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Collana diretta da
]ACQ:S-GUY BOUGEROL, GASPARE MURA, PAOLO SINISCALCO
COMMENTO AL VANGELO
DI SAN GIOVANNIj2
(VII-XII)
Opere sistematiche
Opuscoli
(I numeri in parentesi indicano 1'ordine dell' edizione Piana .. Sul-
la numerazione degli Opuscoli vedi H. D. SIMONIN, nella «Rev.
Thom.», 35 [1930], Supplemento. Si discute ancora sull'autenticità degli
Opuscoli se~nati con asterisco).
Sgrmoni
Sermones (Collationes) dOminicales et festivi (1254-1274; vedi Grabman,
Die Werke des hl. Thomas von Aquin, pp. 329-342, Miinster in
W. 1931; Kappelli in «AFP», 13 [1943], pp. 59-94).
Prolusioni
Principium [in Sacram Scripturam] «Hic est liber» (1952); principium
[doctoratus] «Rigans montes de superioribus» (1256) ed. F. Sal-
vatore, Roma 1912 (Mandonnet, Op. IV, pp. 481 ss., 491 ss.,
Parigi 1927).
Sugli altri scritti piu o meno autentici o certamente apocrifi, si veda:
P. Mandonnet, Des écrits autentiques del S. Thomas d'Aq., Friburgo
1910, pp. 147-156.
AGOSTINO
De Agone Christian o, PL 40, 289-310. Abbr.: De ago christ.
De peccatorum meritis et remissione, et de baptismo parvulorum, PL 44,
109-200. Abbr.: De Bapt. Parv.
De Bono coniugali, PL 40, 373-396.
De Civitate Dei, PL 41, 13-804. Abbr.: De Civ. Dei.
Confessiones, NBA 1. Abbr.: Coni
Nota bibliografica 11
ALCUINO
Commentaria in S. Joannis Evangelium, PL 100, 733-1008. Abbr.: Com-
mento in Jo. Ev.
AMBROGIO
Expositio Evangelii secundum Lucam, PL 15, 1607-1944. Abbr.: Ex-
positio Ev. sec. Luc.
De Fide, PL 16, 549-726.
De Poenitentia, PL 16, 485-546.
AMBROSIASTER
Commentarium in Epistolam B. Pauli ad Corinthios primam, PL 17,
193-290. Abbr.: Comm. in Epist. I ad Coro
12 Nota bibliografica
ANSELMO
Monologium, PL 158, 141-224.
ARISTOTELE
Del cielo
Etica Eudemia
Etica Nicomachea, abbr.: Etica Nicom.
Fisica
De generatione animalium, abbr.: De genero animo
Metafisica
Peri Hermeneias
Politica
Retorica
BASILIO
Homilia in illud «In Principio .. .», PG 31.
BEDA
Homilia XIII in dominica secunda post Epiphaniam, PL 94, 68-74. Abbr.:
Homilia XIII in domo II post Epiph.
In S. Joannis Evangelium Expositio, PL 92, 634-938. Abbr.: In Jo. Ev.
Expos.
In Matthaei Evangelium Expositio, PL 92, 9-132. Abbr.: In Mat. Ev.
Expos.
CICERONE
De Inventione
De Officiis
De Senectute
Tusculane Disputationes, abbr.: Tuscul. Disput.
CIPRIANO
De Unitate Ecc!esiae, PL 4, 509-536. Abbr.: De Unito Ecc!.
PSEUDO-DIONIGI AREOPAGITA
De Coelesti Hierarchia, PG 3, 119-370. Abbr.: Coel. Hier.
De Divinis Nominibus, PG 3, 585-996. Abbr.: De Div. Nom.
De Ecclesiastica Hierarchia, PG 3, 369-584. Abbr.: Ecc!. Hier.
Lettere, PG 3, 1065-1122.
De Mystica Theologia, PG 3, 997-1064. Abbr.: Theol. Myst.
Nota bibliografica 13
GIOVANNI CRISOSTOMO
In Epistolam ad Galatas commentarius, PG 61, 611-681. Abbr.: In Ep.
ad Gal. Commento
In Joannem Homiliae, PG 59. Abbr.: In Joannem, hom ...
In Matthaeum Homiliae, PG 57-58, 21-793. Abbr.: In Mat. Hom.
In Matthaeum opus imperfectum, PG 58, 794. Abbr.: In Mat. Opus
ImperI
GIOVANNI DAMASCENO
De Fide orthodoxa, PG 94, 789-1228.
GIROLAMO
Adversus Helvidi~m, PL 23, 193-216.
Adversus Jovinianum, PL 23, 221-352. Abbr.: Adv. Jovin.
Commentaria in Epistolam ad Galatas, PL 26, 331-468. Abbr.: Com-
mento in Ep. ad Gal.
Commentaria in Evangelium Matthaei, PL 26, 15-228. Abbr.: Comm.
inEv. Mat.
Commentaria in Isaiam prophetam, PL 24, 17-704.
Expositio quatuor Evangeliorum in Evangelium secundum Joannem, PL
30, 577-590. Abbr.: Expos. Evang. in Ev. sec. Joan.
Prefatio in Pentatheucum, PL 28, 178-184.
GIUSEPPE FLAVIO
Antichità Giudaiche
GREGORIO MAGNO
XL Homiliae in Evangelia, PL 76, 1075-1312. Abbr.: XL Hom. in Ev.
Homiliae in Ezechielem prophetam, PL 76, 785-1072. Abbr.: Hom in Ez.
Moralia in Job, PL 75, 509-576, 782. Abbr.: Moral.
Regula Pastoralis, PL 77, 13-128. Abbr.: Reg. Pastor.
ILARIO
Liber de Synodis, PL 10, 479-546.
De Trinitate, PL 10, 25-472. Abbr.: De Trinit.
14 Nota bibliografica
LEÒN'E MAGNO
Sermones, PL 54.
ORIGENE
Commento al Vangelo di Giovanni, ediz. UTET, Torino 1968, a cura
di EUGENIO CORSINI. Abbr.: Commento Vango Giov.
Romiliae in Cantica Canticorum, PG 13, 37-196. Abbr.: Rom in Canto
In Matthaeum Commentariorum Series, PG 13, 829-1800. Abbr.: In Mat.
Comm. Series.
I principi, ediz. UTET, Torino 1968, a cura di MANLIO SIMONETTI.
TEOFILATTO
Enarratio in Evangelium ]oannis, PG 123-124. Abbr.: Enarr. in Ev. ]oan.
DIDIMO IL CIECO
Liber de Spiritu Sancto, nella traduzione di Girolamo, PG 39,
1034-1086.
TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI
LEZIONE I
é Dopo questi fatti Gesu se ne andava per la Galilea: infatti non voleva
piu andare per la Giudea, perché i giudei cercavano di ucciderlo. 2 Si avvi-
cinava intanto la festa dei giudei della Scenopegia, o delle capanne. 3 I suoi
ftatelli gli dissero: Parti di qui e va nella Giudea, perché anche i tuoi disce-
poli vedano le opere che tu fai. 4 Nessuno infatti agisce di nascosto, se vuo-
le venire riconosciuto pubblicamente. Se fai tali cose, manifestati al mondo.
? Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui. 6 Gesu allora disse loro: Il
mio tempo non è ancora venuto, il vostro invece è sempre pronto. 7 Il mon-
do non può odiare voi, ma odia me, perché di lui io attesto che le sue opere
sono cattive. 8 Andate voi a questa festa, io non ci vado, perché il mio tem-
po non è ancora compiuto».
facesse continuamente dei miracoli, come accenna alla fine del Libro
(infra, 21, 25), gli Evangelisti si sono limitati a riferire soprattutto
quelli che furono seguiti da contestazioni e da contraddizioni da par-
te dei giudei.
II
III
IV
v
1018 - Nei versetti che seguono abbiamo la risposta di Cristo:
«Gesu allora disse loro: Il mio tempo non è ancora venuto ... ». E in
essa notiamo tre cose: primo, l'affermazione che quel tempo non era
adatto; secondo, spiega la propria affermazione: «lI mondo non può
odiare voi»; terzo, il suo rifiuto: «Andate voi a questa festa ... ».
1019 - Va qui notato che tutto il brano che segue da sant' Ago-
stino viene interpretato diversamente che dal Crisostomo.
Agostino 7 ritiene che i fratelli suddetti del Signore lo invitava-
no alla gloria umana. Ma il tempo di giungere alla gloria per i santi
è il tempo futuro, e la raggiungono attraverso sofferenze e tribolazio-
ni. Di qui le parole della Sapienza (3, 6): «Come oro nel crogiolo li
ha provati e come offerta d'olocausto li ha graditi: a suo tempo si
terrà conto di loro». È invece un altro ii tempo in cui i mondani ac-
quistano la loro gloria, cioè il tempo presente, come essi si esprimono
nel Libro della Sapienza (2, 7s.): «Nqn ci lasciamo sfuggire il fiore
del nostro tempo; coroniamoci di rose, prima che appassiscano, non
ci sia prato che non sia percorso dalla nostra lussuria». Perciò il Si-
gnore volle mostrare che non cercava la gloria del tempo presente;
ma che voleva giungere all'altezza della gloria celeste mediante la sua
Passione e la sua umiliazione. «Non doveva forse il Cristo patire, e
COSI entrare nella sua gloria?» (Le 24, 26). Ecco perché dice loro, cioè
ai suoi fratelli: «Il mio tempo», ossia il tempo della mia gloria, «non
è ancora venuto»; perché la tristezza dovrà trasformarsi in gioia. Co-
me dice san Paolo (Rm 8, 18): «Le sofferenze del tempo presente non
sono paragonabili con la gloria che dev' essere rivelata in noi». Invece
«il vostro tempo», cioè la gloria mondana, «è sempre pronto».
VI
1021 - C'è però da chiedersi: che forse non capita che alcuni mon-
siano odiati dal mondo, ossia da un altro mondano?
RISPOSTA. Nei casi particolari capita che un mondano sia odiato
da un altro mondano, in quanto possiede ciò che l'altro vorrebbe avere;
oppure in quanto gli è di ostacolo nelle cose relative alla gloria del
mondo. I santi invece sono universalmente odiati dal mondo, perché
ad esso contrari. E se qualcuno del mondo li ama, li ama non in quanto
egli è del mondo, bensi in quanto c'è in lui qualcosa di spirituale.
VII
LEZIONE II
Dette loro queste cose, restò nella Galilea. 10 Ma andati i suoi fratelli al-
festa, allora vi andò anche lui; non apertamente, però, ma quasi di nasco-
11 I giudei intanto lo cercavano durante la festa e dicevano: Dov'è quel
12 E si faceva sqmmessamente un gran parlare di lui tra la folla: gli
infatti dicevano: E buono. Altri invece: No, seduce la gente. 13 Nessuno
ne parlava in pubblico, per paura dei giudei. 14 Quando ormai si era
tà della festa, Gesti sal{ al tempio e vi insegnava. 15 I giudei ne erano
ìti e dicevano: Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studia-
16 Gesti rispose: La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha man-
o 17 Chi vuoi fare la sua volontà, conoscerà se questa dottrina viene da
o se io parlo da me stesso. 18 Chi parla da se stesso cerca la propria
ma chi cerca la gloria di colui che l'ha mandato è veritiero, e in lui
ingiustizia. 19 Non è stato forse Mosè a darvi la Legge? Eppure nes-
di voi osserva la Legge! Perché cercate di uccidermi? 20 Rispose la fol-
Tu sei indemoniato! Chi cerca di ucciderti? 21 Rispose loro Gesti: Un'o-
sola ho compiuto e tutti ne siete stupiti. 22 Per questo Mosè vi ha dato
circoncisione - non che essa venga da Mosè, ma dai patriarchi - e voi
. iirconcidete un uomo anche di sabato. 23 Ora se un uomo riceve la circon-
~lSione di sabato perché non sia trasgredita la Legge di Mosè, voi vi sdegnate
tontro di me perché ho guarito interamente un uomo di sabato? 24 Non giu-
;dicate secondo le apparenze, ma giudicate con giusto giudizio».
nel Signore, che alla casa di Giacobbe ha nascosto il suo volto», ossia
la chiara conoscenza. E, come scrive san Paolo (2 Cor 3, 15), «fino
ad oggi un velo è steso sopra il loro cuore». Perciò tutte le cose che
furono dette a quell' antico popolo furono ombra dei beni futuri, co-
me è scritto in Eb lO, 1. Al fine dunque di mostrare che anche quel-
la festa era una figura, il Signore vi andò di nascosto. La scenopegia,
come abbiamo detto sopra, era la festa delle tende, o capahne; perciò
celebra davvero quella festa colui che in questo mondo si considera
un pellegrino.
Il terzo motivo è quello d'insegnare a noi il dovere di tener na-
scosto il bene che facciamo, senza cercare né il favore degli uomini,
né gli applausi delle folle, secondo il detto evangelico (Mt 6, 1): «Guar~
datevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere
da loro ammirati».
II
(39, 15): «... cercano l'.anima mia per togliermela». Perciò «si face-
va un gran parlare [murmur multus (sic) erat] di lui tra la folla», per
il dissenso che a suo riguardo c'era nel popolo. Sebbene in latino
il termine murmur sia di genere neutro, san Girolamo ne ha fatto
un maschile, perché COSI era nella grammatica antica, o per mostra-
re che la Sacra Scrittura: non è soggetta alle regole di Prisciano 6.
C'era dissenso, perché alcuni della folla, quelli cioè che avevano il
cuore retto, parlando di Cristo «dicevano: È buono». E ciò in con-
sonanza con la Scrittura: «Quanto è buono Dio con Israele, con quelli
che sono retti di cuore» (Sal 72, 1); «Buono è il Signore con chi
spera in lui, con l'anima che lo cerca» (Lam 3, 25). Altri invece,
ossia quelli mal disposti, «dicevano: No», cioè non è buono. Però
ciò lascia intendere che il popolo lo riteneva buono; invece i princi-
pi dei sacerdoti lo ritenevano cattivo, e dicevano: «Seduce la gen-
te». Il Vangelo lo conferma (vedi Le 23, 2): «Abbiamo trovato co-
stui che sobillava la nostra gente»; (Mt 27, 63): «Ci siamo ricordati
che quell'impostore ha detto, ecc.»: parole tutte che appartengono
ai capi del popolo.
6 Al grammatico latino Prisciano di Cesarea (V-VI sec.) si deve l' Institutio de arte
grammatica che dettò legge in tutto il Medioevo, cosi da essere considerato lui stes-
so l'incarnazione della sua disciplina. A detta di Tommaso il termine murmur sa-
rebbe stato inizialmente sia maschile che neutro, perché in molti manoscritti della
Volgata Latina (dovuta a Girolamo) il maschile sembra prevalente.
7 Cf. In lo. Ev., tr. 29, 1; NBA 24, 650.
Commento a S. Giovanni, VII, 1010-1117 31
1032 - Prevale qui tuttavia l'opinione dei malvagi, ossia dei prin-
cipi dei sacerdoti. Ciò spiega la frase che segue: «Nessuno però ne
parlava in pubblico ... ». Questo appunto perché la gente era sopraf-
fatta dal timore dei principi dei sacerdoti; poiché, come vedremo in
seguito (infra, 9, 22), «essi avevano stabilito che se uno lo avesse ri-
conosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga».
Da ciò emerge chiaramente la malizia dei capi, con la quale insi-
diavano Cristo; e quella dei sudditi, ossia del popolo, poiché esso non
rivendicava la libertà di dire quello che pensava.
III
IV
Per quel primo tema egli precisa due cose: primo, indica l'origi-
ne della sua dottrina; secondo, indica l'origine di chi la insegnava (v.
25): «Intanto alcuni di Gerusalemme dicevano ... ». Circa la dottrina
ne mostra anzitutto l'origine, e subito dopo esclude una possibile obie-
zione: «Non è stato forse Mosè à darvi la Legge? .. ».
Finalmente, affrontando l'origine della sua dottrina, ne afferma
anzitutto l'origine divina; quindi lo dimostra: «Chi vuoI fare la vo-
lontà sua [di Dio], conoscerà se questa dottrina viene da Dio».
v
1038 - Con le frasi successive, «Chi vuoI fare la sua volontà, co-
noscerà se questa dottrina, ecc.», dimostra che la sua dottrina è da
Dio. E questo è chiarito da due argomenti: primo, dal giudizio delle
persone dal retto sentire; secondo, dalla propria retta intenzione: «Chi
parla da se stesso cerca la propria gloria ... ».
VI
1040 - Nella frase che segue, «Chi parla da se stesso cerca la pro-
pria gloria», dimostra la stessa cosa argomentando dalla propria in-
tenzione. E distingue due intenzioni, che si richiamano a due diverse
origini dell'insegnamento.
Abbiamo già notato in proposito che alcuni parlano da se stessi;
altri invece parlano non da se stessi. Ebbene, parla non da se stesso
chiunque cerca di dire la verità; perché ogni conoscenza della verità
è da altri. O deriva da altri mediante l'insegnamento, ossia da un mae-
stro; o deriva da una rivelazione, ossia da Dio; oppure deriva da una
scoperta, ossia dalle cose stesse. Poiché, come dice l'Apostolo (Rm
1, 20): «Le perfezioni invisibili di Dio ... ' comprendendosi dalle cose
fatte, si rendono visibili». Perciò qualsiasi conoscenza abbia con uno
di questi metodi, l'uomo non l'ha da sé.
Invece parla da se stesso chi riceve quel che dice non dalle cose,
né dall'insegnamento umano, bensi dal proprio cuore, come accenna
la Scrittura: «Vi raccontano la visione dettata dal loro cuore» (Cer
23, 16); «Guai a quei profeti stolti, che traggono vaticini dal loro cuo-
re». Ora, questo inventare qualcosa da se stessi si compie per la glo-
ria umana; poiché, come dice il Crisostomo 1\ colui che cerca d'im-
bastire una propria dottrina, non ha altra intenzione che acquistare
gloria. Ed è quanto appunto qui dice il Signore, nel dimostrare che
la propria dottrina era da Dio: «Chi parla da se stesso», ossia chi non
parla per una conoscenza certa della verità che deriva da altri, costui
«cerca la propria gloria», per la quale come per la superbia nascono
le eresie e le false opinioni. E questo è proprio dell' Anticristo, «il quale
combatte e si innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio, e che
è oggetto di culto» (2 Ts 2, 4). «Ma chi cerca la gloria di colui che
lo ha mandato», come la cerco io (vedi infra, 8, 50: «lo non cerco
la mia gloria»), «è veritiero e in lui non c'è ingiustizia». lo sono vera-
ce, perché il mio insegnamento contiene la verità; in me non c'è in-
giustizia, perché non usurpo la gloria altrui. Inoltre, come scrive san-
t'Agostino 16, «egli offre a noi un grande esempio di umiltà, mentre
come uomo cerca la gloria del Padre, e non quella propria: cosa che
tu, o uomo, devi fare; tu che quando fai qualcosa di buono ricerchi
la tua gloria, e quando fai del male sei tentato di lamentarti di Dio».
Ora, è evidente che il Signore non cercava la propria gloria; poiché
se non si fosse messo contro i principi dei sacerdoti, questi non l'a-
vrebbero perseguitato.
Perciò Cristo, come chiunque cerchi la gloria di Dio, possiede
nell'intelletto la vera conoscenza (secondo le parole evangeliche: «Mae-
stro, noi sappiamo che sei veritiero», Mt 20, 16), e quindi per lui
valgono le parole: «costui è veritiero»; e possiede nell' affetto la retta
intenzione, e quindi valgono le parole: « ... e in lui non c'è ingiusti-
zia». È infatti un'ingiustizia che un uomo usurpi il bene altrui. Ora,
la gloria è propria solo di Dio; quindi chi cerca la gloria per sé è
ingiusto.
VII
1042 - Parla dunque cosi: Posto che la mia dottrina non sia da
Dio, come voi dite, perché non osservo la legge violando il sabato;
non siete voi però idonei per accusarmi, essendo incorsi voi stessi in
simile delitto. «Non è stato forse Mosè a darvi la Legge?». E tuttavia
«nessuno di voi l'osserva». Ne abbiamo conferma negli Atti (7, 53):
«Voi avete ricevuto la Legge come trasmessavi dagli angeli, e non l'a-
vete osservata». Anzi san Pietro ha dichiarato (At 15, 10): «Questo
giogo né i nostri padri né noi l'abbiamo potuto portare». Se voi, dun-
que, non osservate la Legge, perché volete uccidere me per la sua tra-
sgressione? No, voi non lo fate per questo, ma per odio; perché se
lo faceste per zelo della Legge, voi stessi l'osservereste. Parla di voi
quel testo della Sapienza (2, 12-20): «Opprimiamo il giusto ... tendia-
mogli insidie, perché ci è d'imbarazzo, e si oppone alle opere nostre,
e ci rinfaccia i peccati contro la Legge ... , condanniamolo a una morte
ignominiosa».
La frase però potrebbe avere anche quest'altro senso: Voi non
osservate la Legge a voi data da Mosè, e ciò è dimostrato dal fatto
che mi volete uccidere, il che è contro la Legge (vedi Es 20, 13): «Non
ammazzare». Oppure, in tutt'altro contesto, la frase può avere, stan-
do a sant' Agostino 17, quest'altra spiegazione: Voi violate la Legge,
perché nella Legge sono contenuto anch'io. Si veda sopra (5, 46): «Se
voi credeste a Mosè, credereste anche.a me; perché di me egli ha scrit-
to». Voi invece mi volete uccidere.
VIII
IX
18 Ibid.
19 Cf. In lo. Ev., tr. 30, 3; NBA 24, 662.
Commento a S. Giovanni, VII, 1010-1117 39
x
1046 - Con la frase ~uccessiva, «Per questo Mosè vi ha dato la
circoncisione ... », cerca di persuaderli che era ingiusto il loro turba-
mento. Per prima cosa ricorda loro un precetto dato da Mosè; in se-
condo luogo denunzia il loro comportamento; terzo, deduce la conse-
guenza dall'uno e dall' altro.
XI
LEZIONE III
«25 Intanto alcuni di Gerusalemme dicevano: Non è costui quello che cer-
cano di uccidere? 26 Ecco egli parla liberamente, e non gli dicono niente.
Che forse i capi hanno riconosciuto davvero che egli è il Cristo? 27 Ma co-
stui sappiamo di dov'è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove
sia. 28 Gesu allora, mentre insegnava nel tempio gridò: Certo, voi mi cono-
scete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha
mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. 29 lo però lo conosco; e se di-
cessi di non conoscerlo, sarei un bugiardo come voi. Ma io lo conosco), per-
ché vengo da lui ed egli mi ha mandato. 30 Allora cercarono di arrestarlo,
ma nessuno riuscf a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta
la sua ora. 31 Molti della folla invece credettero in lui, e dicevano: Il Cri-
sto, quando verrà, potrà fare segni piu grandi di quelli che ha fatto costui?
32 I farisei intanto udirono che la gente sussurrava queste cose di lui, perciò
i sommi sacerdoti e i farisei mandarono delle guardie per arrestarlo».
1052 - Abbiamo già detto sopra che Cristo, per mostrare l'in-
fermità della sua natura umana volle accedere nascostamente alla fe-
sta; e per mostrare la Divinità della sua persona volle insegnare pub-
blicamente nel tempio impedendo ai suoi persecutori di arrestarlo. E
Commento a S. Giovanni, VII, 1010-1117 43
in tal modo, come scrive sant'Agostino 1, risulta quale potenza ciò che
sembrava paura o timidezza. Ecco perché «alcuni di Gerusalemme di-
cevano ... », quasi con ammirazione; poiché essi sapevano con quanto
accanimento era cercato dai capi, essendo loro conoscenti come con-
cittadini. Per questo motivo il Crisostomo cosi li condanna: «Erano
piu miserabili di tutti, perché pur vedendone i prodigi grandissimi do-
vuti alla sua Divinità, mancavano di rispetto a Cristo permettendo
ogni cosa all' arbitrio di principi corrotti» 2. E cosi si avverava il det-
to dell'Ecclesiastico (10, 2): «Quale il capo di una città, tali i suoi
abitanti». Tuttavia si stupivano della potenza con la quale sapeva evitare
di essere arrestato. Ecco perché dicevano: «Non è costui quello che
i giudei (leggi: i capi) cercano di uccidere?». E l'abbiamo già notato
sopra (5, 16): «Per questo i giudei», ossia i loro capi, presero a perse-
guitare Gesu, perché faceva tali cose di sabato» [cf. sopra, nn.
1030-1032]. Si avveravano in essi le parole di Daniele (13, 5): «L'ini-
quità è uscita dai giudici anziani, che si credeva governassero il popolo».
Appare cosi la verità delle affermazioni di Cristo e la falsità dei
capi. Infatti quando sopra (v. 21) il Signore aveva domandato: «Per-
ché cercate di uccidermi?». Essi lo avevano negato, dicendo: «Tu sei
un indemoniato. Chi cerca di ucciderti?». Ma quanto i capi negavano
ecco che costoro lo confermano: «Non è costui quello che i giudei
cercano di uccidere?». La gente perciò è ammirata, sapendo dell'ini-
quo proposito dei capi.
II
III
IV
1055 - Ecco però la loro obiezione contro tale sospetto: «Ma co-
stui sappiamo di dove sia ... »; che è come dire: Cristo deve avere un'o-
rigine misteriosa, occulta: costui invece ha un' origine manifesta. Dunque
non è il Cristo. In ciò appare la loro stoltezza; perché, anche nell'i-
potesi che alcuni dei capi credessero in Cristo, essi tuttavia non era-
no disposti a seguirne l'idea; ma preferivano 1'altra: quella sbagliata.
Proprio come si legge in Ezechiele (5, 5): «Questa è Gerusalemme:
in mezzo alle nazioni l'ho collocata ... E disprezzò i miei decreti de-
gradandosi». Essi infatti sapevano che Cristo aveva origine da Maria,
però non sapevano in che modo, come appare dalle voci riferite in
Mt 13, 55: «Non è egli il figlio di Giuseppe? E sua madre non si
chiama Maria?».
VI
che Abramo fosse, lo sono» (infra, 8, 58). Se non fosse esistito già
prima, non si potrebbe dire che egli sia venuto. E tuttavia «non sono
venuto da me stesso»; perché il Figlio non è da se stesso, ma dal Pa-
dre, secondo quella sua dichiarazione (infra, 16, 28): «Sono uscito dal
Padre e sono venuto nel mondo ... ». La sua origine però era stata prean-
nunziata dal Padre, il quale aveva promesso di mandarlo, come si legge
nella Scrittura: «Ti prego, Signore, manda chi devi mandare» (Es 4,
13); «Manderò loro un salvatore e un difensore, che li libererà» (1s
19, 20). Ecco perché qui afferma: «Chi mi ha mandato è veritiero»;
come per dire: Non da altri son venuto che da colui che mi aveva
promesso, e che ha adempiuto la promessa, perché è verace. «Dio è
verace», ripete l'Apostolo (Rm 3, 4); perciò m'insegna a dire la veri-
tà, poiché è dal vero Dio che io sono mandato.
Ma tale origine era occulta per essi, perché ignorano colui che
mi ha mandato, cosi da dover ripetere: « ... e voi non lo conoscete».
VII
1061 - Nelle frasi che seguono (<<lo però lo conosco ... »), il Si-
gnore insegna come si possa giungere alla conoscenZa di colui dal quale
proviene. Infatti noi siamo nella necessità di apprendere una cosa da
chi la conosce; ora, il Figlio soltanto conosce il Padre. Perciò egli af-
ferma: Se volete aver notizia di chi mi ha mandato, dovete riceverla
da me; perché soltanto «io lo conosco». Perciò prima di tutto manife-
sta la propria conoscenza; secondo, ne mostra la perfezione; terzo, ne
spiega le ragioni.
VIII
cora venuta»; (infra, 13, 1): «Gesu, sapendo che era giunta la sua ora
di passare da questo mondo al Padre, ecc.».
IX
6 Ibid.
52 Tommaso d'Aquino
x
1071 - Con le parole che seguono (<<I farisei intanto udirono che
la gente sussurrava di lui queste cose ... ») viene indicato l'effetto pro-
dotto nei farisei. Come nota il Crisostomo 7, Cristo aveva insegnato
molte cose, senza che essi si movessero contro di lui. Ma quando ve-
dono che la gente gli dà ascolto, subito si agitano contro di lui, e
fuori di senno cercano di ucciderlo. Da ciò risulta chiaro che la viola-
zione del sabato non era la vera causa del loro odio; ma ciò che piu
li affliggeva era che la gente glorificava Cristo. La cosa apparirà an-
che in seguito (infra, 12, 19): «Vedete che non concludiamo nulla?
Ecco che il mondo va tutto dietro a lui». E poiché non osavano cat-
turare Cristo, temendo il pericolo, mandano le guardie, come piu av-
veZze a sfidare i pericoli.
LEZIONE IV'
«33 Gesti disse: Per poco tempo ancora rimango con voi, poi vado da colui
che mi ha mandato. 34 'Voi mi cercherete e non mi troverete; e dove sono
io voi non potete venire. 35 Dissero dunque tra loro i giudei: Dove mai sta
per andare costui, che non potremo trovarlo? Andrà forse ai dispersi tra i
gentili, ad ammaestrare le genti? 36 Che discorso è questo che sta facendo:
Mi cercherete e non mi troverete, e dove sono io voi non potete venire?».
1072 - Dopo aver trattato del principio della sua origine, qui il
Signore passa a indicare il suo termine, ossia dove egli sarebbe anda-
to con la sua morte. Per prima cosa viene indicato il termine della
via' intrapresa da Cristo; in secondo luogo viene riferito lo stupore
della folla per le sue parole: «Dissero dunque tra loro i giudei, ecc.».
A proposito del primo tema egli precisa tre cose: primo, indica
il termine della propria vita; secondo, predice il futuro desiderio di
lui da parte delle turbe (v. 34): «Mi cercherete, e non mi trovere-
te ... »; terzo, aggiunge la loro impotenza: «Dove sono io voi non po-
tete venire».
Circa la suddetta prima precisazione comincia col predire la dila-
zione breve della sua morte; quindi passa a indicare dove sarebbe an-
dato con la propria morte: «Vado dal Padre che mi ha mandato». Egli
mostra cosi in quella predizione il suo potere, e nella seconda indica-
zione il suo desiderio della Passione.
