livello della storia raccontata da Luca, la quale si svolge dagli anni trenta fino agli anni sessanta, il cristianesimo e il giudaismo non costituiscono due entit separate, n teologicamente, n sociologicamente; il cristianesimo non altro che una setta allinterno del giudaismo (unai[resij come i farisei o i sadducei cf. At 5,17; 15,5 24,4-14; 26,5 28,22). Le questioni che ci siamo appena poste acquisiscono la loro pertinenza al livello della narrazione della storia, cio al tempo di Luca, negli anni ottanta circa, poich a questo momento il cristianesimo, cui si rivolge lautore, si gi separato, pur non ancora in un modo irreversibile, dalla sinagoga (At 13,5; 14,1; 17,1.17). Alcuni (e.g. il commento monumentale di E. HAENCHEN, 1956) leggono Lc-At come una storia di un duplice fallimento: n Ges, n gli apostoli sono riusciti a convincere Israele che Dio aveva aperto un nuovo orizzonte nella storia della salvezza. Nessun altro scritto del NT accusa cos severamente i giudei con la morte di Ges: At 3,14-15; 4,27; 7,51-53; Paolo non appena convertito minacciato di morte da parte dei giudei (9,23); i quali non smettono mai avvalendosi di qualsiasi metodo, legale o illegale che sia di tentare di eliminare Paolo (13,45.50; 14,2-5; 14,19; 17,5-8; 18,6.12-13; 23,12-22; 24,1-8; 25,5) fino al momento, quando quasi, quasi lo linciano nel Tempio di Gerusalemme (21,27-36); Il finale degli At (28,28), secondo questa lettura, sarebbe un vero e proprio addio a Israele murato nel suo rifiuto irrigidito;

Questo modo di interpretare lopera lucana non rimasto incontestato. La prima critica venuta da J. JERVELL (Das gespaltene Israel und die Heidenvlker: zur Motivierung der Heidenmission in der Apostelgeschichte, ST 19 (1965) 68-96 = The Divided People of God: The Restoration of Israel and Salvation for the Gentiles, in ID., Luke and the People of God: A New Look at Luke-Acts, Minneapolis 1972, 41-74): La missione tra i pagani non deriva dal fallimento della missione tra i giudei, bens dal parziale successo di questultima. La chiesa non un nuovo Israele, ma un prolungamento di Israele, poich le promesse date allIsraele antico si sono almeno parzialmente adempiuti, siccome una parte considerevole del popolo eletto si convertita; Luca dunque si da da fare per collegare la chiesa con Israele; perci la salvezza offerta ormai anche ai pagani viene raffigurato sin dallinizio come ladempimento delle Scritture (Lc 2,32 cf. W. RADL, Die Beziehungen der Vorgeschichte zur Apostelgeschichte, dargestellt an Lk 2,22-39, in J. Verheyden, 1999, 297-311). At 21,20 mette in risalto: quante migliaia di Giudei hanno abbracciato la fede, e tutti sono zelanti osservatori della legge. I primi cristiani si considerano come una parte integrante di Israele (At 1-5); Paolo, da parte sua, metter in rilievo a ogni pie sospinto la sua ubbidienza scrupolosa alla Legge di Mos (16,3; 21,20-26; 24,14); e rivendica a pi riprese la sua identit giudaica (22,3); I discorsi missionari mettono a fuoco il perdono offerto ai giudei (2,37; 3,19; 7,60; 13,38-39 cf. latteggiamento di Ges in Lc 23,28.34).

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

106

Dopo aver preso in considerazione queste due maniere di ragionamento MARGUERAT (1999c: 26) arriva a una conclusione sconcertante: ambedue le letture sono propugnabili, poich entrambe hanno punti dappiglio nel testo. Secondo Marguerat non necessario affatto scegliere tra queste due immagini, poich la raffigurazione del giudaismo nellopera lucana non si lascia ridurre ad unequazione semplice. In altre parole, la tensione fa parte della presentazione di questo rapporto che troviamo in Lc-At. Invece di eliminare, dobbiamo interpretarla teologicamente (cf. F. BOVON, tudes lucaniennes: Rtrospective et prospective, RThPh 125 [1993]). Se del giudaismo Luca avesse voluto profilare unimmagine esclusivamente negativa, allora perch lha tratteggiata cos complessa? Perch insiste sulla conversione di molti della diaspora? Perch si parla della missione pagana in un modo dettagliato soltanto due volte (14,818; 17,16-34)? Dallaltro canto, se Luca considerava il cristianesimo come la continuazione della storia di Israele, allora perch denigrare cos tenacemente i giudei (la loro aggressivit verso gli apostoli [capp. 3-5], verso Stefano [cap. 7], verso i cristiani di Gerusalemme [cap. 8], verso Pietro [cap. 12], e verso Paolo [capp. 13-26])?

La rottura con la sinagoga: 28,16-31. Lo scenario simile a quello delle precedenti missioni (At 13,42-52; 14,1-7; 17,1-9; 17,10-14; 18,1-10; 19,8-10). Nellultima pericope degli Atti per si trovano due punti di divergenza dallo schema: la predicazione di Paolo a Roma non viene rifiutata cento per cento da parte dei giudei, e il distacco si verifica in due momenti consecutivi (28,22.24). Secondo J. DUPONT (La conclusion des Actes et son rapport lensemble de louvrage de Luc, Nouvelles tudes sur les Actes des aptres, LD 118, Paris 1984, 457-511 [tr. it]) il medesimo schema si trova gi prima in 13,12-52 (le due fasi sono: 1/ vv. 38.43; 2/ vv. 44.50). Vediamo pi da vicino questepisodio: le cause della rottura: da notare, che non la lettura cristologica del Ps 2 a scattare il disaccordo (13,33), bens il fatto che tutta la citt si raduna attorno ai missionari (v. 44), e il successo dei missionari (v. 48). La moltitudine (tutta la citt) si spacca in due: da un lato, ci sono i giudei, dallaltro la folla (pagani, timorati di Dio, gente non accolta nella sinagoga). Luca indica che non si tratta semplicemente di uno scatto di gelosia. La causa della divisione che la parola del Signore si diffonde anche tra i pagani, il che insopportabile per i giudei di Antiochia. Come interpreta Paolo il rifiuto (13,46-47)? Come reagiscono i missionari? At 13,51 da paragonare con Lc 9,5 e 10,11 (cf. At 18,6). Le sue parole dure a questultimo versetto egli scosse la polvere dalle vesti dicendo loro: Il vostro sangue cadr sul vostro capo: io non ne ho colpa. Da questo momento andr dai pagani non equivalgono a una maledizione, ma imputano la responsabilit ai giudei. La cosa pi sorprendente che dopo la rottura troviamo i missionari di nuovo nella sinagoga: 14,1; 18,8. Con questapparente incoerenza nel comportamento di Paolo, Luca non intende dipingere un ritratto dellapostolo impulsivo, che dopo uno scatto dira si pente. Questatteggiamento ci conduce al centro del concetto lucano sul popolo di Dio. I pagani, secondo Luca, non prendono il posto di Israele nel piano di Dio; ma si aggregano a questo popolo, il quale ormai ha

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

107

delle dimensioni mondiali. per questo che Paolo ritorna sempre alla sinagoga. Lapertura verso i pagani non deruba Israele di nulla. Anzi, secondo Luca questapertura nientaltro che ladempimento delle profezie, di cui Israele sta privando s stesso. Anche da questo punto di vista c un cospicuo parallelo tra Lc 4,16-30 e At 13,13-52. Luca infatti modella la figura di Ges secondo la tipologia del profeta rigettato (cf. D. P. MOESSNER, Paul in Acts: Preacher of Eschatological Repentance to Israel, NTS 34 [1988] 96-104; Moessner dimostra come Luca raffiguri Ges e Paolo con laiuto del modello profetico secondo la tradizione deuteronomista; cf. Lc 11,37-54; 13,31-35; 19,11-27; At 13,40-46; 18,6; 28,25-28). MARGUERAT rileva unaltra duplicit nella raffigurazione dei giudei. Bisogna distinguere due cose: c il livello discorsivo, cio i discorsi missionari, dove si sottolinea la colpabilit dei giudei nella morte di Ges (At 2,36; 3,14-16; 4,10; 5,30; 7,52; 10,39; 13,27-28), e dallaltro, il livello narrativo, dove lo scontro tra le autorit giudaiche e i missionari viene messo in risalto. Se si fa unindagine sul rapporto tra Ges e il popolo giudaico, non consigliabile, dice MARGUERAT (1999c: 30) prendere le figure degli scribi e dei farisei come rappresentanti del popolo. La loro ostilit scatta presto (Lc 5,21) e rimane sempre feroce. Se vogliamo ricavare limmagine che Luca ha forgiato di Israele nella sua opera, pi utile guardare come levangelista raffiguri la folla e il popolo. Da questo punto di vista la scena introduttiva dellattivit pubblica di Ges (Lc 4,16-30) si rivela paradigmatica per tutta lopera (cf. FLICHY, 2000: 31-37). Il comportamento della folla si cristallizza in due momenti susseguenti: prima la moltitudine si stacca dai suoi leader e accoglie favorevolmente Ges, per in un secondo momento sidentifica con i suoi capi: risposta/accoglienza favorevole da parte del popolo/della folla: 4,42; 5,1.15.26; 6,1719; 7,16s; 8,19.40; 9,43; 10,39; 15,1s; 18,43; 19,48; 20,19.26; 22,2.6; il che risulta come un cospicuo contrasto allatteggiamento dei leader: 5,21.26; 13,17; 15,1-2. Una reazione consimile si verifica nei confronti di Giovanni Battista: 7,29-30. Davanti a Pilato la medesima folla sgrida: A morte costui! (23,18 cf. 23,4-5.13. 2123). 23,48: dopo la morte di Ges, la folla si ripente. Sar un segnale da parte dellevangelista che egli rappresenta la folla come vittima della manipolazione dei suoi capi? Non lo si pu escludere, afferma MARGUERAT (1999c: 31). da notare per che nei discorsi degli Atti sia Pietro (3,15; 4,10; 7,52) sia Paolo (13,27) amalgamano il popolo e i suoi capi.

Negli Atti siamo di fronte a un interessante cambiamento. Nei primi capitoli i vocaboli popolo, folla abbondano (1,15; 2,47; 3,9.11.12; 4,1.2.10.17.21; 6,7). Il termine giudei quasi assente nei primi otto capitoli (2,5.11), mentre da partire del cap. 13 sovrabbonda, e sempre con connotazioni negative. Che cosa si cambiato da trasformare il rapporto idillico tra giudaismo e cristianesimo in isteria collettiva. Sono pi espliciti in merito gli Atti del vangelo: le prime crepe si aprono nella vicenda di Stefano: 6,8-8,1; 7,48: Altissimo non abita in edifici eretti da mano duomo. In altri termini, non si pu confinare Dio in Israele. Cornelio: 10,1-11,18. da rilevare che da nessun parte negli Atti si trova cos forte lirruzione del soprannaturale negli avvenimenti. La critica di Stefano contro il

