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I ›Ricettari di segreti‹ nel Regno di Sicilia ( ’400 –’600)

Pluralisierung & Autorität


Herausgegeben vom
Sonderforschungsbereich 573
Ludwig-Maximilians-Universität München

Band 43

De Gruyter
Davide Soares da Silva

I ›Ricettari di segreti‹
nel Regno di Sicilia ( ’400 –’600)
La storia dello spazio comunicativo siciliano
riflessa in una tradizione discorsiva plurilingue

De Gruyter
Zugl.: Dissertation an der Ludwig-Maximilians-Universität München, 2014

ISBN 978-3-11-035470-6
e-ISBN (PDF) 978-3-11-036279-4
e-ISBN (EPUB) 978-3-11-039311-8
ISSN 2076-8281

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„Se anche […] conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, […]
ma non avessi l’amore,
non sarei nulla“
(1 Cor. 13, 2)
Indice

1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia? . . . . . . . . . . . . . . . . 1


1.1. Storia e storiografia linguistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2. Per una storia degli spazi comunicativi e delle tradizioni
discorsive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
1.2.1. L’applicazione del concetto di spazialità in diacronia 24
1.2.2. Lo spazio comunicativo del Regno di Sicilia . . . . . 26
1.2.3. Le tradizioni discorsive in diacronia . . . . . . . . . . . . 29
1.2.4. I Ricettari di segreti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo . . . . . . . . 39


2.1. Plurilinguismo per assemblaggio di codici . . . . . . . . . . . . . 41
2.1.1. Il Trattato delle virtù delle erbe (la raccolta del sec.
XV) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del
sec. XVI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
2.1.3. Riassumendo: assemblaggio di codici . . . . . . . . . . . 75
2.2. Plurilinguismo per stratificazione spazio-temporale . . . . . . 77
2.2.1. Stratificazione spaziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77
2.2.1.1. Il Lapidario (la raccolta miscellanea del sec.
XV) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77
2.2.1.2. Il Lapidario (le annotazioni marginali del
sec. XV/XVI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
2.2.1.3. Riassumendo: stratificazione spaziale . . . . 97
2.2.2. Stratificazione temporale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
2.2.2.1. L’Eucologio (sec. XV/XVI) . . . . . . . . . . . . . 100
2.2.2.2. Riassumendo: stratificazione temporale . . 109
2.3. Plurilinguismo per sincretismo idiolettale . . . . . . . . . . . . . 112
2.3.1. Traduzione verticale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112
2.3.1.1. Il Thesaurus Pauperum (sec. XV) . . . . . . . 114
2.3.1.2. Riassumendo: traduzione verticale . . . . . . 130
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione
orizzontale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132
2.3.2.1. Commutazione-adattamento: il Libro di
ricette e secreti (sec. XV) . . . . . . . . . . . . . . 132
VIII Indice

2.3.2.2. Traduzione orizzontale? L’Herbarium (le


ricette di medicina, sec. XV) . . . . . . . . . . . 150
2.3.2.3. Riassumendo: commutazione-adattamento
e traduzione orizzontale . . . . . . . . . . . . . . 165
2.3.3. Coalescenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169
2.3.3.1. Il Recettario secreto (sec. XVI) . . . . . . . . . . 170
2.3.3.2. L’Opera e ricette di alchimia (sec. XVI) . . . 203
2.3.3.3. Riassumendo: coalescenza . . . . . . . . . . . . . 215
2.3.4. Interferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218
2.3.4.1. La Raccolta di prediche (sec. XVII) . . . . . . 219
2.3.4.2. Il Libretto di formule magiche (sec. XVII) 224
2.3.4.3. Riassumendo: interferenza . . . . . . . . . . . . 236

3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo


siciliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 239
3.1. La coscienza linguistica in Sicilia fino al Quattrocento . . . 240
3.1.1. Il rapporto tra volgari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 240
3.1.2. Volgare e romance . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 245
3.1.3. Lingua vs. idioma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 247
3.2. La coscienza linguistica in Sicilia dal Cinquecento al
Seicento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 249
3.2.1. Gli idiomata diventano linguae . . . . . . . . . . . . . . . . 250
3.2.2. Siciliano e toscano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253
3.2.3. ‘Italiano’ e Spagnolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 264
3.3. Ricapitolando: Ricettari di segreti e storia della lingua . . . 268

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273

Fonti manoscritte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273


Fonti edite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273
Fonti online (ultima data di consultazione: 14. 09. 2014) . . . . . . . 285
Prefazione

Il presente studio, la mia tesi di dottorato consegnata e discussa alla


Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera nel Wintersemester
2013/14, edita qui nella versione riveduta e corretta, intende offrire un
contributo alla storiografia linguistica della Sicilia e dell’Italia (pre)rina-
scimentale.1 Imboccando una strada che si distende in senso diametral-
mente opposto a quello percorso dalla tradizionale storia della lingua, la
ricerca esposta nelle prossime pagine non ricostruisce le tappe di espan-
sione dell’italiano letterario, magari con particolare riguardo alle pecu-
liarità regionali di opere realizzate da parte di un calamo non toscano, né
tantomeno le fasi di elaborazione degli idiomi meridionali della penisola
italiana, magari nel genere della commedia, suggestivo specchio di una
fantomatica genuinità incontaminata del parlato espressivo e spontaneo.
Il focus della ricerca è posto infatti non su un determinato idioma,
concepibile inevitabilmente in singolare, ma sugli scriventi e sulle loro
scelte linguistiche, che, come insegna la moderna glottosociologia, sono
da sempre pluralistiche. Ricostruire l’intero spettro del repertorio di un
determinato parlante o di un determinato gruppo di parlanti, tuttavia, è
un’operazione destinata a fallire nell’ambito di una ricostruzione dia-
cronica, all’interno della quale il repertorio è accessibile sempre e solo
attraverso la varietà diamesica dello scritto. Ammesso e non concesso che
di uno scrivente o di un gruppo di scriventi si reperisca una quantità
sufficiente di produzioni testuali tale da permettere un’analisi attendibile
delle competenze e delle pratiche linguistiche di quel determinato
gruppo, sarebbe a dir poco eccezionale se i documenti ritrovati spaziassero

1 Vorrei esprimere in questa sede il mio profondo riconoscimento ai miei tutori


Wulf Oesterreicher e Thomas Krefeld per la straordinaria supervisione scientifica
garantitami durante tutte le fasi del dottorato di ricerca. Ringrazio anche per gli
stimoli di riflessione e per i preziosi confronti i docenti e i colleghi dell’Institut für
Italienische Philologie, dell’Institut für Romanische Philologie, dell’Internationales
Doktorandenkolleg “Textualität in der Vormoderne” e del Sonderforschungsbereich
573 “Pluralisierung und Autorität in der Frühen Neuzeit, 15.–17. Jahrhundert”
della LMU. Un cenno particolare va ad Andreas Höfele che ha consentito la
pubblicazione della tesi in questa collana. Grazie infine agli archivisti per avermi
concesso la consultazione e la riproduzione dei manoscritti.
X Prefazione

attraverso tutto l’arco diafasico, poniamo da un inventario a un trattato


scientifico, passando magari per corrispondenze, cronache, libri di fa-
miglia, aforismi e poesie. Quello che riemerge dal passato è sempre
frammentario e lacunoso. Per di più, ciò che sopravvive all’usura del
tempo e perviene alle nostre mani rappresenta spesso proprio quanto il
rispettivo scrivente riteneva degno di essere tramandato, è quindi per la
maggior parte destinato alla conservazione da una scelta cosciente effet-
tuata alla fonte. A questa problematica che si potrebbe definire di au-
toselezione diafasica se ne aggiunge poi una diastratica. È infatti evidente
che lo scrivente di prima età moderna non può essere considerato un
parlante medio, appartenendo per il semplice fatto di essere alfabetizzato
ad una élite socioculturale relativamente ristretta.
Alla luce di queste difficoltà sorge spontaneo chiedersi fino a che
punto sia possible allora fare una ricerca glottosociologica in prospettiva
diacronica. Certamente non allo stesso modo di un’analisi sincronica, va
preso atto, fermo restando però che l’impresa non è per questa ragione
nemmeno del tutto impraticabile. Partendo dal primo problema, quello
diafasico, è in primo luogo sensato escludere dall’analisi le fonti pretta-
mente letterarie che riprendono modelli linguistici prestabiliti – sappiamo
che anche la lingua della commedia è in verità una stilizzazione di parlato
spontaneo – e non rispecchiano pratiche comunicative autentiche. Per
ovvi motivi vanno analizzati poi esclusivamente documenti manoscritti,
non concepiti per la pubblicazione, non indirizzati consapevolmente ad
un vasto pubblico e quindi non sottoposti a sistematiche procedure di
revisione e trasposizione linguistica da parte degli autori stessi o di
eventuali correttori. La testualità dei Ricettari di segreti, che spazia da
consigli (para)medici a disquisizioni moral-filosofeggianti, da trattazioni
di carattere (pseudo)scientifico a mirabilia e scongiuri, riflette grazie al
suo carattere composito un’ampia gamma di situazioni comunicative,
trovandosi proprio in una zona d’intersezione tra gli universi dell’or-
ganizzazione, del sapere, della religione e, nei canoni dell’epoca, anche
della letteratura. Si tratta di un genere testuale sorto per soddisfare esi-
genze comunicative endemiche alla società e motivato da ciascuna delle
quattro colonne portanti della scritturalità.2
Venendo alla seconda problematica, l’autoselezione diastratica, è in-
discusso che analizzando i Ricettari di segreti ci si trovi di fronte a do-
cumenti prodotti da membri di classi socialmente elevate (notai, giuristi,
sacerdoti, etc.) che esercitano più o meno ufficialmente la professione di

2 Cfr. Soares da Silva 2010, 9 ssg.; Eufe 2006.


Prefazione XI

guaritori e divinatori. I loro scritti sono situati dunque all’interno di un


circuito esclusivo di operatori che condividono un sapere basato su simili
interessi ed esperienze. Non va però trascurato il fine ultimo della pratica
sociale collegata a queste forme di scritturalità: la cura degli infermi.
Tenere presente questa finalità significa considerare l’aspetto performa-
tivo di tali testi, che venivano in parte recitati ad alta voce ed integrati nel
rito guaritorio, in parte ricopiati su amuleti e talismani e consegnati al
rispettivo paziente con la raccomandazione di ripetere regolarmente certe
invocazioni e scongiuri. Si tratta cioè di realizzazioni grafiche di messaggi
formali, ma trasmessi per lo più oralmente, i cui destinatari appartene-
vano spesso al popolo minuto. I nostri testi aprono allora uno spiraglio su
forme di comunicazione viva, una comunicazione dall’alto verso il basso,
tra membri di ceti agiati verso membri di ceti situati alla base della
piramide sociale, ma anche dal basso verso l’alto, dall’uomo alla divinità.
Considerata la funzione istruttivo-didascalica dei Ricettari di segreti, si
può partire dal presupposto che il profilo concezionale che li contrad-
distingue sia caratterizzato da premesse comunicative e conseguenti
strategie di verbalizzazione proprie in una certa misura anche della
prossimità comunicativa.3
Lo scopo della presente ricerca, dunque, è quello di approssimarsi al
repertorio degli scriventi tardo medievali e di prima età moderna. Nella
fattispecie si vuole verificare in che modo, nei testi presi in esame, gli
idiomi latino, siciliano, tosco-italiano e castigliano-spagnolo – prestando
attenzione anche ad altri idiomi romanzi e non – entrano in contatto fra
loro, sia sul macrolivello dell’organizzazione testuale che sui piani grafe-
matico, fonomorfologico e sintattico. A questo fine si pongono a con-
fronto in primo luogo le produzioni quattrocentesche con quelle cinque e
secentesche per mettere a fuoco la situazione di orientamento al volgare
siciliano ovvero tosco-italiano nelle produzioni di generazioni differenti
di guaritori. La focalizzazione sul rapporto tra i volgari italici non porterà
però a trascurare l’influenza che le ‘altre lingue’ radicate nel territorio
siciliano e dell’Italia meridionale esercitavano sulle pratiche scrittorie del
tempo. Per risalire allo status di cui godevano le lingue presenti all’interno
dello spazio comunicativo 4 in questione si è allargato il campo d’indagine
al di là delle costellazioni comunicative in cui parlanti autoctoni comu-
nicano rispettivamente tra di loro5 includendo anche quelle in cui par-

3 Cfr. Koch/Oesterreicher 2011, 1 – 39.


4 Krefeld 2004, 19 ssg.
5 Cfr. Krefeld 2004, 26 – 36.
XII Prefazione

lanti autoctoni entrano in contatto con parlanti alloctoni e tenendo


presente che non esistono solo interlocutori monolingui, ma che la
maggior parte di essi ha competenze linguistiche plurime. Per tipizzare i
repertori linguistici ricorrenti e storicamente giustificati e ricostruire fe-
delmente l’articolata situazione di plurilinguismo dei tre secoli esaminati
si è considerato indispensabile passare in rassegna, infine, anche la pro-
duzione di testi letterari e di trattati accademico-eruditi che fungono
implicitamente, attraverso i modelli linguistici che propongono, da linea
guida per chi si accinge a scrivere e che irradiano con esplicite puntua-
lizzazioni metalinguistiche precisi modelli di riferimento.
La ricerca si struttura dunque in tre parti principali. Dopo aver de-
lineato, per sommi capi, quelli che ad oggi sono gli approcci tradizionali
della storiografia linguistica, nel Quadro teorico (cap. 1) si definisce il
metodo e si descrivono gli strumenti analitici utilizzati. Nell’Analisi em-
pirica (cap. 2) si analizzano poi i Ricettari di segreti cercando di indivi-
duare e denominare le diverse tipologie di plurilinguismo che questi
riflettono tramite un’attenta disamina filologica e linguistica. Al termine
di ogni tipologia analizzata si troverà un paragrafo riassuntivo che ri-
prende i principali fenomeni di plurilinguismo osservati e formula ipotesi
sul repertorio di compilatori e utilizzatori del rispettivo manoscritto.
Nelle Riflessioni conclusive (cap. 3) si pongono infine a confronto i ri-
sultati dell’analisi con le principali epistemi sulla variazione linguistica tra
tardo medioevo e prima età moderna e si traggono conclusioni per una
storia dello spazio comunicativo siciliano tra Quattro e Seicento immune
ad ogni linea di pensiero teleologico.
1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

In questo primo capitolo si cercherà innanzitutto di ricostruire, sinteti-


camente e senza alcuna pretesa di completezza, il percorso gnoseologico
della storia della lingua lungo le diverse correnti di pensiero della lin-
guistica dall’Ottocento ad oggi. Dal metodo storico-comparativo al po-
sitivismo neogrammaticale, dalla scuola idealista allo strutturalismo alla
dialettologia si ripercorreranno le tappe della storia di una disciplina
focalizzando quello che nei diversi paradigmi della linguistica è stato di
volta in volta considerato l’oggetto della ricostruzione storica (par. 1.1.).
Dopo aver messo in rilievo pregi e limiti dei diversi orientamenti si
definisce quale contributo innovativo s’intende portare alla storia della
lingua con l’approccio adottato in questa sede, l’analisi dello spazio co-
municativo del Regno di Sicilia attraverso la tradizione discorsiva dei
Ricettari di segreti (par. 1.2.). Si descrivono dunque il metodo e gli
strumenti analitici applicati (par. 1.2.1.), come pure il campo operativo
(par. 1.2.2.; 1.2.3.) e l’oggetto di studio esaminato (par. 1.2.4.).

1.1. Storia e storiografia linguistica


“Di che cosa fanno la storia gli storici del linguaggio?”6 Con questo
fondamentale interrogativo, Terracini intitolava nel 1935 il suo famoso
contributo sull’Archivio Glottologico Italiano. L’intento dello studioso
era quello di annoverare definitivamente la storia della lingua nell’alveo
delle scienze dello spirito, restituendo alla disciplina quel suo oggetto di
studio che aveva perso di vista nella frenetica concitazione positivista
generata dal metodo storico-comparativo. Si trattava appunto solo di un
metodo, i cui spettacolari ravvedimenti7 avevano però portato a far cadere

6 Terracini 1935, 133.


7 Come fa notare Oesterreicher (2007a, 8), sia l’enorme autostima di una disci-
plina scientifica il cui successo in Europa fu senza precedenti, sia il nucleo
metodico dell’esplicazione storico-comparativa trovano la loro più eloquente
espressione nella seguente dichiarazione dell’indologo Friedrich Max Müller: “Si
l’on me demandait, […], ce que je considère comme la plus importante
2 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

in oblìo ciò che invece rappresentava il fine della linguistica storica: la


ricostruzione della storia “come essa si riflette nelle vicende del linguag-
gio”.8 L’autore condivideva insomma “il bisogno sempre più crescente di
ricondurre la linguistica storica alla storia: cioè agli uomini e alle loro
vicende”.9 La forte influenza che esercitava il metodo empirico proprio
delle scienze naturali, sull’onda del darwinismo, aveva raggiunto il suo
stadio più avanzato nella concezione schleicheriana di scienza della lingua
come glottica,10 sebbene il germe dell’evoluzionismo, secondo Terracini,
poteva risalire se non proprio allo stesso Humboldt – in fondo aveva
parlato anch’egli di fisiologia – almeno già a Schlegel, che non aveva
esitato a paragonare la glottologia all’anatomia comparata.11 A Schleicher
dobbiamo l’applicazione alla linguistica del modello dell’albero genealo-
gico, secondo cui dal tronco dell’indogermanico si sono diramati i vari
idiomi compresi tra India e Islanda.12 Nonostante la forte schematicità del
modello, che non consente ovviamente di cogliere né l’estensione geo-
grafica, cronologica o sociale di un idioma, né le dinamiche relative a
influssi reciproci che portano a ravvicinamenti, ricongiungimenti o su-
bordinazioni tra idiomi anche non necessariamente ‘imparentati’ tra
loro,13 il valore simbolico della rappresentazione genealogica è a tutt’oggi
fuori discussione e non mancano applicazioni del modello, prive delle sue
implicazioni prettamente biologistiche, nemmeno in epoca recente.14

découverte du XIXe siècle pour l’histoire ancienne de l’humanité, je répondrais


par cette courte ligne: Sanscrit Dyaus Pitar = Grec Ze}f pat^q = Latin Juppiter
= Vieux Norois Tyr” (Schwab 1950, cit. da: Oesterreicher 2007a, 8).
8 Terracini 1935, 135.
9 Terracini 1935, 135.
10 La concezione genealogista di August Schleicher risulta molto esplicita nella
lettera aperta che questi invia nel 1863 al biologo e filosofo Ernst Häckel: “Le
lingue sono organismi naturali i quali, senza essere determinabili dal volere
dell’uomo, sono sorti, cresciuti e sviluppati, secondo leggi fisse; esse poi invec-
chiano e muoiono: presentano quindi quella serie di fenomeni che si è soliti
intendere con il nome di vita. La ‘glottica’, la scienza del linguaggio, viene in tal
modo ad essere una scienza naturale ed il suo metodo in complesso è quello
proprio delle altre scienze naturali. Pertanto lo studio del libro di Darwin al quale
tu, caro collega ed amico, mi hai spronato, non mi è apparso del tutto estraneo
alla mia disciplina” (Bolelli 1965, 123).
11 Terracini 1935, 134.
12 Cfr. lo schema in Pisani (1964, 48).
13 Per afferrare meglio questi fenomeni si rivelerà certamente più adatta la teoria
delle onde, ideata da Schuchardt e portata a compimento da Johannes Schmidt,
allievo di Schleicher (Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 53).
14 Come mostrano ad es. Meier-Brügger (2000) o Strunk (1981).
1.1. Storia e storiografia linguistica 3

I neogrammatici avevano proseguito sulla strada indicata da Schlei-


cher portando a compimento l’identificazione del metodo con il fine15 e
condividendo un interesse diacronico incentrato per lo più sulla rico-
struzione, raramente priva di asterischi, delle forme relative ad una de-
terminata Ursprache. Si era tuttavia registrato un distacco, presso la
maggior parte degli studiosi della scuola neogrammaticale, dalle posizioni
di Schleicher. Prima di tutto proprio riguardo all’eccessiva devozione che
questi nutriva verso un distante passato, alla convinzione che tutto quanto
aveva a che fare con l’evoluzione e la crescita fosse da ricercarsi negli
albori di una lingua, quando questa non era ancora stata ‘danneggiata’
dalla vita storica dei popoli.16 Attraverso lo studio dei dialetti – uno
studio che come vedremo più avanti si era intrapreso anche indipen-
dentemente dai neogrammatici e che aveva portato ad intuire, sebbene
allora si rinunciò ad approfondirla, la rilevanza della spazialità – ci si era
resi conto delle differenze linguistiche dovute alla componente sociale,
piuttosto che a quella etnica, cosa che indusse gli studiosi a rigettare
l’assunto che gli idiomi antichi godessero di una salda omogeneità geo-
grafica e cronologica.17 I neogrammatici ritenevano anzi che la tesi se-
condo cui le lingue sono paragonabili a specie biologiche che attraversano
fasi di evoluzione e di declino fosse a dir poco fragile.18 La prima cesura
rispetto a Schleicher aveva dunque a che vedere con il rifiuto di una
filosofia storica19 che prediligeva lo studio delle epoche remote, studio
motivato sicuramente non solo da escapismo intellettuale, ma anche dal
fatto che nel passato si voleva scorgere la naturalezza incontaminata dello
spirito di un popolo e dunque il suo vero e autentico carattere.20 Questa
concezione romantica di stampo hegeliano, così caratteristica dei primi
decenni del secolo XIX, tanto da trovare riscontri non solo nell’idealismo
di Humboldt, ma anche nell’ambito di uno studio della lingua, quello dei
comparatisti e di Schleicher, basato su dati obiettivi e avverso a qualunque

15 Terracini 1935, 141.


16 Jaritz 1990, 49.
17 Jaritz 1990, 57.
18 Jaritz 1990, 53.
19 Il che non significa naturalmente una rottura con lo storicismo, una forma mentis
che rappresenta la conditio sine qua non per la nascita della linguistica e che vale
quindi tanto per Schleicher quanto per i neogrammatici. Lo storicismo sarà
messo in discussione solo con de Saussure (Gauger/Oesterreicher/Windisch
1981, 25 ssg.; 58 ssg.).
20 Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 23 – 24.
4 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

costruzione teorica,21 avrebbe avuto nella sua connotazione risorgimentale


dei risvolti di non poco conto sulle finalità che si pose la storia della
lingua nella sua ridefinizione post neogrammaticale così cara al Terracini.
Ma procediamo con ordine, poiché sulla reazione neoidealista al
positivismo neogrammaticale si tornerà dettagliatamente in seguito. Se-
condo il punto di vista dei neogrammatici, lo sviluppo linguistico era
dunque esplicabile sulla base di leggi invariabili quali la fisiologia dei foni
e l’associazione delle idee. Partendo da uno dei più grandi romanisti tra il
198 e il 208 secolo, Wilhelm Meyer-Lübke, si possono esemplificare in
maniera esauriente i principi fondamentali della ‘fede’ neogrammaticale.
Va da sé che la priorità del linguista era allora quella di svolgere una
ricerca paleontologica, come lo stesso Meyer-Lübke definisce il suo
operato, con lo scopo principale di ricostruire la propria Ursprache. Si
trattava di un compito certamente molto meno ostico per lui che non per
i suoi colleghi indogermanisti: la possibilità di ripercorrere uno sviluppo
ininterrotto durante un arco di tempo che abbracciava due millenni e
mezzo, quello che valeva per il latino, non era infatti riscontrabile in
nessun’altra lingua indoeuropea. Era proprio attraverso la romanistica, in
altre parole, che il metodo storico-comparativo otteneva la sua più grande
conferma in merito alla correttezza del procedimento di ricostruzione di
uno stadio linguistico non attestato.22 La conclusione a cui era giunto
Meyer-Lübke, cosa già ravveduta peraltro anche da Diez, era il fatto che
se dal latino si giungeva con una certa continuità alle lingue romanze,
procedendo all’inverso non si risaliva però così facilmente al latino, per lo
meno non a quello dei testi.23 Meyer-Lübke si occupò quindi sin da
subito, nel suo saggio Die Lateinische Sprache (1888), del cosiddetto la-
tino volgare, facendo luce sulle principali evoluzioni fonetiche e morfo-
logiche dalla fase più arcaica del latino a quella che si potrebbe definire
pre-romanza.24 Nella Grammatik der romanischen Sprachen (1890 – 1902)

21 Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 52 ssg.


22 Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 52 ssg.
23 Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 100. Un tipico esempio in questo senso è
la forma perifrastica del futuro it. canterò, non riconducibile al latino classico
cantabo, ma ad una costruzione del tipo cantare habeo. In ambito lessicale si
menzionino poi i lessemi it. cavallo, fuoco, ecc. non certamente riconducibili a
equus, ignis e via dicendo (cfr. le osservazioni di Coseriu 1978, 271 ssg.).
24 Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 102. Ricerche preliminari sul vocalismo
del latino volgare, sulla base del Corpus Inscriptionum Latinarum, erano già state
fornite da Schuchardt, che aveva riconosciuto le dinamiche di trasformazione
della quantità in qualità (ibid.). Poco importa in questa sede che Meyer-Lübke,
1.1. Storia e storiografia linguistica 5

si può osservare poi come questo approccio ricostruttivo sia portato al suo
colossale compimento. L’introduzione al primo volume sulla Lautlehre
riporta esplicitamente l’intento programmatico dell’autore:
Die konstitutiven Elemente des Wortes sind zunächst die Laute: die Lautlehre
pflegt daher naturgemäß an die Spitze grammatikalischer Untersuchung ge-
stellt zu werden. Bei der Entwicklung und Umwandlung der Laute einer
Sprache ist die Bedeutung des Wortes fast völlig gleichgültig: es handelt sich
dabei vielmehr meist nur um physiologische Prozesse.25
Come osservano Gauger/Oesterreicher/Windisch,26 una tale dichiarazio-
ne positivista si può condividere solamente qualora ci si accontenti di
constatare come ad es. i fr. mur e fenêtre siano riconducibili ai lat. muru
(m) e fenestra(m). Per il fr. cuisse è altrettanto ineccepibile la derivazione
dal lat. coxa(m), ma in questo caso l’etimologia risulta poco indicativa
rispetto al fatto che dal significato di ‘anca’ in latino si sia passati a quello
di ‘coscia’ in francese. Tali processi di traslazione semantica, di massima
rilevanza per la storia del lessico romanzo, vengono completamente
ignorati da un’analisi che si occupa delle sole leggi fonetiche. Meyer-
Lübke dimostra in realtà di essere consapevole dell’importanza da attri-
buire all’aspetto semantico, se apre la sua Grammatik con le seguenti
parole:
Die wissenschaftliche Betrachtung der Sprache ist eine doppelte: sie muß
einmal die reine Form, sie muß sodann den Inhalt des einzelnen Wortes
betreffen, d. h. seine Stellung nicht als physiologisches Ergebnis des Geräu-
sches, das die durch den Mund ausströmende Luft hervorbringt, sondern als
Vermittler psychologischer Vorgänge an andere Menschen.27
Pur riconoscendo che non è possibile “eine vollständige Trennung der
beiden Betrachtungsweisen”,28 la Grammatik si concentra però esclusi-
vamente sulla pura forma della lingua; il significato della singola parola
viene preso in considerazione solo nella misura in cui l’irruzione di un
lessema nel paradigma di un altro semanticamente attiguo, frutto di
un’associazione, provoca uno sviluppo anomalo della forma di quest’ul-
timo. L’aspetto semantico del lessema rappresenterebbe così niente più

così come molti altri latinisti e romanisti non solo a lui contemporanei, ma anche
di generazioni successive (cfr. Coseriu 1978, 257 – 91), difendesse la teoria
dell’omogeneità del latino volgare.
25 Meyer-Lübke 1890, 1.
26 Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 109.
27 Meyer-Lübke 1890, 1.
28 Meyer-Lübke 1890, 1.
6 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

che un fattore di disturbo, un impedimento che interdice la legge fone-


tica: “der Inhalt, die Bedeutung kann häufig die regelmäßige äußere
Entwicklung stören”.29
Il materiale e le analisi della Grammatik vengono ripresi, o meglio
vengono letteralmente incorporati nella seconda parte della Einführung in
das Studium der romanischen Sprachwissenschaft (31920), in cui Meyer-
Lübke definisce quelli che sono i compiti della linguistica romanza:

29 Meyer-Lübke 1890, 1, corsivo mio. Ad attribuire un ruolo fondamentale al


significato, legato però unicamente all’aspetto psicologico della lingua, saranno
Hermann Paul e Wilhelm Wundt. Alla base dello sviluppo linguistico, che in
armonia con il paradigma storicista rappresenta per Paul l’unico argomento su
cui può e deve vertere la riflessione scientifica (cfr. Paul 1898, 23 ssg.), si trovano
sì delle leggi universali, ma queste leggi sono di carattere più psicologico che
fisiologico, fermo restando che per Paul la psicologia non ha mai a che vedere con
il singolo individuo nel suo particolarismo, ma unicamente “mit dem allge-
meinen Wesen der seelischen Vorgänge” (ivi, 10). Lo scopo del linguista è
dunque quello di riconoscere l’influenza esercitata dalle leggi universali che go-
vernano l’apparato cognitivo (subconscio) sullo sviluppo della lingua, non quello
di accertare, caso per caso, il ‘protosignificato’ di un lessema. Risalendo ai si-
gnificati originari è poi possibile ottenere uno scorcio in età che sono anteriori
alla tradizione storica (Wundt 1900, 464), età in cui la Gesamtvorstellung andava
mano a mano disgregandosi, in funzione della progressiva necessità espressiva
dell’uomo, portando ad una graduale differenziazione delle partes orationis.
L’approccio che persegue Paul nei suoi Principien parte dunque dal piano indi-
viduale e accompagna lo sviluppo ontogenetico del singolo, ma nella sua com-
ponente psicolinguistica intersoggettiva. Lo scopo che si prefigge Wundt, ana-
lizzando nella Völkerpsychologie lo sviluppo storico della lingua intesa come forma
di espressione di una comunità linguistica, è quello di ricostruire i meccanismi
cognitivi che stanno alla base di tale evoluzione, cosa che corrisponde piuttosto
ad un approccio filogenetico (cfr. Knobloch 1984, 160 ssg.; Blumenthal 1970,
10; Santulli 1995, 123 ssg. e 197 ssg.). Possiamo tralasciare di porre enfasi
sull’influenza di queste opere pionieristiche sulla psicolinguistica moderna che,
intesa come analisi funzionalista della lingua, si rivela essere paradossalmente più
anziana delle discipline genitrici. Fondamentali campi di ricerca della psicolin-
guistica, come quelli dell’immagazzinamento e dell’elaborazione di informazioni,
prendono in gran parte le mosse dai ‘vecchi’ ravvedimenti di semantica storica la
cui attualità risulta così ancora quanto mai elevata (cfr. Rickheit/Sichelschmidt/
Strohner 2002, 25). Ciò che interessa in questa sede è però quanto accomuna la
posizione psicologista dei due scienziati, punto fondamentale per la ricostruzione
di quello che nel corso della storia della scienza della lingua è stato di volta in
volta considerato l’oggetto della ricerca. Nel caso di Paul, un neogrammatico
certo molto all’avanguardia, possiamo constatare come prevalga in definitiva la
convinzione che la linguistica storica sia parte integrante e dunque si esaurisca
nell’ambito della filosofia del linguaggio.
1.1. Storia e storiografia linguistica 7

Die Aufgabe der romanischen Sprachwissenschaft besteht darin, die Verän-


derungen des romanischen Sprachstoffes von seinen ersten Anfängen, d. h. also
von der überlieferten Form des Lateinischen an bis auf die Gegenwart hinunter
zu verfolgen, diese Veränderungen zu verzeichnen, sie zeitlich und räumlich
abzugrenzen, ihr Wesen und die sie hervorrufenden Kräfte zu ergründen, die
Ergebnisse der Veränderungen in einem gegebenen Zeitpunkte zu beschrei-
ben.30
L’Einführung… non rappresenta perciò, al di là di aggiunte e correzioni,
un apporto veramente innovativo dal punto di vista metodico e conte-
nutistico rispetto alla Grammatik…, ma è particolarmente proficuo leg-
gerla, dalla prospettiva odierna, come introduzione ai problemi della
grammatica storica romanza di più profonda vocazione neogrammatica-
le.31 C’è da dire tuttavia come si possa intravedere, in particolar modo nel
capitolo che tratta dei confini e della differenziazione delle lingue ro-
manze, come inizi a sorgere una certa sensibilità per le vicende di carattere
‘esterno’ alla lingua, per la storia politica, letteraria o sociale. Il paragrafo
relativo alla suddivisione della Romània comincia infatti con queste pa-
role: “Die Gliederung der gesamten Romania ist hauptsächlich durch
politische und durch literarische Verhältnisse bedingt”.32 Come osservano
Gauger/Oesterreicher/Windisch, la fiorente coscienza di quanto sia in-
dispensabile una trattazione dei fattori socioculturali si rende percettibile
soprattutto in tre aspetti. Per primo nella cronologia della romanizza-
zione, che postula come l’arco di tempo durante il quale le diverse pro-
vince fecero parte dei domini romani sia stato decisivo per la loro effettiva
latinizzazione. Significativo per la differenziazione delle lingue romanze è
poi anche il fattore ‘etnologico’ attivo nelle varie lingue di substrato.
Infine, la questione esterna a cui Meyer-Lübke attribuisce maggior rile-
vanza, senza però approfondirla come dovuto, è quella del carattere più o
meno preferenziale delle vie di comunicazione, nonché del livello di ef-
ficienza dei centri di amministrazione politica ed ecclesiastica.33
I neogrammatici, dunque, si erano mano a mano allontanati
dall’organicismo di Schleicher; l’evoluzione linguistica non veniva più
considerata come del tutto indipendente dalle vicende storiche che in-
teressano le comunità di parlanti. A partire dal secondo Ottocento si fece
piuttosto strada, sospinta dal fervente clima politico che sarebbe sfociato
nella formazione degli stati nazionali, una linea di pensiero alternativa a

30 Meyer-Lübke 1920, 62.


31 Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 112 – 13.
32 Meyer-Lübke 1920, 16.
33 Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 111 – 12.
8 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

quella neogrammaticale, che rivendicava un posto di rilievo, negli studi


storici, per quella componente umana indissolubilmente intrecciata alla
lingua che rappresenta lo spirito di un popolo. Come fa notare Vàrvaro,
nella prima fase di questo riassestamento della storia della lingua all’in-
terno delle scienze umanistiche, che rispondeva ad un ideale romantico di
stampo prettamente humboldtiano, si reinterpretò il binomio Geist-
Sprache in Nationalgeist-National(literatur)sprache e si intravide appunto
nella creazione dello stato nazionale l’evolversi storico del suddetto bi-
nomio verso la tanto aspirata Vollendung. 34 È in questa temperie che si
colloca anche il Terracini, il quale con grande lucidità riconosce come
“[d]alla storia linguistica siamo risaliti (qualcuno pensa che ci siamo
piuttosto caduti) alla stilistica”.35 La convinzione che gli studi filologico-
linguistici siano insolubilmente intrecciati a quelli estetici è un pensiero
che a cavallo tra Otto e Novecento aveva già preso saldamente piede nel
settore della filologia.36 Ciò che primo fra tutti Croce pare andasse, più
che fervidamente condividendo, forse inizialmente solo costatando, era
come “l’Estetica e la Linguistica, concepite come vere e proprie scienze,
non sono già due cose distinte, ma una sola. […] Chi lavora sulla Lin-
guistica generale, ossia sulla linguistica filosofica, lavora su problemi
estetici, e all’inverso”.37 Nella penisola appenninica, il famoso motto
d’ispirazione azegliana (fatta l’Italia bisogna fare gli italiani) chiamava in
causa esplicitamente storici e intellettuali, invitandoli a gettare attiva-
mente le basi di una cultura comune.38 Dal punto di vista linguistico
occorreva fare dell’italiano – una lingua diffusasi quasi esclusivamente
attraverso la sua varietà letteraria –39 una lingua viva, vicina alla gente di

34 Vàrvaro 1972, 29.


35 Terracini 1966, 147.
36 In ambito romanzo si vedano, al di fuori dell’Italia, le opere di storiografia
linguistica realizzate da Littré (1863) e Lapesa (1965).
37 Croce 1922, 155 – 56. È indicativo notare che questa identificazione tra storia
della lingua e storia della letteratura sia molto meno percettibile nella prima
edizione dell’Estetica…, che risale come noto all’anno 1902. Infatti, per quanto
riguarda le parti citate sopra, in essa si legge che “la storia delle lingue […] entra
nel gruppo delle storie dell’arte e della letteratura” (ivi, 150, corsivo mio). Anche
nella risposta alle domande retoriche su cosa sia e come si descriva l’arte di un
popolo: “E come si può rispondere a questa domanda se non facendo la storia
dell’arte (della letteratura, della lingua)” (ivi, 148) le due componenti letteratura e
lingua sono appunto distinte.
38 Oesterreicher (2007a, 12) parla a questo proposito di una vera e propria ‘mi-
tologia nazionale’.
39 Cfr. Krefeld 1988, 756 ssg.
1.1. Storia e storiografia linguistica 9

tutte le regioni e di tutti i ceti sociali e che si prestasse alle necessità


espressive di tutti gli ambiti funzionali della realtà moderna.40 Si do-
mandava dunque non a torto sempre il Croce:
E che cosa è l’arte di un popolo se non il complesso di tutti i suoi prodotti
artistici? Che cosa è il carattere di un’arte (per es., dell’arte ellenica o della
letteratura provenzale) se non la fisonomia complessiva di quei prodotti? E
come si può rispondere a questa domanda, se non narrando nei suoi par-
ticolari la storia dell’arte (della letteratura, ossia della lingua in atto)?41
Se la letteratura viene considerata “lingua in atto”, la sua storia coincide di
conseguenza con la storia della lingua tout court. Ed infatti si legge più
avanti, nell’Estetica… come “la Storia delle lingue nella loro realtà vi-
vente, cioè la storia dei prodotti letterari concreti” sia “sostanzialmente
identica con la storia della letteratura”.42 Nella sua Storia della letteratura
italiana, edita nel 1865, il De Sanctis contribuisce a fondare il mito della
spontaneità e dell’autenticità del toscano commentando così alcune
tenzoni di Ciacco dell’Anguillara, fiorentino: “In queste rappresentazioni
schiette dell’animo, e non astratte e pensate [..] il poeta è sincero, vede
con chiarezza istintiva quello s’ha da fare, e dire, come fa il popolo”.43 In
merito ad un madrigale di Alesso di Guido Donati, al volgare toscano
viene attestata una poeticità naturale e intrinseca: “Anzi che la qualità del
contenuto, o di questo e quel poeta, sembra il progresso naturale dello
spirito toscano, dotato di un certo senso artistico, che lo tirava alla forma,
nella piena indifferenza del contenuto”.44
I presupposti che sono alla base di una tale identificazione tra lo
spirito di un popolo e la sua lingua, rimasti latenti nel Terracini, nel
Croce e nel De Sanctis, diedero prova della loro carica ideologica nel
Vossler, che fece dell’opposizione al meccanicismo positivista sin dalla sua
prima ambiziosa pubblicazione al riguardo45 una vera e propria missione
scientifica. Al centro del pensiero neoidealista, considerato invero dal

40 Come sottolinea a questo proposito Krefeld (2007a, 64), dal momento che “il
paradigma filologico […] si è formato nello stesso periodo e nello stesso am-
biente ideologico ottocentesco nel quale si sono formate le nazioni”, all’ideale
dell’omogeneità culturale veniva attribuito un eccessivo valore. “Non è esagerato
dire che la ricostruzione storica aveva il senso di affermare l’emergenza della
Nazione” (ibid., modifica mia).
41 Croce 1922, 160.
42 Croce 1922, 162.
43 De Sanctis 1989, 79.
44 De Sanctis 1989, 81.
45 Vossler 1904.
10 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

Vossler un metodo, al pari di quello positivista, vi è la convinzione che la


lingua non sia uno strumento (ergon) estrinseco all’uomo e soggetto
unicamente all’automatismo delle leggi fonetiche, ma piuttosto un atto
(energheia) creativo del singolo individuo e della comunità cui esso ap-
partiene. La dimensione storica della lingua andrebbe intesa proprio nella
misura in cui i parlanti, grazie alla loro produttività intellettuale, si di-
scostano dai modelli precostituiti generando un’innovazione stilistica, che
per Vossler era da ricercare nella vita e nello spirito di una lingua e dei
suoi parlanti e non coincideva con lo stile di un autore letterario.46
Sull’innovazione stilistica, non su quella fisiologica, verteva dunque l’at-
tenzione dello storico,47 che interpretava ad esempio la comparsa
dell’articolo partitivo nel francese tardo medievale come l’espressione di
una società nella quale andava imponendosi il razionalismo capitalista
della classe borghese e commerciante.48 Il pericolo cui si espose un tale
approccio, peraltro di natura prettamente intuitiva, è evidente, e nem-
meno le affannose rettifiche dello stesso Vossler, che si prodigò a chiarire
come il rapporto tra la storia del Geist e la storia della lingua non fosse da
intendere nei termini di una rigida causalità,49 poterono rendere del tutto
immuni le sue opere dal rischio di strumentalizzazioni ideologiche.
Una sintesi tra le due posizioni che permise di superare, da un lato,
l’atomismo del metodo positivista e che consentì, dall’altro, di non ri-
cadere nelle speculazioni indotte dal metodo idealista, si offrì con l’ascesa
dello strutturalismo. Il paradigma d’ispirazione saussuriana incentivato
nella prima metà del ventesimo secolo dalla scuola di Praga condusse in
un primo momento ad accantonare gli studi di storia della lingua, gettati
in ombra dalla predilezione per l’analisi sincronica.50 Il compromesso cui
si pervenne in un secondo tempo fu quello di rendere giustizia alla di-
mensione storica della lingua attraverso la rappresentazione di più profili
sincronici in successione che ne immortalassero gli stadi di evoluzione
raggiunti nel corso dei secoli. Le descrizioni del sistema in evoluzione

46 Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 135.


47 Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 135 – 36.
48 Vossler 1913, 165 – 66.
49 Vossler 1929. Come fa notare Vàrvaro (1972, 32), il titolo della prima edizione,
Frankreichs Kultur im Spiegel seiner Sprachentwicklung, fu mutato a questo fine in
Frankreichs Kultur und Sprache.
50 La grammatica storica più famosa è certamente quella di Rohlfs (1966 – 69), nella
quale si dedica ampio spazio, oltre che alla fonetica, anche a morfologia e sintassi.
Una delle più recenti opere di storiografia linguistica di stampo positivista è la
Grammatica diacronica del napoletano di Ledgeway (2009).
1.1. Storia e storiografia linguistica 11

sono intercalate, in questa tradizione, da una breve esposizione dei ri-


volgimenti socio-culturali da cui prendono vita e su cui si ripercuotono in
un gioco d’influenze reciproche.51 Si stabilì così un modus operandi nel
quale un nocciolo duro di ‘storia interna’, per utilizzare le definizioni
divulgate da Brunot,52 era incastonato in un quadro introduttivo che
riassumeva le vicende più salienti di ‘storia esterna’. Si può dire che il
binomio vossleriano Sprache-Geist venne in parte sostituito da quello
lingua-istituzioni, il che fu sufficiente per disinnescare la carica ideologica
di un romanticismo altrimenti facilmente strumentalizzabile in prospet-
tiva risorgimentale. A questa scuola di pensiero dobbiamo l’intero filone
di studi che si protrae da Brunot a Menendez Pidal, seguiti in ambito
italianista da Migliorini, Marazzini e Devoto,53 per citare solo i rappre-
sentanti più influenti.54 Per quanto lo strutturalismo diacronico di ma-
trice praghese avesse aperto uno spiraglio sugli stadi intermedi dello
sviluppo linguistico, caratterizzati pur sempre dall’esistenza di un sistema
rispettivamente in uso, e per quanto la stessa scuola di pensiero avesse reso
funzionale alla rappresentazione dell’evoluzione linguistica un’esposizione
degli avvenimenti storici riguardanti la società in cui questa lingua veniva
utilizzata, eventi tanto determinanti quanto nondimeno contingenti, al-
cuni gravosi problemi metodologici, sia nella rappresentazione della storia
interna, sia nella ricostruzione di quella esterna, continuarono tuttavia a
sussistere. Il focus di una trattazione di storia della lingua così concepita è
posto infatti sulla grammatica di un singolo idioma (il francese, l’italiano,
il portoghese, il rumeno o lo spagnolo), cui si continuò ad accedere nella
maggior parte dei casi in maniera privilegiata attraverso la varietà let-
teraria. La nazione linguisticamente unificata, la prospettiva da cui lo
scienziato prendeva in esame il suo oggetto di studio, era considerata allo
stesso tempo l’ultimo e unico possibile punto di fuga dell’evoluzione
storica, interpretata pertanto in chiave teleologica in funzione del rag-
giungimento di tale obiettivo.55 Si può parlare più precisamente di una
teleologia invertita56 per la quale l’idioma che in uno stato nazionale
moderno adempie le funzioni di lingua standard è considerato da sempre

51 Cfr. Vàrvaro 1972, 45 ssg.


52 Brunot 1924, v. Sull’opera storiografica di Brunot nel contesto della filologia
nazionale francese si veda lo studio di Hafner (2006).
53 Brunot 1905 – 1938; Menendez Pidal 1929; Migliorini 1960; Marazzini 2002;
Devoto 1974.
54 Cfr. Krefeld 2004, 137 ssg.; Oesterreicher 2004, 17.
55 Krefeld 2004, 139 – 40.
56 Oesterreicher 2005, 32 ssg.; 2007a, 16 ssg.
12 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

predestinato a divenire tale e alla sua storia viene pertanto garantita, da un


punto di osservazione ex post, una posizione di riguardo all’interno della
rispettiva storiografia.57 La ricostruzione storica è implicitamente tesa, in
tale ottica, a dimostrare la superiorità ontogenetica di quel determinato
idioma rispetto agli altri idiomi nazionali, i ‘dialetti’, benché questi ultimi
fossero originariamente paritetici al primo e altrettanto adatti a fornire le
basi su cui costruire una lingua standard. Nel caso concreto dell’Italia è
ovviamente il toscano a godere di questa mistificazione, mentre le altre
“lingue medie”58 come il siciliano o il veneziano – l’uno che raggiunse
peraltro ben prima di toscano e fiorentino, alla corte fridericiana, un alto
livello di elaborazione letteraria, l’altro utilizzato fino all’Ottocento
nell’oralità elaborata all’interno dei fori giudiziari della Serenissima –59
occupano anche in termini quantitativi uno spazio assolutamente mar-
ginale, in qualità di idiomi ‘concorrenti’ a quello poi impostosi, nei
relativi manuali. Tornando al De Sanctis,60 si può osservare come il fatto
stesso che alla scuola siciliana, nella Storia della letteratura italiana, si
faccia riferimento, rappresenti già di per sé una questione degna di nota.
La letteratura italiana è infatti concepita dall’autore come letteratura in
lingua italiana, il che significa che i filoni letterari dei volgari non toscani
restano insindacabilmente al di fuori del campo di studio. A partire dalla
poesia del dolce stil novo fino ad arrivare alla “nuova letteratura” di Fo-
scolo e Manzoni, soffermandosi sui dibattiti accademici di Cinque e
Seicento sulla lingua e sulla scienza nuova, l’intera ricostruzione (e ca-
nonizzazione) delle produzioni erudito-artistiche è toscanocentrica. È
interessante notare, in termini qualitativi, come genuinità e “senso arti-
stico” vengano perciò considerate due prerogative del volgare tosco-ita-
liano e non possano essere riscontrate quindi in realizzazioni letterarie che
non si servono dello stesso idioma. Così, anche riguardo ai rimatori della
scuola siciliana il giudizio di De Sanctis è netto: “Concetti, immagini,
sentimenti, frasi, metri, rime, tutto è sforzato, tormentato, oltrepassato”.61
La matrice risorgimentale di una storia della lingua concepita secondo
questi schemi si rende percettibile in almeno tre altri assunti fondamentali
che riguardano l’oggetto di studio: il principio dell’omogeneità, quello

57 Oesterreicher 2007a, 15.


58 Muljačić 2011, 183.
59 Sul Veneziano si veda soprattutto il recente studio di Eufe (2006).
60 De Sanctis 1989, 59 – 75.
61 De Sanctis 1989, 70.
1.1. Storia e storiografia linguistica 13

dell’autoctonia e quello dell’originalità.62 Il primo ideale ha strettamente a


che vedere con la scelta apparentemente ineludibile del territorio nazio-
nale come campo operativo. Un tale approccio metodologico fa sì che la
continuità geolinguistica che sussiste ad esempio tra le varietà galloro-
manze, solidamente attestata dalle ricerche dialettologiche, venga più o
meno consapevolmente spezzata da una sovrapposizione delle categorie
(cripto)nazionali ‘Gallia’ e ‘galloromanzo’ da un lato, ‘Italia’ e ‘italoro-
manzo’ dall’altro. Queste categorie suggeriscono appunto la vicinanza
tipologica di un idioma alla lingua nazionale del territorio geopolitico in
cui esso è ubicato (dunque del piemontese all’italiano), dissimulando per
contro quella eventualmente persino maggiore che esiste tra idiomi at-
tigui (quindi tra il piemontese e il francese), ma i cui territori sono
separati dalle linee di confine politico tra due stati nazionali. Al principio
dell’omogeneità tipologica del territorio si aggiunge quello dell’autocto-
nia linguistica della lingua standard, secondo cui l’idioma implementato a
lingua nazionale non può che essere da sempre saldamente ubicato
all’interno dai confini della nazione che ne fa uso. Così, la maggior parte
degli studiosi di storia della lingua rumena non prende nemmeno in
considerazione l’eventualità che questa si sia formata a stretto contatto
con altre lingue della lega linguistica balcanica a sud del Danubio, ipotesi
che non per ultimo gli indicatori linguistici di scarsa variazione dialettale
all’interno del dacorumeno e quelli etnologici di spiccata mobilità dei
locutori dediti alla pastorizia transumante rendono assai plausibile.63 In
maniera analoga, nella storia della lingua portoghese64 non si mostra
particolare interesse per il periodo di formazione del portoghese arcaico,
essendo questo saldamente legato alla storia del gallego che a tutt’oggi
rimane diffuso in una regione esclusa dei confini della nazione porto-
ghese, ma si pone invece particolare enfasi sull’evoluzione linguistica
avvenuta una volta costituitosi il Regno del Portogallo. Ad essa avrebbero
contribuito in maniera determinante i protagonisti della Reconquista,
considerati peraltro non dei semplici colonizzatori di un’area inizialmente
spopolata, ma gente indigena che tornava nei luoghi di provenienza dopo
un lungo esilio forzato.65 Il principio dell’originalità, infine, che come in
questo caso porta a confondere la glottogenesi con l’etnogenesi,66 è os-

62 Krefeld 2007a, 69 ssg.


63 Krefeld 2007a, 70.
64 Cfr. la História da Língua portuguêsa (1952, 347 ssg.) di Serafim da Silva Neto.
65 Krefeld 2007a, 71.
66 Krefeld 2007a, 73.
14 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

servabile a pieno titolo nell’atteggiamento che la storia della rispettiva


lingua romanza assume nei confronti dei cosiddetti ‘atti di nascita’ della
lingua, i primi documenti noti che si distinguono per una lingua volgare
diversa dal latino. Anche una volta dissipata l’aura mitologica che cir-
conda quelli che ad uno sguardo critico si rivelano essere tutt’al più dei
“certificati di vita”,67 il valore simbolico dei più antichi documenti redatti
in una varietà non latina si ritiene comunque inalterato, tanto da far
passare in secondo piano il fatto che la varietà linguistica tramandata,
come nel caso dei famosi Giuramenti di Strasburgo (824), non sia magari
attribuibile a nessun idioma galloromanzo conosciuto, né abbia posto le
fondamenta ad alcuna tradizione scritta che sia poi proseguita nel corso
dei secoli.68
La storiografia linguistica degli ultimi cinquant’anni ha cercato di
compensare, in vari modi, alle gravi deformazioni causate da un tale
approccio riduzionista. Prendendo in esame le opere che in questi ultimi
decenni hanno visto la luce in ambito italianista, va registrato come il
campo d’indagine sia stato in primo luogo esteso anche al di là
dell’ambito prettamente letterario. Un secondo, importante ampliamento
di orizzonti si è reso sensibile poi con il sorgere di un motivato interesse
nei confronti delle tradizioni scrittorie non toscane, attraverso le quali si è

67 Selig 2006, 1927. Con estrema lucidità, Selig (ivi, 1925) denuncia come “[e]ine
Sichtweise, die die Verschriftlichung als sprachimmanenten, autonomen Prozess
begreift, verstellt systematisch den Blick darauf, was die ersten Texte wirklich
sind”. Infatti, prosegue la studiosa, “die überlieferten Dokumente sind, bevor sie
in der Retrospektive als bloße ‘Etappen’ einer übergeordneten soziokulturellen
Entwicklung eingeordnet werden, individuelle kommunikative Akte, die in einem
bestimmten lebensweltlichen Zusammenhang stehen, der nicht identisch ist mit
dem, in den sie in der sprachgeschichtlichen Perspektivierung gestellt werden
[…]. Nur eine Vorgehensweise, die sich des historischen Abstands zwischen den
Kategorien der Analyse und den Kategorien des Analysierten bewusst ist, nur eine
Analyse, die die überlieferten Manuskripte als schriftliche Kommunikations-
handlungen ernst nimmt und sie eingebettet in ihrem pragmatischen, sozio-
kulturellen, schriftkulturellen, soziolinguistischen Kontext interpretiert”, con-
clude Selig, “kann zu einer angemessenen Interpretation der ersten überlieferten
Texte führen und die Faktoren, die zur Verschriftlichung dieser Texte geführt
haben, eruieren.” Queste riflessioni vertono in particolare sulla circostanza per
cui i primi documenti delle lingue romanze: glosse, liste, iscrizioni, atti notarili,
giuramenti, verbali, preghiere, litanie, prediche, poesie agiografiche e le più
svariate forme di probationes pennae, riconducibili al periodo compreso tra l’800 e
il 1150 d. c., sono tutt’altro che monumentali (ivi, 1927 ssg.; cfr. Frank/Hart-
mann 1997).
68 Krefeld 2007a, 72; cfr. Oesterreicher 2013.
1.1. Storia e storiografia linguistica 15

esteso il corpus dei dati da sottoporre all’analisi alle produzioni docu-


mentarie e letterarie delle singole regioni italiane. Aumentare l’ampiezza
dell’angolo di osservazione ha contribuito a rendere visibili una serie di
sviluppi alternativi condannati a rimanere altrimenti all’ombra di una
storia per molti versi parziale. L’angolatura, sebbene di più ampia gra-
dazione, è rimasta tuttavia ancorata allo stesso punto di osservazione. I
contributi raccolti ne La storia della lingua italiana su Le altre lingue,69 ad
esempio, se da un lato hanno il merito di documentare in maniera ap-
profondita le diverse tradizioni scrittorie regionali della penisola,
dall’altro non riescono a soddisfare appieno le aspettative generate dal
titolo.70 Le trattazioni sugli idiomi regionali ‘altri’ non si occupano infatti
minimamente dell’epoca successiva al Quattrocento, epoca in cui la
norma fiorentina iniziò la sua marcia trionfale verso la standardizzazione.
L’unico intervento che si spinge al di là della descrizione di una scripta
quattrocentesca è quello con cui Cortelazzo mette in chiaro però sin dal
titolo (“I dialetti dal Cinquecento ad oggi: usi non letterari”)71 come
ritenga che, da questo momento in poi, gli idiomi regionali siano già
saldamente subordinati alla lingua tetto italiana e di conseguenza già
declassati a varietà basse o dialetti.72 Nella raccolta curata da Bruni,73 per
contro, la storia linguistica delle regioni d’Italia viene tracciata in maniera
esaustiva dalla comparsa dei primi documenti fino all’età post-unitaria. Il
“rifiuto di un’impostazione toscano-centrica”74 finisce tuttavia per su-
bordinarsi alla volontà di “concentrarsi sulla storia della lingua naziona-
le”,75 intento che porta a ricostruire la progressiva ‘italianizzazione’ della
penisola attraverso l’analisi mirata di documenti che attestano l’adozione
del modello fiorentino nelle varie tradizioni discorsive 76 da parte di scri-
venti non toscani.77 Dal Cinquecento in poi, l’eventuale permanenza di
fenomeni linguistici vernacolari, all’interno di testi redatti da scriventi
non toscani, viene interpretata o in chiave diastratica, per cui l’autore del

69 Serianni/Trifone 1993 – 94.


70 Wilhelm 2007, 81.
71 Cortelazzo 1994, 451.
72 Wilhelm 2007, 81; cfr. Oesterreicher 2004, 17.
73 Bruni 1992 – 94.
74 Bruni 1992, xix.
75 Bruni 1994, xxxvi.
76 Sul termine di tradizione discorsiva si veda Oesterreicher (1997); Wilhelm
(2003).
77 Per la Sicilia si veda il contributo di Alfieri (1992a e 1994).
16 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

relativo testo è ritenuto un semicolto,78 o in chiave diafasica, per cui la


produzione testuale si presuppone abbia fini privati o, se innegabilmente
destinata al dominio (semi)pubblico, si trovi ancora in una fase di ab-
bozzo.79 Nel caso in cui il testo sia poi di matrice linguistica anche solo in
parte dichiaratamente vernacolare, si tende a folklorizzarlo80 negandogli
ogni funzionalità pragmatica e annoverandolo tutt’al più tra le opere di
“letteratura dialettale riflessa”,81 la cui proliferazione è inscindibilmente
legata all’esistenza di uno standard vigente che si configura appunto come
‘altro’. Nei confronti delle lingue non territoriali pur presenti sul suolo
italiano, infine, come nel caso dello spagnolo o del francese nel Regno
delle due Sicilie, va da sé che un approccio teso a idealizzare la lingua
nazionale (italiana) non possa permettersi di concedere loro il benché
minimo spazio. Più di quanto valga per i volgari d’Italia, le modalità di
rappresentazione riservate alle lingue di altri stati moderni sono forte-
mente connotate in senso negativo: ciò che si tende a sottolineare è il
ruolo che queste lingue straniere svolgevano nel simboleggiare una do-
minazione tirannica e inefficiente volta a impedire il coronamento
dell’unità nazionale.82 L’influenza della lingua straniera è pertanto resa
solamente nella misura in cui ha lasciato tracce indelebili nell’italiano (per
lo più sotto forma di unità lessicali: ispanismi, francesismi, ecc.) mentre
l’idea di tracciare ad esempio una storia dello spagnolo o del francese in
Italia non è stata presa ad oggi seriamente in considerazione.83

1.2. Per una storia degli spazi comunicativi e delle tradizioni


discorsive

È inevitabile che la storiografia della lingua, concepita come scienza dello


spirito, ricostruisca un percorso verso una meta? È vero, come asserisce
Vàrvaro,84 che ogni possibile storia della lingua sia in fondo “intrinse-
camente finalistica”, dal momento che “l’evoluzione linguistica acquista

78 Ad es. in De Blasi (1992, 731 ssg.) o in Bianchi/De Blasi/Librandi (1992, 648


ssg.). Sulla definizione di ‘semicolto’ e sulla problematica sociolinguistica relativa
al termine si vedano Bruni (1984) e D’Achille (1994).
79 Ad es. in: Alfieri 1992b.
80 Cfr. Oesterreicher 2004, 21.
81 Cfr. Croce 1951, 355.
82 Oesterreicher 2004, 16 ssg.
83 Wilhelm 2007, 82.
84 Vàrvaro 1972, 48.
1.2. Per una storia degli spazi comunicativi e delle tradizioni discorsive 17

un senso solo quando siamo in grado di coglierne l’orientamento”? Ad un


primo sguardo, persino i rivolgimenti di storia interna, pur riallacciandosi
al filone di studi della scienza ‘dura’ di tradizione positivista, sembrano
effettivamente interpretabili solo in chiave teleologica.85 Come dichiara
esplicitamente Trubetzkoy, insomma, persino “L’evolution du système
phonologique est à chaque moment donné dirigée par la tendance vers un
but”.86 A mezza via tra autocritica e rassegnazione, Vàrvaro riconosce
quantomeno come l’orientamento che uno studioso può cogliere sia
sempre provvisorio e soggetto a revisioni, parla di forze disgregatrici,
accanto a quelle aggregatrici, che con il passare del tempo e il riassestarsi
delle costellazioni geopolitiche, con il mutare dello status di lingua na-
zionale piuttosto che di dialetto posseduto da un qualsivoglia idioma,
possono portare a ridefinire in termini diversi la sua storia. Per poter
rivedere e riscrivere, anche solo in parte, la storia linguistica, lo studioso è
pero sempre condizionato da un punto di arrivo, per quanto provvisorio
esso sia, da cui prendere le mosse, circostanza che induce a interpretare gli
eventi in un’ottica finalistica.87
Torniamo al quesito di partenza posto dal Terracini: “di che cosa
fanno la storia gli storici del linguaggio”?88 La risposta del filone di studi
d’ispirazione strutturalista a questa domanda è netta: gli storici del lin-
guaggio fanno la storia di una determinata lingua. Ed è proprio in questa
oggettivazione che si consuma il ‘peccato originario’89 della storiografia
linguistica intesa come storia legata “agli uomini e alle loro vicende”,90
poiché la disamina di una lingua, quale che essa sia, non può che essere
parziale. Per mutare davvero di paradigma è necessario che gli storici del
linguaggio mettano a fuoco, con la massima neutralità, non la storia della
lingua, intesa nella sua singolarità, ma la storia della comunicazione, un
fenomeno inconfutabilmente pluralistico.91 Considerare ogni produzione
testuale di ogni singolo scrivente un evento comunicativo92 insediato in
un particolare contesto, di cui andranno ricostruite le coordinate, e stu-
diare le peculiarità linguistiche di ogni testo a partire proprio dal suo
concreto valore comunicativo significa svincolarsi dalle logiche finalisti-

85 Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 146.


86 Trubetzkoy, cit. da: Coseriu 1974, 192 – 93.
87 Vàrvaro 1972, 49 ssg.
88 Terracini 1935, 133.
89 Oesterreicher 2007, 16.
90 Terracini 1935, 135.
91 Krefeld 2004, 137 ssg.
92 Oesterreicher 1998, 23.
18 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

che finora descritte che scaturiscono dall’assumere dichiaratamente come


oggetto di studio la lingua e come ideale implicito il monolinguismo.
Una ricostruzione storica che sia fondata sulla comunicazione non è in-
fatti obbligata a ripercorrere le tappe dello ‘sviluppo’ che ha interessato
una determinata lingua, operosità che abbiamo visto comportare spesso la
proiezione di una continuità d’intenti invero inesistente tra una tappa e
quella successiva (cfr. infra, par. 1.1.). Una storia concepita in questi
termini non è nemmeno tenuta ad estrarre in maniera artificiale una
lingua piuttosto che un’altra dal contesto in cui essa viene usata incurante
del fatto che nello stesso contesto comunicativo siano presenti anche altre
lingue altrettanto funzionali alla comunicazione, quando non di rilevanza
addirittura maggiore.93 Focalizzare la comunicazione significa infine
rendere giustizia alla spazialità in tutte le sue dimensioni. Come ricorda
Krefeld (v. fig. 1),94 la spazialità non è infatti una prerogativa della lingua
(“Räumlichkeit der Sprache”), ma si rende tangibile anche presso le altre
entità coinvolte nella comunicazione (“Mitteilung”): l’eloquio (“Räum-
lichkeit des Sprechens”) e il locutore (“Räumlichkeit des Sprechers”).
Se la spazialità della lingua riguarda l’arealità e la territorialità di questa
(l’area geografica di estensione di un idioma da un lato e la sua funzione o
status politico dall’altro), la dimensione spaziale del locutore – inglobata
nella dimensione spaziale dell’eloquio – si manifesta nelle categorie che
riguardano in primo luogo la sua provenienza, la sua mobilità e infine il
suo repertorio.

93 Tornando all’esempio dei Giuramenti di Strasburgo è interessante notare come


l’enfasi posta sul famoso passaggio in cui i nipoti di Carlo Magno si promettono
fedeltà reciproca faccia passare spesso in secondo piano la circostanza per cui il
passaggio in volgare è integrato in una cornice latina assolutamente dominante e
indispensabile per garantire la dovuta solennità all’atto del giuramento (Selig
2006, 1931).
94 Krefeld 2004, 21 ssg.
1.2. Per una storia degli spazi comunicativi e delle tradizioni discorsive 19

Figura 1. La spazialità della comunicazione95

A sua volta, la spazialità dell’eloquio si esprime soprattutto nell’intera-


zione e nella posizionalità situativa, categorie che hanno strettamente a che
vedere con la calibratura dei parametri ufficialità, confidenzialità, spon-
taneità, emozionalità, ecc. che determinano il grado di prossimità/distanza
comunicativa e quindi le strategie di verbalizzazione nel continuum tra
oralità e scritturalità concezionale (v. fig. 2).96

Figura 2. Il continuum prossimità-distanza comunicativa97

95 Da: Krefeld 2004, 23.


96 Koch/Oesterreicher 2011, 6 ssg.
97 Da: Koch/Oesterreicher 1990, 12.
20 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

Come accennato in par. 1.1., i primi impulsi per uno studio della lingua
che ponesse in primo piano la spazialità della comunicazione venivano
dalla lessicografia ottocentesca, il cui impianto euristico era del tutto
differente da quello comparativo e seguiva piuttosto un approccio dia-
lettologico. Mentre la ricerca storico-comparativa si serviva in primo
luogo delle attestazioni scritte, la dialettologia s’interessava per la lingua
orale raccolta sul campo e mostrava una particolare sensibilità per la
variazione ‘sintopica’. Per un Cherubini, autore del Vocabolario Milanese-
Italiano (1814), o per uno Schmeller, rinomato studioso del bavarese,
piuttosto che per lo Schuchardt, fare una ricerca dialettologica significava
tenere conto di tutte le varietà presenti in un certo spazio linguistico e
immortalare quindi tutte le varianti in uso in un determinato luogo per
denominare gli strumenti di un mestiere piuttosto che gli elementi della
flora e della fauna.98 All’interno del dominante paradigma storico-com-
parativo, l’opzione metodologica che si era prospettata in seno alla dia-
lettologia non venne però sfruttata appieno, così come non venne uti-
lizzata che una minima parte dei dati da essa forniti: quelli utili a
dimostrare, in sede di grammatica storica, il funzionamento delle leggi
fonetiche.99 Sotto questo profilo si giungeva “ad una idealizzazione e
omogeneizzazione dell’oggetto analizzato […]; la ‘regolarità’ del signifi-
cante provava l’autenticità […] mentre significanti ‘irregolari’ per defi-
nizione non venivano considerati autentici”.100 L’approccio spaziale, vit-
tima della “conversione indoeuropeista”101 della dialettologia, finì così
ben presto nel dimenticatoio e la ricerca dialettologica si accontentò per
lungo tempo di concentrarsi a sua volta sui dialetti ‘puri’. Il monumentale
progetto di Jaberg/Jud102 volto a raccogliere anche in Italia e nella Svizzera
meridionale, sul modello delle inchieste gilliéroniane svolte in ambito
francese, una serie capillare di dati linguistici da proiettare sulle tavole di
un atlante, finì così per trascurare la pur diffusa variazione intradialettale
che si poteva riscontrare di volta in volta negli spazi osservati,103 attri-

98 Krefeld 2007b, 38 – 39.


99 Krefeld 2007b, 41.
100 Krefeld 2007b, 41.
101 Krefeld 2007b, 41.
102 Jaberg/Jud 1928.
103 Karl Jaberg e Jakob Jud erano invero consapevoli della coesistenza di più forme
nello stesso luogo, le une magari già in parte desuete o utilizzate prevalentemente
dal sesso maschile, le altre più moderne o diffuse nel linguaggio femminile, ma
tutte potenzialmente ‘giuste’, come pure della contraddizione metodologica de-
rivante dalla necessità di proiettare sulla carta il dato linguistico di una deter-
1.2. Per una storia degli spazi comunicativi e delle tradizioni discorsive 21

buendo le risposte ‘devianti’ ad errori commessi da informanti non


rappresentativi.104 Quello che induceva ad epurare in tale maniera il
corpus dei dati era appunto l’assunto della saldezza, sistematicità e
omogeneità del dialetto, convinzione che non permetteva di prendere in
considerazione la variazione interna al punto.105
Nemmeno la ridefinizione saussuriana della linguistica in chiave
sincronica portò ad una riabilitazione del concetto di ‘spazio’, conti-
nuando anzi le diverse scuole strutturaliste a emarginare la spazialità della
comunicazione dall’ambito d’interesse delle loro ricerche volte a descri-
vere, ora, il funzionamento di un determinato sistema.106
Ad un notevole ampliamento di orizzonti si giunse con la cosiddetta
svolta pragmatica, quando la linguistica iniziò ad interessarsi per la mo-
dellazione cui la lingua è soggetta in funzione degli scopi che gli inter-
locutori perseguono con i loro atti linguistici. A partire dagli anni ’50 del
ventesimo secolo si assistette così anche ad uno spacial turn: 107 la spa-
zialità era tornata ad essere una categoria centrale per la linguistica.108
La consapevolezza del fatto che ogni parlante si muove in uno spazio
vissuto, percepito e interpretato, un ravvedimento assai importante cui la
linguistica è giunta attraverso un lungo e tortuoso percorso gnoseologico,
richiede però dal punto di vista metodologico, ai fini della fondatezza
scientifica, che si generi un largo consenso attorno a una serie di categorie
concettuali non sempre facilmente operazionalizzabili, soprattutto non in
prospettiva diacronica.109 Partendo dalla classica distinzione proposta da

minata località e la possibilità di accedere al dialetto di quella località solo tramite


informanti che rispettassero precisi parametri sociali e anagrafici (cfr. Krefeld
2008, 94).
104 Si vedano a questo proposito anche le considerazioni di Matteo Bartoli sull’ul-
timo parlante di dalmatico che riuscì ad intervistare prima che il cantiere in cui
lavorava esplodesse e ne causasse la tragica scomparsa. Il settantasettenne Antonio
Udina (in vegliotico Tuoni Udaina) era considerato un soggetto non del tutto
rappresentativo in virtù della sua precaria sedentarietà che lo aveva portato a
sviluppare competenze linguistiche anche in tedesco, italiano e serbocroato
‘compromettendo’ così la purezza del suo dialetto (cfr. Stempel 2005, 137;
Oesterreicher 2007b, 70).
105 Krefeld 2007b, 42.
106 Cfr. Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 58 ssg.
107 Cfr. Hafner 2009, 101.
108 Si veda a questo proposito l’impostazione metodologica del monumentale studio
di Tullio De Mauro (1963).
109 Oesterreicher 2007b, 54.
22 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

Coseriu,110 che individua tre diversi livelli sui quali è possibile osservare e
descrivere una lingua, andrà riconosciuto in primo luogo come sul livello
attuale-individuale la lingua possieda una dimensione spaziale legata al
suo ricorrere in enunciati, discorsi o testi di un concreto locutore. La
spazialità, su questo piano di osservazione, si manifesta nella misura in cui
ogni discorso è caratterizzato da una sensibile variazione interna. Ricali-
brando continuamente il profilo concezionale del discorso sul continuum
tra prossimità e distanza comunicativa, il locutore fa spesso uso, in altre
parole, di più varietà in uno stesso discorso, spaziando non solo da un
registro diafasico all’altro, ma alternando anche elementi che fanno parte
di diverse varietà diatopiche o diastatiche, quando non addirittura tra
varietà che fanno parte di sistemi linguistici differenti. Le competenze
linguistiche di un parlante, anche di un parlante dialettofono, vanno
dunque sempre intese come competenze plurime.111 Sul piano attuale-
individuale è ubicata sia la dimensione che riguarda la spazialità
dell’eloquio – nelle categorie dell’interazione e della situazionalità – sia
quella che riguarda la spazialità del locutore – nei termini del suo re-
pertorio.112 Fa parte del repertorio di ogni locutore, oltre alle sue com-
petenze linguistiche, anche la capacità di percepire la specifica marcatezza
di un elemento piuttosto che di un altro nell’eloquio altrui e la facoltà di
esprimere un giudizio in merito al suo prestigio. Ogni locutore riconosce
cioè, valutandola positivamente o negativamente, la funzione che gli
elementi di ogni eloquio svolgono nell’indicare una precisa posizione
nello spazio (geografico, sociale, situazionale) del proprio interlocutore.113
Non solo: la percezione e la valutazione dell’eloquio altrui, facoltà che il
locutore trae dall’universale linguistico dell’esteriorità,114 è accompagnata
alla percezione di sé e del proprio eloquio, componente altrettanto im-
portante della spazialità sul livello attuale-individuale. L’autopercezione è
una categoria assai importante soprattutto per gli studi glottosociologici,
dal momento che il giudizio su un determinato elemento linguistico o
una determinata varietà può variare in maniera anche significativa a se-
conda del parlante. La marcatezza è infatti in primo luogo un’attribuzione
effettuata dal locutore, non dal linguista, risulta quindi soggetta a mu-

110 Coseriu 1981, 269.


111 Oesterreicher 2007b, 56 – 57
112 Cfr. Krefeld 2004, 19 ssg.
113 Oesterreicher 2007b, 62.
114 Sugli universali linguistici cfr. Oesterreicher (1979, 224 ssg.).
1.2. Per una storia degli spazi comunicativi e delle tradizioni discorsive 23

tamenti e non è mai da ritenere generalmente valida, nemmeno mante-


nendo invariate le coordinate spazio-temporali.115
Spostandosi dal livello attuale-individuale a quello storico, il secondo
piano di osservazione indicato da Coseriu,116 l’oggetto di studio non sarà
più il testo o il discorso di un concreto locutore, ma le regolarità che si
possono riconoscere alla base delle produzioni discorsivo-testuali e che
trascendono la varianza individuale dei dati discriminabili e rilevabili.117
Su questo livello si potrà distinguere innanzitutto una dimensione spa-
ziale legata alla tecnica linguistica in cui viene articolato il rispettivo
discorso o testo, cioè la varietà, lingua o idioma inteso come insieme di
regole e norme frutto di una tipizzazione/astrazione:118 la spazialità della
lingua.119 Le differenze che sussistono tra un idioma e l’altro, dovute
all’universale linguistico dell’alterità,120 contribuiscono a tracciare le linee
di confine tra i territori geografici e politici entro i quali la lingua funge
da strumento per l’organizzazione della vita quotidiana (a livello areale) e
dell’apparato giuridico-istituzionale (a livello territoriale).121 A fare uso
della lingua sono però sempre i locutori, potenzialmente liberi di muo-
versi all’interno di una dimensione spaziale ben più ampia della nazione
varcando i confini di una determinata area o di un determinato territorio
linguistico. La mobilità dei locutori è quella facoltà umana innegabile

115 Krefeld 2007b, 45. Si voglia prendere ad esempio il caso fonologico dello spa-
gnolo menzionato da Coseriu (e ripreso da Krefeld 2007b, 45), secondo il quale
solo i locutori colti dell’area di Madrid operano una distinzione diafasica tra i
fonemi /j/ e /k/, mentre quelli di livello sociale medio e basso non percepiscono a
questo proposito differenze di stile e dispongono rispettivamente di un solo
fonema: /j/ e /ž/. Tali soluzioni monofonematiche sono peraltro caratteristiche
anche di altre aree ispanofone, dove il rispettivo fonema rappresenta però l’unica
alternativa possibile a tutti i livelli sociali, come ad esempio Santiago (per /j/) e
Montevideo (per /ž/). Si può fare un discorso simile, in area francese, a proposito
della vocale evanescente, la cui non realizzazione rappresenta la norma nelle
varietà del francese settentrionale e viene considerata invece diastraticamente alta
in quelle del sud (ivi, 45 – 46). Non è certo difficile trovare esempi analoghi
nemmeno per l’Italia, come l’uso del passato remoto nei registri informali del
centro-nord (ivi, 46) o l’uso del cosiddetto ‘che polivalente’, considerato dai
linguisti per lungo tempo marcato in prospettiva diatopica, ma che rappresenta
in verità un fenomeno dell’oralità in senso lato (Krefeld 2008, 101).
116 Coseriu 1981, 269.
117 Oesterreicher 2007b, 64.
118 Oesterreicher 2007b, 55.
119 Krefeld 2004, 23 – 24.
120 Cfr. Oesterreicher 1979, 224 ssg.
121 Krefeld 2004, 21 ssg.
24 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

tanto invisa agli studiosi del ‘dialetto puro’ che inseguono la chimera
dell’omogeneità linguistica. Tenere in considerazione il parametro spa-
ziale della mobilità porta a scoprire gli spazi comunicativi dissociati122 e
rende visibili non solo le comunità autoctone di parlanti poliglotti (le
cosiddette minoranze linguistiche), ma anche le comunità alloctone di
parlanti poliglotti (i migranti interni e i migranti extraterritoriali), con-
sentendo di allargare l’orizzonte della dialettologia, giova ripeterlo, al di là
dei tanto ricercati, quanto praticamente introvabili parlanti nativi (au-
toctoni monoglotti).123
L’ultima categoria situata sul piano storico è infine quella della tra-
dizione discorsiva (cfr. infra, par. 1.2.3.) o del modello testuale di cui fa
parte ogni produzione linguistica. A questo proposito è importante tenere
presente come le norme del genere discorsivo/testuale cui una produzione
linguistica appartiene e cui ogni locutore/scrivente si orienta in maniera
più o meno cosciente e più o meno efficace hanno di per sé un effetto
standardizzante dal punto di vista stilistico, in merito cioè sia alla scelta
dei registri e dei linguaggi speciali o specialistici, sia alla scelta dell’idioma
da utilizzare.124 Questo non significa però che una tradizione discorsiva
debba essere necessariamente vincolata ad un unico stile: esistono tradi-
zioni testuali composite che spaziano volutamente tra più modelli di-
scorsivo-testuali e non sono neppure necessariamente veicolate da un
unico idioma, ma sfruttano le potenzialità offerte dal plurilinguismo fa-
cendone una loro caratteristica distintiva.125 I Ricettari di segreti, che si
introdurranno in par. 1.2.4., sono un classico esempio di questa seconda
tipologia.

1.2.1. L’applicazione del concetto di spazialità in diacronia

Riassumendo quanto visto a proposito degli approcci che hanno condi-


zionato la storiografia linguistica dal primo Novecento ai nostri tempi
(cfr. infra, par. 1.1.), è dato individuare due paradigmi scientifici entro i
quali a tutt’oggi la storia della lingua prende forma e si esaurisce. Da un
lato vi è la tradizione d’ispirazione positivista che concepisce la storia della
lingua nei termini di una grammatica storica e si concentra essenzial-

122 Cfr. Krefeld/Melchior 2008.


123 Cfr. Krefeld 2004, 32 – 33.
124 Oesterreicher 1997, 20 ssg.
125 Oesterreicher 1997, 29 ssg.
1.2. Per una storia degli spazi comunicativi e delle tradizioni discorsive 25

mente sulla storia interna di un idioma, tende cioè a ricostruire (a ritroso)


l’evoluzione linguistica che dal latino ha portato alla lingua romanza presa
in esame. La concentrazione sulla sola storia interna ha come conseguenza
un’assoluta disconnessione dalle costellazioni geopolitiche susseguitesi nel
corso dei secoli e porta ad assumere un atteggiamento del tutto indiffe-
rente nei confronti dello status sociolinguistico che la lingua oggetto di
studio possiede nelle diverse fasi storiche. Una grammatica storica, in
breve, sia che essa verta su un dialetto,126 sia che prenda in esame una
lingua standard, sia infine che, come nel caso della colossale impresa
rohlfsiana, voglia occuparsi contemporaneamente della lingua standard e
dei ‘suoi dialetti’,127 non offre alcuna informazione in merito allo status di
un idioma piuttosto che di un altro, né può fare alcun ritratto di quelle
che sono le relazioni e le interdipendenze tra di essi.
Dall’altro lato vi è la tradizione che s’ispira alla corrente del pensiero
idealista e che prende le mosse dagli eventi di storia esterna per poi
selezionare le fonti con cui tracciare le linee di storia interna. In questo
secondo approccio, la lingua presa in esame è quella che funge da stan-
dard nello spazio geopolitico di arrivo, il cui status di lingua tetto viene
proiettato all’indietro, in una sorta di teleologismo invertito,128 fino
all’epoca in cui essa non era che un idioma (sovra)locale tra i tanti. Una
visione che postula la predestinazione di un determinato idioma a dive-
nire lingua nazionale sovverte in maniera inammissibile il suo status
originario di “lingua media”129 parlata e scritta all’interno di un territorio
dai confini certamente non rigidi, ma pur sempre delimitati dall’esistenza
di un’intera costellazione di altri areali geopolitici sul suolo della futura
nazione. A questa concezione fatalmente monolitica dello spazio comu-
nicativo modellato a territorio criptonazionale130 si somma quella ancor
più grave che fa dello spazio un’entità monodimensionale, dal momento
che gli unici parametri spaziali presi in considerazione sono quelli relativi
alla lingua e vengono invece completamente ignorate sia la spazialità dei
locutori, e quindi i parametri di provenienza, mobilità e repertorio dei
parlanti/scriventi, sia la spazialità dell’eloquio in cui quella del locutore è

126 Si vedano per il siciliano gli studi di Leone (1980 e 1984) e per il napoletano la
recente grammatica storica di Ledgeway (2009).
127 Per la grammatica storica dell’italiano si veda, oltre alla Grammatica storica
dell’Italiano e dei suoi dialetti del Rohlfs (1966 – 69), anche Caratù (2004).
128 Oesterreicher 2005, 32 ssg.; cfr. Oesterreicher 2007a, 16 ssg.
129 Muljačić 2011, 183.
130 Cfr. Krefeld 2007a, 67 ssg.
26 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

immersa, e quindi i parametri di posizionalità e interazione relativi alla


comunicazione (cfr. infra, 1.2.).
Per poter ampliare a tutti gli effetti il campo di azione di una sto-
riografia linguistica che si concepisce come scienza dello spirito e per far sì
che una tale disciplina sia in grado di riprodurre senza distorsioni la realtà
storica è necessario ridefinire l’oggetto di studio della storia della lingua
superando il blocco epistemico che grava su di essa e riscoprire la tridi-
mensionalità dello spazio comunicativo. Al microlivello, analizzare uno
spazio comunicativo significa rendere giustizia alla spazialità in tutte le
sue dimensioni, non limitandosi alla descrizione di una determinata
lingua, ma studiando le dinamiche interne alla comunicazione attraverso
un’analisi fondata di tutti e tre gli elementi in essa coinvolti. Al macro-
livello, lo spazio comunicativo si identifica poi non con il territorio na-
zionale e politico nella configurazione da cui lo studioso prende le mosse
per svolgere le sue indagini, ma con la conformazione geopolitica della
fase storica di volta in volta esaminata.131 Rifacendosi all’attenta descri-
zione fornita dal gruppo di ricerca C15 del Sonderforschungsbereich 573
monacense132 si definisce pertanto con maggior precisione, nel paragrafo
seguente, ciò che rappresenta lo spazio comunicativo del Regno di Sicilia,
il campo operativo della presente indagine.

1.2.2. Lo spazio comunicativo del Regno di Sicilia

La Sicilia e il Sud d’Italia fanno parte nell’arco di tempo compreso tra il


1516 – data dell’ascesa al potere di Carlo V che unifica i domini iberici
sotto la corona imperiale – e il 1713 – data della stesura del trattato di
Utrecht che pone fine alla guerra di successione spagnola, di quella che si

131 Cfr. Hafner 2009, 111.


132 Il progetto di ricerca intitolato: “Pluralität und Autorisierung: Mehrsprachigkeit
im Königreich Neapel (16. und 17. Jahrhundert)” si pone come proposito quello
di relativizzare e correggere le singole storiografie filologico-nazionali e superare il
riduzionismo dei due paradigmi diacronici ancora dominanti attraverso una
dettagliata analisi delle diverse forme di plurilinguismo che hanno interessato i
territori dell’Italia spagnola tra Cinque e Seicento. I domini discorsivi cui si presta
particolare attenzione, dando preferenza allo studio della scritturalità di ambito
pragmatico, sono nello specifico quelli giuridico-amministrativo, catechetico-
religioso e mercantile-militare, oltre che quello riguardante la gestione delle
crisi sociali (cfr. http://www.sfb-frueheneuzeit.uni-muenchen.de/projekte/c/c15.
html).
1.2. Per una storia degli spazi comunicativi e delle tradizioni discorsive 27

denomina tradizionalmente Italia spagnola. 133 Entrambi i costituenti di


questa felice definizione, in verità, sono alquanto ambigui:
‘Italia’ intende in prima linea i territori politicamente spagnoli […] della
penisola appenninica, cioè la Sardegna, il Regno di Napoli (ossia delle due
Sicilie), il ducato di Milano e il piccolissimo Stato dei Presidi. Ma dato che
‘Italia’ in epoca preunitaria è innanzitutto un concetto geografico e culturale,
esso abbraccia anche le parti autonome, non politicamente ‘spagnole’, perché
le une e le altre erano più o meno collegate dal punto di vista culturale,
economico, nonché linguistico.134
Anche l’attributo ‘spagnola’ è a sua volta equivoco perché include il pe-
riodo aragonese antecedente all’unione matrimoniale di Ferdinando di
Aragona con Isabella di Castiglia nei confronti del quale non vi è una vera
soluzione di continuità.135 Con la definitiva sconfitta degli angioini a
Napoli ad opera di Ferdinando ed il passaggio dalla dinastia castigliano-
aragonese a quella asburgica dopo la morte di questi, la Spagna si trovò
con il giovane imperatore Carlo V di fronte alla necessità di implementare
le strutture giuridiche e politiche dell’efficiente apparato amministrativo
viceregnicolo, esteso nel siglo de oro su gran parte dell’Europa e del nuovo
mondo.136 Al di là della presenza spesso solo nominale dei Vicerè spa-
gnoli, che in verità non risiedevano quasi mai in Sicilia, si registra in
questo periodo un forte flusso migratorio che interessa numerosi fun-
zionari statali, nobili e religiosi, ufficiali e soldati, ma anche mercanti e
avventurieri indotti a lasciare la penisola iberica alla volta dei domini
italiani.137 Lo spazio comunicativo del Regno di Sicilia si presenta dun-
que, nei secoli spagnoli, come un territorio plurilingue, realtà oggettiva
che si manifesta non solo all’interno degli apparati politico-amministra-
tivi, ma che si rende tangibile a tutti i livelli, in tutti i ceti sociali e domini
discorsivi, dall’ambito giuridico al religioso, dal commerciale-mercantile
all’educativo, dal medico allo scientifico.138 Ai flussi migratori dalla
Spagna alla Sicilia si aggiungono poi quelli per così dire interni (dal
settentrione, da Napoli, ecc. alla Sicilia) che fanno registrare una forte

133 Cfr. Schwägerl-Melchior 2014, 1 – 16; Gruber 2014, 52 – 64; Hafner 2009,
103 – 04; Musi 1994.
134 Krefeld 2013, 1.
135 Krefeld 2013, 1.
136 Hafner 2009, 103.
137 Basti pensare all’esplosione demografica registrata nella città di Napoli tra il 1450
e il 1550 al seguito della quale si allestirono i famosi quartieri spagnoli (Hafner
2009, 104).
138 Cfr. Hafner/Oesterreicher 2011, 136.
28 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

eterogeneità linguistica nel meridione d’Italia. Se è vero che nel sedice-


simo secolo il processo di selezione del toscano delle Tre Corone era già
avvenuto, sospinto non da ultimo da logiche commerciali legate alla
rivoluzione mediatica dell’epoca, e di conseguenza l’elaborazione estensiva
del tosco-italiano già irreversibilmente avviata,139 non va tuttavia di-
menticato che questo riguardava in prima linea la produzione del libro a
mezzo stampa. La Questione della lingua, peraltro, verte nell’Italia rina-
scimentale su di un preciso dominio, quello letterario. La discussione
umanistica che si concentra sulla codificazione della norma letteraria
riguarda pertanto, in questo caso lo si può affermare con certezza, una
ristretta cerchia di intellettuali. Nell’ambito della prossimità comunica-
tiva, invece, ma anche nei domini della scritturalità pragmatica non solo
privata e informale, la situazione è completamente differente. Nel mo-
mento in cui, nei domini della scritturalità di stampo pragmatico, la
tradizione scrittoria del siciliano entra in contatto con quella toscana, non
si verifica un immediato soppiantamento dell’idioma locale da parte di
quello extra-territoriale, ma questo contatto dà vita a processi di koi-
neizzazione, come si vedrà nel corso delle indagini (cfr. par. 2.3.3.), che
risultano spesso sorprendentemente stabili.140
Che lingue e che idiomi venivano dunque utilizzati nel Viceregno di
Sicilia tra il Cinque e il Seicento? E come si configura il multilinguismo
dello spazio comunicativo in quest’epoca? Nell’ambito della prossimità
comunicativa si registrerà una massiccia presenza del vernacolo nonché
della tradizione scrittoria regionale siciliana. Per quanto riguarda l’ambito
della distanza comunicativa, in esso sarà possibile identificare poi almeno
altri tre idiomi: il latino in ambiente ecclesiastico ed erudito, il toscano
nel discorso letterario e lo spagnolo nei domini giuridico-amministrativi
dell’apparato burocratico viceregio.141

139 Cfr. Krefeld 1988, 753 – 54.


140 Hafner 2009, 107.
141 Cfr. Hafner 2009, 108 – 09. Sull’analoga situazione del Viceregno di Napoli si
veda Gruber (2014, 98 ssg. e 199 ssg.) per l’utilizzo dello spagnolo in ambito
letterario e accademico e Schwägerl-Melchior (2014, 125 ssg.) per la diffusione
dello stesso in ambito burocratico-amministrativo.
1.2. Per una storia degli spazi comunicativi e delle tradizioni discorsive 29

1.2.3. Le tradizioni discorsive in diacronia

La storia della lingua, come si è gradualmente giunti a concludere nei


paragrafi precedenti, va ricostruita rendendo giustizia allo spazio comu-
nicativo dei locutori, inteso al macrolivello come la configurazione geo-
politica all’interno della quale essi si muovono e interagiscono. Ricono-
scere e scegliere il giusto campo operativo rappresenta una condizione
essenziale per un approccio alla lingua in prospettiva diacronica che si
possa ritenere scientificamente scevro di ideologie. I locutori entrano poi
in contatto reciproco, sul microlivello, in una determinata situazione
comunicativa, all’interno cioè di un preciso dominio discorsivo, accessi-
bile in diacronia attraverso la varietà diamesica dello scritto. Per quanto
sia difficile applicare fino in fondo i metodi della glottosociologia e della
linguistica migratoria alla ricerca storica, data l’impossibilità di trasferirne
tutte le categorie e rilevarne tutti i parametri con i relativi setting in
diacronia, risulta tuttavia percorribile il sentiero della disamina di singoli
ambiti del contatto linguistico, che si possono analizzare grazie ai dati
estraibili dai documenti storici a noi pervenuti.142 Come ricorda Wilhelm
a questo proposito, ogni testo si posiziona all’interno di due tradizioni
differenti: la tradizione linguistica, ossia delle lingue o idiomi (l’italiano,
lo spagnolo, il siciliano, ecc.) in cui viene trasposto il messaggio e la
tradizione discorsiva prescelta a dare ad esso una determinata forma (un
sonetto, un articolo scientifico, una dedica, ecc.). Operare una distinzione
tra norme linguistiche e norme discorsive non risulta però cosa facile, dal
momento che la tradizione linguistica e quella discorsiva sono indisso-
lubilmente legate, nella maggior parte dei casi, sia nei rispettivi testi, sia
nella coscienza degli scriventi. I generi testuali ad esempio del romanzo o
dell’articolo di cronaca sono attestati in numerose comunità linguistiche e
le dinamiche che hanno portato alla comparsa di tali generi testuali, così
come i mutamenti che si sono verificati nel corso del tempo in merito a
modelli, stili e norme discorsive, possono essere colti solo se si prescinde
dalla lingua che questi generi testuali traspongono e si focalizza l’atten-
zione sul loro carattere ‘universale’.143 Pur non essendo lecito ascrivere una
tradizione discorsiva o un genere testuale ad una lingua piuttosto che ad
un’altra, va però tenuto in considerazione il fatto che, come nel caso del
sonetto, vi sono tradizioni che ‘nascono’ proprio in una determinata
lingua e tendono a identificarsi con essa magari anche per un lungo

142 Cfr. Hafner 2009, 109.


143 Wilhelm 2003, 228 – 29.
30 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

periodo. I sonetti duecenteschi erano ad esempio redatti esclusivamente


in una varietà italoromanza; ciononostante, la forma del sonetto non può
essere considerata una specificità della lingua ‘italiana’, assoggettabile
esclusivamente alle sue regole e alla sua grammatica.144 Le tradizioni
discorsive, conclude Oesterreicher a questo proposito, pur privilegiando
l’utilizzo di determinate varietà e di determinati schemi comunicativi,
non si fermano insomma di fronte alle linee di confine tra le comunità
linguistiche.145
Proprio questo complesso intreccio tra norme discorsive e norme
linguistiche è tale da rendere le tradizioni discorsive un oggetto di studio
privilegiato ai fini della storiografia linguistica. Le ricerche diacroniche
effettuate su specifici corpora linguistici mostrano infatti che l’attribu-
zione di precisi modelli a determinate situazioni comunicative risulta
spiegabile solo attraverso le tradizioni discorsive, una serie di norme
storicamente motivate che funge così da trait d’union nientemeno che fra
la storia interna e la storia esterna.146 È di fondamentale importanza
tenere conto del fatto che sulla base della forma linguistica di un deter-
minato testo non è mai dato trarre conclusioni definitive sull’apparte-
nenza sociale o culturale del suo scrivente. Viceversa vale lo stesso dis-
corso, per cui non vi è una relazione univoca tra il carattere ‘popolare’ o
‘erudito’ di un testo, il suo grado di prossimità o distanza comunicativa da
un lato e la sua lingua o le sue lingue dall’altro. È piuttosto l’appartenenza
di un testo ad un determinato genere testuale a fornire indicazioni al
riguardo, dal momento che schemi e modelli linguistici vengono tra-
mandati in primo luogo dalle e nelle tradizioni discorsive. La forma
linguistica di un testo può e deve essere descritta solo e sempre all’interno
del campo di tensioni generato, da un lato, dalla sua funzione (‘popolare’,
‘erudito’, ecc.) e, dall’altro, dalla tradizione discorsiva cui fa capo. Solo
facendo del suo obiettivo principale il rispetto e la ricostruzione di quelle
che sono le tradizioni linguistiche delle tradizioni discorsive 147 la storia della
lingua potrà concepirsi come varietistica storica a tutti gli effetti. Iden-
tificare nelle tradizioni discorsive l’oggetto della linguistica diacronica è il
passo indispensabile per far sì che questa venga intesa non più come una
grammatica storica (la storia interna di un sistema linguistico), né come la
storia della diffusione e imposizione di una lingua standard nella di-

144 Wilhelm 2003, 229.


145 Oesterreicher 1997, 20.
146 Wilhelm 2003, 231.
147 Wilhelm 2003, 231.
1.2. Per una storia degli spazi comunicativi e delle tradizioni discorsive 31

mensione geografica, sociale e situazionale di un determinato territorio


(la storia esterna), ma come storia della comunicazione, un fenomeno
perfettamente e genuinamente composito.148

1.2.4. I Ricettari di segreti

La tradizione discorsiva attraverso la quale ci si addentrerà nella storia


dello spazio comunicativo siciliano, i Ricettari di segreti, rappresenta “in
un certo senso una contraddizione in termini”,149 svelandosi in essi per
mezzo della scrittura ciò che si sostiene essere e dover rimanere segreto. Se
si considera però che i casi in cui si ricorre all’utilizzo di lettere di un
alfabeto ignoto o a meccanismi di criptaggio150 sono molto rari e in
definitiva nemmeno tanto corposi in termini di informazione tenuta
celata, sarà lecito considerare la segretezza evocata da tali scritti alla
stregua di una topica tanto ricorrente quanto inconsistente, individuando
piuttosto nei ricettari tardomedievali e della prima età moderna un’am-
bizione divulgativa.151 Il sapere che si condivide nei Ricettari di segreti e le
conoscenze messe a disposizione dei lettori di tali compendi riguardano in
senso lato la sfera della medicina pratica, della chirurgia e della chimi-
ca.152 Alla base di questi compendi, come esplicitano i numerosi richiami
ai trattati più famosi che circolavano nell’Europa medievale, vi era spesso
una precisa auctoritas. 153 I segreti consistono per la maggior parte in
consigli e indicazioni su come svolgere determinate operazioni di carat-
tere medico-terapeutico, dall’enumerazione delle sostanze da procurarsi
per la preparazione di rimedi contro le più svariate patologie alla pre-
disposizione dei riti magico-spirituali propizi alla guarigione – con tanto
di esempi di formule da performare durante tali rituali – passando per
un’accurata descrizione delle modalità di preparazione e di applicazione
dei preparati medicamentosi.

