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Profilo diacronico dell'evdalico: aspetti conservativi e innovativi di una


varietà minoritaria scandinava

Thesis · September 2020


DOI: 10.13140/RG.2.2.26961.76649

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1 author:

Luca Riccardelli
Sapienza University of Rome
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Profilo diacronico dell’evdalico:
aspetti conservativi e innovativi di una varietà
minoritaria scandinava

Facoltà di Lettere e Filosofia


Dipartimento di Lettere e Culture moderne
Corso di laurea in Linguistica

Luca Riccardelli
Matricola 1615837

Relatore Correlatore
Prof. Paolo Di Giovine Prof. Andrea Berardini

A.A. 2019-2020
1. INTRODUZIONE………………………………………………………………4
1.1. Nozioni generali………………………………………………………………..4
1.2. Riconoscimento politico……………………………………………………….8
1.3. Come chiamare la lingua…………………………………………………….10
1.4. Premessa terminologica……………………………………………………...11
1.4.1. Antico Nordico, Antico Scandinavo, Runico e Protonorreno………11
1.4.2. Classificazioni delle lingue scandinave………………………………14
1.4.3. Fasi storiche dello svedese…………………………………………… 19
1.4.3.1. Svedese antico………………………………………………….19
1.4.3.2. Svedese moderno………………………………………………22
1.4.3.3. Svedese contemporaneo……………………………………….24
1.4.4. Classificazione dei dialetti svedesi……………………………………25
1.5. Periodizzazione……………………………………………………………… 30
1.5.1. Stadi della lingua tra XIX e XX secolo……………………………….32
1.5.2. Dissoluzione e rivitalizzazione dell’evdalico…………………………36

2. FONETICA E FONOLOGIA………………………………………………38
2.1. Vocalismo…………………..…………………………………………………38
2.1.1. Mutamenti vocalici…………………………………………………….40
2.1.1.1. Monottongamento scandinavo orientale……………………..40
2.1.1.2. Mutamento scandinavo occidentale dei dittonghi…………...41
2.1.1.3. Umlaut da ʀ…………………………………………………….41
2.1.1.4. Mutamento in contiguità di w-………………………………..42
2.1.2. Nasalizzazione……………………………………………………… .43

2.1.2.1. Nasalizzazione spontanea..…………………………………….44


2.1.2.2. Nasalizzazione medio scandinava…………………………….44
2.1.2.3. Caduta di nasale antico runico scandinava in coda di sillaba
……tonica…………………………………………………………....45

2.1.2.4. Nasalizzazione antico runico scandinava nelle sillabe atone..45


2.1.2.5. Legge nasale-spirante in antico scandinavo………………….46
2.1.2.6. Caduta di n avanti a liquida…………………………………..47
2.1.2.7. Nasalizzazione protogermanica prima di h…………………..48
2.1.2.8. Nasalizzazione parassita………………………………………48
2.1.3. Quantità fonologica………………………………………………… 50
2.1.4. Accento…………………………………………………………………51
2.1.5. Equilibrio vocalico……………………………………………………..52
2.1.6. Armonia vocalica………………………………………………………54
2.1.7. Dittonghi e trittonghi…………………………………………………..57
2.2. Consonantismo………………………………………………………………..63
2.2.1. Retroflessione…………………………………………………………..65
2.2.2. Palatalizzazione……………………………………………………….. 67 .

2.2.3. Mutamenti consonantici……………………………………………… 68 .

2.2.4. Fricative sonore: ð e ɣ…………………………………………………69


2.2.5. Assimilazione di nasale seguita da occlusiva………………………... 70.

2.3. Fenomeni fonosintattici………………………………………………………73


2.3.1. Sandhi…………………………………………………………………..73
2.3.2. Apocope………………………………………………………………...73
2.3.2.1. Apocope nei nomi propri……………………………………...76

3. MORFOLOGIA………………………………………………………………..77
3.1. Sostantivi……………………………………………….…………………….. 77 .

3.1.1. Sostantivi maschili……………………………………………………..78


3.1.2. Sostantivi femminili…………………………………………………... 80
3.1.3. Sostantivi neutri………………………………………………………..82
3.2. Sviluppi diacronici del sistema flessivo nominale…………………………..84
3.3. Determinatezza………………………………………………………………..90
3.4. Aggettivi……………………………………………………………………….94
3.5. Pronomi……………………………………………………………………….98
3.6. Casi…………………………………………………………………………...105
3.6.1. Nominativo…………………………………………………………....105
3.6.2. Genitivo…………………………………………………………......... 106 .

3.6.3. Dativo………………………………………………………………….110
3.6.4. Accusativo……………………………………………………………. 111 .

3.6.5. Vocativo……………………………………………………………….113
3.7. Verbi………………………………………………………………………….117
3.7.1. Verbi deboli…………………………………………………………...119
3.7.2. Verbi forti……………………………………………………………..120
3.7.3. Verbi ausiliari: wårå e åvå…………………………………………...124
3.7.4. Reggenza verbale……………………………………………………..124
4. SINTASSI……………………………………………………………………… 127 .

4.1. Caratteristiche sintattiche condivise da tutte le lingue scandinave…….._128


4.2. Caratteristiche comuni allo scandinavo continentale……………………..129
4.3. Caratteristiche comuni allo scandinavo insulare………………………….132
4.4. Strutture sintattiche specifiche dell’evdalico……………………………... 133 -

4.5. Sintassi dell’evdalico moderno: i dati dell’Övdalian Speech Corpus……134


4.6. Raddoppiamento del soggetto………………………………………...,……136
4.7. Omissione del soggetto referenziale………………………………………..139
4.7.1. Condizioni strutturali per l’omissione di wįð………………………142
4.7.2. Condizioni strutturali per l’omissione di ið……………………..,…144
4.7.3. Omissione del soggetto referenziale nelle lingue germaniche……..145 ,

4.8. Movimento verbale da V a I……………………………………………….. 148 ,

4.9. Inversione stilistica,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,151


4.10. Accordo negativo…………………………………………………………… 154 .

5. ORTOGRAFIA……………………………………………………………… 157 .

5.1. Rune dalecarliche………………………………………………………….,.157


5.2. Standardizzazione dell’ortografia…………………………………………162
5.2.1. Il modello della Råðdjärum………………………………………….163
5.2.2. Il modello di Steensland……………………………………………..165 .

5.2.3. Il modello di Åkerberg……………………………………..,……….166 .

6. CONCLUSIONI…………………………………………………………….., 168 .

Bibliografia…………………………………………………………………… . 171 .
1. INTRODUZIONE
1.1. Nozioni generali
L’evdalico (ev. övdalsk, övkallmål o dalska, sv. älvdalska o älvdalsmål, ingl.
Elfdalian o Övdalian) costituisce una realtà linguistica che ha iniziato a ricevere
una considerevole attenzione da parte degli studiosi solo in tempi piuttosto recenti1.
Si tratta di una varietà parlata principalmente nella regione del Dalarna (lett. “le
valli”, spesso menzionata col nome latino Dalecarlia) nella Svezia centro-
occidentale, al confine con la Norvegia (vd. carta 1). Secondo i più recenti calcoli
essa conta circa 2400 parlanti, 1700 dei quali nella parrocchia di Älvdalen 2
(Larsson et al. 2008).

Carta 1: Posizione della regione del Dalarna

1
Le opere più ricche di dati sul tema sono i lavori di Levander (1909b, 1920, 1925, 1928). I primi
studi sull’evdalico ed il dalecarlico in generale sono rappresentati dai saggi di Eenberg (1693,
1702), la dissertazione di Grönwall & Näsman (1733), ed i tre saggi di Arborelius (1813, 1818,
1822). La maggior parte degli studi, tuttavia, è stata pubblicata a partire dagli anni ’90. Gran
parte del merito va riconosciuto all’associazione per la promozione e la conservazione della
lingua Ulum Dalska, fondata nel 1984.
2
Per ulteriori informazioni sulle divisioni amministrative svedesi vd. 1.4.4.
4
La regione presenta una ricca diversità linguistica: essa viene infatti
considerata la zona linguisticamente più densa dalla Svezia (Sapir, 2006:4). Vi si
possono identificare varietà appartenenti a diversi gruppi: a nord si trova una
comunità di parlanti sami meridionali mentre a sud si possono trovare i dialetti
Sarna-Idremål – tradizionalmente classificati come dialetti norvegesi – ed i
dialetti “svedesi” del Dalarna. Nell’ambito di questi ultimi si può operare
un’ulteriore distinzione tra dialetti del Dala-Bergslag nel Dalarna inferiore ed il
dalecarlico propriamente detto (sv. de egentliga dalmålen, ingl. Dalecarlian
proper) nel Dalarna superiore (Sapir, 2006: 4) (vd. carta 2). La classificazione di
quest’ultimo gruppo all’interno dei dialetti svedesi risulta particolarmente
difficoltosa ed è oggetto di dibattito tra gli studiosi (vd. 1.4.4); là dove alcuni –
ad es. Wessén (1954) Hallberg (2005) e Garbacz (2010) – lo ritengono un
sottogruppo dialettale svedese, altri – ad es. Levander (1925), Reitan (1930),
Sapir (2006) e Kroonen (2015) – ne sostengono la piena autonomia linguistica.

Il gruppo del dalecarlico propriamente detto è ulteriormente divisibile in tre


gruppi: il Västerdalsmål (dalecarlico occidentale), il Nedansiljansmål e
l’Ovansiljanmål (rispettivamente a sud e a nord del lago Siljan). A quest’ultimo
gruppo appartiene l’evdalico, che ne rappresenta la varietà che più ha resistito
all’influenza dello svedese standard.

Carta 2: Dialetti del Dalarna: in blu il gruppo del dalecarlico propriamente detto
5
Dal punto di vista linguistico, l’evdalico presenta un’interessante
commistione di aspetti arcaici ed innovativi, ed alcune delle sue caratteristiche
fanno sorgere quesiti di difficile soluzione per i linguisti (Sapir, 2005: 2).
L’evdalico rappresenta, talvolta, l’unica varietà ad aver conservato determinati
aspetti arcaici all’interno del panorama nordico – come nel caso
dell’approssimante /w/ (2.2.3) – o persino nell’intero panorama germanico –
come nel caso delle vocali nasalizzate etimologiche (2.1.2). Già Rask,
nell’Investigazione sulle Origini dell’Antico Nordico (1818), citava il dalecarlico
come varietà linguistica tra le più affini all’antico nordico – da lui identificato
con l’islandese –, seconda solo al faeroerico3; operando inoltre una distinzione
tra il dalecarlico e lo svedese vero e proprio (Rask, 2013: 61-62).

Queste, insieme ad altre caratteristiche, rendono l’evdalico di particolare


interesse per gli studiosi: è un caso decisamente raro che una varietà con un
numero così esiguo di parlanti4 abbia resistito agli influssi standardizzanti della
lingua nazionale per un periodo così lungo, sviluppando contestualmente anche
innovazioni indipendenti, come ad esempio fenomeni di sandhi e apocope
(Sapir, 2006: 2). È possibile riconoscere alcune variazioni nella lingua a livello
diatopico (Zach, 2013: 8), sebbene esse non siano tali da inficiare l’intellegibilità
tra parlanti di diversi villaggi (Sapir, 2006: 2)5.

Risultano marcate, e di notevole interesse, le differenze linguistiche a livello


generazionale, tali da permettere la distinzione tra tre varietà fondamentali,
approfondite in 1.5 (Zach, 2013: 8). Tali differenze rispecchiano i dati anagrafici
dei parlanti: secondo le inchieste dell’organizzazione per la promozione e la
preservazione dell’evdalico Ulum Dalska (lett. “parliamo evdalico”) risultano
essere competenti in evdalico il 60% degli abitanti sopra i 50 anni, il 20% tra i
15 ed i 20 anni ed il 5% al di sotto dei 15 anni (Larsson et al., 2008). Tali dati
sono congruenti con la tendenza individuata da Helgander (1991: 64) per quanto

3
“det gamle nordiske nærmeste Sprogart er den færøiske, der næst den dalske i nogle Sogne af
Landskabet Dalene i Sverrig, der næst den egentlige Svensk, der paa den norske Sprogart og
endelig Dansk.” (Rask, cit. in Diderichsen, 1960: 195)
4
Le statistiche di Steensland riportano 4000 parlanti nel 1986. Levander (1925: 4) ritiene che i
numeri non possano essere stati molto superiori nei secoli precedenti.
5
Levander (1909b: 5) Indica 21 villaggi in cui si parla evdalico – Blyberg, Brunnsberg, Dysberg,
Evertsberg, Garberg, Gåsvarv, Holen, Karlsarvet, Kåtilla, Kittan, Klitten, Liden, Loka, Månsta,
Mjågen, Näset, Östmyckeläng/Kyrkbyn, Rot, Väsa, Västmyckeläng ed Åsen– tutti nel raggio di
60 km dal villaggio di Älvdalen (Zach, 2013: 9). L’estensione dell’area di lingua
evdalicacorrisponde sostanzialmente a quella attuale (Garbacz&Johannessen, 2015: 2).
6
riguarda l’uso delle varietà regionali, tendenza comune a tutto il territorio
svedese. Helgander (1996: 106) riportava l’88% di parlanti evdalici tra gli
anziani oltre i 70 anni, il 70% tra gli adulti tra i 30 ed i 40 anni, ed il 28% tra i
bambini sotto i 10 anni (Melerska, 2011: 23). In merito alla progressiva perdita
di competenza in evdalico da parte delle generazioni più giovani, Sapir (2006:
11) parla di “dissoluzione dell’evdalico” (vd. 1.5.2). Le differenze a livello
diatopico, nonché la combinazione di aspetti arcaici ed innovativi, rendono
l’evdalico sostanzialmente incomprensibile ai parlanti svedesi (Melerska, 2011:
15), e persino ai parlanti di altri dialetti dalecarlici (Sapir, 2006: 4)6.

All’interno del presente elaborato verranno analizzate le caratteristiche


strutturali dell’evdalico, tenendo conto della prospettiva diacronica e sincronica,
delle diverse proposte di classificazione all’interno del panorama dialettologico
scandinavo avanzate nel corso del tempo, e del contatto geolinguistico con
varietà linguistiche contigue. Si tenterà, così facendo, di fornire un contributo al
dibattito sulla questione dell’indipendenza linguistica dell’evdalico e del suo
riconoscimento di status minoritario da un punto di vista sociopolitico.

Difatti, le caratteristiche finora elencate, ed altre che verranno esaminate nel


corso di questo elaborato, hanno portato diversi studiosi a sostenere che
l’evdalico soddisfi pienamente i criteri linguistici – ai quali possono essere
aggiunti criteri di carattere storico e sociolinguistico – per poter essere
considerato un sistema indipendente, distinto dallo svedese (Sapir, 2006: 1).
Ciononostante, l’evdalico non è ufficialmente riconosciuto come minoranza
linguistica o regionale in Svezia, dove viene piuttosto considerato una varietà
della lingua standard.

Bisogna tenere conto, a tal riguardo, della tendenza generale dei linguisti
scandinavi a porre l’attenzione sugli arcaismi. Le caratteristiche conservative del
dalecarlico – specialmente dal punto di vista morfologico e, parzialmente, da
quello fonologico –, risultano spesso analoghe a quelle dello svedese antico

6
“it is hardly even understood by speakers of the neighboring parish vernaculars, if
unaccustomed to it” (Sapir, 2006: 4) Là dove è riconoscibile un certo grado di mutua
intelligibilità tra parlanti del gruppo Ovansiljan – si pensi ai dialetti di Orsa e Mora –, i parlanti
del dalecarlico occidentale non hanno alcuna comprensione dell’evdalico. Levander (1925)
riportava un livello di mutua intelligibilità relativamente elevato all’interno del gruppo
Ovansiljan, ma piuttosto scarso per l’intera regione. Säve (1855: 34), infatti, testimonia il ricorso
allo svedese standard per la comunicazione tra parlanti di diverse varietà dalecarliche.
7
classico (sv. klassisk fornsvenska, vd. 1.4.3.1), favorendo così la classificazione
tradizionale all’interno del gruppo Sveamål (1.4.4). Tuttavia – tenendo conto
anche della prospettiva sincronica – le innovazioni presentate dal dalecarlico, ed
il crescente influsso dello svedese standard sugli altri dialetti, fanno propendere
per l’identificazione del dalecarlico come un gruppo dialettale a sé stante, di cui
l’evdalico rappresenta il membro più marcato (Sapir, 2006: 6).

1.2. Riconoscimento politico


Alcune ulteriori argomentazioni, proposte ad esempio da Steensland (1986a;
1990), Berglund (2001), Koch (2006) e Melerska (2006) per la classificazione
dell’evdalico come lingua autonoma si possono sintetizzaere come di seguito
(Garbacz, 2008: 3):

1) l’evdalico differisce dallo svedese standard, dai dialetti svedesi e dalle


altre lingue standard e dialetti nordici su tutti i livelli linguistici al punto
da impedire la mutua intellegibilità;
2) la commutazione di codice tra svedese ed evdalico è la normale strategia
comunicativa nel territorio di Älvdalen;
3) i parlanti mostrano una notevole consapevolezza riguardo alla propria
lingua e alla sua arcaicità;
4) esiste una lingua scritta7;
5) l’evdalico si parla a Älvdalen almeno dal XVI secolo (cfr. 1.5) ed è
tuttora una lingua viva;
6) l’evdalico è stato utilizzato per traduzioni e – in minor misura –
produzioni letterarie.

In particolare, in riferimento al primo punto, l’applicazione del– peraltro


problematico – test di Swadesh da parte di Dahl (2005: 10) su evdalico, svedese
ed islandese ha dato come risultato una distanza tra evdalico e svedese parlato

7
Nell’elenco di argomentazioni per il riconoscimento dell’evdalico come lingua minoritaria,
Garbacz (2008: 3) cita l’esistenza di una lingua scritta “standardizzata”. In realtà, allo stato
attuale, l’evdalico non dispone di un’ortografia standardizzata. L’uso dei parlanti e degli studiosi
è diviso tra tre modelli ortografici: il modello della Råðdjärum (2005), il modello di Steensland
(2010), ed il modello di Åkerberg (2012). In questo elaborato si farà ricorso al modello di
Steensland poiché è quello che meglio mette in evidenza le caratteristiche che divergono dallo
svedese standard. Per un’analisi contrastiva dei tre sistemi ortografici vd. 5.2.
8
pressocché pari a quella che intercorre tra lo svedese e l’islandese parlato
(Garbacz, 2010: 29). Il fattore della mutua intellegibilità risulta particolarmente
rilevante alla luce del livello relativamente alto di comprensione reciproca tra i
parlanti delle lingue scandinave continentali8. La vicinanza linguistica tra
svedese, danese e norvegese – lingue che tra loro formano un continuum
dialettale – è tale da permettere una forma di semicomunicazione (Zeevaert
2004: 67). In generale, in un contesto comunicativo interscandinavo, i parlanti
più anziani ricorrono alla propria lingua materna (Josephson, 2012: 2; Ridell,
2008: 213), là dove i parlanti più giovani prediligono l’inglese (Delsing &
Lundin, 2005: 102; Gooskens, 2006: 5).

Ne deriva che la divisione tradizionale delle tre lingue sia innanzitutto basata
su criteri di carattere politico e nazionale, e non sull’effettiva distanza formale e
strutturale tra le lingue9. Per Harbert (2006: 13-14) questa è una condizione
comune per molte minoranze all’interno delle nazioni di lingua germanica.

Other GMC languages are non-state languages, these include […] all of the varieties
regarded as nonstandard “dialects” of the state languages (including some sufficiently
remote from the standard variety that they would count as separate languages under
different political circumstances [corsivo mio]). […] the situation of non-state GMC
languages is made yet more problematic by the fact that they are sufficiently similar to
the surrounding dominant languages that they tend to be dismissed as “mere dialects” of
those languages, and denied recognition as independent languages, along with such
prestige and consideration as comes with that status.

Correntemente, le lingue ufficialmente riconosciute in Svezia come minoritarie


sono il finlandese, il romaní, il saami, il meänkieli (anche detto finlandese di
Tornedalen) e lo yiddish; indicate nella ratifica del 9 febbraio 2000, in accordo
con la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie. Giacché il trattato
lascia ai singoli stati la libertà di determinare i parametri di definizione di una
lingua (Sapir, 2006: 1), la politica svedese si configura con il riconoscimento
dello status di lingua minoritaria alle lingue che professano di appartenere ad un
gruppo etnico o nazionale distinto da quello svedese. Questo parametro non si
applica nel caso dei parlanti evdalici (Garbacz, 2008: 3; Steensland, 1986).