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

108

confinamento di Dio al Tempio riceve qui un corollario soteriologico (10,28: Voi sapete che non lecito per un giudeo legarsi a uno straniero o aver contatto con lui. Ma a me Dio ha insegnato a non chiamare nessun uomo profano o immondo); cf. le parole di Paolo: la salvezza raggiunger le estremit della terra (13,47). La rivelazione sta dunque al centro del conflitto: la risurrezione di Ges significa che la santit di Israele si allarga a tutto il modo, e diventa abbordabile per tutti. Questo per non implica che Luca abbia unimmagine completamente negativa di Israele, che per lui Israele si trovi in una via senza uscita. Il finale dellopera dimostra che limpostazione di Luca molto pi sfumata. In questa ultima sezione (capp. 21-28) Luca ci presenta quattro apologie di Paolo (cap. 22 davanti al popolo di Gerusalemme; cap. 23 davanti al sinedrio; cap. 24 davanti a Felice; cap. 26 davanti al re Agrippa). LApostolo rifiuta le accuse, e si dichiara la sua appartenenza al popolo santo, e sottolinea il suo attaccamento alla tradizione dei padri. Paolo sidentifica come fariseo (23,6) e gli stessi farisei lo riconoscono come uno di loro (23,9). La fede cristiana secondo Paolo riassume la parte migliore del giudaismo. E per quanto sembri strano, a rappresentare questa parte sono i farisei. Uno sviluppo curioso: avversari accaniti dal primo momento (Lc 5,21) vengono esonerati: infatti, non figurano mai tra i responsabili della morte di Ges (Lc 22-23); e poi difendono gli apostoli (At 5,33-39; 22,3; 23,1-10). La fine degli Atti un vero crux. Ma quanto riguarda il rapporto con il giudaismo, non si tratta qui n di trionfo, n di maledizione, bens semplicemente di constatare linsuccesso della missione apostolica: 28,27a. Paolo per riceve tutti che vengono da lui (28,30). In altri termini, afferma MARGUERAT (1999c: 35), Luca avrebbe voluto lasciare aperto il suo dossier sul giudaismo. Perch questambivalenza da parte di Luca nei confronti del giudaismo? Nel racconto la rottura avviene sempre in seguito di una decisione da parte dei giudei, mai alliniziativa dei cristiani. THEISSEN (Theory, 182) del parere che secondo Luca era la missione fra i pagani a scattare il rifiuto giudaico di non accettare il messaggio cristiano. Storicamente parlando, dice il Theissen, le cose sarebbero andate a rovescio: dispensando i gentili dalla circoncisione e dalle regole alimentari, la missione cristiana ha messo in questione lidentit giudaica, e ha fatto scattare lopposizione del giudaismo in modo che le comunit cristiane composte di convertiti del paganesimo a mano a mano si allontanavano dal giudaismo. Come tutte le opere di storiografia anche Lc-At verte sulla questione didentit (cf. AUNE, 1987: 136ss). Luca non lascia adito ai dubbi: le radici del cristianesimo sono nella storia del popolo eletto e nelle su scritture; ma allo stesso tempo attribuisce tutta la responsabilit ai giudei per la rottura. Tuttavia, non denigra mai il giudaismo.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

109

6. IL GENERE LETTERARIO DEI VANGELI J. N. ALETTI, Larte di raccontare Ges Cristo: La scrittura narrativa del vangelo di Luca , Biblioteca Biblica 7, Brescia 1991 [orig. fr.]; E. AUERBACH, Mimesis: Il realismo nella letteratura occidentale, I-II, Piccola biblioteca Einaudi 49, (cap. 2); D. E. AUNE, The New Testament in Its Literary Environment, Library of Early Christianity 8, Philadelphia 1987; F. BOVON, The Synoptic Gospels and the Noncanonical Acts of the Apostles, HTR 81 (1988) 1936; R. A. BURRIDGE, About People, by People, for People: Gospel Genre and Audience, in R. BAUCKHAM, ed., The Gospels for All Christians: Rethinking the Gospel Audiences , Edinburgh 1998, 113-145; H. J. CADBURY, Commentary on the Preface of Luke, in F.J.F. JACKSON K. LAKE, ed., The Beginning of Christianity, Part I, The Acts of the Apostles , vol. II, Prolegomena II, London 1922, 489-510; G. DOWNING, Theophiluss First Reading of Luke-Acts in C. M. TUCKETT, ed. Lukes Literary Achievement, JSNTS 116, Sheffield 1995, 91-109; V. FUSCO, Tradizione evangelica e modelli letterari, BeO 27 (1985) 77-103; ID., Le titre vangile comme phnomne de rception, in L. PANIER, Le temps de la lecture: Exgse biblique et smiotique, FS J. Delorme, LD 155, Paris 1993, 325-336; R. GRYSON, propos de Papias sur Matthieu: Le sens du mot logion chez les Pres du second sicle, ETL 41 (1965) 530-547; R. HEARD, The apomnmoneumata in Papias, Justin and Irenaeus, NTS 1 (1954/55) 122-129; M. HENGEL, La questione giovannea, Studi biblici 120, Brescia 1998; H. KOESTER, From the Kerygma-Gospel to Written Gospel, NTS 35 (1989) 361-381; A. D. LEEMAN, Orationis ratio: teoria e pratica stilistica degli oratori, strorici e filosofi latini, Bologna 1974 (orig., ted.); F. MOSETTO, I miracoli evangelici nel dibattito tra Celso e Origene , Roma 1985; C. F. D. MOULE, The Function of the Synoptic Gospels, in E. GRSSER O. MERK, ed., Glaube und Eschatologie, FS W. G. Kmmel, Tbingen 1985, 199-208; N. PERRIN, The Literary Gattung Gospel, ExpT 82 (1970) 4-7; A. PITTA, Vangelo ed epistolario paolino, PSV 43 (2001) 171-184; G. SEGALLA, Evangelo e vangeli: Quattro evangelisti, quattro Vangeli, quattro destinatari, La Bibbia nella storia 10, Bologna 1993; C. H. TALBERT, What Is a Gospel?, Philadelphia 1977; D. TOVEY, Narrative Art and Act in the Fourth Gospel , JSNTS 151, Sheffield 1997; P. TREMOLADA, Il poemio al vangelo di Luca (Lc 1,1-4), PSV 43 (2001) 121-135; W. S. VORSTER, Gospel Genre, ABD II/ 1077-1079; J. ZUMSTEIN, Le precessus de relecture dans la littrature johannique, ETR 73 (1998) 161-176. 6.1. Introduzione Controllando sia la produzione, sia la ricezione dei testi, il genere letterario svolge un ruolo rilevante nella loro comprensione. Per interpretare adeguatamente i vangeli dunque di importanza vitale che si chiarisca a quale genere letterario essi appartengano. In altre parole, bisogna precisare con quali aspettative ci si possa/debba avvicinare a questi scritti, a quali domande intendano rispondere e quali quesiti invece ignorino il loro genere letterario, e posti con una certa insistenza dimostrano che i vangeli oppure la Bibbia in generale non rispondono alle nostre ricerche, ad esempio, storiche; o addirittura vengono bollati come inattendibili, mentre si tratta semplicemente del fatto che non corrispondono alle nostre aspettative, ovverosia non si conformano alle nostre convenzioni letterarie. Questo fraintendimento, o forse sarebbe meglio parlare di un dialogo tra sordi, si verificato in modo cospicuo e chiassoso nella questione della storicit dei vangeli.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

110

A prescindere da alcuni brani i vangeli si presentano come narrative. Il TOVEY, nel suo libro (1997: 207) sullarte narrativa del Quarto Vangelo, mette in evidenza che la narrativa contiene un continuo di generi, nei quali non si pu individuare evidenziatori linguistici ( linguistic markers), i quali caratterizzano inequivocabilmente un discorso come fittizio (fictional). Sulla scia di S. Lauser il Tovey provvede il seguente asse, il quale raffigura la gamma dei diversi discorsi narrativi: Cronaca (storia) Invenzione (parodia) Secondo il Tovey il Quarto Vangelo e la sua osservazione pu estendersi anche agli altri vangeli un testo mostra (display text), ovverosia rappresenta un tipo di discorso narrativo, il quale racchiude diversi generi letterari. Stando ai criteri moderni i vangeli si situano fra storia (history/report) e fiction (fig.10, p.222). Nellantichit si ebbe una tipologia, la quale corrisponderebbe allo schema moderno: 1. historia (alths historia), cio un rapporto accurato delle cose accadute; 2. plasma (argumentum/hs alths historia) una storia, una situazione immaginata, la quale, per, facilmente sarebbe potuta succedere; 3. mythos (fabula/pseuds historia), una narrativa che non vera, e nemmeno si approssima ad avvenimenti reali (p.273; nella pressi per, queste categorie si accavallarono; cf. AUNE, 1987: 83). Secondo il TOVEY in questa tipologia il genere letterario vangelo andrebbe collocato fra historia e plasma. Per definire il genere letterario vangelo il FUSCO (1985:85) afferma che il punto da chiarire se le analogie con le forme storico-biografiche sono tali da esigere lattribuzione del vangelo al medesimo genere letterario, o se viceversa le differenze siano tali da esigere che si riconosca in essi un genere letterario nuovo. Chiedersi se un testo appartenga ad un certo genere, equivale a chiedersi se quel testo, attraverso i molteplici segnali contenutistici e formali che invia al lettore, susciti in lui certe reminiscenze, associazioni, aspettative, chiavi di lettura, che lautore prevede e sulle quali fa affidamento per sortire gli effetti desiderati. Storia accademica Storia giornalistica Biografia Autobiografia Narrativa informale Resoconto di un testimone oculare o un altro tipo di rapporto vero Realismo, in modo particolare romanzo storico Verit fittizia Immaginazione Forme parodiche/parassitarie

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

111

6.2. I vocaboli nei LXX, in Filone Alessandrino e in Giuseppe Flavio Il termine euvagge,lia nei LXX (sempre al plurale) traduce il vocabolo ebraico besrh (hr'foB.) e significa, da un lato la ricompensa per lannuncio di una vittoria (2Sam 4,10; 18,22; cf. OMERO, Odissea 14,152), e dallaltro, lannuncio di una buona notizia (2Sam 18,20.25.27; 2Re 7,9). Il termine per non riveste un significato teologico n nella BH n nei LXX. Per quanto riguarda il verbo ( euvaggeli,zw), nei testi pi tardivi troviamo unaccezione nettamente pi religiosa: Is 52,7; 60,6; 61,1; Na 2,1; Sal 96,2. In OMERO ma anche in PLUTARCO il sostantivo significa ricompensa per una buona notizia, soltanto dal sec. II.d.C. in APPIANO e in LUCIANO appare laccezione buona/lieta notizia. Non si pu, dunque, parlare di derivazione dallambiente ellenistico a livello semantico (SEGALLA, 1993: 11). Si chiamata in causa liscrizione rinvenuta a Priene (Asia Minore) che risale allanno 9 a. C. Si tratta di un calendario, dove viene riportato la data di nascita dellimperatore Cesare Augusto: Il giorno natale del dio fu per il mondo linizio, per mezzo di lui, dei buoni annunci ( euvagge,lia) (Il testo completo delliscrizione si trova nella SIG 458; cf. R. PENNA, Lambiente storico-culturale delle origini cristiani, Bologna 1984, 147). Possono essere rilevati i seguenti elementi che corrispondono allaccezione di vangelo nel NT: Augusto viene chiamato salvatore; c un aspetto religioso; come pure rilevabile laspetto narrativo-biografico. Tuttavia, qui il termine lo troviamo al plurale invece del singolare. Il contenuto pure diverso: nelliscrizione laspetto dominante quello politico. FILONE ALESSANDRINO usa il verbo parlando del fatto che quando Caio Caligola ottenne limpero gli ebrei di Gerusalemme furono i primi a congratularsi con lui, e che dalla loro citt part la buona novella (Legatio ad Caium 32,231: kai. avpo. th/j h`mete,raj po,lewj euvaggelioume,nh pro.j ta.j a;llaj e;dramen h` fh,mh ; [Les Oeuvres de Philon dAlexandrie 32; Introduction, traduction, notes A. PELLETIER, Paris 1972]). FLAVIO GIUSEPPE si serve del sostantivo al singolare una volta sola nel senso di buona notizia, al plurale significa da lui la nomina di un nuovo imperatore (BJ 4,618). Cos, conclude il Segalla, per la scarsit dei testi profani rispetto alla ricchezza di quelli del NT, e per il significato banale o al massimo politico-religioso che contengono, e per il fatto che nel NT non si ha mai un confronto polemico su questo punto con lambiente greco-romano, che risulta chiaro, che non si pu derivare la valenza semantica che il vocabolo ha nel NT dallambiente greco-romano. probabile, per, che i lettori greci lo comprendessero a partire dalluso abituale da loro: dovremmo distinguere previamente fra la possibile accoglienza dei vangeli in ambienti ellenistici e linflusso letterario delle biografie ellenistiche sui vangeli (SEGALLA, 1993: 19). Secondo il Segalla non vi sono prove serie nemmeno per far derivare il sostantivo dallambiente giudeo-palestinese. Bisogna per tenere ben distinte le seguenti due domande: 1) se il termine vangelo derivi

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

112

dallambiente greco-romano; e 2) se i vangeli siano opere veramente sui generis, oppure rientrino in qualche genere letterario dellambiente in cui sono nati.

