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Band 43
De Gruyter
Davide Soares da Silva
I ›Ricettari di segreti‹
nel Regno di Sicilia ( ’400 –’600)
La storia dello spazio comunicativo siciliano
riflessa in una tradizione discorsiva plurilingue
De Gruyter
Zugl.: Dissertation an der Ludwig-Maximilians-Universität München, 2014
ISBN 978-3-11-035470-6
e-ISBN (PDF) 978-3-11-036279-4
e-ISBN (EPUB) 978-3-11-039311-8
ISSN 2076-8281
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273
si può osservare poi come questo approccio ricostruttivo sia portato al suo
colossale compimento. L’introduzione al primo volume sulla Lautlehre
riporta esplicitamente l’intento programmatico dell’autore:
Die konstitutiven Elemente des Wortes sind zunächst die Laute: die Lautlehre
pflegt daher naturgemäß an die Spitze grammatikalischer Untersuchung ge-
stellt zu werden. Bei der Entwicklung und Umwandlung der Laute einer
Sprache ist die Bedeutung des Wortes fast völlig gleichgültig: es handelt sich
dabei vielmehr meist nur um physiologische Prozesse.25
Come osservano Gauger/Oesterreicher/Windisch,26 una tale dichiarazio-
ne positivista si può condividere solamente qualora ci si accontenti di
constatare come ad es. i fr. mur e fenêtre siano riconducibili ai lat. muru
(m) e fenestra(m). Per il fr. cuisse è altrettanto ineccepibile la derivazione
dal lat. coxa(m), ma in questo caso l’etimologia risulta poco indicativa
rispetto al fatto che dal significato di ‘anca’ in latino si sia passati a quello
di ‘coscia’ in francese. Tali processi di traslazione semantica, di massima
rilevanza per la storia del lessico romanzo, vengono completamente
ignorati da un’analisi che si occupa delle sole leggi fonetiche. Meyer-
Lübke dimostra in realtà di essere consapevole dell’importanza da attri-
buire all’aspetto semantico, se apre la sua Grammatik con le seguenti
parole:
Die wissenschaftliche Betrachtung der Sprache ist eine doppelte: sie muß
einmal die reine Form, sie muß sodann den Inhalt des einzelnen Wortes
betreffen, d. h. seine Stellung nicht als physiologisches Ergebnis des Geräu-
sches, das die durch den Mund ausströmende Luft hervorbringt, sondern als
Vermittler psychologischer Vorgänge an andere Menschen.27
Pur riconoscendo che non è possibile “eine vollständige Trennung der
beiden Betrachtungsweisen”,28 la Grammatik si concentra però esclusi-
vamente sulla pura forma della lingua; il significato della singola parola
viene preso in considerazione solo nella misura in cui l’irruzione di un
lessema nel paradigma di un altro semanticamente attiguo, frutto di
un’associazione, provoca uno sviluppo anomalo della forma di quest’ul-
timo. L’aspetto semantico del lessema rappresenterebbe così niente più
così come molti altri latinisti e romanisti non solo a lui contemporanei, ma anche
di generazioni successive (cfr. Coseriu 1978, 257 – 91), difendesse la teoria
dell’omogeneità del latino volgare.
25 Meyer-Lübke 1890, 1.
26 Gauger/Oesterreicher/Windisch 1981, 109.
27 Meyer-Lübke 1890, 1.
28 Meyer-Lübke 1890, 1.
6 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?
40 Come sottolinea a questo proposito Krefeld (2007a, 64), dal momento che “il
paradigma filologico […] si è formato nello stesso periodo e nello stesso am-
biente ideologico ottocentesco nel quale si sono formate le nazioni”, all’ideale
dell’omogeneità culturale veniva attribuito un eccessivo valore. “Non è esagerato
dire che la ricostruzione storica aveva il senso di affermare l’emergenza della
Nazione” (ibid., modifica mia).
41 Croce 1922, 160.
42 Croce 1922, 162.
43 De Sanctis 1989, 79.
44 De Sanctis 1989, 81.
45 Vossler 1904.
10 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?
67 Selig 2006, 1927. Con estrema lucidità, Selig (ivi, 1925) denuncia come “[e]ine
Sichtweise, die die Verschriftlichung als sprachimmanenten, autonomen Prozess
begreift, verstellt systematisch den Blick darauf, was die ersten Texte wirklich
sind”. Infatti, prosegue la studiosa, “die überlieferten Dokumente sind, bevor sie
in der Retrospektive als bloße ‘Etappen’ einer übergeordneten soziokulturellen
Entwicklung eingeordnet werden, individuelle kommunikative Akte, die in einem
bestimmten lebensweltlichen Zusammenhang stehen, der nicht identisch ist mit
dem, in den sie in der sprachgeschichtlichen Perspektivierung gestellt werden
[…]. Nur eine Vorgehensweise, die sich des historischen Abstands zwischen den
Kategorien der Analyse und den Kategorien des Analysierten bewusst ist, nur eine
Analyse, die die überlieferten Manuskripte als schriftliche Kommunikations-
handlungen ernst nimmt und sie eingebettet in ihrem pragmatischen, sozio-
kulturellen, schriftkulturellen, soziolinguistischen Kontext interpretiert”, con-
clude Selig, “kann zu einer angemessenen Interpretation der ersten überlieferten
Texte führen und die Faktoren, die zur Verschriftlichung dieser Texte geführt
haben, eruieren.” Queste riflessioni vertono in particolare sulla circostanza per
cui i primi documenti delle lingue romanze: glosse, liste, iscrizioni, atti notarili,
giuramenti, verbali, preghiere, litanie, prediche, poesie agiografiche e le più
svariate forme di probationes pennae, riconducibili al periodo compreso tra l’800 e
il 1150 d. c., sono tutt’altro che monumentali (ivi, 1927 ssg.; cfr. Frank/Hart-
mann 1997).
68 Krefeld 2007a, 72; cfr. Oesterreicher 2013.
1.1. Storia e storiografia linguistica 15
Come accennato in par. 1.1., i primi impulsi per uno studio della lingua
che ponesse in primo piano la spazialità della comunicazione venivano
dalla lessicografia ottocentesca, il cui impianto euristico era del tutto
differente da quello comparativo e seguiva piuttosto un approccio dia-
lettologico. Mentre la ricerca storico-comparativa si serviva in primo
luogo delle attestazioni scritte, la dialettologia s’interessava per la lingua
orale raccolta sul campo e mostrava una particolare sensibilità per la
variazione ‘sintopica’. Per un Cherubini, autore del Vocabolario Milanese-
Italiano (1814), o per uno Schmeller, rinomato studioso del bavarese,
piuttosto che per lo Schuchardt, fare una ricerca dialettologica significava
tenere conto di tutte le varietà presenti in un certo spazio linguistico e
immortalare quindi tutte le varianti in uso in un determinato luogo per
denominare gli strumenti di un mestiere piuttosto che gli elementi della
flora e della fauna.98 All’interno del dominante paradigma storico-com-
parativo, l’opzione metodologica che si era prospettata in seno alla dia-
lettologia non venne però sfruttata appieno, così come non venne uti-
lizzata che una minima parte dei dati da essa forniti: quelli utili a
dimostrare, in sede di grammatica storica, il funzionamento delle leggi
fonetiche.99 Sotto questo profilo si giungeva “ad una idealizzazione e
omogeneizzazione dell’oggetto analizzato […]; la ‘regolarità’ del signifi-
cante provava l’autenticità […] mentre significanti ‘irregolari’ per defi-
nizione non venivano considerati autentici”.100 L’approccio spaziale, vit-
tima della “conversione indoeuropeista”101 della dialettologia, finì così
ben presto nel dimenticatoio e la ricerca dialettologica si accontentò per
lungo tempo di concentrarsi a sua volta sui dialetti ‘puri’. Il monumentale
progetto di Jaberg/Jud102 volto a raccogliere anche in Italia e nella Svizzera
meridionale, sul modello delle inchieste gilliéroniane svolte in ambito
francese, una serie capillare di dati linguistici da proiettare sulle tavole di
un atlante, finì così per trascurare la pur diffusa variazione intradialettale
che si poteva riscontrare di volta in volta negli spazi osservati,103 attri-
Coseriu,110 che individua tre diversi livelli sui quali è possibile osservare e
descrivere una lingua, andrà riconosciuto in primo luogo come sul livello
attuale-individuale la lingua possieda una dimensione spaziale legata al
suo ricorrere in enunciati, discorsi o testi di un concreto locutore. La
spazialità, su questo piano di osservazione, si manifesta nella misura in cui
ogni discorso è caratterizzato da una sensibile variazione interna. Ricali-
brando continuamente il profilo concezionale del discorso sul continuum
tra prossimità e distanza comunicativa, il locutore fa spesso uso, in altre
parole, di più varietà in uno stesso discorso, spaziando non solo da un
registro diafasico all’altro, ma alternando anche elementi che fanno parte
di diverse varietà diatopiche o diastatiche, quando non addirittura tra
varietà che fanno parte di sistemi linguistici differenti. Le competenze
linguistiche di un parlante, anche di un parlante dialettofono, vanno
dunque sempre intese come competenze plurime.111 Sul piano attuale-
individuale è ubicata sia la dimensione che riguarda la spazialità
dell’eloquio – nelle categorie dell’interazione e della situazionalità – sia
quella che riguarda la spazialità del locutore – nei termini del suo re-
pertorio.112 Fa parte del repertorio di ogni locutore, oltre alle sue com-
petenze linguistiche, anche la capacità di percepire la specifica marcatezza
di un elemento piuttosto che di un altro nell’eloquio altrui e la facoltà di
esprimere un giudizio in merito al suo prestigio. Ogni locutore riconosce
cioè, valutandola positivamente o negativamente, la funzione che gli
elementi di ogni eloquio svolgono nell’indicare una precisa posizione
nello spazio (geografico, sociale, situazionale) del proprio interlocutore.113
Non solo: la percezione e la valutazione dell’eloquio altrui, facoltà che il
locutore trae dall’universale linguistico dell’esteriorità,114 è accompagnata
alla percezione di sé e del proprio eloquio, componente altrettanto im-
portante della spazialità sul livello attuale-individuale. L’autopercezione è
una categoria assai importante soprattutto per gli studi glottosociologici,
dal momento che il giudizio su un determinato elemento linguistico o
una determinata varietà può variare in maniera anche significativa a se-
conda del parlante. La marcatezza è infatti in primo luogo un’attribuzione
effettuata dal locutore, non dal linguista, risulta quindi soggetta a mu-
115 Krefeld 2007b, 45. Si voglia prendere ad esempio il caso fonologico dello spa-
gnolo menzionato da Coseriu (e ripreso da Krefeld 2007b, 45), secondo il quale
solo i locutori colti dell’area di Madrid operano una distinzione diafasica tra i
fonemi /j/ e /k/, mentre quelli di livello sociale medio e basso non percepiscono a
questo proposito differenze di stile e dispongono rispettivamente di un solo
fonema: /j/ e /ž/. Tali soluzioni monofonematiche sono peraltro caratteristiche
anche di altre aree ispanofone, dove il rispettivo fonema rappresenta però l’unica
alternativa possibile a tutti i livelli sociali, come ad esempio Santiago (per /j/) e
Montevideo (per /ž/). Si può fare un discorso simile, in area francese, a proposito
della vocale evanescente, la cui non realizzazione rappresenta la norma nelle
varietà del francese settentrionale e viene considerata invece diastraticamente alta
in quelle del sud (ivi, 45 – 46). Non è certo difficile trovare esempi analoghi
nemmeno per l’Italia, come l’uso del passato remoto nei registri informali del
centro-nord (ivi, 46) o l’uso del cosiddetto ‘che polivalente’, considerato dai
linguisti per lungo tempo marcato in prospettiva diatopica, ma che rappresenta
in verità un fenomeno dell’oralità in senso lato (Krefeld 2008, 101).
116 Coseriu 1981, 269.
117 Oesterreicher 2007b, 64.
118 Oesterreicher 2007b, 55.
119 Krefeld 2004, 23 – 24.
120 Cfr. Oesterreicher 1979, 224 ssg.
121 Krefeld 2004, 21 ssg.
24 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?
tanto invisa agli studiosi del ‘dialetto puro’ che inseguono la chimera
dell’omogeneità linguistica. Tenere in considerazione il parametro spa-
ziale della mobilità porta a scoprire gli spazi comunicativi dissociati122 e
rende visibili non solo le comunità autoctone di parlanti poliglotti (le
cosiddette minoranze linguistiche), ma anche le comunità alloctone di
parlanti poliglotti (i migranti interni e i migranti extraterritoriali), con-
sentendo di allargare l’orizzonte della dialettologia, giova ripeterlo, al di là
dei tanto ricercati, quanto praticamente introvabili parlanti nativi (au-
toctoni monoglotti).123
L’ultima categoria situata sul piano storico è infine quella della tra-
dizione discorsiva (cfr. infra, par. 1.2.3.) o del modello testuale di cui fa
parte ogni produzione linguistica. A questo proposito è importante tenere
presente come le norme del genere discorsivo/testuale cui una produzione
linguistica appartiene e cui ogni locutore/scrivente si orienta in maniera
più o meno cosciente e più o meno efficace hanno di per sé un effetto
standardizzante dal punto di vista stilistico, in merito cioè sia alla scelta
dei registri e dei linguaggi speciali o specialistici, sia alla scelta dell’idioma
da utilizzare.124 Questo non significa però che una tradizione discorsiva
debba essere necessariamente vincolata ad un unico stile: esistono tradi-
zioni testuali composite che spaziano volutamente tra più modelli di-
scorsivo-testuali e non sono neppure necessariamente veicolate da un
unico idioma, ma sfruttano le potenzialità offerte dal plurilinguismo fa-
cendone una loro caratteristica distintiva.125 I Ricettari di segreti, che si
introdurranno in par. 1.2.4., sono un classico esempio di questa seconda
tipologia.
126 Si vedano per il siciliano gli studi di Leone (1980 e 1984) e per il napoletano la
recente grammatica storica di Ledgeway (2009).
127 Per la grammatica storica dell’italiano si veda, oltre alla Grammatica storica
dell’Italiano e dei suoi dialetti del Rohlfs (1966 – 69), anche Caratù (2004).
128 Oesterreicher 2005, 32 ssg.; cfr. Oesterreicher 2007a, 16 ssg.
129 Muljačić 2011, 183.
130 Cfr. Krefeld 2007a, 67 ssg.
26 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?
133 Cfr. Schwägerl-Melchior 2014, 1 – 16; Gruber 2014, 52 – 64; Hafner 2009,
103 – 04; Musi 1994.
134 Krefeld 2013, 1.
135 Krefeld 2013, 1.
136 Hafner 2009, 103.
137 Basti pensare all’esplosione demografica registrata nella città di Napoli tra il 1450
e il 1550 al seguito della quale si allestirono i famosi quartieri spagnoli (Hafner
2009, 104).
138 Cfr. Hafner/Oesterreicher 2011, 136.
28 1. Quadro teorico: di che cosa fare la storia?
titiva, che tende a scandire le diverse fasi della procedura attraverso co-
struzioni paratattiche e l’uso persistente di singole congiunzioni e avverbi,
dall’altro però non priva di estrema formularità e aulicità, effetto che
sortiscono in particolar modo i vari quello, detto, ecc. con cui si disam-
bigua il richiamo anaforico agli ingredienti elencati a inizio rubrica e
ripresi poi singolarmente nel corso della trattazione.165 Il primo tipo
testuale, subito susseguente alla titolazione costituita nella maggior parte
dei casi da una proposizione finale del tipo (Ricetta) per fare…,166 è
rappresentato quindi non dalle istruzioni finalizzate alla preparazione del
rimedio, ma dall’elenco o inventario degli ingredienti necessari alla
composizione dello stesso. Ci si trova qui di fronte ad una tipologia
testuale del tutto equivalente a quella di una lista. Lo stretto rapporto di
connessioni che l’elenco d’ingredienti intrattiene con le istruzioni che
spiegano le modalità di preparazione del rispettivo farmaco rende però
evidente come non si tratti mai di un’aggregazione disorganica di ele-
menti con il solo scopo di fungere da supporto mnemonico per il re-
dattore-esecutore. Non si ha cioè a che fare con una successione di ap-
punti scheletrici interpretabile solo dal suo autore, ma al contrario con
una lista concepita come parte integrante di un testo regolativo rivolto ad
un potenziale quanto previsto lettore estraneo alla compilazione.167
Questi, grazie alla coesione testuale garantita dai numerosi connettori
presenti nella seconda tipologia testuale, si trova nelle condizioni di poter
riconoscere la coerenza che lega i due tipi di testo e di accettare senza
difficoltà il passaggio dall’uno all’altro.168 Le tipologie testuali presenti nei
Ricettari di segreti non si esauriscono però nella lista-catalogo e
nell’istruzione regolativo-prescrittiva. Non è infatti raro trovare, in queste
opere, una serie di digressioni di tipo narrativo e/o argomentativo volte a
rinforzare la validità dei contenuti trasposti. La struttura interna tipica dei
Ricettari di segreti è dunque una parte iniziale in cui si prescrivono le erbe
o più in generale gli ingredienti necessari, seguita da una sezione che
descrive il modo d’uso e la lavorazione delle sostanze e da una serie di
indicazioni terapeutiche. Quest’ultima parte, in alcuni casi, risulta più
elaborata e può comprendere alcune esemplificazioni, delucidate all’in-
177 Ciò vale per il Lapidario (parr. 2.2.1.1. e 2.2.1.2.), l’Eucologio (par. 2.2.2.1.), il
Thesaurus Pauperum (par. 2.3.1.1.), il Libro di ricette e secreti (par. 2.3.2.1.) e, in
parte, per il Trattato delle virtù delle erbe (par. 2.1.1.).
178 Come nel caso del Trattato delle virtù delle erbe (parr. 2.1.1. e 2.1.2.), del Re-
cettario secreto (par. 2.3.3.1.), dell’Herbarium (par. 2.3.2.2.) e del Libretto di
formule magiche (par. 2.3.4.2.).
179 Si sono effettuate delle trascrizioni di frammenti testuali dai manoscritti del
Trattato delle virtù delle erbe, dell’Herbarium, del Recettario secreto, dell’Opera e
ricette di alchimia, della Raccolta di prediche e del Libretto di formule magiche di
2.1. Plurilinguismo per assemblaggio di codici 41
cui ai rispettivi paragrafi. Si sono infine trascritte due ricette da una Raccolta di
prescrizioni mediche conservata nell’Archivio della Congregazione per la Dottrina
della Fede a Roma/Città del Vaticano (par. 2.3.2.2.)
42 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
2.1.1. Il Trattato delle virtù delle erbe (la raccolta del sec. XV)
Figura 4. Trattato delle virtù delle erbe (la raccolta, sec. XV)
2.1.1. Il Trattato delle virtù delle erbe (la raccolta del sec. XV) 45
[85r]a)
b)
1 R<u>brica del present sumari de me Cono <…>
2<.>aLope desines alanor e gloria a <…> senyor <………>
3<…> <……..>t<…………….> Joan Lo<p>es: <………>
<………>
4 P mo tra<c>tat demedesines econfo <.>ra<…>
5 rts reguar<da>nts alcap eparticuls tracta
6 de aquei en cartsc) 25. lesnatu<…>
7 A mal dulls de diveres maneres <c>ar<te>s
8 en carts 20 capitols <…>o<….>
na<…>
9 De mals dorella en cartes 33 <…….>
10 D<e m>als decara edeboqua ede
11 <p>ara<.>la p.duda 34
12 D<e d>olor dedents equexals de moltes
13 maneres 35
14 De stancare vomit encas 39
15 Demall decoll e vexigues 14 p <……….>
16 De mal q. no dexa bastare ale 41
17 Detos seq.na @d) dmoltes mane
18 res 41
19 Destancar sanch demoltes mane
20 res 42
e)
21 Totes les receptes lesquals tendeav<e>res <en>
22 prinnpi son delliber demestre <ne> <lenis en>
23 pu<..…>ntigi q. negnuns al<………>
24 dormito<..> <………> 27
[85v]
[86r]
21 A mal de cama____________58
22 Ronya _____ ____ 39
23 Adolor q. va p. fredor /o p. colp 23
24 a <………………> 23
[86v]
4 Aguarir tropichs 81
5 Cataplasme desequtiu 9tra tota
6 Humor 81
7 Comsesdenen les enfermetats 82
8 A presona que aia malacolor 83
9 Contra metzines 83
10 contra aquells que son etichs 83
185 Cornagliotti 1994, 104. Non si entra in questa sede nel merito della varietà di
catalano, argomento per cui si rimanda agli approfondimenti annunciati da
Cornagliotti (1994, 119).
48 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
per la cura di diversi dolori: mal di orecchie, bocca, viso, denti o collo
(85r 9 – 13), ferite sanguinanti (85r 19; 85v 20), nonché mal di milza, mal
di fegato (85v 14) e coliche (86r 12, 19), sciatica e gotta (86r 6, 10, 17),
ecc. Le ricette curative fanno riferimento costante alle erbe medicinali del
caso – da cui evidentemente la titolazione moderna del codice – e le
rubriche si alternano a diciture che prendono le mosse dalle erbe stesse
descrivendone pregi e particolari effetti benefici (85v 1 – 3, 7 – 9). A
completare il quadro si trovano alcune formule precatorie, come quella
riportata in calce ai fogli dell’indice (86v 11 – 20) e diversi nomina, alla
stregua di quelli indicati in 85v 16 – 18 come parole magiche attraverso
cui è possibile influire sulle condizioni atmosferiche. L’indice non è però
completo e il materiale del trattato è molto più vasto di quanto non faccia
intendere il sommario, che tralascia non solo le abbondanti aggiunte
marginali e interlineali, ma anche intere rubriche come quella sulle carni e
altri alimenti.186
Un ulteriore dato che si ricava dall’indice è quello relativo alla pa-
ternità del trattato. In esso compare infatti più volte il nome di “Joan
Lo<p>es” (85r 3) al fianco di altri nomi (“mestre Barthomeu”,187 “mestre
Gaspar”, “miser Baltazar”, “Reyner de Rosinyano”, ecc.) i quali però,
piuttosto che indicare possibili co-autori,188 sembrano essere invece
menzionati dal/i compilatore/i – e posti sullo stesso piano di altre voci
autorevoli citate (Arnaldo da Villanova, Pietro Ispano, Raimondo Lullo,
Galeno, Plinio, ecc.) – in qualità di ideatori o fonti ispiratrici di ricette.189
Non vanno poi trascurate le minuziose, anche se per lo più anonime
testimonianze dei pazienti stessi, anch’esse non manifestamente subor-
dinate alle autorità vere e proprie190 secondo una prassi di attestazione
sperimentale che andava sempre più consolidandosi nell’epoca presa in
esame (cfr. infra, par. 1.2.4.). Non mancano nemmeno riferimenti ad
autori arabi o ebraici come “Alì ben Mesué”, “Benvengut Gratafe” o “Rasis”,
in cui si possono riconoscere Iahija o Iouhanno Ben Massouih detto Ben
Mesué, medico arabo della seconda metà del secolo VIII8, Benvenuto
Grafeo, oculista ebreo della scuola salernitana (cfr. infra, par. 2.3.3.1.) e il
medico persiano Rhazes, vissuto tra l’850 e il 923 d.c.191 In virtù di queste
citazioni – a cui si aggiunge un richiamo al vecchio testamento – e della
rappresentazione di una stella di David ovvero “senyal de Salamó” a c. 46r,
Rapisarda192 ha ipotizzato che la compilazione fosse di autore/i ebraico/
i.193 Cornagliotti194 rinviene infine parziali corrispondenze tra il Trattato
delle erbe e alcune ricette in antico provenzale del XIII8 secolo edite da
Brunel,195 senza che con ciò si possa però stabilire o meno se vi siano stati
legami diretti tra i testimoni. Più strette paiono essere le relazioni invece
con il trattato De viribus seu de virtutibus herbarum di Floridus Macer, al
cui nome si fa fugace riferimento alle cc. 58r/v. Un’ultima probabile fonte
è infine letteraria e rimanda al Flos Sanctorum, la traduzione catalana della
Legenda Aurea. 196
Per quanto riguarda la datazione del manoscritto, risulta possibile
individuare in esso un preciso terminus post quem, l’anno 1495. La co-
ordinata temporale appare al foglio 83r in capo ad un passaggio che narra
di una malattia epidemica giunta in Sicilia dalla Francia:
[83v]a)
b)
1 En lany mcccclxxxxv
2 comenca enmolts parts del
3 mon franca spanya ytalia @
4 sicilia una malaltia quis
5 nomenava le mal d sant
6 ment @ son uns bubes p. tota
7 la p.sona specialmenenlacara
8 d tangrans com favas abtanta
9 dolor enlosnirvis @ ultra
10 l.s bubes . los dava gran pena
11 y dinse mal d sanment p. @
12 en franca yahunsant nome
[15r]
[…] […]
a)
19 epat’qua
20 La epatiqua es caliente e
21 fria cocha e bevida sana
22 el figado escalentado ~ ~ ~
23 polipodi
24 polipodi esffret e purga
25 coleres beles coleres ~ ~ ~
[15v]
1 Perita<r>ia es fredaebeguda
2 lena la febra
3 : Riupontich ..