In seguito egli dirà (infra, 12, 36): «Mentre avete la luce, credete nella
luce». In secondo luogo volle ammonire la turba che lo perseguitava
con questo implicito discorso: Il vostro desiderio di uccidermi non
dovrà attendere a lungo; perciò abbiate pazienza: c'è ancora un poco.
Devo infatti portare a compimento la mia impresa: cioè predicare, com-
piere miracoli, e cosi giungere alla mia Passione. Analogo l'episodio
cui accenna Luca (13, 32): «Andate a dire a quella volpe: Ecco io
opero ... oggi e domani, e il terzo giorno avrò finito».
1074 - Tre sono le cause per cui Cristo volle predicare solo per
breve tempo. La prima fu per dimostrare la sua potenza nel fatto di
trasformare in cosi poco tempo tutto il mondo, secondo 1'accenno pro-
fetico dei Salmi (83, 11): «Un giorno nei tuoi atri è piti che mille
altrove». .
La seconda fu per stimolare il desiderio dei discepoli, ossia per
acuirne l'affetto verso di lui, sapendo essi di poter fruire per poco
tempo della sua presenza corporale. In Luca (17, 22) si legge: «Verrà
tempo in cui desidererete di vedere uno solo dei giorni del Figlio
dell'uomo ... ».
La terza causa fu per accrescere il progresso spirituale dei suoi
seguaci. L'umanità di Cristo, infatti, è per noi la via da percorrere
per andare a Dio, come egli stesso afferma (infra, 14, 6): «lo sono
la via, la verità, la vita»; perciò non dobbiamo riposare in essa come
se fosse la meta, ma per mezzo di essa dobbiamo tendere a Dio. Per-
ciò, affinché il cuore dei discepoli, affezionati a Cristo in modo car-
nale, non si attardasse in lui in quanto uomo, Cristo sottrasse presto
101'0 la sua presenza corporale. Ecco perché egli dirà loro: «È bene
per voi che io me ne vada» (infra, 16, 7). E san Paolo ha scritto:
«Anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne», nel tempo
che dimorava corporalmente tra noi, «ora non lo conosciamo piti co-
si» (2 COI' 5, 16).
II
III
10 76 - Le parole che seguono (<<Voi mi cercherete e non mi tro-
predicono il futuro desiderio dei giudei; come se dicesse: È
il tempo in cui voi potete godere del mio insegnamento; ma questo
che ora rigettate, a un dato momento lo cercherete, e non lo
Di qui le parole di Isaia (55, 6): «Cercate il Signore me n-
si può trovare»; e quelle dei Salmi (68, 33): «Cercate il Signore»,
al presente, «e rivivrà la vostra anima».
1077 - La frase poi: «Mi cercherete e non mi troverete», può
ìntencler'Sl sia della ricerca corporale, sia di quella spirituale del Cristo.
Intesa della ricerca corporale, a detta del Crisostomo 2, essa ac-
cenna alla ricerca che di lui avrebbero fatto le figlie di Gerusalemme
quando piansero sopra di lui, come è detto in Luca 23, 27, e c'è da
.c.redere che allora molti altri abbiano sofferto. E neppure si può con-
lontano dal vero il pensare che, mentre incombeva la tribola-
sui giudei, soprattutto nell' assedio della città, ricordandosi di
Cristo e dei suoi miracoli, essi abbiano desiderato la sua presenza,
per essere liberati. E in tal senso le parole, «mi cercherete», significa-
no: Cercherete la mia presenza corporale, «... e non mi troverete».
Se invece s'intende la ricerca spirituale, allora si deve dire con
sant'Agostino 3 che essi in seguito avrebbero cercato colui che non
avevano voluto riconoscere mentre era presente, quando videro la mol-
titudine dei credenti; e, pentiti dell'uccisione di Cristo, chiesero a Pie-
tro (At 2, 37): «Fratelli, che cosa dobbiamo fare?». Perciò cercarono
Cristo quando credettero finalmente in lui che perdonava i loro mi-
sfatti, essi che l'avevano visto morire vittima del loro misfatto.
IV
1078 - Con le parole che seguono (<< ... e dove sono io voi non
potete venire») mostra la loro impotenza. Non dice: Dove io vado,
2 Cf. ibid.
3 Cf. In lo. Ev., tr. 31, 9; NBA 24, 680.
56 Tommaso d'Aquino
1080 - Si stupiscono dicendo tra loro: «Dove mai sta per anda-
re costui, che non potremo trovarlo?». Come è stato già detto, essi
intendevano tutto questo in maniera carnale. Ché d'uomo animale non
capisce le cose dello spirito di Dio» (1 Cor 2, 14).
4 Cf. ibid.
Commento a S. Giovanni, VII, 1010-1117 57
LEZIONE V
«37 Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesu levatosi in piedi
esclamò ad alta voce: Chi ha sete venga a me e beva, 38 chi crede in me,
come dice la Scrittura, fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno.
39 Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti
in lui: infatti non era ancora stato dato lo Spirito, perché Gesu non era stato
ancora glorificato. 40 [Da quel momento] all'udire queste parole, alcuni fra
la gente dicevano: Questi è davvero il Profeta. 41 Altri dicevano: Questi è
il Cristo. Altri invece dicevano: Il Cristo viene forse dalla Galilea? 42 Non
dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di David e da Betlem-
me, il villaggio di David? 43 E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui.
44 Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso.
45 Le guardie tornarono quindi dai sommi sacerdoti e dai farisei, e questi dis-
sero loro: Perché non lo avete condotto? 46 Risposero le guardie: Mai un uo-
mo ha parlato come parla quest'uomo. 47 Ma i farisei replicarono loro: For-
se vi siete lasciati sedurre anche voi? 48 Forse gli ha creduto qualcuno fra
i capi o tra i farisei? 49 Ma questa gente che non conosce la Legge è male-
detta. 50 Disse allora Nicodemo, uno di loro, che di notte era venuto prece-
dentemente da Gesu: 51 La nostra Legge giudica forse un uomo prima di
averlo ascoltato e di sapere ciò che fa? 52 Gli risposero: Sei forse anche tu
della Galilea? Studia le Scritture e vedrai che non sorge profeta dalla Gali-
lea. 53 E tornarono ciascuno a casa sua».
1083 - Il Signore, dopo aver parlato dell' origine del suo insegna-
mento e dell'insegnante stesso, nonché della sua fine, qui passa a in-
vitare alla propria scuola.
Per prima cosa il testo presenta l'invito di Cristo; in secondo luogo
le discussioni della gente (v. 40): «All'udire qu~ste parole, ecc.».
Svolgendo quel primo tema, precisa queste tre cose: prima, il modo
con cui l'invito viene fatto; secondo, l'invito stesso: «Chi ha sete venga
a me e beva ... »; terzo, la spiegazione di esso: «Questo egli disse rife-
rendosi allo Spirito ... ».
Nel presentare le modalità di tale invito indica tre circostanze:
primo, il tempo; secondo, la posizione del maestro; terzo, il tono del-
la sua voce.
biamo già notato sopra, si celebrava per sette giorni, di cui il primo
e l'ultimo erano i piti solenni, come per noi lo sono il giorno della
festa e quello conclusivo dell' ottava. Il Signore volle compiere quan-
to qui si narra non nel primo giorno, perché ancora non era giunto
a Gerusalemme, e non nei giorni intermedi, ma nell'ultimo. E questo
perché sono pochi quelli che celebrano le feste in maniera spirituale;
perciò volle invitare alla propria scuola non a principio, perché la dot-
trina impartita non venisse sopraffatta nel cuore della gente dalle dis-
sipazioni dei successivi giorni di festa. Poiché, come è detto in Le
8, 7, la parola del Signore viene soffocata dalle spine. Li invita inve-
ce nell'ultimo giorno, per imprimerla piti tenacemente nei loro cuori.
II
1088 - Gli invitati sono coloro che hanno sete: «Chi ha sete venga
a me e beva», facendo eco al testo di Isaia (55, 1): «O voi tutti asse-
tati, venite alle acque». E chiama gli assetati, perché tali sono quelli
60 Tommaso d'Aquino
che desiderano di servire Dio. Poiché questi non accetta servizi non
spontanei, come dice l'Apostolo (2 Cor 9, 7): «Dio ama chi dona con
gioia». Ecco perché il Salmista diceva (Sal 53, 8): «Di buon grado of-
frirò sacrifici». Di questi invitati cosi parla il Vangelo (Mt 5, 6): «Beati
coloro che hanno ... sete di giustizia». E il Signore non fa parzialità,
ma li chiama tutti. Dice infatti: «Chi ha sete ... », come per dire: chiun-
que egli sia. Ciò in consonanza con le parole della Scrittura: «Venite
a me voi tutti che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti» (Eccli
24, 26); «Dio vuole che tutti gli uomini si salvino ... » (1 Tm 2, 4).
Invita a bere: « ... e beva». Questa bevuta infatti è la refezione
spirituale che si ha nel conoscere la sapienza e la verità divina, non-
ché nel soddisfacimento dei santi desideri. Ciò secondo le parole del-
la Scrittura: «I servi berranno, e voi patirete la sete» (Is 55, 13); «Ve-
nite, mangiate il mio pane, e bevete il vino che io ho mesciuto per
voi» (Pr 9, 5); «Lo disseterà con l'acqua di salutare sapienza» (Eccli
15, 3).
seno». E si richiama a quel passo dei Proverbi (5, 15): «Bevi l'acqua
della tua cisterna, quella che scaturisce entro il tuo pozzo».
III
1091 - «Questo egli disse riferendosi allo Spirito ... », con questo
versetto si passa a spiegare ciò che sopra era stato affermato. E per
Spirito non era ancora stato dato», va intesa rispetto a quella sovrab-
bondante effusione che fu accompagnata da segni visibili, quando lo Spi-
rito fu loro dato con le lingue di fuoco dopo la risurrezione e l'ascensione.
1094 - Siccome però lo Spirito santifica la Chiesa, e viene tut-
tora ricevuto dai fedeli, ci si domanda: Perché nessuno parla le lin-
$ue di tutte le genti, come allora?
Si risponde, con sant'Agostino 6, che oggi ciò non è pili neces-
•sario. Perché ormai la Chiesa universale parla le lingue delle genti,
In quanto dallo Spirito Santo viene infusa la carità. «La carità di Dio
si è riversata nei nostri cuori» (Rm 5, 5). E questa virtu, rendendo
comuni tutte le cose, fa che ciascuno parli a tutti gli altri. Di qui
le parole del santo: «Se ami l'unità, chiunque in essa [nella Chiesa]
siede qualche cosa, la possiede anche per te. Togli di mezZo l'in-
ed ecco che è tuo quello che io possiedo; l'astio separa, la cari-
unisce: possiedila e sarà tua ogni cosa» 7. Ma nei primi tempi, pri-
che la Chiesa si diffondesse nel mondo, essendo in pochi, era ne-
sario che i fedeli parlassero le lingue di tutti, in modo da poter
la Chiesa presso di loro.
1095 - A proposito della seconda ragione si noti, con sant'Ago-
stino 8, che la frase: «Gesu non era stato ancora glorificato», va rife-
alla gloria della risurrezione, come per dire: Ancora non era ri-
dai morti, e non era asceso al cielo. Ossia si tratta di quella
cui Cristo accennerà in seguito (infra, 17, 5), col dire: «Glori-
, o Padre ... ». Il motivo. per cui prima volle essere glorificato
per dare lo Spirito Santo, è quella di sollevare i nostri cuori dal-
del mondo, volgendoli alla risurrezione spirituale, per correre
verso Dio. Avendo perciò promesso la vita eterna, in cui
c'è piu né morte né timore, a quanti sono ferventi nella carità
Spirito Santo, non volle dare lo Spirito Santo stesso, se non dopo
stato glorificato; per mostrare nel suo corpo quella [eterna] vi-
che speriamo ottenere nella risurrezione.
1096 - Invece secondo il Crisostomo 9 ciò non va riferito alla glo-
della risurrezione, ma alla glorificazione della Passione, cui accen-
IV
1097 - «[Da quel momento] all'udire queste parole, alcuni fra la
gente dicevano ... ». Spiegato l'invito di Cristo a gustare la bevanda
spirituale, l'Evangelista passa qui a descrivere il dissenso della folla.
Inizia presentando il dissenso tra la gente; segue riferendo il dissenso
tra i capi.
Circa il primo tema precisa due cose: primo, vengono riferite le
diverse frasi dei dissenzienti; in secondo luogo si parla apertamente
del dissenso (v. 49): «E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui».
La diversità delle frasi dei popolani proveniva dalla diversità delle
loro opinioni: due espresse da quanti erano propensi a quella bevan-
da spirituale; la terza da quelli che la rifiutavano.
v
1102 - «E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui ... ». Con
questa frase e le seguenti si mostra per prima cosa il dissenso suddet-
to; in secondo luogo il tentativo di alcuni contro Cristo; in terzo luo-
go la repressione di esso.
lO Come gli esegeti medioevali, qui Tommaso si atteneva all'esegesi di GIROLAMO, Com-
mento in Is., 1. 4, C. lI, 1-2 (PL 24, 147-148).
66 Tommaso d'Aquino
VI
1107 - Circa quel rimprovero si noti l'iniquità dei capi, ossia dei
pontefici e dei farisei, nelle parole che rivolgono alle guardie: «Per-
Commento a S. Giovanni, VII, 1010-1117 67
ché non l'avete condotto?». Essi erano cosi cattivi, che le guardie non
li potevano accontentare altrimenti che facendo del male a Cristo. Nei
Proverbi (4, 16) cosi si legge dei malvagi: «Essi non dormono, se non
fanno del male».
Ma ciò dà lo spunto a una questione letterale. Sopra infatti (v .
. .32), è stato detto che le guardie furono mandate a catturare Gesu
Y a metà della festa, ossia al quarto giorno; qui invece si riferisce il lo-
ro ritorno dopo il settimo giorno, «l'ultimo giorno»; sembra quindi
che nei giorni intermedi esse siano state senza far nulla.
Al problema si possono dare due soluzioni. La prima è che l'E-
vangelista abbia inteso di anticipare l'intervento delle guardie al quarto
giorno per la mormorazione della gente. Oppure può darsi che esse
siano tornate di fatto proprio allora; ma lo riferisce adesso per mo-
strare le cause del dissenso tra i capi.
VII
1113 - Nelle frasi che seguono (<<Disse allora Nicodemo ... ») viene
descrittq il dissenso dei capi tra loro. Per prima cosa viene riferita 1'am-
Commento a S. Giovanni, VII, 1010-1117 69
1114 - Premette nei riguardi di lui tre cose, due delle quali mo-
strano l'intenzione sua nel prender la parola, la terza invece mostra la
malizia dei capi.
La prima si riferisce alla fede di Nicodemo: «Disse ... colui che era
venuto precedentemente da Gesu», ossia che aveva creduto; poiché ve-
nire a Cristo è la stessa cosa che credere in lui.
La seconda riguarda l'imperfezione della sua fede; poiché «era ve-
nuto di notte». Se infatti avesse creduto perfettamente, non avrebbe
avuto paura. Nel Vangelo si legge (infra, 12,42): «Anche tra i capi mol-
ti credettero in lui, ma non lo riconoscevano apertamente a causa dei
farisei, per non essere espulsi dalla sinagoga»: e tra costoro c'era anche
Nicodemo.
La terza cosa accenna alla falsità dei capi. Essi infatti avevano af-
fermato sopra che nessuno tra i capi e tra i farisei aveva creduto in Cri-
sto; perciò l'Evangelista scrive che «Nicodemo era uno di loro»; come
per dire: Se Nicodemo, che era uno dei capi, aveva creduto in lui, è evi-
dentemente falsa l'affermazione dei capi e dei farisei che nessuno dei
capi aveva creduto in lui. Ad essi si possono applicare le parole di Gere-
mia (16, 19): «Ebbero davvero in retaggio la menzogna».
VIII
,1116 - La replica dei capi si riscontra nelle frasi seguenti: «Gli ri-
sposero: Sei forse anche tu della Galilea? .. ». In esse per prima cosa lo
accusano di essersi lasciato quasi sedurre; in secondo luogo lo rimprove-
rano come ignorante delIa Legge.
«Sei forse anche tu deIIa Galilea?», ossia sedotto dal Galileo? Pen-
savano infatti che Cristo fosse galileo per il domicilio suo in Galilea.
Perciò tutti coloro che si pronunziavano per Cristo, li chiamavano con
disprezzo galiIei. Si notino le parole riferite da Matteo (26, 69): «Dna
serva chiese a Pietro: Anche tu sei galileo?» (cf. Mc 14, 70). E queIIe
che qui pili oltre leggeremo (infra, 9, 27): «Volete forse diventare anche
voi suoi discepoli?».
L'altra accusa è contenuta in queIIa frase: «Studia le Scritture, e
vedrai che non sorge profeta dalla GaliIea». Trattandosi di un dottore
in Legge, non aveva bisogno di rileggere quei testi. La frase equivale
a dire: Sebbene tu sia un maestro, tuttavia questo non lo sai. Era 1'equi-
valente di quanto aveva udito da Cristo in precedenza (sopra, 3, 10):
«Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose?». Ora, sebbene nel Vec-
chio Testamento non sia detto in modo esplicito che un profeta sarebbe
sorto daIIa Galilea, tuttavia vi si riscontra che di là doveva iniziare il
Signore dei Profeti, in base alIe parole di Isaia (11, 1): «Dal suo ceppo
spunterà un virgulto», ossia un Nazareno, «e riposerà su di lui lo Spirito
del Signore» Il.
IX
LEZIONE I
II
III
IV
v
1135 - Effetto di quell'atto di giustizia fu la loro confusione: «Ma
quelli, udito ciò, se ne andarono uno dopo l'altro ... »; sia perché erano
irretiti da peccati anche piu gravi, di cui si sentivano rimordere la co-
scienza (pensando a quel testo di Daniele [13, 5]: «L'iniquità è uscita
dai giudici anziani, che si credeva governassero il popolo»); sia perché
meglio conoscevano l'equità della sentenza pronunziata (ciò secondo le
parole di Geremia [5, 5]: «Andrò dunque ai maggiorenti, e parlerò ad
essi, perché le vie del Signore e il giudizio di Dio essi li sanno»).
«Rimase solo Gesu con la donna là in mezzo», ossia la misericor-
dia e la miseria. Rimase solo, perché egli solo era senza peccato. In-
fatti, come dice il Salmista (13, 1): «Non c'è chi faccia il bene, non
c'è all'infuori di uno», cioè di Cristo. Perciò forse la donna era spa-
ventata, pensando che da lui sarebbe stata punita.
Ma se rimase solo con lei, perché il testo dice che essa era «là
in mezzo»? Si può rispondere che la donna stava in mezzo ai disce-
poli; e allora il termine solo vuole escludere soltanto gli estranei, non
i discepoli. Oppure 1'espressione «in mezzo» si riferisce allo stato di
dubbio in cui essa si trovava tra l'assoluzione e la condanna. Cosi
è evidente che il Signore nel rispondere aveva osservato la giustizia.
Commento a S. Giovanni, VIII, 1118-1292 79
VI
1136 - Con le frasi che seguono (<<Allora Gesti alzatosi, le disse,
ecc.») l'Evangelista mostra che egli non abbandonò la misericordia,
pronunciando una sentenza di misericordia. Per prima cosa interroga
ed esamina; in secondo luogo assolve; in terzo luogo ammonisce.
LEZIONE II
«12 Di nuovo Gesu parlò loro e disse: lo sono la luce del mondo; chi segue
me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. 13 Gli dissero
allora i farisei: Tu dài testimonianza di te stesso: la tua testimonianza non
è vera. 14 Gesu rispose: Anche se io rendo testimonianza di me stesso la mia
testimonianza è vera, perché io so da dove vengo e dove vado. Voi invece
non sapete da dove vengo, né dove vado. 15 Voi giudicate secondo la carne;
io non giudico nessuno. 16 E anche se giudico, il mio giudizio è vero, per-
ché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. 17 Nella vostra
Legge sta scritto che la testimonianza di due uomini è vera: 18 Orbene, so-
no io che do testimonianza di me stesso, ma anche il Padre, che mi ha man-
dato, mi dà testimonianza. 19 Gli dissero allora: Dov'è tuo padre? Rispose
Gesu: Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste
anche il Padre mio. 20 Queste parole Gesu le pronunziò nel luogo del teso-
ro mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora
giunta la sua ora».
nota sant'Agostino 3, la luce che ha fatto il sole è stata poi fatta sot-
to il sole, ed è stata velata dalla nube della carne, non per essere oscu-
rata, bensi per essere come temperata.
1143 - Viene respinta cosi anche l'eresia di Nestorio 4, il quale af-
fermava che il Figlio di Dio si sarebbe unito all'uomo solo con l'inabita-
re in lui.
Ora è patente che a proferire queste parole (<<lo sono la luce del
mondo») fu un uomo. Perciò se colui che parlava e appariva come uomo
non fosse stato in persona Figlio di Dio, non avrebbe detto: «lo sono
la luce del mondo»; ma piuttosto: Abita in me la luce del mondo.
II
III
1145 - Perciò conclude indicando il frutto del suo insegnamen-
to: «... ma avrà la luce della vita»; infatti chi possiede questo lume
è fuori delle tenebre di dannazione.
Dice: «Chi segue me»; poiché come chi non vuole smarrirsi nelle
tenebre deve seguire chi porta il lume; cOSI chiunque vuoI salvarsi deve
seguire Cristo che è luce, credendo a lui e amandolo. Ed è cOSI che lo
seguirono gli apostoli (vedi Mt 4, 20). Ma poiché la luce corporea può
venir meno col tramonto, chi segue la sua guida va incontro alle tene-
bre. Questa luce invece, che non conosce tramonto, non verrà mai me-
no. Perciò chi la segue avrà una luce perenne, ossia la luce della vita.
La luce visibile non dà la vita, pur cooperando alle funzioni della vita
corporale; invece questa luce dà la vita, poiché noi viviamo in quanto
abbiamo l'intellezione, che è una partecipazione di questa luce. Quando
tale luce potrà irradiare perfettamente, avremo la vita perfetta, secondo
le parole del Salmista (35, 10): «Presso di te è la sorgente della vita, e
nella tua luce vedremo la luce». Il che equivale a dire: Allora noi avremo
perfettamente la vita, quando vedremo direttamente la luce. Ecco per-
ché sta scritto (infra, 17, 3): «Questa è la vita eterna: che conoscano
te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesti Cristo».
Si noti però che la frase, «chi segue me», riguarda il merito; mentre
1'altra, «avrà la luce della vita», riguarda il premio.
IV
altro, non la tua bocca»; poiché uno non acquista credito per questo,
ma solo se viene raccomandato da Dio, (2 Cor 10, 18): «Giacché l;lon
colui che raccomanda se stesso è approvato, ma chi è raccomandato
da Dio»; perché Dio solo lo conosce in modo perfetto. Dio invece
nessuno è in grado di conoscerlo adeguatamente, all'infuori di lui stesso;
perciò è necessario che sia lui a dare testimonianza di se stesso, come
pure degli uomini. Di qui le parole di Giobbe (16, 20): «Ecco, nel
cielo sta il mio testimonio». Perciò i giudei s'ingannavano.
v
1148 - Nelle frasi che seguono (<<Gesu rispose: Anche se io ren-
do testimonianza ... »), il Signore respinge la loro obiezione: prima di
tutto appellandosi all' autorità del Padre; in secondo luogo sciogliendo
la loro obiezione relativa al Padre: «Gli dissero allora: Dov'è tuo
padre?».
L'obiezione dei giudei si presentava come la conseguenza di un
ragionamento. Perciò egli mostra che il loro ragionamento non tiene;
quindi passa a dimostrare che la propria testimonianza è vera, a co-
minciare dalla frase: «lo non giudico nessuno, ecc.».
Circa l'insostenibilità della loro deduzione compie due passaggi:
primo, ne mostra la falsità; secondo, aggiunge la causa del loro ingan-
no: «Voi non sapete da dove vengo, né dove vado».
e torna a Dio; perciò quanto piu dirà la verità il Figlio di Dio, il quale
sa perfettamente di dove viene e dove egli vada?
VI
VII
1151 - «lo non giudico nessuno ... »; con questa frase passa a mo-
strare che la sua testimonianza è vera, e che è falso che sia lui solo
a dare testimonianza di se stesso. E poiché si è accennato al giudizio,
chiarisce due cose: primo, che egli non è solo a giudicare; secondo,
che non è solo a rendere testimonianza: «Nella vostra Legge sta
scritto ... ».
Circa il giudizio notiamo tre precisazioni: primo, la dilazione del
proprio giudizio; secondo, la verità di esso; terzo, la ragione intima
di tale verità.
VIII
1155 - Nei due versetti che seguono (<<Nella vostra Legge sta scrit-
to, ecc.») mostra che egli non è solo a dare testimonianza; però nel
testificare non c'è dilazione come nel giudicare; ecco perché non dice
mai: lo non rendo testimonianza.
Per prima cosa qui si appella alla Legge; in secondo luogo proce-
de alla conclusione: «Orbene, sono io che do testimonianza di me stes-
so, ma anche il Padre ... ».
1156 - «Nella vostra Legge», egli dice (vostra perché data a voi,
come ricorda l'Ecclesiastico [24, 33]: «Mosè promulgò la Legge»), «sta
scritto che la testimonianza di due uomini è vera»; per l'esattezza:
«Tutto si concluderà sulla dichiarazione di due o tre testimoni» (Dt
19, 15).
La frase però, secondo sant'Agostino \ si presta a una grave di-
scussione, affermando essa che «la testimonianza di due uomini è ve-
ra». Può darsi infatti che tutti e due mentiscano. La casta Susanna,
per es., fu messa alle strette da due falsi testimoni, come si legge nel
Libro di Daniele (13, 5ss.). Anzi, a sostenere la menzogna contro Cristo
fu tutta la massa del popolo.
RISPOSTA. La frase discussa (<<La testimonianza di due uomini è
vera») va intesa nel senso che tale testimonianza è da prendersi per
vera in tribunale. E il motivo sta nel fatto che nelle azioni umane
non è possibile raggiungere la vera certezza; quindi ci si accontenta
di quello che risulta piu sicuro per il numero dei testimoni; infatti
è piu probabile che mentisca uno solo, piuttosto che molti. Di qui
la frase dell'Ecclesiaste (4, 12): «Una fune tripla difficilmente si rompe».
Tuttavia le accennate parole della Scrittura: «Tutto si conclude-
rà sulla dichiarazione di due o tre testimoni», ci conducono, come nota
Agostino 8, alla considerazione della Trinità, nella quale si trova la sta-
bilità perpetua della verità, da cui tutte le altre verità derivano. Il
testo parla di «due o tre», perché nella Sacra Scrittura talora vengo-
no ricordate tre Persone, altre volte due soltanto; ma in queste due
è implicito anche lo Spirito Santo, che è il loro reciproco legame.
IX
1162 - Dice poi di essere lui stesso, il Cristo, la via per cono-
scere il Padre: «Se conosceste me ... ». Volendo cosi sottintendere questo
discorso: Poiché io parlo del Padre in maniera misteriosa, bisognerà
che prima conosciate me, e allora «forse conoscerete anche il Padre
mio». Infatti il Figlio è la via per conoscere il Padre. E lo ripeterà
anche in seguito (infra, 14, 7): «Se conoscete me, conoscerete forse
anche il Padre mio». Poiché, come nota sant' Agostino ll, che signifi-
ca, «se conoscerete me ... », se non che «lo e il Padre siamo una cosa
sola»? (infra, lO, 30). È un'espressione usuale, quando si vuoI far no-
lO Cf. Commento Vango Giov., l. 19, C. 3, 12, GCS 4, p. 300; UTET, p. 566.
Il Cf. In lo. Ev., tr. 37, 7; NBA 24, 770.
90 Tommaso d'Aquino
tare che uno somiglia a un altro, dire cosi: Se hai veduto l'uno hai
veduto anche l'altro. Non per dire però che il Padre s'identifica col
Figlio, ma che è simile al Figlio.
Quel forse della frase però non vuole esprimere dubbio, ma rim-
provero. Come quando indignato con un servo, tu gli rinfacci: Credi
tu di disprezzarmi? Bada che forse sono io il tuo padrone.
1164 - Nota però, come suggerisce Origene 13, che ogni qualvolta
viene indicato il luogo in cui il Signore compie qualche cosa, ciò viene
fatto per alludere a un mistero. Ebbene, Cristo insegnò nel gazofilacio,
ossia nella sala del tesoro, per farci capire che le monete, ossia le parole
della sua dottrina, devono avere impressa l'immagine del gran re.
Nota inoltre che fin quando egli insegnava «nessuno lo arrestò»,
perché le sue parole erano piti forti di quanti volevano arrestarlo; quan-
do invece volle essere crocifisso, allora tacque.
LEZIONE III
«21 Di nuovo Gesu disse loro: lo vado e voi mi cercherete, ma morirete nel
vostro peccato. Dove vado io voi non potete venire. 22 Dicevano allora i giu-
dei: Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete
venire? 23 E diceva loro: Voi siete di quaggiu, io sono di lassu; voi siete di
questo mondo, io non sono di questo mondo. 24 Vi ho detto che morirete
nei vostri peccati; se infatti non credete che lo sono, morirete nei vostri pec-
cati. 25 Gli dissero allora: Tu chi sei? Gesu disse loro: Il principio, che par-
lo a voi. 26 Ho molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma co-
lui che mi ha mandato è veritiero, e io dico al mondo le cose che ho udito
da lui. 27 Non capirono che egli parlava loro del Padre. 28 Disse allora Ge-
su: Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che lo sono
e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, cosi
io parlo. 29 Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo,
perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite. 30 A queste sue parole,
molti credettero in lui».
della sua esaltazione. Di qui le parole di san Paolo (Fil 2, 8s.): «Si
fece obbediente fino alla morte, e alla morte di croce: perciò Dio lo
ha esaltato». E il Vangelo stesso dirà (infra, 13, 3): «Sapeva Gesti
che era venuto da Dio e a Dio ritornava ... ».
