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alla fonte P), non sia applicabile a questo blocco narrativo (recente
mente D. B. Redford, A study of thè Biblical story of Joseph , Sappi.
V.T. voi. xx, 1970, e inoltre O.H. Steck, Die Paradieserzàhlung, Bibl.
Studien6o, 1970, pp. 120 ss.). Ora, le discordanze, più o meno note
voli, sono evidenti, e si possono ritenere glosse, interpolazioni tardi
ve, inserimenti di intere varianti della narrazione. In realtà, questa
spiegazione soddisfa di solito per l ’interpretazione di un singolo con
testo narrativo. Essa però non è sufficiente per l’analisi del complesso
del materiale pentateutico, la quale conduce all’ipotesi di una duplice
recensione jahvistica ed elohistica. Certo con ciò non è ancora risolto
a priori il problema se anche nella storia di Giuseppe sia presente
questa duplicità. La soluzione può essere ricavata non solo dalla vi
cenda di Giuseppe, ma anche da una nuova analisi complessiva del
patrimonio narrativo del Pentateuco, della quale si sente pressante
il bisogno.
INDICE GENERALE
Prefazioni ............................................................................................ 9
I. INTRODUZIONE G E N E R A L E ................................................................................ II
1 . Il Genesi nell’Esateuco............................................................. 11
2. Le tre fonti n arrative................................................................ 23
3. Il problema teologico dello Jah vista..................................... 31
4. Problemi ermeneutici dei racconti del G e n e s i...................... 34
i. Il Genesi nell’Esateuco
Il Genesi non è un libro completo in sé, tale da poter es
sere interpretato da solo. I libri compresi tra il Genesi e Gio
suè (Esateuco), nella redazione attuale, formano un unico
grandioso contesto narrativo. Il lettore pertanto, si interes
si delle singole grandi fonti che vi si intersecano oppure del
complesso della composizione, nata dalla fusione organica
di quelle fonti per mano dell’ultimo redattore, dovrà sem
pre, qualsiasi punto dell’opera abbordi, aver presente alla
mente tutto l’insieme, e i contesti, in cui si inseriscono le
singole parti, le quali, a loro volta, andranno intese alla luce
del tutto. La suddivisione nei libri del Genesi, dell’Esodo,
del Levitico, ecc., che ha oggi tanto risalto per il profano,
non è altro che una successiva ripartizione, a seconda del
l’argomento, dell’enorme materiale, e non ci deve far perdere
di vista l’unitarietà originaria.
Un’opera di tale vastità e di così notevole contenuto, che
va dalla creazione del mondo alla migrazione delle tribù nel
la terra di Canaan, dev’essere studiata prestando particolare
attenzione al fine a cui mira e al suo carattere teologico pe
culiare. Dal punto di vista letterario è già stato fatto un co
lossale lavoro; si possiedono nozioni abbastanza chiare anche
a proposito della natura e della provenienza di molti temi
particolari. Ci si è però preoccupati troppo poco di sapere che
cosa sia l’Esateuco nel suo insieme, quale ne sia il tema fon
damentale; di qui la frammentarietà delle interpretazioni del
12 Introduzione generale
vaste al mare, Allora i vostri occhi videro quello che io avevo fatto
contro gli Egizi. Ma voi dimoraste molti giorni nel deserto. Poi io vi
condussi nel paese degli Amorrei, che abitavano al di là del Giordano,
ed essi vi fecero guerra; ma io ve li diedi nelle mani, e voi prendeste
possesso del loro paese, e io li distrussi davanti a voi. Poi si mosse
Balac, figlio di Sippor, il re di Moab, e mandò a chiamare Balaam,
figlio di Beor, per maledirvi. Ma io non volli ascoltare Balaam, e cosi
egli dovette benedirvi e io vi liberai dal suo potere. Poi passaste il
Giordano e arrivaste a Gerico, e gli abitanti di Gerico vi fecero guer
ra; ma io ve li diedi nelle mani e mandai davanti a voi lo sgomento;
esso scacciò davanti a voi i dodici re degli Amorrei. E io vi diedi un
paese, per il quale non vi eravate affaticati, e città, che non avevate
edificato e che ora abitate; e potete godere dei vigneti e degli uliveti
che non avete piantato (lo s . 24,2-13).
Nessuno dei tre testi citati si esaurisce in una casuale re
miniscenza di fatti storici; essi sono invece concepiti come
una recitazione in forma solenne e in discorso diretto. Sono
evidentemente costruiti secondo uno schema, vale a dire se
guono a loro volta una rappresentazione canonica della storia
della salvezza, da lungo tempo fissata in tutti i suoi dati es
senziali. Per quanto grande possa sembrare la differenza tra
questa specie di recitazione dei fatti della salvezza, in forma
di credo, e il nostro Esateuco nella sua redazione ultima, si
rimane tuttavia stupiti per la concordanza tematico-concet-
tuale che si riscontra in ambedue. In fondo si tratta di uno
stesso pensiero conduttore, estremamente semplice, e si può
già definire los.*24,2-13 un ‘Esateuco’ in forma ridotta. Se
si considera poi Finterò processo ci si potrà fare un’idea del
l’enorme forza d’inerzia dei temi di fede che formano l’An
tico Testamento; infatti, per quanto consistenti siano le ag
giunte e profonda la loro elaborazione, esse si fondano pur
sempre sulla solida base di ciò che la fede riteneva fondamen
tale e oltre cui non ha potuto né voluto andare neppure l’Esa-
teuco nella sua forma definitiva.
Il passo di Deut. 26 porta chiare tracce di un rimaneggia
mento più recente. Perciò è difficile dire quando tali sintesi
storiche siano nate e venute in uso. A mio avviso non è fuor
Il Genesi nelVEsateuco 15
di luogo l’ipotesi che esse fossero già esistenti al tempo dei
Giudici. Sarebbe invece improbabile considerare queste sin
tesi come tardi riassunti dei grandi abbozzi storici dell’Esa-
teuco. Se così fosse, dovrebbero avere un’altra configurazio
ne; soprattutto non mancherebbe l’avvenimento del Sinai, di
cui era ovvio far parola.
Lo Jahvista, però, scrisse in tutt’altra epoca. Se anche non
vi fu un lungo intervallo di anni fra lui e l’epoca dell’antica
anfizionia israelitica (abbiamo motivo di credere ch’egli abbia
scritto al tempo di Salomone o poco più tardi), dal punto di
vista della storia della civiltà e del culto in genere, molto era
cambiato.
Per una comprensione più profonda dei primi libri della
Bibbia è di importanza capitale che la ‘sigla J’ perda la sua
astrattezza, che riusciamo ad avere una visione reale dei pro
cessi letterari, perché fu proprio lo Jahvista a dare, a quanto
sembra, forma e misura all’Esateuco. Lo Jahvista rappre
senta quel profondo incastro storico-culturale che constatia
mo presso tanti popoli: è colui che ha raccolto innumerevoli
tradizioni antiche, circolanti fino allora liberamente in mezzo
al popolo. Con lui i racconti poetici e cultuali, che già corre
vano sulla bocca del popolo in maniera inorganica, divengono
letteratura. È lecito supporre che questo processo non si sia
espletato d’un colpo nella forma di una grande opera lettera
ria. Forse lo Jahvista stesso ha preso le mosse da lavori pre
liminari, sui quali tuttavia non ci è dato sapere niente. Del
resto che si sia potuto giungere a raccogliere questi antichi
materiali e a dar loro nuova forma, non è naturalmente da
attribuire solo all’iniziativa dello Jahvista, ma anche al fatto
che ormai i tempi dovevano essere maturi; anzi —ed è la con
statazione più importante —va notato che le premesse di ciò
erano già implicite in quei materiali stessi. La maggior parte
di questi antichi racconti era formata da ‘eziologie’, ossia da
spiegazioni di qualche reale situazione locale, cultuale o di
storia tribale. La validità di queste tradizioni e il loro inte
16 Introduzione generale
2. Sarà bene formarsi un’idea del cammino che queste tradizioni avrebbero per
corso secondo ogni probabilità, se non fossero state solidamente fissate su piano
letterario. La liberazione dal suo ambiente cultuale, per una tradizione, significava
senza dubbio un’accentuata spiritualizzazione del contenuto, e nessuno negherà
che l’uscir dall’ambito cultuale arcaico, chiuso e materialmente condizionato rap
presentava anzitutto una felice liberazione e la possibilità di uno sviluppo im
pensato di quanto era contenuto in quei materiali. Certamente però, il principio
stesso che li traeva fuori doveva sottoporli sempre più a un’interiore volatiliz
zazione; ogni spiritualizzazione del genere è insieme un processo pericoloso di
dissolvimento che consuma il midollo del materiale; infatti ogni spiritualizzazione
è anche una razionalizzazione. L ’uomo non si trova più, di fronte ai materiali,
nell’ingenuo atteggiamento dell’accettazione rispettosa, ma incomincia a porsi al
di sopra di essi e ad interpretarli e strutturarli conforme alle necessità della sua
ratio. Prendiamo un esempio in cui si possa osservare questo processo: la storia
della manna (Ex. 16). Il racconto più antico (che abbiamo in particolare nei w .
4-5.130-15.27-30) presenta ancora il fatto in maniera del tutto materiale ed è pie
na di difficoltà storiche. Completamente diversa è la composizione della redazione
sacerdotale (vv. 2-3.6-133.16-26). Qui l’avvenimento viene descritto in tutta la sua
concretezza, ma in modo che nessun lettore possa soffermarsi sugli aspetti super
ficiali, ma sia costretto a cogliere il segreto senso spirituale. Il miracolo delimi
tato storicamente e geograficamente è divenuto qualcosa di universale, di valido
quasi al di fuori del tempo. Qui non parla un narratore, ma un uomo ch’è un
teologo nato e ha rivestito le sue riflessioni mediante l’involucro trasparente di
un racconto storico. Il Deuteronomista, poi, ha fatto ancora un grande passo
avanti: «Egli ti ha umiliato, ti ha fatto sentire la fame e ti ha dato da mangiare
la manna, che né tu né i tuoi padri avevate conosciuto, per mostrarti che l’uomo
non vive di solo pane, ma di tutto ciò che esce dalla bocca di Jahvé» (Deut. 8,3).
La redazione sacerdotale, nella sua formulazione esterna, aveva del tutto rispet
tato l’antica forma del racconto (la spiritualizzazione era presente solo in traspa
renza); qui invece viene abbandonato completamente l’antico significato. Di un
nutrimento corporale destinato a saziare la fame si parla solo indirettamente; sì
parla piuttosto, di un sostentamento mediante la parola di Dio e con poche pa
role è detto quale importante senso spirituale abbia avuto allora in realtà quel
l’avvenimento materiale. Anche qui si deve dire che l’antica semplice storia ha
acquistato un’apertura stupenda ed importante mediante quella spiritualizzazione;
ma è altrettanto incontestabile che fu una fortunata combinazione se non a tutte
le tradizioni dell’Esateuco fu dato di poter liberamente accedere a tale progres
siva interiorizzazione e spiritualizzazione. SÌ può solo intuire quale processo di
i8 Introduzione generale
cita fatti minimi come cose grandi, senza per questo sminuirne il con
tenuto; sembra, anzi, che sia questa l ’unica forma adatta a traman
dare il ricordo di tali contenuti. Le tradizioni bibliche si segnalano
per una grande parsimonia di tratti sentimentali. Quello che gli uo
mini hanno riflettuto o sentito, quello che li ha commossi, passa in
seconda linea di fronte agli avvenimenti oggettivi. Nel caso che lo
scrittore dica qualcosa del timore o della paura che ha colpito un uo
mo (Gen . 15,12; 32,7), l ’accenno fa un’impressione tanto più viva,
proprio a motivo della sua gratuità.
16. Cfr. i recenti lavori di H.W. Wolff, Kerygma des Jabwisten und Elohisten...
Problemi ermeneutici dei racconti del Genesi 49
17. M. Buber e F. Rosenzweig, Die Schrift und ihre Ver de ut schung, 193 6, 322.
5° Introduzione generale
LA PREISTORIA BIBLICA
gli sarà necessario nel corso del tempo e che alla fine lo ac
coglierà escatologicamente nell’eternità (anche se quest’ulti
mo punto è ancora estraneo all’orizzonte teologico della ri
flessione sacerdotale). Il sabato come ultimo giorno della
creazione non è neppure delimitato; manca infatti la formula
conclusiva «fu sera e fu mattina...», e ciò, come del resto
tutto in questo capitolo, è intenzionale. Gen. 2,1 ss. parla,
quindi, della preparazione di un supremo bene salvifico per
il mondo e per l’uomo, di un riposo «avanti il quale si preci
pitano, come bufera, i millenni» (Novalis). Abbiamo qui ‘pre
sente’ protologicamente, in maniera concreta, quello che la
lettera agli Ebrei attende in prospettiva escatologica ( 4).
Con queste affermazioni termina il racconto sacerdotale
della creazione del cielo e della terra assieme al loro esercito.
È strano l’uso del termine sàba , ‘esercito’, per connotare tut
ti gli elementi che riempiono il cosmo (Ps. 103,21) e gli es
seri viventi; forse si tratta di una designazione tecnica, pro
pria di una classificazione sacerdotale (cfr. Num. 4,3; 8,24).
Ma forse si pensa anche agli esseri superiori che, secondo la
concezione dell’antico Israele, circondano la sfera di Dio e a
volte fungono da intermediari tra lui e l’uomo ( Reg. 22,19;
los. 5,14 ecc.).
4a. La frase di 2,4a è difficile. In sé la formula ricorre spes
so nel Genesi come titolo (3,1; 6,9; 10,1; 11,10.27; 25,12.
19; 36,1.9; 37,2). Questo passo, però, non può essere un ti
tolo; d’altra parte la formula è esclusivamente sacerdotale.
Un’altra difficoltà è rappresentata dal termine tóledót, che si
gnifica ‘albero genealogico’, ‘genealogia’, letteralmente anzi
‘generazione’. Noi supponiamo che la formula, che nella fon
te sacerdotale rappresenta una specie di divisione in capitoli,
sia stata aggiunta al capitolo della creazione prima di tutto
per esigenze sistematiche, di uniformità, e inoltre nel senso
del tutto traslato di ‘storia delle origini’. Siccome però l’ini
zio del capitolo era già stato fissato canonicamente, all’inter-
76 La preistoria biblica
potatore non restava altro che apporre la frase alta fine del
racconto. Sul problema connesso con l’origine dell’intera re
dazione sacerdotale, vedi commento a 5,1.
della creazione. Ma nel descrivere le lotte fra gli dèi che por
tano ad un’azione creativa, essi lasciano facilmente intendere
quale fosse l’ambiente religioso col quale Istaele venne a in
contrarsi. Non ci si meraviglia mai abbastanza della forza che
rese possibile a Israele di sganciarsi da questo complesso di
idee e di parlare del rapporto di Dio col mondo in maniera
del tutto diversa.
Ancora un’osservazione sulla struttura interna dell’insie
me: la frase del v. i rappresenta la somma dell’intero capi
tolo, e tutte le affermazioni seguenti, che in un certo senso
non sono altro che sviluppi di questa frase programmatica,
si muovono, fondamentalmente, da una parte sulla linea sta
bilita dal primo versetto del capitolo: tutto è creato da Dio,
al di fuori di lui non esiste alcuna potenza creatrice. Accanto
a questa linea (che possiamo chiamare orizzontale), che attra
versa dall’inizio alla fine l’intero racconto della creazione, ne
va però rilevata un’altra, ascensionale, che stabilisce una chia
ra gerarchia nel rapporto delle creature col creatore; infatti
non tutte si trovano in uguale rapporto di immediatezza con
Dio. Al punto più lontano da Dio, teologicamente ancora dif
ficile da formulare, si trova il caos. La notte è bensì una crea
tura, però, in quanto tenebra caotica gettata in un ordine co
smico, non è affatto, creaturalmente, allo stesso grado del
giorno. Le piante hanno rapporti immediati solo con la terra
feconda, mentre il loro rapporto con Dio è soltanto mediato,
in quanto Dio, «con la sua parola, feconda» (Calvino) la ter
ra. Più su ancora stanno gli animali. Qui abbiamo l’uso spe
cifico del verbo bar‘creare’.
, Si distingue però chiarame
tra animali acquatici e animali terrestri. I primi —in corri
spondenza della maggiore distanza fra Dio e le acque —,han
no origine dalla parola imperante e creatrice, i secondi dalla
terra, resa partecipe della facoltà di creare. Riveste una par
ticolare importanza la formula di benedizione rivolta alle
creature, che abilita gli animali alla procreazione. (Il motivo
dell’assenza di questa benedizione a proposito degli animali
So La preistoria biblica
formò dal terreno tutti gli animali del campo e gli uccelli del cielo,
e li condusse davanti alPuomo, per vedere come li chiamasse; e come
chiamasse Puomo gli esseri viventi, tale fosse il loro nome. 20 L ’uomo
impose i nomi a tutto il bestiame e a tu tti gli uccelli del cielo e a
ogni fiera del campo; ma, per Puomo (*)> non trovò un aiuto corri
spondente a lui.