6.3. La terminologia nel NT Sost. Verbo Mt 4 1 Mc 8 0 Lc 0 10 Gv 0 0 At 2 15 Paolo 60 21 Eb 0 2 1Pt 1 3 Ap 1 2 Totale 76 54

Luso pi antico del sostantivo e del verbo lo troviamo in Paolo. Il sostantivo assume nelle sue lettere il ruolo di un terminus technicus, il quale significa sia la proclamazione apostolica, sia il contenuto di essa. Non si trova, per, unenunciazione stabile ( fixed formulation) del contenuto evangelico (KOESTER 1989: 362). Ciononostante, afferma il KOESTER, bisogna riconoscere che ci sono alcuni brani con formulazioni derivanti dal kerygma: e.g. 1Tess 1,9-10; 1Cor 15,1-5. Tuttavia si deve sottolineare che, sebbene Paolo enfatizzi il ricevere e il trasmettere in questultimo passo, ci non equivale a dire che il contenuto del vangelo fosse stato gi stabilito. Paolo asserisce che il suo vangelo il vangelo comune della Chiesa, eppure da notare che la formula riportata in 1Cor 15,1-5 oppure altre dichiarazioni formulari, Paolo non le ripeter. Neanche nelle lettere deutero-paoline o negli Atti si cerca di definire il contenuto del vangelo in termini di una serie di avvenimenti. Daltra parte, le formulazioni stabilite del credo non vengono mai chiamate vangelo, il cui contenuto sembra essere presupposto: il messaggio di salvezza predicato da Paolo e in modo particolare la sua predicazione ai pagani (At 15,1; 20,24; Ef 3,6.8; 2Tim 1,8.10; 2,8). PITTA (2001: 173ss) sottolinea: nel corpus paulinum il genere epistolare antico, allepoca gi abbastanza standardizzato e protocollare, subisce una totale revisione. Non soltanto viene arricchito di nuove parti come i ringraziamenti e le lunghe esortazioni morali ma personalizzato, poich viene inteso come forma di evangelizzazione. Pitta (2001: 184) conclude: Prima di stabilire le caratteristiche del genere letterario vangelo, opportuno ricordare che il primo vangelo tramandatoci quello comunicato attraverso le lettere paoline che, in modi diversi, spiegano e applicano le implicazioni personali e comunitarie della morte e della risurrezione di Ges Cristo. A questo punto per bisogna mettere a fuoco come lo fanno, a pi riprese con argomenti martellanti, gli autori del volume, The Gospels for All Christians che originariamente i vangeli, a differenza delle lettere paoline, non si indirizzarono a comunit locali con problemi particolari; e di conseguenza, non lecito identificare la chiesa locale, in cui un vangelo nato con la chiesa locale per la quale si sarebbe scritto; come, invece, vorrebbero alcuni fautori dellanalisi della redazione (Redaktionsgeschichte, Redaction criticism; cf. BAUCKHAM, 1998: 27-30 e passim).

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

113

Nessuno dei vangeli canonici si riferisce a s stesso con il nome vangelo. In altre parole sono aperti alla ricezione da parte dei lettori. Daltronde, ci sono numerosi scritti, in cui la designazione vangelo appartiene al testo originale, tuttavia non sono canonici (i vangeli apocrifi). Infatti, nei primi cinque secoli gli autori cristiani hanno etichettato circa cinquanta opere col titolo vale a dire con un genere letterario vangelo. Secondo HENGEL (1998: 193) il titolo del Quarto Vangelo (euvagge,lion kata. Iwa,nnhn) appartiene al testo del vangelo. stato inserito dai discepoli dellautore perch era necessario per la pratica liturgica. Il fatto che non ci siano delle varianti del titolo rafforzerebbe questipotesi. Eppure, il BOVON (1988: 23) rifiuta lottimismo di Hengel, e afferma, che da un canto bisogna ammettere che i vangeli del NT nei manoscritti pi antichi ebbero titoli, ma dallaltro canto, i titoli che hanno (vangelo secondo) il risultato finale di un processo di stabilizzazione testuale, e quindi sono secondari. KOESTER accetta lopinione di Hengel che i vangeli dovettero circolare con il nome di un autore specifico, ritiene, per, inverosimile che questo titolo originale equivalesse con quello pi tardivo: euvagge,lion kata./vangelo secondo. Egli del parere che i titoli dei vangeli canonici risalgano a una data pi tardiva, cio nella seconda met, anzi forse nellultimo decennio del sec. II. Secondo lo ZUMSTEIN (1998: 163) il titolo deve derivare dalla prima met del sec. II, poich lo troviamo in P 66.75 (il P66 del sec. II. e insieme a P52 e P90 contiene un segmento del racconto della passione. Questa triplice attestazione del Quarto Vangelo in Egitto del tutto eccezionale; il P 75 risale al sec. III.), e pu considerarsi come la prima manifestazione del processo di rilettura ( relecture). Ulteriori manifestazioni di questo processo sarebbero le lettere giovannee, e nel corpo del Quarto Vangelo il prologo (1,1-18) e lepilogo (cap. 21). Per quanto riguarda il concetto rilettura, lo Zumstein la definisce cos (1998: 162): si tratta di rilettura quando un testo primario suscita la formazione di un testo secondario, e questultimo sar comprensibile soltanto nel suo rapporto al testo primario. (Si potrebbero aggiungere altri esempi dalla letteratura: e.g. le tragedie classiche rileggono il mito; CERVANTES e i romanzi cavallereschi; il vangelo e Il Maestro e Margherita di BULGAKOV) Il titolo come tale sempre una presa di posizione globale nei confronti di un opera, e costituisce nel processo della lettura la prima tappa dellinterpretazione. In un modo o nellaltro esso attesta alla messa in circolazione dellopera. Ha una funzione appellativa (fonction appellative), cio permette di identificare lopera nella sua individualit; e una funzione referenziale (rfrentielle), ovverosia indica il contenuto dellopera. Bisogna riconoscere che i vangeli canonici costituiscono una distinta classe di testi ( class of texts). Secondo alcuni studiosi Mc avrebbe creato il nuovo genere letterario vangelo, anzi, la sua opera sarebbe lunico esempio di questo genere nel NT (questa lopinione di N. PERRIN): la storia della passione con una lunga introduzione. Questa definizione sembra troppo limitativa. difficile concepire che lestensione di un genere letterario coincida con unopera singola. Del

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

114

resto, non pare giusto neppure chiamare quella parte del vangelo di Mc che precede il racconto della passione semplicemente come introduzione. Mt, da parte sua, sarebbe una composizione di discorsi di tipo halak e di discorsi apocalittici inseriti in una struttura narrativa. Lc, invece, avrebbe scritto una vita, seguendo lideale della storiografia ellenistica, mentre in Gv troviamo un intreccio di discorsi rivelatori e dei smeia. Tuttavia tenendo presente il carattere narrativo dei vangeli sembra inaccettabile largomentazione che loro non appartengano allo stesso genere letterario. Secondo il VORSTER (1992: 1078), nel 900 la ricerca sul genere letterario dei vangeli si svolgeva allinsegna del modello evolutivo, secondo il quale il vangelo sarebbe stato il risultato finale del cherigma, e le sue strutture basilari sintravedono in Mc 1,14-15; At 10,34-43; Fil 2,6-11; Rom 1,3-4. Vorster, da parte sua, mette in guardia contro questo modello, e asserisce che con lo sviluppo del cherigma si pu spiegare la crescita della tradizione, ma questo non chiarisce affatto le caratteristiche del vangelo quale genere letterario. Egli stesso segue il modello analogico: i diversi testi si contraddistinguono a seconda di come si organizzano seguendo diversi paradigmi contenutistici e formali. Cos si rivelano delle somiglianze fra il vangelo da un lato e le biografie antiche dallaltro, e in modo particolare ci sarebbe stata affinit con la biografia laudativa (encomium). Secondo il Vorster, metodologicamente parlando dobbiamo tenere separati i due aspetti della ricerca: la domanda, chi avr scritto il primo vangelo, una questione storica; mentre la domanda, come possiamo definire il genere vangelo, una questione letteraria. C. H. TALBERT studia le biografie antiche e le classifica in cinque categorie: a) presentare un modello di vita da seguire, da imitare b) apologia: correggere la false idee sopra un individuo (Mc?; Lc?) c) discreditare e ridicolarizzare un personaggio d) rassicurare i discepoli e rispondere alla domanda inquietante: dov adesso la voce del maestro? (Lc?; Gv?) e) ermeneutica: si scrive la vita di un personaggio per rappresentare il suo pensiero (Mt?; Gv?; per una critica vedi AUNE, 1984: 9-60) In alcune pagine illuminanti E. AUERBACH, analizzando il rinnegamento di Pietro in Mc, conclude che non possibile inserire il vangelo nei generi letterari dellantichit. Qui Pietro viene tratteggiato come una figura tragica. E questo incompatibile con il canone della letteratura antica, secondo le cui norme una persona proveniente dal ceto inferiore della societ non poteva venire raffigurato come un eroe tragico. Eppure il vangelo di Mc fa appunto questo: Pietro un eroe fragile, il quale prende la sua forza drammatica dalla sua debolezza. Lepisodio del rinnegamento di Pietro troppo serio per la commedia, troppo comune e quotidiano per la tragedia, dal punto di vista della storiografia, invece, troppo insignificante. Mt 1,1 Bi,bloj gene,sewj VIhsou/ Cristou//Libro della genealogia di Ges Cristo non un titolo. Mc 1,1 VArch. tou/ euvaggeli,ou VIhsou/ Cristou/ /Inizio del vangelo di

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

115

Ges Cristo si riferisce allannunzio orale della salvezza, significa linizio storico. Se il genitivo VIhsou/ Cristou/ lo consideriamo come un genitivo oggettivo, allora si riferisce alla predicazione cristiana (cf. Mc 1,10; 8,35; 10,29; 14,9), se invece prendiamo come genitivo soggettivo, si riferisce alla predicazione di Ges stesso (cf. 1,14s). Tuttavia in nessun caso pu considerarsi come un titolo (FUSCO, 1993: 327). Bench il termine euvagge,lion qui non indichi il genere letterario vangelo, bens lannuncio della salvezza in Ges, molto probabile che da questo significato deriv poi luso del vocabolo per designare il genere del racconto su Ges. Lc 1,1 chiama la sua opera, cio vangelo e Atti dih,ghsij narrazione(Poich molti hanno intrapreso ad esporre ordinatamente la narrazione), seguendo la storiografia ellenistica. La sua opera, dice il Fusco, potrebbe chiamarsi ad Theophilum libri duo. Gv incomincia ex abrupto, e solo alla fine chiama la sua opera bibli,on libro (20,31; 21,25). Secondo il FUSCO (1993: 329) il termine euvagge,lion non avrebbe potuto evocare limmagine di un libro n dai pagani, n dagli ebrei, n dai cristiani. Tuttal pi avrebbe potuto richiamare limmagine di un messaggero (cf. Isa 52,7 [ ~Alv' [;ymiv.m; rFeb;m. yleg>r:, po,dej euvaggelizome,nou avkoh.n eivrh,nhj , i piedi del messaggero di buone novelle, che annunzia la pace]; 61,1s). Il termine poteva significare la predicazione itinerante di Ges stesso: Mc 1,14s; Mt 11,4-6; Lc 4,18; 7,2; e per la chiesa protocristiana la proclamazione del Cristo morto e risuscitato: Mc 13,10; 14,9; At 15,7; 20,4; Rom 1,16; 1Cor 15,1). Tuttavia gli scritti neotestamentari non si riferiscono a s stessi con questo termine. 6.4. Il termine vangelo nel sec. II PAPIA (ca. 60-ca. 130), GIUSTINO (morto ca. nel 165), IRENEO (ca. 140-ca. 202) si servono del termine lo,gia kuriaka.. Papia a proposito di Mc utilizza il verbo avpomnhmoneu,ein; Giustino chiama i vangeli avpomnhmoneou,mata tw/n avposto,lwn memorie degli apostoli. Questa la denominazione che verr pi volte usata per indicare le fonti scritte relative a Cristo (Apol 66,3; 67; Dial. 100,4; 103,8; 106,1.3.4; [Dialogo con Trifone, Letture cristiane del primo millenio 5, Introduzione, traduzione, note G. VISON, Milano 1988]) forse per facilitare la ricezione del vangelo da parte dei lettori di cultura ellenistica richiamando a un celebre opera greca: SENOFONTE Le memorie di Socrate (Xenofw/ntoj Swkra,touj avpomnhmoneuma,twn bibli,on prw/ton). Giustino, infatti, chiama il cristianesimo come la filosofia vera, e mette in parallelo Socrate e Ges ( Apol. 5,3; 2Apol. 10,6-8). La terminologia utilizzata da CLEMENTE ALESSANDRINO (ca. 150-ca.215), viene riportata da EUSEBIO (Hist. Eccl. 2,15,1 [con ripetute instanze pregarono Marco, lautore del vangelo e seguace di Pietro, a lasciar loro in iscritto un memoriale / u`po,mnhma/ di quellinsegnamento impartito a viva voce]; 3,24,5 [tuttavia solamente Matteo e Giovanni fra tutti /gli apostoli/ ci han lasciato le memorie /u`pomnh,mata/ della vita del Signore, e, stando a quanto ci dice la