8
Vd. 1.4.2 “The continental group in general has converged to a remarkable degree, and
investigators remark on the high degree of mutual intelligibility among them” (Harbert, 2006:
19).
9
Per ulteriori informazioni sull’intercomunicazione in ambito scandinavo vd. anche Gooskens
(2007), Karker (1978) e Maurud (1976).
9
1.3. Come chiamare la lingua

Sono stati principalmente gli aspetti arcaici della lingua ad attirare


l’attenzione degli studiosi, talvolta in termini eccessivamente romantici come nel
caso delle dichiarazioni riportate da Säve (1885) “si dice che l’evdalico abbia
mantenuto l’antica lingua nella sua più alta purezza ed originalità”, o Björklund
(1958: 1) “qualcuno dice che sappia di sangue e paganesimo in bocca”.

È tuttavia alla luce di dichiarazioni di questo tipo che l’impegno del linguista
deve essere votato alla demistificazione di quei pregiudizi e mitizzazioni di una
lingua i quali, pur potenzialmente incentivando la riscoperta di realtà linguistiche
svantaggiate, rischiano in ultima analisi di osteggiarne lo studio obiettivo. È
questo il caso di articoli sensazionalistici come quello del The Guardian
intitolato The prince, the glamour model and the Vikings’ lost language (24
maggio 2015), che descrive la lingua come “something you are more likely to
encounter in Tolkien’s Lord of the Rings rather than in a remote Swedish forest”
(Karlander: 1), analogamente a quanto riportato da Bentzen et. al. (2015: 5)
riguardo ad un articolo del 2008 del sito The Virtual Linguist “Elfdalian sounds
like something out of Lord of the Rings”. Come facilmente deducibile, queste
descrizioni fanno pesantemente leva sull’adattamento inglese del nome della
lingua per operare i sopra ricordati rimandi all’elfico. Il fraintendimento si
presenta anche nella stampa italiana, come nel caso dell’articolo del Corriere
della Sera del 7 maggio 2015 intitolato Svezia, nel paese dove fin dall’asilo si
studierà la «lingua degli elfi».

L’adattamento Elfdalian, attestato ad esempio in Dahl & Koptjevskaja-


Tamm (2006) ed in Sapir (2006), è estensivamente usato nel mondo accademico
anglofono. È possibile imbattersi, facendo delle ricerche, in alcuni adattamenti
italiani, come ad esempio elfdaliano. Queste forme presentano però la stessa
problematica dell’adattamento inglese, che è stato tra l’altro operato a partire
dall’esonimo svedese älvdalska. Risulta parimenti inappropriato ricorrere a tale
esonimo a fronte della minaccia costituita dallo svedese nei riguardi della
sopravvivenza dell’evdalico, come fa notare Bentzen, (2015: 6), che ritiene più
adeguato servirsi dell’adattamento Övdalian, al quale fa ricorso anche Garbacz
(2009; 2010). In questa sede si propone dunque l’uso del termine evdalico per

10
riferirsi alla lingua, adattato a partire dall’autonimo övdalsk, in analogia con la
forma proposta da Bentzen.

1.4. Premessa terminologica


È necessario, al fine di agevolare la comprensione dell’elaborato, fornire
alcune indicazioni riguardo alla linguistica storica scandinava in generale e
svedese in particolare, nonché alcuni cenni di dialettologia svedese. Risulta
opportuno, inoltre, definire sistematicamente alcuni termini cui si farà frequente
ricorso nel presente studio – nonché nella letteratura di riferimento – per evitare
fraintendimenti o ambiguità di sorta, che rischiano di emergere in special modo
per quanto riguarda alcuni aspetti della disciplina che non godono di assoluto
consenso tra gli studiosi.

1.4.1. Antico Nordico, Antico Scandinavo, Runico e Protonorreno


Le prime iscrizioni in alfabeto runico10 risalenti al II sec. d.C.
costituiscono le prime attestazioni scritte delle lingue germaniche (Bampi
et al., 2018: 13). L’alfabeto a 24 caratteri presente in queste iscrizioni viene
detto futhark antico. Ad oggi, sono state rinvenute 450 iscrizioni in futhark
antico, datate tra il 200 ed il 700 d.C (Mancini, 2012: 39). Di queste, 280
sono state rinvenute in Scandinavia, 70 nel continente (Nielsen, 2000: 31-
32). Antonsen (2010: 24) ritiene che le più antiche tra queste iscrizioni
possano essere considerate attestazioni scritte di uno stadio linguistico noto
come germanico nord-occidentale (Northwest Germanic), la cui
attestazione precederebbe quindi di poco anche quella del gotico,
comunemente considerato la lingua germanica di più antica attestazione
(Harbert, 2006: 14)11.
Il primo problema di natura terminologica riguarda il nome di questa
lingua. Antonsen (1975) e Harbert (2006) propendono rispettivamente per
le definizioni relativamente neutre di germanico nordoccidentale e
germanico runico, là dove gli studiosi scandinavi – in virtù delle
innovazioni tipicamente nordiche mostrate dalla lingua a partire dal 500
d.C. – prediligono definizioni come protonorreno o protonordico (ingl.

10
Per uno studio approfondito dell’origine del sistema runico si rimanda a Mancini (2012).
11
Ciò dimostrerebbe, secondo Antonsen (1975), che il gruppo dialettale germanico orientale sia
stato il primo a distinguersi dal resto del germanico comune.
11
Proto-Norse, Proto-Nordic, sv. urnordiska, ted. Urnordisch) (Nielsen,
2000: 32; Bampi et al., 2018: 19). Quest’ultima definizione, sebbene molto
comune nei testi accademici12, è particolarmente problematica per tre
ragioni fondamentali, così illustrate da Nielsen (2000: 32):
1. L’uso generalizzato del termine protonordico non riflette
adeguatamente la rottura linguistica avvenuta intorno al 500 d.C.
Skautrup (1944), ad esempio, si riferisce ai due periodi con i nomi
protonordico antico e protonordico recente (ældre e yngre
urnordisk)
2. Se le innovazioni specifiche del germanico settentrionale sono
datate a partire dal 500 d.C. ca., risulta poco adeguato estendere
l’etichetta di “nordico” o “norreno” agli stadi della lingua dei secoli
precedenti.
3. Si fa normalmente ricorso al prefisso proto- (o ur-) per le lingue
ricostruite (ad. es. “protogermanico”, “protoindoeuropeo” etc.).
Data la presenza di attestazioni scritte, l’uso del prefisso è
improprio13.

A fronte di queste osservazioni, Nielsen propende per la dicitura Early


Runic – relativamente neutra dal punto di vista della diversificazione
dialettale –, là dove gli autori del manuale The Nordic Languages
propongono l’uso di Ancient Nordic (Bandle et al. 2002: 649). La
traduzione di quest’ultimo in “antico nordico” sarebbe però – in questa
sede – fonte di problemi.
Nella tradizione italiana, “antico nordico” corrisponde solitamente alla
dicitura inglese Old Norse e, come questa, si presta a diverse
interpretazioni. La prima di queste è l’identificazione, col termine “antico
nordico”, dello stadio linguistico relativamente unitario che caratterizza la
Scandinavia a partire dal VII sec., i cui tratti si sarebbero stabilizzati
durante il cosiddetto periodo vichingo (VIII/IX – fine XI secolo) (Bampi et
al., 2018: 19). Nella tradizione svedese, ci si riferisce a questa lingua col

12
“[…] most follow the well-established tradition of preferring Proto-Nordic” (Bandle et. Al,
2005: 649).
13
“Since a protolanguage is by definition a wholly reconstructed, unrecorded parent stage of a
family of languages, the term ‘Proto-Nordic’ is clearly inappropriate as the designation of a
language known to us in written records.” (Antonsen, 1994: 58)

12
nome di fornordiska. Le prime, notevoli, divisioni dialettali all’interno di
questo gruppo sarebbero avvenute tra il IX ed il X sec., portando alla
distinzione di un gruppo nordico occidentale – cui appartengono l’antico
islandese e l’antico norvegese – ed un gruppo orientale, cui appartengono
l’antico danese e l’antico svedese (König & Van Auwera, 2013: 38)14. Le
differenze tra i singoli dialetti sarebbero diventate evidenti a partire dal
1150, la divisione definitiva tra svedese e danese sarebbe avvenuta intorno
al 1300 (Harbert, 2006: 19). Il periodo di transizione tra il VII e l’VIII
secolo vede anche lo sviluppo di un nuovo alfabeto runico a 16 caratteri,
noto come futhark recente (Bampi et al., 2018: 19). Dal futhark recente si
sviluppò successivamente l’alfabeto runico medievale, rimasto in uso fino
al XVII secolo ca. (Harbert, 2006: 15, Sapir, 2006: 2). Da una
combinazione del runico medievale con caratteri latini si sviluppò il runico
dalecarlico, con attestazioni che ne testimoniano l’uso fino al XX secolo
(Sapir, 2006: 2)15.
La seconda accezione con cui vengono usati i termini “antico nordico”
ed Old Norse, è di natura filologico-letteraria. È in questo senso che Barnes
(1999: 1-2) identifica l’antico nordico come la lingua della Norvegia – nel
periodo tra il 750-1350 – e dell’Islanda – dall’insediamento (870 ca.) fino
alla Riforma (1550 ca.) –; lingua detta norrænna in islandese moderno e
norrønt in norvegese moderno. Questo perché fu principalmente nei luoghi
e nei periodi citati – specialmente in Islanda – che si sviluppò una
considerevole tradizione scritta in alfabeto latino, tramite la quale ci è
pervenuta gran parte della conoscenza della lingua. I manoscritti più antichi
risalgono al 1150, ma la maggior parte della produzione risale al XIII e
XIV secolo. È alla luce di questa realtà che, spesso, anche nella tradizione
italiana, si fa corrispondere formalmente l’antico nordico all’antico
islandese. È in questo senso che usano il termine Old Norse anche Harbert
(2006) e Faarlund (2013), che ricorrono rispettivamente alle definizioni di
Common Scandinavian ed Old Scandinavian per riferirsi alla realtà

14
A questi due gruppi principali va aggiunto il gutnico, dell’isola di Gotland, che mostra di aver
partecipato solo parzialmente ai fenomeni tipici degli altri due gruppi, presentando talvolta
innovazioni indipendenti. Per ulteriori informazioni sul gutnico vd. Noreen (1904) e Vriedland
(2011). Alcuni fenomeni tipici del gruppo occidentale e del gruppo orientale verranno trattati in
2.1 e 2.2.
15
Vd. 5.1

13
linguistica unitaria da cui si sarebbero sviluppati il gruppo dialettale
occidentale e quello orientale.
Ai fini di questo studio, risulta dunque conveniente evitare del tutto il
termine antico nordico, ed avvalersi della dicitura antico scandinavo16 in
riferimento alla cornice ricostruttiva, in accordo con Faarlund (2013). Ci si
riferirà, dunque, col nome di antico islandese, alla lingua usata nei testi
medievali islandesi – come ad es. il Primo Trattato Grammaticale –
quando necessario. Partendo dalla definizione di Early Runic di Nielsen
(2000), ci si riferirà invece col nome di antico runico scandinavo allo
stadio linguistico attestato a partire dal 500 d.C. nelle iscrizioni in futhark
antico, distinguendolo così dalla fase precedente, di carattere
nordoccidentale.

1.4.2. Classificazioni delle lingue scandinave17


Da un punto di vista storico, le lingue scandinave nazionali vengono
tradizionalmente divise in un gruppo occidentale – che comprende
norvegese, islandese e faeroerico – ed un gruppo orientale – che comprende
danese e svedese (Ringmar, 2005: 2). In una prospettiva più moderna,
osservando lo sviluppo delle diverse lingue – specialmente dal punto di
vista morfologico –, è possibile operare una distinzione tra un gruppo più
conservativo, rappresentato dallo scandinavo insulare – islandese e
faeroerico – ed un gruppo più innovativo, rappresentato dallo scandinavo
continentale – danese, svedese e norvegese – (Torp, 1982: 111-112;
Harbert, 2006: 19). Da questo punto di vista, il norvegese ha subito i
mutamenti più radicali. Ciò è in parte dovuto all’influenza delle lingue
confinanti – si tenga conto dei fattori storico-politici che hanno portato
l’avvicinamento del norvegese, specialmente nella varietà bokmål18, al

16
NB: Si fa qui corrispondere “antico scandinavo” alla dicitura “Old Scandinavian” di Faarlund.
Ciò che Faarlund chiama “Ancient Scandinavian”, viene qui definito “antico runico scandinavo”.
17
Si intende per “scandinavo” l’insieme delle lingue germaniche settentrionali. Sebbene, da un
punto di vista geografico, il termine scandinavo si riferisce specificamente all’area continentale
e molti studiosi prediligono per la dicitura “lingue nordiche”, si preferisce in questa sede l’uso
del termine “scandinavo” per coerenza con la cornice ricostruttiva appena illustrata.
18
“Due to the prevalence of Danish in Norway during the half millennium of Danish rule there,
and the efforts during the 19th century to re-create Norwegian as a written language,
Norwegian today has two written standards, bokmål and nynorsk, with the former being fairly
close to Danish and the latter being based mainly on rural vernaculars. Consequently, in some
treatments bokmål is seen as an East Scandinavian language and nynorsk as a West

14
danese –, ed in parte alle innovazioni che hanno investito tutta l’area
scandinava continentale (Faarlund, 2013: 38).
Una diversa distinzione viene applicata al periodo che va
approssimativamente dal 1200 al 1500 (Torp, 1988: 34), periodo in cui le
differenze tra il norvegese e le altre lingue occidentali erano ancora
minime. Ci si riferisce comunemente a questo periodo col nome di medio
scandinavo (Venås, 2002: 34-35; vd. 1.4.3). Tuttavia, la grande disparità
nell’insorgere delle innovazioni – per rapidità e quantità – porta Faarlund
(2013: 39) a polemizzare sulla definizione 19. Le innovazioni, in parte
dovute alla grande influenza politica della Lega Anseatica sul territorio
scandinavo, interessavano in primo luogo il danese – che, specialmente dal
punto di vista fonologico, ha presentato sviluppi sorprendentemente rapidi
(Brink & Lund, 1975; Grønnum, 1998) –, investendo successivamente lo
svedese, per poi estendersi ai dialetti norvegesi orientali, seguiti da quelli
occidentali.
In questa prospettiva, è possibile riconoscere due centri di innovazione
in Scandinavia. Il primo di questi si trova in Danimarca, e identifica un
gruppo scandinavo meridionale più innovativo. Il secondo, più a nord,
segna la distinzione tra un gruppo scandinavo settentrionale interno, più
innovativo, ed un gruppo settentrionale esterno, più conservativo (Torp,
1982: 92). Intersecando la propria teoria con la divisione moderna delle
lingue scandinave in un gruppo continentale ed un gruppo insulare, Torp
(1998: 34; 2002: 19) distingue un gruppo scandinavo continentale
meridionale – rappresentato dal danese – da un gruppo settentrionale –
rappresentato da svedese e norvegese – sulla base degli sviluppi storici
divergenti del danese e per il maggior grado di vicinanza e mutua
intellegibilità di svedese e norvegese (Gooskens, 2020: 762).

Scandinavian language, which is counterintuitive since both varieties are not only very close to
each other but also much more similar to Danish and Swedish than to Modern Icelandic.”(Dahl,
2015: 17).
19
“Quite frequently, the term 'Middle' Norwegian etc. is used of the last couple of centuries
before the Reformation (mid-sixteenth century). This is a chronological term rather than a
linguistic one. Linguistically, it was in many ways a period of transition, and it is impossible to
define a sufficiently uniform 'middle' stage of Scandinavian. It was a period where many of the
changes that led to the modern system took place, but at different times in the different areas
of Scandinavia” (Faarlund, 2013:39).

15
Tuttavia, l’applicazione di questi parametri per operare una classificazione
dell’evdalico o del dalecarlico – o di altre forme vernacolari particolarmente
conservative della Scandinavia continentale – risulta problematica. Le
caratteristiche conservative dell’evdalico e del dalecarlico, specialmente dal
punto di vista morfologico, sarebbero tali da favorirne l’inclusione nel gruppo
insulare (Ringmar, 2005). Analizzando la progressiva semplificazione del
sistema morfologico scandinavo Lars-Olof Delsing (1991, 2004) identifica due
momenti di innovazione, rispettivamente detti “piccola” e “grande catastrofe”.
La piccola catastrofe, datata intorno al 1300, consiste nella regressione dell’uso
del genitivo (che precedentemente seguiva determinati verbi e preposizioni),
generalmente sostituito dall’accusativo. L’uso dell’accusativo e del dativo
sarebbe ancora sopravvissuto per uno o due secoli, venendo poi a cadere
definitivamente con la grande catastrofe. La prima ondata innovativa ha colpito
l’intera area germanica settentrionale, ad eccezione dell’Islanda 20. La seconda
ondata, invece, non ha interessato né le lingue insulari, né alcuni dialetti in
Svezia e Norvegia (Ringmar, 2005: 3). È quindi possibile riconoscere due
ulteriori gruppi:

1) zona relittuale I: islandese


2) zona relittuale II: faeroerico, dalecarlico, altri dialetti

20
La presenza di un caso genitivo in evdalico è oggetto di dibattito, vd. 1.5, 3.6.2 (Garbacz &
Johannessen, 2015: 19; Svenonius, 2015: 189-191).

16
Carta 3: Zone relittuali (nero) e varietà che conservano parzialmente il sistema
casuale (grigio). (Ringmar, 2005).

È complicato stabilire quando la piccola catastrofe abbia colpito la zona


relittuale II a causa della pressocché completa assenza di fonti scritte. È
possibile però supporre che l’innovazione abbia investito il dalecarlico più
o meno nello stesso periodo del resto dell’area svedese (ovvero intorno al
1300), estendendosi più tardi al faeroerico (Ringmar, 2005: 3).

Parametri simili vengono applicati da Dahl (2015) che, analizzando gli


aspetti convergenti delle lingue standard del gruppo continentale e di
alcune forme vernacolari – nella parte insulare della Danimarca, nelle aree
urbane della Norvegia e i dialetti svedesi a sud del limes norrlandicus21 –
individua un gruppo che definisce scandinavo centrale (Central
Scandinavian) (Dahl, 2015: 17). La vicinanza linguistica tra i componenti
dello scandinavo centrale è dovuta all’intenso contatto linguistico nel corso

21
Dahl definisce il limes norrlandicus come la corrispondenza di un insieme di confini di
carattere naturale e culturale che dividono la Svezia in una parte meridionale ed una parte
settentrionale, l’ultima delle quali non comprende solo la regione storica del Norrland, ma
anche il Dalarna e parti di altre province (vd. carta 4). Sebbene la definizione di limes
norrlandicusnon sia di uso comune tra i dialettologi, questo confine corrisponde
sostanzialmente a diverse isoglosse. L’area comprendente le varietà della Svezia settentrionale
e delle regioni di lingua svedese in Finlandia ed Estonia vanno a formare quella che Dahl
definisce are dello “svedese periferico” (Peripheral Swedish) (Dahl, 2015: 11-12).

17
di un periodo prolungato di tempo, più che a ragioni di ordine storico o
genealogico

Carta 4: Divisione delle regioni storiche svedesi (Dahl, 2015). Notare la


posizione del Dalarna rispetto al limes norrlandicus.

Al gruppo centrale, Dahl oppone un gruppo scandinavo periferico


(Peripheral Scandinavian), rappresentato dalle varietà linguistiche dello
Jutland, delle aree rurali della Norvegia e dell’area svedese periferica –
compreso il Dalarna –, nonché dallo scandinavo insulare. Tutte queste
varietà – al netto delle considerevoli differenze che intercorrono tra esse –
condividono tratti conservativi ereditati dall’antico scandinavo, non più
presenti nello scandinavo centrale, nonché alcune innovazioni comuni di
notevole interesse (Dahl, 2015: 17). La definizione di scandinavo centrale
di Dahl, in questo senso, corrisponde all’identificazione di un’area centrale,

18
in conformità alle norme areali di Bartoli. Nel corso di questo elaborato,
tuttavia, si farà riferimento al concetto di scandinavo centrale
(sentralskandinavisk) secondo l’accezione di Hagland (1978, 2009) e Bye
(2005, 2008), ovvero di un’area geolinguistica che ricopre determinate
regioni della Svezia e della Norvegia – Dalarna incluso – le cui varietà
condividono una serie di aspetti sia dal punto di vista degli arcaismi che
delle innovazioni. Quest’area, così descritta, rientra nel gruppo scandinavo
periferico della classificazione di Dahl.