?! Jahvé Dio fece scendere un sonno profondo sulPuomo, che si ad
dormentò. Egli prese una delle sue costole e saldò la carne al posto
di essa. 22 Jahvé Dio modellò una donna con la costola che aveva
tolto alPuomo e la condusse alPuomo. 23 L'uom o disse: «Questa vol
ta è osso delle mie ossa e carne della mia carne; questa si chiamerà
donna ('issa) perché dall'uom o ('is) fu tratta». 24 Perciò Puomo lascia
suo padre e sua madre e si unisce alla sua donna, e formano una sola
carne. ^A m bedue erano nudi, Puomo e la sua donna, e non ne pro
vavano vergogna.
nella parte fisica che in quella psichica. Questa vita nasce di
rettamente da Dio, con la stessa immediatezza con cui il cor
po umano inanimato ha ricevuto il soffio dalla bocca di Dio
piegato sopra di lui. Ciononostante è innegabile, in sordina,
un certo tono cupo; c’è già una sommessa anticipazione della
situazione dell’uomo post-adamitico. Quando Dio ritira il suo
soffio ( s.104,29 s;
P Iob43,14 s.), l’uomo rica
terialità inanimata. L’unione dei due nomi divini Jahvé-Elo-
him (Jahvé-Dio) dal punto di vista sintattico è strana (tra
l’altro l’espressione riesce difficile a tradursi; forse i due ele
menti sono uniti in stato costrutto?), come pure sorprende il
suo uso (nel Genesi infatti ricorre solo nella storia del para
diso e della caduta, usata però dal principio alla fine; al di
fuori del Genesi, nel Pentateuco si trova una sola volta). For
se qui è dovuta a un intervento redazionale: in origine era
usato il nome Jahvé, cui fu più tardi aggiunto quello di Elo-
him in maniera da garantire l’identità di questo Jahvé con
l’Elohim di Gen. 1. Può dipendere anche da motivi liturgici.
Osservazioni conclusive
sulla storia del paradiso e della caduta
È difficile stabilire la forma letteraria della storia del pa-
122 La preistoria biblica
che tuttavia, solo in minima parte sono state fuse fra loro per
la prima volta dalla mano dello Jahvista; la maggioranza in
fatti già molto prima si trovava riunita in un’unica trama.
Quest’unione di materiali più antichi è ora molto profonda
ed articolata. Oltre al pensiero centrale, che pervade la nar
razione in tutta la sua estensione e di cui anche in seguito si
parlerà, c’è anche, ad esempio, il motivo dell (uomo)-
’àdàma (terra), che ora domina e lega il tutto (2,4.7.19; 3,
17.23). Naturalmente si devono rilevare anche varie discon
tinuità, fratture e incongruenze. La qualificazione della don
na non è del tutto unitaria: 2,18.23 la considera come l’au-
siliaria e la sposa, e mentre 2,24 dà molto peso all’apparte
nenza reciproca dei sessi, 3,7.20 (e 4,1) torna alla prima idea.
Il contesto del racconto di 3,1-7 presuppone chiaramente che
gli uomini non sappiano ancora nulla sul mistero della ses
sualità, che scopriranno solo dopo la caduta. Perciò anche la
denominazione della donna è duplice: ’ ‘sposa’ e hawtvà
‘Èva’. Fanno pensare anche i due alberi; infatti 3,1 ss. parla
solo dell’albero della conoscenza. L’irrigazione della terra av
viene sia mediante V’éd (v. 6: acqua profonda?) sia mediante
i fiumi del paradiso (2,10 ss.). Non è pienamente chiaro nep
pure il rapporto che esiste tra il giardino e la regione di Eden.
Verosimilmente vi si riflettono due tradizioni (secondo la pri
ma l’Eden era il paradiso, secondo l’altra lo era il giardino),
che ora sono riassunte nell’espressione «il giardino di Eden»
(21,13; 3,23 s.). Parimenti difficile è stabilire in maniera sod
disfacente l’ubicazione del paradiso (2,8 indica l’Oriente; i
vv. io ss. il nord della Palestina). In una versione più antica
e più semplice la punizione degli uomini consisteva certo nel
la cacciata dal giardino. La sentenza punitiva dei vv. 14-19
può essere intesa come una interpretazione largamente ampli
ficativa di questo fatto, riferito in maniera cosi succinta. Si
è già detto della tensione che ancora esiste tra la minaccia
della morte in 2,17 e la condanna di 3,19. Infine bisognereb
be ricordare la strana designazione di Dio con ‘Jahvé-Elo-
124 La preistoria biblica
del deserto, con il mistero del suo rapporto con Dio, ha for
nito a questo quadro i tratti fondamentali. Sorprende, però,
vedere fino a qual punto i condizionamenti geografici e sto
rici nel racconto siano lasciati in ombra, per far emergere
decisamente l ’universale, il preistorico e il protoumano. Il
peccato di Caino è orrendo perché non avviene in uno stato
di rottura con Dio, non è commesso quando egli si oblia nel
l’umano, ma proprio là dove l’uomo si eleva a Dio, all’altare.
In politica ira est aliquid humani reliquum... talis furia in
politica ira non est. Furor pharisiacus est furor piane diabo-
licus (Lutero, W . A . , x l i i , 193). Il giudizio di Dio sul fratri
cida consiste in un più vasto e profondo turbamento del rap
porto dell’uomo con la terra che sostenta la sua vita, e in
un esilio ancor più radicale, poiché là dove Caino deve vivere
non esiste alcun culto di Jahvé. Caino se ne va, come dice lo
stesso racconto, «lontano dalla faccia di Jahvé». Che egli cio
nonostante non sia abbandonato da Dio, ma anzi ne sia pro
tetto in modo esplicito rappresenta il lato più misterioso del
racconto; qui infatti si rivela una volontà divina custode e
ordinatrice. Lo spirito omicida che è esploso in Caino non
deve allargarsi in cerchi sempre più grandi (Dillmann) e il
castigo a cui Dio ha destinato Caino non deve dare agli uo
mini l’occasione di infierire gli uni contro gli altri.
6. La genealogia dei Cainiti (4,17-26)
17 Caino conobbe sua moglie, la quale concepì e p artorì Enoc. Poi
divenne costruttore di una città, e chiamò la città col nom e di suo
figlio Enoc. 18 A Enoc nacque Irad, e Irad generò M ahuiael, e Ma-
huiael generò M atusael, e M atusael generò Lamec. 19 Lamec prese due
mogli, la prim a di nom e Ada e la seconda di nom e Sella. 20 Ada p ar
torì Jabal, che fu il padre di quelli che vivono sotto la tenda e con i
greggi. 21 II nome di suo fratello è Jubal, che fu padre di tu tti quelli
che maneggiano la cetra e il flauto. 22 Sella partorì, a sua volta, Tu-
balcain, (padre) (‘) di tu tti quelli che intagliano il rame e il ferro; la
sorella di Tubalcain era Noema.
2’ Lamec disse alle sue mogli: «Ada e Sella, udite la mia voce, mogli
i . Biblia Hebraica,
i 38 La preistoria biblica
5Jahvé vide che la malvagità dell’uomo era grande sulla terra e che
tutti i pensieri e i disegni del suo cuore erano costantemente rivolti
solo al male. 6 Allora Jahvé si pentì di aver fatto l ’uomo sulla terra
e se ne dolse in cuor suo. 7 Jahvé disse: «Raderò dalla faccia della ter
ra l ’uomo da me creato, e insieme con l ’uomo anche le bestie, i ret
tili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti». 8 Ma
Noè incontrò favore agli occhi di Jahvé.
viveva sull’asciutto morì. 23 Furono così annientati tutti gli esseri che
erano sulla faccia della terra, dall’uomo al bestiame, ai rettili e agli
uccelli del cielo: essi furono rasi dalla terra. Rimase solo Noè e chi
stava con lui nell’arca.
8 6a Al termine dei quaranta giorni 2b la pioggia fu trattenuta (dal ca
dere) dal cielo, 3ae le acque cominciarono a ritirarsi a poco a poco
dalla terra. 6b Noè aprì la finestra, da lui fatta nell’arca, 8 e inviò la
colomba, per vedere se le acque erano diminuite sulla superficie del
la terra. 9 Ma la colomba, non trovando dove posare la pianta del pie
de, ritornò a lui nell’arca, perché vi era ancora acqua sulla superficie
di tutta la terra. Egli stese la mano, la prese e la fece entrare presso
di sé nell’arca. 10 Aspettò ancora altri sette giorni e mandò fuori nuo
vamente la colomba dall’arca. 11 Essa tornò a lui verso sera, ed ecco:
aveva nel becco un verde ramoscello d ’ulivo! Così Noè capì che le
acque erano diminuite sulla terra. 12 Egli attese ancora altri sette gior
ni, e lasciò andare la colomba, che non ritornò più a lui. UbNoè al
lora levò la copertura dell’arca; guardò, ed ecco: la superficie del suo
lo era asciutta! “ Noè costruì un altare a Jahvé, prese ogni genere di
tu tti gli animali puri e di tutti gli uccelli puri, e li offrì in olocausto
sull’altare.
La storia biblica del diluvio, quale l’abbiamo oggi, è un ar
tistico intreccio delle due fonti J e P. Il redattore ha mirabil
mente combinato i due testi, in modo che le due relazioni
sono rimaste quasi intatte. La redazione sacerdotale, essendo
già di estensione maggiore ed inoltre letterariamente più re
cente, rimase in sostanza determinante per la forma e il con
tenuto della compilazione finale. Per comprendere l’insieme
bisogna naturalmente ricorrere anzitutto a tale redazione (cfr.
pp. 157 ss.). Tuttavia, per avere un’intelligenza più esatta, è
necessario stabilire una distinzione dei testi; solo una cono
scenza delle peculiarità delle due tradizioni rende possibile
una retta comprensione del racconto nella sua forma attuale.
L’unica grave lacuna testuale che dobbiamo lamentare ri
guarda la fonte jahvistica; in essa al prologo (6,5-8) non po
teva far seguito l’ordine di entrare nell’arca. A quest’ordine
dev’essere stata premessa un’istruzione a Noè perché co
struisse l’arca, e una breve relazione sul compimento della
costruzione stessa. Questa parte che, dato lo stile conciso del
Il diluvio (redazione J) ij>i
21 Quando Jahvé odorò la fragranza pacificante, disse tra sé: «Mai più
considererò come maledetta la terra per causa dell’uomo, poiché, cer
to, ciò che formula il cuore dell’uomo è malvagio, fin dalla sua giovi
nezza; mai più annienterò ogni essere vivente, come ho fatto. “ Fin
ché durerà la terra, semenza e messi, freddo e caldo, estate e inverno,
notte e giorno, non cesseranno».
Anche qui, come nel prologo, abbiamo a che fare con affer
mazioni proprie dello Jahvista. La storia del diluvio è ormai
finita, e quel che egli ci presenta come parola di Jahvé, non
l’ha certo trovato in nessuna tradizione antecedente; solo la
sentenza della durata dell’ordine naturale potrebbe essere un
elemento antico (v. 22). (Così cogliamo in queste frasi del
prologo e dell’epilogo l’intenzione particolare dell’autore, e
ne veniamo orientati nella retta intelligenza dell’intera com
posizione.)
Che Dio ‘odori’ il profumo del sacrificio, è un’affermazio
ne audace e sorprendente anche per l’antropomorfismo del-
l’A.T. Dal poema di Gilgamesh sappiamo che quest’espres
sione deve manifestamente essere stata un elemento essen
ziale e costante della tradizione antica e lo Jahvista non era
così scrupoloso da scartarla; tanto più che gli dava la possi
bilità di alludere al nome di Noè mediante l’espres
sione rèàh hannihóàh. Il termine tecnico qui usato, frequente
nella letteratura sacerdotale successiva, potrebbe essere tra
dotto con ‘odore della placazione’. Che Noè, sulla terra libe
rata dalle acque del castigo, offra prima di tutto un sacrificio,
è gesto che corrisponde perfettamente al sentimento dell’uo
mo antico. È difficile che lo Jahvista, dato il suo interesse
relativamente scarso per gli ordinamenti cultuali, voglia pre
sentarci questo sacrificio come il segno di una nuova situa
zione dell’uomo di fronte a Dio. Il rapporto interiore fra le
riflessioni di Jahvé che pongono fine alla storia del diluvio e
il sacrificio offerto è piuttosto tenue. Jahvé si è deciso a ga
rantire in senso benefico il suo atteggiamento verso la terra.
Il verbo qallèl usato qui non indica maledire, ‘colpire di ma
ledizione’, ma probabilmente ‘considerare come maledetto’
e agire di conseguenza. È chiaro che la frase si riferisce alle
maledizioni con cui Dio ha colpito la terra in 3,17. Già La
uree aveva profeticamente spiegato il nome del suo discen
dente Noè, dicendo che a questo nome si legherebbe un sol
lievo per tutti i tempi (5,29). Ora lo si vede chiaramente:
L ’epilogo dopo il diluvio (8,21-22) 155
2. Biblia Hebraica.
i6 o La preistoria biblica
non diverranno più diluvio per distruggere ogni carne. 16 Quando l ’ar
co sarà nelle nubi, io lo vedrò e mi ricorderò dell’alleanza eterna tra
Dio e tutti gli esseri viventi, di ogni carne che è sulla terra». 17 Disse
dunque Dio a Noè: «Questo è il segno dell’alleanza, che ho stabilito
tra me e ogni carne che è sulla terra».
181 figli di Noè, usciti dall’arca, erano Sem, Cam e Jafet; (Cam è il
padre di Canaan). 19Questi tre sono i figli di Noè, e da loro deriva
tutta l ’umanità.
20 Noè, il coltivatore, fu il primo a piantare la vigna. 21 Bevuto poi del
vino, s’inebriò, e giacque nudo nell’interno della sua tenda. 22 (Cam,
padre di) Canaan, vide la nudità di suo padre, e lo raccontò ai suoi
due fratelli, di fuori. 23Ma Sem e Jafet presero il mantello, se lo mi-
Maledizione e benedizione di Noè (9,18-29) 171
equivale a ‘sulla terra’ (cfr. Ion. 3,3). Chi lo dice? Non è ne
cessariamente un proverbio; potrebbe trattarsi anche di una
citazione di un poema o di qualcosa di simile ( 21,14).
Ma come si devono comprendere i dati sull’ambito del suo
dominio babilonese? Nemrod è forse un kushita, quindi un
camita? Se si potesse intendere ‘principio’, nel v. ioa,
come ‘vertice’, punto più elevato, parecchie cose sarebbero
più facili. D’altra parte il soggetto del v. u à è Assur, non
Nemrod. Se ci chiediamo a quale figura di sovrano storico si
riferiscano questi ricordi, dobbiamo riconoscere che una ri
sposta soddisfacente non è ancora stata data. Suggestiva è
l’interpretazione del Sethe,che rimanda ad Amenofi in (1411-
1373), chiamato neh mare, forma nominale che ricorre co
me Nimmuria nelle lettere di el-Amarna. In realtà, Amenofi
si gloria di aver esteso il suo dominio fino all’Eufrate e parla
di grandiose battute di caccia a leoni ed animali selvatici2.
Ma sono possibili anche altre interpretazioni. (Si è pensato,
e con largo consenso, al dio babilonese Ninurta, che era ap
punto il dio della caccia, sul quale circolavano tradizioni in
forma di poemi. Ma resta la difficoltà della sua inserzione
nella genealogia di Cam.) Nemrod può essere stato un per
sonaggio della saga, nel quale sono confluiti svariati elementi
tradizionali.
Dei figli di Misraim sono importanti i Caftorim (Cretesi),
con i quali stanno in rapporto i Filistei (vedi commento a
9,27). Ma che significa la loro origine dai misteriosi Casluim?
S’impone l’emendazione proposta da molti commentari e da
noi accolta. Sull’origine dei Filistei da Caftor = Creta, cfr.
Am. 9,7;Ier. 47,4.
A Canaan sono attribuiti alcuni ‘popoli’ dei quali, in par
te, non ci è stato conservato che il nome; degli Amoriti si
parla spesso nell’A.T. ( Gen.13,16; 48,22,
una chiara idea storica. Si allude alla popolazione preisraeli
tica della Palestina (o a una parte di essa). Il confine è fis-
2 . Encyclopaedia of Religion and Ethicsvi, ic ^ i 2, 650.
La storia della torre di Babele e della confusione delle lingue (11,1-9) 187
111 Tutta,la terra aveva una sola lingua e le medesime parole. 2 Partiti
dall’oriente (!) gli uomini trovarono una pianura nella regione di Sen-
naar e vi si stabilirono. 3Essi si dissero l’un l ’altro: «Suvvia! Faccia
moci dei mattoni e cuodamoli al fuoco!». Il mattone servì loro da
pietra e il bitume da malta. 4Essi dissero: «Suvvia! Costruiamoci una
città e una torre, la cui cima giunga al cielo! Facciamoci un nome per
non essere dispersi su tutta la terra!». 5Jahvé scese a vedere la città
e la torre, che gli uomini avevano edificata. 6E Jahvé disse: «Ecco
che tutti formano un solo popolo e (parlano) un unico linguaggio e
questo è l’inizio delle loro imprese! Ormai non vi sarà più alcun di
segno irrealizzabile per essi! 7 Suvvia! Scendiamo e là confondiamo la
loro lingua perché non si intendano più l ’un l ’altro!». 8Jahvé li di
sperse di là su tutta la faccia della terra ed essi cessarono di costruire
la città. 9 Perciò (questa) si chiamò Babele, perché Jahvé confuse la
lingua di tutto il mondo, e di là ne disperse (gli abitanti) sulla faccia
di tutta la terra.
ciò che proviene da una tradizione antica e ciò che deve es
sere attribuito alla struttura nuova data dai grandi compila
tori (Jahvista, Elohista). In genere sarà meglio andar cauti e
non ravvisare immediatamente lo Jahvista in certe concezio
ni o rappresentazioni tipiche, quasi fosse cosa del tutto ovvia.