4 Riupontich es bo per al fetge
5 tant comlo Riubarbre
6 Girasol
7 Lo girasol es bo per als llu
8 natichs
9 :pelosella ..
10 Pelosella es calent esequa dixen p <…>
11 ees bona la rael della 9 hgado a<…>
12 cupta beguda leva lo dolor colil retti<..>
13 tinya <e>lo such della sanalatinya ans delpol <…>
exir man
14 La velosilla esbuena para les marei<…>
15 los celurgianos ~ ~
16 Laabadonaescaliente e
17 es buena para adobar
18 las madres delas mugeres
19 blets
20 Los blets son en un gran
21 calents
[16v]
1 /comins/
2 Los comins soncalents e apro
3 fiten atotes fredors […]
[…]
15 El cantuest es bueno para
16 todos banyos q.escaliente
17 e<se>quocho con agua e bevido
18 quitalapostema e derrama
19 la sangre mala
[…] […]b)
a)
A vergare queste carte è nuovamente il primo compilatore. I titoli di rubrica
sono miniati e in tinta rossa al pari delle capolettere.
b)
BCP, Trattato delle virtù delle erbe.
Sarà sufficiente raffrontare qui la matrice linguistica della prima (15r 19 –
22), della settima (15v 14 – 18) e dell’ultima ricetta riportata (16v 15 – 19)
con quella delle ricette restanti (15r 23 – 25; 15v 1 – 13; 16v 1 – 3) per
riscontrare come al catalano s’intervalli un iberoromanzo di stampo
prevalentemente castigliano.202 Sono quanto mai indicativi a questo
proposito i raffronti tra le desinenze dei participi passati “beguda” (15v 1,
12) e “bevida”/“bevido” (15r 21; 16v 17) o le forme dell’avverbio “bo”/
“bona” (15v 4, 7, 11) e “bueno”/“buena” (16v 15; 15v 17), mentre in
ambito lessicale si colgono le soluzioni “sanch” (85r 19) vs. “sangre” (16v
19) o “fetge” (15v 4) vs. “figado” (15r 22).203 Si presta altrettanto bene a
fungere da discriminante anche il morfema dell’articolo: alla forma ca-
talana del singolare maschile “al” (15v 4) si affianca altrove quella pret-
tamente castigliana “el” (15r 22), così come la preposizione articolata “per
als” (15v 7) è alternata da quella “para los” (15v 14 – 15). Sempre dal
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI)
[1r]a)
[1v]
[2r]
[2v]
[3r]
[3v]
[4r]
[4v]
[5r]
[5v]c)
[6r]
[6v]
[7r]
[7v]
[8r]
[8v]
[9r]
1 In li monastarij de lo salvatore
2 et di sancta clara di palmo (p. essere
3 state le abatesse de casa xxlia ) In
4 mille loch. se vedeno tanto in casu
5 buli: mura: autari : come: etcalice
6 comu In lj edeficij alloro t.po 9struttj
7 le arme xxlia e dilo conte Rogerj
8 Iunti In un scuto quartizatj, liq.lj
9 claramtj donano xissimo testimo
10 nio la decta casa xxlia descenderj
11 dali dictj Re normandi Et quisti
12 .s. de vintimilia havirj portato <…>
13 origini di quillj
14 Aliquali dimandando p. ch. (Into
15 loro scuto) quartiza<.>no q.lla sbarra
16 deli scach. bianch. et rossi In azuro: da
17 la piu p.te p.te de loro mi é stato re
18 sposto non ne sapere dare alta raxone
19 salvo, p. ch. li loro antiq. si armavano
[9v]
[10r]
[10v]
[…] […]f)
a)
Precede il testo la raffigurazione di due scudi con gli stemmi cromati della
casata Ventimiglia. Le capolettere sono miniate.
b)
Si corsiva la nota tironiana per et.
c)
Al margine sinistro della carta è rappresentato uno scudo in colore blu con una
striscia diagonale a scacchi bianchi e rossi.
d)
In calce al foglio sono incise in corsivo le lettere maiuscole “B.P”.
e)
La prima lettera è miniata.
f)
BCP, Trattato delle virtù delle erbe.
211 Cfr. Rinaldi 2005, I, 388. L’esito di -CSJ- non è sempre identificabile con
certezza e pare mantenersi ovvero risolversi in [s(s)] in: “max[ime]” (2v 7; 10v 6),
“exercicio” (3v 19), “exaudito” (5r 5), “existimando” (8r 9), “nicoxia” (7r 5).
212 Cfr. Mattesini 1994, 426. Va però detto che non è sempre possibile distinguere
con assoluta certezza tra <i> e <j> minuscole e maiuscole, variando la lun-
ghezza del gambo a seconda dei casi anche in maniera consistente. A questa
difficoltà di lettura si aggiunge l’incertezza che deriva dal confondersi tra il tratto
di <i> e quello di <e> in posizione finale, soprattutto quando è difficile
distinguere il punto sulla vocale.
68 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
“monastarij” (9r 1), “Reliq.ij” (4r 10), “ystorij” (7v 18), “stancij” (8v 1),
“edeficij” (9r 6), “m.ri.nij” (10v 2). Nelle seguenti forme: “[p.]judicio” (2r
19; 2v 19), “Junti” (8v 4), “Jorno” (5v 2), la stessa scrizione sta invece per
la semiconsonante dal lat. J/DJ, resa altrove però anche da <g>: “gia” (1v
6; 9v 16, 10r 19), “subgecto” (2r 5), “hogi/“hogio” (2r 10; 3r 13; 5r 6; 6r
21; 7r 13; 9v 12 – 13, 15; 10r 6), “paggio” (2v 12), “magior” (4r 12),
“Magesta” (7r 17). Il grafema <g>, che nella scripta siciliana quattro-
centesca ricorre spesso a sua volta come allografo di <i>,213 sembra qui
piuttosto simboleggiare l’affricata palatale [t], testimoniando un im-
portante influsso toscano. Ulteriore variante di <i> è infine <y>, le cui
occorrenze sono da segnalare in: “soy” (2r 12; 3v 17), “ydioma” (3r 14),
“trayna” (6r 18; 6v 2), “raynaldo” (6v 7), “ystoria”/“ystorij” (7r 9; 7v 18,
19) e “[…]luys[…]” (7r 16; 7v 16).214
Passando ora all’ambito fonematico, è dato osservare come il voca-
lismo tonico siciliano, ciò a cui Cornagliotti fa sommariamente riferi-
mento quando parla di “passaggio di O a u”215 e che per l’esattezza
riguarda la convergenza degli esiti in [u] non soltanto di Ō ma anche di Ŭ
(a differenza della soluzione toscana che vede invece sfociare Ō e Ŭ in
[o]),216 venga realizzato, oltre che in “hura”/“Alura” (4v 13; 3v 1), anche in
“undi/“unde” (1v 13; 2r 11; 3r 7; 4v 4; 6r 9, 19), “[m]ulto (-i, -e, -a)” (2r
18; 2v 22; 3r 2; 3v 5x2; 4v 18; 5v 17 – 18; 7v 1; 7v 15, 17; 10r 7), “coluri”
(2v 3), “mundo” (2v 15), “fusse” (3r 10), “sepulto” (6v 1), “sepulcrj” (8r
12), “tui” (5r 7). Fenomeni di vocalismo tonico, che riguardano in modo
perfettamente analogo anche l’esito dell’altra vocale intermedia, deter-
minando il passaggio di Ē e Ĭ ad [i] anziché ad [e] come nel toscano,217
sono anche quelli che Cornagliotti considera metafonesi.218 Oltre ai citati
“quisti (-a, -o)” (1v 2, 3, 5; 5v 5; 9r 11), “quilli (-j, -o)” (8v 18; 9r 13; 9v
5), “[i]ssi (-o, -a)” (1r 14; 3r 9; 3v 2, 9, 16; 4r 11, 21; 4v 3; 6v 2; 7v 14; 8v
12; 10r 2), “marchisi” (1v 3), “spisi” (6r 20), andranno qui aggiunti
numerosi altri esempi, a partire dalle occorrenze della ripresa anaforica
“[pre]di[t]ti219 (-o, -a, -j)” (1v 14; 4r 12; 4v 16; 6r 21; 8r 7, 8, 11, 16; 8v 5,
14; 9v 19), passando per la congiunzione “per chi” (1v 4) e le preposizioni
articolate “dili (-a, -o, -j)” (5v 19; 6r 4; 7r 9; 7v 8; 8r 6, 13, 15; 9v 4; 10r
10, 11), per arrivare alle desinenze delle forme verbali dell’imperfetto
indicativo di prima e seconda coniugazione in “tenia” (2v 20; 4v 4; 6r 10),
“descendia” (3r 9), “havia” (6r 16), “sapia” (6v 18), “Ocorria” (10v 4) o del
passato remoto dei verbi irregolari di seconda coniugazione in “p.vincio”
(3v 2), “naxio” (6v 7), o ancora, del condizionale e del congiuntivo in
“importiria” (2r 22), “farria” (2v 19), “divissiro” (4v 11). Altre forme
verbali in cui si riscontra il vocalismo tonico siciliano sono “9firmano”
(2v 3), “firma” (5r 5), “missa” (4v 15), “p.miso” (10r 4), “tinne” (3r 5),
“havirj” (9r 12), mentre in ambito lessicale vanno segnalati “calaxibitta”
(6r 13), “[a]rchipiscopo” (8r 18 – 19; 8v 3), “9tissa” (8v 6 – 7). Un ulteriore
fenomeno di vocalismo tonico che si distacca dal toscano e contraddi-
stingue pertanto il testo in senso siciliano riguarda l’atteggiamento di Ŏ
ed Ĕ tonici in sillaba libera che non effettuano il dittongo spontaneo, ma
si mantengono inalterati.220 Ciò si vede ad esempio nelle forme di “soy”/
“soi”/“so”221 (2r 12, 18; 3r 4; 3v 3, 9, 17, 18; 4v 3, 19; 5r 14; 6r 10, 20; 8v
3, 11), “[gintil]ho.i”/“[gentil]ho.” (2r 16, 23; 7v 16), “fora” (2r 18), “loco
(-chi)” (2v 4; 3v 21; 4r 2, 8; 8r 13; 8v 1), “bono (-i)”/“bon” (3v 19; 4v 12,
13), “figloli” (6v 5 – 6), “po” (7r 8), nonché di “Aquarteri” (1r 5), “petro”
(2v 12), “cavaleri (-e)” (3v 17; 4v 3, 11; 5r 7; 5v 15), “pedi” (4v 17), “peta”
(6r 18, 21; 6v 13, 17, 18), “retene” (6v 1). Per quanto riguarda il voca-
lismo atono, per il quale nel siciliano si conoscono solo gli esiti in u ed i,
assieme ad a,222 esso va rilevato nei seguenti casi (pro e postonici):
“fundamto(2r 7)”, “genua” (2r 8; 2r 16), “subgecto” (2r 5), “co[m]u” (3r 1;
9r 6; 10r 10), “Rugeri” (3r 19), “bossu” (3r 20), “Rub.to” (3r 20), “vic-
tuagli”/“vituagli”/ (3v 11 – 12; 4v 8), “miraculo” (7v 6 – 7; 9v 9 – 10),
“casubuli” (9r 4 – 5), “p.ticularmente” (10v 5 – 6), come pure nei seguenti:
“golisano” (2v 13), “giraci (-e)” (1r 1; 1v 8; 2r 11; 6v 11), “catridale” (8r
17), “vintimi[g]lia” (1r 1; 1v 9; 2r 8, 10; 9r 12), “m.ri” (1v 3), “angilo” (4v
21), “p.nti (-j)” (6v 11; 10r 8), “paisani” (6v 15), “nix uno” (10r 15),
“gintilho.i”223 (2r 23), “sorti” (2v 1), “sa[r]loni” (3v 18; 5r 15; 6r 6; 7v 5),
219 A proposito delle consonanti doppie va notato che risulta spesso difficile di-
stinguere <ct> da <tt>.
220 Cfr. Mattesini 1994, 427.
221 Qui va comunque registrata l’apertura di Ŭ ad [o] in senso toscano. La forma con
dittongo ricorre solo in “suo” (4v 1).
222 Cfr. Mattesini 1994, 427.
223 Ma gentil ho.i, con innalzamento della protonica, in 2r 16.
70 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
“milli” (4v 21), “srigiato” (10r 8), “brevi [t.po]” (6r 4), “[petra] destanti”224
(6v 20), “la qali”/“laqali” [lanza/djgnita]” (5r 2; 10r 14). Si trovano ulte-
riori attestazioni di vocalismo siciliano nei prefissi verbali di
“dimandando” (9r 14), “divissiro” (4v 11), nelle desinenze del passato
remoto di terza persona singolare e del presente di terza persona singolare
e plurale: “[Isso] discesi” (1r 14), “[Tranchedo] hebbi” (3r 18), “[Rogeri]
p.si” (6r 16), o ancora negli infiniti “havirj” (9r 12), “e[ss]eri” (6r 12; 9v
5), “descenderj” (9r 10), nella congiunzione condizionale protonica
nonché nel pronome riflessivo “si” (1v 14, 18, 19; 9v 2), e in tutti i casi di
determinanti che si riferiscono ad un sostantivo in plurale di genere
femminile: “[a/de/di]li (-j)” [arme (-i, -j)/turbolentij/figuri/colurj/victu-
agli/colli/Reliquij/t[er]rj/forci/cosi/mori/stancij/Re/altre]” (1r 11; 1v 10;
2v 3x2; 3v 11; 4r 6 – 7, 10; 5r 16; 5v 19x2; 8r 3, 14; 8v 1, 10, 17; 9v 5; 10r
3, 5, 18, 19; 10v 10), “p.p[rij]/di[c]ti [soj]/li q.lj/quilli [arme/armj]” (1r
3; 5v 9; 8r 14; 8v 3, 11; 9r 8; 9v 5, 11), “[arme/armj] quartizati uniti
etJunti”/Iunti […] quartizatj” (8v 4; 9r 8), “ditti [memorij]” (1v 14),
“passati [turbolentij]” (1v 10), “[forme] pokissimi” (2v 1), “multi etmulti
[battaglie e citate]” (3v 5), “[cose] soi/soi [forteze]” (3r 4; 3v 9), “[cosi]
n.ri” (8r 4), “dui [colore]” (5v 5). A questi vanno aggiunti ovviamente gli
stessi sostantivi in femminile plurale terminanti in -i (di prima e terza
declinazione o frutto di metaplasmo che siano): “figuri” (2v 3), “t[er]rj”
(5r 16; 10r 3, 5), “portj” (8r 12), “armi (-j)” (2r 17, 22; 2v 1; 8r 14; 8v 3) –
ma “arme” in (9v 11) –, “stancij” (8v 1), “turbolentij” (1v 10), “memorij”
(1v 14), “cermonij” (2v 23), “Reliq.ij” (4r 10), “ystorij” (7v 18), “cosi” (8r
3). È da segnalare infine tra i fenomeni di vocalismo la labializzazione di
protonica a contatto con nasale in “infuniti” (2r 24).225 A proposito del
consonantismo226 va registrato, oltre alla conservazione di J iniziale e
intervocale nei casi citati sopra in merito alla grafematica, il saldo man-
tenimento delle plosive sorde intervocali -T-, -P- e -K-: “scuto” (1r 3; 8v
9; 9r 8, 15), “9tato”/“contato” (2r 7; 8v 6), “citate” (3v 5), “reciputo” (4v
15), “[a]rchipiscopo” (8r 18 – 19; 8v 3), “loco (-ch[i])” (2v 4; 3v 21; 4r 2,
8; 8r 13; 8v 1; 9r 4). Per quanto riguarda il rafforzamento meridionale227
si segnalano la forma del futuro semplice “sarra” (1v 19), del passato
remoto “commenzao” (3v 19 – 20), del presente indicativo di terza plurale
“so[n]no” (4r 9; 5v 10; 8r 19; 9v 15; 10r 8), del condizionale “farria” (2v
19), dell’avverbio “cossi” (2v 22; 3r 15; 5v 4, 20; 9v 1), dei sostantivi
“cosse” (10v 5), “affrica” (3v 8), “collisano” (7r 12). Si ha poi raddop-
piamento fonosintattico in “alloro” (5r 19; 9r 6).228 Il riflesso [(n)tts] dai
nessi (N)TJ/(N)CJ è visibile in “la[n]za” (5r 1; 5v 6; 7v 8) e in “com-
menzao” (3v 19 – 20), mentre “mutacione” (1v 11), “devocione” (4v 14) e
“mencione” (8r 6) sembrano rendere graficamente l’esito [tsj]. Si hanno
casi di metatesi in “Tranchedo” (3r 16) e “catridale” (8r 17), di epentesi in
“coronici” (2r 1; 5v 16; 7v 14; 8r 3) e di consonante anti-iatica in “fe-
godo”/“fego” (6v 8; 7r 1), di -i (in un caso -e) epitetica in “[R]ogeri (-e)”
(1r 12, 14; 3v 17; 4r 21; 5v 10; 6r 10; 6v 2; 7v 11; 8r 15; 8v 11, 17; 9r 7; 9v
7), di velarizzazione di consonante laterale postvocalica in “autari” (9r 5).
Tra i nessi composti da consonante + L si mostra conservato solo FL in
“flomara” (6r 17; 6v 12 – 13), ma si veda per contro “fume” (7r 5).
In ambito morfologico229 si registra prima di tutto una dominanza
delle forme dell’articolo determinativo e del pronome maschile singolare
“lo” (1r 6; 1v 5, 15, 18, 19x2; 2r 7; 2v 10, 21; 3r 8, 18; 4r 2, 10; 4v 1, 3, 7,
21; 5r 13, 18; 5v 3x2; 6r 1, 5, 6, 9, 15; 6v 1, 6x2, 8, 9; 7r 12, 14, 20; 7v
15; 8v 6, 17; 9r 1; 9v 17, 19; 10v 9). Solo in due casi si ha la forma
dell’articolo toscano prebembesco230 “[e]l” (2r 9; 3r 16), in altrettanti “il”
(3v 12; 4v 15). La situazione muta però se si considerano le preposizioni
articolate, tra le quali ricorre con regolarità la forma toscana “del” con-
trapposta a “delo” in soli tre casi (2v 15; 3r 1; 8v 2). Per il plurale maschile
sia ha esclusivamente la forma “li” che predomina, senza però essere
esclusiva, anche per il femminile (28 occorrenze contro le 10 di “le”). I
pronomi personali riscontrati nel testo sono per la terza persona singolare
“[i]sso”/“[i]pso (-a)” (1r 14; 3r 9; 3v 2, 9, 16; 4r 21; 4v 3; 5r 13; 6v 2; 7r
15; 7v 14; 10r 2) e per la terza plurale “ips.”/“issi” (2r 24; 4r 11).231 La
forma “loro” è circoscritta al caso obliquo della terza plurale: “de loro” (3v
13; 9r 17), “fra loro” (4r 4),232 ovvero alla forma del pronome possessivo
(2r 3; 3v 3, 7; 4v 7, 16; 5r 19; 5v 8; 8r 14; 9r 6, 15, 17, 19; 9v 11, 13; 10r
19; 10v 3).233 Il pronome relativo è rappresentato dal connettore poli-
234 Come nel seguente passaggio: “deli Re n.ri de dicto casa normanna ch. Isso 9te
Rogeri discesi” (1r 13 – 14).
235 Queste ultime andranno considerate dei meri tecnicismi motivati da ambizioni di
nobilitazione stilistica (cfr. Rinaldi 2005, I, 409) certamente corresponsabili,
assieme agli assidui richiami anaforici, nel rendere il testo “aulico e ampolloso”
(Cornagliotti 1994, 104).
236 La preposizione da, sconosciuta al siciliano (cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 804), occorre
soprattutto nella forma articolata, alternante tuttavia con de + articolo: “trovai
destanti dela terra” (6v 20), “delaqal casata de xxlia […] hanno disceso strenuissime
capitani” (5v 12 – 14).
237 Cfr. Rinaldi 2005, I, 429.
238 Cornagliotti 1994, 104.
239 Cfr. Leone 1984, 56.
240 Cfr. Rinaldi 2005, I, 421.
241 Cfr. Mattesini 1994, 430.
242 Cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 594.
2.1.2. Il Trattato delle virtù delle erbe (la dedica-elogio del sec. XVI) 73
zione (si pensi ai grafemi ipersiciliani <x> e <k> in “nix uno” o “po-
kissimi”, ai pronomi “Isso(-a)”/“Issi” o in generale al vocalismo). L’autore
non qualifica peraltro la lingua della sua produzione testuale in senso
etnico; dichiarando di avvalersi del “n.ro ydioma volgare” (3r 14 – 15),
egli ne evidenzia tuttavia l’appartenenza ad una tradizione sentita come
propria e volutamente distinta (cfr. infra, par. 3.2.2.).
In chiusura di questo capitolo non resta che cercare di trarre delle con-
clusioni sul genere di plurilinguismo che riflette il manoscritto esaminato.
Come accennato in par. 2.1.1., l’erbario-ricettario fu messo per iscritto da
compilatori catalani che furono attivi con tutta probabilità nella penisola
iberica. Dal momento che non si ha nessun tratto linguistico ‘italiano’
all’interno del compendio, ma per contro un sensibile influsso castiglia-
no, si deve infatti concludere che il manoscritto sia giunto solo in un
secondo tempo in Sicilia. Pur non avendo in questo caso validi appigli
che permettano di congetturare un trasferimento in Sicilia non solo del
codice, ma anche del suo autore/copista, è altresì noto che questi ma-
noscritti andavano spesso ad arricchire le biblioteche di medici catalani la
cui presenza sull’isola era tutt’altro che marginale. Tale maestro Michele
de Tubia, ad esempio, operante nei primi anni del secolo XV a Palermo, si
trovava in possesso di una serie di trattati “in gramatica”, tra i quali il de
Stomacho di Costantino Africano, la Chirurgia di Bruno di Longobucco e
la Isagoge di Ioannizio, nonché “vulgariter in lingua cathalanica”, ossia
volgarizzamenti in catalano della Chirurgia di Guglielmo da Saliceto,
della Practica chirurgie di Ruggero da Salerno e della Chirurgia parva di
Lanfranco da Milano, oltre che del Secretum secretorum pseudo-aristote-
lico.250 Come si legge nell’inventario rogato nell’anno 1417, il chirurgo
catalano lasciò in eredità questi beni ai fratelli che si trovavano in pa-
tria.251 Per quanto riguarda il Trattato delle virtù delle erbe, non è difficile
pensare ad una circostanza per così dire speculare per cui un lascito
testamentario di un guaritore operante nella penisola iberica sia perve-
nuto ad un successore attivo invece in Sicilia.
Giunta come che sia sull’isola nella prima metà del Cinquecento,
l’epitome, come lascerebbe intendere l’operazione di assemblaggio, venne
zione’ del manoscritto nelle sue parti costitutive e una conseguente con-
segna alla relativa filologia nazionale del suo rispettivo oggetto di studio
monolingue, è infatti diametralmente opposta a quella che si è ritenuto
qui sensato adottare per ricostruire le dinamiche di contatto e convivenza
tra più idiomi all’interno di uno stesso spazio comunicativo.
259 Si tratta di tale Pascale Romano attivo alla corte bizantina di Manuele I (Che-
rubini 2001a, 116).
260 Cherubini 2001a, 114 – 15.
261 Cherubini 2001a, 117 – 18.
262 Cherubini 2001a, 119. Si considerano adiafore le varianti ortografiche e di stile
del tipo “Gliakidis” per “Glikisidis” o “aliquis” per “quis”. Più degna di nota è la
seguente successione di segni “pHbqHs”, con cui il copista del Lapidario a c. 40v
sembra rendere il significante di una parola greca senza però intenderne il si-
gnificato (ivi, 119 – 20).
263 Cherubini 2001a, 122.
80 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
De tartaruca.
Tartaruca faciens ova sicut gallina <curat> fricaciones in manibus (in
vulgari vocantur pori). Accipias sanguinem istius animalis et desuper unge,
primo cum acu aperi.