148 Cfr. Wilhelm 2003, 233.


149 Policardo 2006, 424.
150 Sono questi l’utilizzo di alfabeti differenti, l’attribuzione di un valore diverso da
quello convenzionale alle singole lettere di un alfabeto, la scrittura da destra verso
sinistra o quant’altro suggerito da Roger Bacon nei Segreti dell’arte e della natura
ai fini dell’occultamento (Policardo 2006, 425).
151 Policardo 2006, 424.
152 Policardo 2006, 423 ssg.
153 Policardo 2006, 429; cfr. Lubello 2006, 404.
32 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

Sappiamo che il meridione d’Italia e la Sicilia vantavano una ricca


tradizione di studi medico-filosofici sin dai tempi di Federico II, al cui
spiccato interesse scientifico si deve fra l’altro l’introduzione della più
famosa enciclopedia medievale nel vecchio continente, il secretum secre-
torum. 154 All’imperatore svevo del Sacro Romano Impero va attribuito
anche il merito di avere istituito, all’interno della sua storica opera di
riforma del diritto costituzionale, la figura moderna del medico profes-
sionista, che le Constitutiones sancivano dovesse provenire della Schola
medica salernitana. La Schola salernitana, sorta fra la fine del IXo e l’inizio
del Xo secolo in ambiente dapprima monastico, si sviluppò ben presto nel
più moderno studio europeo in materia medica, potendo contare
sull’apporto di personalità di spicco come Costantino l’Africano, il me-
dico cartaginese stabilitosi nella città cui si devono, tra le altre, le tra-
duzioni in latino dei Pantegni, della Ysagoge o dei libri dietarum parti-
cularium e dietarum universalium, nonché di numerosi trattati medici e
farmacologici di tradizione galenica.155 Lo studio salernitano raggiunse il
suo massimo splendore, tra i secoli XI e XIII, proprio grazie all’assimi-
lazione, da un lato, del sapere antico conservato nei libri della cultura
bizantina e araba che giungevano da tutto il Mediterraneo – tra i medici-
traduttori dell’itinerante curia fridericiana si ricordino le figure deter-
minanti di Michele Scoto, Adamo da Cremona, Teodoro di Antiochia e
Arnaldo da Villanova e tra tra le opere che esercitarono maggiore in-
fluenza sul pensiero europeo si menzionino, oltre a quelle già citate, i
trattati di Avicenna e Averroè.156
Dall’altro lato, il successo e la fama della scuola di Salerno sono
certamente dovute alla vocazione empirica degli studiosi che si riunivano
nella città campana e all’apertura verso la sperimentazione di nuovi
metodi e nuove terapie basate non più solamente sul criterio logico-
speculativo dominante nella concezione Scolastica della medicina me-
dievale, ma anche e soprattutto sull’esperienza accumulata in prima
persona dal medico stesso operante nella pratica.157 Si trovano allora
certamente riferimenti ai principi della medicina antica, basata sulla
teoria dei quattro umori e tesa a garantire un sano equilibrio tra essi
mediante l’osservanza di diete, l’assunzione di sostanze o la flebotomia e il
salasso. Anche il principio della symphatia e dell’antiphatia, il primo che

154 Rapisarda 2001, xxxviii-xxxix.


155 Cfr. http://www.imss.fi.it/milleanni/cronologia/biografie/costafr.html.
156 Rapisarda 2001, xxxix-xli.
157 Cfr. Policardo 2006, 435 – 36 e 438.
1.2. Per una storia degli spazi comunicativi e delle tradizioni discorsive 33

induce ad esempio a curare un morso di serpente per mezzo di un an-


tidoto a base dello stesso veleno, il secondo tale per cui si considera invece
efficace un antidoto a base di materie organiche del nemico naturale del
serpente, come possono esserlo gli artigli dell’aquila, trovano altrettanta
considerazione in molte ricette, come pure il principio della signatura
rerum secondo il quale la forma fisica in cui si presentano determinati
elementi del mondo minerale, vegetale o animale ne indica la particolare
efficacia terapeutica sulle parti del corpo ad essi somiglianti.158 Ciò che
risulta però predominante in termini sia quantitativi che qualitativi, oc-
cupando spesso una posizione di riguardo all’interno dei Ricettari di
segreti, è la parte relativa alla prassi esperienziale dell’autore/compilatore.
Come osserva Policardo in merito alla letteratura secretistica, che conobbe
un’ampia diffusione editoriale già a partire dal secolo XVI, la citazione
autoriale, anche nei compendi e nelle trattazioni studiate in questa sede,
tende a svanire sempre più via via che ci si addentra nella lettura, giun-
gendo a dissoversi in una pluralità indistinta di autori e fonti alla quale si
contrappone con determinazione l’emergente e singolare individualità
dell’io scrivente.159 È questa un’inversione di tendenza che testimonia il
lento, ma rilevante mutare di un paradigma scientifico e al contempo il
sorgere di una “sorta di epica in cui l’eroe medico, profeta, vince la
malattia, superando innumerevoli ostacoli, in una specie di viaggio ini-
ziatico dell’esperienza”.160 Considerando che il lettore della prima età
moderna non operava una distinzione tanto netta tra scienza e letteratura
quanto quella che ai giorni nostri è scontato tracciare, scorgendo quindi
in un bestiario o un erbario tardomedievale un indiscusso valore anche
mirabile-letterario,161 oltre che mistico-religioso, si potrebbe concordare
con Policardo nel riconoscere alla letteratura (pre)scientifica della prima
età moderna lo statuto di contraltare alla letteratura rinascimentale
d’intrattenimento. Se quest’ultima è infatti “popolata di cavalieri com-
battenti e castelli meravigliosi, la prosa-media scientifica, invece, esalta il
meraviglioso del ritrovato, il ‘prodigio’ racchiuso in boccetta”.162 Insieme
al progressivo abbandono della citazione d’autore, è dato rilevare nei
Ricettari di segreti almeno due altre topiche ricorrenti che mettono in
rilievo il carattere individuale e la natura sperimentale della letteratura

158 Rapisarda 2001, xvi.


159 Policardo 2006, 423; 428; 431.
160 Policardo 2006, 431 – 32.
161 Cfr. Muljačić 1985, 401.
162 Policardo 2006, 431.
34 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

secretistica: la tematica del viaggio e la figura dello ‘scienziato’-viandante,


che può coincidere con quella dell’autore-compilatore o rappresentare un
personaggio con cui questi entra in contatto nel corso della sua attività di
ricerca e sperimentazione. “Che i viaggi siano stati effettivamente com-
piuti probabilmente non è importante, quanto invece lo è il constatare
che il viaggio sia all’origine stessa della credibilità dei contenuti del
testo”,163 secondo una logica che ritiene tanto più validi i rimedi, quanto
più fortuito risulta essere il loro ritrovamento o il contesto in cui si
verifica l’incontro e lo scambio di arcani. Passando dal rapporto autore-
fonte a quello autore-lettore è possibile individuare una forte consape-
volezza della presenza di un pubblico auditore nei Ricettari di segreti,
riconoscibile non solo nei costanti richiami intratestuali con cui l’autore
accompagna il lettore e lo aiuta ad orientarsi nel lungo e articolato per-
corso di consultazione – e infatti l’indice dell’opera, i titoli di rubrica
posti a centro pagina o messi in evidenza attraverso una tinta differente, i
richiami anaforici e cataforici integrati nel testo, le icone a margine che
evidenziano la particolare importanza di talune rubriche sono tutti stra-
tagemmi che consentono una lettura attiva e selettiva dell’opera –, ma
anche nelle allocuzioni rivolte direttamente al lettore/ascoltatore con cui
sono espressi magari gli stessi richiami intertestuali e che rendono l’idea di
uno stretto rapporto tra l’io del compilatore e il tu del consultatore.
Talvolta è proprio la stessa natura dialogica con il susseguirsi di domande
poste da un ideale discepolo-ascoltatore e di risposte attribuibili ad un
maestro-locutore a fornire una struttura testuale all’opera.164
Prima di dare inizio all’analisi linguistica dei Ricettari di segreti è
opportuno delineare brevemente anche il profilo testuale degli stessi
ricettari, soffermandosi in particolare sulla sua natura composita. Quella
che si presenta come una tradizione discorsiva facilmente delimitabile da
altri generi testuali noti, di stampo pragmatico-burocratico piuttosto che
erudito-letterario, si configura infatti, sin da un primo sguardo critico,
come un assortimento di testualità anche molto differenti l’una dall’altra
e pertanto difficili da sussumere ad un unico genere. In primo luogo sarà
possibile riconoscere una tipologia testuale prettamente regolativa, la ri-
cetta, sia essa di farmacopea, medicina, alchimia, cosmetica o quant’altro.
Ricca di forme verbali prescrittive ed espressioni esortative formulate in
imperativo, infinito o impersonale, la tipologia testuale della ricetta si
contraddistingue altresì per la sua struttura da un lato semplice e ripe-

163 Policardo 2006, 432.


164 Policardo 2006, 429 – 30.
1.2. Per una storia degli spazi comunicativi e delle tradizioni discorsive 35

titiva, che tende a scandire le diverse fasi della procedura attraverso co-
struzioni paratattiche e l’uso persistente di singole congiunzioni e avverbi,
dall’altro però non priva di estrema formularità e aulicità, effetto che
sortiscono in particolar modo i vari quello, detto, ecc. con cui si disam-
bigua il richiamo anaforico agli ingredienti elencati a inizio rubrica e
ripresi poi singolarmente nel corso della trattazione.165 Il primo tipo
testuale, subito susseguente alla titolazione costituita nella maggior parte
dei casi da una proposizione finale del tipo (Ricetta) per fare…,166 è
rappresentato quindi non dalle istruzioni finalizzate alla preparazione del
rimedio, ma dall’elenco o inventario degli ingredienti necessari alla
composizione dello stesso. Ci si trova qui di fronte ad una tipologia
testuale del tutto equivalente a quella di una lista. Lo stretto rapporto di
connessioni che l’elenco d’ingredienti intrattiene con le istruzioni che
spiegano le modalità di preparazione del rispettivo farmaco rende però
evidente come non si tratti mai di un’aggregazione disorganica di ele-
menti con il solo scopo di fungere da supporto mnemonico per il re-
dattore-esecutore. Non si ha cioè a che fare con una successione di ap-
punti scheletrici interpretabile solo dal suo autore, ma al contrario con
una lista concepita come parte integrante di un testo regolativo rivolto ad
un potenziale quanto previsto lettore estraneo alla compilazione.167
Questi, grazie alla coesione testuale garantita dai numerosi connettori
presenti nella seconda tipologia testuale, si trova nelle condizioni di poter
riconoscere la coerenza che lega i due tipi di testo e di accettare senza
difficoltà il passaggio dall’uno all’altro.168 Le tipologie testuali presenti nei
Ricettari di segreti non si esauriscono però nella lista-catalogo e
nell’istruzione regolativo-prescrittiva. Non è infatti raro trovare, in queste
opere, una serie di digressioni di tipo narrativo e/o argomentativo volte a
rinforzare la validità dei contenuti trasposti. La struttura interna tipica dei
Ricettari di segreti è dunque una parte iniziale in cui si prescrivono le erbe
o più in generale gli ingredienti necessari, seguita da una sezione che
descrive il modo d’uso e la lavorazione delle sostanze e da una serie di
indicazioni terapeutiche. Quest’ultima parte, in alcuni casi, risulta più
elaborata e può comprendere alcune esemplificazioni, delucidate all’in-

165 Musso 2007, 180; cfr. Rapisarda 2001, vii.


166 Musso 2007, 180.
167 Cfr. le considerazioni di Lubello (2006, 391 ssg.) sulla tradizione discorsiva dei
ricettari o libri di cucina.
168 Sui criteri testuali di coerenza e accettabilità cfr. De Beaugrande/Dressler (1981,
88 ssg. e 138 ssg.)
36 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

terno di eventuali passaggi narrativo-argomentativi sulle modalità


dell’intervento terapeutico.169 Completano infine il quadro le formule di
scongiuri e preghiere da scrivere su amuleti, quella che si può definire una
tipologia di testo ‘scenico’ soggiacente all’esecuzione performativa, alla
recita transcodificata di uno script mentale.
Sarà funzionale, in questa sede, esaminare la tradizione testuale dei
Ricettari di segreti proprio in questa sua dimensione composita, nel pieno
rispetto dell’evento comunicativo170 che il testo preso di volta in volta in
esame rappresenta. Le investigazioni tese a riportare alla luce il testo
originario soggiacente ai manoscritti, la ricerca degli antigrafi, il ripristino
degli archetipi e la rappresentazione di uno stemma codicum, sono invece
operazioni tanto indispensabili per la ricerca filologica, quanto trascura-
bili ai fini di questa indagine. Altrettanto marginale, se non addirittura
fuorviante nel suo seguire linee di pensiero inevitabilmente teleologiche, è
sull’altro versante lo studio della dimensione evolutiva del tipo testuale
dei Ricettari di segreti nel corso dei decenni, magari da semplice raccolta
a compilazione sincretica a libro d’autore o trattato d’arte.171 Si ritiene
piuttosto necessario analizzare l’oggetto di studio Ricettari di segreti dal
piano di osservazione pragma-linguistico aderendo il più possibile alla
tradizione della new philology,172 attenta in primo luogo proprio a para e
cotesti così come a quei fenomeni di mouvance 173 che rendono giustizia ai
contesti d’uso del rispettivo testo.
I Ricettari di segreti andranno dunque esaminati nella dimensione
reale e ‘attuale’ del loro rispettivo momento di fruizione e letti in filigrana,
essendo appunto lo spazio comunicativo soggiacente la categoria lingui-
stica e storico-culturale che s’intende ricostruire. Lo spazio non geogra-
fico, ma socio-comunicativo che si costituisce nell’interazione quotidiana
degli individui in esso coinvolti, come si è sottolineato in par. 1.2., si
rende percettibile in tre dimensioni fondamentali,174 le cui strette con-
nessioni possono essere rappresentate anche per mezzo di un triangolo
isoscele (v. fig. 3). Avvalendosi di una tale raffigurazione, andranno
collocati ad una estremità le istituzioni (INSTITUTIONEN) giuridiche,
religiose, educative ecc. con le relative pratiche culturali e i modelli lin-

169 Policardo 2006, 428.


170 Oesterreicher 1998, 23.
171 Cfr. Lubello 2006.
172 Cfr. Stackmann 1994.
173 Cerquiglini 1989, 111 ssg.
174 Cfr. Krefled 2004a, 23.
1.2. Per una storia degli spazi comunicativi e delle tradizioni discorsive 37

guistici ad esse correlati (la dimensione della spazialità della lingua) e ad


un’altra le persone (PERSONEN) con il proprio repertorio di lingue e
varietà padroneggiate (la dimensione della spazialità del locutore). Alla
terza estremità della figura geometrica si troverà infine l’effettivo atteg-
giamento linguistico (VERHALTEN) tenuto dal locutore nella concreta
situazione comunicativa (riconducibile alla dimensione della spazialità
dell’eloquio). In virtù della loro natura para-istituzionale, i Ricettari di
segreti si prestano in maniera esemplare a fungere da ‘specchio’ dello
spazio comunicativo. I loro redattori si concepiscono infatti in prima
linea come rappresentanti di una determinata tradizione discorsiva –
medica, religiosa o letteraria che sia – e non di una comunità scientifica o
accademica. Se è certo che alla base di una tradizione discorsiva vi sono
spesso delle linee guida più o meno prescrittive, è altresì vero che le
tradizioni discorsive non sono tenute a rispettare appieno le regole di una
lingua (cfr. par. 1.2.3.),175 soprattutto non nel caso in cui esse siano
pressoché svincolate da una prassi di scrittura istituzionalizzata. A questo
vantaggio, per così dire la mancanza di un filtro che rischi di eliminare o
appiattire la molteplicità di soluzioni linguistiche che riuguardano la
spazialità dell’eloquio, si aggiunge sul piano della spazialità del locutore
una ulteriore e per nulla trascurabile peculiarità. I Ricettari di segreti
rappresentano un mezzo privilegiato attraverso il quale addentrarsi nel
relativo spazio comunicativo grazie non per ultimo alla vasta gamma di
locutori che si possono trovare tra le fila dei loro autori-compilatori. Non
solo locutori apparentemente monoglotti, ma anche locutori poliglotti e,
tra questi, di origine alloctona oltre che autoctona.

175 Oesterreicher 1997, 20; cfr. Oesterreicher 1993.


38 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?

Figura 3. La triangolazione dello spazio comunicativo176

176 Dal manoscritto inedito merid-1-Raum-Italo-1 della lezione monografica su: Il


Meridione tenuta da Thomas Krefeld presso la Ludwig-Maximilians-Universität
di Monaco di Baviera nel semestre estivo del 2009, pag. 22.
2. Analisi empirica: Ricettari di segreti
e plurilinguismo

È giunto dunque il momento di dedicarsi all’analisi del corpus di dati


attraverso il quale inoltrarsi nello spazio comunicativo del Regno di Sicilia
dei secoli XV – XVII, i Ricettari di segreti. La documentazione si com-
pone dei seguenti testi manoscritti, elencati secondo l’ordine in cui ver-
ranno presi in esame nei prossimi paragrafi:
- Il Trattato delle virtù delle erbe della Biblioteca Comunale di Palermo
(sec. XV/XVI)
- Il Lapidario della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana (sec.
XV)
- L’Eucologio della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia (sec. XVI)
- Il Thesaurus Pauperum della Biblioteca Comunale di Palermo (sec.
XV)
- Il Libro di ricette e secreti della Biblioteca Comunale di Palermo (sec.
XV)
- L’Herbarium della Biblioteca Civica Gambalunga di Rimini (sec. XV)
- Il Recettario Segreto della Biblioteca Comunale di Palermo (sec. XVI)
- L’Opera e ricette di alchimia della Biblioteca Zelantea di Acireale (sec.
XVI)
- La Raccolta di prediche della Biblioteca Zelantea di Acireale (sec.
XVII)
- Il Libretto di formule magiche dell’Archivio Storico Diocesano di
Monreale (sec. XVII)
Lo spettro tematico dei testi selezionati – da ricette di medicina, alchimia
e cosmetica, passando per scongiuri e orazioni superstiziose fino ad ar-
rivare a epitomi di chirurgia o alchimia – è teso, per un verso, a rispec-
chiare il carattere fortemente composito della tradizione discorsiva in
questione (cfr. infra, par. 1.3.). Prendendo in esame i singoli manoscritti
nella loro struttura organica complessiva, si è ritenuto poi fondamentale
rendere visibile a sua volta il carattere composito che contraddistingue i
codici stessi da cui sono tratti i Ricettari di segreti. Si getta così uno
sguardo d’insieme sul ventaglio dei possibili co-testi, che nel più dei casi
rappresentano lapidari o erbari, ma che possono anche varcare l’ambito
40 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

prettamente (para)scientifico ed estendersi ai domini dell’estetica piut-


tosto che dell’oratoria religiosa attraverso poesie, prediche, ecc.
La disamina linguistica dei testi sarà preceduta da una breve descri-
zione del manoscritto tesa ad evidenziarne le caratteristiche interne ed
esterne (tipo di scrittura, filigrana, riferimento a personaggi o eventi
storici, datazioni, ecc.) ritenute di volta in volta salienti per una legittima
congettura su quelle che possono essere le sue coordinate spazio-tempo-
rali. Qualora i manoscritti vantino di edizioni curate in epoca moderna si
farà riferimento ad esse,177 proponendosi di ampliarle, laddove esse siano
solo parziali, del materiale ancora inedito178 e cercando di mettere in
evidenza i frammenti testuali più indicativi per la ricostruzione del nostro
spazio comunicativo inteso come impianto linguistico-comunicativo di
una determinata costellazione geopolitica da un lato e di un determinato
locutore o gruppo di locutori dall’altro (cfr. infra, par. 1.2.1.).
L’opzione sequenziale sopra riportata è dovuta all’esigenza di conci-
liare l’uno con l’altro diversi criteri ordinatori. In primo luogo si è rite-
nuto sensato optare per una successione pressoché lineare dal punto di
vista cronologico, per cui si apriranno le esplorazioni con i Ricettari di
segreti quattrocenteschi (cfr. infra, parr. 2.1.1., 2.2. e 2.3.1. – 2.3.2.)
mettendo a disposizione del materiale per poter operare raffronti con testi
seriori, anzitutto con quelli cinquecenteschi che costituiscono il nucleo
vero e proprio dell’indagine diacronica (cfr. infra, parr. 2.1.2., 2.3.3.). Il
cerchio si chiude con un indispensabile excursus nel primo Seicento volto
a cogliere le tendenze in materia di riorientamento verso un nuovo
modello linguistico (cfr. infra, par. 2.3.4.). I testi, oltre ad essere ordinati
secondo il criterio cronologico, si susseguono in modo tale da permettere
al lettore di sondare la prassi scrittoria facente capo a guaritori di origine
sia autoctona che alloctona.
Prima di dare spazio alle singole esplorazioni è doveroso rendere
conto degli interventi operati sui manoscritti nel momento della
trascrizione.179 Si è ritenuto ovviamente opportuno adottare criteri di

177 Ciò vale per il Lapidario (parr. 2.2.1.1. e 2.2.1.2.), l’Eucologio (par. 2.2.2.1.), il
Thesaurus Pauperum (par. 2.3.1.1.), il Libro di ricette e secreti (par. 2.3.2.1.) e, in
parte, per il Trattato delle virtù delle erbe (par. 2.1.1.).
178 Come nel caso del Trattato delle virtù delle erbe (parr. 2.1.1. e 2.1.2.), del Re-
cettario secreto (par. 2.3.3.1.), dell’Herbarium (par. 2.3.2.2.) e del Libretto di
formule magiche (par. 2.3.4.2.).
179 Si sono effettuate delle trascrizioni di frammenti testuali dai manoscritti del
Trattato delle virtù delle erbe, dell’Herbarium, del Recettario secreto, dell’Opera e
ricette di alchimia, della Raccolta di prediche e del Libretto di formule magiche di
2.1. Plurilinguismo per assemblaggio di codici 41

edizione che rispettassero il più possibile la conformità originale dei


manoscritti, evitando di sciogliere anche le più comuni abbreviature per
non uniformare artificiosamente delle produzioni testuali caratterizzate
nella maggior parte dei casi da forti oscillazioni. Non si interviene per-
tanto su segni abbreviativi quali il taglio trasversale del gambo di p, dato
che questo a seconda dei casi può essere sciolto sia in per che in pir o pri (e
anche in pro), ma si riporta semplicemente la forma abbreviata p seguita
da un punto. Un discorso analogo vale anche per il taglio al gambo di q,
in particolar modo nelle occorrenze del pronome dimostrativo questo/
quello ovvero quisto/quillo e per il simbolo del c retroversum simile ad un 9
da sciogliersi in con-/com- ovvero cun-/cum-. La lettera omessa, soprat-
tutto se si tratta di vocale anteriore o posteriore, non viene in genere
sciolta, e si hanno allora m.lto o b.n. per molto/multo o bene/beni. Anche la
lettera rialzata e sovrapposta ad una consonate (come in ulto per ultimo) si
lascia tale nella trascrizione in tutto rispetto per l’originale. Nel caso meno
problematico del titulus che abbrevia una consonante nasale si è ritenuto
invece lecito trascrivere la stessa in n o m. Non si trascrive però di norma
un titulus che rimandi a vocali o a terminazioni quali -ti/-te, -di/-de, ecc.
Lo svolazzo che rappresenta la congiunzione e/et è sciolto, mentre quello
della congiunzione consecutiva e pronome relativo, rappresentato da ch
(con un taglio trasversale sulla h) e scioglibile a seconda dei casi in che o in
chi, si riporta anch’esso nella forma abbreviata.Lo svolazzo simile ad una q
rialzata per -er/-ir viene invece corsivato. Altre abbreviazioni meno ri-
correnti sono infine sciolte in nota. Le omissioni, dovute per lo più a
difficile e ambigua lettura sono evidenziate da parentesi quadre, mentre le
lacune dovute a guasti meccanici o espunzioni sono racchiuse da parentesi
uncinate. Per facilitare la lettura, al margine sinistro delle trascrizioni si
riporta il numero della carta e il rigo da cui sono riprese.

2.1. Plurilinguismo per assemblaggio di codici


In questo primo capitolo si prenderà in esame il Trattato delle virtù delle
erbe (v. fig. 4), attraverso il quale si cercherà di mostrare quali percorsi
interpretativi si aprono di fronte a testi palesemente plurilingui e quali
sono le caratteristiche esterne ed interne di un manoscritto che permet-

cui ai rispettivi paragrafi. Si sono infine trascritte due ricette da una Raccolta di
prescrizioni mediche conservata nell’Archivio della Congregazione per la Dottrina
della Fede a Roma/Città del Vaticano (par. 2.3.2.2.)
42 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

tono più di altre di avanzare ipotesi attendibili sulla sussistenza o meno di


vere e proprie competenze linguistiche plurime da parte dei relativi uti-
lizzatori.
Il Trattato delle virtù delle erbe, conservato nella Biblioteca Comunale
di Palermo ai segni Qq A 13, è descritto nel catalogo curato da Rossi con
queste parole:
Anonimo. Trattato delle virtù dell’erbe, ed in quali malattie possono usarsi, e
come prepararsi, in -88. Collocazione 13. V’ha in principio un elogio della
famiglia Ventimiglia, ma è lo stesso che trovasi in Sancetta. Il ms. è antico. Il
carattere è mezzo gotico con capo-lettere miniate e per la maggior parte in
lingua spagnola, con un misto di latino, italiano e francese.180
Una pressoché identica descrizione si trova anche nel catalogo di Bogli-
no,181 il quale – fatta eccezione per un’approssimativa datazione al secolo
XV che rappresenta una propria stima – non sembra far altro che citare le
parole di Rossi prescindendo evidentemente da un riscontro diretto.182
Un accurato riscontro è stato effettuato per la prima volta solo di recente
da Cornagliotti,183 grazie alla cui segnalazione è possibile far luce sulle
ragioni che hanno indotto a ritenere per lungo tempo questo codice
quadrilingue. L’analisi compiuta da Cornagliotti sulla composizione
esterna del manoscritto, la sua fascicolazione, chiarisce innanzitutto come
l’elogio con cui si apre il trattato, redatto peraltro in corsiva umanistica,
sia di epoca e di mano seriore al trattato con cui solo successivamente fu
rilegato. L’elogio, a cui ci si dedicherà a breve (par. 2.1.2.), consente
inoltre di sciogliere un primo nodo in merito all’enigmatica questione
delle lingue del trattato. È infatti questa la parte che risulta scritta in
italiano, anche se occorre fare già da subito una precisazione e parlare di
un volgare italiano, non trattandosi da un lato né di un volgare ibero o
galloromanzo – poiché questi sono gli altri idiomi individuati nel ma-
noscritto secondo le descrizioni dei catalogatori citati sopra – né dall’altro
lato di un volgare prettamente tosco-italiano.

180 Rossi 1873, 4.


181 Boglino 1889, 95.
182 Cfr. Cornagliotti 1994, 103.
183 Cornagliotti 1994.
2.1.1. Il Trattato delle virtù delle erbe (la raccolta del sec. XV) 43

2.1.1. Il Trattato delle virtù delle erbe (la raccolta del sec. XV)

Cominciamo allora dalla descrizione della seconda parte del codice,


quella più antica e contenente il trattato vero e proprio comprensivo di 88
carte numerate. La fascicolazione originale, come dimostra la numera-
zione più antica che ordina le carte 87 – 98 della numerazione moderna
con una progressione da 1 a 12, risulta sovvertita dalla posposizione dei
primi 15 fogli. Le carte 85 e 86 non presentano una numerazione antica,
ma aprendo il fascicolo a cui appartiene la carta 87 vanno considerate
anch’esse, non fosse altro che per ragioni tecniche, tra quelle da prepor-
re.184 La questione è confermata ovviamente anche da ragioni con-
tenutistiche, dal momento che le carte 85 e 86 racchiudono l’indice
dell’opera:

184 Cfr. Cornagliotti 1994, 105.


44 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

Figura 4. Trattato delle virtù delle erbe (la raccolta, sec. XV)
2.1.1. Il Trattato delle virtù delle erbe (la raccolta del sec. XV) 45

[85r]a)
b)
1 R<u>brica del present sumari de me Cono <…>
2<.>aLope desines alanor e gloria a <…> senyor <………>
3<…> <……..>t<…………….> Joan Lo<p>es: <………>
<………>
4 P mo tra<c>tat demedesines econfo <.>ra<…>
5 rts reguar<da>nts alcap eparticuls tracta
6 de aquei en cartsc) 25. lesnatu<…>
7 A mal dulls de diveres maneres <c>ar<te>s
8 en carts 20 capitols <…>o<….>
na<…>
9 De mals dorella en cartes 33 <…….>
10 D<e m>als decara edeboqua ede
11 <p>ara<.>la p.duda 34
12 D<e d>olor dedents equexals de moltes
13 maneres 35
14 De stancare vomit encas 39
15 Demall decoll e vexigues 14 p <……….>
16 De mal q. no dexa bastare ale 41
17 Detos seq.na @d) dmoltes mane
18 res 41
19 Destancar sanch demoltes mane
20 res 42
e)
21 Totes les receptes lesquals tendeav<e>res <en>
22 prinnpi son delliber demestre <ne> <lenis en>
23 pu<..…>ntigi q. negnuns al<………>
24 dormito<..> <………> 27

[85v]

1 Devirtuts de moltes erbes co es dela


2 nepta del romero del trepo
3 econiur 43 43
4 Amal demembre 47
5 Dels exarms 48
6 <m>aldemamel D donia quis vol emprenyar 55
7 a 48 Dela virtut del fenoll de la nepta
8 D dela celidonia dela berbena e
9 dela lapasa dela berbena 59
10 Aygua devida donant vida q.
11 <..>iacra70 alome vell fatornar iove
12 <F>istola 70 la qualte molts virtuts 65
13 A mal de canre 66
14 A mal de melca e defetge 67
15 A mal de rengons 48 85
46 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

16 A lancar nuvol q. ve carregat


17 de maltemps e altres receptes de
18 paraules santes 49
19 A bestia despeada 49
20 A traure tot ferro de tot loch
21 dela presona/ e moltes altres
22 paraules molt bones p. amoltes
23 coses 49
f)
24 atremolament de <mem>bres
25 a cts 49
26 amald cama @ ct 48
27 alupia encartes 38

[86r]

1 A dona quis vol emprenyar/ e de


2 altres mals demaie e part de
3 dones 44
4 <.>liacra en cartes 69/
5 De moltes receptes de vi millorar 67
6 De fistoles / de moltes maneres/.
7 e deconexer mezell/. 70
8 <…>acra aliacra a 70
9 De mal de mascle ecolicapastro 72
10 De mal de siatiga 72/1
11 A febra quartana 73
12 A mal depedra 74
13 Dormitori manellor 74
14 A mal dexir 75
15 A mal de morenes 75
16 A mal de ventrell 76
17 A mal de gota deles iuntures 76
18 A cremadura de foch 77 . e foch salvatge
19 Peraquells q. no poden pixar 78
20 A confortare lo cor empastre 79

21 A mal de cama____________58
22 Ronya _____ ____ 39
23 Adolor q. va p. fredor /o p. colp 23
24 a <………………> 23

[86v]

1 contratota bua edaltres forts


2 naxences 80
3 oli q.esdit lo segon balsem 80
2.1.1. Il Trattato delle virtù delle erbe (la raccolta del sec. XV) 47

4 Aguarir tropichs 81
5 Cataplasme desequtiu 9tra tota
6 Humor 81
7 Comsesdenen les enfermetats 82
8 A presona que aia malacolor 83
9 Contra metzines 83
10 contra aquells que son etichs 83

11 Oracio ad conficiendum medesjnas.


12 Deus qui mirabiliter hominem
13 creasti /si mirabili9 reformasti q’
14 dedisti m<.>zn ad temp.anciam et sani
15 tatem humanorum corporem da benedic
16 cionem tuam sanctam de celis super
17 hanch mizn ut jn cui9 corpus into
18 ierit sanitatem mentis @ corporis reci
19 pe mereatur p. dominum meum Ihs Xstum
20 pater noster g)
a)
Nel mezzo del margine superiore della carta si trova la sigla “Ihs”.
b)
Capolettere con miniatura in tinta rossa sovrapposta.
c)
Il numero della carta è preceduto e messo in rilievo, nella maggior parte delle
rubriche, da due tratti in tinta rossa che formano spesso una c miniata.
d)
La congiunzione e/che è resa con uno svolazzo simile al simbolo della chioc-
ciola (rovesciata).
e)
Le ultime quattro righe sono aggiunte pare dalla stessa mano in un secondo
tempo, come dimostra la tonalità più chiara della tinta (la stessa utilizzata per
le annotazioni poste a margine) e la collocazione al di fuori dell’originario
specchio di scrittura.
f)
Anche in questa carta e in quella seguente le ultime quattro righe, posizionate
al di fuori dello specchio di scrittura e con capolettera non miniata, sono
evidentemente aggiunte in un secondo tempo.
g)
BCP, Trattato delle virtù delle erbe.
Il dato saliente che emerge dall’indice delle rubriche, a proposito
dell’idioma in cui è redatta questa seconda parte del codice, è che quanto
fu superficialmente considerato dai catalogatori un misto di francese e
spagnolo si rivela essere invece catalano, lingua in cui, come nota inec-
cepibilmente Cornagliotti, è sostanzialmente redatto l’intero trattato.185
Passando in rassegna le sezioni riportate nell’indice dell’opera è pos-
sibile poi cogliere un dato importante relativo alla natura stessa del
compendio, che nella fattispecie si rivela essere un ricettario/prontuario

185 Cornagliotti 1994, 104. Non si entra in questa sede nel merito della varietà di
catalano, argomento per cui si rimanda agli approfondimenti annunciati da
Cornagliotti (1994, 119).
48 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

per la cura di diversi dolori: mal di orecchie, bocca, viso, denti o collo
(85r 9 – 13), ferite sanguinanti (85r 19; 85v 20), nonché mal di milza, mal
di fegato (85v 14) e coliche (86r 12, 19), sciatica e gotta (86r 6, 10, 17),
ecc. Le ricette curative fanno riferimento costante alle erbe medicinali del
caso – da cui evidentemente la titolazione moderna del codice – e le
rubriche si alternano a diciture che prendono le mosse dalle erbe stesse
descrivendone pregi e particolari effetti benefici (85v 1 – 3, 7 – 9). A
completare il quadro si trovano alcune formule precatorie, come quella
riportata in calce ai fogli dell’indice (86v 11 – 20) e diversi nomina, alla
stregua di quelli indicati in 85v 16 – 18 come parole magiche attraverso
cui è possibile influire sulle condizioni atmosferiche. L’indice non è però
completo e il materiale del trattato è molto più vasto di quanto non faccia
intendere il sommario, che tralascia non solo le abbondanti aggiunte
marginali e interlineali, ma anche intere rubriche come quella sulle carni e
altri alimenti.186
Un ulteriore dato che si ricava dall’indice è quello relativo alla pa-
ternità del trattato. In esso compare infatti più volte il nome di “Joan
Lo<p>es” (85r 3) al fianco di altri nomi (“mestre Barthomeu”,187 “mestre
Gaspar”, “miser Baltazar”, “Reyner de Rosinyano”, ecc.) i quali però,
piuttosto che indicare possibili co-autori,188 sembrano essere invece
menzionati dal/i compilatore/i – e posti sullo stesso piano di altre voci
autorevoli citate (Arnaldo da Villanova, Pietro Ispano, Raimondo Lullo,
Galeno, Plinio, ecc.) – in qualità di ideatori o fonti ispiratrici di ricette.189
Non vanno poi trascurate le minuziose, anche se per lo più anonime
testimonianze dei pazienti stessi, anch’esse non manifestamente subor-
dinate alle autorità vere e proprie190 secondo una prassi di attestazione
sperimentale che andava sempre più consolidandosi nell’epoca presa in
esame (cfr. infra, par. 1.2.4.). Non mancano nemmeno riferimenti ad

186 Cornagliotti 1994, 108.


187 Le forme citate da frammenti di manoscritti non ripresi direttamente in sede di
analisi, in questo come in tutti i parr. di cap. 2., vengono riportate tra virgolette e
in corsivo.
188 Cornagliotti 1994, 109. Sono presenti due diverse grafie all’interno del trattato,
presumibilmente coeve e non della stessa mano, a cui se ne aggiungono altre
coeve artefici delle fitte annotazioni a margine o in interlinea. La grafia quan-
titativamente più importante, a cui si deve anche l’indice comprensivo delle
aggiunte, è posata, si ordina in uno specchio squadrato e regolare e compone le
miniature di capolettera in inchiostro rosso (ivi, 106).
189 Come si può evincere anche dal riferimento esplicito al libro di un maestro che
viene fatto in 85r 22.
190 Cornagliotti 1994, 112.
2.1.1. Il Trattato delle virtù delle erbe (la raccolta del sec. XV) 49

autori arabi o ebraici come “Alì ben Mesué”, “Benvengut Gratafe” o “Rasis”,
in cui si possono riconoscere Iahija o Iouhanno Ben Massouih detto Ben
Mesué, medico arabo della seconda metà del secolo VIII8, Benvenuto
Grafeo, oculista ebreo della scuola salernitana (cfr. infra, par. 2.3.3.1.) e il
medico persiano Rhazes, vissuto tra l’850 e il 923 d.c.191 In virtù di queste
citazioni – a cui si aggiunge un richiamo al vecchio testamento – e della
rappresentazione di una stella di David ovvero “senyal de Salamó” a c. 46r,
Rapisarda192 ha ipotizzato che la compilazione fosse di autore/i ebraico/
i.193 Cornagliotti194 rinviene infine parziali corrispondenze tra il Trattato
delle erbe e alcune ricette in antico provenzale del XIII8 secolo edite da
Brunel,195 senza che con ciò si possa però stabilire o meno se vi siano stati
legami diretti tra i testimoni. Più strette paiono essere le relazioni invece
con il trattato De viribus seu de virtutibus herbarum di Floridus Macer, al
cui nome si fa fugace riferimento alle cc. 58r/v. Un’ultima probabile fonte
è infine letteraria e rimanda al Flos Sanctorum, la traduzione catalana della
Legenda Aurea. 196
Per quanto riguarda la datazione del manoscritto, risulta possibile
individuare in esso un preciso terminus post quem, l’anno 1495. La co-
ordinata temporale appare al foglio 83r in capo ad un passaggio che narra
di una malattia epidemica giunta in Sicilia dalla Francia:

[83v]a)
b)
1 En lany mcccclxxxxv
2 comenca enmolts parts del
3 mon franca spanya ytalia @
4 sicilia una malaltia quis
5 nomenava le mal d sant
6 ment @ son uns bubes p. tota
7 la p.sona specialmenenlacara
8 d tangrans com favas abtanta
9 dolor enlosnirvis @ ultra
10 l.s bubes . los dava gran pena
11 y dinse mal d sanment p. @
12 en franca yahunsant nome

191 Cornagliotti 1994, 110 – 11.


192 Rapisarda 2001, l.
193 Questa supposizione non sembra trovare né ulteriori argomenti a favore, né prove
inficianti.
194 Cornagliotti 1994, 113 ssg.
195 Brunel 1959, 1962.
196 Cornagliotti 1994, 111 – 12.
50 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

13 nat ment @ quis banyava en sa


14 font. guarja da qui p.s lonom
15 yes ma o penco @ es hun mal
16 lo qual deosactIm.s enterro p. los
17 luxuriosos p. @ fa contagio
18 enlacte d.a luxuria @ los
19 homens los comensa al membr
[…] […]c)
a)
Nel mezzo del margine superiore della carta si trova la sigla “Ihs”.
b)
A vergare questo passaggio è la seconda delle due mani principali che redigono
il ricettario.
c)
BCP, Trattato delle virtù delle erbe.
Come ricostruisce molto plausibilmente Cornagliotti, la malattia men-
zionata – che colpisce durante l’atto di lussuria cominciando dal membro
(83v 17 – 19) e che si manifesta attraverso bubboni grandi come fave
sparsi per tutto il corpo e specialmente in viso (83v 5 – 8) – non può che
essere la sifilide. La prima epidemia di sifilide in Europa fu effettivamente
quella che si diffuse dall’Italia all’epoca della campagna bellica di Carlo
VIII e nota pertanto con il nome di mal francese. 197 Non sembra ingiu-
stificato ritenere che in Sicilia la sifilide fosse giunta, forse proprio as-
sieme ai soldati che scortarono la fuga di Ferrandino, da Napoli.198
Tornando all’argomento principale delle lingue del trattato, per
concludere la rassegna degli idiomi identificabili all’interno di esso, va
detto che, se quello di base è il catalano, se in latino si trovano solo alcune
orazioni superstiziose e se di italiano e francese non vi è alcuna traccia, lo
spagnolo non è però del tutto assente, ma emerge qua e là nel testo
catalano, soprattutto nella terminologia relativa alle molteplici erbe me-
diche.199 Ciò che va notato a questo proposito è come l’autore ritenga di
volta in volta opportuno specificare l’origine castigliana del rispettivo
termine, come quando annota: “Malvarisco es nom castella”, “Aragocia es
nomcastella”, “Lesula es nom castella […] Lo eneldoes nomcastella”, “Lo
cendonique es nom castella”, ecc.200 È importante tener presente come qui
non si abbia a che fare con delle glosse nel senso classico del termine, ossia
con delle traduzioni aggiunte a posteriori e da altra mano, ma con delle
esplicitazioni metalinguistiche redatte dall’autore stesso e perfettamente
integrate nel testo. Queste non sono peraltro addizionali, ma sostitui-

197 Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Sifilide.


198 Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Ferrandino.
199 Cornagliotti 1994, 105.
200 Da: Cornagliotti 1994, 105.
2.1.1. Il Trattato delle virtù delle erbe (la raccolta del sec. XV) 51

scono nella maggior parte dei casi le denominazioni catalane quindi o


considerate superflue – in tal caso viene data per scontata anche una certa
familiarità del potenziale lettore con l’idioma castigliano – o sconosciute
persino allo stesso compilatore. Nel raro caso in cui una traduzione in
stile glossa ci sia, essa è poi tale da servire da ausilio ad un’operazione
traduttoria opposta a quella che ci si attenderebbe, essendo il termine
castigliano ad essere posto in risalto e non quello catalano. È questo il
caso, ad esempio, a c. 95v, dove si legge: “Lolante menor que anom encas/
tella lançuela […] a tal virtut que […]”. 201 Ma la presenza del castigliano
non si esaurisce in precisazioni di ordine terminologico; è infatti possibile
riscontrare un utilizzo più diffuso dell’idioma, in cui vengono redatte
anche intere ricette. Le prescrizioni in castigliano, più che costituire un
nucleo alternativo o supplementare a quello delle rubriche in catalano, si
frammischiano a queste in maniera apparentemente non sistematica,
come nel caso riportato appresso:

[15r]

[…] […]
a)
19 epat’qua
20 La epatiqua es caliente e
21 fria cocha e bevida sana
22 el figado escalentado ~ ~ ~
23 polipodi
24 polipodi esffret e purga
25 coleres beles coleres ~ ~ ~

[15v]

1 Perita<r>ia es fredaebeguda
2 lena la febra
3 : Riupontich ..
4 Riupontich es bo per al fetge
5 tant comlo Riubarbre
6 Girasol
7 Lo girasol es bo per als llu
8 natichs
9 :pelosella ..
10 Pelosella es calent esequa dixen p <…>
11 ees bona la rael della 9 hgado a<…>
12 cupta beguda leva lo dolor colil retti<..>
13 tinya <e>lo such della sanalatinya ans delpol <…>

201 Da: Cornagliotti 1994, 105.


52 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

exir man
14 La velosilla esbuena para les marei<…>
15 los celurgianos ~ ~
16 Laabadonaescaliente e
17 es buena para adobar
18 las madres delas mugeres
19 blets
20 Los blets son en un gran
21 calents

[16v]

1 /comins/
2 Los comins soncalents e apro
3 fiten atotes fredors […]
[…]
15 El cantuest es bueno para
16 todos banyos q.escaliente
17 e<se>quocho con agua e bevido
18 quitalapostema e derrama
19 la sangre mala
[…] […]b)
a)
A vergare queste carte è nuovamente il primo compilatore. I titoli di rubrica
sono miniati e in tinta rossa al pari delle capolettere.
b)
BCP, Trattato delle virtù delle erbe.
Sarà sufficiente raffrontare qui la matrice linguistica della prima (15r 19 –
22), della settima (15v 14 – 18) e dell’ultima ricetta riportata (16v 15 – 19)
con quella delle ricette restanti (15r 23 – 25; 15v 1 – 13; 16v 1 – 3) per
riscontrare come al catalano s’intervalli un iberoromanzo di stampo
prevalentemente castigliano.202 Sono quanto mai indicativi a questo
proposito i raffronti tra le desinenze dei participi passati “beguda” (15v 1,
12) e “bevida”/“bevido” (15r 21; 16v 17) o le forme dell’avverbio “bo”/
“bona” (15v 4, 7, 11) e “bueno”/“buena” (16v 15; 15v 17), mentre in
ambito lessicale si colgono le soluzioni “sanch” (85r 19) vs. “sangre” (16v
19) o “fetge” (15v 4) vs. “figado” (15r 22).203 Si presta altrettanto bene a
fungere da discriminante anche il morfema dell’articolo: alla forma ca-
talana del singolare maschile “al” (15v 4) si affianca altrove quella pret-
tamente castigliana “el” (15r 22), così come la preposizione articolata “per
als” (15v 7) è alternata da quella “para los” (15v 14 – 15). Sempre dal

202 Cornagliotti 1994, 105.


203 Per quanto riguarda le forme catalane di questo raffronto campionario si rimanda
a Huber (1992, § 137, 4; § 86; § 47, ecc.).
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI) 53

punto di vista dei determinanti, si potrebbero porre poi a confronto


“totes” (16v 3) e “todos” (16v 16), ecc.204 Se da un lato è possibile regi-
strare una cesura abbastanza netta tra castigliano e catalano, giacché il
cambio di codice avviene solitamente in corrispondenza dell’inizio di una
nuova rubrica, è altresì vero che alcune singole soluzioni s’interpolano
anche all’interno di una ricetta redatta rispettivamente nell’altro idioma.
Questo discorso vale ad esempio per le stesse forme dell’articolo, tanto
che non è raro imbattersi in un “los” in luogo di un els/als nel bel mezzo
di una rubrica in catalano, come nel passaggio sulla diffusione dell’epi-
demia di sifilide di cui sopra (83v 10, 18 – 19). Questo fenomeno rap-
presenta un valido indizio dell’effettiva compresenza dei due codici nel
repertorio linguistico dello scrivente, circostanza che peraltro si era già
resa tangibile esaminando il particolare procedimento di annotazione
glossaria del compilatore.
Tenendo presente l’assetto geopolitico della penisola iberica all’epoca
della stesura del trattato, avvenuta come si è visto non prima del 1495,
non sorprende il fatto di trovare tracce evidenti di castigliano in un
elaborato riconducibile con tutta probabilità ad uno scrivente di origine
catalana. Come sappiamo, alla fase di fiorente policentrismo che aveva
caratterizzato lo spazio comunicativo iberico fino al secolo XIII era
conseguito, scaglionato al ritmo della Reconquista, il periodo di elabora-
zione estensiva del castigliano, elevato a lingua standard e penetrato così
anche nei territori della corona aragonese.205 Sarà piuttosto interessante
osservare come nel primissimo secolo XVI l’utilizzo del catalano nella
scritturalità pragmatica sia ancora ben saldo e non dia sensibili segni di
cedimento alle pressioni del castigliano. Le analisi che verranno fatte nel
prossimo paragrafo porteranno a fare riflessioni molto simili, mutatis
mutandis, per quello che riguarda il rapporto tra lingua siciliana e toscana
nel Regno di Sicilia.

2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI)

Passiamo dunque alla parte del codice lasciata in sospeso, la dedica-elogio


(v. fig. 5). Il corretto riferimento di Rossi all’originale del Sancetta con-
servato anch’esso nella Biblioteca Comunale di Palermo, per la precisione
alla Raccolta di blasoni di Sicilia delle famiglie nobili, prontamente con-

204 Cfr. Cornagliotti 1994, 105.


205 Cfr. Koch/Oesterreicher 1990, 200.
54 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

fermato da Palumbo,206 consente di prendere l’anno 1533 come terminus


post quem per questa prima parte del trattato (cc. 1r-10v). È questa infatti
la data in cui viene alla luce l’opera da cui attinge a piene mani l’elogio.
L’autore dell’esposizione prende le mosse dallo stemma raffigurato sugli
scudi della famiglia nobiliare Ventimiglia dei marchesi di Geraci per
dimostrare, con l’ausilio di “un librecto a mano scripto” (2v 21) trovato in
un cofanetto affidatogli in custodia dal Signor “don petro de cardona
conte de golisano” (2v 12 – 13), come i Ventimiglia traggano origine di-
retta dai rami della dinastia normanna. La connessione tra la casata si-
ciliana e quella ligure dei Ventimiglia viene per contro confutata dallo
scrivente, che argomenta la sua ricostruzione rievocando le gesta, non
prive di lineamenti a dir poco epici, compiute da “Riccardo 9gnominato
sarloni” (3v 18) nel corso della liberazione della Sicilia presso la “mon-
tagna de Madonia” (4r 1). La leggenda narra infatti che il nipote di
Tancredi Serlone II d’Altavilla sterminò in battaglia ben ventimila mori
nonostante la netta inferiorità numerica dei soldati al suo seguito grazie al
soccorso di un angelo che gli porse in dono una lancia benedetta. Fu così
allora che Riccardo per “la divina victoria deli xxlia mori deballatj e vintj
(non pio saloni fu 9gominato) ma conte de xxlia” (5r 20 – 5v 2). Nel
proseguo dell’elogio encomiastico l’autore rammenta poi la morte eroica
dello stesso Serlone, caduto valorosamente presso la fiumara di Cerami
dove fu assalito a tradimento durante una battuta di caccia.207 La rupe
sulla quale Serlone perse la vita, che il compilatore dichiara aver visitato
in compagnia di un pastore del luogo, fu denominata da quel fatidico
giorno “la peta di sarlo” (6v 18). Dopo aver ricevuto ulteriore conferma
degli eventi narrati attraverso il volume di un “gentilho. panormitano
doctissimo e multo corioso de simili ystorij” (7v 16 – 18), l’autore decide
infine di investigare sulle corrispondenze tra l’emblema dei Ventimiglia,
riportato su sepolcri, mura e costruzioni architettoniche delle terre di
Geraci, e quello che secondo il redattore del fantomatico libretto si tro-
vava sulla bandiera della lancia donata dall’angelo a Serlone. Il risultato
delle indagini si conclude con il riscontro di un’innegabile analogia
cromatica tra gli stendardi, prova decisiva che dà “xissimo testimonio la
dicta casa xxlia descenderj dali dictj Re normandi” (9r 9 – 11). Questo è
dunque il contenuto dell’elogio, di cui si riporta nelle prossime pagine la
trascrizione integrale.

206 Cfr. Cornagliotti 1994, 104.


207 Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Serlone_II_d%27Altavilla; http://www.treccani.it/
enciclopedia/serlone-d-altavilla_(Dizionario_Biografico)/#.
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI) 55

Figura 5. Trattato delle virtù delle erbe (dedica-elogio, sec. XVI)


56 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

[1r]a)

1 Casa vintimilia Marchese di giraci.


2 sono .s. siciliani principalissime, liquali
3 per p.prij arme fanno un scuto doro,
4 a capo rosso
5 Et si armano ancora Aquarteri & fanno
6 lo po doro a capo rosso, En lo secondo
7 li arme regali de Aragona é sicilia p.
8 ch. lo 9te RoI suo avo fu figlo di una
9 figla del re n.ro de aragona, En lo
10 terzo una sbarra con dui ordine de
11 scachi & rosse in azuro, (ch. sono li arme
12 del conte Rogeri Acq.statore del regno,
13 e deli Re n.ri de dicto casa normana ch.
14 Isso 9te Rogeri discesi)
15 Et in lo quarto & ulto : gigli doro semi
16 nate in azuro, Armi de carlo di p.venza

[1v]

1 duca dandigavia Re di napole, liqua


2 li portao a quista casa una sigra che fu
3 m.ri di uno di quisti marchisi
4 Et per chi de dicta casa promise paralar
5 in lo p’ncipio di quisto tractato son 9ten
6 to 9plere con la obligatione gia facta,
7 è dico ch., //

8 Li March.si di giraci (.tutti.) si fanno


9 cognominare 9te de vintimilia, Et
10 como per li passati turbolentij, guerre
11 & mutacione di stati, & di tempi, pokissimi
12 scriptori di antiquita si trovano; non
13 si sa di undi q.sto cognomo (. adicta ca=
14 sa p.ceda .) a causa ch. si ditti memorij &
15 scriptori per lo passato foro Inp.zo di
16 alcuni da poi li successori di q.lli tali,
17 venendo in poverta, o mancamento
18 de l.re (.como accade ch. si lo p.re é docto
19 lo figlo non lo sarra, et b) si lo figlo ami
20 ra le l.re, li nepote /o/ p.nepote le have
21 ranno in pokissima stima) oppressi
22 di varij Infortuni quali solino (con li
23 armi) venire, hanno le dicte memorie:
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI) 57

[2r]

1 coronici, e notamenti antiqui mal ca


2 pitato, de modo ch. li p.pij .s. di q.sta casa
3 xxlia non havindo dalli antiq. eprimi loro
4 vera memoria, credino (da non so ch.
5 vano subgecto .) h.re portato origine et
6 venuto da genua in q.sto regno, nec con
7 alto fundamto ch. p. essere in lo 9tato di
8 genua una t.ra chamata vintimiglia
9 Et domandato el .s. don simeon 9te de
10 vintimiglia (hogi capo de d.ta casa
11 & march.se de girace, de unde haves
12 sero h.to pio li soy, non mi ha renduto
13 altra raxone, salvo credeva p. chamar
14 se 9te de xxlia havessero stati quelli
15 conti de dicta t.ra, (maxe) per ch. certi
16 gentil ho.i da genua de casa lhomellina
17 dicino di q.lli descendere, e fanno armi
18 simili ali soi, cosa multo fora de p.posito
19 (.amio judicio.) per ch. ne q.lli si fanno
20 cogominare di xxlia , ne fanno le arme
21 ch. fa dicto march.se. Intere, ma una parte,
22 Ne q.sto importiria et q.n li armi fossero
23 unum et idem; cum sit ch. li gintilho.i liqali
24 fanno arme so infuniti, & li formedeIps.

[2v]

1 armi pokissimi, di sorti ch. spesso volte


2 (per necessita) indiversissime casate
3 9firmano li figuri e li coluri, non essen
4 do parente, ne originate di uno loco

5 Et como io dila puericia havesse tenu


6 to grandissima inclinatione ala memo
7 ria dele cose p.tte (maxime di questo
8 n.ro regno, alcui desiderio alconi opor
9 tunita se me hanno offerto, & fra le
10 altre una bonissima (circa lo origine
11 de dicta casata) per ch. retrovando
12 me paggio, del .s. don petro de cardo
13 na conte de golisano, ( la doctrina:
14 nobilita: grandezza : senno : & exca
15 delo quale p. essere al mundo noti (q.n in
16 vero anci merita nomo de divino che
17 de humano) non me pare bisogno al
58 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

18 tram.te recordarla, p. ch. dicendo poco


19 li farria p.judicio et a9plimento non
20 me rendo sufficiente) tenia q.sto .s.
21 un librecto a mano scripto (.inloqale
22 multi notamtj cossi de cose de caval
23 laria : de antiq.ta : dicermonij, e di p’mora,

[3r]

1 comu delo origine di diversi Re &


2 Regni; Et de multe .s. cons.vato
3 in una sua caxetta, con alcune alte
4 carme cose soi, deliquali la custodia
5 & chave tinne Io p. anne circa tre (men
6 tre ch. dicto .s. conte in la cesaria cor
7 te fece residentia, unde legendo trovaj
8 lo origine (<.>epio ) di q.sta casa xxlia,
9 delaquale ancora isso conte descendia,
10 como la 9tessa maria sua m.re fusse
11 figlia del march.se antoni de xxlia
12 Et soro del Marchese Arrigo, p.re di q.sto
13 .s. don simeon ch. hogi Regna laqale
14 ben ch. fosse latina, in n.ro ydioma vol
15 gare cossi (in sub.a) dicea

16 El Magno Tranchedo giscardo duca


17 Normando e .s. alta villa, de lego
18 m.rimonio hebbi xij figli, lo minimo
19 diliqali fu chamato Rugeri (cogomi
20 nato bossu) questo seqendo a Rub.to so
21 fr.e po genito (cognominato bastardo)
22 in la 9questa di puglia & de calab’a,
23 hebbe la imp.sa é fu fatto 9te de sicilia

[3v]

1 (Alura posseduta da diversi Re morj)


2 Inlacq.sitione delaqale p.vincio isso Ro
3 geri consoi f.ri etloro militi travaglaro
4 p. circa anni xij, miracolose vincendo
5 multi etmulti battaglie e citate, In
6 modo ch. havendo dicti mori regnico
7 li con m.ltj alt’ (in loro soccorso venu
8 ti da diversi regni de affrica) p.so
9 gran p.te deisso regno et soi forteze,
10 deliberaro (p. affamare li normandi
11 xp.ne) cavalcare bruxando li victua
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI) 59

12 gli & campagni de tutto il regno, e Iun


13 tato un grosso nu.o de loro, discorren
14 do di un valle in un alto robavano ;
15 bruxavano, e guastavano qanto davan
16 te li venia , contra liqale isso conte
17 Rogeri 9vocati li soy cavaleri ( fra
18 liqali fu Riccardo 9gnominato sarloni so
19 fr.e) fece un bono exercicio, et commen
20 zao a seq.re dicti mori, de una et unalta
21 valle, Et chachati da diversi lochi
22 dival de mazara ultimamte (fugendo)
23 ale p.te etpaesi de police si redussiro

[4r]

1 Et dilla Ala montagna de Madonia;


2 inlaqale p. alteza et asp.za de lo loco (con
3 fidandose) si fermaro (modo molto
4 co.e et usato fra loro, ) Et p. ch. semp’
5 q.n li mori e li alarbe in alcuna ne
6 cessita si trovano, refugino ali col
7 li etmontagni pio eminente, ne in alte
8 lochi si sicurano, como si vede non
9 sonno ancora 36 anni passati p.den
10 dosi lo Regno di granata, li Reliq.ij
11 de issi mori si redossiro in la piu
12 eminente e magior montagna de ditto
13 Regno, (chamata la s.ra nevata)
14 Et x anne fa rebellandosi al Imp.ato
15 re et Re n.ro .s. li mori del regno d.
16 valentia similiter si fortificaro etelep
17 sero la montagna de spadan (laqale
18 semp. defesero fino ch. con gran sfor
19 zo di casteglani, alemani etvalentiane
20 fossiro debellante) vedendo adonca
21 isso conte Rogeri la cosa (p. la incomo
22 dita de loco) non potere h.re psso fine,

[4v]

1 lassao lo dicto Ricardo suo fr.e (con


2 mille cavalli) Alassedio de quelli-
3 Et isso con lo resto di soi cavaleri ala
4 cita de traina (unde tenia sua ca
5 sa) retornao ,.
6 Li mori passati alcuni Iorni 9fidati non
7 manco Inlo nu.o etavantagio loro Et
60 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

8 necessitati di vituagli, accordaro con


9 dicto Riccardo fare Iornata certa, la
10 vigilia delaqale comandao ali mille
11 cavaleri divissiro tutti 9fessarse etda
12 cui fu (como da boni chri.ane) obe
13 duto, etlevati la matina abon hura fu
14 da tuti (con molta devocione) Intesa una
15 missa & reciputo il corpo del n.ro .s.
16 Et stando ditto loro capitano Ingeno
17 chone p. comunicarse ali pedi del sa
18 cerdoto etp.gando (con multa devoctione
19 et lacrime) per la salute de soi
20 chri.ane) apparse (miracolose)
21 un angilo , loqali In p.ntia di tutti milli,

[5r]

1 donao adicto Riccardo una lanza, In


2 laqali era una banderola de cendaro,
3 due p.te in Ialno et una carmexina,
4 acui parlando disse, s.vo di dio, tu si
5 exaudito, va con firma speranza ch.
6 la victoria hogi s.a la tua, senza p.
7 dere alcuno de tui cavalere, Et di
8 sparendo langelo 9parse la multi
9 tudine di mori, con liqualj apichata
10 una bravissima battaglia, sequio
11 (dela victoria) q.to langelo p.me
12 so lhaveva ;
13 Perloqal glo.so facto. Ipso 9te Roge
14 ri creao adicto so fr.e Riccardo (cogo
15 minato sarloni) conte dela dicta mon
16 tagna de madonia & deli terrj =
17 circum circa, Et di q.sto Iorno Innance
18 (amiso qasi lo nome de Riccardo)
19 conte lo chamano /alloro mo ultamon
20 tano) Et p. la divina victoria deli
21 xxlia mori deballatj e vintj (non

[5v]c)

1 pio saloni fu 9gominato) ma conte de


2 xxlia, ne p. altro nomo ( di q.llo Jorno
3 Innance) lo no.iaro lo qale p. devoctione
4 de cossi divino successo piglao Ancoro
5 p. arme quisti dui colore dela banderol
6 la de sua lanza vz: oro et rosso; deli
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI) 61

7 quali fino al p.nte si armao li .s. di dicta


8 casa xxlia e sonno loro insegna et arme,
9 quartizandoli conli p.pij arme del dic
10 to conte Rogeri liqali sonno una sbarra
11 de dui ordini de schach. bianche eros
12 se In azuro; delaqal casata de xxlia
13 da chinco cento anni qua hanno disce
14 so strenuissime capitani et molti no
15 bile cavalere et SrI ( como atutj e no
16 to) e n.ri coronici testificano etal p.nte
17 de dicta casa xxlia sono in sicilia mul
18 ti SrI de vassalli. Di questa sa dicta
19 Iornata restaro li forci dili ditti mori
20 cossi debilitati etvinti ch. non solunid)

[6r]

1 dubitavano fare piu cavalcare p.lo


2 Regno /ma a pena Into <.>t.rj e castellj
3 fortissime si secoravano di mo In
4 brevi t.po li normandi poi dila victoria
5 di madonia foro .s. ditucto lo Rego ;

6 Questo Riccardo cogoinato saloni inlo


7 assedio dila cita di siragusa fu feri
8 to talmente ch. de necessita bisognao tor=
9 nare a curarsi in traina (undi lodic
10 to conti Rogeri tenia soi thesori mogle
11 re: etcasa) Et nexendo un Iorno poi
12 di esseri quasi guarito) p. dilecto a ca
13 cha fu del P<a>ese di calaxibitta e di q.llo
14 di casto Ioannj (Mori) a tradimto in
15 una Inboscata asaltaro etferito, loqali
16 p.si li poco 9pagni ch. havia e redochen
17 dosi in la flomara di cerami (sotto
18 trayna) ad una gran peta scalvacao
19 unde valorosamte (p. sua defensione)
20 combattendo finio soi ben spisi Iorni)
21 da cuj ditta peta (fino ad hogi)

[6v]

1 retene lo nomo fu sepulto in lacita di


2 trayna et si dice ch. isso conte Rogere
3 mostrasse in questo piu dolore ch. di q.nti
4 altri figli et fri li forio in dicta questa
5 morte, Dalo qali restaro dui piccoli fi
62 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

6 gloli lopo nominato Arnaldo: lo ijo ugo


7 dal po naxio raynaldo q.llo ch. donao
8 lo fegodo di tusa di s.cta ma li palazi
9 a san bartho di lipari lo anno ii20 da
10 cui hanno disceso li conti di xxlia ch.
11 al p.nti sono .s. di giraci

12 Poco anni fa passando p. dicta flo


13 mara domandai p. q.sta peta de Ric
14 cardo sarlone Et mi fu resposo da cer
15 ti paisani non h.re mai Inteso tal no
16 mo de sarlone di riccardo ma che
17 vi era una rocca seu gran peta (cha
18 mata la peta di sarlo) ne si sapia
19 la causa di tal 9gomo , alaqale un pastore
20 me 9dusse ela trovai destanti dela t.ra

[7r]

1 di gaglano migla tre in un fego del


2 baron dela scalecta chamato
3 ap.sso una rocca chamata
4 la rocca de dela p.te
5 del fume xso nicoxia quasi Iunta a
6 lacqua , grande eminente: et fatta a
7 mo de castello E tale ch. sa qella facilmte
8 si po ascendere

9 Et a xificatione di q.sta ystoria dilo


10 principio et origine di q.sto nomo deli
11 9ti di xxlia, dico ch. non solum dicto
12 libro del .s. conte de collisano (loq.le
13 hogi deve essere 9 s.vato da la .s. 9tes
14 sa sua 9sorte) lesse lo sa narrato
15 ma venendo in ipsa cesarea corte
16 M.r luysbonciani fiorentino 9silia
17 rio della Magesta sua, & Micissimo
18 mio un Iorno accadendo parlare
19 di q.sto, mi respose certificando essere
20 lo vero: Et mi mostrao, certa coronica

[7v]

1 Multo antiqua ( h.ta qua) dela 9qesta


2 del regno di sicilia & dela pugla etca
3 labria inlaq.le si faceva mensione de
4 questa victoria deli xxlia mori h.ta
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI) 63

5 da detto Ricardo sarloni, Et come


6 fu fatto conte dela madonia, e del mi
7 raculo de langelo, etdeli colori di ditta
8 bandera e dila lanza solamte differia
9 de lalta, In dire ch. decto Riccardo era
10 creduto nepote, e non fr.e del conte
11 rogeri
12 In sicilia (ancora) me capitao
13 (in mano) un gran volume deli
14 coronici et notandi de isso Regno
15 n.ro, loqali tenea (emulto caro) m.r
16 Ioanluys deseptimo gentilho. panor
17 mitano doctissimo etmulto corioso
18 de simili ystorij Et in detto libro era
19 scripta q.sta medesma ystoria de
20 Riccardo.

[8r]

1 Ac e.t er in potere del 9dam don f.rico


2 patella (conte de cammarata)
3 Era un volume di coronici deli cosi
4 n.ri In parchimino: Illuminato:
5 copiato : et cop.to riccamte, in uno
6 deliq.li cap.li si fa mencione dila Ior
7 nata p.dicta de xxlia mori: edelange
8 lo : dela laza: et colori di ditta banderetta
9 Di mo ch. existimando la cosa piu ch. xa
10 et certa: det.minaj Investigar. le arme
11 qale facessero li antiq. s. de dicta casa
12 xxlia in sepulcrj: mura: eportj, Et
13 trovaj in diversi lochi dilo march.
14 sato loro, li dicti armj de xxlia qartj
15 zati con li armi dilo deto 9te Rogerj et
16 Re di dicta casa normanda, in la ci
17 ta etecclesia catridale de monreale
18 delaqali (moltj annj fa fu Archipisco
19 po uno de de dicta casa xxlia sonno

[8v]

1 In diversi lochi deli stancij etIn certj taui


2 dorati delo tecto di essa ecca (fatti p.
3 dicto archipiscopo) li dicti soj armj
4 di xxlia quartizati uniti etJunti con q.lli
5 deli dittj Re normandj
6 In lo contato di modica la .s. 9tis
64 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

7 sa laqale credo tegna 9sanguini


8 ta con dicta casa xxlia si arma
9 non solum cum dicto scuto doro a
10 capo rosso ma con lj dicti armi del
11 conte Rogeri (ultra li soi p.pij de
12 cabrera : non tenendo issa .s. depen
13 dentia alcuna de dicta casa gisca.da
14 salvo q.lla ch. p. conto de dicta casa-
15 xxlia veni
16 Don Ro xxlia nepote de dicta .s. 9tessa
17 fa similit. li armi de lo conte Rogerj
18 Iunti etquartizati con quillo de
19 dicta casa xxlia :

[9r]

1 In li monastarij de lo salvatore
2 et di sancta clara di palmo (p. essere
3 state le abatesse de casa xxlia ) In
4 mille loch. se vedeno tanto in casu
5 buli: mura: autari : come: etcalice
6 comu In lj edeficij alloro t.po 9struttj
7 le arme xxlia e dilo conte Rogerj
8 Iunti In un scuto quartizatj, liq.lj
9 claramtj donano xissimo testimo
10 nio la decta casa xxlia descenderj
11 dali dictj Re normandi Et quisti
12 .s. de vintimilia havirj portato <…>
13 origini di quillj
14 Aliquali dimandando p. ch. (Into
15 loro scuto) quartiza<.>no q.lla sbarra
16 deli scach. bianch. et rossi In azuro: da
17 la piu p.te p.te de loro mi é stato re
18 sposto non ne sapere dare alta raxone
19 salvo, p. ch. li loro antiq. si armavano

[9v]

1 conle arme cossi fatte (tale ancora


2 le usano è sine armano loro elj
3 fanno simile
4 MMoltie) diliq.li .s. ho certificato
5 quilli esseri lixi arme de loro ca
6 sa per che po si chamano giscardi &
7 foro fr.e del mago conte Rogeri: p’mo
8 acq.statore et liberatore di q.sto n.ro rego
9 et dapoi (p. accidente divino mira
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI) 65

10 culo) h.rese chamato de xxlia , & mu


11 tato armj adIunto adicti loro arme gi
12 scarde q.lla p.te de loro et rossa q.li ho
13 gi tucti li .s. di loro casa xxlia fanno;
14 Liqale co.o srj ple et fr.e del po acq.stator’,
15 da q.llo t.po fini ad hogi ( ch. sonno
16 gia cincocento annj passate) hanno
17 tenuto lo p’mato ettenino fra tuctj li .s.
18 de sicilia , e meritamte , p. ch. (ulta
19 dela consanguinita (p.ditta) lo po .s. n.ro

[10r]

1 xp.iano, etn.ro acq.statore se titolava


2 9te de Sicilia, Et isso Riccardo conte
3 de xxlia etdela madonia con lit.rj cir
4 cumcirca ne fu p.miso ad altro q.sto
5 titolo di 9ti liqali t.rj et signoria q.sti
6 di casa xxlia fino ad hogio possedi
7 no (bench. multi piu ne habiano
8 srigiato et h.to liqali al p.ntj sonno
9 segregati de dicto stato) tanto In
10 t.po dilj dicti Re normandi : comu
11 In t.po dili Imp.atori etRe n.ri di casa
12 svavia; Et deli Re di casa di ara
13 gona, daliqali In t.po del po Re Alfon
14 so hebero tuto de marchese , laqali dj
15 gnita p. circa annj cento (da nix uno
16 delj Re successorj) fu 9cessa ad al
17 cun alto .s. del Regno n.ro

18 Questi .s. hanno da poj adIunto alj


19 armi loro (comu gia é dicto) q.lli delj

[10v]

1 Re de aragona Regnante in napole


2 p. affinita etm.ri.nij 9 t.tj con dicti Re
3 Et loro casa Reale

4 Ocorria ( 9forme al desiderio


5 mio potere scrivere cosse p.ticular
6 mente de tucti li alt’ .s. di sicilia (maxe
7 h.ndo q.sta stato la p.otissima ca. etpo In
8 tento mio) ma p. li respetti exp.sati
9 inlo pio di q.sta op.a a fogli 3 et 4 fu
10 forzato tacere de li altre:
66 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

[…] […]f)
a)
Precede il testo la raffigurazione di due scudi con gli stemmi cromati della
casata Ventimiglia. Le capolettere sono miniate.
b)
Si corsiva la nota tironiana per et.
c)
Al margine sinistro della carta è rappresentato uno scudo in colore blu con una
striscia diagonale a scacchi bianchi e rossi.
d)
In calce al foglio sono incise in corsivo le lettere maiuscole “B.P”.
e)
La prima lettera è miniata.
f)
BCP, Trattato delle virtù delle erbe.

È doveroso soffermarsi con maggiore attenzione, in questo paragrafo,


sulla fisionomia linguistica del testo riportato, provvisoriamente definita
in par. 2.1. italiana. Secondo la breve descrizione che ne fa Cornagliotti,
la dedica encomiastica, che come si è visto è di autore diverso e di data
seriore al trattato, sarebbe “scritta in italiano aulico e ampolloso, fedele
alle regole del genere”, pur tradendo però “la sicilianità dell’autore per
numerosi fenomeni fonetici e morfologici”.208 Nello specifico, la studiosa
adduce per comprova della sicilianità in ambito morfologico le forme del
perfetto in -ao e in ambito fonetico le “metafonesi in presenza di -i” delle
forme “quisti”, “quilli”, “issi”, “marchisi”, “culuri”, “dui”, “spisi”, ecc.,
nonché il “passaggio di O a u” in “hura” e il “passaggio di -e ad -i” in
“matri”, “fratri”, “sorti”, “terri”, “sempri” ecc. Menziona infine Corna-
gliotti tra i sicilianismi, in merito alla grafematica, il digramma <ch>
utilizzato per rappresentare l’affricata palatale sorda.209 Questa fugace
analisi linguistica – il ruolo ricoperto dall’elogio all’interno del contributo
della studiosa è marginale rispetto a quello del testo catalano – andrà
quantitativamente ampliata e qualitativamente rivalutata in questa sede.
Partendo dunque dall’ambito grafematico, va anzitutto rilevato come il
digramma <ch>, in perfetta sintonia con l’uso del tutto ambiguo che se
ne fa nella scripta siciliana quattrocentesca,210 rappresenta sia il fonema
[w] – oltre che nella seconda occorrenza di “chachati” (3v 21) anche in
“apichata” (5r 9), “chinco” (5v 13), “cacha” (6r 12 – 13), “redochendosi”
(6r 16 – 17) e probabilmente anche “[a]rchipiscopo” (8r 18 – 19; 8v 3) –
sia allo stesso tempo l’affricata mediopalatale [kj] dal nesso latino CL,
come si può avvertire in “chamata (-to)/“chamano” (2r 8; 4r 13; 5r 19; 6v
17 – 18; 7r 2; 9v 6, 10), “chave” (3r 5) e “Ingenochone” (4v 16 – 17). La
funzione principale del digramma è però quella di rappresentare l’oc-

208 Cornagliotti 1994, 104.


209 Cornagliotti 1994, 104.
210 Cfr. Mattesini 1994, 424 ssg.
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI) 67

clusiva velare sorda dinanzi a vocale palatale, sebbene per la rappresen-


tazione grafica della velare nello stesso contesto non sia scomparso
l’ipersiciliano <k>, che ricorre in tutte le occorrenze della forma “po-
kissima (-i)” (1v 11, 21; 2v 1). Come si può vedere rispettivamente dalle
prime occorrenze in “chachati” (3v 21) e in “schach.” (5v 11), lo stesso
digramma può simboleggiare infine il suono occlusivo anche dinanzi a
vocale non palatale rappresentato nella maggior parte dei casi da <c>,
che ricorre altresì con prevalenza per trascrivere l’affricata palatale – in
“coronici” (2r 1; 5v 16; 7v 14; 8r 3) valgono però entrambe da [k]. Altro
grafema assolutamente tipico del siciliano quattrocentesco che si riscontra
nel testo è <x>, con il quale si rende il suono della sibilante palatale dai
nessi -SSJ-/-PSJ-/-CSJ-:211 “raxone” (2r 13; 9r 18), “caxetta” (3r 3),
“bruxando/“bruxvano” (3v 11, 15), “nexendo” (6r 11), “calaxibitta” (6r
13), “naxio” (6v 7), “nix uno” (10r 15). La soluzione grafica <sc>, per
contro, si ritrova unicamente nel paradigma di “ascendere”/“descender[j]”
(1r 14; 2r 17; 3r 9; 5v 13 – 14; 6v 10; 7r 8; 9r 10). In conclusione alla
rassegna grafematica vanno riportate infine le occorrenze di <j>, altro
segno tipico della scripta siciliana: “notamtj” (2v 22), “trovaj” (3r 7; 8r 13),
“morj” (3v 1), “t[er]rj” (5r 16; 10r 3; 10r 5), “deballatj”, “vintj” (5r 21),
“tutj”/“tuctj” (5v 15; 9v 17), “castellj” (6r 2), “Ioannj” (6r 14), “cuj” (6r
21), “det.minaj” (8r 10), “sepulcrj”, “portj” (8r 12), “armj” (8r 14; 8v 3),
“q[ua]rtjzati” (8r 14 – 15; 9r 8), “Rogerj” (8r 15; 8v 17; 9r 7), “a[n]nj” (8r
18; 9v 16: 10r 15), “certj” (8v 1), “soj” (8v 3), “dittj”/“dictj” (8v 5 ; 9r 11),
“normandj” (8v 5), “[de/di/a]lj” (8v 10; 9v 2; 9r 6; 10r 10, 16, 18, 19),
“9struttj” (9r 6), “claramtj”(9r 9), “descenderj” (9r 10), “havirj” (9r 12),
“quillj” (9r 13), “srj” (9v 14), “p.ntj” (10r 8), “djgnita” (10r 14 – 15),
“successorj” (10r 16), “poj” (10r 18) e “9 t.tj” (10v 2). Il grafema <j>
svolge prevalentemente la funzione di semplice variante grafica di <i> in
posizione liminare.212 Sempre in posizione finale, ma con la funzione
aggiuntiva di demarcatore di iato, <j> occorre anche nei plurali: “tur-
bolentij” (1v 10), “memorij” (1v 14), “varij” (1v 22), “cermonij” (2v 23),

211 Cfr. Rinaldi 2005, I, 388. L’esito di -CSJ- non è sempre identificabile con
certezza e pare mantenersi ovvero risolversi in [s(s)] in: “max[ime]” (2v 7; 10v 6),
“exercicio” (3v 19), “exaudito” (5r 5), “existimando” (8r 9), “nicoxia” (7r 5).
212 Cfr. Mattesini 1994, 426. Va però detto che non è sempre possibile distinguere
con assoluta certezza tra <i> e <j> minuscole e maiuscole, variando la lun-
ghezza del gambo a seconda dei casi anche in maniera consistente. A questa
difficoltà di lettura si aggiunge l’incertezza che deriva dal confondersi tra il tratto
di <i> e quello di <e> in posizione finale, soprattutto quando è difficile
distinguere il punto sulla vocale.
68 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

“monastarij” (9r 1), “Reliq.ij” (4r 10), “ystorij” (7v 18), “stancij” (8v 1),
“edeficij” (9r 6), “m.ri.nij” (10v 2). Nelle seguenti forme: “[p.]judicio” (2r
19; 2v 19), “Junti” (8v 4), “Jorno” (5v 2), la stessa scrizione sta invece per
la semiconsonante dal lat. J/DJ, resa altrove però anche da <g>: “gia” (1v
6; 9v 16, 10r 19), “subgecto” (2r 5), “hogi/“hogio” (2r 10; 3r 13; 5r 6; 6r
21; 7r 13; 9v 12 – 13, 15; 10r 6), “paggio” (2v 12), “magior” (4r 12),
“Magesta” (7r 17). Il grafema <g>, che nella scripta siciliana quattro-
centesca ricorre spesso a sua volta come allografo di <i>,213 sembra qui
piuttosto simboleggiare l’affricata palatale [t], testimoniando un im-
portante influsso toscano. Ulteriore variante di <i> è infine <y>, le cui
occorrenze sono da segnalare in: “soy” (2r 12; 3v 17), “ydioma” (3r 14),
“trayna” (6r 18; 6v 2), “raynaldo” (6v 7), “ystoria”/“ystorij” (7r 9; 7v 18,
19) e “[…]luys[…]” (7r 16; 7v 16).214
Passando ora all’ambito fonematico, è dato osservare come il voca-
lismo tonico siciliano, ciò a cui Cornagliotti fa sommariamente riferi-
mento quando parla di “passaggio di O a u”215 e che per l’esattezza
riguarda la convergenza degli esiti in [u] non soltanto di Ō ma anche di Ŭ
(a differenza della soluzione toscana che vede invece sfociare Ō e Ŭ in
[o]),216 venga realizzato, oltre che in “hura”/“Alura” (4v 13; 3v 1), anche in
“undi/“unde” (1v 13; 2r 11; 3r 7; 4v 4; 6r 9, 19), “[m]ulto (-i, -e, -a)” (2r
18; 2v 22; 3r 2; 3v 5x2; 4v 18; 5v 17 – 18; 7v 1; 7v 15, 17; 10r 7), “coluri”
(2v 3), “mundo” (2v 15), “fusse” (3r 10), “sepulto” (6v 1), “sepulcrj” (8r
12), “tui” (5r 7). Fenomeni di vocalismo tonico, che riguardano in modo
perfettamente analogo anche l’esito dell’altra vocale intermedia, deter-
minando il passaggio di Ē e Ĭ ad [i] anziché ad [e] come nel toscano,217
sono anche quelli che Cornagliotti considera metafonesi.218 Oltre ai citati
“quisti (-a, -o)” (1v 2, 3, 5; 5v 5; 9r 11), “quilli (-j, -o)” (8v 18; 9r 13; 9v
5), “[i]ssi (-o, -a)” (1r 14; 3r 9; 3v 2, 9, 16; 4r 11, 21; 4v 3; 6v 2; 7v 14; 8v
12; 10r 2), “marchisi” (1v 3), “spisi” (6r 20), andranno qui aggiunti
numerosi altri esempi, a partire dalle occorrenze della ripresa anaforica

213 Cfr. Rinaldi 2005, I, 378.


214 Cfr. Rinaldi 2005, I, 350.
215 Cornagliotti 1994, 104.
216 Cfr. Mattesini 1994, 426 – 27. Lo schema del vocalismo tonico siciliano a cinque
esiti e tre gradi di apertura non prevede una distinzione fonematica tra le vocali
intermedie aperte e chiuse, dal momento che le sole Ŏ e Ĕ sfociano rispettiva-
mente in o [ ] ed e [e]. Questa distinzione riguarda invece il toscano (cfr. Rohlfs
c
1966 – 69, § 4).
217 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 4.
218 Cornagliotti 1994, 104.
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI) 69

“[pre]di[t]ti219 (-o, -a, -j)” (1v 14; 4r 12; 4v 16; 6r 21; 8r 7, 8, 11, 16; 8v 5,
14; 9v 19), passando per la congiunzione “per chi” (1v 4) e le preposizioni
articolate “dili (-a, -o, -j)” (5v 19; 6r 4; 7r 9; 7v 8; 8r 6, 13, 15; 9v 4; 10r
10, 11), per arrivare alle desinenze delle forme verbali dell’imperfetto
indicativo di prima e seconda coniugazione in “tenia” (2v 20; 4v 4; 6r 10),
“descendia” (3r 9), “havia” (6r 16), “sapia” (6v 18), “Ocorria” (10v 4) o del
passato remoto dei verbi irregolari di seconda coniugazione in “p.vincio”
(3v 2), “naxio” (6v 7), o ancora, del condizionale e del congiuntivo in
“importiria” (2r 22), “farria” (2v 19), “divissiro” (4v 11). Altre forme
verbali in cui si riscontra il vocalismo tonico siciliano sono “9firmano”
(2v 3), “firma” (5r 5), “missa” (4v 15), “p.miso” (10r 4), “tinne” (3r 5),
“havirj” (9r 12), mentre in ambito lessicale vanno segnalati “calaxibitta”
(6r 13), “[a]rchipiscopo” (8r 18 – 19; 8v 3), “9tissa” (8v 6 – 7). Un ulteriore
fenomeno di vocalismo tonico che si distacca dal toscano e contraddi-
stingue pertanto il testo in senso siciliano riguarda l’atteggiamento di Ŏ
ed Ĕ tonici in sillaba libera che non effettuano il dittongo spontaneo, ma
si mantengono inalterati.220 Ciò si vede ad esempio nelle forme di “soy”/
“soi”/“so”221 (2r 12, 18; 3r 4; 3v 3, 9, 17, 18; 4v 3, 19; 5r 14; 6r 10, 20; 8v
3, 11), “[gintil]ho.i”/“[gentil]ho.” (2r 16, 23; 7v 16), “fora” (2r 18), “loco
(-chi)” (2v 4; 3v 21; 4r 2, 8; 8r 13; 8v 1), “bono (-i)”/“bon” (3v 19; 4v 12,
13), “figloli” (6v 5 – 6), “po” (7r 8), nonché di “Aquarteri” (1r 5), “petro”
(2v 12), “cavaleri (-e)” (3v 17; 4v 3, 11; 5r 7; 5v 15), “pedi” (4v 17), “peta”
(6r 18, 21; 6v 13, 17, 18), “retene” (6v 1). Per quanto riguarda il voca-
lismo atono, per il quale nel siciliano si conoscono solo gli esiti in u ed i,
assieme ad a,222 esso va rilevato nei seguenti casi (pro e postonici):
“fundamto(2r 7)”, “genua” (2r 8; 2r 16), “subgecto” (2r 5), “co[m]u” (3r 1;
9r 6; 10r 10), “Rugeri” (3r 19), “bossu” (3r 20), “Rub.to” (3r 20), “vic-
tuagli”/“vituagli”/ (3v 11 – 12; 4v 8), “miraculo” (7v 6 – 7; 9v 9 – 10),
“casubuli” (9r 4 – 5), “p.ticularmente” (10v 5 – 6), come pure nei seguenti:
“golisano” (2v 13), “giraci (-e)” (1r 1; 1v 8; 2r 11; 6v 11), “catridale” (8r
17), “vintimi[g]lia” (1r 1; 1v 9; 2r 8, 10; 9r 12), “m.ri” (1v 3), “angilo” (4v
21), “p.nti (-j)” (6v 11; 10r 8), “paisani” (6v 15), “nix uno” (10r 15),
“gintilho.i”223 (2r 23), “sorti” (2v 1), “sa[r]loni” (3v 18; 5r 15; 6r 6; 7v 5),

219 A proposito delle consonanti doppie va notato che risulta spesso difficile di-
stinguere <ct> da <tt>.
220 Cfr. Mattesini 1994, 427.
221 Qui va comunque registrata l’apertura di Ŭ ad [o] in senso toscano. La forma con
dittongo ricorre solo in “suo” (4v 1).
222 Cfr. Mattesini 1994, 427.
223 Ma gentil ho.i, con innalzamento della protonica, in 2r 16.
70 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

“milli” (4v 21), “srigiato” (10r 8), “brevi [t.po]” (6r 4), “[petra] destanti”224
(6v 20), “la qali”/“laqali” [lanza/djgnita]” (5r 2; 10r 14). Si trovano ulte-
riori attestazioni di vocalismo siciliano nei prefissi verbali di
“dimandando” (9r 14), “divissiro” (4v 11), nelle desinenze del passato
remoto di terza persona singolare e del presente di terza persona singolare
e plurale: “[Isso] discesi” (1r 14), “[Tranchedo] hebbi” (3r 18), “[Rogeri]
p.si” (6r 16), o ancora negli infiniti “havirj” (9r 12), “e[ss]eri” (6r 12; 9v
5), “descenderj” (9r 10), nella congiunzione condizionale protonica
nonché nel pronome riflessivo “si” (1v 14, 18, 19; 9v 2), e in tutti i casi di
determinanti che si riferiscono ad un sostantivo in plurale di genere
femminile: “[a/de/di]li (-j)” [arme (-i, -j)/turbolentij/figuri/colurj/victu-
agli/colli/Reliquij/t[er]rj/forci/cosi/mori/stancij/Re/altre]” (1r 11; 1v 10;
2v 3x2; 3v 11; 4r 6 – 7, 10; 5r 16; 5v 19x2; 8r 3, 14; 8v 1, 10, 17; 9v 5; 10r
3, 5, 18, 19; 10v 10), “p.p[rij]/di[c]ti [soj]/li q.lj/quilli [arme/armj]” (1r
3; 5v 9; 8r 14; 8v 3, 11; 9r 8; 9v 5, 11), “[arme/armj] quartizati uniti
etJunti”/Iunti […] quartizatj” (8v 4; 9r 8), “ditti [memorij]” (1v 14),
“passati [turbolentij]” (1v 10), “[forme] pokissimi” (2v 1), “multi etmulti
[battaglie e citate]” (3v 5), “[cose] soi/soi [forteze]” (3r 4; 3v 9), “[cosi]
n.ri” (8r 4), “dui [colore]” (5v 5). A questi vanno aggiunti ovviamente gli
stessi sostantivi in femminile plurale terminanti in -i (di prima e terza
declinazione o frutto di metaplasmo che siano): “figuri” (2v 3), “t[er]rj”
(5r 16; 10r 3, 5), “portj” (8r 12), “armi (-j)” (2r 17, 22; 2v 1; 8r 14; 8v 3) –
ma “arme” in (9v 11) –, “stancij” (8v 1), “turbolentij” (1v 10), “memorij”
(1v 14), “cermonij” (2v 23), “Reliq.ij” (4r 10), “ystorij” (7v 18), “cosi” (8r
3). È da segnalare infine tra i fenomeni di vocalismo la labializzazione di
protonica a contatto con nasale in “infuniti” (2r 24).225 A proposito del
consonantismo226 va registrato, oltre alla conservazione di J iniziale e
intervocale nei casi citati sopra in merito alla grafematica, il saldo man-
tenimento delle plosive sorde intervocali -T-, -P- e -K-: “scuto” (1r 3; 8v
9; 9r 8, 15), “9tato”/“contato” (2r 7; 8v 6), “citate” (3v 5), “reciputo” (4v
15), “[a]rchipiscopo” (8r 18 – 19; 8v 3), “loco (-ch[i])” (2v 4; 3v 21; 4r 2,
8; 8r 13; 8v 1; 9r 4). Per quanto riguarda il rafforzamento meridionale227
si segnalano la forma del futuro semplice “sarra” (1v 19), del passato
remoto “commenzao” (3v 19 – 20), del presente indicativo di terza plurale
“so[n]no” (4r 9; 5v 10; 8r 19; 9v 15; 10r 8), del condizionale “farria” (2v

224 Sebbene qui la vocale protonica sia ipercorretta.


225 Cfr. Rinaldi 2005, I, 361.
226 Cfr. Mattesini 1994, 427 ssg.; Rinaldi 2005, I, 372 – 73; 386 – 87; 390 ssg.
227 Cfr. Rinaldi, 2005, I, 390 – 91.
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI) 71

19), dell’avverbio “cossi” (2v 22; 3r 15; 5v 4, 20; 9v 1), dei sostantivi
“cosse” (10v 5), “affrica” (3v 8), “collisano” (7r 12). Si ha poi raddop-
piamento fonosintattico in “alloro” (5r 19; 9r 6).228 Il riflesso [(n)tts] dai
nessi (N)TJ/(N)CJ è visibile in “la[n]za” (5r 1; 5v 6; 7v 8) e in “com-
menzao” (3v 19 – 20), mentre “mutacione” (1v 11), “devocione” (4v 14) e
“mencione” (8r 6) sembrano rendere graficamente l’esito [tsj]. Si hanno
casi di metatesi in “Tranchedo” (3r 16) e “catridale” (8r 17), di epentesi in
“coronici” (2r 1; 5v 16; 7v 14; 8r 3) e di consonante anti-iatica in “fe-
godo”/“fego” (6v 8; 7r 1), di -i (in un caso -e) epitetica in “[R]ogeri (-e)”
(1r 12, 14; 3v 17; 4r 21; 5v 10; 6r 10; 6v 2; 7v 11; 8r 15; 8v 11, 17; 9r 7; 9v
7), di velarizzazione di consonante laterale postvocalica in “autari” (9r 5).
Tra i nessi composti da consonante + L si mostra conservato solo FL in
“flomara” (6r 17; 6v 12 – 13), ma si veda per contro “fume” (7r 5).
In ambito morfologico229 si registra prima di tutto una dominanza
delle forme dell’articolo determinativo e del pronome maschile singolare
“lo” (1r 6; 1v 5, 15, 18, 19x2; 2r 7; 2v 10, 21; 3r 8, 18; 4r 2, 10; 4v 1, 3, 7,
21; 5r 13, 18; 5v 3x2; 6r 1, 5, 6, 9, 15; 6v 1, 6x2, 8, 9; 7r 12, 14, 20; 7v
15; 8v 6, 17; 9r 1; 9v 17, 19; 10v 9). Solo in due casi si ha la forma
dell’articolo toscano prebembesco230 “[e]l” (2r 9; 3r 16), in altrettanti “il”
(3v 12; 4v 15). La situazione muta però se si considerano le preposizioni
articolate, tra le quali ricorre con regolarità la forma toscana “del” con-
trapposta a “delo” in soli tre casi (2v 15; 3r 1; 8v 2). Per il plurale maschile
sia ha esclusivamente la forma “li” che predomina, senza però essere
esclusiva, anche per il femminile (28 occorrenze contro le 10 di “le”). I
pronomi personali riscontrati nel testo sono per la terza persona singolare
“[i]sso”/“[i]pso (-a)” (1r 14; 3r 9; 3v 2, 9, 16; 4r 21; 4v 3; 5r 13; 6v 2; 7r
15; 7v 14; 10r 2) e per la terza plurale “ips.”/“issi” (2r 24; 4r 11).231 La
forma “loro” è circoscritta al caso obliquo della terza plurale: “de loro” (3v
13; 9r 17), “fra loro” (4r 4),232 ovvero alla forma del pronome possessivo
(2r 3; 3v 3, 7; 4v 7, 16; 5r 19; 5v 8; 8r 14; 9r 6, 15, 17, 19; 9v 11, 13; 10r
19; 10v 3).233 Il pronome relativo è rappresentato dal connettore poli-

228 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, §§ 174 – 75.