Abbiamo invece motivo di credere che i raccoglitori si siano
serviti del materiale a loro disposizione con spirito molto
conservatore, e noi di solito sopravvalutiamo la loro libertà
nel dare una forma e un accento proprio agli elementi antichi
(cfr. pp. 42 s.). Per quanto possiamo seguirne il cammino, le
narrazioni sono spesso passate attraverso i tempi con degli
spostamenti interni di significato molto incisivi (cfr. pp. 17
s.), ma subendo all’esterno mutazioni così scarse da sorpren
dere. I racconti di Gen. 22,1 ss.; 28,10 ss.; 32,23 ss. un tem
po, quando erano ancora leggende cultuali, nella loro strut
tura esterna, cioè quanto al numero delle frasi e al patrimo
nio lessicale, suonavano forse essenzialmente diverse da quan
to non siano nella versione attuale?
Il secondo compito è quello di intendere di volta in volta
ogni narrazione come l’anello di una grande catena. E pro
prio qui l’esegeta si imbatte nel lavoro del compilatore. Ta
le compilazione non dobbiamo certo immaginarcela come un
fatto avvenuto una volta per sempre: anche qui bisogna te
ner conto di stadi e tappe diverse \ ma tuttavia il modo con
cui lo Jahvista ha disposto il materiale presenta tratti così
peculiari che dobbiamo comunque considerare la struttura da
lui impressa alla massa dei dati forniti dalla tradizione come
un evento letterario di primaria importanza, che reclama tut
to il nostro interesse teologico (cfr. pp. 13 ss.). Infatti da
questo lato i compilatori erano molto più liberi di quanto
non fossero nella formulazione delle narrazioni singole. Gra
zie al modo con cui fecero succedere l’uno all’altro i racconti
e diedero agli avvenimenti della storia dei patriarchi ora una
posizione centrale e culminante, ora una direzione intesa a
1. M. Noth, Lberlieferungsgeschichte des Pentateuch , 1948.
La storia dei patriarchi 211
10 Q uando però scoppiò nel paese una carestia, A bram o scese verso
l ’E gitto, per soggiornarvi tem poraneam ente in qualità di straniero,
poiché la carestia infieriva gravem ente nel paese. 11 Come dunque fu
sul punto di m etter piede in E gitto disse a sua moglie Sarai: «G uarda,
io so benissim o che sei donna di bell’aspetto; 12 se gli egiziani ti ve
dono e pensano: è sua moglie, finirà che mi am mazzeranno lasciando
però te in vita. 13 D i’, te ne prego, che sei mia sorella affinché in gra
zia tua le cose vadan bene per me e resti in vita per tuo riguardo».
14 Q uando dunque A bram o giunse in E gitto, gli Egiziani videro che
la donna era m olto bella. 15 E come la videro i cortigiani del faraone,
la vantarono al faraone e la donna fu così presa e p o rtata nel palazzo
del faraone. 16M a in grazia di lei questi trattò bene A bram o ed egli
ne ricevette greggi e arm enti, asini, servi e serve, e asine e cammelli.
17Jahvé però colpì il faraone con gravi malanni - lui e l ’intera sua
casa - a causa di Sarai moglie di Abram o. 18 Allora il faraone fece
214 La storia dei patriarchi
chiam are A bram o e gli disse: «Che è questo che mi hai fatto ? Perché
non m i hai inform ato che è tua m oglie? 19 P erché hai d e tto che era
tu a sorella, e così me la son presa in moglie io? O ra, eccoti la tua
donna; prendila e vattene». 20 E il faraone gli diede una scorta che lo
accom pagnasse, insiem e alla sua m oglie, e a tu tto il suo avere.
1A bram o dunque risalì d all’E gitto: egli, la sua m oglie e tu tto il suo
avere e L ot con lui, verso il N egeb.
4. D. Daube, op. c i t 37 s.
5. Oriens christianus 1927, 333 ss.; 1928, 360 ss.; E. Mader, Mambre. D ie Ergeb -
nisse der Ausgrabungen im beili gen Bezirk Ramet el H alil in Sudpal'dstina 1926-
2 8 , 1957.
Vittoria di Abramo sui re orientali (14) 223
1. Per Amrafel e gli altri nomi dei re, cfr. De Liagre Rohl, in R G G 3i, 332 s.
Vittoria di Abramo sui re orientali (14) 227
grandi sovrani solo due al massimo sono dunque identicafi-
bili. Il fatto sarebbe da situare al più tardi all’inizio del xvn
secolo. Quanto ai nomi dei re delle città cananee, ci manca
completamente ogni possibilità di identificazione. (Nel fatto
che il quinto re non ha nome si è visto volentieri un segno di
attendibilità storica, perché un narratore che inventasse non
sarebbe stato imbarazzato a dargliene uno.) A quanto riferi
sce il racconto, le città dovevano trovarsi l’una presso l’altra,
nella regione dell’attuale Mar Morto (cfr. Deut. 29,22). Che
la distruzione di queste città, come insinua il v. $b, debba
connettersi con la formazione del Mar Morto, è cosa geolo
gicamente assurda. Piuttosto in relazione ai grandi sbalzi cui
era ed è soggetto il suo livello, la terra coltivata a sud del
bacino in antico potrebbe essere stata notevolmente più este
sa; infatti la parte meridionale del Mar Morto è ancor oggi
assai poco profonda 2. Sebbene poi la storia antica della zona
siro-palestinese ci mostri continuamente il formarsi di coali
zioni di piccoli stati e città contro i grandi regni del Nord-
est, la notizia di una coalizione interessante una zona così li
mitata contro un avversario tanto lontano del quale quelle
città sarebbero state tributarie, fa l’impressione di essere più
che mai leggendaria.
nità che col nome di «baal del cielo» aveva trovato larga dif
fusione soprattutto nel mondo fenicio ma anche per largo
raggio altrove4. L’‘Altissimo Iddio’ era al vertice di un pan
theon a struttura monarchica, la cui complessità ci hanno
fatto per la prima volta conoscere i testi mitologici trovati a
Ras Shamra. La cosa più strana è però che il nostro racconto
veda nel culto di questo dio qualcosa di affine al culto di Jah-
vé. Nel rendere onore all'«Altissimo Iddio, che ha creato il
cielo e la terra» Melchisedec —così almeno è il pensiero del
passo —è già molto vicino alla fede nell’unico Dio del mondo
che solo Israele conosceva. Il giuramento di Abramo per
«Jahvé, l’Altissimo Iddio» (v. 2 2 )sembra postulare addirit
tura una identità. È significativo d’altra parte che proprio la
lezione «Jahvé» non sia certa; nei LXX manca; altri testi han
no «dio» {ha èlòhìm) generico e teologicamente meno com
promettente. Una valorizzazione così positiva e tollerante di
un culto extra-israelitico cananeo non ha altri esempi nel-
l’A.T. Se si considera il carattere che aveva la fede in Jahvé,
appare assolutamente inusitato sopra tutto l’omaggio reso da
Abramo a un ministro pagano del culto. È vero che l’inizia
tiva è partita da Melchisedec: egli offre un pasto d’onore
al vincitore di ritorno e pronuncia su Abramo la benedizione
del suo Dio. Ha la piena intuizione che ‘l’Altissimo Iddio’
sia colui che ha aiutato Abramo nella vittoria, pur non sa
pendo assolutamente nulla dei disegni e dei misteri del Dio
di Israele. Abramo però a sua volta si inchina a questa bene
dizione e dà a Melchisedec la decima, il che implica ricono
scergli un diritto sui beni, l’esercizio di una autorità. (Una
lieve incoerenza si rivela nel fatto che Abramo al v.22 decli
na ogni pretesa al bottino; evidentemente essa deriva dalla
giustapposizione di materiali eterogenei.)
L’episodio di Melchisedec ebbe interpretazioni diverse.
Si presenta come un semplice fatto, ma bisogna tuttavia am-
1. A . H e i t z e r , Hagar, B r e s l a u e r K a t h . t h e o l . D i s s . 1 9 3 4 , 5 4 .6 1 s s .
250 La storia dei patriarchi
colui che l’ha veduta (per il «vedere dopo, vedere alla fine,
scorgere qualcosa mentre scompare» cfr. 13,20 ss.; Ex.
33,18ss.). Il ‘poiché’ nella frase è pienamente logico: solo
perché la divinità si è lasciata guardare da lei, ella può fare
delle affermazioni su Dio2. Si tratta evidentemente di un an
tico toponimo, al quale si ricollegava una tradizione religio
sa; ma si sente che il racconto si è già alquanto emancipato
dalla sua matrice primitiva: infatti la ‘variazione’ etimologi
ca sull’antico toponimo si rivela come un sapiente e medi
tato gioco di parole costruito sulla leggenda originaria (cfr.
un caso analogo in Gen. 22,14). Non siamo più in grado di
identificare le località nominate in questo capitolo, ad ecce
zione di Cades, la nota grande oasi a circa 100 km a sud di
Bersabea; tuttavia è assolutamente chiaro che la narrazione,
dato il suo originario scopo eziologico, non può che prove
nire dall’estremo sud della Palestina; là deve essere sorta e
là deve aver cominciato a circolare. Solo quando venne inse
rita nella grande composizione delle vicende di Abramo fu
spostata verso il nord, in modo che il punto di partenza della
fuga di Agar diventò Ebron. Anche nella sua forma pre-let-
teraria il nostro racconto dovette tuttavia presentare una cer
ta complessità perché vi si intrecciano due eziologie, una re
lativa alla storia della razza, l’altra a quella del culto (a che
cosa si riannoda l’origine e il nome degli Ismaeliti? L’oasi di
Beer-Lahai-Roi come è diventata luogo di culto?). Nella evo
luzione narrativa questi due elementi da principio saranno
stati anche indipendenti fra loro, e ciò mostra a quale lonta
nanza di tempi risalga il materiale del nostro episodio.
cui si allude non si devono cercare fra coloro che sono estra
nei all’alleanza; e a maggior ragione in quanto più avanti la
medesima dichiarazione è fatta a Sara (v. 16). Bisognerà piut
tosto pensare ai proseliti, d’accordo con B. Jacob ( /.). Co
me già indica lo Jahvista ( en21,3), con la
G
ad Abramo, veniva pure ricollegata la speranza di una salvez
za universale che si sarebbe estesa al di là dello stesso Israe
le. Anche il documento sacerdotale non manca di registrare
questo elemento della tradizione, ma benché lo formuli più
volte a titolo programmatico {Gen. 17,16; 28,3; 35,11), il
suo interesse propriamente teologico resta concentrato sulle
istituzioni cultuali all’interno di Israele. L’altro tema, per co
sì dire profetico, viene coscienziosamente trasmesso da P in
quanto è ancorato nella tradizione, ma come qualcosa di si
gillato.
figlio anche da lei; ‘lo' benedirò e farò di ‘lui' interi popoli, e da ‘lui'
usciranno re di nazioni» Q). 17Abramo allora cadde bocconi a terra,
rideva e pensava tra sé: a uno che ha cent'anni può ancora nascere
un figlio e può Sara che ne ha novanta ancora partorire? 18E Àbra
mo disse a Dio: «Magari restasse in vita al tuo cospetto anche solo
Ismaele!«. 19Ma Iddio disse: «No no, tua moglie Sara ti partorirà
un figlio che devi chiamare Isacco; stabilirò con lui il mio patto qua
le patto perpetuo, valevole anche per i suoi discendenti dopo di lui.
20Però ti ho ascoltato anche riguardo a Ismaele: ecco lo benedico e
lo renderò fecondo e numeroso oltre misura. Genererà dodici prin
cipi e lo farò diventare un grande popolo. 21 Ma la mia alleanza la
stabilirò con Isacco che Sara ti partorirà l'anno prossimo, a quest'epo
ca». 22 E quando ebbe finito il suo discorso con lui, Dio se ne partì
da Abramo.
23 Allora Abramo prese suo figlio Ismaele, tutti i nati nella sua casa
e i comperati per denaro, tutti i maschi fra i membri della casa di
Abramo e circoncise la carne del loro prepuzio, proprio in quel gior
no, come Dio gli aveva detto. 24 Abramo aveva 99 anni quando cir
concise la carne del suo prepuzio, 25e suo figlio Ismaele aveva 15
anni, quando fu circoncisa la carne del suo prepuzio. 76In questo me
desimo giorno furono circoncisi Abramo e suo figlio Ismaele; 27 e tu t
te le persone della sua casa; i nati in casa e i comperati da uno stra
niero per denaro furono circoncisi con lui.
venire alle donne. 12 Perciò Sara rise fra sé e pensava: O rm ai che so
no avvizzita, può mai esserci per me voglia d ’am ore, m entre anche mio
m arito è un vecchio! 13Jahvé allora disse a Sara: «Perché Sara ha
riso e pensa: Possibile ch ’io davvero partorisca ancora vecchia qual
sono? 14V ’è dunque, per Jahvé qualcosa di troppo straordinario? A
questo tem po di qui a un anno tornerò da te ed ecco che Sara avrà
un figlio». 15 Sara allora negò: «N on è vero che ho riso», perché ave
va paura. M a egli replicò: «Sì, che hai riso!». 16P oi quegli uom ini si
partirono di là e si diressero verso Sodom a; A bram o andò con loro
per accom pagnarli.
9-16. Gli ospiti vanno diritti al loro scopo senza tanti di
scorsi. È strano che siano al corrente del nome di Sara e della
sua sterilità; ancor più strana la promessa di un figlio. Sara
sta all’erta nella tenda e origlia (cfr. Gen. 27,5). La questio
ne se nel v. iob la porta della tenda si trovasse «dietro a
lui» (cioè a Jahvé) oppure si trovasse Sara «dietro ad essa»
(cioè alla porta della tenda) è stata risolta dai LXX nel primo
senso e dai masoreti nel secondo. Quel che Sara ode non può
che divertirla e in una maniera alquanto cruda essa respinge
la prospettiva come assurda. Gli ospiti rivelano ancora una
volta di sapere divinamente tutto, rimproverando a Sara i
suoi pensieri, mentre, come il narratore fa notare con inten
zione, non hanno certo potuto né vedere né udire nulla. È
stato messo in rilievo, quale particolare oltremodo delicato
che le riflessioni di Sara in bocca alla divinità si spogliano ina
spettatamente della loro crudezza (le espressioni bàia quasi
di un vecchio abito che ‘cade a pezzi’ e 'ednà, ‘libidine’ non
vengono ripetute). Con la frase «c’è dunque qualcosa di trop
po straordinario per Jahvé?» la narrazione tocca il suo apice.
Queste parole stanno nell’intero episodio come una gemma
nella sua incastonatura preziosa, e nella loro portata altissi
ma si levano al di sopra del modesto ambiente familiare de1
Visita di Dio ad Abramo (18,1-16) 273
17Jahvé rifletteva: Posso io tener celato ad A bram o quel che sto per
fare, 18 m entre Abram o certo ha da diventare un popolo grande e po
tente e per lui saranno benedette tu tte le genti della terra? 19 e dal
m om ento che io Pho eletto, affinché dia ordine ai suoi figli e alla
sua casa dopo di lui di seguire la via di Jahvé praticando la giustizia
e il d iritto , e così Jahvé possa com piere su A bram o ciò che egli ha
prom esso?
20Jahvé disse poi: «Le lagnanze contro Sodoma e G om orra sono m ol
to forti e il loro peccato assai grave. 21 Voglio scendere a vedere se
hanno agito tu tti secondo i lam enti a me pervenuti o no; bisogna che
10 sappia». 22 G li uom ini si partirono allora di lì e si diressero verso
Sodoma m entre Jahvé rim ase fermo davanti ad A bram o (1). 23 E À bra
mo si fece vicino a lui e gli disse: «Vuoi davvero distruggere pio ed
empio insieme? 24 Forse ci sono cinquanta giusti nella città; vorresti
dunque annientarli e non piuttosto risparm iare il luogo per am ore dei
cinquanta giusti che vi si trovano? 25 Lungi da te di agire in m odo ta
le da far m orire pio ed em pio sì che il pio e Lempio siano alla stessa
stregua; lungi da te! N on è forse obbligato il giudice di tu tta la te r
ra a praticare la giustizia?». 26Disse allora Jahvé: «Se a Sodoma tro
vo cinquanta giusti nella città, risparm ierò per causa loro tu tto il pae
se». ^ À b ra m o riprese a dire: «Vedi come ardisco parlare al mio Si
gnore, io che sono polvere e cenere. 23 Forse per fare questi cinquanta
giusti ne mancano solo cinque; vorrai tu, per questi cinque, distrug
gere Finterà città?». E riprese: «Non la distruggerò se ne trovo qua
rantacinque». 29 E l ’altro proseguì a parlargli e disse: «Forse se ne
troveranno soltanto quaranta». Rispose: «N on lo farò a causa di quei
quaranta». 30Disse: «M io Signore, non adirarti, ti prego, se parlo an
cora: forse se ne troveranno solo trenta!». Rispose: «N on la farò se
ve ne trovo trenta». 31 E riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio
Signore, forse se ne troveranno solo venti». Rispose: «N on la distrug
gerò a causa di quei venti». 32 A llora riprese: «M io Signore, non adi
rarti se parlo ancora, per questa volta soltanto. Forse se ne troveran
no solo dieci». E rispose: «Non la distruggerò a causa di quei dieci».
33Poi, come ebbe finito di parlare con A bram o, Jahvé se ne andò.
E A bram o ritornò al luogo ove dim orava.
parlò coi suoi generi che dovevano sposarne le figlie, e disse: «Su,
lasciate il luogo poiché Jahvé distruggerà la citta!». M a egli apparve
ai suoi generi come uno che volesse scherzare.