1.4.3. Fasi storiche dello svedese


Come precedentemente accennato, dal punto di vista linguistico, il
periodo che va approssimativamente dal 1200 al 1500 viene
comunemente definito “medio scandinavo” o “nordico medievale”
(Venås, 2002: 34-35; Bampi et al., 2018: 20). Tuttavia, i termini usati per
designare le diverse fasi storiche dello sviluppo della lingua svedese,
possono essere fonte di confusione.

1.4.3.1. Svedese antico

Nella denominazione delle lingue scandinave medievali, è


comune – almeno per le prime fasi – l’uso dell’aggettivo “antico”
(Venås, 2002: 34-35; Bampi et al., 2018: 23-34). Questa consuetudine
può generare delle incomprensioni: dal punto di vista cronologico
l’antico svedese, l’antico danese e l’antico norvegese corrispondono
approssimativamente – ad esempio – al medio inglese (Durkin, 2013)
e al medio basso tedesco (Cordes & Möhn, 1983: 119-120).

Il fattore fondamentale che segna l’inizio dello stadio linguistico


medievale per le lingue scandinave è l’adozione dell’alfabeto latino
(Venås, 2002: 34), fenomeno strettamente connesso con la
progressiva cristianizzazione dei popoli nordici (Bampi et al. 2018:
24). Nelle scritture private, la popolazione comune ricorreva ancora
principalmente ad una forma di alfabeto runico (Ottosson, 2002: 42).
Da quanto emerge dai manoscritti, nell’ambito delle lingue
scandinave orientali, è stato il danese a mostrare di aver innovato

19
maggiormente, avanzando nel processo di sostanziale separazione
linguistica dallo svedese, il quale – fino al XIV secolo circa – rimane
notevolmente conservativo (Bampi et al., 2018: 29-30). Questo
periodo che va dal 1225 al 1375 è dunque caratterizzato dal cosiddetto
äldre o klassisk fornsvenska (Noreen, 1913: 42; Bergman, 1968: 29;
Wessén, 1969: 44), qui tradotto come svedese antico classico.
L’inizio di questa fase è marcato dalla stesura dell’Äldre
Västgötalagen22 (Vikør, 2002: 5), la cui copia integrale più antica
pervenutaci – Holm B 59 – risale al 1281 (Larsson, 2010: 412;
Beckman, 1912).

In un primo periodo il latino ricopriva un ruolo predominante


nelle produzioni scritte; l’uso dello svedese si intensificò
considerevolmente intorno alla seconda metà del XIV secolo, in
quanto lingua d’uso dell’ordine brigidino, che esercitava una certa
influenza sull’Europa settentrionale (Vikør, 2002: 5). L’estensione
dello svedese ai testi di carattere religioso – il cui esempio cardine è
costituito dalla traduzione in svedese delle Rivelazioni di Santa
Brigida, originariamente in latino – è stato uno dei fattori
fondamentali che caratterizzarono il passaggio dall’antico svedese
classico all’antico svedese tardo (yngre fornsvenska)23,
convenzionalmente datato intorno al 1375.

La traduzione delle Rivelazioni inaugura la produzione letteraria


legata al monastero di Vadstena (Wollin, 2005: 1202-1203),
fondamentalmente basata sulla traduzione di testi latini. La lingua dei
testi prodotti a Vadstena appare relativamente conservativa – specie
se messa a confronto con quanto emerge dai testi di carattere profano
–, risentendo spesso dell’influenza degli originali latini (Wollin, 2005:
1203-1204)24. La produzione di Vadstena, inoltre, testimonia una
notevole tendenza alla standardizzazione della lingua, quantomeno da
un punto di vista ortografico. Sebbene sia possibile riconoscere alcuni

22
“Antica Legge del Västergötaland”.
23
NB: Noreen (2019:42) chiama questo stadio linguistico “Mittelschwedisch”
24
Lo stile di traduzione della scuola di Vadstena risulta rivoluzionario per l’epoca, essendo
votato ad un principio di “equivalenza” – dal punto di vista contenutistico e formale –,
contrapposto alla cultura della parafrasi, predominate all’epoca (Wollin, 2005: 1202).

20
influssi dialettali all’interno dei testi, questi presentano un’ortografia
sorprendentemente sistematica – sia all’interno di uno stesso
manoscritto, sia confrontando manoscritti diversi – molto più di
quanto osservabile nei documenti di carattere amministrativo
(Teleman, 2019: 22).

Il periodo che va dal 1375 al 1526 è segnato da diversi eventi


storici e politici di notevole importanza, tra cui la formazione
dell’Unione di Kalmar (1397) – considerato il più importante
avvenimento politico della Scandinavia tardomedievale (Ingesman,
2005: 1059) – e l’intensificazione dei rapporti – specialmente
commerciali – con la Lega Anseatica (Ingesman, 2005: 1059; Andrén,
1994: 140), che implicarono il crescente influsso del danese e del
basso tedesco sullo svedese, nonché sul norvegese. L’arrivo della
Peste Nera tra il 1349 ed il 1350 fu seguito da diversi fenomeni
epidemici nel corso del secolo successivo. Sebbene risulti difficile
identificarli puntualmente, la crisi epidemica ha certamente avuto
degli effetti a livello linguistico, specialmente se si considerano le
profonde alterazioni demografiche e l’intensificazione degli
spostamenti di gruppi relativamente estesi di persone all’interno del
paese (Venås, 2002: 36).

A livello fonologico, il periodo è caratterizzato da un notevole


mutamento nel vocalismo, noto in svedese come “stora vokaldansen”,
rappresentato dal passaggio di [aː]> [ɔː], di [oː]> [ʊː] e di [uː]> [ʉː]
(Riad, 2005: 1105; Widmark, 1998). Le innovazioni a livello
morfologico e sintattico sono particolarmente evidenti nei testi di
natura burocratico-amministrativa25. Il sistema morfologico appare
sostanzialmente semplificato: nella flessione nominale prende piede
un processo di livellamento tra nominativo ed accusativo; il suffisso -s
di alcuni genitivi maschili viene esteso per analogia a sostantivi che
non lo presentavano etimologicamente; il dativo viene
progressivamente sostituito dall’accusativo (Mørck, 2005: 1131-
1132). La flessione verbale mostra una graduale diminuzione delle

25
Un consistente corpus di testi è costituito dai tänkeböcker di Stoccolma, una raccolta di
registri dell’amministrazione comunale (Dahlbäck, 1995: 61; Pettersson, 2017).

21
marche d’accordo (Mørck, 2005: 1142-1143). La sintassi risente
fortemente dell’influsso basso tedesco, ed emerge in questo periodo la
tendenza a porre il verbo finito in posizione finale di frase nelle
subordinate (Faarlund, 2005: 1154; Petzel, 2014: 133-134).

1.4.3.2. Svedese moderno

Così come la formazione dell’Unione di Kalmar rappresenta un


fattore fondamentale per lo sviluppo dell’antico svedese tardo, la sua
dissoluzione è profondamente significativa per l’emersione dello
svedese moderno. La fine dell’unione è stata determinata da una serie
di frizioni tra Svezia e Danimarca, che culminarono nel 1520, con
l’evento noto come “bagno di sangue di Stoccolma”, in cui Cristiano
II di Danimarca ordinò l’esecuzione di oltre cento membri della classe
regnante svedese. Dopo una lunga ribellione, la Svezia ottenne
l’indipendenza nel 1523, con l’ascesa al trono di Gustav Vasa
(Ingesman, 2005: 1060).

Il 1526 costituisce la data convenzionale d’inizio della prima fase


linguistica dello svedese moderno (äldre nysvenska), con la prima
traduzione del Nuovo Testamento, seguita dalla traduzione integrale
della Bibbia nel 1541 (Wollin, 2005: 1207). Analogamente a quanto
accadeva nel resto del mondo germanico, la traduzione della Bibbia
era fondamentalmente legata all’ascesa del Luteranesimo (Santesson,
2002: 412- 413). L’opera di traduzione costituì l’inizio della
standardizzazione della lingua nazionale, intesa innanzitutto come
esplicito distanziamento dal danese. Alcuni esempi lampanti sono
rappresentati dall’uso del suffisso -a per i verbi all’infinito – in
contrapposizione ad -e –, nonché dalla sostituzione dei caratteri <æ>
ed <ø> con <ä> ed <ö> (Santesson, 2002: 416)26. Com’è normale per
i testi religiosi, la traduzione della Bibbia (anche nota come GVB:
Gustav Vasa Bibel) mostrava un’immagine relativamente arcaica
della lingua.

26
Il testo vede anche l’introduzione del carattere <å>.

22
Le più importanti innovazioni mostrate dallo svedese nel periodo
tra il 1526 ed il 1732 riguardano innanzitutto la morfologia. Lo
svedese moderno mostra il passaggio da un sistema a tre generi
(maschile, femminile, neutro) a due (comune e neutro), nonché la
diminuzione delle marche di accordo verbale (Mørck, 2005: 1133-
1143). In un primo periodo, il sistema verbale contemplava due sole
marche d’accordo (una per le persone singolari ed una per le persone
plurali), successivamente – nel corso del 1600 – la marca del
singolare si estese al plurale (Larsson, 2005: 1276).
Quest’innovazione, insieme alla stabilizzazione delle strutture
sintattiche delle subordinate, è un tratto estesosi a partire dalla varietà
parlata della classe aristocratica residente nel distretto del lago
Mälaren (Lindström, 2008; Sangfelt, 2019: 130). La parlata del
Mälardalen rappresentava dunque la varietà di prestigio,
particolarmente influente anche sul piano della pronuncia. Il desiderio
di una lingua nazionale standardizzata, del resto, era notevolmente
diffuso nell’aristocrazia svedese (Olsson 2005:1241; Larsson, 2005:
1270-1271).

Bisogna tenere in considerazione il fatto che, tra il XVII ed il


XVIII secolo, la Svezia attraversò un periodo di notevole espansione
territoriale e crescita economica, noto in svedese come stormaktstiden
(Larsson, 2005: 1270). Quest’epoca viene spesso citata come “periodo
imperiale”, sebbene il Regno di Svezia non abbia mai ufficialmente
assunto la forma di impero (Frost, 2014: 133-134). L’ascesa militare e
politica della Svezia può essere collocata a partire dalla Pace di
Westfalia (1648), a seguito della Guerra dei Trent’anni. Il declino
della Lega Anseatica ed il crescente peso politico della Francia nello
scenario europeo segnarono la fine dell’influenza linguistica basso
tedesca sullo svedese e l’inizio dell’influenza francese, specialmente
nel lessico politico e militare.

Le tendenze standardizzanti, già riscontrabili nel secolo


precedente, furono catalizzate da una crescente alfabetizzazione – in
gran parte dovuta all’influenza della chiesa Luterana (Olsson 2005:
1240-1241) – e dalla fondazione di diverse università nel corso del

23
1600 (Kalm, 2019) – si pensi, ad esempio, alle università di Lund
(1666), Åbo (1640) e Tartu (1632) – nonché dalla progressiva
centralizzazione politica (Larsson, 2005: 1270). Il dibattito sulla
standardizzazione, specialmente dal punto di vista ortografico, si
rivelò allora relativamente infruttuoso (Kalm, 2019): la questione
della standardizzazione della lingua era ancora aperta al momento
della fondazione della Svenska Akademien, nel 1786 (Larsson, 2005:
1271).

La crescente alfabetizzazione portò ad un’interessante interazione


tra scritto e parlato, che iniziarono ad influenzarsi vicendevolmente.
Questo comportò il progressivo allontanamento dagli schemi sintattici
ricalcati sul latino – che rimase la lingua di cultura fino al XVIII
secolo – e lo sviluppo di una prosa svedese più semplice e diretta.
Queste caratteristiche sono particolarmente evidenti nella rivista Thet
Swänska Argus di Olof Dalin, il cui primo numero fu pubblicato nel
1732, data che costituisce convenzionalmente l’inizio dello svedese
moderno tardo (yngre nysvenska) (Larsson, 2005: 1272). Il saggio
Swänska språkets rätta skrifsätt (“la corretta scrittura della lingua
svedese”) di Sven Hof, pubblicato nel 1753, individua nella Bibbia –
la cui ultima traduzione in svedese risaliva al 1703 – e nel corpus
giuridico i modelli linguistici per lo svedese scritto. Il modello così
proposto da Hof, notevolmente, non si fondava su una varietà
diatopica dotata di particolare prestigio, bensì sull’istituzione di una
norma generale. Larsson (2015: 1280) afferma che a questo punto la
società svedese doveva essere arrivata ad un relativo consenso su
come dovesse essere lo svedese standard.

1.4.3.3. Svedese contemporaneo

La storia linguistica svedese – e scandinava in generale – del XIX


secolo è caratterizzata dal dibattito sulla standardizzazione della
lingua, dibattito reso particolarmente intenso dai movimenti del
Romanticismo Nazionale, che spingevano per la codifica di una
lingua unitaria, che permettesse un più alto grado di identificazione

24
culturale e nazionale. Per i dettagli sulle diverse proposte e posizioni
ideologiche nell’area scandinava si rimanda a Torp (2005).

Un primo saggio, scritto da Karl Gustav Leopold, Afhandling om


svenska stafsättet (“saggio sull’ortografia svedese”), fu pubblicato
dalla Svenska Akademien nel 1801. A fronte dell’autorità
dell’Accademia, l’ortografia proposta predominò nello scritto per
buona parte del XIX secolo (Torp, 2005: 1427). In particolare, si deve
al saggio la standardizzazione delle strutture sillabiche: tuttora in
svedese la lunghezza vocalica è indicata dalla consonante successiva
(V:C/VC:). Un’altra norma notevolmente longeva proposta nel saggio
riguarda l’adattamento dei francesismi, particolarmente numerosi
nello svedese dell’epoca (Torp, 2005: 1427-1428). Nel 1869 si tenne a
Stoccolma la Conferenza per l’Ortografia Scandinava (Det nordiska
rättstavningsmötet), che costituì un tentativo di parziale
standardizzazione ortografica di alcune caratteristiche comuni alle
lingue scandinave continentali (Torp, 2005: 1427-1429).

Dal punto di vista letterario, un punto di svolta arrivò nel 1879,


con la pubblicazione di Röda Rummet (La Camera Rossa) di August
Strindberg, il cui stile della prosa rifletteva in maniera rivoluzionaria
la lingua parlata. Con questa data viene tradizionalmente identificato
l’inizio dello svedese contemporaneo (nusvenska) (Josephsson, 2011).
L’ultima grande riforma ortografica svedese fu rappresentata dalla
stavningreform del 1906, codificata dal Ministro dell’Istruzione
Fridtjuv Berg, che definì il passaggio di hv-, -fv-, -f- > v e di -dt > -t(t)
(Torp, 2005: 1429).

1.4.4. Classificazione dei dialetti svedesi

Al fine di facilitare la comprensione dei riferimenti geografici in questa


sezione e nella letteratura di riferimento, è necessario illustrare brevemente
le divisioni amministrative svedesi.

Da un punto di vista amministrativo, il primo livello di divisione è in


län (contee), ulteriormente suddivise in kommuner (comuni). Tuttavia, da

25
un punto di vista dialettologico, si ricorre più spesso alla tradizionale
divisione in landskap (regioni)27, härad (distretti) e socknar (parrocchie)
(Dahl, 2015: 14).

Carta 5: Landskap svedesi (Dahl, 2015).

La divisione tradizionale dei gruppi dialettali svedesi secondo Wessén


(1966:170) è la seguente:

1. Dialetti meridionali (sydsvenskamål)


2. Dialetti Göta (götamål)
3. Dialetti Svea (sveamål)
4. Dialetti del Norrland (norrländskamål)
5. Dialetti svedesi orientali (östsvenskamål)
6. Dialetti di Gotland (gotländskamål)

27
Dahl traduce landskap con “province”, tuttavia, data l’estensione areale, in questa sede si
ritiene più adeguata la traduzione “region” a cui ricorre Sapir (2006:4).

26
È opportuno specificare che per “dialetti orientali” non si intendono i
dialetti della parte orientale della Svezia, bensì i dialetti svedesi parlati in
Finlandia ed Estonia. Analogamente a Rendahl (2001) e Dahl (2015: 19), si
ricorrerà in questo testo alla definizione di “dialetti trans-baltici”.
La classificazione dei dialetti di Gotland è oggetto di dibattitto: là dove
Wessén li considera dialetti svedesi, Noreen (1913: 1319-1320) li considera
un gruppo a sé stante, direttamente discendente dall’antico gutnico.
Noreen, inoltre, classifica i dialetti svedesi meridionali come dialetti
scandinavi meridionali, raggruppandoli dunque insieme ai dialetti danesi28.

Wessén identifica una zona di transizione tra i dialetti Göta ed i dialetti


Svea, nell’area che comprende la parte occidentale del Södermanland,
Närke, l’Östergötaland, esclusa la parte sud-occidentale, lo Småland
nordorientale e Öland (vd. carta). Di conseguenza, sostiene la divisione dei
dialetti Svea in due sottogruppi: i dialetti all’interno dell’area di transizione
vengono detti “dialetti svedesi centrali” (mellansvenskamål), i restanti
assumono la denominazione di “dialetti svedesi superiori”
(uppsvenskamål).

Per quanto riguarda il dalecarlico, Wessén afferma che i dialetti del


Dalarna superiore (ossia il dalecarlico propriamente detto) ricoprono una
“posizione speciale”29, senza però specificare se li consideri parte del
gruppo svedese superiore (Dahl, 2015: 19). Raggruppamenti diversi sono
proposti da Lundell (1880, 1901) e Noreen (1913: 1319-1320) che
classificano il dalecarlico all’interno di un macro-gruppo scandinavo
settentrionale. Per Lundell questo gruppo includeva, oltre al dalecarlico, la
maggior parte dei dialetti norvegesi, i dialetti del Norrland ed i dialetti
trans-baltici. Per Noreen il gruppo è ancora più esteso, e il dalecarlico era
inoltre collocato in un sottogruppo svedese centrosettentrionale insieme ai
dialetti svedesi superiori ed i dialetti del Norrland.

28
Si noti che le regioni della Scania, del Blekinge e dell’Halland furono parte del regno danese
fino al 1658 (Frost, 2014: 180; Sanders, 2017: 66).
29
“En särställning intar det egentliga dalmålet i Öster- och Västerdalarne, med sin mycket
ålderdomliga prägel och sin starka splittring i underarter” (Wessén, 1966: 30).

27
Carta 6: Distribuzione dei dialetti svedesi secondo Wessén (Dahl: 2005).

Nella tradizione svedese ci si riferisce ai dialetti dalecarlici con le


locuzioni “egentlig dalmål” o “de egentliga dalmålen” – qui tradotto come
“dalecarlico propriamente detto” – per distinguerli dai dialetti del Dala-
Bergslagen, regolarmente classificati all’interno del gruppo svedese
superiore. La differenziazione dialettale è considerevole anche all’interno
del gruppo dalecarlico stesso: come notato già da Wessén (1966:30) e da
Levander (1928: 257)30, le varietà delle diverse parrocchie possono
risultare reciprocamente inintelligibili e la variazione diatopica all’interno
di una stessa parrocchia può essere significativa (Dahl, 2015: 22).
La divisione comune, come già accennato, è in tre gruppi – superiore,
inferiore ed occidentale –, è tuttavia possibile restituire un’immagine più

30
“Det bör ihågkommas, att dalmålet – trots den enhet, som kan anas bakom den nuvarande
mångfalden – icke är ett språk utan en hel språkvärld.”

28
fedele, e più complessa, operando una comparazione lessicale tra le diverse
varietà diatopiche (vd. carta 7) (Dahl, 2005). Lo studio mostra che le
varietà che più si distinguono dalle altre – e dallo svedese standard –
appartengono al gruppo superiore (fatta l’eccezione di Ore) e al gruppo
occidentale (Transtrand e Lima), andando a formare due aree ben delineate.

All’interno del gruppo superiore, l’evdalico e la varietà di Våmhus


formano un sottogruppo con caratteristiche particolarmente distintive, e
anche Orsa mostra tratti particolari. Nel gruppo meridionale, Boda e
Rättvik costituiscono un’area a sé stante, pur distinguendosi meno
drasticamente dal resto delle varietà meridionali. Nel resto della regione si
può identificare un continuum dialettale senza confini ben definiti. Le
parrocchie di Särna ed Idre, come già accennato, essendo appartenute alla
Norvegia fino al 1645, mostrano caratteri decisamente affini alle varietà
norvegesi (Dahl, 2015: 22).