229 Cfr. Mattesini 1994, 429 – 30.
230 Cfr. Sardo (2008, 56), che ricorda come questa forma sia altresì comune al
castigliano (ibid.). A proposito del possibile influsso castigliano si consideri anche
la preposizione “En” (r1 6, 9); cfr. infra, par. 3.2.3.
231 Cfr. Mattesini 1994, 429; Rinaldi 2005, I, 404.
232 In una occorrenza (9v 2) si tratta del caso retto.
233 Ma in tre occorrenze si ha anche il pronome siciliano di terza persona plurale
“suo”/“soi”/“soj” (1r 8; 2r 18; 8v 3).
72 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

valente234 “chi”/“che” (spesso abbreviato in “ch.”) e dalle forme composte


“loquali (-e)”/“laquali (-e)”/“liquali”.235 Si riscontra inoltre in funzione di
relativo l’avverbio di luogo tipicamente siciliano “unde (-i)” (1v 13; 2r 11;
4v 4; 6r 9, 19). È da ascrivere al volgare siciliano anche la locuzione
avverbiale di moto a luogo “dilla” (4r 1), mentre la forma dell’avverbio
temporale “da poi”/“dapoj” (1v 16; 9v 9; 10r 18) risente dell’influsso
toscano.236 In merito agli attributi sono da segnalare soprattutto le se-
quenze: “li poco 9pagni ch. havia” (6r 16), “Poco anni fa” (6v 12) e
“spesso volte […] 9firmano” (2v 1 – 3) in cui l’aggettivo ha funzione
avverbiale.237 Passando all’ambito verbale risulta anzitutto pertinente la
segnalazione di Cornagliotti238 in merito alla sicilianità delle desinenze del
perfetto latino in -ao: “portao” (1v 2), “commenzao” (3v 19 – 20), “lassao”
(4v 1), “retornao” (4v 5), “comandao” (4v 10), “donao” (5r 1), “creao” (5r
14), “piglao” (5v 4), “armao” (5v 7), “bisognao” (6r 8), “scalvacao” (6r 18),
“mostrao” (7r 20), “capitao” (7v 12) che derivano dalla conservazione del
dittongo AV(IT) monottongato invece nel toscano.239 Il suffisso siciliano
per i verbi di seconda e terza coniugazione è poi -io,240 rilevabile in:
“p.vincio” (3v 2), “sequio” (5r 10), “finio” (6r 20), “forio” (6v 4), “naxio”
(6v 7). Al computo delle terminazioni verbali tipicamente siciliane si
aggiunge il suffisso del condizionale presente -ria:241 “importiria” (2r 22),
“farria” (2v 19), “ocorria” (10v 4) derivato dalla forma dell’infinito +
HABĒBAT che, sull’onda della lirica siciliana, entrò a far parte della
lingua letteraria toscana anche postbembesca a dispetto del fatto che in
toscano il condizionale si costruisce invece sulla forma dell’infinito +
HABUI(T) e termina dunque in -ebbe. 242 Altro tipico suffisso verbale del

234 Come nel seguente passaggio: “deli Re n.ri de dicto casa normanna ch. Isso 9te
Rogeri discesi” (1r 13 – 14).
235 Queste ultime andranno considerate dei meri tecnicismi motivati da ambizioni di
nobilitazione stilistica (cfr. Rinaldi 2005, I, 409) certamente corresponsabili,
assieme agli assidui richiami anaforici, nel rendere il testo “aulico e ampolloso”
(Cornagliotti 1994, 104).
236 La preposizione da, sconosciuta al siciliano (cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 804), occorre
soprattutto nella forma articolata, alternante tuttavia con de + articolo: “trovai
destanti dela terra” (6v 20), “delaqal casata de xxlia […] hanno disceso strenuissime
capitani” (5v 12 – 14).
237 Cfr. Rinaldi 2005, I, 429.
238 Cornagliotti 1994, 104.
239 Cfr. Leone 1984, 56.
240 Cfr. Rinaldi 2005, I, 421.
241 Cfr. Mattesini 1994, 430.
242 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 594.
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI) 73

siciliano, qualora esso si trovi esteso agli infiniti di seconda classe, è


-uto,243 che si rileva in “renduto” (2r 12) e “obeduto” (4v 12 – 13). Verbi
dalla morfologia siciliana sono infine “tenino” (9v 17) e “possedino” (10r
6 – 7).
In conclusione dell’analisi linguistica si segnalano i fenomeni sintat-
244
tici che più di tutti connotano in senso siciliano l’elogio, a cominciare
dal pan-meridionale accusativo preposizionale di “comandao ali mille
cavaleri” (4v 10 – 11) o “creao adicto so fr.e” (5r 14), passando per la
sequenza pronominale riflessivo + personale, opposta a quella toscana,245
in “alconi oportunita se me hanno offerto” (2v 8 – 9), per giungere
all’utilizzo generalizzato dell’ausiliare avere, visibile oltre che nell’esempio
appena citato anche nei seguenti passaggi: “delaqal casata […] hanno
disceso strenuissime capitani” (5v 12 – 14), “da cui hanno disceso li conti”
(6v 9 – 10), “hanno le dicte memorie: coronici, e notamenti antiqui mal
capitato” (1v 23 – 2r 2), “credino […] h.re portato origine et venuto da
genua”246 (2r 4 – 6), “don simeon […] credeva p. camarse 9te de xxlia
havessero stati quelli conti de dicta t.ra” (2r 9 – 15), “h.ndo q.sta stato la
p.otissima ca.” (10v 7).247 Gli aggettivi possessivi vengono posposti nei
seguenti sintagmi nominali: “dalli antiq. eprimi loro” (2r 3), “Inlo nu.o
etavantagio loro” (4v 7), “della Magesta sua” (7r 17), “deli cosi n.ri” (8r
3 – 4), “dilo march.sato loro” (8r 13 – 14), “lo po .s. n.ro” (9v 19), “dili
Imp.atori etRe n.ri” (10r 11), “.s. del Regno n.ro” (10r 17), “alj armi loro”
(10r 18 – 19), ma sono almeno altrettanto numerosi i sintagmi con ag-
gettivo in posizione prenominale. Per gli usi peculiari del sistema verbale
si segnalano, infine, le occorrenze del modo congiuntivo in luogo di
indicativo in: “fino ch. con gran sforzo di casteglani, alemani etvalentiane
fossiro debellante” (4r 18 – 20), “det.minaj Investigar. le arme qale faces-
sero li antiq. .s. de dicta casa xxlia in sepulcrj: mura: eportj” (8r 10 – 12),
“Et como io dila puericia havesse tenuto grandissima inclinatione ala
memoria dele cose p.tte” (2v 5 – 7).
Al termine di questa analisi linguistica è d’obbligo tornare sulle parole
di Cornagliotti, che considera l’esposizione encomiastica “scritta in ita-

243 Cfr. Rinaldi 2005, I, 427 – 28.


244 Cfr. Mattesini 1994, 430; Rinaldi 2005, I, 443 – 69.
245 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 474.
246 Si tratta qui dell’ausiliare eliso che regge il participio venuto.
247 In due costruzioni passive si riscontra l’ausiliare essere: “mi é stato resposto” (9r
17 – 18), “Et mi fu resposo da certi paisani non h.re mai Inteso tal nomo” (6v 14 –
16).
74 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

liano aulico e ampolloso, fedele alle regole del genere”.248 All’elaborato


viene altresì riconosciuto un innegabile carattere vernacolare, si tratte-
rebbe però di una marcatezza sgradita al compilatore che riaffiorerebbe in
superficie solo inconsapevolmente. I tratti linguistici siciliani sarebbero
insomma, in termini glottosociologici, semplici interferenze che tradi-
rebbero la non perfetta padronanza del sistema linguistico tosco-italiano a
cui lo scrivente sarebbe orientato. Di fronte ai numerosi sicilianismi che
emergono in sede di analisi fondamentalmente su tutti i livelli, dal piano
grafematico al piano fonologico, da quello morfologico a quello sintat-
tico,249 è necessario riflettere più approfonditamente su quello che può
ritenersi il sistema linguistico preso come modello dal compilatore della
dedica. In virtù del loro sistematico ricorrere nell’arco di tutto l’elaborato,
è evidente infatti che i tratti linguistici vernacolari non possano essere
considerati meri trabocchi dialettali dovuti ad una scarsa sorveglianza in
fase di stesura del testo: la tradizione scrittoria siciliana pare piuttosto
fungere da polo di attrazione attivo per lo scrivente, la cui pratica attinge
evidentemente a due diverse fonti. Dobbiamo insomma concludere che il
repertorio linguistico del compilatore spazi da un toscano aulico, del cui
prestigio egli è ben consapevole, a un siciliano burocratico cui viene
comunque concesso un ampio spazio e a cui si ricorre senza dubbio
consapevolmente, a tratti parrebbe persino non senza una certa ostenta-

248 Cornagliotti 1994, 104.


249 Su 30 tratti linguisitici da considerarsi tra i più eminenti della scripta siciliana
quattrocentesca e in chiara opposizione a quelli toscani: grafie <ch>, <k>,
<x>, <j>/<y>; rafforzamento fonosintattico; pentavocalismo tonico; trivo-
calismo atono; mancato dittongo spontaneo di Ĕ ed Ŏ; mantenimento di dit-
tongo AU primario; mantenimento delle plosive sorde intervocali; alternanza di
[l] e [r] intervocaliche; velarizzazione di [l] postvocalico; -(M)BJ/VJ- > [i]; -DJ-/
J- > [i]; -(N)TJ-/-(N)CJ- > [(n)tts]; QU- > -[k]-; affricazione di [s] dopo
liquida e nasale; epentesi; epitesi di -i; conservazione dei nessi consonantici BL,
PL, FL; articoli lu (lo, el), la, li; pronomi personali isso, issi; pronomi dimostrativi
quisto, quillo; pronome possessivo di terza persona plurale soi; plurali in -a;
condizionale in -ia; participi in -uto; passato remoto in -ao; ausiliare aviri ge-
neralizzato; accusativo preposizionale; posposizione dei possessivi; scambi tra
congiuntivo e indicativo; deontico aviri a (cfr. Mattesini 1994, 424 ssg.; Rinaldi
2005, vol. I), è stato possibile infatti individuarne, e con un numero consistente
di occorrenze, ben 23. Mancano all’appello l’alternanza di [l] e [r] intervocaliche;
l’affricazione di [s] postnasale (cfr. la forma ipercorretta “mensione” in 7v 3); il
mantenimento di AU primario (cfr. “scuto doro” in 1r 3); -(M)BJ/VJ- > [i] (cfr.
“habiano” in 10r 7); QU > [k] (cfr. “quista”/“quisti” in 1v 2, 3); il deontico in
aviri a (cfr. “comandao ali mille cavaleri divissiro” 4v 10 – 11); i plurali in -a (cfr.
“arme”/“Armi” in 1r 3, 16).
2.1.3. Riassumendo: assemblaggio di codici 75

zione (si pensi ai grafemi ipersiciliani <x> e <k> in “nix uno” o “po-
kissimi”, ai pronomi “Isso(-a)”/“Issi” o in generale al vocalismo). L’autore
non qualifica peraltro la lingua della sua produzione testuale in senso
etnico; dichiarando di avvalersi del “n.ro ydioma volgare” (3r 14 – 15),
egli ne evidenzia tuttavia l’appartenenza ad una tradizione sentita come
propria e volutamente distinta (cfr. infra, par. 3.2.2.).

2.1.3. Riassumendo: assemblaggio di codici

In chiusura di questo capitolo non resta che cercare di trarre delle con-
clusioni sul genere di plurilinguismo che riflette il manoscritto esaminato.
Come accennato in par. 2.1.1., l’erbario-ricettario fu messo per iscritto da
compilatori catalani che furono attivi con tutta probabilità nella penisola
iberica. Dal momento che non si ha nessun tratto linguistico ‘italiano’
all’interno del compendio, ma per contro un sensibile influsso castiglia-
no, si deve infatti concludere che il manoscritto sia giunto solo in un
secondo tempo in Sicilia. Pur non avendo in questo caso validi appigli
che permettano di congetturare un trasferimento in Sicilia non solo del
codice, ma anche del suo autore/copista, è altresì noto che questi ma-
noscritti andavano spesso ad arricchire le biblioteche di medici catalani la
cui presenza sull’isola era tutt’altro che marginale. Tale maestro Michele
de Tubia, ad esempio, operante nei primi anni del secolo XV a Palermo, si
trovava in possesso di una serie di trattati “in gramatica”, tra i quali il de
Stomacho di Costantino Africano, la Chirurgia di Bruno di Longobucco e
la Isagoge di Ioannizio, nonché “vulgariter in lingua cathalanica”, ossia
volgarizzamenti in catalano della Chirurgia di Guglielmo da Saliceto,
della Practica chirurgie di Ruggero da Salerno e della Chirurgia parva di
Lanfranco da Milano, oltre che del Secretum secretorum pseudo-aristote-
lico.250 Come si legge nell’inventario rogato nell’anno 1417, il chirurgo
catalano lasciò in eredità questi beni ai fratelli che si trovavano in pa-
tria.251 Per quanto riguarda il Trattato delle virtù delle erbe, non è difficile
pensare ad una circostanza per così dire speculare per cui un lascito
testamentario di un guaritore operante nella penisola iberica sia perve-
nuto ad un successore attivo invece in Sicilia.
Giunta come che sia sull’isola nella prima metà del Cinquecento,
l’epitome, come lascerebbe intendere l’operazione di assemblaggio, venne

250 Bresc 1973, 175 – 76; cfr. Rapisarda 2001, xlvii-xlviii.


251 Rapisarda 2001, xlvii.
76 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

in un secondo tempo offerta in omaggio nientemeno che al Marchese di


Geraci, o comunque ad un membro del suo entourage, magari al medico
di corte.252 Il manoscritto che contiene l’elogio rivolto alla famiglia
Ventimiglia, una sorta di dedica ossequiosa, potrebbe essere stato rilegato
al trattato per garantire all’omaggiante la benevolenza dei nobili feudatari.
Questo testo, apografato da un’opera redatta nel 1533,253 dà testimo-
nianza della varietà linguistica che si usava prendere da modello nella
scritturalità elaborata nella Sicilia cinquecentesca, come si è visto una
lingua per certi versi mista che attinge sia alla tradizione siciliana, sia a
quella toscana.
L’operazione di contestualizzazione appena delineata non è ovvia-
mente fine a se stessa, ma ha sempre come obiettivo quello di testare le
dinamiche di convivenza dei differenti sistemi linguistici nello spazio
comunicativo qui esaminato. Non si può mettere in discussione allora che
il plurilinguismo esibito dal Trattato delle virtù delle erbe sia, per quanto
riguarda i rapporti tra il volgare iberico e quello di stampo ‘italiano’, una
mera illusione (sin)ottica. Esso non scaturisce infatti dalla stessa mano, né
da due compilatori attivi in concomitanza, ma è frutto appunto di un
accorpamento tra più codici rispettivamente monolingui, se così si può
dire, compilati a distanza sia geografica che temporale l’uno dall’altro.
Questa constatazione non giustifica tuttavia un intervento in fase d’in-
terpretazione che sia volto a disgiungere ciò che nella realtà disgiunto non
è.254 In altre parole, la circostanza stessa che un Ricettario di segreti in
catalano fosse stato destinato ad un cortigiano dei Marchesi di Geraci,
come la dedica-elogio lascia intendere, la dice lunga sui contatti tra
gruppi linguistici diversi e sulla penetrazione della lingua iberica in am-
bienti autoctoni anche (o soprattutto) socialmente elevati. Questo dato
risulta assai rilevante per ricostruire la storia dello spazio comunicativo
siciliano, ma rischia di venire oscurato se l’interesse della storiografia è
quello di delineare una storia della lingua rispettivamente in Spagna e in
Sicilia o, ancor più, se l’attenzione è rivolta alla storia della lingua ca-
stigliana da un lato e tosco-italiana dall’altro (cfr. infra, par. 1.1.). La
metodologia di un tale approccio, che prevedrebbe un’artificiosa ‘vivise-

252 Cfr. Cornagliotti 1994, 105.


253 Anche l’impaginazione, le figure delle armi, ecc. sono prese tali e quali dal
Sancetta, con cui si riscontrano persino errori comuni (Cornagliotti 1994, 104).
254 Non è questo il caso di Cornagliotti (1994), che pur volgendo il suo interesse sul
testo catalano si preoccupa comunque di descrivere il codice nella sua complessità
e di fornire informazioni essenziali anche sulla dedica-elogio.
2.2.1. Stratificazione spaziale 77

zione’ del manoscritto nelle sue parti costitutive e una conseguente con-
segna alla relativa filologia nazionale del suo rispettivo oggetto di studio
monolingue, è infatti diametralmente opposta a quella che si è ritenuto
qui sensato adottare per ricostruire le dinamiche di contatto e convivenza
tra più idiomi all’interno di uno stesso spazio comunicativo.

2.2. Plurilinguismo per stratificazione spazio-temporale


I codici che si analizzeranno in questo secondo paragrafo, il Lapidario
della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana e l’Eucologio della Bi-
blioteca Nazionale Marciana di Venezia, consentiranno di penetrare più
profondamente nella cultura pratica della Sicilia quattrocentesca e di
riprendere in tal modo alcuni dei principali fili conduttori dipanatisi nel
corso del paragrafo precedente a proposito dei contatti culturali e lin-
guistici che hanno interessato lo spazio comunicativo siciliano a cavallo
tra tardo medioevo e prima età moderna.

2.2.1. Stratificazione spaziale

Nell’immediato seguito si dedicherà spazio al fenomeno della stratifica-


zione spaziale, la sovrapposizione di più mani e di più strati linguistici
all’interno di uno stesso manoscritto. Il quadro plurilingue che si viene a
creare, come si vedrà attraverso l’analisi del Lapidario, è dovuto in primo
luogo al fattore della mobilità dei compilatori e degli utilizzatori dei
Ricettari di segreti.

2.2.1.1. Il Lapidario (la raccolta miscellanea del sec. XV)


Il codice del Lapidario, per la cui attenta analisi filologica si fa riferimento
a Cherubini,255 è composto da almeno cinque opere distinte di carattere
medico, magico e alchemico, rappresenta cioè una raccolta miscellanea di
testi che appartengono in senso lato al vasto genere dei lapidari. Nella
prima opera, il Liber Phanuelis de nominibus apropriatis lapidibus preciosis,
si descrivono diversi tipi di pietre preziose, si attribuiscono ad esse precise
virtù terapeutiche e si spiega come farne dei talismani incidendovi in
superficie frasi arcane, nomi sacri o anche solo iniziali di presunte divi-

255 Cherubini 2001a; 2001b.


78 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

nità. Il fantomatico autore – a Fanuele si fa riferimento nel Vangelo di


Luca (2, 36) come padre di Anna, anche se qui lo si dichiara un di-
scendente della stirpe del profeta Elia – sottolinea come il sapere esposto
sia tratto dagli Egizi e sia divenuto patrimonio devozionale del popolo
ebraico a seguito della sua fuga liberatrice dalla terra del Faraone.256 La
seconda opera del manoscritto, separata dalla prima da un’orazione da
recitare all’Onnipotente per ottenere la benedizione degli amuleti, è il
Liber herbarum virtuosarum lapidibus preciosis propriatarum Discoride
compositus. In questo testo vengono affiancate ad una pressoché corri-
spondente quantità di pietre (nel Liber Discoride compaiono anche lo
“Smaraldus” e la “Hyena” assenti nel Liber Phanuelis, mentre quest’ultimo
contiene “Emathites”, “Mirtas” e “Lapocia” non riscontrate nel primo) non
più orazioni o nomina, ma erbe curative.257 Anche in calce al libro at-
tribuito a Discoride si trova un’orazione, “dicenda in colleccione herba-
rum”, che consiste nella recitazione dei sette nomi veterotestamentari di
Dio: “Saday, Iothe, Adonay, Panthon, Grathon, Pneumaton, Ysiston”. Le
carte seguenti contengono un trattatello, in forma epistolare, sulle pro-
prietà terapeutiche di alcuni animali, dal cervo alla rondine al tasso. I
committenti, come si deduce dall’incipit, sono nientemeno che un sedi-
cente re egiziano e l’imperatore romano Ottaviano Augusto. Immedia-
tamente successiva alla lettera vi sono due brani che si riferiscono ad un
“Experimentum probatum a magistro Iohanno Castroloniaco”: il primo è la
ricetta di un medicamento a base della radice del tasso barbasso che
consente di espellere i calcoli, il secondo un elenco di nomi divini in
forma di preghiera.258
L’ultimo testo, il Liber Kyranidis, risulta infine essere anche il più
significativo in termini sia quantitativi che qualitativi, dal momento che
occupa più di tre quarti del trattato e vanta di una ben più ricca tradi-
zione di testimoni. Il libro, un prodotto di scienze arcane quasi certa-
mente di età imperiale, attinge con elevato sincretismo dalla letteratura
ermetica e occulta di ambito greco e orientale: una parte di esso viene
attribuita al re persiano Kyranidis, l’altra a tale Arpocration di Alessan-
dria. La traduzione latina, effettuata a Costantinopoli nella seconda metà

256 Cherubini 2001a, 107.


257 Cherubini 2001a, 110.
258 Cherubini 2001a, 111 ssg. Il nome proprio di Iohanno Castroloniaco, che
rappresenta con tutta probabilità una storpiatura di Iohannes Castellionati
membro di una delle più influenti famiglie salernitane duecentesche e archiatra di
Innocenzo III, sembra possa fornire un primo plausibile terminus post quem di
quest’opera (ivi, 113 – 14).
2.2.1. Stratificazione spaziale 79

del secolo XII da un compilatore che scrive di lavorare su di un testo


greco di pochi decenni anteriore,259 propone un elenco di uccelli, pesci,
piante e pietre – rispettivamente un esemplare per ogni lettera dell’alfa-
beto – fornendo indicazioni riguardo le rispettive virtù terapeutiche e le
modalità per trarne amuleti.260 Un’accorta collazione con i più rilevanti
testimoni del Liber Kyranidis, come quella effettuata da Cherubini,261 ha
permesso di porre in evidenza le peculiarità che distinguono il mano-
scritto dalla restante tradizione latina e che pertanto meritano di essere
discusse in questa sede. Anzitutto va detto che il codice palermitano non
si lascia inserire con precisione a nessun livello della tradizione, né asse-
gnare ad un preciso ramo, ma si avvicina ora all’uno, ora all’altro testi-
mone di cui spesso riporta indistintamente sia il testo che le annotazioni
marginali, alle volte articolate anche in complete ricette.262 Alcune di esse,
come quella a c. 45v sul sangue di un immaginario cane nero o pescecane,
vanno poi considerate non più semplici rimaneggiamenti, ma vere e
proprie aggiunte mediante le quali l’autore tende ad integrare il testo con
le sue dirette conoscenze. Uno dei brani più significativi in questo senso è
quello che a c. 48r si apre discorrendo delle virtù del castoro; da esso è
possibile trarre ben tre indizi che permettono di dare inizio ad un primo
sondaggio dell’assetto plurilingue di questo manoscritto e delle varietà
presenti nel repertorio del suo compilatore. Il primo riguarda le carat-
teristiche interne del testo con cui vengono riproposte alcune ricette
magico-terapeutiche, testo che nelle parole di Cherubini è stilato “in un
latino piuttosto zoppicante ed infarcito di espressioni ormai chiaramente
tendenti al volgare”.263 Il secondo è anch’esso di carattere interno e si
riferisce ad alcune particolarità grafiche nella resa del sostantivo “continens
(-tis)” per mezzo di un inusuale compendio tra il c retroversum, solita-
mente usato per abbreviare con/com, seguito dal titulus e dalle lettere
relative alla flessione. L’ultimo indizio, di carattere esterno, riguarda un

259 Si tratta di tale Pascale Romano attivo alla corte bizantina di Manuele I (Che-
rubini 2001a, 116).
260 Cherubini 2001a, 114 – 15.
261 Cherubini 2001a, 117 – 18.
262 Cherubini 2001a, 119. Si considerano adiafore le varianti ortografiche e di stile
del tipo “Gliakidis” per “Glikisidis” o “aliquis” per “quis”. Più degna di nota è la
seguente successione di segni “pHbqHs”, con cui il copista del Lapidario a c. 40v
sembra rendere il significante di una parola greca senza però intenderne il si-
gnificato (ivi, 119 – 20).
263 Cherubini 2001a, 122.
80 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

passaggio che contiene una fuggevole informazione sull’autore aprendo


uno scorcio autobiografico:264
Item castor habet easdem virtutes, quas habet sanguis canis nigri, suffumi-
gatus et p(er)tatus.
De lupo. Lupus. Recipe caput lupi cum pedibus anterioribus, pone in
olla vitreata, effode infra vel circa limum domus et mitte sal intus, ne faciat
fetorem. Et facit bonam fortunam, sin qui haberet res vendendas, omnis
homo emet(ur) ab eo pocius quam ab alio.
Contra pestilenciam. Recipe oli(i) con(tinen)tis veteri, lib(ram) .I., boli
coralle rubee an(a) uncias .II., gariofolium idest capud rorum numero 12,
dictamo uncias .II., icanture cornucervi uncias .II., ossa cordis cervini nu-
mero 3, genciane, tormnentille, centaure, carline, cardi benedicti an(a) un-
ciam .I., omnia pistentur et ponantur in vaso vitreo cum oleo predicto
optime opturato et ponatur in caldaio pleno aque ad bullendum per 5 horas,
postea cola et pone in vaso vitreato plus parvum, videlicet ol(eu)m predic-
tum, colatur et intus pone unciam .I. unicorni bene pistati et extingue 30
vicibus ducat(..) 12 bene ingot(..), postea fac bullire dictum oleum per 6
horas et istud oleum sic operabis unge locum infirmitatis, postea in auribus,
in brachiis et in ventre streva.
Ad idem. Pulvis pro predicto malo pestilentiali. Omnes res predictas
ponas cum uncias 5 lianti et detur cum aqua rosarum et aceti vel aque seu
succum avanise, videlicet herba quam ostendit mihi magister P. Angelus eundo
Ianuam, cum duobus vel 3 guttis lactis ficcus non facientis fructum. jj
Ad lumbricos. Recipe succi mente romaire perse absinthii uzini nigella
prassii salicis lupini graminis persici centum idest .IIII. baccarum lauri an(a)
26, aceti 34, olii con(tinent)is antiqui 36. Pone omnia predicta cum oleo
dicti con(tinent)is ad bulliendum quousque remaneat 3 pars, postea acc(ipe)
aloepatici uncias .II., gariofolorum a vasino mastic(is) et idamoni i(n) spa(..)
an(a) 31 pulvericati, pone cum dicto oleo con(tinent)is, bullie et optura,
postea unge in loco debito.
Ad idem. Recipe centauree gensiane dittami sene sanctis sancti gario-
folorum mascis an(a), fiat pulvis, detur scrupulus .I. in mane ieiuno stomaco
et cetera.265
Lasciamo per il momento da parte la prima considerazione di Cherubini
sulla lingua del brano in questione, punto cruciale su cui si tornerà in
seguito, concentrandoci sui due restanti indizi: le particolarità grafiche e
l’accenno ad un misterioso maestro. Insospettito dal peculiare utilizzo del
c retroversum, Cherubini approfondisce le analisi sulla scrittura del ma-
noscritto, “vergata quasi certamente da due sole mani molto simili tra
loro”266 in stile semigotico, giungendo ad esprimere forti perplessità sul

264 Cherubini 2001a, 122 – 23.


265 Cc. 48r, rigo 1 – 48v, rigo 12, da: Cherubini 2001a, 123 – 24, corsivo mio.
266 Cherubini 2001a, 106
2.2.1. Stratificazione spaziale 81

fatto che i copisti possano essere considerati inequivocabilmente originari


di un’area ‘italiana’. Estraneo alle abitudini peninsulari è ad esempio
anche il taglio orizzontale eseguito nella nota tironiana per et – visibile nei
pochi casi in cui la congiunzione non viene scritta per esteso – che,
nell’età della gotica, va riscontrandosi generalmente nelle scritture
transalpine. Anche l’utilizzo sistematico di u acuta all’inizio di parola o
l’esclusione di s minuscola finale non corrispondono, così Cherubini, ad
un gusto propriamente peninsulare. Proprio la fattura di quest’ultimo
grafema mostra anzi come la scrittura risenta fortemente d’influssi fran-
cesi: se infatti il tracciato ‘ad alambicco’ della S maiuscola, ben rappre-
sentato, s’inserisce bene nella tradizione semigotica italiana, quello che
corrisponde a una sorta di ß, praticato molto spesso appunto a fine di
parola, è assai più caratteristico delle scritture bâtardes francese e borgo-
gnona, nelle quali però la linea verticale risulta di norma piegata verso
destra e le curve convesse a sinistra che vanno a chiudere la lettera sono
ben più saldamente intersecate ad essa.267 Di fronte a questi ibridismi,
Cherubini giunge alla conclusione che si abbia a che fare con “copisti per
i quali l’apprendimento della scrittura è avvenuto all’interno di un sistema
misto, parte italiano e parte transalpino”268 proprio di un’area periferica.
Quel fugace “Ianuam” (48r) che lo scrivente menziona descrivendo gli
effetti benefici di una misteriosa erba mostratagli da un altrettanto oscuro
maestro, il terzo indizio che si può trarre da questo passaggio, sarebbe
senz’altro in sintonia con quanto ravvisato.
Procedendo nella disamina di questo genere d’interpolazioni, come si
è visto alquanto fruttuosa, è dato riscontrare numerose indicazioni utili
per inquadrare la formazione culturale e il repertorio linguistico del
compilatore. A c. 58v, per far un altro esempio significativo, si registra
l’aggiunta di una ricetta “De tartaruca”, e questo sebbene poco più avanti
si trovi un capitolo ben articolato dal titolo “De testudine”. In questo caso,
come in uno analogo dedicato alla “luzula”, l’espressività della forma
volgarizzata del rispettivo animale è certamente un indizio della natura
estemporanea del supplemento.269 Strettamente correlato alla testuggine è
poi anche un’interessante ricetta per aprire le serrature riportata di se-
guito:

267 Cherubini 2001b, 210.


268 Cherubini 2001b, 211 – 12.
269 Cherubini 2001a, 125.
82 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

De tartaruca.
Tartaruca faciens ova sicut gallina <curat> fricaciones in manibus (in
vulgari vocantur pori). Accipias sanguinem istius animalis et desuper unge,
primo cum acu aperi.
Ad seras aperiendas
Disferracavallo invenies sic: accipe tartarucam; quando vadunt in
amore, vadas cum duabus, scilicet masculo et femina, porta ad pratum ubi
sunt multe herbe, fac circulum cum baculis vel lignis et munda bene intus
<et> foris et mitte feminam intus et masculum foris. Ille volens ire ad
feminam non potest; vadit querens herbam et cum illa facit exire ligna, ut
possit ire ad feminam et facit saltare foras. Postea accipe herbam illam, que
aperiet seras et cetera.270
Alle diciture volgari di “tartaruca” e di “pori”, nella seconda inserzione si
aggiunge quella di un’erba, detta “Disferracavallo” per la forma particolare
del suo frutto e per la proprietà che perciò le viene attribuita, nella credenza
popolare, di schiodare i ferri dagli zoccoli dei cavalli – da cui evidente-
mente il prefisso privativo dis-.271 Gli ingredienti principali menzionati in
queste due ricette si lasciano inserire senza difficoltà, sia nel merito che
nella forma, in un contesto meridionale. Per quanto riguarda il piccolo
arbusto di prato, è sorprendente come esso non compaia né nella tradizione
dei libri di Keranide, né nell’altra opera dedicata alle piante che si trova
nello stesso manoscritto, il Liber Discoride. Il riferimento alla tartaruga
sembra poi riportare le esperienze personali di un uomo di mare, esperienze
che non sarebbe difficile collegare alla Sicilia, sulle cui spiagge era certa-
mente ancora possibile trovare tartarughe marine.272
Nelle ultime carte del manoscritto, dove le variazioni divengono via
via più sostanziose, si trova anche l’inserto forse più interessante. Come
preannuncia l’ultimo rigo di c. 74r “verte folium: Benedictio Leonis pape”,
nelle cc. 74v-75r è riportato uno scongiuro inviato in forma di epistola,
secondo la nota introduttiva, da papa Leone III all’imperatore Carlo
Magno. L’orazione, che si rivolge in successione alla Santa Croce, alla
Vergine Maria, agli Arcangeli, a Dio Padre e a Gesù Cristo, è stilata in
latino, ma alle parole da proferire nel rituale performativo sono preposte
alcune righe introduttive che delucidano i modi e i tempi in cui compiere
il rito, scritte queste in volgare:
Allo nome de Dio e de la gloriosa vergine Maria. Questi sono le parole le
qual avìa mandato papa Leone a Carlo Magno imperadore e sono ap(ro)tate;

270 C. 58v, da: Cherubini 2001a, 126.


271 Cherubini 2001a, 126.
272 Cherubini 2001a, 126.
2.2.1. Stratificazione spaziale 83

omni persona che le portarà adosso, o veramente se le farà legere, en quello


iorno non porà pericular de nulla armadora né de foco né in aqua, encora
che questa oracion porterà adosso semper monterà in richeza et honore. et,
s’el fosse alcuna donna che non potisse in partorire senza dolore, he che
questi parolle porterà adosso, quando l’anima sua iussirà dello corpo, certo
anderà a 7ssalvacione:
“+ Crux Christi sit mecum. + Crux Christi est, quam adoratur. + Crux
Christi est michi signum. + Crux Christi superat omne gladium. + Crux
Christi superat vincula mortis. + Crux Christi sit michi palma. + Crux
Christi sit michi mirabile signum. + Crux Christi sit michi protector. +
Crux Christi spandeat omne bonum. + Crux Christi aufert omne malum. +
Crux Christi abstulit penam mortis. + Crux Christi fert nobis sempiternum.
+ Crux Christi divina, salva nos, que es super nos et ante nos, quia antiqus
hostis fugit ubicunque te videt. + Crux, obsecro te, angelle spiritus, qui ego
Christi anima dominum patrem ad providendum commisus sum ut me
custojjdias, visites atque deffendas ab omni vinculo, ne diabolum vigilantem
videam, salva me et non dimittas me die ac nocte dormientem perire et
quocumque habiero, comitare mecum et omnes tempestates Sathane per
virtutem et omnipotenciam Dei a me et repelle, in omnique opere bono
conserva me et in die exitus mei ad vitam perducas sempiternam. Ihesus
autem transiens per medium illorum ibat. Sanctus Christus sit michi scutum
et arma contra insideas omnium inimicorum meorum visibilium et invisi-
bilium. + Mater Christi Maria sit mecum in via. Stella Maris lucida semper
me custodiat, Paradisi Porta semper me confortet, Celorum Regina semper
m(ichi) adiutrix in omnibus periculis, angustiis ac necessitatibus meis. +
Angelus Michael sit michi scutum et galea. Angelus Gabriel sit michi lorica
et baltheum. Angelus Raphael sit michi adiutor et defensor contra insidias
omnium inimicorum meorum per + signum et victoriam et virtutem sancte
Crucis. Libera me, Deus Israel, de omnibus inimicis meis. + Hely + Hely +
Hely + Lama zabatani. + Ha + A + Adonai + Ota + Cianca + Arodeima
+ Verbum princeps + Hemanuel + An + Ay + Ari + Eloy + Agla +
Zamon + Tetagramaton. + Domine Iesu Christe, per tuam immensam
potenciam et per virtutem eorum verborum liberare ac defendere digneris
me famulum tuum in quocumque periculo et agustia mea. Amen. Alle-
luia.273
La lettera pontificia indirizzata all’imperatore franco, la cui tradizione
affonda le radici nell’età media e vanta attestazioni non solo nella prima
età moderna, ma anche in epoca molto più recente,274 rimanda ancora

273 Cc. 74v-75r, da: Cherubini 2001a, 131 – 32.


274 Come rileva Troncarelli (1984, 27 – 28), tra le carte sciolte dell’Archivio Capi-
tolare di Alghero è conservata ad esempio una trascrizione del secondo Seicento
di una lettera simile attribuita questa volta a Papa Giovanni. Lo stesso studioso
svela poi l’esistenza di una tradizione orale a proposito di una missiva di Papa
Leone III a Carlo Magno in Calabria, dove un famoso guaritore di cui si sono
occupati diversi antropologi ne fa uso ancora oggi (cfr. Cherubini 2001a, 130).
84 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

una volta ad un contesto tutto mediterraneo dal quale riaffiorano co-


noscenze e credenze alternative a quelle della cultura religiosa ufficiale.
Per quanto riguarda le istruzioni preliminari allo scongiuro, esse si pre-
stano apparentemente meglio di ogni altro passaggio a fungere da indi-
catore che consenta di stabilire la disposizione linguistica di un guaritore
evidentemente alloctono, ma attivo in Sicilia. Un’analisi linguistica di
quello che si presenta come la caratteristica interna più affidabile pare
tuttavia destinata a deludere le aspettative e a generare anzi nuovi inter-
rogativi. Ciò che pare chiaro sin da subito è che non ci si trovi di fronte
ad un volgare della zona siciliana o meridionale estrema, di cui non si
riscontra ad eccezione forse della vocale tonica di “potisse” alcun feno-
meno linguistico tipico. Anche le ipotesi finora avanzate sulla possibilità
che la formazione linguistica del compilatore fosse avvenuta in un’area
periferica della zona nord-occidentale della penisola275 sembrerebbero
essere a loro volta confutate da questo primo sguardo d’insieme, al seguito
del quale parrebbe piuttosto di avere a che fare con un volgare di area
centro-meridionale276 – soprattutto in base alla forma dell’articolo ma-
schile lo 277 in “allo nome de Dio” e “dello corpo”, per il mantenimento
dell’esplosiva intervocalica in “foco”,278 il raddoppiamento fonosintattico
in “a ssalvacione”279 e la perdita dell’elemento occlusivo in “iorno”280 o,
ancora, a giudicare dalla sequenza sintattica sostantivo + possessivo in
“l’anima sua”. Un’analisi più attenta permette nondimeno di constatare la
presenza di una considerevole quantità di fenomeni facilmente attribuibili
ad un’area linguistica gallo italiana. A partire dall’ambito fonologico con
le numerose apocopi “le qual”, “pericular”, “oracion” e con il trattamento
di alcune consonanti, che a dispetto di quanto si registra in “foco” ven-
gono invece sonorizzate in “imperadore” o “armadora” o dileguate in
“avia”, nonché mantenute semplici in “richeza” e “legere”, giungendo
all’ambito morfosintattico con il caratteristico pronome atono “el” in
funzione rafforzativa di soggetto281 in “s’el fosse alcuna donna”. Ci si
limiterà pertanto a constatare, al momento, come l’unica produzione in
volgare del compilatore si presenti in un idioma misto, rispecchiante

275 Cherubini 2001b, 211 – 12.


276 Cherubini 2001a, 130.
277 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 418.
278 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 198.
279 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, §§ 174 – 75.
280 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 182.
281 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 446.
2.2.1. Stratificazione spaziale 85

fenomeni linguistici in parte tipici della zona centrale o centro-meri-


dionale, in parte di quella settentrionale della penisola italiana.
Il Liber Kyranidis si chiude con una lunga disquisizione alle cc. 79v-
80 che vede protagonista la figura di Tobia. Il personaggio biblico282
r

discute con l’arcangelo Raffaele sulle proprietà della quercia, tra cui
vengono menzionate la cura del mal di milza e di fegato, ma anche della
lebbra, della podagra nonché di ferite di ogni genere. Dal legno di
quercia, sui rami della quale nasce la mispela, l’attenzione dei due per-
sonaggi si sposta verso erbe, foglie e frutti che scaturiscono dal seme di
questa pianta. A questo punto però le conoscenze in ambito erboristico
vengono messe a disposizione di un’arte più ambiziosa di quella guari-
toria, oltrepassando il confine che dalla farmacopea conduce all’alchi-
mia:283
De quercu. Quercus dicitur quando angelus Raphael iniet cum Tobiolo
versus Ragos Medorum requieverunt ad quercum unam, et angelus Raphael
benedixit eam, q(uia) super eam stabat lignum, illut glauceum scilicet
mispelium.
Dixit Tobiolus: ‘Quare benedicis istam arborem?’, respondit angelus:
‘Quia lignum sanctum super eam est, scilicet mispelum’. Item folia quercus
stillata ad multa valet <et est> aqua ista ad malum milze, interficit lum-
bricos. Item pili rubei qui supra quercum nascuntur ad solidandam omnem
plagam, pulvis eius superpositus. Item pulvis eius datus ad bibendum cum
tormentina sanat podagram et omnem humorem frigidum.
Item polipodium herba lata, nascens eciam super quercum, est bona ad
matrem vel matronam; stillata aqua vel pulvis eius cum melle sumptus ad
stomacum, videlicet ad omnem humorem malum purgat et sanat.
De sancto ligno super quer(cu). Mispela, lignum sanctum crucem ha-
bens vel admodum crucis vel lignum crucis, valet ligatum in capud freneticis
febricitantibus. Item da comedere uni caducum paciens morbum et facias
eum portare: recedet sanatus.
Item collige in luna plena, folia eius pista: saldat omnem fistulam et
cancrum et plagam contrafactam, scilicet putridam, et puncturas. Item ad
puncturam unge cum oleo vulpino et mitte folia et mitte desuper: san(a)t.
Item semem ligni crucis, quando cadit in terram jj et ex illo nascitur
martacon, folia eius desuper viridis subtus glaucea vel avea. Et nascitur in
crucis modum, folia et radix et facit folia sicut media luna. Et in foliis facit
semem et semem illud habet formam vultus sancti. Et ideo angelus Raphael
benedixit illis [et] tot folia facit quod dies hi luna et, cum defic(it) [l]una,
deficiunt folia paulatim. Et sic crescit et decrescit virtus eius. Et quando luna
est plena, habet omnes virtutes suas.

282 2Cr. 17, 8; cfr. http://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferi-


mento=2Cronache17.
283 Cherubini 2001a, 128.
86 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

Et ista est herba congelans et sistens mercurium. Et reducit argentum finum


in perfectissimus aurum. Item cuprum liquefac per ignem, scilicet caldaria fiunt,
proice pulveres eius, erit argentum finum, sanat lepram cupri id est immundicias
eius leva, postea fit argentum.
Eciam sanat omnem infirmitatem. Porta super ipsum nichil eum necebit
nec gladius nec serpens. Item, quando nascitur, multe aranee faciunt telas
super ipsam, ita ut invenire vix possit, qui non scit.
Item qui voluerint habere herbam istam, colligat semem ligni sancti in
Octobre, ista herba facit mispelam et semina ad locum, ubi non est nimis sol
et habebit illam habet gridu(m) ad ea habet tantas virtutes, prout meliusi et
penis et c(etera).
Ad fluxum corporis. Recipe .III. guttas sa<n>guinis tartaruce cum vino
rubeo ieiunus: bibat et sanabitur.
Ad solidandum vulnera et plagas. Recipe spolium serpentis cervi vel
ipsum serpentem integrum. Postes capere omni die postea in luna crescente
fac pulveres inpo(n)ita plagis recentibus consolidat et sanat.284
In questo passaggio attirano l’attenzione le righe che concludono la dis-
quisizione sulla mispela in cui si parla dell’erba martagon. La foglia a
forma di mezzaluna di questa pianta, difficile da scoprire perché viene
ricoperta da tele di ragno nel momento stesso in cui spunta dal terreno,
non è solamente indicata per curare ogni infermità – comprese le ferite di
spada e i morsi di serpente – ma si dichiara possieda inoltre il potere di
congelare il mercurio, tramutare in oro fino l’argento e in argento il rame,
‘guarendo’ quest’ultimo, una volta liquefattolo, dalla ‘lebbra’ che lo af-
fligge. Dopo questo fugace excursus in ambito alchemico, l’autore torna
nuovamente sull’assodato terreno della medicina pratica e riprende due
ricette a base del sangue di tartaruga e della pelle di serpente con le quali
si chiude improvvisamente, senza alcun epilogo, né una sorta di explicit, la
trattazione del liber Kyranidis. 285 Il breve spiraglio aperto in quest’ultima
carta trova però un’immediata prosecuzione sul verso della stessa, dove
due mani differenti, ma anch’esse d’impianto semigotico come quelle
principali cui si deve la trascrizione del codice, hanno vergato un’ultima
serie di concise ricette. È nella sezione stilata dalla prima mano, nello
specifico, che s’intravedono istruzioni con le quali si fa eco ad alcuni
trattati di carattere alchemico, sebbene il testo sia reso purtroppo quasi
incomprensibile dal cattivo stato di conservazione del foglio lacerato e
coperto di macchie in diversi punti. Le ricette seguenti, ascrivibili alla
seconda mano, affrontano invece temi che si possono definire di co-
smetica, trattando in particolar modo della depilazione e della cura dei

284 Cc. 79v-80r, da: Cherubini 2001a, 128 – 29, corsivo mio.
285 Cherubini 2001a, 128.
2.2.1. Stratificazione spaziale 87

capelli.286 Anche questa sezione è di difficile interpretazione, ma in questo


caso le difficoltà non sono dovute a ragioni meccaniche, bensì alla non
facile lettura di “voci lessicali e costrutti di una lingua che è un misto di
latino tecnico estremamente corrotto e di volgare siciliano”.287
Ad fac[iend]um mercurium de saturno.
Recipe partes .III. sulpuris, partem .I. saturni et cum oleo co(m)muni fa
bulire per diem [.I.], na(tura)lem fiet m(er)curium.
A 7 ffare ly pyly non nascano.
Levan(e) lu pylu dyllu loco et mitti n[e] lu sanguo dillu spertelione et no
(n) […]. It(em) fallu inprastu di pede de fust[.]de, dally dy conatico mysse
allo e ponilu dove voy, ch(e) 7lly pylly no(n) nascano et non nasono
Item lu latti dila can(a) fa questo simile.
Item la farina dillu lupyno amaro posa sup<ra> lu pylu lu fa 7ccadere et
no(n) nascynu pyù.
A 7 ffaciendoni capilyos bruno.
[R]ecipe mure de rocca e falla bolyre innaqua po(n)te sutatura contra
dictu alluni e psatur.. pf..tur caput simile tui capilli e demitatur p(er) tres
dies, poste la cu quella aqua bollyta omo o femina tre fiate e p(ro)batu est.288
Con questo brano si conclude dunque il Lapidario, un manoscritto che
offre un contributo particolarmente ricco sia dal punto di vista testuale,
per le numerose opere tràdite in esso, sia da quello culturale, per le
conclusioni che si possono trarre da un tale accorpamento di opere dotte,
esperienze empiriche e credenze al limite tra religiosità e stregoneria
sull’universo dei rappresentanti della medicina pratica. Giova soffermarsi
ora proprio su quest’ultimo inserto riprendendo l’affermazione di Che-
rubini in merito alla sua facies linguistica. Lo studioso formula infatti una
simile considerazione già in merito al primo passo esaminato in questo
paragrafo, quello che a c. 45r si apre discutendo delle virtù del castoro e la
cui lingua viene definita “un latino piuttosto zoppicante ed infarcito di
espressioni ormai chiaramente tendenti al volgare”.289 Le due valutazioni
metalinguistiche rivelano un’attenta consapevolezza per la differenza so-
stanziale che intercorre tra i rispettivi testi cui si riferiscono. Nel primo
caso, infatti, o meglio nel corso dell’intera trattazione – con l’ovvia
esclusione del brano che apre la Benedictio Leonis pape – è la lingua latina
a fare da latore, per quanto a tratti claudicante, del sapere arcano che si
intende svelare. Ciò che connota l’idioma in senso vernacolare, dando la

286 Cherubini 2001a, 132 – 33.


287 Cherubini 2001a, 133.
288 C. 80v, da: Cherubini 2001a, 133.
289 Cherubini 2001a, 122.
88 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

sensazione di trovarsi di fronte ad espressioni tendenti al volgare, sono


infatti per la maggior parte fenomeni che si possono considerare situati
sul piano universale dell’immediatezza comunicativa. 290 Questo discorso
vale ad esempio per quelle numerose aggregazioni sintattiche dell’elabo-
rato che manifestano la mancanza di un’accorta pianificazione testuale,
una fra tutte quella relativa alla rubrica “De Lupo” (48r) in cui il titolo è
riportato due volte con l’accostamento paratattico di “Lupus” (48r).
Anche la presenza di costruzioni ellittiche come quella sulle proprietà
della tartaruga di c. 58v : “Tartaruca faciens ova sicut gallina fricaciones in
manibus”, nella quale Cherubini suggerisce di integrare il predicato
“curat” o “sanat” per donare alla frase un senso compiuto,291 riflette una
tipologia di verbalizzazione soggetta alle premesse dell’immediatezza co-
municativa.292 Per le stesse ragioni è dato riscontrare poi, sul piano se-
mantico-lessicale, una scarsa variazione sintagmatica, tanto da venire
confrontati molto spesso con ripetizioni del tipo: “et ponantur in vaso
vitreo cum oleo predicto optime opturato et ponatur in caldaio pleno
aque” (c. 48r) in cui con il predicato “pona(n)tur” posposto alla con-
giunzione “et” si amplia il periodo ricalcando la stessa costruzione sin-
tattica. Ulteriore fenomeno universale dell’immediatezza comunicativa,
questa volta dal punto di vista pragmatico-testuale, è la strategia con cui si
mettono per iscritto gli scambi di parole dei personaggi di volta in volta
chiamati in causa. Nel passaggio di c. 79v, la disquisizione tra Tobia e
l’arcangelo Raffaele viene introdotta da verba dicendi e trasposta così in
discorso diretto: “Dixit Tobiolus: Quare benedicis istam arborem?, re-
spondit angelus: Quia lignum sanctum super eam est, scilicet mispelum”.
Questa soluzione, che permette di riportare un dialogo senza integrarlo
nella struttura sintattica e nel sistema deittico di una proposizione so-
vraordinata, ma restituendo le parole testuali per mezzo di una verosimile
citazione, adempie in pieno le esigenze di spontaneità ed espressività
reclamate dall’immediatezza comunicativa. La strategia alternativa, il
discorso indiretto, richiederebbe per contro un ben più alto grado di
pianificazione testuale, dal momento che le discrepanze sul piano della
referenza personale, temporale e spaziale tra l’origo del narratore e quella
del locutore intradiegetico imporrebbero l’utilizzo di forme verbali e

290 Per il termine di immediatezza comunicativa e la distinzione tra piano universale e


sistemico-contingente si rimanda al modello di Koch/Oesterreicher (2011, 4 ssg.;
16 ssg.).
291 Cherubini 2001a, 126.
292 Cfr. Koch/Oestrerreicher 2011, 84 ssg.
2.2.1. Stratificazione spaziale 89

pronominali pertinenti alla sfera dell’illic et tunc. 293 Sempre dal punto di
vista pragmatico-testuale, infine, è la stessa scaletta tematica ampiamente
svincolata da criteri di rigidità contenutistica e anzi aperta a tutto campo
verso inserti alternativi che si aggiungono per vaga inerenza o per sem-
plice associazione d’idee a rappresentare la prima e più significativa ca-
ratteristica del parlato in senso stretto di una tradizione discorsiva, quella
del prontuario-farmacopea, che si distacca notevolmente dai generi tes-
tuali argomentativo-espositivi – come possono esserlo i tradizionali
trattati di medicina – concepiti in condizioni di cospicua distanza co-
municativa.294 Si veda ancora una volta, a questo proposito, come nel
brano di c. 79v lo sviluppo tematico assuma un carattere semialeatorio e si
dispieghi lungo un percorso che dalle proprietà mediche del legno della
quercia passa a quelle alchemiche della felce che nasce su di essa per poi
tornare, dopo l’inattesa irruzione nel campo della magia bianca, a ricette
medico-curative, non più però a base di erbe, ma di ingredienti animali.
Pur considerando nel complesso i fenomeni finora elencati (tessitura
solo parzialmente strutturata del discorso, costruzioni sintattiche disa-
dorne e incomplete, vocabolario ripetitivo e approssimativo, ecc.)295 non
è tuttavia legittimo qualificare la lingua dei brani da cui essi sono tratti
come “infarcit[a] di espressioni tendenti al volgare”.296 È più opportuno
limitarsi a considerare tali passaggi redatti in una varietà di latino che
presenta segni evidenti del parlato stricto sensu, senza però rimandare ad
una dimensione diasistemica dello spazio varietistico della lingua latina e,
ancor meno, ad un presunto continuum diasistemico latino-volgare.297
Ciò che risulta tutt’al più marcato dal punto di vista diasistemico sono
quelle unità lessicali, come “tartaruca”, “luzola”, “Disferracavallo”, “pori”
ecc. (c. 58v), che si possono considerare situate in prossimità del polo
immediatezza della dimensione diafasica,298 senza che con ciò si possa
comunque affermare con assoluta certezza di essere passati dall’uso del
latino a quello del volgare – il primo lessema compare ad esempio anche
nella forma declinata in accusativo “tartarucam” e anche in ablativo: “De

293 Cfr. Koch/Oesterreicher 2011, 74 ssg.


294 Cfr. Soares da Silva 2010, 63 ssg.
295 Cfr. Koch/Oesterreicher 2011, 12.
296 Cherubini 2001a, 122, modifica mia.
297 L’intuizione di Cherubini (2001a, 122) si articola più correttamente nella nota
70, in cui lo studioso si esprime nel modo seguente: “questo strano incrocio tra
latino e volgare [sic] […] si accompagna tra l’altro a non infrequenti costrutti
paratattici ed anacoluti, che sembrano propri di una lingua quasi parlata”.
298 Cfr. Koch/Oesterreicher 2011, 15 ssg.
90 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

tartaruca” – né sia dato qualificare univocamente in senso diatopico il


genere di volgare cui farebbero parte questi scarni elementi, onere dal
quale Cherubini si tiene peraltro argutamente alla larga. Altri fenomeni
universali del parlato, come la sequenza sintattica SVO, si veda ad
esempio a c. 48r “Item castor habet easdem virtutes, quas habet sanguis
canis nigri”, appartengono poi certamente al contingente linguistico, ma
sarebbe arbitrario attribuirli anche solo alla diafasia. Tali elementi sono
localizzati in prossimità della sfera dell’immediatezza (Nähe, v. fig. 2 in
infra, par. 1.2.), ma a loro volta nella dimensione non marcata del parlato
in senso stretto.
Un discorso diverso vale ora per il brano di c. 80v che conclude il
Lapidario, per il quale l’elemento vernacolare raggiunge un livello di
concretezza che va ben al di là delle tendenze più o meno percettibili
registrate fino a questo punto.299 Al latino “estremamente corrotto”300 di
inizio ricetta, in cui il secondo compilatore di c. 80v verga il titolo e
scandisce la quantità di sostanze chimiche da procurare per produrre il
mercurio, fa seguito però l’esortazione “fa bullire”, prima unità sintattica
che si può definire, per la forma del causativo semiausiliare301 e per la
scelta paradigmatica del predicato, costruita interamente in volgare. I
sintagmi nominale e verbale che seguono, (“per diem [.I.], na(tura)lem
fiet m(er)curium”), così come i due che precedono (“Recipe partes .III.
sulpuris, partem .I. saturni et cum oleo co(m)muni”) inseriscono però
l’atto illocutorio in una cornice ancora interamente latina. Gli equilibri
s’invertono a partire dalla ricetta seguente, dove il latino cede brusca-
mente il passo al volgare e si mantiene praticamente solo attraverso i vari
“Item” e “Recipe” che suddividono il testo nelle rubriche restanti. Così, la
seconda ricetta dal titolo “A ffare ly pyly non nascano” non presenta ad
esempio alcuna costruzione grammaticale di tipo sintetico, ma si avvale di
preposizioni articolate per esprimere le relazioni grammaticali in genitivo
tra i lessemi elencati: “lu sanguo dillu spertelione”, “imprastu di pede de
fust[.]de”, ecc. Le desinenze latine sono del tutto scomparse e ciò che
rimane in qualità di terminazione trapela tracce inconfondibili del vo-
calismo siciliano, visibile nelle occorrenze di “lu” e “dyllu”/“dillu(-a)” o

299 Anche qui si trovano nondimeno numerosi fenomeni riconducibili ancora una
volta al parlato in senso stretto (cfr. Koch/Oesterreicher 2011, 6 ssg.) come la
ripetizione rafforzativa in: “ch(e) lly pylly non nascano et no(n) nasono” o la
ripresa in: “poste la cu quella aqua”.
300 Cherubini 2001a, 133.
301 http://www.treccani.it/enciclopedia/causativo_(Enciclopedia-Italiana)/.
2.2.1. Stratificazione spaziale 91

ancora di “pylu (-i)”, “fallu”, “imprastu”, “ponilu”, “latti”, “nascynu” e


“dictu”.302 Il volgare sembra proporsi, insomma, come scelta alternativa
all’idioma latino, assumendo ora davvero le sembianze di una lingua a se
stante. Giova nondimeno prestare particolare attenzione ad alcune precise
manifestazioni che rimandano per certi versi ad una sorta di continuum
diafasico latino-volgare (cfr. infra, par. 3.1.3.) e che paiono così giusti-
ficare almeno in parte la qualifica di ‘lingua mista’ con cui Cherubini si
riferisce all’idioma che traspone questo frammento.303 Vale la pena con-
centrarsi in particolare sull’ultima ricetta riportata a c. 80v, che cela già nel
titolo: “A ffaciendoni capilyos bruno” una serie di costruzioni morfo-
sintattiche molto particolari. In primo luogo va rilevata qui la peculiarità
del gerundio “A ffaciendoni”, ricalcato sul latino “Ad faciendum”, che se
da un lato non lascia dubbi sulla sua funzione principalmente finale, a
causa dell’ambiguità dei segnali morfologici (assordimento di -m e sus-
seguente arrotondamento grafico di -u in -o, cui va aggiunta l’enclisi
pronominale -ni), obbliga a chiedersi se non sia possibile intravedere
nell’ablativo anche un’accezione locativo-temporale, valutando magari
quanto la costruzione non sia più da considerarsi una declinazione
dell’infinito, ma presenti già alcuni connotati di un modo verbale a se
stante, utilizzato qui in una sorta di perifrasi progressiva che, riattualiz-
zando i tempi e i luoghi della preparazione, reitera perpetuamente al-
l’origo del compilatore. Spicca poi sempre nel titolo, dal punto di vista
morfologico, l’oggetto “capilyos”, declinato sia nel sistema volgare che in
quello latino con un’agglutinazione delle due desinenze -y e -os. L’attri-
buto “bruno”, per contro, rifugge entrambe le terminazioni o per meglio
dire presenta una soluzione in -o che pare interposta ad esse, sebbene
alquanto ambigua in merito all’informazione grammaticale che traspone.
Va segnalato inoltre in quest’ultima ricetta l’utilizzo sistematico del suf-
fisso -tur: “psatur”, “pf.tur”, “demitatur” con cui si ricorre regolarmente
ad una costruzione passivante latina di tipo sintetico. Cattura infine
l’attenzione per il suo carattere mistilingue la formula conclusiva “e p(ro)
batu est”, nella quale all’interno dello stesso costituente la forma in
volgare del participio “p(ro)batu” si accosta ad un ausiliare “est” di
conformazione latina, sicché la diatesi passiva si può dire rappresenti qui
un prototipico esempio di quanto si definisce un enunciato prodotto code
mixing. 304

302 Cfr. Mattesini 1994, 426 – 27.


303 Cherubini 2001a, 133.
304 Cfr. Krefeld 2004, 96 ssg.; Sankoff/Poplack 1981; Muysken 2000, 184 ssg.
92 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

Fin qui, dunque, la descrizone del codice nella misura in cui esso è
pervenuto ai nostri tempi. Come svela l’indice della trattazione, stilato da
una quinta mano in un foglio aggiunto all’inizio del quaterno che
comprende le cc. 1 – 8, il manoscritto contava però all’epoca della sua
compilazione almeno 136 cc. e risulta pertanto mutilo per più di un terzo
del corpo originario.305 Grazie alle diciture del sommario: “Beatus vir”,
“Laudate Iherusalem”, “Laudate dominum”, “Cantate”, ecc., si può rico-
noscere tra i testi mancanti, in primo luogo, la serie quasi completa dei
salmi, che occupavano le carte 81 – 98. Come lasciano intendere i titoli
“Adonai”, “Deus invisibilis”, “Deus celi”, “Deus, qui exaltasti” ecc., si tro-
vavano poi anche nelle carte successive invocazioni e formule precatorie di
vario genere. Nel bel mezzo di questi richiami per lo più lemmatici a
scongiuri e ricette, tra le quali ne va segnalata almeno una in volgare
introdotta dalle parole “Queste sonno”, è possibile però cogliere anche il
rinvio ad un vero e proprio trattato di alchimia, e più precisamente al
Liber de consideratione de quinta essentia di Giovanni da Rupescissa.
All’opera del frate francescano fanno riferimento sia la menzione: “Si teste
Salomone”, che riprende l’incipit del Canone I, sia l’istruzione “Canon 3.us
ad extrahendum 5.am essentiam a sanguine humano, ad extrahendum de
omnibus fructibus, follis et radicibus”, con cui si ripropone esplicitamente il
procedimento per trarre l’elisir di quinta essenza descritto nel Canone III.
Riconducono infine allo stesso testo anche le numerose allusioni a episodi
biblici strettamente correlati alla figura di Tobia che si trovano nel corso
della trattazione e che ricorrono assai frequentemente anche nel De quinta
essentia. 306
Come si è visto finora e come si approfondirà nel prossimo paragrafo,
i viaggi, di codici e di persone, la sovrapposizione di conoscenze, im-
pronte e stili diversi si elevano ad elemento costitutivo che contraddi-
stingue la natura intrinsecamente composita dei Ricettari di segreti.

2.2.1.2. Il Lapidario (le annotazioni marginali del sec. XV/XVI)


È possibile distinguere almeno una dozzina di mani differenti che sono
intervenute sul manoscritto del Lapidario nel corso di quasi un secolo.307
La maggior parte di esse si limita ad operare puntuali richiami, estra-
polando il tema della rispettiva prescrizione o vergando concisi commenti

305 Cherubini 2001a, 134.


306 Cherubini 2001a, 136 – 37.
307 Cherubini 2001b, 212.
2.2.1. Stratificazione spaziale 93

e notabilia, altre aggiungono invece intere ricette anche piuttosto estese a


base della stessa pietra, animale o pianta cui si rifanno quelle presenti nel
testo.
Tra gli appunti del primo genere va segnalata un’italica databile a
cavallo tra Quattro e Cinquecento che, oltre a marcare talune istruzioni
mediante un semplice “Nota de perdice”, “Nota de ciconia”, “Nota de
philomena” o persino “Nota totum istud capitulum” e a riprendere l’ar-
gomento di talaltre ponendo a margine il nome della malattia che do-
vrebbero curare o dell’effetto che dovrebbero scaturire: “Ad quartanam”,
“Ad malum milce”, “Ad tum(m)inosos”, “Nota: ad ydropicum”, “Nota: ad
omnes oculorum passiones”, “Ad concordiam”, “Pro dentibus puerorum”, “Ad
contriciones ex calciamentis factas”, “Ad vigilanciam”, “Contra ebrietatem”,
“Ad amorem”, “Ad consolidandum vitrum”, ecc., registra talvolta delle
annotazioni che mettono in risalto il significato di alcuni elementi e
assumono pertanto lo stile di una glossa, come nel caso di “Libanotidis
idest rosmarini” o “Mosi idest tutera”. 308
Tra gli interventi del secondo tipo risalta un’italica più sciolta e dai
legamenti disinvolti databile intorno alla metà del Cinquecento cui si
devono tre note, una in latino: “Ad mamillas mulierum lapsas et caducas”
e due in volgare: “Perché zoè lo osso dello collo lo fu(n)no primo delle
spalle e per morbo caduco la femina per femena e lo mascolo per ma-
scolo”, “Nota che lla gatta vole essere primarola e la femina è per me-
dicare femina e lo mascolo è per mascolo”. Queste pur brevi aggiunte, in
particolare le ultime due, sembrano concedere uno scorcio nella prassi
linguistica siciliana di primo Cinquecento e suscitano pertanto particolare
interesse. Se davvero lo scrivente è da ritenersi autoctono, come lascia
intendere Cherubini,309 andrà appurato come il sistema linguistico che gli
vale da modello sia senza dubbio fortemente desicilianizzato. Non vi è
infatti alcuna traccia del vocalismo vernacolare nelle due note e né l’as-
similazione progressiva in “fun(n)o”< fundus, né il radoppiamento fo-
nosintattico in “lla gatta”, come nemmeno il mancato dittongo spontaneo
in “voli” o l’articolo “lo” rimandano ad un volgare che si possa localizzare
all’estremità meridionale della penisola appenninica.310 Alla luce di altri
fenomeni, come la soluzione in affricata alveolare che trapela da “zoè”,
parrebbe anzi lecito definire il modello di questi enunciati un volgare di

308 Cherubini 2001b, 212 – 13. Le note di questo glossatore si estendono da c. 7v a c.


71r (ibid.).
309 Cherubini 2001b, 214.
310 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, §§ 253, 173 ssg., 125, 418.
94 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

tipo centro-settentrionale.311 Soprattutto quest’ultima forma invita a va-


lutare con maggiore prudenza l’ipotesi di un glossatore di origine sici-
liana. È chiaro che se così non fosse, ma se questi andasse piuttosto
considerato un guaritore proveniente come il compilatore del codice
dall’Italia continentale, l’assenza di tracce linguistiche siciliane nei suoi
interventi assumerebbe tutta un’altra connotazione.
Altro glossatore interessante, sia per l’assiduità dei suoi interventi, sia
per l’aspetto linguistico degli stessi, è quello che anche in ordine di tempo
fu invece certamente tra i primi eredi del codice.312 Sono infatti in stile
semigotico databile alla metà del secolo XV le numerose interpolazioni,
anch’esse stilate “in una lingua mista di latino e volgare siciliano”313 che si
ritrovano ad esempio a fianco della ricetta per un preparato anticonce-
zionale a base del corno di cervo a c. 7v, dove si legge: “Probjeturj et faij
dolcej de oso,j de osjo de codjde, e luij bibilo:j liberabijtur” o, ancora, ai
piedi della rubrica “De lepore” di c. 47r, dove troviamo la postilla: “A
diolia di fianci recipe lepore prena, piglia leporicij e exute quelo da intro e
li quatro pedi e mitili a lu furnuj e fande pulvere et ab isi potu libera-
bitur”.314 Altro testo dello stesso scrivente è quello in corrispondenza del
brano in latino prossimo all’immediatezza comunicativa sulle virtù del
castoro (cfr. infra, par. 2.2.1.1.) vergato al margine inferiore di c. 48r che
recita: “Ericio fele a cercia nol data i potu cumj optimo vino, quando li
pigla l’acidente, liberaj rabia a male de preta. R(ecipe) rizo tuto quillo de
dintro,j ponila a lo furno, secato pulvirizalo, consirvjele, optime data i
potu. R(ecipe) l’albarat”. A queste ricette di media complessità se ne
aggiungono almeno altre quattro più concise: una si riferisce alle uova di
formica e va a rimpiazzare il brano corrispondente della silloge bollato al
margine di c. 48v come “Asurditate”: “R(ecipe) ova formicis e frigili co
l’olio onde mjitela a la auricola: liberavit. Probatum est”. Un’altra, posta
accanto al brano che propone un antidoto a base dello sterco di gallo per
intossicazioni da fungo velenoso, è del seguente tenore: “Co(n)tra suf-
focajcione fungorumj co(n)traj a peste dajta i potuj cornu noralij dormi si
sultjerna siti con melo p”. Le ultime due brevi interpolazioni degne di
nota si riferiscono alle rubriche su altrettanti volatili alle cc. 66r “Adj
fi<m>usj et c(etera)j ead(em).j R(ecipe) tujurtujr, pulvijriza,j da tu(n)c

311 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 152.


312 Cherubini 2001b, 214.
313 Cherubini 2001b, 215.
314 Da: Cherubini 2001b, 215.
2.2.1. Stratificazione spaziale 95

ajd potuj con vinjo albo” e 67r “Stercusj aut(em) colujnber irujndinej
adipej porcinoj superpjpositusj cancajtus etj fistula(m)j sanat”.315
Una prima analisi di questi testi consente di riscontrare alcuni dei
fenomeni di mistilinguismo osservati già nel paragrafo precedente a
proposito dei brani di c. 80v del Lapidario. In primo luogo si registra il
frequente inserimento di un predicato latino in diatesi passiva o agentiva,
all’interno di un passaggio espositivo in volgare, che funge da esortativo:
“probetur”, “liberabitur”, ecc. Nei passaggi enumerativi, lo slittamento
verso il latino è percettibile poi attraverso la flessione nominale tesa ad
evidenziare soprattutto le relazioni genitive, come in: “ova formicis”. Non
mancano nemmeno fenomeni che rimandano ad una tipologia di mi-
stilinguismo più propriamente definibile come code mixing latino-vol-
gare. È questo il caso, ad esempio, della ricetta di c. 48r, dove si trova un
sintagma verbale “libera j rabia” (leggi: “liberabi a”) con suffisso di
morfologia in parte latina (l’informazione grammaticale relativa al
tempo) e in parte volgare (l’informazione grammaticale relativa alla
persona), seguito da un sintagma preposizionale il cui costituente so-
vraordinato “a male” è introdotto da una testa latina (la preposizione a),
ma termina con un modificatore volgare (il sostantivo male) e il cui
costituente subordinato “de preta”, con la particella che svolge qui la
funzione d’introdurre l’argomento, prosegue a sua volta sulla strada ora
spianata del volgare. Casi analoghi di code switching, in cui si verifica un
cambio di codice in corrispondenza dello snodo tra due costituenti, e di
code mixing, in cui il mistilinguismo dell’enunciato si spinge fino all’in-
terno dello stesso sintagma,316 sono poi rispettivamente quello relativo
alla ricetta di c. 48r, dove l’avvicendamento ha luogo tra le unità sintat-
tiche: “cumj optimo vino” e “quando li pigla l’acidente” e quello
dell’annotazione di c. 47r, dove a spiccare è il nucleo bilingue latino-
volgare costituito dalla preposizione ab e il dimostrativo isi: “ab isi potu
liberabitur”. La ricetta di c. 66r può rientrare infine sia nell’una che
nell’altra tipologia, essendo impossibile stabilire con certezza se la pre-
posizione “con” che apre l’ultimo sintagma “con vinjo albo” introduca un
cambio di codice dal latino al volgare o rappresenti invece una soluzione
volgare dissociata dal suo stesso modificatore “vino”, come sembra tra-
pelare dalla scelta paradigmatica dell’aggettivo “albo” che può conside-
rarsi, al pari del sostantivo, una forma ablativa.

315 Da: Cherubini 2001b, 215 ssg.


316 Cfr. Krefeld 2004, 90 ssg.
96 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

Per quanto riguarda i passaggi in volgare messi per iscritto in queste


note, non è difficile distinguere in essi sicuri sicilianismi che rendono
lecito ritenere il glossatore un personaggio “appartenente in pieno
all’humus medio isolano”.317 Tra gli indizi più salienti in senso verna-
colare vanno segnalati quelli relativi al piano fonetico, ben evidenti so-
prattutto per le soluzioni in [u] di Ō e Ŭ e in [i] di Ē e Ĭ tonici di “mitili a
lu furnu” (47r), “quillo de dintro” (48r), o “pulvirizalo/pulviriza” (48r,
66r).318 La forma del predicato con semiausiliare “fande pulvere” (47r)
mostra poi una marcatezza tipicamente siciliana anche nella fonetica del
pronome enclitico, che conserva il nesso originario dell’avverbio di luogo
(I)NDE.319 A suscitrare l’interesse di Cherubini verso questo glossatore
sono però le caratteristiche grafiche della sua scrittura, le cui lettere sono
tracciate in modo alquanto rudimentale e i cui legamenti tradiscono una
padronanza a dir poco scarsa della tecnica di allineamento. Quella che da
un lato parrebbe una persona semi-analfabeta dimostra però d’altro canto
un notevole repertorio di abbreviazioni e segni, come quello in forma di
un piccolo 3 utilizzato in “fistula(m)” a c. 67r in alternativa alla tilde per
la nasale di fine parola, a sua volta presente in “probatu(m)” di c. 48v, o
ancora quello della nota tironiana eseguito a c. 7, che rimandano invece
ad uno specialista della parola scritta, capace peraltro di esprimere ac-
corgimenti puntuali e pertinenti alla cultura medico-scientifica non solo
in volgare, ma anche in una varietà sia pure ‘parlata’ di latino.320 Queste
circostanze fanno pensare, deduce Cherubini, ad un professionista di
medicina pratica mediamente dotto che si esprime in una lingua straniera
appresa, assieme al suo alfabeto, solo in età adulta. L’aspetto generalmente
squadrato delle lettere, come si vede soprattutto nei tratti ad angolo retto
che compongono la u, sembra richiamare in particolare il tracciato di una
scrittura ebraica in cui lo scrivente potrebbe essere stato introdotto prima
di apprendere l’alfabeto latino.321 La forte presenza di medici giudei in
Sicilia, almeno fino al fatale editto del 1492, è d’altronde un dato storico
accertato e trova immediata conferma nei registri della Cancelleria e del
Protonotariato spogliati dai fratelli Lagumina.322 I cataloghi delle bi-
blioteche private di alcuni di essi, raccolti e pubblicati dal Bresc323 atte-

317 Cherubini 2001b, 217.


318 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 4
319 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 458.
320 Cherubini 2001b, 218 – 19.
321 Cherubini 2001b, 221 – 22.
322 Lagumina/Lagumina 1884 – 90.
323 Bresc 1969, 327 e 1973, 169.
2.2.1. Stratificazione spaziale 97

stano una grande apertura da parte dei professionisti ebrei nei confronti
della lingua dei cristiani e rendono alquanto plausibile l’ipotesi che questi
si servissero del volgare siciliano, come pure del latino, non solo nel
momento in cui si rendeva necessaria un’interazione con pazienti esterni
alla comunità, ma anche nelle relazioni, di natura professionale e non,
con i membri dello stesso gruppo etnico-religioso, arricchendo così il
proprio repertorio di ebraico e arabo con la varietà romanza radicata nel
territorio in cui si trovavano ad operare.324

2.2.1.3. Riassumendo: stratificazione spaziale


Quale può essere la forza espressiva di un Lapidario e che informazioni si
possono trarre da questo codice in merito al plurilinguismo dello spazio
comunicativo siciliano? Appurato che le caratteristiche grafiche della
scrittura del compilatore rimandano ad una zona di confine tra Italia e
Francia, tesi avvalorata anche da quegli elementi fonetici e morfosintattici
della Benedictio Leonis Pape riconducibili ad un idioma gallo-italiano,
nonché dalla fugace, ma indicativa informazione autobiografica dell’au-
tore a proposito di un maestro genovese, e tenendo conto del fatto che
gran parte dei testi confluiti nel manoscritto, in particolar modo il Liber
Kyranidis e il De quinta essentia, rimandano al periodo delle grandi tra-
duzioni latine dei secoli XIII-XIV, sembra plausibile ritenere con Che-
rubini che l’antigrafo della silloge fosse stato realizzato nella zona gravi-
tante attorno all’università di Montpellier e la curia di Avignone. Non
pare un caso a questo proposito che la prima fonte, verso la fine del
medioevo, figurasse nel catalogo della Biblioteca della Scuola Medica e la
seconda fosse stata accolta, insieme al suo stesso autore, alla corte di
Clemente VI.325 Le citazioni più o meno dirette dall’opera del Rupescissa
rappresentano comunque un sicuro terminus post quem in base al quale
l’eventuale antigrafo non va ritenuto di compilazione anteriore alla metà
del secolo XIV. Sospinta dalle gravi epidemie di peste che flagellavano
l’Europa nel corso del Trecento, la circolazione di tali opere in ambienti
della cultura ufficiale era giustificata dalla nobile finalità che esse perse-
guivano d’illustrare i segreti dell’arte guaritoria.326
L’analisi paleografica consente effettivamente di datare il manoscritto
del Lapidario ai primi decenni del secolo XV, sia in base alla scrittura

324 Cherubini 2001b, 221 – 22; cfr. Scandaliato/Gerardi 1995, 115 – 33.
325 Cherubini 2001b, 204 – 05.
326 Cherubini 2001a, 137.
98 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

d’impianto semigotico, sia per la raffigurazione nella carta in cui è vergata


di un’effige a forma di corno, filigrana simile a quella huchet riportata da
Briquet327 e diffusa in diverse località italiane e d’oltralpe nel primo
quarto del Quattrocento.328 Il brano di c. 74v, un chiaro inserto auto-
nomo compilato in un misto di elementi linguistici di area settentrionale
e centrale, sembra immortalare le tappe di un viaggio nel corso del quale
diverse esperienze, sia professionali che linguistiche, si incontrano e si
fondono arricchendo via via il bagaglio personale in costante accresci-
mento e ridefinizione del compilatore. Si può presumere insomma, come
fa Cherubini, che il copista (o i copisti) di origine linguistica setten-
trionale fosse entrato in possesso di un testimone della fantomatica
missiva a Carlo Magno redatto in una zona dell’Italia mediana e che
questo testo sia confluito in un secondo tempo nel Lapidario in una
versione che presenta alcuni adattamenti alla tradizione scrittoria del suo
redattore. Come mostrano le ricette di c. 80v, che risalgono ad un periodo
apparentemente di poco successivo alla compilazione – sono infatti stilati
in semigotica appena più sciolta –, questo viaggio termina in Sicilia, dove
la silloge viene prima ricopiata nel Lapidario – così si spiegherebbero
quegli elementi di cultura siciliana che sembrano riconducibili a espe-
rienze dirette del compilatore – e passa poi nelle mani di scriventi au-
toctoni cui si devono invece le interpolazioni dell’ultima carta che la-
sciano una breve, ma significativa attestazione della tradizione scrittoria
siciliana di metà Quattrocento.329
Cercando di trarre delle conclusioni da questo secondo codice, risulta
chiaro come anche la tipologia di plurilinguismo riflessa dal Lapidario sia
sostanzialmente illusoria, frutto di un avvicendamento di più mani che
redigono testi rispettivamente ‘monolingui’ su di una superficie che si
rende così stratificata su più livelli. Pur trattandosi di un plurilinguismo
solo apparente, rispetto a quanto visto in par. 2.1. attraverso il Trattato
delle virtù delle erbe esso dà prova di viaggi e spostamenti che interessano
per certo sia i codici, sia le figure professionali ad essi correlate ed apre
così uno spiraglio sulla compagine dei diversi gruppi linguistici – non
solo quelli autoctoni – che costituiscono lo spazio comunicativo siciliano.
Pur potendo presupporre che la permanenza in Sicilia del compilatore o
dei compilatori di origine nord-occidentale della silloge andò ben al di là
di un semplice viaggio, non si possono tuttavia trarre informazioni, a

327 Briquet 1968, n. 7686.


328 Cherubini 2001a, 105.
329 Cherubini 2001a, 137 ssg. e 2001b, 201 ssg.
2.2.2. Stratificazione temporale 99

causa della totale mancanza di indizi linguistici in questo senso, sulla sua/
loro effettiva padronanza dell’idioma siciliano. Le tracce consistenti di un
idioma centro-meridionale che si registrano nel testo della missiva-
scongiuro a Carlo Magno sembrano comunque attestare un’elevata dis-
posizione ad integrare nella propria produzione testuale, durante l’attiva e
ponderata operazione di copiatura, elementi di un volgare non natìo. I
lunghi brani redatti in una varietà di latino prossimo all’immediatezza
comunicativa, a quanto pare non sempre ricavati da un antigrafo, che si
frappongono a quelli invece riconducibili ad una precisa tradizione, at-
testano poi una sicura padronanza della lingua dotta, da parte degli stessi
compilatori, che va ben oltre una mera competenza ricettiva. L’influsso
del latino si rende sensibile anche nei passaggi in volgare siciliano vergati
nel retro dell’ultima carta del manoscritto; sul repertorio di questo suc-
cessivo scrivente, che andrà considerato di origine autoctona, non si è in
grado però di valutare la sussistenza o meno di un eventuale bilinguismo
attivo latino-volgare. Le peculiarità grafiche riscontrate nelle rubriche di
quello che fu tra i primi glossatori in ordine di tempo e quantità di
interventi, rubriche linguisticamente molto affini alle ultime menzionate
portano una preziosa testimonianza del plurilinguismo di un importante
gruppo di parlanti alloctoni, quello storicamente attestato dei guaritori
ebrei.330 La testimonianza perviene dall’utilizzo che questi fa del sistema
grafico latino e della lingua siciliana, appresa evidentemente in fase adulta
al fine di entrare in contatto con una cerchia di professionisti e con un
pubblico di origine insulare custode sì della stessa cultura pratica, ma
estraneo alla lingua semitica. Per suo conto, il glossatore a cui si devono le
due aggiunte in volgare peninsulare, oltre a quella in latino, dà nuova-
mente prova dei contatti migratori con l’Italia continentale – non ci sono
motivi che spingano a ritenere che il codice abbia intrapreso un viaggio
verso la penisola per poi ritornare in Sicilia – contatti che risultano
evidentemente intensi, ma che finora non sembrano aver suscitato inte-
resse fra gli studiosi di storia della lingua per il semplice fatto di non
riguardare direttamente Firenze e la Toscana (cfr. infra, par. 1.1.).