II
III
liberarsi dalle tenebre. Per prima cosa indica il rimedio accennato; se-
condo, porta le ragioni che dovevano indurli a cercare quel rimedio
(v. 25): «Gli dissero allora: Tu chi sei? ... »; terzo, predice il modo con
cui avrebbero potuto conseguirlo (v. 28): «Disse allora Gesu: Quando
avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete ... ».
Circa la prima suddetta indicazione l'Evangelista riferisce innan-
zi tutto 1'occasione di quel discorso di Cristo; in secondo luogo ripor-
ta le parole di lui che accennano al suddetto rimedio: «Voi siete di
quaggiu ... ».
IV
Verbo stesso di Dio, quale somma sapienza. Tutte le cose infatti fu-
rono create nella sapienza. Cosicché di lui è detto (sopra 1, lO): «Il
mondo è stato fatto per mezzo di lui».
Ma anche in quanto uomo Cristo viene dall'alto, perché non eb-
be attaccamento alle cose mondane e basse, bensl a quelle superiori,
nelle quali l'anima di Cristo s'intratteneva, secondo l'espressione pao-
lina: «La nostra convivenza è nei cieli» (Fil 3, 20); nonché secondo
le parole evangeliche: «Dov'è il tuo tesoro, là c'è anche il tuo cuore»
(Mt 6, 21). Al contrario costoro che sono di quaggili hanno un'origi-
ne infima, e sono di questo mondo, perché sono attaccati con l'affet-
to alle cose terrene. Di qui le parole dell' Apostolo (1 Cor 15, 47):
«Il primo uomo, tratto dalla terra, è terrestre».
1177 - Con la frase che segue, «Vi ho detto che morirete nei
vostri peccati ... », conclude quanto si era proposto. Prima, ribadisce
ciò che aveva detto della loro dannazione; secondo, suggerisce loro
il rimedio: «Se infatti non crederete che lo sono, ecc.».
1179 - Ecco quindi che, per non escludere del tutto la speranza
di salvezza, indica il rimedio: «Se infatti non crederete che lo sono,
morirete nel vostro peccato». Che è quanto dire: Voi siete nati nel
peccato originale, del quale non potete liberarvi se non credendo in
me; poiché «se non crederete che lo sono, morirete nel vostro pecca-
to». E dice: «lo sono» all'indicativo, per ricordare quanto era stato
detto a Mosè (Es 3, 14): «Io sono colui che sono»; poiché è proprio
di Dio identificarsi con l'essere stesso.
Commento a S. Giovanni, VIII, 1118-1292 97
VI
1180 - Nei versetti che seguono (25, 27) l'Evangelista porta delle
ragioni che inducono alla fede, a cominciare dalla frase: «Gli dissero
dunque: Tu chi sei? ... ».
. Per prima cosa riferisce tale domanda; secondo, riporta la rispo-
sta di Cristo: «Gesu disse loro: Il principio, che parlo a voi»; terzo,
tratta del loro accecamento: «Non capirono, ecc.».
6 Per un approfondimento di questo tema, vedi Somma Teol., I, q. 13, a. 11, con
relativi luoghi paralleli.
98 Tommaso d'Aquino
VII
1189 - La frase successiva (<<Non capirono che egli parlava loro
del Padre») biasima la lentezza degli uditori nell'intendere: infatti gli
occhi del loro cuore non si erano ancora aperti per capire l'uguaglian-
za del Padre e del Figlio, e questo perché erano carnali. «L'uomo ani-
male infatti non capisce le cose dello spirito di Dio» (1 Cor 2, 14).
VIII
11 Cf. ibid.
Commento a S. Giovanni, VIII, 1118-1292 101
1191 - Per prima cosa, dunque, egli afferma che dovevano giun-
gere alla fede mediante la sua passione: «Disse allora Gesu: Quando
avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete ... ». Il che equivale
a dire: Adesso non capite che il Padre mio è Dio, ma «quando avrete
innalzato il Figlio dell'uomo», cioè me, sul legno della croce, «allora
saprete ... », alcuni di voi mediante la fede sapranno ... In seguito egli
dirà (infra, 12, 32): «lo, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti
a me».
Come nota sant'Agostino 12, Cristo accenna qui alla sua passio-
ne e alla croce, per dare speranza ai peccatori, affinché nessuno di-
speri per quanto possa sentirsi gravata la coscienza da qualsiasi scelle-
ratezza, al pensare che gli stessi crocifissori di Cristo vengono purifi-
cati dal suo sangue. Nessuno infatti è tanto peccatore da non poter
essere prosciolto dal sangue di Cristo.
Oppure la frase suddetta, stando alla spiegazione del Crisosto-
mo 13 sottintende questo discorso: Allora potrete conoscere chi io sia,
non solo per la gloria della mia risurrezione, ma anche per il castigo
della vostra deportazione e della vostra rovina.
IX
1193 - Con la frase seguente (<<A queste sue parole, molti credet-
tero in lui») l'Evangelista indica l'effetto del suo insegnamento, che è
la conversione di molti alla fede, per l'ascolto dell'insegnamento di Cri-
sto. S. Paolo dirà (Rm lO, 17): «La fede nasce dall'ascoltare, l'ascolto
poi si fa per mezzo della parola di Cristo».
Commento a S. Giovanni, VIII, 1118-1292 103
LEZIONE IV
«31 Gesti allora disse a quei giudei che avevano creduto in lui: Se rimanete
fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; 32 conoscerete la verità
e la verità vi farà liberi. 33 Gli risposero: Noi siamo discendenza di Abra-
mo, e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventere-
te liberi? 34 Gesti rispose: In verità, in verità vi dico: chiunque commette il
peccato è schiavo del peccato. 35 Ora lo schiavo non resta per sempre nella
casa, ma il figlio vi resta sempre; 36 se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete
liberi davvero. 37 So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di
uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi. 38 lo dico quello che
ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete visto presso
il padre vostro».
(1, 17): «La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesu Cristo».
E si parla di grazia di verità, ossia vera, in confronto alle prefigura-
zioni della Legge antica. E finalmente la verità dell'eternità, nella qua-
le io dimoro, e cui accenna il Salmista (118, 89): «In eterno, o Signo-
re, la tua parola perdura di generazione in generazione».
II
1200 - Con la frase che segue (<<Gli risposero i giudei: Noi sia-
mo discendenza di Abramo ... ») l'Evangelista mostra che nei giudei c'era
la necessità del suddetto rimedio. Per prima cosa egli mette in risalto
la presunzione dei giudei che negavano di averne bisogno; in secondo
luogo mostra come realmente non potevano farne a meno (vv. 34ss.):
«Gesu rispose: In verità, in verità vi dico ... ».
1203 - Dimostra loro, dunque, che sono schiavi, non di una schia-
vitu carnale di cui essi si preoccupano, ma di quella spirituale, cioè
IV
1205 - Nel brano successivo (<<Ora, lo schiavo non resta per sem-
pre nella casa ... ») il Signore tratta della liberazione dalla schiavitu:
poiché tutti hanno peccato, tutti sono servi del peccato. Ma è immi-
nente per voi la speranza della liberazione da parte di colui che è li-
bero dal peccato. E questi è il Figlio.
Perciò sull' argomento vengono precisate tre cose: primo, la con-
dizione dello schiavo, per poter distinguere chi è libero da chi è schiavo;
secondo, mostra la condizione del Figlio, ben diversa da quella dello
schiavo; terzo, conclude affermando il potere del Figlio di rendere
liberi.
1209 - Si noti però che ci sono molti tipi di libertà. C'è una
libertà perversa, ed è quella di cui si abusa per peccare; e questa è
libertà dalla giustizia, che nessuno è tenuto a rispettare. San Pietro
vi accenna con quella frase: «Comportatevi da uomini liberi, senza
farvi della libertà un manto per coprire la malizia» (1 Pt 2, 16). C'è
una libertà vana, che è quella temporale, o carnale. Vi accennano le
parole di Giobbe, che parlano dello «schiavo affrancato dal suo pa-
drone» (Gb 3, 19). C'è la libertà vera e spirituale, che è la libertà
della grazia, la quale consiste nell' essere senza peccati; libertà che è
imperfetta, poiché la carne ha desideri contrari allo spirito, cosicché
«noi facciamo quello che non vorremmo» (cf. Gal 5, 17). E c'è la li-
bertà della gloria, che si raggiunge nella patria. Allora, come dice san
Paolo (Rm 8, 21), «la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitu della
corruzione». E ciò avverrà perché non ci sarà piu niente che possa
spingere al male, niente che opprime; poiché allora saremo liberi e
dalla colpa e dalla pena.
v
1211 - Con la frase che segue (<<So che siete discendenza di Abra-
mo») prende a trattare della loro origine. Inizia col riconoscere la lo-
ro origine carnale; ma subito dopo tratta della loro origine spirituale:
«Intanto però cercate di uccidermi, ecc.».
1212 - Afferma quindi che origine della loro carne è Abramo: «So
che siete discendenza di Abramo ... ». Ma lo siete solo per l'origine car-
nale, non per somiglianza di fede, cui accenna l'esortazione di Isaia (51,
2): «Guardate ad Abramo vostro Padre, e a Sara vostra progenitrice ... »)
VI
aver ascoltato il Signore, subito aggiunge: «lo dico quello che ho vi-
sto presso il Padre mio». Come per dire: Voi non mi potete accusare
di insegnare quello che non ho ascoltato; perché non solo l'ho ascol-
tato, ma parlo addirittura di ciò che ho veduto. Infatti gli altri Pro-
feti hanno parlato di ciò che avevano udito; io invece parlo di ciò
che ho visto. Sopra (1, 18) fu già detto: «Dio nessuno l'ha mai visto;
proprio l'Unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato». A
sua volta l'Evangelista ribadisce (1 Gv 1, 18): «Ciò che abbiamo vi-
sto ed ascoltato, lo annunziamo a voi».
Ciò va inteso però di quella visione che è propria di una cono-
scenza certissima, perché il Figlio conosce il Padre come conosce se
stesso. Vedi Mt 2, 27: «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio ... ».
VII
LEZIONE V
«39 Gli risposero: Il nostro padre è Abramo. Rispose Gesti: Se siete figli di
Abramo, fate le opere di Abramo! 40 Ora invece cercate di uccidere me, che
vi ho detto la verità udita da Dio: questo Abramo non l'ha fatto. 41 Voi.
fate le opere del padre vostro. Gli risposero: Noi non siamo nati da prostitu-
~ione, noi abbiamo un solo padre, Dio. 42 Disse loro Gesti: Se Dio fosse vo-
stro padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono
venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43 Perché non comprendete il
mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole».
II
gno mancava nei giudei: «Ora invece voi cercate di uccidermi. .. »; terzo,
conclude il suo ragionamento: «Voi fate le opere del padre vostro».
2 Cf. ibid., § 4.
3 Cf. Commento Vango Giov., I. 20, C. 2, 3-5, GCS 4, pp. 327,328; UTET, p. 602.
Commento a S. Giovanni, VIII, 1118-1292 115
fezione di Abramo, non erano suoi figli. È per questo che il Signore
rivolge loro quelle parole: «Se siete figli di Abramo, fate le opere di
Abramo»; impegnatevi alla perfetta imitazione delle sue opere.
III
IV
1230 - Con la frase, «Voi fate le opere del padre vostro», con-
clude il ragionamento, come se dicesse: Per il fatto che non compite
le opere di Abramo, avete un altro padre, di cui appunto voi fate
le opere. Analogo discorso si riscontra in Mt 22, 32: «Voi colmate
la misura dei vostri padri».
VI
1231 - Nelle frasi che seguono (<<Gli risposero: Noi non siamo
nati da prostituzione ... ») l'Evangelista chiarisce che essi non avevano
origine da Dio. Avendo infatti capito dalle parole del Signore che egli
non parlava. della generazione carnale, si volgono alla generazione spi-
rituale, dicendo: «Noi non siamo nati da prostituzione, ecc.».
118 Tommaso d'Aquino
VII
5 Cf. Commento Vango Giov., 1. 20, C. 16, 128-130, GCS 4, p. 347; UTET, pp.
627-628.
Commento a S. Giovanni, VIII, 1118-1292 119
VIII
1235 - Passa poi a indicare la ragione del segno suddetto: «... per-
ché io da Dio sono uscito e vengo». CosI, per prima cosa, propone
questa verità; in secondo luogo esclude l'errore: «Non sono venuto
da me stesso».
IX
1238 - Mostra poi con una domanda che essi mancano del se-
gno suddetto: «Perché non comprendete il mio linguaggio?». Infattt
come abbiamo già detto, segno della filiazione divina è l'amore pet
il Cristo; essi invece Cristo non lo amano. Perciò è evidente che man-
cano di questo segno. Che .essi non l'amino risulta dagli effetti; poi-
ché effetto dell' amore è che 'si ascoltano volentieri le parole della per-
sona amata. Si legge infatti nel Cantico dei Cantici (2, 14): «Suoni
la tua voce ai miei orecchi, perché soave è la tua voce»; e ancora (8,
13): «Fammi udire la tua voce: gli amici ascoltano». Ora, siccome co-
storo non amavano Cristo, pareva loro duro persino ascoltare la sua
voce. «Questo linguaggio è duro: chi può intenderlo?» (sopra, 6, 61).
Analogo è il discorso degli empi nel libro della Sapienza (2, 15): «Ci
dà uggia anche solo vederlo».
Capita che uno non ascolti volentieri le parole di un altro, per-
ché non è in grado di ponderarle a dovere, e per conseguenza di co-
noscerle; per questo vengono contraddette. Giobbe perciò (6, 29s.)
LEZIONE VI
«44 Voi avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vo-
stro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità,
perché non c'è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è
menzognero e padre della menzogna».
dalla volontà è peccato. Perciò i giudei sono detti figli del diavolo
non per la natura, ma per l'imitazione.
II
1241 - Nella frase che segue (<<Volete compiere i desideri del padre
vostro») spiega la ragione addotta, come se dicesse: Voi siete figli del
diavolo non perché creati o procreati da lui, ma perché imitandolo
«volete compierne i desideri», che sono malvagi. Infatti come lui eb-
be invidia dell'uomo e lo uccise (<<La morte entrò nel mondo per l'in-
vidia del diavolo», Sap 2, 24), cosi voi nutrendo invidia contro di me,
«cercate/di uccidere me, che vi ho detto la verità» (sopra, v. 40).
III
IV
4 Commento Vango Giov., I. 20, C. 25, 224-225, GCS 4, p. 361; UTET, pp. 649s.
Commento a S. Giovanni, VIII, 1118-1292 125
v
1247 - Nella frase che segue (<< ... perché non c'è verità in lui»)
il Signore spiega quello che aveva affermato. Spiegazione però che può
essere intesa in due maniere.
Primo, secondo Origene 6 abbiamo qui una ragione generica il-
lustrata mediante una ragione specifica; come se volessi dimostrare
6 Commento Vango Giov., I. 20, C. 27, 239-244, GCS 4, pp. 363-364; UTET, pp. 652s.
Commento a S. Giovanni, VIII, 1118-1292 127
VI
1249 - «Quando dice il falso, parla del suo ... ». Con questa frase
il Signore dichiara che il diavolo è contrario alla verità. Per prima
VII
9 Cf. AMBROSIASTER, Comm. in Epis. I ad Cor., c. 12, 3 (PL 17,258). Vedi sopra
val. I, n. 103, nota lO.
IO Vedi sopra, val. I, n. 81, con nota relativa.
Commento a S. Giovanni, VIII, 1118-~292 129
menzogna: infatti non tutti quelli che mentiscono sono padri della loro
menzogna. Cosicché, come nota Agostino 11, «se la menzogna l'hai ri-
da altri e la ripeti, tu hai mentito, ma non sei padre della men-
zogna». Il diavolo invece, poiché non ha ricevuto da altri la menzo-
'gna con il cui veleno ha ucciso l'uomo, è padre della menzogna, co-
me Dio è il padre della verità. Infatti fu il diavolo a inventare per
primo la menzogna, quando disse alla donna: «Non è vero che voi
morirete» (Gn 3, 4). E come ciò fosse vero l'hanno dimostrato gli
avvenimenti che seguirono.
LEZIONE VII
«45 A me invece voi non credete, perché dico la verità. 46 Chi di voi può
convincermi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47 Chi è
da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non
siete da Dio. 48 Gli risposero i giudei: Non diciamo con ragione noi che sei
un samaritano e che hai un demonio? 49 Rispose Gesti: lo non ho un de-
monio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate. 50 lo non cerco la mia
gloria; vi è chi la cerca e giudica».
II'
III
1256 - Passa poi e esporre il vero motivo dell' avversione dei giu-
dei: «Se dico la verità, perché non mi credete? ... ». Per prima cosa
lo indica; in secondo luogo ribatte la contestazione dei giudei: «Gli
risposero i giudei, ecc.».
Svolgendo quel primo tema, lo precisa in tre momenti: primo,
imposta la questione; secondo, introduce una proposizione inconte-
stabile; terzo, procede alla conclusione.
IV
1260 - Si noti 'Poi che, come insegna san Gregorio 5, ci sono tre
gradi nella cattiva disposizione della volontà. Ci sono akuni, infatti,
che non si degnano neppure di ascoltare esteriormente con le orec-
chie i precetti del Signore. Valgono per essi le parole del Salmista
(57, 5): «Come la vipera sorda, che si tura le orecchie». Ci sono altri
invece che percepiscono tali cose con le orecchie del corpo, ma non
le abbracciano con nessun desiderio dell'anima, non avendo la volo n-
v
1261 - Qui il Signore passa a respingere la contraddizione dei
giudei. E per prima cosa l'Evangelista riferisce tali contestazioni; in
secondo luogo ne presenta la replica del Signore: «Rispose Gesu: lo
non ho un demonio ... ».
VI
1263 - Con la frase che segue (<<Rispose Gesti: lo non ho un
demonio ... ») il Signore respinge la contraddizione dei giudei. Ora,
questi avevano addebitato a Cristo due cose: di essere un samarita-
no e di avere un demonio. Dalla prima accusa il Signore non si di-
scolpa; e questo per due motivi. Il primo, secondo Origene 6, è que-
sto che i giudei insistevano sempre nel considerarsi separati dai gen-
tili. Invece era venuto il tempo in cui tale distinzione tra gentili e
giudei doveva cessare, e tutti dovevano essere richiamati sulla via della
salvezza. Perciò il Signore, per mostrare che egli era venuto per la
salvezza di tutti, facendosi tutto a tutti, piti ancora di san Paolo,
«per redimere tutti» (1 Cor 9, 22), non volle negare di essere un sa-
maritano. Il secondo motivo nasce dal fatto che samaritano ha il si-
gnificato di custode; ora, siccome il Signore è per eccellenza il no-
stro custode, secondo le parole dei Salmi (120, 4): «Ecco non si ad-
dormenterà e non dormirà il custode d'Israele»; non negò di essere
un samaritano.
6 Cf. Commento Vango Giov., 1. 20, C. 35, 319-320, GCS 4, pp. 374-375; UTET,
p. 667.
Commento a S. Giovanni, VIII, 1118-1292 135
VII
luogo esclude la causa che essi avrebbero potuto invocare per ingiuriar-
lo; terzo, predice loro la giusta condanna.
1267 - Comincia dunque col dire: «lo onoro mio Padre, e voi mi
disonorate»; come per dire: lo faccio quello che devo fare; voi invece
fate quello che non dovete; anzi, per il fatto che disonorate me, disono-
rate anche il Padre mio. «Chi non onora il Figlio, non onora il Padre
che lo ha mandato» (sopra, 5, 23).
1269 - Egli cercherà la mia gloria non soltanto in coloro che spo-
sano in pratica le cause vive della verità, ma punirà e condannerà pure
quelli che contrastano la mia gloria. Perciò aggiunge: «Vi è ... chi giudica».
In contrario però stanno le parole che abbiamo letto sopra (5, 22):
«Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio».
RISPOSTA. Il Padre separatamente dal Figlio non giudica nessuno;
poiché anche il giudizio che egli farà dell'ingiuria fatta a me, lo farà me-
diante il Figlio. Ma si può anche rispondere che talora per giudizio s'in-
tende la condanna; e questo tipo di giudizio il Padre lo ha demandato
al Figlio, perché lui soltanto apparirà in forma visibile nel giudizio fina-
le, come sopra abbiamo detto. Talora invece per giudizio s'intende la
discussione della causa: e di questa qui si parla. Di essa egli cosi parla
nei Salmi (42,1): «Giudicami, o Dio, separa e discerni la mia causa ... ».
Come per dire: C'è il Padre il quale sa discernere la mia causa dalla vo-
stra. Discerne infatti voi che vi gloriate per il mondo, e la gloria del fi-
glio suo, che egli ha consacrato al di sopra dei suoi eguali, e che è senza
peccato. Voi invece siete uomini peccatori.
Commento a S. Giovanni, VIII, 1118-1292 137
LEZIONE VIII
In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai
morte. 52 Gli dissero i giudei: Ora sappiamo che hai un demonio. Abra-
è morto, come anche i Profeti, e tu dici: Chi osserva la mia parola non
:"crl1aapra mai la morte. 53 Sei tu piu grande del nostro padre Abramo, che
morto? Anche i Profeti sono morti: chi pretendi di essere? 54 Rispose Ge-
Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glori-
è il Padre mio, del quale voi dite: E nostro Dio. 55 E non lo conosce-
te. lo invece lo conosco. E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi,
ùn bugiardo; ma lo conosco e osservo la sua parola. 56 Abramo vostro pa-
dre esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò.
57 Gli dissero allora i giudei: Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abra-
mo? 58 Rispose loro Gesu: In verità, in verità vi dico: prima che Abramo
fosse fatto, lo Sono. 59 Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui;
ma Gesti si nascose e usci dal tempio».
1270 - Il Signore aveva promesso poco sopra due cose ai suoi se-
guaci, la liberazione dalle tenebre e il conseguimento della vita (v. 12):
«Chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita».
Ebbene, della prima se n'è parlato finora; adesso si passa alla seconda,
cioè aI conseguimento della vita mediante Cristo. Per prima cosa egli
dichiara questa verità; in secondo luogo respinge la contraddizione dei
giudei: «Gli dissero i giudei: Ora sappiamo, ecc.» (vv. 52 ss.).
la frase: «Se uno osserva la mia parola ... ». Infatti la parola di Cristo
è verità; quindi la dobbiamo osservare: prima di tutto mediante la
fede e la continua meditazione (nei Proverbi [4, 6] sta scritto: «Cu-
stodiscila ed essa ti custodirà»); in secondo luogo mettendola in pra-
tica, conforme a quel testo evangelico Onfra, 14, 21): «Chi accoglie
i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama».
Promette quindi la liberazione dalla morte: «... non vedrà mai
la morte», ossia non la sperimenterà. «Coloro che operano in me»,
ossia nella divina Sapienza, «non peccheranno; e quelli che mi metto-
no in luce avranno la vita eterna» (Bccli 24, 30s.). E giustamente a
tale merito spetta quel 'premio. Poiché la vita eterna consiste princi-
palmente nella visione di Dio: «Questa è la vita eterna: che conosca-
no te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesti Cristo» (in-
fra, 17, 3). Ora, la semente e il principio in noi di tale visione si
ha mediante la parola di Cristo: «Il seme è la parola di Dio» (Le 8,
11). Perciò, come chi custodisce il seme di una pianta, o di un albero
giunge a coglierne i frutti; COSl chi custodisce la parola di Dio rag-
giunge la vita eterna. «Custodite le mie leggi ... Chi le osserverà vi
troverà la vita» (Lv 18, 5).
II
1272 - Nelle frasi che seguono (vv. 52ss.): «Gli dissero i giudei,
ecc.», troviamo la confutazione della contestazione dei giudei. Essi
contraddicono Cristo in tre maniere: primo, accusandolo di falsità;
secondo, schernendolo: «Gli dissero allora i giudei: Non hai ancora
cinquant' anni, e hai visto Abramo?»; terzo, perseguitandolo: «Allora
raccolsero pietre per scagliarle contro di lui».
Per quanto riguarda l'accusa suddetta, per prima cosa tentano di
tacciarlo di presunzione; in secondo luogo s'inserisce la risposta par-
ziale di Cristo: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla».
L'accusa quindi, che forma il primo tema, si svolge in tre atti:
innanzi tutto lo insultano; in secondo luogo presentano una constata-
zione: «Abramo è morto, ecc.»; in terzo luogo fanno una domanda:
«Sei tu piti grande del nostro padre Abramo?».
ra: «Uscirò e sarò spirito di menzogna nella bocca di tutti i suoi pro-
feti» (3 Re 22, 22). Ora, siccome l'affermazione fatta dal Signore: «Se
uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte», pareva un'aperta
menzogna; poiché essi, carnali com' erano, la riferivano alla morte cor-
porale, mentre lui si riferiva alla morte spirituale ed eterna; e soprat-
tutto perché era contraria alla Sacra Scrittura (Sal 88, 49: «Chi è quel-
l'uomo che non vedrà la morte, e che salverà la sua vita dalle mani
degl'inferi?»), gli dicono senz' altro: «Tu hai un demonio»; come per
dirgli: Tu dici una menzogna sott~ l'ispirazione del diavolo.
1 Cf. Commento Vango Giov., l. 20, C. 43, 402-412, GCS 4, pp. 386-387; UTET
pp. 683-684.
140 Tommaso d'Aquino
giare affatto la morte che non vederla. Infatti quelli che neppure l'as-
saggiano sono quelli che stanno in cielo con Cristo, cioè quelli che sono
fissi in un luogo spirituale. Di essi sta scritto: «Ci sono alcuni dei pre-
senti che non assaggeranno la morte, prima di aver visto il Figlio del-
l'uomo venire nel suo "regno» (Mt 16, 28). Ci sono altri invece che, pur
non vedendo la morte col peccare mortalmente, tuttavia 1'assaggiano in
parte, per qualche lieve attaccamento alle cose terrene. Ecco perché il
Signore, come dice il testo greco e come spiega Origene 2, ha detto:
«... non vedrà mai la morte»; poiché chi accoglie la parola di Cristo e
la custodisce, sebbene l'assaggi, non vedrà però la morte.
1275 - Ed ecco la loro domanda: «Sei tu piu grande del nostro pa-
dre Abramo, che è morto?». Per prima cosa gli chiedono spiegazioni sul
confronto tra lui e gli antichi padri: «Sei tu piu grande di Abramo ... ?».
Come scrive il Crisostomo 3, avrebbero potuto domandare, secondo la
loro carnale comprensione, qualcosa di piu alto: Che forse tu sei piu grande
di Dio? Infatti Abramo e i Profeti hanno osservato la Legge di Dio e
sono morti. Perciò, se chi osserva la tua parola non muore, può sembra-
re che tu sia piu grande di Dio. Ma si contentano di questa replica, per-
ché lo ritenevano inferiore ad Abramo; pur essendo scritto nei Salmi
(85, 8): «Nessuno tra gli dèi è simile a te, Signore»; e nell'Esodo (15,
11) si legge: «Chi tra i forti è paragonabile a te, Signore?».
In secondo luogo gli chiedono quale stima abbia di se stesso; co-
me per dire: Se tu sei superiore a costoro, cioè ad Abramo e ai Pro-
feti, sembra che si debba da ciò concludere che sei di una natura su-
periore, ossia un angelo, o Dio. Ma noi non ti riteniamo tale ... Per-
ciò non chiedono: Tu chi sei? Ma si limitano a chiedere: «Chi pre-
tendi di essere?». Questo perché, non volendo noi riconoscere in te
quanto di superiore ad essi è emerso dal discorso, riteniamo che tu
lo abbia inventato. Anche in seguito essi gli diranno (infra, lO, 33):
«Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia, e per-
ché tu che sei un uomo ti fai Dio».
III
2 Ibid.
3 Cf. In ]oannem, homo 55, 1 (PG 59, 302).
Commento a S. Giovanni, VIII, 1118-1292 141
dere alla seconda domanda, quindi passa alla prima (v. 56): «Abramo
vostro padre esultò nella speranza di vedere il mio giorno».
Sul tema iniziale il Signore precisa tre cose: primo, rifiuta la fal-
sità di cui lo accusavano; secondo, insegna la verità che essi ignora-
vano: «Chi mi glorifica è il Padre mio»; terzo, spiega l'una e l'altra
cosa cui essi accennavano: « ... e voi non lo conoscete».
IV
1279 - Lo descrive poi partendo dalla natura divina, col dire: «... del
quale voi dite che è vostro Dio». Perché non si pensi che il Padre
sia distinto da Dio, egli afferma che sarà glorificato da Dio. Lo dirà
anche in seguito (infra, 13, 31): «Ora il Figlio dell'uomo è stato glo-
rificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorifi-
cato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua».
Secondo sant' Agostino 7 questo discorso è contro i manichei 8, i
quali affermavano che il Padre di Cristo non è stato mai nominato
nell' Antico Testamento, ma che quel Dio è uno dei capi degli angeli
cattivi. Ora, è noto che i giudei non riconoscono come loro Dio che
il Dio del Vecchio Testamento. Dunque il Dio del Vecchio Testamento
è il Padre di Cristo, che attende a glorificarlo.
VI
VII
1287 - Nelle frasi che seguono (<<Abramo vostro padre esultò nella
speranza di vedere il mio giorno ... ») Cristo risponde alla prima do-
manda che gli avevano fatto i giudei: «Sei tu piu grande del nostro
padre Abramo?», mostrando appunto che egli era piu grande, con 1'ar-
gomento seguente: chi aspetta il bene da qualcuno per la propria per-
fezione, è minore di colui dal quale l'aspetta; ora, Abramo riponeva
in me tutta la speranza della sua perfezione e del suo bene; dunque
è minore di me. Di qui le parole di Cristo: «Abramo vostro padre»,
di cui tanto vi gloriate, «esultò nella speranza di vedere il mio gior-
no, lo vide e se ne rallegrò». In questo discorso si riscontrano due
visioni e due tipi di gioia; ma disposti diversamente.
Nella frase iniziale troviamo al primo posto la gioia di esultanza,
seguita dalla visione: «Esultò nella speranza di vedere il mio giorno ... ».
Successivamente troviamo al primo posto la visione e poi la gioia: «... lo
vide e se ne rallegrò». Cosicché la gioia è inserita tra due visioni: pro-
cede dall'una e tende verso l'altra, come per dire: «Vide e si rallegrò
di vedere il mio giorno».