Ad seras aperiendas
Disferracavallo invenies sic: accipe tartarucam; quando vadunt in
amore, vadas cum duabus, scilicet masculo et femina, porta ad pratum ubi
sunt multe herbe, fac circulum cum baculis vel lignis et munda bene intus
<et> foris et mitte feminam intus et masculum foris. Ille volens ire ad
feminam non potest; vadit querens herbam et cum illa facit exire ligna, ut
possit ire ad feminam et facit saltare foras. Postea accipe herbam illam, que
aperiet seras et cetera.270
Alle diciture volgari di “tartaruca” e di “pori”, nella seconda inserzione si
aggiunge quella di un’erba, detta “Disferracavallo” per la forma particolare
del suo frutto e per la proprietà che perciò le viene attribuita, nella credenza
popolare, di schiodare i ferri dagli zoccoli dei cavalli – da cui evidente-
mente il prefisso privativo dis-.271 Gli ingredienti principali menzionati in
queste due ricette si lasciano inserire senza difficoltà, sia nel merito che
nella forma, in un contesto meridionale. Per quanto riguarda il piccolo
arbusto di prato, è sorprendente come esso non compaia né nella tradizione
dei libri di Keranide, né nell’altra opera dedicata alle piante che si trova
nello stesso manoscritto, il Liber Discoride. Il riferimento alla tartaruga
sembra poi riportare le esperienze personali di un uomo di mare, esperienze
che non sarebbe difficile collegare alla Sicilia, sulle cui spiagge era certa-
mente ancora possibile trovare tartarughe marine.272
Nelle ultime carte del manoscritto, dove le variazioni divengono via
via più sostanziose, si trova anche l’inserto forse più interessante. Come
preannuncia l’ultimo rigo di c. 74r “verte folium: Benedictio Leonis pape”,
nelle cc. 74v-75r è riportato uno scongiuro inviato in forma di epistola,
secondo la nota introduttiva, da papa Leone III all’imperatore Carlo
Magno. L’orazione, che si rivolge in successione alla Santa Croce, alla
Vergine Maria, agli Arcangeli, a Dio Padre e a Gesù Cristo, è stilata in
latino, ma alle parole da proferire nel rituale performativo sono preposte
alcune righe introduttive che delucidano i modi e i tempi in cui compiere
il rito, scritte queste in volgare:
Allo nome de Dio e de la gloriosa vergine Maria. Questi sono le parole le
qual avìa mandato papa Leone a Carlo Magno imperadore e sono ap(ro)tate;
discute con l’arcangelo Raffaele sulle proprietà della quercia, tra cui
vengono menzionate la cura del mal di milza e di fegato, ma anche della
lebbra, della podagra nonché di ferite di ogni genere. Dal legno di
quercia, sui rami della quale nasce la mispela, l’attenzione dei due per-
sonaggi si sposta verso erbe, foglie e frutti che scaturiscono dal seme di
questa pianta. A questo punto però le conoscenze in ambito erboristico
vengono messe a disposizione di un’arte più ambiziosa di quella guari-
toria, oltrepassando il confine che dalla farmacopea conduce all’alchi-
mia:283
De quercu. Quercus dicitur quando angelus Raphael iniet cum Tobiolo
versus Ragos Medorum requieverunt ad quercum unam, et angelus Raphael
benedixit eam, q(uia) super eam stabat lignum, illut glauceum scilicet
mispelium.
Dixit Tobiolus: ‘Quare benedicis istam arborem?’, respondit angelus:
‘Quia lignum sanctum super eam est, scilicet mispelum’. Item folia quercus
stillata ad multa valet <et est> aqua ista ad malum milze, interficit lum-
bricos. Item pili rubei qui supra quercum nascuntur ad solidandam omnem
plagam, pulvis eius superpositus. Item pulvis eius datus ad bibendum cum
tormentina sanat podagram et omnem humorem frigidum.
Item polipodium herba lata, nascens eciam super quercum, est bona ad
matrem vel matronam; stillata aqua vel pulvis eius cum melle sumptus ad
stomacum, videlicet ad omnem humorem malum purgat et sanat.
De sancto ligno super quer(cu). Mispela, lignum sanctum crucem ha-
bens vel admodum crucis vel lignum crucis, valet ligatum in capud freneticis
febricitantibus. Item da comedere uni caducum paciens morbum et facias
eum portare: recedet sanatus.
Item collige in luna plena, folia eius pista: saldat omnem fistulam et
cancrum et plagam contrafactam, scilicet putridam, et puncturas. Item ad
puncturam unge cum oleo vulpino et mitte folia et mitte desuper: san(a)t.
Item semem ligni crucis, quando cadit in terram jj et ex illo nascitur
martacon, folia eius desuper viridis subtus glaucea vel avea. Et nascitur in
crucis modum, folia et radix et facit folia sicut media luna. Et in foliis facit
semem et semem illud habet formam vultus sancti. Et ideo angelus Raphael
benedixit illis [et] tot folia facit quod dies hi luna et, cum defic(it) [l]una,
deficiunt folia paulatim. Et sic crescit et decrescit virtus eius. Et quando luna
est plena, habet omnes virtutes suas.
284 Cc. 79v-80r, da: Cherubini 2001a, 128 – 29, corsivo mio.
285 Cherubini 2001a, 128.
2.2.1. Stratificazione spaziale 87
pronominali pertinenti alla sfera dell’illic et tunc. 293 Sempre dal punto di
vista pragmatico-testuale, infine, è la stessa scaletta tematica ampiamente
svincolata da criteri di rigidità contenutistica e anzi aperta a tutto campo
verso inserti alternativi che si aggiungono per vaga inerenza o per sem-
plice associazione d’idee a rappresentare la prima e più significativa ca-
ratteristica del parlato in senso stretto di una tradizione discorsiva, quella
del prontuario-farmacopea, che si distacca notevolmente dai generi tes-
tuali argomentativo-espositivi – come possono esserlo i tradizionali
trattati di medicina – concepiti in condizioni di cospicua distanza co-
municativa.294 Si veda ancora una volta, a questo proposito, come nel
brano di c. 79v lo sviluppo tematico assuma un carattere semialeatorio e si
dispieghi lungo un percorso che dalle proprietà mediche del legno della
quercia passa a quelle alchemiche della felce che nasce su di essa per poi
tornare, dopo l’inattesa irruzione nel campo della magia bianca, a ricette
medico-curative, non più però a base di erbe, ma di ingredienti animali.
Pur considerando nel complesso i fenomeni finora elencati (tessitura
solo parzialmente strutturata del discorso, costruzioni sintattiche disa-
dorne e incomplete, vocabolario ripetitivo e approssimativo, ecc.)295 non
è tuttavia legittimo qualificare la lingua dei brani da cui essi sono tratti
come “infarcit[a] di espressioni tendenti al volgare”.296 È più opportuno
limitarsi a considerare tali passaggi redatti in una varietà di latino che
presenta segni evidenti del parlato stricto sensu, senza però rimandare ad
una dimensione diasistemica dello spazio varietistico della lingua latina e,
ancor meno, ad un presunto continuum diasistemico latino-volgare.297
Ciò che risulta tutt’al più marcato dal punto di vista diasistemico sono
quelle unità lessicali, come “tartaruca”, “luzola”, “Disferracavallo”, “pori”
ecc. (c. 58v), che si possono considerare situate in prossimità del polo
immediatezza della dimensione diafasica,298 senza che con ciò si possa
comunque affermare con assoluta certezza di essere passati dall’uso del
latino a quello del volgare – il primo lessema compare ad esempio anche
nella forma declinata in accusativo “tartarucam” e anche in ablativo: “De
299 Anche qui si trovano nondimeno numerosi fenomeni riconducibili ancora una
volta al parlato in senso stretto (cfr. Koch/Oesterreicher 2011, 6 ssg.) come la
ripetizione rafforzativa in: “ch(e) lly pylly non nascano et no(n) nasono” o la
ripresa in: “poste la cu quella aqua”.
300 Cherubini 2001a, 133.
301 http://www.treccani.it/enciclopedia/causativo_(Enciclopedia-Italiana)/.
2.2.1. Stratificazione spaziale 91
Fin qui, dunque, la descrizone del codice nella misura in cui esso è
pervenuto ai nostri tempi. Come svela l’indice della trattazione, stilato da
una quinta mano in un foglio aggiunto all’inizio del quaterno che
comprende le cc. 1 – 8, il manoscritto contava però all’epoca della sua
compilazione almeno 136 cc. e risulta pertanto mutilo per più di un terzo
del corpo originario.305 Grazie alle diciture del sommario: “Beatus vir”,
“Laudate Iherusalem”, “Laudate dominum”, “Cantate”, ecc., si può rico-
noscere tra i testi mancanti, in primo luogo, la serie quasi completa dei
salmi, che occupavano le carte 81 – 98. Come lasciano intendere i titoli
“Adonai”, “Deus invisibilis”, “Deus celi”, “Deus, qui exaltasti” ecc., si tro-
vavano poi anche nelle carte successive invocazioni e formule precatorie di
vario genere. Nel bel mezzo di questi richiami per lo più lemmatici a
scongiuri e ricette, tra le quali ne va segnalata almeno una in volgare
introdotta dalle parole “Queste sonno”, è possibile però cogliere anche il
rinvio ad un vero e proprio trattato di alchimia, e più precisamente al
Liber de consideratione de quinta essentia di Giovanni da Rupescissa.
All’opera del frate francescano fanno riferimento sia la menzione: “Si teste
Salomone”, che riprende l’incipit del Canone I, sia l’istruzione “Canon 3.us
ad extrahendum 5.am essentiam a sanguine humano, ad extrahendum de
omnibus fructibus, follis et radicibus”, con cui si ripropone esplicitamente il
procedimento per trarre l’elisir di quinta essenza descritto nel Canone III.
Riconducono infine allo stesso testo anche le numerose allusioni a episodi
biblici strettamente correlati alla figura di Tobia che si trovano nel corso
della trattazione e che ricorrono assai frequentemente anche nel De quinta
essentia. 306
Come si è visto finora e come si approfondirà nel prossimo paragrafo,
i viaggi, di codici e di persone, la sovrapposizione di conoscenze, im-
pronte e stili diversi si elevano ad elemento costitutivo che contraddi-
stingue la natura intrinsecamente composita dei Ricettari di segreti.
ajd potuj con vinjo albo” e 67r “Stercusj aut(em) colujnber irujndinej
adipej porcinoj superpjpositusj cancajtus etj fistula(m)j sanat”.315
Una prima analisi di questi testi consente di riscontrare alcuni dei
fenomeni di mistilinguismo osservati già nel paragrafo precedente a
proposito dei brani di c. 80v del Lapidario. In primo luogo si registra il
frequente inserimento di un predicato latino in diatesi passiva o agentiva,
all’interno di un passaggio espositivo in volgare, che funge da esortativo:
“probetur”, “liberabitur”, ecc. Nei passaggi enumerativi, lo slittamento
verso il latino è percettibile poi attraverso la flessione nominale tesa ad
evidenziare soprattutto le relazioni genitive, come in: “ova formicis”. Non
mancano nemmeno fenomeni che rimandano ad una tipologia di mi-
stilinguismo più propriamente definibile come code mixing latino-vol-
gare. È questo il caso, ad esempio, della ricetta di c. 48r, dove si trova un
sintagma verbale “libera j rabia” (leggi: “liberabi a”) con suffisso di
morfologia in parte latina (l’informazione grammaticale relativa al
tempo) e in parte volgare (l’informazione grammaticale relativa alla
persona), seguito da un sintagma preposizionale il cui costituente so-
vraordinato “a male” è introdotto da una testa latina (la preposizione a),
ma termina con un modificatore volgare (il sostantivo male) e il cui
costituente subordinato “de preta”, con la particella che svolge qui la
funzione d’introdurre l’argomento, prosegue a sua volta sulla strada ora
spianata del volgare. Casi analoghi di code switching, in cui si verifica un
cambio di codice in corrispondenza dello snodo tra due costituenti, e di
code mixing, in cui il mistilinguismo dell’enunciato si spinge fino all’in-
terno dello stesso sintagma,316 sono poi rispettivamente quello relativo
alla ricetta di c. 48r, dove l’avvicendamento ha luogo tra le unità sintat-
tiche: “cumj optimo vino” e “quando li pigla l’acidente” e quello
dell’annotazione di c. 47r, dove a spiccare è il nucleo bilingue latino-
volgare costituito dalla preposizione ab e il dimostrativo isi: “ab isi potu
liberabitur”. La ricetta di c. 66r può rientrare infine sia nell’una che
nell’altra tipologia, essendo impossibile stabilire con certezza se la pre-
posizione “con” che apre l’ultimo sintagma “con vinjo albo” introduca un
cambio di codice dal latino al volgare o rappresenti invece una soluzione
volgare dissociata dal suo stesso modificatore “vino”, come sembra tra-
pelare dalla scelta paradigmatica dell’aggettivo “albo” che può conside-
rarsi, al pari del sostantivo, una forma ablativa.
stano una grande apertura da parte dei professionisti ebrei nei confronti
della lingua dei cristiani e rendono alquanto plausibile l’ipotesi che questi
si servissero del volgare siciliano, come pure del latino, non solo nel
momento in cui si rendeva necessaria un’interazione con pazienti esterni
alla comunità, ma anche nelle relazioni, di natura professionale e non,
con i membri dello stesso gruppo etnico-religioso, arricchendo così il
proprio repertorio di ebraico e arabo con la varietà romanza radicata nel
territorio in cui si trovavano ad operare.324
324 Cherubini 2001b, 221 – 22; cfr. Scandaliato/Gerardi 1995, 115 – 33.
325 Cherubini 2001b, 204 – 05.
326 Cherubini 2001a, 137.
98 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
causa della totale mancanza di indizi linguistici in questo senso, sulla sua/
loro effettiva padronanza dell’idioma siciliano. Le tracce consistenti di un
idioma centro-meridionale che si registrano nel testo della missiva-
scongiuro a Carlo Magno sembrano comunque attestare un’elevata dis-
posizione ad integrare nella propria produzione testuale, durante l’attiva e
ponderata operazione di copiatura, elementi di un volgare non natìo. I
lunghi brani redatti in una varietà di latino prossimo all’immediatezza
comunicativa, a quanto pare non sempre ricavati da un antigrafo, che si
frappongono a quelli invece riconducibili ad una precisa tradizione, at-
testano poi una sicura padronanza della lingua dotta, da parte degli stessi
compilatori, che va ben oltre una mera competenza ricettiva. L’influsso
del latino si rende sensibile anche nei passaggi in volgare siciliano vergati
nel retro dell’ultima carta del manoscritto; sul repertorio di questo suc-
cessivo scrivente, che andrà considerato di origine autoctona, non si è in
grado però di valutare la sussistenza o meno di un eventuale bilinguismo
attivo latino-volgare. Le peculiarità grafiche riscontrate nelle rubriche di
quello che fu tra i primi glossatori in ordine di tempo e quantità di
interventi, rubriche linguisticamente molto affini alle ultime menzionate
portano una preziosa testimonianza del plurilinguismo di un importante
gruppo di parlanti alloctoni, quello storicamente attestato dei guaritori
ebrei.330 La testimonianza perviene dall’utilizzo che questi fa del sistema
grafico latino e della lingua siciliana, appresa evidentemente in fase adulta
al fine di entrare in contatto con una cerchia di professionisti e con un
pubblico di origine insulare custode sì della stessa cultura pratica, ma
estraneo alla lingua semitica. Per suo conto, il glossatore a cui si devono le
due aggiunte in volgare peninsulare, oltre a quella in latino, dà nuova-
mente prova dei contatti migratori con l’Italia continentale – non ci sono
motivi che spingano a ritenere che il codice abbia intrapreso un viaggio
verso la penisola per poi ritornare in Sicilia – contatti che risultano
evidentemente intensi, ma che finora non sembrano aver suscitato inte-
resse fra gli studiosi di storia della lingua per il semplice fatto di non
riguardare direttamente Firenze e la Toscana (cfr. infra, par. 1.1.).
peq kgc\q_ k_ko}pou picm_a o}ma stqumt’ did\zmou oz w\pqiou ]m|m b|z latf-
f\qi waqm’
[Per ligari li lupu pigghia una strunt di dainu oi capriu e non voi maggiari
carn<i>]
akkoup\ta.S\mtou Sukgb]stqou \loumte |k_ b]qi st\ba k\so}a bb_st_\l_
paws_a
[allupata. Santu Silivestru a munte oliveri stava la sua bbistiami pascia]
]couaqd\ba wsisi veqad_b|swou wou\k_ lamtf\ou wou\kg poukw\ou wou\k_
\laka
[e guardava, scisi fera di boscu quali mangiau, quali pulcau, quali a mala]
be_ak_lamdaou s\m tou S_kgb]stqou \l]mtfou kab_a st\ba ]pkamffia ]ka-
cq_l\ba tff]sou w{
[via li mandau. Santu Silivestru a menzu la via stava e planggia e lagrimava,
ggesu xu]
]kab}qtffi laq_a pass\ua d_ss_k_ w_\c_ Sikib]stqou wipk\mtffi ]k\cqilg
oisicmo}qi w|loumom
[e la virggi maria passava, dissili: chi aji Silivestru chi planggi e lagrimi? Oi
signuri, comu non]
b|cmou pk\mtfiqi ]kacqi l\qi \lo}mti |kib]qi st\ba kal_a bbisti\lg p\wsia
]couaqd\ba
[vogghiu plangiri e lagrimari: a munti oliveri stave, la mia bbistiami pascia e
guardava,]
ws_si v]qa dib|swou wou\ki lamtf\ou wou\ki poukiw\ou wou\ki \llaka b_a-
kilamd\ou
[scisi fera di boscu quali mangiau, quali pulicau, quali a mmala via li
mandau.]
Sikib]stqou p]q wg m|m kik_coi soi cmo`qi wilik_cou wim|m s\tffou mewsika-
s_qa p|zwi swo}qa
[Silivestru, per chi non li lighi? Signuri, chi mi ligu chi non sacciu? Nesci la
sira poi chi scura]
]dd_peq w_kkast_dda o}mawi ko}tffeipo_o}wgkko}ma ]dakkoupou eouk_cou
d]mti ]\do}mmi
[e ddi per chilla stidda una chi lucci piu chi lluna ed al lupu eu ligu denti e
ad unni]
\mil\ki wi pitt]qqa stqawsimab]mtqi wim|m v\tffal\ki \kal_a bbisti\li p]di
wiaww\tou
[animali chi pi tterra srascina ventri chi non fazza mali ala mia bbistiami,
pedi sciaccatu]
momp]diqqito}mdou peq vimawiko` so}kimom cio}mtfi \ka t\uouk dikous\mtou
sakbato}qi \k
[non pedi rritundu, per financhi lu suli non jiunci a la tavul<a> di lu santu
salvaturi. Al]
2.2.2. Stratificazione temporale 103
334 Da: Schneegans 1908, 576 – 77; 580 ssg., modifiche alla translitterazione mie.
335 Si sono corrette le numerose sviste di Pradel (1907), che riguardavano peraltro
anche l’originale in alfabeto greco, in base alla trascrizione che Schneegans (1908,
571) dichiara di avere effettuato su di una collazione fornitagli dallo stesso
vicebibliotecario della Marciana Giulio Coggiola, trascrizione a sua volta
emendata degli errori segnalati successivamente da Salvioni (1909), Subak (1909)
e Bonomo (1978, 328 ssg.).
336 Il grafema può, ma non deve essere necessariamente seguito da vocale anteriore.
La concomitanza di lettere doppie e semplici non sembra inoltre rispecchiare
sempre un diverso rapporto fonetico (cfr. Distilo 1993, 313).
337 Cfr. Distilo 1993, 312 ssg. Nell’ultimo caso di entrambe le tipologie di corri-
spondenze va però considerato che il rapporto tra le rispettive rese grafiche e
foniche mostra forti oscillazioni anche nella tradizione scrittoria in alfabeto la-
tino.
104 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
sidera che alcuni degli scongiuri in lingua greca del codice si appellano
direttamente alle larve della seta o fanno cenno all’allevamento dell’utile
insetto,347 il riferimento alla pianta del gelso, impiegata notoriamente
nella bachicoltura,348 s’insedia in un preciso contesto. Uno dei centri
principali per la produzione di seta greggia in Europa era localizzato, fino
alla prima età moderna, nella zona geografica compresa tra la Sicilia
orientale e la Calabria meridionale e soprattutto la città di Messina
rappresentava uno snodo nevralgico per il commercio della pregiata fibra
tessile in tutto il mediterraneo.349 Per quanto riguarda poi l’agionimo cui
si fa menzione nel secondo scongiuro, va preso atto che tra i personaggi
entrati in fama di santità che rispondevano all’appellativo di Silvestro si
conta un nobil’uomo vissuto nel XIIo secolo ed entrato sin da giovane
nell’ordine di San Basilio a Troina in Sicilia. Il monaco era noto presso i
fratelli per i suoi poteri taumaturgici e la leggenda narra che si fosse
ritirato in una foresta per sfuggire alla nomina di abate conducendo fino
alla sua morte una vita dedita alla preghiera e alla contemplazione.350
Considerando che la letteratura agiografica, nella quale si riportano
schemi relativamente fissi per la tipologia dei miracoli, attribuisce so-
prattutto agli eremiti dei poteri sovrannaturali su belve e animali selva-
tici,351 sembra che il San Silvestro protagonista dello scongiuro si possa
identificare proprio con il monaco di Troina.352 Seguendo questa traccia
si potrebbe mettere facilmente in relazione il monte Oliveri, indicato
nella storiella come il luogo sul quale il santo portava al pascolo il suo
gregge, con una contrada detta a tutt’oggi Oliveto distante pochi chilo-
metri dall’abbazia greca della stessa località.353 Come osserva Distilo,354
sodio evangelico della maledizione del moro o del fico sterile da parte di Cristo
(Mt 21, 19 – 21 e Mc 11, 13 – 14; cfr. http://www.laparola.net/testo.php?versioni
[]=C.E.I.&riferimento=Matteo21 e http://www.laparola.net/testo.php?versioni
[]=C.E.I.&riferimento=Marco11). Non è comunque del tutto da escludere,
prosegue lo studioso, che le definizioni rientrino a far parte della terminologia
patognomica della letteratura medica medievale. Il volgarizzamento siciliano
trecentesco della Mascalcia di Giordano Ruffo, ad esempio, denomina alcune
particolari tumefazioni cutanee del cavallo “muri oi chelci” (da: ibid.).
347 Cfr. Pradel 1907, 136; Scheegans 1908, 592.
348 Cfr. http://www.treccani.it/vocabolario/bachicoltura/.
349 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/messina_(Dizionario-di-Storia)/.
350 Cfr. Schneegans 1908, 592; Bonomo 1978, 332.
351 Baldelli 1971, 129.
352 Schneegans 1908, 592.
353 Bonomo 1978, 332.
354 Distilo 1993, 317.
106 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
377 In alri casi, come in uno scongiuro per ottenere successo nella caccia prima della
recita del quale si prescrive di fondere del “wio}mbbou“ – il riferimento alle armi
da fuoco rappresenta fra l’altro un ulteriore, anche se non propriamente indi-
cativo terminus post quem (cfr. Schneegans 1907, 584; 588) – è attestato anche lo
sviluppo vernacolare [kj] < PL (cfr. Rohlfs 1966 – 69, § 186).
378 Cfr. Mattesini 1994, 429.
379 Distilo 1993, 310 e 315.
380 Si tratta del Barberiniano gr. 336 della Biblioteca Vaticana, databile attorno agli
ultimi decenni del secolo XV (Distilo 1993, 310). Secondo Pugliese Carratelli
110 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
(1982, 685), nello stesso codice si troverebbe anche un testimone dello scongiuro
contro il lupo svelato a San Silvestro, riscontro però non confermato dal con-
trollo diretto di Distilo (1993, 310).
381 Distilo 1993, 312; cfr. Bonomo 1978, 245 ssg.
382 Cfr. Schneegans 1908, 571; Salvioni 1909, 323.
2.2.2. Stratificazione temporale 111
vibili ai più famosi medici di tutti i tempi che circolavano tra il medioevo
e la prima età moderna: Galeno, Ippocrate, Discoride, Avicenna, Rasis,
Costantino l’Africano et al.392 Grazie alla facile reperibilità degli ingre-
dienti da raccogliere per la preparazione dei medicamenti ivi descritti, il
ricettario si prestava in modo particolare da vademecum per quella schiera
di pratici che si occupavano della salute del popolo minuto coltivando la
virtù della charitas. 393 La paternità del Thesaurus pauperum viene gene-
ralmente riconosciuta a Pietro di Giuliano, più noto come Petrus His-
panus o Hispanensis. Compiuti gli studi di logica e medicina a Parigi, il
giovane lisboeta fu tratto in Italia prima dal comune di Siena che gli offrì
una cattedra presso lo Studio Generale tra il 1247 e il 1252, poi dalla
Curia romana che lo nominò vescovo e successivamente cardinale, oltre
che archiatra pontificio. Alla morte ravvicinata, nel 1276, di Gregorio X e
dei suoi due successori, Pietro Ispano fu nominato infine papa con
l’appellativo di Giovanni XXI. Anche il suo pontificato fu però di breve
durata e l’improvviso decesso, avvenuto due anni più tardi a causa del
crollo di un’ala del palazzo papale di Viterbo, gli valse definitivamente
quella fama di stregone che si era già procurato in vita grazie al suo
notorio interesse per l’alchimia più volte condannato pubblicamente da
prelati rivali.394 Altro nome che viene preso spesso in considerazione,
soprattutto in ambito francese, quando si tenta di risalire all’autore del
Thesaurus pauperum, è quello di Arnaldo da Villanova. Al celebre filosofo
catalano, medico dei reali d’Aragona prima e del papa Bonifacio VIII poi,
si rifanno innumerevoli raccolte di ricette mediche della prima età mo-
derna sia a stampa che manoscritte. Tra le prime vanno menzionate Le
tresor des pouures selon maistre Arnoult de Villenoue, pubblicato a Lione nel
1518 e la Sinopsis remediorum paratu facilium ad quosvis morbos sive
Thesaurus Pauperum, stampata a Parigi nel 1577. Tra le seconde si registra
un consistente numero di ricettari di area non solo francese, ma anche
395 Rapisarda 2001, xii; xix ssg. Per approfondimenti biografici su Arnaldo da
Villanova si vedano le opere ivi citate.