Se il gruppo superiore può essere considerato dalecarlico par


préférence (Nyström, 2004: 9), l’evdalico può essere considerato
dalecarlico par excellence, alla luce delle sue caratteristiche conservative e
del suo alto livello di indipendenza (Sapir, 2006: 5). È opportuno
evidenziare che là dove, a partire dal XVIII secolo, la maggior parte delle
aree dialettali svedesi ha subito un processo di livellamento, l’area
dalecarlica ha mostrato una tendenza opposta. Le divergenze e le
innovazioni tra i vari dialetti del dalecarlico hanno persistito per altri due
secoli circa (Sapir, 2006: 5-6).

29
Carta 7: Aree dialettali del dalecarlico in base alla comparazione lessicale (Dahl,
2005).

1.5. Periodizzazione

La tradizione dialettologica svedese segue sostanzialmente il modello di


Wessén che, seppure con alcune riserve, classifica il dalecarlico all’interno del
gruppo Sveamål (Sapir, 2006: 6). Levander (1925: 39), al contrario, attribuisce
al dalecarlico un alto grado di indipendenza, ritenendo che il gruppo dialettale
dalecarlico abbia iniziato a divergere dallo scandinavo orientale in epoca
medievale, intorno all’XI secolo31 – periodo che vede anche l’inizio delle
divergenze linguistiche tra svedese e danese (Sapir, 2006: 10). Il dalecarlico

31
La posizione intermedia dei dialetti Dalecarlici e alcuni dei loro caratteri linguistici (vd. infra)
fanno insorgere diversi quesiti in merito alla netta classificazione degli stessi nel gruppo
scandinavo orientale. Laddove Levander e la maggior parte degli studiosi dopo di lui
propendono per la classificazione nel gruppo orientale, Nyström (2007) avanza alcune
argomentazioni per la classificazione nel gruppo occidentale.

30
avrebbe coperto, al tempo, un’area sensibilmente più estesa di quella corrente
(Sapir, 2006: 10).

In un primo momento, Levander (1925: 28) avanza l’ipotesi che il


dalecarlico possa aver iniziato ad emergere tra l’VIII ed il IX secolo, salvo
scartarla successivamente, sostenendo che la regione doveva essere scarsamente
popolata al tempo. Là dove l’inizio della divergenza del dalecarlico risulta di
difficile datazione, Levander identifica con maggior sicurezza il consolidamento
della lingua attorno al XIV secolo, con la conclusione del fenomeno di
dittongamento (Sapir, 2006:10). La conclusione del fenomeno viene così datata
da Levander (1925: 37–43) a causa dell’assenza di dittongamento nei prestiti di
origine basso tedesca, elementi che non possono essere entrati nel lessico prima
della seconda metà del XIV secolo. Sapir (2006: 9), evidenzia che l’ingresso dei
prestiti basso-tedeschi potrebbe essere anche più tardo implicando che anche la
conclusione del dittongamento possa essere un fenomeno più recente. Questo
particolare aspetto verrà analizzato più approfonditamente in 2.1.7.

Per l’evdalico in particolare non disponiamo però di testimonianze scritte


dirette riguardo agli sviluppi storico-linguistici, non essendo pervenuto nessun
testo medievale. Il più antico reperto linguistico di Älvdalen è una ciotola che
riporta un’iscrizione in runico risalente al 1596, che tra l’altro, come fa notare
Björklund (1974: 44) è scritta in svedese moderno, con due sole forme in
evdalico. Incidentalmente, risulta notevole l’uso prolungato del sistema runico in
Dalarna32, la cui ultima attestazione si spinge persino al 1909 (Lundqvist et al.,
2015: 45). La prima attestazione scritta di rilievo in evdalico è costituita da un
passo di 870 parole presente nella Comoedia om Konung Gustaf di A.J. Prytz
(1622), considerato da Noreen (1883: 74) una rappresentazione attendibile
dell’evdalico parlato nel XVII secolo. Le attestazioni risalenti ai due secoli
successivi sono piuttosto trascurabili: vale la pena citare i campioni di testo
riportati in Eenbergh (1693), Grönwall & Näsman (1733) ed Arborelius (1813).
Come evidenziato da Levander (1925: 39), inoltre, la lingua rappresentata nella
commedia di Prytz non si discosta sensibilmente da quella contemporanea, che
avrebbe invece presentato considerevoli innovazioni solo negli ultimi 50 anni 33.

32
Per ulteriori informazioni sulla sopravvivenza del runico in Dalarna vd. 5.1
33
“The Upper Siljan vernaculars existed in the beginning of the 17th century as independent
dialects and that they, in all most crucial points, had the same shape as today. Without risking

31
È proprio a partire dalla fine del XIX secolo, infatti, che l’evdalico ha
cominciato a subire considerevoli mutamenti, parallelamente agli sviluppi
socioeconomici della regione. In merito ai 50 anni precedenti il suo studio,
Levander riconosce la causa principale del restringimento dell’area del
dalecarlico propriamente detto e dell’insorgere delle varietà del Dala-Bergslagen
nello sviluppo dell’industria mineraria nell’area del Bergslagen e nella
conseguente migrazione di lavoratori, sia dal resto della Svezia che dall’estero
(Garbacz, 2010: 29).

Studi più informati sullo sviluppo diacronico dell’evdalico sono operabili a


partire dal XX secolo: il Dipartimento di Dialettologia dell’università di Uppsala
conserva 194 registrazioni audio, per lo più consistenti di monologhi o
conversazioni (Garbacz, 2010: 30). Di queste registrazioni, due sono precedenti
al 1935, 49 risalgono agli anni tra il 1935 ed il 1950 e 126 sono posteriori al
1950 (Garbacz, 2010: 30). I profondi mutamenti – a livello sociale e culturale –
che hanno investito l’area dalecarlica sono stati oggetto di studio per Helgander
(1996, 2004), che ha operato una divisione della storia culturale del Dalarna nel
corso degli ultimi due secoli in tre fasi fondamentali.

1.5.1. Stadi della lingua tra XIX e XX secolo

A partire dalla fine del XIX secolo, l’evdalico ha attraversato un periodo


di sviluppo particolarmente accelerato e turbolento, come già osservato da
Levander (1925, 39), al punto da risultare fortemente differenziato rispetto
alla varietà relativamente stabile descritta in Älvdalsmålet i dalarna (1909b).

Le ragioni sono da cercare nello sviluppo socioeconomico del Dalarna in


particolare e della Svezia in generale, che stava gradualmente abbandonando
lo stadio di società rurale, trasformandosi progressivamente in una realtà
industriale e post-industriale (Garbacz, 2010: 31). Helgander (1996, 2004)
afferma che le trasformazioni della società svedese hanno influito sul cambio
delle reti sociali di Älvdalen – specialmente in merito alla mobilità dei

mistaking, we may assume that the dialectal situation in Upper Dalarna in the 16th century was
essentially the same as in our days, naturally disregarding the devastation of the past half a
century” (Levander, 1925: 39, tradotto in Sapir, 2006: 10).

32
lavoratori – che avrebbero progressivamente perso la propria stabilità,
innescando veloci mutamenti dal punto di vista linguistico.

Heglander descrive dunque tre stadi della società, cui Garbacz (2010: 31-35)
fa corrispondere altrettante fasi linguistiche.

1) L’antica società rurale (det gamla bondesamhället), dalla seconda


metà del XIX secolo fino al 1920. In questo primo periodo, la rete sociale di
Älvdalen appare considerevolmente stabile, come emerge dalle statistiche
dei matrimoni, che dipingono una società prevalentemente endogamica. In
particolare, nel 1870, tutti i contratti matrimoniali sono stati stipulati tra
cittadini appartenenti alla stessa parrocchia nonché – in numerosi casi – allo
stesso villaggio (Helgander 1996: 37). Sebbene la mobilità dei lavoratori
fosse già un fenomeno di una certa rilevanza (Helgander, 1996: 43–49), la
natura temporanea di questi spostamenti ne minimizza gli effetti sul versante
linguistico (Levander 1909a, 1925, 1944, 1950).

Secondo Helgander (1966: 45), in questo primo periodo, i parlanti


evdalici dimostrerebbero uno spiccato senso identitario, nonché la
consapevolezza di parlare una lingua distinta dallo svedese. Garbacz (2010:
33) e Sapir & Nyström (2015) si riferiscono alla lingua parlata durante
questo periodo col nome di evdalico classico (Classic Övdalian). L’evdalico
classico rappresenta una varietà relativamente stabile, sia dal punto di vista
fonologico che dal punto di vista morfologico e sintattico. Sebbene siano
osservabili alcuni mutamenti a livello morfologico – come nel caso del
livellamento paradigmatico nella flessione di alcuni sostantivi femminili 34 –
la maggior parte delle innovazioni mostrate dall’evdalico del periodo
classico riguardano il lessico (Levander, 1909a: 50-51).

Riguardo alla condizione odierna dell’evdalico classico, Sapir &


Nyström (2015: 3) affermano che sarebbe ancora familiare ad alcuni parlanti
delle generazioni più anziane35. Garbacz (2010: 34) sottolinea quest’aspetto
della “familiarità”: l’evdalico classico è familiare alle generazioni più
34
Ad es. l’estensione della forma del nominativo al caso obliquo per i sostantivi femminili
deboli con sillaba lunga (kullanom. sing./kullåobl. sing>kullanom. sing./kulla obl. sing.) I sostantivi femminili
deboli con sillaba breve mostrano invece lo sviluppo opposto, con l’estensione della forma
obliqua al nominativo (flugånom. sing./fluguobl. sing>flugunom. sing./fluguobl. sing. (Garbacz, 2010: 33))
35
“en älvdalska […] som var den dominerande bland älvdalsktalarna under första delen av
1900-talet, och som alltjämt är bekant för äldre i Älvdalen” (Sapir & Nyström, 2015: 3).

33
anziane, ma non rappresenta necessariamente la varietà che parlano. Per
Garbacz, la competenza dell’evdalico classico è esclusiva dei parlanti nati
fino al 1920.

2) Il periodo di transizione (brytningstiden), dal 1920 al 1950. Questo


secondo periodo è caratterizzato dallo spostamento di parlanti svedesi nel
territorio dalecarlico a causa della crescente industria forestale (Garbacz,
2010: 32). Ciò ha dei riflessi anche sulla tradizione endogamica della
regione. Il crescente numero di matrimoni tra parlanti evdalici e parlanti
svedesi, insieme alla minor stabilità delle reti sociali, implica dunque la
necessità di un certo grado di bilinguismo: i parlanti evdalici hanno
gradualmente iniziato a ricorrere allo svedese standard per comunicare con i
forestieri (Helgander 1996: 50–56). L’apertura della società evdalica alla più
ampia realtà svedese – specialmente dal punto di vista economico – ha
portato a dei mutamenti anche dal punto di vista dell’identificazione
culturale.

Helgander (1996: 56–57) ritiene che in questo periodo si sia iniziata a


diffondere, tra i parlanti evdalici, una maggiore tendenza a identificarsi con
la società svedese in senso nazionale. Questo ha avuto chiari riflessi
sull’attitudine dei parlanti nei confronti dell’evdalico, considerato ormai una
varietà priva di prestigio, o persino ragione di vergogna (Sapir, 2006: 12).
Un esempio significativo è costituito da alcune famiglie in cui i genitori
parlano esclusivamente in svedese con i figli, al fine di assicurar loro un
futuro migliore (Levander, 1909a). Un aspetto rilevante è la natura
tendenzialmente univoca della diglossia36 che viene a costituirsi: là dove i
parlanti evdalici si sono trovati nella condizione di dover ricorrere allo
svedese, i parlanti svedesi non hanno generalmente appreso la lingua locale
(Garbacz, 2010: 33).

Garbacz (2010, 35) definisce l’evdalico caratteristico del periodo tra il


1920 e la fine della Seconda Guerra Mondiale col nome di evdalico
tradizionale (Traditional Övdalian). I mutamenti distintivi dell’evdalico

36
Garbacz (2010) definisce il quadro del periodo di transizione come una forma di bilinguismo.
Sebbene, dal punto di vista della competenza, i parlanti dell’evdalico tradizionale siano
considerabili bilingui, la situazione sociolinguistica è meglio definibile come diglossia,
caratterizzata dal progressivo confinamento dell’evdalico in contesti diafasici e diastratici bassi.

34
tradizionale pertengono principalmente alla morfologia. Åkerberg (1957),
nota rilevanti differenze nella flessione nominale in base all’età
dell’informatore. Per l’informatore più anziano, nato nel 1867, la
declinazione singolare di kulla (ragazza) prevedeva 5 forme diverse: kulla
(nom. sing. indet.); kullu (obl. sing. indet.); kullą (nom. sing. det.); kullun
(dat. sing. det.); kullų (acc. sing. det.). I due informatori nati nel 1898
mostrano l’estensione della forma kulla (nom. sing. indet.) all’obliquo e
talvolta anche l’estensione del nominativo determinato all’accusativo.
L’informatore più giovane, nato nel 1934, testimonia di aver mantenuto solo
l’opposizione di determinazione (Garbacz, 2010: 35). La progressiva
semplificazione del paradigma nominale è, con tutta probabilità, da
attribuirsi all’influsso dello svedese e all’emersione del bilinguismo
(Helgander, 1996: 90).

3) Il periodo di rivoluzione (revolutionen), dal 1950 in poi. Con la fine


della Seconda Guerra Mondiale ed il rapido sviluppo economico della
Svezia, i fenomeni di migrazione interna si intensificarono ulteriormente
rispetto ai decenni precedenti. A questi fattori vanno aggiunti l’istituzione
dell’istruzione obbligatoria e la diffusione dei mezzi di comunicazione di
massa (Sapir, 2006: 11). Tutto ciò ha portato a quella che Helgander
definisce “dissoluzione” della rete sociale tradizionale, con considerevoli
riflessi sulla lingua locale, la cui esistenza risulta minacciata sia dalla spinta
standardizzante della lingua nazionale che dai mutamenti nell’attitudine e
nell’identità dei parlanti, il cui numero è in progressiva diminuzione
(Helgander 1996: 111–112). Nel corso di un secolo circa, la comunità
linguistica è mutata profondamente, partendo da una situazione di
monolinguismo evdalico e passando per una fase di diglossia, tendendo
progressivamente verso il monolinguismo svedese (Sapir, 2006: 11).

Lo stato della lingua caratteristico di questo periodo viene denominato da


Garbacz (2010: 35) evdalico moderno (Modern Övdalian). Per evidenziare i
mutamenti caratteristici di quest’ultimo periodo, Helgander (2005) si serve
di tre informatrici, nate rispettivamente nel 1914, nel 1937 e nel 1984.
Sebbene siano riscontrabili alcune differenze nel linguaggio delle due
informatrici più anziane, le divergenze più radicali sono mostrate dalla

35
parlante più giovane (Helgander, 2005: 5- 6). Le differenze più rilevanti
sono innanzitutto di ordine fonologico (Helgander, 2005: 10); altre tendenze
divergenti sono riscontrabili a livello morfologico (Helgander, 2005: 20). La
parlante più giovane mostra sostanziali influssi dallo svedese per quanto
riguarda la pronuncia dei fonemi [ð], [ɽ] e [w]37, rispettivamente realizzati
come [d], [l] e [v] (Helgander, 2005: 10-18). Gli aspetti specifici delle varie
fasi dell’evdalico – specialmente dal punto di vista morfosintattico –
verranno di volta in volta analizzati nei capitoli seguenti.

1.5.2. Dissoluzione e rivitalizzazione dell’evdalico


Da quanto emerge dalle statistiche di Helgander (1996: 106), la
percentuale di parlanti evdalici è inversamente proporzionale alla loro età.
La cosiddetta “dissoluzione” dell’evdalico descritta da Helgander (2004) e
Sapir (2006) non consiste peraltro unicamente nella diminuzione dei
parlanti, ma anche nella graduale perdita di elementi lessicali e categorie
grammaticali sotto l’influsso dello svedese. Un importante fattore di
complicazione è costituito dall’assenza di un’ortografia standardizzata 38, cui
va aggiunta l’impossibilità di ricorrere alla lingua locale nel contesto
scolastico dall’inizio del XX secolo fino a pochi decenni fa (Sapir, 2006:
12)39.
Le prime richieste per l’introduzione dell’evdalico nel curriculum
scolastico risalgono agli anni ’30, ottenendo però scarsi risultati (Hultgren
1983: 37). Tuttavia, i dati degli ultimi anni potrebbero indicare un’inversione
di questa tendenza: gli insegnanti dei livelli d’istruzione primari riportano un
crescente numero di alunni che hanno l’evdalico come lingua familiare
(Sapir, 2006: 11). Tra il 2004 ed il 2008, il numero dei parlanti è diminuito
solo del 2% (Melerska, 2011: 22). Nel 2006 fu istituito un corso opzionale di
evdalico durate l’orario scolastico. Il corso fu interrotto l’anno seguente, alla
luce di una statistica che testimoniava che 34% dei giovani aveva una piena
competenza in evdalico, una percentuale che non differiva di molto dai

37
Vd. 2.2
38
Vd. 5.2
39
Le varietà dalecarliche sono rimaste la lingua d’uso prevalente nell’ambiente scolastico fino
alla fine del XIX secolo, nonostante i tentativi delle autorità di imporre l’uso esclusivo dello
svedese (Hultgren, 1983: 20), che si sarebbe definitivamente affermato con l’inizio del secolo
seguente (Levander, 1909a: 41).

36
decenni precedenti (Arbin, 2013: 14-15). L’uso effettivo della lingua
risultava però estremamente ridotto: solo il 6% degli studenti affermava di
ricorrere regolarmente all’evdalico nella vita quotidiana. Dei restanti, metà
affermava di farne un uso scarso o nullo (Melerska, 2011: 58-60).
L’interesse per l’evdalico, specialmente da parte dell’amministrazione
locale, si riaccese pochi anni dopo, con l’apertura di un istituto prescolare
monolingue nel 2016 e la reintroduzione del corso facoltativo nel 2017. Uno
dei fattori fondamentali per la rivitalizzazione dell’evdalico è stata la
fondazione dell’associazione Ulum Dalska nel 1984, organo fondamentale
per l’organizzazione di convegni sul tema, tra cui spiccano le tre edizioni
della Råðstemma um övdalskų “conferenza sull’evdalico”, tenutesi
rispettivamente nel 2004, nel 2011 e nel 2015. L’associazione ha pubblicato
diverse opere lessicografiche, testi grammaticali e traduzioni, occupandosi
inoltre della sovvenzione di studi e dell’organizzazione e promozione di
corsi, sia in ambito scolastico che extrascolastico, inclusi corsi per stranieri
(Garbacz&Johannessen, 2015: 8).
È opportuno evidenziare che la rivitalizzazione dell’evdalico ed il suo
insegnamento assumono spesso caratteri fortemente prescrittivi (Garbacz &
Johannessen, 2015: 7). Le diverse grammatiche (Åkerberg, 2000; Åkerberg,
2004; Åkerberg, 2012; Sapir & Nyström 2015), sono principalmente basate
sul lavoro di Levander (1909b), e descrivono dunque l’evdalico classico, da
molti – inclusi i parlanti delle altre varietà – tuttora considerato il modello
“genuino e corretto” di evdalico (Sapir, 2006: 12). Il modello normativo
dell’evdalico è quindi estremamente lontano dalla lingua correntemente
parlata – sia dalle generazioni più giovani che da quelle più anziane
(Garbacz, 2010: 49) –, specialmente se si tiene in considerazione che il
lavoro di Levander (1909b: 4) è basato sulla varietà del villaggio di Åsen,
che considerava essere quella meglio preservatasi nel tempo (Garbacz &
Johannessen, 2015: 7-8). In conformità con la letteratura di riferimento –
quando non diversamente specificato – la lingua analizzata nel corso di
questo elaborato è l’evdalico classico. Là dove opportuno – specialmente in
ambito morfologico e sintattico – verranno messe in evidenza le
caratteristiche divergenti tra le tre varietà.

37
2. FONETICA E FONOLOGIA
2.1. Vocalismo

In questa sezione verrà esaminato il sistema vocalico dell’evdalico, mettendolo


innanzitutto a confronto con lo svedese standard ed operando alcune analisi
diacroniche necessarie ad illustrarne gli aspetti maggiormente divergenti.
L’inventario vocalico dello svedese standard consta di nove timbri, di seguito
presentati con le rispettive realizzazioni allofoniche ed i relativi grafemi (Andersson,
2002: 272).