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

116

tradizione, si decisero di scriverle perch spinti dalla necessit]). Clemente parla di u`pomnh,ma a proposito dei vangeli. TERTULLIANO (ca. 160-ca. 225) traduce questo termine con commentarii (De jejunio 10,3) e chiama gli evangelisti come commentatores [= u`pomnhmatistai,] (Adv. Marcionem 4,2,4; De carne Christi 22,1). Questi termini nella storiografia ellenistico-romana significavano la documentazione dello storiografo ancora nella fase iniziale del lavoro, gli appunti che aspettavano ancora di essere messi in una forma definitiva e articolata (cf. LUCIANO
DI

SAMOSATA, De historia conscribenda 48). Il LEEMAN

(1974: 232) fa notare che i commentarii sia di CICERONE, sia di CESARE intendevano essere, o erano considerati, come possibile materiale grezzo per gli storici ( commentarius: schizzo preliminare, abbozzo non elaborato). I commentarii, come negli stati ellenistici gli u`pomnhmata, erano i resoconti e i rapporti dei magistrati romani che tendevano verso la brevit laconica. I Padri, dunque, sembrano di aver fatto uno sforzo: per sottolineare laspetto storico dei vangeli chiamano in causa generi letterari gi in uso, e nello stesso tempo cercano di mettere in rilievo la loro differenza nei confronti di lavori storiografici classici. Nessuno di questi termini era capace di imporsi. Il FUSCO (1993: 330) fa notare che CELSO, PORFIRIO, - non percepivano i vangeli come miti o allegorie. Nel caso del vangelo come genere letterario il problema, dunque, intrecciato con quello della storicit. I pagani, Celso e Porfirio per esempio, che non avrebbero avuto difficolt ad accettare i vangeli come mito accanto ad altri miti, li hanno respinti proprio perch hanno compreso che non potevano essere interpretati se non come storia. F. MOSETTO (1986:76) afferma che stando [] a unespressione del Contra Celsum, gli scritti lasciati dai discepoli di Ges [secondo Celso] sarebbero infarciti di invenzione [pla,sma], favole [mu,qoj], e fanfaronate [teratei,a] (Si confronti con questo la tipologia di TOVEY, sopra). ORIGENE (ca. 185-253), certo, rifiuta queste invettive, tuttavia parlando delle differenze fra i quattro evangelisti gli preme di affermare che [i]l loro proposito infatti era quello di esporre la verit, quando ci era possibile, tanto sotto laspetto spirituale (pneumatikw/j) quanto sotto quello corporeo (swmatikw/j); quando per non era possibile sotto entrambi gli aspetti, [essi intendevano] dare la precedenza a quello spirituale sullaltro, perch la verit spirituale spesso si salva a prezzo, come potrebbe dire qualcuno, di una menzogna sul piano corporeo: come se noi dicessimo, allontanandoci dalla storia, che le parole di Giacobbe a Isacco: Sono Esa, il tuo primogenito (Gen 27,19), sono vere secondo il senso spirituale, in quanto [Giacobbe] aveva ormai ottenuto la primogenitura a cui il fratello aveva perduto il diritto (cf. Gen 25,31), e aveva assunto laspetto esterno di Esa per mezzo della sua veste e delle pelli di capretto ed era divenuto Esa ad eccezione della voce che benedice Dio, in modo che Esa ricevesse la benedizione in secondo luogo. Infatti, se Giacobbe non fosse stato benedetto in luogo di Esa, forse questultimo non sarebbe stato capace di per s di accogliere la benedizione. Orbene, anche Ges molteplice nei suoi aspetti: naturale, quindi, che gli evangelisti abbiano scritto i loro vangeli, toccando [talora] aspetti diversi, talora invece concordando su alcuni di essi (ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni, X. 5., a cura di E. CORSINI, Torino 1968).

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

117

Visto che fra le numerose designazioni degli scritti sulla vita di Ges ( logia, apomnmoneumata, commentarius etc.) nessuna riuscita ad imporsi, il FUSCO (1985: 91) si pone la domanda: non sarebbe forse sufficiente per parlare dei vangeli come di un genere letterario particolare dal momento che il termine vangelo riuscito ad imporsi, perch si rivelato significativo per accomunare certi scritti tra di loro e differenziarli da altri? Tuttavia, non si pu, secondo il Fusco, ricostruire quando, come e da chi fu imposto il termine vangelo. Nella Didach (circa 110-120 d. C., Siria-Palestina?, Egitto?; Didach: Dottrina dei Dodici Apostoli, a cura di S. CIVES F. MOSCATELLI, Milano 1999; K. NIEDERWINNER, The Didache: A Commentary, Minneapolis 1998 [orig., Die Didache, Gttingen 1989]) troviamo il vocabolo vangelo quattro volte: 8,2: Neppure pregate come gli ipocriti, ma, come ha ordinato il Signore nel suo vangelo [w`j evke,leusen o` ku,rioj evn tw/| euvaggeli,w| auvtou/ ] e poi segue la preghiera del Padre nostro in una versione molto simile a quella di Mt 6,9-13 con poche ma significative varianti, che hanno indotto i critici a ritenere che il redattore non avesse a disposizione il testo attuale di Mt; CIVES e MOSCATELLI sono del parere, che non necessario pensare alla tradizione orale, poich il Padre nostro per la sua importanza catechetica dovette avere molto presto una trasmissione scritta; 11,3: Per ci che riguarda gli apostoli e i profeti, comportatevi nel modo seguente, secondo lordine del vangelo [kata. to. do,gma tou/ euvaggeli,ou]; 15,3.4: Correggetevi gli uni gli altri, non con ira, ma nella pace, come trovate nel vangelo [w`j e;cete evn tw/| euvaggeli,w| cf. v. 4]; se uno ha commesso una mancanza contro un compagno). Si parla del vangelo del Signore, ma non tutte le ricorrenze fanno pensare a un testo. Secondo il NIEDERWINNER (1998: 204) soltanto queste ricorrenze si riferiscono a un vangelo scritto, ma non sappiamo quale. Presumibilmente il cap. 15 unaggiunta. da notare che da nessuna parte si riferisce il termine al contenuto cristologico del kerygma, ma si rapporta sempre con le parole del Signore, e queste parole significano norme obbligatorie. Da questo Niederwinner arguisce che vangelo sembra designare un nuovo (escatologico) comandamento, la nuova legge di Cristo (do,gma, ordinanza). un arduo problema se la Didach richiami con questo vocabolo alla tradizione orale oppure a un evangelium scriptum. Accettando la seconda alternativa ancora da chiarire se si tratti di uno scritto unico o di pi vangeli. Tre soluzioni si sono profilate: 1. Tutte e quattro le ricorrenze alludono alla tradizione orale. Se questo vero, come spiegare il brano in 15,3-4 che sembra richiamare Mt 18,15ss.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

118

2. 8,2 e 11,3 si riferiscono alla viva vox evangelii, mentre 15,3-4 a un evangelium scriptum. Tuttavia la consistenza concettuale delle frasi, dove si trova il vocabolo, sembra contraddire a questa soluzione. 3. La spiegazione pi probabile che tutte e quattro le frasi si richiamino a un vangelo scritto. Nota bene afferma NIEDERWINNER questo non equivale a dire che la Didach riporti questo vangelo. Siamo dunque di fronte al pi antico esempio, dove euvagge,lion significherebbe un vangelo scritto o un libro del vangelo. Del resto, non si pu escludere che in quellepoca la tradizione orale coesistesse col vangelo scritto che la comunit possedeva (cf. lopininone di ALEXANDER, sopra in 2.3). interessante vedere che il vocabolo non si riferisca alla proclamazione della salvezza, ma contiene anche una serie di prescrizioni (8,2; 11,3). La prima testimonianza indiscussa di GIUSTINO (Apol. 66,3 Gli apostoli infatti nelle Memorie da loro fatte, le quali chiamano Evangeli/ oi` ga.r avpo,stoloi evn toi/j genome,noij u`pV auvtw/n avpomnhmoneu,masin a] kalei/tai euvagge,lia ; cf. Dial. 10,2; 100,1; S. GIUSTINO, Apologie, a cura di S. FRASCA, Corona Patrum Salesiana, Torino 1938). Di fatto, tutti e tre i passi si riferiscono a vangeli scritti. Per Giustino il vangelo un libro. Secondo il KOESTER (1989: 377ss) questaccezione del termine deriva dalla reazione di Giustino alla sfida mossa da MARCIONE. Giustino scrisse un libro contro Marcione, il quale, per, and perduto come pure il suo Syntagma, un libro contro tutte le eresie. Ciononostante, afferma il Koester, i suoi scritti ancora esistenti dimostrano in modo chiaro linfluenza della sfida di Marcione. In Giustino non si trova alcuna citazione di Paolo, nemmeno egli fa menzione dellApostolo. Giustino daccordo con Marcione che il vangelo della Chiesa deve essere un documento scritto. Eppure, mentre Marcione mise in contrapposizione il vangelo e le scritture dIsraele, Giustino li collega il pi stretto possibile. Marcione redigendo il suo vangelo, cio una versione di Lc, cerc di eliminare tutti i riferimenti alla Legge e ai Profeti, Giustino non esit a redigere Mt e Lc stabilendo le pi corrispondenze verbali possibili fra il testo evangelico e i testi greci dellAT. Secondo il Koester (1989: 381), in ultima analisi fu Marcione a utilizzare il termine euvagge,lion per denominare un documento scritto. Non soltanto certi scritti vennero denominati con questo termine, ma anche vero che questa designazione fu riservato esclusivamente ad essi. Sebbene anche altri scritti usino ampiamente il vocabolo, i loro generi sono presi dalla letteratura ellenistica come ad esempio lettera, atti, apocalisse. Il termine vangelo dunque, il risultato di una scelta che non pu considerarsi arbitraria, ma trova il suo fondamento nei testi stessi: Mt 4,23; 9,35. Questi passi di fatto sono un riassunto dellattivit pubblica di Ges. Inoltre, Mc 1,1 non si riferisce al contenuto del libro, ma ad unattivit, ad un avvenimento. Solo in un secondo momento, con la comparsa del vangelo quale documento scritto, il racconto stesso diventer il contenuto della proclamazione della salvezza.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