2.2.2. Stratificazione temporale

La prossima tipologia di plurilinguismo riguarda la stratificazione lin-


guistica dovuta alla trasmissione di un testo non attraverso luoghi diversi,

330 Zaggia 2003, I, 26 ssg.


100 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

ma attraverso il tempo. La stratificazione linguistica attraverso i secoli


deriva dalla natura apografa dei Ricettari di segreti e dalla prassi di co-
piatura che sta alla base della diffusione del sapere pratico racchiuso in
essi. Come si è accennato nel paragrafo precedente e come si vedrà
nell’immediato seguito tramite un’attenta analisi del codice dell’Eucologio,
esiste nondimeno un nesso tra copiatura e compilazione che consente di
formulare ipotesi in merito alla sussistenza di un repertorio idiosincratico
degli scriventi.
2.2.2.1. L’Eucologio (sec. XV/XVI)
Il codice dell’Eucologio conservato nella Biblioteca Nazionale Marciana di
Venezia e pubblicato per la prima volta da Pradel331 consente di prose-
guire le indagini attraverso un altro gruppo storicamente attestato di
parlanti alloctoni presente in Sicilia. Il manoscritto, comprensivo di 108
carte, è una compilazione a tre mani di formule precatorie redatta per la
maggior parte in lingua greca. La prima mano, che apre la raccolta a c. 2v
con un salmo, subisce diversi emendamenti da parte della seconda, a cui
si deve il proseguo della trattazione da c. 36r in poi. Questa, a sua volta
corretta in diversi punti, cede il posto a c. 88 ad una terza mano poco
addestrata per poi riprendere a vergare da c. 95r fino al termine. Nelle
ultime carte si trovano infine alcune brevi modifiche da attribuire nuo-
vamente al primo compilatore. I titoli di rubrica e le formule magiche
sono posti sovente in rilievo mediante l’utilizzo di un inchiostro rosso. Tra
52v e 53r manca una carta e dopo 102v ne mancano circa 6, mentre la
numerazione 65 – 69 è ripresa per due volte di seguito.332
Per quanto riguarda la natura delle orazioni tràdite, va preso atto in
primo luogo che solo un numero assai contenuto di esse rimanda con
certezza alla tradizione degli eucologi. A questo genere testuale si rial-
lacciano in senso stretto solamente le prime preghiere rubricate, recitate
da Giacobbe per la guarigione di diverse malattie. Se da un lato l’ele-
mento cristiano è presente nell’arco dell’intera trattazione, ad esempio
nelle invocazioni alla Trinità, alla Vergine Maria, agli angeli e ai Santi
della Chiesa riprese testualmente dalla Septuaginta e dal Nuovo Testa-
mento, è percettibile dall’altro lato un forte influsso gnostico-orientale, ad
esempio nella menzione dei sette cieli, dei sette colori, dei sette angeli
protettori, ecc. Anche le considerazioni che si fanno sui demoni, sulla loro
natura e sulle loro possibilità di intervenire sulla vita dell’uomo lasciano

331 Pradel 1907.


332 Pradel 1907, 1 – 2.
2.2.2. Stratificazione temporale 101

pensare ad un sapere estrapolato da un contesto culturale che risente


ampiamente del contatto con il mondo orientale, così come le varie
formule magiche mostrano una forte influenza egiziana ed ebraica. Più
generalmente attribuibili al patrimonio di conoscenze pagane sono poi le
credenze relative a spiriti d’aria e d’acqua o a demoni che abitano alberi,
crocevia e sepolcri, da esorcizzare enumerando le diverse membra del
corpo che si intende liberare dal loro possesso o, ancora, recitando uno
scongiuro in cui Cristo o un Santo della Chiesa allontanano il demonio
intrattenendo con esso un lungo dialogo.333
Ciò che rende particolarmente interessante il codice sono ora alcuni
testi riportati di seguito dall’edizione di Schneegans: sebbene celata sotto
le vesti grafiche dell’alfabeto greco, la lingua che li traspone si rivela essere
infatti di matrice romanza. Nei testi si tramandano altrettanti scongiuri, il
primo a scopo terapeutico, il secondo per ottenere la protezione del
bestiame da belve selvatiche:
Lo}qou lo}qou lo}qou p]q p\qti di dd^ ou tg sjomtffo}qou ] ddg kacko-
qiousa b}qfgmg
[Muru muru muru, per parti di ddiu ti sconggiuru e ddi la gloriusa virgini]
laq_a ]ddi sam tffou \mmg bbattgsta ] dg to}ttg ki samti e ssam t_ di dd^ou
jg ^m jou_stou
[maria e ddi san ggiuanni bbattista e di tutti li santi e ssanti di ddiu, ki in
kuistu]
k|jou mom potfg pi o} qqiccmaqg ] m|m p|tfg v\qg so}tta qqadgj\ti m|m
soupqa p|tfg lam
[loku non pozi piu rriggnari e non pozi fari sutta rradikari, non supra pozi
man-]
tff\qi potffei \ssgjj\qi ] laqaff\qi ] spiq_qi pekoum|lou dgkoum|stqou
sgcmo`qi tff]sou
[ggiari, pozzi assikkari e maraggiari e spiriri. Pelu nomu di lu nostru signuri
ggesu]
wq_stou ]dika ckoqio}sa buqtfimilaq_a \wwo}ssg w|lou kou mostqou sgm-
mo}qi […] h^kkgou
[cristu e di la gloriusa virgini maria, accussi comu lu nostru sinnuri [Gesù
Cristu è veru] figliu]
dikabuqtfimi laq_a \wwoussi sp]qa ]ssiwawou_stou tf_ouffou dgwo}isk|wou
]b\cia s}mdg b_a
[di la virgini maria, accussi spera e ssica quistu giuzzu diquis locu e vajiasi ndi
via]

333 Pradel 1907, 132 – 33.


102 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

peq kgc\q_ k_ko}pou picm_a o}ma stqumt’ did\zmou oz w\pqiou ]m|m b|z latf-
f\qi waqm’
[Per ligari li lupu pigghia una strunt di dainu oi capriu e non voi maggiari
carn<i>]
akkoup\ta.S\mtou Sukgb]stqou \loumte |k_ b]qi st\ba k\so}a bb_st_\l_
paws_a
[allupata. Santu Silivestru a munte oliveri stava la sua bbistiami pascia]
]couaqd\ba wsisi veqad_b|swou wou\k_ lamtf\ou wou\kg poukw\ou wou\k_
\laka
[e guardava, scisi fera di boscu quali mangiau, quali pulcau, quali a mala]
be_ak_lamdaou s\m tou S_kgb]stqou \l]mtfou kab_a st\ba ]pkamffia ]ka-
cq_l\ba tff]sou w{
[via li mandau. Santu Silivestru a menzu la via stava e planggia e lagrimava,
ggesu xu]
]kab}qtffi laq_a pass\ua d_ss_k_ w_\c_ Sikib]stqou wipk\mtffi ]k\cqilg
oisicmo}qi w|loumom
[e la virggi maria passava, dissili: chi aji Silivestru chi planggi e lagrimi? Oi
signuri, comu non]
b|cmou pk\mtfiqi ]kacqi l\qi \lo}mti |kib]qi st\ba kal_a bbisti\lg p\wsia
]couaqd\ba
[vogghiu plangiri e lagrimari: a munti oliveri stave, la mia bbistiami pascia e
guardava,]
ws_si v]qa dib|swou wou\ki lamtf\ou wou\ki poukiw\ou wou\ki \llaka b_a-
kilamd\ou
[scisi fera di boscu quali mangiau, quali pulicau, quali a mmala via li
mandau.]
Sikib]stqou p]q wg m|m kik_coi soi cmo`qi wilik_cou wim|m s\tffou mewsika-
s_qa p|zwi swo}qa
[Silivestru, per chi non li lighi? Signuri, chi mi ligu chi non sacciu? Nesci la
sira poi chi scura]
]dd_peq w_kkast_dda o}mawi ko}tffeipo_o}wgkko}ma ]dakkoupou eouk_cou
d]mti ]\do}mmi
[e ddi per chilla stidda una chi lucci piu chi lluna ed al lupu eu ligu denti e
ad unni]
\mil\ki wi pitt]qqa stqawsimab]mtqi wim|m v\tffal\ki \kal_a bbisti\li p]di
wiaww\tou
[animali chi pi tterra srascina ventri chi non fazza mali ala mia bbistiami,
pedi sciaccatu]
momp]diqqito}mdou peq vimawiko` so}kimom cio}mtfi \ka t\uouk dikous\mtou
sakbato}qi \k
[non pedi rritundu, per financhi lu suli non jiunci a la tavul<a> di lu santu
salvaturi. Al]
2.2.2. Stratificazione temporale 103

k\oudi di i` w` ]ddikabuqtfeimi Laq_a diqq]lou oumpateqm|stqou ]¢ o}ma


\ug Laq_a Aqi]k
[laudi di iu xu e ddi la virgini Maria dirremu un pater nostru ed una avi
Maria. Ariel]
s}w w\q koqlaz ]lamo`ek so`tiek w|m fo}qu u|r sp_qitour pqemolgm\tour
p]q \kva ]t | e p]q
[sic car lormai emanuel sutiel congiuru vos spiritos prenominatus per alfa et
o e per]
pq_msipel b]stqoul sosokilo o`t wou\l |woukour l]our bid]qumt o`to
womqo}lpeqe vafi\tir
[prinsipem vestrum sosolimo ut quam oculus meos viderit uti conrumpere
faciatis]
bis\out gm_a l|qe l]o
[visaut inia more meo.]334
Come mostra la translitterazione che si propone sotto il rispettivo rigo,335
alcuni segni dell’alfabeto greco possono rappresentare più di un suono –
ad esempio <tf(f )>/<f(f )>336 rende allo stesso tempo l’affricata dentale
e quella alveopalatale, sia sorde che sonore: “p|tfg” [’p vi] e “potffei”
c
[’p tvi], “l]mtfou” [’mensu], “s\tffou” [’satwu], “laqaff\qi” [ma-
c
ra’dtari], “buqtfimi” [’virtini], “ff]sou” [dte’su], ecc., <b> ha valore
di sonora sia bilabiale che labiodentale e il digramma <cm> non sta solo
per nasale palatale: “sicmo}qi” [si’łuri], ma anche per occlusiva velare
seguita da semiconsonante: “picm_a”, [’pig(g)ja], “b|cmou” [’v (g)gju]. c
Altri segni sono palesemente intercambiabili, come quelli di <i>, <ei>,
<oi>, <g> e <u> per [i], di <y> e <o> per [o], di <w> e <ws> per
[S] o ancora di <c> per [g] e [j].337 Sebbene queste consuetudini scrit-
torie, poste a confronto con quanto è noto della tradizione grafica greco-

334 Da: Schneegans 1908, 576 – 77; 580 ssg., modifiche alla translitterazione mie.
335 Si sono corrette le numerose sviste di Pradel (1907), che riguardavano peraltro
anche l’originale in alfabeto greco, in base alla trascrizione che Schneegans (1908,
571) dichiara di avere effettuato su di una collazione fornitagli dallo stesso
vicebibliotecario della Marciana Giulio Coggiola, trascrizione a sua volta
emendata degli errori segnalati successivamente da Salvioni (1909), Subak (1909)
e Bonomo (1978, 328 ssg.).
336 Il grafema può, ma non deve essere necessariamente seguito da vocale anteriore.
La concomitanza di lettere doppie e semplici non sembra inoltre rispecchiare
sempre un diverso rapporto fonetico (cfr. Distilo 1993, 313).
337 Cfr. Distilo 1993, 312 ssg. Nell’ultimo caso di entrambe le tipologie di corri-
spondenze va però considerato che il rapporto tra le rispettive rese grafiche e
foniche mostra forti oscillazioni anche nella tradizione scrittoria in alfabeto la-
tino.
104 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

romanza, nulla svelino ai fini di una localizzazione geografica –338 né


alcunché rivelano le oscillazioni per cui talora si ha “jou_stou”, talaltra
“wou_stou”, ecc. –, si è tuttavia in grado di riconoscere, attraverso la
fenomenologia vocalica, come il volgare in questione rientri nella tipo-
logia del siciliano quattrocentesco. Oltre all’indicativo “lo}qou”, per il
passaggio di Ō ed Ŭ in [u] e di Ē ed Ĭ in [i]339 si riscontra nel primo
scongiuro anche “b}qfgmg”, “jou_stou”, “\ssgjj\qi”, “ckoqiousa” o
“so}tta”. Per il trivocalismo atono valgono poi da esempio “tffou \mmg”,
“qqiccmaqg”, “qqadgj\ti” o “spiq_qi” (< PĔRIRE).340 Anche il conso-
nantismo richiama molte caratteristiche del vernacolo siciliano, a partire
dalla già menzionata velarizzazione del nesso -LJ- in “b|cmou” e
“picm_a”,341 passando per la nasalizzazione dell’affricata dentale in “\l]m-
tfou”342 e la vocalizzazione di [l] in “tf_ouffou” (< CĔLSAM),343 per
giungere alla retroflessione [ŒŒ] dal nesso latino -LL- in “w_kkast_dda”.344
Sul piano morfosintattico vanno segnalate soprattutto le perifrasi del
congiuntivo o del futuro indicativo sorrette da putiri e vuliri nelle con-
secutive: “[tg sjomtffo}qou] jg […] mom potfg pi o} qqiccmaqg ] m|m
p|tfg v\qg so}tta qqadgj\ti” o “]m|m b|z latff\qi” e “w|loumom b|cmou
pk\mtfiqi”, costruzioni alle quali ricorrono assai di frequente le varietà
meridionali antiche e specialmente il siciliano.345
Grazie agli elementi extralinguistici ed extratestuali cui rimandano i
testi riportati sembra ora possibile restringere ulteriormente il cerchio
spazio-temporale delineatosi attraverso l’analisi linguistica. Un primo
appiglio è fornito ovviamente dalla menzione che si fa nel primo dei due
scongiuri all’albero del moro o del gelso il cui frutto, per la sua particolare
forma, si presta a fungere da metafora vegetale per tumori ed escrescenze e
il cui ciclo vitale – fare radici, crescere per poi seccare, avvizzire e
scomparire – rievoca le tappe del decorso di una malattia.346 Se si con-

338 Distilo 1993, 313 e 319 ssg.


339 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 4.
340 Cfr. Mattesini 1994, 426 – 27.
341 Cfr. Rholfs 1966 – 69, § 280.
342 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 278.
343 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 243.
344 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 234.
345 Cfr. Rinaldi 2005, I, 468.
346 Distilo 1993, 315. Mentre del primo lessema non si hanno ulteriori riscontri
all’interno del codice, come rileva Distilo (ibid.), il secondo ricorre per altre due
volte col significato di albero. La prima di queste in una ricetta per la prepara-
zione di uno sciroppo che serve a curare una non precisata malattia della bocca, la
seconda in uno scongiuro contro le malattie alla milza in cui si richiama l’epi-
2.2.2. Stratificazione temporale 105

sidera che alcuni degli scongiuri in lingua greca del codice si appellano
direttamente alle larve della seta o fanno cenno all’allevamento dell’utile
insetto,347 il riferimento alla pianta del gelso, impiegata notoriamente
nella bachicoltura,348 s’insedia in un preciso contesto. Uno dei centri
principali per la produzione di seta greggia in Europa era localizzato, fino
alla prima età moderna, nella zona geografica compresa tra la Sicilia
orientale e la Calabria meridionale e soprattutto la città di Messina
rappresentava uno snodo nevralgico per il commercio della pregiata fibra
tessile in tutto il mediterraneo.349 Per quanto riguarda poi l’agionimo cui
si fa menzione nel secondo scongiuro, va preso atto che tra i personaggi
entrati in fama di santità che rispondevano all’appellativo di Silvestro si
conta un nobil’uomo vissuto nel XIIo secolo ed entrato sin da giovane
nell’ordine di San Basilio a Troina in Sicilia. Il monaco era noto presso i
fratelli per i suoi poteri taumaturgici e la leggenda narra che si fosse
ritirato in una foresta per sfuggire alla nomina di abate conducendo fino
alla sua morte una vita dedita alla preghiera e alla contemplazione.350
Considerando che la letteratura agiografica, nella quale si riportano
schemi relativamente fissi per la tipologia dei miracoli, attribuisce so-
prattutto agli eremiti dei poteri sovrannaturali su belve e animali selva-
tici,351 sembra che il San Silvestro protagonista dello scongiuro si possa
identificare proprio con il monaco di Troina.352 Seguendo questa traccia
si potrebbe mettere facilmente in relazione il monte Oliveri, indicato
nella storiella come il luogo sul quale il santo portava al pascolo il suo
gregge, con una contrada detta a tutt’oggi Oliveto distante pochi chilo-
metri dall’abbazia greca della stessa località.353 Come osserva Distilo,354

sodio evangelico della maledizione del moro o del fico sterile da parte di Cristo
(Mt 21, 19 – 21 e Mc 11, 13 – 14; cfr. http://www.laparola.net/testo.php?versioni
[]=C.E.I.&riferimento=Matteo21 e http://www.laparola.net/testo.php?versioni
[]=C.E.I.&riferimento=Marco11). Non è comunque del tutto da escludere,
prosegue lo studioso, che le definizioni rientrino a far parte della terminologia
patognomica della letteratura medica medievale. Il volgarizzamento siciliano
trecentesco della Mascalcia di Giordano Ruffo, ad esempio, denomina alcune
particolari tumefazioni cutanee del cavallo “muri oi chelci” (da: ibid.).
347 Cfr. Pradel 1907, 136; Scheegans 1908, 592.
348 Cfr. http://www.treccani.it/vocabolario/bachicoltura/.
349 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/messina_(Dizionario-di-Storia)/.
350 Cfr. Schneegans 1908, 592; Bonomo 1978, 332.
351 Baldelli 1971, 129.
352 Schneegans 1908, 592.
353 Bonomo 1978, 332.
354 Distilo 1993, 317.
106 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

Oliveri è però anche il nome di un quartiere situato in Calabria presso


Reggio, oltre che di un paesino del messinese, sicché una localizzazione a
maglia così stretta risulta in fin dei conti troppo avventata. Bisogna anzi
partire dal presupposto che la tradizione orale dell’historiola e il culto di
Santu Silvestru fossero diffusi sia in altri paesi della Sicilia orientale, sia al
di là dello stretto.355 A corroborare l’ipotesi di una provenienza penin-
sulare dello scongiuro contribuisce almeno un secondo vir Dei menzio-
nato nel codice a c. 56 cui si attribuisce una preghiera in lingua greca per
scacciare spiriti impuri e vincere le malattie: San Cipriano. Il monaco,
che fu vescovo di Calamizzi in Calabria – sede fino alla sua distruzione
nel terremoto del 1783 di un antico monastero bizantino – e che morì
intorno all’anno 1190 a Reggio dove era stato nominato arcivescovo, pare
effettivamente non fosse del tutto estraneo alla scienza medica.356 Anche
tra gli elementi linguistici della scripta greco-romanza che tramanda il
codice, in definitiva, è possibile coglierne alcuni che permettono di
classificare la varietà del siciliano sulla stessa scala. In un testo di c. 45r,
dove al fine di sciogliere un incantesimo si raccomanda di scrivere alcune
parole miracolose in una scodella, Distilo357 ravvisa un raro esempio della
costruzione MI (<MODO) + verbo in indicativo: “si \qjo}mou vo}ssi
kic\tou sjq_bi jisti ad ouma sjout]kka m|ba e p|z li si ki bb_bi joul
k\joa”358 la cui presenza nei dialetti moderni e la cui attestazione in testi
antichi, ossia nella Leggenda della beata Eustochia,359 nella Storia di Carlo
da Nicosia360 e nell’Arismetrica 361 riconduce ancora una volta nella zona
che spazia tra la Sicilia nordorientale e la Calabria meridionale.362 La
genesi di questa costruzione, alla cui base vi è il mutamento di funzione
del latino modo da avverbio temporale (il cui significato originario di
‘tosto’ è a sua volta proseguito sino ad oggi nel meridionale mo’)363 a
congiunzione consecutiva ‘che’ (nell’esempio: “e p|z li si ki bb_bi” = ‘e
poi tosto se li beve’ ovvero ‘e poi che se li beva’) è insediata nel più ampio
quadro della scomparsa dell’infinito.364 La sua occorrenza nelle lingue

355 Bonomo 1978, 332.


356 Distilo 1993, 316.
357 Distilo 1993, 316.
358 Da: Distilo 1993, 316, corsivo mio.
359 Catalano 1950, 59.9; 69.7.
360 Distilo 1979, 776 – 77.
361 Distilo 1990.
362 Distilo 1993, 316.
363 Rohlfs 1972, 327 – 28.
364 Rohlfs 1972, 318 – 38.
2.2.2. Stratificazione temporale 107

romanze – oltre che nei dialetti meridionali estremi di Calabria e Salento


si registra la sua presenza anche in alcune varietà del rumeno – è dovuta
proprio a un diretto influsso del greco volgare in cui questo processo
prende forma già dall’inizio della nostra era (la subordinazione con zma
compare già nel Nuovo Testamento), rimanda cioè ad un contesto in cui
parlate romanze e parlate neogreche hanno vissuto a lungo tempo in
stretto contatto fra loro.365 Oltre a quello della penisola balcanica, uno
scenario di contiguità linguistica che risponde a questa descrizione è senza
dubbio quello venutosi a creare nell’estremo Mezzogiorno d’Italia durante
il periodo bizantino.366 Mentre in Salento la morfologia della congiun-
zione di questa particolare costruzione sintattica si è conservata in uno
stadio più originario e la forma sincopata recita pertanto mu, l’estensione
settentrionale dell’equivalente mi non va oltre, in Calabria, alla linea che
si può tracciare tra Nicastro e Crotone passando per Catanzaro. In Sicilia,
l’area in cui si usa mi si distende a sua volta nella zona che lungo la costa
orientale giunge da Messina alle falde dell’Etna, aprendosi da lì a ven-
taglio verso l’entroterra fino al versante occidentale dell’odierna riserva
naturale dei Nebrodi, corrisponde cioè grosso modo al triangolo nord-
orientale dell’isola che congiunge Messina a Randazzo e Randazzo, lungo
il corso del fiume Simeto, a Mistretta.367 In base a questi indizi si crede
infine di non incappare in errore ritenendo il codice, come fa Distilo, un
prodotto della tradizione scrittoria siculo-greca intesa in senso lato,
comprendendo cioè in questa classificazione anche la varietà meridionale
estrema della Calabria.368
Per quanto riguarda la localizzazione temporale dello stesso codice, gli
indizi visti finora consentono di escludere, verso il basso, i soli secoli
dell’era media. Il richiamo alla bachicoltura, la cui introduzione in Sicilia
avvenne durante il regno di Ruggero II, non rappresenta infatti una
coordinata utile a restringere il cerchio cronologico.369 Né più vantaggiosi
sono i riferimenti a San Silvestro e San Cipriano, con cui si può fissare
solo un primo terminus post quem nel secolo XII. Tra le formule guaritorie
redatte in alfabeto greco ve n’è poi una in lingua latina: “s\mccgr + st\_m
t^ + wolousta_ttg tfa_rour wq^stou + zm so` kawqo} + s\ccgr st\
vqo}wsou + ]dv~qti + w~louvo} zu wu + \kaso}a loqt^ + s\ccgr +

365 Rohlfs 1972, 318.


366 Rohlfs 1972, 330 ssg.
367 Rohlfs 1972, 337 – 38.
368 Distilo 1993, 311.
369 Cfr. http://www.sapere.it/enciclopedia/bachicoltura.html.
108 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

st\ zm kato}a b^ma + w|lou st]tg w` \kasoua p]ma”370 che attinge


vistosamente dalla seguente benedizione redatta in ambiente colto e at-
testata a partire dal secolo XV: “Sta sanguis in te + sicut Jhesus stetit in se
+ sta sanguis in tua <vena> + sicut Jhesus stetit in sua <poena> + sta
sa<n>guis infixus + sicut Jhesus stetit crucifixus +”.371 Anche un terzo
santo chiamato in causa sempre negli scongiuri in volgare siciliano a c.
107v, San Rocco, sembrerebbe in un primo momento indicare un ter-
minus post quem non successivo all’epoca medievale, essendo la vita del
pellegrino di Montpellier da collocare nella seconda metà del Trecento.372
Analizzando attentamente i testi redatti in lingua greca dalla stessa
mano, come pure delle altre due che vergano il codice, si possono tuttavia
individuare, soprattutto sul piano fonetico, una serie di fenomeni lin-
guistici che non trovano alcun riscontro in testi compilati in era me-
dievale o bizantina, ma sono attestati al più presto a partire da quella
moderna. Essi consentono di risalire con una datazione sicura persino alla
seconda metà del secolo XVI.373 Effettivamente sappiamo che anche il
culto di San Rocco si diffuse su larga scala solo nel Cinquecento – e
questo è forse quanto di più indicativo si possa trarre dalla menzione del
taumaturgo –374 quando durante le processioni contro le pestilenze che
flagellarono a più riprese non solo la Sicilia, ma anche molte parti d’Italia
e d’Europa, il suo nome cominciò ad essere invocato accanto a quelli di
Agata, Cristina, Ninfa, Oliva e, più tardi, Rosalia.375 Il volgare siciliano
trascritto in alfabeto greco dei passaggi qui citati risponde però piena-
mente alla descrizione che Mattesini376 fa della scripta tre-quattrocentesca.
S’individuano allora senza difficoltà numerosi fenomeni fonetici carat-
teristici come il rafforzamento e la geminazione consonantica (“ki samti e
ssam t_ di dd^ou”, “so}tta qqadgj\ti”, “\wwoussi” o “diqq]lou”), la
mancata sonorizzazione delle consonanti intervocaliche e il non ditton-
gamento di Ŏ ed Ě in sillaba libera (“k|jou”, “veqad_b|swou”), l’alter-
nanza fra consonanti laterali e vibranti (“\qjo}mou”), la conservazione del
dittongo AU primario (“lamtf\ou”, “poukw\ou” e “be_ak_lamdaou”), la
perdita dell’elemento occlusivo nel nesso -DJ- e il suo mantenimento
invece in -ND- (“]b\cia s}mdg b_a”), la conservazione di J- in posizione

370 Da: Schneegans 1908, 577.


371 Da: Pradel 1907, 135.
372 Pradel 1907, 135.
373 Pradel 1907, 386; Distilo 1993, 311.
374 Cfr. Distilo 1993, 317.
375 Fiume 2002, 134 ssg.
376 Mattesini 1994, 424 – 39.
2.2.2. Stratificazione temporale 109

iniziale (“cio}mtfi”) e quella del nesso PL-377 (“]pkamffia”, “wipk\mtffi),


l’affricazione di -PJ- (“s\tffou”), oltre ai già menzionati fenomeni di
pentavocalismo tonico e trivocalismo atono, di affricazione della dentale
post-nasale, di labializzazione della laterale pre-consonantica, di retro-
flessione del nesso -LL- o di velarizzazione del nesso -LJ-. Sul piano
morfosintattico si ravvisano poi, assieme alle perifrasi verbali rette dai
modali putiri e vuliri e dalla costruzione mi + indicativo presente, le
forme dell’articolo lu e li per la determinazione dei sostantivi in singolare
maschile ovvero in plurale sia maschile che femminile378 (“pekoum|lou
dgkoum|stqou sgcmo`qi”, “ki samti e ssam t_ di dd^ou”) e di la non solo
davanti ai sostantivi in singolare femminile, ma anche a quelli in plurale
del genere neutro (“k\so}a bb_st_\l_”/ “kal_a bbisti\lg”). Un sensibile
influsso del toscano, così come lo si percepisce nel testo cinquecentesco
riportato in par. 2.1.2., non si registra al contrario né dal punto di vista
qualitativo – a nessun livello si mostra una propensione per soluzioni
toscane – né quantitativo – nessuno dei tratti distintivi rilevati mostra
significative alternanze.

2.2.2.2. Riassumendo: stratificazione temporale


La domanda che ci si deve porre al termine di queste analisi è dunque la
seguente: fino a che punto il codice dell’Eucologio si può ritenere rap-
presentativo della tradizione scrittoria siciliana cinquecentesca? È lecito
partire dal presupposto che le parti vergate in volgare romanzo traman-
dino la varietà diacronica del siciliano dell’epoca in cui fu redatto il
codice? Le ricerche effettuate nella tradizione dei testi tramandati del
manoscritto hanno portato alla luce almeno un altro testimone dello
scongiuro rivolto al moro il quale, oltre a far escludere l’ipotesi che la
trasmissione del testo sia avvenuta esclusivamente attraverso canali orali,
rimanda indietro nel tempo di un intero secolo.379 Una collazione con il
manoscritto latore della versione più antica380 svela come il testo presenti

377 In alri casi, come in uno scongiuro per ottenere successo nella caccia prima della
recita del quale si prescrive di fondere del “wio}mbbou“ – il riferimento alle armi
da fuoco rappresenta fra l’altro un ulteriore, anche se non propriamente indi-
cativo terminus post quem (cfr. Schneegans 1907, 584; 588) – è attestato anche lo
sviluppo vernacolare [kj] < PL (cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 186).
378 Cfr. Mattesini 1994, 429.
379 Distilo 1993, 310 e 315.
380 Si tratta del Barberiniano gr. 336 della Biblioteca Vaticana, databile attorno agli
ultimi decenni del secolo XV (Distilo 1993, 310). Secondo Pugliese Carratelli
110 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

una lacuna strutturale di essenziale importanza per la funzione magico-


terapeutica dello scongiuro. Nell’ultima proposizione, infatti, laddove
s’invocano Gesù Cristo e la Santa Vergine per far seccare e sparire la
fistola, viene a mancare il predicato che regge il parallelismo così come x,
così anche y indispensabile per una concretizzazione dell’incantesimo
nell’atto performativo. Questo schema, che vanta di una tradizione molto
antica diffusa in ambito sia germanico che romanzo, come pure nel resto
dell’Europa medievale e moderna, risulta completo solo se si separa il
costituente “sgmmo}qi h^kkgou” frapponendovi quello Gesù Cristu è veru
tratto dal testimone più antico, il cui primo elemento Gesù Cristu va ad
espletare il ruolo di satellite nel sintagma nominale sinnuri Gesù Cristu e il
cui secondo elemento figliu svolge invece la funzione di predicato nel
sintagma verbale è veru figliu rendendo la costruzione sintattica pari a
quella proposta nella translitterazione di cui sopra: sinnuri Gesù Cristu è
veru figliu. 381
La lacuna strutturale, dando prova della natura apografa dello scon-
giuro, porta addirittura a riflettere, in ultimo, su quanto la padronanza
del codice linguistico in cui sono trasposte le formule precatorie si possa
considerare veramente radicata nel repertorio dello scrivente. A differenza
di quanto visto nel paragrafo 2.2.1.2. riguardo al glossatore ebreo del
Lapidario, in questo caso ci si trova infatti di fronte ad una produzione
testuale redatta in volgare siciliano, ma interamente trasposta in alfabeto
greco. Questa circostanza ha portato per lungo tempo a considerare per
valida l’ipotesi secondo cui il compilatore dell’Eucologio ricopiasse da un
antigrafo (più antico) riportando fedelmente anche i passaggi stesi in un
idioma a lui sconosciuto.382 A sostegno di quest’ipotesi si sono addotte sia
la fuorviante separazione delle parole, sia le apparenti disconnessioni te-
matiche riscontrabili nei passaggi in lingua romanza tali da non con-
sentire agli studiosi che si occuparono delle prime edizioni di decifrare
appieno nemmeno la stessa historiola di San Silvestro. Quella che ad un
primo esame pareva essere la mancanza di senso compiuto si è però
rivelata col tempo una difficoltà d’interpretazione dei testi tràditi ricon-
ducibile a quei fenomeni d’immediatezza comunicativa visti nei

(1982, 685), nello stesso codice si troverebbe anche un testimone dello scongiuro
contro il lupo svelato a San Silvestro, riscontro però non confermato dal con-
trollo diretto di Distilo (1993, 310).
381 Distilo 1993, 312; cfr. Bonomo 1978, 245 ssg.
382 Cfr. Schneegans 1908, 571; Salvioni 1909, 323.
2.2.2. Stratificazione temporale 111

parr. 2.2.1.1. e 2.2.1.2. Così, se Pradel383 e Schneegans384 rinunciavano ad


interpretare il passaggio decisivo compreso fra “soi cmo`qi wilik_cou wim|m
s\tffou” e “dikous\mtou sakbato}qi” che contiene lo scongiuro da re-
citare per proteggere il bestiame dalle belve feroci, e se Salvioni partiva dal
presupposto che in esso vi fosse una notevole lacuna che spiegherebbe
perché Silvestro “dopo aver detto di non saper eseguire l’incanto, poi ci
dica di avere incantato il lupo”,385 grazie a Bonomo è stato finalmente
possibile chiarire che non vi è nel passaggio alcuna incongruenza, dal
momento che le parole successive alla dichiarazione d’impotenza da parte
del santo: “Signore, che lego che non so?”386 non vanno più ascritte a
questi, ma nuovamente al Signore, il quale svela la formula magica per
incantare il lupo intrattenendo con Silvestro un dialogo diretto, ma, in
sintonia con le premesse comunicative dell’immediatezza,387 trasposto
senza alcun verbum dicendi. In merito alla separazione delle parole pro-
posta da Pradel,388 ribatte poi già lo stesso bibliotecario della Marciana
Coggiola in una lettera allo Schneegans, “si potrebbe assai discutere […]
perché in alcuni casi non è facile dire se il codice le unisca o le separi”,389
cosa che vale peraltro anche per i testi in lingua greca.
Volendo trarre delle conclusioni, dunque, occorrerà essere molto cauti
nel considerare l’operazione di copiatura dello scrivente, per quanto a
tratti imprecisa, una riproduzione meccanica completamente ignara dei
contenuti. È ben più legittimo, invece, vedere nell’usus scribendi del
monaco basiliano il riflesso di un plurilinguismo greco-romanzo (inclu-
dendo in esso anche il latino) assolutamente esemplare per questo im-
portante gruppo di parlanti alloctoni ancora ben rappresentato in Sicilia
tra il medioevo e l’età moderna.390 Detto questo, è d’altro canto vero che
pur sempre di operazione di copiatura si tratta, operazione che non
implica necessariamente una padronanza linguistica attiva del codice
trasposto da parte dello scrivente. Questa circostanza si rispecchia
nell’atteggiamento del compilatore verso i passaggi in lingua romanza che
vengono copiati nella forma originale in cui si presentano nell’antigrafo
quattrocentesco senza subire alcun adattamento, come invece possiamo

383 Pradel 1907, 393.


384 Schneegans 1908, 582.
385 Salvioni 1909, 330 – 31.
386 Bonomo 1978, 332.
387 Cfr. Koch/Oesterreicher 2011, 78, ssg.
388 Pradel 1907.
389 Da: Scheegans 1908, 573.
390 Cfr. Scaduto 1982.
112 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

presupporre avvenga nelle parti in greco presumibilmente anch’esse in


buona parte riprodotte, alla varietà scritta in uso all’epoca di almeno un
secolo più tarda in cui fu stilato l’Eucologio.
La tipologia di plurilinguismo vista in questo paragrafo, sebbene sia
sorretta da un modello di riferimento e presenti dunque uno sfasamento
diacronico di rilievo, rimanda con certezza al repertorio di un unico
individuo. Va notato, in chiusura, che il plurilinguismo greco-romanzo si
manifesta generalmente attraverso un code switching nel quale il cambio di
codice avviene in corrispondenza del passaggio da un’istruzione o una
ricetta ad un brano che prevede una ritualità performativa (lo scongiuro
rivolto al moro è ad esempio preceduto dall’indicazione patologica
“8noqj^ e_r t^m sucwalim_am […]”).391 A questo aspetto, e alle implica-
zioni ad esso correlate, si dedicherà particolare attenzione nel prossimo
paragrafo.

2.3. Plurilinguismo per sincretismo idiolettale


In questo paragrafo si esamineranno le tipologie di plurilinguismo che dal
piano attuale del testo rimandano a quello individuale dei locutori.
Procedendo in senso cronologico, si esaminerà prima il rapporto tra la-
tino e volgare nel repertorio dei compilatori autoctoni quattrocenteschi
tramite un’interpretazione del fenomeno della traduzione verticale
(par. 2.3.1.). Si analizzeranno poi gli scenari di contatto tra parlanti
autoctoni e alloctoni dedicando particolare attenzione alle tipologie di
plurilinguismo indotte da commutazione-adattamento e traduzione
orizzontale (2.3.2.). Nei paragrafi coalescenza (2.3.3.) e interferenza
(2.3.4.) si cercherà infine di descrivere il repertorio idiosincratico degli
scriventi cinque e seicenteschi valutando attentamente i mutamenti gra-
duali che si possono percepire, passando al piano storico, nella lingua
utilizzata dai locutori autoctoni di prima età moderna.

2.3.1. Traduzione verticale

Il primo testo che si prenderà in esame in questo paragrafo è quello di


uno dei ricettari più diffusi in assoluto nell’Europa medievale: il
Thesaurus Pauperum. Esso rappresenta un compendio delle opere ascri-

391 Da: Distilo 1993, 311.


2.3.1. Traduzione verticale 113

vibili ai più famosi medici di tutti i tempi che circolavano tra il medioevo
e la prima età moderna: Galeno, Ippocrate, Discoride, Avicenna, Rasis,
Costantino l’Africano et al.392 Grazie alla facile reperibilità degli ingre-
dienti da raccogliere per la preparazione dei medicamenti ivi descritti, il
ricettario si prestava in modo particolare da vademecum per quella schiera
di pratici che si occupavano della salute del popolo minuto coltivando la
virtù della charitas. 393 La paternità del Thesaurus pauperum viene gene-
ralmente riconosciuta a Pietro di Giuliano, più noto come Petrus His-
panus o Hispanensis. Compiuti gli studi di logica e medicina a Parigi, il
giovane lisboeta fu tratto in Italia prima dal comune di Siena che gli offrì
una cattedra presso lo Studio Generale tra il 1247 e il 1252, poi dalla
Curia romana che lo nominò vescovo e successivamente cardinale, oltre
che archiatra pontificio. Alla morte ravvicinata, nel 1276, di Gregorio X e
dei suoi due successori, Pietro Ispano fu nominato infine papa con
l’appellativo di Giovanni XXI. Anche il suo pontificato fu però di breve
durata e l’improvviso decesso, avvenuto due anni più tardi a causa del
crollo di un’ala del palazzo papale di Viterbo, gli valse definitivamente
quella fama di stregone che si era già procurato in vita grazie al suo
notorio interesse per l’alchimia più volte condannato pubblicamente da
prelati rivali.394 Altro nome che viene preso spesso in considerazione,
soprattutto in ambito francese, quando si tenta di risalire all’autore del
Thesaurus pauperum, è quello di Arnaldo da Villanova. Al celebre filosofo
catalano, medico dei reali d’Aragona prima e del papa Bonifacio VIII poi,
si rifanno innumerevoli raccolte di ricette mediche della prima età mo-
derna sia a stampa che manoscritte. Tra le prime vanno menzionate Le
tresor des pouures selon maistre Arnoult de Villenoue, pubblicato a Lione nel
1518 e la Sinopsis remediorum paratu facilium ad quosvis morbos sive
Thesaurus Pauperum, stampata a Parigi nel 1577. Tra le seconde si registra
un consistente numero di ricettari di area non solo francese, ma anche

392 Rapisarda 2001, xiv.


393 Rapisarda 2001, xv-xvi.
394 Rapidarda 2001, xii. Dante contribuì tuttavia a dissipare la leggenda nera che
avvolge Pietro Ispano riservandogli un posto d’onore nel cielo degli spiriti sa-
pienti. Nel Duecento, del resto, l’alchimia era ancora considerata per molti versi
alla stregua di una scienza naturale e gli studi in questo campo non erano preclusi
nemmeno a chi fosse investito del sacerdozio e preposto al governo della Chiesa
(ivi, xi). Sulla biografia dell’Ispano, ripresa qui nei suoi passaggi essenziali da
Rapisarda (2001, vii ssg.), si veda la bibliografia ivi indicata.
114 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

italiana e spagnola, redatti sia in volgare che in latino.395 Va comunque


appurato, e questo è il dato più rilevante, che non si fa alcun cenno al
medico catalano nei manoscritti più antichi della tradizione del Thesuarus
pauperum, dove le citazioni rievocano unanimi il nome di Pietro Ispa-
no.396
In virtù della lunga permanenza dell’Ispano in Italia e del carattere
prettamente divulgativo del Thesaurus pauperum, non mancò tra i primi
studiosi che si occuparono della figura storica di papa Giovanni XXI chi
ritenesse plausibile l’ipotesi secondo cui l’opera fosse stata originaria-
mente compilata in lingua volgare e tradotta solo in seguito in latino.397
Questa ipotesi fu inizialmente avvallata anche da Pereira da Rocha, la
studiosa portoghese cui si deve la prima edizione critica del Thesaurus
pauperum latino. Lo studio effettuato dalla Pereira su circa 70 esemplari
riconosce infatti al ramo italiano un ruolo di assoluto rilievo, pur giun-
gendo tuttavia a indicare un manoscritto latino di fine sec. XIII come il
testo più antico della tradizione. I volgarizzamenti in ‘italiano’ sono ri-
conducibili nello specifico a sette subarchetipi diversi eseguiti su altret-
tanti antigrafi latini e presentano pertanto soluzioni traduttorie assai di-
vergenti.398 Uno di essi pare si possa attribuire, pur con le dovute cautele,
al notaio fiorentino Zucchero Bencivenni (sec. XIV), autore assai proli-
fico di volgarizzamenti scientifici e didascalici quali l’Almansore di Rha-
zes, tradotto dalla versione latina di Gherardo da Cremona, il Régime du
corps di Aldobrandino da Siena o il Somme le roi di Lorenzo d’Orléans.399

2.3.1.1. Il Thesaurus Pauperum (sec. XV)


Prima di passare ad esaminare il volgarizzamento siciliano del Thesaurus
pauperum, facente capo ad un altro subarchetipo e dunque relativamente
indipendente dal ramo della famiglia toscana,400 sarà utile analizzare la
struttura originaria del trattato latino. Il testo conta in origine 48 capitoli
strutturati a capite ad pedes: dalla cura del mal di testa, di occhi o denti si
giunge a trattare di gotta e podagra passando per sincope, lesione dei
polmoni, del ventre o della vescica, come pure di dolori mestruali o legati

395 Rapisarda 2001, xii; xix ssg. Per approfondimenti biografici su Arnaldo da
Villanova si vedano le opere ivi citate.
396 Rapisarda 2001, xx-xxi.
397 Rapisarda 2001, xxxi.
398 Pereira da Rocha 1973, 3 ssg. e 39 – 72.
399 Rapisarda 2001, xxxiv.
400 Rapisarda 2001, 136.
2.3.1. Traduzione verticale 115

al parto. Alla fine del ricettario si trovano generalmente due aggiunte: de


crepatura e de antrace che rendono le rubriche pari al numero di 50.
Interpolate al rispettivo prologo sono presenti nella tradizione latina due
tipologie testuali diverse, l’una tesa a sottolineare la fedeltà dei contenuti e
delle materie trattate all’originale, l’altra a mettere in buona luce le
procedure connesse alla fabbricazione e all’utilizzo degli amuleti e delle
pergamene con su scritti determinati scongiuri che l’infermo era tenuto a
recitare e a porre sulle parti del corpo lese. Questo è il nucleo primigenio
del testo latino, caratterizzato nondimeno da una spiccata mouvance 401 sin
dai piani alti della frammentazione. A partire già dallo stesso titolo
dell’opera, presentata talora come Liber pauperum, talaltra come Summa
experimentorum, la mouvance si riflette in particolar modo nell’appendice
al trattato con la quale in parecchi manoscritti della tradizione vengono
proposte diverse ricette supplementari per curare le principali tipologie di
febbri: effimera, continua, terziana, quotidiana e quartana, seguite spesso
a loro volta da ulteriori ricette pratiche De uariolis curandis. 402
Il testimone siciliano del Thesaurus, come delucida Rapisarda,403
prende il via da una ricetta per eliminare i pidocchi – è dunque acefalo di
prologo e indice delle ricette. La ricetta, che nella tradizione latina cor-
risponde alla terza, è introdotta da un breve incipit in cui si fa riferimento
al titolo dell’opera e alla presunta auctoritas: “liber thesauri pauperum
quem fecit magister rinaldus de villanova”.404 Al rimedio contro i
pidocchi fanno seguito altre prescrizioni tratte qua e là dal Thesaurus
pauperum per un totale di 39 rubriche. A queste si aggiungono quelle che
da 153 a 158 riprendono alcuni paragrafi conclusivi del testo latino, in
ultimo la “Cura ad omni crepatura”.405 La serie di ricette frapposte, dalla
rubrica 40 alla rubrica 152, è invece di origine adespota e viene presentata
come “certi experientie li quali foru trovati […] dintru di unu quatternu
scriptu a capustancii di auru” di tale “maistru Jacubu”.406 Le ibridazioni
del manoscritto palermitano non si esauriscono però nelle prescrizioni
copiate dal quaderno di un misterioso e non meglio specificato maestro,
ma sono comprensive inoltre di un folto gruppo di ricette adespote per
curare diversi disturbi e dolori: “A pidata di occhi”, “A mali di andata”, “Ad

401 Cerquiglini 1989, 111 ssg.


402 Cfr. Rapisarda 2001, xxiv ssg.
403 Rapisarda 2001, l ssg.
404 Da: Rapisarda 2001, 3.
405 Da: Rapisarda 2001, li; 3; 51 – 52; 79; 86.
406 Da: Rapisarda 2001, li.
116 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

cugluni”, “A caccari li vermi di l’auricha”, ecc., nonché di alcune indica-


zioni sulle proprietà di determinate erbe: “Li nomura e canuximenti di
quilla preciosissima erba lunaria”, “La propetati di la rosmarina”, ecc.,
come pure di sporadiche istruzioni in materia di maniscalcia: “A doglia di
cavallu”, “A cavallu infusu”, ecc. e manifattura: “A cammuxari omni pelli”,
ecc. Alcune di queste ricette, come la rubrica “A ritornari lu lacti a la
donna”, o quella “A ’periri la piaga chusa”, piuttosto che “A duluri di
aurichi”, sono ascrivibili con relativa certezza a precise fonti407 – nella
fattispecie alla pseudo Epistola di Ippocrate a Giulio Cesare,408 al ricettario
provenzale409 e al ricettario romano.410 Ben più stretti paiono poi i rap-
porti tra il manoscritto palermitano e quello del Ricettario calabrese di
Luca Geracitano o Luca di Stilo conservato nella Biblioteca Nazionale di
Napoli.411 Oltre al Thesaurus palermitano preso qui in esame, il codice
del Ricettario calabrese rappresenta l’unica raccolta meridionale di ricette
mediche in volgare dal carattere non frammentario pervenuta ai nostri
tempi. Non sembra ora un caso che entrambi i codici vengano attribuiti
alla stessa auctoritas. D’altro canto, però, il Ricettario calabrese avverte già
nel titolo: “Recetario conposto per Maestro Rinaldo de Villanova et de
altri solenni medici”412 come il contenuto del compendio non si rifaccia
esclusivamente all’opera del medico catalano, ma integri ad essa anche
materiale di paternità altrui. La stessa organicità dell’opera, che non
presenta una precisa sequenza delle ricette in base al criterio ordinatorio
‘da capo a piedi’ tipica del Thesaurus pauperum, si dissocia effettivamente
dalla tradizione di questo in maniera piuttosto netta. Le convergenze
testuali che si riscontrano in più parti vanno poi decrescendo mano a
mano che la ricetta, da un nucleo comune, si articola da una parte e
dall’altra in un diverso, più o meno vasto elenco di avvertenze supple-
mentari:413

14. Ad cura di vuchi et di tussi


[…]

407 Rapisarda 2001, li-lvi.


408 Cfr. De Tovar 1974, 263.
409 Cfr. Brunel 1962.
410 Cfr. Ernst 1966.
411 Rapisarda 2001, 154. Il manoscritto è già censito nell’ambito del progetto
SALVit (Studio, Archivio e Lessico dei Volgarizzamenti italiani: www.salvit.org).
412 Da: Rapisarda 2001, 154.
413 Rapisarda 2001, 154 ssg.
2.3.1. Traduzione verticale 117

6 Item cui sputassi sangu oy lu vommicassi, biva lu sucu di la herba ki si chama


centumi nudura et chamasi vulgarimenti lingua passarina et passiralli.
7 Item la pulviri di lu ossu zicha, datu a biviri cum aqua, fa multu prudi.
[…]

86. A mali di reuma


1 Pigla una canna di novi gruppi et spaccala et fa’ intrari suavi <a> quillu ki à la
reuma et in meczu di la canna di’ quisti palori ki <su> supra scripti: “supra illa
sedebat / virga in manu tenebat / virgo Maria vocabat / Xpus ista virga iungebat /
ille qui fecit virga Aron iungere et me”.

87. A febri terzana


1 Pigla tri puma et scrivi cum incastro, innanczi ki li vengna la febri “+ Jhs alga +
Jhus galla + Jhus laga amen”. Et factu quistu, dandu a maniari omni iornu unu la
mattina a lu infirmu et serrà guaritu.

89. A 7rristringiri lu sangu di lu nasu


1 Scrivi cum lu dictu sangui in lu frunti, si illu è homu: “+ beretonis oy beroniso”; si
è fimmina: “+ britonissa oy bironissa” et stangnirà lu sangui sencza fallu.

90. A 7 ffari andari li vermi a li garczuni


1 Scrivi a lu frunti di lu garczuni “+ ono callu”. Secundi, scrivi a lu pectu di lu
garczuni: “+ mantese” et cussì li girà tucti quanti.
[…]

94. A trayri guarrellu dintru l’ossu oy qualunca parti di la persuna


1 Dichiti quistu versu, comu si dichi di supta: in primu, tiniti lu dictu guarrellu cum
dui digiti li plui grandi di la manu et sirrà fora sencza periculu et quistu versu è la
midichina ki si fichi Theodorus <per l’> Imperaturi et sempri fa’ lu singnu
innanczi di la cruchi e di’: “+ adiuro te Christum Paraclitos iscrixirios ut exias fora
et dendenti”.
[…]

153. Si la natura di la fimmina fussi troppu aperta ki lu collu di la matri vaxillassi, per
quali cosa la conceptioni si impedica
[…]
9 Item pigla la lepora prena et partila per meczu et li quaglurilli ki trovirai in ventri a
li figloli duna a 7cquilla ki è prena et non si purà disirtari.
[…]

174. A mucicatu di cosa vininosa


1 Pigla lu mucicatu oy unu so amico strictu et fallu assictari et singa cum unu cutellu
la sua pidata comu teni lu pedi in terra et poi pigla una tacza et mictichila supra lu
ginochu quandu signiray la pidata et poi cula quilla acqua cum la cammisa (et voli
esseri cum la fauda) et pigla di la punta di lu pedi et di lu menzu di lu calcagnu di la
terra cum una punta di cannavettu et mictila a l’acqua et poi la culiray e du-
118 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

nachindi a biviri et dilli quisti tri fiati a l’auricha et chasquidunu di quanti sunu
intornu di lu muccicatu divinu diri unu Patrinostru et una Ave Maria a reverentia
di la Trinitati. “Omnes gentes plaudite manibus: iubilate deo in uoce exultacionis.
/ Quoniam dominus excelsus, terribilis: rex magnus super omnem terram. /
Subiecit populos nobis, et gentes sub pedibus nostris: / Elegit nobis in hereditatem
suam, speciem Iacob, quem dilexit. / Ascendit deus in iubilatione et dominus in
voce tube. / Sallite deo nostro, sallite: sallite, regi nostro sallite. / Quoniam rex
omnis terre deus: sallite sapienter. / Regnabit deus super gentes: deus sedet super
sedem sanctam suam. / Principes populorum congregati sunt cum deo Abraam:
quoniam dii fortes terre, uehementer elevati sunt”.
[…]

192. <Contro la libidine>


1 “<…> veli velli volas polli poli que liguras O bona Laurenti Martiris veneramini
per urbani intra mea serenas est que me libidinis moya fluat et stilla de mamilla
dominus beatus et gloriose virginis que calorem et ardorem est qua me libidinis”.
Et oglu rusatu, tantu di l’unu quantu di l’autru, et incorporali insembla ad modu
di unguentu et stendilu in una pecza di linu et mictilu di supra et infaxalu.
[…]

211. Ad stangnari lu sangui di la vina corrupta


1 “Longino fui, ki Deu ristagnandu, punczi lu Signuri Deu; lu sangui si punirà la
terra et rumanirà. Amen. Deu, ki sacciasti li porti di lu infernu, cierra quista vina ki
quisto sangui mina, perki torni quistu sangui in so vina. Amen”: probatum est.
2 “Longino ki a Deu punsi lu Signuri Deu nostru in sue la manu per la testa lu sangui
et l’acqua tandu ind’ixiu Ihesus oy e may”: bene, basta.
[…]

231. Per confessioni


1 Scrivi in fogli di nuchi quisti tri <paroli>: “Alfar Alfar Alfar” et mectichili supra lu
pectu quandu dormi e dirrà czo ki avi dictu lu iornu: probatum est.
[…]

250. Ad humiliari li nervi


[…]
2 Scrivi quisti paroli in una scutella stangnata et poi la lava li licteri cum vinu et
dachila a biviri et gictaralli tucti: “+ sansur + menur + gefac + mefac +” cum tri
Pater Noster et tri Ave Maria.
3 Scrivi quisti paroli in parchiminu virginu et ligali a la cuda: “Appella Assaella mia
Megella Iob” cum tri Pater Noster.

254. Ad inchovatura di cavallu di’ quisto versu


1 “Dulce lingnum, dulces clavos, dulces pondus substines” et di’ tri fiati quisti versu
et omni fiata fa’ la cruchi supra lu pirtusu cum killu chovo et di’ tri Pater Noster a
sanctu Aloy.
2.3.1. Traduzione verticale 119

257. <Contro la febbre>


1 Ante portam Galilea iacebat Petrus de mala febri et dominus Ihesus Christus
supervenit et dixit ei: “Petrus, ki iacet?” “Eo, domine, iaceo de mala febre”. Dixit
ei Iesus: “Surge et <ambula>”.
2 + Gibel + Goth + Gabel +414

Fatta eccezione per le rubriche 14.6 e 153.9 riconducibili al nucleo ori-


ginario del Thesaurus Pauperum, le prescrizioni qui riportate sono tratte
dalla sezione relativa alle “experientie” del non meglio specificato maestro
“Jacubu” per le quali l’autore garantisce, essendo “provati di diversi
persuni”, una solida validità empirica.415 Ciò che distingue le rubriche
aggiuntive dalle due ricette appartenenti alla tradizione dell’opera arnal-
diana è ora il fatto, strettamente connesso alla loro natura eterodossa, che
queste prescrivono dei procedimenti nei quali la guarigione è legata a un
rito para e pseudo-liturgico in cui si fa uso della parola e/o della scrittura.
Il ricorso alla verbalizzazione, se per le rubriche 89.1, 90.1, 231.1, 250.2 e
257.2 si esaurisce nell’elenco di nomina (“Alfar, Alfar, Alfar”, “+ sansur +
menur + gefac + mefac +”, “+ Gibel + Goth + Gabel +”) da pro-
nunciare, ovvero tracciare sulle parti del corpo lese (“frunti”, “pectu”),
piuttosto che da incidere su materiale organico da applicare alle stesse
parti del corpo (“parchiminu virginu”, “fogli di nuchi”) o sui contenitori
del cibo da somministrare al malato (“scutella stangnata”), nelle ricette
87.1, 94.1, 174.1, 192.1, 250.3 e 254.1 svolge un ruolo di maggiore
rilievo e prevede la recitazione di un vero e proprio enunciato. Può
trattarsi di una breve proposizione, come nel caso della frase rituale di
94.1 con cui s’intende estrarre un dardo (“guarrellu”) dal corpo senza
recare danno all’osso manifestando prima la propria devozione a Cristo:
“adiuro te Christum Paraclitos iscrixirios” ed esprimendo poi il concreto
auspicio: “ut exias fora et dendenti”, o come nel caso delle formule di
87.1, 250.3 e 254.1 in cui l’efficacia dello scongiuro ai fini della guari-
gione dalla febbre e dalla tensione nervosa pare dipendere non tanto dalla
sequenza dei significati quanto piuttosto dalla struttura dei significanti,

414 Da: Rapisarda 2001, 101 – 13.


415 Si noti peraltro, sulla base delle ricette 14.6 e 153.9, come anche altri manoscritti
finora visionati attingano con buona probabilità da una fonte più o meno
‘contaminata’ del Thesaurus Pauperum. Nello specifico, la ricetta “De lepore”
tratta in par. 2.2.1.2. dal Lapidario, nella quale si propone una cura “A diolia di
fianci”, presenta forti affinità con quella proposta nel Thesaurus per facilitare il
concepimento. Per quanto riguarda la ricetta “Ad cura di vuchi et di tussi”, in essa
ritroviamo un ingrediente, la “herba ki si chama centumi nudura”, cui si fa
riferimento anche nel manoscritto dell’Eucologio esaminato in par. 2.2.2.1.
120 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

ordinati in una serie di paronomasie e parallelismi: “+ Jhs alga + Jhus


galla + Jhus laga amen”, “Appella Assaella mia Megella Iob”, “Dulce
lingnum, dulces clavos, dulces pondus substines” che attribuiscono
un’aura magica alla declamazione. Nella ricetta di 192.1, la recita di una
tale formula magica in lingua ignota: “<…> veli velli volas polli poli que
liguras” è associata a quella di una preghiera più estesa con cui si sup-
plicano “dominus beatus et gloriose virginis” di mitigare “calorem et
ardorem […] libidinis”, preghiera seguita a sua volta dalle istruzioni per la
composizione di un unguento a base di “oglu rusatu” da utilizzare allo
stesso scopo. Ancor più articolato è poi lo scongiuro di 174.1 contro il
morso di animali velenosi, da sospirare all’orecchio dell’infermo dopo
averlo fatto sedere e aver eseguito determinate azioni sulla sua persona.
Così come lo scongiuro di 257.1, in cui si rammenta della fantomatica
guarigione di Simon Pietro alle parole “surge et <ambula>” pronunciate
da Cristo “Ante portam Galilea” pare rifarsi ad un vangelo apocrifo,416
quello contro il morso avvelenato sembra attingere a sua volta diretta-
mente dai versi delle Scritture e più precisamente dai salmi. Proposizioni
dal valore esortativo che ritemprano la solennità della pratica guaritoria:
“Omnes gentes plaudite manibus: iubilate deo in uoce exultacionis”,
“Ascendit deus in iubilatione et dominus in voce tube”, “Regnabit deus
super gentes: deus sedet super sedem sanctam suam” valgono qui a titolo
di esempio. Come si apprende in maniera implicita da quest’ultima ru-
brica, il rituale guaritorio è spesso eseguito in un ambiente semipubblico,
che nella maggior parte dei casi coinciderà con quello dell’abitazione in
cui giace il malato. La cerchia di parenti, vicini e beneauguranti che assiste
al rito, cui viene richiesto di partecipare alla buona riuscita dello stesso
mediante un contributo attivo – in questo caso la recita corale di “unu
Patrinostru et una Ave Maria a reverentia di la Trinitati” – non funge solo
da testimone alla pratica guaritoria, ma è da considerarsi parte integrante
di tale ritualità.
Per quanto i passaggi che rimandano ad un’esecuzione performativa
visti finora si differenzino notevolmente l’uno dall’altro da un punto di
vista quantitativo, va riscontrato come vi sia un parametro qualitativo che
li accomuna sotto un comun denominatore. L’idioma che li traspone,
infatti, a differenza di quanto vale per le istruzioni sulla preparazione di
composti medicamentosi e sull’allestimento dello scenario per il rito
guaritorio, non è più il volgare, ma una lingua della tradizione dotta.

416 Come segnala Rapisarda (2001, 113), un testimone della stessa formula si trova
anche nel ricettario provenzale edito da Brunel (1962).
2.3.1. Traduzione verticale 121

Fatta eccezione per i nomina che paiono rifarsi ad un lessico (pseudo)


ebraico, questa lingua s’identifica nella maggior parte dei casi con il
latino. L’effetto che scaturisce da un tale code switching realizzato in
corrispondenza del passaggio dalla parte relativa all’istruzione alla parte
che contiene invece la locuzione performativa è quello di una cesura non
sostanziale, ma simbolico-performativa.417 L’autore del volgarizzamento
fornisce in questo modo a colui che sarà destinato a custodire i segreti
contenuti nel Thesaurus pauperum uno strumento con il quale egli possa
qualificarsi, agli occhi del popolo minuto, come una persona istruita e
autorizzata a esercitare l’arte della guarigione piuttosto che la funzione di
mediatore con l’aldilà. Giacché ora il rituale guaritorio richiede il più
delle volte, per una buona riuscita della terapia, un’attiva cooperazione da
parte del paziente e di “chasquidunu di quanti sunu intornu” (174.1), vi
sono anche casi in cui le parole da pronunciarsi per debellare la malattia
sono espresse in lingua volgare. Ciò vale, ad esempio, per la rubrica 211.1
e 211.2, laddove ai fini di fermare un’emorragia si rievoca l’epilogo della
crocifissione di Cristo così come questo viene tramandato nei vangeli
(canonci e non): il momento in cui il Salvatore, per mezzo di quella lancia
che diverrà oggetto di leggende popolari nel medioevo cristiano e ambìta
reliquia simbolo d’invincibile potere, viene trafitto nel costato dal soldato
romano Longino.418 Dopo aver riattualizzato il contesto del Golgota, lo
scongiuro prevede la recitazione di un ardito appello all’Eterno: “Deu, ki
sacciasti li porti di lu infernu, cierra quista vina ki quisto sangui mina,
perki torni quistu sangui in so vina”, appello strutturato in maniera
analoga alla preghiera dell’Eucologio visionanta in par. 2.2.2.1. sulla base
del parallelismo sintattico: così come x, così anche y (affinché z).
L’incertezza in fase di volgarizzamento nel considerare di volta in volta
appropriata o meno una traduzione dello scongiuro419 è causata dalla
tensione fra l’esigenza da parte del guaritore di ostentare, da un lato, una
cultura di grado più elevato rispetto a quella degli utilizzatori finali del
sapere racchiuso nel tesoro dei poveri e la necessità di essere nondimeno

417 Sulle funzioni socio-pragmatiche del code-switching cfr. Gumperz (1982).


418 Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Longino ; ulteriori attestazioni del nome di
Longino si trovano nel ricettario di Ruberto di Guido Bernardi (Rapisarda 2001,
101 – 02).
419 Sebbene anche qui la linea di demarcazione fra permanenza in latino e traduzione
in volgare non sia sempre così netta come ci si aspetterebbe. Nella rubrica 257.1,
ad esempio, la domanda posta dal Salvatore all’apostolo Pietro: “Petrus, ki iacet?”
mostra nel merito e nella forma della congiunzione “ki” le caratteristiche di un
code-mixing latino-volgare siciliano. Su questo punto si tornerà a breve.
122 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

in grado, dall’altro lato, di mettere a disposizione degli infermi e di coloro


che prendono parte al processo guaritorio gli strumenti verbali (nomina e
scongiuri da incidere su amuleti) indispensabili alla buona riuscita della
terapia. Una tale asimmetricità fra i partner dell’interazione linguistica,
cioè tra quanti “ont reçu, d’une manière ou d’une autre, un enseignement
qui leur a donné accès […] à la tradition écrite” e quanti invece “n’ont eu
accès qu’à la tradition orale populaire” è stata definita da Banniard, nei
termini di communication vertical, “un acte de communication par lequel
un locuteur s’adresse à un interlocuteur […] d’un niveau culturel et
linguistique nettement inférieur au sien”.420 Questo concetto, sviluppato
dallo studioso per descrivere il complesso rapporto tra latino della tra-
dizione dotta e latino volgare nelle fonti scritte della tarda antichità,421
può essere applicato efficacemente, mutatis mutandis, anche al periodo
storico qui esaminato,422 chiarendo come sia necessario mostrare cautela
nel trarre conclusioni affrettate sull’estrazione sociale dei mediatori del
sapere racchiuso nei Ricettari di segreti.423 I termini di semi-letterato,
semi-colto o semi-alfabetizzato che spesso si utilizzano per classificare i
compilatori di questo genere di testi (cfr. infra, par. 1.1.) celano un’evi-
dente incomprensione delle premesse comunicative che stanno alla base
di ricettari, lapidari o erbari, così come di trattati di medicina pratica o di
alchimia. È di fondamentale importanza, per una corretta cognizione
delle tradizioni discorsive cui appartengono tali scritti, tenere presente
quanto i fenomeni che all’interno di questo genere testuale composito
rimandano inequivocabilmente all’ambito dell’immediatezza comunica-

420 Banniard 1992, 38.


421 Per quanto riguarda le stesse traduzioni in latino delle sacre scritture (Vulgata e
Itala), già i primi padri della chiesa ritenevano più appropriato l’utilizzo di un
sermo piscatoris (cfr. il famoso dettame agostiniano: “Melius reprehendant nos
grammatici quam non intelligant populi”, cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Me-
lius_est_reprehendant_nos_grammatici_quam_non_intelligant_populi). È del
tutto analoga da questo punto di vista la tradizione discorsiva della predica e
dell’insegnamento catechetico. A questo proposito, ricorda Selig (2006, 1941),
anche una circostanza puramente mediale come quella per cui i primi documenti
in lingua romanza vengono messi per iscritto sulla base del principio fonografico
non deve dar adito ad interpretazioni affrettate che portino a considerare queste
scritture un semplice riflesso del parlato, essendo esse caratterizzate al contrario
da opinate scelte varietistiche attraverso le quali gli autori-scriventi contribui-
scono al contempo a creare e modellare una varietà dal profilo concezionale
tendente comunque al polo della distanza comunicativa.
422 Si confronti quanto appurato in merito al latino del Lapidario in par. 2.2.1.1.
423 Cfr. Rapisarda 2001, 134.
2.3.1. Traduzione verticale 123

tiva siano frutto di una scelta consapevole e ponderata da parte del


compilatore, volto a rifuggire da una troppo elevata distanza comunica-
tiva al fine di rendere la sua opera accessibile anche ad un pubblico vasto
e, solo questo, non acculturato.424 Ignorare le specificità della comuni-
cazione verticale, degradando i reperti della scritturalità pragmatica cui
pertengono i Ricettari di segreti e ascrivendo ai loro produttori lo stigma
di semi-letterati è infatti un errore indotto da un approccio teleologico
allo studio di storia della lingua.
In merito alla lingua di partenza da cui il volgarizzamento è effettuato
va preso atto anche qui che la traduzione non si configura sempre come
una trasposizione dal codice latino a quello volgare nei termini di una
scelta binaria di commutazione fra due entità discrete. Ciò risulta evi-
dente soprattutto in ambito lessicale, dove le soluzioni proposte dal
volgarizzatore si collocano il più delle volte all’interno di un continuum
fra traduzione con relativo abbassamento di registro e prestito lessicale, la
prima intesa come sostituzione di un lemma con uno semanticamente
analogo nella lingua di arrivo e la seconda come integrazione di un lemma
della lingua di partenza nel testo in volgare. Testimone latino del
Thesaurus pauperum alla mano, Rapisarda mostra ad esempio come ri-
entrino nella prima tipologia i casi del sic. “pixacza” per il lat. gutta urine
o del sic. “ructura” per il lat. ulcera, come pure del sic. “cuctuni” per il lat.
bombace, del sic. “pignatellu” per il lat. olla, del sic. “untu” per il lat.
illinitus o del sic. “imbuglata” per il lat. circumvoluta, soluzioni con cui si
traduce e al contempo si abbandona il tecnicismo ricorrendo ad espres-

424 Cfr. Koch 2003, 109 – 10. Si veda infine a questo proposito anche il caso in cui il
cambio di codice che si verifica in corrispondenza della parte da recitare non sia
dal volgare al latino, ma dal latino al volgare, come nel seguente scongiuro degli
anni 1490 – 91 trovato fra le carte di un notaio messinese (Verde 2008, 82):
“Ottima oratio et divotissima ad cancrum morbum et eciam alia et nota quod
dicitur tribus diebus celebrata inde missa virginis Marie cum hoc quod dicens et
paciens sint iejuni. + Jesu christu per la via andava gucta chancaru et vermi
panpala ascuntrava et dissili Jesu christu + undi vay gucta chancaru et vermi
panpala a cuy rispusi vayu per chitati et per casali per sangu viviri et carni
manducari et ipsu mi dissi vatindi arreri chi non chi poy intrari per li dudichi
papa chi a ruma sunnu auzati per li dudichi autara chi a ruma su murati et per li
dudichi missi chi a ruma su celebrati + amari + amari chi lu po durari + per lu
nomu di Jesu quistu mali non chi staya chuy + Amen” (da: ibid.). Questo
esempio, nel quale il redattore dello scongiuro rifugge dalla lingua della sua
istruzione, il latino, prediligendo ad essa il volgare, rende chiare, forse più di ogni
altro, le specificità della comunicazione verticale.
124 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

sioni che appartengono al lessico della realtà quotidiana.425 Esempi ana-


loghi di traduzione sono i volgarizzamenti delle varie parti anatomiche,
come il sic. “lu fundamentu” per il lat. anum, il sic. “skina”/“skinu” e
“meucza” per il lat. splenem, ecc. Altra strategia che permette di tradurre
abbandonando il tecnicismo è poi quella di parafrasarlo, cosa che avviene
ad esempio nel caso di alcuni sintagmi verbali: il lat. dolorem capitis
mitigat è reso ad esempio con il sic. “amorta lu doluri”, il lat. aponantur
nasibus con il sic. “mictili a lu nasu”, il lat. superaspergatur con il sic.
“metichi di supra”, il lat. interiora con il sic. “tucti li cosi dintra lu corpu”, o,
ancora, il lat. litargicos con il sic. “quilli ki dorminu”, il lat. sanguinem
reicientibus con il sic. “cui sputassi sangu” (14.6) e il lat. decoctionis ovvero
vinum decoctionis origani con il sic. “l’acqua duvi fussi cocta” e “vinu duvi
fussi coctu l’uriganu”. 426 All’estremità opposta delle strategie di traduzione
si collocano invece i prestiti non adattati che compaiono ad esempio nella
ricetta 37.2: “Item si ungi la virga cum oglu duvi sia resoluta la canphara,
non si poti regiri la virga” o nella ricetta 3.1.: “Recipe scorati, castorei, opio
et squamo cocti in mulsa et incontinenti si riposirà”, dove si noti soprattutto
il genitivo “castorei” per lat. castoreum. Tale strategia non riguarda solo
singoli lessemi, ma si riflette anche nelle varie formule di organizzazione
testuale che introducono e suggellano il contenuto di una nuova rubrica:
Item / Recipe / probatum est si alternano pertanto a “Pigla” (86.1, 87.1,
153.9, 174.1) “esti optimu experimentu”, ecc.427
Nella maggior parte dei casi, si diceva, la soluzione adottata dal
volgarizzatore è però intermedia ai due poli di traduzione da un lato e
d’integrazione di un prestito dall’altro e si risolve in un lemma decalcato
dal latino e spesso adattato a livello grafonematico e morfologico alle
risorse e alla struttura del volgare.428 Esempi di questa strategia di adat-
tamento spaziano dai prudenti casi di sic. “tropichia” e “troppicu” per lat.
idropisia e idropisiaco, di sic. “squena” per lat. splenis, di sic. “dedisilio” per
lat. psillio, di sic. “palitara” per lat. parietaria, di sic. “pellicona” per lat.
poligonium, di sic. “filomena” per lat. philomela (= ‘usignolo’), di sic.
“secundi” per lat. secundae/secundinae (= ‘placenta’) o di sic. “implastata e
fumicata” per lat. emplastrata uel suffimigata, in merito alle cui rese
sembra lecito parlare ancora di adattamenti fonomorfologici piuttosto che

425 Rapisarda 2001, lvii.


426 Rapisarda 2001, lviii.
427 Rapisarda 2001, lx.
428 Rapisarda 2001, lvii.
2.3.1. Traduzione verticale 125

di deformazioni popolarizzanti di termini scientifici.429 Da questa stra-


tegia si passa poi al genere della glossa, secondo il modello “herba ki si
chama centumi nudura et chamasi vulgarimenti lingua passarina” (14.6)
o della chiosa con funzione glossante, del tipo di sic. “vertici di la testa”
per lat. vertici, di sic. “la tila di li occhi” per lat. tela o di sic. “macula di li
occhi” per lat. macula, fino ad arrivare ai casi in cui invece risulta assai
difficile accertare fino a che punto la resa del lessico anatomico o
scientifico-farmacologico sia frutto di una scelta del tutto consapevole
effettuata sulla base di una reale comprensione del rispettivo termine
latino.430 Esempi di quest’ultima tipologia sono il sic. “cubule” per il lat.
cubebe, il sic. “mergulini” per il lat. morsus galline, il sic. “chirasa” per il lat.
cerusa (= ‘biacca’), il sic. “ventrichellu” per il lat. ventriculo o il sic. “to-
nasmone”/“tenassone” per il lat. tenasmone (= ‘ritensione dolorosa delle
feci’). Il sospetto di avere a che fare con un’incomprensione, d’altronde, si
concretizza piu volte nel corso del Thesaurus, non per ultimo in corri-
spondenza della ricetta 5.11. che propone, traducendo il latino: Item caro
lupi comesta fantasticos sanat, il testo seguente: “Item cui mangiassi la carni
di lu lupu, non è fantasticu ki ecciandeu <non> li sana beni”. 431
L’influenza del latino, e su questo punto vale la pena soffermarsi, è in
certi casi tale da comportare un vero e proprio mistilinguismo, come nel
caso del sintagma “ganga diricta salpicis”, che traduce dextra maxilla
mantenendo il predicato in latino, o nel caso della ricetta 26.2: “Item
sederit cui avissi ly morroyde supra pelli di lioni: sanirà”, dove si crea una
cesura linguistica non solo fra il predicato di una proposizione e quello
della proposizione seguente, “sederit” da un lato e “sanirà” dall’altro, ma
anche tra le unità sintattiche di una stessa proposizione: al predicato
latino “sederit” fanno seguito il sintagma che contiene il soggetto “cui
avissi ly morroyde” e quello che contiene il complemento “supra pelli di
lioni” redatti entrambi in volgare. Un fenomeno di mistilinguismo latino-
volgare a dir poco caratteristico è rappresentato poi dalla costruzione del
tipo “ossu zicha” (= ‘l’osso di seppia’) riportato nella ricetta 14.7. Ra-
pisarda432 qualifica il fenomeno linguistico trasposto da tali sintagmi
nominali, caratterizzati da una dipendenza sintattica tra N1 e N2 in
assenza sia della desinenza in latino da un lato, sia della preposizione in
volgare dall’altro, come genitivo apreposizionale o assoluto, indipendente-

429 Rapisarda 2001, lix


430 Rapisarda 2001, lix-lx.
431 Rapisarda 2001, lxi.
432 Rapisarda 2001, lxvi.
126 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

mente dal fatto che i sostantivi siano semplicemente allineati o che il


secondo sia preceduto da articolo, cfr. “lu tizoni flaxo” (= ‘il tizzone di
frassino’) di 7.2., “l’acqua rosa” (= ‘l’acqua di rosa’) di 6.12, 114.1, 168.1
e 217.1 o “l’oglu cutugnu” (= ‘l’olio di cotogne’) di 112.1 con “lu sangui la
mestrua” (= ‘il sangue del mestruo’) di 39.7, “li scorchi li frundi” (= ‘la
corteccia delle fronde’) di 158.15, “la radicata li mila” (= ‘la radice
dell’enula’) di 172.1, “lu fluri camomilla” (= ‘il fiore di camomilla’) di
242.1, “l’acqua canella” (= ‘l’acqua di cannella’) di 115.1 o “lu sangui
draguni” (= ‘il sangue di dragone’) di 153.1.433 Il genitivo apreposizionale
o assoluto attestato nel manoscritto latore del Thesaurus Pauperum è un
fenomeno morfosintattico tutt’altro che anomalo e marginale: esempi di
questo genere, pur oscillando con quelli in cui i sostantivi sono invece
connessi mediante preposizione (cfr. “mollica di lu pani” per lat. medulla
panis, “pelli di lu beccu” per lat. pellis arietina, ecc.), ricorrono per tutto
l’arco del ricettario, lasciando intendere come si tratti di costruzioni
dotate di una certa sistematicità e permettendo di escludere per contro
l’ipotesi di avere a che fare con abbreviature o con sviste in fase di
traduzione/copiatura.434 Né il fenomeno del genitivo apreposizionale è da
ritenersi circoscritto all’ambito siciliano, trovandosi anzi testimonianze
analoghe in parecchi testi tardomedioevali provenienti da più parti
d’Italia e dell’Europa romanza.435 Rohlfs436 individua ad esempio nel
toscano antico i casi di a riva un fiume (Petrarca), a casa la donna
(Boccaccio, Decam. 7.6), a casa la madre (Machiavelli, Mandr. 4.8), lo
padre Enea e la moglie Menelao (Brunetto Latini) cui si aggiunge anche il
nodo Salomone dantesco.437 In area galloromanza va registrato poi un
accusatif à valeur de possession, del tipo la Maire Dieu, lo filh Sancta Maria,
ecc. nell’occitanico.438 La costruzione è ancor più nota nel francese antico,
tanto che non vi è grammatica storica o studio di morfosintassi del
francese medievale che non tratti del tipo li fils le roi con N2 che rap-
presenta un’entità più o meno animata unica e inscindibile e N1 che
denomina quasi sempre le parti essenziali di tale unità.439 Tornando
all’ambito siciliano, è possibile riscontrare occorrenze del genitivo apre-
posizionale in molti nomi di paesi e località dell’isola come Sant’Agata li

433 Rapisarda 2008, 350 e 366.


434 Rapisarda 2001, lxvi e 2008, 366.
435 Rapisarda 2008, 351 – 66.
436 Rohlfs 1966 – 69, § 630.
437 Cfr. Debenedetti 1920, 80.
438 Jensen 1994, 11 ssg.
439 Rapisarda (2008, 356) e bibliografia ivi indicata.
2.3.1. Traduzione verticale 127

Battiati (= ‘battezzati’), San Giovanni La Punta, Serra la Nave, S. Maria


La Scala, S. Maria la Stella, S. Giovanni Li Cuti (= ‘pietre liscie’), S.
Giuseppe La Rena, S. Nicola la Rena, Fossa Creta, Motta Sant’Anastasia e
Codavolpe in provincia di Catania o ancora S. Vito Lo Capo (TP) e
Alcara Li Fusi (ME).440 Le attestazioni toponomastiche, che vantano
spesso una tradizione ininterrotta lungo l’arco di molti secoli, ricondu-
cono senza troppa fatica alla prima età moderna.441 Esse danno prova
dell’esistenza di una costruzione che, per quanto certamente già allora
cristallizzata,442 manifesta tuttavia con chiara evidenza un fenomeno di
mistilinguismo latino-volgare potenzialmente presente per lungo tempo
in diverse lingue romanze e realizzato in alcune di esse in tempi e modi
affini.443 Che lo si denomini apreposizionale, assoluto o alla francese e
quale che sia la genesi del modello soggiacente, dal genitivo,444 al dativo445
all’accusativo latino,446 è doveroso riconoscere a questo fenomeno uno
status ontologico finora in gran parte ignorato dagli studiosi di siciliano
antico. Passare in rassegna le edizioni critiche di alcuni fra i più noti testi
antichi siciliani, come mostra Rapisarda, permetterà di verificare come
l’attività dei filologi abbia indebitamente messo in ombra l’esistenza del
genitivo apreposizionale in siciliano attraverso un’attenta quanto ingiu-
stificata operazione di emendamento. A partire da Luongo,447 che cor-
regge le occorrenze di “il dì lu iudiciu”, “la summa li altri peccati” o “lu
contractu matrimoniu” nell’edizione degli Ordini di la confessioni ‘Reno-
vamini’ mediante l’inserimento della preposizione di, passando per Sal-
meri,448 che inserisce la preposizione nelle occorrenze “del campo <di>
Christu” e “virtuti <di> Deu” nell’Epistula di misser sanctu Iheronimu ad

440 Rapisarda 2001, lxvii e 2008, 366.


441 Si consideri non per ultimo il nome del nobile Alvaro lu Castello che Rapisarda
(2008, 367) segnala in un atto notarile del 1495 (Donato 1984, 70 – 71).
442 Rapisarda 2001, lxvi. L’Istoria di Eneas pare fornire in questo frangente
un’istantanea della residuità di tale costruzione. Il copista quattrocentesco pone
infatti in diversi casi la preposizione de in interlinea (ad es. l’anima de Dido), cosa
che l’editore (Folena 1956) interpreta come correzione avvenuta in un secondo
momento, ma che la tradizione manoscritta, consentendo il raffronto con un
testimone trecentesco, rivela essere invece aggiunta di propria mano dal copista
più tardo (Rapisarda 2008, 370 ssg.).
443 Rapisarda 2008, 375.
444 Castellani 1980, 127 ssg.
445 Jensen 1994, 11 ssg.
446 Rohlfs 1966 – 69, § 630.
447 Luongo 1989.
448 Salmeri 1999.
128 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

Eustochiu, per arrivare a Di Girolamo,449 Bruni450 e Del Giudice,451 che


convertono le occorrenze di “allegricza lu spiritu meu”, “la rasuni miseri-
cordia” e “oraturi Sancta Maria” rispettivamente nel Libru di lu transitu et
vita di misser sanctu Iheronimu, nel libru di li vitti et di li virtuti e
nell’ystoria di sanctu Amaturi nei relativi “allegricza <di> lu spirtu meu”,
“la rasuni <di> misericordia” e “oraturi <di> Sancta Maria”. 452
Delineati i fenomeni di mistilinguismo latino-volgare, non resta che
qualificare in maniera più approfondita, in chiusura di questo paragrafo,
la marcatezza diatopica del volgare che traspone il Thesaurus pauperum. 453
Va infatti rilevato che il volgare, pur essendo in gran parte conforme alla
scripta siciliana quattrocentesca così come essa viene descritta da Matte-
sini454 e Rinaldi,455 non risulta comunque privo di alcune peculiarità che
meritano di essere analizzate in questa sede. Per quanto concerne le forme
che rimandano tipicamente alla scripta siciliana si registra in primo luogo
la polivalenza fonica del grafema <(c)ch>: modalità di articolazione
affricata in “vuchi” (14.6), “dichiti”, “midichina” (94.1) e plosiva in
“chamasi” (14.6), “ginochu” (174.1), “inchovatura” (254.1), nonché del
grafema <x>: luogo di articolazione palatale in “infaxalu” (192.1), “ixiu”
(211.2) e alveodentale in “vaxillassi” (153). Allografi dei due segni sono
poi rispettivamente <k> e <(s)s>, il primo che compare nelle occor-
renze di “ki” (14.1, 86.1, 87.1, 94.1, 153.9, 211.1 e 2, 231.1, 257.1) –
tanto che sussiste una pressoché complementare distribuzione tra il gra-
fema del pronome relativo/congiunzione polivalente “ki” e il grafema
dell’avverbio/pronome personale “chi” – il secondo che funge alle volte da
allografo persino di <c> nel rendere l’affricata palatale sorda: cfr. “sena”
[’tSena] da un lato e “cierra” [si’erra] (211.1) dall’altro. Altro segno po-
livalente della scripta siciliana quattrocentesca è <j>, che sta sia per la
vocale anteriore alta in posizione liminare – e allora “duluri” si alterna a
“dulurj”, “vermi” (90) a “vermj”, ecc. – sia per l’affricata palatale sonora in
posizione intervocalica: si vedano gli esempi non riportati di “salvaju”,
“dijunu”, ecc. S’interscambia poi ai due grafemi in entrambi i contesti
anche <y>, che se nella resa di /ddZ/ pare fungere da vero e proprio

449 Di Girolamo 1982.


450 Bruni 1973.
451 Del Giudice 1992.
452 Rapisarda 2008, 367 ssg.
453 La seguente descrizione riprende per buona parte le accorte analisi di Rapisarda
(2001, lxii-lxviii).
454 Mattesini 1994, 424 ssg.
455 Rinaldi 2005, vol. I.
2.3.1. Traduzione verticale 129

allografo di <g> e <j>, si veda “oy” (= ‘oggi’) di 211.2 oltre che


“fustaynu” o “mayagna”, nella rappresentazione della vocale parrebbe in-
vece aggiungere alla resa di semiconsonante in posizione finale: “may”
(211.2), “oy” (14.6, 89.1, 94.1, 174.1, 211.2) – per la quale si alterna con
<i> e <j>: cfr. “signiray” e “culiray” (174.1) con “trovirai” – quella della
semiconsonante paragogica: stay (= ‘sta’), vay (= ‘va’), ecc.456 Tra i fe-
nomeni fonomorfologici di maggior rilievo si segnalano le forme “illu”
(89.1) del pronome personale, “[dunach]indi” (174.1) dell’avverbio di
luogo e “lu” dell’articolo maschile singolare (14.6 e 7, 89.1, ecc.), la
conservazione del dittongo AU sia primario: “auricha” (174.1), sia se-
condario: “fauda” (174.1), “autru” (192.1), il raddoppiamento fonosin-
tattico: “A 7rristringiri lu sangu di lu nasu” (89.1), “A 7 ffari andari li vermi
a li garczuni” (90.1), “duna a 7cquila ki è prena” (153.9), il mancato
dittongamento di Ŏ/Ĕ in sillaba libera: “fora” (94.1), “figloli” (153.9),
“lu pedi” (174.1), la nasalizzazione dell’affricata dentale: “menzu”
(174.1), il pentavocalismo tonico e il trivocalismo atono, la metatesi:
“palori” (86.1), l’epitesi di -i: “centumi” (14.6), l’epentesi: “lepora”
(153.9), la posposizione degli aggettivi possessivi: “lu Signuri Deu no-
stru” (211.2), l’accusativo preposizionale: “Longino ki a Deu punsi”
(211.2).457
D’altro canto compaiono anche nel testo alcune forme diatopica-
mente non marcate in senso siciliano. Ciò risulta particolarmente evi-
dente in ambito fonetico a proposito del vocalismo, dove gli esiti siciliani,
pur sempre dominanti dal punto di vista quantitativo, si alternano a
quelli toscani: cfr. “quistu” di 87.1, 94.1, 211.1 con “quisto” di 211.1 e
254.1 o “mictichila” di 174.1 con “mectichili” di 231.1, ma si vedano
anche le alternanze non riportate di “cripatura” e “crepatura”, “acqua
rusata” e “acqua rosata”, “duluri” e “doluri”, “omuri” e “omori”, “experim-
entu” ed “esperimento”, “midichina” e “medichina”, “vinu” e “vino”, “supra” e
“sopra”, ecc.458 Come si è ravvisato in merito al genitivo apreposizionle, è
ora interessante notare con Rapisarda come tali oscillazioni siano state
spesso emendate in fase di attività filologico-letteraria. Le ‘correzioni’
operate da Palma459 nella prima edizione critica del Thesaurus pauperum,
nello specifico, sono avvenute tanto in senso sicilianizzante – e allora
“testicoli” è trascritto ad esempio con “testiculi”, “persica” con “persicu”, etc

456 Cfr. Mattesini 1994, 424 ssg.; Rinaldi 2005, I, 349 ssg.
457 Mattesini 1994, 427 ssg.; Rinaldi 2005, I, 358 – 431.
458 Rapisarda 2001, lxv.
459 Palma 1931.
130 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

– quanto in senso toscanizzante – per cui “pulmini” è reso con “palmuni”,


“soda lu duluri” con “seda lu duluri”, “mendula” con “mandula”, “per fina
kj” con “per fino kj”, ecc.460 Interventi di questo genere, sottolinea Ra-
pisarda, che dal punto di vista ectodico potrebbero anche considerarsi
delle lectiones faciliores, alla stregua magari di un “morbo di cori” in luogo
di “morco di cori” o di un “chinniri di chervu” per “chinniri di cherru”, dalla
prospettiva linguistica vanno invece considerate vere e proprie falsifica-
zioni.461 I primi tendono infatti a restituire al testo una fantomatica
omogeneità ‘dialettale’ invero non data, i secondi a fare di un’appena
percettibile aspirazione toscaneggiante una decisa toscanizzazione. Le
ragioni che hanno spinto il primo editore del Thesaurus Pauperum a
correggere la forma linguistica del testo, in una direzione o nell’altra,
vanno ricercate nell’immancabile condizione di disagio in cui il filologo si
trova posto ogni qual volta deve fare i conti con un materiale ibrido ed
‘impuro’.
2.3.1.2. Riassumendo: traduzione verticale
Il manoscritto del Thesaurus pauperum si configura come una scrittura in
siciliano dalle tendenze koineizzanti, un siciliano da cui lo scrivente tende
ad espellere i tratti sentiti come troppo locali in favore di tratti prove-
nienti da una lingua di prestigio che si può identificare con il toscano.462
Non vi sono infatti motivi per ritenere il compilatore del Thesaurus
pauperum uno scrivente di origine extrainsulare, così come non ve ne
furono alcuni per ritenere uno dei compilatori di quello che si può
considerare il più antico testo di letteratura siciliana post-fridericiana, il
Libru de lu dialagu de Sanctu Gregoriu, un copista calabrese, congettura
che l’editore Santangelo463 fece a suo tempo, al pari di Palma,464 sulla base
degli esiti fonetici non siciliani in -e ed -o che si riscontrano soprattutto
nella seconda parte del manoscritto.465 Tali oscillazioni, come mostrano
fra tutti i compendi di testi tre e quattrocenteschi curati da Li Gotti466
prima e da Bruni467 e Vàrvaro468 poi, sono infatti tipiche di tutti i testi

460 Rapisarda 2001, 123 – 24.


461 Cfr. Rapisarda 2001, 123.
462 Vàrvaro 1990, 74.
463 Santangelo 1933.
464 Palma 1931.
465 Vàrvaro 1990, 71.
466 Li Gotti 1951.
467 Bruni 1980.
468 Vàrvaro 1986.
2.3.1. Traduzione verticale 131

documentari di questo periodo, in cui alternanze simili si registrano non


solo sul piano fonetico, ma anche su quello morfologico: cfr. le forme
“aio” e “oy” (= ‘ho’), “dao”, “duno” e “dugno” nelle testimonianze pro-
cessuali del Liber Visitationis. 469 Questa condizione di spiccata polimorfia
della scritturalità tre e quattrocentesca, dovuta alla “mescolanza di forme
che possiamo presumere diatopicamente distinte” in un sistema che,
accogliendo esiti differenziati, “rende anche possibile una comunicazione
sovralocale”,470 rientra infine nel concetto stesso di tradizione scrittoria o
scripta. Un concetto riferito per l’appunto a sistemi relativamente stabili
in quanto a elementi grafici, fonetici, lessicali, morfologici e sintattici che
pur tuttavia ammettono un certo margine di modificabilità.471 Va detto
che le caratteristiche esterne del Thesaurus pauperum, in particolare i
caratteri semigotici della scrittura in generale e la filigrana riconducibile al
‘tipo anello’ del Briquet che alcuni privilegi palermitani confermano essere
in uso in Sicilia intorno agli anni 1479 – 80, consentono effettivamente di
datare il testo al terzo quarto del secolo XV,472 periodo di riferimento
della scripta siciliana intesa nei termini mistilingui appena esposti.473
In conclusione di questo paragrafo siamo in grado di compiere una
più precisa categorizzazione dei fenomeni di plurilinguismo in cui è dato
imbattersi nello studio dei Ricettari di segreti. Lo stile ‘parlato’ e il lessico
volgareggiante che contraddistinguono la testualità dei ricettari (cfr. infra,
par. 2.2.1.) sono da ricondurre in primo luogo ai parametri della posi-
zionalità 474 e dell’interazione tra i partner comunicativi e vanno intesi più
precisamente come un volontario slittamento verso il polo della prossimità
comunicativa. 475 In questo modo, il locutore/compilatore si adegua,
mediante calibrate strategie di verbalizzazione, alle specificità della co-
municazione verticale. 476 Le esigenze della comunicazione verticale spin-
gono in alcuni casi il compilatore ad effettuare una vera e propria
commutazione di codice dalla lingua della tradizione dotta al volgare,
operazione indispensabile per garantire la comprensione del sapere cu-
stodito nei Ricettari di segreti al pubblico di lettori e utilizzatori finali.
Una compilazione di questo genere, realizzata traducendo ‘verticalmente’

469 Vàrvaro 1986, 59 ssg. e 97 ssg.


470 Cfr. Vàrvaro 1990, 74.
471 Vàrvaro 1990, 76.
472 Rapisarda 2001, 118.
473 Cfr. Vàrvaro 2004a, 126.
474 Cfr. Krefeld 2004, 25.
475 Koch/Oesterreicher 2011, 7 ssg.; v. fig. 2.
476 Banniard 1992, 38.
132 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

da un antigrafo latino, favorisce il sorgere di un mistilinguismo latino-


volgare caratterizzato da spiccati fenomeni di code mixing – dal neolo-
gismo all’approssimazione e reinterpretazione lessicale, dalla suffissazione
ibrida o incongruente all’accomodamento sintattico – attraverso i quali il
locutore risolve l’incombenza della volgarizzazione avvalendosi di solu-
zioni appartenenti a più sistemi linguistici presenti nel suo repertorio 477
(cfr. infra, 2.3.1.1.). Ricorrere nuovamente al latino, in corrispondenza
del passaggio dalla testualità di una ricetta a quella di una formula ma-
gica, ha infine lo scopo primario di distingunere il compilatore come
persona dotta conferendogli l’autorevolezza necessaria per eseguire il rito
taumaturgico.

2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale

Nei prossimi paragrafi si tornerà sul concetto di scripta attraverso due


opere dall’assetto mistilingue che per certi versi si approssimano molto a
quello del paragrafo precedenti, salvo distinguersi in quanto ai parame-
tetri di provenienza e mobilità 478 dei compilatori/fruitori e alle conclusioni
che questo porterà a trarre. La prima opera che si prende in esame è un
trattato di argomento alchemico tràdito dal manoscritto 2Qq C 63 della
Biblioteca comunale di Palermo, la seconda una miscellanea di prescri-
zioni mediche conservata nella Biblioteca Gambalunga di Rimini ai segni
Sc-Ms. 8.