Tabella 1: Inventario vocalico dello svedese standard

Fonema Allofoni Grafema

/a/ [ɑː] [a] <a>

/e/ [eː] [e, ɛ, ə] <e>

/i/ [iː, iːj] [ɪ] <i>

/u/ [uː, uːβ] [ʊ] <o>

/ʉ/ [ʉː, ʉːβ] [ɵ] <u>

/y/ [yː, yːɥ] [ʏ] <y>

/o/ [oː] [ɔ] <å, o>

/ɛ/ [ɛː, æː] [ɛ, æ] <ä>

/ø/ [øː] [œ] <ö>

Il sistema vocalico dell’evdalico offre un quadro più complicato. In evdalico si


possono riconoscere tra i 13 ed i 18 fonemi (Zach, 2013: 24).

Tabella 2: Inventario vocalico dell’evdalico

Fonema Allofoni Grafemi

/ɑ/ [ɑː, (aː)] [ɑ, (a)] <a>

/ɑ̃/ [ɑ̃ː, (ãː)] [ɑ̃, (ã)] <a, ą>

38
/e/ [eː, (ɛː)] [e, (ɛ), ə] <e>

/ẽ/ [ẽː, ɛː̃ ] [ẽ, ɛ]̃ <e, ę>

/i/ [iː, (ɪː)] [i, (ɪ)] <i>

/ĩ/ [ĩː, (ɪː̃ )] [ĩ, (ɪ)̃ ] <i, į>

/u/ [uː, oː] [u, o] <o>

/ũ/ [ũː, õː] [ũ, õ] ([ɔ̃ː] [ɔ̃]) <o, ǫ>

/ʉ/ [ʉː, (uː)] [ʉ, (u), ɵ] <u>

(/ʉ̃/ [ʉ̃ː, (ũː)] [ʉ̃, (ũ)] <u, ų>)

/y/ [yː] [y] <y>

(/ỹ/ [ỹː] [ỹ] <y, y̨>)

/ɔ/ [ɔː] [ɔ] <å>

(/ɔ/̃ [ɔ̃ː] [ɔ]̃ <å, ą̊40>)

/æ/ [æː, (ɛː)] [æ, (ɛ)] <ä>

(/æ̃ / [æ̃ː, (ɛː̃ )] [æ̃, (ɛ)̃ ] <ä, ą̈41>)

/œ/ [œː, (øː)] [œ, (ø)] <ö>

(/œ̃/ [œ̃ː, (ø̃ː)] [œ̃, (ø̃)] <ö, ǫ̈39>)

La considerevole differenza quantitativa tra l’inventario vocalico dell’evdalico


rispetto allo svedese si spiega in virtù di due aspetti fondamentali, che saranno più
ampiamente illustratinelle sezioni successive.

1. La presenza di vocali nasalizzate in evdalico, che possono apparire sia in


contesti fonetici che fonologici (Kroonen, 2015);
2. A livello allofonico, la variazione di quantità vocalica produce in svedese
un’alterazione del timbro (ex: [ɑː] [a]); in evdalico invece il timbro rimane
invariato, e l’opposizione di quantità ha dunque valenza fonologica.
40
Carattere previsto nei modelli ortografici della Råðjärum (2005) e di Åkerberg (2012),
Steensland (2010) ricorre a ǫ (vd. 5.2).
41
Carattere presente solo nell’ortografia di Åkerberg (2012).

39
2.1.1. Mutamenti vocalici
Prima di affrontare nello specifico le questioni appena accennate, è
opportuno mettere in risalto alcuni aspetti caratteristici dell’evdalico,
particolarmente rilevanti in prospettiva diacronica nel panorama nordico. È
innanzitutto necessario elencare alcuni degli sviluppi vocalici regolari
dall’antico scandinavo all’evdalico. Le vocali lunghe ō, ū, ī, ȳ, ø hanno
dittongato rispettivamente in uo, au, aj, åi e yö come mostrano i seguenti esempi
(vd. anche 2.1.6).

1) bōk>buok “libro”
2) hūs>aus “casa”
3) knīfr>knaiv “coltello”
4) hȳsa>åisa “ospitare”
5) møta>myöta “incontrare”

L’originaria a breve evolve in a o, in determinati casi, o – come in


*want>wattn “acqua”, rispetto a gakk>gokk “vai” – mentre la a lunga si
trasforma in å, come in bātr>båt “barca”. La e breve può preservare il timbro,
ma è talvolta soggetta a frattura, dando esito jä, come nel caso di eta>jätå
“mangiare”. La a può essere soggetta ad Umlaut da -i, ad esempio all’interno del
paradigma fårå (far-): ferið “andare, andò”. L’Umlaut all’interno del paradigma
causa anche le alternanze uo>yö, come in buok – byöker “libro - libri” e au> åi,
come in maus – måiser “topo - topi” (Sapir, 2006: 23).

2.1.1.1. Monottongamento scandinavo orientale

Il monottongamento dei dittonghi dell’antico scandinavo è spesso


considerato il mutamento fonologico più significativo per la distinzione tra il
gruppo scandinavo orientale e quello occidentale. Tale innovazione,
caratteristica del gruppo orientale, consiste nel passaggio del dittongo æi ad
ē (cfr aisl. steinn con sv. sten “pietra”) e della fusione dei dittonghi ey/øy, au
in ø̄ (cfr. aisl. rauðr vs. sv. röd “rosso”; aisl. ey vs. sv. ö “isola”). Il processo
sarebbe partito intorno al X secolo, estendendosi dalla Danimarca ed
investendo la maggior parte della Svezia e alcune aree della Norvegia
(Bandle: 2005, 1857). L’evdalico concorda solo parzialmente con il
comportamento delle varietà scandinave orientali, laddove l’esito æi> ɪe
risulta originariamente analogo a quello del resto del gruppo (cfr. ev. stien

40
vs. sv. sten), sviluppando il dittongo in un secondo momento (vd. 2.1.4),
mentre gli sviluppi di ey/øy e au, pur subendo monottongamento, rimangono
distinti.

Nel caso del primo dittongo, lo sviluppo ä è probabilmente scaturito dalla


perdita del tratto arrotondato di un ö precedente (cfr. ev. ä vs. sv. ö), mentre
il secondo dittongo si sarebbe semplicemente monottongato in o, senza mai
fondersi con l’esito del primo (Kroonen, 2015; Marklund, 2018: 81). In
questa prospettiva, l’evdalico ricopre quindi una posizione intermedia tra il
gruppo scandinavo orientale e quello occidentale poiché, pur partecipando al
mutamento fonetico caratteristico del primo, mantiene tre esiti distinti in
concordanza col secondo.

2.1.1.2. Mutamento scandinavo occidentale dei dittonghi


Una tipica innovazione scandinava occidentale consiste nel mutamento
dei dittonghi discendenti dell’antico scandinavo*‐ḗa‐ ed *‐ī́a‐ in *‐jā́ ‐.
L’evdalico mostra tracce di questo mutamento, concordando maggiormente
col gruppo occidentale (Kroonen, 2011: 11).

Tabella 3: *‐ḗa/*‐ī́a>*‐jā́ ‐

Protogermanico Antico Svedese Evdalico Nynorsk


Scandinavo

*lewan- léa> ljá lie ljå ljå

*sehwan- séa>sjá se sjǫ sjå

*þrīōz- þrjár (f.) (tre) trjär (f.) (tre)

NB: l’esito ev. trjär anziché del previsto *trjår si spiega per Umlaut da ʀ (vd. infra)

2.1.1.3. Umlaut da ʀ
Nello scandinavo occidentale, le vocali precedenti -ʀ (<pgmc. -z) si
innalzano analogamente a quanto succede per Umlaut innescato da -i
(Robinson, 1992: 72-73). Anche in questo caso l’evdalico si trova in una
posizione intermedia tra varietà orientali e occidentali.

41
Tabella 4: Umlaut da ʀ

Protogermanico Antico Svedese Evdalico Nynorsk


Scandinavo

*baza- berr bar ber ber

*deuza- dýr djur diuor dyr

hazan- heri hare eri hare

*kaza- ker kar kar kjer

*kū‐z/*kō‐z kýr ko tşyr ku

*auzon- eyra öra ära øyre

2.1.1.4. Mutamento in contiguità di w-


Entrambi i gruppi dialettali maggiori mostrano dei mutamenti nel caso in cui
-i- preceda un’approssimante labiovelare. Il gruppo occidentale mostra il
regolare arrotondamento i>y come accade per Umlaut da u-, il gruppo
orientale mostra un’ulteriore innovazione: la frattura *y >iu davanti ai nessi
*ggw, *ngw, *nkw (Wessén, 1969: 26). In quest’ultimo contesto, tuttavia,
l’evdalico non mostra mutamento, continuando il timbro originario e
condividendo quest’aspetto conservativo unicamente con il gutnico
(Vrieland, 2011: 20).

Tabella 5: Umlaut da w-

Protogermanico Antico Svedese Evdalico Nynorsk


Scandinavo

*bewwu- bygg bjugg begg bygg

*lingwa- lyng ljung ling lyng

*singwan- syngva sjunga singga syngje

*sinkwan- søkkva sjunka sikka søkke

*stinkwan- støkkva (sticka) stikka støkke

42
2.1.2. Nasalizzazione
La presenza di vocali nasali in evdalico costituisce uno dei maggiori punti di
interesse degli studiosi, specialmente se contestualizzata in una prospettiva
diacronica. Difatti, l’evdalico rappresenta uno dei rarissimi casi in cui tali vocali
sono il risultato di processi etimologici, costituendo così un’importantissima
testimonianza per la ricostruzione dell’antico nordico, dell’antico runico
scandinavo e persino del protogermanico, caratteristica condivisa secondo
Kroonen (2015) soltanto dalla varietà di Selbu in Norvegia. La presenza di
vocali anteriori alte nasalizzate ([ɪ]̃ , [ỹ]) sarebbe, secondo Sapir (2006: 22),
unica nel panorama linguistico europeo.

Risulta necessario, a questo punto, fornire alcuni chiarimenti riguardo a


quanto detto nel paragrafo 2.1 ed indicato nella Tabella 2. Nel sistema vocalico
dell’evdalico, ogni vocale può essere nasalizzata: ciò avviene automaticamente
quando una vocale precede una consonante nasale, e in tal caso la nasalizzazione
non viene indicata graficamente (cfr. stien “pietra”, singga “cantare”). Nel caso
in cui la vocale non sia seguita da una consonante nasale, la nasalizzazione viene
indicata con un ogonek sottoposto alla vocale (cfr. wįster “sinistra”, mą
“mucca”). Bisogna a questo punto stabilire se queste vocali nasalizzate siano
fonemi a sé stanti o realizzazioni allofoniche delle rispettive vocali orali,
identificando delle coppie minime. A fronte di tale analisi è possibile isolare le
vocali /ɑ/, /ɑ̃/; /e/, /ẽ/; /i/, /ĩ/; /u/, /ũ/; laddove le realizzazioni nasalizzate [ʉ̃], [ỹ],
[ɔ̃], [æ̃], [œ̃] – evidenziate in grigio nella Tabella 2 – potrebbero essere
interpretate come allofoni delle rispettive vocali orali.

Alla luce di questi dati, non c’è tuttora consenso assoluto sul trattamento
delle vocali nasali. Se anche si potessero identificare delle coppie minime per
isolare le cinque vocali nasali restate escluse dall’analisi precedente, sarebbe
possibile avanzare argomentazioni per le quali tutte le vocali nasali sarebbero da
considerarsi allofoni, in quanto la maggior parte delle differenze emerse dalle
coppie minime identificate sono di ordine grammaticale piuttosto che semantico
e l’analisi delle coppie minime non permette di determinare se tali differenze
non siano anche individuate da elementi di ordine morfosintattico all’interno
della frase (Zach, 2013: 25). Fatte le dovute puntualizzazioni di ordine
fonologico, si può procedere con l’analisi diacronica delle nasalizzazioni in
evdalico.

43
2.1.2.1. Nasalizzazione spontanea
La nasalizzazione spontanea (talvolta detta “automatica”) delle
vocali seguite da consonante nasale potrebbe apparire come
un’innovazione piuttosto recente dell’evdalico, specie a fronte del
fatto che è ancora produttiva per i forestierismi. Tuttavia, in una
prospettiva diacronica, risulta particolarmente rilevante la
corrispondenza del fenomeno con la nasalizzazione descritta nel
Primo Trattato Grammaticale (Fyrsta málfræðiritgerðin), documento
islandese del XII secolo.
La presenza di vocali nasalizzate in antico scandinavo descritta
dal trattato è stata spesso messa in discussione dai linguisti a fronte
dell’assenza del fenomeno in altre lingue germaniche settentrionali, in
particolare l’islandese, generalmente considerato il discendente più
conservativo dell’antico scandinavo. È proprio tramite il confronto
con l’evdalico che emerge la regolarità del fenomeno, che si verifica
negli stessi lessemi e nelle stesse condizioni, dimostrando così
l’attendibilità del documento (Nooren, 1886).

Tabella 6: Nasalizzazione automatica nel Primo Trattato Grammaticale

Protogermanico P.T.G. Antico scandinavo Evdalico

*rēma- [rā̃mr] rámr ram [rąm] “rauco”

*wēnō- [ʋɒ̃n] vǫ̨́n>ván uon [ųon] “speranza”

*mōnōn [mō͂na] móna muna [mųna] “mamma”

2.1.2.2. Nasalizzazione meso-scandinava


La nasalizzazione delle vocali in posizione finale non può essere
spiegata nel contesto sincronico della fonologia dell’evdalico. Va
invece riportata alla caduta di -n finale, solitamente derivata dal
suffisso determinativo ascand. -(i)n in epoca medio-scandinava
(Kroonen: 2015). Quest’innovazione avrebbe interessato l’intera area,
mantenendosi poi soltanto nella varietà di Selbu, nel Sør-Trøndelag,
oltre che in evdalico (Røset 2011: 35‐38).

44
Tabella 7: Nasalizzazione finale centro-scandinava

Antico scandinavo Scandinavo centr. Svedese Evdalico Selbumål


sól‐in *sōlı͂ solen suolę solã
kyrkja‐n *kyrkjã kyrkan tşyörtşą kjørkjã
hǫ̨́n/hán *hō̃, hā̃ hon ǫ hō̃
nú‐na *nū͂ nu nų nō̃

2.1.2.3. Caduta di nasale antico runico scandinava in coda di sillaba


tonica
Dal momento che le vocali brevi in proto-norreno hanno subito
apocope in fine di parola, qualsiasi nasale che si trovasse di
conseguenza in posizione finale in una sillaba tonica sarebbe caduta a
sua volta. In questo caso, tramite la nasalizzazione, l’evdalico ed il
selbumål testimoniano talvolta la presenza della nasale originaria,
mantenuta come tale in altre lingue germaniche (Kroonen, 2011).

Tabella 8: Nasalizzazione da caduta di nasale proto-norrena in coda di sillaba tonica

Protogerma Antico Svedese Evdalico Selbumål Tedesco


nico scandinavo

*þan- þá då dǫ dā̃ dann

*ana- á (på) ǫ (på) an

*un- ó‐/ ú‐ o- ų o- un-

NB: la preposizione i “in” non presenta nasalizzazione poiché continua una forma
atona; *ī̃ accentata avrebbe dato esito *ąi (vd. 2.1.1).

2.1.2.4. Nasalizzazione antico runico scandinava nelle sillabe atone


La nasalizzazione antico runico scandinava delle sillabe finali non
è preservata in evdalico se non in pochi casi. Nei primi due esempi
riportati nella tabella si è mantenuta poiché il passaggio dei dittonghi

45
*‐ḗã‐ e *‐ī́ã‐> *‐iã́ (vd. 2.1.1.4) ha generato monosillabi tonici,
nell’ultimo caso si tratta di un monosillabo ab origine.

Tabella 9: Nasalizzazione proto-norrena nelle sillabe atone

Antico runico Antico Svedese Evdalico Gotico


scandinavo scandinavo

*sehwã- séa> sjá se (<sēa) sjǫ saiƕan

*þrīans- þría > þrjá (tre) triųo (acc.) (þrins)

*twans- tvá två tųo (acc.) twans

È opportuno evidenziare che, a parte le iscrizioni runiche


(Sandbeck, 2014: 22), l’evdalico è l’unica lingua a fornire prova
diretta dell’esistenza di vocali nasalizzate in posizione finale in antico
scandinavo. Esso dimostra inoltre che la perdita del tratto nasale in
queste vocali è stato posteriore rispetto al mutamento dei dittonghi nel
nordico occidentale (Kroonen, 2011: 15).

2.1.2.5. Legge nasale-spirante in antico scandinavo


Le nasali avanti a s cadono regolarmente nel passaggio da antico
runico scandinavo ad antico scandinavo, innescando la nasalizzazione
della vocale precedente. Questo fenomeno è uno stadio della Legge
nasale-spirante Ingevone che l’antico scandinavo condivide con le
lingue germaniche occidentali del mare del Nord (Harbert, 2006:
54)42. Il tratto nasale viene di regola successivamente perduto nella
maggior parte delle lingue, ma permane in evdalico. È talvolta
possibile confrontare gli esiti con le lingue germaniche occidentali e
orientali che non partecipano al fenomeno.

42
La condivisione di questo fenomeno è un’ulteriore argomentazione a favore della teoria di
uno stadio linguistico germanico nordoccidentale comune.

46
Tabella 10: Nasalizzazione da caduta di nasale avanti a spirante

Protogermanico Antico Svedese Evdalico Altro


Scandinavo

*amsa- áss ås ǫs got. ams

*bansa‐ báss bås bǫs mnl. bans

*gans- gáss, gǫ́ss gås gǫs ted. gans

*instra‐ ístr ister įster mat. inster

2.1.2.6. Caduta di n avanti a liquida


Nel passaggio da antico runico scandinavo ad antico scandinavo
la nasale è caduta nel caso in cui precedesse direttamente una liquida.
Tale caduta seguiva spesso la sincope di una vocale originaria tra
nasale e liquida (Sandbeck, 2014: 18).

Tabella 11: Nasalizzazione da caduta di n avanti a liquida

Protogermanico Antico runico Antico Svedese Evdalico


scandinavo scandinavo

*þinwara- *þinwra‐ þinurr tjur(‐ved) tiųor43

*þunara‐ *þunra‐ þórs‐dagr torsdag tųos‐dag

*unzara- *unʀra‐ órr (várr <óarr) vår ųor

*manala- *manla‐ (mǫn) (man) mǫl

43
La ricostruzione della trafila di tiu̢or risulta particolarmente difficoltosa. La presenza del
trittongo implicherebbe la metatesi di ars. *þinwra‐ in ascand. *þiunra-, laddove l’antico
scandinavo mostra il regolare esito þinurr. È possibile che il paradigma pgmc.
*þinwaraz/*þinwaraidat. si sia sviluppato in ars. *þinwarʀ/ *þinwrēdat., il quale si sarebbe potuto
evolvere in *þiunrē. Diversamente da quanto affermato da Noreen (1881), non è possibile
sostenere una derivazione di tiu̢or da ars. *þinwra tramite Umlaut da -w poiché questo
fenomeno non interessa l’evdalico (vd. 2.1.1.4) (Kroonen, 2015: 18).

47
2.1.2.7. Nasalizzazione protogermanica prima di h
Il passaggio da protogermanico ad antico runico scandinavo
mostra la caduta di n avanti ad h. In alcuni casi la testimonianza
dell’evdalico si dimostra fondamentale per la ricostruzione delle
radici protogermaniche, confutando ipotesi precedentemente
avanzate, specialmente nei casi in cui esse presupponevano la
presenza di un’approssimante labiovelare.

Tabella 12: Nasalizzazione da caduta di n precedente h

Protogermanico Antico scandinavo Evdalico Etimologia proposta

*ganhti- gátt gǫtt cfr. got. -gahts

*kanhta‐ kátr kǫt non *kawata-!

*ga‐anhēn- gá gǫ non *gawēn‐!

*ga‐anhatjan- gæta gęta non *gawatjan-!

*þanhtu‐ þáttr tǫt non *þēhtu‐!