119

6.5. Il vangelo come genere letterario I vangeli fino ai primi decenni del 900 erano ritenuti come vitae di Ges, cio rientravano nella categoria della biografia. La trasformazione radicale della biografia stessa verificatasi nell 800 la comparsa di un maggiore interessamento per lo sviluppo psicologico, per linfanzia e per leducazione comport che i vangeli cominciavano a venire percepiti dissimili dal genere biografico. Studiosi come K. L. SCHMIDT (Die Stellung der Evangelien in der allgemeinen Literaturgeschichte, in Eucharisterion, FS H. Gunkel, Gttingen 1923, 51-134) e R. BULTMANN (Die Geschichte der synoptischen Tradition, Gttingen 1921) arrivarono alla conclusione: i vangeli non hanno nulla a che vedere con la biografia, anzi, come genere letterario sono del tutto sui generis (BURRIDGE [1998: 120] fa notare che questargomento dellanalisi delle forme [Formgeschichte, Form criticism] nonsense, poich un genere letterario non altro che una forma di comunicazione, e una forma di comunicazione funziona sempre nel contesto di altre forme comunicative). Secondo Schmidt, Bultmann e gli altri sostenitori della Formgeschichte i vangeli rivelano pi della comunit ecclesiale, dove vennero scritti, che non del Ges storico. Questo per non una mancanza, affermano, poich il vero soggetto dei vangeli non il Ges storico, bens il kerygma, la predicazione della fede da parte della chiesa. Gli evangelisti, lungi da essere autori veri e propri, dotati di creativit artistica, erano considerati come compilatori delle tradizioni formate e tramandate nel seno delle comunit. In altri termini, se vogliamo rispondere alle tre fondamentali domande riguardo i vangeli, cio la questione dellautore, del soggetto e dei destinatari, bisogna asserire che i vangeli erano prodotti da comitati per comunit sulla fede (by committees, for communities, about the faith BURRIDGE, 1998: 116). Lattenzione focalizzata sulla storia preletteraria delle singole pericopi ( peri-ko,ptw, tagliare fuori, appunto) e sul loro Sitz im Leben. Collaffermarsi dellanalisi della redazione gli evangelisti diventano di nuovo autori veri e propri, anzi vengono stimati come teologi valenti (cf. le opere di G. BORNKAMM su Mt, W. MARXSEN su Mc, H. CONZELMANN su Lc, J. L. MARTYN e R. E. BROWN su Gv). A pari passi con la valutazione degli evangelisti come teologi, lattenzione si spostata dal kerygma alle preoccupazioni dellautore per la sua comunit locale, e di conseguenza, i destinatari non erano pi le comunit cristiane in generale, bens chiese locali ben specifiche, in cui e per cui i vangeli furono scritti. Il testo si present ancora una volta come una finestra. Stavolta per, non desse sulla fede, ma sulle comunit particolari in cui e per cui vennero scritti (cf. la chiesa di Mc nellimpostazione di MINETTE DE TILLESSE, sopra). I vangeli in questa ottica vengono letti come le lettere paoline, ma i vangeli lettere non sono. Il BURRIDGE fa notare che il problema fondamentale con le ricostruzioni ipotetiche della Redaktionsgeschichte e degli approcci

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

120

sociologici che dai dati cos parchi se ne sono prodotte numerose, fra di loro, non di rado, ben diverse, se non contraddittorie. Tenendo presente la poliedricit delle biografie antiche, BURRIDGE (anche AUNE, 1987) sostiene che i vangeli rientrino nel genere molto elastico di bios. Quali sono le implicazioni di unipotesi simile (Burridge, 1998:124)? I vangeli non sono finestre attraverso quali si pu guardare il Ges storico, o le primitive chiese locali, bens sono vetrate a colori (stained glass) attraverso le quali qui e l possiamo intravedere cosa c dietro, nelle quali talvolta vediamo il riflesso di noi stessi, ma sulle quali si profila, grazie ai diversi colori dellarte letteraria, il ritratto di una persona.

In altri termini, i vangeli non sono altro che cristologia in forma narrativa, la storia di Ges. BURRIDGE (1998: 131) ritiene che, a differenza dei circoli viziosi delle ricostruzioni proposte dalla Redaktionsgeschichte essi infatti ricostruivano i destinatari a partire dai vangeli, e poi, in un secondo momento spiegano gli stessi vangeli avvalendosi dei risultati della ricostruzione precedente i bioi potevano benessimo essere scritti per una cerchia di destinatari molto pi larga che il gruppo dellautore. Inoltre, il genere letterario, poich guida non soltanto la genesi, bens anche la ricezione delle opere, pu fornirci qualche indirizzo per rintracciare la propria funzione. Siccome i bioi potevano avere diverse funzioni, collocando i vangeli in questo genere, non risolve subito il problema, quale scopo e quale funzione abbiano avuto i vangeli in una realt comunitaria ecclesiale. Tuttavia, BURRIDGE del parere che le biografie nate nelle scuole filosofiche e su quelle scritte sulla figura di Cato Minor, possano darci qualche chiave. Le funzioni fondamentali di queste opere erano lapologia e la polemica. Tali funzioni per presuppongono una cerchia di destinatari ben pi ampia che non quella della comunit nel seno alla quale venivano scritte. Sia nellapologia, sia nella polemica la legittimazione sociale (social legitimation, BURRIDGE, 1998: 135) era in gioco. AUNE (1987: 136ss) parlando di Lc-At rileva tre funzioni determinanti: definizione, identit e legittimazione. BAUCKHAM, BURRIDGE, nonch gli altri collaboratori del volume The Gospels for All Christians, ritengono, che, da un lato, linterpretazione dei vangeli come testi indirizzati a comunit specifiche non sia una prova, ma una presupposizione, e dallaltro, che una lettura basata sul presupposto contrario vale a dire che gli evangelisti avrebbero contato sopra una cerchia di destinatari aperta sarebbe altrettanto fruttuosa, forse anche di pi. BAUCKHAM (1998: 26ss) nel suo saggio introduttivo provvede diversi argomenti a sostegno della tesi che gli autori dei vangeli avevano in mente come potenziali destinatari i cristiani in generale, il che, del resto, avvenuto, come lo dimostra il fatto che i vangelo molto presto cominciarono a circolare nelle diverse chiese locali: 1. I vangeli non sono lettere paoline (cf. G. N. STANTON, A Gospel for a New People: Studies in Matthew, Edinburgh 1992). E mentre le lettere come lettere determinate dal

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

121

loro genere letterario si indirizzano a destinatari ben circostanziati, nessuno aspetterebbe dai bioi, e di conseguenza dai vangeli, che si indirizzassero a comunit specifiche con problemi e difficolt individuabili. Questaffermazione rimarrebbe magari troppo teorica senza unaltra: dobbiamo domandare perch vennero scritti sia i vangeli, sia le lettere. Paolo scrive alle comunit cristiane perch egli assente. Non sarebbe forse strano presupporre che un evangelista scrivesse alla comunit in cui vive. Come se Paolo scrivesse ai corinzi vivendo a Corinto! Gli autori degli vangeli perch avrebbero voluto mettere per iscritto, e cos in un certo senso congelare, le loro proposte per situazioni concrete, se avessero potuto intervenire personalmente? 2. La mobilit e la comunicazione nellImpero Romano del primo secolo d.C. erano molto sviluppate (cf. L. CASSON, Travel in the Ancient World, London 1974). 3. Dalla letteratura protocristiana evidente che il movimento cristiano si riteneva come un movimento da dimensioni mondiale: Paolo, ad esempio, nelle sue lettere spesso si riferisce alle chiese diverse dai destinatari (1Cor 1,2; 9,5; 16,3; 1Tess 2,14; cf. 1Pt 5,9; Apoc 7,9-14). 4. I leader cristiani che conosciamo dal NT erano frequentemente in movimento (cf. A. J. MALHERBE, Social Aspects of Early Christianity, Baton Rouge London 1977, 64-68). E fra questi personaggi che dobbiamo collocare gli autori dei vangeli. Siccome scrivere un vangelo poteva richiedere anche alcuni anni, perch dovremmo ritenere che il contesto in cui un vangelo nato fosse stato una sola chiesa locale? 5. La corrispondenza tra le chiese era estremamente viva (e.g. 1Pt; 1Clemente, le lettere di Ignazio). Le lettere che ci sono pervenute non sono che la punta delliceberg. 6. Il contatto tra le chiese era molto forte: lesempio di Papia (cf. R. BAUCKHAM, Papias and Polycrates on the Origin of the Fourth Gospel, JTS 44 [1993]), le lettere di Ignazio, il Pastore di Erma (2.4.3). 7. Il movimento protocristiano non era del tutto armonioso e omogeneo. Lintensa comunicazione tra le chiese locali era, di certo, la fonte di fraternit e sostegno vicendevole, fomentava per di tanto in tanto anche conflitti e dissensi. Queste osservazioni hanno dei riscontri ermeneutici: a) Il consenso esegetico che le cosiddette comunit matteana, marciana, lucana e giovannea forniscano la chiave ermeneutica per i vangeli sbagliato. Se i vangeli non si indirizzarono a quelle comunit, esse non hanno alcuna rilevanza ermeneutica. I destinatari impliciti (implied readership) dei vangeli non un pubblico specifico, bens indefinito. b) I vangeli, certo, hanno un contesto storico, per questo contesto non coincide con la comunit degli evangelisti. In altri termini, accade molto di rado che la letteratura si

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

122

indirizzi ad una comunit particolare; daltronde, affermare che gli autori dei vangeli avevano in mente un pubblico di lettori pi largo non significa decontestualizzare le loro opere. c) Bench non sia stato lintenzione di Bauckham e degli altri, il risultato della loro ricerca coincide con la maniera con la quale i vangeli sono letti nella chiesa sin dallinizio. Nessun lettore attento pu prescindere dalla rilevanza ermeneutica che la chiesa di Corinto ha per linterpretazione di 1Cor. Mentre tutti i lettori prima della met del 900 non davano nessuna importanza alla cosiddetta comunit matteana ad esempio per interpretare il vangelo di Matteo. d) Bauckham sottolinea che le sue proposte non intendono sottovalutare le divergenze tra i vangeli, ma rinnegano ci che lattuale consenso presuppone, ovverosia che la diversit si spieghi a partire dalleterogeneit dei destinatari.

6.6. La prefazione di Lc-At Concludiamo con alcune osservazioni riguardo la prefazione che si trova in Lc 1,1-4. Questo testo molto prezioso dal nostro punto di vista, poich si tratta di un brano daltronde estremamente raro nella Bibbia dove lautore si mette a parlare delle proprie intenzioni; in altri termini, si di fronte a una nota da funzione metalinguistica: si propone una riflessione sullopera stessa (cf. Gv 20,30s; 21,25). Mc utilizza il vocabolo euvagge,lion allincipit del suo scritto. Questo termine per, pur mantenendo una certa ambiguit, non sembra riferirsi al libro stesso, tanto meno intende collocare il libro dal punto di vista del genere letterario. Bi,bloj, libro la parola con la quale prende il via il Primo Vangelo. Tuttavia, come si visto, la proposizione nominale in Mt 1,1 non funge da titolo, cio non fa parte del peritesto che faciliterebbe laffiliazione di Mt a un genere letterario (cf. MARGUERAT BOURQUIN, 2001: 128s). Nel racconto poi lautore si riferisce al kerygma come il vangelo del regno (to. euvagge,lion th/j basilei,aj, 4,23; cf. 9,35; 24,14). Questultima ricorrenza gi fa trapelare la consapevolezza letteraria dellautore: qui si parla infatti di questo vangelo del regno (tou/to to. euvagge,lion th/j basilei,aj). Luca, da parte sua, designa la sua opera, come pure quelle dei suoi predecessori, come dih,ghsij racconto/narrativa, sottolineando cos che la sua intenzione di scrivere unopera storiografica (AUNE, 1987:116). La prefazione lucana, la quale va spiegata alla luce della letteratura ellenistica contemporanea, rivela, da un lato, che lautore presenta consapevolmente al pubblico il suo scritto, e dallaltro lascia capire il suo adattamento alle convenzioni vigenti (CADBURY, 1922:490). Effettivamente, era la storiografia a sviluppare per primo un distinto tipo di prefazione ( prooimion), e i temi che si trovavano nelle prefazioni di ERODOTO e TUCIDIDE divennero topoi convenzionali nella

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

123

storiografia seriore (AUNE, 1987: 89s). Gli evangelisti, quanto pare, intendevano sostituire i loro predecessori, e lo fecero in una maniera che le loro opere potessero raggiungere una cerchia di lettori sempre pi larga. I cambiamenti effettuati da Matteo e da Luca segnalano un processo di letteraturisazione (literaturization ibid., 65), il cui scopo era portare lopera in sempre maggiore conformit con le convenzioni della letteratura pi elevata. Nel caso di Mt, STANDAERT (1992: 1249) ha fatto notare che lautore smussa la drammaticit di Mc in funzione di una biografia per accontentare i lettori con una certa cultura letteraria. Secondo AUNE (1987: 65) in Mt e in Lc si palesano tre caratteristiche che testimoniano a questo processo: a) Ambedue, seguendo le convenzione dellantica biografia e storiografia, prendono una fonte come base della loro narrativa, supplendola con materiale di provenienza diversa (Q non era una fonte narrativa!). b) Aggiungendo le genealogie, i racconti dellinfanzia di Ges, le apparizioni del Risorto, entrambe si avvicinarono alle aspettative che i lettori pagani nutrivano verso le opere di biografia e/o storiografia. Mc infatti non si inizia con il tema della nascita e degli avi del protagonista, il che era un topos raccomandato; e termina (16,8) in una maniera estremamente brusca. (Questo non significa per che i vangeli fossero opere missionarie: non contengono il kerygma nel suo insieme [MOULE, 1985: 199ss].) c) Mt e Lc hanno effettuato numerosi miglioramenti linguistici e stilistici nel materiale di Mc (presente storico, paratassi). Focalizzando sugli avvenimenti (pra,gmata 1,1) Lc rivela un maggiore interesse per la storia che non per la biografia. Tuttavia, da notare che sulla scia della storiografia ellenistica personaggi importanti primeggiano in tutti e due i volumi. Quando Luca scrisse la sua opera le prefazioni erano gi fortemente standardizzati, il che del resto rende difficile soppesare il valore storico delle affermazioni che ci si trovano. In Lc 1,1-4 i seguenti topoi possono rilevarsi (AUNE, 1987: 120s): dedica a Teofilo; affermazione esagerata dei molti predecessori; riferimento ai testimoni oculari; la messa in rilievo del proprio metodo e dellaccuratezza; la sottolineatura dellutilit dellopera.