396 Rapisarda 2001, xx-xxi.
397 Rapisarda 2001, xxxi.
398 Pereira da Rocha 1973, 3 ssg. e 39 – 72.
399 Rapisarda 2001, xxxiv.
400 Rapisarda 2001, 136.
2.3.1. Traduzione verticale 115
153. Si la natura di la fimmina fussi troppu aperta ki lu collu di la matri vaxillassi, per
quali cosa la conceptioni si impedica
[…]
9 Item pigla la lepora prena et partila per meczu et li quaglurilli ki trovirai in ventri a
li figloli duna a 7cquilla ki è prena et non si purà disirtari.
[…]
nachindi a biviri et dilli quisti tri fiati a l’auricha et chasquidunu di quanti sunu
intornu di lu muccicatu divinu diri unu Patrinostru et una Ave Maria a reverentia
di la Trinitati. “Omnes gentes plaudite manibus: iubilate deo in uoce exultacionis.
/ Quoniam dominus excelsus, terribilis: rex magnus super omnem terram. /
Subiecit populos nobis, et gentes sub pedibus nostris: / Elegit nobis in hereditatem
suam, speciem Iacob, quem dilexit. / Ascendit deus in iubilatione et dominus in
voce tube. / Sallite deo nostro, sallite: sallite, regi nostro sallite. / Quoniam rex
omnis terre deus: sallite sapienter. / Regnabit deus super gentes: deus sedet super
sedem sanctam suam. / Principes populorum congregati sunt cum deo Abraam:
quoniam dii fortes terre, uehementer elevati sunt”.
[…]
416 Come segnala Rapisarda (2001, 113), un testimone della stessa formula si trova
anche nel ricettario provenzale edito da Brunel (1962).
2.3.1. Traduzione verticale 121
424 Cfr. Koch 2003, 109 – 10. Si veda infine a questo proposito anche il caso in cui il
cambio di codice che si verifica in corrispondenza della parte da recitare non sia
dal volgare al latino, ma dal latino al volgare, come nel seguente scongiuro degli
anni 1490 – 91 trovato fra le carte di un notaio messinese (Verde 2008, 82):
“Ottima oratio et divotissima ad cancrum morbum et eciam alia et nota quod
dicitur tribus diebus celebrata inde missa virginis Marie cum hoc quod dicens et
paciens sint iejuni. + Jesu christu per la via andava gucta chancaru et vermi
panpala ascuntrava et dissili Jesu christu + undi vay gucta chancaru et vermi
panpala a cuy rispusi vayu per chitati et per casali per sangu viviri et carni
manducari et ipsu mi dissi vatindi arreri chi non chi poy intrari per li dudichi
papa chi a ruma sunnu auzati per li dudichi autara chi a ruma su murati et per li
dudichi missi chi a ruma su celebrati + amari + amari chi lu po durari + per lu
nomu di Jesu quistu mali non chi staya chuy + Amen” (da: ibid.). Questo
esempio, nel quale il redattore dello scongiuro rifugge dalla lingua della sua
istruzione, il latino, prediligendo ad essa il volgare, rende chiare, forse più di ogni
altro, le specificità della comunicazione verticale.
124 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
456 Cfr. Mattesini 1994, 424 ssg.; Rinaldi 2005, I, 349 ssg.
457 Mattesini 1994, 427 ssg.; Rinaldi 2005, I, 358 – 431.
458 Rapisarda 2001, lxv.
459 Palma 1931.
130 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
2.3.2.1. Commutazione-adattamento:
il Libro di ricette e secreti (sec. XV)
Il manoscritto indicato nel catalogo della Biblioteca Comunale di Paler-
mo come “libro di ricette e secreti” è una raccolta d’istruzioni alchemiche
per ottenere determinate sostanze (sali, olii, tinture, ecc.) da una materia
prima comune: l’urina umana.479 Nella sua catalogazione, Gioacchino di
Marzo descrive il manoscritto come un piccolo codice cartaceo estratto
evidentemente da un’opera di maggiori dimensioni.480 Il codicetto, che
vanta di un’edizione critica curata da Daniela Patti cui si attinge in questa
481 Patti 2004, 228 ssg. Il manoscritto è segnalato da Cherubini (2001a, nota 113)
come codice ancora inedito e apparentemente destinato a rimanerlo per lungo
tempo a causa dei lavori di ristrutturazione della biblioteca palermitana, sup-
posizione per nostra fortuna prontamente smentita.
482 Patti 2004, 206.
483 Patti (2004, 206) sulla base degli Huchets n. 7835 e 7833 di Briquet (1907, 425).
484 Patti 2004, 211.
485 Patti 2004, 212.
134 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
489 Oesterreicher 1993, 271 – 72. Anche la graficazione comporta però sempre un
certo emendamento ad esempio dei diversi fenomeni di esitazione, delle inte-
riezioni, delle riprese, ecc.
490 Oesterreicher 1993, 273. Introducendo gli enunciati attraverso verba dicendi, ad
esempio, nella messa per iscritto si opera una ri-referenzializzazione dalla sfera
deittica dall’ego, hic e nunc all’is, illic e tunc che rappresenta una considerevole
rielaborazione concezionale (cfr. Oesterreicher 1998, 14 – 15).
491 Oesterreicher 1993, 277; cfr. Selig 2006, 1941.
492 Le riflessioni seguenti si rifanno a Patti (2004, 216 ssg.).
136 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
che animal che sia al mundo, sì che el è da credere che nel corpo humano
consista tucte le virtute magiuri; et de tucte te ne dirrò una che beato te se tu
la farrai. Et se tu la farrai, tu serrai un signore donde tu sei un servo, et habi
ad mente che de le mille persone uno o vero dui l’à possuta intendere; et
sapientissimi homini, signori religiosi, docti, pocho ànno hauta questa gratia
da Dio de haverla intesa, perché li antiqui philosophi l’ànno fortissimamenti
occultata et tramutati tucti li nomi in questa. Dapoi che el signore Dio me l’à
concessa, me sonno disposto de manifestartela ad ti, sì che adoperala in fare
bene per amor suo, in dire messe, ad fabbricare chiesie, hospitali, ad fare
charità ad poveri bisognusi, ad vidove, et orfani, /
[c. 45v] ad povere donzelle. Questa virtù nota che io componerò, ella se
domanda lapis philosophorum. Et nota che questo se fa de tre cose, che
ciaschuna de queste se chiama lapis per li libri de li philosophi, cioè lapis
animale et lapis minerale et lapis vegetabile, che per queste tre cose se fa una
medicina sancta che sana omne corpo imperfecto, rame, stagno, piumbo,
ferro, reduceli in perfectissimo oro et argento. Anchora se adop(er)a mara-
vigliosamenti in un corpo humani, sì come in li corpi de’ metalli, ad caciare
via omne infirmitade.
Nota: el lapis minerale simo noi medesimi et non credere altramenti. Et
multi che qua piglia orrore, dico che Dio formò lu homo de terra: cridi
veramenti che noi siamo el minerale, et tucto contene in l’orina de lu homo
el vero lapis minerale, et è tanta la virtù de questa che molti la bevono, et non
piglia altra medicina che questa sol per la sua gran vir /
[c. 46r] tute, et tucti li coluri del mundo è in secreto in questa chi la
sapesse adcompagnare con le maestre sue, et le altre virtù assai che qui non
mecto.
Prima piglia la urina de homo roscio de meza età, quella de la matina
quando se leva, et tenela serrata et tollene quanta ad ti pare et serva in uno
vaso de vitro benissimo et mectela in fimo de cavallo per giorni 50 ho vero
60, tanto che la venga negra como inchiostro, et omne 15 giorni mutarli el
fimo caldo, fine che l’è al dicto signo, da poi càvala fora et tèlla ad l’aere per
giorni 15; omne dì dui volte piglia la boza con mano et scossala et mestichala
benissimo, et una volta la nocte basta. Da poi mictila ad lambicho [in] pocho
focho, et non havere prescia: tu ve[de]rai venire fora lo spirito biancho, et
quisto è el mestruo che conduce tucta l’arte, et salvalo cautamenti. Anchora
la terra che te /
[c. 46v] remane servala con diligentia, perchè te l’abisogna fare spirituale
col tuo mestruo perché questa è la terra benedecta et la terra sancta che
produce omne cosa, sì che salvala. Piglia el mestruo mestecato con uno
pocho de la sua acqua et mictila in putrefactione per qualche dì: al fundo
descenderà anchora terra et questa terra si è quasi spirituale. Micti a lam-
bicho et desep(ar)a l’uno da l’altro, la terra, el mestruo et l’acqua, torna el
mestruo sopra la terra, et fa che questo mestruo la corroda et facciala spi-
rituale como esso in compagnia et con diligentia falli sublimare, così hai la
tua farina aparechiata; ora te mancha l’acqua, la quale è el to lapis vegetabile.
Dico che questa si è l’acquavite. Se l’è optima et perfecta ha tanta virtù in sé
che ella te fa l’oro potabile et fàlo spirituale per sì facto modo che ella te ’l fa
140 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
499 Patti 2004, 228 ssg., corsivi suoi. Si è omesso dalla citazione il numero del rigo.
L’inizio della nuova carta è riportato a capo.
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 141
500 Patti 2004, 213, 216. Come sottolinea la studiosa (ibid.), la tendenza ad espri-
mersi in maniera poco chiara è una strategia dettata dalle esigenze di segretezza
che l’alchimia condivideva con l’astrologia e altre scienze occulte.
501 Di Marzo 1934, 65, cit. da: Patti 2004, 205.
502 Patti 2004, 222.
142 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
ducato d’oro, et buctali sopre de quello olio intanto che l’imbeva, lo dicto
oro se calcinarà et farrasse polvere […]
[c. 51r] Calcinatio lune
Recipe luna copellata et dissolvila in acquaforte che sia facta de alume et
de salnitro, ho vero sia facta de vitriolo, salnitro et cinabrio, et come haverai
dissoluta la luna, retra l’acqua per lambicho et luna remarrà in fundo de la
boza calcinata. Poi habi acqua pioviale distillata per lambicho – l’acqua vole
essere colta quando piove – et micti de questa acqua distillata sopra la luna,
tanto che sopravanze dui deta, poi la vapora ho vero la cava per lambicho et
fa così quactro volte a ciò che la luna sia ben lavata et caciata la salsedine de
l’acquaforte, et fa che te remanga asciucta.
De sale urine
Urine sic fit: recipe urinam puerorum XII annorum vel circha et pone in
magna quantitate in situlam coopertam habentem prope fundamentum per
duos digitos cannulam, et putrefiat per XL dies vel plus; et semper post X
dies abstrahe aquam puriorem et repone ibidem, fecibus prius /
[c. 51v] abiectis. Postea coque lentissimo igne, vel si vis aquam servare
quia ad multa utilis est, distilla usque quo inspissetur ut mel spumatum, vel
prope, postea solve in mundissima aqua calida et coque lentissimo igne
donec coaguletur in sal, deinde sicca, et tritum facile solvitur in aquam vel
oleum. Et si florenum ignitum in hoc oleo extinseris vel in primo, augebitur
pondus eius, et quotiens extinseris pondus unius grani addetur. […]
[c. 57v] […] Virtutes supradici salis urine sunt hec, et primo:
Recipe dicti salis onze 3, auri calcinati onza 1, et sic p(re)p(ar)ati mictili
inseme al focho de lucerna /
[c. 58r] come tu sai in boza ad fixandum in unum, et fiet in 80 diebus,
del qual fixo puni una goza del suo liquore sopra onze 16 de moggio vino
purgato et bene p(re)p(ar)ato, et subito se cognelarà.
Item tolli auro fuso in una copella et sopra puni uno poco del dicto
moggio cusì congelato et mésceda primamente fine che ’l dicto moggio sia
tucto incorporato collo auro, et remanerà onze VI de optimo et puro auro.
Fixio cinaprii cum sale supradicto sic.
Fac aquamfortem de vitriolo et salenitro […]503 libbre 4 torrai libbra 1
cinaprio bene trito et puni in dicta acqua, et distilla ad modo de acquaforte,
et distillato, retorna l’acqua distillata sopra le feze, et cusì farrai VII volte, et
haverai el cinaprio biancho et fixo; et poi el puni sopra al marmore et
méseda con lui onze 4 del sopradicto sale de urina, et tucto se converterà in
acqua, la quale imbianchisce la lamina cuprea, smorzata in essa, dentro et de
fora.
Et facto questo, puni ad distillare dicta solutione et el cinaprio se di-
stillarà in acqua chiara, /
[c. 58v] el sal de urina restarà in fundo del vaso, el quale reserva dili-
gentemente.
Ad album cum supradicta aqua super mercurium et cuprum.
504 Patti 2004, 236 ssg., corsivi suoi. Si è omesso dalla citazione il numero del rigo.
L’inizio della nuova carta è riportato a capo.
505 Patti (2004, 222), che ricollega la presenza dei passaggi in latino al fatto che nel
testo si citino altre opere alchemiche. “D’altra parte”, prosegue la studiosa, “al di
là della netta distinzione tra le parti in latino e quelle in volgare, non è raro che il
testo volgare si arricchisca di parole latine o che, in altri casi, il latino faccia
incursione nello scritto […] venendo quasi a creare una situazione di mescolanza
di codici linguistici” (ibid.).
144 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
questo punto di vista è anche la ricetta di c. 58v, in cui la ripresa del latino
in corrispondenza della nomenclatura: “puni p(ar)te I sopra X cupri
purgati, alias mercurii”, scelta economica rispetto all’utilizzo di diciture
volgari per la possibilità che il latino offre di esprimere il genitivo me-
diante flessione, comporta un proseguimento nello stesso codice anche
nella proposizione che chiude la prima istruzione: “et erit luna in omni
iuditio”. Fenomeni analoghi si sono potuti osservare anche nei capitoli
precedenti in merito al Lapidario (cfr. infra, par. 2.2.1.3.) e il documento
preso qui in esame consente pertanto in primo luogo di avvalorare le
considerazioni fatte finora. Ad attirare l’attenzione sono in secondo luogo
le sequenze nelle quali il ricorso al latino non pare rispondere, come nelle
carte finali, ad esigenze di economicità espressiva, né il cambiamento di
codice seguire logiche d’impostazione e di sviluppo testuale (titolo rubrica
vs. testo e, all’interno del testo, elenco preliminare degli ingredienti vs.
modello espositivo della ricetta), piuttosto che d’incanalamento in binari
precostituiti (si vedano specialmente le formulazioni fortemente stan-
dardizzate di fine ricetta nel caso di c. 59r). A c. 51, per fare un esempio,
la lingua che traspone le due ricette è rispettivamente omogenea e priva di
scivoloni e intermittenze: la prima ricetta è in volgare, la seconda in
latino. Il compilatore prosegue poi la dossologia nella lingua dotta e il
volgare ricompare improvvisamente, così com’era sparito, a c. 57. La
domanda che ci si pone in merito a questi fogli è che cos’abbia giusti-
ficato una tale compatta e per certo pienamente consapevole alternanza di
codici. La risposta più esauriente a questo proposito la fornisce Selig
quando giunge a concludere, riesaminando lo scenario comunicativo
pluridimensionale del mondo romanzo nell’era media, che “Ver-
ständlichkeit ist nur einer von vielen Faktoren, die die Sprachwahl und
Sprachgestaltung in der Kommunikation beeinflussen”. Va considerato
infatti che “Sprache dient auch der sozialen Abgrenzung oder der Si-
cherung von kulturellen Traditionen, und diese Funktionen”, prosegue
Selig, “mögen in bestimmten Situationen die Sicherung der (passiven
oder aktiven) Zugangsmöglichkeiten für die Rezipienten weniger wichtig
erscheinen lassen”.506 L’alternanza di codici tra una ricetta e l’altra, vale a
dire, non è motivata in prima linea dal tentativo di criptare, ovvero di
rendere più facile la comprensione di taluni passaggi, ma ha lo scopo
primario di distinguere i partner comunicativi come persone che hanno
ricevuto una determinata formazione e fanno parte di un ceto sociale
medio-alto. Il latino è il simbolo dell’appartenenza ad una precisa cultura,
prima ancora che una lingua a cui si ricorre per riverenza magico-religiosa
o rigore scientifico. Come si è visto già in par. 2.3.1. con il Thesaurus
Pauperum, anche qui è dunque il contesto sociolinguistico che i signifi-
canti latini evocano a giustificarne l’utilizzo. In questo caso, però, la
comprensione dei significati da parte del lettore viene data per scontata:
la comunicazione tra maestro e discepolo è di tipo orizzontale, entrambi
condividono gli stessi strumenti professionali che utilizzano con egual
dimestichezza. Il ricorso al latino, la messa in mostra degli strumenti
appropriati, è funzionale ad attualizzare il contesto in cui si svolge l’opera
alchemica e ad indicare l’abito che occorre indossare nell’esercizio di tale
arte.
Il Libro di ricette e secreti si rivela un oggetto di studio particolarmente
interessante, dal punto di vista strettamente linguistico, non solo per
quanto concerne il rapporto tra lingua volgare e lingua della tradizione
colta (nei termini di quella che si potrebbe definire una comunicazione
orizzontale), ma anche in merito alla marcatezza diatopica del volgare in
cui è composta la maggior parte del ricettario. Stando alla constatazione
di Gioacchino di Marzo di cui sopra, il codice sarebbe “dettato nel vol-
gare che di quei tempi si scriveva in Sicilia, e in qualche parte anche in
latino”. Esaminate le parti in latino e appurato che la compilazione del
manoscritto è avvenuta nella seconda metà del secolo XV,507 va ricono-
sciuto in realtà come la facies linguistica che lo caratterizza sia assai diversa
da quella dei testi visti finora, se non altro da quelli di scriventi autoctoni
del periodo di riferimento. Patti, consapevole delle peculiarità linguistiche
del manoscritto, compie un’attenta descrizione della lingua che esso
traspone, concludendo che non sia possibile giungere ad un risultato
definitivo in termini di localizzazione geografica o attribuzione inequi-
vocabile ad una scripta piuttosto che ad un’altra.508 Il quadro complessivo
che si desume dall’opera pare estremamente articolato e multiforme: “È
possibile riscontrare nel testo […] tratti forti che rimandano a una realtà
settentrionale, un certo numero di tratti mediani […] e infine incon-
fondibili tracce del passaggio dell’opera in Sicilia”.509 Fra i tratti che
rimandano ad una realtà settentrionale, quantitativamente dominanti,
Patti510 menziona anzitutto l’esito dentale in [ts] del nesso palatale [(t)tSi]
visibile nelle occorrenze di “boza” (43v, 46r, 51r), “feze” (58r) e “goza”
ad esempio a partire dal 1428 tale Giovanni Zuppardo per la durata di sei
anni al fine di consentirgli un percorso di studi presso una università della
penisola. L’elargizione di denaro per conseguire un dottorato fuori dal
Regno si ripetè nell’anno 1474 a favore dei fratelli Matteo e Bartolomeo
di Mancino.524 Confermano l’incidenza del fenomeno migratorio anche i
numeri delle iscrizioni registrate nelle università del nord e del centro
della penisola italiana: a frequentare i corsi di medicina nello Studio di
Bologna, tra il 1340 e il 1513, si contano ben trentaquattro studenti
provenienti dalla Sicilia.525
Come testimoniano numerosi contratti di reclutamento, vero è
anche, d’altro canto, che le città siciliane, pur non potendo vantare per
lungo tempo il prestigio di un proprio Studio Generale, non rimasero
tuttavia prive degli insegnamenti impartiti da luminari di medicina in-
gaggiati privatamente dagli ordini monastici domenicani o indennizzati
anch’essi direttamente dalle casse demaniali.526 Un contratto fra i primi di
questo genere, risalente al principio del Trecento, patuisce una paga
annua di 40 onze in oro da erogare a favore di un certo maestro Giacomo
da Corneto.527 Un altro contratto riconduce all’epoca, di pochi decenni
posteriore, in cui il comune di Palermo chiese facoltà a Federico II
d’Aragona di chiamare a sé due fisici, retribuendoli con 50 onze annue
pro capite.528 Un altro ancora riconduce invece al 1467, quando il co-
mune di Randazzo stipulò un contratto con tale Johannes de Caldara-
rio.529 Il fenomeno immigratorio d’insegnanti peninsulari e in particolar
modo di specialisti dal nord della penisola italiana, dunque, era com-
plementare a quello di espatrio degli aspiranti professionisti. Non di rado,
gli operatori medici che approdavano in Sicilia traevano con sé preziosi
manuali dell’arte che usavano condividere con studenti e colleghi.530 Un
contratto stipulato nell’anno 1444 tra un certo maestro Matteo d’Angotta
e un tale Salvatore d’Ursone consente di gettare uno sguardo nelle rela-
zioni professionali che intercorrevano tra i pratici e di dedurre da esse le
dinamiche di circolazione della parola scritta. Esso prevedeva la compo-
[12r]
[…] […]
11 A cavare una spina o legno ch. sia
12 intrato nilla carne
13 Dio fece lhomo lhomo fa laratro
14 laratro falo solco lo solco fa lo
15 grano lograno fa la spica ch. Dio
16 la benedica la spica casca in terra
17 cosi caschi la spinarella o lach
18 iavella quilo ce sarrà intrato
19 et probatu est et veru
20 A guarire la rovella et ogni
21 maldi ganbe probatu et veru
22 piglia un ferechio tre pene d galli
23 na lana pecorina et oglio d oliva
24 et di io te incanto rovellaa)
a)
AVCDF, Raccolta di prescrizioni mediche.
Una lettura più attenta del manoscritto non permette solamente di sco-
prire come le parti citate provengano in verità da due ricette distinte, ma
consente inoltre di svelare come il cambio di codice linguistico dal volgare
italico al romance ispanico sia in definitiva un abbaglio: il passaggio
conclusivo della ricetta contro la “rovella” recita infatti non come legge
Messana: “io son jncato de rodilla”549, ma “io te incanto rovella” (12r 24).
La declamazione in lingua spagnola mediante la quale il guaritore, in-
ginocchiatosi, verbalizza l’atto di estrema devozione appena performato
facendo appello all’aiuto divino è dunque tanto verosimile quanto illu-
soria. Neanche questa fonte di prima mano, in altre parole, consente di
attestare una pratica scrittoria mistilingue da parte di scriventi autoctoni
paragonabile a quella esibita dal compilatore del Libro di ricette e secreti.
È lecito dunque ritenere lo spagnolo, come fa Messana, una “seconda
lingua un po’ per tutti i siciliani”?550 L’intuizione della studiosa non è in
definitiva avvalorata da testimonianze attendibili. Si tratta pertanto di
supposizioni del tutto infondate? Una risposta a questo interrogativo la si
può forse fornire prestando attenzione ad un ultimo caso indicativo,
l’Herbarium della biblioteca Civica Gambalunga di Rimini (v. fig. 6).
Come riportano i censitori del patrimonio artistico della biblioteca
riminese,551 l’erbario ivi conservato ai segni Sc-Ms 8 rappresenta più
terminus ante quem che si ritrova nelle carte insieme alle quali l’Erbario fu
in un secondo tempo rilegato. In merito alla localizzazione geografica non
sorgono dubbi, dal punto di vista linguistico, sul fatto che la sua origine
sia da ricercare in area toscana.555
Ciò che suscita maggiore interesse, anche in questo caso, non è però
tanto la parte del manoscritto in cui è riportato il testimone dell’antica
tradizione erbaria, né tantomeno le divergenze di contenuto che carat-
terizzano i testimoni tardomedievali di tale tradizione, quanto appunto la
testimonianza di una viva prassi di ricezione e riutilizzo dei contenuti
tràditi all’interno di un contesto (para)medico non istituzionalizzato,
quello della guarigione magico-miracolosa, che forniscono i manoscritti
rilegati assieme alle carte dell’Erbario. Il codice di cui fa parte l’Herba-
rium, esaminato nel suo complesso, va definito infatti nei termini di una
raccolta miscellanea di più manoscritti redatti da mani diverse. L’incipit
della raccolta, “Como et quando se de trare sangre” (2r), rimanda subito
alla tradizione flebotomica di Galeno, interrotta però dopo poche carte
(5v) da alcune ricette per la preparazione di medicamenti (15v-16v) seguite
a loro volta da un trattato di astrologia (17r-47v) e da un’altra serie di
ricette medicinali e formule magiche (48r-64r). Questa sezione mostra
una certa continuità tematica con le rubriche di “secreti” ed esorcismi che
occupano le carte subito posteriori all’erbario (112r-117v) portando
dunque a termine la sequenza bruscamente interrotta dall’interposizione
del manoscritto più antico. Al termine delle ricette è possibile individuare
l’inizio di un’altra ripartizione nella quale viene proposto un antidotario
(120v-158v), mentre a porre termine alla raccolta è un manoscritto che
offre notizie utili a chi si voglia recare in pellegrinaggio a Roma (159r-
161v) seguito da una lista di nomi delle tredici sibille incolonnati in un
elenco ripetuto su due carte (162v-163v) e intercalato da uno scongiuro
contro il lupo rapace. L’indizio più indicativo ai fini di una datazione del
codice è la curiosa dichiarazione riportata in fondo a c. 1v, dove si legge:
“Jo petrangelo de juliano da gavignana me 9fesso […] debitore de […]
9salvo Cavalieri de ducati doj […] per una cura facta ad […] Antonio
mio figliolo […]”. La sottoscrizione, che riporta la data del 1467, assieme
alla nota “Herbarium” a c. 1r di mano del sec. XVI,556 lascia intendere che
a quell’epoca le parti che compongono il codice fossero già accorpate fra
loro. Una data alquanto ravvicinata a quella incisa da Consalvo Cavalieri
– il presunto possessore del codice – nell’atto di obbligare il suo debitore,
[2r]
[14r]a)
11 arso et estrenera
8 Ad malle de petra
9 SIgane lo fore dela bretonica et bevelo tepido per iij dj
10 et fa muto prode
[15r]b)
1 De invierno
2 Ad viver sano
3 x pilla tres matines la ructa pista et mesticata con lo mele
4 et cemino stenperato con lo vino biamco et fa muto prode
[15v]
20 Alla infiatura
21 Tollo fava enfiata farina de vena scaldale
22 quanto le poras durar et ponilo supa lo in
23 fiato et subito sera guarito
[16r]c)
[52v]
577 Cfr. Vitale-Brovarone 2006, 53 e 61. Ma anche questi fenomeni in fondo, come
pure i fenomeni di ambito fonografematico quali dittonghi, sonorizzazioni
consonantiche, apocope e prostesi vocalica, nonché i prestiti lessicali, potrebbero
entrare a far parte anche di quei tratti ‘prototipici’ o presunti tali facilmente
acquisibili e imitabili anche in condizioni di contatto linguistico solo superficiale.