15 Q uando spuntò l ’aurora, i messaggeri fecero prem ura a Lot e gli
dissero: «Su, presto, prendi tua moglie e le tue due figlie che hai con
te, per non essere travolto nel castigo della città». 16 E come egli in
dugiava ancora, gli uom ini lo presero per la mano, e presero per m a
no la moglie e le sue figlie, poiché Jahvé voleva risparm iargli la vita;
lo trascinarono via e lo lasciarono ferm arsi (solo quando fu) fuori
della città. 17 M entre li conducevano via egli disse: «Salvati, ne va
della tua vita; non guardarti indietro e non arrestarti per tu tto il d i
stretto ; m e ttiti in salvo sulla m ontagna per non essere travolto». 18 E
Lot disse loro: «M a no, o Signore. 19 II tuo servo ha trovato grazia
ai tuoi occhi, e tu mi hai usato grande bontà nel lasciarmi in vita,
ma non è possibile che io mi salvi sulla m ontagna senza che la scia
gura mi raggiunga e debba m orire; ^ g u a rd a , questa città è vicina da
poterm ici rifugiare; non è che una piccolissima città. Potessi m etterm i
in salvo lì - non è che piccolissima - per restare in vita». 21 E gli
rispose: «A nche in questo ti voglio accontentare: di non distruggere
la città di cui mi hai d etto . 22 Fa presto a m etterti in salvo lì poiché
non posso far nulla prim a che tu ci sia arrivato». P er questo la città
è chiam ata Soar. 23 G iusto il sole si era levato sulla terra e Lot era
giunto a Soar, 24 quando Jahvé fece piovere su Sodoma zolfo e fu o
co: da p arte di Jahvé, dal cielo 25 e distrusse queste città e l ’intero
d istretto , tu tti gli ab itan ti delle città e la vegetazione della cam pagna.
26 Sua moglie però guardò indietro e diventò una stele di sale.
27 A bram o di buon m attino si portò al luogo dove si era tratten u to con
Jahvé, 28 e scrutò l ’orizzonte verso Sodoma e G om orra e tu tta la re
gione del d istre tto , — ed ecco vide levarsi da terra un fum o come il
fum o di una fornace. 29 Quando Dio distrusse le città del distretto,
Dio si ricordò di Abramo; e fece scampare Lot dalla distruzione,
quando distrusse le città in cui Lot abitava.
la maggiore alla più giovane: «N ostro padre è vecchio e non c’è nel
paese nessun uom o che possa accostarsi a noi, come è uso in tu tto il
m ondo. 32 V ieni, ubriachiam o di vino nostro padre e corichiamoci con
lui per avere discendenza da nostro p ad re« . 33 E in fatti quella n o tte
ubriacarono di vino il loro padre e la maggiore en trò e giacque col
padre suo; ma egli non se ne accorse, né quando ella si coricò, né
quando si levò. 34 II giorno dopo la maggiore disse alla più giovane:
«La n o tte scorsa io mi sono coricata col mio padre. A nche questa
n o tte ubriachiam olo di vino. E tu entra e giaci con lui; così avrem o
discendenza da nostro padre». 35 Anche quella n o tte dunque ubriaca
rono di vino il loro padre. Poi la più giovane si levò e giacque con
lui. M a egli non se ne accorse, né quando ella si coricò né quando si
levò. 36 Così am bedue le figlie di L ot rim asero incìnte dal padre loro.
37La maggiore p arto rì un figlio e lo chiamò M oab, dicendo: «Da m io
padre egli proviene» (!), egli fu il capostipite di quelli che sono ancor
oggi i M oabiti. 38 A nche la più giovane p arto rì un figlio e lo chiam ò:
«Figlio del mio consanguineo»; egli è il capostipite di quelli che sono
ancor oggi gli A m m oniti.
1. C f r . Bibita Hebraica.
296 La storia dei patriarchi
2, Cfr. 2 Sam. 24,15 ss.; D. Daube, Studies in Biblical Law y 1947,174 ss.
Abramo e Sara a Gerar (20,1-18) 303
1Jahvé poi visitò Sara, come aveva d etto e Jahvé fece per Sara ciò di
cui le aveva parlato. 2 Sara rim ase incinta e partorì ad A bram o un
figlio nella sua vecchiaia, al te m p o che le a veva d e tto D io. 3 E À b r a
m o d ie d e il n o m e d ì Isacco al figlio che gli era n a to , che Sara gli
a veva p a rto rito . 4 E À b r a m o circoncise su o figlio Isacco in età d i o tto
giorni, co m e a veva co m a n d a to Id d io . 5A b ra m o a veva cen to a n n i
q u a n d o gli n a cq u e su o figlio Isacco. 6 E Sara disse: «D io mi ha p ro
curato un m otivo di riso; quanti ne udranno parlare, rideranno di
me». 7 Poi disse: «Chi avrebbe mai d etto ad À bram o: Sara allatta
dei figli; eppure gli ho p a rto rito un figlio nella vecchiezza!». 8 II bam
bino crebbe e fu svezzato e nel giorno in cui fu svezzato Isacco A bra
30 6 La storia dei patriarchi
cap,i6 essa era complice del suo destino, qui ne è affatto in
nocente. Il cap. 16 si rivela quindi in tutto come la versione
primitiva e spontanea, mentre il cap. 21 mira alla descrizio
ne commovente ed è in modo palese destinato a un pubblico
di lettori molto più sensibile. Il redattore del testo attuale
che si è trovato alle prese con ambedue le versioni, ha cer
cato con i vv. 16,9-10 (ritorno della fuggitiva Agar alla casa
di Abramo) di coordinarle, in modo che si possano oggi in
tendere come due episodi distanziati nel tempo. Ma tale ar
monizzazione non risolve tutto, perché è chiaro che Abramo
al cap. 21 non sa ancora che Jahvé ha dei progetti diversi su
Isacco e Ismaele. Inoltre la combinazione delle fonti J ed E
con P causa un’altra difficoltà, poiché si dovrebbe ammettere
che Ismaele in Gen. 21 è già sui diciassette anni (cfr. Gen.
16,16; 21,5), e il narratore non lo pensava certo così (cfr.
il commento al v. 15).
22 In quel tempo avvenne che Abimelec e il capo del suo esercito Pi-
kol dissero ad Abramo: «Dio è con te in tutto ciò che fai. 23 Ebbene,
giurami qui per Dio che non ingannerai mai né me né i miei figli o
la mia discendenza. Come io ti ho mostrato amicizia, così tu devi mo
strarla a me e al paese dove vivi quale ospite». 24Disse allora Àbra
mo: «Lo giuro». 25 Abramo però chiese conto ad Abimelec di un cer
to pozzo di cui i servi di Abimelec si erano impadroniti. 26E A bi
melec disse: «Non so chi abbia fatto ciò; né tu me ne hai detto qual
cosa, né io ne ho udito parlare fino ad oggi». 27 Abramo prese allora
del bestiame minuto e grosso e lo diede ad Abimelec e i due conclu
sero un’alleanza. 28Poi Abramo mise in disparte sette agnelle del greg
ge. 29E Abimelec disse ad Abramo: «Che cosa significano queste
sette agnelle che hai messo in disparte?». 30E quegli rispose: «Sette
agnelle tu devi accettare dalla mia mano affinché ciò mi valga a testi
monianza che sono stato io a scavare questo pozzo». 31 Perciò quel
luogo ha nome Bersabea, perché là i due si fecero reciproco giura
mento. 32Dopo aver concluso tale alleanza in Bersabea, Abimelec e
Pikol, capo del suo esercito, si levarono e ritornarono nel paese dei
Filistei. 33Abramo piantò a Bersabea un tamarisco e qui invocò il
Abramo e Abimelec di Gerar (21,22-34) 313
1 Dopo questi avvenimenti, Dio mise alla prova Abramo e gli disse:
«Abramo!». Egli rispose: «Eccomi». 2E gli disse: «Prendi il tuo fi
glio, l ’unico che hai, che ti è così caro, Isacco, e recati nel paese di
Moria e là offrilo in olocausto su uno dei monti che io ti dirò». 3 A-
bramo dunque si levò di buon mattino, sellò il suo asino, prese con
sé due suoi servi e il suo figlio Isacco. Spaccò la legna per l ’olocau
sto e si mise in cammino dirigendosi verso il luogo che Dio gli ave
va detto. 4II terzo giorno, Abramo, alzando gli occhi, vide da lon
tano quel luogo. 5 Abramo allora disse ai suoi servi: «Restate qui con
l ’asino; io e il ragazzo andiamo lassù ad adorare e poi ritorneremo da
voi». 6 Indi Abramo prese la legna per l ’olocausto e la caricò sul suo
figlio Isacco; lui pigliò in mano il fuoco e il coltello. Così i due pro
seguirono insieme. 7 E Isacco disse a suo padre Abramo: «Padre
mio!». Quegli rispose: «Eccomi, figliolo». Riprese l ’altro: «Qui c ’è il
fuoco e la legna, ma dov’è la pecora per l ’olocausto?». 8Abramo ri
spose: «Dio si provvederà lui una pecora per l ’olocausto, figlio mio».
Così i due proseguirono insieme.
9 Come furono giunti al luogo che Dio aveva loro detto, ivi Abramo
costruì un altare, vi accatastò per bene la legna, legò il suo figlio Isac
co e lo pose sopra l ’altare, sulla legna. 10Poi Abramo stese la sua ma
no e brandì il coltello per immolare il suo figliuolo. 11 Ed ecco un
angelo di Jahvé lo chiamò dal cielo e disse: «Abramo, Abramo!».
Egli rispose: «Eccomi». 12E l’altro: «Non avventare la tua mano con
tro il fanciullo e non fargli alcun male poiché ora io so che temi Id-
citore del Moria che è più grande del vincitore di Dan (De-
litzsch). Il ‘crescendo’ arriva quasi all’esagerazione: che Dio
‘giuri per se stesso’ è formula che non si trova in nessun al
tro dei passi paralleli; che in un discorso diretto egli stesso
designi la sua propria parola come ‘qualcosa che Jahvé gli
dice all’orecchio’ ( ne'umjhivh) è una espressione che
e la dichiarazione che la progenie di Abramo «occuperà la
porta dei suoi nemici» è un’idea estranea al ceppo fondamen
tale delle promesse (cfr. Gen. 12,1-3.7; 13,14-16; 13,7.18;
24,7; 26,3.4.24; 24,60 però non come promessa divina).
Una tarda tradizione giudaica crede di poter riferire che Sara
al ritorno di Abramo e udito l’accaduto mandò sei gridi e
morì (Strack-Billerbeckiv, 181 s.).
prestò a partire, portando con sé ogni sorta di cose preziose del suo
signore; messosi in via andò in Aram-Naharaim, alla città di Nahor.
11Là fece inginocchiare i cammelli fuori della città, presso la fontana
dell’acqua, sul far della sera, l ’ora in cui escono le donne ad attin
gere e disse: 12«Jahvé, Dio del mio signore Abramo, disponi tu oggi
le cose per me e usa benevolenza al mio signore Abramo. 13Ecco,
ora mi metto qui alla fontana dell’acqua e le figlie degli abitanti di
questa città usciranno ad attingere. 14Ebbene, la giovinetta alla quale
dirò: Abbassa per favore la tua anfora perché beva, e che mi rispon
da: bevi e abbevererò pure i tuoi cammelli, sia quella che tu hai de
stinato al tuo servo Isacco; e da questo riconoscerò che hai usato gra
zia al mio signore». 15Aveva appena finito di dir così che giunse Re
becca, prole di Betuel, il figlio di Melca, moglie di Nahor, fratello
di Abramo; portandosi l’anfora sulla spalla. 16La fanciulla era bellis
sima d ’aspetto, era vergine e nessun uomo ancora l’aveva conosciuta.
Scese alla fontana, riempì l ’anfora e risalì. 17Allora il servo le corse
incontro e disse: «Lasciami sorseggiare un po’ d ’acqua dalla tua an
fora». 18Ed ella rispose: «Bevi, signore!». E svelta si calò l’anfora
in mano e gli diede da bere. 19E quando ebbe finito di farlo bere
disse: «Voglio attingerne anche per i tuoi cammelli, finché abbiano
bevuto abbastanza». 20 E in fretta vuotò la sua anfora nell’abbeve
ratoio, corse di nuovo ad attingere alla fontana e ne attinse per tutti
i cammelli di lui. 21 L ’uomo la contemplava in silenzio, in attesa di
conoscere se Dio avesse o no fatto riuscire il suo viaggio. 22 Quando
i cammelli ebbero finito di bere, l ’uomo trasse fuori un pendente
d ’oro del peso di mezzo siclo e due braccialetti del peso di dieci sicli
d ’oro per i polsi di lei 23e disse: «Di chi sei figlia? Dimmi, c’è posto
per noi in casa di tuo padre, per passarvi la notte?». 24Ella rispose:
«Sono la figlia di Betuel, il figlio di Melca, che essa partorì a Nahor».
25 E aggiunse: «C’è da noi strame e foraggio in quantità e anche posto
per passarvi la notte». 26 Allora l ’uomo si prostrò, adorò Jahvé 27 e
disse: «Benedetto sia Jahvé, il Dio del mio signore Abramo, perché
non ha cessato di usare benevolenza e fedeltà verso il mio signore!
Jahvé mi ha guidato sulla via fino alla casa dei fratelli del mio si
gnore!».
28 La giovinetta corse ad annunciare in casa di sua madre tutte queste
cose. 29 Rebecca aveva un fratello di nome Labano 30e quando Laba-
no vide il pendente e il braccialetto ai polsi della sua sorella e udì le
parole di sua sorella Rebecca che diceva: «Così l ’uomo mi ha parla
to», corse fuori in cerca di quell’uomo, alla fontana 0); e giunto pres-1
so l ’uomo che stava ancora vicino ai suoi cammelli alla fontana, 31 gli
disse: «Vieni, o benedetto di Jahvé. Perché te ne stai qui fuori, men
tre io ho preparato la casa e il posto anche per i cammelli?». 32 Al
lora l ’uomo entrò in casa e quello tolse il basto ai cammelli e appre
stò per i cammelli strame e foraggio, ed acqua per lavare i piedi di
lui e degli uomini che con lui erano. 33 Poi gli fu messo innanzi da
mangiare, ma egli disse: «Non mangerò finché non abbia esposto il
mio scopo». Ed essi replicarono (2): «Parla!». 34 Allora disse: «Sono
il servo di Abramo. 35 Jahvé ha copiosamente benedetto il mio signo
re, sì che è diventato potente; gli ha dato greggi e armenti, argento
e oro, servi e serve, cammelli e asini, 36 e Sara, la moglie del mio si
gnore, già nella vecchiezza ha partorito al mio signore un figlio ed
egli ha trasmesso a lui tu tti i beni. 37 O ra ecco che il mio signore mi
ha fatto giurare: 'N on devi prendere per mio figlio una sposa tra le
figlie dei Cananei, nel paese dei quali io dimoro, 38 ma devi andare
nella casa di mio padre e presso la mia parentela a prendere una spo
sa per il mio figliolo’. 39 Allora io dissi al mio signore: Forse la sposa
non vorrà seguirmi. 40Ma egli mi rispose: Jahvé alla cui presenza io
ho camminato, manderà con te il suo angelo e farà riuscire il tuo viag
gio, sì che tu possa prendere una sposa per mio figlio dalla mia pa
rentela e dalla casa di mio padre. 41 Sarai sciolto dal giuramento verso
di me, solo quando sarai giunto presso la mia parentela; e se non vor
ranno dartela, sarai ugualmente sciolto dal giuramento a me fatto.
^A llorché oggi sono giunto alla fontana, ho detto: Jahvé, Dio del
mio signore Abramo, se davvero intendi far riuscire questo viaggio,
che sto compiendo, 43 ecco, io mi m etto qui alla fontana: la giovane
che uscirà ad attingere e alla quale io dirò: Dammi da bere, ti pre
go, un po ’ d ’acqua dalla tua anfora, 44 e che mi risponderà: Bevi, e
io ne attingerò pure per i tuoi cammelli, sarà quella la sposa che tu
hai destinato al figlio del mio signore. 45 Avevo appena finito di par
lare così tra me, quando Rebecca uscì con l’anfora sulla spalla, di
scese alla fontana e attinse. Allora io le dissi: Dammi da bere, ti pre
go. 46 E lei svelta calò giù la sua anfora e disse: Bevi! E disseterò an
che i tuoi cammelli. Così io bevvi ed essa diede da bere pure ai cam
melli. 47 Poi io la interrogai dicendo: Di chi sei figlia? Rispose: Sono
la figlia di Betuel il figlio di Nahor, a lui partorito da Melca. Allora
io le misi il pendente alle narici e i monili alle braccia 48 e mi pro
strai e adorai Jahvé, e benedissi Jahvé, il Dio del mio signore Àbra
mo, che mi aveva guidato per la via giusta, a prendere per il suo fi
gliuolo la figlia del fratello del mio signore. 49 E ora se intendete mo
4.
* « S iam
1 o c o s_
ì a v v e rtiti ch e n on si d e v e m ai esita re o rita rd a re q u a n d o si tra tta
d e lle co se d i D io , m a d e v e essere rim o sso d a l n o stro ca m m in o tu tto c iò ch e p u ò
in q u a lch e m o d o arrestarci n e ll’o p era in tra p resa ... C h i n on si m e tte in m arcia
n e ll’o ra o n e ll’ista n te in cu i lo S p irito san to ch iam a, n on lo a fferrerà; p o ich é
q u a n d o è p assato una v o lta , n on torn a in d ietro » (L u te ro : W.A. x l i i i , 348 s.).
346 La storia dei patriarchi
Tutti questi sono i figli di Ketura. 5Poi Abramo diede tutti i suoi
averi a Isacco. 6Ai figli delle sue concubine Abramo diede dei dona
tivi e mentre era ancora in vita li mandò lontano dal suo figlio Isac
co, ad est, nella terra d’oriente.