Dobbiamo aggiungere due ulteriori osservazioni. Dopo 1,4 lo stile cambia radicalmente. Allinfuori di questa frase complessa iniziale in Lc-At si trovano soltanto due altri esempi di periodi simili: Lc 3,1-2 e At 15,24-26. Inoltre, dopo lincipit improntato allo stile ellenistico, nella sezione che segue linflusso dei LXX salta agli occhi. ALEXANDER (1978, 1986, 1993) ha messo in questione laffiliazione storiografica della prefazione lucana. Lei ha dimostrato che le prefazioni storiografiche sono pi lunghe e di uno stile pi elevato. Lc 1,1-4 sia nello stile, sia nella lunghezza rassomiglia molto di pi alle opere ellenistiche di medicina, di astronomia, di ingegneria e di architettura (Fachprosa, Zwischenprosa ibid., 1986: 55s. 62; cf. L. RYDBECK, Fachprosa, vermeintliche Volkssprache und Neues Testament, Upsala 1967).

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

124
Prop. (=proposizione) causale; altri scrittori

1. Vepeidh,per polloi. evpecei,rhsan avnata,xasqai dih,ghsin peri. tw/n peplhroforhme,nwn evn h`mi/n pragma,twn( 2. Kaqw.j pare,dosan h`mi/n oi` avpV avrch/j auvto,ptai kai. u`phre,tai geno,menoi tou/ lo,gou( 3. e;doxe kavmoi. 4. parhkolouqhko,ti a;nwqen pa/sin avkribw/j

Poich molti hanno intrapreso a comporre un racconto degli avvenimenti compiutisi in mezzo a noi, quali ce [li] hanno trasmessi coloro [che furono] fin dallinizio testimoni-oculari e che-sonodivenuti servi della parola, -sembrato-bene a me pure avendo tutto seguito-da-vicino findallinizio, accuratemente,

5. kaqexh/j soi di scrivere per te in-modoordinato, eccellente Teofilo, gra,yai( kra,tiste Qeo,file( Prop. finale 6. i[na evpignw/|j peri. w-n affinch riguardo alle cose di cui sei stato informato, tu conosca la kathch,qhj solidit. lo,gwn th.n avsfa,leian (la traduzioni di J.-N. ALETTI, 1991: 186; lanalisi sintattica di L. ALEXANDER, 1986: 72)

Prop. modale; dipende dalla precedente: descrizione del tema; Prop. principale: decisione dellautore Prop. modale in forma participiale: le qualificazione dellautore; Prop. Oggetiva; allocuzione

In questa frase complessa si distinguono i fatti accaduti, la tradizione apostolica, la narrazione lucana e le narrazioni precedenti. Nella prefazione di ad Theophilum lautore colloca la sua opera nel flusso della tradizione: da un lato si schiera con un gruppo di noi, il quale ha fatto esperienza del compimento/adempimento di avvenimenti/azioni ( pra,gmata). Lautore ha qualcosa in comune con loro: tutti di questo gruppo (noi) hanno ricevuto le loro informazioni da testimoni oculari degli avvenimenti. Sebbene la relazione tra i due noi non sia del tutto chiara (MOESSNER, 1992: 1513; un racconto degli avvenimenti compiutisi tra noi; come ce li hanno trasmessi), ci che certo invece, che lautore sta basandosi sulla stessa fonte di informazione (kaqw.j) disponibile ai molti (polloi.). Tuttavia, si distacca decisamente dal gruppo dei molti nel suo progetto: egli raccomanda la sua opera scritta kaqexh/j con ordine. Che significa questo avverbio per rendere superiore lo scritto in questione? In che cosa si distingue lopus lucanum da quelle dei molti? Le considera scorrette, inesatte? Perch sottolinea la loro comune dipendenza da testimoni oculari? MOESSNER, stando alle altre ricorrenze di kaqexh/j in Lc-At, del parere che Luca mette con questavverbio in rilievo di scrivere in un ordine particolarmente illuminante. La tesi di Moessner (1992: 1514) che lepisodio di Cornelio (At 10,1-11,18) fornisca la chiave per chiarire il significato di questavverbio del proemium. Lc 8,1 kaqexh/j in senso cronologico;

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

125

At 3,24: il senso dellavverbio principalmente cronologico, per da notare che Pietro non si riferisca soltanto a un susseguirsi storica, bens spieghi e interpreti i segni e prodigi avvenuti in mezzo del suo uditorio; At 18,23: senso geografico; kaqexh/j equivale a kata. po,lin;

Come interpretare lavverbio in At 11,4: Pietro allora cominci a raccontare le cose ad essi, punto per punto (kaqexh/j), dicendo? Si deve notare innanzitutto che lordine lineare del resoconto di Pietro non collimi con quello del narratore (10,1-48): e.g. 10,1-311,5 (vv.12s). kaqexh/j, dunque, non si riferisce a un ordine cronologico, non intende nemmeno chiarire lordine assai travagliato delle visioni e degli spostamenti dei personaggi. La versione di Pietro semplicemente una versione distillata di At 10,1-48. Con lavverbio kaqexh/j si mette in risalto: Pietro sta riepilogando il suo incontro con Cornelio, lo illumina inserendolo sullo sfondo della storia di salvezza raffigurata nei due volume dellopera lucana: At 11,5At 1,5Lc 24,49Lc 3,15-16. At 11,4 si presenta come un particolare punto di vista: rievocando lepisodio di Cornelio non focalizza sullordine cronologico (chrono-logical) o spazio-logico (spaziological), bens sottolinea il significato narrato-logico (narrato-logical) del suo incontro col centurione pagano. In altri termini, chi non voglia seguire questordine narrato-logico, non giunger alla solidit (avsfa,leia). Analizzando il vocabolo parhkolouqhko,ti Moessner (1999: 400-403) dimostra che il verbo parakolouqe,w in Lc 1,3 non significa seguire da vicino, essere presente fisicamente, bens seguire con la mente (parhkolouqhko,ti one who has followed with the mind). Come si visto a proposito della rappresentazione del giudaismo in Lc-At, la duplicit inerente nellimmagine lucana. Se si cerca a quale modello si sarebbe rifatto lautore dell ad Theophilum, la molteplicit delle proposte rispecchia la singolarit dellopera di Luca. BARRETT (1996) asserisce, se per il Terzo Vangelo il quale, si potrebbe dire, una versione ampliata e riveduta di Mc la categoria bi,oj potrebbe andare bene come genere letterario, i tentativi di trovare un modello per gli Atti risulta pi arduo, per non parlare poi del compito, se i due volumi si considerano nel loro insieme. Le proposte colgono sempre un solo aspetto degli At, e perci non possono ottenere un consenso pieno. Eccone alcune: a) Gli At erano scritti come apologia del cristianesimo, e in particolar modo di Paolo: i cristiani davanti alle autorit romane generalmente ricevono un trattamento favorevole (e.g. 26,32). Per, afferma Barrett, gli At contengono troppo materiale che non ha niente a che vedere con unapologia: nessuna corte romana li avrebbe presi in considerazione come un contributo alla difesa dei cristiani. Oltre ci, se li paragoniamo con le seriori apologie vere e proprie, le differenze saltano agli occhi. Bench si trovino alcuni motivi apologetici qua a l, il libro nel suo insieme non pu ritenersi come apologia.

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

126

b) Le sottigliezze del racconto fanno avvicinare gli At ai romanzi ellenistici (cf. R. I. PERVO, Profit with Delight: The Literary Genre of the Acts of the Apostles , Philadelphia 1987). Ci sono per negli At molti particolari rimasti in sospensione ( loose ends), il che rende assai inverosimile che sia stato modellato sui romanzi ellenistici. Ad esempio: di Stefano conosciamo soltanto i suoi ultimi giorni, di Giacomo ci viene comunicato la notizia della morte, ma nulla riguardo la sua vita; la fine del racconto della vita di Paolo satura di difficolt. Il paragone con i romanzi si appoggia giustamente sul carattere episodico degli At (cf. E. PLHMACHER, Lukas als hellenistischer Schriftsteller: Studien zur Apostelgeschichte, Gttingen 1972). c) Gli At come storia della Chiesa, unopera del cosiddetto Frhkatholizismus, il cui scopo sarebbe stato di giustificare gli sviluppi istituzionali della Chiesa del secondo secolo. Luca, infatti, considera gli apostoli come persone di autorit (1,8.14.15-26; 2,1-4; 3,4; 5,111; 6,6; cap.10; 13,1-3; 13,31-32 [gli apostoli sono distinti dagli altri predicatori cristiani]; 14,23; 15,7-11; 20,18-35). Questa lista, per quanto appaia impressionante, non convince, afferma Barrett (1996: 100). A Luca preme di collegare il tempo di Ges e quello della Chiesa: gi la mera esistenza degli apostoli serve a questo scopo. Per questo hanno un ruolo di spicco gli apostoli. d) Altri candidati per il genere letterario degli At come storia teologica ( theologetic history), storia biografica (biographical history) sono, afferma Barrett, sono etichette con verit e pertinenza parziali. BARRETT, mettendo in rilievo la duplicit che si presenta nella raffigurazione lucana del giudaismo, afferma (1996: 102): la missione pagana, per Luca, non altro che lapice della storia di Israele e ladempimento delle Scritture (e.g. 13,47; 15,15 il pronome tou,tw| qui si riferisce alla conversione di Cornelio e a tutte le sue implicazioni). Luca dunque conferma la piena autorevolezza dellAT, affermando per, che sono i cristiani a discernere il senso e il significato delle Scritture. Secondo Barrett questaspetto di Lc-At fornisce il modello e la motivazione perch Luca abbia amalgamato i due volumi. Con Lc-At lautore avrebbe voluto produrre un libro che accompagnasse, spiegasse, interpretasse, completasse lAT. Perci Lc-At potrebbe chiamarsi un nuovo testamento. Certo, Luca, non lha chiamato cos, tuttavia da notare che nello svilupparsi del canone neotestamentario la struttura fondamentale era sempre quella di LcAt: vangeli testi riguardo agli apostoli. THEISSEN (Theory, cap. 9) arriva a simili conclusioni indagando come si articola la demarcazione dal giudaismo nei vangeli: Mc mette laccento sulla demarcazione nel linguaggio segnico rituale (die Abgrenzung in der rituellen Zeichensprache/the demarcation in ritual sign language) con la morte di Ges il Santo dei Santi diviene accessibile per tutti; Mt nel linguaggio segnico etico le proposte di unetica di superamento; in Lc invece la demarcazione

L. T. Simon/31007/2010-2011/II

127

si avvera con laiuto di un racconto della storia della salvezza ( heilgeschichtliche Erzhlung/salvation history narrative). La formazione del canone neotestamentario con i quattro vangeli mette ancora una volta in risalto lorizzonte universale della chiesa. A mo di commiato si riporti un bel testo dIPPOLITO
DI

ROMA, morto martire nel 235, (citato in G.