Per prima cosa, quindi, bisogna esaminare che cosa sia questo
giorno che Abramo vide, ed esultò per vederlo. Ebbene, due sono
i giorni di Cristo: il giorno dell' eternità (di cui si legge nei Salmi [2,
7]: «lo oggi ti ho generato»), e il giorno dell'Incarnazione e della sua
umanità (di cui piu avanti egli dice [infra, 9, 4]: «lo devo operare ...
finché è giorno»; e di cui parla san Paolo [Rm 13, 12]: «La notte è
passata, il giorno è vicino»). Ebbene, dobbiamo dire che Abramo vi-
de il giorno di Cristo nell'uno e nell'altro modo: con la fede egli ne
vide il giorno dell'eternità e il giorno dell'Incarnazione. Infatti nella
Genesi (15, 6) si legge: «Abramo credette in Dio, e gli fu computato
come giustizia». Che ne abbia visto il giorno dell' eternità è evidente,
altrimenti egli non sarebbe stato giustificato da Dio; poiché, come è
detto in Eb 11, 6: «Chi si accosta a Dio deve credere che egli esiste
ed è rimuneratore di quelli che lo cercano».
Che poi egli abbia visto il giorno dell'Incarnazione lo possiamo
arguire da tre fatti. Primo, dal giuramento che richiese al suo servo
146 Tommaso d'Aquino
VIII
però non aveva detto di aver visto Abramo, ma che Abramo aveva
veduto il suo giorno.
IX
1290 - Il Signore, quindi, per difendersi dall'irrisione, rispondendo
ai giudei spiega le sue parole: «In verità, in verità vi dico: prima che
Abramo fosse fatto, io sono». Con questa frase il Signore afferma di
se stesso due cose notevoli ed efficaci contro gli ariani 12. La prima
è questa, come nota san Gregorio 13: che egli congiunge un verbo al
presente con un avverbio che indica il passato. Prima infatti sta a in-
dicare il passato; sono invece è un presente. Quindi per mostrare che
egli era eterno, e indicare che il suo essere era dall' eternità, non dis-
se: «lo fui, o ero prima di Abramo», bensl «lo sono prima di Abra-
mo»; perché l'essere eterno non ha né tempo passato, né tempo futu-
ro, ma in una realtà indivisibile include ogni tempo. Di qui le frasi
bibliche: «Colui che è mi ha inviato a voi»; «lo sono colui che sono»
(Es 3, 14). Perciò egli ha avuto l'essere sia prima, sia dopo di Abra-
mo, ed ebbe cosi la facoltà di venire e di mostrarsi presente nel mon-
do, e poi di lasciarlo col finire della sua vita.
Altra cosa da notare, secondo sant' Agostino 14, è che Cristo nel
parlare di Abramo, che è una creatura, non disse: «Prima che Abra-
mo fosse», ma «prima che fosse fatto». Invece nel parlare di se stes-
so, per mostrare che egli non è stato fatto quale creatura, ma che è
generato ab aeterno dall'essenza del Padre, non dice: «lo son fatto»,
ma «lo sono». «ln principio era il Verbo» (sopra, 1, 1); «Prima di
tutti i colli il Signore mi ha generata» (Pr 8, 25).
1291 - Nelle frasi che seguono (<<Allora raccolsero pietre, per sca-
gliarle contro di lui.. .») viene ricordato il tentativo dei giudei contro
Cristo. Per prima viene ricordata la persecuzione dei giudei; in se-
condo luogo si parla della evasione o fuga di Cristo.
La persecuzione dei giudei deriva dall'incredulità. Infatti le menti
di quegli increduli, non riuscendo a sopportare le parole di eternità,
e non essendo in grado di capirle, le ritenevano bestiemme; perciò,
LEZIONE I
II
III
1300 - Egli indica la causa vera col dire: «... ma è cosi perché
si manifestassero in lui le opere di Dio». Infatti mediante le opere
di Dio siamo condotti alla sua conoscenza, secondo l'insegnamento
della Scrittura: «Le perfezioni invisibili di Dio ... comprendendosi dalle
Commento a S. Giovanni, IX, 1293-1363 153
cose fatte, si rendono visibili» (Rm 1, 20): «Le opere che il Padre
mi ha dato da compiere quelle stesse opere mi rendono testimonian-
za» (sopra, 5, 36). Ora, la conoscenza di Dio è il bene piti grande
dell'uomo, poiché in essa consiste la sua beatitudine: «Questa è la vi-
ta eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio e colui che hai manda-
to, Gesti Cristo» (infra, 17, 3); «Dice il Signore ... Di questo si glori
chi vuoI gloriarsi, di sapere e conoscere me» (Gr 9, 24). Perciò se una
infermità capita perché vengano manifestate le opere di Dio, e con
tale manifestazione Dio viene conosciuto, è evidente che tale infer-
mità colpisce per un bene.
IV
1304 - Egli dunque afferma: Costui è nato cieco per questo, «per-
ché si manifestassero in lui le opere di Dio», che quindi bisogna ma-
nifestare; poiché «io devo compiere le opere di colui che mi ha man-
dato». Ora, queste parole si possono attribuire a Cristo in quanto uo-
mo; e allora hanno questo significato: «lo devo compiere le opere di
colui che mi ha mandato», ossia le opere che mi sono state affidate
dal Padre, «le opere che il Padre mi ha incaricato di compiere» (so-
Commento a S. Giovanni, IX, 1293-1363 155
pra, 6, 36). In seguito dirà (infra, 17, 4): «Padre, ho compiuto l'ope-
ra che mi hai comandato di compiere». E possono attribuirsi a Cristo
in quanto Dio; e allora esprimono la sua uguaglianza col Padre, con
questo significato: «È necessario che io compia le opere di colui che
mi ha mandato», ossia opere eguali a quelle che compie il Padre (vedi
sopra, 5, 19), e per mostrare l'identico potere; cosi da rendere questo
significato: lo devo compiere le opere che mi sono comunicate dal
Padre. Infatti tutto ciò che compie il Figlio secondo la sua natura di-
vina, lo riceve dal Padre, conforme alle sue parole (sopra, 5, 19): «Il
Figlio da sé non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre».
1306 - Si noti però che se è vero che la presenza del sole fa il gior-
no e la sua assenza fa la notte, essendo il sole sempre presente a se stes-
so, per il sole stesso è sempre giorno: e quindi per il sole è sempre tempo
di operare e di splendere. Quanto a noi invece, presso i quali talora è
presente e tal altra assente, non sempre esso opera e risplende. Analoga-
mente: per Cristo, sole di giustizia, è sempre giorno ed è sempre tempo
di operare; non cosi però presso di noi; poiché non sempre siamo dispo-
nibili alla sua grazia, per gli impedimenti da parte nostra.
di giorni, cosi esistono due tipi di notti. C'è una prima notte dovuta
alla sottrazione corporale del sole di giustizia, e fu quella che sorpre-
se gli apostoli quando essi rimasero turbati nel tempo della Passione,
per la privazione corporale di Cristo. «Tutti voi vi scandalizzerete di
me in questa notte» (Mt 26, 31). E allora non era piti tempo di ope-
rare, ma di patire. [La seconda notte è quella succeduta alla partenza
fisica di Cristo con la sua ascensione].
È meglio dire, però, che anche quando Cristo era fisicamente as-
sente dopo la sua ascensione, per gli apostoli era giorno, in quanto
risplendeva ad essi il sole di giustizia, ed era tempo di operare. Per-
ciò è meglio riferire le suddette parole di Cristo alla notte determina-
ta dalla separazione spirituale del sole di giustizia, cioè dalla sottra-
zione della grazia. Nella quale notte possiamo distinguere due notti.
Una che consiste nella sottrazione della grazia «attuale», prodotta dal
peccato mortale (Vi accenna quel testo paolino: «Coloro che dormo-
no, dormono di notte», 1 Ts 5, 7). E quando viene questa notte nes-
suno può compiere opere meritorie di vita eterna. La seconda è la
notte definitiva, quando non soltanto si ha la privazione della grazia
«attuale» col peccato mortale, ma viene a mancare la possibilità di ot-
tenerla, con la dannazione eterna all'inferno, dove incombe quella pro-
fonda notte, minacciata a coloro cui sarà detto: «Andate, maledetti,
al fuoco eterno» (Mt 25, 41); «Gettatelo fuori nel buio» (Mt 22, 13).
E allora nessuno potrà operare, perché non sarà piti tempo di merita-
re, ma di ricevere ciò che si è meritato. Perciò mentre vivi, agisci
come in futuro vorresti aver agito. Di qui le parole di Eccle 9, lO:
«Tutto quello che la tua mano può fare, fallo prontamente; perché
né pensiero, né opera, né sapienza, né scienza si trova giti negl'inferi,
dove tu vai».
VI
sono la luce del mondo». Perciò tale giorno durò fino all'ascensione
di Cristo. Inoltre, «finché sono nel mondo» spiritualmente mediante
la grazia (vedi Mt 28, 20: «Ecco io sono con voi tutti i giorni sino
alla fine del mondo») «io sono la luce del mondo»; cosicché questo
giorno si estenderà fino alla fine del mondo.
VII
1309 - Nei versetti che seguono (<<Detto questo sputò per terra,
ecc.», vv. 6s.) l'Evangelista tratta della guarigione del cieco, rilevan-
do cinque azioni compiute da Cristo nell' ordine seguente: Primo, egli
«sputò per terra»; secondo, «fece del fango con la saliva»; terzo, «spalmò
il fango sugli occhi del cieco»; quarto, gli diede l'ordine di lavarsi:
«Va a lavarti alla piscina di Siloe»; quinto, operò la restituzione della
vista: «... e tornò che ci vedeva». E tutte queste azioni hanno una
spiegazione letterale e una spiegazione in senso mistico.
Poi gli disse: «Va a lavarti nella piscina di Siloe»; perché non
sembrasse che la terra spalmata sugli occhi avesse la virtu di guarire
gli occhi. Perciò fino a che ebbe il fango sugli occhi il cieco non vi-
de, ma vide solo dopo che si fu lavato.
E lo mandò lontano a lavarsi, cioè alla piscina di Siloe. Prima
di tutto per combattere la durezza dei giudei; poiché bisognava attra-
versare la città, e quindi tutti avrebbero visto il cieco che passava
con gli occhi spalmati di fango, e l'avrebbero poi rivisto tornare con
la vista ricuperata. In secondo luogo allo scopo di esaltare 1'obbedienza
e la fede del cieco; il quale forse altre volte aveva ricevuto del fango
sulla faccia, e spesso si sarà forse lavato nella piscina di Siloe, senza
per questo ricuperare la vista. Quindi avrebbe potuto dire: Il fango
serve piuttosto ad accecare; piu volte poi mi sono lavato là, e non
mi è servito a nulla. Avrebbe imitato cosi nella protesta il siro Naa-
man, di cui si narra in 4 Re 5, 10ss. Ma questi non fece rimostranze,
anzi obbedi con prontezza: «Quegli andò, e si lavò».
Lo inviò inoltre alla piscina di Siloe, perché con quelle acque era
stato indicato il popolo dei giudei, come si legge in Isaia (8, 6): «Questo
popolo ha disdegnato le acque di Siloe, che scorrono silenziose .. '».
Quindi per mostrare che non si era disamorato del popolo giudaico,
lo inviò alle acque di Siloe.
Ed ecco l'effetto che ne segue: «... e tornò che ci vedeva». Ciò era
stato predetto da Isaia (25, 5): «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi».
LEZIONE II
«8 Allora i vicini e quelli che l'avevano visto prima, poiché era un mendicante,
dicevano: Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina? 9 Alcuni
dicevano: È lui; altri dicevano: No, ma uno che gli somiglia. Ed egli diceva:
Sono io. lO Allora gli chiesero: Come dunque ti furono aperti gli occhi? 11 Egli
rispose: Quell'uomo che si chiama Gesti ha fatto del fango, mi ha spalmato gli
occhi e mi ha detto: va a Siloe e lavati. lo sono andato e, dopo essermi lavato,
ho acquistato la vista. 12 Gli dissero: Dov'è questo tale? Rispose: Non lo so.
13 Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14 era infatti sabato
il giorno in cui Gesu aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15 Anche
i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli
disse loro: Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo.
16 Allora alcuni dei farisei dicevano: Quest'uomo non viene da Dio, perché non
osserva il sabato. Altri dicevano: Come può un peccatore compiere tali prodigi?
e c'era dissenso tra di loro. 17 Allora dissero di nuovo al cieco: Tu che dici di
lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi? Egli rispose: È un profeta. 18 Ma
i giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista,
finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19 E li
interrogarono: È questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai
ora ci vede? 20 I genitori risposero: Sappiamo che questo è nostro figlio e che
è nato cieco; 21 come poi ora ci veda, noi non lo sappiamo, né sappiamo chi
gli abbia aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso.
22 Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei giudei; infatti i giu-
dei avevano già stabilito che se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venis-
se espulso dalla sinagoga. 2J Per questo i suoi genitori dissero: Ha l'età, chiede-
telo a lui».
1315 - La. questione viene risolta dal cieco miracolato; poiché «egli
affermava: Sono io», cioè sono quel cieco mendicante. Espressione que-
II
III
IV
1319 - Con le parole che seguono (<<Gli dissero: Dov'è quel ta-
le?») viene riferita l'indagine sulla persona del guaritore. Per prima
cosa è posta la domanda dei giudei: «Dov'è quel tale?». Essi interro-
gano con malizia, col proposito di uccidere. Infatti avevano già co-
spirato contro Cristo, come sopra è emerso dalle parole di lui: «Ora
voi cercate di uccidermi...» (sopra, 8, 40).
In secondo luogo è posta la risposta del cieco: «Non lo so». Co-
me fa notare sant'Agostino 3, appare dalle sue parole che il processo
avvenuto in lui corporalmente si era ripetuto spiritualmente in fasi
successive. Dapprima al cieco vengono spalmati gli occhi, e quindi la-
vatosi ci vede. Quel linimento rappresenta l'inizio della guarigione,
mentre il lavaggio produce la guarigione perfetta. Ebbene, in senso
spirituale il lenimento rende catecumeni; il lavaggio, ossia il battesi-
2 Ibid.
3 Cf. In lo. Ev., tr. 44, 2; NBA 24, 876-878; tr. 44, 8-9; NBA 24, 884-886.
164 Tommaso d'Aquino
VI
1325 - Nel versetto che segue (<<Allora alcuni dei farisei diceva-
no ... ») s'indaga sulla persona che ha donato la vista. Per prima cosa
si espongono i vari pareri dei farisei intorno a Cristo; in secondo luo-
go si chiede il parere del cieco mÌ1'acolato: «Allora dissero di nuovo
al cieco: Tu che dici di lui ... ?».
A proposito di quei pareri vengono presentati tre particolari: pri-
mo, l'opinione di quelli che bestemmiavano Cristo; secondo, l'opinio-
ne di quelli che lo stimavano; terzo, l'Evangelista conclude che c'era
discordia tra loro.
166 Tommaso d'Aquino
VII
1329 - Subito dopo essi chiedono il parere del cieco nato, con
quelle parole: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli
occhi?». Nel testo abbiamo cosi prima la domanda dei farisei, quindi
la risposta del cieco.
Commento a S. Giovanni, IX, 1293-1363 167
«Tu che dici di lui ... ?». Questa domanda, secondo il Crisostomo \
proveniva non da quelli che lo bestemmiavano, bensl da quelli che lo
apprezzavano. Ciò appare nel modo d'interrogarlo, ricordandogli il be-
neficio ricevuto: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli
occhi?». Se invece l'avessero interrogato gli altri, non si sarebbero espres-
si cosl, ma piuttosto avrebbero ricordato che violava il sabato. Essi gli
ricordano il beneficio, per indurlo alla gratitudine e a predicare Cri-
sto. Invece per Agostino 5 la domanda proveniva dagli avversari, i quali
tentavano di compromettere quell'uomo che confessava con costanza
la verità, inducendolo o a mutare opinione per paura, oppure per rica-
varne un pretesto di estrometterlo dalla sinagoga.
Viene quindi riferita la ferma risposta del cieco: «Egli rispose:
È un profeta». Infatti sebbene egli, toccato ancora interiormente so-
lo dall'unzione, nç>n lo abbia confessato quale Figlio di Dio, tuttavia
espresse con fermezza quello che sentiva. E neppure diceva il falso;
poiché anche il Signore ha detto di se stesso (Mt 13, 57): «Un profe-
ta non è disprezzato che nella sua patria». Inoltre su di lui cosi si
era espresso il Deuteronomio (18, 15): «Il Signore Dio tuo susciterà
per voi un profeta ... , ascoltatelo!».
VIII
IX
6 Cf. ibid., § lO; NBA 24, 888; § 15; NBA 24, 890.·
170 Tommaso d'Aquino
LEZIONE III
<~4 Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: Da
gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore. 25 Quegli rispo-
se: Se sia un peccatore, non lo so; ma una cosa io so: prima ero cieco e
ora ci vedo. 26 Allora gli dissero di nuovo: Che cosa ti ha fatto? Come ti
ha aperto gli occhi. 27 Rispose loro: Ve l'ho già detto e non mi avete ascol-
tato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi
discepoli? 28 Allora lo insultarono e gli dissero: Sii tu suo discepolo: noi sia-
mo discepoli di Mosè. 29 Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio;
ma costui non sappiamo di dove sia. 30 Rispose loro quell'uomo: Proprio
questo è ammirabile, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto
gli occhi. 31 Ora, noi sappiamo che Dio non ascolt;a i peccatori, ma se uno
è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32 Da che mondo è
mondo non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco
nato. 33 Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla. 34 Gli re-
plicarono: Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi? E lo cacciarono
fuori».
II
IV
VI
VII
VIII
Circa la maggiore .egli precisa due cose: primo, indica quelli che
Dio non ascolta; secondo, mostra quelli che Dio ascolta: «... ma se
uno è timorato di Dio ... egli lo ascolta».
1348 - Nasce però un dubbio. Non c'è dubbio che i miracoli ven-
gono compiuti dall'uomo non con la propria virtu, bensi con la pre-
ghiera. Ora, non sono pochi i casi in cui dei peccatori compiono mi-
racoli, stando a quel testo evangelico (Mt 7, 22): «Signore, noi abbia-
mo profetato nel tuo nome ... e abbiamo compiuto molti prodigi». E
tuttavia Dio non li volle riconoscere; perciò non sembra affatto vera
l'affermazione del cieco: «Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori».
A questo dubbio si possono dare due risposte. La prima è di ca-
rattere universale, ed è la seguente. La preghiera ha due effetti: 1'im-
petrazione e il merito. Talora dunque essa impetra, senza meritare;
mentre a volte merita, senza impetrare. E allora niente impedisce che
la preghiera del peccatore possa impetrare qtmnto domanda; senza per
questo meritare. Perciò in tal caso Dio ascolta i peccatori, non per-
6 Cf. In lo. Ev., tr. 44, 8; NBA 24, 884; tr. 44, 13; NBA 24, 888. Cf. anche Sermo-
nes, 135, c. 5 (PL 38, 748-749).
Commento a S. Giovanni, IX, 1293-1363 177
IX
x
1351 - Il cieco passa qui alla minore del suo sillogismo, ed è co-
me se dicesse: Dall'opera stessa di lui, che finora nessun uomo aveva
mai compiuto, risulta chiaramente che egli l'ha fatta con l'intervento
di Dio, e che da Dio è stato esaudito. Piti oltre Gesti dirà Onfra, 15,
24): «Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro ha
mai fatto, non avrebbero nessun peccato».
XI
XII
mo era nato cieco, credevano che ciò fosse capitato per i suoi pecca-
ti; perciò gli dicono: «Sei nato tutto nei peccati». Ma dicono il falso;
poiché, come sopra ha fatto rilevare il Signore, «né lui ha peccato,
né i suoi genitori». Nell'Ecclesiastico (19, 28) si legge: «C'è una cor-
rezione falsa, è quella fatta nell'ira dall'uomo oltraggioso».
Aggiungono poi quel tutto per affermare che non solo egli era
inquinato dai peccati nell'anima, nel modo che tutti nascono peccato-
ri, ma anche perché con la cecità il vestigio dei peccati appariva nel
corpo. Oppure, come spiega il Crisostomo 8, quel tutto voleva indica-
re l'intero corso della vita di lui, dalla piti tenera età, immerso nei
peccati.
Essi incorrono inoltre nel peccato di superbia, col disprezzare le
parole del cielo, dicendo: «Tu vuoi insegnare a noi?». Ossia: Non ne
sei degno. E in ciò appare la lQro superbia: poiché nessun uomo, per
quanto sapiente, deve sdegnare l'insegnamento di un' altra persona, umi-
le quanto si voglia. L'Apostolo infatti ha scritto (cf. 1 Cor 14, 30),
che se a un inferiore viene rivelato qualcosa, i superiori devono tace-
re ed ascoltarlo. E in Daniele si legge (cf. 3, 45-60) che tutto il po-
polo e gli anziani ascoltarono il giudizio di un giovane, ossia di Da-
niele, di cui il Signore aveva suscitato lo spirito.
Incorrono anche nel peccato d'ingiustizia, càcciandolo fuori in-
giustamente: «E lo cacciarono fuori», sta scritto, per la sua aperta con-
fessione della verità. In questo cieco già si avveravano le parole del
Signore (Le 6, 22): «Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e vi
scacceranno dalla loro compagnia, e ripudieranno come abominevole
il vostro nome per causa del figlio dell'uomo».
LEZIONE IV
«35 Gesti seppe che l'avevano cacciato fuori, e avendolo trovato gli disse: Tu
credi nel Figlio di Dio? 36 Ed egli rispose: E chi è, Signore, perché io creda
in lui? 37 Gli disse Gesti: Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio
lui. 38 Ed egli disse: lo credo, Signore! E gli si prostrò dinanzi. 39 Gesti al-
lora disse: lo sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che
non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi. 40 Alcuni dei fa-
risei che erano con lui udirono e gli dissero: Siamo forse ciechi anche noi?
41 Gesti rispose loro: Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome
dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane».
tanto lui, perché in lui solo trovava piu fede che in tutti gli altri. E pos-
siamo dedurne che un solo giusto viene amato da Dio piu che diecimila
peccatori. Di qui le parole di Isaia (13, 12): «L'uomo [retto] sarà piu
prezioso dell' oro, piu dell' oro colato». E nella Genesi (cap. 17) trovia-
mo che il Signore avrebbe perdonato a Sodoma per dieci giusti.
Terzo, l'impegno di Cristo risulta dalla sua grave domanda: «Credi
nel Figlio di Dio?». Questo cieco era il prototipo dei battezzandi. Ecco
perché nella Chiesa fu introdotta la consuetudine di interrogare i bat-
tezzandi circa la fede; e vi accenna 1 Pt 3, 21: «Il battesimo ci salva,
non quale detergente di sporcizia carnale, ma quale interrogazione di
buona coscienza di fronte a Dio». Interrogandolo circa la fede,non
gli chiede: Credi in Cristo? Ma: «Credi nel Figlio di Dio?». Questo
perché in seguito, come scrive sant'Ilario l, alcuni avrebbero confes-
sato di credere in Cristo, negaodo però che era il Figlio di Dio. Sarà
questo appunto l'errore inventato da Ario 2. Quindi questa domanda
esclude apertamente tale errore. Se infatti Cristo non fosse Dio, non
si dovrebbe credere in lui, essendo Dio il solo oggetto della fede, la
quale ha di mira la prima verità e si fonda su di essa. Dice perciò
di proposito: «nel Figlio»; poiché posso ben credere a una creatura,
a Pietro, o a Paolo, per es.; ma non in Pietro, bensl solo in Dio quale
oggetto di fede. Dunque è evidente che il Figlio di Dio non è una
creatura. In seguito egli dirà (infra, 14, 1): «Credete in Dio, e crede-
te anche in me».
II
Chi è questo Figlio di Dio che mi ha aperto gli occhi? Da ciò risulta
che egli in parte lo conosceva e in parte l'ignorava. Se infatti non
l'avesse conosciuto, non avrebbe disputato per lui con tanta costan-
za; e se non l'avesse ignorato, non avrebbe chiesto: «Chi è, o Signo-
re?». Isaia aveva scritto (I5 26, 9): «L'anima mia ti ha desiderato nel-
la notte», ossia nella notte dell'ignoranza.
III
1357 - Nel Libro della Sapienza (6, 14) si legge, che la Sapienza
«previene quelli che la bramano»; ecco perché al cieco che lo brama-
va Gesu si mostra: «Tu l'hai visto, colui che parla con te è proprio
lui». E in questo si riscontra l'insegnamento della fede, col quale Cri-
sto lo istruisce. Per prima cosa gli ricorda il beneficio ricevuto, col
dirgli: «Tu l'hai visto», ossia l'hai visto corporalmente, tu che prima
non vedevi nessuno. Il che equivale a dirgli: Da lùi hai ricevuto la
facoltà di vedere, partecipando cosi a quella beatitudine (Le lO, 23):
«Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete»; «Ora lascia, o Si-
gnore, che il tuo servo se ne vada in pace, perché i miei occhi han
visto la tua salvezza» (Le 2, 29). Secondo, gli offre l'insegnamento:
«Colui che parla con te è proprio lui». San Paolo dirà (Eb 1, 2): «Dio ...
in questi ultimi tempi ha parlato a noi per mezzo del Figlio».
Perciò con queste parole viene confutato l'errore di Nestorio \
il quale insegnava che in Cristo è distinto il supposito del Figlio di
Dio da quello del Figlio dell'uomo. Infatti colui che parlava era nato
da Maria ed era Figlio dell'uomo; ma l'identico interlocutore è il Fi-
glio di Dio, come dice il Signore. Perciò non sono due soggetti di-
stinti, sebbene la natura non sia identica nell'uno e nell'altro.
IV
1358 - Nella frase che segue (<<Ed egli disse: lo credo, Signore!»)
viene presentata la devozione del cieco nella sua fede. Prima di tutto
egli confessa con la bocca la fede che ha nel cuore, quando dice: «lo
credo, Signore!». «Con il cuore infatti si crede per ottenere la giusti-
zia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza»
(Rm lO, lO). Secondo, egli testimonia la fede con i fatti: «E gli si
prostrò dinanzi per adorarlo»; e con ciò mostrò di credere la sua na-
v
1359 - Nei versetti seguenti: «Gesu allora disse, ecc.», viene elo-
giata la devozione del cieco. Per prima cosa abbiamo l'elogio di quel-
la devozione; in secondo luogo la mormorazione dei giudei: «Alcuni
dei farisei che erano con lui udirono ... »; in terzo luogo la replica ai
mormoratori: «Gesu rispose loro: Se foste ciechi, non avreste alcun
peccato».
dai superbi. Egli infatti era il giorno, posto a separare la luce dalle
tenebre, cosicché gli umili, «i quali non vedono», ossia che si reputa-
no peccatori, «ci vedano», perché illuminati dalla fede; e coloro «che
vedono», ossia i superbi, «diventino ciechi», cioè rimangano nelle
tenebre.
VI
1362 - Viene qui ricordata la mormorazione dei giudei. Costo-
ro, avendo inteso le parole del Signore in senso carnale, nel vedere
che il cieco aveva ricevuto la vista, e pensando che il Signore avesse
elogiato in lui la sola luce del volto e non quella della mente, credet-
tero che egli minacciasse loro la cecità corporale, nel dire: «... diven-
tino ciechi». Ecco perché l'Evangelista scrive, che «alcuni dei farisei
che erano con lui udirono» le parole suddette.
E nota che erano con lui, per mostrare la loro instabilità: perché
talora erano con lui per quei miracoli che vedevano; ma poi da lui
si allontanavano, quando apertamente diceva loro la verità. Secondo
la frase evangelica (Le 8, 13): «Credono per breve tempo, e al mo-
mento della tentazione si tirano indietro». «E gli dissero: Siamo for-
VII
LEZIONE I
«1 In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la
porta, ma vi sale da un 'altra parte, è un ladro e un brigante. 2 Chi invece
entra per la porta è il pastore delle pecore. 3 E il guardiano gli apre e le pe-
core ascoltano la sua voce: egli chiama per nome le sue pecore una per una
e le conduce fuori. 4 E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cam-
mina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce.
5 Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non
conoscono la voce degli estranei».
me pastore per custodire le pecore, non devi passare altro che da Cristo.
Non già come fecero i filosofi che trattarono delle principali virtu,
né come i farisei i quali stabilirono le tradizioni circa le cerimonie
legali. Ma costoro non sono né pastori né pecore; poiché, come dice
il Signore, «chi non entra nel recinto delle pecore per la porta», ossia
attraverso Cristo, «ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un bri-
gante»; perché uccide se stesso e gli altri. È Cristo infatti la porta
dell' ovile, ossia dell' assemblea dei' fedeli, e non altri. San Paolo ha
scritto (Rm 5, 1): «Abbiamo pace con Dio per mezzo di Cristo, per
il quale abbiamo anche avuto, mediante la fede, accesso a questa gra-
zia in cui siamo, e ci vantiamo nella speranza della gloria dei figliuoli
in Dio». E negli Atti (4, 12) si legge: «Non c'è sotto il cielo nessun
altro nome dato agli uomini, dal quale possiamo aspettarci di essere
salvati».
Secondo questa spiegazione, la frase suddetta si lega al brano pre-
cedente in questa maniera. Poiché i farisei dicevano di veder ci senza
Cristo, come viene loro rimproverato: «Ora, siccome dite: Noi vedia-
mo, il vostro peccato rimane», il Signore mostra che ciò è falso, per-
ché non entrano per la porta: «ln verità, in verità vi dico ... ».
E si tenga presente che, come la pecora la quale non entra dalla
porta non può conservarsi; cosi il pastore non può conservare il greg-
ge, se non entra dalla porta, ossia da Cristo, attraverso il quale sono
entrati i veri pastori. Di questi sta scritto (Eh 5, 4): «Nessuno può
attribuirsi questo onore, se non chi è chiamato da Dio come Aron-
ne». Invece i cattivi pastori non entrano dalla porta, ma passano dal-
l'ambizione, per il potere secolare e per la simonia; e questi sono la-
dri e assassini. Osea (8, 4) di loro ha scritto: «Regnarono ... ma io
non li ho riconosciuti», ossia non li ho approvati. È detto poi: «... ma
vi sale da un' altra parte», perché la porta, ossia Cristo, essendo bassa
. non permette di entrare se non a quelli che imitano Cristo nell'umil-
tà (vedi Mt 11, 29: «Imparate da me che sono mite e umile di cuo-
re»). Perciò non possono entrare se non coloro che imitano l'umiltà
di Cristo. Perciò quelli che non entrano dalla porta, salgono da un'al-
tra parte, ossia sono superbi, e non imitano lui, il quale essendo Dio
si è fatto uomo; e non si ricordano della sua umiltà.