2.1.2.8. Nasalizzazione parassita


Oltre a questi esiti è possibile identificare una serie di forme
presentanti vocali nasalizzate per cui non è possibile dare una
spiegazione sul piano etimologico. La nasalizzazione non etimologica
è stata definita da Steensland (2011) “parassita” e può verificarsi
tramite processi di diversa natura. Il meccanismo più trasparente è
senza dubbio quello di tipo analogico che interessa forme del tipo
wįð/wįr “noi” e įð/įr “voi”. La nasalizzazione scaturisce dunque da
un’analogia sul paradigma morfologico, e il pronome sarebbe stato
rimodellato sulla base del possessivo węr/ųor (cfr. sv. vår),
innescando consequenzialmente l’analogia della seconda persona
plurale sul modello della prima (Björklund, 1958: 164).
Come accennato in 2.1.2.1, la nasalizzazione risulta produttiva
anche per i prestiti, estendendosi così al di là del proprio campo
originario. L’emersione di vocali nasalizzate tramite adattamento –

48
definito da Steensland genuinisering – è particolarmente evidente in
esempi come rįesa (<mbt. rēsen “viaggiare”), kęse (<lat. cāseus
“caglio”), įesum (<mbt. ēnsām cfr. sv. ensam “da solo”). In
quest’ultimo caso il processo di adattamento risulta piuttosto evidente:
il dittongo (sviluppatosi da ē, vd. 2.1.6) avrebbe subito nasalizzazione
non etimologica analogamente a quanto accade per le forme
presentate nella tabella 10 in virtù della consonante nasale avanti a
sibilante nella forma originaria del prestito – Steensland parla dunque
di “caduta fittizia di n” (Steensland, 2011: 119).
Questo processo è riscontrabile anche per la forma fjǫs (cfr. sv.
fähus “stalla”), la cui analogia su bǫs “mangiatoia” – che presenta
invece nasale etimologica – è favorita dalla contiguità semantica.
Steensland evidenzia come un numero considerevole di queste forme
presenti vocale nasale seguita da s, riconoscendo in questa
caratteristica uno dei fattori decisivi per la nasalizzazione parassita. In
alcuni casi la nasalizzazione genera degli omofoni, come nel caso di
rįesa “viaggiare” (<mbt. rēsen) con rįesa “pulire” (<ascand. hreinsa,
cfr. sv. rensa) oppure di lęsa “lasciar andare” (<ascand. leysa, cfr. sv.
lösa) con lęsa “bloccare” (<anscand. láss<pgmc. *lamsaz-, cfr. sv.
låsa): qui si parla dunque di analogia fonetica (Steensland 2011, 120).
Dopo aver trattato brevemente alcune forme quali fręsa “sibilare”,
kwęka “gracchiare”, tiųota “ululare, kwęsa “umiliare”, ųosa “puzzare”
in cui la nasalizzazione svolgerebbe una funzione di tipo
onomatopeico-espressivo, rimangono da analizzare le forme kǫl
“cavolo” e stǫl “acciaio”. Per questi due casi non risultano applicabili
le spiegazioni fin qui proposte e, allo stesso modo, non risulta
convincente la proposta di Noreen (1886) di un rimodellamento su
mǫl, giacché in questo caso la presenza della nasalizzazione è da
attribuirsi alla consonante precedente.
Steensland ritiene che la vocale nasalizzata in stǫl sia da
ricondurre ad un’aspirata che seguiva originariamente la vocale nella
forma *stahla-. In quest’ottica la h svolgerebbe dunque un ruolo
analogo a quella della s nella caduta “fittizia”. Come evidenzia
Steensland, tenendo conto della pronuncia ricostruita per l’h,

49
entrambe le consonanti sono effettivamente delle fricative sorde, e
non è dunque da escludersi che inneschino fenomeni simili. Come
indica anche Kroonen (2011: 20) bisogna quindi trattare stǫl come le
forme analizzate nella Tabella 9 (proponendo una pseudoetimologia
del tipo *sta(n)hla-,), in cui la caduta – fittizia – della nasale avanti a
h ha prodotto nasalizzazione. Infine, per quanto riguarda kǫl, esso
sarebbe stato rimodellato in un secondo momento sulla base di stǫl
per analogia fonetica.

2.1.3. Quantità fonologica


Come accennato in 2.1., sia lo svedese che l’evdalico presentano
un’opposizione di lunghezza nell’ambito vocalico, laddove lo svedese altera il
timbro della vocale insieme alla sua lunghezza. In svedese, a livello grafemico,
la lunghezza della vocale è indicata dalle consonanti successive: una consonante
scempia indica una vocale lunga, una consonante intensa o un gruppo
consonantico indicano una vocale breve (ex. sv. <glass> [ɡlas] “gelato” rispetto
a <glas> [ɡlɑːs] “vetro”, ma ev. <glass> [ɡɽɑs] e <glas>[ɡɽɑːs], senza
alterazione di timbro vocalico).

In evdalico sono tuttavia presenti anche vocali brevi che precedano


consonanti scempie o, al contrario, vocali lunghe seguite da consonanti intense o
gruppi consonantici (Zach, 2013: 27-32). A tal proposito va evidenziato un
ulteriore aspetto conservativo dell’evdalico, che rientra tra le poche varietà ad
aver preservato le tre quantità sillabiche dell’antico scandinavo (Sapir, 2006: 14-
15). Le tre quantità sillabiche sono rimaste distinte in svedese fino al 1350 ca.
(Riad 2005: 1103), data in cui i manoscritti mostrano la generalizzazione della
quantità sillabica lunga per le sillabe toniche (Noreen 1904, 123). Allo stato
corrente, lo svedese ammette solo la quantità lunga per le sillabe toniche
(Garbacz, 2010: 36).

Tabella 13: Strutture sillabiche dell’evdalico

Tipo di sillaba Struttura Esempio

Sillaba breve V+C al- come in ali [ɐɽɪ]“coda”

Sillaba lunga1 V + Cː kall [kɐlː]“uomo”

50
Sillaba lunga2 V+gruppo cons. est [ɛsːt]“cavallo”

Sillaba lunga3 Vː+C mun- come in muna [mʏː̃nɐ] “madre”

Sillaba iperlunga Vː + Cː ni'tter [nɪːtːɛr]“verso il basso”

La lunghezza vocalica può variare all’interno degli schemi flessivi (ex.


<tak> [tɑːk] “tetto” nom. sg. indef., <tatșį> [tɑʨĩ] “al tetto” dat. sg. def.), il che
naturalmente incide anche sulla quantità sillabica (ex. <ig truor> “io credo”,
<ig truo’dde> “io credevo”). Come si può notare da questi esempi, la quantità
iperlunga viene ortograficamente segnalata tramite un apostrofo posto tra la
vocale e la consonante (Råðjärum, 2005: 6).

2.1.4. Accento
Lo svedese e il norvegese standard, così come diversi dialetti in Svezia e
Norvegia, hanno ereditato il sistema a due accenti lessicali dell’antico
scandinavo, che possono di fatto essere considerati toni distintivi. I dialetti
dell’area danese hanno sviluppato un sistema che prevede un accento primario
ed un’occlusiva glottidale (stød), perdendo i toni originari (Sapir, 2006: 15). I
diversi percorsi intrapresi dalle lingue sono strettamente connessi con i diversi
esiti delle stesse per quanto riguarda il mutamento delle quantità sillabiche
dell’antico scandinavo: là dove svedese e norvegese hanno mantenuto la quantità
consonantica, il danese ha mantenuto la quantità vocalica, concordando così con
le lingue germaniche occidentali (Lahiri et al., 2008: 363).

L’evdalico prevede dunque due tipi di accento melodico: grave e acuto.


L’accento grave consiste in un tono discendente nella prima sillaba ed uno
ascendente nella seconda (come in kulla [kʏlːɐ] “ragazza”), mentre l’opposto si
verifica per l’accento acuto (come in fistșin [fɪsʨɪn] “il pesce”). In accordo con il
regolare sistema prosodico germanico, l’accento cade normalmente sulla prima
sillaba, avendo come rare eccezioni i prestiti – ex. akudira [ɐkʏˈdɪːrɐ] “parlare”
<fr. accorder – e le parole che presentano prefissi – ex. fesiktug [fɛˈsɪktʏɣ]
“attento” – (Sapir 2006: 16). L’accento grave può mostrare diverse realizzazioni
in base alla struttura sillabica della parola in questione. Una parola formata da
due sillabe brevi è caratterizzata da accento parificato (ingl. level stress, sv.

51
jämviktsaccent), come nel caso di fårå [fɔrɔ] “andare”, che presenta
un’intonazione identica su entrambe le sillabe (Kristoffersen, 2008: 94-95).

In una prospettiva diacronica, lo sviluppo dell’accento parificato è


avvenuto in concomitanza con il mutamento quantitativo. È ancora aperto il
dibattito riguardo alla matrice di questo fenomeno: là dove Kristoffersen (1990,
1991) e Nyström (1991) ne sostengono la natura tonale, Riad (1992) e Bye
(1994) avanzano l’ipotesi della struttura accentuale. È invece generalmente
riconosciuto che l’accento parificato condiziona profondamente i fenomeni
dell’equilibrio vocalico e dell’armonia vocalica, di seguito analizzati (Lahiri et
al., 2008: 409, Riad, 1998: 237).

2.1.5. Equilibrio vocalico


L’equilibrio vocalico (ingl. vowel balance, sv. vokalbalans) consiste
nell’alterazione della qualità vocalica dell’ultima sillaba di una parola in base
alla lunghezza – altrimenti detta peso – della sillaba radicale (Riad, 1998: 240).
Consideriamo il seguente schema:

1) Equilibrio vocalico in evdalico


Sillaba leggera (σ̆σ̆) Sillaba pesante (σσ̆) Alternanza
a. ak-i “uncino” stabb-e “ceppo” [i]-[e]
b. flak-u “fiocco” dat.sing. pär-o “patata” dat.sing. [u]-[o]
c. bik-äð “piantato” swiv-eð “alzato” [æ]-[e]
d. bik-å “piantare” swiv-a “alzare” [ɔ]-[a]

Il tono, chiaramente, dipende dalla struttura sillabica: gli esempi con sillaba
radicale leggera presentano accento parificato, laddove gli esempi con sillaba
radicale pesante presentano accento grave (Sapir, 2006: 16).

Dallo schema emergono dunque due tendenze generali. Nel caso delle vocali
alte [i] e [u], e della vocale bassa [æ], esse tendono ad assumere una qualità
ridotta se seguono una sillaba pesante, tendono dunque a passare da un luogo di
articolazione periferico ad uno non periferico (Riad, 1998: 240). La vocale bassa
[a] rimane tale quando segue sillaba pesante, ma cambia in [ɔ] dopo sillaba
leggera, seguendo quindi un percorso opposto rispetto a quello precedentemente
descritto.

52
Riad (1998: 234) riconosce difatti due processi la cui interazione va a
costituire il fenomeno complessivamente definito “equilibrio vocalico”. Il primo
di essi è la riduzione generale delle vocali atone – fenomeno molto comune in
tutta l’area germanica – come nel caso delle vocali alte in esame, che in molte
varietà porta ad apocope (ad es. i> e> Ø). Sebbene il fenomeno sia frequente,
sarebbe scorretto tentare di ricostruirne una comune origine, come nel caso di
Hesselman (1948) che notava simili esiti in anglosassone, antico sassone e
antico alto tedesco; o di Wiik (1997) che ipotizzava persino un’origine
protogermanica dell’equilibrio vocalico (vd. infra).

Quest’ultima ipotesi è facilmente confutabile alla luce dell’assenza di


equilibrio vocalico in gotico e nelle iscrizioni in antico runico; non vi è inoltre
equilibrio vocalico in antico islandese, il che dimostra anche la relativa
recenziorità del fenomeno nell’ambito germanico settentrionale (Kusmenko,
2013: 242). Il secondo processo – [a]>[ɔ] – rappresenta infatti un’innovazione
scandinava, in cui la vocale che segue una sillaba leggera viene preservata o
rafforzata.

Il processo di rafforzamento viene interpretato da Bye (2005) come una


labializzazione della vocale bassa. La teoria trova conferma nella ricostruzione
del sistema prosodico scandinavo antico44, in cui il livellamento dell’accento si
realizzava come un abbassamento rapido dell’intonazione sulla sillaba atona.

Un abbassamento repentino della laringe sarebbe risultato in un allungamento del tratto


vocale, dando luogo ad un effetto acustico simile a quelli causati da protrusione delle
labbra, creando così le condizioni per cui una nuova generazione di parlanti avrebbe
potuto rianalizzare la variazione come una labializzazione. (Bye, 2005: 28. trad.mia)

L’equilibrio vocalico è un mutamento che ha interessato la Scandinavia


centrale almeno a partire dal XIV secolo: Wessén (1970: 68-71) ne riconosce
infatti gli effetti nello svedese antico classico, ritenendo dunque che esso
interessasse pressoché l’intera area di lingua svedese, subendo successivamente
una recessione. Kusmenko ritiene che, alla luce dell’estensione attuale del
fenomeno, l’epicentro dell’innovazione sia da identificarsi tra la regione del
Trøndelag in Norvegia e le regioni svedesi confinanti (2013: 237).

44
Per un’analisi più approfondita dello sviluppo della tipologia accentuale scandinava si
rimanda a Bye (2004).

53
Tracce del mutamento sono talvolta visibili in svedese standard, in
particolare all’interno di composti, come nel caso di gatu-korsning
“attraversamento stradale”, che presenta u in successione ad una sillaba breve;
rispetto a kyrko-gård “cimitero”, che presenta invece la vocale ridotta in
successione alla sillaba lunga. La sostanziale incongruenza cronologica confuta
in ultima analisi anche l’ipotesi di Hesselman (vd. supra), giacché l’equilibrio
vocalico nelle lingue germaniche occidentali si sarebbe sviluppato tra il 600 ed il
700 (Kusmenko, 2013: 242).

L’equilibrio vocalico è condizione necessaria affinché possa verificarsi


armonia vocalica; i due fenomeni sono inoltre strettamente connessi per quanto
riguarda il loro sviluppo storico all’interno delle varietà scandinave, come
illustrato nella sezione successiva.

2.1.6. Armonia vocalica


L’armonia vocalica (ingl. vowelharmony, sv. tilljämning) si è sviluppata in
un sottogruppo geograficamente coerente rispetto all’equilibrio vocalico, il che –
insieme alla distribuzione lessicale – dimostra empiricamente come la presenza
di armonia presupponga la presenza di equilibrio (Haugen, 1976: 262).

Il fenomeno interessa esclusivamente le prime due sillabe delle forme con


sillaba radicale leggera; esso si manifesta come l’estensione di un tratto
distintivo da una vocale all’altra, e nel caso della serie bassa [æ]-[a]-[ɔ]
l’assimilazione è di tipo regressivo, mentre è di tipo progressivo per la serie
frontale altav[i]-[y] (Riad, 1998: 251). Si noti, che a differenza di quanto accade
per altre varietà, l’armonia in evdalico non ha riflessi sull’altezza delle vocali 45.
Lo schema seguente evidenzia le meccaniche del fenomeno, ponendo in
contrasto alcune forme con sillaba radicale pesante, ove esso non avviene.

2) Sillaba leggera (σ̆σ̆) Sillaba pesante (σσ̆)


a. spår-å “risparmiare” kast-a “scagliare”
b. spär-är ind.pres.sing. kast-er ind.pres.sing.
c. fåt-ås “volere” gambl-as “invecchiare”
d. fät-äs ind.pres.sing. gambl-es ind.pres.sing
e. skuo-mäk-är “calzolaio” skradd-er “sarto”

45
Per ulteriori informazioni sulle varietà linguistiche che presentano questo tipo di armonia si
rimanda a Riad (1998) e Kusmenko (2013)

54
f. uov-släg-är “maniscalco” tşäll-er “cantina”
g. dypyl “avvallamento” pyndşel “pacco”
h. nytşyl “chiave” dymbel “spina”

Per quanto riguarda la serie bassa, data una radice con vocale [a], l’armonia
consiste nell’assimilazione regressiva del luogo di articolazione, ovvero
nell’estensione del tratto [+coronale] nel caso in cui la vocale della seconda
sillaba sia [æ], o del tratto [+dorsale] nel caso in cui la vocale sia [ɔ]. I requisiti
per l’armonia sono l’accordo nel grado di altezza e l’assenza di conflitto nel
punto di articolazione. In questi termini, la vocale [a] viene quindi considerata
come non avente un punto di articolazione specifico nello spettro [dorsale]-
[coronale].

Il primo di questi requisiti spiega ad esempio le alternanze vocaliche nel


paradigma di båkå “infornare” (bäkär pres. ind. sing., bakum pres. ind. 1aplur.):
nella forma plurale la vocale radicale non assume il tratto [+dorsale] della [u] –
non si ha dunque *båkum – per assenza di accordo nel grado di altezza. Il
secondo requisito spiega invece l’assenza di armonia in stjälå “rubare” e dşätå
“menzionare”: il conflitto nel punto di articolazione impedisce la formazione di
*stjålå e *dşåtå. Gli stessi requisiti sono validi per l’armonia vocalica nella serie
frontale alta, in cui il tratto distintivo interessato è [+labiale]. Si noti, in questo
caso, che il requisito di non conflittualità nel punto di articolazione è
ulteriormente ristretto al tratto [+coronale], il che comporta che l’assimilazione
progressiva possa avvenire unicamente tra [y] ed [i] (vd. 2.g e 2.h), spiegando
così l’esito mysu “siero”, rispetto al non grammaticale *mysy (Riad, 1998: 252-
255).

Per quanto riguarda lo sviluppo del fenomeno, la forma originaria di


equilibrio vocalico è probabilmente consistita in un allungamento della vocale
atona: come accennato nella sezione precedente, [a:] è successivamente evoluta
in [ɔ:] nella maggior parte delle varietà scandinave continentali (cfr. sv. år, å,
mål con isl. ár, á, mál). In un contesto di equilibrio vocalico, dunque, l’accento
della sillaba radicale breve sarebbe stato talmente debole da innescare
l’assimilazione regressiva di [a] in [ɔ] (Kock 1888: 87-89). In alcune varietà, ed
è questo il caso dell’evdalico, la quantità vocalica della seconda sillaba sarebbe
diminuita in un secondo momento (*tala >*tala: >*talå: >*tålå: >tålå), e la

55
ricostruzione è confermata da alcune varietà più conservative del Trøndelagen
che mostrano di aver mantenuto la vocale lunga (Hægstad, 1899: 65).

È proprio questa caratteristica dell’allungamento della vocale atona a


risultare di particolare rilevanza in prospettiva diacronica e geolinguistica.
Kusmenko (2013: 248) mette in relazione il fenomeno con l’equilibrio vocalico
riscontrabile in numerosi dialetti sami, specialmente alcuni dialetti orientali che
presentano lo stesso schema di riduzione nel caso in cui la vocale atona segua
sillaba lunga. Il rapporto di causalità appare ancora più plausibile mettendo a
confronto la relativa antichità del fenomeno di equilibrio nelle varietà sami
rispetto a quelle scandinave e la sostanziale corrispondenza areale tra le varietà
che presentano i fenomeni di equilibrio ed armonia vocalica. Già in precedenza
era stata avanzata l’ipotesi riguardo a un effetto di sostrato preindoeuropeo di
matrice uralica per diversi fenomeni in area scandinava. Wiik (1997; 2002)
attribuiva a questo effetto una considerevole antichità, sostenendo l’influenza di
un sostrato “lappo-finnico” come spiegazione per diverse caratteristiche del
protogermanico, includendo persino la prima rotazione consonantica e la Legge
di Verner. Elert (1997) attinge dalle teorie di Wiik, sostenendo che l’equilibrio
vocalico germanico sia risultato di un effetto di sostrato risalente all’Età del
Bronzo.

Sebbene le ipotesi avanzate da Wiik ed Elert abbiano come maggiori punti


deboli l’eccessiva arcaicità riconosciuta al fenomeno sostratico e
l’ipergeneralizzazione dell’equilibrio vocalico, non facendo distinzioni tra il
fenomeno germanico occidentale e quello scandinavo (vd. 2.1.5), l’aspetto
dell’influenza sami – risalente però ad epoca tardomedievale e non allo stadio
linguistico finno-lappone – risulta perfettamente plausibile sia per quanto
riguarda l’equilibrio che per quanto riguarda l’armonia vocalica (Kusmenko &
Riessler, 2000: 213). Il secondo di questi fenomeni, difatti, sarebbe direttamente
riconducibile alla metafonesi presente nelle varietà sami, che condivide con
l’armonia vocalica centro-scandinava lo stesso rapporto funzionale rispetto
all’equilibrio vocalico. Bergsland (1992: 8-9), pur evidenziando le analogie tra
la metafonesi scandinava e quella sami, ritiene che la prima sia da considerarsi
particolarmente antica e che non vi sia relazione tra i due fenomeni. La
preoccupazione principale di Bergsland consisteva tuttavia nel confutare

56
l’ipotesi secondo cui l’innovazione fosse originariamente scandinava e si
sarebbe poi estesa alle varietà sami; a tal riguardo evidenziava la presenza di
metafonesi nelle varietà sami orientali, in cui l’influsso scandinavo non sarebbe
potuto avvenire.