2.3.2.1. Commutazione-adattamento:
il Libro di ricette e secreti (sec. XV)
Il manoscritto indicato nel catalogo della Biblioteca Comunale di Paler-
mo come “libro di ricette e secreti” è una raccolta d’istruzioni alchemiche
per ottenere determinate sostanze (sali, olii, tinture, ecc.) da una materia
prima comune: l’urina umana.479 Nella sua catalogazione, Gioacchino di
Marzo descrive il manoscritto come un piccolo codice cartaceo estratto
evidentemente da un’opera di maggiori dimensioni.480 Il codicetto, che
vanta di un’edizione critica curata da Daniela Patti cui si attinge in questa

477 Cfr. Krefeld 2004, 90 ssg.; v. fig. 1.


478 Cfr. Krefeld 2004, 24.
479 Patti 2004, 205.
480 Di Marzo 1934, 65.
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 133

sede481 è composto effettivamente da diciassette carte di modeste di-


mensioni numerate in epoca coeva o di poco posteriore alla compilazione
da c. 42 a c. 62. Le parole iniziali della carta 42r : “[Al] nome sia de Dio”
lasciano comunque pensare che il testo sia integro e che le parti mancanti
del codice fossero latrici di altri testi, congettura che pare confermata
anche dalle caratteristiche esterne del manoscritto nel quale si può indi-
viduare un solo fascicolo preceduto da due fogli di guardia iniziali che la
legatura antica e i fori di tarli non presenti nelle prime pagine lasciano
intendere fossero premessi anche alle 41 carte oggi mancanti.482 La fili-
grana individuabile a c. 59v riproduce la figura di un corno di misure
simili a quelle riscontrate a Siena e a Venezia nella seconda metà del
secolo XV.483 Come si diceva, l’opera contiene una serie di spunti per
effettuare operazioni alchemiche. Pur non essendo spesso che solo ab-
bozzate e pur non rispecchiando nel loro complesso la sequenza canonica
delle fasi dell’opus alchemico, esse risultano tuttavia unite dall’argomento
comune attraverso il quale viene conferita organicità alla trama testuale di
quella che si potrebbe definire un’antologia o una dossografia.484 L’au-
tore/compilatore sembra nello specifico compendiare le istruzioni sulla
preparazione di composti a base di urina umana ricavate dalla lettura di
più libri o dettate dall’esperienza personale. Spesso vengono proposte più
alternative alla stessa procedura che potrebbero infatti basarsi su cono-
scenze apprese attraverso canali diversi e che confermano in ogni caso
come l’attività di compilazione sia eseguita con estrema cognizione di
causa. Ipotesi plausibile, visti i ricorrenti moduli espositivi nei quali si
sviluppa la trattazione, è anche quella di un contesto d’insegnamento
della disciplina operativa all’interno di un circolo di adepti.485 L’esposi-
zione è infatti strutturata sotto forma di un monologo tenuto da un
presunto maestro che rivolge allocuzioni dirette ad un allievo racco-
mandando ad esempio una particolare prudenza nell’eseguire determinate
operazioni o nello svelare le conoscenze acquisite. Tali schemi espositivi
vanno certamente considerati un espediente stilistico frutto di una rie-
laborazione avvenuta in condizioni comunicative ben diverse da quelle

481 Patti 2004, 228 ssg. Il manoscritto è segnalato da Cherubini (2001a, nota 113)
come codice ancora inedito e apparentemente destinato a rimanerlo per lungo
tempo a causa dei lavori di ristrutturazione della biblioteca palermitana, sup-
posizione per nostra fortuna prontamente smentita.
482 Patti 2004, 206.
483 Patti (2004, 206) sulla base degli Huchets n. 7835 e 7833 di Briquet (1907, 425).
484 Patti 2004, 211.
485 Patti 2004, 212.
134 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

della compresenza e dell’interazione tra i locutori, della simultanea ese-


cuzione delle operazioni, ecc. Essi alludono tuttavia ad una situazione
comunicativa originaria, dando eco a strutture tipiche dell’oralità, che
può essere facilmente identificata con quella di una lezione impartita da
un maestro ad una cerchia di discepoli.486
Considerando che la raccolta sia il frutto di appunti presi da uno o
più novizi durante una lezione e rielaborati in una versione comune solo
in un secondo tempo, si è portati a rivalutare le considerazioni generali
finora fatte a proposito del profilo comunicativo della tradizione dis-
corsiva dei Ricettari di segreti. Se da un lato è infatti vero che il genere
testuale del ricettario rifugge in modo consapevole da un’eccessiva di-
stanza comunicativa (cfr. infra, par. 2.3.1.1.), è vero anche che la stessa
tradizione discorsiva si discosta sensibilmente da quella di generi testuali
che traspongono degli enunciati orali nel medium scritto. A questo pro-
posito è utile richiamare l’attenzione sulla dicotomia Verschriftung (gra-
ficazione) vs. Verschriftlichung (messa per iscritto).487 Il primo termine si
riferisce ad un fenomeno di transcodifica ‘digitale’ dal medium orale a
quello scritto, cioè di conversione dalla fonia alla grafia che non comporta
però alcune alterazioni dal punto di vista concezionale (spostamento
verticale da un punto del triangolo phonisch al punto corrispondente del
triangolo graphisch, v. fig. 2). Un tipico esempio di graficazione sono le
annotazioni prese sotto dettato che si presentano in forma di una se-
quenza o una lista di frasi brevi per lo più disconnesse e incompiute.488 Il
secondo fenomeno, la messa per iscritto, riguarda invece proprio la rie-
laborazione ‘analogica’ il più delle volte connessa all’operazione di gra-
ficazione e intesa nei termini di un riorientamento verso le esigenze della
scritturalità concezionale (spostamento diagonale – parallelo alle ipote-
nuse – da un punto del triangolo phonisch a un punto del triangolo

486 Patti 2004, 210.


487 Oesterreicher 1993, 267; cfr. Oesterreicher 1998, 13 ssg.
488 Un altro tipico genere testuale che si presenta sotto forma di appunti incompiuti
sono le liste o le scalette (di un discorso, una predica, ecc.). Questo genere
testuale non scaturisce però da un dettato ex abrupto e non rappresenta una
graficazione di enunciati orali, ma rispecchia un’operazione per certi versi op-
posta di pianificazione testuale precedente all’enunciazione, realizzata poi nella
maggior parte dei casi attraverso strategie di verbalizzazione tipiche della distanza
comunicativa (cfr. Oesterreicher 1993, 274). Koch (1993, 66) parla a questo
proposito di “scripturalité à destin vocal”.
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 135

graphisch, v. fig. 2).489 La messa per iscritto, che si concretizza in condi-


zioni di forte dissociazione spazio-temporale tra discorso orale e fissaggio
grafico attraverso strategie di verbalizzazione volte a generare coerenza
testuale, precisione lessicale, integrazione sintattica, completezza degli
enunciati, ecc.,490 è un procedimento che presenta un’elevata affinità con
l’utilizzo stesso della scrittura, la cui funzione principale consiste so-
stanzialmente nel permettere di redigere un testo in forma definitiva
rendendolo in tal modo conservabile e reimpiegabile. Il senso stesso del
percorso di acculturazione mediante l’utilizzo della scrittura, dal punto di
vista storico-comunicativo, è racchiuso nelle potenzialità che la cultura
scritta offre ad una società di operare trasformazioni all’interno di tra-
dizioni discorsive tramandate fino a quel momento oralmente e per
questo motivo sottoposte ad una costante variazione, alla possibilità di
differenziare le une dalle altre, fornendo per talune di esse delle versioni
canoniche e standardizzate e decretando per talatre la ‘sommersione’ e
magari la scomparsa, ma soprattutto fissando e generalizzando la validità
di una versione piuttosto che di un’altra. Questo processo di costituzione
di un genere testuale non si esaurisce mai con la commutazione mediale
dalla fonia alla grafia, ma richiede sempre la realizzazione di strategie di
verbalizzazione tipiche della distanza comunicativa. Un genere testuale è
legato insomma per definitionem a precisi contesti di produzione e rice-
zione che presuppongono l’esistenza e il riferimento ad una cultura della
comunicazione scritta.491
Tornando allo sviluppo tematico del Libro di ricette e secreti, va ri-
conosciuto con Patti492 che a dare coesione al testo non è solo il filo
conduttore della materia prima su cui si basano le ricette nel loro com-
plesso, ma anche e soprattutto il numero di quelle che fra di esse danno
istruzioni in merito alla preparazione del lapis philosophorum. Disseminati
qua e là fra le ricette per la realizzazione di unguenti e composti si trovano
infatti numerosi riferimenti ai tempi e ai materiali attraverso cui svolgere
operazioni (calcinazione, sublimazione, ecc.) utili a realizzare una sostanza

489 Oesterreicher 1993, 271 – 72. Anche la graficazione comporta però sempre un
certo emendamento ad esempio dei diversi fenomeni di esitazione, delle inte-
riezioni, delle riprese, ecc.
490 Oesterreicher 1993, 273. Introducendo gli enunciati attraverso verba dicendi, ad
esempio, nella messa per iscritto si opera una ri-referenzializzazione dalla sfera
deittica dall’ego, hic e nunc all’is, illic e tunc che rappresenta una considerevole
rielaborazione concezionale (cfr. Oesterreicher 1998, 14 – 15).
491 Oesterreicher 1993, 277; cfr. Selig 2006, 1941.
492 Le riflessioni seguenti si rifanno a Patti (2004, 216 ssg.).
136 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

in grado di sprigionare effetti benefici sull’uomo e sui metalli. Il fatto che


questa sostanza non venga quasi mai nominata esplicitamente è da in-
terpretarsi sulla base della contraddizione intrinseca che comporta lo
svelare per mezzo della scrittura, potenzialmente rivolta ad un pubblico
ampio e distante, una tradizione segreta riservata in realtà all’attenzione di
pochi eletti. La frammentazione dei procedimenti chiave e la rottura della
linearità testuale sembrano fungere a loro volta da strategie di criptaggio
volte a risolvere il conflitto generato dallo svelare un segreto nel medium
dello scritto. Ciò risulta particolarmente evidente a proposito della prima
ricetta dedicata alla preparazione della pietra filosofale con cui si viene
confrontati tra le cc. 45v e 48v a seguito di un’invocazione che pare
inizialmente volta al Signore, ma che cambia poi interlocutore e si rivolge
in tono paternale allo stesso lettore. La ricetta è basata sulla “urina de
homo roscio de meza età” appositamente conservata in specifici vasi di
vetro e debitamente maturata a seguito di particolari trattamenti impartiti
a intervalli regolari nell’arco di alcuni mesi. Queste informazioni diffe-
riscono in parte da quelle anticipate a c. 44v in un frammento testuale che
non fa riferimento esplicito alla pietra filosofale – si parla infatti di una
più generica “medicina” – ma il cui stretto legame con le istruzioni in
questione è evidenziato da formulazioni per lo più identiche, tra cui
quella sulla “urina de uno homo roscio de meza etade” che attribuiscono a
quelle di cc. 45v-48v la funzione di un richiamo anaforico. Nella stessa
ricetta che verte sulla preparazione del lapis, poi, restano incompiuti i
procedimenti relativi alla trasformazione dell’urina e alla sua proiezione
su di un metallo impuro per l’ottenimento di quello perfetto. Queste
operazioni vengono descritte invece nella ricetta di cc. 49r-50v, che pro-
segue così una trama progettuale ancorata nella mente del lettore esperto
compensando la carente coesione lineare mediante la coerenza generata
dal percorrere le fasi dell’arte sui gradini di una scaletta ‘nascosta’. Il
riferimento esplicito al lapis philosophorum, che viene menzionato solo a
c. 45v, è ripreso a c. 52r in quella che si può considerare la terza ricetta
dedicata alla trasmutazione, mentre la quarta e la quinta rubrica che
trattano dello stesso argomento tra le cc. 52v e 54v denominano l’oggetto
fine ultimo dell’opus, rifacendosi al De lapidibus pseudo-aristotelico,
“elixir” ovvero, per analogia tra l’astro lucente e l’oro purissimo, “sol
optimus et durabilis in eternum”. 493 Il riferimento ad eventuali fonti viene
realizzato per lo più in maniera implicita attraverso vaghi richiami a
“multe persone” o, appunto, mediante espressioni tratte più o meno es-

493 Patti 2004, 216 – 17.


2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 137

plicitamente da altre opere (cfr. infra, par. 1.2.4.). Le citazioni dell’ano-


nimo autore dal trattato De lapidibus attribuito ad Aristotele494 non sono
percettibili solo nell’utilizzo di vocaboli come “bonus sol”, “yacxir” o
“ycurnus” per la tintura in grado di compiere la trasmutazione dei metalli
vili, ma sono rese esplicite anche con la menzione all’opus del filosofo
ripetuta più volte alle cc. 52v e 54v nonché dalla dichiarazione: “Alia
similis reperi in alio libro” che introduce la ricetta. Ad intrecciarsi con
questa citazione è poi quella all’“arte rebis” (Liber rebis o diabessi), opera
attribuita nientemeno che al presunto autore del Corpus hermeticum Er-
mete Trismegisto, dotto sapiente nelle arti e nelle scienze venerato al pari
di una divinità in epoca ellenistica. L’opera in questione, giunta al me-
dioevo latino attraverso versioni diverse, ma caratterizzate da un nucleo
comune che si dedica appunto alla costituzione della pietra filosofale
mediante la separazione di una sostanza animale nei suoi quattro ele-
menti, è tràdita anche da un altro manoscritto palermitano del secolo
XIV conservato nella stessa Biblioteca Comunale. Giacché ivi la descri-
zione dei procedimenti cui sottoporre la pietra rebis è preceduta da un
passo intitolato De tribus lapidibus pretiosis principalibus, sarebbe forse
lecito considerare proprio questo l’“alio libro” da cui il compilatore ha
tratto, adattandole e modificandole in varia misura, le due sezioni del
Libro di ricette e secreti. 495 Stando alle considerazioni di Pereira,496 il testo
risente inoltre di particolari influssi del pensiero alchemico organicista,
sensibili sia nel ricorso ad una materia come l’urina per la preparazione
dell’elisir, sia nell’utilizzo di quest’ultimo su metalli e su esseri umani.
Fanno capo a questo filone di pensiero l’Epistola ad Jacobum de Toledo
attribuita ad Arnaldo da Villanova, dove la materia prima è data dal
sangue umano e il Liber de investigatione secreti occulti pseudo-lulliano, nel
quale si parte proprio dall’urina come elemento basilare in grado di
effettuare la trasmutazione. Nel Liber, la scelta della materia prima è
motivata dalla duplice natura del liquido corporeo, minerale da un lato,
animale e quindi dotato di vita e in grado di perpetuarla dall’altro.497

494 La convinzione che Aristotele avesse trattato di alchimia era particolarmente


diffusa nel medioevo, sebbene nulla di questo argomento si trovi nei suoi scritti,
neppure nel libro IV dei Meteorologica (Patti 2004, 218).
495 Patti 2004, 219 ssg.
496 Riprese da Patti (2004, 214 – 15).
497 Pereira 1990, 562. Per quanto la sostanza che si vuole ottenere nel Liber non sia
finalizzata né alla trasmutazione dei metalli imperfetti, né alla guarigione dalle
malattie, come nel Libro di ricette e secreti, ma più semplicemente alla produzione
di pietre preziose (ivi, 556).
138 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

Sempre nella stessa corrente di pensiero va annoverato anche il filosofo


duecentesco Roger Bacon, nelle cui opere si trovano cenni alla credenza
secondo cui l’oro prodotto mediante il processo alchemico, in grado di
sprigionare proprietà farmaceutiche, sarebbe più nobile ancora di quello
reperibile in natura.498
Vediamo allora più da vicino, nella trascrizione di Daniela Patti, i
passaggi relativi alla costituzione del lapis philosophorum del Libro di
ricette e secreti:
[c. 42r] [A]l nome sia de Dio. Sapi che la sancta Trinità, Patre et Figlio et
Spiritu Sancto in sé consiste et torna ad una sola via cioè ad uno solo Dio,
ma questa p(ar)te lassate stare perché si [per ta]l cosa non se deve chiarire ad
omne persona né inferire de questo.
[…]
[c. 43v] […] Prima piglia la urina de uno homo roscio de meza etade,
così recente como lui l’à facta, et mictila in boza dal collo longo, /
[c. 44r] et serra col focho et mictila in putrefactione per giorni 50.
Omne 15 giorni mutare el fimo caldo per fine al dicto tempo, da poi tôla et
mictila in bagno non tropo caldo per fine ad misi 5. Et voglio che tu intende
che, quando tu hai li quactro elementi inseme el corpo et l’omore et lu
spiritu, et vederai continuo la terra in fundo et sappi che questa terra non è
terra, ma è cosa spirituale. Tu sai bene che quando fai l’orina el’è cosa
distillata et chiara et purificata per el corpo humano sì che in quisto vaso per
sì medesima si vène a la perfectione che tu intenderai quando serrà sublimata
et distillata et stracha per sì sola, qua dentro se crearà argento vivo, et questo
si è el mercurio nostro, el quale se tu fermentarai con oro et argento, farrai
l’arte integra et vera. La calcinatione de l’oro. Io lo calcinai col fumo del
piumbo, et da poi l’asoctiliai. Anchora te recordo, che el dissolvere et el
cognelare si l’assuctiglia et fala multiplicare, et omne solutione et congelat-
ione vole la putrefac /
[c. 44v] tione. Et sappi che nel fare de questa medicina tu vederai tante
belle cose che tu medesimo te maravigliarai, et questa medicina tu pòi
multiplicare sopra el mercurio suo, et sopra l’oro et l’argento secundo de
sopra che l’è facta, et sopra l’argento vivo vulgo lava sopra a mille de ramo
solo quel piso medesimo.
Nota che el focho dà et tole, col pocho focho tu non porrai mai errare.
Al nome del Patre et del Figliolo et del Spirito Sancto. Signore, da poi
che creasti el celo et la terra, creasti lu homo et la donna per sua compagnia,
anchora creasti tucti animali del mundo per exempio nostro et per nostro
governo, et etiam tucte le altre cose per amor nostro et lassasti tucte le
[c. 45r] virtute al mundo et dotasti noi de ingegno et de intellecto a ciò
che noi le adop(er)asemo, sì che, lectore, credi che nel corpo humano se
contene de gran virtut, et habilo per certo. Anchora Dio ce formò a la sua
similitudine et dece le complexiuni apropriate a li quactro elementi meglio

498 Pereira 1992, 66.


2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 139

che animal che sia al mundo, sì che el è da credere che nel corpo humano
consista tucte le virtute magiuri; et de tucte te ne dirrò una che beato te se tu
la farrai. Et se tu la farrai, tu serrai un signore donde tu sei un servo, et habi
ad mente che de le mille persone uno o vero dui l’à possuta intendere; et
sapientissimi homini, signori religiosi, docti, pocho ànno hauta questa gratia
da Dio de haverla intesa, perché li antiqui philosophi l’ànno fortissimamenti
occultata et tramutati tucti li nomi in questa. Dapoi che el signore Dio me l’à
concessa, me sonno disposto de manifestartela ad ti, sì che adoperala in fare
bene per amor suo, in dire messe, ad fabbricare chiesie, hospitali, ad fare
charità ad poveri bisognusi, ad vidove, et orfani, /
[c. 45v] ad povere donzelle. Questa virtù nota che io componerò, ella se
domanda lapis philosophorum. Et nota che questo se fa de tre cose, che
ciaschuna de queste se chiama lapis per li libri de li philosophi, cioè lapis
animale et lapis minerale et lapis vegetabile, che per queste tre cose se fa una
medicina sancta che sana omne corpo imperfecto, rame, stagno, piumbo,
ferro, reduceli in perfectissimo oro et argento. Anchora se adop(er)a mara-
vigliosamenti in un corpo humani, sì come in li corpi de’ metalli, ad caciare
via omne infirmitade.
Nota: el lapis minerale simo noi medesimi et non credere altramenti. Et
multi che qua piglia orrore, dico che Dio formò lu homo de terra: cridi
veramenti che noi siamo el minerale, et tucto contene in l’orina de lu homo
el vero lapis minerale, et è tanta la virtù de questa che molti la bevono, et non
piglia altra medicina che questa sol per la sua gran vir /
[c. 46r] tute, et tucti li coluri del mundo è in secreto in questa chi la
sapesse adcompagnare con le maestre sue, et le altre virtù assai che qui non
mecto.
Prima piglia la urina de homo roscio de meza età, quella de la matina
quando se leva, et tenela serrata et tollene quanta ad ti pare et serva in uno
vaso de vitro benissimo et mectela in fimo de cavallo per giorni 50 ho vero
60, tanto che la venga negra como inchiostro, et omne 15 giorni mutarli el
fimo caldo, fine che l’è al dicto signo, da poi càvala fora et tèlla ad l’aere per
giorni 15; omne dì dui volte piglia la boza con mano et scossala et mestichala
benissimo, et una volta la nocte basta. Da poi mictila ad lambicho [in] pocho
focho, et non havere prescia: tu ve[de]rai venire fora lo spirito biancho, et
quisto è el mestruo che conduce tucta l’arte, et salvalo cautamenti. Anchora
la terra che te /
[c. 46v] remane servala con diligentia, perchè te l’abisogna fare spirituale
col tuo mestruo perché questa è la terra benedecta et la terra sancta che
produce omne cosa, sì che salvala. Piglia el mestruo mestecato con uno
pocho de la sua acqua et mictila in putrefactione per qualche dì: al fundo
descenderà anchora terra et questa terra si è quasi spirituale. Micti a lam-
bicho et desep(ar)a l’uno da l’altro, la terra, el mestruo et l’acqua, torna el
mestruo sopra la terra, et fa che questo mestruo la corroda et facciala spi-
rituale como esso in compagnia et con diligentia falli sublimare, così hai la
tua farina aparechiata; ora te mancha l’acqua, la quale è el to lapis vegetabile.
Dico che questa si è l’acquavite. Se l’è optima et perfecta ha tanta virtù in sé
che ella te fa l’oro potabile et fàlo spirituale per sì facto modo che ella te ’l fa
140 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

passare per lambicho et questo medesimo anchora fa el mestruo. Ora al


nome de Dio piglia de questa acqua et mictila sopra la tua farina in forno
de /
[c. 47r] cenere et nol tenere tropo; ponetelo in bagno, così te convene
dar magnare et bevere: in poche volte resuscitarà in mercurio vivo, dico
como argento vivo, et questo si è el mercurio nostro. Et guarda se ’l fosse
tropo in bagno converterialo in olio et questo medisimo farria l’aceto stillato,
et habi ad mente che in prima venerà el mestruo et l’acquavite sì como
achora.
Ora tu hai el mercurio, te mancha el lapis naturale, el quale si è l’oro et
l’argento, et quasi per sé soli se farria medicina ad fare del corpo spirito
volatile, et del spirito corpo, perché in sé medesimo contene el suo mercurio
el spirito suo; et sapi che la calcinatione de questo non vole cosa corrosiva
solo con l’arte medesima et non escire fora de quella.
[c. 47v] Multe persone le quali non possono aspectare el tempo, put-
refanno l’orina, et cava el mestruo et de questo mestruo se fa particulare con
l’oro, ho vero con l’argento. Et sappi che l’aceto stillato anchora fa convertire
questo mestruo in mercurio in putrefatione ho vero in bagno. Et questo
mestruo con acqua metallorum perfectorum s’è facta grandissima opera. An-
chora questo mestruo asoctiglia el corpo et falo spirituale a chi sa fare.
Anchora questo mestruo s’affixa nobelmenti con l’acquavite perfecta per fare
p(ar)ticulari et acompàgnase con essa et fa cagno. Anchora questo mestruo
per sì solo serra in vaso che non spire et mictilo in fimo ho in bagno,
resuscitarà in mercurio, ma è un pocho longhecto. Anchora multi dicono che
l’ànno fixo con l’acquaforte, credo bene che ella el faccia stare gioso, io mai
no ’l feci perché non li ho tanto devotione in essa.
Nota che l’acquavite et el mestruo de l’orina /
[c. 48r] et oro inseme si fanno una perfecta opera, et se tale prove, tu el
vederai se ’l serrà vero.
Per p(ar)ticulari la calcinatione mia è questa: una p(ar)te de sale argento
et una p(ar)te de sale commune p(re)p(ara)to, et meza p(ar)te de sulforo
vivo; et sappi che in dui hore se calcina ad lassarle stare in focho, strato sopra
strato, bactuto in lamine subtili.
Nota che l’è tanta diferentia de la urina de homo mercuriale da un altro,
quanto è dal giorno chiaro dal fuscho. Sappi che omne secreto ho voluto
vedere et intendere.
Anchora te manifesto che into ’l decrescere de la luna te dona el piezo in
questa arte et no ’l tenere ad vile che l’è quel che te dicho.499
Analizzando brevemente la struttura testuale del trattato risultano da
subito evidenti le operazioni di frammentazione del testo da parte
dell’autore, che attraverso le numerose digressioni apparentemente fina-
lizzate al commento e all’esplicazione dei passaggi chiave interviene invece

499 Patti 2004, 228 ssg., corsivi suoi. Si è omesso dalla citazione il numero del rigo.
L’inizio della nuova carta è riportato a capo.
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 141

costantemente sulla linearità espositiva creando rallentamenti tali da


pregiudicare in alcuni punti la stessa comprensione del messaggio. Questa
tecnica si mostra legata sin dai primi passaggi ad una strategia dissimu-
lante per cui l’attenzione del lettore viene distolta dal vero segreto che si è
in procinto di svelare per essere condotta invece su questioni secondarie e
di scarso rilievo per l’arte alchemica.500 Subito dopo la formula incipitaria
“[Al] nome sia de Dio”, allora, compare già la prima riflessione sulla
natura una e trina del divino, nozione che viene definita di per sé assai
complessa e da tenere in buona parte segreta poiché fuori dalla portata dei
più. Le digressioni del maestro, come mostrano già queste primissime
battute, sono talmente ben inglobate nel testo da divenirne parte inte-
grante e da impedire una consultazione selettiva e autopilotata da parte
del lettore, resa tanto più ardua dai vincoli posti dalle allocuzioni dirette
“Sapi che”, “lassate che”, ecc. rivolte dall’autore/maestro alla platea di
novizi che rallentano a loro volta la progressione testuale del trattato.
Veniamo ora alla lingua del codicetto, secondo la catalogazione ad
opera del Di Marzo “dettato nel volgare che di quei tempi si scriveva in
Sicilia e, in qualche parte anche in latino”.501 Cominciando dalla seconda
considerazione, andrà rilevato anzitutto come il latino faccia sentire la sua
presenza attraverso singole, ma fondamentali unità lessicali inserite nel
testo in volgare: “lapis”, “lapis philosophorum” (45v), “metallorum per-
fectorum” (47r). Queste incursioni, nelle carte finali, si articolano però
anche in ampie inserzioni redatte interamente in latino.502
[c. 49r] Ad rubeum
Recipe urina cum fecibus et distilla et serva flemma, quod primo egreditur
usque ad sonealeam, deinde auge ignem donec feces desiccentur, calcina deinde
feces predictas; quibus calcinatis, sublima cum flemmate servato, postea, facta
sublimatione, iterum trita et incorp(or)a cum predicto flemmate et iterum su-
blima et quod sublimatum tere subtiliter. Postea recipe partes 3 dicti sublimati et
unam auri foliati et incorpora et pone in parva botia et claude cum bombice et
pone in ventre equino per 15 dies, deinde ad ignem lucerne quinque filorum per
80 dies et resolvetur in oleum clarissimum, cuius una gutta cadit supra VI uncias
argenti vivi.
Item se ponerai uno ducato in copella et dalli a bere sei ducati de piso
del dicto argento vivo congelato a pocho a pocho a bere, haverai ducati septe
d’oro fino. Se volissi medicina da fare proiectione sopra mercurio, fundi uno

500 Patti 2004, 213, 216. Come sottolinea la studiosa (ibid.), la tendenza ad espri-
mersi in maniera poco chiara è una strategia dettata dalle esigenze di segretezza
che l’alchimia condivideva con l’astrologia e altre scienze occulte.
501 Di Marzo 1934, 65, cit. da: Patti 2004, 205.
502 Patti 2004, 222.
142 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

ducato d’oro, et buctali sopre de quello olio intanto che l’imbeva, lo dicto
oro se calcinarà et farrasse polvere […]
[c. 51r] Calcinatio lune
Recipe luna copellata et dissolvila in acquaforte che sia facta de alume et
de salnitro, ho vero sia facta de vitriolo, salnitro et cinabrio, et come haverai
dissoluta la luna, retra l’acqua per lambicho et luna remarrà in fundo de la
boza calcinata. Poi habi acqua pioviale distillata per lambicho – l’acqua vole
essere colta quando piove – et micti de questa acqua distillata sopra la luna,
tanto che sopravanze dui deta, poi la vapora ho vero la cava per lambicho et
fa così quactro volte a ciò che la luna sia ben lavata et caciata la salsedine de
l’acquaforte, et fa che te remanga asciucta.
De sale urine
Urine sic fit: recipe urinam puerorum XII annorum vel circha et pone in
magna quantitate in situlam coopertam habentem prope fundamentum per
duos digitos cannulam, et putrefiat per XL dies vel plus; et semper post X
dies abstrahe aquam puriorem et repone ibidem, fecibus prius /
[c. 51v] abiectis. Postea coque lentissimo igne, vel si vis aquam servare
quia ad multa utilis est, distilla usque quo inspissetur ut mel spumatum, vel
prope, postea solve in mundissima aqua calida et coque lentissimo igne
donec coaguletur in sal, deinde sicca, et tritum facile solvitur in aquam vel
oleum. Et si florenum ignitum in hoc oleo extinseris vel in primo, augebitur
pondus eius, et quotiens extinseris pondus unius grani addetur. […]
[c. 57v] […] Virtutes supradici salis urine sunt hec, et primo:
Recipe dicti salis onze 3, auri calcinati onza 1, et sic p(re)p(ar)ati mictili
inseme al focho de lucerna /
[c. 58r] come tu sai in boza ad fixandum in unum, et fiet in 80 diebus,
del qual fixo puni una goza del suo liquore sopra onze 16 de moggio vino
purgato et bene p(re)p(ar)ato, et subito se cognelarà.
Item tolli auro fuso in una copella et sopra puni uno poco del dicto
moggio cusì congelato et mésceda primamente fine che ’l dicto moggio sia
tucto incorporato collo auro, et remanerà onze VI de optimo et puro auro.
Fixio cinaprii cum sale supradicto sic.
Fac aquamfortem de vitriolo et salenitro […]503 libbre 4 torrai libbra 1
cinaprio bene trito et puni in dicta acqua, et distilla ad modo de acquaforte,
et distillato, retorna l’acqua distillata sopra le feze, et cusì farrai VII volte, et
haverai el cinaprio biancho et fixo; et poi el puni sopra al marmore et
méseda con lui onze 4 del sopradicto sale de urina, et tucto se converterà in
acqua, la quale imbianchisce la lamina cuprea, smorzata in essa, dentro et de
fora.
Et facto questo, puni ad distillare dicta solutione et el cinaprio se di-
stillarà in acqua chiara, /
[c. 58v] el sal de urina restarà in fundo del vaso, el quale reserva dili-
gentemente.
Ad album cum supradicta aqua super mercurium et cuprum.

503 Omissione nel testo citato (Patti 2004, 242).


2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 143

Recipe onze 4 de la dicta acqua et in essa puni onza 1 de luna, et puni ad


congelare nelle cenere calde, et in pochi dì la se congelarà, del quale con-
gelato puni p(ar)te I sopra X cupri purgati, alias mercurii, et erit luna in omni
iuditio.
Particula super mercurium una p(ar)s supra X. Recipe cinaprio trito et fa
come è sopradicto con l’acqua propriamenti como sta di supra, torrai poi sal
de urina fixo per acquaforte, et macinalo col dicto cinaprio sopra el mar-
moro, et tucto andarà in acqua, la quale serva.
Torrai poi onza 1 luna fina et dissolvi in acquaforte, et fanne lapilli;
torrai poi onze 4 de acqua de cinaprio dicta et onza 1 de dicti lapilli, et
mectili in boza inseme, et subito se dissolveranno in acqua, la quale distillarai
per storta savementi, et passarà l’acqua de cinaprio et quella de la luna, et el
sal de urina restarà in fundo de la boza et quante più /
[c. 59r] volte farrai passare tale acqua, tanto più seranno efficace, stil-
landole col dicto sale, et acrescierai per omne volta X gradi in proiectione, sì
che la 2a volta caderà p(ar)te una sopra 20 et la 3a sopra 30 et cetera. Et facto
questo, poni la dicta acqua ad congelare ad focho de lucerna. Et erit medicina
convertens modium in puram lunam permanentem ad omne iuditium.
Nomina septem generum metallorum, sumpta ex nominibusseptem planetarum:
plummum vocant Saturnum, stannum Iovem, ferrum Martem, aurum Solem,
aes Venerem, argentum vivum Mercurium, argentum tandem Lunam et hoc est
propter diversitatem complexionis metallorum; nam quenadmodum sunt ipsi
planete diversarum complexionum, ita et metalla. 504
Come fa notare Patti, nelle carte 57v-59r si possono ravvisare numerosi
fenomemi di code switching,505 in cui dal latino del titolo: “Virtutes
supradici salis urine sunt hec, et primo” per la prima, “Fixio cinaprii cum
sale supradicto sic” per la seconda e “Ad album cum supradicta aqua super
mercurium et cuprum” per la terza rubrica si passa, spesso attraverso una
prima proposizione ancora in latino, ad un’esposizione in lingua (pre-
valentemente) volgare della ricetta. Risulta esemplare il caso di cc. 57v –
58r, nel quale la ricetta è trasposta inizialmente in latino per poi prose-
guire, dopo il sintagma participiale “et sic p(re)p(ar)ati”, con una serie di
proposizioni in volgare intermediate tuttavia da costruzioni sintetiche
(gerundivo: “ad fixandum in unum” , congiuntivo passivo: “et fiet in 80
diebus”) per cui si fa ricorso nuovamente alla lingua dotta. Interessante da

504 Patti 2004, 236 ssg., corsivi suoi. Si è omesso dalla citazione il numero del rigo.
L’inizio della nuova carta è riportato a capo.
505 Patti (2004, 222), che ricollega la presenza dei passaggi in latino al fatto che nel
testo si citino altre opere alchemiche. “D’altra parte”, prosegue la studiosa, “al di
là della netta distinzione tra le parti in latino e quelle in volgare, non è raro che il
testo volgare si arricchisca di parole latine o che, in altri casi, il latino faccia
incursione nello scritto […] venendo quasi a creare una situazione di mescolanza
di codici linguistici” (ibid.).
144 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

questo punto di vista è anche la ricetta di c. 58v, in cui la ripresa del latino
in corrispondenza della nomenclatura: “puni p(ar)te I sopra X cupri
purgati, alias mercurii”, scelta economica rispetto all’utilizzo di diciture
volgari per la possibilità che il latino offre di esprimere il genitivo me-
diante flessione, comporta un proseguimento nello stesso codice anche
nella proposizione che chiude la prima istruzione: “et erit luna in omni
iuditio”. Fenomeni analoghi si sono potuti osservare anche nei capitoli
precedenti in merito al Lapidario (cfr. infra, par. 2.2.1.3.) e il documento
preso qui in esame consente pertanto in primo luogo di avvalorare le
considerazioni fatte finora. Ad attirare l’attenzione sono in secondo luogo
le sequenze nelle quali il ricorso al latino non pare rispondere, come nelle
carte finali, ad esigenze di economicità espressiva, né il cambiamento di
codice seguire logiche d’impostazione e di sviluppo testuale (titolo rubrica
vs. testo e, all’interno del testo, elenco preliminare degli ingredienti vs.
modello espositivo della ricetta), piuttosto che d’incanalamento in binari
precostituiti (si vedano specialmente le formulazioni fortemente stan-
dardizzate di fine ricetta nel caso di c. 59r). A c. 51, per fare un esempio,
la lingua che traspone le due ricette è rispettivamente omogenea e priva di
scivoloni e intermittenze: la prima ricetta è in volgare, la seconda in
latino. Il compilatore prosegue poi la dossologia nella lingua dotta e il
volgare ricompare improvvisamente, così com’era sparito, a c. 57. La
domanda che ci si pone in merito a questi fogli è che cos’abbia giusti-
ficato una tale compatta e per certo pienamente consapevole alternanza di
codici. La risposta più esauriente a questo proposito la fornisce Selig
quando giunge a concludere, riesaminando lo scenario comunicativo
pluridimensionale del mondo romanzo nell’era media, che “Ver-
ständlichkeit ist nur einer von vielen Faktoren, die die Sprachwahl und
Sprachgestaltung in der Kommunikation beeinflussen”. Va considerato
infatti che “Sprache dient auch der sozialen Abgrenzung oder der Si-
cherung von kulturellen Traditionen, und diese Funktionen”, prosegue
Selig, “mögen in bestimmten Situationen die Sicherung der (passiven
oder aktiven) Zugangsmöglichkeiten für die Rezipienten weniger wichtig
erscheinen lassen”.506 L’alternanza di codici tra una ricetta e l’altra, vale a
dire, non è motivata in prima linea dal tentativo di criptare, ovvero di
rendere più facile la comprensione di taluni passaggi, ma ha lo scopo
primario di distinguere i partner comunicativi come persone che hanno
ricevuto una determinata formazione e fanno parte di un ceto sociale
medio-alto. Il latino è il simbolo dell’appartenenza ad una precisa cultura,

506 Selig 1998, 49.


2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 145

prima ancora che una lingua a cui si ricorre per riverenza magico-religiosa
o rigore scientifico. Come si è visto già in par. 2.3.1. con il Thesaurus
Pauperum, anche qui è dunque il contesto sociolinguistico che i signifi-
canti latini evocano a giustificarne l’utilizzo. In questo caso, però, la
comprensione dei significati da parte del lettore viene data per scontata:
la comunicazione tra maestro e discepolo è di tipo orizzontale, entrambi
condividono gli stessi strumenti professionali che utilizzano con egual
dimestichezza. Il ricorso al latino, la messa in mostra degli strumenti
appropriati, è funzionale ad attualizzare il contesto in cui si svolge l’opera
alchemica e ad indicare l’abito che occorre indossare nell’esercizio di tale
arte.
Il Libro di ricette e secreti si rivela un oggetto di studio particolarmente
interessante, dal punto di vista strettamente linguistico, non solo per
quanto concerne il rapporto tra lingua volgare e lingua della tradizione
colta (nei termini di quella che si potrebbe definire una comunicazione
orizzontale), ma anche in merito alla marcatezza diatopica del volgare in
cui è composta la maggior parte del ricettario. Stando alla constatazione
di Gioacchino di Marzo di cui sopra, il codice sarebbe “dettato nel vol-
gare che di quei tempi si scriveva in Sicilia, e in qualche parte anche in
latino”. Esaminate le parti in latino e appurato che la compilazione del
manoscritto è avvenuta nella seconda metà del secolo XV,507 va ricono-
sciuto in realtà come la facies linguistica che lo caratterizza sia assai diversa
da quella dei testi visti finora, se non altro da quelli di scriventi autoctoni
del periodo di riferimento. Patti, consapevole delle peculiarità linguistiche
del manoscritto, compie un’attenta descrizione della lingua che esso
traspone, concludendo che non sia possibile giungere ad un risultato
definitivo in termini di localizzazione geografica o attribuzione inequi-
vocabile ad una scripta piuttosto che ad un’altra.508 Il quadro complessivo
che si desume dall’opera pare estremamente articolato e multiforme: “È
possibile riscontrare nel testo […] tratti forti che rimandano a una realtà
settentrionale, un certo numero di tratti mediani […] e infine incon-
fondibili tracce del passaggio dell’opera in Sicilia”.509 Fra i tratti che
rimandano ad una realtà settentrionale, quantitativamente dominanti,
Patti510 menziona anzitutto l’esito dentale in [ts] del nesso palatale [(t)tSi]
visibile nelle occorrenze di “boza” (43v, 46r, 51r), “feze” (58r) e “goza”

507 Patti 2004, 206.


508 Patti 2004, 222 ssg.
509 Patti 2004, 222.
510 Patti 2004, 222 ssg.
146 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

(58r). L’occorrenza di “piezo” (48r) (= it. ‘peggio’) parrebbe poi riportare


un fenomeno di dittongamento di [e] davanti a consonante palatale ti-
pico dell’area padovana.511 Il passaggio di X a ss, visibile nelle forme
“lassate” (42r), “lassasti” (44v), “lassarle” (48r) è poi un fenomeno molto
caratteristico dell’area veneziana, ma risulta assai esteso, dal punto di vista
geografico, comparendo non per ultimo in Sicilia, dove si ha lassari. 512
Un discorso analogo vale anche per il mantenimento della vocale bassa
pretonica nelle forme verbali in futuro semplice della prima classe:
“fermentarai” (44r), “maravigliarai” (44v), “distillarai” (58v) che si disco-
stano dal fiorentino in cui si ha il passaggio di -ar- ad -er-. Anche la forma
“dui”, dal canto suo, lascia irrisolta la questione dell’attribuzione geo-
grafica, rimandando al contempo sia ad un contesto meridionale che ad
uno settentrionale.513 Tipicamente settentrionale, aggiungeremo, è inoltre
sul piano sintattico la forma “el” (44r, 44v, 45r, 45v, 46r, 46v, 47r, 47v, 48r,
58r, 58v) in funzione di articolo determinativo come pure in funzione di
pronome personale clitico: “l’orina el’è cosa distillata” (44r) e “che l’è
facta” (44v) (cfr. infra, par. 2.2.1.1.).514 I pochi fenomeni che parrebbero
ricondurre all’Italia centrale sono invece la palatalizzazione regressiva in
[ł] di [ndZ] che si riscontra nelle forme “cognelare”/“cognelarà” (44r, 58r).
La forma dell’imperativo “cognela” è attestata ad esempio nel volgarizza-
mento trecentesco della Mascalcia di Lorenzo Rusio di area sabina.515 Lo
stesso fenomeno di palatalizzazione del nesso [ng] di fronte a vocale
anteriore, fenomeno circoscritto all’area mediana dall’Umbria al Lazio e
alla campania da un lato, all’Abruzzo e alla Puglia settentrionale dall’al-
tro,516 si osserva inoltre nell’occorrenza di “magnare” (47r). La palataliz-
zazione di nasale si registra infine anche nel sostantivo “cagno” (47r) (= it.
‘cambio’), che si ritrova in un anonimo Bestiario moralizzato, così come
nelle Laudi di Iacopone da Todi, nei Testi orvietani e nella Cronica di
anonimo romano del quattrocento.517 La pronuncia palatalizzata della
fricativa alveolare doppia che traspare dal termine “roscio” [’r SSo] (43v, c
46r), a sua volta, si ravvisa sia in Umbria che nelle Marche che nel Lazio,

511 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, §, 117.


512 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 316 – 17.
513 Patti 2004, 225; cfr. Castellani 2000, 256.
514 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 417.
515 Patti 2004, 223.
516 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 363.
517 Patti 2004, 223, cfr. TLIO: (http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/).
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 147

ma non è sconosciuta nemmeno in Calabria, dove in alcuni casi si ha


[’ruSSu].518
Inequivocabili tracce del volgare siciliano sono infine tutti i fenomeni
che rimandano al penta e al trivocalismo,519 a partire dalle vocali toniche
nelle forme dell’articolo “lu”/“li” (44r ; 44v ; 45r ; 45v ; 46r ; 47r) o ancora
in: “coluri” (46r), “misi” (44r), “quisto” (44r ; 46r), “piumbo” (44r ; 45v),
“piso” (44v ; 49r), “complexiuni” (45r), “magiuri” (45r), “bisognusi” (45r),
“vidove” (45r), “vitro” (46r), “signo” (46r), “vitriolo” (51r ; 58r), “cusì”
(58r), “fundo” (44r ; 46v ; 51r ; 58v), “spirituale” (44r ; 46v ; 47r) “secundo”
(44v), “mundo” (44v ; 45r; 46r), “chi” (46r ; 47r), “mictila” (43v ; 44r ; 46r ;
46v), “cridi” (45v), “fundi” (49r), “puni” (58r ; 58v) o “medisimo” (47r),
fino ad arrivare a quelle atone di “spiritu” (42r ; 44r), “maravigliosamenti”
(45v), “veramenti” (45v). A proposito della morfologia si segnala infine,
oltre agli articoli “lu”/“li”, la forma della prima persona plurale del verbo
essere in indicativo presente “simo” (45v), elemento assolutamente tipico
della scripta siciliana.520
Una tale eterogeneità linguistica conduce Patti in ultima analisi a
formulare due differenti ipotesi sulla derivazione del manoscritto e del
suo compilatore. La prima congettura è quella di trovarsi alle prese con
l’opera di uno scrivente siciliano, o comunque di provenienza linguistica
meridionale estrema, che mette a punto la copia di una dossologia sulla
base di un antigrafo originario dell’area italo-settentrionale.521 Come ri-
corda Rapisarda, gli studenti siciliani che aspiravano ad una formazione
medica erano d’altronde obbligati fino all’anno 1444, data in cui in
Sicilia venne fondato il primo Gymnasium, a prendere la via del conti-
nente e compiere dunque il percorso dottorale in uno Studio della pe-
nisola.522 Non di rado gli studenti venivano sovvenzionati dalle casse dei
demani e i libri di conto dei comuni siciliani fungono da importante
testimonianza di tali flussi migratori. Nel caso di alcuni aspiranti medici
catanesi di epoca antecedente alla fondazione dell’ateneo, si ha prova che
questi furono ad esempio agevolati con un sostentamento di sei onze
annue prelevato dalle casse pubbliche.523 Palermo non si mostrò dal canto
suo meno generosa nei confronti dei propri studenti: la capitale finanziò

518 Patti 2004, 224; cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 408.


519 Cfr. Mattesini 1994, 426 – 27.
520 Cfr. Patti 2004, 224 – 25.
521 Patti 2004, 225.
522 Rapisarda 2001, xliii-xlv.
523 Tramontana 1965, 9.
148 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

ad esempio a partire dal 1428 tale Giovanni Zuppardo per la durata di sei
anni al fine di consentirgli un percorso di studi presso una università della
penisola. L’elargizione di denaro per conseguire un dottorato fuori dal
Regno si ripetè nell’anno 1474 a favore dei fratelli Matteo e Bartolomeo
di Mancino.524 Confermano l’incidenza del fenomeno migratorio anche i
numeri delle iscrizioni registrate nelle università del nord e del centro
della penisola italiana: a frequentare i corsi di medicina nello Studio di
Bologna, tra il 1340 e il 1513, si contano ben trentaquattro studenti
provenienti dalla Sicilia.525
Come testimoniano numerosi contratti di reclutamento, vero è
anche, d’altro canto, che le città siciliane, pur non potendo vantare per
lungo tempo il prestigio di un proprio Studio Generale, non rimasero
tuttavia prive degli insegnamenti impartiti da luminari di medicina in-
gaggiati privatamente dagli ordini monastici domenicani o indennizzati
anch’essi direttamente dalle casse demaniali.526 Un contratto fra i primi di
questo genere, risalente al principio del Trecento, patuisce una paga
annua di 40 onze in oro da erogare a favore di un certo maestro Giacomo
da Corneto.527 Un altro contratto riconduce all’epoca, di pochi decenni
posteriore, in cui il comune di Palermo chiese facoltà a Federico II
d’Aragona di chiamare a sé due fisici, retribuendoli con 50 onze annue
pro capite.528 Un altro ancora riconduce invece al 1467, quando il co-
mune di Randazzo stipulò un contratto con tale Johannes de Caldara-
rio.529 Il fenomeno immigratorio d’insegnanti peninsulari e in particolar
modo di specialisti dal nord della penisola italiana, dunque, era com-
plementare a quello di espatrio degli aspiranti professionisti. Non di rado,
gli operatori medici che approdavano in Sicilia traevano con sé preziosi
manuali dell’arte che usavano condividere con studenti e colleghi.530 Un
contratto stipulato nell’anno 1444 tra un certo maestro Matteo d’Angotta
e un tale Salvatore d’Ursone consente di gettare uno sguardo nelle rela-
zioni professionali che intercorrevano tra i pratici e di dedurre da esse le
dinamiche di circolazione della parola scritta. Esso prevedeva la compo-

524 Di Giovanni 1968, 311 – 12.


525 Rapisarda 2001, xliv.
526 Pitrè 1942, 19 ssg.
527 Pitrè 1942, 24. Dietro a questo personaggio, Rapisarda (2001, xliv) intravede la
figura del misterioso “maistru Jacubu” citata nel Thesaurus Pauperum (cfr. infra,
par. 2.3.1.1.)
528 Pitrè 1942, 39.
529 Ventura 1987.
530 Cfr. Bresc 1969, 383 e 350.
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 149

sizione da parte dell’allievo di unguenti e medicine, come pure l’obbligo


di riparare gli strumenti necessari per lo svolgimento di operazioni
chirurgiche. Il maestro, in cambio, si obbligava a concedere i libri del
mestiere ai fini della copiatura, oltre che a garantire una provvigione pari
ad un terzo del suo compenso.531
Il compilatore del Libro di ricette e secreti, conclude Patti alla luce di
questi dati, potrebbe essere tanto uno scrivente siciliano di formazione
settentrionale, quanto uno scrivente di provenienza settentrionale im-
migrato in Sicilia.532 Tenendo presente la consistente incidenza immig-
ratoria di locutori dell’area linguistica gallo-italica propria dell’epoca in
questione533 e dando il giusto peso alla matrice linguistica settentrionale
del manoscritto,534 pare lecito accreditare soprattutto questa seconda
ipotesi. Prima di trarre ulteriori conclusioni a questo proposito, sarà utile
dedicare spazio, nel prossimo paragrafo, ad un altro manoscritto dalle
caratteristiche alquanto simili, l’Herbarium. Pur portandoci per un attimo
al di fuori della zona linguistica del Regno delle due Sicilie, l’Herbarium
permetterà di inquadrare meglio il fenomeno cui si è dedicata particolare
attenzione in questo paragrafo, l’adattamento-commutazione, e porterà a
rivalutare, al termine di par. 2.3.2.3., il concetto stesso di scripta trattato
nei paragrafi precedenti mettendone in rilievo i limiti concettuali. Per il
momento è sufficiente soffermarsi a riflettere sulle peculiarità del sin-
cretismo idiolettale riflesso dal Libro di ricette e secreti. A differenza di
quanto viene redatto da professionisti che agiscono all’interno di ambienti
istituzionali – una cancelleria statale piuttosto che lo studio di un notaio –
la tradizione discorsiva del Ricettario di segreti, essendo svincolata dalle
convenzioni di un ruolo professionale legalmente definito all’interno di
una precisa realtà territoriale (v. fig. 3), può essere composta da elementi
linguistici eterogenei appartenenti anche a più varietà o sistemi.

531 Pitrè 1942, 14.


532 Cfr. Patti 2004, 225.
533 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/comunita-gallo-italica_%28Enciclope-
dia_dell%27Italiano%29/ e bibliografia ivi indicata.
534 Basti prendere atto a questo proposito delle quarantuno occorrenze dell’articolo
determinativo “el” rispetto alle quattro occorrenze di “lu”.
150 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

2.3.2.2. Traduzione orizzontale? L’Herbarium


(le ricette di medicina, sec. XV)
È possibile riscontrare, all’interno dello spazio comunicativo siciliano,
un’eterogeneità linguistica paragonabile a quella del Libro di ricette e
secreti, ma che veda coinvolta una varietà romanza non ‘italiana’? Nel
presente paragrafo si cercherà di dare una risposta a questa domanda
esaminando alcuni dei recenti studi in ambito storiografico ed etnologico
sul ricco corpus dei sunti dei processi inquisitori tenutisi in Sicilia e
inviati dal vertice palermitano alla Suprema di Madrid, le cosiddette re-
laciones de causas. 535 In particolare le valutazioni di Messana secondo cui il
castigliano, nei secoli di dominazione spagnola dell’Italia meridionale,
rappresenti la “seconda lingua un po’ per tutti i siciliani”536 meritano di
essere sottoposte qui ad un’attenta verifica. La stragrande maggioranza
delle relaciones de causas conservate nell’Archivo Historico Naciónal di
Madrid è infatti redatta in castigliano, cosa che riguarda anche le parti che
riportano le formule magico-occulte, gli scongiuri e le fatture ritrovate di
volta in volta tra gli scritti degli imputati.537 La veste linguistica dei
passaggi che traspongono i capi d’accusa, riportati con gran cura e at-
tenzione sia per i contenuti (sfumature di significato, connotazioni, ecc.),
sia per la forma (assonanze, rime, ecc.), non può tuttavia essere consi-
derata originale e non può ricondursi negli stessi termini alla mano del
protocollante, né tantomeno alla bocca dei testimoni: le relaciones de
causas sono delle traduzioni, di questo va preso atto, che i funzionari
spagnoli stazionati in Sicilia redigevano sulla base dei protocolli giudi-
ziari.538 Una serie di testi non indifferenti dunque alle premesse comu-
nicative della fonte, né infedeli alla metrica che ne garantiva l’effetto
magico-contemplativo, ma ciononostante linguisticamente alterati. In
alcuni dei processi tenutisi tra la fine del Cinquecento e la prima metà del
Seicento riscoperti da Messana si fa cenno ad esempio a tale Ludovico
Garrano figlio di “Miguel”, farmacista di professione. L’accusa descrive

535 Messana 2007, 57 ssg.


536 Messana 2007, 265.
537 Cfr. Messana 2007, 325 ssg.; 457.
538 Cfr. Soares da Silva (in corso di stampa). Il vertice del distretto inquisitorio
palermitano inviato da Madrid era composto da uno o due inquisitori, un
promotore fiscale, un tesoriere, un notaio, un cancelliere e diversi sottoufficiali. A
questo personale si aggiungevano i collaboratori “reperiti in loco”, tra cui l’av-
vocato dei poveri, il medico, i consultori, i qualificatori e i familiari, la guardia
armata dell’Inquisizione (Leonardi 2005, 59 ssg.).
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 151

l’imputato come un negromante che intrattiene relazioni con gli spiriti


per trovare tesori nascosti e mette in pratica riti di magia nera per curare
ferite, tener lontano sventure, aver fortuna nel gioco o in amore, ecc. A
questo fine, il mago-guaritore recita salmi e versi della Bibbia, si serve di
sacramentali e fabbrica pentacoli e amuleti con cerchi, lettere greche,
latine o ebraiche.539 Una filastrocca sentita pronunciare dalla sua bocca
per compiere una magaria ad amorem recita secondo quanto pervenuto al
procuratore che ha portato avanti l’inchiesta segreta dal 1625 al 1629:
“Estrella negra, Sfera de Dios / tu ves al tal, que jo no lo veo / te sconjuro por
favor de San Pedro / y San Paolo, Apostoles de Dios / de manera que no pueda
comer ni beber / si no qe siempre aya a pensar sobre mi”. 540 La sezione
relativa all’Inquisizione siciliana dell’Archivo Historico Naciónal di Ma-
drid è ora colma di documenti di questo genere.541 La ricchezza quan-
titativa di tali testimonianze non può tuttavia compensare la loro in-
adeguatezza qualitativa a fungere da prova certa della lingua utilizzata dai
maghi durante i loro rituali guaritori: nella loro totalità, giova ripeterlo,
essi rappresentano sunti tradotti dei processi svoltisi in Sicilia.542
Tra le relaciones de causas di Madrid si trovano però anche dei testi di
altro genere che i giudici siciliani allegavano ai documenti per facilitare ai
confratelli spagnoli la comprensione delle procedure penali avviate nei
tribunali dell’isola. Uno di questi testi è ad esempio l’opuscolo che
qualifica i diversi generi di scongiuri distinguendoli per tipologia e gravità
databile tra la fine del XVIIo e l’inizio del XVIIIo secolo.543 Il libretto,
redatto in parte in spagnolo e in parte nell’italiano dell’epoca, fa credere
in un primo momento di essere alle prese con una maggiore originarietà
linguistica. La fattura bilingue italo-spagnola dell’opuscolo è però a dir
poco sorprendente. L’italiano è infatti la lingua dell’esposizione, mentre
proprio in corrispondenza degli scongiuri si utilizza invece lo spagnolo.
Un passaggio indicativo recita ad esempio come segue: “Per far venire gli
uomini alla loro chiamata le streghe dicono: / Senora Sancta Marta, / digna
sois y santa, / de mi Senor Jesu Cristo / querida y amada […]/ por los montes
de Toroço entrastis, / con la barba serpiente encontrastis […], a los paganos

539 Messana 2007, 456 – 57.


540 Da: Messana 2007, 457.
541 Cfr. Messana 2007, 57 ssg.
542 Un riscontro diretto sugli atti originali dei processi inquisitori da cui sono tratte
le relaciones de causas è purtroppo impraticabile a causa della programmatica
distruzione cui furono sottoposti da parte delle stesse autorità viceregnicole subito
dopo l’abolizione del Tribunale di fede (Messana 2007, 60).
543 Messana 2007, 327.
152 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

dixistis […]”. 544 In questo esempio paradigmatico di testo ‘in spagnolo’ si


osserva, da un lato, come il compilatore dell’opuscolo non ritenga ne-
cessario tradurre tutta l’opera, presupponendo che la lingua italiana di
cornice non sia pregiudizievole per la comprensione generale.545 Dall’altro
lato, però, il ricorso allo spagnolo nella trascrizione degli scongiuri qua-
lificati come eretici o blasfemi difficilmente può considerarsi fedele
all’originale. Pare più ragionevole ritenere che in corrispondenza delle
preghiere e degli scongiuri si faccia anzi ricorso, anche in questo caso, ad
una serie di traduzioni, effettuate appositamente per trasporre in maniera
inequivocabile i passaggi chiave sui cui si basa l’accusa e sui quali si vuole
convogliare l’attenzione dei giudici spagnoli.
Una delle rare fonti di prima mano che Messana esamina nella sua
opera è infine la Raccolta di prescrizioni mediche di origine meridionale
rinvenuta nell’Archivio dell’Inquisizione romana.546 Si tratta di un ma-
noscritto cinquecentesco conservato per la precisione nell’Archivio Vati-
cano della Congregazione per la Dottrina della Fede e comprensivo di
115 carte vergate da due mani, una principale e una secondaria che redige
solo alcune ricette nelle cc. 1r-5v, 11r-13v e 23r.547 Di questa mano se-
condaria, Messana trascrive una filastrocca da recitare durante l’esecu-
zione di piccole operazioni chirurgiche che sembrerebbe confermare la
tesi di una competenza attiva di spagnolo da parte degli scriventi vice-
regnicoli: “Dio fece l’homo, l’homo/ fece l’aratro/ l’aratro/ fece lo solio,
lo solio/ fece la spica, […]/ la spica/ casca in tirra/ così caschi la spina/
acqua viva la rovilla/ piglia un ferrecchio, tre pinni di gallina, lana pe-
corina et oglio de oliva e dì io son jncato de rodilla”.548 La ricetta trasposta
da Messana, particolarmente interessante per l’apparente cambio di co-
dice in corrispondenza della locuzione che conclude la parte performa-
tiva, è però frutto di una sovrapposizione tra più ricette, la prima delle
quali è volta “A cavare una spina o legno che sia intrato nilla carne” (12r
11 – 12), la seconda tesa invece a proporre un rimedio contro la “rovella et
ogni mal di ganbe” (12r 20 – 21):

544 Da: Messana 2007, 327 – 28.


545 Sul concetto di plurilinguismo ricettivo tra Viceregno e Regno si veda infra,
par. 3.2.3.
546 Messana 2007, 481.
547 Cfr. catalogo cartaceo dell’AVCDF.
548 Da: Messana 2007, 506.
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 153

[12r]

[…] […]
11 A cavare una spina o legno ch. sia
12 intrato nilla carne
13 Dio fece lhomo lhomo fa laratro
14 laratro falo solco lo solco fa lo
15 grano lograno fa la spica ch. Dio
16 la benedica la spica casca in terra
17 cosi caschi la spinarella o lach
18 iavella quilo ce sarrà intrato
19 et probatu est et veru
20 A guarire la rovella et ogni
21 maldi ganbe probatu et veru
22 piglia un ferechio tre pene d galli
23 na lana pecorina et oglio d oliva
24 et di io te incanto rovellaa)
a)
AVCDF, Raccolta di prescrizioni mediche.
Una lettura più attenta del manoscritto non permette solamente di sco-
prire come le parti citate provengano in verità da due ricette distinte, ma
consente inoltre di svelare come il cambio di codice linguistico dal volgare
italico al romance ispanico sia in definitiva un abbaglio: il passaggio
conclusivo della ricetta contro la “rovella” recita infatti non come legge
Messana: “io son jncato de rodilla”549, ma “io te incanto rovella” (12r 24).
La declamazione in lingua spagnola mediante la quale il guaritore, in-
ginocchiatosi, verbalizza l’atto di estrema devozione appena performato
facendo appello all’aiuto divino è dunque tanto verosimile quanto illu-
soria. Neanche questa fonte di prima mano, in altre parole, consente di
attestare una pratica scrittoria mistilingue da parte di scriventi autoctoni
paragonabile a quella esibita dal compilatore del Libro di ricette e secreti.
È lecito dunque ritenere lo spagnolo, come fa Messana, una “seconda
lingua un po’ per tutti i siciliani”?550 L’intuizione della studiosa non è in
definitiva avvalorata da testimonianze attendibili. Si tratta pertanto di
supposizioni del tutto infondate? Una risposta a questo interrogativo la si
può forse fornire prestando attenzione ad un ultimo caso indicativo,
l’Herbarium della biblioteca Civica Gambalunga di Rimini (v. fig. 6).
Come riportano i censitori del patrimonio artistico della biblioteca
riminese,551 l’erbario ivi conservato ai segni Sc-Ms 8 rappresenta più

549 Messana 2007, 506.


550 Messana 2007, 265.
551 Mariani Canova/Meldini/Nicolini 1988, 177 ssg.
154 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

precisamente un ricettario di medicamenti e segreti entro cui è inserito un


copioso frammento di erbario figurato. Vergato in gotica corsiva e risa-
lente con tutta probabilità alla prima metà del secolo XV, l’erbario co-
stituisce la parte più antica del codice miscellaneo di cui occupa la parte
centrale da c. 66 a c. 111. All’illustrazione della pianta, che occupa la
parte centrale del rispettivo foglio, fanno seguito le denominazioni –
molto spesso coesistono terminologie parallele – e le delucidazioni sulle
proprietà curative. È parte integrante della descrizione anche un cenno
alla stagione in cui le virtù che la rispettiva pianta sprigiona sono più
intense, come pure alla maniera in cui occorre agire per fare di essa o delle
sue singole parti (radici, foglie, ecc.) un efficace talismano.552 L’Erbario,
che pare inserirsi nella tradizione iconografica dei codici arabi di Dio-
scoride diffusi nella penisola italiana a partire dal secolo XII, presenta una
forte prossimità al Redi 165 della Biblioteca Mediceo-Laurenziana di
Firenze, anch’esso una copia relativamente tarda di un manoscritto di-
scendente da archetipo molto più antico. Questo possibile antigrafo,
redatto dalla mano di tale Maestro Ghino da Firenze, è comprensivo di
47 cc. in cui sono presenti descrizioni del tutto coincidenti con quelle
dell’Herbarium, fatta eccezione per alcune ricette di medicina aggiunte in
quest’ultimo e per la sequenza in cui sono illustrate nel primo un numero
di poco inferiore di piante della stessa specie di quelle che si ritrovano
appunto nell’Herbarium. 553 In merito alle raffigurazioni, i censitori554
notano che mentre nel codice della biblioteca fiorentina vi sono nume-
rose rappresentazioni allegoriche di esseri fantastici posti al fianco delle
piante, nel manoscritto della Gambalunghiana soltanto le radici, la parte
più recondita della pianta, mantengono alle volte un carattere esoterico
che si esprime nelle suggestioni antropomorfe, zoomorfe o simbolico-
ornamentali, come nel caso della radice a forma di mano della palma
christi, delle radici a forma di luccio dell’erba luccia maggiore, o, ancora, di
quella a forma di lucertola-drago dell’erba viperina. Le miniature
dell’Herbarium, più stilizzate di quelle del Redi 165, lasciano intendere
come questo codice si proponesse uno scopo più didascalico, senza tut-
tavia ignorare, con ciò, i valori strettamente botanici delle erbe rappre-
sentate. È possibile datare questa parte più antica del manoscritto, si
diceva, alla prima metà del Quattrocento, sia in base alla scrittura, una
gotica corsiva con forti tendenze verso una mercantesca, sia in virtù di un

552 Mariani Canova/Meldini/Nicolini 1988, 177.


553 Mariani Canova/Meldini/Nicolini 1988, 178.
554 Mariani Canova/Meldini/Nicolini 1988, 179.
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 155

terminus ante quem che si ritrova nelle carte insieme alle quali l’Erbario fu
in un secondo tempo rilegato. In merito alla localizzazione geografica non
sorgono dubbi, dal punto di vista linguistico, sul fatto che la sua origine
sia da ricercare in area toscana.555
Ciò che suscita maggiore interesse, anche in questo caso, non è però
tanto la parte del manoscritto in cui è riportato il testimone dell’antica
tradizione erbaria, né tantomeno le divergenze di contenuto che carat-
terizzano i testimoni tardomedievali di tale tradizione, quanto appunto la
testimonianza di una viva prassi di ricezione e riutilizzo dei contenuti
tràditi all’interno di un contesto (para)medico non istituzionalizzato,
quello della guarigione magico-miracolosa, che forniscono i manoscritti
rilegati assieme alle carte dell’Erbario. Il codice di cui fa parte l’Herba-
rium, esaminato nel suo complesso, va definito infatti nei termini di una
raccolta miscellanea di più manoscritti redatti da mani diverse. L’incipit
della raccolta, “Como et quando se de trare sangre” (2r), rimanda subito
alla tradizione flebotomica di Galeno, interrotta però dopo poche carte
(5v) da alcune ricette per la preparazione di medicamenti (15v-16v) seguite
a loro volta da un trattato di astrologia (17r-47v) e da un’altra serie di
ricette medicinali e formule magiche (48r-64r). Questa sezione mostra
una certa continuità tematica con le rubriche di “secreti” ed esorcismi che
occupano le carte subito posteriori all’erbario (112r-117v) portando
dunque a termine la sequenza bruscamente interrotta dall’interposizione
del manoscritto più antico. Al termine delle ricette è possibile individuare
l’inizio di un’altra ripartizione nella quale viene proposto un antidotario
(120v-158v), mentre a porre termine alla raccolta è un manoscritto che
offre notizie utili a chi si voglia recare in pellegrinaggio a Roma (159r-
161v) seguito da una lista di nomi delle tredici sibille incolonnati in un
elenco ripetuto su due carte (162v-163v) e intercalato da uno scongiuro
contro il lupo rapace. L’indizio più indicativo ai fini di una datazione del
codice è la curiosa dichiarazione riportata in fondo a c. 1v, dove si legge:
“Jo petrangelo de juliano da gavignana me 9fesso […] debitore de […]
9salvo Cavalieri de ducati doj […] per una cura facta ad […] Antonio
mio figliolo […]”. La sottoscrizione, che riporta la data del 1467, assieme
alla nota “Herbarium” a c. 1r di mano del sec. XVI,556 lascia intendere che
a quell’epoca le parti che compongono il codice fossero già accorpate fra
loro. Una data alquanto ravvicinata a quella incisa da Consalvo Cavalieri
– il presunto possessore del codice – nell’atto di obbligare il suo debitore,

555 Mariani Canova/Meldini/Nicolini 1988, 177 – 78.


556 Catalogo cartaceo della Biblioteca Gambalunga di Rimini, Sc-Ms. 8.
156 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

quella del 1464, si ravvisa nell’incipit dell’antidotario di c. 120v, che


recita: “Nomine dei […] Anno dei millesimo iiii lxiiij”.557
Esaminando ora dal punto di vista linguistico alcuni frammenti te-
stuali del codice miscellaneo, tratti esclusivamente dalle parti estranee
all’Herbarium che assume un ruolo di secondaria importanza, ci si vedrà
posti a confronto con una tipologia di plurilinguismo che obbligherà a
ridimensionare nella sua portata funzionale il termine di stesso di scripta
visto in par. 2.3.1.2. Vediamo allora innanzitutto i frammenti testuali in
questione:

557 Cfr. Mariani Canova/Meldini/Nicolini 1988, 178.


2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 157

Figura 6. Herbarium (le ricette di medicina, sec. XV)


158 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

[2r]

1 Como et quando se de trare sangre

2 Galieno phillosofo que pone partitamente lordine et e) el


3 modo de traere sangre et enque modo senca p.icullo casano x
4 que ahumores e nel cuerpo humano jncomencare p. flebotomia
5 Sonno tres vene maestre p. tuto el corpo et scu<.>rronof ) et danj
6 humore atute lautre vene sonsoto poste aua quieste tres magestre 7/7

7 La prima vena es lamada cefalicey nel mezo dellafronte


8 et della testa et ave suo p’ncipio et volse aquesta vena habr<er>e x
9 a di nans de octobre dj noviembre daprillj p. dolore de
10 capo et p. reumadechi 7/7

11 La onda venamagesta es lamada e Mesonj talla p. dolore


12 del pulmon et p. asma et per tosse et volsi tagare a nueve del x
13 mes de maio et anovj del mes de novembre 7/7

14 La tergera vena maestra es llamata ecpatica que volgar


15 ciamata la vena del fegado et dela melsa overo del stomago x
16 et p. fiebre et p. autri de feti del cuerpo humano sicomo
17 trobarete que seque partitamente lopuoremo et volsi tallare
18 la secunda vena de maio et de octubre secundo galieno
19 fillosofo dige 7/7

20 D al dedo grosso della mano jnpullice sapre una vena


21 perla qualla es per letificacione del pumone et p. la tosse x

22 Artaria tallasene due vene p. asma et p. locapo ap<re>so


23 allaboca al capo aquatro dedos de mesura de almendolla x

[14r]a)

1 Dg)estreta de pecto que non pot aver un Bene


2 leva con lo vino bianco et dalo abever <.>
3 la sera et la matina et sera libro 7//7

4 Infra marito et muglier sia pace

5 Tolli pentafillom fa che lo usemangare lo marito


6 et la moglier et semp. se sera pace et eprovato ma nolo
7 vole saber nel uno nel autro 77/

8 SIa estrener lo tempo dele done


9 Tolli cosolida maior et cocilla en el aqua et puy
10 dallali abever con la polvara del corno del ciervo
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 159

11 arso et estrenera

12 SIa male de canna et anguilancia


13 Tolli lo stercor del ome et conficialo conlo mele et po
14 nello nello male et sera subito guarito

15 SIa qui avese p.duta la volla del mangar


16 Tolli folla de rosmarino et falas bolire nelacqua x
17 et dequela aqua beva conlo vino et daratela
18 volla demangar

19 SIa restanar la grande solucion


20 <.>Tolli rosmarino et falo bolire 9forte azeto et questo
21 rosmarino cosi bagnado ponilo sobra lo corpo et toste restagna
x
[14v]

1 Adh) gramde sede p. rescaldamento


2 Tolli fogas de rosmarino et falo bolire en acqua et
3 dali abeber con lo suco damela granate et subito sera
4 guarito

5 Alo sonare delle oreche p. fredo


6 x Tolli loisopo et ardello et recipe aquel fume nelo
7 oreche et sera sano

8 Ad malle de petra
9 SIgane lo fore dela bretonica et bevelo tepido per iij dj
10 et fa muto prode

11 Si male de figato et demelsa


12 Tolli la bretonica cota em el aqua et dala abever

13 Aqui avese tosicho


14 tolly lo fiore delo rosmarino collato de rabras et cocillo
15 em sieme et dequela cocitura te lave lo piede et sera guarito

16 Qui volguese purgare


17 Tolli follas de oriolla et cocille con bono vino et quelo vino
18 x bevi et quanta fronda meteras tantas voltas ana
19 ras del corpo

20 Ala femina que avese la creatura


21 morta en el corpo
22 Tolli lo suco dela bretonica con lacqua et dalle abevere
23 et parturira \ \ \ \ \ \ \ \ \ \
160 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

[15r]b)

1 De invierno
2 Ad viver sano
3 x pilla tres matines la ructa pista et mesticata con lo mele
4 et cemino stenperato con lo vino biamco et fa muto prode

5 Ad amorem intram virum et virorem hone modo


6 Rp radice erve optime valeriane et polvorica in cibum ut
7 in potum et da eis comere vel bivere ut supra caput
8 eium pone
[…] […]

[15v]

1 Quando televaras la demane aias memoria x


2 sante micael ora prome
3 Quando alustra et lampa agias amente sante
4 grabiel ora pro me

5 Ad abundanciam comestionis tue dir primo sante


6 x raphael ora pro me

7 Sia securitatem tuorum inimicorum sante auriel angele


8 ora pro me
9 Sia eumdem ad caminum ut omnes gaudeant <.> <.>
10 de adventu tuo dir sante varatiel

11 Per la infectione del corpo


12 Tolli la pallataria del muro et pistala et traene
13 lo suco et m<ete>llo en uno biquero et dalli speso
14 abever et si rege<.>ta laisale ietare et dali speso
15 abever et guarira semsa falta
16 Ad far tornar lo colore
17 Aias f 717 de zafarane et zucaro fino f – stem
18 perato com lo brodo dele zhicheles rosos et beva <.>
19 ne lasera et la matina et tornara bona color

20 Alla infiatura
21 Tollo fava enfiata farina de vena scaldale
22 quanto le poras durar et ponilo supa lo in
23 fiato et subito sera guarito

[16r]c)

1 <.> Ad comfortare lo stomaco


2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 161

2 Tolli le alegreto et mangali espeso et usaly quanto


3 poit per que comforta la genigiva dela boca et abrela
4 via delle figato et deli regnj fa ben orinare

5 A p.sona que para retropico per infiatura deli corpo


6 Tolli la Ruta quamdo es bene verde et pistalla et fane
7 inprastro com poco desale et 9vera et leva lo d<o>lor
8 Item aias seme desemelino et late de crapa et cocelo
9 e<m>se et ponelo caldo nelo ginochio et guara 7//7 <.>

10 A qui avese perduta la parola per emfermitat


11 Tolli aloe patico et destrempalo con la acqua
12 et meteli in boca quanto sia una nocela et parlara
13 Item aias xxx granela de prime et fane polve et
14 stemperalo con bono vino et metenele in boca con
15 uno cochiaro et parlara

16 x Ad restagnare lo sangre aias la ruta con le radj


17 cine et ardile ben et fane polvore cernuta et metela
18 con uno canello nello naso et restenera

19<.> Per fare dormire rp seme de papavero et stemperalo


20 con lo vino biamco et bevalo quando va al
21 letto et dormira
x
[52r]d)

1 x Incantatio ad omnes Infirmitates hominis


2 et animalium Alo nome sia di solo Diu vivo
3 et vero et de lu p. et delu f. et delu 7s7 amen et dela
4 vergen maria mater de xpo salvator et detutala
5 corte del celo amen […]
6 Ocidote vermy ocidote cramco ocidote osagro ocidote
7 fogno7 volatino ocidote gota ocidote coptura ocidote
8 <.>obolitura ocidote fluxo ocidote lupa occidote jntrace
9 ocidote <…> carbone ocidote maldefelone occidote
10 refusione ocidote remprensione ocidote infusione
11 ocidote postema ocidote fistolla ocidote omnem febrem
12 continuam ocidote febre tercana ocidote febre quar
13 tana ocidote omnem altro malem p. qual nunca
14 modo tu fusti natto p. qualnunca modo tu fuiste
15 venido p. qual modo tu fuisti aparito et p. qual mo
16 do tu fuisti radicinato jo te ocido \ \ \
17 Ocidote p. solo dio vivo et vero ocidote p. la santa
18 trinitate ocidote p. lo 7p7 per lu 7 f ocidote et amen
19 ocidote p. la vergine maria occidote p. xpo benedicto
20 ocidote p. la sua nativitate ocidote p. la sua sa<nti>si
162 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

21 ma pasione ocidote p. la sua santisima morte


22 ocidote p. la sua santisima resuresione ocidote
23 p. quele santissime 7vj7 parole qual xpo dise
24 sulacroce ocidote p. quele santisime 7v7 piage
25 ocidote p. quele 7vij7 alegreca dela vergem maria
26 ocidote per la sua santissima conpagnia ocidote
27 p. langely et p. larcangeli ocidote p. le virgine
28 et p. le virgine ocidote p. xii apostoli et p. li iiij
29 evangeliste

[52v]

1 ocidote p. li martirj et p. li confesori ocidote per l<isa>ntj


2 morentj ocido te p. le santj romitj et p. <le> sante
3 romite ocidote p. li santj et p. le sante oci<do>te p.
4 lo santo batismo ocidote p. la santa cresma ocidote
5 p. lo samto secreto dela misa ocididte ocii) p. li santj
6 cherubinj et serafinj ocido te p. le santisime profete
7 ocido te p. quela corpo santa que in roma iace ocidote
8 p. lo soli ocidote p. lestelle ocidote p. le lune ocidote p.
9 lu cello ocidote p. laqua ocidote p. lufogo ocidote
10 perla terra ocidote p. tutala corte del celo ocidote
11 per quela santissima salutacionem que fice langel ala
12 vergem maria quando del spiritus santo se ne emgra
13 vido ocidote per quelo santissimo parto que pj) par
14 turit semsa dolor ocidote p. lo suo santisimo
15 oficio ocidote per la sua santisima virginitate
16 ocidote per la sua santjsima pietate ocidote
17 p. la sua santisima humilitate ocidote p. la sua
18 santissima castitate que subito te dege sequare
19 subito te dege cessare subito te dege ocide et qui
20 non degas piú stare anthe ne va jnfundo da
21 mare et non pose ma noce a xk) xpo […]
22 […] et a santa maria fiat fiat fiat
23 amen amen amen […]
24 […]
25 dite pater noster et ave maria d questo jncanto sivole
26 fare 9 <.> multa fede et de vucione cio que […]
27 exandiscala intencione sevole fare dire per prin
28 cipio quamdo si comenca tre devote mese alaude
29 et reverenca dela trinitat et puit se fasa […]
30 la matina al […] nomi de quelo o de aquela
31 p. qui sefal)
a)
Al centro del margine superiore della carta è riportato il numero “xxiiii” della
numerazione antica.
b)
Al centro del margine superiore della carta è riportato il numero “xxv” della
numerazione antica.
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 163
c)
Al centro del margine superiore della carta è riportato il numero “xxvj” della
numerazione antica.
d)
Al centro del margine superiore della carta è riportato il numero “lxvj” della
numerazione antica.
e)
La nota tironiana è riportata con et.
f)
La lettera espunta è corretta in r.
g)
Capolettera miniata.
h)
Capolettere miniate.
i)
Depennato.
j)
Depennato.
k)
Depennato.
l)
BCGR, Herbarium.
I frammenti testuali riportati sono trascritti da tre sezioni diverse del
codice. I passaggi, vergati presumibilmente da altrettante mani,558 sono
redatti in un volgare dell’Italia mediana.559 Valgono come indizi a questo
riguardo il mantenimento della sorda intervocalica visibile in: “de petra”
(14v 8), “suco” (14v 3; 15v 13), “stomaco” (16r 1) o “cochiaro” (16r 15),560
il dittongamento di e in sillaba libera di: “piede” (14v 15),561 il mante-
nimento di i iniziale in: “ietare” (15v 14) e “iace” (52v 7),562 la forma
dell’articolo maschile singolare563 di: “lo vino”, “lo tempo”, “lo stercor”,
“lo corpo” (14r 2, 8, 13, 21), “lo suco” (14v 3), “lu cello”, “lufogo” (52v
9), “de lu p. et delu f. et delu 7s7” (52r 3), “per lu 7 f ” (52r 18). Negli stessi
passaggi si riscontrano però anche dei fenomeni che, se considerati di area
linguistica italiana, andrebbero a caratterizzare la produzione testuale in
senso settentrionale. Tra questi vanno segnalati la caduta della vocale
finale: “pulmon”, “volgar” (2r 14), “bever”/“beber” (14r 2, 10; 14v 3, 12;
15v 14, 15), “muglier” (14r 4), “solucion” (14r 19), “viver” (15r 2), “color”
(15v 19), “d[o]lor” (16r 7; 52v 14), “emfermitat” (16r 10),564 così come
l’articolazione alveolare (e fricativante) delle affricate palatali e dentali che
s’intravede in: “jncomencare”, (2r 4) “solucion” (14r 19), “azeto” (14r 20),
“semsa” (15v 15; 52v 14) “de vucione” (52v 26), “comenca” (52v 28),
“reverenca” (52v 29), “resuresione” (52r 22), “fasa” (52v 29)565 o, ancora, la

558 Cfr. Savoia/Strocchi 2001, § 10.


559 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/italia-mediana_%28Enciclopedia-dell%
27Italiano%29/.
560 Cfr. Rohlfs 19966 – 69, § 207. Si noti in quest’ultimo lessema anche il suffisso
-aro.
561 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 123. Ma si veda anche: “bona(-o)” (15v 19, 16r 14).
562 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 158.
563 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 418.
564 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 143.
565 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 290.
164 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

lenizione consonantica che in alcuni casi fa prevalere la sonorizzazione sul


mantenimento di sorda intervocalica: “habr[er]e” (2r 8), “dige” (2r 19),
“fegado” e “stomago” (2r 15), “bagnado” (14r 21), “sede” (14v 1), “fogo”
(52v 9),566 senza dimenticare l’articolo “el”567 (2r 2, 5; 14r 9; 14v 12, 21).
L’ipotesi di avere a che fare con un compilatore di area linguistica set-
tentrionale è sostenuta da Vitale Brovarone, lo studioso a cui si deve il
censimento e il primo spoglio linguistico di questo manoscritto della
biblioteca riminese.568 Questa ipotesi, in parte suggerita dal luogo di
ritrovamento del codice della cui storia però ben poco è ricavabile, non
impedisce comunque allo stesso Vitale Brovarone di valutare come
quanto si può leggere in chiave linguistica settentrionale sia altresì ca-
ratteristico della lingua spagnola.569 A caratterizzare inequivocabilmente
in senso iberico la raccolta sono innanzitutto le forme dittongate “no-
viembre” (2r 9, 13) e “invierno” (15r 1), come pure, dal punto di vista
grafico, la congiunzione/il pronome “que” (2r 14, 17; 14r 1). Occorrenza
fonetica collocabile in ambito castigliano è anche la protesi vocalica
presente ad esempio in “estrener” (14r 8), “estrenera” (14r 11), “espeso”
(16r 2), al pari della semiconsonante palatale in cui si risolve il nesso CL
rappresentata dal (di)grafema <(l)l> in “lamata”/“llamata” (2r 7, 14). In
ambito morfologico vanno rilevate le forme del participio “venido” (52r
15), in ambito lessicale i lessemi “sangre” (2r 1, 3; 16r 16), “muglier” (14r
4), “falta” (15v 15), “tres” (2r 5, 6; 15r 3). Desta ancor più interesse la
presenza dei plurali sigmatici: “fogas” (14v 2), “follas” (14v 17), “matines”
(15r 3), “zhicheles rosos” (15v 18), “dedos” (2r 23) e, non per ultimo, la
forma del predicato “es” (2r 7, 11, 14, 21; 16r 6). Ma la commistione tra
idioma castigliano e italico, più che nelle presunte convergenze sonoriz-
zate delle occlusive intervocali o nell’apocope delle vocali finali – vedasi
“volgar” (2r 14), “mangar” (14r 15, 18), “durar” (15v 22) – si avverte in
primo luogo proprio nelle forme in cui si distingue una morfologia mista

566 Cfr. Vitale Brovarone 2006, 53.


567 Cfr. l’occorrenza di el nel Libro di ricette e secreti (infra, par. 2.3.2.1.); cfr. Rohlfs
1966 – 69, § 417.
568 Vitale Brovarone 2006, 52 – 53. Il codice miscellaneo dell’Erbario Gambalun-
ghiano è censito nel progetto di ricerca RISTORANTI: RIcerca e STORia di
ANtichi Testi Italiani coordintato da Vitale Brovarone (ivi, 47; cfr. www.plu-
teus.it).
569 In spagnolo peraltro, come avverte già il catalogatore della Gambalunghiana, è
scritta per intero la sezione con notizie utili a chi voglia recarsi in pellegrinaggio a
Roma (cc. 159 – 161).
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 165

o una mescidanza tra lessema di base ‘italiano’ e suffisso spagnolo.570


Come dimostrano le alternanze tra le forme dell’ausiliare in congiuntivo
“[a]ias” (15v 1, 17; 16r 8, 13, 16) e “agias” (15v 3), la seconda delle quali,
per l’affricazione della semiconsonante intervocalica, riconducibile al pari
di “degas” (52v 20)/“dege” (52v 18, 19x2) all’area italiana, o anche le
forme “falas” (14r 16), “meteras” (14v 18), “poras” (15v 22)571 con mor-
fema lessicale italiano e morfema grammaticale spagnolo,572 nel corso
dell’opera si mantiene costante la predisposizione a passare con “straor-
dinaria facilità” da un tipo linguistico all’altro, “senza switching rilevanti”,
ma piuttosto “di parola in parola”.573 Secondo la suggestiva conclusione di
Mariani Canova/Meldini/Nicolini, il compilatore del codice parlerebbe
nientemeno che “la lingua di Salvatore, il personaggio de Il nome della
rosa: una disinvolta miscela di lemmi e costrutti spagnoli e dell’Italia
centrale, latini e francesi [sic]”.574

2.3.2.3. Riassumendo: commutazione-adattamento e traduzione


orizzontale
Tornando al primo caso di mistilinguismo analizzato in questo sottoca-
pitolo, il Libro di ricette e secreti, si è ritenuto verosimile considerare, in
base alle “forti […] spie linguistiche”575 presenti nel testo, che si trattasse
di una copia redatta sulla base di un originale di provenienza dell’Italia
settentrionale. Le peculiarità linguistiche che rimandano all’Italia me-
diana e meridionale estrema possono interpretarsi invece come segnali del
passaggio dell’opera in queste regioni.576 Più precisamente, non sembra
improprio avvallare l’ipotesi di una compilazione avvenuta per mano di
un maestro di origine peninsulare stabilitosi in Sicilia per mettere a
disposizione di novizi e pazienti le conoscenze pratiche e teoriche dell’arte
appresa. Ciò che risulta particolarmente interessante per la presente in-
dagine, in merito alla presunta provenienza alloctona dello scrivente, è il
fatto che il suo sincretismo idiolettale si rifletta in una produzione te-

570 Vitale Brovarone 2006, 53 e 61.


571 Altrove si trova anche “mangaras” (Vitale Brovarone 2006, 53).
572 Senza menzionare il sincretismo dell’aggettivo indefinito composito “qual nunca”
(52r 13, 14).
573 Vitale Brovarone 2006, 53.
574 Mariani Canova/Meldini/Nicolini 1988, 178. Del francese non si ha in verità
alcuna traccia, mentre si tralascia in questa sede di esaminare la mescidanza
linguistica che vede partecipare, oltre all’italiano e al castigliano, anche il latino.
575 Patti 2004, 225.
576 Patti 2004, 225.
166 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

stuale linguisticamente eterogenea. La matrice linguistica settentrionale


del testo non rappresenta però alcun ostacolo per la comunicazione con
parlanti autoctoni, dato che lo scrivente non sente la necessità di espri-
mere alcuna valutazione metalinguistica. La facies linguistica del testo non
pare del resto mettere in condizioni di disagio nemmeno il lettore sici-
liano, dal momento che non una glossa si registra a margine o in inter-
linea. Questa circostanza conferma come alla forma linguistica venga
conferita, in quest’epoca, una rilevanza assolutamente marginale e chia-
ramente subordinata alla sfera dei contenuti. La disomogeneità linguistica
va anzi considerata forse un vero e proprio marchio di qualità e auten-
ticità, essendo la natura eclettica della lingua, nei generi testuali presi in
esame, in sintonia con il sapere tramandato altrettanto composito ed
eclettico.
Nel secondo caso analizzato, l’Herbarium, si ravvisa una sorta di
continuum diatopico frutto della concertazione di due idiomi facenti
capo, dalla prospettiva odierna, a due diversi sistemi linguistici. Consi-
derata la distanza strutturale non certo invalicabile e non pregiudizievole
di mutua intelleggibilità, è tuttavia necessario distinguere la tipologia di
multilinguismo messa in luce da un Libro di ricette e secreti da quella di un
Herbarium? O siamo piuttosto di fronte a due categorie per certi versi
analoghe? Nel primo caso è stato possibile individuare una varietà
dell’Italia settentrionale che costituisce la struttura portante del testo e
una sensibile patina sicilianizzante che ricopre questa struttura. Nel se-
condo si riscontra invece in qualità di matrice linguistica una varietà
dell’Italia centrale e si rilevano sostanziose tracce che riconducono alla
penisola iberica. Le cautele che si sono mostrate necessarie nell’attribuire
la compilazione del Libro di ricette e secreti ad uno scrivente di origine
alloctona stabilitosi in Sicilia sono doverose, mutatis mutandis, anche nei
confronti dell’Herbarium. Alle spie di natura intrinseca (morfologia del
plurale e coniugazione del futuro, forma es del predicato) che indicano
come ipotesi più plausibile l’origine alloctona dello scrivente577 si con-
trappongono però quelle di natura estrinseca che riguardano l’assem-
blaggio dei manoscritti con l’Herbarium di provenienza toscana descritto
in apertura di paragrafo avvenuto in epoca antecedente, anche se forse

577 Cfr. Vitale-Brovarone 2006, 53 e 61. Ma anche questi fenomeni in fondo, come
pure i fenomeni di ambito fonografematico quali dittonghi, sonorizzazioni
consonantiche, apocope e prostesi vocalica, nonché i prestiti lessicali, potrebbero
entrare a far parte anche di quei tratti ‘prototipici’ o presunti tali facilmente
acquisibili e imitabili anche in condizioni di contatto linguistico solo superficiale.
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 167

solo di pochi decenni, al 1464 e il fatto che il codice sia a tutt’oggi


conservato in Italia. Si deve forse pensare, come giunge a concludere
Vitale Brovarone, ad un “copista-compilatore attivo in Italia, attribuendo
di conseguenza i tratti iberici ad un momento precedente della sua
vita”?578 Si può certamente considerare plausibile l’ipotesi avanzata da
Mariani Canova/Meldini/Nicolini di avere a che fare con un medico di
origine ebraica immigrato in Italia per sfuggire alle persecuzioni cui erano
sottoposti gli ebrei spagnoli dalla fine del secolo XIV fino alla fatale
espulsione disposta dai Re Cattolici nel 1492.579 Sarà superfluo ricordare
come questo deflusso di ebrei per lo più colti e agiati riguardi in maniera
tutt’altro che marginale anche lo spazio comunicativo siciliano, che co-
nobbe come i restanti territori della corona spagnola una sensibile inci-
denza emigratoria.580 In questo caso si avrebbe a che fare con un com-
pilatore alloctono plurilingue che, nell’interazione comunicativa con
novizi e pazienti autoctoni, redige una traduzione orizzontale a partire da
un antigrafo spagnolo in cui lascia confluire fenomeni anche ipercarat-
teristici della sua L1.
È però altrettanto lecito avvallare l’ipotesi di uno scrivente di origine
autoctona che abbia magari trascorso un periodo della sua vita nella
penisola iberica e che, tornato nel suo luogo di origine, si trovi ad eser-
citare la prassi di guaritore a stretto contatto con parlanti ispanofoni.
Tornando al raffronto con il Libro di ricette e secreti (cfr. infra,
par. 2.3.2.1.), i due codici si potrebbero definire in questo caso com-
plementari in quanto a tipologia di mistilinguismo esibito. Pur predili-
gendo il sistema dominante del suo repertorio per la matrice della pro-
duzione testuale (volgare italo-settentrionale nel primo caso, volgare
mediano nel secondo), lo scrivente lascia affiorare con estrema disinvol-
tura, magari per incrementare l’indice di accettabilità del messaggio
presso il pubblico di fruitori, elementi iperconnotati dell’altro sistema
(siciliano nel primo caso, castigliano nel secondo), il tutto senza attenersi
con estrema rigidità alle ‘regole’ di un’unica lingua.
Il codice riminese rappresenta un caso al momento non rappresen-
tativo dal punto di vista quantitativo, prestandosi piuttosto a fungere da

578 Vitale Brovarone 2006, 53.


579 Mariani Canova/Meldini/Nicolini 1988, 178. I ripetuti richiami alla tradizione
di Avenzoar parrebbero confermare tale ipotesi, fermo restando che non sono
marginali nemmeno i cenni alla cultura cristiana (ibid.).
580 Zaggia 2003, I, 26 ssg.
168 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

campione apri-fila di una rispettiva categoria,581 ma lo si può ritenere


rappresentativo del fenomeno, certamente non unico e non isolato, della
mescolanza non consequenziale, non stratificata e non indotta da modelli
di riferimento, ma frutto della compresenza di più sistemi linguistici nel
repertorio dello stesso autore-compilatore. Tra i manoscritti segnalati da
Vitale Brovarone nello spoglio sistematico del patrimonio archivistico
eseguito dal suo gruppo di ricerca si menziona un altro codice che ri-
sponde ad una descrizione simile a quella dell’Herbarium. Si tratta di un
erbario-ricettario conservato nella Cushing Withney Library dell’Uni-
versità di Yale a New Haven, attribuito solitamente al sec. XIV, ma
verosimilmente da postdatare di almeno un secolo in virtù di alcune
menzioni alla sifilide quale “mal de Iob”, denominazione attestata per la
prima volta nel 1498.582 In esso si distinguono ben quattro idiomi: latino,
francese, provenzale e ‘italiano’, ma non mancano nemmeno elementi da
attribuirsi al castigliano.583 Il volgare italiano, rileva Vitale Brovarone,
rimanda in quanto a scelte lessicali e dittongamenti metafonetici all’Italia
meridionale, più precisamente alla zona compresa tra la Calabria set-
tentrionale, la Campania meridionale e la Basilicata tirrenica.584 L’alter-
narsi del volgare di riferimento pare configurarsi, in questo caso, nei
termini di un “code switching sottoposto a norme non rigide, ma tipo-

581 Vitale Brovarone 2006, 53.


582 Vitale Brovarone 2006, 51. Cfr. il manoscritto del Trattato delle virtù delle erbe
analizzato in par. 2.1.1., nel quale si fa ancora riferimento alla sifilide come male
di san Men.
583 Vitale Brovarone 2006, 51. Si riporta a titolo di esempio un breve passaggio
testuale trascritto dalle cc. 54v e 60v : “Recipe pomum unum et crosa eam, idest
lieve con ung cutelle une piece de sus, c’est assavoir unum modicum. Postea soyt
crosce et levé le corps dedens. Postea replesas, seu adimpleas de zuccaro, et post
cooperias de la piece que a levade, et involve bene cum stupis canbri, et pone
super decopcionem. Deinde extrahe, et habeas lac mulieris, lact femene, et aqua
rosata cum discrepcione, et incorpora simul. Fiat emplastrum et pone super
oculum rubeum. […] Recipe sucho d’assenczo, de celidonia, aqua rosata, vino
albo optimo e subtille tanto de l’uno come de l’autre, et miscolla in una ampulla
de vitro, et coprilla cum pasta grossa, et mettila in lo forno quando si metti lo
pain, e quando è cotto le pain, tra’fora l’ampolla del forno, mettivi dentro ung
pocho de zuccaro fini et ung pocho de tyriacha fino, et de camphora et de
sarcacolla, et pulvere de garofani, et miscolla insieme, et metti a le sereno per
paraiche notto, et en questo aque et miraculosa a ongni mal d’ochi, mais non
fayre plena l’ampolla quando tu la metti nel forno per que non trebuche, et sya
ben aturada” (da: ibid. 2006, 51).
584 Vitale Brovarone 2006, 51.
2.3.3. Coalescenza 169

logicamente ricorrenti”585 e va interpretato ancora una volta non certo


come testimonianza di una realtà linguistica estesa ad un’ampia fronda
della popolazione, pur non così inverosimile in una regione che conobbe
comunque un’importante assorbimento della cultura angioina prima e
francese poi, storicamente comprovate dalla presenza di colonie come
quella di Guardia Piemontese,586 ma come una prerogativa della figura
professionale del medico-guaritore, custode e moltiplicatore di un sapere
e di esperienze linguistiche composite, “che nel testo si compongono e
scompongono con facilità e ricorrenza”.587 Un’attenta analisi dell’intera
serie di testi permette di congetturare, non per ultimo sulla base delle
attitudini grafiche non italiane, di trovarsi alle prese, in questo caso, con
un medico-compilatore di formazione linguistica galloromanza stabilitosi
per lungo tempo, stando alla tenace influenza italoromanza, nell’Italia
meridionale.588 Uno scrivente che attinge da modelli espressivi, fonti e
conoscenze considerate in quel periodo storico e in quella compagine
socioculturale appropriate a quella determinata situazione comunicati-
va.589
Il genere di mescidanza linguistica che mostrano questi testi porta in
definitiva ad ampliare il concetto di scripta o koinè 590 contemplando in
esso anche il fenomeno di adattamento fra più sistemi che nell’epoca in
questione non si considerano evidentemente così distanti da impedire il
generarsi di una lingua per certi versi “mista, aleatoria ed effimera, ma pur
sempre a suo modo costruita”.591

2.3.3. Coalescenza

Con il Recettario secreto e l’Opera e ricette di alchimia, nel prossimo pa-


ragrafo si tornerà ad esaminare la comunicazione tra locutori autoctoni
siciliani cercando di cogliere le caratteristiche del sistema linguistico preso
da modello nella prima età moderna rispetto alla scripta siciliana quat-
trocentesca. L’analisi verte in particolare sull’incidenza nei testi e, da
questi, nello spazio comunicativo dei compilatori dell’elemento toscano.