II
1369 - «Chi invece entra per la porta è il pastore delle pecore ... ».
Passa qui a trattare del pastore. E per prima cosa indica il comporta-
190 Tommaso d'Aquino
mento del pastore; in secondo luogo mostra per quali segni egli mani-
festa di essere il pastor'e: «E il guardiano gli apre ... ».
III
13 71 - Qui Cristo indica i segni del buon pastore, che sono tre.
Primo, il segno che si desume dal comportamento del portinaio-
guardiano, il quale appunto lo fa entrare: «E il guardiano gli apre».
Questo portinaio secondo il Crisostomo 6 è colui che introduce alla
7 Cf. ''In lo. Ev., tr. 46, 3-4; NBA 24, 918-920.
8 Cf. ibid., § 4; NBA 24, 920.
192 Tommaso d'Aquino
sulla via della pace» (Le 1, 79). Orbene, Cristo va davanti a loro nel-
l'una e nell' altra maniera 9: poiché egli per primo affrontò la morte
per l'insegnamento della verità. Di qui le sue parole: «Se uno vuoI
venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi se-
gua» (Mt 16, 24). Inoltre egli ha preceduto tutti alla vita eterna, se-
condo la profezia di Michea (2, 13): «Ascese aprendo il passo innanzi
ad essi».
In quarto luogo il pastore precede le pecore con 1'esempio della
buona condotta, come dice il testo: «Cammina innanzi a loro, e le
pecore lo seguono». Nel pastore di bestiame questo non avviene, ma
è piuttosto il pastore a seguire le pecore, come accenna quel testo dei
Salmi (77, 70): «Lo tolse dal seguito delle pecore». Ma il buon pasto-
re va davanti a loro col buon esempio. «Pascete il gregge di Dio ...
non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi sin-
ceramente modelli del gregge» (1 Pt 5, 13).
IV
9 Nel testo latino, in tutte le edizioni, questo brano è stato rimandato al termine
del capoverso ~eguente. Ma la logica di tutto il contesto esige la correzione che
noi proponiamo nella nostra edizione. Non possiamo fare di meglio fino a che del-
l'opera non avremo l'edizione critica.
194 Tommaso d'Aquino
v
1377 - Invece l'effetto del ladro consiste nell'incostanza delle pe-
core, le quali non lo seguono a lungo. Ecco perché il testo afferma:
«Un estraneo invece non lo seguiranno», ossia non seguono un mae-
stro menzognero ed eretico. (Di tali maestri il Salmista aveva predet-
to: «Figli di stranieri mi hanno mentito», Sal 17, 46). Cosi Paolo non
segui a lungo i maestri di menzogna. «Ma fuggiranno da lui, perché
non conoscono la voce degli estranei», ossia non accettano la loro dot-
trina, che s'insinua come un cancro.
Commento a S. Giovanni, X, 1364-1470 195
LEZIONE II
é Questa similitudine disse loro Gesti; ma essi non capirono che cosa signi-
ficava ciò che diceva loro. 7 Allora Gesti disse loro di nuovo: In verità, in
verità vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti coloro che sono venuti
prima di me sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 lo
sono la porta: se uno entra" attraverso me, sarà salvo; entrerà e uscirà e trove-
rà pascolo. lO Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere;
io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza».
II
parole (infra, vv. 27s.): «Le mie pecore ascoltano la mia voce ... e mi
seguono, e io do loro la vita eterna».
III
1383 - Nella frase che segue (<<Tutti coloro che sono venuti pri-
ma di me sono ladri e briganti») spiega quanto aveva detto del ladro
e del brigante. Per prima cosa mostra chi sia il ladro, o brigante; in
secondo luogo ne indica il segno.
IV
v
1390 - Viene poi indicato il modo di tale salvezza con la frase:
«Entrerà e uscirà e troverà pascolo»; parole, queste, che sono passibi-
li di quattro spiegazioni.
Primo, stando al Crisostomo \ esse non indicherebbero altro che
la sicurezza e la libertà di quanti aderiscono a Cristo. Infatti chi sale
da un' altra parte e non passa per la porta, non ha la libertà di entra-
re e di uscire; chi invece passa per la porta ha libe~a l'uscita, poten-
do uscire liberamente. Perciò quando dice, stando alla parabola, che
«entrerà e uscirà», vuoI dire che gli apostoli, seguaci di Cristo, esco-
no con sicurezza trattando con i fedeli all'interno della Chiesa, e con
gli infedeli che ne sono fuori, una volta che sono diventati padroni
di tutto il mondo, e nessuno è in grado di metterli fuori. Nel Libro
dei Numeri (27, 16) si legge: «Provveda il Signore Dio di tutti i vi-
venti un uomo, il quale stia a capo di questo popolo, e possa uscire
ed entrare davanti a loro, condurli e ricondurli; affinché il popolo del
Signore non sia come un gregge senza pastore». «... E troverà pasco-
lo», cioè troverà contentezza nel suo vivere quotidiano. Essi, anzi,
avrebbero goduto persino nelle persecuzioni mosse dagli increduli per
il nome di Cristo, come si legge negli Atti (5, 41): «Gli apostoli se
ne andarono dalla presenza del sinedrio, lieti dell'essere fatti degni
di patire contumelia per il nome di Gesti».
VI
, 1394 - A questo punto si tratta del ladro. E per prima cosa Cri-
sto ne indica le caratteristiche; in secondo luogo afferma che in lui
esistono caratteri del tutto opposti: «Io sono venuto perché abbiano
la vita, ecc.».
VII
1396 - «Io sono venuto perché abbiano la vita»; vale a dire: Es-
si non sono venuti passando per me; perché altrimenti avrebbero agi-
to come me; invece hanno fatto il contrario; poiché rubano, uccido-
no e distruggono. «lo sono venuto perché abbiano la vita», ossia la
vita della giustizia, entrando con la fede nella Chiesa militante (come
dice san Paolo: «Il giusto vive di fede», Eh lO, 38; Rm 1, 17). Di
questa vita cosi si legge in 1 Cv 3, 14: «Noi sappiamo che siam pas-
sati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli». «E l'abbiano in
abbondanza», abbiano cioè la vita eterna nell'uscire dal corpo; della
quale vita eterna sta scritto (infra, 17, 3): «Questa è la vita eterna,
che conoscano te, l'unico vero Dio».
202 Tommaso d'Aquino
LEZIONE III
«11 lo sono il buon pastore che offre la vita per le pecore. 12 Il mercenario
invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire
il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde. 13 Il
mercenario fugge perché è un mercenario e non gli importa delle pecore».
II
1 Cf. In lo. Ev., tr. 46, 5; NBA 24, 922; tr. 46, 7; NBA 24, 926.
204 Tommaso d'Aquino
III
2 Cf. Politica, I. 5, c. lO, 1311a; cf. anche I. 3, c. 7, 1279b; I. 4, c.: lO, 1295a.
Commento a S. Giovanni, X, 1364-1470 205
36, 18); «Egli ha con sé la sua mercede» (Is 40, 10); «Quanti merce-
nari nella casa di mio padre hanno pane a volontà!» (Le 15, 17).
RIsPOSTA. La mercede può essere intesa in due maniere: in sen-
so generico e in senso proprio. Genericamente tutto ciò che viene re-
tribuito per dei meriti viene denominato mercede; e poiché la vita
eterna, che è Dio (vedi 1 Cv 5, 20: «Questo è il vero Dio e la vita
eterna»), viene data in ricompensa dei meriti, anche la vita eterna viene
denominata mercede. E questa mercede ogni buon pastore può e de-
ve cercarla. Si chiama invece mercede in senso proprio qualcosa che
è distinto dalla eredità filiale; e questo non deve essere perseguito da
chi è vero figlio, cui spetta l'eredità; mentre è nell'intenzione dei servi
e dei mercenari. Perciò, siccome la vita eterna costituisce la nostra
eredità, chi opera mirando ad essa opera come figlio; chi invece ten-
de a qualche cos'altro distinto da essa (per es., a ottenere vantaggi
terreni, o l'onore della prelatura) è un mercenario.
IV
Ciò all' opposto del buon pastore: poiché questi cerca il vantàggio
del gregge e non quello proprio, come faceva san Paolo (Fil 4, 17):
«Non cerco il dono, ma cerco il frutto abbondante da parte vostra».
E si interessa delle pecore; cioè le ama ed ha premura per esse. «lo
vi porto nel cuore ... quali miei compagni nelle mie catene ... » (ibid.,
1, 7).
Commento a S. Giovanni, X, 1364-1470 209
LEZIONE IV
«14 lo sono il buon pastore: conosco le mie pecore e le mie pecore conosco-
no me, 15 come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la mia
anima per le mie pecore. 16 E ho altre pecore che non sono di questo ovile:
anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce, e diventeranno un
solo gregge, sotto un solo pastore. 17 Per questo il Padre mi ama; perché io
offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie, ma
la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla
di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».
II
1412 - Prova che egli è pastore mediante i due segni indicati sopra
come propri del pastore: il primo è che chiama le proprie pecore una
per una. E rispetto ad esso qui ribadisce: «Conosco le mie pecore».
«Il Signore conosce chi sono i suoi» (2 Tm 2, 19). E «le conosco»
non solo intellettualmente, ma con la compiacenza e con l'amore: «Ci
ha amati e ci ha lavati dai nostri pèccati» (Ap 1, 5).
Il secondo segno è che le pecore ascoltano la sua voce e lo rico-
noscono. E rispetto ad esso egli dice: «E le mie pecore conoscono me»;
quelle cioè che sono mie per la predestinazione, per la chiamata e per
la grazia, mi amano e mi seguono. Si tratta quindi della conoscenza
affettiva, di cui parla Geremia (31, 34): «Tutti mi conosceranno, dal
piti piccolo al piti grande ... ».
210 Tommaso d'Aquino
1415 - Con la frase successiva (<<e offro la mia anima per le pe-
core») Gesu descrive il segno suddetto. «Da questo abbiamo conosciuto
la carità di Dio, perché egli ha offerto la sua anima per noi, ecc.»
(1 Cv 3, 16).
Ma poiché in Cristo ci sono tre sostanze: la sostanza del Verbo,
quella dell'anima e quella del corpo, ci si domanda chi è che parla
quando egli dice: «lo offro la mia anima». Se tu dici che è il Verbo
a parlare cosi, ciò non è vero: poiché il Verbo non ha mai offerto
la sua anima, non essendo mai stato separato da essa. Se dici che è
l'anima a parlare in tal modo, ciò sembra impossibile, perché nessuna
cosa può separarsi da se stessa. Se poi tu dici che a parlare cosi è
Commento a S. Giovanni, X, 1364-1470 211
Cristo quanto al suo corpo; anche questo non sembra possibile, per-
ché il corpo non ha il potere di riprendere la propria anima.
Si deve dunque rispondere che alla morte di Cristo la sua anima
fu separata dal corpo; altrimenti egli non sarebbe morto realmente;
però la divinità in lui non fu mai separata né dall' anima né dal cor-
po, ma rimase unita e all' anima che discese negli inferi, e al corpo
che rimase nel sepolcro. Fu perciò il corpo a offrire e deporre l'ani-
ma per la virtu della divinità, e poi fu esso a riprenderla.
III
ecco che io ti ho costituito luce delle genti, perché tu sia la mia sal-
vezza fino all' estremità della terra».
1419 - Accenna poi alla loro giustificazione, col dire: «Essi ,ascol-
teranno la mia voce, e diventeranno un solo gregge, sotto un solo pa-
store». In questa frase vengono indicati i tre requisiti per la giustizia
secondo la religione cristiana. Il primo è 1'obbedienza ai comandamenti
di Dio. E per ricordarlo egli dice: «Ascolteranno la mia voce», cioè
osserveranno i precetti. A ciò fanno eco le parole riferite da Matteo
(28, 20): «Insegnate loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato»;
e quelle profetiche del Salmista (17, 44s.): «Un popolo che non cono-
scevo», ossia non approvavo, «mi ha servito, all'udirmi subito mi ob-
bedivano».
Il secondo requisito è l'unità nella carità; e rispetto ad essa egli
dice: «diventeranno un solo gregge: dei due popoli, cioè, quello giu-
deo e quello pagano, si formerà l'unica Chiesa dei fedeli, come scrive
1'Apostolo: «Una è la fede, uno il battesimo, uno Dio e padre di tut-
ti ... » (Ef 4, 5); «Egli è la nostra pace; egli che delle due cose ne ha
fatto una sola» (ibid., 2, 4).
Il terzo requisito è l'unità di fede; e rispetto ad esso egli ha det-
to: «sotto un solo pastore», secondo la profezia di Ezechiele (37, 24):
«Unico sarà delle loro pecore il pastore», ossia dei giudei e dei gentili.
IV
v
1423 - Qui il Signote spiega 1'effetto del segno indicato con quelle
parole: «Io offto la mia vita per le mie pecore», mosttando come egli
la offte. Ptimo, esclude che la offta pet costtizione; secondo, aggiun-
ge il potete che "egli ha su di essa.
1 In lo. Ev., tr. 37, 9; NBA 24, 772; cf. anche tr. 38, 1; NBA 24, 776.
Commento a S. Giovanni, X, 1364-1470 215
1425 - Affetma poi il suo potete con quella ftase: «Ho il potete
di offrida e ho il potete di riprenderla di nuovo».
Si noti petò che, essendo natutale l'unione dell'anima con il cor-
po, anche la loro separazione è naturale. E sebbene la causa di tale
separazione possa essere volontaria, tuttavia nell'uomo la morte è sem-
pre natutale. In nessun puro uomo la natuta è soggetta alla volontà;
petché la volontà come la natura viene da Dio; quindi la morte di
ogni puto uomo necessariamente è naturale. Ma in Cristo tutta la sua
natura come ogni altra natura eta soggetta alla di lui volontà, come
i manufatti sono dipendenti dal volere dell' artefice. Perciò secondo
la decisione della sua volontà egli poteva offrire la propria vita quan-
do voleva, e riprendeda di nuovo. Cosa che nessun puro uomo è in
grado di compiere, sebbene uno possa volontariamente procutarsi una
causa di motte. Ecco perché il centurione, vedendo morire Cristo non
pet naturale necessità, ma per volontà propria (quando «gridando a
gran voce rese lo spirito», Mt 27, 50), riconobbe in lui una virtu di-
vina, dicendo [ibid., v. 54]: «Costui era veramente il Figlio di Dio».
Cosicché l'Apostolo ha potuto scrivere (1 Cor 1, 18): «La patola della
croce per quelli che si perdono è una pazzia; ma per chi si salva, cioè
pet noi, è la virtu di Dio». Vale a dire: nella stessa morte di Cristo
si manifesta la virtu del suo potere.
VI
LEZIONE V
«19 Sorse di nuovo dissenso tra i giudei per queste parole. 20 Molti di essi dice-
vano: Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo state ad ascoltare? 21 Altri in-
vece dicevano: Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demo-
nio aprire gli occhi dei ciechi? 22 Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la
festa della dedicazione. Era d'inverno. 23 Gesti passeggiava nel tempio sotto il
portico di Salomone. 24 Allora i giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: Fi-
no a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi aperta-
mente. 25 Gesti rispose loro: Ve l'ho detto e non credete; le opere che io com-
pio nel nome del Padre mio, queste mi dànno testimonianza; 26 ma voi non cre-
dete, perché non siete mie pecore. 27 Le mie pecore ascoltano la mia voce e io
le conosco ed esse mi seguono. 28 lo do loro la vita eterna e non andranno mai
perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. 29 Quello che il Padre ha dato a
me è la cosa pitl grande di tutto, e nessuno può rapirle dalla mano del Padre
mio. 30 lo e il Padre siamo una cosa sola».
II
III
IV
1443 - Afferma la loro separazione dalle sue pecore con quella fra-
se: «Voi non siete mie pecore»; ossia non siete predestinati a credere,
ma «presciti» alla morte eterna. Perciò il fatto stesso di credere viene
concesso a noi da Dio, come scrive Paolo ai Filippesi (1, 29): «A voi fu
data questa grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di patire per
lui»; e lo ribadisce agli Efesini (2, 8): «Per grazia siete stati salvati...;
e ciò non è da voi, ma è dono di Dio». Questo non è dato ad altri che
a colui cui è stato preordinato dall' eternità. Perciò quelli soltanto cre-
dono in lui, che a questo sono stati predestinati da Dio con un' eterna
predestinazione. Di qui le parole degli Atti (13, 48): «Credettero tutti
quelli che erano predestinati alla vita eterna». «Noi crediamo di essere
salvati per la grazia del Signore nostro Gesti Cristo» (ibid., 5, 11).
1445 - Descrive poi la dignità delle sue pecore, dicendo: «Le mie
pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi seguono.
224 Tommaso d'Aquino
v
1450 - Passa qui a dimostrare quanto ha detto sopra circa la di-
gnità delle sue pecore, cioè che 'nessuno può rapirle dalla sua mano,
con l'argomento seguente: Ciò che è nella mano del Padre mio nessu-
4 Cf. In lo. Ev., tr. 48, 5; NBA 24, 956; cf. anche tr. 45, 15; NBA 24, 912·914.
5 Cf. I Principi, l. 2, c. 3, 3, GCS 5, p. 118; UTET, p. 252; l. 3, c. 6, 3, GCS
5, pp. 384·385; UTET, p. 470.
6 In lo. Ev., tr. 48, 6; NBA 24, 956.
226 Tommaso d'Aquino
no può rapirlo; ma la mano del Padre è identica alla mia; dunque quan-
to è nella mia mano nessuno può rapirlo.
A questo proposito egli precisa tre cose. Primo, imposta la mi-
nore [del sillogismo] rivelando la comunicazione della divinità a lui
fatta dal Padre, con quelle parole: «Quello che il Padre ha dato a me»,
mediante l'eterna generazione, «è la cosa piti grande di tutto». Infat-
ti «come il Padre ha la vita in se stesso, cosi ha dato al Figlio di ave-
re la vita in se stesso» (sopra, 5, 27). Ed è «la cosa piti grande» per
il potere che gli è conferito: «E gli ha dato il potere di giudicare,
perché è Figlio dell'uomo» (ibid.). Inoltre «è la cosa piti grande» per
la riverenza e l'onore che merita: «Gli ha dato il nome che è al di
sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesti ogni ginocchio
si pieghi» (Fil 2, 9). Perciò «quello che il Padre ha dato a me è la
cosa piti grande di tutto», cioè mi ha dato di essere il Verbo di lui,
il suo Unigenito, e lo splendore della sua luce.
Secondo, afferma l'eccellenza del potere del Padre, che rientra
nella maggiore [del sillogismo], con questa frase: «Nessuno può rapir-
le dalla mano del Padre mio», per violenza, né per ignoranza può sot-
trarle al suo potere, oppure a me che sono la virtti del Padre. Sebbe-
ne, come dice Agostino 7, sia meglio dire al potere del Padre che a
me. Perciò «nessuno può rapirle dalla mano del Padre»; poiché egli
è il fortissimo che non può subire violenza; ed è il sapientissimo in
cui non può capitare ignoranza. «Sapiente di cuore e gagliardo di for-
za», secondo l'espressione di Giobbe (9, 4).
Terzo, egli afferma la propria unità col Padre, dalla quale segue
la conclusione. Ecco perché dichiara: «lo e il Padre siamo una cosa
sola»; che è quanto dire: «Nessuno può rapirle dalle mie mani», per-
ché «io e il Padre siamo una cosa sola», per l'unità di essenza. Infatti
identica è la natura del Padre e del Figlio.
1451 - Vengono con ciò esclusi due errori: quello di Ario, il quale
voleva distinta la rispettiva essenza, e quello di Sabellio il quale con-
fondeva le Persone; e cosi siamo liberati da Scilla e da Cariddi. In-
fatti col dire: «una cosa sola», ci libera da Ario. Se infatti sono una
realtà unica non sono diversi. Per il fatto che dice: «siamo», ci libera
da Sabellio. Infatti se siamo al plurale, vuoI dire che Padre e Figlio
sono Persone distinte.
Gli ariani però, con le menzogne della loro empietà cercano di
negare la conclusione, affermando che la creatura in qualche modo
può essere una cosa sola con Dio: e cosi il Figlio potrebbe essere una
cosa sola col Padre.
Ma ciò risulta evidentemente falso, per tre ragioni. Primo, dal
modo stesso di esprimersi. È chiaro infatti che uno (unum) si predica
come ente (ens); perciò come una cosa non può dirsi ente in senso
assoluto (simpliciter), se non in quanto sostanza; cosi uno non può pre-
dicarsi in assoluto, se non in quanto sostanza o natura. Ora, poiché
nel caso nostro è detto in senso assoluto: «lo e il Padre siamo unum,
una cosa sola», senza nessuna aggiunta o specificazione, è evidente che
Padre e Figlio sono una cosa sola secondo la sostanza, o natura. In-
fatti nella Scrittura non si riscontra mai che Dio e la creatura siano
presentati come un'unica cosa, senza qualche aggiunta, sul tipo di quella
presente in quel testo paolino (1 Cor 6, 17): «Chi si unisce a Dio for-
ma un'unico spirito con lui». Perciò è evidente che il Figlio di Dio
è una cosa sola col Padre, non come può esserlo una creatura.
Secondo, ciò risulta dalla connessione con la frase precedente:
«Quello che il Padre ha dato a me è la cosa piu grande di tutto»,
da cui conclude: «lo e il Padre siamo una cosa sola». Come per dire:
In tanto siamo una cosa sola, in quanto egli ha dato a me la cosa
piu grande di ogni altra cosa.
Terzo, risulta inoltre dall'intenzione di chi parla. Infatti il Si-
gnore vuoI dimostrare qui che nessuno può rapirgli le pecore dalla sua
mano, dal momento che nessuno può rapirle dalla mano del Padre suo.
Ora, la prova non reggerebbe, se il suo potere fosse minore di quello
del Padre. Perciò il Padre e il Figlio sono una cosa sola per natura,
per onore e potenza.
228 Tommaso d'Aquino
LEZIONE VI
«31 I giudei presero di nuovo delle pietre per lapidarlo. 32 Gesti rispose loro:
Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio: per quale di
esse mi volete lapidare? 33 Gli risposero i giudei: Non ti lapidiamo per un'o-
pera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei un uomo, ti fai Dio.
34 Rispose loro Gesu: Non è forse scritto nella vostra Legge: "lo ho detto:
voi siete dèi?". 35 Ora se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la
parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata), 36 a colui che il Pa-
dre ha santificato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho
detto: Sono Figlio di Dio? 37 Se non compio le opere del Padre mio, non
credetemi; 38 ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete al-
meno alle mie opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e
io nel Padre. 39 Cercavano allora di prenderlo di nuovo, ma egli sfuggi dal-
le loro mani. 40 Ritornò quindi al di là del Giordano, nel luogo dove pri-
ma Giovanni battezzava, e qui si fermò. 41Molti andarono da lui e diceva-
no: Giovanni non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha
detto di costui era vero. 42 E in quel luogo molti credettero in lui».
II
III
1458 - «Rispose loro Gesu: Non è forse scritto nella vostra Leg-
ge», ossia nei Salmi (81, 6): lo ho detto: voi siete dèi?».
A proposito di questo versetto va notato che il termine Legge
viene usato in tre sensi dalla Scrittura. In certi casi sta a indicare
tutto l'Antico Testamento, che abbraccia i Libri di Mosè, i Profeti
e gli agiografi. E qui 1'espressione «nella vostra Legge» equivale al Vec-
chio Testamento, poiché la citazione riferita è tratta dai Salmi: i quali
Commento a S. Giovanni, X, 1364-1470 231
1459 - Ora, si deve notare che il termine Dio può indicare tre
cose diverse. Talora infatti indica la natura stessa divina, e in tal senso
può predicarsi solo al singolare, come si legge nel Deuteronomio (6,
4): «Ascolta, Israele, il Signore Dio tuo è uno solo». Talora il termi-
ne è di sola denominazione, e in tal senso si dicono dèi gli idoli, co-
me accenna il Salmista (95, 5): «Tutti gli dèi delle genti sono demo-
ni». In altri casi invece uno viene denominato dio per una qualche
partecipazione della Divinità, partecipazione cioè di una virtu piu ec-
cellente infusa da Dio; e in tal senso sono denominati dèi nella Scrit-
tura i giudici. Nell'Esodo (22, 8), per es., si legge: «... li presenterai
agli dèi», cioè ai giudici; e ancora (ibid., v. 28): «Non mormorerai
contro gli dèi», ossia contro le autorità. Ed è in questo senso che il
termine viene qui usato in questa espressione: «lo ho detto: voi siete
dèi», cioè partecipi di una virtu divina superiore all'umana.
IV
1460 - Con la frase successiva (<<Se essa ha chiamato dèi coloro
ai quali fu rivolta la parola di Dio, ecc.»), il Signore spiega il senso
della citazione riferita; come per dire: Li ha chiamati dèi, in quanto
partecipi della Divinità per la comunicazione loro fatta della parola
di Dio. Poiché per la parola di Dio l'uomo ottiene una certa parteci-
pazione della virtu e della purezza di Dio, come vedremo in seguito
(infra, 15, 3): «Voi siete già mondi per la parola che vi ho annunzia-
to». E nell'Esodo (34, 29ss.) si legge che la faccia di Mosè divenne
luminosa per il prolungato colloquio col Signore.
Ora, da quanto è stato detto si potrebbe COSI argomentare. È
evidente che per la partecipazione della parola, o Verbo di Dio uno
232 Tommaso d'Aquino
1464 - Con la frase che segue (<<Se non compio le opere del Pa-
dre mio, non credetemi») il Signore prova la verità di quanto ha det-
to. In sostanza egli dice: Sebbene secondo la vostra opinione io sia
soltanto uomo, tuttavia io non bestemmio dicendo di essere veramente-
Dio, perché lo sono in maniera verissima.
E a questo proposito propone due cose: primo, presenta l'argo-
mento delle opere; secondo, ne tira la conclusione voluta: «Perché sap-
piate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre».
scusabili. E si esprime cosi: «Se non compio le opere del Padre mio»,
ossia quelle stesse che lui solo può compiere, con la stessa virtu e col
medesimo potere, «non credetemi». Sopra (5, 19) aveva detto: «Tut-
to quello che· il Padre fa, lo fa anche il Figlio».
Secondo, afferma che essi devono convincersi per le opere stes-
se: «Ma se io le compio», le opere identiche che fa il Padre, «anche
se non volete credere a me», che mi presento come figlio dell'uomo,
«credete almeno alle mie opere». Vale a dire: Le opere stesse dimo-
strano che sono Figlio di Dio. In seguito (infra, 15', 24) dirà: «Se non
avessi fatto ... opere che nessun altro mai ha fatto, non avrebbero al-
cun peccato».
3 Cf. De Trinit., 7, 22-32 (PL lO, 218-227), spec. § 28 (PL lO, 224) e § 32 (PL
lO, 227). .,-,
4 Cf. In lo. Ev., tr. 48, lO; NBA 24, 962-964.
Commento a S. Giovanni, X, 1364-1470 235
LEZIONE I
1 Cf. Comm. in Ev. Mat., 1. 4, c. 26 (PL 26, 199); cf. anche Adv. Jovin., 1. 2, c.
29 (PL 23, 340). Sull'intera questione negli scritti dei Padri cf. M.-J. LAGRANCE,
Jésus a-t-il été oint plusieurs fois et par plusieurs femmes?, in «Revue Biblique», 9
(1912), pp. 504-532. Girolamo vi è trattato alle pp. 518-520. Per gli esegeti mo-
derni è ormai unanime la tesi che i Padri latini hanno confuso in un solo personag-
gio (santa Maria Maddalena) tre donne evangeliche ben distinte.
2 Cf. In Mat. Comm. Series, c. 77 (PG 13, 1721-1722); cf. anche Hom. in Can., 1,
4 (PG 13, 41); homo 2, 2 (PG 13, 48). N.B.: Il frammento LXXVIII (vedi Com-
mento Vango Giov., GCS 4, pp. 544-545; UTET, p. 879 sembra invt';ce pl'Oporci
!'identificazione di Maria di Betania con la peccatrice di Luca (7, 38).
Commento a S. Giovanni, XI, 1471-1588 239
i capelli del suo capo ... ». Perciò, come scrive il Crisostomo 3, questa
non è la meretrice di cui parla Luca. Questa Maria infatti era una
donna onesta e premurosa nell'ospitare Cristo; mentre della peccatri-
ce viene taciuto il nome. Infatti questa Maria in prossimità della Pas-
sione poté benissimo compiere per una speciale devozione verso Cri-
sto, un gesto consimile a quello compiuto da quella peccatrice piena
di amore e di compuzione. Episodio che qui l'Evangelista ha rammen-
tato per anticipazione, volendo presentare la grandezza del ricordato
nome di Maria.
Altri invece, cioè Agostino 4 e Gregorio 5, dicono che questa Ma-
ria è la peccatrice di cui parla Luca (cap. 7). E Agostino lo arguisce
partendo proprio da questa frase di Giovanni; poiché qui l'Evangeli-
sta parla di Maria prima che facesse quel gesto nell'imminenza della
Passione. Vedi infra, 12, 3: «Maria allora, presa una libbra di olio
profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesu».
Egli dunque afferma che quanto qui l'Evangelista racconta s'identifi-
ca col gesto narrato da Luca al cap. 7. Ambrogio 6 si mostra esitante
tra l'una e l'altra sentenza. Perciò, secondo l'opinione di Agostino,
è evidente che la peccatrice di cui si parla in Luca, è questa Maria,
«il cui fratello Lazzaro era malato». Il suo misero corpo, cioè, era con-
sumato dall'incendio di un'ardentissima febbre.
II
dicono: «Signore, il tuo amico è malato». Nei Proverbi (3, 12) infatti
si legge: «Dio castiga colui che ama, come fa un padre col figlio pre-
diletto».