2.3.2. Commutazione-adattamento e traduzione orizzontale 167
2.3.3. Coalescenza
592 Musso 2007, 176. Sul viaggio di Carlo V in Italia al termine dell’impresa militare
di Tunisi e sulla letteratura encomiastica del tempo in merito alla visita
dell’imperatore alla città di Genova si veda Zaggia (2003, I, 59 – 107).
593 Musso 2007, 176.
594 Cfr. Rapisarda 2001, l.
595 Cfr. Musso 2007, 176.
2.3.3. Coalescenza 171
due diversi scriventi, il secondo dei quali subentrato ancora una volta
currenti calamo al primo. Si verifica infatti una cesura abbastanza netta
addirittura nel bel mezzo di una rubrica, tra la stesura del primo periodo:
“combure varios ficulnee viridis ut inde maior fumus fiat:” e la frase suc-
cessiva “et si fuerint ficulnee silvestres magis valent” che mostra un ductus
più corsivato e una conformazione diversa di numerose lettere, soprat-
tutto la c, resa ora sotto forma di due linee ad angolo retto e simile ad una
r, piuttosto che di v iniziale, dotata ora di uno svolazzo ad uncino.
Esaminando attentamente quanto prodotto dalla mano principale fino a
quel punto è tuttavia possibile, almeno in questo caso, ipotizzare anche si
tratti di una scrittura dello stesso autore, ma più sbrigativa. Le divergenze
che riguardano la realizzazione delle lettere all’interno di questa ricetta
possono essere cioè considerate varianti realizzate dalla stessa mano, alla
quale i tratti grafici della seconda calligrafia non sono poi del tutto
sconosciuti nemmeno nei passaggi più controllati. Questa serie di ricette
adespote apportano alcuni contributi sulle procedure da realizzare per la
prevenzione di determinate infezioni e pestilenze: “contra febres tertia-
nas”, “ad febricitantes”, “ad quartanam” per poi passare a c. 46v a tema-
tiche affini: “ad morbum caducum”, ecc. e sconfinare infine nella divi-
nazione di malattie: “ad conoxendum utrum omo abiat/morbum
caducum” o, addirittura, nella realizzazione di incanti e fatture: “ut facias
aliquam amittere”, specialmente “ad amorem”.597 Alle cc. 49v-51v, Achille
Graffeo cede nuovamente la penna ad un’altra mano, anch’essa una
corsiva cinquecentesca, che amplia il ricettario a partire da un foglio già in
parte occupato da una ricetta non portata a termine, ma anzi depennata
con una serie di tratti diagonali. Questo ulteriore compilatore intercala
ricette di pozioni magiche come quella “per fare acqua di fare dormire”
(50v) con ricette di cucina, ad esempio la “Rta per fare li mortadelli” (50r).
Alla stessa mano si devono, inoltre, la penultima rubrica del ricettario a c.
67r contro i calcoli renali e le prime due ricette rispettivamente contro “li
murriti” e “i porretti” riportate a c. 2r in epoca evidentemente (di poco)
posteriore a quella di confezionamento del codice.598 Le ricette di cucina,
pari a dieci e redatte tra le c. 49r e 57r, sono state esaminate attentamente
597 Ma le fatture ad amorem (c. 48v.) sono state rese illeggibili dallo stesso scrivente, a
dimostrazione di una certa esitazione nel trattare di materie non conciliabili con
la cultura religiosa ufficiale.
598 Mentre lo scongiuro che segue le due ricette di c. 2r è ad opera della stessa mano
che aggiunge, al termine di c. 50v, un rimedio “ad ongni infirmitate”, oltre che le
lunghe sequenze di prescrizioni che da c. 50v al termine della trattazione si
avvicendano con le parti redatte invece da Achille Graffeo.
2.3.3. Coalescenza 173
603 http://it.wikipedia.org/wiki/Trementina.
604 http://www.treccani.it/enciclopedia/sandalo_res-70 f9c82b-edb7 – 11df-9962-
d5ce3506d72e/.
605 Considerando che il celebre vicerè di Sicilia Marcantonio Colonna, figlio
dell’avvenente Giovanna d’Aragona, vide la luce solo nel 1535 e predilesse la
carriera delle armi (coronata dai meriti acquisiti nella battaglia di Lepanto in
qualità di ammiraglio pontificio) (cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/mar-
cantonio-colonna_(Dizionario-Biografico)/) e considerando che un altro possi-
bile personaggio di riferimento della dinastia Colonna, Marcantonio Colonna
seniore figlio dei nobili romani Camillo e Vittoria Colonna vestì l’abito purpureo
solo nel 1565 (cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Marcantonio_Colonna_(cardi-
2.3.3. Coalescenza 175
606 http://www.treccani.it/enciclopedia/carlino/.
2.3.3. Coalescenza 177
[2r]
+
1 p. cui havissi li murriti di intra
2 pigla cidrach. et fandi pulviri et ditta meitti rai cum unu
3 cannolettu di pinna sufiandu ch. dicta pulviri vaga) vaia
4 dintru p. dui ho tri volti ch. serra sanu dacontinenti
____________________________________________________
5 Acavari porretti
6 pigla unu pezu di canna et in dicta tagliraitanti singni
7 quantu tu hai porretti et dipoi pigla dicta canna et
8 mettila sutta terra ch. comu lacanna sarra fra
9 gita subitu sich.rannu ditti porretti
___________________________________________________
b)
10 Ad cuj fussi spiritatu ch. havissi speritu incorpu
11 piglia quista sequenti orationj et scrivala in una ostia
12 et diala abiviri ho amangiarj ho ch. laparta adossu
13 Cammara tanta lirj post hec /e/ talirj vorj vorax
14 polique livarax cammara tanta lirj 7post /e/ polique
15 livarj clinoris cras 7polisque livarj actantara tanta
16 lirj post /e/ sitalos sita lirj alfos /et/ gulfes
17 mala7 cra fanus te ulfes //=//=//=//=
[42r]
[…]
17 A ffarj colla fortisima chestia In foco et acqua p. ongni cosac)
18 X Rx terra de pellizare et d) destempera cum clara de ova
19 amodo de implastro et macina con un marmore ad
20 modo de colore fina ch. ti parira in p.fettione
21 ad fare unaltra colla fortiss
22 ima p. ogni cosa
23 Rx una tegula ben cotta et fanne polvere sub
24 X tilissima et rubigine deferro et fa la subtilissma
25 an.7 et tanta calcina vjva quanto fussi dui chili polvjri
26 et misca et incorpora cum sexta p.te olej et piu
27 si piu sarra bisogno /
28 ad tingiri ossa dj diversi
29 colurj
30 Rx et mettj ad mollificare in aqua pluvjana ossa
31 de qualsivogla animale p. trj dj et poy fa lixia for
32 X tjssima de cennere de tingitore una p.te et
33 calce viva due parte / et dentro ditta lixia clara me
34 ttj detti ossa mollificatj et mettilj al foco et falli bullire
[50v]
[…] […]
180 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
[51r]
[51v]
[52r]
[…] […]
h)
4 A fare sapone senza foco
5 Rx libri duy de maystra forte una libra de oglio et mettj tuttj q.sti cosi Jn
una
6 conca et cum uno bastone lo mescula bene ch. si salda et si Jntempo di
hore quattro
7 non si salda mettilj una poco de calcina et salvia et saldira
8 A fare sapone bianco
9 Rx scutelli 3 de cennere netta ch.sia sutta Item una scutella di calcina viva
10 et bagna la ditta calcina cum la ditta cennere Jn corpora ditta calcina et
lassa
11 stare fino a tanto ch. sia ben disfatta dapoy miscola benj Jnsiemj la cennere
12 conla ditta calcina et mettj Inuna caseptina ch.sia larga desupra et stritta
13 de abaxo et ch. habia una assa forata cum multj buxi et mettilj dentro la
14 ditta compositione et calca multo beni poy mettilj di supra delacqua ch.
piove
15 overo di fussato pur ch. non sia marza et farra la lissia laquale a provare
16 quando e/ bona si pigla uno ovo fresco et mettilo Jnla ditta lissia si vidiria
17 lovo natare di supra tanto quanto uno soldo e/ bona et questa prima
maystrai)
18 si chama maystra et mettila Jnuno vaso di terra vitro oj djramo dap.se
19 quando tu voy fare piu quantita pigla sempre tre parte de cennere et una
20 de calcina per la lissia ch. cochira p.fina atanto ch. mostri colore rosso
21 dapoy reponila Jnuno altro vaso et coprilo bene et tenila da perse se
22 parata da questa sequita la terza acqua laquale mostra colore bianco
23 et similemente reponela Jn uno altro vasa separata ben coperta […]
[…] […]
[60v]
[61r]
[61v]
[62r]
[62v]
[63r]
[63v]
[65v]
[66r]
[66v]
1 ad mal di f<ia>nco
2 Piglia sucu di scalora uno quartuchio et cochilu et poi ch lha<j>
3 scumatu mectichj zuccaro et cochilu benj et ogni matina ni piglia
4 mezu goctu et poi ungi lu ficatu cum unguento di sandali __
5 Item vali lu sucu dila maurella, acqua rosa, achitu blanco oglio
6 rosato et ammoglia una peza di linu et mectila supra l<u> ficatu
7 ad mali dipetra et fari pixari senza
8 dolurj /
9 Piglia unu lepru et auchidilu et fandi pulvirj cum tuctu lupilu et
10 lusangu et dallu abivirj cum vinu alu pacienti ch Jncontinentj pixira
11 et si havi petra lagictira /
12 ad punta di latu
13 Ungi lu locu ch doli cum meli et poi lu salvja cum simenza di nastorzu
14 pistata et ligatu vali / Item dilu marrobui blancu et
15 suffrictu cum oglio et ligalu ut supa / Item bonu \e/ una <…>a
16 alu malatu zoe alulocu malatu
17 ad mali di fiancu
18 Piglia lu stercu palumbinu bugluto cum vino et poi gecta lu vinu
19 et pista lustercu et Implastatu lu Implasta alu fian<..> ch sia
20 caldu q.nto sipoza comportari/ Item lu stercu dilu lupo \e/ bonu
21 Jtem marrobui blancu pistatu et bogluto cum oglio di l<…> <e>t
22 fandi Implastu et poni alu fiancu_____
23 Jtem lu riganu virdi coctu Jnvinu cum cipero pistat<o> et b<….> caldu
24 Jtem fachi christerj et mectichj assentio et finochj et ogli<o> di <..>a
25 et burru ad cui havj tali malj dilu pectu et dilu fian<c>u
26 Jtem dillissa chichirj Inassai acqua tantu ch cocha tucta lac<…>
27 si consuma et ch plu sianu consumatj li chichi<r>j dila <…>
28 resta mectindi ala pignata et bivindj /
_________
[67r]
d)
La et corsivata è tironiana.
e)
Ricetta aggiunta da altra mano al di fuori dello specchio di scrittura.
f)
Cancellazione.
g)
Cancellazione.
h)
Le rubriche di c. 52r sono ad opera di ulteriore mano.
i)
Parola depennata.
j)
La virgola indica qui e nella rubrica analoga di c. 61r l’abbreviazione dell’unità
di misura (grana).
k)
La congiunzione con svolazzo si riporta in corsivo.
l)
Si legga: mirto.
m)
I.e.: giuggiole.
n)
I.e.: sesamo.
o)
Voci illeggibili a causa di macchie d’inchiostro.
p)
Parola depennata. In interlinea è aggiunto: pignata.
q)
I.e.: recipiente per liquidi (http://www.treccani.it/vocabolario/gotto/).
r)
Abbreviazione di: dramma.
s)
I.e.: ulcerazione della bocca (http://it.wiktionary.org/wiki/furra).
t)
I. e.: empetiggine (cfr. http://www.etimo.it/?term=empetiggine&find=Cer-
ca).
u)
I.e.: acqua odorifera a base di fiori d’arancia e gelsomino (http://ducange.enc.
sorbonne.fr/NANSIA).
v)
Il lembo inferiore della carta è mancante.
w)
Depennato: il s.
x)
La segunete ricetta è ad opera della mano che verga c. 2r 1 – 8 e c. 50v-51v,
fatta eccezione per la ricetta aggiuntiva di c. 50v 21 – 25.
y)
Leggasi pampina, i. e.: foglia (http://it.glosbe.com/scn/it/p%C3 %A0mpina).
z)
Ricette ad opera di altra mano.
aa)
Si tratta presumibilmente del medico senese Pietro Andrea Mattioli (1501 –
1578). Le prime opere del Mattioli cominciarono a circolare dalla terza de-
cade del Cinquecento. Nel 1536, Mattioli accompagnò il cardinale Cles che si
recava a Napoli per incontrare Carlo V (cfr. http://www.treccani.it/enciclo-
pedia/pietro-andrea-mattioli_(Dizionario-Biografico)/).
ab)
BCP, Recettario secreto.
Come già Pasquale Musso in merito alle ricette di cucina non riportate in
questa sede accortamente rileva, è indubbio che i testi, nel loro com-
plesso, esibiscano “un siciliano ancora alquanto caratterizzato”.607 Sono
frequenti i tratti che rimandano alla scripta siciliana quattrocentesca,608 a
partire dalla grafematica in cui si registra <y> sia come allografo di
<g>:609 “gallina”/“yalina” (62v 4), sia soprattutto come allografo di <i>
in posizione intermedia: “maystra” (52r 5, 17, 18), “mayuri” (61v 10),
“ayuto” (63r 23; 63v 8) o in posizione finale: “poy”/“dapoy” (42r 31; 52r
11, 14, 21), “aloy” (61v 11), “oy” (65v 21). In posizione liminare, <y>
co-occorre inoltre alla ben più frequente <j>:610 “cuj” (2r 10), “orationj”
(2r 11), “lirj” (2r 13, 14, 16x2), “talirj” (2r 13), “vorj” (2r 13), “livarj”/
“levaretj” (2r 15x2; 51r 17), “ffarj”/“faretj”/“fatinj”/“fachitinj”/“fatilj” (42r
17; 51r 16, 21; 62r 15, 18; 50v 19), “polvjri”/“pulvirj” (42r 25; 62r 23;
65v 6; 66v 9), “olej” (42r 26), “colurj” (42r 29), “mettj”/“mettilj”/“me-
ctiritj”/“mectichj” (42r 30, 33 – 34, 34; 52r 5, 7, 12, 13, 14; 62v 15; 66v
3, 24), “farritj mectirj” (65v 17), “trj”/“duj” (42r 31; 66v 32x2), “molli-
ficatj” (42r 34), “daretj” (50v 16), “vorretj”/“voj” (50v 16, 19; 52r 19),
“dj” (‘giorno’) (42r 31; 51v 7), “dj” (preposizione) (42r 28; 50v 20) “dictj”/
“dirj” (51r 14; 61r 4; 63r 5), “pigliaretj”/“piglatj”/“piglarj” (51r 8, 19; 62r
21; 62v 18; 63v 25; 65v 7, 15), “dalj”/“darritj” (50v 23; 62v 24), “po-
neretj”/“ponitj” (51r 8, 17; 51v 5; 62r 22; 62v 12), “passaretj” (51r 10 –
11), “tornaretj” (51r 12), “bucteritj” (51r 14), “poj” (51r 17), “unteritj”/
“ungitj”/“untandosj” (51v 1; 60v 25; 63r 27; 63v 27), “fasar.tj” (51v 6),
“voltj” (51v 7; 62r 19; 62v 13; 63v 26; 66r 7; 67r 2, 4), “tuttj” (52r 5),
“benj” (52r 11; 66v 3), “laur<r>ij” (60v 28), “miscalj”/“mis<co>latj”/
“mescolarj” (60v 28; 61r 22; 62v 4, 5), “dolurj” (60v 30; 65v 22; 66v 8, 29,
33), “donnj” (61r 1), “appendj” (61r 3), “filij” (61r 5), “rosj”/“russj” (61r
15; 61v 8), “cussj”/“cossj” (61r 20; 62v 12, 13, 14; 66r 7), “cosj” (=
“cose”) (61r 24), “pistatj” (61r 21), “sichj” (61r 23; 65v 11), “continuarj”
(61v 4), “matinj” (61v 18; 62v 7; 63v 23), “suttilj”/“sottilj” (61v 19; 62v
11), “similmentj” (62r 6), “spissj” (62r 18), “vidiritj” (62r 19, 24; 62v 7),
“spinj”, “habiatj” (62r 21), “caliarj” (62r 22), “pacientj” (62r 23, 28; 62v
6), “mirabilj” (62r 24; 62v 7), “[s]crivirj” (62r 27; 63r 1), “trarlj” (62v 3),
“tenurj” (62v 6), “venj” (62v 8), “fruntj” (62v 12), “seguitatj”, “alcunj”
(62v 13), “tornatj” (62v 14), “porrettj” (62v 16), “<s>tricatj” (62v 18),
“Jo” (63r 12), “corporarj” (63r 27), “sarritj” (63r 27), “seque<nt>j”,
“sim<i>lj” (63v 6), “allochj”/“alocchj” (62v 8; 63v 7), “pitinij” (63v 21),
“cruchj”, “fiorj” (65v 4), “nucillj” (65v 5), “quantitatj”, “altrj” (65v 7),
“donarj” (65v 9), “bivirj”/“bivindj” (65v 9; 66v 10, 28), “sipotissj” (65v
11), “aspictarj”, “chsichj” (65v 11), “spiziritj” (65v 15), “mitatj” (65v 16),
610 Le irregolarità nella lunghezza del gambo rendono però difficile la distinzione tra
<j> e <i>. In maiuscolo, il grafema <J> può comparire anche in posizione
iniziale, dove per lo stesso motivo risulta comunque difficile distinguerlo da
<I>: “Jnbescar” (51r 16), “Jnsiemj”/“Jnsemj” (52r 11; 65v 8x2), “Jn”/“In” (51r
20; 52r 5, 6, 10, 16, 18, 21, 23; 65v 16), “Jnsalata” (62r 18), “Jmpastatila” (62v
9), “Jnpasimau” (63r 15), “Jdio” (61v 20), “Jnfermita” (61r 6), “Jdem” (63v 24),
“Jnsino” (63v 5) “Jncontinentj” (66v 10), “Jtem” (66v 21, 23, 24, 26, 31, 34).
192 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
611 Cfr. Mattesini 1994, 424 ssg.; Rinaldi 2005, I, 349 ssg.
612 Cfr. Mattesini 1994, 424 – 25; Rinaldi 2005, I, 351 – 52.
2.3.3. Coalescenza 193
24x2; 61r 4; 62r 7; 62v 8; 63r 19, 20, 22; 63v 5x2, 6, 7x2; 65v 3, 9; 67r
11) e “po” (51r 4) – ma si veda anche “puo” (65v 8).
Quanto di più marcato si può registrare, in senso siciliano, è poi
l’atteggiamento delle vocali anteriori e posteriori nelle occorrenze di:
“quisto(-a/-i)”/“quillo(-a/-i)” (2r 11; 62r 16, 18; 62v 4, 6, 12; 63v 6, 25,
30; 65v 15; 67r 3, 6x2, 7) “di[c/t]to(-a/-i/-j)”616 (2r 2, 3, 6, 7, 9; 42r 33;
51r 14, 19; 52r 10x3, 12, 14, 16; 60v 13; 61r 4, 21, 24x2, 27, 28; 61v 14;
62r 7, 16; 62v 6, 11x2, 12, 14, 22; 63v 4, 17, 20, 26, 28; 66r 3, 8, 11; 67r
3, 4, 12), “dil(l)o(-u/-a/-i)” (50v 22, 24; 61r 21; 62r 23; 62v 13, 20, 26;
63r 1, 6, 16; 65v 1, 2, 5, 6, 13, 17, 19, 22; 66v 5, 14, 20, 25x2, 27, 34x2;
67r 2x2), “dintru”/“intro(-i)”/“dintro” (2r 4; 62r 5, 20, 22; 62v 9; 63v 16;
65v 4, 5; 67r 9, 13, 29), “sutta” (2r 8; 52r 9), “supra” (52r 12, 14, 17; 62r
16, 22; 62v 12, 15; 63v 22; 66v 6), “allura” (65v 15), “si” (42r 27; 52r 6),
“fussi” (2r 10; 42r 25), “biviri” (2r 12; 62r 7), “teniri” (63v 5), “rumpiri”
(62r 20), “biva” (62v 6), “potissj” (65v 11), “havissi” (2r 1, 10), “pista”/
“pistalo”/“pistatj(-a/-o/-u)” (50v 12; 61r 21; 62r 6x2; 63v 25, 26, 28; 62v
5; 66v 14, 19, 21, 23, 30, 35), “unteritj” (51v 1). Fenomeni di vocalismo
siciliano si osservano anche negli imperativi “ungitj” (60v 25; 63r 27),
“miscola” (52r 11), “liga<.>” (61r 2), “mectitilo”/“mectitichi” (62r 5),
“fachitinj” (62r 18), “sarritj” (63r 27), “ponitj” (62r 22; 62v 12), “Prindi”
(66v 30), “bagnatila” (62v 11 – 12), “scriviti”/“scrivirj” (62v 20; 63r 1),
“taglirai” (2r 6), “vidiritj” (62r 19, 24; 62v 7), “farriti(-j)” (63r 1; 65v 17),
come pure in “passira” (60v 30), “sira” (63v 5, 6), “vitro” (63v 16), “rina”
(63v 17, 18), “cruchj” (65v 4), “pilo” (65v 5), “tenurj” (62v 6), “crita” (62v
9, 11), “achito(-u)” (62v 10; 66v 5), “fruntj” (62v 12), “veniri sancto” (63r
16), “rugna” (63r 25; 63v 27), “dudici” (66r 6), “midullo” (51r 8), “singni”
(2r 6), “colurj” (42r 29), “pulviri(-j)” (2r 2, 3; 62r 23; 65v 6; 66v 9),
“doluri(-j)” (60v 29, 30; 61v 16; 65v 22; 66v 8, 29, 33) “gumma” (60v 6),
“ligno” (60v 9, 20), “chira” (60v 21; 61v 13), “pichi” (61v 13x2), “capillo”
(61r 7; 66v 31), “linusa” (61v 18), “ficato” (62r 1), “furnu” (62r 22),
“secundo” (51v 8), “stritta” (52r 12), “multo(-j)” (52r 13, 14), “nigra” (61r
22; 61v 13), “russo(-i/-j)” (61v 8, 9; 62v 3x2), “spissj” (62r 18), “virdi”
(62r 18; 66v 23), “tri(-j)” (2r 4; 61v 2, 14; 62r 7, 27; 62v 7, 22, 25, 26; 63v
7, 26; 67r 2, 3, 27, 28), “frisco”/“frido” (62v 2, 20, 24; 63r 1, 4).617
Va però tenuto in considerazione che molte delle attestazioni citate
co-occorrono ad altre equivalenti, ma desicilianizzate quali ad esempio
616 A seconda dello scrivente e del suo ductus corsivo <tt> e <ct> sono spesso
difficili da distinguere.
617 Cfr. Rinaldi 2005, I, 358 ssg.
2.3.3. Coalescenza 195
“aceto” (66r 8x2; 67r 19, 26), “fresco(-a)” (52r 16; 66r 4), “polvere” (42r
23; 60v 2, 3), “dolore” (60v 27), “mescolati” (66r 23), “dentro(-a)” (42r
33; 52r 13; 60v 23; 61r 23, 24, 29; 61v 2; 63v 3; 66r 5), “[…]de[c/t]to
(-i/-e/-a)” (42r 34; 51r 12; 60v 14, 16; 61r 25; 61v 3; 63r 17; 63v 3, 16,
18; 66r 3, 8, 12, 17, 21, 22, 23), “questo(-a/-i)”/“quello(-a/-i)” (51v 7; 52r
17, 22; 60v 3, 20, 24, 25, 29; 62r 8; 62v 3; 63r 20x2, 22, 27; 63v 26; 65v
4), “tre” (51r 14; 51v 8; 52r 19; 66r 4, 7), “croce” (63r 13), “rosso(-a)” (52r
20; 60v 15), “colore” (42r 20), “molto” (51v 2; 61v 6), “so[c/t]to”/“sopra”,
“cossj(-i)” (66r 7, 9), “volte” (66r 12).