DE

CHAMPEAUX S. STERCKX, I simboli del

medioevo, Milano 1981, 444 [orig. fr]): Eden il nome del nuovo giardino di delizieScorre nel giardino un fiume dacqua inesauribile. Quattro fiumi ne sgorgano, che irrorano tutta la terra. Cos della Chiesa. Cristo che il fiume annunciato al mondo dai quattro vangeli. Gli autori danno il seguente commento: Limmagine del mondo ereditata dallantichit diventata limmagine cristiana del cosmo evangelizzato. Questo mondo emana da Cristo artigiano delluniverso, centro della nuova creazione, seduto su un trono circondato dai quattro Viventi, orientato verso i quattro punti cardinali simboleggianti la diffusione del messaggio dei quattro evangelisti nei quattro angoli del mondo.

P.S. alcuni interface utili: http://starwww.uibk.ac.at/theologie/theologie-en.html http://bibfutheol.uibk.ac.at/bildi/index-en.html http://bibfutheol.uibk.ac.at/bildi/search/index-en.html http://www.hivolda.no/asf/kkf/rel-stud.html http://www.ntgateway.com http://www.bham.ac.uk/theology/goodacre/multibib.htm

APPENDICE TESTI IN SINOSSI 1. La tempesta sedata Mt 8,18-27 Ora, Ges vedendo la folla intorno a s, ordin di andare allaltra riva.
18
19

E avvicinatosi uno scriba, gli disse: Maestro, ti seguir ovunque (tu) vada. 20 E gli dice Ges: Le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo nidi, ma il Figlio delluomo non ha dove posare il capo. 21 Ora, un altro dei [suoi] discepoli gli disse: Signore, permettimi prima di andare e di seppellire mio padre. 22 Ma Ges gli dice: Seguimi; e lascia che i morti seppelliscano i loro morti.
23

Mc 4,35-41 Lc 8,22-25 22 E dice loro in quello stesso Ora, avvenne in uno di (quei) giorno, venuta la sera: giorni, che egli mont in barca e Passiamo allaltra riva. i suoi discepoli (con lui) e disse loro: Passiamo allaltra riva del lago. (Lc 9,57-60)
35

Ed essendo egli montato nella barca, i suoi discepoli lo seguirono.

E (essi), lasciata la folla, lo prendono con (s, cos) come era nella barca; e cerano altre barche con lui. 37 24 E viene una grande burrasca di Ed ecco, venne una grande agitazione nel mare, cos che la vento e le onde si rovesciavano barca veniva coperta dalle onde; nella barca, cos che la barca gi si riempiva. ma egli dormiva. 38 Ed egli era a poppa, sul cuscino, addormentato. 25 E lo svegliano e gli dicono: E (essi) avvicinatisi, lo svegliarono dicendo: Signore, Maestro, non timporta che siamo perduti?. salva(ci): siamo perduti!. 39 Ed (egli), risvegliatosi, minacci il vento e disse al mare: Taci! Sta zitto!. E il 26 vento cess e si fece grande E dice loro: Perch siete bonaccia. paurosi, (uomini) di poca 40 E disse loro: Perch siete fede?. Allora, alzatosi, paurosi? Non avete ancora minacci i venti e il mare e si fede?. fece una grande bonaccia.
27

36

E presero il largo.

23

Ora, mentre navigavano, si appisol. E una burrasca di vento scese sul lago e si riempivano (dacqua) ed erano in pericolo.
24

Ora, avvicinatisi, lo svegliarono dicendo: Maestro, Maestro, siamo perduti!. Ma egli, risvegliatosi, minacci il vento e la tempesta dellacqua; e si acquietarono e si fece bonaccia.
25

Disse loro: Dov la vostra fede?. Ma essi, presi da timore, restarono meravigliati, dicendo gli uni gli altri: Chi dunque costui che comanda ai venti e allacqua [e gli obbediscono]?.

Ora, gli uomini restarono meravigliati, dicendo: Chi costui, che anche i venti e il mare gli ubbidiscono?.
28

41

Ed (essi) temettero di grande timore e dicevano gli uni gli altri: Chi dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbedisce?.
5,1

26 E giunsero allaltra riva del E approdarono nella regione mare, nella regione dei geraseni. dei geraseni, che si trova nella riva opposta alla Galilea. (La traduzione di A. POPPI, Sinossi quadriforme, Padova 1999)

E giunto egli allaltra riva, nella regione dei gadareni,

2. Battesimo di Ges Mt 3,13-17


13

Allora giunge Ges dalla Galilea al Giordano da Giovanni, per essere battezzato da lui. 14 Ma [Giovanni] glielo impediva dicendo: io ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni a me? 15 Ma Ges rispondendo gli disse: Lascia (fare) per adesso, perch cos ci conviene adempiere ogni giustizia. Allora lo lascia (fare).
16

Mc 1,9-11 [E] avvenne in quei giorni (che) Ges venne da Nazaret della Galilea
9

21

Lc 3,21-22 Ora, avvenne che,

Ora, essendo stato battezzato, e fu battezzato nel Giordano da Giovanni.

Quando tutto il popolo fu battezzato, Essendo stato battezzato anche Ges e mentre pregava,

Ges subito sal dallacqua; ed ecco, si aprirono [a lui] i cieli, e vide (lo) Spirito di Dio discendere come colomba [e] venire su di lui. 17 Ed ecco, una voce dai cieli che diceva: Questi il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto. 3. Al Getsmani Mt 26, 36-46 Allora Ges viene con loro in un podere, detto Getsemani, e dice ai discepoli: Sedetevi qui, mentre (io) andando l prego.
36 37

10

E subito, salendo dallacqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito come colomba discendere verso di lui. 11 E una voce venne dai cieli: Tu sei il mio Figlio diletto, in te mi sono compiaciuto.

si apr il cielo, 22 e lo Spirito Santo discese in forma corporea, come colomba, su di lui, e venne una voce dal cielo: Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato.

Mc 14,32-42 E vengono in un podere, il cui nome (era) Getsemani, e dice ai suoi discepoli: Sedetevi qui, mentre prego.
32 33

Lc 22,40-46 Ora, giunto sul luogo,


40

disse loro: Pregate per non entrare in tentazione.

E presi con (s) Pietro e i due figli di Zebedeo, cominci a

E prende con s Pietro e Giacomo e Giovanni, e cominci a

rattristarsi e a sentire angoscia. spaventarsi e a sentire angoscia. 38 34 Allora dice loro: E dice loro: Lanima mia triste fino alla Lanima mia triste fino alla morte; morte; restate qui e vegliate con me. restate qui e vegliate. 39 35 E andato E andato un po avanti, un po avanti, cadde sulla sua faccia cadeva a terra pregando e pregava, affinch se era possibile passasse da lui lora, 36 e dicendo: e diceva: Padre mio, Abb, Padre, se possibile tutto () possibile a te; passi da me allontana questo calice. questo calice da me. Tuttavia, Ma non come voglio io, non ci che voglio io, ma come (vuoi) tu. ma ci che (vuoi) tu.

41

Ed egli si stacc da loro quanto un tiro di sasso, e poste (a terra) le ginocchia, pregava
42

40

E viene dai discepoli e li trova addormentati, e dice a Pietro: Cos non siete stati capaci di vegliare con me unora sola? 41 Vegliate e pregate, perch non entriate in tentazione; lo spirito () pronto, ma la carne () debole. 42 Di nuovo, per la seconda volta andato, preg dicendo: Padre mio, se questo (calice) non pu passare senza che (io) lo beva, sia fatta la tua volont. 43 E venuto di nuovo, li trov addormentati, perch i loro occhi erano appesantiti.

37

E viene e li trova addormentati, e dice a Pietro: Simone, dormi? Non sei stato capace di vegliare unora sola? 38 Vegliate e pregate, perch non veniate in tentazione; lo spirito () pronto, ma la carne () debole. 39 E di nuovo andato, preg dicendo la stessa parola.

dicendo: Padre, se vuoi, allontana questo calice da me. Tuttavia, Non la mia volont, Ma la tua sia fatta. 43 Ora, gli apparve un angelo dal cielo, che lo confortava. 44 E giunto in (preda all) angoscia, pregava pi intensamente. E il suo sudore divenne come grumi di sangue, che scendevano sulla terra. 45 E levatosi dalla preghiera, venuto dai discepoli, li trov assopiti dalla tristezza, 46 e disse loro: Perch dormite? Levandovi pregate, Perch non entriate in tentazione.

40

E di nuovo venuto, li trov addormentati, perch i loro occhi erano appesantiti; e non sapevano che cosa

rispondergli.
44

E lasciatili, andato di nuovo, preg per la terza volta dicendo di nuovo la stessa parola. 45 Allora viene dai discepoli e dice loro: Dormite ormai e riposate. Ecco, si avvicina lora e il Figlio delluomo consegnato in mani di peccatori. 46 Alzatevi, andiamo! Ecco, si avvicina colui che mi consegna.

41

E viene per la terza volta e dice loro: Dormite ormai e riposate. Basta! venuta lora; ecco, il figlio delluomo consegnato nelle mani dei peccatori. 42 Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi consegna si avvicina.

4. Guarigione della suocera di Pietro


14

Mt 8,14-15 E venuto Ges

nella casa di Pietro,

vide la suocera di lui coricata e febbricitante.

15

E tocc la sua mano,

Mc 1,29-31 E subito, usciti dalla sinagoga, venne nella casa di Simone e di Andrea, insieme con Giacomo e Giovanni. 30 Ora, la suocera di Simone giaceva (a letto) febbricitante; e subito gli dicono di lei. 31 Ed (egli), avvicinatosi, la fece alzare prendendo(le) la mano.
29

Lc 4,38-39
38

Ora, levatosi dalla sinagoga, entr nella casa di Simone.

Ora, la suocera di Simone era oppressa da una grande febbre, e lo pregarono per lei. 39 Ed (egli), chinatosi sopra di lei, minacci la febbre, e la lasci. Ora, (essa) levatasi sullistante, li serviva.

e la febbre la lasci ed (essa) si alz e lo serviva. 5. La trasfigurazione Mt 17,1-9


1

E la febbre la lasci, ed (essa) li serviva.

Mc 9,2-10
2

E dopo sei giorni, Ges prende con (s) Pietro e Giacomo e Giovanni, suo fratello

E dopo sei giorni Ges prende con (s) Pietro e Giacomo e Giovanni,

Lc 9,28-37 28 Ora, avvenne che dopo queste parole, circa otto giorni (dopo), [e] avendo preso con (s) Pietro e Giovanni e Giacomo,

e li conduce su un monte alto, in disparte. 2 E fu trasfigurato davanti a loro, e il suo volto risplendette come il sole, le sue vesti divennero bianche come la luce.
3

e li conduce su un monte alto, in disparte, da soli. E fu trasfigurato davanti a loro,

sal sul monte

Ed ecco, apparve(ro) loro Mos ed Elia, che conversavano con lui.

Ora, prendendo la parola, Pietro disse: Signore, bello per noi essere qui; se vuoi, far qui tre tende, una per te e una per Mos e una per Elia.

a pregare. 29 E avvenne che mentre egli pregava, laspetto del suo volto divenne un altro 3 e le sue vesti divennero e il suo abito (divenne) splendenti, assai bianche, quali bianco, un lavandaio sulla terra non sfolgorante. pu rendere cos bianche. 4 30 E apparve loro Ed ecco, due uomini Elia con Mos, e stavano convenrsando con conversavano con Ges. lui, i quali Mos e Elia, 31 che apparsi in gloria, parlavano del suo esodo che stava per compiere a Gerusalemme. 32 Ora, Pietro e quelli (che erano) con lui erano appesantiti da sonno. Ma essendosi tenuti svegli, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33 E avvenne che mentre essi si separavano da lui, 5 E prendendo la parola, Pietro dice a Ges: Pietro disse a Ges: Rabb, Maestro, bello bello per noi essere qui; per noi essere qui; allora facciamo tre tende, una per te e una per Mos e una per Elia. 6 Infatti, non sapeva che cosa rispondere, perch erano spaventati. 7 E venne una nube che li copr con lombra, allora facciamo tre tende, una per te e una per Mos e una per Elia, non sapendo quello che diceva.