Secondo, va notato che esse non dicono: «Signore, vieni a gua-
rirlo», ma solo indicano l'infermità, limitandosi a dire: «è malato».
Esse ricordano cosi che a un amico basta esporre la necessità, senza
aggiungere nessuna richiesta. Infatti un amico, siccome vuole il bene
dell'amico come bene proprio, allo stesso modo che respinge il pro-
prio male è sollecito a respingere il male dell'amico. E ciò è vero so-
prattutto di colui il quale ama nella maniera piu vera, come accenna
il Salmista (144, 20): «Custodisce il Signore tutti quelli che lo amano».
Terzo, si noti che queste due sorelle, desiderando la guarigione
del fratello malato, non vanno personalmente da Cristo, come aveva-
no fatto il paralitico (Le 5, 78) e il centurione (Mt 8, 5); e questo
per la confidenza che avevano con Cristo, dovuta all' amore speciale
e alla familiarità di Cristo verso di loro (o forse erano trattenute dal
pianto, come scrive il Crisostomo 7); «Se l'amico rimarrà costante, sarà
come un tuo uguale, e confidenzialmente agirà tra quelli di casa tua»
(Eccli 6, 11).
III
1478 - Ma con questa infermità che forse Lazzaro non mori real-
mente? Pare di si; altrimenti dopo quattro giorni non avrebbe emanato
cattivo odore nel sepolcro, né la sua risurrezione sarebbe stata vera.
RISPOSTA. Questa malattia fu ordinata alla morte non come al
suo scopo ultimo, ma a un altro scopo, come è stato detto: colui, cioè,
che venne risuscitato, quasi accettando un castigo, avrebbe poi vissu-
to con giustizia per la gloria di Dio; e il popolo giudaico, vedendo
il miracolo,si sarebbe cosi convertito alla fede. Come diceva il Sal-
mista (117, 18): «Mi ha castigato duramente il Signore, ma non mi
ha consegnato alla morte». Ecco perché il testo evangelico continua:
«Non è per la morte, ma per la gloria di Dio, affinché per essa il
Figlio di Dio venga glorificato». In questa frase, stando al Crisosto-
mo 9, le preposizioni per e affinché avrebbero valore non causale, ma
consequenziale. Infatti Lazzaro non si ammalò affinché cosi Dio ve-
nisse glorificato; ma questa malattia venne da altre cause, però da es-
sa ne è seguito questo, che ne venisse glorificato il Figlio di Dio, in
quanto risuscitandolo si servi di essa per la gloria di Dio.
Però questo discorso è vero solo in un certo senso, ma in altro
senso non lo è affatto. Infatti nella malattia di Lazzaro si possono
considerare due cause. Una naturale, e stando a questa è vero quanto
dice il Crisostomo; perché la malattia di Lazzaro secondo la sua cau-
sa naturale non era ordinata alla risurrezione. Ma possiamo conside-
rare quale altra causa la divina provvidenza; e allora l'affermazione
del Crisostomo non è vera; poiché per la divina provvidenza tale in-
fermità era ordinata alla gloria di Dio. E sotto questo aspetto le pre-
posizioni per e affinché hanno valore causale. Cosicché l'espressione:
«... ma per la gloria di Dio», ha questo valore: Sebbene questa malat-
tia non sia ordinata a ciò dalla sua causa naturale,. era però ordinata
alla gloria di Dio per l'intenzione della divina provvidenza, in quanto
per il compimento del miracolo gli uomini avrebbero creduto in Cri-
sto, ed evitato cosi la vera morte; ossia, «affinché per essa il Figlio
di Dio venga glorificato».
IV
LEZIONE II
é Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel
luogo dove si trovava. 7 Dopo di che disse ai discepoli: Andiamo di nuovo
in Giudea. 8 I discepoli gli dissero: Rabbi, poco fa i giudei cercavano di la-
pidarti e tu ci vai di nuovo? 9 Gesti rispose: Non sono forse dodici le ore
del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce
di questo mondo; lO ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché
gli manca la luce».
II
III
1484 - Viene poi indicato il timore dei discepoli, con quelle pa-
role: «l discepoli gli dissero: Rabbi, poco fa i giudei cercavano di la-
pidarti, e tu ci vai di nuovo?». Come per dire: Sembra che tu vada
volontariamente alla morte. Ma questo timore è irragionevole, perché
i discepoli avevano con sé Dio che li proteggeva, e chi è con lui non
deve temere. Di qui le parole di Isaia (50, 8): «Presentiamoci insie-'
me: chi è il nostro avversario?»; e quelle del Salmista (26, 1): «lI Si-
gnore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò paura?».
IV
uno cammina di giorno, non inciampa ... ». Per prima cosa egli parla
qui del condizionamento del tempo; in secondo luogo mostra quale
sia il tempo adatto per viaggiare; in terzo luogo, quale sia quello non
adatto.
Il tempo adatto è indicato con la frase: «Se uno cammina di gior-
no, non inciampa». Il tempo non adatto lo indica con la frase: «Se
invece cammina di notte, inciampa».
1487 - Ma qui sorge una questione circa il valore del testo: poi-
ché qui si parla, o del giorno naturale [astronomico], o di quello arti-
ficiale [o convenzionale]. Se parliamo del giorno naturale, allora è fal-
sa la suddetta affermazione; poiché il giorno non ha dodici ore, bensi
ventiquattro. Cosi se parliamo del giorno lavorativo convenzionale l'af-
fermazione è falsa, perché questo è vero solo nell' equinozio, in quan-
to non tutti i giorni lavorativi convenzionali sono di dodici ore.
A ciò si risponde che la frase si riferisce al giorno convenziona-
le: poiché tutte le giornate operative sono di dodici ore. Infatti le
ore di tali giorni vengono contate in due maniere, per cui alcune di
esse sono uguali ed altre sono disuguali. Vengono calcolate come uguali
secondo il ciclo equinoziale: ma in base ad esso non tutti i giorni so-
no di dodici ore (luce); ché alcuni ne hanno di pili, altri di meno,
eccetto i giorni dell' equinozio. Le ore invece sono disuguali tra loro
secondo le fasi dello zodiaco, data la sua obliquità: poiché lo zodiaco
non scorre in modo uniforme in tutte le sue parti; mentre il circolo
equinoziale scorre in modo uniforme. Ebbene, anche di queste ore
disuguali ogni giorno artificiale, o convenzionale ne ha dodici; poiché
ogni giorno vengono percorsi sei segni zodiacali di giorno e sei di notte.
Ma quelli percorsi in estate lo sono con un moto piu lento che quelli
percorsi nell'inverno. Il percorso di ogni segno zodiacale è di due ore.
v
1488 - «Se uno cammina di giorno», cioè con onestà e senza co-
scienza di peccato (vedi Rm 13, 13: «Come in
pieno giorno cammi-
niamo onestamente»), «non inciampa»; ossia non trova nulla che pos-
sa nuocergli. E questo «perché vede la luce di questo mondo»; vale
a dire splende in lui la luce della giustizia; cui accenna il Salmista
(96, 11): «La luce è spuntata per il giusto, e per i retti di cuore la
letizia». È come se il Signore dicesse: Noi possiamo andare sicuri, poi-
ché camminiamo in pieno giorno.
VI
1489 - «Se invece uno cammina di notte», cioè nella notte del-
l'iniquità, facilmente troverà molti pericoli. (Di tale notte cosi sta scritto
in 1 Ts 5, 7: «Coloro che dormono, dormono di notte»). Costui in-
ciampa «perché gli manca la luce», ossia la luce della giustizia.
3 Cf. TEOFILATTO, Enan·. in Ev. ]oan., c. 11 (PG 124, 89). Nella Catena Aurea, spes-
so san Tommaso lo cita con onore; qui nel Commento invece lo nomina due sole
volte, pUf.,servendosi delle sue parole. Teofjlatto fu arcivescovo di Ochrida (Bulga-
ria) a cavallo tra il sec. XI e il sec. XII. E ricordato soprattutto per i suoi com-
menti al Vecchio e al Nuovo Testamento.
Commento a S. Giovanni, XI, 1471-1588 247
LEZIONE III
«11 Cosi parlò e poi soggiunse loro: Il nostro amico Lazzaro si è addormen-
tato; ma io vado a svegliarlo. 12 Gli dissero allora i discepoli: Signore, se si
è addormentato, guarirà. 13 Gesti parlava della morte di lui, essi invece pen-·
sarono che si riferisse al riposo del sonno. 14 Allora Gesti disse loro aperta-
mente: Lazzaro è morto, 15 e io sono contento per voi di non essere stato
là, perché voi crediate. Orstl, andiamo da lui. 16 Allora Tommaso, chiamato
Didimo, disse ai condiscepoli: Andiamo anche noi a morire con lui».
1493 - «COSI parlò; e poi soggiunse loro ... »; vale a dire: Dopo
aver detto quanto sopra, disse poi ai suoi discepoli: «Il nostro amico
Lazzaro si è addormentato». Secondo il Crisostomo 1 ciò rientrereb-
be come seconda ragione per scacciare la paura dei discepoli: poiché
la prima procedeva dalla bontà morale dei discepoli, in quanto che
chi cammina di giorno non inciampa; questa invece è desunta dalla
necessità urgente, essendo necessario andare.
II
Per prima cosa egli offre l'indizio della loro tardità mentale, in
quanto essi non rispondono a tono alle parole del Signore; in secon-
do luogo nota espressamente la loro incomprensione: «Gesu parlava
della morte di lui, essi invece ... ».
III
IV
crediate». Questa frase può avere due spiegazioni. La prima suona cosi:
Noi abbiamo saputo della malattia di Lazzaro; ma io, pur essendo lon-
tano, vi annunzio la sua morte; e «sono contento per voi», ossia per
il vostro profitto, affinché da questo abbiate una prova della mia di-
vinità; perché io vedo stando lontano. «Tutto è nudo e palese agli
occhi suoi» (Eb 4, 13). Né c'è da meravigliarsi, essendo egli presente
in ogni cosa, secondo la frase di Gr 23, 24: «lo riempio il cielo e
la terra». «Perché voi crediate»: non nel senso che debbano allora co-
minciare a credere; ma perché credessero con maggiore fermezza e con-
vil1zione, come è detto in quell'episodio evangelico (Mc 9, 23): «lo
credo, o Signore, aiuta la mia incredulità».
Ecco invece la seconda spiegazione: «lo sono contento» che egli
sia morto; e questo per voi, ossia per il vostro profitto, cioè «affin-
ché crediate». «lo sono contento di non essere stato là; perché se fos-
si stato presente, egli non sarebbe morto; ma siccome è morto, ve-
drete un miracolo piti grande quando lo farò risorgere già morto pu-
trescente. E da questo voi sarete maggiormente corroborati nella fe-
de. Infatti è cosa ben piti grande risuscitare un morto, che preservare
un vivo dalla morte. Da ciò possiamo arguire che talora i mali stessi
sono motivo di gioia, in quanto sono ordinati al bene. «Tutto coope-
ra al bene per coloro che amano Dio» (Rm 8, 28).
ra, disse ai condiscepoli:. «Andiamo anche noi a morire con lui». Vale
a dire: Costui non teme la morte, vuole andare assolutamente, conse-
gnando alla morte se stesso e anche noi.
Nella seconda maniera lo espone sant'Agostino 4. Tommaso in-
fatti e gli altri discepoli tanto amavano Cristo, da volere, o vivere
con lui, o morire con lui, per non restare sconsolati e abbandonati
dopo la sua morte. Perciò, animato da questo sentimento, Tommaso
disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui». Vale a
dire: Lui vuole andare, esponendosi al pericolo di morte; e noi vor-
remmo restare per sopravvivere? Non sia mai: «Andiamo anche noi
a morire con lui». Paolo poi dirà: «Se soffriamo con lui, con lui an-
che regneremo» (Rm 8, 17); «L'amore di Cristo ci spinge, al pensiero
che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti» (2 Cor 5, 14).
4 Non siamo riusciti a trovare il testo a cui l'Autore si riferisce. Nella Catena Aurea
il pensiero qui espresso è invece attribuito a Beda il Venerabile (vedi Catena Au-
rea, c. 11, 3; Marietti, p. 484).
Commento a S. Giovanni, XI, 1471-1588 253
LEZIONE IV
é 7 Venne dunque Gesti e trovò Lazzaro che già 'da quattro giorni era nel
sepolcro, 18 Betania distava da Gerusalemme quasi quindici stadi, 19 e molti
giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello,
20 Marta dunque, come seppe che veniva Gesti, gli andò incontro; Maria in-
vece stava seduta in casa, 21 Marta disse a Gesti: Signore, se tu fossi stato
qui, mio fratello non sarebbe morto! 22 Ma anche ora so che qualunque co-
sa chiederai a Dio, egli te la concederà, 23Gestl le disse: Tuo fratello risor-
gerà, 24 Gli rispose Marta: So che risusciterà nell'ultimo giorno, 25 Gesti le
disse: lo sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore,
vivrà; 26 chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno, Credi tu que-
sto? 27 Gli rispose: Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio del Dio
vivente che sei venuto nel mondo»,
ricorda la morte del peccato originale, che l'uomo contrae per la sua
origine mortifera. «A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel
mondo» (Rm 5, 12). Gli altri tre giorni si riferiscono alla morte del
peccato attuale; poiché ogni peccato mortale va considerato come una
morte, secondo la frase del Salmista (33, 22): «La morte dei peccato-
ri è terribile». E questa morte si suddivide secondo la trasgressione
di tre tipi di legge.
Primo, la legge di natura, che gli uomini trasgrediscono, deter-
minando cosi il secondo giorno di morte. Come dice Isaia (24, 5):
«Hanno trasgredito la legge e infranto il patto sempiterno», cioè la
legge naturale. Secondo, la Legge scritta, trasgredita anch'essa dagli
uomini, viene a costituire cosi il terzo giorno. V alga in proposito il
testo già sopra commentato (sopra, 7, 19): «Non è stato forse Mosè
a darvi la Legge? Eppure nessuno di voi la osserva». Terzo, la legge
evangelica, o della grazia, che, trasgredita: dagli uomini, dà luogo al
quarto giorno di morte, piti grave dei precedenti, come si legge nella
Lettera agli Ebrei (lO, 28s.): «Uno che abbia violato la Legge di Mo-
sè, senza pietà, in forza di due o tre testimonianze, muore. Ma di
quanto piti severo castigo pensate sarà per essere giudicato degno chi
si sarà messo sotto i piedi il Figlio di Dio, e avrà spregiato il sangue
del patto nel quale fu santificato, e oltraggiato lo spirito della grazia?».
Oppure possiamo vedere indicato nel primo giorno il peccato di
pensiero, o del cuore, cui accenna quel passo di Isaia (1, 16): «To-
gliete via la malizia dalle vostre intenzioni». Il secondo giorno allora
corrisponde al peccato di lingua. (Vedi El 4, 29: «Ogni cattivo di-
scorso non esca piti dalla vostra bocca»). Il terzo giorno corrisponde
ai peccati di opera, cosi rimproverati da Isaia (1, 16): «Cessate di fa-
re il male». Il quarto corrisponde al peccato dovuto a cattive abitudi-
ni, di cui cosi parla Geremia (13, 23): «Potrete voi cangiarvi a fare
il bene, abituati come siete al male?». Comunque però si voglia esporre
il testo, certo si è che talora il Signore risuscita i morti sepolti da
quattro giorni, cioè quelli che hanno trasgredito la legge evangelica,
o sono incalliti nell'abitudine del peccato.
II
salemme quasi quindici stadi», ossia circa due miglia; poiché un mi-
glio abbraccia otto stadi. E cosi era facile per molti giudei raggiunge-
re il posto.
Ma in senso mistico va notato che, avendo Betania il significato
di casa dell'obbedienza, e Gerusalemme quello di visione di pace, colo-
ro che sono nello stato di obbedienza sono vicini alla pace della vita
eterna. Come sopra abbiamo letto (lO, 27s.): «Le mie pecore ascolta-
no la mia voce... e io do loro la vita eterna».
Qui poi si parla di «quindici stadi», perché chi vuole andare da
Betarua, ossia dallo stato di obbedienza, alla Gerusalemme celeste, deve
percorrere quindici stadi. I primi sette stanno a indicare l'osservanza
della Legge antica; poiché il sette è il numero caratteristico dell' anti-
ca Legge, la quale santificava il settimo giorno. Seguono gli altri ot-
to, che indicano il compimento del Nuovo Testamento, al quale si
addice il numero otto, per il giorno ottavo della risurrezione.
A proposito poi dei visitatori è detto che erano molti: «Molti
giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle». Ed era questo
un gesto di pietà, come si legge in Rm 12, 15: «Rallegratevi con chi
gode, piangete con quelli che piangono»; come pure nell'Ecclesiastico
(7, 38): «Non mancar di porgere conforto a quelli che piangono».
III
IV
defunta in casa sua, il giovinetto fuori della porta e Lazzaro nel se-
polcro. La bambina la risuscitò davanti a pochi testimoni: il padre
e la madre della fanciulla e tre dei suoi discepoli, ossia Pietro, Giaco-
mo e Giovanni. Il giovane lo risuscitò alla presenza di una grande
turba; e Lazzaro di fronte a una moltitudine, e tra i gemiti.
In questi tre risuscitati sono rappresentati tre generi di peccati.
Alcuni infatti peccano perché consentono solo col cuore al peccato
mortale: e questi sono rappresentati dalla fanciulla che giaceva morta
in casa. Altri invece peccano con segni ed atti esterni: e vengono rap-
presentati dal morto che era trasportato fuori della porta. Ma quan-
do il peccato è confermato dall' abitudine, allora il peccatore è come
sceso nel sepolcro. E tuttavia il Signore tutti li risuscita. Ma quelli
che peccano solo per il consenso interiore, e muoiono cosi peccando
mortalmente, sono risuscitati piti facilmente. E poiché questa colpa
è segreta, viene anche curata con una emendazione segreta. Invece
quando il peccato procede esternamente, allora ha anche bisogno di
una penitenza pubblica.
v
1514 - Viene poi indicato come Marta intese la promessa risur-
rezione: «Gli rispose Marta: So che risusciterà nell'ultimo giorno». Non
si era infatti mai sentito dire, da che mondo è mondo, che uno aves-
se risuscitato un morto in putrefazione sepolto da quattro giorni; perciò
non poteva saltare in mente a Marta che Cristo subito lo avrebbe ri-
suscitato dai morti; ma pensava che ciò sarebbe avvenuto in seguito
nella risurrezione universale. Perciò afferma: <<lo so», ossia ritengo con
assoluta certezza, «che risusciterà nell'ultimo giorno». Sopra (6, 40)
Gesti aveva detto: «lo lo risusciterò nell'ultimo giorno».
VI
credi che tuo fratello risorgerà nell'ultimo giorno? Ebbene, questo fatto
che gli uomini risorgeranno, dipenderà interamente dalla mia virtu.
lo perciò, per la cui virtu allora tutti gli uomini risorgeranno, posso
risuscitare tuo fratello anche in questo momento.
Egli dunque afferma due cose: che è la risurrezione, e che è la
vita. Ora, si deve notare che si può aver bisogno di partecipare l'ef-
fetto della vita in due maniere: alcuni ne hanno bisogno perché l'hanno
perduta; altri, pur non avendola persa hanno bisogno di conservarla.
Ecco perché riguardo al primo effetto Cristo afferma: «Io sono la ri-
surrezione», affinché quanti hanno perduto la vita con la morte ven-
gano a ricuperarla. E riguardo al secondo aggiunge: «e sono la vita»,
con la quale i viventi vengono conservati.
Si deve poi notare che la frase, «lo sono la risurrezione», è una
locuzione causale; è come se dicesse: lo sono la causa della risurrezio-
ne. Ora, questo modo di parlare si addice solo a coloro che sono la
causa [unica] di una data cosa. Ebbene, Cristo è la causa totale della
nostra risurrezione, sia delle anime che dei corpi; perciò la frase, «lo
sono la risurrezione», è una locuzione causale, ed equivale a dire: Tutto
questo fatto, che gli uomini risorgeranno in anima e corpo, dipende-
rà da me. Di qui le parole di san Paolo (1 Cor 15, 21): «Per causa
di un uomo è venuta la morte, COSl per causa di un uomo avviene
la risurrezione dei morti».
Ma questo fatto che «io sono la risurrezione», spetta a me in quan-
to «sono la vita». Infatti si deve' alla vita che qualcuno venga a ricu-
perare la vita; come si deve al fuoco che un carbone spento diventi
nuovamente infuocato. «In Cristo era la vita, e la vita era la luce de-
gli uomini» (sopra, 1, 4).
VII
VIII
ta avrebbe risposto: Signore, io non capisco quello che dici, che cioè
tu sei la risurrezione e la vita; ma questo «io credo, che tu sei il Cri-
sto, il Figlio del Dio vivente».
Sant' Agostino 5 invece afferma che la donna rispose in quel mo-
do, perché quanto qui lei dice è la ragione di tutto ciò che il Signore
le aveva detto prima. Vale a dire: Quanto tu hai affermato circa il
tuo potere e la conseguente salvezza, tutto io credo; perché credo qual-
cosa di piu che è la radice di tutto, ossia che «tu sei il Cristo, il Fi-
glio del Dio vivente».
LEZIONE V
<(!8 Dopo queste parole se ne andò a chiamare silenziosamente Maria, sua so-
rella, dicendo: Il Maestro è qui e ti chiama. 29 Quella, udito ciò, si alzò in
fretta e andò da lui. 30 Gesti non era entrato nel villaggio, ma si trovava an-
cora là dove Marta gli era andata incontro. 31 Allora i giudei che erano in
casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la
seguirono pensando: Va al sepolcro per piangere là. 32 Maria, dunque, quan-
do giunse dov'era Gesti, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: Signore, se
tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 33 Gesti allora, quando
la vide piangere e piangere anche i giudei che erano venuti con lei, fremette
nel suo spirito, si turbò e disse: 34 Dove l'avete posto? Gli dissero: Signore,
vieni a vedere. 35 Gesti sèoppiò in pianto. 36 Dissero allora i giudei: Ecco co-
me lo amava! 37 Ma alcuni di loro dissero: Costui che ha aperto gli occhi
al cieco non poteva anche far si che questi non morisse?».
II
2 Cf. ibid.
3 Cf. TEOFILATTO, Enarr. in Ev. ]oan., c. 11 (PG 124, 97).
264 Tommaso d'Aquino
III
IV
Per prima cosa tale devozione emerge dai fatti; in secondo luogo
dalle parole: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe
morto».
VI
VII
5 Sermones, 96, 5 (PL 39, 1930). Questo riferimento riguarda solo l'ultima esclama-
zione: «O convivenza adulterina ... ». La parte precedente (<<Mentre eri con noi non
ci fu malattia ... ») nella Catena Aurea (p. 485, b dell'edizione Marietti) è attribuita
ad Alcuino. In verità si trova nella Glossa Interlinearis.
266 Tommaso d'Aquino
rarti, e ciò contro gli stoici; ma nel dolore non passò i giusti limiti,
e questo contro i secondi. Di qui le parole dell' Apostolo ai Tessaloni-
cesi (1 Ts 4, 13): «Non vogliamo che siate nell'ignoranza su quelli che
si sono addormentati nella morte, affinché non vi rattristiate come
gli altri che non hanno speranza». E nell'Ecclesiastico (22, 10s.) si
legge: «Piangi sul morto, perché s'è spenta la sua luce ... ; ma piangi
moderatamente, perché ha trovato riposo». Il terzo motivo è per sug-
gerire a noi, che per i morti dobbiamo addolorarci e piangere, secon-
do le parole del Salmista 07, 9): «lo sono afflitto, e sono umiliato
oltre modo ... ».
VIII
compatire, vedi per interessarti di lui. Il Salmista (24, 18) aveva det-
to: «Vedi la mia miseria e il mio travaglio, e perdona tutti i miei
peccati».
IX
XI
loro», ossia dei giudei, «dissero: Costui che ha aperto gli occhi al cie-
co nato, non poteva far Sl che questi non morisse?». Il che era come
dire: Se lo amava tanto da piangere la sua morte, evidentemente non
voleva che morisse; poiché ci si rattrista per ciò che capita in contra-
sto con la nostra volontà. Perciò se Lazzaro è morto, sebbene lui non
volesse, è chiaro che non ha potuto impedirne la morte; meno che
mai quindi ha potuto aprire gli occhi a un cieco nato. Però si può
anche pensare che costoro abbiano voluto esprimere con quella frase
un senso di meraviglia, nel senso di quelle parole di Eliseo (4 Re 2,
14): «Dov'è adesso il Dio di Elia?». Oppure nel tono in cui si espri-
me David (il Salmista): «Dove sono, o Signore, le tue misericordie
di un tempo?» (Sal 88, 50).
Commento a S. Giovanni, XI, 1471-1588 271
LEZIONE VI
suo spirito per la morte di Lazzaro, qui invece egli frema e si com-
muova per l'incredulità dei giudei. Infatti prima di questa frase l'E-
vangelista aveva riferito la diceria di coloro che dubitavano dei suoi
miracoli: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco nato non poteva an-
che far si che costui non morisse?». Questo fremito fu un fremito
di compassione e di commiserazione verso quei giudei, come nell'epi-
sodio riferito in Mt 14, 14: «Gesti vedendo la folla, ebbe compassio-
ne di loro».
II
una versione diversa: «Se non crederete, non potrete intendere»; nonché
le parole di Paolo (1 Cor 13, 12): «Adesso vediamo attraverso uno
specchio, in enigma», ossia mediante la fede, «allora vedremo faccia
a faccia». .
III
1550 - Si passa poi a parlare della preghiera di Cristo, in cui egli
ringrazia. A proposito di essa l'Evangelista precisa quattro cose: pri-
mo, indica il suo modo di pregare; secondo, Cristo nota 1'efficacia
della sua orazione; terzo, esclude per sé la necessità di ricorrere alla
preghiera; quarto, aggiunge l'utilità che da essa deriva.
1551 - Indica in lui il modo piu adatto di pregare; poiché «allo-
ra alzò gli occhi e disse ... ». Egli cioè indirizzò la sua intelligenza con
l'orazione verso il Padre celeste. E se noi vogliamo pregare sull'esem-
pio di Cristo, dobbiamo elevare a lui gli occhi della nostra mente,
distogliendoli dalle cose presenti, sia per la memoria, sia per la cogi-
tativa, sia per !'intenzione. Eleviamo inoltre i nostri occhi a Dio, quan-
do non confidiamo nei nostri meriti, ma speriamo solo nella miseri-
cordia divina, secondo le parole del Salmista (122, 1); «A te elevo
i miei occhi, a te che abiti nei cieli ... Ecco, come gli occhi dell'ancel-
la alla mano della sua padrona, cosi gli occhi nostri si volgono al Si-
gnore Dio nostro, finché abbia pietà di noi». «Alziamo i nostri occhi
insieme con le palme verso il Signore al cielo» (Lam 3, 41).
1552 - Accenna poi all' efficacia della sua preghiera con quella fra-
se: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato ... ». Da essa possiamo de-
6 Cf. Commento Vango Giov., L 28, C. 3, 14-18, GCS 4, pp. 391-392; UTET, p. 690.
276 Tommaso d'Aquino
con certezza, «che sempre mi dài ascolto»; ascolti me che sono il Verbo,
in quanto tutto ciò che fai dipende da me che si compia.
IV
tomba. Come dice il Vangelo di Matteo (25, 6): «Sulla mezza notte
si udi un grido: Ecco lo sposo che viene, ecc.».
Gridò, dunque, dicendo: «Lazzaro, vieni fuori!». E lo chiamò per
nome; perché, come dice Agostino 8, era cosi grande la potenza della
sua voce, che tutti i morti sarebbero stati costretti a uscire, se la de-
terminazione del nome non avesse limitata a uno solo la sua virtu.
Ciò lascia anche intendere che Cristo chiama i peccatori a uscire dal-
la coabitazione col peccato, secondo quella frase dell' Apocalisse (18,
4): «Uscite, popolo mio, da essa» [da Babilonia]. Come pure dall' oc-
cultazione della colpa (di cui parla Giobbe 31, 33, quando dice: «Se
nascosi, come fa l'uomo, la mia mancanza ... »), mediante la confessio-
ne del peccato.
1558 - Con la frase successiva (<<Il morto subito usci, con i pie-
di e le mani avvolti in bende») viene indicato l'effetto di quel grido.
In primo luogo descrive la risurrezione del morto; secondo le condi-
zioni esterne del risuscitato.
La risurrezione fu immediata al comando del Signore: «Il morto
subito usci... ». Poiché tanta era la virtu della voce di Cristo, da do-
nare la vita senza dilazione di tempo. Come appunto avverrà nella
risurrezione universale, quando in un batter d'occhio, nell'udire lo squil-
lo della tromba, «i morti in Cristo per primi risorgeranno», come è
detto in 1 Ts 4, 16. Infatti fin d'ora è stato anticipato il compito
di Cristo, di cui sopra (5, 25): «È venuto il momento, ed è questo,
in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio». Cosi dunque si com-
piva quello che Cristo aveva predetto: «Vado a svegliarlo».
Quanto alle condizioni esterne del risorto si dice che era «legà-
to», cioè «con le mani e i piedi avvolti in bende», o fasce, con le
quali gli antichi [ebrei] usavano avvolgere i morti, «e il volto coperto
da un sudario», perché non ispirasse orrore. Gesu comandò che risor-
gesse cosi avvolto e coperto, per dare maggiore evidenza al miracolo.
VI
1560 - 'Va poi notato che tutta questa frase (<<n morto subito ven-
o ne fuori con i piedi e le mani avvolti in bende») ha ricevuto da Ago-
stino 9 due spiegazioni in senso mistico, in base ai due modi con cui
viene fuori il peccatore'.
n peccatore, infatti, dalla consuetudine del peccato viene fuori
anzitutto col pentimento, e torna allo stato di giustizia. Perciò sta
scritto (2 Cor 6, 17): «Uscite di mezzo ad essi e separatevene». Egli
però ha le mani legate dalle bende, cioè dalle concupiscenze carnali.