Valgono poi da forti segnali di toscanizzazione le vocali medie che si
possono registrare nelle attestazioni di cui sopra, a partire dalle pretoniche
di “colurj”, “dolurj”, “boglere” (51r 14) – ma si veda “bulliri” (62r 3; 67r
28) –, “mollificatj” (42r 34), “contrario” (50v 14), “rosato” (51r 7),
“menando” (51r 15) – dove si registra anche o finale –, “poneretj” (51r 8,
17), “tornaretj” (51r 12) e “unteritj” (51v 1) – sebbene qui si trovi j finale
–, “caseptina” (52r 12), “reponila” (52r 21) – anche “reponela” (52r 23)
con postonica a sua volta media –, “solvendo” (66r 9), “feltrando” (66r 9),
“coperta” (52r 23), “coctura” (60v 18), “aggiongeci” (66r 14) – al contrario
di quanto avviene in “iongere” (66r 22), “iunte” (66r 23) e “coniunta” (66r
5) con anche palatalizzazione di semiconsonante, come in “gecta” (66v
18) –, passando per le toniche di “speritu” (2r 10), “mettj (-ilo/-ila/-ilj)”
(2r 8; 42r 30, 33 – 34; 52r 5, 7, 12, 13, 14, 16, 18), “seccala” (60v 2),
“feltra” (66r 8) e le postoniche di “miscola”, “reponela” e “destempera”
(42r 18) o ancora dei vari “fatilo” (62r 3; 62v 2), “implastro” (42r 19),
“oppio” (50v 12), “aglio”/“alio” (50v 13), “oglio” (51r 5, 6, 7; 52r 5),
“lauro” (51r 6), “medollo” (51r 13), “unguento” (51r 18), “soldo” (52r 17),
“vino” (62r 3; 66v 18), “parto” (61r 2), “infermo” (61r 28), “xiroppo” (61v
2), “gocto” (61v 2), “reobarbaro” (62r 5), “lino” (62r 11), “sc<o>ngiuro”
(63r 12), “salinitro” (66r 2), “pignato” (51r 12), “vaso” (66r 18), “mer-
curio” (66r 19), “argento” (66r 20), “vitrio”, “fornello” (66r 24), come
anche delle forme verbali “ponilo” (66r 18), “squagliato” (51r 10), “fatto”/
“facto” (51r 19, 20), “guarito” (63r 28) o dei determinanti “caldo” (51r
20; 62v 4), “bianco” (52r 22; 60v 21; 62r 3), “quattro”, “vero” (66r 19),
“tucto” (66r 23) con o finale, piuttosto che dei già citati: “(d)intro”,
“midollo”, “frisco”, “frido”, “russo”, “sancto”, “vitro”, “ligno”, “secundo”,
“futuro”, “capillo”, “achito”, “pistalo”, “mettitilo”, “contrario”, “rosato”,
“fianco”. Si vedano poi i sostantivi con e finale: “cennere” (42r 32),
“parte” (42r 33; 66r 2) – ma si trova anche il singolare “parti” (65v 5) –,
“calce” (42r 33; 66r 3), “animale” (42r 31), “amarore” (50v 14), “fetore”
(50v 15), “hore” (52r 6; 66r 6, 25, 27), “sapone” (52r 4, 8) – con anche
196 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
vocale media pre e postonica –, “sole” (50v 23), “uncione” (51r 1), “bene”
(51v 2; 52r 6, 21) – ma sono molto più numerose le occorrenze di “beni”
(52r 14; 61r 22; 62v 5, 18; 63v 17; 67r 8) –, “sempre”, “parte” (52r 19),
“bianche” (60v 5), “neve” (60v 5, 17), “de” (66r 3; 67r 27), “sale”, “vite”
(66r 11), soprattutto nei verbi all’infinito quali “pellizare” (42r 18),
“mollificare” (42r 30), “fare” (50v 10x2; 52r 4, 19; 60v 5; 66r 1), “dor-
mire” (50v 11, 18) – dove si ha anche pretonica media –, “operare” (50v
16), “odorare” (50v 19 – 20), “provare” (52r 15), “natare” (52r 17), “in-
carnare” (60v 5), “refredare” (60v 15), “iongere” (66r 22), “bere” (67r 20),
“distillare” (50v 15). L’atteggiamento delle vocali in posizione atona è pur
tuttavia prevalentemente quello di stampo siciliano a tre esiti: (a), i e u,
come mostrano molti dei verbi citati: “dirj(-i)”, “bulliri”, “continarj”,
“scrivirj”, “mescolarj”, “caliarj”, “teniri”, “donarj”, “bivirj”, “orinarj”,
“poneretj”/“ponitj”, “hab(b)iatj”, “vidiritj”, “daretj”, “vorretj”, “levaretj”,
“faretj”, “fasaretj”, “seguitatj”, “pistatj”, “tornatj”, “mis<co>latj”, “ra-
scatj”, “stricati”, “sichirannu”, “darreti”, “passaretj”, “caschira”, “ungitj”,
“spiziritj”, “pigli(r)raj”/“pigliaretj”/“piglatj”/“piglari” – cui si aggiungono
le forme dell’infinito e dell’imperativo con pronome pro ed enclitico:
“Jmpastatila” (62v 9), “piglatini” (62r 4), “ni fati” (62v 22), “tagliatili” (63v
14), “cochilu” (66v 2). Rientrano in ambito siciliano anche le termina-
zioni dei già citati sostantivi “fruntj”, “pichi”, “spinj”, “mitatj”, “quanti-
tatj”, “matinj”, “volti”, “furnu”, “scutella”, “cruchi”, “pulvirj”, “lacti”,
“marj”, oltre che le occorrenze di “murriti” (2r 1), “fogli” (65v 2) – vs.
“<.>o<g>lie” (67r 25) – , “unu cannolettu” (2r 2 – 3), “unu pezu” (2r 6),
“spiritatu”, “incorpu” (2r 10), “sequenti orationj” (2r 11), “libri duy” (52r
5), “cosi” (52r 5; 61r 21; 61v 14; 62r 13; 62v 11; 67r 9), “scutella” (52r 9),
“lacti” (60v 7), “mita” (60v 14), “donnj” (61r 1), “rosj” (61r 15), “pater
n<os>tr<u>” (61v 1), “carboni” (61v 15), “unzi” (62r 4), del singolare
maschile “pacientj(-i)” (62r 7, 23, 28; 62v 6, 13, 24; 63v 7; 65v 10; 66v
10), di “nuchimuscati” (62r 10), “canni virdi” (62r 18), “<r>izu” (62r
21), “paroli” (62r 27; 62v 21; 63r 2), “cani” (63r 10), “la santa passioni”
(63r 16), “n.ro signori” (63r 24), “mitati” (63v 4; 65v 17), “buctonelli”
(63v 25), “sangu(-ui)” (63v 29; 66v 10), “nocti” (65v 2), “lo fiorj” (65v 4),
“pilo” (65v 5), “li nucillj” (65v 5), “sucu” (66v 2, 5), “linu” (66v 6), “unu
lepru”, “tuctu lupilu” (66v 9), “vinu” (66v 10, 23), “latu” (66v 12), “locu”
(66v 13, 16), “fiancu” (66v 17, 22), “stercu” (66v 18, 19, 20), “riganu”
(66v 23), “pectu” (66v 25), “simenza” (66v 13, 30, 31), “christerj”/“cri-
sterj” (66v 24; 67r 21, 24, 29) – con anche scambio di vibranti e laterali
come in “cortello” (62v 17) –, “burru” (66v 25), “aqua viti” (67r 10), “stari
amollu” (67r 11), “uri” (67r 11, 12), “esseri” (63v 5; 67r 11), “cavari” (2r
2.3.3. Coalescenza 197
5), “lavari” (60v 24), “mangiarj(-i)” (2r 12; 61r 28), “rumpiri” (62r 20),
“livari” (62r 21), “(dis)fari” (62r 15, 23; 62v 16; 63r 14; 63v 6; 66v 7, 29),
“cascari” (62v 16), “inverminari” (63r 14), “inpasimari” (63r 14), “cor-
porarj” (63r 27), “stari” (63v 7; 67r 11), “guariri” (63v 21), “aspictarj” (65v
11), “istagnari” (65v 13), “pixari” (66v 7), “<s>anari” (67r 1), “fachitinj”
(62r 18), “mangiati” (62r 19), “scriviti” (62v 20), “mescolati(-lo)” (66r 12,
23), “spaccatila” (63v 2), “partitilo” (63v 3), “chini mectiti” (63v 4),
“buctati” (63v 15), “pistati(-a)” (63v 25, 28), “mectiriti” (63v 15 – 16),
“pixira” (66v 10), “gictira” (66v 11), “parira” (42r 20), “mittirai” (67r 9),
“saldira” (52r 7), “ponira” (61r 24), “mectira(-nno)” (61v 3; 61r 23, 29),
“fossiro” (63v 11), “sufiandu” (2r 3), “pulvirizatu(-i)” (65v 3, 5; 66v 31),
“suffrictu” (66v 15), “stuppato” (63v 17), “scumatu” (66v 3), “culati” (62r
4), “coctu” (66v 23), “siccu” (66v 31), “pistata(-u/-o)” (63v 26, 28; 66v 14,
23, 30), “malatu” (66v 16x2), “Jnsemi”/“jnsemi” (60v 29; 62v 5), “adossu”
(2r 12), “sottilj”/“suttilj”/“suctili(-ssima)” (61v 19; 62v 11; 62r 23; 65v
20), “spissj”, “benj(-i)”, “malj(i)” (60v 25; 61v 17; 62r 26, 28; 62v 20; 63r
1; 63v 1; 65v 1, 19; 66v 7, 17, 25; 67r 5) – ma si trova altresì “mal(-e)”
(62r 17x2; 66v 1; 67r 16) –, “similmentj”, “subtilissimamenti” (62r 6),
“p.fectamenti” (63v 23), “sempri” (60v 24; 63r 13), “sini” (65v 6), “virdi”,
“comuni” (60v 21), “novi” (60v 24), “sanu” (2r 4), “quantu” (2r 7), “comu”
(2r 8), “pocu” – ma anche “poco” (62v 9) –, “bonu” (66v 15, 20), “caldu”
(66v 20, 23), “tantu” (66v 26), “nemancu” (67r 7).
Molti degli esempi finora citati vanno in definitiva considerati delle
vere e proprie forme miste, in cui l’esito siciliano si alterna a quello
toscano all’interno della stessa parola o stringa. Si hanno dunque “ficato”,
“frisco”, “polvirj”, “colurj”, “dolurj(-i)”, “picoraro” (63v 13), come pure
gli imperativi “ponitj”, “unteritj”, “poneretj”, “tornaretj”, ma anche
“vorretj” (50v 16), “bucteritj” (51r 14), “fatilo”/“fatile” (66r 22), “sicca-
tillo” (50v 23), “datilo” (62r 28), “mescula”/“miscola” (52r 6, 11), cui si
aggiungono l’aggettivo “mollificatj” (42r 34) in plurale femminile e gli
attributi “novo”, “bono”, “foco”, “loco”, l’infinito “bullire” (42r 34), i
participi “pistato” (62r 6x2; 66v 23), i sostantivi “vergini” (63r 17) o
“fussato” (52r 15), il determinante “vintiquattro” (66r 27), ecc.
Passando dall’ambito fonologico a quello morfologico si scopre un
quadro del tutto speculare: da un lato è possibile identificare chiari si-
cilianismi, a partire dal pronome relativo indefinito “cui(-j)” (2r 1, 10;
66v 25),618 passando per l’aggettivo possessivo “so” (50v 22) o per le
desinenze del participio passato “bogluto” (66v 21)619 e dei passati remoti
“inverminao”, “Jnpasimau”, “donao” (63r 15),620 per giungere alle forme
verbali del condizionale “vidiria” (52r 16),621 dell’infinito “biviri”,
dell’imperativo “untati” (63v 26), dei presenti indicativi “havj” e “dugna”
(65v 11) – in cui NJ > [ł] come in “tegna(la)” (60v 16) –,622 del con-
giuntivo presente “vaia” (2r 3) – in cui il nesso latino -DJ- + vocale si
risolve in una semiconsonante –623 e “volino” (60v 13, 22) o del futuro
semplice “ser(r)a” (2r 4; 51r 10), con conservazione di e atona e gemi-
nazione. Queste ultime forme verbali siciliane, però, si alternano dall’altro
lato con quelle toscanizzate: “vogl<o>no” (61v 14), “sarra/sarritj” o “hab
(b)ia(tj)”. Si riscontra un mistilinguismo ancor più evidente all’interno
del sistema dei dimostrativi, in cui è dato individuare sia le forme siciliane
“quisto(-a/-i)”/“quillo(-a/-i)”, sia le forme toscane “questo(-a/-i)”/“quello
(-a/-i)” con una certa tendenza all’utilizzo delle prime in funzione pro-
nominale e delle seconde in qualità invece di aggettivo.624 Anche il si-
stema degli articoli consente di fare constatazioni analoghe: all’occorrenza
della forma semitoscanizzata “[…]lo” (50v 13, 14, 15, 22x2, 24; 51r 8;
51v 8, 9; 60v 20x3, 29, 30; 61r 1, 4, 25, 29; 61v 1x4, 3x2, 15, 16, 17; 62r
2, 22, 28x2; 62v 2, 3, 13, 17, 20x2, 24x2; 63r 1, 3x2, 23; 63v 3, 5, 6, 7,
8, 29; 65v 4, 5, 13, 16x2, 19x2, 22; 66r 10; 66v 34) si affianca quella
prettamente siciliana di “[…]lu”625 (60v 25; 62r 7, 15, 23; 62v 3, 6x2; 63r
16; 63v 7; 65v 12, 13, 22; 66v 4, 5, 6, 9, 10, 13, 14, 16x2, 18x2, 19x2,
20x2, 22, 23, 25x2; 67r 2, 8, 13) e non mancano d’altro canto le solu-
zioni toscane dell’articolo “il”/“[j]l” (50v 13; 63v 18; 66r 8, 15, 17, 18;
67r 23) o “el”626 (51r 12x2; 51v 1, 4, 7, 8) e della preposizione articolata
“del”/“nel” (62r 1; 63r 12x2; 63v 14, 15; 66r 1). In plurale, però, si trova
esclusivamente la forma siciliana “li” (2r 1; 51r 14; 60v 1, 3, 5, 13, 17; 61r
1, 20, 21x2, 23; 61v 14; 62r 18; 62v 13, 16, 21; 63r 1, 18; 63v 25; 65v 2,
5; 66v 27; 67r 7) che vale sia per i sostantivi in maschile: “li murriti”, “li
denti”, ecc., sia per quelli in femminile: “li acqui”, “delli donni”, ecc.
Semitoscanizzata è anche la forma del pronome personale dativo di terza
persona singolare che ricorre in “li incarnira” (60v 17), “li pigla” (62r 28;
62v 24; 63r 3), “farli diri(-j)” (62v 25; 63r 5), “donali foco” (66r 5), “dalli
foco” (66r 15) e che si alterna a sua volta con quella toscana che si
riscontra in “glili” (60v 17), “glini” (62v 24) e “glela” (63r 4). La variante
siciliana “nce” (51v 5) è utilizzata invece solamente in qualità di avverbio
locativo.627 L’avvicendamento di “dapoy” (52r 11, 21) con “dipoi” (2r 7;
61r 23; 61v 14; 63v 30; 65v 8, 9; 67r 12) permette inoltre di constatare
come del sistema preposizionale sia entrato a far parte anche da, presente
anche in “dacontinenti(-j)” (2r 4; 62v 19; 63v 19; 65v 16; 67r 4), “dal
foco” (51r 17), “da p(er)se” (52r 18, 21), “da basso” (51v 3) o “separata da”
(52r 21 – 22). La preposizione da è originariamente estranea al siciliano
che ha di,628 come in “sango dilo naso” (65v 13) o pir, come in “havuto p.
lo Rmo Cardinal Colonna” (62r 2, 24 – 25). Non manca, del resto, la
soluzione intermedia de: in “depoi” (67r 10), “terra de pellizare”, “de
abaxo” (52r 13), “de una sagnia” (65v 13 – 14), “Ad <f>a<re> l’og<li>o
del sale” (66r 1). Si hanno tracce del plurale neutro latino629 in “dui
grana”/“tri grana” (61v 9 – 14), “limura” (67r 6), “vidiritj cosa mirabilj”
(62r 24) – ma prevale in merito a quest’ultimo sostantivo la forma “cosi
(-j)”. Va segnalato infine, nella zona d’intersezione tra l’ambito fonetico e
quello morfologico, che la mancata assimilazione di -nd- in -nn-, tratto
tipico del siciliano quattrocentesco,630 sconfina in toscanismo nel mo-
mento in cui, pur non assai di frequente, la sua occorrenza rappresenta in
realtà un ipercorrettismo (cfr. infra, par. 2.3.4.3.), come in “fandi pul-
viri(-j)” (2r 2; 66v 9), “fandi Implastu” (66v 22), “mectindi ala pignata et
bivindj” (66v 28).
In ambito sintattico sono da segnalare innanzitutto, in qualità di
sicilianismi, la perifrasi modale della modalità deontica/esortativa:
“questa or.oni se havi d’operare inquesto modo” (63r 20), “si volino/
vogl<o>no boglere/bugliri” (60v 13, 22; 61v 14 – 15), “si voli lavari” (60v
23 – 24), “sivoli piglari(-j)” (60v 24; 63r 20), “si voli dirj(-i)” (61r 4; 63r
19), “sila voli biviri” (62r 7), “sevoli untari” (63r 22), “voli esseri” (63v 5;
67r 11), “voli teniri” (63v 5), “voli fari”, “ voli seguitari”, “voli stari” (63v
6 – 7), “sivoli donarj” (65v 9), “non si pocza putra//fari” (63r 13 – 14),
“che non poza nexiri scuma” (61r 26), “ch non possa sbentari” (63v 18). Si
rileva inoltre l’uso generalizzato dell’ausiliare avere: “dipoi di aviristatu uri
7 24” (67r 12), la sequenza pronome riflessivo + dativo “sichi(-j)” (60v 23;
61r 23; 65v 11), l’uso del verbo stare per la qualità transitoria del verbo:
“quello ch sta nello ligno” (60v 20), “donna ch sta in parto” (61r 2), “come
stano sottoscripti” (62v 22 – 23), “il v<a>s<o> dove sta” (66r 18), “Rx
ledera diquilla ch. sta interra ch. non sia diquilla ch. staalimura nemancu
di quilla ch stainlisaij” (67r 6 – 7).631 Per quanto riguarda i tempi verbali,
si registra un profuso utilizzo delle forme future con valore ingiuntivo:632
“destempera cum clara de ova […] fina ch. ti parira in p.fettione” (42r
18 – 20), “pigla cidrach. et fandi pulviri et ditta meitti rai” (2r 2), “pigla
unu pezu di canna et in dicta taglirai” (2r 6), “Perlo mali dilo frido
scriviti/farriti scrivirj” (62v 20; 63r 1), “Piglati una quantitati di vermi
[…] li mectiriti dintro uno lambico” (63v 13 – 16). Alcuni enunciati
propongono il congiuntivo imperfetto in luogo del presente nella su-
bordinata condizionale o relativa:633 “<et> quando non sipotissj aspictarj
la matina chsichj dugna ch seg.ra lu bisogno” (65v 11 – 12), “p. cui havissi
li murriti di intra” (2r 1). Si hanno diversi casi di forma media del verbo:
“comu lacanna sarra fragita” (2r 8 – 9), “poi ch dicta peza sarra quasi
axucata tornatj abagnarla” (62v 13 – 14), in cui non è dato distinguere se
le diatesi espresse dalla perifrasi essere (al futuro) + participio (con aspetto
perfettivo) siano da interpretarsi come statiche o dinamiche.634 In quanto
alle occorrenze lessicali si segnalano numerose voci siciliane, tra cui “fi-
glare” (61r 3), “caliarj” (62r 22), “scalsari” (62v 2), “furra” (62v 8), “al-
lumati” (63v 12), “sbentari” (63v 18), “chichirj” (66v 26), “panpina” (67r
9), ecc.635
Prima di trarre conclusioni più approfondite in merito all’assetto
plurilingue del Recettario secreto, cosa che si farà con il dovuto riguardo
nel par. 2.3.3.3., al termine di questa rassegna linguistica è dato osservare
come l’idioma cui si orientano i compilatori del codice si differenzi in
maniera sostanziale da quello che, nel Quattrocento, valeva ancora da
modello nello spazio comunicativo siciliano. In questo come in altri simili
casi di testi cinquecenteschi della sfera pragmatica, infatti, non è più
possibile attribuire alla lingua cui ci si trova posti di fronte un unico e
636 Cfr. Mattesini 1994, 424 ssg.; Rinaldi 2005, vol. I; cfr. infra, par. 2.1.2.
202 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
642 Cfr. le conclusioni cui si è giunti al termine dell’analisi sul Libro di ricette e secreti
in par. 2.3.2.1.
643 Cfr. infra, par. 2.2.1.1.
644 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/costruzione-causativa_(Enciclopedia_
dell’Italiano)/.