Proprio questo aspetto invece risulta valido come argomentazione per


sostenere l’influenza sami sulle varietà scandinave, altra ipotesi fuori
discussione per Bergsland. In sami meridionale, in particolare, la metafonesi
interessa tre tratti distintivi: l’apertura, la labializzazione ed il luogo
d’articolazione (Kusmenko & Riessler, 2000: 214-216). Come già accennato,
l’evdalico non presenta assimilazione nel grado d’altezza – riscontrabile però in
elverum ed altre varietà (vd. nota 43); risultano invece coerenti le alterazioni in
base alla labializzazione ed al luogo di articolazione, rispettivamente per la serie
frontale e per la serie bassa. Alla luce di queste corrispondenze formali e dei
nessi funzionali tra equilibrio e armonia vocalica sia in sami meridionale che in
evdalico – nonché delle condizioni sociolinguistiche favorevoli per l’emersione
di fenomeni di contatto46 – l’ipotesi dell’influenza sami sul fenomeno risulta
perfettamente accettabile.

2.1.7. Dittonghi e trittonghi


Attraverso l’analisi delle coppie minime, in evdalico è possibile individuare
otto dittonghi ed un trittongo, di seguito illustrati.

Tabella 14: Dittonghi e trittonghi in evdalico

Fonema Allofoni Grafema

/ai/ [aj] <ai>

(/ãĩ/ [ãj]̃ <ąi>)

/au/ [aɵ] <au>

(/ãũ/ [ãɵ̃] <ąu>)

/ie/ [ie, iɛ] [iˈe] <ie>

/ĩẽ/ [ĩẽ, ĩɛ̃] [ĩˈẽ] <įe>

46
Vd. Kusmenko (2016, 2019)

57
/iuo/ [jʉæ, juɛ, juɔ] [jˈʉæ, jˈuɛ, <iuo>
jˈuɔ]

(/ĩũõ/ [jʉ̃ ̃æ̃, jũ̃ ɛ̃, jũ̃ ɔ̃] [jˈ̃ ʉ̃æ̃, jˈ̃ ũɛ̃, <įuo>)
jˈ̃ ũɔ̃]

/uo/ [ʉæ, uɛ, uɔ] <uo>

/ũõ/ [ʉ̃æ̃, ũɛ,̃ ũɔ]̃ <ųo>

/yö/ [yœ, yɛ] <yö>

(/ỹö̃/ [ỹœ̃, ỹɛ]̃ < y̨ö>)

/åi/ [ɔj] <åi>

(/å̃ĩ/ [ɔ̃j]̃ <ą̊i, ǫi>)

Analogamente a quanto accade per i monottonghi, sono evidenziati in grigio


i dittonghi nasalizzati che non è possibile isolare tramite l’analisi delle coppie
minime: per questi risulta impossibile stabilire se si tratti di fonemi a sé stanti o
realizzazioni allofoniche dei relativi dittonghi orali. Lo svedese standard, al
contrario, non presenta dittonghi, se non come realizzazioni allofoniche in
alcune varietà regionali della Svezia centrale. In svedese il dittongamento
avviene principalmente per le vocali lunghe in fine di parola, ad. es. sv. [friː] o
[friːj] “libero”, [buː] o [buːβ] “abitare”; questo tipo di dittongamento non è in
alcun modo correlato con il dittongamento in evdalico.

È possibile riconoscere alcune differenze nelle realizzazioni dei dittonghi a


livello diatopico: in particolar modo il dittongo /uo/ ed il trittongo /iuo/ vengono
rispettivamente pronunciati come [ʉæ], [ʉɛ] o [ʉoe] e [iʉæ], [iʉɛ] o [iʉoe] ad est
del fiume Österdalälv, ma come [uɛ] o [uɔ] e [juɛ] o [juɔ] ad ovest dello stesso
(Zach, 2013: 29-30). Per le dinamiche del dittongamento spontaneo delle vocali
lunghe ascand. e della frattura di ĕ > jä vd. 2.1.1. Il dittongamento spontaneo è
considerato da Levander (1925) come il mutamento principale per la distinzione
del gruppo dalecarlico, che avrebbe raggiunto un periodo di relativa stabilità
intorno al XIII secolo (Levander 1925: 37–43). Il processo di dittongamento
sarebbe stato ancora produttivo in questo periodo, poiché gli effetti sono

58
individuabili anche in prestiti del lessico religioso cristiano e la regione della
Dalecarlia è stata cristianizzata intorno alla fine del XII secolo. Levander
sostiene inoltre che il processo si sarebbe arrestato intorno al XIV secolo poiché
gli effetti non sono visibili nei prestiti basso-tedeschi.

Sapir (2006) fa giustamente notare che l’analisi effettuata da Levander


definisce il consolidamento del dalecarlico nel XIII secolo, e non permette di
datare il momento in cui quest’ultimo ha iniziato a distaccarsi dal resto dei
dialetti scandinavi. Data quest’impossibilità, pur riconoscendo l’importanza del
dittongamento per la distinzione linguistica del dalecarlico, non si può escludere
che questo possa essere più recente rispetto ad altre innovazioni – non solo di
ordine fonologico, ma anche morfologico, sintattico e lessicale. Allo stesso
modo, il XIV secolo rappresenta il termine post quem per l’ingresso di prestiti
basso-tedeschi in dalecarlico, che potrebbe quindi essere anche più tardo,
implicando così una maggiore estensione cronologica per il dittongamento
(Sapir, 2006: 9-10).

Tuttavia, l’analisi della distribuzione dei dittonghi in evdalico eseguita da


Zach (2013: 71-72) mette in risalto la corrispondenza tra ev. kruon vs. sv. krona
< mbt. krûne/krône, che costituirebbe quindi un’eccezione rispetto al quadro
descritto da Levander. Se si analizzano i presunti prestiti dal medio basso
tedesco individuati da Wessén (1954b) mettendoli a confronto con dati di due
dizionari etimologici (Svenska Akademiens Ordbok, Svensk Etymlogisk Ordbok)
e dell’Övdalsk uordbok (Steensland, 2010), è possibile elencare diverse forme di
derivazione basso-tedesca che presentano dittongamento della vocale radicale.

Tabella 15: Prestiti dal medio basso tedesco che presentano dittongamento o > uo

Medio Basso Tedesco Svedese Antico Evdalico

grof grover gruov

klōk kloker kluok

krōch krogher kruog

krōne krona, kruna kruon

prove prov pruov

59
schōpe skopa skuop(a)

vormoden formodha femųoda

vrōkost frukost frukuost

Risulta necessario apportare delle precisazioni allo studio di Zach, che mette
in risalto alcune corrispondenze più o meno costanti tra monottonghi svedesi e
dittonghi evdalico. Sebbene, in prospettiva sincronica, le osservazioni di Zach
siano – il più delle volte – ineccepibili, si potrebbero avanzare delle obiezioni
sulla cornice diacronica. In particolare, mettendo in correlazione il monottongo
sv. /e/ con ev. /ie/, Zach evidenzia anche la corrispondenza con il dittongo /ei/ in
islandese e faeroerico: sv. heder vs. ev. ieðer (asv. hedher, isl. heiðr, fø. heiður)
“onore”; sv. Sked vs. ev. tşieð (asv. skedh, isl. fø. skeið) “cucchiaio”; sv. vrede
vs. ev. rwieðe47 (asv. vreþe, isl. reiði) “ira”. Ecco le parole testuali:

[…] bei dieser Entsprechung ist der älvdalische Diphthong im Altschwedischen nicht
zu finden, allerdings findet sich auch im Inselskandinavischen ein Diphthong an dieser
Stelle, wenn es sich auch um einen anderen handel. (2013: 71)
Zach fornisce le proprie interpretazioni classificando il dalecarlico come un
sottogruppo dello Sveamål (2013:10), in concordanza con Wessén (1954)
Hallberg (2005) e Garbacz (2010). Partendo da questo presupposto, ritiene che la
varietà si sia sviluppata a partire dall’antico svedese (sv. fornsvenska), e che il
dittongo /ie/ debba quindi essersi sviluppato da /e/ antico svedese. Alla luce di
quanto già illustrato in 2.1.1.1 riguardo al monottongamento scandinavo
orientale, le corrispondenze con il dittongo /ei/ in scandinavo insulare risultano
perfettamente regolari e affatto sorprendenti. Lo scandinavo insulare altro non è
che il gruppo più conservativo evolutosi dall’antico scandinavo occidentale, in
cui il monottongamento di /ei/ in /e/ non è avvenuto.
L’analisi delle corrispondenze risulta più problematica nel caso di sv. /ö/ vs.
ev. /yö/, come nel caso di sv. kött vs. ev. tşyöt (asv. kiot, kiøt, isl. kjǫt) “carne”;
sv. smör vs. ev. smyör (asv. smior, isl. smjǫr) “burro”; sv. föra vs. ev. fyöra (asv.
føra, isl. færa) “condurre”; sv. kök vs. ev. tşyök (asv. kökia<mbt. köke) “cucina”;
sv. röra vs. ev. ryöra (asv. røra, isl. hrøra) “muovere”. Alla luce di questi dati,
Zach afferma che il dittongo evdalico /yö/ rifletta il dittongo antico svedese /io/,
47
Per la metatesi vd. 2.2.3

60
e che si sia esteso anche al di fuori del proprio ambito etimologico.
Testualmente:

Der älvdalische Diphthong sieht in diesem Fall wieder alte Diphthong in aschw. Kiot
‘Fleisch’ aus. Man kann vermuten, dass im Älvdalischen dieser Diphthong auch auf
jene Wörter ausgeweitet worden ist, die ursprünglich keinen solchen Diphthon
gaufgewiesen haben. (2013:72)
L’estensione del tratto al di fuori dell’ambito etimologico sarebbe quindi da
spiegare tramite processi di tipo analogico che, ad ogni modo, Zach non
esplicita. Tuttavia, se con Levander (1925), Sapir (2006) e Kroonen (2015)
consideriamo il dalecarlico come un sistema indipendente dallo svedese,
possiamo analizzare queste corrispondenze come processi etimologici
perfettamente regolari, senza dover ricorrere a spiegazioni tramite analogie. Per
quanto riguarda le forme fyöra e ryöra, esse mostrano l’esito del regolare
dittongamento spontaneo di ø lungo antico scandinavo (vd. 2.1.1), come ad es.
anche in ev. myöta < ascand. møta “incontrare”; ev. gryön < ascand. grønn
“verde”; ev. syötşa < ascand. søkja “cercare”. È notevole che anche in questo
caso, come mostrato da tşyök (asv. kökia < mbt. köke) il dittongamento risulta
ancora produttivo per i prestiti basso-tedeschi, in contrapposizione a quanto
affermato da Levander.

Per sv. smör (< asv. smior) e kött (< asv. kiot) il quadro è più complesso e
richiede alcune premesse. Uno dei fenomeni caratteristici dell’antico scandinavo
è la cosiddetta frattura vocalica (ingl. vowel breaking, sv. vokalbrytning),
fenomeno simile all’Umlaut che interessa *e protogermanica seguita da sillaba
contenente *a o *u/*w48, dando rispettivamente esito ja e jǫ. È questo il caso
delle forme prese in esame: pgmc. *smerwą > ascand. smjǫr e pgmc. *ketwą >
ascand. kjǫt; così come pgmc. *bernuz > ascand. bjǫrn “orso”; pgmc. *berkō >
ascand. bjǫrk “betulla”; pgmc. *melwą > ascand. mjǫl “farina”; pgmc. *meduz >
ascand. mjǫðr “miele, idromele”. In tutto lo scandinavo orientale – nel caso
dell’antico svedese a partire dal 1350 (Wessén, 1969) – la /o/ nel dittongo /io/
avrebbe subito metafonesi progressiva innescata dalla /i/ precedente, dando così
gli esiti björn, björk, mjöl, mjöd, ecc, Il fenomeno non avrebbe interessato i
dittonghi che precedevano velare (pgmc. *þekuz > ascand. þjokkr > asv. thiokker

48
Alcune delle forme pgmc. in esame presentano ō, si tenga conto che ō pgmc. si evolve in u in
antico runico scandinavo.

61
> sv. tjock “spesso”) o che precedevano r+dentale, posizione che causava
l’allungamento della /o/ (pgmc. *erþō > ascand. jǫrð > asv. iorþ > sv. jord
“terra”; pgmc. *herutaz > ascand. hjǫrtr > asv. hiorter > sv. hjort “cervo”).

Per gli sviluppi di queste forme, il dittongo evdalico /yö/ corrisponde quindi
perfettamente al dittongo /jö/ dello svedese, e si può supporre che là dove lo
svedese presenta assimilazione progressiva, l’evdalico presenta assimilazione
reciproca (Pavlík, 2009: 9), per cui la [o] avrebbe assunto il tratto [+ frontale]
della [i], mentre quest’ultima avrebbe assunto il tratto [+arrotondato] della [o].
Altrettanto regolarmente, l’evdalico dittonga in /uo/ la /o/ lunga sviluppatasi da
/jo/+r+dentale, dando rispettivamente juord e juort in corrispondenza a jord e
hjort svedesi. Anche questo aspetto è un possibile indicatore della longevità del
dittongamento spontaneo in dalecarlico.

Durante il XIV secolo, in tardo antico svedese evolve in /jö/ anche /iṓ/
derivante da pgmc. *-aiw-, come nel caso di pgmc. *snaiwaz > ascand. snjór >
asv. sniṓr > tardo asv. snjör>sv. snö49, ev. sniųo “neve”; pgmc. *saiwiz >
ascand. sjór > asv. siṓr > tasv. sjör > sv. sjö, ev. sju. Anche in questo caso, come
si evince dagli esempi forniti, l’evdalico non presenta il dittongo yö. Dunque, la
corrispondenza tra sv. ö ed ev. yö individuata da Zach va reinterpretata sotto una
nuova prospettiva diacronica. Il dittongo dalecarlico appare essere sempre
etimologico, in un caso per dittongamento spontaneo dall’antico scandinavo,
nell’altro caso per assimilazione reciproca del dittongo jo derivante da frattura
vocalica di *e pgmc.

Oltre che per il mutamento della struttura sillabica, il dileguo della


semivocale /j/ in sv. kött [ˈɕœtː]< asv. kiot può essere spiegato a fronte del
fenomeno di palatalizzazione. In svedese l’occlusiva velare [k] presenta
palatalizzazione50 in [ɕ] se seguita da /j/ o vocale anteriore. La semivocale può
quindi essere stata assorbita dalla velare precedente nel processo di

49
Il dileguo della semivocale in snjör>snö e smjör>smör può essere spiegato nel contesto del
mutamento delle quantità sillabiche avvenuto durante il XIV sec (Riad, 2005: 1103). La struttura
C:+V: rappresenta una sillaba iperlunga, che è stata ridotta a lunga tramite il dileguo o
l’assimilazione dell’elemento semivocalico (Noreen, 1904: 123).
50
Vd. 2.2.2

62
palatalizzazione, oppure può essere stata semplicemente eliminata dalla grafia
poiché superflua51.

2.2. Consonantismo
Analogamente a quanto finora fatto per il vocalismo, questa sezione tratterà
il sistema consonantico dell’evdalico, operando i dovuti confronti con lo
svedese standard ed altre varietà scandinave ed analizzando i mutamenti che ne
hanno determinato lo sviluppo in prospettiva diacronica. Nella tabella seguente
è presentato l’inventario consonantico dell’evdalico, principalmente basato
sull’interpretazione di Sapir (2006: 18), con alcune integrazioni e modifiche
tratte da Steensland (2000: 362–365), Garbacz (2010: 38) e Zach (2013: 31).

Tabella 16: Inventario consonantico dell’evdalico

Bilab. Labiodent. Dent. Alv. Postalv. Retrofl. Palat. Vel.


Occ. pb td kg
Nas. m n ŋ
Vibr. r
Monovibr. ɽ
Affr. ʤ ʨ
Fric. fv ð s ɣ
Appr. j
Appr. Lat. l̥ l

Approssimante
Labiovelare

Risulta necessario, a questo punto, fornire alcune precisazioni e confrontare


quanto qui riportato con diversi studi. Ai 22 fonemi consonantici presentati
nella Tabella 16 va aggiunta la fricativa glottidale sorda /h/ – apparentemente
tuttora di difficile articolazione per alcuni parlanti (Sapir 2006: 20) – presente

51
Cfr. sv. kött, vs. no. kjøtt o sv. köpa vs. no. kjøpe. In norvegese [œ] non innesca
palatalizzazione dell’occlusiva velare (ad es. kølle [kœl:e] “mazza”, køye [kœje] “branda”). La
semivocale è quindi mantenuta nella grafia per indicare palatalizzazione.

63
nei nomi propri e nei prestiti, il più comune dei quali è l’interiezione häj! < sv.
hej! “ciao!” (Garbacz, 2010: 38). Tutti i fonemi elencati possono apparire come
lunghi o brevi, fatta eccezione per /ŋ/, /v/, /ð/, /ɣ/, /j/, /ɽ/ e /w/, che sono
esclusivamente brevi.
L’evdalico presenta le due fricative sonore [ð] e [ɣ], quest’ultima a
rappresentare la realizzazione allofonica di /g/ in posizione intervocalica, come
ad es. oga [oɣa] “occhio”, o postvocalica finale nei monosillabi, come nel caso
di mig [miɣ] “me” (Zach, 2013: 34). Noreen (1903: 415) e Levander (1909: 58)
riportavano anche l’esistenza di una fricativa bilabiale /β̞/, sebbene in
regressione, ad. es. in åvå /ɔβɔ/ “avere”, correntemente realizzato come /ɔvɔ/.
Ad ogni modo, residui di questo fonema sono individuabili in evdalico nella
realizzazione allofonica non-plosiva /b̚/ di /v/ avanti a /d/, come nel caso del
nome del villaggio Övdaln /œb̚daːɽn/ (Sapir, 2006: 21) o lovdag /lœb̚da:g/ – cfr.
vs. sv. lördag – “sabato” (Åkeberg, 2012: 49). Si ritiene che il fonema /β/
potesse far parte dell’inventario dell’antico scandinavo, nonché del
protogermanico stesso52 (Robinson, 1992: 79; Harbert, 2006: 41). In alcune
varietà diatopiche, [ð] si è fusa con [r] 53, da cui ad es. la realizzazione [au̯sɛr]
per auseð “la casa” (Sapir, 2006: 24).
Steensland (2003: 362) e Sapir (2006: 20) specificano che la /s/
dell’inventario evdalico è in realtà una sibilante apico-alveolare sorda [s̺ ], dalla
realizzazione simile a quella individuabile in islandese e danese. Sapir ritiene
inoltre che le affricate /ʦ̺ / e /ʣ̺ /condividano il luogo di articolazione con la
sibilante, laddove Steensland (2000) e Garbacz (2010) ritengono siano alveolo-
palatali, come indicato nella Tabella 16 54. La differenza tra le realizzazioni può
essere di natura generazionale, giacché Sapir stesso (2006: 21) afferma che i
parlanti delle generazioni più recenti dimostrano considerevoli interferenze dala
pronuncia svedese55.

52
“There is little doubt that the runes for b, d, g had two pronunciations, namely as the stops
[b], [d], [g], and as the fricatives [ƀ], [ð], [ǥ], as in Gothic.” (Robinson, 1992: 79)
53
La fusione tra questi fonemi è un fenomeno piuttosto antico, già visibile in testi risalenti al
XVII secolo (Sapir, 2006: 24).
54
Steensland e Garbacz ricorrono al simbolo [tç] per la sorda, Zach (2013) la interpreta come
͡ In questa sede si preferisce [ʨ], per la corrispondenza di distribuzione con sv. [ɕ] <tj>, in
[tʃ].
concordanza con Åkeberg (2012: 49) che lo descrive come corrispondente a “un suono tj- con
enfasi sulla t” (trad. mia). Per ulteriori confronti con lo svedese vd. 2.2.2.
55
Per un’analisi più approfondita delle divergenze fonologiche a livello generazionale vd.
Helgander (2005)

64
L’intera serie delle occlusive sorde presenta gli allofoni aspirati [p h], [th],
[kh] (Garbacz, 2010: 38); come in svedese, questi allofoni rappresentano la
normale realizzazione delle occlusive in posizione iniziale di sillaba accentata
(Engstrand, 1999: 141).