1 La durata di vita che ebbe Abramo fu questa: i j j anni. 8Poi Àbra
mo rese lo spirito; morì in serena vecchiezza, vecchio e ‘sazio di gior
ni* fi) e fu riunito a quelli del suo casato.91
suoi figli Isacco e Ismae
le lo seppellirono nella caverna di Makpela sul terreno di Efron, figlio
di Sohar VH ittita, di fronte a Mambre, 10il terreno che Abram o ave
va comperato dagli H ittiti; là furono sepolti Abramo e sua moglie
Sara. 11 Anche dopo la morte di Abramo Iddio benedisse suo figlio
Isacco. Isacco abitava presso il ‘pozzo del Vivente che mi vede’.
12E questa è la discendenza di Ismaele figlio di Abram o, che ad Àbra
mo aveva partorito Vegiziana Agar, ancella di Sara. 13 Ecco i nom i dei
figli di Ismaele, con i loro nomi in ordine di nascita: il primogenito
di Ismaele fu Nebaiot, poi Kedar, Adbeel, Mibsam, 14 M ishma, D u
ma, Massa, 15H ad ad, Tema, Ietur, Nafish e Kedma. 16 Q uesti sono i
figli di Ismaele e questi sono i loro nomi, coi loro campeggi e i loro
attendamenti; dodici capi delle rispettive tribù. 17 E questa fu la du
rata di vita di Ismaele: 137 anni. Poi rese lo spirito e morì e fu riu
nito ai suoi antenati. 181
suoi figli si stanziarono da Havila fino a Shur
di fronte all'Egitto (12). Egli fece fronte a tu tti i suoi fratelli.
12-18. Abbiamo qui una pericope tratta dal libro delle tóle-
dót che in origine constava solo di genealogie e ha uno stret
to legame letterario con la fonte P (cfr. pp. 84 s.). A diffe
renza della lista di Ketura (Gen. 25,1 ss.), sembra si tratti di
una più stretta lega di tribù ismaelitiche. E poiché essa no
mina dodici tribù e parla di dodici ‘capi’ ( v. 16), è
ovvia l’ipotesi che anche gli Ismaeliti abbiano costituito una
specie di confederazione tribale di dodici membri, a carattere
sacro (anfizionia); infatti il termine ebraico qui usato, come
sappiamo dall’A.T., era il titolo che si dava al dignitario po
litico religioso che rappresentava la tribù nel collegio di tali
capi-tribù di tutta la confederazione (Num.1,5-15; 10,1
13,4-15; Ex. 22,27)3; accenni a queste confederazioni di do
dici tribù si trovano anche in 22,20-24; 36,1-14). La
zona ove risiedono questi beduini ismaeliti conforme al loro
tipo di vita nomade è vastissima, cioè comprende l’intero
deserto dell’Arabia nord-occidentale, e solo al nord confina
con la confederazione aramaica di cui si è parlato più sopra
(‘Nahor’ Gen. 22,20-24). Il loro centro (cultuale?) può es
sere stata la ben nota oasi di Tema (Is. 21,14; 25,23;
Iob6.19). Di alcune di queste tribù ismaelitiche l’A.T. dà
notizia anche altrove. Kedar e Nebaiot ad esempio sono no
minati insieme in Is. 60,7 (cfr. pure
28 ss.). Bisogna tuttavia pensare che i testi veterotestamen
tari non esprimono sempre tutti con uno stesso nome le stes-
3.M.Noth, Geschichte Israels,11969.
352 La storia dei patriarchi
egli non sappia che farsene perché deve morire; non sarebbe
argomento valido e svaluterebbe la primogenitura di Giacob
be; piuttosto egli lo dice così riguardo alla presente sua situa
zione; per lui non c’era da discutere se la primogenitura fosse
o no un equivalente adeguato perché: «Io muoio di fame!».
La conclusione contiene poi la scoperta: «Erano lenticchie!».
Probabilmente Esaù non ha notato niente, in ogni modo non
dà troppa importanza alla cosa. Nella frase «egli mangiò e
bevve, si alzò e se ne andò» è ancora una volta chiaramente
messa in caritura la sua grossolanità.
Questa storia dell’inganno e quella successiva pongono
l’esegesi di fronte a diffìcili interrogativi. È chiaro che il let
tore di oggi, dinanzi a una narrazione così antica e prove
niente da situazioni di cultura e civiltà così lontane e anche
da un’altra atmosfera morale, deve mettere da parte ogni giu
dizio di sentimentalismo. Ma anche se noi cerchiamo il senso
che poteva avere questo racconto nel suo tempo e nel giudi
zio dei lettori antichi, resta un inquietante e vasto campo di
interpretazioni possibili. Queste possibilità vanno press’a po
co dagli estremi di Gunkel da una parte a quelli di Delitzsch
o Frey dall’altra. Il primo vede nel racconto una farsa che ha
per tema il susseguirsi storico delle civiltà e che si deve mo
ralizzare il meno possibile: il cacciatore selvaggio è giocato
dal pastore più evoluto, ma anche più calcolatore. Dalla com
binazione di tutto ciò con l’elemento della promessa di Àbra
mo nasce una «stridente dissonanza». Delitzsch vede bene
ciò che vi è di riprovevole in Giacobbe, ma pensa che sia la
«prospettiva fondamentale della salvezza promessa» a render
lo ancora «gradito a Dio». Similmente Frey parla della sua
«appassionata aspirazione verso il dono di Dio». Ora è certo
che lo strano accaduto deve essere alla fine riferito alla gran
de promessa fatta ai patriarchi, ma d’altra parte all’esegeta
non deve sfuggire che il narratore stesso, cioè per quanto di
pendeva da lui, non ha messo a disposizione del lettore qua
si nessun riferimento per l’interpretazione. L’ipotesi che in
Storie di Isacco (26,1-35) 359
1Ora vi fu una carestia nel paese - oltre quella che avvenne ai tem
pi di Abramo — e Isacco andò da Abimelec re dei Filistei a Gerar.
2 E Jahvé gli apparve e disse: «Non discendere in Egitto, ma abita
nel paese che io ti dirò. 3 Resta come straniero in questo paese, io
sarò con te e ti benedirò poiché darò a te e alla tua discendenza tu t
ti questi paesi e manterrò così il giuramento che ho giurato a tuo
360 La storia dei patriarchi
disse: «Io sono il Dio di Abramo tuo padre; non temere perché io
sono con te. Ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza in grazia
di Abramo mio servo». 25 Egli costruì in quel luogo un altare, invo
cò Jahvé e piantò la sua tenda. Poi i servi di Isacco scavarono un
pozzo.
26 Intanto Abimelec da Gerar si era recato presso di lui, con Ahuzzat
suo confidente e Pikol capo del suo esercito. 27 E Isacco gli disse:
«Perché siete venuti da me, se mi siete nemici e mi avete mandato
lontano da voi?». 23Essi risposero: «Ora abbiamo veramente visto
che Jahvé è con te e abbiamo detto: vi sia un giuramento fra noi e
te, vogliamo stringere un'alleanza con te: 29 tu non ci farai del male
come anche noi non ti abbiamo fatto del male, anzi solo del bene, e
ti abbiamo lasciato partire in pace. Tu ora sei benedetto da Jahvé».
30 Dopo di ciò fece per loro un banchetto e mangiarono e bevvero.
31 Si alzarono alla mattina presto e si prestarono giuramento a vicen
da. Isacco li congedò e quelli si allontanarono da lui in pace. 32 In
quello stesso giorno giunsero i servi di Isacco e gli riferirono riguardo
al pozzo che avevano scavato dicendo: «Abbiamo trovato dell’acqua!».
33 Egli lo chiamò ‘S h ib ea (giuramento); per questo la città fino al gior
no d ’oggi si chiama Bersabea.
34 Q u a n d o E sa ù e b b e q u a r a n ta n n i prese in m o g lie J e h u d it, figlia d i
B eeri V H ittita e B a sem a t la figlia d i E lo n V H ittita ; 35 esse fu r o n o cau
sa d i p r o fo n d a am arezza p er Isacco e R e becca.
66,12; 118,5; cfr. anche Gen. 9,27). Anche qui la saga non
può astrarre dal fatto che la benedizione di Jahvé era avver
tibile anche da coloro che non vi erano interessati e poteva
in certi casi provocare una reazione ostile (cfr. per Gen. 21,
22 ss. pp. 313 s.). Il fatto che Isacco ceda all’intimazione po
co amichevole del re della città corrisponde molto più a quan
to abbiamo esposto sopra sull’evolversi storico della civiltà
che non a una particolare notazione di carattere. Gli antichi
esegeti, eccessivamente impressionati da Gen. 22, hanno vi
sto in Isacco il prototipo di colui che soffre con rassegnazio
ne, ma i narratori non ci offrono a questo riguardo argomenti
sufficienti.
23-25. A Bersabea Isacco riceve una rivelazione del «Dio dei
padri». Sorprende che anche qui Dio si presenti non legato
a un determinato luogo, come potrebbe accadere per una di
vinità della natura, ma come il dio di una determinata cer
chia di uomini: perciò Dio lega il suo nome a quello di colui
che per primo in questo gruppo ha ricevuto la rivelazione.
L’invocazione del nome di Dio è possibile all’uomo soltanto
grazie a una rivelazione di Dio stesso (Lutero erroneamente:
«predicò il suo nome»). È difficile che «in grazia di Àbra
mo» possa significare «in grazia dei meriti e dell’obbedienza
di Abramo», ma piuttosto «in grazia della promessa fatta ad
Abramo». Il nostro testo lascia intendere che Bersabea fu
allora consacrata come luogo di culto per la prima volta. In
fatti la nostra tradizione è molto più antica e più vicina alle
origini che non quella di Gen. 21,33, poiché in relazione alla
storia del culto la tradizione di Isacco si riallacciava innanzi
tutto a Bersabea mentre quella di Abramo passò da Mambre
anche a Bersabea soltanto molto più tardi3.
eia suo fratello Esaù. 31 Anche lui preparò un piatto e lo portò a suo
padre e disse a suo padre: «Si alzi mio padre e mangi della selvag
gina del suo figlio affinché la tua anima mi benedica». 32 Gli disse suo
padre Isacco: «Chi sei tu?». Egli rispose: «Io sono il tuo figlio pri
mogenito Esaù». 33 Allora Isacco fu preso da spavento oltre misura
e disse: «Chi era dunque colui che ha cacciato della selvaggina e me
l ’ha portata, così che io ho mangiato di tu tto prima che tu venissi e
Pho benedetto? E benedetto resterà». 34Quando Esaù sentì le pa
role di suo padre, alzò un grido di estrema amarezza e disse a suo
padre: «Benedici anche me, padre mio!». ^ Q u e sti rispose: «Tuo fra
tello è venuto insidiosamente e ha preso la tua benedizione». 36 Egli
disse: «A diritto lo si è chiamato Giacobbe perché mi ha già soppian
tato due volte; si è presa la mia prim ogenitura e ora anche la mia
benedizione». E poi disse: «Non hai riservato per me nessuna bene
dizione?». 37 Isacco rispose e disse a Esaù: «Io Pho costituito tuo
signore e dei suoi fratelli ne ho fatto i suoi servitori, Pho provve
duto di grano e di mosto, che cosa mai posso fare per te, figlio mio?».
38 Esaù disse a suo padre: «Hai una benedizione soltanto, padre mio?
Benedici anche me, padre mio!». (Ma Isacco taceva) ed Esaù alzò la
voce e pianse. 39 Allora Isacco suo padre rispose dicendogli:
«Ecco, la tua casa sia lontana dai campi pingui della terra e lontana
dalla rugiada del cielo di lassù. 40 Vivrai della tua spada e servirai tuo
fratello. Ma avverrà, quando tu... allora tu scuoterai il suo giogo dal
tuo collo».
41 Ma Esaù portava rancore a Giacobbe a causa della benedizione con
la quale suo padre lo aveva benedetto, ed Esaù diceva fra sé: «Si
avvicinano i giorni del lutto per mio padre e allora ucciderò Giacob
be mio fratello». 42O ra quando furono riportate a Rebecca le parole
del suo figlio minore e gli disse: «G uarda che Esaù tuo fratello me
dita vendetta contro di te e vuole ucciderti. 43 O ra, figlio mio, ascol
tami, m ettiti in cammino e fuggi da mio fratello Labano ad H arran
44 e resta presso di lui per qualche tempo fino a che la collera di tuo
fratello non si sia calmata; 45 fino a che non si sarà stornato da te il
corruccio di tuo fratello ed egli non abbia dimenticato ciò che gli hai
fatto; e poi ti farò ritornare di là. Perché dovrei perdervi tu tti e due
in un solo giorno?».
co), qui egli viene inviato da Isacco a Labano (v. 57) con le
dovute forme. Come risulta evidente in ogni parte della pe-
ricope, questa tradizione così diversa da quella jahvista è da
attribuirsi alla fonte P. Per ’él cfr. 17,1 ed
6,3. Per l’espressione «paese ove"soggiorni come straniero»,
si veda sopra p. 334; l’espressione «accolta di popoli» (qehal
' ammìm) del v. 3 si incontra qui per la prima volta (però cfr.
Gen. 33,11; 48,4P), e corrisponde alla «moltitudine di po
poli» di Gen. 17,4. Questa profezia un po’ rudimentale (cfr.
per Gen. 17 pp. 261 s.) vorrà alludere a una comunità di po
poli escatologica e universale a livello liturgico? Il termine
ebraico che noi abbiamo tradotto con «accolta» indica in
modo particolare l’assemblea degli uomini (maschi) ai fini
del culto (Ex. 16,3; Num. ,oi7; 14,3; 1
Coscientemente o no, nel tempo intercorso fra lo Jahvista
e l’esilio e il periodo post-esilico, l’antica tradizione subì un
processo di depurazione da tutto quanto avrebbe potuto scon
certare il lettore. Lo stesso Esaù, di cui la redazione P non
potè tacere i riprovevoli matrimoni, si rivolge al bene (vv. 8
s.); solo che cerca moglie non nel parentado della madre,
ma in quello del padre (Jacob). L’epoca più tarda non poteva
più vedere gli antenati dei tempi remoti in un realismo così
crudo, ma ne mostrava le relazioni in maniera molto più ar
moniosa. Tuttavia non doveva trattarsi qui di una correzione
moralistica voluta; non sappiamo se a P era nota l’antica sto
ria dell’inganno. Noi vediamo solo in quale maniera, 400
anni dopo lo Jahvista, sono stati ordinati gli avvenimenti del
tempo dei patriarchi. Si deve inoltre considerare che a que
sta fonte ciò che veramente interessava e importava nell’an
tica tradizione era unicamente la questione delle donne unite
in nozze legittime; è verosimile quindi che di fronte a un
problema che a quell’epoca era di viva attualità, l’antica tra
dizione abbia subito una trasformazione in tal senso. Mentre
il Deuteronomio non si interessava ancora della fede e della
pratica cultuale della donna chiamata al matrimonio (Deut.
Il sogno di Giacobbe a Bethel (28,10-22) 379
«Se Dio sarà con me e mi custodirà nel cammino che sto facendo e
mi darà pane e pietanza e vesti per coprirmi, 21 e se io ritornerò sano
e salvo alla casa di mio padre, allora Jahvé sarà il mio Dio. 22 E que
sta pietra che io ho eretto come una stele sacra sarà la casa di Dio,
e di tu tto quello che tu mi darai ti pagherò fedelmente la decima».
31 Ma quando Jahvé vide che Lia non era amata, le aprì la matrice
mentre Rachele rimaneva sterile. 32 Così Lia concepì e partorì un fi
glio che chiamò Ruben poiché ella disse: «Jahvé ha visto la mia mi
sera condizione; certamente ora il mio m arito mi amerà». 33 Poi con
cepì ancora e partorì un figlio. E disse: «Jahvé mi ha ascoltato: che
io non sono amata e perciò mi ha dato anche questo»; lo chiamò Si
meone. 34 Poi restò un'altra volta incinta e partorì un figlio. E disse:
«Ora finalmente mio marito si attaccherà a me perché gli ho parto
rito tre figli»; per questo lo chiamò Levi. 35 Poi concepì ancora e par
torì un figlio. E disse: «Questa volta loderò Jahvé»; per questo ‘ella’
lo chiamò Giuda. Poi cessò di partorire.
1Quando vide che non dava figli a Giacobbe, Rachele divenne gelo
sa della sorella e disse a Giacobbe: «Procuram i dei figli, se no io
muoio!» 2Giacobbe si adirò contro Rachele e le disse: «Sono forse
io in luogo di Dio che ti ha negato il frutto del ventre?». 3 Allora ri
Nascita e denominazione dei figli di Giacobbe (29,31-30,24) 393
spose: «Ecco la mia serva Bilha, accostati a lei, cosicché ella partorisca
sulle mie ginocchia e per mezzo di lei io venga ad avere un figlio».
4Così essa gli diede come moglie la sua serva Bilha; e Giacobbe si
accostò a lei. 5 Bilha concepì e partorì a Giacobbe un figlio. 6 E Ra
chele disse: «Dio mi ha fatto giustizia e mi ha anche ascoltato e mi
ha dato un figlio». Per questo lo chiamò Dan. 7 Poi Bilha, la schiava
di Rachele, concepì ancora e partorì a Giacobbe un secondo figlio. 8 E
Rachele disse: «Ho finito di lottare il combattimento di Dio contro
mia sorella e ho vinto» e lo chiamò col nome di Neftali.
9 Quando Lia vide che aveva cessato di partorire, prese la sua schia
va Zilpa e la diede in moglie a Giacobbe. 10 E Zilpa, la schiava di
Lia, partorì a Giacobbe un figlio. 11 E Lia disse: «Che fortuna!» e lo
chiamò Gad. 12 Poi Zilpa, la schiava di Lia, partorì a Giacobbe un
secondo figlio. 13 E Lia disse: «Mia felicità! Le ragazze mi proclame
ranno felice», e lo chiamò Aser.