204 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
[89r]
[1r ]a)
+
1 Opera D’alchimia declarata b) p. Errigo
2 de filippis De Cup.o: ad Jnstr.ctio
3 del C.so ximenj vitellino de
4 la Clariss.a Cita di Catania
5 Dove sicontenj sub brevita la pura et mera
6 substantia della petra de phi. et po te declariro,
7 qd est lapis, apresso seq.ro p. ordine ad suo com
8 plimento dal pio Jnsino ala fine sensa nixuna
9 abondansa ne oscurita dj palorj //
[2v]
[…] […]
17 Secunda dispositionj
18 Allegratj figlol di doctrina poich haj Jnteso la
19 mia doctrina ora apre li toj aurechie et piglia
20 lu corpu ch di supra ho decto ben cribato et mectilo
21 invaso Jn vaso phi.co a foco secondo la usanza di li phi ele
phi.co
22 giermente lu cochj finche la ma.ria e, fi<.n>a et
23 lu colurj so sia transmutato Jn colurj violato et sa
24 ppi ch Jnantj videraj multj colurj ben vero tibisogna
25 custodirj lu foco et non sia violento ma piutosto
[3r]
[3v]
[4r]
di doctrina poich haj Jnteso la mia doctrina ora apre li toj aurechie” (2v
18 – 19), ecc. Lo scrivente assume cioè, da un lato, il ruolo del maestro,
che prima di svelare gli elementi e le procedure necessarie per ricavare la
pietra filosofale si dilunga in digressioni pedagogico-moralizzanti tipiche
del genere647 (cc. 3r 13 – 27 e 3v 6 – 26). Dall’altro lato, lo scrivente
s’immedesima anche nella parte dell’apprendista, teso a rivolgere do-
mande pertinenti a quanto appena esposto e, allo stesso tempo, ad in-
calzare il maestro perché prosegua la sua lezione: “Mastro Jo Intendo
bene q.llo ch dice pregotj ch mj vogli dirj quantj su li dispositionj e/ qualj
sonno dilo n.ro magisterio”, (3r 4 – 6), “bon Mastro Jo ti prego ch mj
Jmparj lu p.pio nome di q.sta benedicta acqua et si e, cosa ch la possi
toccare con la mano p. ch molto so maraviglato ditalacqua” (3v 2 – 5) o
ancora “Mastro Jo vedoch sia Jl vero tucto q.llo ch haj decto piachiatj
donquj alla tercia dispositionj passarj” (4r 1 – 2) e “Mastro molto mi
sogno admirato di q.sto Azoc” (4r 12), ecc.648 Il genere del dialogo, che
fiorisce peraltro proprio nel Cinquecento come forma letteraria prediletta
dagli ambienti (volgar)umanistici (cfr. le opere menzionate in infra,
par. 3.2.2.), adempie alla necessità di presentare il procedimento euristico
non più come un sapere canonico dai confini rigidi e ben delimitati, ma
come un ravvedimento da raggiungere passo dopo passo sulla base di
esperienze riproducibili e condivisibili.649
Venendo ora alla fattura linguistica del manoscritto, sarà innanzitutto
doveroso segnalare la presenza di alcuni grafemi della scripta siciliana, in
particolar modo di <j>, che compare in qualità di variante di <i> nelle
occorrenze del nome proprio “ximenj” (1r 3), così come in “palorj” (1r 9),
“undj” (1r 11), “multj”/“moltj” (1r 17; 2v 24; 3v 8; 3v 24), “nomj” (1r 17;
3r 13; 3v 8), “elementj”, “substantij” (1r 20), “dispositionj” (2v 17; 3r 5, 7;
4r 2), “toj” (2v 19), “cochj” (2v 22), “colurj” (2v 23x2, 24), “Jnantj videraj”
(2v 24), “custodirj” (2v 25), “fortj” (3r 1), “consistj” (3r 3), “pregotj” (3r 4),
“mj” (3r 4; 3v 3), “dirj” (3r 5), “quantj” (3r 5), “qualj” (3r 5, 20), “cal-
cinationj” (3r 8), “solutionj” (3r 8), “ablutionj” (3r 8, 11), “coagulationj”
(3r 9), “Jncerationj” (3r 9), “frixionj” (3r 10), “esserj” (3r 11), “asunsionj”
(3r 12), “descencionj” (3r 13), “tantj” (3r 13), “essirj” (3r 14), “alcunj” (3r
11, 14), “alj” (3r 15), “Jntelligentj” (3r 15) “Jnsignandolj Jgnorantj” (3r
16 – 17), “p.fectionj” (3r 2, 20; 3v 13), “dj” (1r 9; 3r 20, 25; 3v 16),
“descendj” (3r 25), “sulj” (3v 1), “adiuturj etoperaturj” (3v 1), “Jmparj” (3v
3), “altrj” (3v 8), “chamasj acqua vitj” (3v 9), “corpj mortj” (3v 9 – 10)
“ognj” (3r 1; 3v 2, 10, 11, 12, 19), “portalj” (3v 12), “vilj” (3v 17), “vincj”
(3v 19), “poj toccarj conlimanj” (3v 20), “acuj” (3v 26), “haj” (2v 18; 4r 1),
“piachiatj donquj […] passarj” (4r 2), “vitj” (3v 9; 4r 11), “dillj” (4r 14),
“venj” (4r 15) e “Jnblanchirj” (4r 15 – 16). Per la rappresentazione della
plosiva velare sorda però si ha unicamente il bigrafema <ch>, non
compare mai cioè il segno k tipico della scripta siciliana quattrocentesca
(cfr. infra, parr. 2.1.2. e 2.3.1.1.). Si registra allora la forma del pronome
relativo “ch” (1r 10; 3r 4; 3v 12, 16, 19; 4r 1, 7), delle congiunzioni
consecutive “ch(-e)” (1r 11, 15, 18, 19; 2v 24; 3r 3, 4, 11, 14, 15, 16, 17,
20, 27; 3v 3, 7, 14, 19, 21, 23, 26; 4r 1, 6, 9, 14), di quelle causali “poich”
(2v 18) e “p. ch” (3r 1; 3v 5, 9, 18, 22; 4r 2 – 3), temporali “finche” (2v 22;
4r 10 – 11) e “fin tanto ch” (3r 25; 3v 21), finali “accio che” (1r 17) o
modali “tanto ch” (4r 15). Il digrafema <ch> rappresenta anche la velare
sorda seguita da semiconsonante [kj] nonché, allo stesso tempo, l’affricata
palatale sorda [w]. Si hanno quindi, da un lato, le occorrenze di
“chamano” (1r 16; 3v 25), “chama” (3r 7, 12; 3v 7; 4r 11), “chamasi” (3v
11) – ma in “orechie” (1r 10) la semiconsonante è resa graficamente con
<i> – e, dall’altro lato, le occorrenze di “piachiatj” (4r 2), piuttosto che
di “cochj” (2v 22), “cochendo” (4r 10) e “cochilo” (4r 14). Altro grafema
tipico della scripta siciliana è infine <x> che rende la sibilante palatale in
“nixuna” (1r 8), oltre che nei già menzionati “ximenj” e “frixonj”.650
Passando all’ambito fonetico è dato riscontrare nel vocalismo nu-
merosi fenomeni che consentono di definire il testo fortemente caratte-
rizzato in senso siciliano. Senza fornire una lista esaustiva dei singoli esiti
vocalici (cfr. supra, par. 2.3.3.1.), ci si limita qui a prendere atto delle
principali linee di tendenza che si possono riconoscere nell’atteggiamento
delle vocali anteriori e posteriori toniche e non. Tra le soluzioni che più di
tutte mettono in evidenza la sicilianità del testo vanno menzionati in
primo luogo gli esiti vocalici che si riscontrano negli infiniti dei verbi
“toccarj” (3v 20), “passarj” (4r 2), “esserj”/“essirj” (3r 11, 14), “custodirj”
(2v 25), “dirj” (3r 5) e “Jnblanchirj” (4r 15 – 16), così come quelle che si
osservano nelle forme coniugate in terza persona singolare dei verbi “si-
650 Cfr. Mattesini 1994, 424 ssg. Va esclusa forse l’occorrenza di “extranea” (1r 14) in
cui il grafema è parte di un prefisso dotto e non rappresenta perciò il suono della
sibilante, ma più probabilmente il nesso consonantico [ks].
212 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
contenj” (1r 5), “consistj” (3r 3), “descendj” (3r 12), “dissi” (3r 16; 3v 18),
“vincj” (3v 19), “fossi” (3v 23), “Jntesi” (3v 26), “venj” (4r 15). Sono
altrettanto conformi alle regole del trivocalismo atono siciliano anche i
sostantivi in singolare della terza classe di declinazione che presentano la
stessa terminazione in -i, dai termini relativi alle procedure “[p.a/Secun-
da/tercia] dispositionj”, a quelli delle operazioni alchemiche da eseguire
in ognuna di esse: “calcinationj”, “solutionj”, “ablutionj”, “coagulationj”,
“Jncerationj”, “frixonj”, al lessico di “acqua vitj”, “[lu]colurj”, “p.fe-
ctionj”, “[lu] sulj”, ecc. A questi si aggiungono i plurali dei sostantivi
appartenenti alla seconda classe – anche frutto di metaplasmo – quali
“[quatro] substantij”, “palorj”, “[li] bructezzi”, ecc.651 Accanto agli infiniti
in cui si registra un esito vocalico in -i, si ravvisano però nello stesso testo
anche tutta una serie di desinenze verbali nelle quali la vocale rimane
invece media, come nel caso di “toccare” (3v 4, 21, 22), “Jnparare” (3v 6),
“piglare” (4r 6), “Jntendere” (1r 18, 19), “credere” (1r 18), “sapere” (3r 2).
In altri casi, poi, quali ad esempio “[a]pre” (1r 10; 2v 19) e “Jntende” (1r
10), per le quali l’esito in -i sarebbe comune sia al siciliano che al toscano,
la vocale finale volge da -i ad -e. Si tratta in questo caso di forme iper-
corrette che tradiscono uno sforzo di adattamento alla forma linguistica
ritenuta dallo scrivente conforme alla soluzione toscana, fenomeno su cui
si tornerà in par. 2.3.4.1. Infine, se tra i sostantivi di terza declinazione è
possibile riscontrare in veste toscanizzata solo “preparatione” (1r 15), gli
aggettivi e gli avverbi che si trovano nell’arco della trattazione terminano
invece prevalentemente in -e. Fatta eccezione per i soli “[lu foco] debili”/
“fortj” (3r 1), “[duna cosa] vilj” (3v 17) che riportano un vocalismo di
stampo siciliano, si ha dunque “suave” (3r 2), “soctile” (3r 19x2, 23), “tale
[natura]” (3v 19), “legiermente” (2v 21 – 22), “rectamente” (3r 2), “libe-
ramente”/“leberamente” (3r 6; 3v 6), “suavimente”/“suavemente” (3r 23;
4r 10), “Similmente” (3r 26). A proposito dell’atteggiamento delle vocali
posteriori in posizione tonica e non, poi, va riscontrato come l’esito in -u
sia limitato a ben pochi casi, nella fattispecie a “lu” (2v 20, 22, 23, 25; 3r
1, 20, 22; 3v 1, 3), “suavimente”/“suavemente”, “sulj”, “sub(stant)ia” (1r
6, 21; 3v 17), “multj” (1r 17; 2v 24; 3v 8), “Secunda” (2v 17), “supra”/
“supa” (2v 20; 3r 12), “colurj” (2v 23x2, 24), “adiuturj etoperaturj” (3v 1) e
“corpu” (2v 20). La stragrande maggioranza dei sostantivi e degli aggettivi
termina infatti in -o, così come quasi tutte le forme in terza persona
plurale, in prima persona singolare e plurale o in participio passato dei
verbi che vengono utilizzati nel testo. Si hanno così “vitellino” (1r 3),
“vaso” (2v 21), “foco” (2v 21; 3r 1x2, 3, 18, 22; 4r 8, 15), “complimento”
(1r 7 – 8), “Magisterio phisico” (1r 13), “regimento” (3r 3), “nutrimento”
(3r 20), “celo” (3r 24, 25), “libro” (3v 14), “mondo” (3v 15), “Mastro” (4r
1, 12) e “apresso” (1r 7), “aiungemo”, “mancaremo”, “minuimo” (1r 14),
levamo” (1r 15), “Jnteso” (2v 18), “cribato” (2v 20), “transmutato” (2v 23),
“violato” (2v 23), “vero” (2v 24; 3v 18, 26; 4r 1), “violento” (2v 25),
“bono” (3r 3), “Intendo” (3r 4), “dissero” (3r 11; 3v 25, 26), “possiro” (3r
13), “scrissero” (3r 15), “grosso” (3r 18, 19, 23), “bianco” (3r 26), “prego”
(3v 3), “maraviglato” (3v 5), “voglio” (3v 6), “exemo et sapientiss.o” (3v 13),
“sommo” (3v 14), “benedecto” (3v 16), “dico” (3v 21, 23), “facto” (3v 22),
“dato” (3v 23), “Morto” (3v 24), “chamano” (3v 25), “decto” (4r 1),
“benedicto” (4r 3), “omnipotentiss.o” (4r 4), “havemo declarato” (4r 7),
“cochendo” (4r 10), “dissoluto” (4r 11), “sogno” (4r 12), “admirato” (4r
13). L’atteggiamento della vocale anteriore e posteriore in sillaba libera è
in parte quello tipico del siciliano, per cui Ĕ non viene dittongata in
“petra” (1r 6) e “venj” (4r 15), in parte quello toscano, per cui si riscontra
il passaggio di Ŏ ad [w c] nelle forme del pronome/aggettivo possessivo
“suo” (1r 7; 3r 20, 22; 3v 14). Queste forme si avvicendano a loro volta a
quelle siciliane prive di dittongo che si registrano invece nel pronome
possessivo “toj” (2v 19) piuttosto che in “foco”, “bono”, “cochj”, “po” (3v
21, 22) o, ma solo in un’occasione, anche nello stesso pronome possessivo
di terza persona singolare “so” (2v 23). Va segnalato infine, in termini di
vocalismo, il dittongo primario AU che si riscontra nell’occorrenza di
“aurechie” (2v 19).652 In merito agli esiti consonantici andranno ravvisate
invece, da un lato, le occorrenze di “declariro” (1r 6), “declarato” (4r 7),
“Clariss.a” (1r 4), “clara” (3r 15) e “Jnblanchirj” (4r 15 – 16) con man-
tenimento dei nessi CL/BL e, dall’altro, quelle di “pio” (1r 8, 19) con
soluzione di PL> [pj] – ma si veda anche “complimento” (1r 7 – 8) in cui
il nesso consonante + liquida viene invece mantenuto.653 Altri fenomeni
consonantici che si possono ricondurre al volgare siciliano sono le ge-
minazioni della vibrante in “sarra” (3r 21; 4r 11) e “sarria” (3v 24), così
come il raddoppiamento della nasale in “sonno” (3r 5).654 L’occorrenza di
“seq.ro” (1r 7), a sua volta, mostra un mantenimento della plosiva sorda
intervocalica, mentre in “gobernatore” (3r 18) si osserva come la plosiva
intervocalica sonora non subisca una lenizione come avviene invece nel
toscano.655
Venendo all’ambito morfologico, in parte già lambito attraverso
l’analisi fonetica, andrà evidenziato innanzitutto come sia possibile rin-
tracciare in più occasioni l’uso dell’articolo siciliano lu. Alle nove oc-
correnze di lu si affiancano, per la determinazione dei sostantivi in ma-
schile singolare, ben quattordici occorrenze della forma toscana “Jl” (1r
16; 3r 17x2, 18x3, 19, 22; 3v 14, 15, 18, 26; 4r 1, 3), mentre pari al
numero di quindici sono quelle della forma coalescente “lo” (1r 11, 13x2,
24; 3r 1, 3x3, 5, 21; 3v 13, 14; 4r 8, 14x2). All’interno del sistema
preposizionale è interessante notare l’alternarsi di formulazioni che es-
primono una derivazione e una provenienza spaziale o temporale me-
diante la preposizione “di(-j)” con altre che fanno invece uso della pre-
posizione “da”. Frasi del tipo “Jl n.ro lapis […] di diverse sep.para cioe, di
quatro elementj cioe, di quatro substantij” (1r 16 – 21) e “Jngegno sagli di
terra Jn celo et item descendj dj celo Jnterra” (3r 24, 25) co-occorrono
quindi a sintagmi preposizionali del genere di: “ad suo complimento dal
pio jnsino ala fine” (1r 7), “lo separeraj dalu foco et Jl suo soctile dal
grosso” (3r 22 – 23). Morfologie verbali tipicamente siciliane sono poi ad
esempio quella dell’indicativo presente di terza persona singolare che
risale ad un singolare incrocio tra SUM ed AIO656 visibile in “Mastro
molto mi sogno admirato” (4r 12 – 13). Nella terza persona plurale del
presente indicativo, invece, si registra sia la resa conforme al siciliano
illustre “su”, sia quella toscanizzata comprensiva del suffisso -(n)no per di
più entrambe all’interno dello stesso periodo: “Mastro […] pregotj ch mj
vogli dirj quantj su li dispositionj e/ qualj sonno dilo n.ro magisterio” (3r
4 – 6). Ad essere conformi alla tradizione scrittoria siciliana sono anche le
terminazioni della prima persona plurale in presente indicativo visibili,
oltre che in “levamo”, anche in “aiung<em>o” (1r 14) – in cui si veda per
la fonetica anche l’esito in semivocale del nesso -DJ- –, “mancaremo”,
“minuimo” (1r 14) e “havemo” (4r 7). Sempre in termini di sicilianismo e
sempre in ambito verbale attirano l’attenzione anche le forma del con-
dizionale presente “sarria” (3v 24) e del passato remoto “creiao” (3v 16 –
17), mentre per il sistema pronominale va menzionata infine la presenza
del locativo “undj” (1r 11) e del relativo “cuj” (3v 26).657
665 Messana 2007, 444 – 47. Si pensi a questo proposito anche alla figura del mu-
gnaio friulano Menocchio, le cui espressive deposizioni processuali permettono di
ricostruire in maniera paradigmatica la cultura cinquecentesca della società
contadina (Ginzburg 1976, 39 – 40). Non solo a proposito dell’immagine net-
tamente dicotomica delle forze sociali (per cui si vedono contrapposti i servi
poveri ai padroni ricchi) o della cosmogonia basata su concrete analogie con la
realtà quotidiana (per la quale formaggio e vermi valgono da metafora per terra e
angeli), ma anche in merito all’interesse delle classi subalterne verso la cultura del
libro e la parola scritta. Questa veniva certamente isolata dal contesto e deformata
attraverso il filtro della memoria e la griglia di una cultura prevalentemente orale,
ma era pur sempre in qualche modo recepita e assimilata (ibid.).
666 Messana 2007, 459 ssg.
667 Messana 2007, 402.
668 Messana 2007, 401 – 32 e 443 – 58.
218 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
2.3.4. Interferenza
[33v]
[…] […]
16 Dell’Angiolo Gabriele
17 stabilito gia inq.ldivino consistoro il riscatto degli ho.ni
18 ecco che giunta la pienezza de tempi chiamatosi il padre eterno
19 Gabriello ad una verge hebrea maria di nome p. palesargli il mi-
20 sterioso segreto ambasciatore di maria. A q.lla vergine non
recentemte
21 comparsa, ma pa di ogni secolo eletta: non p. fortuna et a caso
tro-
22 vata, ma p. consiglio dell’Altisso scelta: non fra lo stuolo delli
23 vergini dottrinali creata, ma sopa ogn’ altra p. concepir il verbo
24 ordinata, non assediati da curiosi sguardi degli ho.ni, ma dessi
25 nata ad essere luminoso specchio degli Angioli, non ignorata dalle
26 genti ma figurata da patriarchi non dalla natura p. sollevare
27 i suoi genitori concessa, ma da profeti p. remediata al mondo
promes
[39v]
1 p. la febre maligna
2 piglia pa un pezzetto di zuccharo e doppo tre dita di
3 succo di candella che e maraviglioso
~
4 p. la quartana
5 piglia 4 7 onze di acqua di selvia nel principio chea) del
6 male e doppo si cuopre p. due o tre volte che si fara q.sto
7 remedio passera.
~
8 p. mal di fianco e spezzar la petra subbito
9 piglia succo di lumioni una parte , e due di vino ed ambi due
10 falli lambicareb) e q.l distillato se ne piglia un onza o mezz7onza
11 e metali zuccharo.
12 p. il medo
13 piglia cappitelli di muro cioe il succo un dito o due con
14 zuccharo e si puo anco lambicarec) farne gileppo,
15 p. il medo
16 Le radici delle medesimi cappitelli pulverizati eseccati all7ombra
17 col vinod) si ne piglia quanto cape sopa un due tari col vino
18 p. il medo
19 La scorza della radice delle spine <…>e) alume seccata all7 ombra
polve
20 rizzata col fino quanto cape sopa un due tari
21 p. il med.o
22 [..] si La radice delli […] pesta e legno si lima quanto cape sopa un due
23 trova in tari col vino, etiam q.do non hai dolore che se ci e la petra
222 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
generata
24Madonia la fa buttare
____________________________________________
25 p. il medo
26 /7 sufraggia o conofragia cioe la radice polverizata col vinof)
~
a)
Depennato.
b)
I.e.: distillare con l’alambicco.
c)
Le parole anco lambicare sono depennate.
d)
Le parole col vino sono depennate.
e)
Sovrapposto all’espunzione: cioe.
f)
BZA, Raccolta di prediche.
Per quanto riguarda la forma linguistica della Raccolta di prediche, è facile
notare sin da una prima lettura come il testo sia pressoché privo di
elementi che rimandino alla tradizione scrittoria siciliana. In ambito fo-
netico è possibile rilevare solamente tre occorrenze in cui affiora il vo-
calismo siciliano: “pulverizati” (39v 16), “si ne” (39v 17) e “petra” (39v 8,
23). Neanche i fenomeni consonantici, fatta eccezione per la conserva-
zione della consonante intervocalica sorda679 di “succo” (39v 9, 13) e i
raddoppiamenti di “doppo” (39v 2, 6), “subbito” (39v 8) e “cappitelli”
(39v 16), sono di tipo vernacolare.680 A dominare sono infatti le soluzioni
toscane, alle quali lo scrivente si orienta in maniera sistematica per tutto
l’arco della sua produzione testuale. Non si hanno tracce di vocalismo
siciliano nei vari sostantivi “segreto” (33v 20) – in cui peraltro si verifica
una sonorizzazione della plosiva velare –, “specchio” (33v 25), “pezzetto”
(39v 2), “principio” (39v 5), “radice”, “legno” (39v 22), “dolore” (39v 23),
né compaiono vocali alte nelle forme verbali di “sollevare” (33v 26),
“lambicare” (39v 10, 14), “farne” (39v 14), “buttare” (39v 24) o “polve-
rizzata”/“polverizata” (39v 19 – 20, 26). Passando brevemente in rassegna
l’ambito morfologico, è possibile individuare nel testo la sola forma
dell’articolo toscano “il” (33v 17, 18, 19, 23; 39v 12, 13, 15, 18, 21, 25)
per i sostantivi in singolare maschile – anche in forma di preposizione
articolata “nel”, “col”, “del” (39v 5, 17x2, 20, 23, 26) – così come le
forme “(-)gli” o “(-)i”: “degli ho.ni” (33v 17), “degli Angioli” (33v 25), “i
suoi genitori” (33v 27) per quelli in plurale maschile. Dinanzi ai sostantivi
in plurale femminile s’individua la soluzione siciliana681 in una sola oc-
casione: “delli vergini” (33v 22 – 23), mentre in tutti gli altri casi occorre
l’articolo “(-)le”: “dalle genti” (33v 25 – 26), “Le radici” (39v 16), “delle
spine” (39v 19). Nella rubrica contro la “febre maligna” (39v 1) attira
l’attenzione l’occorrenza di “candella” (39v 3) in cui si realizza una dis-
similazione della nasale geminata -nn- con l’intento di ripristinare un
nesso -nd- 682 rifuggendo da esiti percepiti come vernacolari. Particolar-
mente interessante a questo proposito risulta essere anche un passaggio di
c. 39v dove, tra le diverse ricette relative all’eliminazione dei calcoli renali,
ve n’è una che consiglia di ingerire le radici di una pianta rampicante
dissolte nel vino. Nella dicitura: “Le radici delle medesimi cappitelli
pulverizati” (39v 16), la preposizione articolata “delle” non introduce un
sostantivo femminile in plurale, ma si riferisce ad uno in singolare ma-
schile. Data l’isomorfia dell’articolo determinativo plurale siciliano in
ambedue i generi, lo scrivente corregge erroneamente la forma vernaco-
lare “dilli” che ritiene evidentemente di dover bandire dallo scritto so-
stituendola con una toscana, ma femminile. La forma “dilli” cede così il
posto non a “degli”, ma a “delle”, tanto che l’intervento sulla forma
linguistica crea una discordanza di genere tra la preposizione articolata da
un lato e l’aggettivo personale “medesimi”, il sostantivo “capitelli” e il
participio “polverizzati” dall’altro. Scandagliando questo breve fram-
mento testuale si scoprirà peraltro che non si tratta dell’unico ipercor-
rettismo di cui si rende artefice lo scrivente. Almeno altrettanto caratte-
ristica è infatti la forma verbale che si trova nel passaggio in cui si
suggerisce di trattare la febbre quartana con degli impacchi di acqua di
selvia. La guarigione delle piaghe viene garantita solo se dopo il tratta-
mento si ha cura di medicare la ferita, nelle parole testuali: solo se “doppo
si cuopre” (39v 6). Mentre in “petra” (39v 8) l’atteggiamento della vocale
tonica in sillaba libera è quello del volgare siciliano – e nell’articolo
possessivo de “i suoi genitori” (33v 27) si realizza invece un dittongo in
sintonia con le regole del toscano –683 la forma “cuopre” rappresenta
un’anomalia che non rientra in nessuno dei due sistemi linguistici.
Temendo di ricadere nel vernacolo, il compilatore ipergeneralizza qui la
regola che seguono nel toscano le vocali toniche in sillaba libera e realizza
un dittongo della vocale posteriore sebbene essa si trovi qui in sillaba
chiusa. Prima di trarre delle conclusioni più approfondite su questo
manoscritto secentesco e sui fenomeni che lo contraddistinguono (cfr.
infra, par. 2.3.4.3.), è necessario dedicare spazio nel prossimo paragrafo
[5]
1 iesus
2 jesus Maria
3 Silege che lasantita de leone pontifichi .o. m<a>ndao questa epistola
allo imperatore re carlo neli
4 tempi che siretrova stracco nelle guerre loqualecomando che si legesse
oguardase oportasse disopra
5 et cui lalegese oguardase sara salvo quello gior<no> nedelli soi nimichi
lisera fatto allcuno et
6 ogni cosa lireuxira inbene et ledonne che non potiranno partorire
ofigliare metenosi questa
7 epistola disopra subbito saranno liberati et si alcuno va accombatire con
lisoi nimici dica prima
8 <q>uesti nomi didio sti + egios + vos + atanatos + benevolentia
amicitia amabili et accui li
9 <u>xisse sagnue del naso et non si potese stagnare metasi questa
epistola supra ilnaso che
10 <s>ubito stagnira
11 Cossi incomenza <l>aepistola +
[…] […]
[7]a)
27 + integramatum + […]
28 + mel chredo
29 jo franciscus diar<m>ato
[8]
[…] […]
26 Indulichentie et gratie concessi accui derra secti patrinostri esecti
27 avemarie p. tanti anni fiche conplire il numero delli gochulli del
28 sagnue chi sparse Xpo della sua nativita insino alla morte che
29 sonno tre milione et trimilia quatro cento trentasei che intempo
30 dianni dodechi conquestira legratie infinite
d)
31 Chisarano perdonate lipene delprugatorio lucerca lisa come sparge
32 il suo sagnue p. lafede cisar<a>no liberate lanime delli soi parentij
33 del purgatorio insino aquatro grado et sisuche<d>i senza conplire
merita
34 come havesi conpluto
35 Sarrano confirmati ingratia chnzo delli soi parenti qualli esso volli
[9]
[14]
1 iesus
2 Indoligentia concessa della
3 santita di nostro sancto
4 padre paulo quinto allo
5 serennissimo gran duca
6 ditoscana questa sicama
7 lacorona della sanctisima
8 passione dichristo no.r sig.re
9 <Q>ual sivoglia p.sona che
10 dito uno pater noster et
11 decae avemarije guada
12 <g>na indulicentia plenaria
[15]
[16]
1 indulicentia plenaria
2 3 ogni volta che piglira
3 agli mano et ladirra
4 libera una anima del
5 purgatorio havertendo chi
6 quanti volti ladirra
7 tanti hanime cava dell<.>
8 peni del purgatorio ancora
9 chi ladica pio di chento
10 volti al giorno ŏ
[17]
[18]
[19]
1 Mano in mano
2 7Questo lo a fatto il sommo
3 pontefiche acio ogni
4 uno sia partechipe di
5 tanti gran thesori et
6 benefitij et si la dictta
7 corona si perdessi ogni
8 volta sipiglira unaltra
9 incambio chi sarra <…>
10 laistessa mano potira
11 dare li sectij corone
[20]
1 8 di Vs. Epiu chi fratello
2 Paulo Maijorana
[21]
1 Ave s.ma mariamater dei
2 regina celi porta paradisi
3 domina mundi pura singnula
4 ris tu es virgo tu concepisti
5 iesu sine peccato tu peperist<i>
6 creatore mundi inquo non
7 dubito libera me mali
8 et hora pro peccatis mei
9 amen
10 laus deo
[22]
1 Virgini s.ma madre di jdio mio
2 signore jesu xpto nazareno
3 ilquale e salvator di tuto il
4 mondo prega p. me peccatore
5 altuo prezioso figlio fiore
6 dituti liangeli et patriarchi
7 aiutame signora et sta meco
8 semper amen +
9 +
10 fonte dipieta emisericordia
11 tempi dijdio sacrario dello
12 spirito s.to stella delmare
13 consolationi di peccatori re
14 ina delli angeli et consola
2.3.4. Interferenza 233
[23]
[24]
[25]
1 di core ne temera di pe
2 sti siacaso alcuna donna
3 non potissi partorire legendoli
4 questa oratione disopra subi
5 to partorira et similmentij
6 legendolla adun jndemo
7 niato lospirito non lumole
8 stira et habia p. certo <…>
9 alcuni giorni prima del<…>
10 sua morte li apparera la
234 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
[26]
[27]
1 Cusita nelgappone et in
2 virtu di ella non poctimo
3 morire senza confessione
4 Amen
5 + Jesus + laus deo +
6 francisco diarmatog
a)
Sull’intero specchio di scrittura della carta sono tracciati due segni diagonali
intrecciati forma di x (v. fig. 10).
b)
Tra le due colonne di nomina sono rappresentati due simboli della croce posti
in orizzontale e colmi di tinta (v. fig. 10).
c)
Questa nota, così come presumibilmente anche i due segni tracciati a forma di x
sulla carta, sono della mano del segretario del Tribunale che ha redatto il proto-
collo.
d)
Sono tracciati anche sulle righe di questa rubrica, uno di fianco all’altro, tre segni a
forma di x.
e)
Anche su questa rubrica sono tracciati due segni diagonali che formano una x.
f)
Sic!
g)
ASDM, Libretto di formule magiche, numerazione mia.