Essendo tuttora nel corpo, i penitenti non possono essere liberi dalle
loro molestie dovute anche alle colpe passate. Di qui le parole dell' A-
postolo (Rm 7, 25): «lo stesso con la mente sono servo della legge
di Dio, ma con la carne lo sono della legge del peccato». La copertu-
ra del volto poi, mediante un sudario, sta a indicare che in questa
vita noi non possiamo avere la piena conoscenza di Dio. «Adesso noi
vediamo mediante uno specchio, in enigma, allora vedremo faccia a
faccia» (1 Cor 13, 12). Quindi ordina di scioglierlo e di lasciarlo an-
dare; perché dopo questa vita saranno tolti tutti i veli sorti dal pec-
cato, per contemplare Dio «faccia a faccia». Allora infatti finirà la
corruttibilità del corpo, che è come un legame che aggrava l'anima,
impedendole quella piena e chiara contemplazione, come accennano
le parole di Isaia (52, 2): «Sciogli i legami del tuo collo, schiava figlia
di Sion». Ecco quindi il primo modo di venir fuori, descritto da san-
t'Agostino nel libro delle Ottantatré Questioni lO.
n secondo modo di venir fuori è quello che si ha mediante la
confessione, e al quale accenna quel testo dei Proverbi (28, 13): «Chi
nasconde le sue colpe non riuscirà; ma chi le confessa e si emenda
otterrà misericordia». Venir fuori cosi è uscire allo scoperto mostran-
9 Cf. Enarr. in Psal., 101, 3; NBA 27, 548; vedi anche De Div. Quaest., q. 65, (PL
40, 60); Sermones, 67, 1-2 (PL 38, 434).
lO De Div. Quaest., q. 65 (PL 40, 60).
280 Tommaso d'Aquino
LEZIONE VII
«45 Molti dei giudei che erano venuti da Maria e da Marta, àlla vista di quel
che egli aveva compiuto, credettero in lui. 46 Ma alcuni andarono dai fari.
sei e riferirono loro quel che Gesti aveva fatto. 47 Allora i sommi sacerdoti
e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: Che facciamo? Quest'uomo com·
pie molti segni. 48 Se lo lasciamo fare cos!, tutti crederanno in lui e verran·
no i romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione. 49 Ma
uno di loro, di nome Calfa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse
loro: Voi non capite nulla, 50 e non considerate come sia meglio per voi che
muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera. 51 Questo
però non lo disse da se stesso; ma, essendo sommo sacerdote di quell'anno,
profetizzò che Gesti doveva morire per la nazione, 52 e non per la nazione
soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. 53 Da
quel giorno dunque decisero di ucciderlo».
1564 . A proposito del primo tema precisa due cose. Primo, segnala
il fatto che alcuni credettero: «Molti dei giudei che erano venuti da Ma·
ria e da Marta», per consolarle, «alla vista di quel che aveva compiuto
Gesu, credettero in lui». E non c'è da meravigliarsi, perché un tale mi·.
racolo non si era mai sentito narrare dall'origine del mondo, che cioè
un morto sepolto da quattro giorni fosse stato risuscitato. Anche il Si·
gnore aveva affermato che questo prodigio egli lo avrebbe compiuto per
il popolo che lo circondava, ossia perché credessero in lui. E queste pa·
role non furono vane; ma per aver visto il miracolo molti credettero.
Paolo dirà (1 Cor 1, 22): «l giudei chiedono miracoli».
II
1566 - Con le frasi che seguono (vv. 47-53: «Allora i sommi sa-
cerdoti e i farisei riunirono il sinedrio ... ») l'Evangelista descrive gli
effetti del miracolo sui capi del popolo. Per prima cosa mostra la cat-
tiveria che essi escogitarono contro Cristo; in secondo luogo mostra
come Cristo volle eluderla (vv. 54ss.): «Gesu pertanto non si faceva
piu vedere in pubblico tra i giudei ... ».
A proposito del primo tema il testo precisa tre cose: primo, l'a-
dunanza del sinedrio; secondo, la discussione tra i presenti: «E dice-
vano: Che facciamo? Quest'uomo compie molti prodigi...»; terzo, la
risoluzione del dibattito (vv. 49ss.): «Ma uno di loro, di nome Caifa,
ecc.».
III
IV
v
1573 - L'Evangelista indica poi la risoluzione del dibattito, con
quelle parole: «Ma uno di loro, di nome Caifa ... disse loro: Voi non
capite nulla, e non considerate, ecc.».
Per prima cosa viene COSl indicata la risoluzione; in secondo luo-
go se ne dà la spiegazione (v. 51): «Questo però non lo disse da se
VI
1575 - Nella frase successiva (<<Voi non capite m1lla, ecc.») ab-
biamo le parole del risolutore: il quale per prima cosa rimprovera agli
altri la loro ignavia, dicendo: «Voi non capite nulla, e non considera-
te ... »; ossia: Voi siete indolenti e 'trattate la cosa con trascuratezza.
Perciò ecco che in secondo luogo propone la propria malizia: «È me-
glio che muoia un solo uomo per il popolo ... ». Parole che hanno un
senso secondo l'intenzione di Caifa, e un altro secondo la spiegazio-
ne dell'Evangelista.
Per proporre quindi un commento secondo l'intenzione perversa
di lui, dobbiamo tener presente quanto comanda il Signore nel Deu-
teronomio con quelle parole: «Se di mezzo a te verrà fuori un profe-
ta, o uno che dica d'aver avuto una visione ... e ti vorrà allontanare
dal Signore ... , quel profeta o inventore di sogni sia messo a morte»
(Dt 13, lss.). In base a questa legge Caifa credeva di dover trattare
Cristo come uno che allontanava il popolo dal culto di Dio (vedi Le
23, 2: «Abbiamo trovato costui che sobillava la nostra nazione ... »).
Ecco perché dice nel sinedrio: «Voi non conoscete, non capite» la Leg-
ge, «e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo»,
cioè quest'uomo, affinché tutto il popolo non venga sedotto. Come
per dire: Bisogna sacrificare la vita di un uomo per il bene comune
dello stato. Di qui le parole conclusive del brano citato (Dt 13, 5):
«Cosi estirperai di mezzo al popolo questo malanno». E Paolo ribadi-
sce: «Eliminate di mezzo a voi il malvagio» (1 Cor 5, 13).
VII
lo Spirito Santo (si pensi alla promessa evangelica [Mt 10, 20]: «Non
siete voi a parlare, ma è lo spirito del Padre vostro che parla in voi»);
altre volte invece capita perché uno è mosso dallo spirito maligno,
come capita agli indemoniati, ai quali talora si attribuisce l'atto di
profetare. Per il primo caso bastino le parole della 2 Pt 1, 21: «La
profezia non venne pronunziata nel passato per umano volere; ma ispi-
rati dallo Spirito Santo hanno parlato i santi uomini di Dio». Per il
caso di quelli che sono mossi dallo spirito maligno, si pensi a quelle
parole di Geremia (29, 26): «Il Signore ha costituito te sacerdote al
posto del sacerdote Joiada, perché eserciti il potere di capo nella casa
del Signore, contro ogni uomo spiritato che fa il profeta».
Si deve anche notare che talora chi parla sotto la mozione dello
Spirito Santo e dello spirito maligno è cosi posseduto da perdere l'u-
so libero della ragione. Altre volte invece essi conservano il libero uso
della ragione, e non vengono trascinati fuori di sé. Infatti quando so-
vrabbondano le virtu della parte sensitiva per !'influsso di una causa
superiore, la ragione rimane legata, e quel soggetto viene cosi mosso
e posseduto. E poiché il demonio ha il potere di influire sulla fanta-
sia, che è una facoltà organica, talora può talmente suggestionarla da
legare in qualche modo la ragione, senza però costringerla al consen-
so; e allora l'uomo è posseduto dallo spirito maligno.
gnità di Caifa, per desumere che parlò allora sotto la mozione dello
Spirito Santo. E ciò vale a farci comprendere che lo Spirito Santo
muove anche i malvagi costituiti in autorità ad esprimere alcune cose
vere e future, per l'utilità dei loro sudditi.
Perciò all' argomento addotto in contrario, che cioè egli allora abbia
detto il falso nell' affermare: «È meglio per voi che muoia un solo uo-
mo per il popolo», si può rispondere in due maniere: primo, che di
suo la morte di Cristo giovò a tutti, anche a quelli che lo uccideva-
no, come risulta dalle parole dell' Apostolo: «Egli è il salvatore di tut-
ti gli uomini, massimamente dei fedeli» (1 Tm 4, lO); «Affinché per
la grazia di Dio a favore di tutti subisse la morte ... » (Eh 2, 9). Se-
condo, si risponde riducendo la frase, «è meglio per voi», all'equiva-
lente: per il popolo. Infatti l'Evangelista, mentre Caifa dice «per voi»,
preferisce la formula: «per la nazi<?ne».
5 Cf. Commento Vango Giov., l. 28, C. 13, 98-104, GCS 4, pp. 404-405; UTET, pp.
709-710.
290 Tommaso d'Aquino.
VIII
1580 - Con la frase che segue (<<E non per la nazione soltanto,
ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi») l'E-
vangelista ha aggiunto alle parole del sommo sacerdote l'affermazione
che Gesti sarebbe morto non soltanto per il popolo dei giudei, come
aveva detto Caifa (<<Gesti», dice Paolo, «per santificare il popolo con
il proprio sangue, pati fuori della porta della città», Eb 13, 12), ma
per tutto il mondo: «Per riunire insieme i figli di Dio che erano di-
spersi».
In proposito, tuttavia, bisogna evitare l'eresia dei manichei, i quali
dicono che ci sono delle anime che emanano dalla sostanza divina,
e so1)o chiamate figli di Dio. E affermano che Dio è venuto nel mon-
do per riunire insieme soltanto queste anime. Ora, tutto ciò è falso;
poiché in Ezechiele (18, 4) si legge: «Tutte le anime sono mie», mie
per creazione. Perciò la frase: «Per riunire insieme i figli di Dio che
erano dispersi», non va intesa nel senso che esse avevano già in pre-
cedenza lo spirito di adozione; perché, come scrive san Gregorio 6,
esse non erano ancora né sue pecore, né figli di Dio per adozione.
Ma la frase va intesa in rapporto alla predesdnazione divina; vale a
dire in questo senso: «per riunire i figli di Dio», ossia quelli che era-
no predestinati dall'eternità (<<Quelli che egli ha preconosciuti ... a es-
seri conformi all'immagine del Figlio suo, si da fare di lui il primoge-
nito tra molti fratelli», Rm 8, 29), «i quali erano dispersi» nella va-
rietà delle religioni e dei popoli, «e riunirli» nell'unità della fede. «Ho
altre pecore che non sono di questo ovile; anche· quelle io devo con-
durre ... e si farà un solo gregge e un solo pastore» (sopra, 10, 16).
IX
LEZIONE VIII
«54 Gesu pertanto non si faceva piu vedere in pubblico tra i giudei; egli si
ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove si
trattenne con i suoi discepoli. 55 Era vicina la pasqua dei giudei e molti dalla
regione andarono a Gerusalemme prima della pasqua per purificarsi. 56 Essi
cercavano Gesu e stando nel tempio dicevano tra loro: Che ve ne pare? Non
verrà egli alla festa? 57 Intanto i sommi sacerdoti e i farisei avevano dato
ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunziasse, perché essi potes-
sero prenderlo».
1584 - Ma che forse gli era venuta a mancare quella sua poten-
za, per cui, se voleva, avrebbe potuto stare apertamente tra i giudei,
senza che potessero fargli nulla? Niente affatto; ma egli fece in quel
modo non per mancanza di potenza, bensl per dare un esempio ai
suoi discepoli. Da questo fatto appare evidente che non è peccato,
qualora i suoi discepoli si sottraggano dallo sguardo dei persecutori,
e col nascondersi evitino la rabbia degli scellerati, invece di provo-
carla mostrandosi a loro. E ciò in base al detto evangelico (Mt lO,
23): «Se vi perseguitano in una città, fuggite in un'altra».
Inoltre Origene 1 afferma che nessuno deve cacciarsi nei perico-
li; tuttavia è sommamente da lodarsi che quando già il pericolo in-
combe, non si eviti di confessare apertamente Gesu, né, si ricusi di
1 Cf. Commento Vango Giov., l. 28, C. 23, 192-195, GCS 4, pp. 417-418; UTET,
p. 726.
Commento a S. Giovanni, XI, 1471-1588 293
subire la morte per la verità. E questo per due motivi. Primo, perché
è grave presunzione cacciarsi nel pericolo senza conoscere la propria
virtu, che talora si riscontra fragile, e per l'incertezza su quanto può
capitare in futuro. «Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere»
(1 Cor lO, 12), ammonisce l'Apostolo. Secondo, per evitare, presen-
tandosi ai persecutori, di offrir loro l'occasione di diventare ancora
piu scellerati e dannosi, secondo il consiglio paolino: «Non date occa-
sione di scandalo né ai giudei, né ai gentili, né alla Chiesa di Dio»
(1 Cor lO, 32).
II
COSI da poter ricevere come si deve il Corpo del Signore nostro nel
giorno di Pasqua.
III
IV
LEZIONE I
«1 Sei giorni prima della pasqua Gesti andò a Betania, dove si trovava Laz-
zaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2 E qui gli fecero una cena: Mar-
ta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3 Maria allora, presa una lib-
bra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesti
e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempi del profumo dell'un-
guento. 4 Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli che doveva poi tra-
dirlo, disse: 5 Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento da-
nari per poi darli ai poveri? 6 Questo egli disse non perché gl'importasse dei
poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che
vi mettevano dentro».
II
III
1594 - In senso spirituale è giusto che la cena gli sia stata im-
bandita là, ossia a Betania, perché il Signore viene ristorato spiritual-
mente nella casa dell'obbedienza, rallegrato dalla nosqa obbedienza,
secondo le parole dell' Apocalisse (3, 20): «Se uno ascolta la mia voce
e apre l'uscio, entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me».
IV
po: poiché questa unse il Signore sei giorni prima del giorno di pa-
squa; quella invece di cui parlano Matteo e Marco lo fece due giorni
prima di pasqua. Infatti Matteo prima del racconto premette la frase
del Signore: «Voi sapete che tra due giorni è la pasqua» (Mt 26, 2).
E Marco precisa (14, 1): «Alla festa di pasqua e ai giorni degli azimi
mancavano due giorni». Secondo, partendo dalla diversità di luogo:
poiché di quella donna si narra che ciò fece nella casa di Simone il
lebbroso; invece il fatto che qui si narra avvenne nella casa di Marta,
poiché si legge che Marta serviva a mensa, come nota Agostino 5. Ter-
zo, partendo dalla diversa impostazione del fatto: poiché in quel caso
si legge che la donna cosparse il capo, qui invece vengono cosparsi
i piedi del Signore.
Agostino 6 e Gregorio 7 affermano che identica è la donna di cui
tutti e quattro gli Evangelisti raccontano che unse cosi il Signore, ma
essa dovette ripetere due volte quel gesto. La prima volta all'inizio
della propria conversione, mentre era in pieno svolgimento la predi-
cazione di Cristo; e ciò è narrato da Luca. La seconda volta nell'im-
minenza della Passione di Cristo: e ciò è narrato dagli altri tre Evan-
gelisti. Perciò identico sarebbe l'episodio narrato qui e nei Vangeli
di Matteo e di Marco.
Per quanto riguarda poi la discordanza del tempo, si risponde con
Agostino 8, che Giovanni rispetta nella narrazione l'ordine cronologi-
co; mentre Matteo e Marco, in base ai ricordi, inseriscono questo fatto,
che era avvenuto prima del tradimento di Giuda, nel parlare di .esso,
cui pare abbia dato occasione.
Per quanto riguarda la discordanza del luogo si può pensare che
la casa di Simone illebbroso fosse anche la casa di Maria e di Marta,
e che Simone fosse il capo-famiglia. E viene chiamato lebbroso; per-
ché, in precedenza lebbroso, era stato poi guarito da Cristo.
Per quanto poi riguarda la discordanza nel fatto stesso, si può
rispondere con Agostino 9, che la donna cosparse il profumo sia sui
piedi che sul capo.
«Sei hai del superfluo, dàllo ai poveri, e avrai asciugato i piedi del
Signore» IO.
Con la frase poi: «Tutta la casa si riempi del profumo dell'un-
guento», si vuole indicare che mediante le opere della giustizia la buona
fama riempie tutta la Chiesa. Di qui le parole dell' Apostolo: «Dio ma-
nifesta in ogni luogo per mezzo nostro il profumo della sua conoscen-
za, giacché noi siamo il buon odore di Cristo» (2 Cor 2, 14s.).
v
1600 - Con le parole che seguono (<<Disse allora Giuda Iscario-
ta, uno dei suoi discepoli ... ») viene descritto lo zelo del suo tradito-
re, suscitato dall' ossequio suddetto.
In proposito l'Evangelista precisa due cose: primo mostra lo zelo
del traditore; secondo, la repressione di esso (v. 7): «Gesti allora dis-
se: Lasciala fare ... ».
Circa il primo tema vengono indicati tre particolari: per prima
cosa viene descritta la persona del traditore; in secondo luogo vengo-
no riferite le sue parole: «Perché quest'olio profumato non si è ven-
duto per trecento danari ... ?»; in terzo luogo viene indicata la sua cat-
tiva intenzione: «Questo egli disse non perché gl'importasse dei po-
veri, ma perché era ladro ... ».
VI
VII
1604 - Due sono qui le cose da notare. Primo, che Cristo, es-
sendo povero, viveva di elemosine, secondo la frase del Salmista (39,
18): «lo sono povero e mendico». Secondo, che non deroga alla per-
fezione il conservare le elemosine in cassa, o in borsa; cosicché la frase
evangelica (Mt 6, 36): «Non vi preoccupate del domani», non va inte-
sa nel senso che non si debba conservare nulla per il domani, dal mo-
304 Tommaso d'Aquino
mento che cosi faceva il Signore, che era l'esemplare sommo della per-
fezione. '
11 Cf. In lo. Ev., tr. 50, lO; NBA 24, 1006; tr. 50, 11; NBA 24, 1008.
Commento a S. Giovanni, XII, 1589-1726 305
LEZIONE II
«7 Gesu allora disse: Lasciatela fare, perché lo conservi per il giorno della
mia sepoltura. 8 I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avre-
te me. 9 Intanto la gran folla dei giudei venne a sapere che Gesu si trovava
là, e accorse non solo per Gesu, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva
risuscitato dai morti. lO I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere an-
che Lazzaro, 11 perché molti giudei se ne andavano a causa di lui e crede-
vano in Gesu».
1611 - «Ma non sempre avrete me». Suona però in senso con-
trario la frase riferita 'in Mt 28, 20: «Ecco, io sono con voi tutti i
giorni, sino alla fine del mondo».
RISPOSTA. «Secondo Agostino 2, il Signore nel dire: «ma non sem-
pre avrete me», parlava della presenza del suo corpo, come appare nella
sua specie propria, e con la quale era sul punto di andare in cielo.
In tal senso dirà pure in seguito (infra, 16, 28): «Lascio di nuovo il
mondo e vado al Padre». Invece quanto alla presenza della sua divi-
nità egli è sempre con noi; ed è presente anche sacramentalmente nella
Chiesa.
Oppure si può dare quest'altra spiegazione, dicendo che il Signore
ha inteso riferirsi alla presenza della sua divinità. Infatti ci sono uo-
mini che sembrano possedere Cristo spiritualmente, o sacramentalmen-
te, o nella loro professione di fede; e tuttavia non sempre son desti-
nati a possederlo di fatto, appartenendo essi alla Chiesa solo numeri-
camente, però senza virtu o meriti: e costoro sono soltanto schiavi.
I figli invece lo possiedono per sempre; poiché sta scritto (sopra, 8,
35): «Lo schiavo non resta sempre nella casa, ma il figlio vi resta sem-
pre». Perciò egli dice a Giuda) «Non sempre avrete me», perché tu
ti sei reso indegno di questo.
Come scrive il Crisostomo 3, il Signore per questo appunto rim-
proverava Giuda: perché con l'insofferenza per l'ossequio prestato a
Cristo mostrava di mal sopportare la presenza di Cristo. Perciò Cri-
sto afferma: «Ma non sempre avrete me», come per dire: lo ti sono
sgradito e ti sono di peso; aspetta ancora un po' e me ne vado.
III
IV
LEZIONE III
é 2 Il giorno seguente la gran folla che era venuta alla festa, udito che Ge-
su veniva a Gerusalemme, 13 prese dei rami di palme e usci incontro a lui
gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'I-
sraele! 14 Gesu, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: 15 Non
temere, figlia di Sion! Ecco il tuo re viene a te, seduto sopra un puledro
d'asina. 16 Sul momento i suoi discepoli non compresero queste cose; ma
quando Gesu fu glorificato, si ricordarono che questo era stato scritto di lui
e questo gli avevano fatto. 17 Intanto la gente che era stata con lui quando
chiamò Lazzaro fuori del sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli rendeva testi-
monianza. 18 Anche per questo la folla gli andò incontro, perché aveva udi-
to che aveva compiuto quel segno. 19 I farisei allora dissero tra di loro: Ve-
dete che non concludiamo nulla? Ecco che il mondo intero va dietro a lui».
1616 - Viene qui descritta la devozione della folla che andò in-
contro a Cristo.
Per prima cosa si parla di tale incontro; secondo, della gelosia
dei farisei: «l farisei allora dissero tra di loro ... » (v. 19).
Circa il primo tema l'Evangelista precisa tre particolari: in pri-
mo luogo descrive l'accoglienza della foll!!; in secondo luogo la venu-
ta del Signore: «Gesu trovato un asinello vi montò sopra, ecc.»; ter-
zo, indica il motivo di quell' accoglienza: «Intanto la gente ... gli ren-
deva testimonianza».
1622 - Essi ne gridano le lodi per due motivi: per la sua venu-
ta, e per la potenza del suo regno.
Ne lodano la venuta col dire: «Benedetto colui che viene nel no-
me del Signore». Da notare che benedire equivale a dir bene. Ma il
modo con cui Dio benedice noi è ben diverso da come noi bediciamo
Dio. Dio infatti nel benedire noi ci rende buoni; poiché il suo dire
equivale a fare: «Egli disse e i cieli furono fatti...» (Sal 148, 5). Noi
invece benediciamo il Signore confessando la sua bontà. «Vi benedi-
ciamo dalla casa del Signore ... » (Sal 117, 26). «Chi ti benedirà sia
ricolmo di benedizioni...» (Gn 27, 29).
Perciò «benedetto colui che viene nel mone del Signore!». Cri-
sto infatti agiva in nome di Dio; poiché tutto ciò che faceva lo indi-
rizzava alla gloria di Dio.
Siccome però è Signore sia il Padre che il Figlio, questa espres-
sione (<<Benedetto colui che viene nel nome del Signore») può essere
intesa in due maniere. Primo, nel senso che Cristo è venuto nel suo
stesso nome, quale Signore. Come dice Isaia (33, 22): «Il Signore è
il nostro legislatore ... egli ci salverà». Mosè quindi non venne in que-
sto senso nel nome del Signore, perché venne come servo. «Mosè fu
si fedele in tutta la casa di Dio come servitore, a testimonianza delle
cose che sarebbero state annunziate» (Eb 3, 5). Ma, come dice Ago-
stino 3, qui l'espressione «nel nome del Signore, è meglio intenderla
riferita al Padre. Poiché tutte le parole di Cristo indirizzano a lui la
nostra intelligenza. «lo sono venuto nel nome del Padre mio» (sopra,
5, 43). Egli però è venuto nel nome del Padre suo in due maniere.
Primo, in quanto è venuto come Figlio, che, essendo relativo al Pa-
dre, ce ne offre in quanto tale la conoscenza; secondo, in quanto è
venuto quale rivelatore del Padre; come appunto dirà in seguito (17,
6): «Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini ... ».
" 1623 - Essi poi esaltavano la potenza del suo regno, dicendo: «Il
re d'Israele». In senso letterale i giudei credevano che Gesu fosse ve-
nuto per regnare temporalmente su di essi, e per liberarli dal domi-
nio dei romani. Perciò lo acclamavano come re, pensando alle parole
dei Profeti: «Susciterò a David un rampollo giusto, un re che regnerà
e sarà sapiente» (Gr 23, 5); «Ecco che il re regner~ per la giustizia,
e i principi per l'equità terranno il principato» (Is 32, 1).
II
4 Girolamo qui è éitato ovviamente solo come traduttore del testo scritturale.
314 Tommaso d'Aquino
III
1627 - Con le parole che poi seguono: «... come sta scritto, ecc.»,
l'Evangelista cita la profezia di Ze 9, 9, in cui per prima cosa viene
la sicurezza; in secondo luogo la maestà di un re; e in terzo luogo
la sua utilità.
Presenta la sicurezza col dire: «Non temere, figlia di Sion, ecc.».
Sion era l'acropoli di Gerusalemme, in cui c'era l'abitazione del re.
Perciò la figlia di Sion è il popolo di Gerusalemme e dei giudei, sud-
dito del re di Gerusalemme. Quindi è raccomandato ai giudei di non
temere, perché il Signore è il loro difensore. Di qui le parole della
Scrittura: «Chi sei tu, da aver paura di un uomo mortale?» (ls 51,
12); «Il Signore è il difensore della mia vita, di chi avrò paura?» (Sal
26, 1). L'Evangelista vuole escludere cosi il timore mondano e servile.
Egli promette poi la maestà di un re, dicendo: «Ecco il tuo re
viene, ecc.». Vedi passi analoghi della Scrittura: «Ci è stato dato un
pargolo ... e il principato è stato posto sulle sue spalle» (Is 9, 6); «Egli
sederà sul tronco di David e sopra il suo regno» (ibid., 7).
E dice «tuo» tale re, in quanto da te ha preso carne; poiché «non
ha assunto gli angeli, ma ha assunto il seme di Abramo» (Eb 2, 16).
Ed è tuo in quanto istituito a tuo vantaggio; perciò è detto che «vie-
ne a te».
Tuttavia con la loro resistenza essi impediranno il loro vantag-
gio. Di qui le parole evangeliche (Le 19, 42): «O se tu conoscessi,
e proprio adesso, quel che giova alla tua pace! Invece ora ciò è nasco-
sto ai tuoi occhi». Egli viene a te non per spaventarti, ma per libe-
rarti; ed ecco perché il testo aggiunge: «seduto sopra un puledro d'a-
sina». Espressione questa che indica la clemenza del re, assai gradita
ai sudditi, secondo la frase dei Proverbi (20, 28): «Sulla clemenza trova
solidità il suo trono». Ciò è il contrario di quanto si legge nello stes-
so Libro (19, 12): «Come il ruggito del leone, cosi l'ira del re». Il
che equivale a dire: Egli non viene con la fastosità di un re, per cui
potrebbe essere odioso, ma viene nella mansuetudine. Di qui il consi-
Commento a S. Giovanni, XII, 1589-1726 315
glio: «Ti han fatto capo? Non metter su superbia» (Bccli 32, 1). Per-
ciò non temere l'oppressione della regalità. La legge antica, si, era stata
data nel timore, perché la Legge genera schiavitti.
Inoltre dal fatto suddetto viene indicata anche la potenza di questo
re, in quanto egli, venendo nell'umiltà e nella debolezza, attirò a sé
tutto il mondo. «La debolezza di Dio è piti forte degli uomini» (1
Cor 1, 25), dirà Paolo.
IV
1629 - Nella frase successiva (<<Intanto la gente che era stata con
lui quando risuscitò Lazzaro ... gli rendeva testimonianza») l'Evange-
lista indica il motivo di quella accoglienza, ossia la testimonianza che
costoro gli rendevano: «per questo la folla gli andò incontro». L'Apo-
stolo ha scritto (1 Cor 1, 22), che «i giudei chiedono miracoli». Ora
questo era il miracolo piti evidente e piti meraviglioso: per questo Cristo
lo aveva serbato per ultimo, per imprimerlo meglio nella loro memoria.
VI
1630 - Il versetto che segue (<<I farisei allora dissero tra di loro,
ecc. ») mostra la gelosia dei farisei, provocata dalla frustrazione dei
316 Tommaso d'Aquino
loro sforzi. Ecco perché. dicevano: «Vedete che non concludiamo nul-
la? .. ». Non facciamo progressi, cioè, nella nostra malizia, non riuscendo
a ostacolarlo. Il termine proficere è usato nello stesso senso anche in
2 Tm 3, 13: «I malvagi e gli impostori progrediranno di male in peg-
gio, errando e inducendo altri in errore». .
Ma di che cosa si rammarica questa gente? «Che il mondo intero
vada dietro a lui», ossia a colui dal quale il mondo è stato fatto. Ciò
tuttavia stava a significare che un giorno il mondo intero avrebbe se-
guito Cristo. Di qui la profezia di Osea (6, 3): «Conosceremo e pro-
seguiremo nel conoscere il Signore». Invece il Crisostomo 5 ritiene che
quelle parole appartengano ai farisei che avevano creduto, sia pure
di nascosto per paura dei giudei. Essi le avrebbero dette per disto-
gliere gli altri dal perseguitare Cristo. Vale a dire in questo senso:
Per quanto voi possiate insidiarlo, egli crescerà, e la sua gloria au-
menterà. Perché dunque non desistete da tante insidie? Il consiglio
suddetto è quasi identico a quello che darà Gamaliele, e di cui parla-
no gli Atti degli Apostoli (5, 34ss.).
LEZIONE IV
«20 Tra quelli che erano saliti a Gerusalemme per il culto durante la festa
c'erano anche alcuni gentili. 21 Questi si avvicinarono a Filippo che era di
Betsaida di Galilea, e gli chiesero: Signore, vogliamo vedere Gesu. 22 Filippo
andò a dirlo ad {lndrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesu.
23 Gesu rispose: E giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. 24 In
verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore,
rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25 Chi ama la sua ani-
ma la perde e chi odia la sua anima in questo mondo, la conserverà per la
vita eterna. 26 Se uno mi vuoi servire, mi segua, e dove sono io, là sarà an-
che il mio servo. Se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà».
II
1633 - La loro devozione verso Cristo risulta dal fatto che desi-
deravano vederlo: «Questi si avvicinarono a Filippo, ecc.». Va tenuto
presente che Cristo personalmente volle predicare solo ai giudei, co-
me ricorda Paolo (Rm 15, 8): «Dico insomma che Cristo si è fatto
ministro dei circoncisi, in favore della veracità di Dio, per compiere
le promesse dei padri ... ». Predicò poi ai gentili mediante gli apostoli,
secondo le parole di Isaia (66, 19): «Quelli che saranno salvati li man-
derò alle genti ... , e annunceranno alle genti la mia gloria». E in Mt
28, 19 si legge: «Andate e ammaestrate tutte le genti».