14Un giorno, al tempo della mietitura del grano, Ruben uscì fuori e
trovò nel campo delle mandragore. Egli le portò a Lia sua madre e
Rachele disse a Lia: «Orsù, dammi delle mandragore del tuo figliuo
lo». 15Ma questa rispose: «Non ti basta di esserti presa il mio marito
che vuoi prendere anche le mandragore di mio figlio?». Rachele dis
se: «Ebbene, si corichi con te questa notte in cambio delle mandra
gore di tuo figlio». 16Alla sera, quando Giacobbe rientrò dal campo,
gli andò incontro Lia e gli disse: «Devi accostarti a me, perché ti ho
acquistato a prezzo delle mandragore di mio figlio». Così! egli si co
ricò con lei quella notte. 17 E Dio ascoltò Lia, che rimase incinta e
partorì a Giacobbe un quinto figlio. 18 E Lia disse: «Perché ho dato
la mia schiava a mio marito, Dio mi ha dato in compenso un figlio»,
e lo chiamò Issacar. 19Poi Lia rimase ancora incinta e partorì a G ia
cobbe un sesto figlio. 20 E Lia disse: «Dio mi ha fatto un bel regalo,
questa volta mio marito mi farà vera moglie perché gli ho partorito
sei figli», e lo chiamò Zàbulon. 21 In seguito partorì una figlia, e la
chiamò Dina.
22 Poi Dio si ricordò di Rachele, Dio la esaudì e le aprì la matrice.
23 Rimase incinta e partorì un figlio; disse allora: «Dio ha tolto via
la mia ignominia» 24 e lo chiamò Giuseppe dicendo: «Jahvé mi ag
giunga ancora un altro figlio».
domanda due volte a Giacobbe che cosa gli debba dare (vv.
28 e 31) ecc. Ma chi guarda ben da vicino riconosce che nel
racconto vi sono delle oscurità molto più serie e reali. Che
rapporto hanno le parole di Giacobbe: «Tu non mi devi dar
niente» (v. 31) con la sua successiva pretesa sulle bestie a
mantello screziato? D’accordo con Wellhausen si è prima di
tutto riconosciuto che nei vv. 32-34 ci si trova veramente di
fronte a una convenzione diversa da quella che è supposta
nel resto del racconto. Il senso originario dei vv. 32-34 è che
Giacobbe può scegliersi le bestie screziate dal gregge di La-
bano e sottopone poi questa sua cernita a un controllo dello
stesso Labano. Ma ci sorprende il fatto che al v. 35 è Labano
a separare gli animali screziati; qui ha pure inizio l’esposi
zione del procedimento per mezzo del quale Giacobbe si pro
cura bestie screziate da bestie aventi tinta unita. È infine mol
to difficile il v. 40 secondo il quale le bestie di Labano che
pure erano già lontane (v. 33) sembrano trovarsi ancora nel
gregge di Giacobbe. Per ricostruire questa interpretazione
tanto maltrattata nella stesura attuale, si è voluto giustamen
te ravvicinarla a quanto si narra in Gen. 31,^bs. Qui si dice
che Labano continuava sempre a cambiare i termini dell’im
pegno (dieci volte). Prima assegnò a Giacobbe le bestie pun
teggiate, poi le striate. Ma qualunque cosa brigasse, il van
taggio era sempre per Giacobbe. In realtà qui le cose si com
plicano ancor più perché si fa distinzione fra animali a man
tello punteggiato e a mantello striato. Nel nostro racconto
invece solo a partire dal v. 35 si parla di bestie striate
dìm) ma senza che vi sia chiara distinzione fra queste e quel
le punteggiate ( neq
)idót e macchiate ( ); si confr
col v. 39. Quanto il testo sia difficile a tal riguardo lo prova
il fatto che per gli animali variamente colorati usa cinque ag
gettivi ; e di questi non è sempre sicuro né il significato (mac
chiato? punteggiato? striato? arricciato?) né il motivo del
loro diverso impiego. Non è qui il luogo adatto per dare dati
precisi sulle diverse ipotesi ai fini anche di determinare la
402 La storia dei p a t r ia r c h i
1Gli giunsero alPorecchio alcune parole dei figli di Labano a suo ri
guardo: Giacobbe si è preso per sé tutto quello che era di nostro pa
dre; e con quanto era nostro si è procurata tutta questa ricchezza.
2 E Giacobbe osservò il volto di Labano: questi non era più con lui
come prima. 3 Jahvé disse a Giacobbe: «Ritorna alla terra dei tuoi
padri e alla tua parentela, e io sarò con te». 4Dopo di ciò fece ve
nire in campagna presso le sue bestie Rachele e Lia 5 e disse loro: «Io
vedo bene il volto di vostro padre che non è più verso di me come
prima; ma il dio di mio padre è stato con me. 6 Voi sapete che io ho
servito vostro padre con tutte le mie forze. 7 Però vostro padre mi
ha ingannato e ha cambiato dieci volte il mio salario, ma Dio non gli
ha permesso di farmi del male. 8 Se egli diceva: le bestie punteggiate
saranno il tuo salario, tutto il gregge figliava bestie punteggiate, se
diceva: le bestie striate saranno il tuo salario, tu tto il gregge figliava
La fuga di Giacobbe, il suo patto con Labano (31,1-32,1) 407
che mi avresti tolto a forza le tue figlie. 32 Colui presso il quale tro
verai il tuo dio non resterà in vita! Davanti ai nostri congiunti ricer
ca quanto ho con me di tuo, e prendilo». Giacobbe non sapeva che
era stata Rachele a rubarlo.
^A llora Labano entrò nella tenda di Giacobbe e nella tenda di Lia
e in quella delle due serve, ma non trovò nulla. Poi uscì dalla tenda
di Lia ed entrò in quella di Rachele. 34 Ma Rachele aveva preso il
te ra fim e lo aveva posto sulla sella del cammello e ci si era seduta
sopra. O ra Labano rovistò in tu tta la tenda, ma non lo trovò. 35 Ed
ella disse a suo padre: «Il mio signore non si adiri, non posso alzar
mi davanti a te, poiché mi avviene ciò che avviene di solito alle don
ne». Labano cercò, ma non trovò il tera fim .
36 Allora Giacobbe si adirò e disputò con Labano, e Giacobbe rispose
e disse a Labano: «Quale è il mio sbaglio perché tu abbia a perse
guitarmi? 37 O ra tu hai frugato fra tutte le mie masserizie; qualun
que cosa tu abbia trovata fra tu tte le mie masserizie, mettila davanti
ai tuoi e miei parenti, affinché decidano fra noi due. 38 O ra sono ven
ta n n i che ho passato con te, le tue pecore e le tue capre non hanno
abortito e i montoni non li ho mangiati prendendoli dal tuo gregge.
39 Non ti ho portato nessuna bestia sbranata: io stesso dovevo risar
cire il danno e tu pretendevi ciò che mi veniva rubato di giorno e
di notte. 40 Di giorno morivo dal caldo e di notte dal freddo e il son
no fuggiva dai miei occhi. 41 Ti ho servito per ventan n i in casa tua,
quattordici anni per le tue due figlie e sei anni per le tue bestie; e
tu hai cambiato dieci volte il mio salario. 42 Se il Dio di Abramo mio
padre e il Terrore (?) di Isacco non fosse stato con me, tu in verità
mi avresti licenziato a mani vuote. Dio ha guardato alla mia miseria
e alla pena delle mie mani e la scorsa notte ha deciso». 43 Labano al
lora rispose e disse a Giacobbe: «Mie sono le figlie e miei sono i
figli e mie sono le bestie e mio è quello che tu vedi qui. 44 Ma che
cosa potrei fare oggi a queste mie figlie e ai figli che esse hanno
partorito?».
«Orsù, concludiamo insieme un patto, e sia una testimonianza fra
me e te». 45 Dopo di ciò Giacobbe prese una pietra e la eresse come
segno. 46 Poi 'L abano’ disse ai suoi fratelli: «Raccogliete delle pie
tre». Ed essi presero delle pietre e ne fecero un mucchio. E là su
quel mucchio mangiarono. 47 Labano lo chiamò Jegar-Sahaduta, men
tre Giacobbe lo chiamò Galed. 48 E Labano disse: «Questo mucchio
di pietre sia oggi testimonio fra me e te»; per questo lo chiamò G a
led, 49 e anche Mispa (la vedetta) poiché disse: «Jahvé vegli fra me
e te, quando noi saremo nascosti l ’uno all’altro. 50 Se tu danneggiassi
le mie figlie e se prendessi altre mogli oltre le mie figlie, non un
La fuga di Giacobbe, il suo patto con Labano (31,1-32,1) 40 9
uomo c’è tra noi, bada bene; Dio stesso è testimonio fra te e me».
51E Labano disse a Giacobbe: «Ecco questo mucchio di pietre e que
sto segno che ho rizzato fra me e te; 52 questo mucchio sia testimo
nio, e questa stele sia testimonio se io oltrepasso questo mucchio ver
so di te e se tu oltrepassi verso di me questo mucchio e questa stele
con cattive intenzioni. 53 II Dio di Abramo e il dio di Nahor giudi
cherà fra noi ‘ ’». E Giacobbe giurò sul Terrore (?) di suo padre
Isacco. 54 Poi Giacobbe apprestò un sacrificio sulla montagna e invitò
i suoi parenti a mangiare. Essi mangiarono e pernottarono sulla mon
tagna. 1La mattina dopo per tempo Labano baciò i suoi nipoti e le
sue figlie e li benedisse, poi Labano si mise in cammino e ritornò al
suo paese.
23 Quella notte egli si levò, prese le sue due mogli, le sue due schia
ve e i suoi undici figliuoli e passò il guado dello Jabboq. 24 Egli li
prese, li portò al di là del fiume e portò al di là tu tto il suo avere.
^G iacobbe restò indietro solo; qui un uomo lottò con lui fin che
sorse l’aurora. ^ Q u an d o questi vide che non poteva superarlo, lo
colpì all’articolazione dell’anca, cosicché l’articolazione dell’anca si slo
gò a Giacobbe lottando con lui. ^A llo ra quegli disse: «Lasciami an
dare perché si è levata l’aurora»; rispose: «Non ti lascerò se tu non
mi avrai benedetto». 28Quegli disse: «Quale è il tuo nom e?». Ri
spose: «Giacobbe». ^Q u eg li disse: «Il tuo nome non sarà più G ia
cobbe ma Israele, perché hai lottato con Dio e con gli uomini e sei
La lotta di Giacobbe a Penuel (32,23-33) 429
1Q uando G iacobbe alzò gli occhi vide che Esaù si avvicinava accom
pagnato da 400 uom ini. A llora rip artì i figliuoli fra Lia e R achele e
le due serve. 2 P oi pose in testa le serve e i loro figlioli, più in d ietro
Lia con i suoi figlioli e p er ultim i Rachele e G iuseppe. 3 Egli stesso
li p reced ette e si p ro strò a te rra sette v o lte m entre si andava avvici
nando a suo fratello Esaù. 4 M a E saù gli corse incontro, lo abbrac
ciò, gli si g ettò al collo e lo baciò; e piansero. 5 P o i alzò gli occhi e
vide le donne e i figli e disse: «C hi hai qui con te ? » . Egli rispose:
«Sono i figlioli di cui D io ha favorito il tu o servo». 6 A llora si acco
starono le serve con i loro figli e si inchinarono; 7 poi si fece avanti
anche Lia con i suoi figli e si inchinarono, e u ltim i si fecero avanti
G iuseppe e Rachele e si inchinarono. 8 E d egli disse: «C he cosa si
gnifica tu tta q u esta carovana con la quale m i sono in c o n tra to ? » . R i
spose: «È p e r tro v ar grazia di fro n te al m io signore». 9 E saù disse:
« H o abbastanza del m io, fratello, serba p er te ciò che hai». 10 M a
G iacobbe disse: «M a no! se ho tro v ato grazia dinanzi a te, accetta da
m e il m io dono, poiché ho visto il tu o volto proprio com e si vede il
volto di D io e m i hai accolto am ichevolm ente. 11 P ren d i d u n q u e il m io
dono che ti è stato p resen tato poiché D io m i ha aiu tato e io posseggo
in abbondanza». E così in sistette con lu i e quegli accettò. 12 P o i q u el
lo disse: «A ndiam ocene e m ettiam oci in cam m ino, io procederò d a
vanti a te». 13 G li rispose: « Il m io signore sa che i fanciulli sono an
cora delicati e che ho pecore e m ucche che allattano; se io le stra
L'incontro di Giacobbe con Esaù (33,1-20) 439
rim anere con noi per diventare una sola parentela: che ogni m aschio
si faccia circoncidere come loro sono circoncisi. 23 Le loro greggi, la
loro ricchezza, e tu tto il loro bestiam e sarà dunque nostro, acconsen
tirem o a loro così che restino ad abitare con noi». 24 T u tti coloro che
andavano e venivano alla p o rta della sua città ascoltarono H am o r e
Sichem; e tu tti i m aschi, quelli che andavano e venivano per la p o rta
della città si facevano circoncidere.
25 M a il terzo giorno, quando essi erano sofferenti, i due figli di G ia
cobbe Sim one e Levi, fratelli di D ina presero ciascuno la p ro p ria
spada, en trarono nella città che era tranquilla e uccisero tu tti i m a
schi. 26 E uccisero a fil di spada H am or e il suo figlio Sichem, p o r
tarono via D ina dalla casa di Sichem e se ne andarono. 2 7 1 figli di
G iacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città poiché la
loro sorella era stata da quelli disonorata. 28 P o rtaro n o via le loro pe
core, gli arm enti, gli asini, e tu tto quello che vi era nella città e nella
cam pagna; ^ p o rta ro n o via com e b o ttin o tu tti i loro averi, i loro b am
bini e le loro donne e saccheggiarono ‘ ’ tu tto quanto era nelle
loro case.
30A llora G iacobbe disse a Sim eone e a Levi: «Voi mi precipitate n el
la sventura, rendendom i odioso agli abitanti del paese, ai C ananei e
ai Perizziti; e io ho poca gente. Se essi si radunano contro di me, m i
b atteran n o e io sarò annientato assieme alla m ia casa». 31 Essi rispo
sero: «D oveva trattare la nostra sorella come una m eretrice?».
trato nel tempo e nello spazio della loro vita, con una pre
senza impegnativa e perciò lo chiamavano poi «il Dio del no
stro padre Abramo»; il «Dio di Bethel» ecc. Giacobbe deve
salire verso il luogo di culto, posto a notevole altezza nella
regione montuosa di Beniamino. Il termine {'àia) ha però
abbastanza spesso nell’A.T. il significato preciso di «andare
in pellegrinaggio» {iSam. 1,3; 122,4 ecc-)> e in realtà
questo viaggio di Giacobbe a Bethel ne ha tutti i caratteri
(Jacob). Un pellegrinaggio è un atto di culto: perciò quanti
vi partecipano, come per ogni altra manifestazione del ge
nere, devono prima di tutto rinunciare a ciò che dispiace a
Dio. A questa abrenuntiatio segue una purificazione, cioè un
lavacro rituale e probabilmente anche l’entrata in un periodo
di ascesi sessuale. Il mutamento delle vesti è un atto simbo
lico largamente diffuso nei riti religiosi, mediante il quale
l’uomo esprime il rinnovamento che in lui compie la divinità.
Tutto questo, nel linguaggio cultuale dell’antico Israele, si
esprime col dire che Giacobbe e i suoi «si santificano» {Ex.
19,10; los. 7,13; iSam. 16,5 ecc.). La santità nell’A.T. non
è tanto una particolare qualità propria di uomini e cose, ma
piuttosto il semplice stato di appartenenza a Dio. Certo, per
principio esso è reso possibile solo da una scelta o chiamata
di Dio cui spetta l’iniziativa, ma implica anche da parte del
l’uomo che egli rinunci nella forma di una professione di fede
a tutto ciò che ‘non è santo’ e dimostri in forma liturgico-
simbolica il suo desiderio di purificazione e di un più genuino
rapporto con Dio. Il pellegrinaggio da Sichem a Bethel costi
tuiva certo un’usanza normale nell’antico Israele. Un atto
particolarmente importante, al momento di iniziarlo, era la
rinuncia a tutto ciò che in qualche modo apparteneva al culto
degli dèi stranieri. Si tratta semplicemente di cose materiali:
piccole figure di dèi che si tenevano di nascosto in casa {Deut.
27,15 ), amuleti e altro del genere. Agli orecchini si attribuiva
probabilmente un potere magico apotropaico. Questi oggetti
erano penetrati in Israele per importazione; si tratta qui di
Ritorno di Giacobbe a Bei bel (35,1-8.14-15) 453
lontane. Non offrono che tacite figure senza una parola che
le spieghi, e ancor meno un discorso di Dio. Questo loro ca
rattere spiccatamente profano tanto più colpisce se si pensa
che l’agiografo vede in essi immancabilmente delle profezie
comunicate da Dio. Danno quindi l’impressione di essere as
sai più arcaiche quelle apparizioni oniriche nelle quali Dio
parla direttamente, come narrava 20,3; 26,24 e 28,13-
Questa assenza di elementi teologici diretti, questo modo di
raccontare i sogni tenendosi a una fredda distanza dal piano
propriamente religioso dà la possibilità di intenderli a un du
plice livello: come vere profezie, ma anche come pensieri di
un animo superbo. Il loro contenuto profetico è innegabile;
e tuttavia Giuseppe ne viene rimproverato. Un fatto implica
l’altro. Né si può attenuare il paradosso spiegando che Giu
seppe sia stato biasimato non per i sogni in sé, ma perché
aveva la mania di raccontarli. Una visione onirica era per gli
antichi qualcosa di così importante e impegnativo che non
poteva certo richiedere che uno avesse il tatto di tenersi la
cosa per sé.