691 Cfr. Mattesini 1994, 429 – 30; Rohlfs 1966 – 69, § 489; Rinaldi 2005, I, 421;
Leone 1980, 89 ssg.
692 Cfr. Mattesini 1994, 430; Rinaldi, 2005, I, 462.
236 2. Analisi empirica: Ricettari di segreti e plurilinguismo
–,693 “tre” (8: 29), “onore” (9: 13), “dare” (18: 3 – 4; 19: 11), “donare”
(18: 9), “creatore” (21: 6), “sapere” (23: 7), ecc. Le occorrenze di “core”
(23: 4; 25: 1), “molestira” (25: 7 – 8), “accombatire” (5: 7), “prendira”
(9: 17), ecc. mostrano poi degli esiti coalescenti con vocalismo in parte
siciliano, in parte toscano.
Gli elementi toscani non mancano nemmeno sul piano morfosin-
tattico, come nel caso degli aggettivi e pronomi dimostrativi: “Questi”/
“questa” (7: 1, 2), “que<lli>”/“quelo” (7: 1, 7), degli articoli determi-
nativi in singolare maschile: “il [naso]” (5: 9), “il [numero]” (8: 27), “il
[suo sagnue]” (8: 32), “il [sacerdoto]” (17: 5 – 6), “il [quale]” (22: 3), “il
[mondo]” (22: 3 – 4), “il [tuo sapere]” (23: 6 – 7), dei pronomi personali
“lui” (24: 10) ed “ella” (27: 2), del pronome personale indirretto di terza
persona singolare “gli [plachera]” (18: 5). Sul piano sintattico si regi-
strano poi l’anteposizione dell’aggettivo possessivo in: “soi nimichi” (5:
5), “mei peccati” (15: 11 – 12), oltre che nel già menzionato “suo sagnue”.
Come dimostra la subordinata finale “acio ogni uno sia partechipe” (19:
3 – 4), il congiuntivo viene infine espresso anche per mezzo di forme non
parafrastiche.
2.3.4.3. Riassumendo: interferenza
A proposito del primo testo preso in esame in questo sottocapitolo, la
Raccolta di prediche (cfr. infra, par. 2.3.4.1.), si è potuto riscontrare senza
troppe difficoltà come il compilatore, pur lasciando trapelare alcuni
elementi della lingua di partenza,694 manifesti tuttavia l’intento di atte-
nersi alle norme del toscano. Nel momento in cui ricade nel siciliano,
cioè, lo scrivente non attesta altro che una competenza in parte lacunosa
di un sistema la cui validità non viene però messa in discussione. I
fenomeni del vernacolo siciliano rappresentano delle interferenze da cui
lo scrivente in contesti formali sente la necessità di rifuggire. A giudicare
da questo testo, a quest’epoca il siciliano comincia ad assumere il ruolo di
una varietà bassa. 695
Un quadro più complesso è invece quello che si delinea attraverso
un’attenta disamina del Libretto di formule magiche (cfr. supra,
par. 2.3.4.2.). In questo caso non è infatti possibile identificare un
orientamento inequivocabile al volgare toscano. Il testo del Libretto di
Con il testo del Libretto di formule magiche siamo giunti al termine delle
esplorazioni empiriche. L’analisi dei Ricettari di segreti ha messo in evi-
denza diversi aspetti del rapporto che si stabilisce tra latino da un lato e
idiomi volgari dall’altro sul finire dell’età media e in particolare nel XVo
secolo. Inoltre, attraverso la disamina delle raccolte cinque e seicentesche
è stato possibile mettere in risalto le dinamiche di mutamento delle
norme linguistiche di riferimento che si delineano, nell’utilizzo della
lingua volgare, durante tutto l’arco della prima età moderna. I risultati
della disamina andranno ora adeguatamente differenziati e inseriti nel
quadro più ampio della percezione linguistica del relativo periodo storico
(cap. 3.). Al termine di questa operazione si potranno trarre le dovute
conclusioni in merito alle forme di manifestazione del plurilinguismo nel
Regno di Sicilia in particolare e nella storia linguistica d’Italia in generale.
710 Roger Bacon, The Greek Grammar, cit. da: Vàrvaro 2004a, 111, corsivo mio.
711 Cfr. Vàrvaro 2004a, 111.
712 Cfr. Vàrvaro 2004a, 113.
713 “Post pusillum autem accesserunt, qui stabant, et dixerunt Petro: ‘Vere et tu ex
illis es, nam et loquela tua manifestum te facit’” (Matteo 26, 73, da: http://
www.vatican.va/archive/bible/nova_vulgata/documents/nova-vulgata_nt_evang-
matthaeum_lt.html#26, corsivo mio).
714 Super Ev. Matthaei 26, 76, cit. da: Lusignan 1986, 69.
715 Super Matthaei, xxvi col. 441, cit. da: Lusignan 1986, 62.
716 Cfr. De vulgari eloquentia I, viii, 7 – 9, da: http://www.danteonline.it/italiano/
opere.asp?idope=3&idlang=OR.
717 Cfr. Vàrvaro 2004a, 114 ssg.
3.1. La coscienza linguistica in Sicilia fino al Quattrocento 243
normale copia sta nel fatto che il compilatore “conferisce al testo una
patina diversa da quella originaria, e più o meno fortemente siciliana”.730
Rientra ora in questa tipologia di sincretismo linguisitco, oltre al
fenomeno di toscanizzazione o koineizzazione731 che interessa il rapporto
tra siciliano e toscano, anche quanto si è potuto verificare sia in corri-
spondenza dell’epistola del Lapidario di cui al par. 2.2.1.1., sia in maniera
più estesa nel trattato delle urine esaminato in par. 2.3.2.1. In ambedue i
testi, i tratti linguistici predominanti di area lì mediana, qui settentrionali
sono intercalati, in maniera del tutto analoga e in perfetta assenza di code
switching, a fenomeni vernacolari attribuibili invece a varietà ubicate
rispettivamente nel settentrione e nel meridione estremo della penisola
italiana. Nel trattato delle urine o Libro di ricette e secreti di par. 2.3.2.1.,
la presenza di elementi di estrazione galloitalica da un lato e di tratti
fortemente marcati in senso siciliano dall’altro, mixing che nell’esposi-
zione redatta dalla stessa mano si estende per tutto l’arco della produ-
zione, mette in evidenza come la tipologia di plurilinguismo soggiacente
sia da ricondurre al repertorio idiosincratico del compilatore. Sulla base di
un manoscritto di estrazione geografica e linguistica settentrionale, il
copista-compilatore risponde alle esigenze d’integrazione linguistico-cul-
turale del testo nello spazio comunicativo siciliano adattando la lingua di
questo antigrafo alle peculiarità dell’idioma dei fruitori. Ciò avviene
mediante la commutazione di alcuni fenomeni linguistici dal testo di
origine negli elementi corrispondenti della varietà areale nello spazio
comunicativo di riferimento. Questa operazione è tale da rendere l’attività
di copiatura, in senso linguistico prima ancora che contenutistico, pari ad
un compito di meditata compilazione.
precluso.754 Lo stesso autore lascia inoltre intendere dalle ultime righe del
prologo – dichiarandosi pentito di essere ricorso al latino nel redigere la
sua opera De situ insulae Siciliae –755 come ritiene invero più sensato
prediligere l’utilizzo della lingua volgare anche in ambito scientifico, oltre
che in quello religioso.
Ciò che i testi citati mettono in evidenza non è certamente un novum
per l’Europa rinascimentale. Già a partire dal secolo IX, infatti, gli idiomi
romanzi cominciarono a dare i primi ‘segni di vita’, dapprima nelle tra-
dizioni discorsive più disparate, dall’epigrafe all’indovinello alla lista di
mercanzie, minando la sempre più instabile diglossia interna al latino.756
Nei secoli successivi, a diverse velocità nelle diverse regioni dell’occidente
medievale, si assiste ad un progressivo abbandono del latino all’interno
delle tradizioni discorsive di stampo letterario piuttosto che pragmatico-
amministrativo, a dimostrazione del fatto che la fiorente borghesia dei
centri comunali e demaniali non era più in grado, né sentiva la necessità
di servirsi attivamente della lingua dotta per l’organizzazione della vita
civile.757 Non va dimenticato, però, che l’erosione del latino come lingua
veicolare della distanza comunicativa, durante il Medioevo, riguarda solo
la dimensione verticale o diafasica della variazione linguistica, non quella
orizzontale o diatopica. Dal punto di vista diatopico, infatti, il latino
raggiunge proprio in quest’epoca il periodo di massima estensione del suo
raggio comunicativo, fungendo da varietà alta anche di buona parte del
mondo germanico, baltico e slavo rimasto originariamente escluso dai
territori dell’impero romano.758 La novità è dunque ora proprio quella per
cui, in termini qualitativi, sono le ultime roccaforti della lingua universale
a subire con sempre maggior impeto l’assedio del volgare, dalla sfera della
scritturalità religiosa a quella scientifica.
Gli umanisti del Cinquecento, attraverso uno schema argomentativo
ricorrente, assumono posizioni apologetiche nei confronti della lingua
volgare, contrapponendo alla teoria della corruzione nelle sue diverse
accezioni759 la tesi del primato di originalità rispetto alla lingua dotta. Ciò
vale non solo dal punto di vista ontogenetico, dal momento che la lingua
volgare viene direttamente assimilata, a differenza del latino, dal seno
materno – questa la topica più frequente –, ma anche da quello filoge-
netico, posizione che si sostiene ipotizzando l’esistenza del volgare sin dal
tempo della latinità classica.760 Ancora va riconosciuto agli umanisti in
lingua volgare il merito di aver messo in discussione il presupposto teo-
rico per cui la perfezione linguistica sarebbe da ricercarsi nell’assoluta
rigidità dell’idioma e nella sua integrità incontaminata, avendo essi at-
tribuito invece maggior valore al principio di naturalezza e autenticità e
mutato così implicitamente in positivo le connotazioni legate all’etero-
geneità che derivano alla lingua dall’essere utilizzata in contesti autenti-
ci.761
759 Esistono due accezioni principali: la tesi della corruzione esternamente indotta,
da ricondurre alla tradizione di Flavio Biondo e la tesi della corruzione avvenuta a
causa della predisposizione interna al latino, che fa capo a Leonardo Bruni (El-
lena 2011, 64 ssg.).
760 Questa è la posizione di Leonardo Bruni (cfr. Ellena 2011, 65). Non mancano
posizioni che si spingono ben oltre a tali valutazioni, come quelle di Gregor
Lopez Madera o di Pierfrancesco Giambullari, il primo dei quali che giunge a
negare, propugnando la cosiddetta tesi del proto-castigliano, la primogenitura del
latino sul volgare e la diretta filiazione dell’uno dall’altro (Bahner 2001, 1097), il
secondo che, “al fine di accreditarne storicamente la singolare natura fra tutte le
parlate italiane e di accentuarne l’autonomina dal latino” (Vitale 1984, 85),
sostiene l’esistenza di un legame del fiorentino con l’etrusco e l’aramaico. Al di là
del carattere speculativo di queste teorie, il loro merito sta nell’aver reso esplicita
l’innegabile immediatezza del volgare rispetto al latino.
761 Cfr. Ellena 2011, 65.
254 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano
del fatto che, in terzo luogo, “[la] più evidente implicazione letteraria
dell’uso riflesso dei dialetti è nel costituirsi di due monolinguismi com-
plementari e distinti”, dal momento che il ricorso al dialetto comporta
una sistematica esclusione sia della lingua italiana, sia soprattutto di tutti
“gli accostamenti e le interferenze della lingua corrente”.768 I rappresen-
tanti della poesia dialettale – nella maggior parte dei casi si tratta in verità
di autori bilingui che non disdegnano verseggiare anche in lingua italiana,
oltre che nel rispettivo dialetto –769 si fanno promotori di una restaura-
zione purista che ripudia gli stessi principi di naturalezza su cui si fonda,
in definitiva, il movimento culturale che aveva dato vita all’umanesimo
volgare. Un illustre esponente della letteratura dialettale in siciliano è ad
esempio Antonio Veneziano, l’autore dei numerosi componimenti che
nella Celia riecheggiano in veste linguistica siciliana gli strazianti toni del
petrarchismo. Nella prefazione all’opera, l’intellettuale monrealese espri-
me il suo intento poetico alla seguente maniera:
Forsi lu munnu aspittiria autri primizi di l’ingegnu miu; ma in quali lingua
putia megghiu fari principiu, ch’in chidda, chi primu non sulamenti ’mparai,
ma sucai cu lu latti? Starria friscu […] Oraziu, chi fu d’unni si parlava latinu,
e scrissi latinu, lu Petrarca, chi fu Tuscanu, e scrissi tuscanu, s’a mia chi sú
Sicilianu non mi convenissi comporri Sicilianu […] benchì iu per grazia di
Diu, saccia autramenti scriviri, per ora m’è placiutu mustarimi ne lu miu
propriu visaggiu, quannu vorrò farmi mascara, mustrirò chi cussì beni fazzu
la mia parti.770
In questo breve passaggio si ritrovano tutti gli elementi distintivi che
rendono lecito classificare un’opera nei termini di letteratura dialettale
riflessa. 771 Per prima cosa vediamo come Veneziano reclami qui l’utilizzo
del vernacolo rievocando il topos della sua originarietà ontogenetica: “ma
in quali lingua putia megghiu fari principiu, ch’in chidda, chi primu non
sulamenti ’mparai, ma sucai cu lu latti?”. Spicca poi nel prologo della
Celia l’affermazione secondo cui il vernacolo siciliano sia l’unico in grado
di trasmettere i sentimenti genuini dell’autore, possibilità che resta invece
Non è xhiamma ordinaria, no, la mia Amor di cento fiammi e cento strali
è xhiamma chi sul’iu tegnu e rizettu, s’arma li mano, l’arco e la pharetra;
xhiamma pura e celesti, ch’ardi ’n mia; quilla con li pinser casti e fatali
per gran misteriu e cu stupendu effettu. si spingi inanzi, e lo cori di petra
Amuri, ’ntentu a fari idualatria, fann’un rumuri, con impeto tali,
s’ha novamenti sazerdoti elettu; chi turbano la genti di Triquetra:
tu, sculpita ’ntra st’alma, sì la dia; restano in fini di la guerra equali,
sacrifiziu lu cori, ara stu pettu.776 et io, com’era, in vita amara e tetra.777
Nella parte di ambizione poetica dell’opera di Arezzo, le canzoni in lo
proprio idioma, si viene confrontati con una lingua che non si può in
alcun caso considerare alla stregua di un vernacolo puro da contrapporre
al volgare tosco-italiano.778 L’intento programmatico è invero formulato
già nella prima parte del trattato, una disquisizione linguistico-filosofica
dove l’Arezzo si appella a quanti come lui sono scontenti “dili doi extremi
[…], o dilo puro thoscano o dilo antico et vulgar [….] siciliano idio-
ma”.779 Né l’italiano letterario dei toscanisti, il cui utilizzo ricade inevi-
tabilmente nell’affettazione, né il vernacolo dei sicilianisti, una varietà
inadatta non solo dal punto di vista diacronico, ma anche da quello
diastratico (“antico et vulgar”), si prestano infatti alla “bucca di cortixani
et homini chi prosumino ben parlari”.780 L’autore si assume allora l’onere
di codificare, “stringendola sotta certi reguli”781, la lingua dei “gin-
til’homini”782 che animano le disquisizioni degli accademici salotti
messinesi elaborando un “novo modo”.783
776 Celia, Lib. 2, cit. da: Siciliano 2003, 29, corsivo mio.
777 Arezzo 2008 [1543], 120, corsivo mio.
778 Le due canzoni poste a confronto si completano per così dire a vicenda, la-
mentando nel pieno rispetto dei canoni petrarchisti lo stato d’inattaccabilità
dell’amata l’una e quello di arrendevolezza dell’amante l’altra. Per quanto ri-
guarda la forma linguistica, è dato osservare ad esempio come in entrambe le
ottave i significanti di cori – per quanto i rispettivi significati non possano avere
connotazioni più diseguali! – siano in versione perfettamente siciliana (esenti da
dittongo spontaneo e con i finale). A spiccare nel raffronto fra i due testi sono
però molto di più le divergenze nelle rese, ad esempio, dell’articolo determinativo
lo vs. lu, della preposizione con vs. cu piuttosto che del pronome personale io vs.
iu. Assolutamente esemplare è poi l’opposizione tra fiammi e xhiamma, la prima
forma risultando siciliana solo nella terminazione, la seconda invece mostrandosi
a dir poco ipercaratteristica in senso vernacolare nell’esito fonetico e grafico del
nesso FL-.
779 Arezzo 2008 [1543], 39.
780 Arezzo 2008 [1543], 6 – 7.
781 Arezzo 2008 [1543], 6 – 7.
782 Arezzo 2008 [1543], 3.
783 Arezzo 2008 [1543], 39.
258 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano
li: li homini, li donni, li officii.” (ivi, 43). In alcuni casi invece, sembra che alla
base della codificazione vi sia davvero una scelta fortemente razionale volta a
funzionalizzare i singoli elementi del nuovo sistema. Sul pronome possessivo
scrive a questo proposito Arezzo: “So, sua, soi et loro: […] per chi quillo pronomo
soi si referirà al singulari, quanto al possidenti, in quisto modo: ‘li robbi sonno
soi’ intendirimo soi ‘di quillo uno’ et non ‘di quilli’” (ivi, 55).
801 Da: Bianchi/De Blasi/Librandi 1992, 642.
802 Brancati è peraltro traduttore di prosa (pre)scientifica e cura, oltre a importanti
volgarizzamenti di Plinio ed Esopo, la Mulomedicina di Vegezio, testo di tipologia
assai affine a quelli presi in esame in questa sede Cfr. Bianchi/De Blasi/Librandi
(1992, 642). A proposito della lingua del Brancati si veda Aprile (2001).
803 Da: Vitale 1984, 59.
804 Cfr. Vitale 1984, 60 ssg.
805 Da: Vitale 1984, 108, modifica mia.
806 Ellena 2011, 127 ssg.
262 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano
poesia –, lungo il filo rosso che unisce gli autori menzionati ad altre voci
ancora che riecheggiano da tutta la penisola, aspetta ancora di essere preso
seriamente in considerazione dalla ricerca. Solo dopo una rivalutazione di
quelli che sono a tutt’oggi i valori impliciti sottesi alla ricostruzione, la
‘purezza’ e l’uniformità, responsabili di una selezione più o meno mirata
delle fonti linguistiche e metalinguistiche che ne dimostrano la validità
incontestabile e dell’esclusione più o meno consapevole di quelle che
invece non sembrano conciliabili con tali principi dal carattere pressoché
dogmatico sarà possibile scoprire la faccia della storia linguistica rimasta
finora nascosta.
La co-presenza di un modello linguistico toscano dotato di un forte
prestigio e di uno standard di riferimento basato sul vernacolo siciliano,
nel repertorio degli scriventi cinquecenteschi, non comporta che in
quest’epoca si venga a creare una contrapposizione tra i due sistemi.
Piuttosto che parlare di una “silenziosa competizione”,807 di una con-
correnza tra due lingue ben distinte tra cui lo scrivente è tenuto ad
operare una scelta univoca, si ritiene opportuno definire questo rapporto
nei termini di coalescenza (cfr. infra, par. 2.3.3.). Il quadro linguistico che
si ricava dai Ricettari di segreti cinquecenteschi, ad uso e consumo di
operatori e ‘pazienti’ radicati nel territorio siciliano, è infatti come già
delineato altrove:
quello di una scrittura che attinge in egual modo a fonti identificate sì come
distinte, ma lasciate nondimeno confluire in un unico bacino linguistico, il
che permette agli scriventi di creare legami nuovi tra gli elementi disponibili.
[…] Con questa nozione [scil.: coalescenza] si vuole infatti rendere giustizia
all’evidenza che chiunque si cimenti con la scrittura, a partire dalla seconda
decade del Cinquecento, lo faccia con la piena cognizione di avvalersi di un
sistema linguistico intrinsecamente eterogeneo, dando avvio ad una nuova
fase in cui la commistione tra siciliano e toscano – l’alterità dei due sistemi è
ora sotto gli occhi di tutti – è accolta come uno sviluppo ‘naturale’ contro il
quale non s’intende opporre un’artificiosa resistenza.808
Il termine di coalescenza andrà riferito sia alla tecnica linguistica, sul
piano storico, sia alla concreta realizzazione linguistica, sul piano attuale-
individuale.809 In quanto al primo si parlerà allora di lingue coalescenti,
mentre sul piano attuale-individuale ci si riferirà da un lato alla sfera della
spazialità del locutore, all’interno della quale si identifica il repertorio
coalescente dei parlanti poliglotti e dall’altro lato alla sfera della spazialità
812 Vàrvaro (2004a, 126) vs. Vàrvaro (1976, 94), cfr. supra.
813 Sulla toscanizzazione degli organi amministrativi viceregi fuori sede, primo fra
tutti il Consiglio d’Italia, cfr. Alfieri (1990, 333 e 338 ssg.). Per una schematiz-
zazione della struttura polisnodale dell’apparato amministrativo spagnolo cfr.
Schwägerl-Melchior (2014, 124).
814 Cfr. Vàrvaro 2004a, 126.
3.2. La coscienza linguistica in Sicilia dal Cinquecento al Seicento 265
815 Arezzo 2008 [1543], 3 – 4. Il trattato dantesco era noto all’epoca solo alla cerchia
ristretta del Trissino nella sua traduzione in italiano ritenuta da Arezzo, estraneo a
questa cerchia, la falsificazione di un fantomatico originale in siciliano (cfr.
Grasso, in: ivi, 4).
816 Arezzo 2008 [1543], 6.
817 Cfr. Ellena 2011, 64 ssg.; infra, par. 3.2.1.
818 Arezzo 2008 [1543], 7 – 8. Per approfondimenti sulla riflessione cinquecentesca
in merito al ruolo del castigliano e sulla critica alla “barbarie spagnuola” nel
meridione d’Italia si veda Gruber (2014, 203 ssg).
819 Arezzo 2008 [1543], 51.
266 3. Riflessioni conclusive: la storia dello spazio comunicativo siciliano
convergere con il volgare (cfr. infra, par. 3.1.3.), è stato possibile porre le
basi concettuali su cui fornire spiegazioni attendibili per le attitudini
cinquecentesche (cfr. infra, par. 3.2.) non solo a servirsi del volgare per la
comunicazione in generale (cfr. infra, par. 3.2.1.), ma anche a facilitare la
convergenza di elementi del siciliano e del toscano in un idioma coale-
scente (cfr. infra, par. 3.2.2.) aperto ad ulteriori ibridismi verso lingue
radicate nello stesso territorio (cfr. infra, par. 3.2.3. per lo spagnolo).
Ponendo al centro dell’indagine storica non la lingua, ma la comu-
nicazione nelle sue molteplici sfaccettature e considerando la molteplicità
non come un ostacolo che i locutori tentano di rimuovere, ma come una
risorsa che tendono a valorizzare, si sono potuti scorgere nuovi orizzonti
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