585 Vitale Brovarone 2006, 52.


586 Vitale Brovarone 2006, 51.
587 Vitale Brovarone 2006, 52.
588 Vitale Brovarone 2006, 52.
589 Vitale Brovarone 2006, 62.
590 Cfr. Vàrvaro 1984, 1990, 2004a.
591 Vitale Brovarone 2006, 61.
170 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

2.3.3.1. Il Recettario secreto (sec. XVI)


Il codice conservato nella Biblioteca Comunale di Palermo ai segni 2Qq
D 122 (v. fig. 7) racchiude una raccolta di precetti medici e consigli
terapeutici composta da 70 cc. numerate. Come ravvisa Musso, lo stu-
dioso che ha riportato alla luce e posto all’attenzione dei linguisti il
prezioso ricettario cinquecentesco, la raccolta è dotata di un’esplicita di-
chiarazione di appartenenza che offre allo stesso tempo una precisa co-
ordinata temporale: “Quisto libro loscrissy achille graffeo condam lelio
diPalmo Ingenua addy xxxj diottobre 1536 undi era sua m.c.” (2r 1 – 2).
Dalla stessa annotazione è inoltre possibile inquadrare sin da subito il
manoscritto in un contesto sociale assai elevato come quello di un équipe
di medici al seguito nientemeno che di sua Maestà Cattolica.592 Questa
operazione è legittimata anche dalla menzione che si fa ad un altro viaggio
e ad un altro importante membro della casa reale nell’incipit vero e
proprio della farmacopea, descritta a c. 2v come un “Extratto del recet-
tario secreto del sermo re fernando daragona re dinapoli elvechio”. Il nome
di Achille Grafeo, alla cui mano si deve la composizione del nucleo
originario del testo (cc. 2v-40r), è peraltro ricollegabile senza troppe dif-
ficoltà alla discendenza di Benvenuto Grafeo (cfr. infra, par. 2.1.1.),593
medico ebreo del secolo XV autore del trattato De oculorum affectibus. 594
L’opera del Recettario secreto, priva sia di un prologo che di un indice delle
rubriche, si presenta dunque come un “Extracto” di segreti terapeutici
prelevati da una raccolta più ampia. L’ordine delle ricette è strutturato
sulla fisionomia del corpo umano a capite ad pedes: dai disturbi legati alla
testa (memoria, vertigini, dolori agli occhi, alle orecchie, ai denti, alle
gengive, ecc.), passando per i rimedi contro la tosse, i disturbi intestinali, i
dolori reumatici, ecc. per giungere a quelli legati a sterilità e impotenza.
Non mancano nemmeno consigli in materia cosmetica come quelli per la
cura e la tintura dei capelli o la per la depilazione e la pulizia del viso.
Questi consigli vanno lentamente sfumando, attraverso disposizioni di
natura più tecnica (indicazioni per comporre collanti o smacchianti, ecc.)
nei segreti dell’arte alchemica, svelati in alcune ricette che descrivono i
procedimenti utili ad estrarre oro e argento fino da metalli impuri.595

592 Musso 2007, 176. Sul viaggio di Carlo V in Italia al termine dell’impresa militare
di Tunisi e sulla letteratura encomiastica del tempo in merito alla visita
dell’imperatore alla città di Genova si veda Zaggia (2003, I, 59 – 107).
593 Musso 2007, 176.
594 Cfr. Rapisarda 2001, l.
595 Cfr. Musso 2007, 176.
2.3.3. Coalescenza 171

Quasi a dimostrazione di una certa consapevolezza nell’essere in procinto


di allontanarsi dai temi più ortodossi della medicina pratica, tra le cc. 40r
e 45r il compilatore annuncia per ben tre volte consecutive, mediante le
parole “finis receptarii”, o anche solo “finis”, la conclusione ex abrupto
della trattazione. La posizione della prima formula di organizzazione
testuale al margine di c. 40r tradisce però la sua seriorità rispetto alla
redazione delle rubriche seguenti, messe a punto senza una vera soluzione
di continuità. A confermare il carattere composito delle rubriche che
occupano le cc. 40v-69r è poi la circostanza che in esse si susseguono non
solo diverse tematiche non propriamente legate alla composizione di
medicamenti e alla cura di malattie, ma anche diverse mani. Il codice, da
questo momento in poi, si caratterizza infatti come il frutto di un lavoro
eseguito da più compilatori. Come fanno intendere le lettere di ampiezza
costante impaginate in uno specchio regolare e privo di rilevanti spazi
vuoti, non ci si trova però di fronte, come nel caso del Trattato delle virtù
delle erbe o del Lapidario (cfr. infra, parr. 2.1.1. e 2.2.1.1.), ad un’opera
redatta da una sola mano poi ampliata, rimaneggiata o glossata in epoca
seriore da altri autori-compilatori, ma ad una composizone vergata si-
multaneamente da più mani che si alternano l’una all’altra.596 Il primo
avvicendamento si registra in maniera dirompente al centro di c. 42r, dove
al titolo vergato ancora dalla mano principale di Achille Graffeo “A ffari
colla fortissima che stia in foco et acqua p. ongni cosa” fa seguito un’altra
mano che verga quella e altre cinque ricette dello stesso genere, prima che
la rubrica dal titolo “ad fare argento fino” redatta in fondo a c. 42v da
questa seconda mano sia proseguita, come rivela uno scambio di penna
analogo al primo, dal primo e principale compilatore. Graffeo porta
dunque avanti la trattazione dedicandosi a tematiche inerenti l’alchimia
fino a c. 44r, dove annuncia per la seconda volta di essere giunto al
termine del ricettario. Al “finis” di centro pagina segue una ricetta per
comporre “pillule ad purgandum cerebrum” che lo stesso autore dichiara
aver visto fare da dei giudei nella città di Genova “die xxviii Settembris
1536”, data assai ravvicinata a quella dell’incipit che si conferma così un
valido terminus post quem. Dopodiché, il testo continua con alcune ru-
briche in latino, tra cui due scongiuri per sollecitare la provvidenza,
l’ultimo dei quali intitolato “oraciones deo dabit” (45r), prima che in esso
venga proferita per la terza e ultima volta la formula “finis”. La ricetta
“contra muscas ut non intrent ad cameram vel aliud habitaculum” che
segue parrebbe ad un primo sguardo essere frutto dell’opera congiunta di

596 Cfr. Musso 2007, 176.


172 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

due diversi scriventi, il secondo dei quali subentrato ancora una volta
currenti calamo al primo. Si verifica infatti una cesura abbastanza netta
addirittura nel bel mezzo di una rubrica, tra la stesura del primo periodo:
“combure varios ficulnee viridis ut inde maior fumus fiat:” e la frase suc-
cessiva “et si fuerint ficulnee silvestres magis valent” che mostra un ductus
più corsivato e una conformazione diversa di numerose lettere, soprat-
tutto la c, resa ora sotto forma di due linee ad angolo retto e simile ad una
r, piuttosto che di v iniziale, dotata ora di uno svolazzo ad uncino.
Esaminando attentamente quanto prodotto dalla mano principale fino a
quel punto è tuttavia possibile, almeno in questo caso, ipotizzare anche si
tratti di una scrittura dello stesso autore, ma più sbrigativa. Le divergenze
che riguardano la realizzazione delle lettere all’interno di questa ricetta
possono essere cioè considerate varianti realizzate dalla stessa mano, alla
quale i tratti grafici della seconda calligrafia non sono poi del tutto
sconosciuti nemmeno nei passaggi più controllati. Questa serie di ricette
adespote apportano alcuni contributi sulle procedure da realizzare per la
prevenzione di determinate infezioni e pestilenze: “contra febres tertia-
nas”, “ad febricitantes”, “ad quartanam” per poi passare a c. 46v a tema-
tiche affini: “ad morbum caducum”, ecc. e sconfinare infine nella divi-
nazione di malattie: “ad conoxendum utrum omo abiat/morbum
caducum” o, addirittura, nella realizzazione di incanti e fatture: “ut facias
aliquam amittere”, specialmente “ad amorem”.597 Alle cc. 49v-51v, Achille
Graffeo cede nuovamente la penna ad un’altra mano, anch’essa una
corsiva cinquecentesca, che amplia il ricettario a partire da un foglio già in
parte occupato da una ricetta non portata a termine, ma anzi depennata
con una serie di tratti diagonali. Questo ulteriore compilatore intercala
ricette di pozioni magiche come quella “per fare acqua di fare dormire”
(50v) con ricette di cucina, ad esempio la “Rta per fare li mortadelli” (50r).
Alla stessa mano si devono, inoltre, la penultima rubrica del ricettario a c.
67r contro i calcoli renali e le prime due ricette rispettivamente contro “li
murriti” e “i porretti” riportate a c. 2r in epoca evidentemente (di poco)
posteriore a quella di confezionamento del codice.598 Le ricette di cucina,
pari a dieci e redatte tra le c. 49r e 57r, sono state esaminate attentamente

597 Ma le fatture ad amorem (c. 48v.) sono state rese illeggibili dallo stesso scrivente, a
dimostrazione di una certa esitazione nel trattare di materie non conciliabili con
la cultura religiosa ufficiale.
598 Mentre lo scongiuro che segue le due ricette di c. 2r è ad opera della stessa mano
che aggiunge, al termine di c. 50v, un rimedio “ad ongni infirmitate”, oltre che le
lunghe sequenze di prescrizioni che da c. 50v al termine della trattazione si
avvicendano con le parti redatte invece da Achille Graffeo.
2.3.3. Coalescenza 173

da Musso,599 che riconosce come la presenza di ricette alimentari non sia


del tutto ingiustificata all’interno di una farmacopea, dove la cura delle
malattie è spesso collegata alla mistura di particolari sostanze nel cibo da
somministrare al paziente.600 Le rubriche dal tema culinario presenti nel
Recettario secreto risultano però sostanzialmente disconnesse dall’ambito
terapeutico e rappresentano interpolazioni coerenti con il resto della
trattazione solo nella misura in cui questa venga concepita come “aperta
strutturalmente ad accogliere […] inserti con il solo intento di accu-
mulare segreti”.601 Chiudono il codice alcune ricette dal carattere igie-
nico-sanitario vergate su di un nuovo fascicolo a cc. 68 – 69. Come os-
serva Musso, quest’ultima sezione è redatta in corsiva minuscola da mano
differente e in epoca seriore, “a testimonianza di una lettura assidua e di
un uso non passivo della silloge da parte di personaggi appartenenti ad
ambienti medici non ufficiali o semi-ufficiali che operavano nell’isola”.602
I frammenti del codice che si prenderanno in esame nell’immediato
seguito fanno capo a ciascuna delle mani che hanno contribuito alla
compilazione del nucleo cinquecentesco. Le prime tre rubriche trascritte
sono quelle che a c. 2r colmano lo spazio lasciato originariamente vuoto
con disposizioni per guarire emorroidi e porri. La seconda di esse, per il
ricorso che si fa a formule rituali nel momento in cui si dispone di
sotterrare una canna sulla quale siano stati incisi tanti segni quanti sono i
porretti da seccare, funge da tramite al mondo dell’occulto, all’interno del
quale si muove palesemente la terza rubrica redatta in una lingua ignota,
ma dai significanti pseudolatini che riporta i versi di un’orazione per
scacciare gli spiriti dal corpo di un posseduto. Le ricette di c. 42r si
dedicano invece alla produzione di collanti a base di bianco d’uovo,
polvere di tegola, ruggine di ferro e calce viva, oltre che alla decorazione
di ossa d’animale con l’utilizzo di ceneri colorate. Da c. 50v a c. 52r si
trovano, in ordine, delle procedure per comporre un sonnifero e un
unguento contro la gotta o podagra mischiando rispettivamente polvere
di oppio con una testa di aglio e tre olii differenti con del midollo di bue.
La c. 52r, vergata dalla mano di Achille Graffeo, contiene disposizioni di
natura cosmetica in merito alla composizione “senza foco” (52r 4), ma per

599 Musso 2007, 176 ssg.


600 Cfr. Naso 1999, 184.
601 Musso 2007, 177. Un caso a se stante, per la sua natura bipartita di ricettario di
medicina da un lato e di trattato di mascalcia dall’altro, è il codice di “Apparecchi
diversi da mangiare et rimedii” (Mancusi Sorrentino 1993) altrimenti noto come
“manoscritto lucano” (Süthold 1994).
602 Musso 2007, 176.
174 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

mezzo di calcina e salvia, di un “sapone bianco” (52r 8) a base di cenere e


acqua. La bontà di una siffatta “lissia” (52r 15) è da testare, secondo
l’autore della ricetta, immergendovi un uovo fresco che dovrà affiorare in
superficie come se fosse sodo. La sezione che comprende le cc. 60v-67r
prende il via da consigli anch’essi di natura cosmetica: “Per fare li denti
bianchi” (60v 1) risciacquando la bocca con un impasto di “radicata della
serpentara” (60v 2) piuttosto che con un colluttorio a base di gomma
arabica, mirra e “sango de dragone” (60v 10). Seguono ricette di medi-
camenti tra cui un unguento contro le ustioni, da preparare con i rami
verdi del sambuco bolliti assieme a vino bianco e olio comune, una ricetta
contro i dolori muscolari e la sciatica a base di “trimintina veniciana” (61v
8) e di sandali “russi et bianch.” (61v 9), gli olii viscosi prodotti dalle
piante della famiglia di conifere,603 leguminose e santalacee,604 oltre che di
oppio, zafferano, pece nera e dei consueti consolida maggiore e
“sang<o> dragoni” (61v 10). La ricetta che a c. 61r enumera gli ingre-
dienti e delucida le modalità di preparazione di uno sciroppo per guarire
“la Jnfermita deasima” nell’arco di quaranta giorni prevede che il paziente
ingerisca il preparato la mattina presto al pronunciare del Padre Nostro
assumendo per tutta la durata del trattamento un atteggiamento devoto e
riverente. La rubrica “allo parto delli donnj” (61r 1) che precede questo
rimedio, sempre sulla stessa carta, prescrive inoltre l’utilizzo di un amu-
leto (le radici di asparagi) da appendere al collo della partoriente per
scongiurare il dolore mediante l’intercessione della Santa Trinità: “In-
nomin<.> <…> patris et filij et spiritus sancti Amen” (61r 4 – 5). Nelle
ricette di c. 62r, la prima per porre rimedio all’oturazione delle vie biliari,
“l opilatione del ficato” (62r 1), la seconda e la terza per dissolvere i calcoli
renali: “Ad male de fianco et mal dipetra et arinella” (62r 17), si fa
riferimento ad un personaggio storico di spiccato rilievo che avrebbe
sofferto di tali disturbi, il “Rmo Cardinal Colonna” (62r 2).605 Dopo

603 http://it.wikipedia.org/wiki/Trementina.
604 http://www.treccani.it/enciclopedia/sandalo_res-70 f9c82b-edb7 – 11df-9962-
d5ce3506d72e/.
605 Considerando che il celebre vicerè di Sicilia Marcantonio Colonna, figlio
dell’avvenente Giovanna d’Aragona, vide la luce solo nel 1535 e predilesse la
carriera delle armi (coronata dai meriti acquisiti nella battaglia di Lepanto in
qualità di ammiraglio pontificio) (cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/mar-
cantonio-colonna_(Dizionario-Biografico)/) e considerando che un altro possi-
bile personaggio di riferimento della dinastia Colonna, Marcantonio Colonna
seniore figlio dei nobili romani Camillo e Vittoria Colonna vestì l’abito purpureo
solo nel 1565 (cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Marcantonio_Colonna_(cardi-
2.3.3. Coalescenza 175

questa rubrica se ne trovano alcune di tenore terapeutico come quella


contro i porretti che, in luogo di formule propiziatorie, propone questa
volta un’incisione delle parti lese con successivo medicamento tramite la
consolida maggiore, o quella contro doglie “per homo […] et non per
donna” (62v 1) che suggerisce, al fine di vedere “cosa mirabilj” (62r 24), di
mescolare il tuorlo di un uovo con lo sterco di gallina, cospargere il tutto
di cannella e somministrare a sua insaputa la medicina al paziente di-
giuno, alternate ad altre di natura altrettanto magica, se non più magico-
occulta ancora delle ricette che si trovano nell’immediata apertura di
ricettario. In una di queste rubriche più eterodosse si prescrive di curare il
“mali dilo frido” (62v 20) somministrando all’infermo che dovrà recitare
tre volte il Padre Nostro e altrettante volte l’Ave Maria a lode della Santa
Trinità la terza parte di un’ostia con su scritte le parole: “Deus p.r alpha
& /o/ Jesus christus filius redemptio”. Una seconda variante dello stesso
rimedio contro il freddo prevede di donare al paziente l’ostia intera,
questa volta con incisa la formula: “spiritus quidem prontus est, caro
auctem Infirma fiat voluntas tua” (63r 7 – 8) seguita da cinque segni della
croce. Per la cura della febbre terzana, invece, si suggerisce a c. 62r 17 di
fare ingerire al malato un’ostia su cui siano riportate le parole “pater est
pax: filius est vita: spiritus san<ctu>s est remedium”. La “Recepta per
ferita et muzicum di cani arrabiato” di c. 63r, a sua volta, rappresenta in
realtà uno scongiuro da recitare tre volte consecutive durante un rituale
guaritorio in cui la ferita del paziente viene tamponata per mezzo di un
panno di lana intriso di olio comune. La formula dello scongiuro, inte-
ramente in volgare, ripropone ancora una volta (cfr. infra, par. 2.2.2.1.) il
tipico schema: come x, anche y – in questo caso negata: come non (successe)
x, non (succeda neanche) y. Come nella rubrica 211.1 del Thesaurus
Pauperum (cfr. infra, par. 2.3.1.1.), poi, anche questo scongiuro del Re-
cettario secreto rievoca la figura di Longino che inflisse una “lanzata” a
Cristo reclamando l’intercessione dello stesso Gesù Cristo e della Vergine
Maria in virtù del fatto che nemmeno la piaga del Salvatore si putrafece
né si inverminò. L’aiuto divino è invocato anche in altre ricette, tra cui
quella di c. 67r che indica di spaccare con una spada il guscio di una
tartaruga, estrarre da essa il fegato ancora caldo e apporlo sugli occhi

nale_del_XVI_secolo)), il menzionato Reverendissimo non può che essere Pom-


peo Colonna, condottiero-cardinale che esercitò le funzioni di luogotenente del
Regno di Napoli dal 1530 fino al suo decesso nel 1532 (cfr. http://www.trec-
cani.it/enciclopedia/pompeo-colonna/; http://it.wikipedia.org/wiki/Pompeo_Co
lonna).
176 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

dolenti, operazione da ripetere per tre sere di seguito sacrificando al-


trettanti animali. Le rubriche dal tema medico-terapeutico di cc. 63v e 67r
suggeriscono poi di curare l’empetiggine: “pitinij” (63v 21) facendo ri-
corso al succo della celidonia, quelle di c. 63v e 65v di stoppare il flusso di
sangue con il bianco o il rosso d’uovo appena fatto e quelle di c. 65v-67r
di eliminare il mal di fianco e le coliche, oltre che mediante l’utilizzo di
clisteri, con impacchi di aceto bianco e olio rosato, unguenti di sterco di
colombo, assenzio e finocchi o con l’assunzione per via orale tanto del
succo di cipolla mescolato allo zucchero, quanto di bevande a base di
malvasia o acqua vite in cui siano mescolate la radice d’ortica, le foglie
d’edera o, addirittura, una lepre sminuzzata con tanto di pelle e ossa.
Frapposta a queste rubriche si trova un’altra ricetta che prevede l’utilizzo
di realia per il raggiungimento dello scopo terapeutico prefissato (65v).
L’oggetto utilizzato in qualità di sacramentale è in questo caso una mo-
neta in corso in Sicilia dal XIIIo al XIXo secolo, il carlino d’argento,606 su
cui si deve servire al malato l’impasto composto da ossi di seppia e foglie
di papavero colte la notte dell’Ascensione di Cristo e debitamente pol-
verizzate. È a c. 66r 1 che irrompe poi, nel bel mezzo di queste ricette,
l’interpolazione in cui si descrivono i procedimenti necessari “Ad
<f>ar<e> l’og<li>o del sale” partendo dalla calcinazione di tartaro e
salnitro per poi passare alla diluizione dell’agglomerato in aceto distillato
o acqua vite e all’aggiunta, una volta disseccato il tutto, della trementina
responsabile della conversione in olio del sale. Da questo punto in poi, la
ricetta assume improvvisamente i connotati di un procedimento alche-
mico, prescrivendo il travaso dell’olio appena ricavato in un’ampolla di
vetro da porre su di un fornello e da stemperare per ventiquattr’ore, a
fuoco lento, mescolandovi alcuni dei metalli prediletti nelle pratiche di
magia bianca quali mercurio, argento vivo e oro. Ulteriore ricetta che va
ad arricchire il repertorio di mirabilia è infine quella che a c. 63v 10 – 11
spiega come “fare acqua che darra tanto de splendore” sigillando in
un’ampolla di vetro ripiena di sabbia e posta al sole battente un numero
pari a duecento di code di vermi chiamati “candila di picoraro” (63v 13).
Così facendo, dall’alambicco uscirà tale acqua tanto raggiante “quanto se
fossiro dieci in torci allumati” (63r 11 – 12). A chiudere il contributo di
questo co-compilatore del Recettario secreto e con esso anche il mano-
scritto cinquecentesco è infine, a c. 67r, una ricetta contro i dolori della
sciatalgia: “p. male desiatica” (67r 15) che prescrive l’applicazione sulla
parte del corpo dolente della farina di giglio cotta in acqua mielata, o, in

606 http://www.treccani.it/enciclopedia/carlino/.
2.3.3. Coalescenza 177

alternativa, della farina di lupini impastata con l’aceto e la menta puleggio


ben pestata, operazioni da eseguire assieme all’assunzione per bocca o
tramite enteroclismi di decozioni di diverse erbe.
178 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

Figura 7. Recettario secreto (la raccolta, sec. XVI)


2.3.3. Coalescenza 179

[2r]
+
1 p. cui havissi li murriti di intra
2 pigla cidrach. et fandi pulviri et ditta meitti rai cum unu
3 cannolettu di pinna sufiandu ch. dicta pulviri vaga) vaia
4 dintru p. dui ho tri volti ch. serra sanu dacontinenti
____________________________________________________
5 Acavari porretti
6 pigla unu pezu di canna et in dicta tagliraitanti singni
7 quantu tu hai porretti et dipoi pigla dicta canna et
8 mettila sutta terra ch. comu lacanna sarra fra
9 gita subitu sich.rannu ditti porretti
___________________________________________________
b)
10 Ad cuj fussi spiritatu ch. havissi speritu incorpu
11 piglia quista sequenti orationj et scrivala in una ostia
12 et diala abiviri ho amangiarj ho ch. laparta adossu
13 Cammara tanta lirj post hec /e/ talirj vorj vorax
14 polique livarax cammara tanta lirj 7post /e/ polique
15 livarj clinoris cras 7polisque livarj actantara tanta
16 lirj post /e/ sitalos sita lirj alfos /et/ gulfes
17 mala7 cra fanus te ulfes //=//=//=//=

[42r]

[…]
17 A ffarj colla fortisima chestia In foco et acqua p. ongni cosac)
18 X Rx terra de pellizare et d) destempera cum clara de ova
19 amodo de implastro et macina con un marmore ad
20 modo de colore fina ch. ti parira in p.fettione
21 ad fare unaltra colla fortiss
22 ima p. ogni cosa
23 Rx una tegula ben cotta et fanne polvere sub
24 X tilissima et rubigine deferro et fa la subtilissma
25 an.7 et tanta calcina vjva quanto fussi dui chili polvjri
26 et misca et incorpora cum sexta p.te olej et piu
27 si piu sarra bisogno /
28 ad tingiri ossa dj diversi
29 colurj
30 Rx et mettj ad mollificare in aqua pluvjana ossa
31 de qualsivogla animale p. trj dj et poy fa lixia for
32 X tjssima de cennere de tingitore una p.te et
33 calce viva due parte / et dentro ditta lixia clara me
34 ttj detti ossa mollificatj et mettilj al foco et falli bullire

[50v]

[…] […]
180 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

10 Per fare acqua di fare


11 dormire
12 Rx una onza di oppio et pista lo con
13 una testa diaglio che loalio /e/ Il suo
14 contrario ad levarli lo amarore et
15 lo fetore et ponili ad distillare
16 et q.n. lo vorretj operare ni daretj
17 una dramma Ø In bevenda ____et e cosa
18 p.batissa et fa dormire sej ore et q.n.
19 vorretj ch. si risveglia fatilj odora
20 re unpo dj aglio :__________
+e)
21 pinolo adongni in firmitate
22 Rx la ca.misa ello so suco dillo <……………>f )
23 et siccatillo assole ni piglirrai cogi se dalj
24 ia gitrina e cogi <.> dillo <………..>g)
25 <………………………………………>

[51r]

1 Uncione perla podagra


2 C.sma : dicanoli\
3 Rx una lib. di medolla,\ di boe q.nto
4 po essere piu vechio:
5 una onza di oglio di camomilla
6 una onza di oglio di lauro
7 una onza di oglio rosato
8 pigliaretj lo midullo et lo poneretj
9 ad squagliare dento de una pignata
10 di creta nova et squagliato sera lopa
11 ssaretj ad una stamegna: et annectato
12 di novo el detto pignato: tornaretj el
13 medollo squagliato et q.n Incomenzara
14 ad boglere et bucteritj li dictj tre
15 ogli dento la pignata et menando
16 con una bachetta lo faretj ben Jnbescar.
17 poj lo levaretj dal foco et lo poneretj
18 In loco ch. si possa far come uno unguento
19 fatto pigliaretj de dicto unguento et
20 facto caldo Jn una scorza de ovo \o/ scute
21 llino di creta lo faretj tanto caldo q.nto

[51v]

1 seposa suffrir. et unteritj el loco de


2 la doglia de la podagra molto bene
3 con uno scarfaturo da basso ch. stia caldo
2.3.3. Coalescenza 181

4 socto et sopa el loco dela doglia azoch.


5 loglio possa Intrar. et nce poneretj
6 sopra stoppa calda et lo In fasar.tj
7 et questo si bada fare due voltj eldj
8 o tre secundo el bisogo et lo medesmo
9 unguento fa lo medesmo effecto alla
10 siatica
[…] […]

[52r]

[…] […]
h)
4 A fare sapone senza foco

5 Rx libri duy de maystra forte una libra de oglio et mettj tuttj q.sti cosi Jn
una
6 conca et cum uno bastone lo mescula bene ch. si salda et si Jntempo di
hore quattro
7 non si salda mettilj una poco de calcina et salvia et saldira
8 A fare sapone bianco

9 Rx scutelli 3 de cennere netta ch.sia sutta Item una scutella di calcina viva
10 et bagna la ditta calcina cum la ditta cennere Jn corpora ditta calcina et
lassa
11 stare fino a tanto ch. sia ben disfatta dapoy miscola benj Jnsiemj la cennere
12 conla ditta calcina et mettj Inuna caseptina ch.sia larga desupra et stritta
13 de abaxo et ch. habia una assa forata cum multj buxi et mettilj dentro la
14 ditta compositione et calca multo beni poy mettilj di supra delacqua ch.
piove
15 overo di fussato pur ch. non sia marza et farra la lissia laquale a provare
16 quando e/ bona si pigla uno ovo fresco et mettilo Jnla ditta lissia si vidiria
17 lovo natare di supra tanto quanto uno soldo e/ bona et questa prima
maystrai)
18 si chama maystra et mettila Jnuno vaso di terra vitro oj djramo dap.se
19 quando tu voy fare piu quantita pigla sempre tre parte de cennere et una
20 de calcina per la lissia ch. cochira p.fina atanto ch. mostri colore rosso
21 dapoy reponila Jnuno altro vaso et coprilo bene et tenila da perse se
22 parata da questa sequita la terza acqua laquale mostra colore bianco
23 et similemente reponela Jn uno altro vasa separata ben coperta […]
[…] […]

[60v]

1 Per fare li denti bianchi /


2 Piglia la radicata dela serpentara \e/ seccala \e/ poi fanni polvere
3 et dequella polvere con uno panno delino te strica li denti; et
4 farrannosi bianchi ~
182 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

5 Per fare incarnare li denti bianche come neve


6 Piglia gumma arabica-,j) 2________
7 lacti in gumma___________________, 3________
8 Mirra__________________________, 2________
9 ligno aloi_______________________, 2_________
10 sango de dragone, una quarta/
11 Alume derocca__________________, 3_________
12 Arios__________________________, 3__________
13 Et tucti li sopradicti cosi si volino boglere con otto libri de
14 acqua che manch. la mita dedecta acqua /<e>/ c<o>m<o> lacqua
15 e/ ben rossa, falla refredare, et dopo ch k) sarra ben freda
16 tegnala in bocca, et lavase ben la bocca con decta acqua
17 ch li incarnira li dentj et glili farra bianch. come neve
18 Remedio contra coctura defoco \o/ acqua
19 buglenti /
20 Piglia lo verde dello savuco, quello ch sta nello ligno et lascorchia
21 et chira nova bianca et oglio comuni miscato c<on> <vi>n<o>
bianc<o>
22 et tucti insemi si volino bugliri <ch> torna tanto quanto fu
23 loglio ch sichi habbia posto, dentro una pignata, dop<o>i si
24 voli lavari novi volti et sempri siv<o>li piglari quello <o>gli<o>
25 ch va sopra dellacqua et con quello oglio ungitj lu malj
26 et \e/ p.bato/
27 Remedio p. ogni dolore
28 Pigla oglio de mitol), oglio despica, ogli<o> de laur<r>ij, et miscalj
29 Jnsemi et ungi sopra lo doluri conquesti ogli <..>a caldi ch
30 passira lo dolurj //

[61r]

1 Remedio allo parto delli donnj______


2 Pigli<a> <ra>d<icata> disparachi al nome della donna ch sta in parto
et liga<.>
3 alla gola del<a> donna ch subito la fa figlare, et quando si appendj-
4 alla gola s<i>a all<o> collo ladicta radica si voli dirj Jnnomin<.>
5 <…> patris et filij et spiritus sancti Amen

6 Remedio p. la Jnfermita deasima


7 Piglia capillo ven.iro___________________, 1_________
8 Passuli_______________________________, 4_________
9 Zinzulim)_____________________________, 4_________
10 Chiminon) dulci________________________, 4_________
11 giu<……..>o)___________________________, 3_________
12 Rec<….> <…>_________________________, 2__________
13 sei <…> in chappa _____________________, 3_________
14 <..>g<..>________________________________, 1_________
15 uno <…….>oni di ballariana et unalto dirosj_________
2.3.3. Coalescenza 183

16 <….> <..>lci__________________________, 1________


17 galofari, una quarta un poco dizafa rana charrubbi ______g 2_
18 Radica dipitrosino______________________, 1___________
19 zuccaro fino__________________________, 4____________
20 <….> <….> menza unza et un poco disali, et cussj tucti li
21 <o>ssa<.> et li arilli dili supa dicti cosi et siano benpistatj et poi
22 beni mis<co>latj in huna/ et habbiati una gallina nigra grassa
23 et grandi et beni necta dentro et dipoi sichj mectiranno lisopra
24 <d>icti c<o>sj <e>t si ponira dicta gallina dentro una <pigl…>p) nova
25 con quattro quartuchi deacqua et se ponera lo coperchio adecta
26 pegnata di modo che non poza nexiri scuma, et boglira p. fina in
27 tanto ch dicta acqua torna unquartuchio et facta ch sarra dicta
28 acqua: l<.>infermo si p<o>rra mangiari dicta gallina, et laqua ch
29 remarra: si mectira dentro una carabba la quali si mectira alo

[61v]

1 alo sole et alo sereno, et la matina alo pater n<os>tr<u> l<o>


inf<e>rmo ni
2 piglira dentro un goctoq) quanto tri digita a<d> modo di xiroppo
3 et piglata ch lhavera lo decto inferm<o> si mectira sopra lo pecto
4 p.un certo spacio, et cussi sibisogna continuarj p. giorni quaranta
5 con devoctioni ch conla gratia di n.ro sr I sarra libero et \e/ stata
6 molto ap.bata p. tali infermita_______
7 Remedio p. la siatica
8 Piglia dui grana di trimintina viniciana, quattro russj di ova
9 dui grana di sandali russi et bianch., dui grana di mir<ra>, dui grana
10 di consolida mayuri et minuri, dui grana di sang<o> dragoni, dui
11 grana di aloy patico, dui grana di oppio, dui grana di <r>as<a> bianca
12 dui grana di inchenso bianco, dui grana diza fara<na> <…> grana
13 dipichi nigra, dui grana di chira nova dui <g>rana di <p>ichi
<g>r<e>ca
14 et tri grana di sulfaro, et dipoi tucti li sopra dicti <cosi> si vogl<o>no
15 boglere sopra lo carboni in uno pignatello novo <poi> si p<u>niranno
16 sopra lo doluri delanca con uno suvacto______
17 Remedio probatissimo p. lo mali delasima
18 Piglati p. quaranta matinj l’oglio dela linusa cioè og<lio> <……….>
19 pigliarnj una unza alasuttilj p. spacio di quaranta gio<r>ni et
20 cum la gra. di n.ro 7s7 Jdio sarra sano___

[62r]

1 Remedio per l opilatione del ficato


2 havuto p. lo Rmo Cardinal Colonna
3 Piglati marrobio bianco una manata et fatilo bulliri con vino bianco intanti
184 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

4 che manch. p. terzo: et poi luculati et piglatini unzi quattro et meza


5 et mectitilo intro una carraba: et mectitichi una dramma di reobarbaro
6 subtilissimamenti pistato: spica nardi: scrupulo 12 similmentj pistato et
posto
7 in dicta carraba la quali in tri matini lupacienti sila voli biviri: et inla
quarta
8 matina et sera piglira diquesto lactuario un pezo per volta in nanti che
9 mangia /
10 Cannella: galofari: zinziparo: nuchimuscati: spica nardi: raditura di avolio
11 rizo diorgio: zafarana: liquritia: semi greci: simenta dilino: curiandri
12 simplici: anasi: simenta dipitrosino: sementa discalora: sementa dilactuca
13 di tucti q<..>sti cosi una dramma p. uno: limatura di azaro soctili fr) iij
14 musco un tarpiso meli rosato colato: zuccaro bianco di onni uno una
15 libra: acqua rosa quanto basta adisfari luzuccaro et fatinj lactuario
16 impezi: et di quillo pigla como di supra \e/ dicto ______________
17 Ad male de fianco et mal dipetra et arinella
18 Piglati li chimecti di canni virdi et fachitinj Jnsalata et diquilla spissj
19 voltj mangiati et vidiritj cossi mirabili____________________________
20 Ad rumpiri una petra intro la vissica__________________
21 Pigl<atj> un <r>izu et fatili livari lispinj: et poi habiatj una chiaramita
22 nova supra laquali luponitj acaliarj intro lo furnu p. modo chi si
23 poza fari pulvirj suctilissima: dila quali lupacientj ni pigli una
24 dramma Jn vino p. onni volta et vidiritj cosa mirabilj: havuta p. lo
25 Rmo C<ard>inal Colonna
26 Admali di terzana
27 Scrivirj in tri hostij q.sti paroli: pater est pax: filius est vita: spiritus
san<…>s
28 est remedium: et datilo allo pacientj jnanti ch. li pigla lo malj_______

[62v]

1 Per dogla per homo t.m et non per donna


2 Piglati <uno ov>u frisco et fatilo alquanto scalsari alo foco et ex inde
3 trarlj lu bianco fora et resti tantum lo russo et con quello russo di
4 ovu caldo mescolarj sterco digallina diquilla yalina et liquida
5 et miscolatj beni jnsemi et supa mectitj unpoco di cannella pista
6 et quillo biva lupacientj ch. nonsappia lu tenurj diditta medicina
7 p. tri matinj ad digiuno et vidiritj cosa mirabilj________________

8 Per furras) chi venj allochj_________


9 Piglati un pocu di crita et Jmpastatila intro una scutella con un poco di
10 achito fortissimo et acqua rosa et un blanco di ovo et liquefacta
11 dicta crita conli ditti cosi piglati una peza dilino sottilj et bagna
12 tila indicti cosj et p. quilla cussj bagnata ponitj supra la fruntj
13 et li tempoli dilo pacienti et cussj seguitatj p. alcunj voltj <..>: poi
14 ch dicta peza sarra quasi axucata tornatj abagnarla et cussj
15 bagnata la mectiritj ut supra
2.3.3. Coalescenza 185

16 Per fari cascari li porrettj


17 Pigliati uno cortello et rascati atorno atorno lo p<orrec>to tanto ch
18 nexa sango etdopoi piglatj suco di celidonia et <s>tricatj beni
19 atorno atorno et dacontinenti caschira et sarra sano ________
20 Perlo mali dilo frido scriviti in una
21 hostia li sottoscripti paroli, et dopo
22 didicta hostia ni fati tri parti come
23 stano sottoscripti et ogni volta ch
24 alo pacienti li pigla lo frido glini darritj
25 laprima con farli diri tri p.r n.ri et
26 tri ave marie ad laudi dila \Sta/ trini<ta>
____________________________________
27 Deus p.r alpha &
28 /o/
_____________________________
29 Jesus christus filius
30 redemptio
____________________________
31 <……………………..>

[63r]

1 Perlo mali dilo frido: farriti scrivirj li


2 sottoscripti paroli in una hostia sana___
3 et dopo quando alo patienti li pigla lo
4 frido glela darreti tucta Jntegra con
5 farli dirj prima tri p.r n.ri et tri ave
6 marie ad laudi dila \Sta/ trinita_________

7 spiritus quidem prontus est, caro auctem Infirma


8 fiat voluntas tua___
9 + + + + +
10 Recepta per ferita et muzicum di cani
11 arrabiato
12 Jo ti sc<o>ngiuro piagha al nome del patre et del figlio et del spirito
13 sancto, facendo sempri la croce in ogni parola: ch non sipocza putra//
14 fari, ne inverminari, ne inpasimari, ne piu ne manco ch infrachidio
15 ne inverminao ne Jnpasimau la lanczata ch longino donao an.ro
16 signore Jesu xp.o lu veniri sancto dila sancta passioni. fiat
17 fiat fiat/ la virginitati dela benedecta vergini maria Jn
18 rec<o>rdanza delli cinco piaghi de n.ro signore Jesu xp.o, p.r n.r
19 et ave maria/ q.sta or.oni si voli diri tri volti/

20 questa or.oni se havi d’operare inquesto modo/ si voli piglarj un


21 poco delana suchita con uno poco d’oglio comuni tepito et
22 conquello oglio sevoli untari lapiagha /o/ ferita et muzi//
23 cum di cani arriabiato et cussi facendo prima con lo ayuto
186 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

24 din.ro signori sarra sano /


25 Perla rugna___________
26 Piglati trimentina, sivo, bianchetto sullimato, et oglo rosato et
27 corporarj Jn semi ogni cosa etdequello ve ungitj et sarritj
28 guarito /

[63v]

1 Per mali d’ occhi /


2 Pigliati una tartuca viva et spaccatila con una spata per meczo et
dopoi_____
3 <pig>lati lo ficato caldo como si trova dentra decta tartuca et partitilo
4 et ad ogni occhio chini mectiti una pinna seu una mitati didicto ficato
5 e<t> questo voli esseri la sira et lo patienti lo voli teniri Jnsino alaltra
6 sira sequen<t>j, et dapoi lasira sequenti voli fari lo sim<i>lj et quisto
7 voli seguitari p. tri siri et lu pacienti voli stari con lo ficato alocchj
8 ben legato, et sequitando p. talmodo cum lo ayuto divino sarra sano et
9 \e/ cosa p.bata
10 Per fare acqua che darra tanto de
11 splendore quanto se fossiro dieci in
12 torci allumati
13 Piglati una quantitati di vermi chamati candila di picoraro ch sia<n>o
14 al manco numero duicento et taglatili p. meczo cioé del mec<z>o
15 verso la testa lu buctati via et del meczo verso la cuda tucti li me
16 ctiriti dintro uno lambico di vitro et sotto decto lambico fati ch
17 sia pieno derina et dopo mectiriti dicto lambico beni stuppato
18 ch non possa sbentari, con decta rina al sole quando fa il piu
19 caldo ch da continenti nexira acqua, la quali havira la virtu
20 predicta / –
21 Per guariri pitinijt)
22 Piglati sucu di celidonia et parctitilo supra la petinia <p.> sei \o/ otto
23 matinj ad altius ch guarira p.fectamenti -
24 Ad Jdem_____
25 Piglatj li radichi diporraczi v3: una di quilli buctonelli et pistati
26 et con quella pistata untati dicta pitinia dui \o/ tri voltj et
27 guarira p. fectamenti, simili guarixi la rugna untandosj di
28 dicta radicata pistata_____
29 Per stagnari lo fluxo di sangui /
30 Piglati bianco di ovo be b<ac>tuto et dipoi bagnati cum quillo <…>

[65v]

1 Per l<o> mali dila punta


2 Piglia li fogli dila paparina colti la nocti della assensioni di n<….>
3 s.ri Jesu chro/ pulvirizati7 posti alsoli: laquali papa<ri>na voli e<….>
4 quella ch habbia la cruchj dintro lo fiorj: una par<..> unal<…>
5 parti dilo pilo dintro li nucillj et pulvirizati et unaltra
2.3.3. Coalescenza 187

6 di osso di sichia dili quali tri sorti di pulvirj sini vo<..>


7 piglarj tanta quantitatj di lhuna quanto dilaltrj et
8 tucti Jnsemj. dipoi sini piglia ditucti Jnsemj quanto puo
9 supa un carlino d’argento et dipoi sivoli donarj abivirj
10 pacienti cum <d>ui digita d’acqua nansiau) la matina a deg<…>
11 <et> quando non sipotissj aspictarj la matina chsichj dugna
12 ch seg.ra lu bisogno/ et \e/ p.vata

13 Per istagnari lu sango dilo naso et de una


14 sagnia
15 Pigl<a>tj uno ovo frisco nato allura et quillo spiziritj et un<.>
16 mitatj tanto delo russo quanto del<o> bianco et dacontinenti Jn<..>
17 mitati <.>a chi farritj mectirj lapunta dila membra di<…>
18 ch subbito stagnira
19 Per lo mali dilo fianco
20 Pigliati una unza ala suctili dilactuario noiato giustino e<..>
21 ratori cum tri digita di malivaxia oy vero vino bono quando
22 havi lu dolurj dilo fianco /et\ e/ probato_________
23 Ad idem
<…><……………………………………………………………….>v)

[66r]

1 Ad <f>ar<e> l’og<li>o del sale


2 Rx Tartaro crudo parte due, salinitro parte una et mecza et
3 calcinali insiemi et dedecta calce fa capitello, svapora dicto capitello
4 et fa sale, qual sale coniungi con tre parti decalce viva fresca inpietra,
5 et coniunta lo poni dentro un vaso deterra, et donali foco de
6 calcinatione p. hore dudici: et fa capitello aggiongendo aq.a insino
7 ad tanto ch la troverai salsa: et cossj farrai trevoltj, dapoi habbi
8 aceto distillato: et solve in dicto aceto il decto sale, et feltra
9 et dissecca: et cossi farai solvendo feltrando, et disseccando
10 insino ad tanto ch lo sale non lassi piu residentia7 et facto q.sto
11 solverai dicto sale in aqua vite bona, solvendo et disseccando
12 p. secte volte Po piglia decto sale, et mescolatilo con eguale
13 <par>t<e> de trementina bona: et po dessecca ad foco lento: Et
14 disseccato ch sara aggiongeci unaltro tanto di trementina
15 et dalli foco temperato; et troverai il sw) il tuo sale converso
16 in olio, qual solve infino, et troverai separato l’olio dala
17 trementina, piglia il decto olio qual pian piano inclinando
18 il v<a>s<o> dove sta, et ponilo in unaltro vaso // Po piglia
19 la malgala .1. quattro onzi de mercurio, et una onza de vero
20 argento, et tali onza sia limata: et over una onza d’oro, et
21 t<al> u<n>za d’oro sia limata, et mescolatila con ledecti q.a tt<…>
22 <..> <un>ze de mercurio fatile iongere con le dette, et anco
23 mescolati d’ sopradecto oglio tucto et ogni cosa iunte
24 <>tile in una bocza de vitrio ponendola in un fornello
188 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

25 <…>li foco p. hore vintiquattro continue ch sia foco delapa


26 <…>la facta dequattro parte demercurio et una deluna
27 <…>esale in hore vintiquattro confoco delampa

[66v]

1 ad mal di f<ia>nco
2 Piglia sucu di scalora uno quartuchio et cochilu et poi ch lha<j>
3 scumatu mectichj zuccaro et cochilu benj et ogni matina ni piglia
4 mezu goctu et poi ungi lu ficatu cum unguento di sandali __
5 Item vali lu sucu dila maurella, acqua rosa, achitu blanco oglio
6 rosato et ammoglia una peza di linu et mectila supra l<u> ficatu
7 ad mali dipetra et fari pixari senza
8 dolurj /
9 Piglia unu lepru et auchidilu et fandi pulvirj cum tuctu lupilu et
10 lusangu et dallu abivirj cum vinu alu pacienti ch Jncontinentj pixira
11 et si havi petra lagictira /
12 ad punta di latu
13 Ungi lu locu ch doli cum meli et poi lu salvja cum simenza di nastorzu
14 pistata et ligatu vali / Item dilu marrobui blancu et
15 suffrictu cum oglio et ligalu ut supa / Item bonu \e/ una <…>a
16 alu malatu zoe alulocu malatu
17 ad mali di fiancu
18 Piglia lu stercu palumbinu bugluto cum vino et poi gecta lu vinu
19 et pista lustercu et Implastatu lu Implasta alu fian<..> ch sia
20 caldu q.nto sipoza comportari/ Item lu stercu dilu lupo \e/ bonu
21 Jtem marrobui blancu pistatu et bogluto cum oglio di l<…> <e>t
22 fandi Implastu et poni alu fiancu_____
23 Jtem lu riganu virdi coctu Jnvinu cum cipero pistat<o> et b<….> caldu
24 Jtem fachi christerj et mectichj assentio et finochj et ogli<o> di <..>a
25 et burru ad cui havj tali malj dilu pectu et dilu fian<c>u
26 Jtem dillissa chichirj Inassai acqua tantu ch cocha tucta lac<…>
27 si consuma et ch plu sianu consumatj li chichi<r>j dila <…>
28 resta mectindi ala pignata et bivindj /
_________

29 ad fari orinari senza dolurj


30 Prindi simenza d’ordica et pistata vivandi cum vino adigi<un>o
31 Jtem capillo ven.iro siccu pulvirizatu: grana salis 7 simenza di
<.>asco<.ica> salvagia
32 vn.o duj zuccaro vn.o duj et miscali et piglani la matina vn.o <m>eza7 et
farra
33 urinarj senza dolurj et gictira la minuta
34 Jtem la scorchia dila radicata dilo oglastro et chiminagro o<……….>
35 <………> et poi li <pista> <……………………………………>
2.3.3. Coalescenza 189

[67r]

1 A<d> <s>anari una pitinia


2 <..>glia lu lacti dila radica dila celidonia et p. tri voltj
3 cum quillo lacti stricca dicti pitinia/ cioé passatici p. tri
4 voltj supa Jn uno stantj: dicto lacti ch dacontinentj guarixj
5 et \e/ probato / x)Ad mali di fianco
6 Rx ledera diquilla ch. sta interra ch. non sia diquilla ch. staalimura
7 nemancu di quilla ch. stainlisaij et s radichi di pitrusino et c<..>
8 non siano lavati mach. sianu grattati cun lucutello et beni anet<..>
9 ti et una panpinay) de blancarusina et tutti quicosi mittirai intro
10 uno vaso netto et depoi luinchirai di aqua viti bona et la lassira<.>
11 stari amollu uri 24 et avertirai ch. la ledera voli esseri assai et
12 dipoi di aviristatu uri 7 24 piglirai ditta aqua viti ch. sia
13 unopoco quanto uno paceri intro uno gotto et darrailu alu p<.>
14 cienti p. alcuni giorni et sarra libero
15 _________________________________________________
z)
16 p. male desiatica alcuni diqsti rimedij
17 del mattioloaa)
18 farina digioglio cotta Inacqua melata etapplicata calda
___
19 farina dilupinj Inpiastrata con aceto
___
20 Decottione deradici desparachj data abere
___
21 nasturzo meso nelcristerj
___
22 seme di cappari bevuto
___
23 puleggio crudo pesto etmeso sopa fini ch. Jlluogo rossegi<.>
___
24 decottione di centaura minore nelcristerj
___
25 <.>o<g>lie di bettonica data abere con acqua
___
26 aceto melato bevuto
___
27 Tri quartuchi de marvagia fina tri quartuchi de acqua
28 dimarj et tri quartuchi de acqua digisterna falli bulliri
29 tanto ch. torna p.terzo et diqllo terzo p.tila intri cristerjab)
a)
Depennato.
b)
La seguente rubrica è aggiunta da altra mano (v. fig. 7). Le due precedenti
sono ad opera della stessa mano di c. 50v-51v e 67r 5 – 14, fatta eccezione per
la ricetta aggiuntiva di c. 50v 21 – 25.
c)
Dopo il titolo di rubrica ad opera della mano principale del trattato segue, per
il resto di c. 42r, un’alra mano, la stessa che verga le c. 60v-63v e 65v-67r (ad
eccezione di 67r 5 – 14) e la rubrica aggiuntiva di c. 50v 21 – 25.
190 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

d)
La et corsivata è tironiana.
e)
Ricetta aggiunta da altra mano al di fuori dello specchio di scrittura.
f)
Cancellazione.
g)
Cancellazione.
h)
Le rubriche di c. 52r sono ad opera di ulteriore mano.
i)
Parola depennata.
j)
La virgola indica qui e nella rubrica analoga di c. 61r l’abbreviazione dell’unità
di misura (grana).
k)
La congiunzione con svolazzo si riporta in corsivo.
l)
Si legga: mirto.
m)
I.e.: giuggiole.
n)
I.e.: sesamo.
o)
Voci illeggibili a causa di macchie d’inchiostro.
p)
Parola depennata. In interlinea è aggiunto: pignata.
q)
I.e.: recipiente per liquidi (http://www.treccani.it/vocabolario/gotto/).
r)
Abbreviazione di: dramma.
s)
I.e.: ulcerazione della bocca (http://it.wiktionary.org/wiki/furra).
t)
I. e.: empetiggine (cfr. http://www.etimo.it/?term=empetiggine&find=Cer-
ca).
u)
I.e.: acqua odorifera a base di fiori d’arancia e gelsomino (http://ducange.enc.
sorbonne.fr/NANSIA).
v)
Il lembo inferiore della carta è mancante.
w)
Depennato: il s.
x)
La segunete ricetta è ad opera della mano che verga c. 2r 1 – 8 e c. 50v-51v,
fatta eccezione per la ricetta aggiuntiva di c. 50v 21 – 25.
y)
Leggasi pampina, i. e.: foglia (http://it.glosbe.com/scn/it/p%C3 %A0mpina).
z)
Ricette ad opera di altra mano.
aa)
Si tratta presumibilmente del medico senese Pietro Andrea Mattioli (1501 –
1578). Le prime opere del Mattioli cominciarono a circolare dalla terza de-
cade del Cinquecento. Nel 1536, Mattioli accompagnò il cardinale Cles che si
recava a Napoli per incontrare Carlo V (cfr. http://www.treccani.it/enciclo-
pedia/pietro-andrea-mattioli_(Dizionario-Biografico)/).
ab)
BCP, Recettario secreto.
Come già Pasquale Musso in merito alle ricette di cucina non riportate in
questa sede accortamente rileva, è indubbio che i testi, nel loro com-
plesso, esibiscano “un siciliano ancora alquanto caratterizzato”.607 Sono
frequenti i tratti che rimandano alla scripta siciliana quattrocentesca,608 a
partire dalla grafematica in cui si registra <y> sia come allografo di
<g>:609 “gallina”/“yalina” (62v 4), sia soprattutto come allografo di <i>
in posizione intermedia: “maystra” (52r 5, 17, 18), “mayuri” (61v 10),

607 Musso 2007, 181.


608 Cfr. Mattesini 1994, 424 ssg. e Rinaldi 2005, vol. I, oltre che Musso 2007, 181
ssg.
609 Per il suono di [g] come per il suono di [t].
2.3.3. Coalescenza 191

“ayuto” (63r 23; 63v 8) o in posizione finale: “poy”/“dapoy” (42r 31; 52r
11, 14, 21), “aloy” (61v 11), “oy” (65v 21). In posizione liminare, <y>
co-occorre inoltre alla ben più frequente <j>:610 “cuj” (2r 10), “orationj”
(2r 11), “lirj” (2r 13, 14, 16x2), “talirj” (2r 13), “vorj” (2r 13), “livarj”/
“levaretj” (2r 15x2; 51r 17), “ffarj”/“faretj”/“fatinj”/“fachitinj”/“fatilj” (42r
17; 51r 16, 21; 62r 15, 18; 50v 19), “polvjri”/“pulvirj” (42r 25; 62r 23;
65v 6; 66v 9), “olej” (42r 26), “colurj” (42r 29), “mettj”/“mettilj”/“me-
ctiritj”/“mectichj” (42r 30, 33 – 34, 34; 52r 5, 7, 12, 13, 14; 62v 15; 66v
3, 24), “farritj mectirj” (65v 17), “trj”/“duj” (42r 31; 66v 32x2), “molli-
ficatj” (42r 34), “daretj” (50v 16), “vorretj”/“voj” (50v 16, 19; 52r 19),
“dj” (‘giorno’) (42r 31; 51v 7), “dj” (preposizione) (42r 28; 50v 20) “dictj”/
“dirj” (51r 14; 61r 4; 63r 5), “pigliaretj”/“piglatj”/“piglarj” (51r 8, 19; 62r
21; 62v 18; 63v 25; 65v 7, 15), “dalj”/“darritj” (50v 23; 62v 24), “po-
neretj”/“ponitj” (51r 8, 17; 51v 5; 62r 22; 62v 12), “passaretj” (51r 10 –
11), “tornaretj” (51r 12), “bucteritj” (51r 14), “poj” (51r 17), “unteritj”/
“ungitj”/“untandosj” (51v 1; 60v 25; 63r 27; 63v 27), “fasar.tj” (51v 6),
“voltj” (51v 7; 62r 19; 62v 13; 63v 26; 66r 7; 67r 2, 4), “tuttj” (52r 5),
“benj” (52r 11; 66v 3), “laur<r>ij” (60v 28), “miscalj”/“mis<co>latj”/
“mescolarj” (60v 28; 61r 22; 62v 4, 5), “dolurj” (60v 30; 65v 22; 66v 8, 29,
33), “donnj” (61r 1), “appendj” (61r 3), “filij” (61r 5), “rosj”/“russj” (61r
15; 61v 8), “cussj”/“cossj” (61r 20; 62v 12, 13, 14; 66r 7), “cosj” (=
“cose”) (61r 24), “pistatj” (61r 21), “sichj” (61r 23; 65v 11), “continuarj”
(61v 4), “matinj” (61v 18; 62v 7; 63v 23), “suttilj”/“sottilj” (61v 19; 62v
11), “similmentj” (62r 6), “spissj” (62r 18), “vidiritj” (62r 19, 24; 62v 7),
“spinj”, “habiatj” (62r 21), “caliarj” (62r 22), “pacientj” (62r 23, 28; 62v
6), “mirabilj” (62r 24; 62v 7), “[s]crivirj” (62r 27; 63r 1), “trarlj” (62v 3),
“tenurj” (62v 6), “venj” (62v 8), “fruntj” (62v 12), “seguitatj”, “alcunj”
(62v 13), “tornatj” (62v 14), “porrettj” (62v 16), “<s>tricatj” (62v 18),
“Jo” (63r 12), “corporarj” (63r 27), “sarritj” (63r 27), “seque<nt>j”,
“sim<i>lj” (63v 6), “allochj”/“alocchj” (62v 8; 63v 7), “pitinij” (63v 21),
“cruchj”, “fiorj” (65v 4), “nucillj” (65v 5), “quantitatj”, “altrj” (65v 7),
“donarj” (65v 9), “bivirj”/“bivindj” (65v 9; 66v 10, 28), “sipotissj” (65v
11), “aspictarj”, “chsichj” (65v 11), “spiziritj” (65v 15), “mitatj” (65v 16),

610 Le irregolarità nella lunghezza del gambo rendono però difficile la distinzione tra
<j> e <i>. In maiuscolo, il grafema <J> può comparire anche in posizione
iniziale, dove per lo stesso motivo risulta comunque difficile distinguerlo da
<I>: “Jnbescar” (51r 16), “Jnsiemj”/“Jnsemj” (52r 11; 65v 8x2), “Jn”/“In” (51r
20; 52r 5, 6, 10, 16, 18, 21, 23; 65v 16), “Jnsalata” (62r 18), “Jmpastatila” (62v
9), “Jnpasimau” (63r 15), “Jdio” (61v 20), “Jnfermita” (61r 6), “Jdem” (63v 24),
“Jnsino” (63v 5) “Jncontinentj” (66v 10), “Jtem” (66v 21, 23, 24, 26, 31, 34).
192 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

“lha<j>”/“havj” (66v 2, 25), “mectichj” (66v 3), “salvja” (66v 13),


“christerj”/“cristerj” (66v 24; 67r 21, 29), “finochj” (66v 24), “chichi[r]j”
(66v 26, 27), “consumatj” (66v 27), “urinarj” (66v 33), “stantj” (67r 4),
“dacontinentj” (67r 4), “guarixj” (67r 4), “rimedij” (67r 16), “dilupinj”
(67r 19), “desparachj” (67r 20), “dimarj” (67r 28).
Altri grafemi che riconducono alla scripta siciliana quattrocentesca
sono poi <x> per la resa di fricativa postalveolare: “lixia” (42r 31, 33),
“abaxo” (52r 13), “nexiri” (61r 26), “xiroppo” (61v 2), “axucata” (62v 14),
“nexa”/“nexira” (62v 18; 63v 19), “guarixi”/“guarixj” (63v 27; 67r 4),
“pixari”/“pixira” (66v 7, 10) o alveodentale (singola e doppia): “sexta” (42r
26), “buxi” (52r 13), “fluxo” (63v 29), “malivaxia” (65v 21), fermo re-
stando che entrambi i suoni possono essere rappresentati altresì da <ss>:
“basso” (51v 3), “lissia” (52r 15, 16, 20), “lassa”/“lassi”/“lassira” (52r 10;
66r 10; 67r 10), “assa” (52r 13), “vissica” (62r 20), “assensioni” (65v 2). Si
ha inoltre il digramma <ch> per l’affricata palatale sorda da un lato:
“scorchia” (60v 20; 66v 34), “chira” (60v 21), “sichi”/“sichj” (60v 23; 61r
23; 65v 11), “disparachi”/“desparachj” (61r 2; 67r 20), “quartuchi”/
“quartuchio” (61r 25, 27; 66v 2; 67r 27x2), “inchenso” (61v 12), “pichi”
(61v 13), “mectitichi”/“chimecti”/“mectichj” (62r 5, 18; 66v 3, 24),
“nuchimuscati” (62r 10), “fachitinj”/“fachi” (62r 18; 66v 24), “achito(-u)”
(62v 10; 66v 5), “infrachidio” (63r 14), “suchita” (63r 21), “chini” (63v 4),
“radichi” (63v 25; 67r 7), “cruchj” (65v 4), “cochilu”/“cocha”/“cochira”
(66v 2, 3, 26; 52r 20), “auchidilu” (66v 9), “chichi[r]j” (66v 26, 27),
“chiminagro” (66v 34) e per la resa della mediopalatale dall’altro lato:
“vechio” (51r 4), “chama”/“chamati” (52r 18; 63v 13), “coperchio” (61r
25), “chiaramita” (62r 21), “inchirai” (67r 10), “sichia” (65v 6),
“sich.rannu” (2r 9) – ma si veda per contro anche “scuma(-tu)” (61r 26;
66v 3) e l’imperativo “rascati” (62v 17) – oltre che di plosiva velare
(singola o doppia): “bachetta” (51r 16), “bianchi”/“bianche” (60v 1, 4, 5),
“ochj”/“occhi”/“occhio”/“occhj” (62v 8; 63v 1, 4, 7), “caschira” (62v 19),
“bianchetto” (63r 26), “christerj” (66v 24), “finochj” (66v 24).611 Va ri-
levato, in questo frangente, che non si ha però alcuna traccia del grafema
<k>, segno ipercaratteristico della scripta siciliana612 che si trova ad
esempio nella dedica cinquecentesca del Trattato delle virtù delle erbe (cfr.
infra, par. 2.1.2.).
Venendo all’ambito fonetico non sarà difficile individuare fenomeni
di consonantismo siciliano quali la metatesi: “[g]alofari” (61r 17; 62r 10),

611 Cfr. Mattesini 1994, 424 ssg.; Rinaldi 2005, I, 349 ssg.
612 Cfr. Mattesini 1994, 424 – 25; Rinaldi 2005, I, 351 – 52.
2.3.3. Coalescenza 193

“scalora” (62r 12; 66v 2), il mantenimento di sorda intervocalica: “se-


quenti” (2r 11; 63v 6), “suco(-u)” (50v 22; 62v 18; 66v 2, 5), “scutella(-i)”
(52r 9x2; 62v 9), “ficato(-u)” (62r 1; 63v 3, 4, 7; 66v 4, 6), “spica” (60v 28;
62r 6, 10), “lactuca” (62r 12), “axucata” (62v 14), “loco” (51r 18; 51v 1,
4), “patre” (63r 12), “spata” (63v 2) – ma in un’occorrenza si ha “ordica”
(66v 30) – il rafforzamento di consonanti ovvero il raddoppiamento fo-
nosintattico:613 “cussj”/“cossi”, “cennere” (42r 32; 52r 9, 10, 11, 19),
“farra”/“farrannosi”/“farriti”/“farrai” (52r 15; 60v 4; 60v 17; 63r 1; 66r 7;
66v 32), “A ffarj” (42r 17), “sarra”/“sarritj” (2r 8; 42r 27; 60v 15; 61r 27;
61v 5, 20; 62v 14, 19; 63r 24, 27; 63v 8; 67r 14), “darreti”/“darritj”/
“darra”/“darrai” (62v 24; 63r 4; 63v 10; 67r 13), “piglirrai” (50v 23), il
mantenimento di nessi consonantici: “clara” (42r 18, 33), “pluvjana” (42r
30), “plu” (66v 27) – ma si veda anche il toscano “pieno” (63v 17) e il
siciliano “inchirai” (67r 10) –, “implastro”/“Implastu”/“Implastatu”/
“Implasta” (42r 19; 66v 19x2, 22) – ma “Inpiastrata” (67r 19) –, “blan-
carusina” (67r 9), “blanco(-u)” (62v 10; 66v 5, 14, 21) – ma “bianco(-a/-
chi/-che/-chetto)” (52r 8, 22; 60v 1, 4, 5, 21x2; 61v 11, 12; 62r 3, 14; 62v
3; 63r 26; 63v 30; 65v 16) e “fianc[u](-o)” (66v 17, 22, 25; 62r 17, 65v
19, 22; 67r 5) – piuttosto che l’affricazione dei nessi TJ/CJ/DJ: “pelli-
zare” (42r 18), “onza(-i)” (50v 12; 51r 5, 6, 7; 66r 19x2, 20x2), “Inco-
menzara” (51r 13), “azoch.” (51v 4), “marza” (52r 15), “lanczata” (63r 15),
“zoe” (66v 16), “poza(-cza)” (61r 26; 62r 23; 63r 13; 66v 20) – ma “possa”
(51r 18; 51v 5; 63v 18) –, anche con nasalizzazione: “menza” (61r 20).614
Per il vocalismo, come di consueto, si segnalano innanzitutto la
conservazione del dittongo primario in “lau(r)ro (-ij)” (51r 6; 60v 28),
oltre che in “laudi” (62v 26; 63r 6), nonché gli esiti privi invece di
dittongo in sillaba libera di o ed e, sempre nel rispetto delle consuetudini
del siciliano, osservabili in “loco” – una sola volta si ha “luogo” (67r 23) –,
“foco” (42r 17, 34; 51r 17; 52r 4; 60v 18; 62v 2; 66r 5, 13, 15, 25x2, 27),
“novo(-a/-i)” (51r 10, 12; 60v 21; 61r 24; 61v 13, 15; 62r 22), “ovo(-u/-
a/-i)” (42r 18; 51r 20; 52r 16, 17; 61v 8; 62v 2, 4, 10; 63v 30; 65v 15),
“bono(-u/-a/-i)” (52r 16, 17; 65v 21; 66r 11, 13; 66v 15, 20; 67r 10),
“fora” (62v 3), “meli(-lato/-lata)” (62r 14; 66v 13; 67r 18, 26), “petra” (62r
17, 20; 66v 7, 11) – ma non in “pietra” (66r 4) – “tepito” (63r 21)615 e
nelle voci del presente indicativo: “volino”/“voli”/“venj” (60v 13, 22,

613 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, §§ 174 – 75.


614 Cfr. Mattesini 1994, 427 ssg.; Rinaldi 2005, I, 372 – 73; 386 – 87; 390 ssg.
615 Cfr. Mattesini 1994, 427.
194 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

24x2; 61r 4; 62r 7; 62v 8; 63r 19, 20, 22; 63v 5x2, 6, 7x2; 65v 3, 9; 67r
11) e “po” (51r 4) – ma si veda anche “puo” (65v 8).
Quanto di più marcato si può registrare, in senso siciliano, è poi
l’atteggiamento delle vocali anteriori e posteriori nelle occorrenze di:
“quisto(-a/-i)”/“quillo(-a/-i)” (2r 11; 62r 16, 18; 62v 4, 6, 12; 63v 6, 25,
30; 65v 15; 67r 3, 6x2, 7) “di[c/t]to(-a/-i/-j)”616 (2r 2, 3, 6, 7, 9; 42r 33;
51r 14, 19; 52r 10x3, 12, 14, 16; 60v 13; 61r 4, 21, 24x2, 27, 28; 61v 14;
62r 7, 16; 62v 6, 11x2, 12, 14, 22; 63v 4, 17, 20, 26, 28; 66r 3, 8, 11; 67r
3, 4, 12), “dil(l)o(-u/-a/-i)” (50v 22, 24; 61r 21; 62r 23; 62v 13, 20, 26;
63r 1, 6, 16; 65v 1, 2, 5, 6, 13, 17, 19, 22; 66v 5, 14, 20, 25x2, 27, 34x2;
67r 2x2), “dintru”/“intro(-i)”/“dintro” (2r 4; 62r 5, 20, 22; 62v 9; 63v 16;
65v 4, 5; 67r 9, 13, 29), “sutta” (2r 8; 52r 9), “supra” (52r 12, 14, 17; 62r
16, 22; 62v 12, 15; 63v 22; 66v 6), “allura” (65v 15), “si” (42r 27; 52r 6),
“fussi” (2r 10; 42r 25), “biviri” (2r 12; 62r 7), “teniri” (63v 5), “rumpiri”
(62r 20), “biva” (62v 6), “potissj” (65v 11), “havissi” (2r 1, 10), “pista”/
“pistalo”/“pistatj(-a/-o/-u)” (50v 12; 61r 21; 62r 6x2; 63v 25, 26, 28; 62v
5; 66v 14, 19, 21, 23, 30, 35), “unteritj” (51v 1). Fenomeni di vocalismo
siciliano si osservano anche negli imperativi “ungitj” (60v 25; 63r 27),
“miscola” (52r 11), “liga<.>” (61r 2), “mectitilo”/“mectitichi” (62r 5),
“fachitinj” (62r 18), “sarritj” (63r 27), “ponitj” (62r 22; 62v 12), “Prindi”
(66v 30), “bagnatila” (62v 11 – 12), “scriviti”/“scrivirj” (62v 20; 63r 1),
“taglirai” (2r 6), “vidiritj” (62r 19, 24; 62v 7), “farriti(-j)” (63r 1; 65v 17),
come pure in “passira” (60v 30), “sira” (63v 5, 6), “vitro” (63v 16), “rina”
(63v 17, 18), “cruchj” (65v 4), “pilo” (65v 5), “tenurj” (62v 6), “crita” (62v
9, 11), “achito(-u)” (62v 10; 66v 5), “fruntj” (62v 12), “veniri sancto” (63r
16), “rugna” (63r 25; 63v 27), “dudici” (66r 6), “midullo” (51r 8), “singni”
(2r 6), “colurj” (42r 29), “pulviri(-j)” (2r 2, 3; 62r 23; 65v 6; 66v 9),
“doluri(-j)” (60v 29, 30; 61v 16; 65v 22; 66v 8, 29, 33) “gumma” (60v 6),
“ligno” (60v 9, 20), “chira” (60v 21; 61v 13), “pichi” (61v 13x2), “capillo”
(61r 7; 66v 31), “linusa” (61v 18), “ficato” (62r 1), “furnu” (62r 22),
“secundo” (51v 8), “stritta” (52r 12), “multo(-j)” (52r 13, 14), “nigra” (61r
22; 61v 13), “russo(-i/-j)” (61v 8, 9; 62v 3x2), “spissj” (62r 18), “virdi”
(62r 18; 66v 23), “tri(-j)” (2r 4; 61v 2, 14; 62r 7, 27; 62v 7, 22, 25, 26; 63v
7, 26; 67r 2, 3, 27, 28), “frisco”/“frido” (62v 2, 20, 24; 63r 1, 4).617
Va però tenuto in considerazione che molte delle attestazioni citate
co-occorrono ad altre equivalenti, ma desicilianizzate quali ad esempio

616 A seconda dello scrivente e del suo ductus corsivo <tt> e <ct> sono spesso
difficili da distinguere.
617 Cfr. Rinaldi 2005, I, 358 ssg.
2.3.3. Coalescenza 195

“aceto” (66r 8x2; 67r 19, 26), “fresco(-a)” (52r 16; 66r 4), “polvere” (42r
23; 60v 2, 3), “dolore” (60v 27), “mescolati” (66r 23), “dentro(-a)” (42r
33; 52r 13; 60v 23; 61r 23, 24, 29; 61v 2; 63v 3; 66r 5), “[…]de[c/t]to
(-i/-e/-a)” (42r 34; 51r 12; 60v 14, 16; 61r 25; 61v 3; 63r 17; 63v 3, 16,
18; 66r 3, 8, 12, 17, 21, 22, 23), “questo(-a/-i)”/“quello(-a/-i)” (51v 7; 52r
17, 22; 60v 3, 20, 24, 25, 29; 62r 8; 62v 3; 63r 20x2, 22, 27; 63v 26; 65v
4), “tre” (51r 14; 51v 8; 52r 19; 66r 4, 7), “croce” (63r 13), “rosso(-a)” (52r
20; 60v 15), “colore” (42r 20), “molto” (51v 2; 61v 6), “so[c/t]to”/“sopra”,
“cossj(-i)” (66r 7, 9), “volte” (66r 12).
Valgono poi da forti segnali di toscanizzazione le vocali medie che si
possono registrare nelle attestazioni di cui sopra, a partire dalle pretoniche
di “colurj”, “dolurj”, “boglere” (51r 14) – ma si veda “bulliri” (62r 3; 67r
28) –, “mollificatj” (42r 34), “contrario” (50v 14), “rosato” (51r 7),
“menando” (51r 15) – dove si registra anche o finale –, “poneretj” (51r 8,
17), “tornaretj” (51r 12) e “unteritj” (51v 1) – sebbene qui si trovi j finale
–, “caseptina” (52r 12), “reponila” (52r 21) – anche “reponela” (52r 23)
con postonica a sua volta media –, “solvendo” (66r 9), “feltrando” (66r 9),
“coperta” (52r 23), “coctura” (60v 18), “aggiongeci” (66r 14) – al contrario
di quanto avviene in “iongere” (66r 22), “iunte” (66r 23) e “coniunta” (66r
5) con anche palatalizzazione di semiconsonante, come in “gecta” (66v
18) –, passando per le toniche di “speritu” (2r 10), “mettj (-ilo/-ila/-ilj)”
(2r 8; 42r 30, 33 – 34; 52r 5, 7, 12, 13, 14, 16, 18), “seccala” (60v 2),
“feltra” (66r 8) e le postoniche di “miscola”, “reponela” e “destempera”
(42r 18) o ancora dei vari “fatilo” (62r 3; 62v 2), “implastro” (42r 19),
“oppio” (50v 12), “aglio”/“alio” (50v 13), “oglio” (51r 5, 6, 7; 52r 5),
“lauro” (51r 6), “medollo” (51r 13), “unguento” (51r 18), “soldo” (52r 17),
“vino” (62r 3; 66v 18), “parto” (61r 2), “infermo” (61r 28), “xiroppo” (61v
2), “gocto” (61v 2), “reobarbaro” (62r 5), “lino” (62r 11), “sc<o>ngiuro”
(63r 12), “salinitro” (66r 2), “pignato” (51r 12), “vaso” (66r 18), “mer-
curio” (66r 19), “argento” (66r 20), “vitrio”, “fornello” (66r 24), come
anche delle forme verbali “ponilo” (66r 18), “squagliato” (51r 10), “fatto”/
“facto” (51r 19, 20), “guarito” (63r 28) o dei determinanti “caldo” (51r
20; 62v 4), “bianco” (52r 22; 60v 21; 62r 3), “quattro”, “vero” (66r 19),
“tucto” (66r 23) con o finale, piuttosto che dei già citati: “(d)intro”,
“midollo”, “frisco”, “frido”, “russo”, “sancto”, “vitro”, “ligno”, “secundo”,
“futuro”, “capillo”, “achito”, “pistalo”, “mettitilo”, “contrario”, “rosato”,
“fianco”. Si vedano poi i sostantivi con e finale: “cennere” (42r 32),
“parte” (42r 33; 66r 2) – ma si trova anche il singolare “parti” (65v 5) –,
“calce” (42r 33; 66r 3), “animale” (42r 31), “amarore” (50v 14), “fetore”
(50v 15), “hore” (52r 6; 66r 6, 25, 27), “sapone” (52r 4, 8) – con anche
196 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

vocale media pre e postonica –, “sole” (50v 23), “uncione” (51r 1), “bene”
(51v 2; 52r 6, 21) – ma sono molto più numerose le occorrenze di “beni”
(52r 14; 61r 22; 62v 5, 18; 63v 17; 67r 8) –, “sempre”, “parte” (52r 19),
“bianche” (60v 5), “neve” (60v 5, 17), “de” (66r 3; 67r 27), “sale”, “vite”
(66r 11), soprattutto nei verbi all’infinito quali “pellizare” (42r 18),
“mollificare” (42r 30), “fare” (50v 10x2; 52r 4, 19; 60v 5; 66r 1), “dor-
mire” (50v 11, 18) – dove si ha anche pretonica media –, “operare” (50v
16), “odorare” (50v 19 – 20), “provare” (52r 15), “natare” (52r 17), “in-
carnare” (60v 5), “refredare” (60v 15), “iongere” (66r 22), “bere” (67r 20),
“distillare” (50v 15). L’atteggiamento delle vocali in posizione atona è pur
tuttavia prevalentemente quello di stampo siciliano a tre esiti: (a), i e u,
come mostrano molti dei verbi citati: “dirj(-i)”, “bulliri”, “continarj”,
“scrivirj”, “mescolarj”, “caliarj”, “teniri”, “donarj”, “bivirj”, “orinarj”,
“poneretj”/“ponitj”, “hab(b)iatj”, “vidiritj”, “daretj”, “vorretj”, “levaretj”,
“faretj”, “fasaretj”, “seguitatj”, “pistatj”, “tornatj”, “mis<co>latj”, “ra-
scatj”, “stricati”, “sichirannu”, “darreti”, “passaretj”, “caschira”, “ungitj”,
“spiziritj”, “pigli(r)raj”/“pigliaretj”/“piglatj”/“piglari” – cui si aggiungono
le forme dell’infinito e dell’imperativo con pronome pro ed enclitico:
“Jmpastatila” (62v 9), “piglatini” (62r 4), “ni fati” (62v 22), “tagliatili” (63v
14), “cochilu” (66v 2). Rientrano in ambito siciliano anche le termina-
zioni dei già citati sostantivi “fruntj”, “pichi”, “spinj”, “mitatj”, “quanti-
tatj”, “matinj”, “volti”, “furnu”, “scutella”, “cruchi”, “pulvirj”, “lacti”,
“marj”, oltre che le occorrenze di “murriti” (2r 1), “fogli” (65v 2) – vs.
“<.>o<g>lie” (67r 25) – , “unu cannolettu” (2r 2 – 3), “unu pezu” (2r 6),
“spiritatu”, “incorpu” (2r 10), “sequenti orationj” (2r 11), “libri duy” (52r
5), “cosi” (52r 5; 61r 21; 61v 14; 62r 13; 62v 11; 67r 9), “scutella” (52r 9),
“lacti” (60v 7), “mita” (60v 14), “donnj” (61r 1), “rosj” (61r 15), “pater
n<os>tr<u>” (61v 1), “carboni” (61v 15), “unzi” (62r 4), del singolare
maschile “pacientj(-i)” (62r 7, 23, 28; 62v 6, 13, 24; 63v 7; 65v 10; 66v
10), di “nuchimuscati” (62r 10), “canni virdi” (62r 18), “<r>izu” (62r
21), “paroli” (62r 27; 62v 21; 63r 2), “cani” (63r 10), “la santa passioni”
(63r 16), “n.ro signori” (63r 24), “mitati” (63v 4; 65v 17), “buctonelli”
(63v 25), “sangu(-ui)” (63v 29; 66v 10), “nocti” (65v 2), “lo fiorj” (65v 4),
“pilo” (65v 5), “li nucillj” (65v 5), “sucu” (66v 2, 5), “linu” (66v 6), “unu
lepru”, “tuctu lupilu” (66v 9), “vinu” (66v 10, 23), “latu” (66v 12), “locu”
(66v 13, 16), “fiancu” (66v 17, 22), “stercu” (66v 18, 19, 20), “riganu”
(66v 23), “pectu” (66v 25), “simenza” (66v 13, 30, 31), “christerj”/“cri-
sterj” (66v 24; 67r 21, 24, 29) – con anche scambio di vibranti e laterali
come in “cortello” (62v 17) –, “burru” (66v 25), “aqua viti” (67r 10), “stari
amollu” (67r 11), “uri” (67r 11, 12), “esseri” (63v 5; 67r 11), “cavari” (2r
2.3.3. Coalescenza 197

5), “lavari” (60v 24), “mangiarj(-i)” (2r 12; 61r 28), “rumpiri” (62r 20),
“livari” (62r 21), “(dis)fari” (62r 15, 23; 62v 16; 63r 14; 63v 6; 66v 7, 29),
“cascari” (62v 16), “inverminari” (63r 14), “inpasimari” (63r 14), “cor-
porarj” (63r 27), “stari” (63v 7; 67r 11), “guariri” (63v 21), “aspictarj” (65v
11), “istagnari” (65v 13), “pixari” (66v 7), “<s>anari” (67r 1), “fachitinj”
(62r 18), “mangiati” (62r 19), “scriviti” (62v 20), “mescolati(-lo)” (66r 12,
23), “spaccatila” (63v 2), “partitilo” (63v 3), “chini mectiti” (63v 4),
“buctati” (63v 15), “pistati(-a)” (63v 25, 28), “mectiriti” (63v 15 – 16),
“pixira” (66v 10), “gictira” (66v 11), “parira” (42r 20), “mittirai” (67r 9),
“saldira” (52r 7), “ponira” (61r 24), “mectira(-nno)” (61v 3; 61r 23, 29),
“fossiro” (63v 11), “sufiandu” (2r 3), “pulvirizatu(-i)” (65v 3, 5; 66v 31),
“suffrictu” (66v 15), “stuppato” (63v 17), “scumatu” (66v 3), “culati” (62r
4), “coctu” (66v 23), “siccu” (66v 31), “pistata(-u/-o)” (63v 26, 28; 66v 14,
23, 30), “malatu” (66v 16x2), “Jnsemi”/“jnsemi” (60v 29; 62v 5), “adossu”
(2r 12), “sottilj”/“suttilj”/“suctili(-ssima)” (61v 19; 62v 11; 62r 23; 65v
20), “spissj”, “benj(-i)”, “malj(i)” (60v 25; 61v 17; 62r 26, 28; 62v 20; 63r
1; 63v 1; 65v 1, 19; 66v 7, 17, 25; 67r 5) – ma si trova altresì “mal(-e)”
(62r 17x2; 66v 1; 67r 16) –, “similmentj”, “subtilissimamenti” (62r 6),
“p.fectamenti” (63v 23), “sempri” (60v 24; 63r 13), “sini” (65v 6), “virdi”,
“comuni” (60v 21), “novi” (60v 24), “sanu” (2r 4), “quantu” (2r 7), “comu”
(2r 8), “pocu” – ma anche “poco” (62v 9) –, “bonu” (66v 15, 20), “caldu”
(66v 20, 23), “tantu” (66v 26), “nemancu” (67r 7).
Molti degli esempi finora citati vanno in definitiva considerati delle
vere e proprie forme miste, in cui l’esito siciliano si alterna a quello
toscano all’interno della stessa parola o stringa. Si hanno dunque “ficato”,
“frisco”, “polvirj”, “colurj”, “dolurj(-i)”, “picoraro” (63v 13), come pure
gli imperativi “ponitj”, “unteritj”, “poneretj”, “tornaretj”, ma anche
“vorretj” (50v 16), “bucteritj” (51r 14), “fatilo”/“fatile” (66r 22), “sicca-
tillo” (50v 23), “datilo” (62r 28), “mescula”/“miscola” (52r 6, 11), cui si
aggiungono l’aggettivo “mollificatj” (42r 34) in plurale femminile e gli
attributi “novo”, “bono”, “foco”, “loco”, l’infinito “bullire” (42r 34), i
participi “pistato” (62r 6x2; 66v 23), i sostantivi “vergini” (63r 17) o
“fussato” (52r 15), il determinante “vintiquattro” (66r 27), ecc.
Passando dall’ambito fonologico a quello morfologico si scopre un
quadro del tutto speculare: da un lato è possibile identificare chiari si-
cilianismi, a partire dal pronome relativo indefinito “cui(-j)” (2r 1, 10;
66v 25),618 passando per l’aggettivo possessivo “so” (50v 22) o per le

618 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 489.


198 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

desinenze del participio passato “bogluto” (66v 21)619 e dei passati remoti
“inverminao”, “Jnpasimau”, “donao” (63r 15),620 per giungere alle forme
verbali del condizionale “vidiria” (52r 16),621 dell’infinito “biviri”,
dell’imperativo “untati” (63v 26), dei presenti indicativi “havj” e “dugna”
(65v 11) – in cui NJ > [ł] come in “tegna(la)” (60v 16) –,622 del con-
giuntivo presente “vaia” (2r 3) – in cui il nesso latino -DJ- + vocale si
risolve in una semiconsonante –623 e “volino” (60v 13, 22) o del futuro
semplice “ser(r)a” (2r 4; 51r 10), con conservazione di e atona e gemi-
nazione. Queste ultime forme verbali siciliane, però, si alternano dall’altro
lato con quelle toscanizzate: “vogl<o>no” (61v 14), “sarra/sarritj” o “hab
(b)ia(tj)”. Si riscontra un mistilinguismo ancor più evidente all’interno
del sistema dei dimostrativi, in cui è dato individuare sia le forme siciliane
“quisto(-a/-i)”/“quillo(-a/-i)”, sia le forme toscane “questo(-a/-i)”/“quello
(-a/-i)” con una certa tendenza all’utilizzo delle prime in funzione pro-
nominale e delle seconde in qualità invece di aggettivo.624 Anche il si-
stema degli articoli consente di fare constatazioni analoghe: all’occorrenza
della forma semitoscanizzata “[…]lo” (50v 13, 14, 15, 22x2, 24; 51r 8;
51v 8, 9; 60v 20x3, 29, 30; 61r 1, 4, 25, 29; 61v 1x4, 3x2, 15, 16, 17; 62r
2, 22, 28x2; 62v 2, 3, 13, 17, 20x2, 24x2; 63r 1, 3x2, 23; 63v 3, 5, 6, 7,
8, 29; 65v 4, 5, 13, 16x2, 19x2, 22; 66r 10; 66v 34) si affianca quella
prettamente siciliana di “[…]lu”625 (60v 25; 62r 7, 15, 23; 62v 3, 6x2; 63r
16; 63v 7; 65v 12, 13, 22; 66v 4, 5, 6, 9, 10, 13, 14, 16x2, 18x2, 19x2,
20x2, 22, 23, 25x2; 67r 2, 8, 13) e non mancano d’altro canto le solu-
zioni toscane dell’articolo “il”/“[j]l” (50v 13; 63v 18; 66r 8, 15, 17, 18;
67r 23) o “el”626 (51r 12x2; 51v 1, 4, 7, 8) e della preposizione articolata
“del”/“nel” (62r 1; 63r 12x2; 63v 14, 15; 66r 1). In plurale, però, si trova
esclusivamente la forma siciliana “li” (2r 1; 51r 14; 60v 1, 3, 5, 13, 17; 61r
1, 20, 21x2, 23; 61v 14; 62r 18; 62v 13, 16, 21; 63r 1, 18; 63v 25; 65v 2,
5; 66v 27; 67r 7) che vale sia per i sostantivi in maschile: “li murriti”, “li

619 Cfr. Mattesini 1994, 430.


620 Cfr. Rinaldi 2005, I, 421.
621 Cfr. Mattesini 1994, 430.
622 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 282.
623 Cfr. Mattesini 1994, 428. Indicativa a proposito di quest’ultima occorrenza è
l’indecisione ortografica (e fonetica) dello scrivente nel rendere il nesso -DJ-
visibile nel depennato “vag” (2r 3).
624 Cfr. Musso 2007, 181.
625 Cfr. Rinaldi, I, 403 – 04.
626 Come ricorda Sardo (2008, 56), l’articolo el è del toscano prebembesco. Esso è
però al contempo tipico del castigliano, cfr. infra, parr. 2.1.2. e 3.2.3.
2.3.3. Coalescenza 199

denti”, ecc., sia per quelli in femminile: “li acqui”, “delli donni”, ecc.
Semitoscanizzata è anche la forma del pronome personale dativo di terza
persona singolare che ricorre in “li incarnira” (60v 17), “li pigla” (62r 28;
62v 24; 63r 3), “farli diri(-j)” (62v 25; 63r 5), “donali foco” (66r 5), “dalli
foco” (66r 15) e che si alterna a sua volta con quella toscana che si
riscontra in “glili” (60v 17), “glini” (62v 24) e “glela” (63r 4). La variante
siciliana “nce” (51v 5) è utilizzata invece solamente in qualità di avverbio
locativo.627 L’avvicendamento di “dapoy” (52r 11, 21) con “dipoi” (2r 7;
61r 23; 61v 14; 63v 30; 65v 8, 9; 67r 12) permette inoltre di constatare
come del sistema preposizionale sia entrato a far parte anche da, presente
anche in “dacontinenti(-j)” (2r 4; 62v 19; 63v 19; 65v 16; 67r 4), “dal
foco” (51r 17), “da p(er)se” (52r 18, 21), “da basso” (51v 3) o “separata da”
(52r 21 – 22). La preposizione da è originariamente estranea al siciliano
che ha di,628 come in “sango dilo naso” (65v 13) o pir, come in “havuto p.
lo Rmo Cardinal Colonna” (62r 2, 24 – 25). Non manca, del resto, la
soluzione intermedia de: in “depoi” (67r 10), “terra de pellizare”, “de
abaxo” (52r 13), “de una sagnia” (65v 13 – 14), “Ad <f>a<re> l’og<li>o
del sale” (66r 1). Si hanno tracce del plurale neutro latino629 in “dui
grana”/“tri grana” (61v 9 – 14), “limura” (67r 6), “vidiritj cosa mirabilj”
(62r 24) – ma prevale in merito a quest’ultimo sostantivo la forma “cosi
(-j)”. Va segnalato infine, nella zona d’intersezione tra l’ambito fonetico e
quello morfologico, che la mancata assimilazione di -nd- in -nn-, tratto
tipico del siciliano quattrocentesco,630 sconfina in toscanismo nel mo-
mento in cui, pur non assai di frequente, la sua occorrenza rappresenta in
realtà un ipercorrettismo (cfr. infra, par. 2.3.4.3.), come in “fandi pul-
viri(-j)” (2r 2; 66v 9), “fandi Implastu” (66v 22), “mectindi ala pignata et
bivindj” (66v 28).
In ambito sintattico sono da segnalare innanzitutto, in qualità di
sicilianismi, la perifrasi modale della modalità deontica/esortativa:
“questa or.oni se havi d’operare inquesto modo” (63r 20), “si volino/
vogl<o>no boglere/bugliri” (60v 13, 22; 61v 14 – 15), “si voli lavari” (60v
23 – 24), “sivoli piglari(-j)” (60v 24; 63r 20), “si voli dirj(-i)” (61r 4; 63r
19), “sila voli biviri” (62r 7), “sevoli untari” (63r 22), “voli esseri” (63v 5;
67r 11), “voli teniri” (63v 5), “voli fari”, “ voli seguitari”, “voli stari” (63v
6 – 7), “sivoli donarj” (65v 9), “non si pocza putra//fari” (63r 13 – 14),

627 Cfr. Mattesini 1994, 429.


628 Cfr. Rinaldi 2005, I, 447 – 48.
629 Cfr. Mattesini 1994, 429.
630 Cfr. Mattesini 1994, 428; Rinaldi 2005, I, 386.
200 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

“che non poza nexiri scuma” (61r 26), “ch non possa sbentari” (63v 18). Si
rileva inoltre l’uso generalizzato dell’ausiliare avere: “dipoi di aviristatu uri
7 24” (67r 12), la sequenza pronome riflessivo + dativo “sichi(-j)” (60v 23;
61r 23; 65v 11), l’uso del verbo stare per la qualità transitoria del verbo:
“quello ch sta nello ligno” (60v 20), “donna ch sta in parto” (61r 2), “come
stano sottoscripti” (62v 22 – 23), “il v<a>s<o> dove sta” (66r 18), “Rx
ledera diquilla ch. sta interra ch. non sia diquilla ch. staalimura nemancu
di quilla ch stainlisaij” (67r 6 – 7).631 Per quanto riguarda i tempi verbali,
si registra un profuso utilizzo delle forme future con valore ingiuntivo:632
“destempera cum clara de ova […] fina ch. ti parira in p.fettione” (42r
18 – 20), “pigla cidrach. et fandi pulviri et ditta meitti rai” (2r 2), “pigla
unu pezu di canna et in dicta taglirai” (2r 6), “Perlo mali dilo frido
scriviti/farriti scrivirj” (62v 20; 63r 1), “Piglati una quantitati di vermi
[…] li mectiriti dintro uno lambico” (63v 13 – 16). Alcuni enunciati
propongono il congiuntivo imperfetto in luogo del presente nella su-
bordinata condizionale o relativa:633 “<et> quando non sipotissj aspictarj
la matina chsichj dugna ch seg.ra lu bisogno” (65v 11 – 12), “p. cui havissi
li murriti di intra” (2r 1). Si hanno diversi casi di forma media del verbo:
“comu lacanna sarra fragita” (2r 8 – 9), “poi ch dicta peza sarra quasi
axucata tornatj abagnarla” (62v 13 – 14), in cui non è dato distinguere se
le diatesi espresse dalla perifrasi essere (al futuro) + participio (con aspetto
perfettivo) siano da interpretarsi come statiche o dinamiche.634 In quanto
alle occorrenze lessicali si segnalano numerose voci siciliane, tra cui “fi-
glare” (61r 3), “caliarj” (62r 22), “scalsari” (62v 2), “furra” (62v 8), “al-
lumati” (63v 12), “sbentari” (63v 18), “chichirj” (66v 26), “panpina” (67r
9), ecc.635
Prima di trarre conclusioni più approfondite in merito all’assetto
plurilingue del Recettario secreto, cosa che si farà con il dovuto riguardo
nel par. 2.3.3.3., al termine di questa rassegna linguistica è dato osservare
come l’idioma cui si orientano i compilatori del codice si differenzi in
maniera sostanziale da quello che, nel Quattrocento, valeva ancora da
modello nello spazio comunicativo siciliano. In questo come in altri simili
casi di testi cinquecenteschi della sfera pragmatica, infatti, non è più
possibile attribuire alla lingua cui ci si trova posti di fronte un unico e

631 Cfr. Mattesini 1994, 430; Rinaldi 2005, I, 443 – 69.


632 Cfr. Rinaldi 2005, I, 456.
633 Cfr. Rinaldi 2005, I, 452.
634 Cfr. Rinaldi 2005, I, 463.
635 Cfr. Rocca 1839.
2.3.3. Coalescenza 201

univoco aggettivo ‘etnico’ che ne qualifichi l’estrazione geografica.