La visione dei covoni, come abbiamo già notato per Gen.
26,12, ci permette di arguire che la coltura dei cereali già
era praticata da quei pastori nomadi di piccolo bestiame; ma
non si potrebbe certo dedurre un accenno al sistema di ap
provvigionamento più tardi instaurato da Giuseppe. Quanto
alla visione degli astri non si dovrà pensare a stelle isolate,
ma a costellazioni, dato che il numero di undici si riconnette
all’antica nozione dei segni dello zodiaco. L’accenno alla ma
dre di Giuseppe male si accorda con la notizia della morte di
Rachele data prima, a Gen. 35,18; il nostro racconto dà l’im
pressione che essa sia ancora in vita. Che poi, a proposito
del diventar re si possa pensare, oltre alla potenza da Giu
seppe conseguita in Egitto, anche al regno nord-israelitico,
come sostengono i commenti, la cosa pare inverosimile, poi
ché il legame della storia di Giuseppe con gli avvenimenti
politici è solo un legame molto lento (cfr. più avanti la con
I sogni di Giuseppe (37,2-36) 475
1In quel tempo avvenne che Giuda si separò dai suoi fratelli, avvian
dosi verso la pianura e si associò a un uomo di Adullam chiamato
Hira. 2 Qui Giuda vide la figlia di un cananeo di nome Shua, e la
prese in moglie e si unì a lei. 3 Essa, rimasta incinta, diede alla luce
un figlio e lo ‘chiamò’ Er. 4 E di nuovo concepì e partorì un figlio
che chiamò Onan. 5 Concepì poi u n ’altra volta e partorì un figlio che
chiamò Shela; essa si trovava a Kezib, quando lo partorì. 6 Giuda
prese una moglie per il suo primogenito Er, la quale si chiamava Ta
mar. 7 Ma il primogenito di Giuda dispiacque a Jahvé e perciò Jahvé
lo fece morire. 8 Allora Giuda disse a Onan: «Accostati alla moglie
480 La storia dei patriarchi
che tutto gli riusciva bene. Egli viveva nella casa dell’egiziano, suo
padrone. 3E il suo padrone vide che Jahvé era con lui e che gli fa
ceva riuscire tutto ciò che intraprendeva. 4 Giuseppe dunque incontrò
11 favore di lui, tanto che potè entrare al suo servizio personale; ed
egli lo nominò sovraintendente della sua casa e gli affidò tu tti i suoi
beni. 5E da quando gli diede la sovraintendenza alla sua casa e a tu tti
Ì suoi beni, Jahvé benedisse la casa dell’egiziano in grazia di G iusep
pe, e la benedizione di Jahvé aleggiava su tutto ciò che possedeva, in
casa e nei campi. 6 Così egli abbandonò ogni suo avere in mano a
Giuseppe e non gli chiedeva conto assolutamente di nulla, non occu
pandosi se non del cibo che prendeva. Giuseppe era ben fatto di per
sona e avvenente di aspetto.
^Accadde in seguito che la moglie del suo padrone gettò gli occhi su
Gmseppe e gli disse: «Giaci con me». 8Ma egli rifiutò e disse alla
moglie del suo padrone: «Vedi, il mio signore non mi domanda conto
di nulla nella sua casa e mi ha affidato tu tto il suo avere. 9 Egli stesso
non è in questa casa più autorevole di me e non si è riservato niente
al di fuori di te, perché sei sua moglie. Come potrei io compiere così
grave ingiustizia e peccare contro D io?». 10 E sebbene ella ne parlasse
a Giuseppe ogni giorno, non acconsentì a giacerle accanto per avere
relazione con lei. 11 Una volta che Giuseppe, come il solito, entrò nel
la casa (J) per attendere al suo lavoro, m entre nessuno dei domestici
vi si trovava, essa lo afferrò per la veste e gli disse: «Giaci con me».
12Ma egli le abbandonò la veste tra mano, fuggì e corse fuori all’aper
to. 13 Quando ella vide che le aveva lasciato tra mano la veste e se
ne era fuggito fuori, 14chiamò la gente di casa e disse loro: «G uar
date un po’, ci ha portato qui un ebreo, perché si diverta con noi.
È entrato qui per giacermi accanto, ma io ho gridato a gran voce.
15 E quando mi ha sentito dare un gran grido, ha lasciato la veste ac
canto a me, è fuggito ed è corso fuori all’aperto». 16E lasciò lì accan
to a sé la veste di lui, finché non ritornò a casa il padrone. 17Allora
parlò a questi nello stesso senso e gli disse: «Lo schiavo ebreo che ci
hai portato in casa, è entrato qui per divertirsi con me. 18 Q uando
però io ho alzato un gran grido, ha lasciato cadere vicino a me la sua
veste ed è fuggito fuori». 19 II padrone, come udì le parole che gli
diceva sua moglie: il tuo schiavo mi ha fatto così e così, m ontò su
tutte le furie. 20 E il padrone di Giuseppe lo prese e lo gettò in car
cere, nel luogo ove erano detenuti i prigionieri del re; e quivi egli
rimase in prigione. 21 Jahvé però era con Giuseppe e attirò su di lui
la benevolenza e il favore del comandante della prigione. 22 E questi
ro2. Del resto anche a Israele non era affatto estraneo, que
sto concetto del matrimonio come rapporto di proprietà e
dell’adulterio come violazione dell’altrui possesso (cfr. Deut.
22,24: il compenso era stato pagato al momento del fidan
zamento!).
10-19. Fra il primo e il secondo atto di questa storia della
tentazione, intercorre un tempo di ostinate profferte amoro
se della donna a Giuseppe (v. io) finché si arriva alla scena
drammatica. La veste che Giuseppe dovette lasciare nelle
mani della donna era la cosiddetta tunica, specie di lunga
camicia stretta con una cintura intorno alle reni, e non la so
pravveste tipo mantello che in casa non si usava. Giuseppe
è dunque fuggito completamente svestito —situazione igno
miniosa e insieme onorevole. All’aperto non significa per la
strada: i locali di abitazione della casa orientale stavano in
torno a un cortile. Il repentino mutamento dalla brama ses
suale all’odio, in preda al quale la donna agisce con una gran
de presenza di spirito, è descritta con un vivo realismo an
che in 2 Sam. 13,15; gli scrittori di questo periodo letterario
conoscono a fondo gli abissi del cuore umano. Il rifiuto e la
fuga di Giuseppe hanno reso molto critica la situazione della
donna che si cava d’impaccio usando come prova contro Giu
seppe la veste abbandonata, e procurandosi così dei testimoni
fra la servitù. Tanto davanti ad essa come più tardi davanti
al marito quando torna a casa, ella ripete le sue accuse con
tro Giuseppe. Il verbo ‘divertirsi’ dei vv. 14 e 17 (shq) nel
senso del piacere erotico si trova anche in Gen. 26,18. Sul
carattere dispregiativo della formula un uomo ‘ebreo’, v. pp.
300 s. L’abilità con cui la donna rovescia la situazione, rin
facciando a Giuseppe le insistenze amorose usate da lei, tro
va uno strano parallelo nella ben nota «storia dei due fratel
li», appartenente all’antica letteratura egiziana (AOT, 69 s.).
Due fratelli vivono insieme; il più giovane è al servizio del
2. W . K o rn fe ld , L ’adultère dans VOrient antique : R e v u e B i b l iq u e , 1 9 5 0 , 9 2 ss.
La prova di Giuseppe (39,1-23) 495
e lo pose alla mano di Giuseppe, gli fece indossare abiti di lino finis
simo e gli mise intorno al collo la collana d’oro. 43Poi lo fece montare
sul suo secondo cocchio e davanti a lui si gridava: «Abree». Così lo
pose a capo di tutto il paese d’Egitto. 44E il faraone disse a Giusep
pe: «Sono io il faraone, ma senza la tua volontà nessuno potrà alzare
mano o piede in tutta la terra d’Egitto». 45Poi il faraone chiamò Giu
seppe col nome di Safenat-Paaneah e gli diede in moglie Asenat figlia
di Potifera, sacerdote di On. In seguito a tutto questo Giuseppe fece
un giro su tutto il paese d’Egitto.
46Giuseppe aveva trentanni quando si presentò al faraone re d'Egit
to. Giuseppe se ne parti poi dal faraone e percorse tutta la terra
d’Egitto. 47II paese produsse a profusione durante i sette anni di
abbondanza 48e si raccolsero tutti i viveri dei sette anni nei quali in
Egitto ci fu "abbondanza’, e si depositarono le derrate nelle città: in
ogni città Ì prodotti della campagna all’intorno. 49Giuseppe ammassò
il grano come la sabbia del mare, in tale quantità che dovette smettere
di farne il computo, perché era incalcolabile. ^ E a Giuseppe nacquero
due figli, prima che venisse l’anno della carestia. 51Glieli aveva par
toriti Asenat, la figlia di Potifera, sacerdote di On. E Giuseppe chia
mò il primogenito Manasse, perché - (diceva) - Dio mi ha fatto di
menticare tutto il mio dolore e la mia casa paterna. 52II secondo, lo
chiamò Efraim, perché Dio mi ha reso fecondo nella terra della mia
afflizione.
53Quando furono finiti i sette anni dell’abbondanza che aveva regnato
in Egitto, 54incominciarono a venire i sette anni della carestia, come
Giuseppe aveva detto. E ci fu carestia in ogni paese, ma in tutta la
terra d’Egitto il pane non mancò. 55Quando tutto il paese d’Egitto
sentì la fame e tutto il popolo gridò al faraone per avere pane, il
faraone disse a tutti gli Egiziani: «Andate da Giuseppe e fate ciò
che vi dirà». 56La carestia imperversava sull’intera regione e allora
Giuseppe aprì tutti Ì depositi e vendette agli Egiziani i cereali men
tre la carestia si inaspriva nella terra d’Egitto. 57E da tutti i paesi si
veniva in Egitto per comperare cereali da Giuseppe perché la fame
infieriva su tutta la terra.
mo gente onesta, i tuoi servi non sono delle spie». 12M a egli disse
loro: «N o, è per vedere le p arti scoperte del paese che siete venuti».
13E d essi: «N oi, tuoi servi, eravam o in dodici; siam o fratelli, figli di
un sol padre, della terra di Canaan. Il più giovane è rim asto adesso
con nostro padre, e uno non c e più». 14A llora G iuseppe disse loro:
«È come vi ho d etto : siete spie. 15 Ed ecco in qual m odo sarete m essi
alla prova: per la vita del faraone, non ve ne andrete di qui, fino a
che non sarà venuto qui il vostro fratello più piccolo. 16M andate uno
di voi a prendere il vostro fratello, e voi in tan to restate prigionieri.
Siano così messe alla prova le vostre parole: se avete d e tto la verità
o no. P er la vita del faraone, di certo che siete spie». 17 Li mise d u n
que in carcere p e r tre giorni. 18 Al terzo giorno G iuseppe disse loro:
«A p atto che facciate quanto ora vi dirò avrete salva la vita, poiché
10 tem o Iddio! 19 Se dunque siete davvero gente onesta, uno di voi
fratelli rim anga prigioniero nel vostro carcere, e voialtri p artite e p o r
tate le granaglie, p er la fam e delle vostre fam iglie. 20 E conducetem i
poi qui il vostro fratello più piccolo, sì che le vostre parole si dim o
strino vere e non abbiate a m orire». Essi acconsentirono. 21 E si d i
cevano l ’un l ’altro: «È vero, ci siamo resi colpevoli verso il n o stro
fratello, perché vedevam o lo strazio del suo cuore quando ci suppli
cava e non lo ascoltam m o. Perciò questo strazio è venuto addosso a
noi». 22R uben rispose loro: «N on ve lo avevo d e tto io: non peccate
contro il ragazzo! M a non avete voluto ascoltarm i. E d ora ci si do
m anda conto del suo sangue». 23 M a essi non sapevano che G iuseppe
11 capiva, perché c ’era fra loro un interprete. 24 A llora egli si allon
tanò da loro e pianse; poi rito rn ò verso di loro e riprese a parlare
con loro. Scelse fra di essi Sim eone e lo fece incatenare sotto i loro
occhi. 25 Poi diede ordine che si riem pissero i sacchi di grano e che si
rim ettesse nel sacco a ciascuno il relativo denaro; e si dessero loro
delle provviste per il viaggio. E così fu fatto. 26 Essi caricarono il gra
no sui loro asini e partirono.
^ Q u a n d o poi uno aprì il suo sacco, per dare del foraggio al suo asi
no, in una sosta per la n o tte, vide il proprio denaro che stava alla
bocca del sacco, 28 e disse ai suoi fratelli: «M i è stato restitu ito il m io
denaro: eccolo qui nel mio sacco!». A llora si sentirono m ancare il
coraggio, si guardavano l ’un l ’altro spaventati e dicevano: «Che m ai
ci ha fatto Id d io ?» . ^ A rriv a ti da G iacobbe loro padre nella te rra d i
Canaan, gli raccontarono tu tto ciò che era loro successo e dissero:
^ « L ’uom o che è signore del paese ci parlò duram ente e ci prese
p er spie. 31 M a noi gli abbiam o detto : 'Siam o gente onesta, non sia
mo delle spie. 32 Siamo in dodici fratelli, figli di nostro padre; uno
non c ’è più, e il piccolo è rim asto con nostro padre, nel paese di C a
La storta dei patriarchi
5*4
chiaia, m en tre il fratello d i lui è m o rto . C osì è il solo rim asto della
stessa m adre e suo padre lo ama m olto. 21 E tu dicesti ai tu o i servi:
C onducetelo qui da m e, che possa posare gli occhi su di lui. 22 M a noi
rispondem m o al m io signore: I l ragazzo non può lasciare il padre;
se lasciasse suo p ad re qu esti ne m orrebbe. 23 E tu dicesti ai tu o i ser
vi: Se il v o stro fratello più giovane non viene con voi, non dovete
p iù com parire alla m ia presenza. 24 T o rn ati che fum m o dal tu o servo
e m io p ad re, gli riferim m o le parole del n o stro signore. 25 Q u ando
d u n q u e n o stro p ad re disse: A ndate u n ’altra volta laggiù e com perateci
u n p o ’ di viveri, 26 noi gli rispondem m o: N on possiam o andarci; se
il no stro fratello p iù piccolo viene con noi allora ci andrem o. N o n
possiam o in fa tti com parire alla presenza di quelPuom o, senza che sia
con noi il n o stro fratello più piccolo. 27 A llora il tuo servo e m io p a
d re ci disse: Sapete che m ia m oglie m i ha d ato due figli. 28 U no m i ha
lasciato, ta n to che ho d o v u to dirm i: certo è stato sb ran ato ; e fino a
oggi non l ’ho riv ed u to . 29 Se mi p o rta te via anche q u esto , e gli capita
una disgrazia, farete scendere nel dolore la mia canizie alla dim ora
dei m o rti. 30 E ora, se rito rn assi dal tu o servo e padre m io senza che
sia con noi il ragazzo al quale egli è legato con tu tta l ’anim a, 31 ap
pena vedesse che il ragazzo non è ‘con n o i’ ne m orrebbe; e i tu o i
servi avrebbero così fa tto scendere nella desolazione alla dim ora dei
m o rti la canizie del tu o servo e n o stro padre. 32 II tu o servo si è reso
g aran te p er il ragazzo a m io padre e gli ha d e tto : Se non te lo ricon
duco, sarò colpevole verso di te p er tu tti i giorni di m ia vita. 33 Sia
concesso ora d u n q u e al tu o servo di restare qui al posto del ragazzo
com e schiavo del m io signore m en tre il ragazzo to rn i lassù da m io
padre coi suoi fratelli. 34 C om e p o tre i in fa tti to rn are da m io p ad re se
il ragazzo non è con m e? N on abbia io a vedere la sciagura che col
p ireb b e m io p adre».
costui (vv. 6-12; cfr. 43,17-24) ma che incalza con forza ver
so il loro incontro e colloquio con Giuseppe (vv. 15 ss.; cfr.