Ancora mentre egli parlava,

34

ecco, una nube luminosa li copr con lombra,

Ora, mentre egli diceva questo, venne una nube e li copriva con lombra; ma essi furono presi da paura quando entrarono

ed ecco una voce dalla nube che diceva:

e venne una voce dalla nube:

Questi Questi il mio Figlio diletto, il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo. ascoltatelo. 6 E udendo (ci) i discepoli caddero sul loro volto e furono presi grandemente da paura. 7 E Ges si avvicin e toccandoli disse: Alzatevi e non temete.
8 8

nella nube. 35 E venne una voce dalla nube, che diceva: Questi il mio Figlio, lEletto, lui ascoltate.

Ora, alzando i loro occhi, non videro nessuno se non lui, Ges solo.

E ad un tratto, guardandosi attorno, non videro pi nessuno ma Ges solo con loro.

36

E mentre veniva la voce, Ges si trov solo. Ed essi stettero zitti e in quei giorni non riferirono a nessuno nulla di ci che avevano visto. 37 Ora, avvenne nel giorno successivo, quando essi scesero dal monte,

mentre essi scendevano dal monte, Ges comand loro dicendo: Non dite a nessuno la visione, finch il Figlio delluomo non sia risuscitato da morti.

mentre essi scendevano dal monte, intim loro che non raccontassero a nessuno ci che avevano visto, se non quando il Figlio delluomo non fosse risorto dai morti. 10 E tennero la parola, chiedendosi tra di loro che cosa fosse questo risorgere dai morti.

6. La parabola del seminatore Mt 13,3-9.18-23


3

Ecco, usc il seminatore per seminare.


4

Mc 4,3-9.13-20 Ascoltate! Ecco, usc il seminatore a seminare.


3 4

Lc 8,5-8.11-15
5

E avvenne

Usc il seminatore per seminare la sua semente. E

mentre egli seminava, alcuni (grani) caddero lungo la via, e venuti gli uccelli li divorarono. 5 Ora, altri caddero su terreni rocciosi, dove non avevano molto terra, e spuntarono subito, perch non avevano profondit di terra. 6 Ma sorto il sole, furono riarsi, e per non aver radice si seccarono.
7

che mentre seminava, una parte cadde lungo la via,

e vennero gli uccelli e la divorarono. 5 E unaltra parte cadde su terreno roccioso, dove non aveva molta terra, e spunt e, germogliata, subito, perch non aveva profondit di terra; 6 e quando sorse il sole, fu riarsa, e per non aver radice si secc. si secc, perch non aveva umidit.
7

mentre egli seminava, una parte cadde lungo la via e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la divorarono. 6 E unaltra parte cadde sulla roccia

Ora, altri caddero sugli spini, e salirono gli spini e li soffocarono.


8

E unaltra parte cadde tra gli spini, e salirono gli spini e la soffocarono, e non diede frutto.
8

E unaltra parte cadde in mezzo agli spini, e gli spini germogliati insieme, la soffocarono.
8

Altri poi caddero sulla terra buona e davano frutto,

E altri (semi) caddero sulla terra buona e davano frutto, salendo e crescendo, e portavano uno trenta e uno sessanta e uno cento. 9 E diceva: Colui che ha orecchi per ascoltare, ascolti. . 13 E dice loro: Non sapete questa parabola? E come conoscerete tutte le parabole? 14 Il seminatore semina la parola.
15

E unaltra parte cadde sulla terra buona e, germogliata, fece frutto

chi cento, chi sessanta, chi trenta.


9

Al centuplo. Dicendo ci esclamava: Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti. .


11

Chi ha orecchi,

ascolti.
18

Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore.

Ora, questa la parabola. La semente la parola di Dio.


12

19

Ognuno che ascolta

Ora, questi sono quelli lungo la via,

Ora, quelli lungo la via

la parola del regno e non (la) comprende, viene il malvagio e rapisce ci che stato seminato nel suo cuore. Questi colui (che stato) seminato lungo la via. 20 Ora, quegli seminato sui terreni rocciosi, questi e colui che ascolta la parola e subito con gioia la riceve; 21 per non ha radice in se stesso ma incostante; ora, venendo una tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si scandalizza. 22 Ora, quegli seminato tra gli spini, questi colui che ascolta la parola, e la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza

dove viene seminata la parola, quando lascoltano, subito viene Satana e toglie la parola seminata in loro.

sono coloro che hanno ascoltato; poi viene il diavolo e toglie la parola dal loro cuore, affinch credendo non siano salvati.

16

E questi sono ugualmente quelli seminati sui terreni rocciosi, i quali, quando ascoltano la parola, subito con gioia la ricevono; 17 e non hanno radice in se stessi, ma sono incostanti; poi, venendo una tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si scandalizzano. 18 E altri sono quelli seminati tra gli spini; questi sono coloro che ascoltano la parola, 19 e le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e le bramosie per le altre cose, entrando (in loro), soffocano la parola, e diviene infruttuosa.
20

13

Ora, quelli

sulla roccia (sono) coloro che quando ascoltano, con gioia accolgono la parola; e costoro non hanno radice, i quali credono per un (po di) tempo e nel tempo della prova

defezionano. 14 Ora, quello caduto tra gli spini, questi sono coloro che hanno ascoltato, e da preoccupazioni e ricchezza e piaceri della vita, cammin facendo, sono soffocati e non arrivano a maturazione.
15

soffoca(no) la parola, e diviene infruttuosa.


23

Ora, quegli seminato sulla terra buona, questi colui che ascolta la parola

E quelli sono coloro (che sono stati) seminati sulla terra buona,

E quello invece nella terra buona, questi sono coloro i quali con cuore nobile e buono avendo ascoltata la parola,

i quali ascoltano la parola

e la comprende; il quale, appunto, porta frutto e produce chi cento, chi sessanta, chi trenta.

e laccolgono e portano frutto, uno trenta, e [uno] sessanta e [uno] cento.

la trattengono e portano frutto con perseveranza.

INDICE GENERALE 1. Lacune eloquenti: un invito alla lettura..................................................................................2


1.1. AT 8,26-40 INTRODUZIONE: PROBLEMI E PROSPETTIVE.......................................................................................................................................................................................................................... 2 1.2. TERMINOLOGIA........................................................................................................................................................................................................................................................................................... 5 1.3. UN ESEMPIO (MT 8,18-27 E PAR.).............................................................................................................................................................................................................................................................. 7

2. Il vangelo quadriforme............................................................................................................13
2.1. LA COMPARSA DEL PROBLEMA................................................................................................................................................................................................................................................................. 14 2.2. PERCH E COME: ALCUNE IPOTESI............................................................................................................................................................................................................................................................ 16 2.3. TRASMISSIONE ORALE E SCRITTA............................................................................................................................................................................................................................................................. 18 2.4. LA TESTIMONIANZA DI IRENEO ADV. HEAR. III.11.8............................................................................................................................................................................................................................ 19 2.4. IL CODEX CRISTIANO................................................................................................................................................................................................................................................................................ 22

3. Il vangelo di Marco..................................................................................................................30
3.1. IL LIBRO E IL SUO AUTORE........................................................................................................................................................................................................................................................................ 30 3.2. IL SECONDO VANGELO VIENE ATTRIBUITO A MARCO.............................................................................................................................................................................................................................. 31 3.3. LO STILE DI MC........................................................................................................................................................................................................................................................................................ 36 3.4. COMPOSIZIONE LETTERARIA..................................................................................................................................................................................................................................................................... 38 3.5. IL SEGRETO MESSIANICO........................................................................................................................................................................................................................................................................... 44 3.6. I RACCONTO E IL SEGRETO........................................................................................................................................................................................................................................................................ 46 3.6.1. Lanalisi di Kelber................................................................................................................................................................................................................................................................. 46 3.6.2. Lanalisi di Marguerat........................................................................................................................................................................................................................................................... 49

4. Il vangelo di Matteo.................................................................................................................54
4.1. COMINCIARE............................................................................................................................................................................................................................................................................................. 54 4.2. LA GENEALOGIA....................................................................................................................................................................................................................................................................................... 58 4.2.1.Le difficolt con la genealogia................................................................................................................................................................................................................................................ 59 4.2.2. La struttura della genealogia................................................................................................................................................................................................................................................. 60 4.2.3. Un confronto: La genealogia di Lc (3,23-38)......................................................................................................................................................................................................................... 63 4.3. ALCUNE CARATTERISTICHE DEL PRIMO VANGELO................................................................................................................................................................................................................................... 64 4.3.1. Alcune caratteristiche dello stile di Mt................................................................................................................................................................................................................................... 65 4.4. COMPOSIZIONE LETTERARIA..................................................................................................................................................................................................................................................................... 67 4.4.1. Lo spazio simbolico-teologico................................................................................................................................................................................................................................................ 69 4.5. LA STRUTTURA DI MT.............................................................................................................................................................................................................................................................................. 70 4.5.1. La proposta di Standaert........................................................................................................................................................................................................................................................ 71 4.6. MT E LA TRADIZIONE : TRA FEDELT E INNOVAZIONE.............................................................................................................................................................................................................................. 75 4.7. LANALISI DI H.E. III. 39,15-16............................................................................................................................................................................................................................................................... 76 4.8. LA FINE DEL PRIMO VANGELO................................................................................................................................................................................................................................................................. 79

5. Luca-Atti...................................................................................................................................83
5.1. LC-AT: UNA SIGLA DA DECIFRARE........................................................................................................................................................................................................................................................... 83 5.2. LC-AT: UNUNIT DA COSTRUIRE............................................................................................................................................................................................................................................................. 86 5.2.1. Le osservazioni di Barrett...................................................................................................................................................................................................................................................... 86 5.2.2. La proposta di Marguerat...................................................................................................................................................................................................................................................... 89
5.2.2.1. Differimento delle informazioni.................................................................................................................................................................................................................................................................................91 5.2.2.2. Inclusioni....................................................................................................................................................................................................................................................................................................................92 5.2.2.3. Prolessi ellittiche........................................................................................................................................................................................................................................................................................................92 5.2.2.4. Ambivalenza semantica..............................................................................................................................................................................................................................................................................................93 5.2.2.5. Catena narrativa..........................................................................................................................................................................................................................................................................................................98 5.2.2.6. La syncrisis.................................................................................................................................................................................................................................................................................................................99

5.3. PERMANENZA E SOSPENSIONE DELLA TORA........................................................................................................................................................................................................................................... 102 5.3.1. Matteo.................................................................................................................................................................................................................................................................................. 102 5.3.2. Luca..................................................................................................................................................................................................................................................................................... 104

6. Il genere letterario dei vangeli .............................................................................................109


6.1. INTRODUZIONE....................................................................................................................................................................................................................................................................................... 109 6.2. I VOCABOLI NEI LXX, IN FILONE ALESSANDRINO E IN GIUSEPPE FLAVIO............................................................................................................................................................................................ 111 6.3. LA TERMINOLOGIA NEL NT.................................................................................................................................................................................................................................................................... 112 6.4. IL TERMINE VANGELO NEL SEC. II....................................................................................................................................................................................................................................................... 115 6.5. IL VANGELO COME GENERE LETTERARIO................................................................................................................................................................................................................................................ 119 6.6. LA PREFAZIONE DI LC-AT...................................................................................................................................................................................................................................................................... 122

Appendice testi in sinossi.......................................................................................................128


1. LA TEMPESTA SEDATA............................................................................................................................................................................................................................................................................... 128 2. BATTESIMO DI GES.................................................................................................................................................................................................................................................................................. 129 3. AL GETSMANI.......................................................................................................................................................................................................................................................................................... 129 4. GUARIGIONE DELLA SUOCERA DI PIETRO.................................................................................................................................................................................................................................................. 131 5. LA TRASFIGURAZIONE............................................................................................................................................................................................................................................................................... 131 6. LA PARABOLA DEL SEMINATORE............................................................................................................................................................................................................................................................... 133

Indice generale...........................................................................................................................137

Potrebbero piacerti anche