Un’attenta disamina testuale ha consentito di rilevare la presenza di nu-
merosi tratti della scripta siciliana, sia sul piano fonografematico: grafie
<y>/<j>, <x> e <ch>, mantenimento delle plosive sorde in posizione
intervocalica, geminazione consonantica, passaggio di -TJ-/-CJ-/-DJ- a
[(n)tts], mantenimento di dittongo AU primario e di Ĕ ed Ŏ in sillaba
libera, conservazione dei nessi consonantici latini; sia sul piano morfo-
sintattico: forma del pronome possessivo di terza persona so, desinenze
dei participi in -uto, del condizionale in -ia e del passato remoto in -ao,
plurali dei sostantivi in -a, modalità deontica espressa per mezzo di pe-
rifrasi, estensione dell’ausiliare aviri, scambi tra il modo indicativo e
quello congiuntivo. Qualitativamente parlando, si rileva così la presenza
di 15 su 30 tratti che si possono considerare tra quelli più distintivi della
scripta siciliana.636 Tra i restanti 15 tratti tipici della scripta siciliana ne
sono poi presenti più della metà: pentavocalismo tonico, trivocalismo
atono, alternanza di [l] e [r], velarizzazione di [l] postvocalico, passaggio
di -(M)BJ/VJ- a [i], esito in [i] di -DJ-/J-, articoli lu/lo, la, li, pronomi
dimostrativi quisto/quillo. Questo secondo gruppo di otto tratti distintivi
è però caratterizzato da non esclusività. Sono cioè tratti che si alternano
con un elevato indice di frequenza alle soluzioni toscanizzate. Anche tra i
primi 15 tratti, del resto, ve ne sono alcuni non completi o non esclusivi:
manca del tutto, ad esempio, il grafema <k>, i nessi latini PL, BL ed FL
sono in alcuni casi sciolti, ecc. In questo primo gruppo la soluzione
siciliana è tuttavia più salda e nettamente prevalente dal punto di vista
quantitativo sulla soluzione toscana. Dei restanti sette tratti: affricazione
di [s] dopo liquida e nasale, epentesi, epitesi di -i, accusativo preposi-
zionale, posposizione dei possessivi, pronomi personali isso/illo, perdita
dell’elemento labiovelare in QU- > [k]-, tutti fenomeni caratteristici della
scripta siciliana e ravvisati ad esempio nel testo del Thesaurus Pauperum
(cfr. infra, par. 2.3.1.1.) piuttosto che nei frammenti testuali dell’Euco-
logio (cfr. infra, par. 2.2.2.1.), non si ha invece nel Recettario secreto alcuna
traccia.
Per il momento basterà prendere atto di un mutamento sostanziale
avvenuto nel repertorio linguistico degli scriventi e dovuto ad una nuova
coscienza linguistica. Si definirà questa nuova fase nei termini di coale-
scenza, la mutata coscienza linguistica e il prodotto di questa mutazione,
l’idioma della scritturalità pragmatica astraibile dai Ricettari di segreti

636 Cfr. Mattesini 1994, 424 ssg.; Rinaldi 2005, vol. I; cfr. infra, par. 2.1.2.
202 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

cinquecenteschi, assumeranno di conseguenza l’attributo coalescente. 637 Si


tratta di un mutamento che interessa in primo luogo la spazialità della
lingua638 e la ridefinizione di confini e zone d’intersezione tra un idioma e
un altro, confini tanto geografici quanto individuali poiché tracciati da
ogni singolo locutore all’interno del proprio repertorio.
In merito alla presenza del latino all’interno del Recettario secreto va
constatato infine come esso giochi un ruolo per lo più marginale, limi-
tandosi ad irrompere nelle declinazioni in genitivo: “p.te olej” (42r 26),
“sang<o> dragoni” (61v 10), “spica nardi” (62r 6, 10), “grana salis” (66v
31) – in un’occasione si ha una desinenza latina per l’accusativo: “Recepta
per ferita et muzicum di cani arrabiato” (63r 10 – 11) –, oltre che, ov-
viamente, nel recipe di apertura delle rubriche, spesso abbreviato in “Rx”
(42r 18, 23, 30; 50v 12, 22; 51r 3; 52r 5, 9; 66r 2; 67r 6). Si hanno poi
diversi morfemi grammaticali liberi quali congiunzioni: “et”, “ut” e
preposizioni: “cum”, “ad”; mentre in “ex inde” (62v 2) e “ad altius” (63v
23) si può parlare di code switching e non di mixing essendo l’intera
locuzione avverbiale redatta in latino.639 Nei termini di code switching si
possono definire anche le irruzioni del latino in corrispondenza delle
orazioni che si trovano in chiusura del rispettivo rimedio: “ladicta radica
si voli dirj Innomin<.> <…> patris et filij et spiritus sancti Amen” (61r
4 – 5), “Scrivirj in tri hostij q.sti paroli: pater est pax: filius est vita:
spiritus san<…>s est remedium: et datilo allo pacientj” (62r 27 – 28),
“fiat fiat fiat/ la virginitati dela benedecta vergini maria” (63r 16 – 17). Le
formule sono alle volte distaccate dal nucleo testuale anche per la mo-
dalità d’impaginazione o per mezzo di segni grafici, come nell’ultima
ricetta di c. 62v e nella prima di 63r. Vi sono poi anche inserzioni culinarie
redatte in latino, come quelle “per fare bona cutuganta” e “A far bona
raspata” (c. 56r), che in volgare hanno solo il titolo.640
La lingua della tradizione dotta non si limita tuttavia a subentrare al
volgare nel momento in cui il guaritore ritiene opportuno declamare una
formula magica per evocare l’aiuto e la benevolenza di una determinata
divinità.641 Né si esaurisce nei trabocchi morfologici di cui sopra, che si

637 Cfr. Soares da Silva 2013, 88 ssg. e 2014.


638 Cfr. Krefeld 2004, 23 – 24.
639 Cfr. Krefeld 2004, 90 ssg.
640 Cfr. Musso 2006, 183 – 84.
641 Generando al contempo un’aura di superiorità attorno alla sua figura ed evo-
cando un atteggiamento di sottomissione nel paziente-fedele; cfr. le considera-
zioni fatte sul fenomeno della comunicazione verticale (Banniard 1992, 38) in
par. 2.3.1.2.
2.3.3. Coalescenza 203

potrebbero tutt’al più classificare come residui fossilizzati di una tradi-


zione ormai persa. Si rilevano infatti numerose rubriche, anch’esse ad
opera di mani differenti, per le quali a fungere da veicolo dei contenuti
segreti è esclusivamente il latino. L’interposizione di rubriche latine a
quelle volgari non è sempre giustificata da ragioni tematiche.642 Tra le
ricette (para)mediche vergate da Achille Grafeo vi è infine un’intera se-
quenza, che prende il via dal “finis” di c. 44r e giunge alla ricetta de-
pennata per fare “pille mirabiles” in capo a c. 49v, in cui si è posti di fronte
ad un latino che tende sì al polo del parlato643 – la ricetta in calce a c. 47v
“Ad eum q. quotidie patit magna sitem” in cui si descrive la composizione
di pillole a base di succo di rapa e cocomero fa ed esempio ampio uso di
costruzioni causative:644 “et postea fac siccare et indes fac pillas et da co-
medere patienty mane et sero” – ma senza rilevanti scivoloni nella lingua
volgare, come testimonia la forma stessa del semiausiliare fac (cfr. per
contro la formulazione del Lapidario “et fai dolce” in infra, par. 2.2.1.2.).

2.3.3.2. L’Opera e ricette di alchimia (sec. XVI)


In questo paragrafo sarà giocoforza analizzare un ulteriore codice cin-
quecentesco attraverso cui verificare la validità delle considerazioni fatte a
proposito del modello linguistico coalescente: l’Opera e ricette di alchimia.
Conservato nella Biblioteca Zelantea di Acirelae ai segni A16, il volume
in questione racchiude un testo di unica mano attribuito, come si legge
nell’incipit, a tale: “Ventura (Laurentius, venetus) artium et medicinae
Doctoris”. Il copista riproduce nello specifico il “De ratione conficiendi
lapidis philosophalis” di paternità dell’anonimo veneziano, opera che a
giudicare dalle indicazioni realtive a luogo e data di esecuzione incise in
calce alla dedica “Ad othonem Henricum principem palatinum Ex privilegio
caesariae majestatis Basileae MDLXXI” vanta una editio princeps che risale
all’anno 1571. Il manoscritto, comprensivo di 92 pagine in 88 ff. nu-
merate al recto, è strutturato in 33 capitoli consultabili grazie all’“Index
totius operis” finale che guida il lettore dall’introduzione “Quod ars al-
chimie est vera” alla “Recapitulatio totius operis cum conclusione sigillationis

642 Cfr. le conclusioni cui si è giunti al termine dell’analisi sul Libro di ricette e secreti
in par. 2.3.2.1.
643 Cfr. infra, par. 2.2.1.1.
644 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/costruzione-causativa_(Enciclopedia_
dell’Italiano)/.
204 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

illius”. 645 La lingua che traspone i contenuti dell’arte alchemica è il latino,


fatta eccezione per il testo di c. 89r che riporta il seguente enigma in versi:

[89r]

1 Enigma della Pietra phisica

2 di Lorenzo ventura veneziano


3 nell’India parte più calda del mondo,
4 nasce pietra talbon ch’nse rinchiude
5 virtu infinite, che vengon dal cielo:
6 dett’è pantheona, bench’en vista vile
7 tenuta sia da molti vana e sciocca.
8 soglion li eletti, e quei che de natura
9 sanno l’alti secreti, extrarne sangue
10 per artificio a null’altro secondo.
11 e perch’in essa v’è Mercurio e solpho,
12 oro et Argento non già quei del volgo,
13 ma humor celeste caldo, et untuoso,
14 col suo terreo sottile, freddo e secco,
15 legati insieme con mirabil modo.
[…] […]a)
a)
BZA, Opera e ricette di alchimia.
Il volume dell’Opera e ricette di alchimia non si esaurisce però con la sola
De ratione conficiendi, ma comprende una serie di manoscritti aggiuntivi
rilegati assieme al trattato. Il primo di essi riprende una “Consideratio in
Alchimiam extracta ex XI parte catalogi Gloriae Mundi” ad opera di “D.
Bartholomeo Cassaneo Burgundis”, mentre il secondo e il terzo si confi-
gurano rispettivamente come una “epistola De occulta Philosophia […]
cuiusdam patris ad filium” ed un repertorio “Lapis philosophici nomen-
claturae”. 646 Tra i singoli manoscritti sono inserite alcune ricette alche-
miche che i diversi compilatori pongono rispettivamente in calce alle
opere copiate sfruttando così lo spazio rimasto inutilizzato.
Quasi a segnalazione del fatto che l’attività di stesura/copiatura era
giunta a termine, gli ultimi cinque fogli del terzo fascicolo aggiuntivo
sono rimasti vuoti. Il volume comprende però due ulteriori fascicoli,
scritti da altra mano, nei quali si espone l’“Opera di Alchimia declarata
per Enrigo de Filippis de Cuso ad instantiam del Ec.mo Ximeni Vitellino
de la Clarissima cità di Catanea”. In questa ultima parte del codice ri-

645 Cfr. catalogo cartaceo della Biblioteca Zelantea di Acireale, A 16.


646 Cfr. catalogo cartaceo della Biblioteca Zelantea di Acireale, A 16.
2.3.3. Coalescenza 205

suonano forme linguistiche ben differenti da quelle che si trovano nel


brano dell’enigma di cui sopra. I personaggi citati non forniscono con-
creti appigli per una datazione, né il riferimento cronologico contenuto
nel “De ratione conficiendi”, la data del 1571, può fungere da terminus
post quem per questo manoscritto facente parte sì dello stesso volume, ma
assemblato ai primi in un momento eventualmente successivo e quindi
non necessariamente anche seriore ad essi. Dalla forma e dal ductus dei
caratteri della corsiva umanistica (v. fig. 8), è tuttavia possibile datare
anche questo manoscritto al sec. XVI.
206 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

Figura 8. Opere e ricette di alchimia (sec. XVI)


2.3.3. Coalescenza 207

[1r ]a)
+
1 Opera D’alchimia declarata b) p. Errigo
2 de filippis De Cup.o: ad Jnstr.ctio
3 del C.so ximenj vitellino de
4 la Clariss.a Cita di Catania
5 Dove sicontenj sub brevita la pura et mera
6 substantia della petra de phi. et po te declariro,
7 qd est lapis, apresso seq.ro p. ordine ad suo com
8 plimento dal pio Jnsino ala fine sensa nixuna
9 abondansa ne oscurita dj palorj //

10 Apre donque letue orechie et Jntende quel ch


11 dice Jl n.ro Mastro Geber undj dice ch uno e lo
12 n.ro lapis, et una la n.ra medicina Jn laquali con
13 siste tu<ct>o lo n.ro Magisterio phisico <alo> quale
14 non aiung<em>o cosa alcuna extranea ne manc<amo>c)
15 eccecto ch Jn la preparatione sualevamo lesuesup.
16 fluita et li hominj savij chamano Jl n.ro lapis
17 p. multj nomj accio chetuessendo della scientia
18 non lo posse Jntendere ne credere chesiaunasola
19 cosa ma pio tosto Jntendere ch di diverse sep.para
20 cioe, di quatro elementj cioe, di quatro substantij
21 la pa substantia e, calda et humida, la seconda
22 e calda etsecca, la terza e, fredda et secca
23 la quarta e fredda et humida et tucto q.sto
24 e, inlo n.ro lapis […]

[2v]

[…] […]
17 Secunda dispositionj
18 Allegratj figlol di doctrina poich haj Jnteso la
19 mia doctrina ora apre li toj aurechie et piglia
20 lu corpu ch di supra ho decto ben cribato et mectilo
21 invaso Jn vaso phi.co a foco secondo la usanza di li phi ele
phi.co
22 giermente lu cochj finche la ma.ria e, fi<.n>a et
23 lu colurj so sia transmutato Jn colurj violato et sa
24 ppi ch Jnantj videraj multj colurj ben vero tibisogna
25 custodirj lu foco et non sia violento ma piutosto

[3r]

1 debili p. ch lo foco fortj destrude ognj cosa et lufoco


2 suave genera p.fectionj et rectamente vogli sapere
3 ch lo bono regimento consistj Jnlo foco et Jnlo vaso
208 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

4 Ø Mastro Jo Intendo bene q.llo ch dice pregotj ch mj


5 vogli dirj quantj su li dispositionj e/ qualj sonno dilo
6 n.ro magisterio7 Ø figliolo liberamente ti dic<.>o
7 la p.a dispositionj si chama sublimationj la seconda
8 calcinationj la terza solutionj la quarta ablutionj
9 la q.nta coagulationj la sesta Jncerationj. la sectima
10 frixionj e, q.stj su li operationj di q.sto magiste
11 rio forono alcunj phi. ch dissero deablutionj esserj
12 asunsionj e, quando descendj supa la terra sichama
13 descencionj et possiro li phi. tantj nomj ali op.onj
14 p. la sci.a essirj obscura vero e, ch forono alcunj phi.
15 ch scrissero la sci.a clara alj Jntelligentj cossi come
16 fu Hermes pri. di tucti li phi. ch dissi Jnsignandolj
17 Jgnorantj ch Jl sole e, Jl p.re et la luna bianca sua
18 m.re et Jl foco e, Jl gobernatore fate Jl grosso
19 soctile et Jl soctile grosso et s.erete la sc.ia Jntendi
20 ch lusuo nutrimento e, laterra qualj e, p.fectionj dj
21 tucto lo n.ro <ma>gisterio si tucta Jntegra virtu sarra
22 retornata nella chra lo separeraj dalu foco et Jl suo
23 soctile dal grosso e spesso suavimente et con gran
24 distrezza di Jngegno sagli di terra Jn celo et item
25 descendj dj celo Jnterra fin tanto ch ben si rectifica
26 lacqua et fassj bianco. Similmente disse unalto ph.o
27 ch lacqua n.ra lava et caccia li bructezzi della

[3v]

1 terra n.ra et lu sulj e, adiuturj etoperaturj aq.sti


2 ch monda ancora ognj negrezza et oscurita Ø bon Ma
3 acqua, stro Jo ti prego ch mj Jmparj lu p.pio nome di q.sta
4 benedicta acqua et si e, cosa ch la possi toccare con
5 la mano p. ch molto so maraviglato ditalacqua
6 Ø figlio di sc.ia leberamente tilo voglio Jnparare
7 sappi ch dicta acqua si chama acqua vite, acqua
8 serena acqua p.petua et p. multj altrj nomj
9 chamasj acqua vitj p. ch dona la vita ali corpj
10 mortj et lava ognj bructezza et Jllumina
11 ognj oscurita et chamasi acqua p.petua
12 ch p.petua ognj cosa ch tocca et portalj ad
13 p.fectionj et dice lo exemo et sapientiss.o
14 Geber Jnlo suo libro ch sia lodato Jl sommo
15 Artifice di tucto Jl mondo Idio Glorioso et
16 benedecto Causa dj tucte le cose create ch cre
17 iao tal sub.ia e, duna cosa vilj fece una
18 cosa p.ciosiss.a et dissi Jlvero p.ch non e cosa
19 almondo che savesse tale natura ch vincj ognj
20 cosa et dimandastimj silo poj toccarj conlimanj
2.3.3. Coalescenza 209

21 Jo ti dico ch non si po toccare fintanto ch non e,


22 ch sitali acqua facto p.ch allora sipo toccare senza danno et
23 fussi data p. certo ti dico ch si tal acqua fossi dato ad al
24 adalcuno di cuno di subito sarria Morto et p. questo moltj phi.
25 subito sarria la chamano acqua venenosa et fetida et dissero
26 morto ch era tossica et dissero Jl vero acuj li Jntesi

[4r]

1 Ø Mastro Jo vedoch sia Jl vero tucto q.llo ch haj decto


2 piachiatj donquj alla tercia dispositionj passarj p.
3 ch tucto ho Jnteso et benedicto sia Jl nome del se
4 p.re omnipotentiss.o
5 La tercia dispositionj.
6 La tercia dispositionj e, ch vogli piglare la Azoc
7 ch disopa havemo declarato et fach sia ben cribellata
8 In vaso phi.co et Mectila al foco n.ro secondo lo costumo de phi. me
9 ctindolo Jnvaso phi.o ben sirrato et fach tucto si
10 dissolva suavemente assandolo et cochendo p. fin
11 che sarra dissoluto et allora si chama acqua vitj
12 serena et p.petua Ø Mastro molto mi sogno
13 admirato di q.sto Azoc Ø figlio di sapientia
14 sappi ch lo Azoc e, lo lapis dillj phi. cochilo con
15 foco lento tanto ch la n.ra terra si venj ad Jn
16 blanchirj […]d)
a)
Le pagine del manoscritto aggiuntivo non sono numerate. Al margine infe-
riore della prima carta, sulla sinistra, è vergata l’icona di una mano che punta
l’indice sul testo (v. fig. 8).
b)
La a finale è corsivata quando il tratto della coda, per la sua posizione elevata,
si confonde con quello di o.
c)
Sovrapposto a manc<amo>: minuimo.
d)
BZA, Opera e ricette di alchimia (numerazione mia).
Il manoscritto da cui sono tratti questi passaggi rappresenta una produ-
zione testuale assai indicativa ai fini di completare il quadro, già deli-
neatosi nei paragrafi precedenti, nel quale veniva tramandata l’arte al-
chemica tra il medioevo e la prima età moderna. In particolar modo
le considerazioni fatte in merito ai possibili contesti d’insegnamento/
apprendimento dei segreti correlati alla magia bianca (cfr. infra,
par. 2.3.2.1.) si mostrano viepiù valide per l’Opera e ricette di Alchimia. La
simulazione di un contesto di apprendimento in cui un custode delle
conoscenze alchemiche istruisce un novizio introducendolo all’arte segreta
assume qui la concretezza scenica di un vero e proprio dialogo. Non
mancano allora esortazioni dirette del tipo: “Apre donque letue orechie et
Jntende quel ch dice Jl n.ro Mastro Geber” (1r 10 – 11), o “Allegratj figlol
210 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

di doctrina poich haj Jnteso la mia doctrina ora apre li toj aurechie” (2v
18 – 19), ecc. Lo scrivente assume cioè, da un lato, il ruolo del maestro,
che prima di svelare gli elementi e le procedure necessarie per ricavare la
pietra filosofale si dilunga in digressioni pedagogico-moralizzanti tipiche
del genere647 (cc. 3r 13 – 27 e 3v 6 – 26). Dall’altro lato, lo scrivente
s’immedesima anche nella parte dell’apprendista, teso a rivolgere do-
mande pertinenti a quanto appena esposto e, allo stesso tempo, ad in-
calzare il maestro perché prosegua la sua lezione: “Mastro Jo Intendo
bene q.llo ch dice pregotj ch mj vogli dirj quantj su li dispositionj e/ qualj
sonno dilo n.ro magisterio”, (3r 4 – 6), “bon Mastro Jo ti prego ch mj
Jmparj lu p.pio nome di q.sta benedicta acqua et si e, cosa ch la possi
toccare con la mano p. ch molto so maraviglato ditalacqua” (3v 2 – 5) o
ancora “Mastro Jo vedoch sia Jl vero tucto q.llo ch haj decto piachiatj
donquj alla tercia dispositionj passarj” (4r 1 – 2) e “Mastro molto mi
sogno admirato di q.sto Azoc” (4r 12), ecc.648 Il genere del dialogo, che
fiorisce peraltro proprio nel Cinquecento come forma letteraria prediletta
dagli ambienti (volgar)umanistici (cfr. le opere menzionate in infra,
par. 3.2.2.), adempie alla necessità di presentare il procedimento euristico
non più come un sapere canonico dai confini rigidi e ben delimitati, ma
come un ravvedimento da raggiungere passo dopo passo sulla base di
esperienze riproducibili e condivisibili.649
Venendo ora alla fattura linguistica del manoscritto, sarà innanzitutto
doveroso segnalare la presenza di alcuni grafemi della scripta siciliana, in
particolar modo di <j>, che compare in qualità di variante di <i> nelle
occorrenze del nome proprio “ximenj” (1r 3), così come in “palorj” (1r 9),
“undj” (1r 11), “multj”/“moltj” (1r 17; 2v 24; 3v 8; 3v 24), “nomj” (1r 17;
3r 13; 3v 8), “elementj”, “substantij” (1r 20), “dispositionj” (2v 17; 3r 5, 7;
4r 2), “toj” (2v 19), “cochj” (2v 22), “colurj” (2v 23x2, 24), “Jnantj videraj”
(2v 24), “custodirj” (2v 25), “fortj” (3r 1), “consistj” (3r 3), “pregotj” (3r 4),
“mj” (3r 4; 3v 3), “dirj” (3r 5), “quantj” (3r 5), “qualj” (3r 5, 20), “cal-
cinationj” (3r 8), “solutionj” (3r 8), “ablutionj” (3r 8, 11), “coagulationj”
(3r 9), “Jncerationj” (3r 9), “frixionj” (3r 10), “esserj” (3r 11), “asunsionj”
(3r 12), “descencionj” (3r 13), “tantj” (3r 13), “essirj” (3r 14), “alcunj” (3r

647 Cfr. Patti 2004, 210.


648 Il dialogo non è peraltro inserito all’interno di alcuna cornice narrativa, ma sono
gli stessi scambi di battute, separati graficamente dal testo mediante il segno di
un cerchio barrato, a garantire una progressione testuale scandita altrimenti dai
soli titoli dei paragrafi: “Secunda dispositionj” (2v 17), “La tercia dispositionj”
(4r 5), ecc.
649 Thielmann 2009, 17 ssg.
2.3.3. Coalescenza 211

11, 14), “alj” (3r 15), “Jntelligentj” (3r 15) “Jnsignandolj Jgnorantj” (3r
16 – 17), “p.fectionj” (3r 2, 20; 3v 13), “dj” (1r 9; 3r 20, 25; 3v 16),
“descendj” (3r 25), “sulj” (3v 1), “adiuturj etoperaturj” (3v 1), “Jmparj” (3v
3), “altrj” (3v 8), “chamasj acqua vitj” (3v 9), “corpj mortj” (3v 9 – 10)
“ognj” (3r 1; 3v 2, 10, 11, 12, 19), “portalj” (3v 12), “vilj” (3v 17), “vincj”
(3v 19), “poj toccarj conlimanj” (3v 20), “acuj” (3v 26), “haj” (2v 18; 4r 1),
“piachiatj donquj […] passarj” (4r 2), “vitj” (3v 9; 4r 11), “dillj” (4r 14),
“venj” (4r 15) e “Jnblanchirj” (4r 15 – 16). Per la rappresentazione della
plosiva velare sorda però si ha unicamente il bigrafema <ch>, non
compare mai cioè il segno k tipico della scripta siciliana quattrocentesca
(cfr. infra, parr. 2.1.2. e 2.3.1.1.). Si registra allora la forma del pronome
relativo “ch” (1r 10; 3r 4; 3v 12, 16, 19; 4r 1, 7), delle congiunzioni
consecutive “ch(-e)” (1r 11, 15, 18, 19; 2v 24; 3r 3, 4, 11, 14, 15, 16, 17,
20, 27; 3v 3, 7, 14, 19, 21, 23, 26; 4r 1, 6, 9, 14), di quelle causali “poich”
(2v 18) e “p. ch” (3r 1; 3v 5, 9, 18, 22; 4r 2 – 3), temporali “finche” (2v 22;
4r 10 – 11) e “fin tanto ch” (3r 25; 3v 21), finali “accio che” (1r 17) o
modali “tanto ch” (4r 15). Il digrafema <ch> rappresenta anche la velare
sorda seguita da semiconsonante [kj] nonché, allo stesso tempo, l’affricata
palatale sorda [w]. Si hanno quindi, da un lato, le occorrenze di
“chamano” (1r 16; 3v 25), “chama” (3r 7, 12; 3v 7; 4r 11), “chamasi” (3v
11) – ma in “orechie” (1r 10) la semiconsonante è resa graficamente con
<i> – e, dall’altro lato, le occorrenze di “piachiatj” (4r 2), piuttosto che
di “cochj” (2v 22), “cochendo” (4r 10) e “cochilo” (4r 14). Altro grafema
tipico della scripta siciliana è infine <x> che rende la sibilante palatale in
“nixuna” (1r 8), oltre che nei già menzionati “ximenj” e “frixonj”.650
Passando all’ambito fonetico è dato riscontrare nel vocalismo nu-
merosi fenomeni che consentono di definire il testo fortemente caratte-
rizzato in senso siciliano. Senza fornire una lista esaustiva dei singoli esiti
vocalici (cfr. supra, par. 2.3.3.1.), ci si limita qui a prendere atto delle
principali linee di tendenza che si possono riconoscere nell’atteggiamento
delle vocali anteriori e posteriori toniche e non. Tra le soluzioni che più di
tutte mettono in evidenza la sicilianità del testo vanno menzionati in
primo luogo gli esiti vocalici che si riscontrano negli infiniti dei verbi
“toccarj” (3v 20), “passarj” (4r 2), “esserj”/“essirj” (3r 11, 14), “custodirj”
(2v 25), “dirj” (3r 5) e “Jnblanchirj” (4r 15 – 16), così come quelle che si
osservano nelle forme coniugate in terza persona singolare dei verbi “si-

650 Cfr. Mattesini 1994, 424 ssg. Va esclusa forse l’occorrenza di “extranea” (1r 14) in
cui il grafema è parte di un prefisso dotto e non rappresenta perciò il suono della
sibilante, ma più probabilmente il nesso consonantico [ks].
212 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

contenj” (1r 5), “consistj” (3r 3), “descendj” (3r 12), “dissi” (3r 16; 3v 18),
“vincj” (3v 19), “fossi” (3v 23), “Jntesi” (3v 26), “venj” (4r 15). Sono
altrettanto conformi alle regole del trivocalismo atono siciliano anche i
sostantivi in singolare della terza classe di declinazione che presentano la
stessa terminazione in -i, dai termini relativi alle procedure “[p.a/Secun-
da/tercia] dispositionj”, a quelli delle operazioni alchemiche da eseguire
in ognuna di esse: “calcinationj”, “solutionj”, “ablutionj”, “coagulationj”,
“Jncerationj”, “frixonj”, al lessico di “acqua vitj”, “[lu]colurj”, “p.fe-
ctionj”, “[lu] sulj”, ecc. A questi si aggiungono i plurali dei sostantivi
appartenenti alla seconda classe – anche frutto di metaplasmo – quali
“[quatro] substantij”, “palorj”, “[li] bructezzi”, ecc.651 Accanto agli infiniti
in cui si registra un esito vocalico in -i, si ravvisano però nello stesso testo
anche tutta una serie di desinenze verbali nelle quali la vocale rimane
invece media, come nel caso di “toccare” (3v 4, 21, 22), “Jnparare” (3v 6),
“piglare” (4r 6), “Jntendere” (1r 18, 19), “credere” (1r 18), “sapere” (3r 2).
In altri casi, poi, quali ad esempio “[a]pre” (1r 10; 2v 19) e “Jntende” (1r
10), per le quali l’esito in -i sarebbe comune sia al siciliano che al toscano,
la vocale finale volge da -i ad -e. Si tratta in questo caso di forme iper-
corrette che tradiscono uno sforzo di adattamento alla forma linguistica
ritenuta dallo scrivente conforme alla soluzione toscana, fenomeno su cui
si tornerà in par. 2.3.4.1. Infine, se tra i sostantivi di terza declinazione è
possibile riscontrare in veste toscanizzata solo “preparatione” (1r 15), gli
aggettivi e gli avverbi che si trovano nell’arco della trattazione terminano
invece prevalentemente in -e. Fatta eccezione per i soli “[lu foco] debili”/
“fortj” (3r 1), “[duna cosa] vilj” (3v 17) che riportano un vocalismo di
stampo siciliano, si ha dunque “suave” (3r 2), “soctile” (3r 19x2, 23), “tale
[natura]” (3v 19), “legiermente” (2v 21 – 22), “rectamente” (3r 2), “libe-
ramente”/“leberamente” (3r 6; 3v 6), “suavimente”/“suavemente” (3r 23;
4r 10), “Similmente” (3r 26). A proposito dell’atteggiamento delle vocali
posteriori in posizione tonica e non, poi, va riscontrato come l’esito in -u
sia limitato a ben pochi casi, nella fattispecie a “lu” (2v 20, 22, 23, 25; 3r
1, 20, 22; 3v 1, 3), “suavimente”/“suavemente”, “sulj”, “sub(stant)ia” (1r
6, 21; 3v 17), “multj” (1r 17; 2v 24; 3v 8), “Secunda” (2v 17), “supra”/
“supa” (2v 20; 3r 12), “colurj” (2v 23x2, 24), “adiuturj etoperaturj” (3v 1) e
“corpu” (2v 20). La stragrande maggioranza dei sostantivi e degli aggettivi
termina infatti in -o, così come quasi tutte le forme in terza persona
plurale, in prima persona singolare e plurale o in participio passato dei
verbi che vengono utilizzati nel testo. Si hanno così “vitellino” (1r 3),

651 Cfr. Mattesini 1994, 426 – 27.


2.3.3. Coalescenza 213

“vaso” (2v 21), “foco” (2v 21; 3r 1x2, 3, 18, 22; 4r 8, 15), “complimento”
(1r 7 – 8), “Magisterio phisico” (1r 13), “regimento” (3r 3), “nutrimento”
(3r 20), “celo” (3r 24, 25), “libro” (3v 14), “mondo” (3v 15), “Mastro” (4r
1, 12) e “apresso” (1r 7), “aiungemo”, “mancaremo”, “minuimo” (1r 14),
levamo” (1r 15), “Jnteso” (2v 18), “cribato” (2v 20), “transmutato” (2v 23),
“violato” (2v 23), “vero” (2v 24; 3v 18, 26; 4r 1), “violento” (2v 25),
“bono” (3r 3), “Intendo” (3r 4), “dissero” (3r 11; 3v 25, 26), “possiro” (3r
13), “scrissero” (3r 15), “grosso” (3r 18, 19, 23), “bianco” (3r 26), “prego”
(3v 3), “maraviglato” (3v 5), “voglio” (3v 6), “exemo et sapientiss.o” (3v 13),
“sommo” (3v 14), “benedecto” (3v 16), “dico” (3v 21, 23), “facto” (3v 22),
“dato” (3v 23), “Morto” (3v 24), “chamano” (3v 25), “decto” (4r 1),
“benedicto” (4r 3), “omnipotentiss.o” (4r 4), “havemo declarato” (4r 7),
“cochendo” (4r 10), “dissoluto” (4r 11), “sogno” (4r 12), “admirato” (4r
13). L’atteggiamento della vocale anteriore e posteriore in sillaba libera è
in parte quello tipico del siciliano, per cui Ĕ non viene dittongata in
“petra” (1r 6) e “venj” (4r 15), in parte quello toscano, per cui si riscontra
il passaggio di Ŏ ad [w c] nelle forme del pronome/aggettivo possessivo
“suo” (1r 7; 3r 20, 22; 3v 14). Queste forme si avvicendano a loro volta a
quelle siciliane prive di dittongo che si registrano invece nel pronome
possessivo “toj” (2v 19) piuttosto che in “foco”, “bono”, “cochj”, “po” (3v
21, 22) o, ma solo in un’occasione, anche nello stesso pronome possessivo
di terza persona singolare “so” (2v 23). Va segnalato infine, in termini di
vocalismo, il dittongo primario AU che si riscontra nell’occorrenza di
“aurechie” (2v 19).652 In merito agli esiti consonantici andranno ravvisate
invece, da un lato, le occorrenze di “declariro” (1r 6), “declarato” (4r 7),
“Clariss.a” (1r 4), “clara” (3r 15) e “Jnblanchirj” (4r 15 – 16) con man-
tenimento dei nessi CL/BL e, dall’altro, quelle di “pio” (1r 8, 19) con
soluzione di PL> [pj] – ma si veda anche “complimento” (1r 7 – 8) in cui
il nesso consonante + liquida viene invece mantenuto.653 Altri fenomeni
consonantici che si possono ricondurre al volgare siciliano sono le ge-
minazioni della vibrante in “sarra” (3r 21; 4r 11) e “sarria” (3v 24), così
come il raddoppiamento della nasale in “sonno” (3r 5).654 L’occorrenza di
“seq.ro” (1r 7), a sua volta, mostra un mantenimento della plosiva sorda
intervocalica, mentre in “gobernatore” (3r 18) si osserva come la plosiva

652 Cfr. Mattesini 1994, 427.


653 Cfr. Mattesini 1994, 428.
654 Cfr. Rinaldi 2005, I, 390.
214 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

intervocalica sonora non subisca una lenizione come avviene invece nel
toscano.655
Venendo all’ambito morfologico, in parte già lambito attraverso
l’analisi fonetica, andrà evidenziato innanzitutto come sia possibile rin-
tracciare in più occasioni l’uso dell’articolo siciliano lu. Alle nove oc-
correnze di lu si affiancano, per la determinazione dei sostantivi in ma-
schile singolare, ben quattordici occorrenze della forma toscana “Jl” (1r
16; 3r 17x2, 18x3, 19, 22; 3v 14, 15, 18, 26; 4r 1, 3), mentre pari al
numero di quindici sono quelle della forma coalescente “lo” (1r 11, 13x2,
24; 3r 1, 3x3, 5, 21; 3v 13, 14; 4r 8, 14x2). All’interno del sistema
preposizionale è interessante notare l’alternarsi di formulazioni che es-
primono una derivazione e una provenienza spaziale o temporale me-
diante la preposizione “di(-j)” con altre che fanno invece uso della pre-
posizione “da”. Frasi del tipo “Jl n.ro lapis […] di diverse sep.para cioe, di
quatro elementj cioe, di quatro substantij” (1r 16 – 21) e “Jngegno sagli di
terra Jn celo et item descendj dj celo Jnterra” (3r 24, 25) co-occorrono
quindi a sintagmi preposizionali del genere di: “ad suo complimento dal
pio jnsino ala fine” (1r 7), “lo separeraj dalu foco et Jl suo soctile dal
grosso” (3r 22 – 23). Morfologie verbali tipicamente siciliane sono poi ad
esempio quella dell’indicativo presente di terza persona singolare che
risale ad un singolare incrocio tra SUM ed AIO656 visibile in “Mastro
molto mi sogno admirato” (4r 12 – 13). Nella terza persona plurale del
presente indicativo, invece, si registra sia la resa conforme al siciliano
illustre “su”, sia quella toscanizzata comprensiva del suffisso -(n)no per di
più entrambe all’interno dello stesso periodo: “Mastro […] pregotj ch mj
vogli dirj quantj su li dispositionj e/ qualj sonno dilo n.ro magisterio” (3r
4 – 6). Ad essere conformi alla tradizione scrittoria siciliana sono anche le
terminazioni della prima persona plurale in presente indicativo visibili,
oltre che in “levamo”, anche in “aiung<em>o” (1r 14) – in cui si veda per
la fonetica anche l’esito in semivocale del nesso -DJ- –, “mancaremo”,
“minuimo” (1r 14) e “havemo” (4r 7). Sempre in termini di sicilianismo e
sempre in ambito verbale attirano l’attenzione anche le forma del con-
dizionale presente “sarria” (3v 24) e del passato remoto “creiao” (3v 16 –
17), mentre per il sistema pronominale va menzionata infine la presenza
del locativo “undj” (1r 11) e del relativo “cuj” (3v 26).657

655 Cfr. Mattesini 1994, 427 ssg.


656 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 540. Leone (1980, 36) considera invece *sunnu una
costruzione analogica a tegno, vegno, ecc. in cui NJ> [ł].
657 Cfr. Mattesini 1994, 429 – 30; Rinaldi 2005, I, 403 e 413; Leone 1980, 89 ssg.
2.3.3. Coalescenza 215

Nella forma verbale in passivo in cui occorre il condizionale “sarria”


appena menzionato, per esteso “sarria Morto” (3v 24), si realizza la forma
media del verbo tipica del siciliano in cui è difficile stabilire se la diatesi
passiva è statica, come farebbe intendere il participio, o dinamica, come
sarebbe deducibile dalla scelta del predicato.658 Altri fenomeni sintattici di
stampo siciliano sono le posposizioni dell’aggettivo possessivo in: “la
preparatione sua” (1r 15), “lu colurj so” (2v 23), “terra n.ra” (3v 1), “lacqua
n.ra” (3r 27), “foco n.ro” (4r 8).659 Anche a proposito di quest’ultimo
fenomeno, però, la soluzione siciliana con l’aggettivo possessivo posposto
al nome va ad affiancarsi a quella che invece lo prepone, variante questa
altrettanto numerosa che si registra in “suo complimento” (1r 7 – 8), “n.ro
Mastro Geber” (1r 11), “n.ra medicina” (1r 12), “n.ro lapis” (1r 12 e 16),
“n.ro [m]agisterio” (1r 13; 3r 6, 21), “toj aurechie” (2v 19), “lusuo nu-
trimento” (3r 20), “Jl suo soctile” (3r 22 – 23), “suo libro” (3v 14), “n.ra
terra” (4r 15).
Quanto riscontrato nel par. 2.3.3.1. in merito alla lingua del Recet-
tario secreto viene convalidato dalle disamine eseguite su quest’ulteriore
testo cinquecentesco nella misura in cui, anche in questo caso, ci si trova
alle prese con un idioma ibrido non più ancorato alle convenzioni di una
scripta regionale, ma non già per questo soggiacente alle norme della
lingua letteraria tosco-italiana. Anche qui si ravvisa un testo e una lingua
coalescente che risentono in maniera sensibile dell’influenza e del prestigio
di una varietà toscana entrata con risolutezza nel repertorio linguistico di
uno scrivente di origine siciliana – l’ambito più marcato in senso toscano
è per certo la fonetica, ma si consideri per la morfologia l’occorrenza
insistente dell’articolo determinativo il – senza tuttavia comportare un
drastico accantonamento dei fenomeni vernacolari. La lingua che veicola i
contenuti dell’arte alchemica, anche in questo caso, è permeata di ele-
menti toscani perfettamente consonanti a quelli siciliani.

2.3.3.3. Riassumendo: coalescenza


Con il termine di coalescenza, utilizzato nei parr. 2.3.3.1. e 2.3.3.2. per
definire la tipologia linguistica cui si è posti a confronto nel Recettario
secreto e nell’Opera e ricette di alchimia, si vuole rendere giustizia ad una
serie di circostanze concomitanti. Il termine, inteso nella sua denotazione

658 Cfr. Rinaldi 2005, I, 462 – 63.


659 Cfr. Mattesini 1994, 430.
216 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

primaria di ‘crescita congiunta’,660 contrappone alla concezione del con-


tatto linguistico nei termini di una concorrenza tra più sistemi rivali661
quella di una convergenza che si configura come un processo non con-
flittuale. L’interfisso volto ad esprime l’aspettualità incoativa del verbo co-
alescere fa sì che il termine si presti in maniera efficace ad esprimere
l’elemento di inizialità che caratterizza questa nuova fase: dal punto di
vista linguistico, il Cinquecento porta ad una svolta e apre una nuova era
per gli scriventi, volti ora all’utilizzo di un sistema omogeneamente ete-
rogeneo (cfr. infra, par. 3.2.2.). Con il termine di coalescenza si definisce
sia la condizione di ibridismo e di sostanziale eterogeneità linguistica del
testo nel suo complesso (spazialità dell’eloquio), sia quella che interessa il
singolo elemento linguistico sul piano semantico-lessicale, morfologico,
sintattico, fonetico e grafico (spazialità della lingua), sia infine quella del
repertorio dello scrivente deducibile dalla sua concreta produzione tes-
tuale (spazialità del locutore).662
A proposito della provenienza sociale dei professionisti della guari-
gione, questione di fondamentale importanza per qualificare in termini
sociolinguistici la varietà coalescente qui esaminata, è dato ricavare in-
formazioni attendibili che rimandano persino ai ceti medio-alti della
società. Come rivelano i dettagliati protocolli dell’efficiente organo uf-
ficiale di repressione dell’eterodossia religiosa e di pensiero, la temuta
macchina inquisitoriale,663 vi era infatti un forte accanimento verso chi
praticasse mestieri che comportavano uno stretto contatto con materie
organiche, immondizie e sangue, quindi chirurghi e barbitonsori, ma
anche soldati, contadini, mugnai, pescatori, gitani, nonché sarti, calzolai,
tessitori, operai, locandieri, osti o camerieri.664 Mentre si può partire dal
presupposto che la maggior parte dei contadini fosse pressoché analfabeta,
per quanto concerne gli affiliati alle arti e ai mestieri non è da escludere
che molti di essi avessero per lo meno appreso, nelle botteghe dei loro
maestri, a leggere dai manuali d’istruzione i procedimenti per comporre
profumi, colle o colori. Anche al riguardo di manovali e braccianti, poi, è
se non altro doveroso mantenersi cauti nell’esprimere stime affrettate sul

660 Cfr. http://www.etimo.it/?term=coalescenza&find=Cerca.


661 Cfr. la descrizione di Lo Piparo (1987, 740) del rapporto tra Siciliano e Toscano
nei Parlamenti cinquecenteschi nei termini di “silenziosa competizione”.
662 Cfr. infra, par. 1.1.; Krefeld 2004, 21 ssg.
663 In particolar modo le relaciones de causas conservate nell’AHNM, cfr. Messana
2007, 401 – 78; cfr. infra, par. 2.3.2.2.
664 Messana 2007, 402.
2.3.3. Coalescenza 217

livello di alfabetizzazione che potevano vantare.665 A cadere nelle maglie


del tribunale di fede erano inoltre artigiani più facoltosi come orefici,
argentieri, commercianti di spezie e stoffe, oltre che liberi professionisti
quali maestri e precettori privati di grammatica, teologia o musica. Non
mancavano poi nemmeno operatori del diritto come notai e avvocati per i
quali è certamente lecito dare invece per scontata una formazione cul-
turale di livello alto.666 A essere considerate inhonesta mercimonia, nel
medioevo, erano infatti anche le attività finalizzate al lucro che presup-
ponevano un contatto costante con il denaro.667 Tra gli imputati del
Sant’Officio si trovano infine non di rado anche gli stessi fisici e dottori
in medicina, accusati spesso di dedicarsi allo studio dell’alchimia o di far
parte di vere e proprie sette di occultismo e gli stessi membri del clero, sia
secolare che regolare, rei di svolgere pratiche eterodosse non conciliabili
con la loro investitura durante l’esercizio della funzione di intermediari
con il divino.668
Un declassamento allo status di semiletterato del compilatore di un
Ricettario di segreti, si può concludere alla luce di questi dati, è sostan-
zialmente privo di fondamento. Simili qualifiche aprioristiche, che por-
tano a minimizzare la forza espressiva di queste preziosissime testimo-
nianze della scritturalità cinquecentesca, sono funzionali ad avvalorare la
tesi della rapida toscanizzazione linguistica della Sicilia, che, in verità, si
configura come un processo molto più articolato (cfr. infra, par. 3.2.2.).
Anche solo considerando la persistente presenza del latino all’interno dei
Ricettari di segreti (cfr. infra, par. 2.3.1.1.), in definitiva, dovrebbe sor-
gere un forte dubbio in merito ad un tale declassamento. Per destreggiarsi
con sicurezza nella lingua dotta, il compilatore di un Ricettario di segreti

665 Messana 2007, 444 – 47. Si pensi a questo proposito anche alla figura del mu-
gnaio friulano Menocchio, le cui espressive deposizioni processuali permettono di
ricostruire in maniera paradigmatica la cultura cinquecentesca della società
contadina (Ginzburg 1976, 39 – 40). Non solo a proposito dell’immagine net-
tamente dicotomica delle forze sociali (per cui si vedono contrapposti i servi
poveri ai padroni ricchi) o della cosmogonia basata su concrete analogie con la
realtà quotidiana (per la quale formaggio e vermi valgono da metafora per terra e
angeli), ma anche in merito all’interesse delle classi subalterne verso la cultura del
libro e la parola scritta. Questa veniva certamente isolata dal contesto e deformata
attraverso il filtro della memoria e la griglia di una cultura prevalentemente orale,
ma era pur sempre in qualche modo recepita e assimilata (ibid.).
666 Messana 2007, 459 ssg.
667 Messana 2007, 402.
668 Messana 2007, 401 – 32 e 443 – 58.
218 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

doveva essere, se non proprio un medicus artium et medicinae doctor,669


almeno un cosiddetto semidoctor, un fisico o un chirurgo che si occupava
ad esempio di controllare le urine, ordinare salassi, prescrivere unguenti e
sciroppi o curare piaghe e lesioni.670 Pur non essendo insigniti dei simboli
dottorali, anche i semidottori erano nondimeno in possesso di una licenza
medica ottenuta dopo il sostenimento di un esame di fronte alla Regia
Curia o al protomedico Generale del Regno.671 A questi operatori più o
meno ufficiali si aggiunge infine l’immenso numero di quanti, oltre-
passando l’evanescente confine della medicina, si dedicavano a pratiche
superstiziose di magia bianca e nera come l’alchimia e l’astrologia, ma
anche la negromanzia e l’invocazione di spiriti e demoni. Erano questi i
vari indovini, chiromanti e fisiognomici, le fattucchiere, gli uomini e le
donne di fora, i cercatori di tesori e quanti altri tentassero di entrare in
contatto con il mondo soprannaturale facendo un uso sostanziale della
parola: filastrocche e scongiuri recitati a bassa voce per ottenere aiuto da
forze occulte contro minaccie umane e sovrumane, legature per obbligare
qualcuno a svolgere determinate azioni (innamorarsi, sposarsi, consumare
il matrimonio) o ancora fatture e maledizioni rivolte a nemici e avver-
sari.672 Nella stragrande maggioranza dei casi, la recitazione di preghiere e
orazioni e la produzione di oggetti magici come cofanetti e scodelle che
contengono a loro volta pergamene e brevi con su scritte le formule
propiziatorie673 non può che presupporre un lungo percorso di alfabe-
tizzazione e di acculturazione nell’universo della scritturalità.674

2.3.4. Interferenza

Prima di concludere il capitolo dell’analisi empirica, si cercheranno di


documentare nei prossimi paragrafi i mutamenti che si possono percepire
nelle attitudini scrittorie dei compilatori siciliani tra XVIo e XVIIo secolo.

669 Il dottorato prevedeva insegnamenti di medicina teorica e pratica oltre che di


fisiologia e anatomia e solo al termine di un’istruzione di base in filosofia e logica
(Pitrè 1942, 10; cfr. Messana 2007, 450).
670 Rapisarda 2001, xlix; cfr. Pitrè 1969, 16.
671 Pitrè 1942, 160.
672 Messana 2007, 315 – 400.
673 Messana 2007, 335.
674 Come conferma infatti non per ultimo l’ampia diffusione di libri in latino nelle
biblioteche di operatori medici di diverso rango (cfr. Bresc 1971 e 1973; Pitrè
1942, 209 – 10).
2.3.4. Interferenza 219

Per questa ultima riflessione si pongono a confronto le prescrizioni me-


diche che si trovano all’interno di una raccolta di prediche della biblioteca
Zelantea di Acireale con quanto emerge dall’analisi delle formule magiche
raccolte in un libretto conservato nell’archivio diocesano di Monreale.

2.3.4.1. La Raccolta di prediche (sec. XVII)


La Raccolta di prediche della Biblioteca Zelantea di Acireale (v. fig. 9) è un
manoscritto privo di rilegatura di 281 carte senza filigrana numerate al
recto (cui se ne aggiungono 11 non numerate) dalle dimensioni di
203x151 mm.675 Nei primi tre fogli l’autore annota alcune informazioni
che rendono possibile una precisa collocazione spazio-temporale. Si legge
nello specifico come l’opera sia frutto della mano di un frate cappuccino,
tale Bonaventura da Aci, nato il 16 agosto 1589 ed entrato in religione a
diciotto anni il 24 gennaio 1608. Le note autobiografiche svelano che il
sacerdote fu studente fino al settembre 1614 e divenne predicatore
nell’anno 1619. La formula “Io Bonaventura Acis capucini 1636” che
chiude le note introduttive contiene infine il termine ad quem che colloca
il manoscritto autografo nel primo terzo del diciassettesimo secolo. Le
pagine che seguono contengono un accurato indice per argomento che
suddivide le varie prediche in ordine alfabetico (sotto la lettera A sono ad
esempio raggruppati “Angelo custode”, “Ambitiosi”, “Amor profano” e “Amor
divino”). Precedono le prediche alcuni appunti storici e predicabili che si
estendono su 17 cc.676 Ad attribuire allo zibaldone di prediche il carattere
di un Ricettario di segreti, come segnala Rosaria Sardo,677 sono le ricette
che occupano gli spazi rimasti vuoti in calce ai vari sermoni. Alcune di
esse, come quella di c. 40r che prevede la composizione di un breve con
formule magiche comprensive di nomina da apporre al braccio dell’in-
fermo, tradiscono la condivisione di credenze superstiziose estranee alla
cultura religiosa ufficiale.678 Altre ricette, come quelle riportate nell’im-
mediato seguito che riempiono gli spazi vuoti tra una predica e l’altra,
rappresentano invece prescrizioni per la composizione di preparati me-
dicamentosi a base di bevande speziate perfettamente conciliabili con la
cultura medico-religiosa degli ambienti monastici:

675 Cfr. Catalogo cartaceo della BZA, A 169.


676 Cfr. Catalogo cartaceo della BZA, A 169.
677 Sardo (2008, 122), cui si deve la segnalazione del manoscritto.
678 A conferma di tale inconciliabilità i nomina sono stati depennati da parte dello
stesso scrivente.
220 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

Figura 9. Raccolta di prediche (sec. XVII)


2.3.4. Interferenza 221

[33v]

[…] […]
16 Dell’Angiolo Gabriele
17 stabilito gia inq.ldivino consistoro il riscatto degli ho.ni
18 ecco che giunta la pienezza de tempi chiamatosi il padre eterno
19 Gabriello ad una verge hebrea maria di nome p. palesargli il mi-
20 sterioso segreto ambasciatore di maria. A q.lla vergine non
recentemte
21 comparsa, ma pa di ogni secolo eletta: non p. fortuna et a caso
tro-
22 vata, ma p. consiglio dell’Altisso scelta: non fra lo stuolo delli
23 vergini dottrinali creata, ma sopa ogn’ altra p. concepir il verbo
24 ordinata, non assediati da curiosi sguardi degli ho.ni, ma dessi
25 nata ad essere luminoso specchio degli Angioli, non ignorata dalle
26 genti ma figurata da patriarchi non dalla natura p. sollevare
27 i suoi genitori concessa, ma da profeti p. remediata al mondo
promes

[39v]

1 p. la febre maligna
2 piglia pa un pezzetto di zuccharo e doppo tre dita di
3 succo di candella che e maraviglioso
~
4 p. la quartana
5 piglia 4 7 onze di acqua di selvia nel principio chea) del
6 male e doppo si cuopre p. due o tre volte che si fara q.sto
7 remedio passera.
~
8 p. mal di fianco e spezzar la petra subbito
9 piglia succo di lumioni una parte , e due di vino ed ambi due
10 falli lambicareb) e q.l distillato se ne piglia un onza o mezz7onza
11 e metali zuccharo.
12 p. il medo
13 piglia cappitelli di muro cioe il succo un dito o due con
14 zuccharo e si puo anco lambicarec) farne gileppo,
15 p. il medo
16 Le radici delle medesimi cappitelli pulverizati eseccati all7ombra
17 col vinod) si ne piglia quanto cape sopa un due tari col vino
18 p. il medo
19 La scorza della radice delle spine <…>e) alume seccata all7 ombra
polve
20 rizzata col fino quanto cape sopa un due tari
21 p. il med.o
22 [..] si La radice delli […] pesta e legno si lima quanto cape sopa un due
23 trova in tari col vino, etiam q.do non hai dolore che se ci e la petra
222 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

generata
24Madonia la fa buttare
____________________________________________
25 p. il medo
26 /7 sufraggia o conofragia cioe la radice polverizata col vinof)
~
a)
Depennato.
b)
I.e.: distillare con l’alambicco.
c)
Le parole anco lambicare sono depennate.
d)
Le parole col vino sono depennate.
e)
Sovrapposto all’espunzione: cioe.
f)
BZA, Raccolta di prediche.
Per quanto riguarda la forma linguistica della Raccolta di prediche, è facile
notare sin da una prima lettura come il testo sia pressoché privo di
elementi che rimandino alla tradizione scrittoria siciliana. In ambito fo-
netico è possibile rilevare solamente tre occorrenze in cui affiora il vo-
calismo siciliano: “pulverizati” (39v 16), “si ne” (39v 17) e “petra” (39v 8,
23). Neanche i fenomeni consonantici, fatta eccezione per la conserva-
zione della consonante intervocalica sorda679 di “succo” (39v 9, 13) e i
raddoppiamenti di “doppo” (39v 2, 6), “subbito” (39v 8) e “cappitelli”
(39v 16), sono di tipo vernacolare.680 A dominare sono infatti le soluzioni
toscane, alle quali lo scrivente si orienta in maniera sistematica per tutto
l’arco della sua produzione testuale. Non si hanno tracce di vocalismo
siciliano nei vari sostantivi “segreto” (33v 20) – in cui peraltro si verifica
una sonorizzazione della plosiva velare –, “specchio” (33v 25), “pezzetto”
(39v 2), “principio” (39v 5), “radice”, “legno” (39v 22), “dolore” (39v 23),
né compaiono vocali alte nelle forme verbali di “sollevare” (33v 26),
“lambicare” (39v 10, 14), “farne” (39v 14), “buttare” (39v 24) o “polve-
rizzata”/“polverizata” (39v 19 – 20, 26). Passando brevemente in rassegna
l’ambito morfologico, è possibile individuare nel testo la sola forma
dell’articolo toscano “il” (33v 17, 18, 19, 23; 39v 12, 13, 15, 18, 21, 25)
per i sostantivi in singolare maschile – anche in forma di preposizione
articolata “nel”, “col”, “del” (39v 5, 17x2, 20, 23, 26) – così come le
forme “(-)gli” o “(-)i”: “degli ho.ni” (33v 17), “degli Angioli” (33v 25), “i
suoi genitori” (33v 27) per quelli in plurale maschile. Dinanzi ai sostantivi
in plurale femminile s’individua la soluzione siciliana681 in una sola oc-
casione: “delli vergini” (33v 22 – 23), mentre in tutti gli altri casi occorre

679 Cfr. Mattesini 1994, 426 ssg.


680 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, §§ 174 – 75.
681 Cfr. Mattesini 1994, 429.
2.3.4. Interferenza 223

l’articolo “(-)le”: “dalle genti” (33v 25 – 26), “Le radici” (39v 16), “delle
spine” (39v 19). Nella rubrica contro la “febre maligna” (39v 1) attira
l’attenzione l’occorrenza di “candella” (39v 3) in cui si realizza una dis-
similazione della nasale geminata -nn- con l’intento di ripristinare un
nesso -nd- 682 rifuggendo da esiti percepiti come vernacolari. Particolar-
mente interessante a questo proposito risulta essere anche un passaggio di
c. 39v dove, tra le diverse ricette relative all’eliminazione dei calcoli renali,
ve n’è una che consiglia di ingerire le radici di una pianta rampicante
dissolte nel vino. Nella dicitura: “Le radici delle medesimi cappitelli
pulverizati” (39v 16), la preposizione articolata “delle” non introduce un
sostantivo femminile in plurale, ma si riferisce ad uno in singolare ma-
schile. Data l’isomorfia dell’articolo determinativo plurale siciliano in
ambedue i generi, lo scrivente corregge erroneamente la forma vernaco-
lare “dilli” che ritiene evidentemente di dover bandire dallo scritto so-
stituendola con una toscana, ma femminile. La forma “dilli” cede così il
posto non a “degli”, ma a “delle”, tanto che l’intervento sulla forma
linguistica crea una discordanza di genere tra la preposizione articolata da
un lato e l’aggettivo personale “medesimi”, il sostantivo “capitelli” e il
participio “polverizzati” dall’altro. Scandagliando questo breve fram-
mento testuale si scoprirà peraltro che non si tratta dell’unico ipercor-
rettismo di cui si rende artefice lo scrivente. Almeno altrettanto caratte-
ristica è infatti la forma verbale che si trova nel passaggio in cui si
suggerisce di trattare la febbre quartana con degli impacchi di acqua di
selvia. La guarigione delle piaghe viene garantita solo se dopo il tratta-
mento si ha cura di medicare la ferita, nelle parole testuali: solo se “doppo
si cuopre” (39v 6). Mentre in “petra” (39v 8) l’atteggiamento della vocale
tonica in sillaba libera è quello del volgare siciliano – e nell’articolo
possessivo de “i suoi genitori” (33v 27) si realizza invece un dittongo in
sintonia con le regole del toscano –683 la forma “cuopre” rappresenta
un’anomalia che non rientra in nessuno dei due sistemi linguistici.
Temendo di ricadere nel vernacolo, il compilatore ipergeneralizza qui la
regola che seguono nel toscano le vocali toniche in sillaba libera e realizza
un dittongo della vocale posteriore sebbene essa si trovi qui in sillaba
chiusa. Prima di trarre delle conclusioni più approfondite su questo
manoscritto secentesco e sui fenomeni che lo contraddistinguono (cfr.
infra, par. 2.3.4.3.), è necessario dedicare spazio nel prossimo paragrafo

682 Cfr. Mattesini 1994, 427.


683 Cfr. Mattesini 1994, 427.
224 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

ad un ulteriore Ricettario di segreti coevo con cui operare un meditato


raffronto.
2.3.4.2. Il Libretto di formule magiche (sec. XVII)
Il testo che si prenderà in esame in questo paragrafo e con il quale si
concluderà l’analisi empirica è quello del Libretto di formule magiche con-
servato presso l’Archivio Storico Diocesano di Monreale (v. fig. 10). Il do-
cumento rappresenta un raro caso di manoscritto proveniente da un fondo
archivistico del tribunale ecclesiastico giunto pressoché integro ai nostri
giorni. Ciò dipende soprattutto dal fatto che la causa giuridica in cui fu
coinvolto il suo possessore non venne considerata tanto grave da dover
ricadere nell’ambito di competenza del tribunale inquisitorio,684 cosa che
avrebbe avuto conseguenze fatali per il codice (cfr. infra, par. 2.3.2.2.).
L’unico altro protocollo monrealese di primo Seicento finora noto alla ricerca
grazie all’edizione di Millunzi/Salomone-Marino685 è quello ai danni di tale
Orazio di Adamo che risulta privo proprio del corpo del reato, il Ricettario
di segreti.686

684 Cfr. Millunzi/Salomone-Marino 1901, 259.


685 Millunzi/Salomone-Marino 1901. Il manoscritto è stato analizzato in prospettiva
linguistica da Alfieri (1992a e 1994), che intravede un tasso di italianizzazione
proporzionale al livello d’istruzione dei testimoni interrogati. Una rilettura
svincolata da linee di pensiero teleologiche si propone in Soares da Silva (2010,
52 ssg. e 2013, 96 ssg.).
686 In esso si fa riferimento per l’esattezza a “una carta ammogliata […] nella quale
[…] ci erano scritti et facti certi signi et certi nomi et certi caractiri” (da:
Millunzi/Salomone-Marino 1901, 309). La menzione che si fa poi al prontuario
più corposo di Orazio di Adamo lo descrive come un “libretto scritto a mano di
elegancie et di alcuni ricecti di rimedij che incomencia: grammatica versatur, et
finisce: Santo Vito et Santa Lena tu li attacchi e tu li infrena” (da: ivi, 310).
Come si deduce da questi cenni sommari, il libretto di formule magiche era
sapientemente camuffato da grammatica, un espediente cui ricorrevano spesso i
guaritori per nascondere la vera natura dei loro scritti dagli occhi indiscreti di
potenziali denuncianti. Come ricostruiscono con estrema cura gli editori, i versi
di explicit del libretto lasciano intravedere un’orazione, l’Orazione a San Vito e
Santa Elena, “notissima nel seicento e notissima anche oggi, appartenente alla
triade famosa delle Orazioni erotiche che vanno sotto il nome dei due Santi” (ivi,
288) e che servono a realizzare ‘attrazione’ (innamoramento), ‘affezione’ (fedeltà)
e ‘legatura’ (impotenza). I resti di materie organiche ritrovati addosso all’impu-
tato, qualificati dal dottor fisico come “carne sicca, et che ci paria boctuni di
alcuno animale terrestre” (da: ivi, 270) o come “gambe, seu ali di dillena” (da:
ivi, 291) comprovano effettivamente come l’attività dello stregone si estendesse
anche alle fatture ad amorem (ivi, 291 ssg.).
2.3.4. Interferenza 225

Il Libretto di formule magiche segnalato da Messana687 è invece conservato


assieme agli atti processuali nella sua integrità.688 Come rivelano le infor-
mazioni del processo tenutosi nel 1623 a Monreale, il capitano d’armi delle
“terre Planee di Monti Regali”689 depose sotto giuramento di aver catturato
assieme ai suoi scagnozzi tale Francesco di Armato, addosso al quale si
“retrovaro certi scritti”690 qualificati poi dal giudice ordinario del vescovo
come orazioni magiche. La prima di esse rappresenta nientemeno che un
testimone dell’epistola di Papa Leone a Carlo V, composta da una benedi-
zione in latino cui sono preposte alcune parole introduttive. Nella premessa,
redatta come nella Benedictio Leonis pape (cfr. infra, par. 2.2.1.1.) in lingua
volgare, si esplicita l’identità dei committenti e si elencano le proprietà
benefiche delle orazioni – dalla buona sorte alla capacità di fermare emor-
ragie del naso o di scongiurare le complicazioni di un parto, all’incolumità
dai colpi dei nemici in battaglia – precisando la necessità di portare addosso
la carta su cui è riportata l’epistola in qualità di amuleto. Anche il secondo
testo rappresenta un’orazione per proteggere da diverse disgrazie tra cui la
morte “di fero” (7: 2). Anche in questo caso, la preghiera rivolta alla Santa
Vergine – ma preceduta da una serie di nomina dal carattere non certo
ortodosso – è introdotta da alcune istruzioni preliminari che raccomandano
all’utilizzatore di portare con sé la carta-talismano. I testi successivi, in cui si
svela come ottenere indulgenze e scontare le penitenze del purgatorio, sono
tratti invece da una serie di carte sciolte ritrovate nella borsa di Francesco di
Armato e allegate alle informazioni del processo imbastito ai suoi danni.
Fanno parte infine di un libricino rilegato le ritualità descritte alle cc. 14 – 27
nelle quali si espone ancora una volta come ottenere indulgenza plenaria e
liberare le anime dalle pene del purgatorio attraverso alcune preghiere al
Santo Padre e alla Vergine Maria. L’ultima serie di orazioni alla Madonna
(24 – 27) garantiscono inoltre al possessore la possibilità di confessarsi, per
quanto improvvisa possa sopraggiungere la morte, prima che l’anima ab-
bandoni le spoglie terrene. Al termine delle orazioni si narra infatti di un
episodio a dir poco miracoloso con cui si conclude il libretto: le ultime

687 Messana 2007, 340 – 41.


688 Non è da escludere che tramite un sistematico spoglio del ricco fondo archivistico
della Diocesi di Monreale sia possibile reperire, all’interno dei diversi atti pro-
cessuali, altri preziosi libretti di questo genere.
689 ASDM, Libretto di formule magiche, 1 (numerazione mia). La citazione, che fa
evidentemente riferimento alla città di Piana degli Albanesi (cfr. Messana 2007,
340), è tratta dal protocollo del processo.
690 ASDM, Libretto di formule magiche, 1 (numerazione mia). La citazione è tratta
dal protocollo del processo.
226 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

preghiere, si sostiene, furono ritrovate nel corpo senza vita di un viandante


che sul cammino per il santuario della Madonna di Monserrato era rimasto
vittima di un manipolo di briganti. Il ritrovamento del corpo senza vita non
fu fortuito: la testa del pellegrino, mozzata dai ladri, si rivolse ad un cavaliere
che percorreva la stessa strada tre giorni più tardi pregandolo di ascoltare le
sue confessioni.
2.3.4. Interferenza 227

Figura 10, Libretto di formule magiche (sec. XVII)


228 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

[5]

1 iesus
2 jesus Maria
3 Silege che lasantita de leone pontifichi .o. m<a>ndao questa epistola
allo imperatore re carlo neli
4 tempi che siretrova stracco nelle guerre loqualecomando che si legesse
oguardase oportasse disopra
5 et cui lalegese oguardase sara salvo quello gior<no> nedelli soi nimichi
lisera fatto allcuno et
6 ogni cosa lireuxira inbene et ledonne che non potiranno partorire
ofigliare metenosi questa
7 epistola disopra subbito saranno liberati et si alcuno va accombatire con
lisoi nimici dica prima
8 <q>uesti nomi didio sti + egios + vos + atanatos + benevolentia
amicitia amabili et accui li
9 <u>xisse sagnue del naso et non si potese stagnare metasi questa
epistola supra ilnaso che
10 <s>ubito stagnira
11 Cossi incomenza <l>aepistola +
[…] […]

[7]a)

1 Questi sono <li>nom<i> <..> <….> <….> qua<li> portava


<..> Re <…..> et <..> re abisso et que<lli>
2 che portirano adosso questa non saranno morti di fero ne preso et
senivoleti fare laprova
3 metitila adosso aduno cheva agustificari che p. lavertu diquisti palori non
potira essere
4 giustificato nomina U franciscus diarmato
5 […] ste stoi + et adanai + giuneum + alnome + depadre + chilla illos
+ giusus auditus transiens
6 p. medium illorum ibat + obet + aderat + indigebat + & dolcisimam
madrem virgine
7 maria vegna davoi p. quilla grandisima umilta che fu invoi p. quelo
saluto che fu con la
8 ngilo grabaelo et anche p. quillo benedicto fructo che dachese davoi
consola a francis<co>
9 di armato overgini maria p. lavirtu et verginita sanctisima quale remane
in voi + hau<…>
10 sit + inomine + hautem + trinitas + autem verbum caro factum est et
abitavit vificabis +
11 spiritus sanctus sit arma + sit scutum et <a>rma contra inimicos meos
visibile C X pus<.>t
12 anime mee profectus consumatum est + <Ie>sus autem transiens p.
medium illorum ibat
2.3.4. Interferenza 229

13 cristus + franciscus diarmato


14 + Ast + mas + ast + + + Arma et scutum me defendat
15 gho ho + Bar + abel + alpta + ut omnes inimicos meos
16 + consumatum + credo + […]b) + ghoho + ba<b>o+ abel+alpt<.>
17 ghogo + babo zabelo + alpta est+ + esto +
18 + consumatum + credo + + + consumatum + credo +
19 ghoho + babo + Zbelo+ alpta+ s<..> + goho + babo + zebel +
20 + consumatum credo + alpta + esto +
21 + consumatum + credo +
22 + goho + babo + Zbel +
23 alsta + esto +
24 + consumatum + credo +
25 hic multa sunt sup.stitiones
26 […]c)

27 + integramatum + […]
28 + mel chredo
29 jo franciscus diar<m>ato

[8]

[…] […]
26 Indulichentie et gratie concessi accui derra secti patrinostri esecti
27 avemarie p. tanti anni fiche conplire il numero delli gochulli del
28 sagnue chi sparse Xpo della sua nativita insino alla morte che
29 sonno tre milione et trimilia quatro cento trentasei che intempo
30 dianni dodechi conquestira legratie infinite
d)
31 Chisarano perdonate lipene delprugatorio lucerca lisa come sparge
32 il suo sagnue p. lafede cisar<a>no liberate lanime delli soi parentij
33 del purgatorio insino aquatro grado et sisuche<d>i senza conplire
merita
34 come havesi conpluto

35 Sarrano confirmati ingratia chnzo delli soi parenti qualli esso volli

[9]

1 po intrando lomisi dimarzo


2 2 inanzi dilla nunzijata della madonna
3 3 lo veniri sancto
4 4 inanti la essentione di iesu Xpo
5 5 appresso li occtava delli assentione di Xpo
6 6 appresso la abenti coste
7 7 inanzi lafesta di s.to jo batista
8 8 inanti lafesta di s.to petro epaulo
9 9 appreso loctava delli decti apostolli
230 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

10 10 loprimo intranno lomisi di secte<m>iro


11 11 la seccunda sectimana di dechemiro
12 12 inanti lanativita di n.ro sg.r ieso Xpo
e)
13 questi sulicenniri sagratij addonore
14 dilli dudichi apostoli quali sidijunano
15 fari pani eaqua condevotione etallo
16 fine della sua vita liverra iesus xop
17 econ lidudichi apostolli et si prendira
18 lanima ela portira nella gloria
19 di ieso xpo
20 jo francisco diarmato

21 Ave maria gratia plena dominum


22 stecum tua gratia sime<c>um benedict<.>
23 tu inmulieribus benedicta sia s.ta
24 anna mater tua ex qua sine me<..>
25 culla peccato proscisti virgo maria
26 ex te autem natus est iesus X<po>
27 filij dei vivi miserere me
28 Amen

[14]

1 iesus
2 Indoligentia concessa della
3 santita di nostro sancto
4 padre paulo quinto allo
5 serennissimo gran duca
6 ditoscana questa sicama
7 lacorona della sanctisima
8 passione dichristo no.r sig.re
9 <Q>ual sivoglia p.sona che
10 dito uno pater noster et
11 decae avemarije guada
12 <g>na indulicentia plenaria

[15]

1 et rimisioni dituti soi pecca


2 ti
3 2 ogni volta ci piglira la
4 decta corona coronaf) ne
5 lla mano et resguar
6 danno al ciello dirra
7 signor mio giesu christo
8 ti prego p. limeriti della
2.3.4. Interferenza 231

9 tua sanctisima Madr<e>


10 passione che habbij
11 misericordia delli mei
12 peccati guadagna

[16]

1 indulicentia plenaria
2 3 ogni volta che piglira
3 agli mano et ladirra
4 libera una anima del
5 purgatorio havertendo chi
6 quanti volti ladirra
7 tanti hanime cava dell<.>
8 peni del purgatorio ancora
9 chi ladica pio di chento
10 volti al giorno ŏ

[17]

1 4 chi la dirrá do puo che


2 si a confezato guadagna
3 induligentia plenaria
4 conforme á giubileo ŏ
5 5 ogni volta chi il sacerdo
6 to celebra lamessa ha
7 vendo ladecta alli
8 mano corona guadag<…>
9 quaranta anni del in
10 duligentia
[…] […]

[18]

1 6 Qual sivoglia p.sonna


2 che havera di questi co
3 roni eche obligato da
4 re setti coroni alle
5 persone che gli plachera
6 che audendola p. amor
7 de idio et quelli sectij
8 corone che dunera li po
9 za donare, cezu ad adu
10 unuj<ri> di setj p.soni et
11 cossi lide spenzira di
232 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

[19]

1 Mano in mano
2 7Questo lo a fatto il sommo
3 pontefiche acio ogni
4 uno sia partechipe di
5 tanti gran thesori et
6 benefitij et si la dictta
7 corona si perdessi ogni
8 volta sipiglira unaltra
9 incambio chi sarra <…>
10 laistessa mano potira
11 dare li sectij corone

[20]
1 8 di Vs. Epiu chi fratello
2 Paulo Maijorana

[21]
1 Ave s.ma mariamater dei
2 regina celi porta paradisi
3 domina mundi pura singnula
4 ris tu es virgo tu concepisti
5 iesu sine peccato tu peperist<i>
6 creatore mundi inquo non
7 dubito libera me mali
8 et hora pro peccatis mei
9 amen
10 laus deo

[22]
1 Virgini s.ma madre di jdio mio
2 signore jesu xpto nazareno
3 ilquale e salvator di tuto il
4 mondo prega p. me peccatore
5 altuo prezioso figlio fiore
6 dituti liangeli et patriarchi
7 aiutame signora et sta meco
8 semper amen +
9 +
10 fonte dipieta emisericordia
11 tempi dijdio sacrario dello
12 spirito s.to stella delmare
13 consolationi di peccatori re
14 ina delli angeli et consola
2.3.4. Interferenza 233

[23]

1 tione di quelli che piagnono


2 delle etatione Cedro di pacijentia
3 voto eterno dicastita consola
4 al mio core et mostralatua
5 s.ta pacientia della carita et
6 misericordia inparami iltuo
7 sapere et manifestami che
8 ramenti la tua s.ta volunta
9 et virtu et miconcedi la
10 maraviglia della gran ch<.>
11 rita et nelli s.ti mani d<i>
12 tuo sacrato figlio mirac<o>
13 mando lanima mia q.nd
14 questo mondo vorra fari
15 partita amen

[24]

1 Questa oratione ha ta votu


2 che qual sivoglia persona che
3 di sopra laportira non havira
4 pagura della tentatione del
5 ldemonio ne potra morire
6 senza confessione ne sententiato
7 di subita sententia ne inba
8 taglia ne, infoco ne, inaqua
9 ne, dirabia ne, meno si le
10 verano contra di lui falsi tes
11 timonij ne, posto inprigioni
12 et nelle guerre sempre serra
13 vincitore ne, patira di infe
14 rmita di gucta ne mal

[25]

1 di core ne temera di pe
2 sti siacaso alcuna donna
3 non potissi partorire legendoli
4 questa oratione disopra subi
5 to partorira et similmentij
6 legendolla adun jndemo
7 niato lospirito non lumole
8 stira et habia p. certo <…>
9 alcuni giorni prima del<…>
10 sua morte li apparera la
234 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

11 sagrata vergine maria


12 tuto questo et aprobato
13 <…>lli alostrisimi sg.ri inqu<…>
14 tori dispagna et p. <…>

[26]

1 si diede questa oratione adun


2 valenti homo che andava
3 alla madonna dimonserato
4 et nel camino fu assalito
5 dilatri et litagliaro latesta
6 laquali testa miracolosamen
7 te dajndiatre giorni domando
8 confessione ad un cavaliero
9 che passava jndecto camino
10 il quale condocto condetto terro
11 re delli assi stenti si confesso
12 de soi peccati et spirando di
13 ede lanima ajdio et lifu
14 retrovata questa oratione

[27]

1 Cusita nelgappone et in
2 virtu di ella non poctimo
3 morire senza confessione
4 Amen
5 + Jesus + laus deo +
6 francisco diarmatog
a)
Sull’intero specchio di scrittura della carta sono tracciati due segni diagonali
intrecciati forma di x (v. fig. 10).
b)
Tra le due colonne di nomina sono rappresentati due simboli della croce posti
in orizzontale e colmi di tinta (v. fig. 10).
c)
Questa nota, così come presumibilmente anche i due segni tracciati a forma di x
sulla carta, sono della mano del segretario del Tribunale che ha redatto il proto-
collo.
d)
Sono tracciati anche sulle righe di questa rubrica, uno di fianco all’altro, tre segni a
forma di x.
e)
Anche su questa rubrica sono tracciati due segni diagonali che formano una x.
f)
Sic!
g)
ASDM, Libretto di formule magiche, numerazione mia.

Gli scritti del guaritore Francesco di Armato, processato per reati di


superstizione nel primo Seicento a Monreale, presentano una forma
linguistica che non aderisce in maniera tanto netta al modello toscano cui
2.3.4. Interferenza 235

si orienta il testo seicentesco visto in par. 2.3.4.1. In ambito fonetico si


registrano ad esempio gli esiti vocalici vernacolari di “pontifichi” (5: 3),
“nimichi”/“nimici” (5: 5, 7), “supra” (5: 9), “stagnira” (5: 10), “porti-
rano”/“portira” (7: 2; 24: 3), “voleti” (7: 2), “metitila” (7: 3), “gustificari”
(7: 3), “quisti palori” (7: 3), “[v]irgini”/“virgine”/“vergini” (22: 1; 7: 6,
9), “angilo” (7: 7 – 8); “liberati” (5: 7), “accombatire” (5: 7), “quilla”/
“quillo” (7: 7, 8), “secti” (8: 26), “gochulli” (8: 27), “trimilia” (8: 29),
“conquestira” (8: 30), “sisuche<d>i” (8: 33), “confirmati” (8: 35),
“misi” (9: 1, 10), “paulo” (9: 8; 14: 4; 20: 2), “seccunda” (9: 11),
“cenniri” (9: 13), “fari pani” (9: 15), “dudichi” (9: 17), “prendira” (9:
17), “portira” (9: 18; 24: 3), “dito” (14: 10), “rimisioni” (15: 1), “piglira”
(15: 3; 16: 2; 19: 8), “volti” (16: 6, 10), “chi” (17: 5; 19: 9; 20: 1),
“coroni” (18: 2 – 3, 4), “dunera” (18: 8), “p.soni” (18: 10), “de spenzira”
(18: 11), “si” (19: 6), “perdessi” (19: 7), “potira” (19: 10), “votu” (24: 1),
“havira” (24: 3), “pesti” (25: 1 – 2), “potissi” (25: 3), “lu” (25: 7). In
ambito morfologico è possibile rilevare la presenza di forme siciliane nei
suffissi verbali di “m<a>ndao” (5: 3), “ser(r)a” (5: 5; 24: 12), “apparera”
(25: 10), “poctimo” (27: 2), “su” (9: 13), nel pronome interrogativo “cui”
(5: 8; 8: 26) e in quello indiretto di terza persona singolare “c(h)i” (8: 31,
32; 15: 3). Si trovano poi le forme coalescenti del pronome indiretto “li”
(5: 5, 6, 8; 9: 16; 25: 10; 26: 5) e dell’articolo singolare maschile “(-)lo”
(5: 3; 9: 1, 3, 10x2, 15; 14: 4; 22: 11; 25: 7) – mentre in plurale, sia
maschile che femminile, si ha “(-)li” (5: 3, 5; 8: 27, 31, 32, 35; 9: 5x2, 9,
13, 14, 17; 15: 8, 11; 17: 7; 19: 11; 22: 6, 14; 23: 11; 25: 13).691 Sul
piano morfosintattico si ravvisano fenomeni vernacolari nella forma
mediopassiva di “saranno morti” (7: 2), nell’accusativo preposizionale di
“consola a francis<co>” (7: 8) e di “consola al mio core” (23: 4), nella
generalizzazione dell’ausiliare avere in “si a confezato” (17: 2 – 3), nella
posposizione dell’aggettivo possessivo in “lanima mia” (23: 13) e nel
congiuntivo espresso da parafrasi modale: “poza donare” (18: 8 – 9).692
Ai fenomeni linguistici vernacolari qui menzionati si affiancano con
altrettanta frequenza e su tutti i livelli le soluzioni toscane, che compaiono
ad esempio nel vocalismo di “imperatore” (5: 3), “stagnare” (5: 9), “fare”
(7: 2), “essere” (7: 3), “corone” (19: 11), “peccatore” (22: 4), “morire”
(24: 5; 27: 3), “partorire” (5: 6; 25: 3), “figliare” (5: 6), “vergine” (25:
11), “conplire” (8: 27, 33) – ma si veda qui il mantenimento del nesso PL

691 Cfr. Mattesini 1994, 429 – 30; Rohlfs 1966 – 69, § 489; Rinaldi 2005, I, 421;
Leone 1980, 89 ssg.
692 Cfr. Mattesini 1994, 430; Rinaldi, 2005, I, 462.
236 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

–,693 “tre” (8: 29), “onore” (9: 13), “dare” (18: 3 – 4; 19: 11), “donare”
(18: 9), “creatore” (21: 6), “sapere” (23: 7), ecc. Le occorrenze di “core”
(23: 4; 25: 1), “molestira” (25: 7 – 8), “accombatire” (5: 7), “prendira”
(9: 17), ecc. mostrano poi degli esiti coalescenti con vocalismo in parte
siciliano, in parte toscano.
Gli elementi toscani non mancano nemmeno sul piano morfosin-
tattico, come nel caso degli aggettivi e pronomi dimostrativi: “Questi”/
“questa” (7: 1, 2), “que<lli>”/“quelo” (7: 1, 7), degli articoli determi-
nativi in singolare maschile: “il [naso]” (5: 9), “il [numero]” (8: 27), “il
[suo sagnue]” (8: 32), “il [sacerdoto]” (17: 5 – 6), “il [quale]” (22: 3), “il
[mondo]” (22: 3 – 4), “il [tuo sapere]” (23: 6 – 7), dei pronomi personali
“lui” (24: 10) ed “ella” (27: 2), del pronome personale indirretto di terza
persona singolare “gli [plachera]” (18: 5). Sul piano sintattico si regi-
strano poi l’anteposizione dell’aggettivo possessivo in: “soi nimichi” (5:
5), “mei peccati” (15: 11 – 12), oltre che nel già menzionato “suo sagnue”.
Come dimostra la subordinata finale “acio ogni uno sia partechipe” (19:
3 – 4), il congiuntivo viene infine espresso anche per mezzo di forme non
parafrastiche.
2.3.4.3. Riassumendo: interferenza
A proposito del primo testo preso in esame in questo sottocapitolo, la
Raccolta di prediche (cfr. infra, par. 2.3.4.1.), si è potuto riscontrare senza
troppe difficoltà come il compilatore, pur lasciando trapelare alcuni
elementi della lingua di partenza,694 manifesti tuttavia l’intento di atte-
nersi alle norme del toscano. Nel momento in cui ricade nel siciliano,
cioè, lo scrivente non attesta altro che una competenza in parte lacunosa
di un sistema la cui validità non viene però messa in discussione. I
fenomeni del vernacolo siciliano rappresentano delle interferenze da cui
lo scrivente in contesti formali sente la necessità di rifuggire. A giudicare
da questo testo, a quest’epoca il siciliano comincia ad assumere il ruolo di
una varietà bassa. 695
Un quadro più complesso è invece quello che si delinea attraverso
un’attenta disamina del Libretto di formule magiche (cfr. supra,
par. 2.3.4.2.). In questo caso non è infatti possibile identificare un
orientamento inequivocabile al volgare toscano. Il testo del Libretto di

693 Cfr. Mattesini 1994, 428.


694 Cfr. per la morfologia del siciliano Mattesini 1994, 429 – 30; Rinaldi 2005, I,
403 – 04.
695 Cfr. Ferguson 2000.
2.3.4. Interferenza 237

formule magiche rimanda piuttosto ad un periodo di transizione dal


modello coalescente a quello italo-toscano. Prendendo le forme toscane
corrette o ipercorrette come discriminante dell’approssimazione al nuovo
modello linguistico (cfr. infra, par. 2.3.4.1.), è dato osservare come queste
compaiano ora con maggiore frequenza proprio in corrispondenza delle
orazioni che più di tutte paiono essere tratte da modelli precatori ufficiali.
Non pare un caso, in altre parole, che il canto mariano miracolosamente
ritrovato nel corpo del viandante decapitato di cui alle cc. 22 – 26 (per-
altro da quanto si apprende a c. 25: 12 – 14: “aprobato <…>lli al-
ostrisimi sg.ri inqu<…> tori dispagna”) non presenti al di là di “fari”
(23: 15) e “volunta” (23: 8) alcun esito fonetico vernacolare. Per contro,
lo stesso canto contiene ben quattro delle sette occorrenze dell’articolo
determinativo in singolare maschile “il” che si possono rilevare nelle carte
trascritte, oltre che l’unica occorrenza del pronome personale “lui”, reso
altrimenti con “esso” (8: 35). Mentre all’interno dei testi meno ortodossi
del Libretto di formule magiche è infine frequente l’assimilazione di nd in
(n)n: “metenosi” (5: 6), “intranno” (9: 10), “resguardanno” (15: 5 – 6), lo
stesso nesso consonantico rimane invece saldo in tutti i contesti nei quali
si presenta all’interno dell’orazione alla Vergine Maria, come dimostrano
le occorrenze di “mondo” (22: 4; 23: 14), “q.nd” (23: 13),
“mirac<o>mando” (23: 12 – 13), “legendoli”/“legendolla” (25: 3, 6),
“andava” (26: 2), “spirando” (26: 12).
Pare cosa certa, a questo proposito, che l’adesione al modello toscano
venisse trainata non per ultimo dai modelli precatori che la Chiesa andava
diffondendo tra la popolazione, nel periodo successivo al concilio tri-
dentino, per sopprimere i focolai di eterodossia tendenzialmente eretica e
canalizzare le credenze indistintamente pagane nutrite dal popolo in una
forma di preghiera riconosciuta a livello ufficiale e dovutamente stan-
dardizzata.696 Come ricordano Millunzi/Salomone-Marino citando alcuni
Decreta Synodalia promulgati dal clero siciliano tra la fine del Cinque-
cento e i primi del Seicento, il principio similia similibus applicato dai
cardinali nella lotta ai brevi illeciti aveva portato a diffondere nelle diocesi
tutta una serie di orazioni sacre, come la Croce Angelica di San Tommaso
d’Aquino, la Croce contro i Terremoti, la Oratione contro Tempeste, Tuoni,
Terremoti e Pestilenze, la Oratione divota per dimandare la Pioggia, la
Benedizione di Serafico Padre S. Francesco, ecc. Anche solo i titoli di questi
brevi approvati lasciano intendere come in realtà la Chiesa accogliesse e
ricalcasse in definitiva gli stessi modelli delle orazioni superstiziose, so-

696 D’Agostino 1988, 47 – 48.


238 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo

stituendone i nomina e le figure cabalistiche con gli appellativi di santi


riconosciuti e con i simboli consacrati, ma mantenendone spesso il tono
teurgico non propriamente devoto e alimentando le aspettative tauma-
turgiche del fedele con le stesse promesse di protezione e guarigione
miracolosa che si trovano preposte alle orazioni magiche di maghi e
stregoni.697

Con il testo del Libretto di formule magiche siamo giunti al termine delle
esplorazioni empiriche. L’analisi dei Ricettari di segreti ha messo in evi-
denza diversi aspetti del rapporto che si stabilisce tra latino da un lato e
idiomi volgari dall’altro sul finire dell’età media e in particolare nel XVo
secolo. Inoltre, attraverso la disamina delle raccolte cinque e seicentesche
è stato possibile mettere in risalto le dinamiche di mutamento delle
norme linguistiche di riferimento che si delineano, nell’utilizzo della
lingua volgare, durante tutto l’arco della prima età moderna. I risultati
della disamina andranno ora adeguatamente differenziati e inseriti nel
quadro più ampio della percezione linguistica del relativo periodo storico
(cap. 3.). Al termine di questa operazione si potranno trarre le dovute
conclusioni in merito alle forme di manifestazione del plurilinguismo nel
Regno di Sicilia in particolare e nella storia linguistica d’Italia in generale.

697 Millunzi/Salomone-Marino 1901, 279 – 80.


3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio
comunicativo siciliano

Accettando come valide le linee generali tracciate con la sua consueta


incisività da Vàrvaro, nel ricostruire la storia linguistica dal mondo
classico al medioevo e dal medioevo all’età media
si potrebbe dire che è crollato il grande ‘tetto’ della latinità e che chi stava
sotto in un primo momento non ha potuto far altro che salvarsi come
poteva, tirare sul capo la falda del proprio mantello; in un secondo tempo
sono cominciati […] i tentativi per costruire ‘tetti’ sovralocali, in concorrenza
tra di loro, e infine il toscano è riuscito a coprire con il suo ‘tetto’ l’intera
penisola e le isole.698
A proposito della configurazione dei vari ‘tetti’ sovralocali, per rimanere
nella metafora klossiana,699 e al rapporto che gli uni intrattengono con gli
altri, così come sui tempi e sulle modalità dell’ultima tornata di forze
centripete, quella che ha portato all’Überdachung da parte del toscano, si
rende necessario in questo capitolo esprimere alcune valutazioni più ap-
profondite in base a quanto si è potuto evincere dall’analisi empirica sulla
scritturalità dei Ricettari di segreti nell’area linguistica siciliana tra il se-
condo Quattrocento e il primo Seicento. Per fare ciò, è necessario in-
nanzitutto rivisitare le principali epistemi sulla variazione linguistica tra
tardo medioevo e prima età moderna, ricostruendo – senza pretese di
esaustività – quella che nello spazio comunicativo del Regno di Sicilia
rappresenta la percezione linguistica dei locutori.
Dai ravvedimenti cui si è giunti dando al presente lavoro un impianto
metodologico che focalizzasse la comunicazione in luogo della lingua e
considerasse lo spazio comunicativo nella sua tridimensionalità si cercherà
di trarre infine conclusioni per una storiografia immune a linee di pen-
siero teleologiche.700

698 Vàrvaro 2004a, 110.


699 Kloss 1978.
700 Cfr. Krefeld 2004, 19 ssg.
240 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

3.1. La coscienza linguistica in Sicilia fino al Quattrocento


Il primo percorso ermeneutico da ritracciare, in ordine cronologico, ri-
guarda il rapporto tra lingua latina e lingua volgare nella percezione dei
soggetti scriventi tra medioevo e prima età moderna. La raccolta mi-
scellanea edita da Cherubini701 sotto il nome di Lapidario cui si è dedicato
spazio all’interno del par. 2.2.1. pare testimoniare un ordine di idee
secondo cui chi era abilitato alla scrittura, in quest’epoca, era anche
pienamente consapevole che tra grammatica da un lato – come veniva
definita la lingua della tradizione colta che vantava una lunga tradizione
codificatrice – e lingua volgare dall’altro esistesse una netta distinzione.702
Lo scrivente infatti, pur avvalendosi di un registro diafasico tendenzial-
mente prossimo al polo dell’immediatezza comunicativa,703 sceglie di
rivolgersi al proprio lettore in latino e in questa lingua è veicolata di fatto
l’intera trattazione. Quando la variazione stilistica diviene tale da far
registrare un vero e proprio cambio linguistico, come nel caso dell’in-
troduzione alla fantomatica epistola redatta da Papa Leone a Carlo
Magno di cui al par. 2.2.1.1., ciò rappresenta a sua volta una scelta
opinata cui il compilatore giunge non solo a fronte della configurazione
linguistica dell’antigrafo, ma anche attraverso la consapevolezza della
funzione espletata dal testo-amuleto. Questo è infatti a fruizione non del
guaritore, ma del beneficiario ultimo, il ‘paziente’. Il cambio linguistico
che si registra in questo frangente rientra nei canoni della comunicazione
verticale, fenomeno al quale si è dedicato spazio nel par. 2.3.1. e che si
riprenderà a breve.