43,26-34). Il susseguirsi delle scene nel cap. 44 è ancora più
drammatico che nel cap. 49 e pertanto qui il narratore —di
nuovo lo Jahvista —cerca più largamente gli effetti.
h) Il riconoscimento (45,1-28)
1Giuseppe non potè contenersi più a lungo davanti a coloro che l ’at
torniavano e gridò: «Fate uscire tutti dalla mia presenza». Così non
rimase nessuno con lui, quando si fece riconoscere dai fratelli. 2 Scop
piò a piangere così forte che gli Egiziani l ’udirono e lo si sentì nel
palazzo del faraone. 3Poi disse ai fratelli: «Sono Giuseppe; è vivo
ancora il padre mio?». I fratelli non riuscirono a rispondergli, tanto
erano sbigottiti davanti a lui. 4E Giuseppe disse ai suoi fratelli: «Ve
nitemi vicino». E quando gli si furono avvicinati, disse: «Sono il vo
stro fratello Giuseppe, quello che avete venduto in Egitto. 5 E ora non
vi addolorate, né vi preoccupate di avermi venduto perché fossi con
Il riconoscimento (45,1-28) 555
do, perché non credeva loro. 27 Allora gli ripeterono tutto ciò che G iu
seppe aveva detto loro e quando egli vide i carri che Giuseppe aveva
mandato, per prenderlo, allora lo spirito del loro padre Giacobbe ri
prese vita. 28E Israele disse: «Basta, il mio figlio Giuseppe è ancora
in vita: voglio partire e rivederlo, prima di morire».
posizione del Genesi. Già esso è presente nella storia del di
luvio : Noè sfugge alla universale catastrofe grazie alla prote
zione divina, per essere ceppo di una umanità nuova. Si pensi
anche al distacco di Abramo dalla sua tribù, alla sua voca
zione e benedizione: come questi fatti si staglino sul fondo
oscuro di un castigo di Dio alle genti ( i i , i ss.). Ma è
soprattutto quando Lot viene fatto uscire per benigno favore
da Sodoma che si rivela quest’azione salvifica di Dio. Nel no
stro passo Giuseppe interpreta alla luce di questa visione
d’insieme anche la sua così intricata vicenda, vi scorge cioè
la misteriosa realizzazione di un intervento salvifico di Dio;
perché «resto», come spesso nell’A.T., è una parola di spe
ranza, volta all’avvenire, perché nel resto sussiste il tutto, per
una vita nuova. Qui però il concetto di «resto» è diverso da
quello che troviamo nei profeti (Is. 13; 7,3; 10,20 s.; 14,30);
là si tratta della preservazione di un «resto» dello stesso po
polo di Dio, qui di mettere in salvo i beneficiari della pro
messa da una catastrofe generale dell’umanità. Ma al mo
mento questo richiamo alla misteriosa guida divina si unisce,
nella mente di Giuseppe, alla preoccupazione che i fratelli ri
mangano un po’ troppo scossi dalla brusca rivelazione della
sua identità e possano essere gettati in nuovi conflitti. Egli sa
bene quali passioni potrebbero ora divampare in nuove for
me (v. 24); ma la loro stessa coscienza non deve tormentarsi
(v. 3) perché il pensiero che gli avvenimenti siano stati con
dotti da Dio mette tutto in una luce completamente nuova.
i.U n documento egiziano (Papyrus A n a sta siv 1,4,14) riferisce un fatto del tutto
simile: intorno al 1220 il faraone Merneptah permette a dei beduini edomiti di
prendere dimora nella regione di Goshen, «per tenere in vita sé e le loro greggi
nei possedimenti del re».
Migrazione di Giacobbe in Egitto (46,1-34)
1Israele dunque partì con tutto ciò che aveva e giunse a Bersabea;
qui offrì sacrifìci al dio di suo padre Isacco. 2E Dio parlò a Israele in
una visione notturna: «Giacobbe! Giacobbe!». Egli rispose: «Ecco
mi». ?Dio riprese: «Sono il dio di tuo padre. Non temere di scendere
in Egitto, poiché là voglio fare di te un grande popolo. 4Verrò con
te in Egitto e anche te ne farò di nuovo uscire; e sarà Giuseppe a
chiuderti gli occhi». 5 Giacobbe allora levò le tende da Bersabea e i
figli di Israele fecero montare il loro padre e i bambini e le donne
sui carri che il faraone aveva mandato per il trasporto. 6 P resero il
lo ro b e stia m e e i b e n i ch e si erano p ro cu ra ti nella terra d i C anaan e
v e n n e ro in E g itto : G ia c o b b e e t u t t i i su o i d isc e n d e n ti co n lu i, 7 egli
p o r tò con sé in E g itto i su o i fig li e i figli d e i figli, le su e figlie e le
figlie d e i su o i figli, e tu tta la sua d isc e n d e n za .
8 E cco i n o m i d ei figli d i Isra e le che en tra ro n o in E g itto , G ia c o b b e e
i su o i fig li . I l p r im o g e n ito d i G ia co b b e, R u b e n . 9 E i figli d i R u b e n :
H a n o k , P allu, H e s ro n e K a rm i. 10E i figli d i S im e o n e : le m u e l, la -
m in , O h a d , la k in , S o h a r e S h a u l, figlio della Cananea. 11E i figli d i
L e v i: G h e rsh o n , K e h a t e M erari. 12E i fig li d i G iu d a : E r, O n a n , S b e
la, P eres e Z era h ; E r e O n a n p erò m o riro n o n el paese d i C anaan. E
i figli d i P eres fu r o n o H e s ro n e H a m u l. 13 E i figli d i Issacar: T o la ,
P u v v a , I o b e S h im ro n . 14 E i figli d i Z à b u lo n : S ered , E lo n e Ia h lee l.
15 Q u e s ti so n o i figli d i Lia, eh*essa p a rto rì a G ia co b b e in P addan-
A ra m , in o ltr e la figlia D ina, in tu t to tr e n ta tr é fra fig li e figlie. 16 E i
54* La storia dei patriarchi
figli di Gad: Sifion, Hagghi, Shurii, Esbon, Eri, Arodi e Areeli. 17E i
figli di Aser: ìmna, Ishva, Ishvi, Beria e la loro sorella Serah. E i
figli di Beria: Heber e Malkiel. 18 Questi sono i figli di Zilpa che La-
bano diede a sua figlia Lia, ed essa li partorì a Giacobbe: sedici per
sone. 191 figli di Rachele moglie di Giacobbe: Giuseppe e Beniamino.
20E a Giuseppe nacquero in Egitto due figli che gli partorì Asenat,
figlia di Potiferà, sacerdote di On: Efraim e Manasse. 21E i figli di Be
niamino: Bela, Beker e Ashbel, Ghera, Naaman, Ehi, Rosh, Muppim,
Huppim e Arde. 72Questi sono i figli di Rachele, che essa partorì a
Giacobbe; in tutto quattordici persone. 23E i figli di Dan: Hushim.
24E i figli di Neftali: lahseel, Guni, Ieser e Shillem. 25Questi sono
i figli di Bilha che Labano diede a sua figlia Rachele ed essa li partorii
a Giacobbe: in tutto sette persone. 26Le persone della casa di Gia
cobbe che vennero in Egitto, uscite dalla sua carne, senza contare
cioè le mogli dei figli di Giacobbe furono in tutto sessantasei. 27E
due figli che 'erano nati’ a Giuseppe in Egitto. In tutto, le persone
della famiglia di Giacobbe giunte in Egitto furono settanta.
28Giuda però, l’aveva mandato avanti da Giuseppe perché desse istru
zioni (?) prima che egli arrivasse a Goshen. E quando giunsero nella
terra di Goshen, ^Giuseppe fece attaccare il suo cocchio e salì a Go
shen incontro a suo padre Israele, e quando comparve dinanzi a lui,
si gettò al suo collo e pianse a lungo, sul collo di lui. 30E Israele dis
se a Giuseppe: «Sono pronto a morire ora che ho visto il tuo volto,
che sei ancora vivo!». 31Giuseppe disse poi ai suoi fratelli e alla fa
miglia di suo padre: «Vado a informare il faraone e a dirgli: I miei
fratelli e la famiglia di mio padre che abitavano nel paese di Canaan
sono venuti da me. 32Gli uomini fanno i pastori essendo allevatori di
bestiame e si sono infatti portati con sé le loro greggi e gli armenti
e tutto il loro avere. 33Se poi il faraone vi farà chiamare e vi chie
derà: Qual è il vostro mestiere? 34rispondete: I tuoi servi sono stati
pastori dalla loro fanciullezza fino ad ora, noi come i nostri padri;
e così vi sarà comunque permesso di risiedere nella terra di Goshen.
Tutti i pastori a dir vero sono in orrore agli Egiziani».
28-30. La lista dei vv. 8-27 taglia il filo del racconto in modo
grossolanamente meccanico e lo si vede al v. 28 che con il
soggetto indeterminato —«egli» mandò avanti —rinvia dritto
dritto ai vv. 1-7 in cui si parla di Giacobbe. Anche altrove
nel complesso narrativo jahvistico, Giuda è messo in rilievo
come portavoce dei fratelli (cfr. Gen. 43,3 ss.; 44,18 ss.). Ma
qual è lo scopo della sua missione? Il testo ebraico dice: «per
indicare davanti a lui in direzione di Goshen» ( ) .Già
da un pezzo si è supposto che in questa formula alquanto
strana si annidasse una corruzione del testo, tanto più che già
i LXX leggevano, con altro verbo: «per incontrarsi con lui»
(,lehiqqàròt). D’altra parte, l’aggiunta dell’indicazione locale:
«a Heroonpolis» rende sospetta la stessa traduzione dei LXX.
L’incontro col padre di quel Giuseppe che era creduto morto
546 La storta dei patriarchi
1Giuseppe dunque entrò dal faraone per informarlo in tal senso e gli
disse: «Mio padre e i miei fratelli con le loro greggi e le loro mandrie
e tutto il loro avere sono arrivati dalla terra di Canaan e si trovano
attualmente nella regione di Goshen». 2Dal novero dei suoi fratelli
ne aveva presi cinque e li presentò al faraone. 3 Quando dunque il
faraone chiese ai fratelli: «Qual è il vostro mestiere?» essi risposero
al faraone: «I tuoi servi sono pastori: noi al pari dei nostri padri».
4 E dissero al faraone: «Siamo venuti per soggiornare come ospiti nel
paese. Per le greggi dei tuoi servi non c’erano più pascoli perché la
carestia infierisce gravemente nella terra di Canaan. E ora i tuoi servi
vorrebbero potersi fermare nella regione di Goshen». 5a Allora il fa
raone disse a Giuseppe: 6b «Abitino pure nella provincia di Goshen
e se tu sai che fra di loro ci siano uomini capaci, mettili come capi-
pastori dei miei possedimenti personali».
Giunsero dunque Giacobbe e i suoi figli in Egitto, da Giuseppe e
quando il faraone, re delVEgitto, ne ebbe notizia, disse a Giuseppe:
^ «Tuo padre e i tuoi fratelli sono dunque venuti da te? 6*Ecco, la
terra d'Egitto ti sta aperta innanzi: insedia tuo padre e i tuoi fratelli
nella parte migliore del paese». 7Poi Giuseppe fece entrare suo pa
dre Giacobbe e lo presentò al faraone e Giacobbe benedisse il farao
ne. 8E il faraone disse a Giacobbe: «Qual numero raggiungono i tuoi
anni di vita?». 9Giacobbe rispose al faraone: «Il numero degli anni
di questo mio peregrinare senza patria è centotrenta. Pochi e tristi
sono stati gli anni della mia vita e non raggiungono il tempo della
548 La storia dei patriarchi
vita dei miei padri, negli anni del loro peregrinare». 10Detto questo,
Giacobbe benedisse il faraone e uscì dalla presenza del faraone. 11Co
sì Giuseppe diede a suo padre e ai suoi fratelli una sede e assegnò
loro una proprietà nella terra d'Egitto, nella zona migliore del paese,
cioè nella regione di Ramses, come il faraone aveva ordinato. 12E
Giuseppe provvide al mantenim ento di suo padre e dei suoi fratelli
e di tutta la casata di suo padre, fornendo pane in abbondanza. 13 O ra
in tutto il paese il pane mancava, perché la carestia infieriva grave
mente; così che la terra d ’Egitto e la terra di Canaan languivano a
causa della carestia. 14Giuseppe raccolse quindi tu tto il denaro che si
trovava nella terra d ’Egitto e nella terra di Canaan in cambio del gra
no che la gente comperava. E Giuseppe depositò il denaro nel palazzo
del faraone. 15 Quando però il denaro nella terra d ’Egitto e nella terra
di Canaan fu esaurito, tu tti gli Egiziani vennero da Giuseppe e disse
ro: «Dacci del pane! Perché dobbiamo morire sotto i tuoi occhi dato
che il denaro è finito?». 16 Rispose Giuseppe: «Date il vostro bestiame
e io vi darò del ‘pane’ in cambio delle vostre bestie, se il denaro è
finito». 17Allora essi portarono a Giuseppe il loro bestiame e G iusep
pe diede loro pane in cambio dei cavalli, delle mandrie, dei greggi e
degli asini; e per quell’anno provvide loro con pane in cambio di tu tto
il loro bestiame. 18Trascorso che fu tale anno, vennero da lui il secon
do anno e gli dissero: «Non possiamo nasconderlo al nostro signore: il
denaro è finito, il bestiame è nelle mani del nostro signore; non ci re
sta da offrire al signore nostro niente altro che la nostra persona e la
nostra terra. 19 Perché dobbiamo perire sotto i tuoi occhi, noi e la no
stra terra? Acquista noi e la nostra terra per del pane e noi e la no
stra terra ci m etterem o al servizio del faraone. Dacci della semente
perché possiamo vivere e non morire, perché il nostro suolo non di
venti un deserto». ^A llora Giuseppe acquistò per il faraone tu tto
il paese d ’Egitto; gli Egiziani infatti avevano venduto tu tto il loro
terreno, perché la carestia gravava duram ente sopra di loro. Così il
paese divenne proprietà del faraone. 21 Q uanto al popolo, egli (G iu
seppe) lo ridusse in servaggio, sotto di lui, da un capo all’altro del
l ’Egitto. 22 Solo non comperò le terre dei sacerdoti, perché queste
erano dei benefici in favore dei sacerdoti concessi dal faraone ed essi
vivevano in questi benefici che il faraone aveva loro dato. Perciò non
avevano venduto le loro terre. 23 E G iuseppe disse al popolo: «Voi e
la vostra terra, io ora l ’ho comperata per il faraone. Eccovi qui della
semente: seminate la terra. 24 Però dovete dare la quinta parte del
raccolto al faraone. Le altre quattro parti vi apparterranno, per la se
mina dei campi e come nutrim ento per voi e per le vostre famiglie,
e nutrim ento per i vostri figliuoli». 25 Ed essi risposero: «Tu ci hai
La politica agraria di Giuseppe (47,1-2/) 549
salvata la vita. Possiamo noi soltanto trovar grazia agli occhi del no
stro signore, e saremo ben lieti di essere servi del faraone». 26 G iu
seppe stabilì dunque come legge, in vigore ancor oggi nel paese di
Egitto, che al faraone spetti la quinta parte; soltanto la terra dei sa
cerdoti non divenne proprietà del faraone. 27 Israele dunque si stabilì
in Egitto, nella regione di Goshen; v i si in sed ia ro n o sa ld a m e n te e
prolifica ro n o e si m o ltip lic a ro n o assai.
qui non deve essere tradotto con 'gloria’. Alcuni passi dei
salmi (Ps . 7,6; 16,9; 30,13; 57,9; 108,2) inducono a pensare
che il vocabolo, che originariamente significava 'fegato5, po
trebbe anche esprimere una componente dell’individualità,
essere cioè usato come termine antropologico.
ni i suoi piedi nel letto, spirò e fu riunito a quelli della sua stirpe.
1Allora Giuseppe si gettò sul volto di suo padre e pianse su di lui
e lo badò. 2 Poi Giuseppe ordinò ai suoi servi, i medici, di imbalsa
mare il padre. 3 Passarono in questo lavoro quaranta interi giorni,
tanto dura l’imbalsamazione. E gli Egiziani lo piansero per settanta
giorni. 4 Quando furono trascorsi i giorni del compianto, Giuseppe
fece questo discorso alla corte del faraone: «Se ho trovato grazia
presso di voi, così parlate a nome mio, vi prego, al cospetto del fa
raone: 5 Mio padre mi ha fatto prestare un giuramento: Se io ora
muoio, seppelliscimi nella tomba che mi sono scavata nella terra di
Canaan. Vorrei dunque salire fin là e seppellire mio padre e poi tor
nare». 6 Allora il faraone disse: «Va pure lassù e seppellisci tuo pa
dre, come gli hai giurato». 7 E Giuseppe andò a seppellire il padre
e con lui salirono tu tti i servi del faraone, gli anziani della sua casa
e tu tti gli anziani del paese d ’Egitto 8e l ’intera casa di Giuseppe e
i suoi fratelli e la casa di suo padre. Lasciarono nella terra di Goshen
soltanto i bambini, le greggi e le mandrie. 9 Partirono con lui i carri
da guerra e i cavalieri così che fu una carovana im ponente. 10Q uando
giunsero all’aia dellKolivo spinoso’ al di là del G iordano, fecero qui
un grande e solenne compianto ed egli celebrò per suo padre un lutto
di sette giorni. 11 Quando gli abitanti del paese, i Cananei, videro quel
lutto all’aia dellKolivo spinoso’ dissero: «È un grande lutto, questo,
per gli Egiziani». Perciò il luogo è chiamato Abel-Misraim che si tro
va nei pressi del Giordano (*). 12E i suoi figli fecero con lui come
egli aveva loro comandato. 13E i suoi figli lo portarono nella terra
di Canaan e lo seppellirono nella caverna del campo di Makpela, il
campo che Abramo comperò dalVhittita Efron come proprietà per uso
sepolcrale, di fronte a Mambre. 14 Poi, dopo aver seppellito suo padre,
Giuseppe tornò in Egitto, egli e i suoi fratelli e tu tti quelli che erano
saliti con lui per la sepoltura di suo padre.
151 fratelli di Giuseppe, visto che il loro padre era m orto, dicevano:
«Chissà se ora Giuseppe non si mostrerà ostile verso di noi e non ci
ripagherà tutto il male che abbiamo fatto a lui?». 16M andarono dun
que a dire a Giuseppe così: «Tuo padre prim a di morire ci ha dato
questo incarico: 17dovete dire a Giuseppe: Deh! perdona ai tuoi fra
telli il loro m isfatto e il loro peccato, che ti abbiano fatto tanto male!
Perdona dunque ora tu ai servi del dio di tuo padre il loro m isfatto».
Giuseppe pianse quando gli parlarono così. 18 Poi ci andarono i suoi
fratelli stessi e si gettarono a terra davanti a lui e dissero: «Ecco,
saremo tuoi schiavi». 19Ma Giuseppe disse loro: «Non abbiate timore.
Prefazioni ...................................................................................................... 9
I. INTRODUZIONE G E N E R A L E ................................................................................... II
ALTRE ABBREVIAZIONI