Questo dunque veniva già presagito daI fatto che dei gentili, de-
siderosi di vedere Cristo, non si rivolgono direttamente a lui, ma a
uno dei suoi discepoli, ossia a Filippo. E questo bene a ragione, per-
ché sarà [un] Filippo a predicare per primo a coloro che erano estra-
nei alla religione dei giudei, ossia ai samaritani, come è narrato negli
Atti degli Apostoli (8, 5): «Il diacono Filippo, disceso nella città di
Samaria, cominciò a predicarvi il Cristo» 3.
2 Questo concetto inutilmente lo abbiamo cercato nel Crisostomo. Può darsi che il se-
gretario «stenografo» e redattore, fra' Reginaldo da Piperno, abbia fatto confusione;
perché l'idea qui espressa e sviluppata, nella Catena Aurea (p. 496 dell'edizione Ma-
rietti) è attribuita a Beda, la cui citazione è seguita da un brano dal Crisostomo. In
realtà sia questa che la precedente citazione sono da riferirsi alla Glossa interlinearis.
Noi le abbiamo reperite alla col. 1218 della seguente edizione: Bibliorum Sacrorum
cum glossa ordinaria iam ante quidem a Strabo fulgensi collecta nunc autem novis cum
graecorum, tum latinorum patrum expositionibus locupletata ... Et postilla Nicolai Lyrani:
additionibus Pauli Burgensis ad ipsum Lyranum ... , Venetiis, MDCIII, t. V: i Vangeli.
3 Nel testo latino questa predicazione ai samaritani è attribuita all'apostolo Filippo
in persona (<<venerunt ... ad Philippum. Et hoc congruenter, qui a ipse primus prae-
Commento a S. Giovanni, XII, 1589-1726 319
III
dicavit his qui erant extra ritum Iudeorum ... »). Ma Tommaso mostra di ben cono-
scere la storia e la distinzione dei due santi (vedi Somma Teol., III, q. 38, a. 6,
argo 1 e ad 1). Perciò tutto lascia supporre che egli abbia fatto un accostamento,
sul tipo di quello escogitato dalla nostra traduzione con un piccolo accorgimento,
e che i redattori della reportatio non l'abbiano ben compreso.
320 Tommaso d'Aquino
IV
che degli inferi, come accenna Paolo (Col 2, 14s.). Ecco perché sopra
(2, 4) egli aveva detto: «Non è ancora giunta la mia ora»; perché al-
lora non era pronta la devozione dei gentili, come lo è attualmente.
Secondo, fu glorificato nella sua risurrezione e ascensione. Infat-
ti fu prima necessario che Cristo risorgesse e ascendesse al cielo, per
poter inviare lo Spirito Santo sugli apostoli, i quali dovevano conver-
tire le genti. Vanno qui ricordate quelle p~role (sopra, 7, 39): «Non
era stato ancora dato lo Spirito, perché Gesti non era stato ancora
glorificato»; e quelle del Salmista (67, 19): Cristo «ascendendo in al-
to, trascinò dietro prigionieri».
Terzo, egli fu glorificato dalla conversione dei gentili: «Ogni lin-
gua confessi che Gesti Cristo è Signore nella gloria di Dio Padre» (Fil
2, 11).
v
1638 - Nella frase successiva (<<In verità, in verità vi dico, ecc.»)
Cristo indica la necessità della sua Passione. Per prima cosa l'affer-
ma; in secondo luogo ne spiega l'utilità: «Se invece muore produce
molto frutto».
VI
1641 - Viene poi indicata l'utilità della Passione: «Se invece muo-
re, produce molto frutto». Vale a dire: Se prima non cade per terra
mediante l'umiliazione della Passione (vedi Fil 2, 2: «Umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte»), non ne seguirà nessun van-
taggio, perché «rimane lui solo». Ma «se muore», assassinato e ucciso
dai giudei, «porta molto frutto». Per prima cosa il frutto: la remissio-
ne dei peccati, secondo le parole di Isaia (27, 9): «E questo sarà il
frutto: la remissione del peccato». Frutto che fu arrecato appunto dalla
Passione di Cristo: «Cristo è morto una volta per sempre per i pecca-
ti, giusto per gli ingiusti, per ricondurci a Dio» (1 Pt 3, 18). Il secon-
do frutto fu quello della conversione a Dio dei gentili. In seguito Cristo
dirà ai discepoli (infra, 15, 16): «Vi ho costituiti perché andiate e por-
tiate frutto e il vostro frutto rimanga». Ma anche tale frutto si deve
alla passione di Cristo: «lo, quando sarò esaltato da terra, attirerò tutti
a me» (infra, v. 32). In terzo luogo essa porta il frutto della gloria;
di qui l'accenno di Sap 3, 15: «Il frutto delle generose fatiche è glo-
rioso». E sopra (4, 36) abbiamo letto: «Chi miete riceve salario e rac-
coglie frutto per la vita eterna». Anche questo frutto si deve alla pas-
sione di Cristo. «Abbiamo piena fiducia di entrare nel santuario per
mezzo del sangue di Cristo, per questa via nuova e vivificante che
egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne» (Eb
lO, 19).
Commento a S. Giovanni, XII, 1589-1726 323
VII
1642 - Passa qui a parlare della necessità della morte altrui, ossia
di quanti per amore di Cristo si espongono alle sofferenze. Per prima
cosa afferma la necessità di questa morte; in secondo luogo esorta ad
affrontarla: «Se uno mi vuoI servire, mi segua».
Circa il primo tema fa due rilievi: innanzi tutto mostra la necessità
di subire la morte per Cristo; quindi mostra l'utilità di questa morte (v.
25): «Chi odia la sua anima in questo mondo, la conserverà per la vita
eterna».
1643 - «Chi ama la sua anima la perde ... ». Ogni uomo ama la pro-
pria anima. Però alcuni l'amano realmente, altri invece l'amano in qual-
che modo (seeundum quid). Amare infatti qualcuno significa volergli del
bene; perciò ama la propria anima chi le vuole del bene. Quindi chi vuo-
le all' anima propria il vero bene, l'ama realmente; chi invece le vuole
solo un bene particolare, l'ama seeundum quid. Ora, i veri beni dell' ani-
ma sono quelli che la rendono buona, ossia il sommo bene che è Dio.
Quindi chi vuole all'anima propria il bene divino e spirituale, l'ama real-
mente; chi invece vuole per essa i beni terreni, come le ricchezze, gli
onori, i piaceri e simili, l'ama solo seeundum quid. Come dice appunto
il Salmista (lO, 5): «Chi ama l'iniquità odia la propria anima». Di qui
le parole dell'Ecclesiastico (18, 31): «Se appagherai per la tua anima le
tue passioni, farà di te il ludibrio dei tuoi nemici».
VIII
IX
1646 - Ma poiché può sembrare dura cosa per l'uomo odiare la pro-
pria anima, il Signore aggiunge l'esortazione: «Se uno mi vuoI servire,
mi segua; e il Padre mio lo onorerà». Per prima cosa presenta l'esorta-
zione; quindi ne indica il motivo: «Se uno mi serve, il Padre mio lo
onorerà».
x
1648 - Viene poi addotto il motivo dell' esortazione suddetta: «Se
uno mi serve, il Padre mio lo onorerà»; poiché chi si fa servo di Cristo
il Padre lo onora. Sopra (5, 23) però abbiamo letto: «... perché tutti ono-
rino il Figlio come onorano il Padre». Cosicché onorare il Figlio è l'i-
dentica cosa che onorare il Padre. Ora, il Padre ha affermato (1 Re 2,
30): «lo glorificherò chiunque mi avrà glorificato». Perciò chi serve Ge-
su, cercando non i vantaggi propri, ma quelli di Gesu Cristo, il Padre
di Gesu lo onorerà. Qui Cristo non dice: «lo lo onorerò», ma «lo onore-
rà il Padre mio», perché i discepoli non avevano ancora di lui una tale
opinione da considerarlo uguale al Padre.
Oppure possiamo ritenere che egli abbia detto COSl per esprimere
una maggiore intimità, in quanto essi saranno onorati da quel medesimo
Dio da cui è onorato il Figlio. Poiché quell'onore che il Figlio ha per
natura essi lo avranno per grazia. Ecco perché Agostino afferma: «Il fi-
glio adottivo non potrà avere un onore piu grande che quello di essere
là dove è il Figlio Unigenito» 4. E Paolo ha scritto (Rm 8, 29): «Li ha
predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, COSl da esser
questi il primogenito tra molti fratelli».
LEZIONE V
<(27 Ora l'anima mia è turbata: e che devo dire? Padre, salvami da quest'o-
ra! Ma per questo sono giunto a quest'ora! 28 Padre, glorifica il tuo nome.
Venne allora una voce dal cielo: L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò.
29 La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Al-
tri dicevano: Un angelo gli ha parlato. 30 Rispose Gesti: Questa voce non è
venuta per me, ma per voi. 31 Ora è il giudizio di questo mondo; ora il prin-
cipe di questo mondo sarà gettato fuori. 32 lo quando sarò elevato da terra
attirerò tutto a me. 33 Questo diceva per indicare di qual morte doveva
morire».
1650 - Si noti, a proposito del primo tema, che lascia stupiti quel-
lo che egli dice: «Ora l'anima mia è turbata». Sopra infatti egli ha
esortato i suoi fedeli a odiare la loro anima in questo mondo, e ades-
so, all' approssimarsi della morte, sentiamo che il Signore stesso di-
chiara: «Ora l'anima mia è turbata». Ecco perché Agostino ha scrit-
to: «Signore, tu comandi all'anima mia di seguirti, ed ecco che la tua
anima è turbata; quale sostegno cercherò, se persino la pietra
crolla?» l.
Perciò per prima cosa dobbiamo vedere in che consiste questo
turbamento di Cristo; e in secondo luogo perché egli abbia voluto
subirlo.
volta un essere è posto fuori del suo stato abituale di quiete, si dice
che è turbato. Ora, nell' anima umana c'è la parte sensitiva e quella
razionale. Ebbene, nella parte sensitiva dell'anima avviene un turba-
mento quando viene oppressa dal timore, sollevata dalla speranza, di-
latata dalla gioia o mossa da qualche altra passione. Ma tale turba-
mento talora rimane sotto il controllo della ragione; invece altre vol-
te sfugge ai limiti della ragione, quando la ragione stessa viene turba-
ta. E questo capita spesso a noi; ma in Cristo ciò non avveniva, es-
sendo egli la sapienza del Padre. E non avviene neppure in un' altra
persona saggia: cosicché, a detta degli stoici, il sapiente non si turba;
vale a dire, non si turba nella sua parte razionale.
In base a questo, ecco la spiegazione della frase suddetta: Ora l'a-
nima mia è turbata: è agitata dalle passioni del timore e della tristezza,
rispetto alla parte sensitiva; ma da esse non è però turbata la ragione,
che non esce dal suo ordine. Nel Vangelo di Marco (14, 33) si legge:
che Gesu «cominciò a tremare e ad essere in preda all'angoscia».
Ora, tali passioni in Cristo ci furono in maniera' diversa da co-
me sono in noi. In noi esse insorgono in maniera necessaria, in quan-
to veniamo agitati e sollecitati dall'esterno; invece in Cristo esse non
sono dovute a necessità, bensl all'impero della ragione; poiché in lui
non ci fu una passione che egli non istigasse. Infatti le potenze infe-
riori in Cristo erano totalmente soggette alla ragione, da non poter
agire o compiere se non quello che la ragione loro comandava. Per
questo sopra nel cap. 11, 33 abbiamo letto, che «Gesu fremette nel
suo spirito e turbò se stesso». Ciò secondo la frase del Salmista (59,
4): «Hai scosso la terra», ossia la tua natura umana, «e l'ha.i turbata».
Perciò l'anima di Cristo non si turbò contro la ragione, ma il
suo turbamento fu secondo l'ordine della ragione.
II
2 Per Apollinare vedi sopra, val. I, n. 168; infra n. 1798, nota 2. Di Aria l'Autore
ha parlato molte volte nei capitoli precedenti: vedi sopra n. 61, nota 34. A propo-
sito della singolare unione dell'umanità assunta col Verbo assumante, vedi Somma
Teol., III, q. 5.
3 Cf. ARISTOTELE, Retorica, l. 2, c. 5, 1383a.
-
Commento a S. Giovanni, XII, 1589-1726 329
ne, perché sono venuto apposta per morire; non trascinato dalla ne-
cessità del 'destino, non costretto dalla violenza degli uomini, ma ka-
crificato spontaneamente. «È stato sacrificato perché l'ha voluto» (15
53, 7). L'anima mia «nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso»
(sopra, lO, 18).
III
1661 - Con la frase successiva (<<Venne allora una voce dal cie-
lo: ... lo glorificherò») viene riferita la promessa della glorificazione.
Per prima cosa si parla della voce di uno che promette la gloria;
secondo, viene riferita l'opinione della folla devota rimasta dubbiosa:
Commento a S. Giovanni, XII, 1589-1726 331
«La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuo-
no ... »; terzo, segue la spiegazione della voce suddetta (v. 30): «Rispo-
se Gesti: Questa voce non è venuta per me, ma per voi...».
IV
v
1664 - Segue la spiegazione della voce suddetta: «Questa voce,
rispose Gesti, non è venuta per me ... ». E in proposito per prima cosa
il testo riferisce tale spiegazione; secondo, riporta la contestazione della
folla (v. 34): «Allora la folla gli rispose ... »; terzo, conclude con la ri-
sposta del Signore: «Gesti allora disse loro ... ».
Circa il primo tema il Signore indica prima di tutto il motivo
di quella voce; in secondo luogo ne dà la spiegazione: «Ora è il giudi-
zio di questo monqo ... ».
VII
VIII
10 Cf. De Div. Quaest., q. 25 (PL 40, 17); De Symbolo, c. 3 (PL 40, 632); Contra
Adimantum, c. 21 (PL 42, 16.6-167).
Commento a S. Giovanni, XII, 1589-1726 337
LEZIONE VI
«34 Allora la folla gli rispose: Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cri-
sto rimane in eternai come dunque tu dici che il Figlio dell'uomo deve esse-
re elevato? Chi è questo Figlio dell'uomo? 35 Gesti allora disse loro: Anco-
ra per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la 'luce, per-
ché non vi sorprendano le tenebre: chi cammina nelle tenebre non sa dove
va. 36 Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce.
Gesti disse queste cose, poi se ne andò e si nascose da loro».
1678 - Sembra però che la loro frase (<<Il Figlio dell'uomo deve
essere esaltato, o elevato») non contrasti in nessun modo con l'affer-
mazione che «Cristo rimane in eterno».
RISPOSTA. Poiché il Signore aveva l'abitudine di esprimersi in pa-
rabole, essi capivano ormai molte delle sue espressioni. Perciò dalla
frase detta dal Signore essi sospettarono che avesse parlato della esal-
tazione sua sulla croce, come in un testo precedente (sopra, 8, 28):
«Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che lo
sono». Oppure si può rispondere che essi la compresero, perché pen-
savano già di crocifiggerlo. Cosicché la comprensione di queste paro-
le non fu dovuta all' acutezza del loro sapere, ma alla coscienza della
propria mascherata malizia.
II
1681 - Nelle frasi che seguono (<<Gesu allora disse loro ... ») il Si-
gnore scioglie in un certo qual modo i loro dubbi. E per prima cosa
elogia il bene che avevano raggiunto; in secondo luogo li esorta a pro-
gredire: «Camminate mentre avete la luce»; terzo, li ammonisce: «Men-
tre avete la luce camminate nella luce».
1682 - Disse dunque loro Gesu: «Ancora per poco la luce è con
voi» - Adhuc modicum lumem habetis. In latino la frase può, esser
letta in due maniere. Secondo sant'Agostino 3, infatti, il termine mo-
dicum è un aggettivo del sostantivo lumen, e va inteso in questo sen-
so: «C'è ancora in mezzo a voi un po' di luce, in quanto riconoscete
che Cristo rimane in eterno». Questa infatti è una verità, e ogni ma-
nifestazione della verità è una luce infusa da Dio. Tuttavia questa lu-
ce che è in voi è poca; perché pur riconoscendo l'eternità di Cristo,
tuttavia non credete alla sua morte e alla sua risurrezione. Da ciò ri-
sulta chiaro che non avete una fede perfetta. Costoro quindi merita-
no il rimprovero 'rivolto a Pietro (Mt 14, 31): «Domo di poca fede,
perché hai dubitato?».
Invece secondo il Crisostomo 4 quel modicum si riferisce al tem-
po: «Ancora per un po' di tempo la luce è con voi»; vale a dire: È
poco il tempo che io, che sono la luce, starò con voi. Vedi la frase
analoga (infra, 16, 16): «Ancora un poco e non mi vedrete».
III
1684 - Il Signore quindi afferma: Dico che voi avete poca luce\
tuttavia mentre siete in possesso di essa camminate; cioè avvicinatevi
e progredite, in modo da intendere, oltre l'eternità di Cristo, anche
la sua morte e la sua risurrezione. Questo secondo la prima spiegazione.
Oppure: «Camminate mentre avete la luce», cioè mentre io sono
con voi progredite e sforzatevi di possedermi in modo da non perdermi
mai; cosi come si esprime il Salmista (88, 16): «Signore, alla luce del tuo
volto essi cammineranno». E questo «perché non vi sorprendano le te-
nebre» dell'incredulità, dell'ignoranza e della dannazione eterna; e allo-
ra non potrete piu camminare. Infatti l'uomo è sorpreso totalmente dal-
le tenebre, quando è immerso del tutto nell'incredulità. Il che avverreb-
be, qualora voi credeste nell'eternità di Cristo, negandone però l'umi-
liazione della morte. Allora Giobbe parla dell' <<uomo cui è nascosta la
via» (Cb 3, 23); «Tutti noi siamo involti nelle tenebre» (ibid., 37, 19).
IV
nella verità perfetta; «per diventare figli della luce», cioè per rinasce-
re alla verità. Come dice l'Apostolo (1 Ts 5, 5s.): «Noi non siamo
della notte, né delle tenebre; perciò non dormiamo».
Oppure, stando alla seconda spiegazione, «Mentre avete la luce»,
ossia mentre avete me che sono la luce (vedi sopra, 1, 9: «Veniva nel
mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo che viene nel mon-
do»), «credete nella luce», cioè in me; ossia progredite nella mia co-
noscenza, «per diventare figli della luce». Poiché per il fatto che cre-
dete in me, sarete figli di Dio, come è stato detto sopra (1, 12): «Ha
dato potere di diventare figli di Dio a quelli che credono nel suo
nome».
VI
LEZIONE VII
é 7 Sebbene avesse compiuti tanti segni davanti a loro, non credevano in lui,
38 perché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia: Signore, chi ha cre~
duto alla nostra parola? E il braccio del Signore a chi è stato rivelato?
39 E non potevano credere, per il fatto che Isaia aveva detto ancora: 40 Ha
reso ciechi i loro occhi e ha indurito il loro cuore, perché non vedano
con gli occhi e non comprendano con il cuore, e si convertano e io li
guarisca. 41 Questo disse Isaia quando vide la sua gloria e parlò di lui».
II
III
1697 - Con le parole che seguono (<<E non potevano credere ... »)
il testo presenta la profezia che aveva predetto la causa della loro in-
credutilità. A ben osservare queste parole dell'Evangelista, stando al
puro senso letterale, sembrano difficili a comprendersi.
Prima di tutto perché se è vero che essi «non potevano credere,
per il fatto che Isaia aveva detto» una tale cosa, i giudei sarebbero
IV
1699 - Dopo questi chiarimenti vanno esaminate le parole di que-
sta profezia, che troviamo in Is 6, lO, non con le stesse parole, però
nello stesso senso. Ebbene, in queste parole troviamo tre cose: primo
l'indurimento e l'accecamento dei giudet; secondo, l'effetto dell'uno
e dell' altro: «... perché non vedano, .. , e· non comprendano»; terzo,
il fine che essi raggiungono: «... e [non] si convertano e io li guarisca».
Si mostra infatti durissimo ciò che non si scioglie con un forte calo-
re,e che non si spezza sotto i colpi di Dio. Ora, le parole di Cristo
«sono come il fuoco, e come il meglio che frantuma le pietre», secon-
do l'espressione di Geremia (23, 39). Son fuoco, perché infiammano
con la carità; e sono un maglio, perché atterriscono con la minaccia
e frantumano con l'evidenza della verità. E tuttavia alle parole di Cristo
il cuore dei giudei non dava ascolto. Perciò è evidente che era indu-
rito, secondo le parole di Giobbe (41, 15): «Il suo cuore è duro come
l'incudine del fucinatore». Rm 9, 18: «A chi vuole Dio usa misericor-
dia, e chi vuole indurisce».
vati. Dio infatti permette che alcuni cadano in peccato, perché dopo
l'umiliazione risorgano piti saldi nella giustizia.
Entrambe le spiegazioni ebbero la loro applicazione in individui
diversi degli stessi giudei. La prima si verificò per quelli che si osti-
narono sino alla fine nell'incredulità; la seconda invece si verificò in
quelli che dopo la morte di Cristo si convertirono a lui, ossia quelli
che compunti nel cuore alle parole di Pietro, dissero agli apostoli: «Fra-
telli, che dobbiamo fare?» (At 2, 37) .
.V
1704 - Circa poi le due cose qui accennate bisogna evitare, a pro-
posito della prima, l'errore degli ariani, i quali sostengono che il Pa-
dre rimane invisibile a ogni creatura, mentre il Figlio sarebbe stato
oggetto delle visioni dell'Antico Testamento. Però, siccome sta scrit-
to qui nel Vangelo (infra, 14, 9): «Chi vede me vede anche il Padre
mio», è evidente che il Figlio è visibile nello stesso modo che il Pa-
dre. Perciò Isaia vedendo la gloria del Figlio vide anche quella del
Padre, anzi vide la gloria di tutta la Trinità, che è l'unico Dio che
siede sopra un trono eccelso, e che i serafini acclamano: «Santo, san-
to, santo!». Però non nel senso che Isaia abbia visto l'essenza della
Trinità, ma vide con l'intelligenza, in una visione immaginaria, alcu-
Commento a S. Giovanni, XII, 1589-1726 351
ni segni della maestà divina, secondo quel testo dei Numeri (12, 6);
«Se vi sarà tra voi un Profeta del Signore, io gli parlerò in sogno,
o in visione».
LEZIONE VIII
«42 Tuttavia anche tra i capi molti credettero in lui, ma non lo riconosce-
vano apertamente a causa dei farisei, per non essere espulsi dalla sinagoga;
43 amavano infatti la gloria degli uomini piu della gloria di Dio. 44 Gesu al-
lora gridò a gran voce: Chi crede in me non crede in me, ma in colui che
mi ha mandato; 45 chi vede me vede colui che mi ha mandato. 46 lo come
luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nel-
le tenebre. 47 Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, non sono
io a giudicarlo; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per
salvare il mondo. 48 Chi mi respinge e non accoglie le mie parole ha chi lo
condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno.
49 Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato egli stes-
so mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. 50 E io so che il suo
comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il
Padre le ha dette a me».
II
III
IV
diceva, sia per mostrare la sua libertà d'animo nel redarguire i pecca-
tori, secondo le parole di Isaia (58, 1): «Grida a squarciagola, non
aver riguardo; come una tromba alza la voce; dichiara al mio popolo
i suoi delitti».
E disse: «Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che
mi ha mandato». Frase questa che sembra contraddittoria, perché di-
ce: «Chi crede in me, non crede in me». Ma per intenderla va nota-
to, seguendo Agostino l, che ciò fu detto dal Signore per distinguere
in se stesso la natura divina dalla natura umana. Poiché oggetto della
fede è Dio, noi possiamo credere l'esistenza di una creatura, però non
dobbiamo credere nella creatura, ma solo in Dio. Ora, in Cristo c'era
una natura creata e una natura increata. Quindi la verità della fede
esige che la nostra fede tenda a Cristo quanto alla sua natura increa-
ta; e per questo qui egli afferma: «Chi crede in me», ossia nella mia
persona, «non crede in me» in quanto uomo, «ma in colui che mi ha
mandato», cioè crede in me in quanto inviato dal Padre. Analogamente
sopra (7, 16) aveva detto: «La mia dottrina non è mia, ma di colui
che mi ha mandato».
Secondo il Crisostomo 2 invece si deve notare che il Signore fa
questa affermazione soltanto per indicare la propria origine. Il suo di-
scorso, cioè, è simile a quello di chi nell'attingere acqua dal fiume
dicesse: Quest'acqua non è del fiume, bensi della fonte; perché non
è del fiume quanto all' origine. Cosi dunque il Signore afferma: «Chi
crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato», co-
me per dire: Non sono io il principio di me stesso, ma a me la Divi-
nità viene da un altro, cioè dal Padre. Perciò «chi crede in me, non
crede in me», se non in quanto io sono dal Padre.
v
1712 - Nella frase seguente poi (<<chi vede me vede colui che mi
ha mandato») parla della visione.
A questo proposito va notato che come il Padre ha mandato il
Figlio per convertire i giudei, cosi Cristo mandò i discepoli, come di-
rà lui stesso Gnfra, 20, 21): «Come il Padre ha mandato me, anch'io
mando voi». Ora, nessuno dei discepoli osò dire, né avrebbe potuto
farlo, che si credesse in lui. Perché ciò non sarebbe stato possibile,
VI
Sebbene anche gli apostoli siano chiamati luce nel Vangelo (Mt
5, 14): «Voi siete la luce del mondo», non lo sono però per lo stesso
motivo di Cristo. Essi infatti sono luce emanata, o illuminata; sebbe-
ne sotto un certo aspetto, cioè nel ministero, fossero illuminanti. Né
ad alcun apostolo si addice l'affermazione: «lo come luce sono venu-
to nel mondo»; perché essi, quando vennero al mondo erano ancora
tenebre e non luce; secondo appunto le parole di Giobbe (37, 19):
«Noi siamo involti nelle tenebre».
VII
a custodirla divengono per questo ancora piu colpevoli. Sta scritto in-
fatti: «Non quelli che ascoltano la Legge sono giusti presso Dio, ma
quelli che la praticano saranno giustificati» (Rm 2, 13); e ancora: «Siate
operatori della parola e non semplici uditori» (Gc 1, 22). Perciò «se
uno ascolta la mia parola e non la osserva, non sono io a giudicarlo ... ».
Questa affermazione però sembra in contrasto con quanto fu detto
sopra (5, 22): «Il Padre ... ha rimesso ogni giudizio al Figlio»; perciò
la frase, «non sono io a giudicarlo», va intesa COSI: in questo momen-
to. Infatti qualcuno avrebbe potuto pensare che il proprio disprezzo
sarebbe stato imputato alla sua fragilità, e per questo poteva evadere
impunito; perciò egli dice che costoro saranno giudicati, ma non adesso.
Infatti si legge nell'Ecclesiaste (12, 14): «Ogni opera Dio sottoporrà
a giudizio»; e Giobbe (19, 29) raccomanda: «Guardatevi dall'iniqui-
tà ... , poiché c'è una spada che vendica l'iniquità, e sappiate che c'è
un giudizio».
VIII
IX
XI
1723 - Dimostra poi una verità col dire: «Ma il Padre che mi
ha mandato egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunzia-
re». Parole queste che se non si comprendono a dovere possono dar
luogo a due errori. Primo, perché chi manda è superiore a colui che
è mandato: quindi il Padre sarebbe maggiore del Figlio. Secondo, per-
ché il comando che a qualcuno viene dato non era posseduto da co-
stui prima che gli venisse dato; e di conseguenza lo ignorava. Perciò
se il Padre dà un comando al Figlio, ne segue che il Figlio per un
dato tempo non l'aveva ancora, e quindi lo ignorava. Dunque gli è
stato aggiunto qualcosa. Perciò il Figlio non sarebbe vero Dio.
Per chiarire la cosa si deve tener presente che tutti i comandi
di Dio sono nella mente del Padre; poiché i suoi comandi altro non
sono che piani direttivi delle azioni da compiersi. Perciò, come nella
mente del Padre si trovano le specie archetipe di tutte le creature pro-
dotte da Dio, e che chiamiamo idee, cosi in essa si trovano i piani
direttivi di tutte le azioni che noi dobbiamo compiere. Quindi come
dal Padre vengono infuse nel Figlio, che ne è la sapienza, le idee ar-
chetipe di tutte le cose, cosi sono infusi in lui i piani direttivi di tut-
te le azioni da compiersi. È in tal senso che qui il Figlio afferma:
«Ma il Padre che mi ha mandato egli stesso (in quanto Dio) mi ha
ordinato» comunicandomelo con l'eterna generazione, «quello che de-
360 Tommaso d'Aquino
Tommaso d'Aquino
COMMENTO AL VANGELO DI SAN GIOVANNI
Capitolo VII . » 19
Lezione I . » 19
Lezione II » 27
Lezione III » 42
Lezione IV » 53
Lezione V » 58
Capitolo VIII . » 71
Lezione I . » 71
Lezione II » 80
Lezione III » 91
Lezione IV » 103
Lezione V » 113
Lezione VI » 122
Lezione VII » 130
Lezione VIII » 137
364 Indice
Capitolo X » 186
Lezione I . » 186
Lezione II » 195
Lezione III » 202
Lezione IV » 209
Lezione V » 216
Lezione VI » 228
Capitolo XI » 237
Lezione I . » 237
Lezione II » 243
Lezione III » 248
Lezione IV » 253
Lezione V » 262
Lezione VI » 271
Lezione VII » 282
Lezione VIII » 292
LA TRINITÀ
Introduzione, traduzione, note e indici
a cura di Mario Spinelli
LA DOTTA IGNORANZA
Introduzione, traduzione, note e indici
a cura di Graziella Federici Vescovini
ITINERARIO
IN TERRA SANTA
Introduzione, traduzione, note e indici
a cura di Marcello Garzaniti
MEDIOEVO
DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE:
IN PREPARAZIONE.-
ISBN 88-311-1006-3