3.1.1. Il rapporto tra volgari

Cominciamo però dalla seconda questione su cui occorre fermarsi a ri-


flettere, il tipo di volgare dei testi esaminati. Come si registra a più riprese
nel corso delle analisi empiriche, il volgare utilizzato di volta in volta dai
compilatori non consente di effettuare una localizzazione che riconduca
univocamente ad una determinata regione geografica. Sia il manoscritto
dell’Eucologio (infra, par. 2.2.2.1.) che il manoscritto del Thesaurus
pauperum (infra, par. 2.3.1.1.), ad esempio, esibiscono una matrice704 di

701 Cherubini 2001a; 2001b.


702 Cfr. Ellena (2011, 63 – 64) e le osservazioni di Guarino e Rinucci ivi riportate.
703 Koch/Oesterreicher 2011, 4 ssg.
704 Cfr. Myers-Scotton 1993, 3.
3.1. La coscienza linguistica in Sicilia fino al Quattrocento 241

stampo siciliano disseminata di elementi linguistici provenienti dalla


tradizione scrittoria toscana. Il concetto al quale si ricorre in questo
frangente per fornire spiegazioni al discostarsi di ogni tradizione scrittoria
dal suo vernacolo di riferimento tramite l’estromissione di forme sentite
come troppo marcate in senso diatopico e l’adozione di forme sovralocali
è quello di scripta documentaria. Convenendo con le riflessioni fatte da
Di Girolamo in merito al libru di lu transitu et vita di misser Sanctu
Iheronimu, si potrà affermare nello specifico che la “componente toscana
[…] è […] un fatto endemico all’antico siciliano […] e fa insomma parte
del codice stesso”.705 Il concetto di scripta rende in definitiva giustizia alla
circostanza per cui il prestigio del volgare toscano, nel Quattrocento, è
tale da favorirne l’espansione territoriale a nord come a sud della penisola
e da rendere auspicabile un’approssimazione a quelle che sono le sue
forme e le sue voci, oltre che le sue consuetudini grafiche, da parte degli
scriventi di tutte le regioni linguistiche limitrofe.706 La cultura intellet-
tuale di assimilazione e importazione della poesia lirica che fiorisce in
Toscana a partire dal Duecento – si pensi ai sonetti dei rimatori siciliani
pervenuti in veste linguistica che conserva ben poco del siciliano origi-
nario – viene estesa nel Quattrocento in egual misura anche alla prosa
letteraria e documentaria, portando ad una frenetica attività di esporta-
zione e ridistribuzione di opere filosofiche, pratiche o didascalico-mo-
ralizzanti adattate dagli amanuensi toscani alle consuetudini del proprio
volgare.707 Si può affermare a questo proposito che il monopolio della
lettura e dell’informazione esercitato dalla Toscana nei secoli XIII-XV si
fondi proprio sull’inesauribile offerta commerciale del patrimonio lette-
rario reiterato dall’artigiano toscano, non a torto eletto da Devoto a
“milite ignoto dimenticato e vittorioso” nella “battaglia per instaurare una
lingua letteraria volgare”.708 Un simile monopolio “non può non essere
accompagnato da un forte prestigio della lingua in cui tale informazione
si esprime”,709 sia ai livelli alti che a quelli medi delle persone che leggono
ma non sono necessariamente abilitate alle scrittura.

705 Di Girolamo 1982, xli-xlii.


706 Vàrvaro 2004a, 125 – 26. Sulla scripta siciliana si veda soprattutto Vàrvaro 1984.
Una valida interpretazione del concetto di scripta in chiave ‘dialettologica’ si trova
in Vàrvaro (2004b, 237 ssg).
707 Vàrvaro 2004a, 116.
708 Devoto 1953, 50 – 51.
709 Vàrvaro 2004a, 116.
242 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

Per comprendere a fondo la coscienza linguistica tardo medievale è


proficuo a questo punto riprendere, come fa Vàrvaro, una riflessione di
Roger Bacon:
In lingua enim latina que una est, sunt multa idiomata. Substancia enim
ipsius lingue consistit in hiis in quibus communicant clerici et literati omnes.
Idiomata vero sunt multa secundum multitudinem nacionum utencium hac
lingua. Quia aliter in multis pronunciant et scribunt ytalici, et aliter hyspani,
et aliter gallici, et aliter teutonici, et aliter anglici et ceteri.710
Secondo Bacon, sotto il tetto sempre più sottile del latino di clerici e
letterati convive una moltitudine di parlanti che fa uso, da Londra a
Palermo passando magari per Magonza, Montpellier o Madrid, di varietà
(idiomata) assai differenti tra loro.711 Questa distinzione operata da Bacon
all’interno dello spazio varietistico del latino tra lingua da un lato e
idioma dall’altro, osserva Vàrvaro,712 è riferita da Nicolas de Lyre anche al
volgare. Nel commento al passo di Matteo in cui Pietro viene ricono-
sciuto in base alla sua “loquela”713 come discepolo di Cristo, il teologo
francescano afferma che anche la “lingua gallica est una”, aggiungendo
poi come “tamen aliter loquuntur illi qui sunt de Picardia quam illi qui
habitant Parisiis: et per talem varietatem potest percipi unde aliquis sit
oriundus”.714 Sempre a proposito dei volgari franco-gallici, non per ul-
timo anche Tommaso d’Aquino riconosce come in eadem lingua vi sia
una diversa locutio “sicut patet in Francia, et Picardia, et Burgundia, et
tamen una loquela est”.715 È notoria infine la demarcazione dantesca dei
confini romanzi in base al suono della particella affermativa.716 Le linee
di confine all’interno di queste macrozone sono per Dante invece
meno evidenti, tanto da sfumare l’una nell’altra e consentire l’accor-
pamento delle parlate galloitaliche a quelle meridionali estreme. Anche
in Dante, prosegue sempre Vàrvaro,717 vi è dunque la forte consape-

710 Roger Bacon, The Greek Grammar, cit. da: Vàrvaro 2004a, 111, corsivo mio.
711 Cfr. Vàrvaro 2004a, 111.
712 Cfr. Vàrvaro 2004a, 113.
713 “Post pusillum autem accesserunt, qui stabant, et dixerunt Petro: ‘Vere et tu ex
illis es, nam et loquela tua manifestum te facit’” (Matteo 26, 73, da: http://
www.vatican.va/archive/bible/nova_vulgata/documents/nova-vulgata_nt_evang-
matthaeum_lt.html#26, corsivo mio).
714 Super Ev. Matthaei 26, 76, cit. da: Lusignan 1986, 69.
715 Super Matthaei, xxvi col. 441, cit. da: Lusignan 1986, 62.
716 Cfr. De vulgari eloquentia I, viii, 7 – 9, da: http://www.danteonline.it/italiano/
opere.asp?idope=3&idlang=OR.
717 Cfr. Vàrvaro 2004a, 114 ssg.
3.1. La coscienza linguistica in Sicilia fino al Quattrocento 243

volezza dell’esistenza di una lingua che su di un piano di astrazione più


elevato di quello locale o sovralocale possa considerarsi propria dell’intera
penisola appenninica.
La distinzione effettuata dagli autori qui citati tra lingua da un lato e
idioma, locutio o vulgare dall’altro sembra riferirsi ad una tradizione ac-
cademica ben assodata.718 Citando nuovamente Bacon, che in virtù del
suo rinomato interesse verso gli studi sperimentali di astrologia e magia ai
fini pratici del sapere rappresenta peraltro un portavoce assai rappre-
sentativo tra gli addetti alla letteratura secretistica,719 è possibile chiarire
ulteriormente i presupposti nozionali del pensiero scolastico. Ancora una
volta a proposito delle parlate franco-galliche: “ut Picardum et Nor-
manicum, Burgundicum, Parisiense, et Gallicum”, scrive il teologo an-
glosassone: “una enim lingua est omnium, scilicet Gallicana, sed tamen in
diversis partibus diversificatur accidentaliter, que diversitas facit idiomata
non linguas diversas”.720 La variazione linguistica che caratterizza il ter-
ritorio preso in esame è, secondo il Doctor Mirabilis, accidentale. Questo
attributo è ricco di presupposizioni e riporta, attraverso la tradizione di
studi medievali, ad una concezione di matrice aristotelica preposta alla
distinzione tra idioma e lingua: l’accidente. Responsabile della fram-
mentazione in diversi idiomata, l’accidente si contrappone nella conce-
zione aristotelica alla sostanza, che Bacon considera la stessa per tutti i
volgari in questione e che consente di postulare l’esistenza di una lingua
Gallicana comune ai parlanti normanni, burgundi o piccardi.721 La di-
cotomia forma vs. materia, uno dei principali assiomi della metafisica
aristotelica avidamente custoditi nel medioevo, viene estesa anche
all’ambito della riflessione linguistica, dove la diversità, il casuale, è
considerato proporzionale alla resistenza che la materia oppone nel pas-
saggio da una possibilità in potenza (dynamis) ad una forma in atto
(energeia).722 Riconoscendo con Vàrvaro723 che questa premessa episte-
mica è costitutiva della filosofia linguistica medievale, si potrà convenire
sul fatto che tale circostanza fornisca di per sé una spiegazione più che
plausibile al fenomeno definito in par. 2.3.2.1. nei termini di commu-
tazione-adattamento: “se gli Italiani parlano una stessa lingua articolata in

718 Vàrvaro 2004a, 114.


719 Cfr. infra, par. 2.3.2.1.; http://www.treccani.it/enciclopedia/ruggero-bacone/.
720 Compendium studii philosophiae, vi, cit. da: Lusignan 1986, 69.
721 Vàrvaro 2004a, 113 – 14.
722 Cfr. Kunzmann/Burkard/Wiedmann 1991, 49 e 83.
723 Vàrvaro 2004a, 115.
244 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

diversi idiomata e se questa articolazione è un accidente […], è del tutto


ovvio […] ogni intervento cosciente che attenui l’eterogeneità degli ac-
cidenti”.724 Esiste dunque nella coscienza dei soggetti scriventi una latente
consapevolezza dell’unità linguistica che funge da forza centripeta. Se
Dante riteneva lecito accorpare i dialetti galloitalici a quelli meridionali
estremi e se Roger Bacon, pur non includendo l’idioma anglonormanno
(peraltro sua lingua materna) tra i volgari franco-gallici, riteneva sussi-
stesse un legame tra franciano e piccardo o tra franciano e borgognese, ciò
significa, deduce Vàrvaro, che la percezione della variazione e della di-
versità linguistica non sempre fu univocamente legata alla configurazione
socio-politica di un determinato periodo storico. Andrebbe postulata al
contrario una fase culturale antecedente a quella politica nella quale si
delinea la planimetria di un futuro tetto.725
Dalle considerazioni fatte sinora sui dati metalinguistici che emer-
gono nei testi rivisitati da Lusignan,726 Vàrvaro727 giunge a trarre due
conclusioni che vale la pena sottoporre qui ad un’attenta verifica. In
primo luogo, tornando alla dicotomia idioma vs. lingua che sta alla base
delle riflessioni filosofiche e metalinguistiche dell’età media, Vàrvaro
conclude che la possibilità d’intervento sull’accidenza sia operazione ri-
servata ai primi, essendo invece sostanzialmente diverse tra loro in po-
tenza e dunque non adattabili sul piano della messa in atto le linguae. A
questo proposito, fa notare lo studioso, i verbi translatari e vulgarizari
vengono utilizzati in Sicilia solo per denominare il processo di traduzione
dal latino al volgare, mentre non si suole dare nome alla pur affine attività
di trasposizione di un volgare romanzo in un altro.728 Nel primo caso,
operazione che si può denominare di traduzione verticale (cfr. infra,
par. 2.3.1.), “abbiamo a che fare con l’alternativa secca tra due sistemi
linguistici”, mentre nel secondo (cfr. infra, par. 2.3.2.1.), lo scrivente non
è posto di fronte ad un aut aut per quanto riguarda la scelta del sistema
linguistico da adottare ed è per questa ragione che si osserva nel prodotto
finito “una infiltrazione di fenomeni astrattamente assegnabili ad una
varietà nella struttura dell’altra”.729 Come ha osservato Bruni nello spoglio
dei più antichi testi siciliani, spesso la sola differenza nei confronti di una

724 Vàrvaro 2004a, 115.


725 Vàrvaro 2004a, 114.
726 Lusignan 1986.
727 Vàrvaro 2004a, 118 ssg.
728 Cfr. Bruni 1973, lxxxii.
729 Vàrvaro 2004a, 118.
3.1. La coscienza linguistica in Sicilia fino al Quattrocento 245

normale copia sta nel fatto che il compilatore “conferisce al testo una
patina diversa da quella originaria, e più o meno fortemente siciliana”.730
Rientra ora in questa tipologia di sincretismo linguisitco, oltre al
fenomeno di toscanizzazione o koineizzazione731 che interessa il rapporto
tra siciliano e toscano, anche quanto si è potuto verificare sia in corri-
spondenza dell’epistola del Lapidario di cui al par. 2.2.1.1., sia in maniera
più estesa nel trattato delle urine esaminato in par. 2.3.2.1. In ambedue i
testi, i tratti linguistici predominanti di area lì mediana, qui settentrionali
sono intercalati, in maniera del tutto analoga e in perfetta assenza di code
switching, a fenomeni vernacolari attribuibili invece a varietà ubicate
rispettivamente nel settentrione e nel meridione estremo della penisola
italiana. Nel trattato delle urine o Libro di ricette e secreti di par. 2.3.2.1.,
la presenza di elementi di estrazione galloitalica da un lato e di tratti
fortemente marcati in senso siciliano dall’altro, mixing che nell’esposi-
zione redatta dalla stessa mano si estende per tutto l’arco della produ-
zione, mette in evidenza come la tipologia di plurilinguismo soggiacente
sia da ricondurre al repertorio idiosincratico del compilatore. Sulla base di
un manoscritto di estrazione geografica e linguistica settentrionale, il
copista-compilatore risponde alle esigenze d’integrazione linguistico-cul-
turale del testo nello spazio comunicativo siciliano adattando la lingua di
questo antigrafo alle peculiarità dell’idioma dei fruitori. Ciò avviene
mediante la commutazione di alcuni fenomeni linguistici dal testo di
origine negli elementi corrispondenti della varietà areale nello spazio
comunicativo di riferimento. Questa operazione è tale da rendere l’attività
di copiatura, in senso linguistico prima ancora che contenutistico, pari ad
un compito di meditata compilazione.

3.1.2. Volgare e romance

È indispensabile ora distinguere tra la tipologia di plurilinguismo di un


Libro di ricette e secreti, dove una base linguistica dell’Italia settentrionale è
ricoperta da una patina siciliana, da quella di un Herbarium, dove invece
si assiste ad un’incursione di elementi fonomorfologici castigliani all’in-
terno di una matrice linguistica dell’Italia mediana (cfr. infra, par.
2.3.2.3.)? Il manoscritto conservato nella biblioteca gambalunghiana di

730 Bruni 1973, lxxxiv-lxxxv.


731 Una meditata riflessione sul concetto e sui diversi significati di koinè, con par-
ticolare riguardo al meridione d’Italia, si trova in Vàrvaro (1990).
246 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

Rimini presenta caratteristiche di un code mixing in tutto e per tutto


analoghe a quelle descritte nel primo, pur essendo gli idiomi co-occor-
renti, dalla nostra prospettiva ex post, sottostanti a due tetti diversi. “[L]a
coscienza che Gallicani e Italici parlano una stessa lingua, sia pure distinta
in dialetti differenti” comporta dunque davvero che, come giunge a
concludere Vàrvaro, viceversa “nessuno pens[i] invece che Gallicani
[ovvero Ispanici] e Italici parlino la stessa lingua, articolata in dialetti”? 732
L’esistenza di un’identità sociale all’interno di un territorio i cui confini
coincidono con quelli tracciati in epoca moderna, postulata qui grosso
modo da Vàrvaro, sembra pagare pegno ad un paradigma risorgimentale
che domina a tutt’oggi nella storiografia linguistica e che si è definito in
par. 1.1. nei termini di “teleologismo invertito”.733 Alla luce di testi come
quello dell’Herbarium è d’obbligo fermarsi a riflettere sull’esistenza di
gruppi di locutori che considerano anche altre varietà tipologicamente
non distanti da siciliano o toscano (galloromanzo, castigliano, ecc.) solo
accidentalmente differenti e la cui planimetria del tetto si rivela dunque
più ampia di quella di un locutore autoctono monolingue. Come osserva
puntualmente Selig: “Wenn lange Zeit die Differenz zum Lateinischen,
nicht die Differenz zu anderen romanischen Idiomen, zum Au-
sgangspunkt sprachlicher Abgrenzung gemacht wurde”, ciò dimostra
“eine prinzipiell andersartige Wahrnehmung des sprachlichen Rau-
mes”.734 L’ipotesi formulata da Vàrvaro in merito alla “base concettuale e
storica di idee come Francia e Italia”,735 va perciò ampliata ulteriormente,
vanno cioè resi visibili tutti gli scriventi di uno spazio comunicativo,
anche quelli finora vittime di una marginalizzazione artificiosa da parte
della ricerca a causa di una proiezione anacronistica di confini geopolitici
odierni a costellazioni linguistico-culturali del passato. La restrizione in-
dotta da una metodologia che verte sulla ricostruzione delle tappe evo-
lutive di un ben preciso idioma porta a ricostruire quelle che sono le
competenze e la percezione linguistica dei locutori (autoctoni) immobili e
monolingui. Assumere come campo d’indagine uno spazio comunicativo
e come oggetto di studio una tradizione discorsiva, invece, analizzando
l’atto performativo concreto in cui si manifesta ogni forma d’interazione
comunicativa, rende potenzialmente visibili i locutori (anche alloctoni)

732 Vàrvaro 2004a, 114, modifiche mie.


733 Oesterreicher 2004, 22.
734 Selig 1998, 45 – 46.
735 Vàrvaro 2004a, 114.
3.1. La coscienza linguistica in Sicilia fino al Quattrocento 247

mobili e poliglotti.736 I parlanti alloctoni, nello specifico, non costitui-


scono dei raggruppamenti sociali ermeticamente isolati, come vorrebbe
suggerire la tradizionale storiografia (si consideri solo il tanto usato ter-
mine di isola linguistica)737 rinunciando a indagare i possibili contesti di
contatto comunicativo tra individui, ma sono nella maggior parte dei casi
parte integrante della società che li accoglie e che si modifica attraverso e
insieme ad essi. Non è raro inoltre che i locutori alloctoni godano di un
notevole prestigio legato all’appartenenza ad un ceto sociale medio-alto,
come è senza dubbio il caso dei guaritori provenienti dalla Spagna nella
nostra epoca e nel nostro spazio comunicativo. Solo prestando la dovuta
attenzione a tali scenari, più o meno emergenti a seconda dello spazio
comunicativo esaminato, sarà possibile spiegare i “particolari cambia-
menti dei sistemi linguistici coinvolti, come la formazione di nuove va-
rietà di contatto più o meno ibride”.738 La rivalutazione di quella che può
essere la forza d’impatto di “culture di alta mobilità”739 è certamente
d’aiuto su questo cammino, poiché consente allo studioso di sormontare
l’ideologia secondo cui lingua e terreno rappresentano un binomio in-
scindibile.

3.1.3. Lingua vs. idioma

Torniamo ora alla questione del rapporto non di continuum, ma di gra-


duatum che dovrebbe invece sussistere tra due linguae o tra una lingua e
un idioma (cfr. infra, par. 3.1.). Nel corpus di dati esaminato in cap. 2 vi
sono fenomeni di switching tipologicamente ricorrenti che sembrano ef-
fettivamente confermare questa ipotesi. In alcuni di essi il cambio di
codice è dovuto al mutamento della tipologia testuale da testo prescrittivo
a testo scenico o performativo di cui si vuole accentuare il carattere
magico-occulto – come nel Thesaurus pauperum di par. 2.3.1.1., nel
Recettario secreto di par. 2.3.3.1. o nel Libretto di formule magiche di
par. 2.3.4.2. dove si ha un passaggio dal volgare al latino – o che si
desidera rendere accessibile anche all’infermo in forma di breve da recitare
– come nel caso del Lapidario di par. 2.2.1.1. dove si ha il passaggio
inverso dal latino al volgare. Una simile alternanza tra lingua dotta e

736 Cfr. Krefeld 2004, 19 ssg.


737 http://www.treccani.it/enciclopedia/isole-linguistiche_(Enciclopedia-dell’Italia
no)/.
738 Krefeld 2013, 4.
739 Krefeld 2013, 3.
248 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

volgare è visibile anche nel manoscritto dell’Eucologio di par. 2.2.2.1.,


dove a fungere da lingua non è il latino, ma il greco. Al di là della veste
grafica dei passaggi romanzi, il rapporto tra lingua e idioma assume anche
qui le sembianze non di una sfumatura, ma di un brusco avvicendamento
di codici. Prendendo in esame il manoscritto del Libro di ricette e secreti di
par. 2.3.2.1., è possibile poi osservare come le parti in volgare e le parti in
latino si alternino l’una all’altra anche in mancanza di ragioni stretta-
mente linguistiche che giustifichino uno switching improvviso quali
possono esserlo il passaggio dalla tipologia testuale espositiva a quella
scenico-performativa: il ricorso al latino consente qui piuttosto allo
scrivente di segnalare la sua appartenenza ad una determinata cultura.740
Pur giustificata da ragioni simboliche, anche la contrapposizione tra
lingua dotta e idioma volgare che si genera in questo versante rispetta
comunque i canoni di una concezione secondo cui la prima rappresenta
un’entità sostanzialmente dissimile al secondo e quindi non adattabile ad
esso.
Nel corso delle analisi si sono nondimeno osservati a più riprese
anche una serie di fenomeni che consentono di definire il rapporto tra
latino e volgare nei termini di un code mixing. 741 Specialmente la dis-
amina del Lapidario di cui ai parr. 2.2.1.1. e 2.2.1.2. ha mostrato come
l’eventualità di trovare frasi nelle quali si passa da una lingua all’altra
anche all’interno dello stesso costituente non sia infatti per nulla incon-
sueta nei testi dei Ricettari di segreti. Lo ‘sfumare’ del latino nel volgare e
viceversa riguarda soprattutto l’ambito semantico-lessicale, nel quale non
è raro incappare in voci mistilingui giustificate dal fatto che il compila-
tore non è in pieno possesso della terminologia botanica o medica del
caso o, come spesso si tende a sottolineare attraverso un esplicito com-
mento metalinguistico sull’origine popolare del termine, per venire in-
contro a necessità di laicizzazione e divulgazione dei contenuti. Queste
sfumature comprendono una gamma assai vasta di soluzioni adottate a
seconda del caso: dall’integrazione di un prestito nella lingua d’arrivo,
passando per soluzioni intermedie quali la parafrasi in stile di chiosa
glossante o il prestito fono-morfologicamente adattato (non di rado re-
interpretato sulla base di una etimologia popolare), si giunge alla tra-
duzione, spesso correlata ad un abbandono del tecnicismo e un abbas-
samento di registro.742 Il code mixing latino-volgare si rende però tangibile

740 Cfr. Selig 1998, 49.


741 Cfr. Krefeld 2004, 96 ssg.; Sankoff/Poplack 1981; Muysken 2000, 184 ssg.
742 Cfr. Rapisarda 2001, lvii; cfr. infra, par. 2.3.1.1.
3.2. La coscienza linguistica in Sicilia dal Cinquecento al Seicento 249

non solamente sul piano lessicale-semantico, ma anche su quello morfo-


sintattico, sia sotto forma di lessemi ‘misti’ in cui la radice lessicale di un
termine in lingua volgare si fonde con un suffisso latino – molto fre-
quente il caso di un sintagma nominale costituito da due nomi volgari
‘connessi’ dal cosiddetto genitivo apreposizionale 743 come pure l’utilizzo di
desinenze latine che volgono la forma verbale in passivo o in gerundivo –
sia soprattutto nella misura in cui latino e volgare compaiono all’interno
di uno stesso sintagma dal nucleo bilingue introdotto magari da un
costituente con testa latina e modificatore volgare – si vedano in parti-
colare le annotazioni del Lapidario in par. 2.2.1.2. e il Theasaurus pau-
perum in par. 2.3.1.1. Alla luce di tali fenomeni è necessario dunque
relativizzare anche l’ipotesi vàrvariana secondo cui la scelta tra latino e
volgare, per lo scrivente della tarda età media, sia tale per cui tertium non
datur. 744 Non è del tutto lecito affermare cioè che questa rappresenti
un’alternativa netta tra due sistemi ben distinti e caratterizzati ciascuno da
un’intangibile e indivisibile identità. Si deve piuttosto riconsiderare il
binomio di partenza lingua-idioma assumendo una posizione non dico-
tomica nel ricostruire la percezione della variazione linguistica quattro-
centesca, il che, come si vedrà nell’immediato seguito, rappresenta un
presupposto fondamentale per comprendere appieno l’atteggiamento che
assumono gli scriventi cinquecenteschi all’interno della delicata e com-
plessa Questione della lingua.

3.2. La coscienza linguistica in Sicilia dal Cinquecento al


Seicento

Dopo aver tratteggiato nei paragrafi precedenti le linee del pensiero


Scolastico in merito alla variazione linguistica nell’alto medioevo è il caso
di tornare brevemente sulle ragioni che, a cavallo tra le epoche qui ri-
esaminate, hanno portato ad un definitivo abbandono del latino in favore
delle lingue volgari, nonché sui percorsi di codificazione che hanno in-
teressato queste ultime permettendo loro di raggiungere e gradualmente
scalzare, nei diversi domini della distanza comunicativa,745 la lingua della
tradizione dotta.

743 Rapisarda 2001, lxvi.


744 Vàrvaro 2004a, 118.
745 Koch/Oesterreicher 2011, 7 ssg.
250 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

3.2.1. Gli idiomata diventano linguae

Per cominciare le riflessioni a proposito del mutato rapporto tra latino e


volgare nel Cinquecento sono particolarmente indicative le parole che
Mari D’Agostino,746 nel suo attento studio sulla politica linguistica per-
seguita dalla chiesa siciliana nei secoli XVI-XVIII, trae dal memoriale
inviato in occasione del concilio lateranense a papa Leone X:
Cum autem nunc ex multis millibus populorum […] pauci admodum rarique
sint, qui latinam linguam intelligant, quid, quaeso, prohibet antiquiorum
Patrum mores imitari et ex minus noto ad notiorem sermonem sanctam ipsam
Scripturam convertere? […] Quod autem de divinis Scripturis diximus, idem
de omnibus aliis conventionibus, venditionibus, emptionibus quae inter
christianos homines fiunt, intelligi cupimus.747
Il quesito posto nel memoriale sulla praticabilità o meno di un percorso
di volgarizzamento che potesse interessare anche i testi della bibbia,
ipotesi che si faceva largo tra le fronde più progressiste della Chiesa
cattolica sull’onda riformatrice che stava prendendo vigore nel Mitteleu-
ropa, è sostenuta dagli autori attraverso il richiamo alla filosofia patristica
che attribuisce la massima importanza alle finalità comunicative nel
processo di trasmissione della dottrina.748 Il riaccostamento della lingua
scritta al latino classico voluto durante la Rinascenza carolingia aveva
destabilizzato la già precaria situazione di diglossia volgare-latino sorretta,
in ambito religioso, da una prassi simbolico-referenziale di copioni co-
municativi fortemente standardizzati.749 Proprio questo rassicurante, ma
empio automatismo comunicativo viene messo aspramente in discussione
dallo spirito del Protestantesimo, tanto da costringere la Chiesa post-
tridentina a cedere alle critiche che risuonano nelle citazioni di cui sopra e
riconoscere l’inadeguatezza del codice latino a prestarsi da veicolo per una
nuova e capillare evangelizzazione. Nel corso della Controriforma si as-

746 D’Agostino 1989.


747 Libellus…, da: D’Agostino 1988, 29, corsivo mio.
748 Si ricordi a questo proposito il dettame agostiniano ripreso in infra, par. 2.3.1.1.
(melius est reprehendant nos grammatici quam non intelligant populi) con cui si
giustificava l’utilizzo di forme volgari nella traduzione latina dei salmi (cfr. http://
it.wikipedia.org/wiki/Melius_est_reprehendant_nos_grammatici_quam_non
_intelligant_populi).
749 Cfr. Blasco Ferrer 1994, 138. Il monito espresso durante il concilio di Tours
(813) di pronunciare le omelie in rusticam Romanam linguam aut Thiotiscam non
venne tuttavia accolto dal clero italiano (Durante 1981, 97; cfr. Selig 2006,
1928).
3.2. La coscienza linguistica in Sicilia dal Cinquecento al Seicento 251

siste ad un’apertura del clero cattolico al volgare che riguarda, fatta


esclusione naturalmente per la liturgia, l’intero dominio della comuni-
cazione religiosa, dall’ambito della predica a quello della catechesi.750 Si è
visto in particolar modo come i vescovi siciliani, nel periodo susseguente
al concilio, concedessero ai parroci un profuso utilizzo del volgare so-
prattutto per le formule precatorie da diffondere tra i fedeli, con le quali
ci si proponeva di incanalare il fervore delle masse popolari in forme
controllabili di espressione religiosa e in binari di venerazione prestabiliti
dal culto (cfr. infra, par. 2.3.4.3.). Opponendo agli scongiuri scaraman-
tici, agli amuleti magici e alle ritualità superstiziose del popolo una serie
di orazioni devote e corredate da immagini di santi riconosciuti – a parità
di promesse sull’efficacia contro malattie, disgrazie o calamità naturali – si
tentava così di arginare il pericolo di una dispersione della fede in focolai
di eresia, idolatria e sincretismo di tradizioni eterodosse fornendo al fe-
dele uno strumento tanto comprensibile quanto quello della tradizione
popolare che si voleva estirpare.751
Proposte di riforma linguistica analoghe a quelle esposte nel libello
appena visionato sono anche quelle espresse, sul versante laico della
disquisizione accademica, dall’intellettuale siracusano di ampio respiro
europeo Claudio Mario Arezzo.752 Scrive Arezzo introducendo la sua
prima e unica opera in volgare data alle stampe nell’anno 1543:
Dubito ancora si fussi honesto et utili […] traduciri tutti cosi di la Scrittura
Sacra […], pronunciandosi in latino, restiria la dottrina evangelica a li ita-
liani […] oscura et incognita: per causa […] si dimostrano chi non bastano
più accomodar li aurichii ad intendiri palora laqual in latino scritta sia […].
Però io mi risolvo di tal cosa non far palori […] pentuto di havir scritto in
latino quillo mio libretto di sito dila nostra Sicilia.753
Il postulato cui anche Arezzo si rifà è quanto si è definito in par. 2.3.1.1.
nei termini di comunicazione verticale: un atto di comunicazione tra un
locutore di livello culturale superiore che ha accesso alla tradizione scritta
e un interlocutore di livello culturale inferiore cui questo accesso è invece

750 D’Agostino 1988, 45 ssg.


751 Millunzi/Salomone-Marino 1901, 279 – 80.
752 Cfr. Soares da Silva (2013), in cui sono riassunte le considerazioni su Arezzo e sul
rapporto tra lingua letteraria e documentaria esposte in infra, par. 3.2.2. Per una
biografia di Claudio Mario Arezzo, discepolo di Scobar e storiografo dell’im-
peratore Carlo V, cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/claudio-mario-arez-
zo_%28Dizionario-Biografico%29/. Come si vedrà meglio in seguito, Arezzo
rappresenta una delle figure centrali nella Questione della lingua in Sicilia.
753 Arezzo 2008 [1543], 36 – 37, corsivo mio.
252 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

precluso.754 Lo stesso autore lascia inoltre intendere dalle ultime righe del
prologo – dichiarandosi pentito di essere ricorso al latino nel redigere la
sua opera De situ insulae Siciliae –755 come ritiene invero più sensato
prediligere l’utilizzo della lingua volgare anche in ambito scientifico, oltre
che in quello religioso.
Ciò che i testi citati mettono in evidenza non è certamente un novum
per l’Europa rinascimentale. Già a partire dal secolo IX, infatti, gli idiomi
romanzi cominciarono a dare i primi ‘segni di vita’, dapprima nelle tra-
dizioni discorsive più disparate, dall’epigrafe all’indovinello alla lista di
mercanzie, minando la sempre più instabile diglossia interna al latino.756
Nei secoli successivi, a diverse velocità nelle diverse regioni dell’occidente
medievale, si assiste ad un progressivo abbandono del latino all’interno
delle tradizioni discorsive di stampo letterario piuttosto che pragmatico-
amministrativo, a dimostrazione del fatto che la fiorente borghesia dei
centri comunali e demaniali non era più in grado, né sentiva la necessità
di servirsi attivamente della lingua dotta per l’organizzazione della vita
civile.757 Non va dimenticato, però, che l’erosione del latino come lingua
veicolare della distanza comunicativa, durante il Medioevo, riguarda solo
la dimensione verticale o diafasica della variazione linguistica, non quella
orizzontale o diatopica. Dal punto di vista diatopico, infatti, il latino
raggiunge proprio in quest’epoca il periodo di massima estensione del suo
raggio comunicativo, fungendo da varietà alta anche di buona parte del
mondo germanico, baltico e slavo rimasto originariamente escluso dai
territori dell’impero romano.758 La novità è dunque ora proprio quella per
cui, in termini qualitativi, sono le ultime roccaforti della lingua universale
a subire con sempre maggior impeto l’assedio del volgare, dalla sfera della
scritturalità religiosa a quella scientifica.
Gli umanisti del Cinquecento, attraverso uno schema argomentativo
ricorrente, assumono posizioni apologetiche nei confronti della lingua
volgare, contrapponendo alla teoria della corruzione nelle sue diverse

754 Banniard 1992, 38.


755 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/claudio-mario-arezzo_%28Dizionario-Bio
grafico%29/.
756 Cfr. Selig 2006, 1927 ssg.
757 Krefeld 1988, 751 ssg. Si rendeva anzi necessario istituzionalizzare la scrittura in
volgare, soprattutto in ambito notarile (cfr. la citazione dal libello di cui sopra),
per rendere accessibile la prassi giuridica del diritto privato alla borghesia laica
(ibid.).
758 Vàrvaro 2004a, 111 – 12.
3.2. La coscienza linguistica in Sicilia dal Cinquecento al Seicento 253

accezioni759 la tesi del primato di originalità rispetto alla lingua dotta. Ciò
vale non solo dal punto di vista ontogenetico, dal momento che la lingua
volgare viene direttamente assimilata, a differenza del latino, dal seno
materno – questa la topica più frequente –, ma anche da quello filoge-
netico, posizione che si sostiene ipotizzando l’esistenza del volgare sin dal
tempo della latinità classica.760 Ancora va riconosciuto agli umanisti in
lingua volgare il merito di aver messo in discussione il presupposto teo-
rico per cui la perfezione linguistica sarebbe da ricercarsi nell’assoluta
rigidità dell’idioma e nella sua integrità incontaminata, avendo essi at-
tribuito invece maggior valore al principio di naturalezza e autenticità e
mutato così implicitamente in positivo le connotazioni legate all’etero-
geneità che derivano alla lingua dall’essere utilizzata in contesti autenti-
ci.761

3.2.2. Siciliano e toscano

Nel Cinquecento non è dunque più possibile fare a meno di porsi il


problema della regolamentazione della nuova lingua assurta a veicolo dei
contenuti pratico-scientifici e religiosi. Lingua, appunto, e non più
idioma, per riallacciarsi al binomio da cui sono partite le riflessioni di
cap. 3., poiché questo dovrebbe essere lo statuto che viene assegnato al
volgare una volta ottenuto il beneficio della codificazione (cfr. supra,
par. 3.2.1.). È superfluo sottolineare qui che sarà il toscano ad affacciarsi
per primo sulla scena e a innescare il dibattito sulla Questione della lingua,
fornendo durante tutte le fasi della disquisizione un immancabile punto

759 Esistono due accezioni principali: la tesi della corruzione esternamente indotta,
da ricondurre alla tradizione di Flavio Biondo e la tesi della corruzione avvenuta a
causa della predisposizione interna al latino, che fa capo a Leonardo Bruni (El-
lena 2011, 64 ssg.).
760 Questa è la posizione di Leonardo Bruni (cfr. Ellena 2011, 65). Non mancano
posizioni che si spingono ben oltre a tali valutazioni, come quelle di Gregor
Lopez Madera o di Pierfrancesco Giambullari, il primo dei quali che giunge a
negare, propugnando la cosiddetta tesi del proto-castigliano, la primogenitura del
latino sul volgare e la diretta filiazione dell’uno dall’altro (Bahner 2001, 1097), il
secondo che, “al fine di accreditarne storicamente la singolare natura fra tutte le
parlate italiane e di accentuarne l’autonomina dal latino” (Vitale 1984, 85),
sostiene l’esistenza di un legame del fiorentino con l’etrusco e l’aramaico. Al di là
del carattere speculativo di queste teorie, il loro merito sta nell’aver reso esplicita
l’innegabile immediatezza del volgare rispetto al latino.
761 Cfr. Ellena 2011, 65.
254 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

di riferimento. Con la rivoluzione mediatica di fine ’400 e le edizioni


aldine di Commedia e Canzoniere curate a Venezia da Pietro Bembo, la
creazione di una norma di referenza su base fiorentina, la diffusione di
questa norma al di fuori dell’area toscana e la graduale perdita di auto-
nomia comunicativa degli altri idiomi areali della penisola appenninica
diviene inarrestabile.762 Nella storia della lingua in Sicilia, se prendiamo
come termine indicativo per il processo di normalizzazione del toscano la
data di pubblicazione delle Prose della volgar lingua, al più tardi dal 1525
sembra potersi affermare che
il toscano non si presenta più come la fonte di singole alternative, sia pur di
prestigio: adesso è un sistema da accettare in blocco, con una sua identità
intangibile, di cui è giudice solo il parlante nativo. Se in esso si insinuano
tratti locali (in primo luogo lessemi di cui non si conosce, o non esiste, il
corrispondente toscano), ciò avviene per incapacità o, marginalmente, per
espressività.763
Il toscano, da questa data, viene effettivamente elevato a lingua e possiede
ora una sua identità inalienabile. È importante tenere in considerazione
che, nel momento stesso in cui esso viene fatto oggetto di standardizza-
zione, anche gli idiomata delle altre regioni – il siciliano, il napoletano, il
veneziano, ecc. – intraprendono un cammino di emancipazione corollato
da un’assidua attività grammaticografica, entrano cioè a loro volta in
possesso di “un’identità globale, anche se ‘altra’” e divengono sistemi
altrettanto impenetrabili da accettare in blocco: “[l]’alternativa”, sinte-
tizza Vàrvaro, “non è più tra singoli elementi del sistema, ma tra siste-
mi”.764 È in questo preciso momento che nasce la letteratura dialettale
riflessa,765 essendo ora possibile, per la prima volta nella storia della lingua
italiana, approcciarsi alle lingue regionali utilizzando attributi che ne
evidenzino il carattere relazionale. La standardizzazione degli idiomi re-
gionali a nord e a sud della penisola si costituisce in primo luogo come
reazione alla normalizzazione e all’espansione della lingua toscana che, si
diceva, funge da costante e imprescindibile punto di riferimento.766 In
secondo luogo, essa è funzionale alla produzione letteraria e la sua ragione
d’essere si esaurisce in questo preciso “ufficio storico”.767 Va poi preso atto

762 Krefeld 1988, 753 – 54 e 2013, 4 – 5.


763 Vàrvaro 2004a, 126.
764 Vàrvaro 2004a, 126.
765 Croce 1951, 355.
766 Croce 1951, 358.
767 Cfr. Croce 1951, 355 – 65.
3.2. La coscienza linguistica in Sicilia dal Cinquecento al Seicento 255

del fatto che, in terzo luogo, “[la] più evidente implicazione letteraria
dell’uso riflesso dei dialetti è nel costituirsi di due monolinguismi com-
plementari e distinti”, dal momento che il ricorso al dialetto comporta
una sistematica esclusione sia della lingua italiana, sia soprattutto di tutti
“gli accostamenti e le interferenze della lingua corrente”.768 I rappresen-
tanti della poesia dialettale – nella maggior parte dei casi si tratta in verità
di autori bilingui che non disdegnano verseggiare anche in lingua italiana,
oltre che nel rispettivo dialetto –769 si fanno promotori di una restaura-
zione purista che ripudia gli stessi principi di naturalezza su cui si fonda,
in definitiva, il movimento culturale che aveva dato vita all’umanesimo
volgare. Un illustre esponente della letteratura dialettale in siciliano è ad
esempio Antonio Veneziano, l’autore dei numerosi componimenti che
nella Celia riecheggiano in veste linguistica siciliana gli strazianti toni del
petrarchismo. Nella prefazione all’opera, l’intellettuale monrealese espri-
me il suo intento poetico alla seguente maniera:
Forsi lu munnu aspittiria autri primizi di l’ingegnu miu; ma in quali lingua
putia megghiu fari principiu, ch’in chidda, chi primu non sulamenti ’mparai,
ma sucai cu lu latti? Starria friscu […] Oraziu, chi fu d’unni si parlava latinu,
e scrissi latinu, lu Petrarca, chi fu Tuscanu, e scrissi tuscanu, s’a mia chi sú
Sicilianu non mi convenissi comporri Sicilianu […] benchì iu per grazia di
Diu, saccia autramenti scriviri, per ora m’è placiutu mustarimi ne lu miu
propriu visaggiu, quannu vorrò farmi mascara, mustrirò chi cussì beni fazzu
la mia parti.770
In questo breve passaggio si ritrovano tutti gli elementi distintivi che
rendono lecito classificare un’opera nei termini di letteratura dialettale
riflessa. 771 Per prima cosa vediamo come Veneziano reclami qui l’utilizzo
del vernacolo rievocando il topos della sua originarietà ontogenetica: “ma
in quali lingua putia megghiu fari principiu, ch’in chidda, chi primu non
sulamenti ’mparai, ma sucai cu lu latti?”. Spicca poi nel prologo della
Celia l’affermazione secondo cui il vernacolo siciliano sia l’unico in grado
di trasmettere i sentimenti genuini dell’autore, possibilità che resta invece

768 De Blasi 2010, da: http://www.treccani.it/enciclopedia/usi-letterari-del-dialet-


to_(Enciclopedia-dell’Italiano)/.
769 Come ricorda De Blasi (2010), “[a]l processo di occultamento di una lingua
(quella italiana) si abbina talvolta lo stesso sdoppiamento con pseudonimo degli
autori o perfino una doppia vita […]: per l’autore dunque il dialetto non è più
lingua di altri, ma può diventare lingua di un altro sé stesso” (http://www.trec
cani.it/enciclopedia/usi-letterari-del-dialetto_(Enciclopedia-dell’Italiano)/).
770 Celia, da: Lo Piparo 1987, 745.
771 Croce 1951, 355.
256 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

preclusa al volgare toscano: attraverso il primo, l’autore può mostrarsi nel


“propriu visaggiu”, mentre usare il secondo equivarrebbe a indossare una
“mascara” e allontanarsi così da tutti quegli elementi di spontaneità ed
emozionalità che riesce a veicolare solo il dialetto. Infine si veda come
l’autore, pur respingendo con enfasi ogni lingua estranea a quella ma-
terna, non esiti a sottolineare (“benchì iu per grazia di Diu, saccia aut-
ramenti scriviri”) come il suo repertorio linguistico sia ben più ampio di
quello che si può dedurre dalle sole poesie della Celia. La frase con cui si
apre l’opera: “Forsi lu munnu aspittiria autri primizi di l’ingegnu miu;
ma in quali lingua putia megghiu fari principiu, ch’in chidda, chi primu
non sulamenti ’mparai, ma sucai cu lu latti?” rappresenta nel suo com-
plesso una sorta di excusatio non petita con cui Veneziano mette al cor-
rente il lettore di essere consapevole del rapporto diglossico che sussiste
tra le due lingue.772
Oltre a Veneziano, però, e alla corrente del sicilianismo letterario, che,
come si è visto, presuppone sempre uno standard altro da cui distaccarsi e
senza il quale non potrebbe rivendicare la sua ragion d’essere,773 esiste
anche tutto un filone di pensiero che si sottrae alla logica dualistica ars vs.
natura. Il portavoce di questo movimento è il patrizio siracusano men-
zionato in par. 3.2.1. autore delle Osservantii dila lingua siciliana et
canzoni in lo proprio idioma: Claudio Mario Arezzo. L’opera chiave
dell’Arezzo, rimasta a lungo fraintesa dagli studiosi di storia della lingua
in merito a quelle che sono le sue principali intenzioni,774 viene nel
migliore dei casi annoverata anch’essa tra i componimenti di letteratura
dialettale riflessa. 775 Ponendo a confronto un sonetto di Veneziano con
uno di Arezzo, però, si vedrà che, mentre il primo è composto in un
siciliano arcaizzante intenzionalmente contrapposto al toscano, il secondo
svela un carattere sostanzialmente ibrido:

772 Cfr. Lo Piparo 1987, 745 – 46.


773 Altro intellettuale che usava comporre in siciliano, oltre che in castigliano, era il
toscanista Argisto Giuffredi, l’accademico palermitano autore degli Avverti-
menti Cristiani che condivise la sventurata sorte di Veneziano a Castellam-
mare (Piciché 2001, in: http://www.treccani.it/enciclopedia/argisto-giuffredi_
res-186cc5cb-87ee-11dc-8e9d-0016357eee51_(Dizionario-Biografico)/. Tosca-
nismo e sicilianismo, ambedue le posizioni votate in egual modo al purismo,
rappresentano in definitiva due facce della stessa medaglia.
774 Si veda in particolar modo l’interpretazione dell’opera da parte di Alfieri (1986).
775 Cfr. Alfieri 1986, 324 – 25; Lo Piparo 1987, 746 ssg.
3.2. La coscienza linguistica in Sicilia dal Cinquecento al Seicento 257

Non è xhiamma ordinaria, no, la mia Amor di cento fiammi e cento strali
è xhiamma chi sul’iu tegnu e rizettu, s’arma li mano, l’arco e la pharetra;
xhiamma pura e celesti, ch’ardi ’n mia; quilla con li pinser casti e fatali
per gran misteriu e cu stupendu effettu. si spingi inanzi, e lo cori di petra
Amuri, ’ntentu a fari idualatria, fann’un rumuri, con impeto tali,
s’ha novamenti sazerdoti elettu; chi turbano la genti di Triquetra:
tu, sculpita ’ntra st’alma, sì la dia; restano in fini di la guerra equali,
sacrifiziu lu cori, ara stu pettu.776 et io, com’era, in vita amara e tetra.777
Nella parte di ambizione poetica dell’opera di Arezzo, le canzoni in lo
proprio idioma, si viene confrontati con una lingua che non si può in
alcun caso considerare alla stregua di un vernacolo puro da contrapporre
al volgare tosco-italiano.778 L’intento programmatico è invero formulato
già nella prima parte del trattato, una disquisizione linguistico-filosofica
dove l’Arezzo si appella a quanti come lui sono scontenti “dili doi extremi
[…], o dilo puro thoscano o dilo antico et vulgar [….] siciliano idio-
ma”.779 Né l’italiano letterario dei toscanisti, il cui utilizzo ricade inevi-
tabilmente nell’affettazione, né il vernacolo dei sicilianisti, una varietà
inadatta non solo dal punto di vista diacronico, ma anche da quello
diastratico (“antico et vulgar”), si prestano infatti alla “bucca di cortixani
et homini chi prosumino ben parlari”.780 L’autore si assume allora l’onere
di codificare, “stringendola sotta certi reguli”781, la lingua dei “gin-
til’homini”782 che animano le disquisizioni degli accademici salotti
messinesi elaborando un “novo modo”.783

776 Celia, Lib. 2, cit. da: Siciliano 2003, 29, corsivo mio.
777 Arezzo 2008 [1543], 120, corsivo mio.
778 Le due canzoni poste a confronto si completano per così dire a vicenda, la-
mentando nel pieno rispetto dei canoni petrarchisti lo stato d’inattaccabilità
dell’amata l’una e quello di arrendevolezza dell’amante l’altra. Per quanto ri-
guarda la forma linguistica, è dato osservare ad esempio come in entrambe le
ottave i significanti di cori – per quanto i rispettivi significati non possano avere
connotazioni più diseguali! – siano in versione perfettamente siciliana (esenti da
dittongo spontaneo e con i finale). A spiccare nel raffronto fra i due testi sono
però molto di più le divergenze nelle rese, ad esempio, dell’articolo determinativo
lo vs. lu, della preposizione con vs. cu piuttosto che del pronome personale io vs.
iu. Assolutamente esemplare è poi l’opposizione tra fiammi e xhiamma, la prima
forma risultando siciliana solo nella terminazione, la seconda invece mostrandosi
a dir poco ipercaratteristica in senso vernacolare nell’esito fonetico e grafico del
nesso FL-.
779 Arezzo 2008 [1543], 39.
780 Arezzo 2008 [1543], 6 – 7.
781 Arezzo 2008 [1543], 6 – 7.
782 Arezzo 2008 [1543], 3.
783 Arezzo 2008 [1543], 39.
258 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

Che conclusioni ci si aspetta di poter trarre dalle dissertazioni filo-


sofico-erudite e dalle forme dell’espressione poetica cinquecentesca per
ricostruire una storia della lingua documentaria? Come dimostra in
maniera esemplare Grasso784 durante la sua perspicace interpretazione
delle Osservantii…, la trattatistica rinascimentale sulla codificazione lin-
guistica va spesso letta in trasparenza; solo così è possibile ricostruire le
trame nascoste sotto la retorica di superficie. Dietro ad una dichiarazione
apparentemente inequivocabile dell’Arezzo che limita l’aspirazione codi-
ficatrice della sua grammatica alla sola poesia: “et in fini si dichiarirà lo
modo si divi teniri in lo scriviri di issi rimi”, spunta infatti la fonda-
mentale apposizione finora trascurata dagli esegeti delle Osservantii…:
“lassando chi in la prosa pozi ogni uno eligiri (a quilli dila nostra Aca-
demia parlando) quilla lingua chi meglio li parirà”.785 Questa subordinata
implicita assume tutti i connotati di una praeteritio e lascia intendere
come la vera inclinazione dell’opera sia proprio quella di fornire invece in
primo luogo un modello valido per “lo exercitio di orari”,786 come si legge
ancora tra le pieghe del testo. D’altronde, la lingua oggetto della codi-
ficazione grammaticale è allo stesso tempo anche la lingua veicolare
dell’intera trattazione attraverso il cui utilizzo l’autore dimostra implici-
tamente come il modello proposto sia evidentemente praticabile per la
prosa espositiva, piuttosto che argomentativa, regolativa o narrativa. Che
nella concezione di Arezzo la lingua dell’espressione letteraria coincida
con quella della scritturalità elaborata tout court è deducibile peraltro
anche dagli indizi disseminati nelle canzoni. Al di là di rare eccezioni, tra
cui il sonetto riportato sopra, va preso atto di come i componimenti non
posseggano alcunché di lirico, fenomeno assolutamente unico per un
canzoniere cinquecentesco.787 Il valore poetico delle canzoni è infatti del
tutto secondario rispetto a quello retorico che occupa con prepotenza la
scena attraverso una fitta trama di titolazioni, al margine dei testi, indi-
canti le singole parti del discorso: “prohemio”, “narrationi”, “propo-
sition”, “petition”, “conclusioni”, le funzioni che si propongono di
realizzare i versi: “catta benivolentia” “mostra la causa iusta”,
“suasioni”, ecc. o gli ornamenti che si trovano in essi: “complexioni”,
“Methaphora”, ecc.788 L’autore si avvale insomma dei versi, la tradizione

784 Grasso, in: Arezzo 2008 [1543], passim.


785 Arezzo 2008 [1543], 6 – 7, corsivo mio.
786 Arezzo 2008 [1543], 9.
787 Grasso, in: Arezzo 2008 [1543], 164.
788 Arezzo 2008 [1543], 119 – 53.
3.2. La coscienza linguistica in Sicilia dal Cinquecento al Seicento 259

testuale prediletta dai trattati di poetica in cui si suole affrontare la


Questione della lingua, per esemplificare le categorie dell’oratoria classica e
fornire così, riallacciandosi alla tradizione della ars dictaminis,789 un
modello linguistico in cui veicolare le tipologie testuali più disparate.
Come riporta l’autore nelle prime pagine della sua grammatica, spo-
stando l’accento del suo intervento dalla prescrizione alla descrizione, la
caratteristica principale del “novo modo” utilizzato è quella di essere in
tutto e per tutto il “siciliano idioma lo quali al presenti usamo”.790 È
indispensabile tenere infatti presente che Arezzo si appella “a quilli dila
nostra Academia”,791 offre cioè un modello linguistico a chi scrive in
Sicilia rivolgendosi ad un pubblico che si trova a sua volta ad agire entro i
confini territoriali dell’isola. La lingua proposta nelle Osservantii… non
avanza dunque la pretesa di sostituirsi a quella toscana su scala ‘nazionale’
o trans-areale, ma limita il suo raggio d’azione al territorio del Viceregno,
reclamando ivi però con fermezza un diritto di esistenza ben più assodato
di quello che potrebbe avere una varietà inevitabilmente affettata di
fiorentino letterario.
La distinzione tra scritturalità intra-areale e trans-areale792 è di fon-
damentale importanza per comprendere l’assetto linguistico italiano nel
Cinquecento. La ricerca si è dedicata finora con estremo zelo a
quest’ultima – si vedano per la Sicilia gli studi di Alfieri e Lo Piparo –793
trascurando con altrettanta cautela la prima. La discrepanza tra le con-
clusioni cui giunge Vàrvaro nel rilevare prima come in Sicilia “i docu-
menti pubblici e gli scritti privati” siano generalmente redatti in italiano –
peraltro un italiano caratterizzato da “frequenti e brusche infrazioni
dialettali” – solo “[d]alla fine del ’500”,794 e poi come un testo locale
scritto in Sicilia sia “dichiaratamente italiano”795 già a partire dalla se-
conda metà del secolo XVI svelano una lacuna metodologica colmabile
proprio sulla base di questa distinzione.
Senza dover forzare il paragone tra dato linguistico e riflessione
metalinguistica, è possibile prendere atto a questo punto, tornando alla
scritturalità pragmatica in generale e a quella dei Ricettari di segreti in
particolare, che il “novo modo” descritto dall’Arezzo presenta molti punti

789 Cfr. Krefeld 1988, 751.


790 Arezzo 2008 [1543], 7.
791 Arezzo 2008 [1543], 6.
792 Cfr. Soares da Silva 2013, 94 ssg.
793 Alfieri 1990, 1992a, 1994; Lo Piparo 1987.
794 Vàrvaro 1976, 94.
795 Vàrvaro 2004a, 126.
260 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

in comune con la lingua che veicola i testi cinquecenteschi esaminati. In


ambito fonetico, ad esempio, e più precisamente in merito al vocalismo,
si è potuto verificare nel Recettario secreto (par. 2.3.3.1.), piuttosto che
nell’Opera e ricette di Alchimia (par. 2.3.3.2.) o nella dedica-elogio del
Trattato delle virtù delle erbe (par. 2.1.2.) che gli esiti siciliani risultano
ancora assai saldi e predominanti rispetto a quelli toscani. Non sembra
strano allora ciò che Arezzo auspica in merito alla scrizione i di fine
parola: “Quilli vuci terminanti per li thoscani in e in lo numero singulari:
amore, colore, dolore, Scipione, quale, tale, et li infinitivi dire, stare, andare,
amare, et simili, noi starrimo col nostro modo finendoli per i”.796 L’ac-
cettabilità nei confornti del vocalismo siciliano “in lo fini dili ditioni”
muta però in categorico rifiuto a proposito della scrizione u “loqual uso”,
prosegue Arezzo “non pozo aprobbari, anzi […] mi par si digia removiri,
vertendo la u in o”.797 La stessa avversione non riguarda però la u in
penultima sillaba – quella che trascrive una vocale tonica – per cui Arezzo
torna su posizioni più tolleranti e lascia libertà di scelta tra i due suoni
accettando indifferentemente “persona et persuna, amori et amuri, monti
et munti, dolori et doluri”.798
Si tratta di un modello linguistico che attinge a due fonti diverse
assorbendo elementi dell’una e dell’altra e dando vita ad un ibridismo di
forme, voci e caratteri tale a quello che si ritrovano nei testi cinquecen-
teschi della scritturalità pragmatico-scientifica siciliana.799 Uno spoglio
sistematico delle Osservantii… darebbe modo di rilevare molte altre in-
teressanti corrispondenze tra le proposte di standardizzazione dell’Arezzo
e le norme deducibili e astraibili dai testi qui esaminati, sia sul piano
fono-grafematico che su quello morfologico o sintattico.800 Si rinuncerà

796 Arezzo 2008 [1543], 41.


797 Arezzo 2008 [1543], 41.
798 Arezzo 2008 [1543], 41.
799 Per altri generi testuali della scritturalità elaborata cfr. Soares da Silva (2010),
Zaggia (2003, 165 ssg., 247, 281, 745 ssg. e 1065 – 90); Sardo (2008) e (2013).
800 Arezzo 2008 [1543], 41. È interessante notare come l’intento normalizzante di
Arezzo non sia soggetto in primo luogo a criteri funzionali, ma segua anche
logiche di estetica piuttosto che di gusto armonico forse non del tutto immediate
al lettore odierno. Una scelta metodica orientata all’‘ottimizzazione’ del sistema
linguistico riserverebbe infatti un trattamento opposto a u e i finali, essendo la
vocale anteriore e non quella posteriore ad assumere nei sostantivi una funzione
morfologica di disambiguazione tra singolare e plurale e tra maschile e femmi-
nile. Considerazioni analoghe valgono anche per il sistema degli aggettivi de-
terminativi, che Arezzo organizza alla seguente maniera: “Con la qual regola
andiranno ancora li articoli: lo, la, lo, il: et in lo plurali in tutti tri li sexi dicimo
3.2. La coscienza linguistica in Sicilia dal Cinquecento al Seicento 261

però ad un raffronto sistematico con una grammatica rinascimentale (pur


certamente per molti versi lacunosa) in questa sede, dove ciò che interessa
far riemergere, sottoponendolo all’attenzione degli studiosi di storia della
lingua e del dibattito umanistico-rinascimentale, è l’esistenza di una
consistente cerchia di intellettuali e soggetti scriventi siciliani, di cui una
figura come quella di Arezzo si elegge a portavoce, che si approccia alla
scrittura con un ordine di idee opposto a quello purista (inteso sia
nell’accezione sicilianista che toscanista). La voce che si solleva da Messina
a favore di una normalizzazione della lingua ibrida siculo-toscana, va
sottolineato in chiusura di questo breve excursus sulla riflessione meta-
linguistica cinquecentesca, non è peraltro l’unica di questo genere che si fa
sentire all’interno della Questione della lingua, ma fa eco ad altri simili
appelli che a macchia di leopardo vengono lanciati a breve distanza
geografica e temporale da tutta la penisola. Dando il giusto peso ad autori
del calibro di un Brancati, che si preoccupa di elaborare un “linguagio
non pur napolitano, ma misto”801 di cui servirsi nella sua attività di
traduttore802 o di un Equicola, fautore della cosiddetta “cortesiana ro-
mana”803 con cui riprende le teorie del primo Castiglione,804 piuttosto che
di un Bargagli, che con l’espressione “[l]engua fiorentina in bocca sane-
se”805 evidenzia come anche all’interno della stessa Toscana esistano realtà
linguistiche differenti, si scoprirebbe una corrente di pensiero veramente
alternativa alla proposta bembesca. Il filone di pensiero che propone
un’alternativa al fiorentino letterario senza cadere, come fa il Castiglio-
ne,806 in contraddizioni performative e senza al contempo farsi influen-
zare da logiche dualistiche di contrapposizione tra lingua e dialetto –
logiche peraltro asimmetriche che relegano quest’ultimo all’ambito della

li: li homini, li donni, li officii.” (ivi, 43). In alcuni casi invece, sembra che alla
base della codificazione vi sia davvero una scelta fortemente razionale volta a
funzionalizzare i singoli elementi del nuovo sistema. Sul pronome possessivo
scrive a questo proposito Arezzo: “So, sua, soi et loro: […] per chi quillo pronomo
soi si referirà al singulari, quanto al possidenti, in quisto modo: ‘li robbi sonno
soi’ intendirimo soi ‘di quillo uno’ et non ‘di quilli’” (ivi, 55).
801 Da: Bianchi/De Blasi/Librandi 1992, 642.
802 Brancati è peraltro traduttore di prosa (pre)scientifica e cura, oltre a importanti
volgarizzamenti di Plinio ed Esopo, la Mulomedicina di Vegezio, testo di tipologia
assai affine a quelli presi in esame in questa sede Cfr. Bianchi/De Blasi/Librandi
(1992, 642). A proposito della lingua del Brancati si veda Aprile (2001).
803 Da: Vitale 1984, 59.
804 Cfr. Vitale 1984, 60 ssg.
805 Da: Vitale 1984, 108, modifica mia.
806 Ellena 2011, 127 ssg.
262 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

poesia –, lungo il filo rosso che unisce gli autori menzionati ad altre voci
ancora che riecheggiano da tutta la penisola, aspetta ancora di essere preso
seriamente in considerazione dalla ricerca. Solo dopo una rivalutazione di
quelli che sono a tutt’oggi i valori impliciti sottesi alla ricostruzione, la
‘purezza’ e l’uniformità, responsabili di una selezione più o meno mirata
delle fonti linguistiche e metalinguistiche che ne dimostrano la validità
incontestabile e dell’esclusione più o meno consapevole di quelle che
invece non sembrano conciliabili con tali principi dal carattere pressoché
dogmatico sarà possibile scoprire la faccia della storia linguistica rimasta
finora nascosta.
La co-presenza di un modello linguistico toscano dotato di un forte
prestigio e di uno standard di riferimento basato sul vernacolo siciliano,
nel repertorio degli scriventi cinquecenteschi, non comporta che in
quest’epoca si venga a creare una contrapposizione tra i due sistemi.
Piuttosto che parlare di una “silenziosa competizione”,807 di una con-
correnza tra due lingue ben distinte tra cui lo scrivente è tenuto ad
operare una scelta univoca, si ritiene opportuno definire questo rapporto
nei termini di coalescenza (cfr. infra, par. 2.3.3.). Il quadro linguistico che
si ricava dai Ricettari di segreti cinquecenteschi, ad uso e consumo di
operatori e ‘pazienti’ radicati nel territorio siciliano, è infatti come già
delineato altrove:
quello di una scrittura che attinge in egual modo a fonti identificate sì come
distinte, ma lasciate nondimeno confluire in un unico bacino linguistico, il
che permette agli scriventi di creare legami nuovi tra gli elementi disponibili.
[…] Con questa nozione [scil.: coalescenza] si vuole infatti rendere giustizia
all’evidenza che chiunque si cimenti con la scrittura, a partire dalla seconda
decade del Cinquecento, lo faccia con la piena cognizione di avvalersi di un
sistema linguistico intrinsecamente eterogeneo, dando avvio ad una nuova
fase in cui la commistione tra siciliano e toscano – l’alterità dei due sistemi è
ora sotto gli occhi di tutti – è accolta come uno sviluppo ‘naturale’ contro il
quale non s’intende opporre un’artificiosa resistenza.808
Il termine di coalescenza andrà riferito sia alla tecnica linguistica, sul
piano storico, sia alla concreta realizzazione linguistica, sul piano attuale-
individuale.809 In quanto al primo si parlerà allora di lingue coalescenti,
mentre sul piano attuale-individuale ci si riferirà da un lato alla sfera della
spazialità del locutore, all’interno della quale si identifica il repertorio
coalescente dei parlanti poliglotti e dall’altro lato alla sfera della spazialità

807 Lo Piparo 1987, 740.


808 Soares da Silva 2013, 89.
809 Oesterreicher 2007b, 55 ssg.
3.2. La coscienza linguistica in Sicilia dal Cinquecento al Seicento 263

dell’eloquio,810 entro la quale sarà possibile invece dare un statuto ai testi


coalescenti che non si presentano né come una successione di passaggi
rispettivamente monolingui, né come scritture con una matrice lingui-
stica univoca e ben distinguibile.811 Si tratta nello specifico di testi che dai
due sistemi linguistici, considerati nei tradizionali ambiti grafematico,
fonologico, morfologico, sintattico e lessicale-semantico, estraggono e
posizionano sull’asse sintagmatico soluzioni paradigmatiche in egual
misura siciliane e toscane. Questo accade ad esempio nel vocalismo, dove
sono presenti forti oscillazioni tra gli esiti dell’uno e dell’altro sistema
anche all’interno di una stringa molto breve, o ancora nel sistema pro-
nominale, dove alcune forme in origine sconosciute al siciliano vengono
utilizzate con sistematicità in un determinato ambito funzionale, mentre
per ambiti contigui si ricorre invece altrettanto sistematicamente a forme
vernacolari – è questo il caso di loro utilizzato in funzione di pronome
possessivo di terza persona plurale e di issi/esso come pronome personale
soggetto (cfr. Infra, parr. 2.1.2. e 2.3.4.2.). Considerando il nesso tra
fonologia e morfologia, si è posti a confronto, d’altro canto, con soluzioni
intermedie a quelle dei due sistemi. Questo si può osservare nel sistema
degli articoli, dove per il singolare maschile, come hanno mostrato quasi
tutti i manoscritti, non si ha solitamente né il siciliano lu, né il toscano il,

810 Sulle tre dimensioni dello spazio comunicativo v. infra, fig. 2.


811 Facendo riferimento ai dati estrapolati recentemente da Rosaria Sardo (2008) da
una vasta gamma di tipologie e generi testuali cinque e seicenteschi (atti notarili,
ordinanze, decreti, corrispondenze epistolari, resoconti di cronaca o leggende
agiografiche) di area siciliana si può verificare una buona corrispondenza tra la
griglia di fenomeni persistenti e ricorrenti che Sardo denomina G2 e i tratti
individuati dall’analisi linguistica eseguita in infra, parr. 2.3.3. e 2.3.4.2. sui testi
coalescenti del Recettario secreto, dell’Opera e ricette di alchimia, della dedica del
Trattato delle virtù delle erbe o, a tratti, del Libretto di formule magiche. Assu-
mendo tramite l’applicazione in diacronia di teorie di linguistica acquisizionale
una prospettiva teleologica difficilmente conciliabile con la metodologia adottata
in questa sede, l’ipotesi di lavoro formulata da Sardo sull’ “interscrittura” non
può essere qui condivisa per il Cinquecento. Per la sua validità, può tuttavia
essere ripresa in questa sede la griglia di fenomeni grammaticali schematizzata
dalla studiosa: “esiti alternanti di i/e e di o/u finali”, “persistenza del dittongo au”,
“alternanza di l/r intervocaliche”, “epentesi”, “sistema degli articoli italiano ma
mancante [sic] di i e le”, “sistema preposizionale italiano ma mancante [sic] di
da”, “accordi nominali non sempre italiani [sic]”, “sistema pronominale regolato
sul siciliano [sic]”, “passato remoto in ao”, “participi passati in -uto/a alternanti
con quelli regolari [sic]”, “accusativo preposizionale”, “gerundio con valore fi-
nale”, “ausiliare avere prevalente”, “uso di dovere alternato con relativa parafrasi”,
“sicilianismi lessicali”, “sicilianismi semantici” (ivi, 29 – 30).
264 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

ma la forma coalescente lo. Fenomeni complementari di ibridismo dovuti


a intersezioni tra un ambito linguistico e l’altro sono poi quelli per cui un
elemento morfologico siciliano può comparire in veste grafica e fonetica
(semi)toscanizzata – è il caso ad esempio del pronome esso (e non isso) o
del suffisso -ao (in luogo di -au). Il termine coalescenza e l’attributo
coalescente si prestano a denominare tutte queste tipologie di mistilin-
guismo, i diversi piani e le diverse entità ubicate su di essi, offrendo una
valida base metodologica per approcciarsi a testi, varietà e repertori so-
stanzialmente ibridi ed omogeneamente eterogenei.
Tornando alle conclusioni contraddittorie cui giunge Vàrvaro812 nel
riassumere le attitudini degli scriventi cinquecenteschi si può affermare,
riallacciandosi alla citazione di cui sopra, che l’attribuzione al toscano
dello statuto di lingua e il rispetto di una sua identità intangibile inizia a
consolidarsi, nella scritturalità siciliana intra-areale, al più presto un se-
colo dopo la pubblicazione delle Prose bembesche. È a partire dalla se-
conda decade del Seicento, infatti, che la scritturalità pragmatica siciliana,
trainata dai modelli che venivano divulgati via stampa dalla cultura re-
ligiosa ufficiale, oltre che dalla trattatistica accademica e dalla testualità
legislativo-amministrativa degli organi politici centrali del Regno,813 volge
con sempre maggiore determinazione al toscano. Solo da questo mo-
mento in poi i tratti locali che si insinuano in esso rappresentano delle
interferenze che tradiscono incapacità o espressività.814

3.2.3. ‘Italiano’ e Spagnolo

Nel corso del Cinquecento fioriva in tutto il contesto europeo, rafforzata


dalla fervente attività grammaticografica e trattatistica diffusa a mezzo
stampa, la consapevolezza che anche gli idiomi volgari fossero in procinto
di raggiungere lo statuto di lingua. Come si è visto nel paragrafo prece-
dente, ciò non ha ostruito la formazione di una corrente di pensiero che
vedesse nell’ibridismo una risorsa e attribuisse all’eterogeneità linguistica,
ritenuta uno sviluppo del tutto naturale, un valore aggiunto rispetto

812 Vàrvaro (2004a, 126) vs. Vàrvaro (1976, 94), cfr. supra.
813 Sulla toscanizzazione degli organi amministrativi viceregi fuori sede, primo fra
tutti il Consiglio d’Italia, cfr. Alfieri (1990, 333 e 338 ssg.). Per una schematiz-
zazione della struttura polisnodale dell’apparato amministrativo spagnolo cfr.
Schwägerl-Melchior (2014, 124).
814 Cfr. Vàrvaro 2004a, 126.
3.2. La coscienza linguistica in Sicilia dal Cinquecento al Seicento 265

all’omogeneità, frutto viceversa di una costruzione artificiosa. Siciliano e


toscano poterono confluire nel Cinquecento in un sistema coalescente
non per ultimo in virtù di un legame storico e culturale che sussisteva tra i
parlanti dell’uno e dell’altro idioma da più di due secoli. Non possiamo
certamente seguire fino in fondo i ragionamenti dell’Arezzo, che ipotizza
come lo stesso Dante, nel redigere il De vulgari eloquentia, si fosse in
realtà servito di una lingua siculo-toscana simile a quella da lui propo-
sta.815 È però del tutto lecito convenire con l’intellettuale siracusano nel
riconoscere come lingua e cultura siciliana siano già all’epoca indissolu-
bilmente legate a quelle dei toscani che, denuncia con lucidità l’Arezzo, si
sono invero impossessati della lingua poetica originatasi in Sicilia per poi
perfezionarla e rilanciarla come propria:
Per la qual cosa, si fussi io dimandato qual fussi quillo nostro vulgaro loquali
happi la fama sopra li altri di Italia, rispondo non essiri altro salvo quillo chi
hogi li thoscani per loro si hanno apropiato et quillo con lo quali Danti et
tutti li altri di quillo seculo li loro poemi scrissiro.816
Come si configura invece, nel Cinquecento, il rapporto della lingua
coalescente siculo-toscana con il castigliano? A proposito del rapporto
siciliano-spagnolo, il giudizio delle Osservantii… sulla mescolanza lin-
guistica è del tutto negativo e ogni volta che si fa menzione del castigliano
è possibile cogliere chiari riferimenti alla teoria della corruzione817. Nel
passaggio appena citato, Arezzo prosegue ad esempio la sua argomenta-
zione con le seguenti riflessioni: “Como di poi sia stata issa nostra lingua
turbata, io non pozzo iudicare, si non fussi la causa lo miscarsi in parti
con la franzesa […] e di poi con la aragonesa et catalana”.818 Nella
grammatica si osserva poi come l’autore contribuisce ad alimentare la
consapevolezza che vi sia un divario invalicabile tra la lingua ‘italiana’ e
quella spagnola: “Altri pronuntiano alcuni nomi mascolini sutta la vuci
feminina […] Per certo quista tal discrepanza di sexo divimo lassari a’
spagnoli, et specialmenti a’ castillani”.819 Ecco allora che nella prima età

815 Arezzo 2008 [1543], 3 – 4. Il trattato dantesco era noto all’epoca solo alla cerchia
ristretta del Trissino nella sua traduzione in italiano ritenuta da Arezzo, estraneo a
questa cerchia, la falsificazione di un fantomatico originale in siciliano (cfr.
Grasso, in: ivi, 4).
816 Arezzo 2008 [1543], 6.
817 Cfr. Ellena 2011, 64 ssg.; infra, par. 3.2.1.
818 Arezzo 2008 [1543], 7 – 8. Per approfondimenti sulla riflessione cinquecentesca
in merito al ruolo del castigliano e sulla critica alla “barbarie spagnuola” nel
meridione d’Italia si veda Gruber (2014, 203 ssg).
819 Arezzo 2008 [1543], 51.
266 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

moderna pare divenire definitiva la consapevolezza, ancora flessibile per il


parlante medievale (cfr. Infra, parr. 3.1.1. e 3.1.2.), di ciò che sta al di
sotto e ciò che invece rimane al di fuori di un determinato tetto lin-
guistico. Sappiamo che sul fronte sicilianista vi erano numerosi intellet-
tuali dell’isola che si dilettavano a comporre anche in spagnolo, oltre che
in toscano. Primo fra tutti è sempre il Veneziano, che strinse tra l’altro
una profonda amicizia con il Cervantes durante la prigionia di Algeri.820
Simili considerazioni possono farsi anche per il versante toscanista, dove
ad esempio il Giuffredi esprime un grande interesse per la lingua
dell’impero e si dimostra un abile poeta anche in lingua spagnola, oltre
che in siciliano.821 È nell’opera più famosa del Giuffredi, gli Avvertimenti
Cristiani…, che si trova poi la famosa raccomandazione che l’autore
rivolge ai figli:
che leggeste libri spagnuoli per intender la lingua; né ve ne fate beffe, poichè
a tutti i vassalli del Re Nostro Signore ci conviene, se non parlarla, almeno
intenderla per mille buoni rispetti: ben consiglio che innanzi un superiore
nessuno la parli, se non la sa bene. Però intenderla ci è necessario.822
Da questo passaggio degli Avvertimenti Cristiani… è possibile dedurre
che l’atteggiamento linguistico dei funzionari del Viceregno di Sicilia
fosse complementare a quello che nel Viceregno napoletano si è definito
nei termini di plurilinguismo ricettivo,823 per cui era se non altro gradito
dagli organi centrali della monarchia madrilena – ma per l’espletamento
di determinate funzioni anche perentoriamente richiesto – che i burocrati
inviati dalla Spagna fossero in grado di comprendere la varietà di ‘italiano’
con cui venivano posti a confronto nelle cancellerie viceregie.824 In ma-
niera complementare, dunque, era per lo meno una dimostrazione di
buon costume, da parte dei membri dell’amministrazione pubblica sici-
liana, essere capaci d’intendere e di leggere la lingua spagnola senza in-
correre in gravi errori d’interpretazione.825 Sempre nell’ambito della

820 http://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-veneziano_res-36a127d7 – 4780 –


11dd-a3be-0016357f4ed7/.
821 Cfr. Salomone-Marino 1898, 301 – 02.
822 Avvertimenti Cristiani…, cit. da: Natoli 1896, 87.
823 Schwägerl-Melchior 2014, 291 – 92.
824 Cfr. Schwägerl-Melchior 2013, 269.
825 Proprio sui fraintendimenti tra italiani e spagnoli viene costruita ad arte una
comicità, all’interno del genere letterario e in particolar modo sul versante della
commedia, attraverso personaggi che in quest’epoca entrano a far parte
dell’immaginario collettivo dell’Italia spagnola (Gruber 2014, 98 – 194). La fi-
gura di Joanfrancisco, che nella Soldatesca (1517) di Naharro ostenta improbabili
3.2. La coscienza linguistica in Sicilia dal Cinquecento al Seicento 267

scritturalità pragmatica, prestando particolar attenzione alle corrispon-


denze epistolari, non è però raro imbattersi in testi redatti da viceregnicoli
che mostrano una forte predisposizione ad accogliere fenomeni di per-
tinenza dello spagnolo e che mostrano un ibridismo per molti aspetti
simili a quello visionato nell’Herbarium (cfr. infra, par. 2.3.2.2.). In molte
occasioni, soprattutto nel caso in cui il destinatario della lettera sia in-
quadrato come un funzionario della corona nel sistema amministrativo
dell’impero, si registra una tendenza che potremmo definire ispanizzan-
te826 da parte del redattore teso evidentemente a cogliere la benevolenza
del suo committente tramite l’utilizzo mirato di (pseudo)ispanismi. Ri-
cerche più approfondite a questo riguardo, da eseguire su campioni tes-
tuali più ampi di quelli che sinora è stato possibile reperire, dimostre-
ranno fino a che punto queste congetture possano ritenersi generalmente
valide anche nella scritturalità dei Ricettari di segreti. Il sistema coale-
scente siculo-toscano, questo è certo, concede nella scritturalità pragma-
tica del Cinquecento un ampio margine di tolleranza a ulteriori ibridismi
coinvolgendo altre lingue dello stesso ceppo storicamente radicate nel
territorio siciliano. Nell’ambito della comunicazione tra locuori autoc-
toni, va ritenuta se non altro valida, alla luce di fenomeni morfo-sintattici
quali l’articolo “el” che si riscontrano ad esempio in infra, parr. 2.1.2. e
2.3.3.1., la preposizione “En” sempre nel Trattato delle virù delle Erbe di
2.1.2., la forma mediopassiva del verbo, il condizionale in -ia, l’ausiliare
generalizzato avere o l’accusativo preposizionale (cfr. infra, parr. 2.1.2.,
2.3.3.1., 2.3.3.2., 2.3.4.2.), l’ipotesi formulata da Sardo827 sulla tendenza
a conservare determinati tratti caratteristici perché sostenuti anche da una
norma spagnola.

competenze di spagnolo attraverso una serie di frasi fatte, interiezioni e nomi di


pietanze, o quella del servo Fosco che nell’Altilia (1550) di Ranieri si spaccia per
uno spagnolo imitando e generalizzando il plurale sigmatico del castigliano, sono
solo due degli esempi più celebri in questo frangente (Gruber 2010, 350 ssg.).
Anche la raccomandazione fortemente purista lasciata in eredità da Giuffredi
(vedi sopra) ai suoi posteri di non cimentarsi con lo spagnolo se non dopo esserne
divenuti padroni in maniera impeccabile, in fondo, può interpretarsi come
un’indiretta ammonizione a coloro che, all’epoca, sfoggiavano in determinate
situazioni comunicative conoscenze spesso solo sommarie della lingua straniera
(cfr. Soares da Silva in corso di stampa).
826 Soares da Silva in corso di stampa.
827 Sardo 2013, 63; 78 ssg.
268 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

3.3. Ricapitolando: Ricettari di segreti e storia della lingua


La comunicazione non si serve necessariamente di un solo idioma,828 né le
tradizioni discorsive devono attenersi rigidamente alle ‘regole’ di una
lingua piuttosto che di un’altra.829 Partendo da questi fondamentali
presupposti (cfr. infra, par. 1.2.1.) si è cercato di apportare un contributo
alla storia della lingua che non fosse soggetto alle più o meno latenti
logiche finalistiche di cui la disciplina risente fin dai suoi albori risorgi-
mentali (cfr. infra, parr. 1.1. e 1.2.). Analizzando la testualità composita
dei Ricettari di segreti (cfr. infra, par. 1.2.4.) ci si è così addentrati nello
spazio comunicativo della Sicilia quattro-seicentesca (cfr. infra,
par. 1.2.2.) attraverso una tradizione discorsiva plurilingue. Nella scelta
dei documenti da analizzare si è ritenuto necessario in primo luogo
spaziare a tutto campo tra le differenti tipologie in quanto a provenienza
dei compilatori e pubblico dei destinatari. In secondo luogo si è ritenuto
indispensabile considerare ogni codice come prodotto funzionale ad una
precisa prassi comunicativa analizzando ogni sua singola parte con la
piena consapevolezza che solo nella sua globalità esso rappresenta però un
evento comunicativo830 dotato di un proprio Sitz im Leben (cfr. infra,
par. 1.2.3.).
Il parametro principale per l’assetto sequenziale del corpus di dati
attraverso cui si sono svolte le analisi empiriche è stato quello delle forme
e delle manifestazioni di plurilinguismo che si possono riscontrare nei
diversi Ricettari di segreti. Si sono prese le mosse pertanto dalle produ-
zioni testuali che risultano sì plurilingui, ma la cui fattura è tale per cui a
susseguirsi le une alle altre sono delle parti rispettivamente monolingui
assemblate in una fase successiva a quella di compilazione. Pur non ri-
flettendo un plurilinguismo individuale dei suoi autori (cfr. infra,
par. 2.1.3.), la molteplicità linguistica di tali codici ha portato comunque
a riflettere sullo status attribuito al plurilinguismo nell’epoca esaminata.
Sebbene la presenza di testi compilati in idiomi estranei allo spazio co-
municativo non fornisca dati attendibili sulla competenza plurilingue
attiva di un gruppo di locutori e ancor meno permetta di congetturare
una diffusione generalizzata di questi idiomi nel resto della popolazione,
l’esistenza di tali manoscritti attesta nondimeno una forte tolleranza
all’eterogeneità linguistica che invita a considerare valida l’ipotesi di una

828 Krefeld 2004, 137 ssg.


829 Oesterreicher 1997, 20.
830 Oesterreicher 1998, 23.
3.3. Ricapitolando: Ricettari di segreti e storia della lingua 269

diffusa competenza ricettiva831 negli idiomi in questione, soprattutto nel


caso si tratti di consistenti gruppi linguistici la cui presenza in Sicilia è
storicamente comprovata.
La seconda tipologia di plurilinguismo visionata tiene conto del fatto
che i Ricettari di segreti rappresentano una tradizione discorsiva com-
posita anche nella misura in cui i testi in essi riportati sono spesso in
buona parte apografi. La varietà linguistica del compilatore e quella
dell’antigrafo sottoposto a copiatura, varietà che a seconda dei casi pos-
sono essere anche diatopicamente assai distanti le une dalle altre (cfr.
infra, par. 2.2.), trovano infatti posto l’una accanto all’altra e generano un
plurilinguismo spesso ‘sinottico’. Il fatto che la stessa mano sia artefice di
produzioni linguistiche in idiomi differenti non è insomma già di per sé
prova sufficiente ad attestare una competenza plurilingue attiva del
compilatore, né tantomeno una diffusione degli idiomi in questione nello
spazio comunicativo (cfr. infra, par. 2.2.1.1.). È stato in questo caso
giocoforza soppesare le parti redatte in ciascun idioma, non solo dal
punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo, per verificare dove fosse
presumibile un intervento più autonomo ed estemporaneo del compila-
tore e dove invece si potesse escludere l’eventualità di un canale di tra-
smissione orale (cfr. infra, par. 2.2.1.3.). Come si è visto, talune copie
possono trascrivere anche brani stilati in idiomi marcati non solo nella
dimensione diatopica, poiché estrapolati da spazi comunicativi differenti,
ma anche in quella diacronica, in quanto tratti da compilazioni più
antiche tramandanti un codice linguistico endogeno, ma già per alcuni
aspetti obsoleto (cfr. infra, par. 2.2.2.1.). Se è vero infatti che ai fini della
ricerca ci si è potuti esimere dal compito di ricostruire la traditio textus, il
problema della non originalità del testo da analizzare ha gravato note-
volmente sulla questione della validità e della vigenza da attribuire ai
modelli linguistici che il rispettivo manoscritto pareva rispecchiare. Ad
ogni buon computo però, per quanto il rimpianto di non aver quasi mai a
che fare con un originale porti a sottostimare la copia, è stato possibile
verificare in più di un’occasione che anche la copia, se letta in filigrana,
può fornire informazioni assai utili per la ricostruzione della costellazione
linguistica che caratterizza uno spazio comunicativo. A titolo di elogio
alla copia832 andrà constatato prima di tutto che l’ipotesi secondo cui il
copista tardo medievale compie un’attività unicamente meccanica ed

831 Sul bilinguismo ricettivo nell’Italia spagnola cfr. Schwägerl-Melchior (2013,


265 – 76) e (2014, 411 ssg.).
832 Cfr. Cerquiglini 1989.
270 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

esonerata da ogni tipo d’interpretazione è infatti da scartare nella maggior


parte dei casi con risolutezza (cfr. infra, par. 2.2.2.2.). Al contrario, si è
visto come ci si trovi più spesso alle prese con una meditata compilazione
che si risolve a seconda dei casi in una traduzione o una trasposizione
adattata alle competenze del pubblico di fruitori dei rispettivi testi.
Il caso di plurilinguismo che si è considerato più significativo è, ad
ogni modo, quello in cui si è posti di fronte non a manoscritti le cui parti,
per quanto redatte dalla stessa mano e in diversi idiomi, siano susseguenti
l’una all’altra e rispettivamente monolingui, ma a manoscritti redatti per
intero o per lunghi tratti in un codice mistilingue (cfr. infra, par. 2.3.).
Una duratura mescidanza linguistica, sia essa indotta da traduzione ver-
ticale (cfr. infra, par. 2.3.1.), commutazione-adattamento o traduzione
orizzontale (cfr. infra, par. 2.3.2.), sia essa riconducibile a meditata coa-
lescenza833 (cfr. infra, par. 2.3.3.) tra due lingue o a inconscia interferenza
tra una lingua di referenza e una varietà subordinata (cfr. infra,
par. 2.3.4.3.), è infatti da considerarsi il segnale più attendibile di come i
diversi idiomi di caso in caso distinguibili siano effettivamente e simul-
taneamente presenti nel repertorio idiosincratico dello scrivente. Quello
che nei primi tre casi va ricondotto rispettivamente al fattore della spa-
zialità dell’eloquio, che risponde con flessibilità alle esigenze della co-
municazione verticale, e alla spazialità del locutore, che si trova nella
condizione di ampliare il suo repertorio muovendosi magari tra diversi
territori linguistici nel corso della sua attività professionale (cfr. infra,
par. 2.3.2.3.), negli ultimi tre è da rapportare al fattore della spazialità
della lingua,834 ossia all’incremento del raggio d’influenza socio-geogra-
fico di un nuovo idioma che penetra all’interno di uno spazio comuni-
cativo (cfr. infra, par. 3.2.3. per lo spagnolo, parr. 2.3.3.3. e 2.3.4.3. per il
toscano in Sicilia) dando inizio all’Überdachung. Il discorso sulla natura
del canale di trasmissione dei testi è valido anche in questo frangente non
solo per il prevedibile ricorrere del latino, da considerarsi sin dall’inizio
del periodo preso in esame una lingua praticata prevalentemente attra-
verso la dimensione diamesica dello scritto – senza che con ciò nulla si
voglia togliere alla sua funzionalità tecnico-simbolica (cfr. le tipologie di
code switching e code mixing che riguardano la lingua dotta e l’idioma
volgare nei parr. 2.2.1.3., 2.2.2.2., 2.3.1.2., 2.3.2.1) – ma anche per la
tipologia di volgare in cui ci si è di volta in volta imbattuti e per la quale è
stato d’obbligo chiedersi in che misura rispecchiasse un modello valido

833 Soares da Silva 2013, 88 ssg.


834 Cfr. Krefeld 2004, 23.
3.3. Ricapitolando: Ricettari di segreti e storia della lingua 271

per la scritturalità e l’oralità elaborata intra-areale dello spazio comuni-


cativo siciliano (cfr. le tipologie di code-mixing tra idiomi volgari italici e
non nei parr. 2.2.1.1. e 2.3.2.3.).
A proposito della comunicazione tra locutori autoctoni, ricapitolan-
do, si è visto come il mistilinguismo tra siciliano e tosco-italiano, prima di
manifestarsi sotto forma d’interferenze tra una varietà bassa e una alta
(cfr. infra, par. 2.3.4.3.), si configuri per tutto l’arco del Cinquecento (e
perfino oltre) in forme meno facilmente scindibili e identificabili, non
sempre propriamente attribuibili ad uno dei due sistemi coinvolti (cfr.
infra, parr. 2.3.3.3., 2.3.4.2.). Per quanto riguarda i principali gruppi di
locutori alloctoni della Sicilia quattro-seicentesca, è stato possibile rac-
cogliere campioni testuali che attestano di una competenza bilingue da
parte di scriventi di cultura ebraica e greca (cfr. le annotazioni aggiunte al
Lapidario, par. 2.2.1.2. e l’Eucologio, par. 2.2.2.1.). A sua volta, un ma-
noscritto come quello del Libro di ricette e secreti (par. 2.3.2.1.), dà te-
stimonianza dell’interazione comunicativa tra la comunità autoctona di
locutori siciliani e le comunità alloctone dello stesso ceppo linguistico,
come possono esserlo i locutori gallo-italici, entrambe per certi versi
poliglotte nella ricezione e nella produzione di messaggi in un idioma
estraneo alla varietà areale dello spazio comunicativo di riferimento, ma
ad esso più o meno fortemente adattato. Come si è potuto mostrare
attraverso il manoscritto dell’Herbarium, l’interazione tra parlanti au-
toctoni e alloctoni può portare, in maniera analoga e complementare, al
generarsi di varietà di contatto che vedono coinvolti anche idiomi ro-
manzi non italici. In questo caso, particolarmente indicativo per lo spazio
comunicativo siciliano in virtù degli stretti legami socio-politici del Vi-
ceregno con la corona di Madrid, la varietà areale italica, ritenuta evi-
dentemente accessibile al gruppo linguistico alloctono, subisce sensibili
processi di adattamento allo spagnolo.
Per comprendere meglio l’atteggiamento degli scriventi in un’epoca in
cui la standardizzazione delle lingue è ancora in nuce si è rivelato infine
utile rivisitare alcune influenti testimonianze coeve sulla percezione della
diversità linguistica (cap. 3.). Per il Quattrocento (cfr. infra, par. 3.1.) è
risultato fondamentale valutare l’ipotesi dell’esistenza di una certa con-
sapevolezza, nello scrivente dell’età media, di quelli che sono gli idiomi
facenti capo ad uno stesso tetto linguistico e sui quali è lecito quindi
operare interventi volti a favorire lo sviluppo di varietà di contatto che
non sempre rientrano nei tradizionali termini di scripta o koinè (cfr. infra,
parr. 3.1.1. e 3.1.2.). Valutando poi quanto anche la lingua dotta,
nell’epoca tardomedievale, è soggetta a commutazioni che la portano a
272 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano

convergere con il volgare (cfr. infra, par. 3.1.3.), è stato possibile porre le
basi concettuali su cui fornire spiegazioni attendibili per le attitudini
cinquecentesche (cfr. infra, par. 3.2.) non solo a servirsi del volgare per la
comunicazione in generale (cfr. infra, par. 3.2.1.), ma anche a facilitare la
convergenza di elementi del siciliano e del toscano in un idioma coale-
scente (cfr. infra, par. 3.2.2.) aperto ad ulteriori ibridismi verso lingue
radicate nello stesso territorio (cfr. infra, par. 3.2.3. per lo spagnolo).
Ponendo al centro dell’indagine storica non la lingua, ma la comu-
nicazione nelle sue molteplici sfaccettature e considerando la molteplicità
non come un ostacolo che i locutori tentano di rimuovere, ma come una
risorsa che tendono a valorizzare, si sono potuti scorgere nuovi orizzonti
per la storia della lingua, le realtà plurilingui degli spazi comunicativi.
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