2.2.1. Retroflessione
Per il fonema /l/ si riconoscono tre allofoni. A differenza dello svedese, in
cui la monovibrante retroflessa [ɽ] – anche nota come “l spessa” (sv. tjockt-l,
no. tjukk-l)56 – può rappresentare una delle possibili realizzazioni del gruppo
<rl> (Eliasson, 1986: 279), in evdalico essa costituisce la realizzazione standard
del fonema /l/; la realizzazione [l] – definita per opposizione “l sottile” (sv.
tunt-l) –è invece indicata con <ll> (Zach, 2013: 33). In dalecarlico, a differenza
di altre varietà, la realizzazione retroflessa può apparire anche in posizione
iniziale di parola (Steensland, 2010: 14): essa rappresenta il regolare sviluppo di
l breve antico-scandinava, cfr. ad es. sv. lov [loːv] vs. ev. luv [ɽʏːv] < ascand. lof
“permesso” (Sapir 2006: 23).
Il terzo allofono è costituito dall’approssimante laterale alveolare sorda [l̥ ],
sviluppatosi da sl o tl antico-scandinavi, cfr. ad es. sv. kittla [ɕitːla] vs. ev. tşissla
[ʨil̥ ːa] < ascand. kitla “solleticare” (Sapir, 2006: 24; Steensland, 2010: 12).
L’allofono risulta assente in alcune varietà diatopiche, in cui il nesso sl viene
pronunciato distintamente come ad es. slaik [l̥ aik]/[slaik] <ascand. slīkr “simile”
(Sapir: 2006: 20)57.
Per le varietà di alcuni villaggi ad ovest del fiume Österdalälven – come, ad
esempio, Västermyckeläng ed Evertsberg – Nyström (1982: 52-77) evidenzia
un’alternanza a livello morfologico tra le realizzazioni allofoniche di /l/ finale.
In queste varietà, i sostantivi e gli aggettivi maschili presentano -l finale “sottile”
(cioè alveolare), là dove gli aggettivi femminili ed i sostantivi femminili e neutri

56
La realizzazione allofonica retroflessa viene spesso resa con [ɭ], come nel caso di Steensland
(2000) e Garbacz (2010), ma anche Sapir&Nystöm (2015). Essa rappresenta un’altra
realizzazione di sv. <rl> (Eliasson, 1986). Zach (2013) ricorre invece alla trascrizione [ɫ]. Si
predilige in questa sede la trascrizione [ɽ] – come riportata in Sapir (2006) – per la sua
corrispondenza alla definizione di l-spessa sia nella dialettologia svedese che in quella
norvegese (Molde, 2005; Heide, 2010), nonché alla sua presenza nelle vicine varietà norvegesi
orientali.
57
[l̥] rappresenta in questo caso la trascrizione più comune, adottata da Steensland (2000),
Sapir (2006), Garbacz (2010) e Sapir & Nystöm (2015), nonché da Vanvik (1979) per la
descrizione di una consonante analoga in alcune varietà del Trøndelagen. Per queste stesse
varietà Kristoffersen (2000) ricorre alla trascrizione [ɫ], adottata anche da Zach (2013).

65
presentano -l “spessa” (ovvero la monovibrante retroflessa). Nyström ritiene che
questa caratteristica si sia sviluppata dalla distinzione di lunghezza consonantica
in uno stadio precedente della lingua (vd. cap. morfologia).
Come accennato, in svedese i gruppi consonantici <rd>, <rt>, <rs>, <rn> ed
<rl> vengono normalmente realizzati con pronuncia retroflessa,
rispettivamente: [ɖ], [ʈ], [ʂ], [ɳ] ed [ɭ]/ [ɽ] come ad es. sv. bord [buːɖ] “tavolo”;
först [fœȿt] “primo”; barn [bɑːɳ] “bambino”. Queste realizzazioni appaiono
anche in contesti fonosintattici, ad es. <bor du här?> [buːɖʉː ˈhæːr] “vivi qui?”
(Elert 1979: 47, 55). Al contrario, in evdalico, in queste posizioni la r non
innesca retroflessione: i nessi r+ dentale rimangono inalterati – cfr. sv. bord
[buːɖ] vs. ev. buord [bʉærd] “tavolo” (Zach: 2013: 31) –; i nessi <rs>, <rn> ed
<rl> mostrano invece assimilazione regressiva, ad es. ascand. karl “uomo”,
stjarna “stella”, fyrst “primo” > ev. kall, stienna, fuost58 (Sapir, 2006: 24).
La realizzazione [ɳ], sebbene talvolta presente, non è condizionata dalla
prossimità di una vibrante, si consideri ad es. ev. <final> [finɑːl]/[fiɳɑːl]
“finale” (Steensland, 2010: 11). Lo svedese e l’evdalico mostrano esiti
notevolmente diversi anche per quanto riguarda lo sviluppo dei nessi
consonantici con l come primo elemento: l’evdalico mostra difatti caduta di l
davanti a g, k, m, p, s e v, cfr. ad es. sv. talg vs. ev. tåg “sego”; sv. mjölk59 vs.
ev. mjok “latte”; sv. holme < asv. holmbe < ascand. holmr vs. ev. uome60
“isolotto”; sv. hjälp vs. ev. jåp “aiuto”; sv. hals vs. ev. ǫs “collo”; sv. själv vs.
ev. siouv “stesso” (Levander, 1928: 51-57). Questo fenomeno risulta già visibile
nel Dalalagen, documento datato intorno alla metà del XIV secolo (Björklund,
1957: 2). Tra gli aspetti conservativi dell’evdalico si nota inoltre il
mantenimento dei nessi ld, nd, mb, rg, gd e ng: cfr. ad es. sv. kväll [kvɛlː]
“sera”; lamm [lamː] “agnello”; varg [varj] “lupo”; konung [ˈkoːˌnɵŋ] “re” vs.
ev. kweld [kwelːd] < ascand. kveld; ev. lamb [lamb] < ascand. lamb; ev. warg
[warg] < ascand. vargr; ev. kunungg [ˈkuːnuŋg] < ascand. konungr (Sapir,
2006: 24).

58
Zach (2013: 31) evidenzia il mantenimento del nesso <rn> in ev. barn [bɑːrn] in
contrapposizione all’esito retroflesso dello svedese standard. La mancata assimilazione
regressiva in questo esempio potrebbe suggerire che si tratti di un prestito relativamente
recente dallo svedese, il termine più comune per “bambino” in ev. è kripp (Steensland, 2010).
59
Notare l’assenza di dittongo yö, l’Umlaut può essere stato inibito dalla velare seguente (cfr.
2.1.7). Bisogna dedurne che la caduta di l sia precedente all’Umlaut.
60
L’assenza del nesso mb in evdalico potrebbe essere un indicatore dell’indipendenza dallo
svedese, vd. infra.

66
2.2.2. Palatalizzazione
Sono individuabili alcune rilevanti differenze tra evdalico e svedese standard
per quanto riguarda i meccanismi di palatalizzazione. In svedese, la
palatalizzazione si è sviluppata tra il XVI ed il XVII secolo, nella fase del
cosiddetto Äldre Nysvenska (Wessén, 1969: 241). In questo periodo lo svedese
ha assistito allo sviluppo di [ɕ] da [kj] e [k] + voc. anteriore, e di [j] da [gj] o [g]
+ voc. anteriore, cui corrispondono le affricate [ʨ] e [ʤ] in evdalico, cfr. ad es.
sv. kött [ˈɕœtː] vs. ev. tşyöt [ˈʨyœtː] “carne”; sv. kjol [ˈɕuːl] vs. ev. tşuosle
[ˈʨuol̥ e] “gonna”; sv. giva [ˈjiva] vs. ev. dşävå [ˈʤævo] “dare”; sv. gjord [jʊɖː]
vs. ev. dşyörd61 [ʤyœrd] “sottopancia (in equitazione)” (Sapir&Nyström, 2015:
7).

L’evdalico mostra palatalizzazione quando un’occlusiva velare precede /i/,


/u/ o /jä/ </e/ (Sapir, 2006: 24); a differenza dello svedese non presenta dunque
palatalizzazione davanti ad /e/, da cui gli esiti ev. kenna [ˈkhenːa] “conoscere” e
gedda [ˈgedːa] “luccio” rispetto a sv. känna [ˈɕɛnːa] e gädda [ˈjɛdːa]
(Steensland, 2003: 364). Va inoltre evidenziato che in svedese questo tipo di
palatalizzazione avviene solo in posizione iniziale di parola, là dove in evdalico
essa può avvenire anche all’interno di parola e a livello paradigmatico –
fenomeno noto anche come norrländsk förmjukning62 (Wessén, 1967) –; cfr. ad
es. sv. dricka, drack, druckit vs. ev. drikka, drokk, druttşin; sv. fiskind. / fiskendet.
vs. ev. fisknom. ind. / fistşinacc. det. (Steensland 2010: 280,286; Sapir 2005: 23-24).

In svedese, il fono [ɕ] è tipico anche del gruppo consonantico tj-, da cui
anche la denominazione tj-ljudet; l’evdalico non mostra questo tipo di sviluppo,
cfr. ad es. sv. tjock [ɕɔk] vs. ev. tjokk [thjɔkː] “spesso”. Un altro suono
caratteristico dello svedese standard assente in evdalico è il cosiddetto sj-ljudet,
ossia la fricativa dorsopalatale-velare sorda [ɧ]. In posizione iniziale di parola,
questa realizzazione è lo sviluppo dei nessi sj-, stj-, skj- e sk- se seguiti da vocale
anteriore. Per i primi due di questi casi, l’evdalico mantiene distinta la pronuncia
dei singoli componenti, cfr. ad es. sv. sjuk [ɧʉːk] vs. ev. siuok [siuok] “malato”;
sv. stjärna [²ɧæːɳa] vs ev. stienna [2stienːa] “stella.” Negli altri due casi,

61
Da asv. giorþ < ascand. gjǫrð < pgmc. *gerdō (Hellquist 1948). Notare corrispondenza tra a.sc.
jǫ e ev. yö (vd. 2.1.7)
62
“Indebolimento norrlandico” come suggerito dal nome, il fenomeno è tipico delle varietà del
Norrland. Si tenga conto, a tal riguardo, della posizione del Dalarna rispetto al limes
norrlandicus evidenziata in Dahl (2015). Vd. 1.2.4, carta 4.

67
l’evdalico mostra la regolare palatalizzazione di kj- e k- avanti a vocale
anteriore, mantenendo però distinta la sibilante, cfr. ad es. sv. skjuta [²ɧʉːta] vs.
ev. stşuota [2sʨuota] “sparare”; sv. sköld [ɧœld] vs. ev. stşöld [sʨœld] “scudo”
(Zach, 2013: 32).

2.2.3. Mutamenti consonantici


Come già accennato, l’evdalico mostra la perdita di h antico-scandinava,
come nel caso di ascand. hān/ hǭn > ev. ǫ “lei”; ascand. hūs > aus “casa” (Sapir,
2006: 23). Questo mutamento rappresenta un’innovazione piuttosto singolare nel
panorama nordico. Risulta invece decisamente conservativo il mantenimento
della pronuncia [w] per v iniziale63 antico-scandinava, come ad esempio in
ascand. vindr > ev. wind “vento”, ascand. hwī(swā) > ev. wiso “perché”
(Levander, 1928: 30). L’evdalico presenta inoltre metatesi del gruppo vr iniziale,
dando come risultato rw, come ad. es. ascand. vrida > ev. rwaiða “girare,
ribaltare” (Sapir, 2006: 24).

La questione della pronuncia di v iniziale in antico scandinavo è stata a


lungo oggetto di dibattito: la pronuncia [w] è riportata ad esempio da Robinson
(1992: 71) e da Barnes &Faulkes (1999: 11), e questi ultimi in particolare
mostrano alcune perplessità riguardo all’applicazione della pronuncia islandese
moderna in antico scandinavo (Barnes & Faulkes, 1999: 3-4). Robinson (1992:
71) illustra lo sviluppo della pronuncia di v come di seguito:

The consonant v was earlier something like the [w] of English “water”, but
during the history of Old Norse it moved first to ƀ (a v made with both lips), then
to something like Modern English [v]
Ulteriori prove a favore della ricostruzione della pronuncia [w] sono
costituite dai numerosi prestiti dall’antico scandinavo presenti in inglese (ad es.
ingl. window < mingl. windoge < ascand. vindauga; ingl. weak < mingl. weik <
ascand. veikr; ingl. want < mingl. wanten < ascand. vanta) e dal sistema
ortografico delle iscrizioni runiche, in cui ᚢ appariva per [u] all’interno di parola
e per [w] in posizione iniziale, laddove [v] costituiva la realizzazione allofonica
sonora di ᚠ all’interno di parola, con la corrispettiva realizzazione sorda [f]
quando in posizione iniziale (Robinson 1992: 70). L’evdalico rappresenterebbe

63
Quantomeno in una prima fase (vd. infra), ascand. -v- all’interno di parola rappresenta
l’allofono sonoro di f.

68
dunque l’unica lingua nordica ad aver mantenuto la pronuncia originaria (Sapir:
2006: 23).

2.2.4. Fricative sonore: ð e ɣ


La fricativa interdentale sonora [ð] corrisponde sostanzialmente a ð
originaria antico-scandinava o ad ascand. -t in posizione postvocalica nei suffissi
e nei monosillabi: si consideri ad esempio ascand. rauðr > ev. roð “rosso”,
ascand. húsit > ev. auseð “la casa” (Sapir 2015: 24). I dialetti dalecarlici
rappresentano dunque l’unica varietà linguistica della Scandinavia continentale –
nonché l’unica varietà nordica oltre all’islandese64 – ad aver conservato questa
consonante (Steensland, 1982; Sapir 2015, 24). Comune all’islandese è anche
l’esito [ð] per lenizione di -t antico-scandinava in posizione postvocalica nei
suffissi e nei monosillabi, cfr. ev. auseð vs. isl. húsið < ascand. húsit; ev. wið vs.
isl. við < ascand. vit “noi due” (Karlsson, 2004 :19).

La lenizione di -t e -k rispettivamente in -ð e -g [ɣ] nelle sillabe atone è un


fenomeno attestato in islandese a partire dal XIII secolo (Karlsson, 2004: 19). Si
tratta in realtà di un fenomeno che ha inizialmente interessato l’intera area
scandinava, come indicato da Noreen (1904: 207-208), il quale, analizzando
alcuni manoscritti a partire dal 1387 (periodo dell’yngre fornsvenska), evidenzia
l’alternanza tra k e gh – per cui Wessén (1969: 72) ricostruisce la pronuncia [ʒ] –
nei proclitici iak - iagh “io”; mik - migh “me”; thik - thigh “te”; sik - sigh “sé”;
nok - nogh “qualche”. Si può quindi affermare che l’evdalico abbia conservato le
realizzazioni fricative [ð] e [ɣ] nei proclitici e nei suffissi – realizzazioni che in
un primo momento sarebbero state comuni a tutta l’area nordica – condividendo
la conservazione del primo di questi esiti con l’islandese. Tra il 1600 ed il 1700,
lo svedese (periodo dell’äldre nysvenska) mostra il graduale sviluppo di [ð] in
[d] e [ʒ] in [g]; nonché, per i monosillabi, lo sviluppo del gruppo -igh [iʒ] –
frequente nei proclitici precedentemente elencati – in [æi̯ ], portando così alla
pronuncia corrente (Wessén, 1969: 143-144).

In evdalico ð può apparire unicamente in posizione postvocalica interna o


finale di parola – eccetto che in determinati casi per effetto di sandhi esterno, vd.

64
Zach (2013: 73) cita anche il faeroerico, riportando diversi esempi di corrispondenze con
islandese ed evdalico. Sebbene il faeroerico abbia mantenuto il grafema <ð> nell’ortografia
tradizionale (Sandøy, 2008: 240), la realizzazione fonetica risulta profondamente mutata, senza
lasciar tracce della pronuncia fricativa interdentale originaria (Barnes &Weyhe, 2013: 195).

69
2.3.1 – ed è normalmente indicata graficamente (Zach, 2013: 33). A fronte di
questa caratteristica distributiva, Zach ritiene che [ð] sia da considerarsi un
allofono di /d/. Tuttavia, non mostrano esito fricativo le forme adwokat
“avvocato”, akadiemisk “accademico”, akudira “parlare”, identitiet “identità”.
Sebbene tutte queste forme siano giustificabili come prestiti di introduzione
relativamente recente, lo stesso non vale per öduos “fieno (da erba spontanea)”,
che è invece forma autoctona. Alla luce di questi dati, verrebbe a mancare il
criterio di distribuzione complementare per sostenere che [ð] sia allofono di /d/.

Inoltre, come accennato precedentemente, la distribuzione di [ð] in evdalico


corrisponde sostanzialmente a quella in antico scandinavo, dove il fonema
rappresenta la realizzazione allofonica sonora – in posizione interna o finale di
parola – di þ [θ], che compariva invece unicamente in posizione iniziale
(Haugen, 2004: 85- 86; Faarlund, 2013: 42). Si considerino a tal riguardo anche
le norme ortografiche delle iscrizioni in runico recente, ove la runa ᚦ (Þurs)
viene usata indistintamente sia in posizione iniziale che interna per rendere i due
allofoni, pratica conservata in antico islandese fino all’inserimento del carattere
<ð> intorno al 1225 (Gordon, 1927: 268). Questi dati risulteranno rilevanti per
illustrare alcuni casi di sandhi.

2.2.5. Assimilazione di nasale seguita da occlusiva


L’assimilazione di nasalità è un’innovazione dell’antico runico scandinavo
che ha lasciato effetti in tutte le lingue nordiche. La sua incidenza, tuttavia,
appare più frequente nel gruppo scandinavo occidentale rispetto a quello
orientale e l’evdalico sembra conformarsi al primo di questi (Kroonen, 2015: 9).
Essa consiste nell’allungamento delle occlusive precedute da nasale, si
considerino i seguenti esempi:

Tabella 17: Assimilazione di nasalità

Protogermanico Ant. Scand. Nynorsk Svedese Evdalico

*bankan- bakki bakke backe bokke

*drinkan- drekka drikke dricka drikka

*hlanki- hlekkr lekk länk lekk

*sinkwan- søkkva søkke sjunka sikka

70
Protogermanico Ant. Scand. Nynorsk Svedese Evdalico

*swampu- sǫppr sopp svamp sopp

*wintru- vetr vetter vinter witter

*ainakjōn- ekkja ekkje änka aintşa

Contestualmente a questo fenomeno, l’evdalico mostra l’arrotondamento di


/a/ originariamente seguita da nasale+ occlusiva, mantenendo dunque una
distinzione tra gli esiti delle forme che presentano assimilazione di nasalità (ev. -
oCC- < ascand. -aCC- < pgmc. *‐anC-) e gli esiti delle forme che presentavano
occlusiva lunga (ev. -aCC- < ascand. -aCC- < pgmc. *‐aCC-). Si confronti la
Tabella 18 con la Tabella 19 (Kroonen, 2015: 22).

Tabella 18: -aCC- < pgmc. *‐aCC-

Protogermanico Antico Scandinavo Evdalico Svedese


occidentale

*hnakkan- hnakki nakke nacke

*rakkan rakki rakke (by-)racka

*knappa- knappr knapp knapp

Tabella 19: -oCC- < pgmc. *‐anC-

Protogermanico Antico Scandinavo Evdalico Svedese


occidentale

*ankula- ǫkkull okkel ankel

*bankan- bakki bokke backe

*blanka- blakkr blokk black

*þankō- þǫkk tokk tack

71
Gli effetti di questo mutamento sono osservabili a livello paradigmatico,
dove il vocalismo in -o- del preterito di alcuni verbi forti si contrappone alla
regolare alternanza i/a da Ablaut (Kroonen 2015: 23).

Tabella 20: Preterito di verbi forti con vocalismo in -o-

Antico runico scandinavo Ant. Scand. Occ Svedese Evdalico

*bindã→ *bant binda → batt binda → band binda → bott

*drinkã → *drank drekka→ drakk dricka→drack drikka → drokk

*sinkwã→ *sankw søkkva→sǫkk sjunka→sjönk sikka→sokk

Ulteriori prove di questo mutamento sono visibili nell’imperativo ev. gokk


“va’!”, cfr. ant.run.scand. *gangã→ *gank vs. ascand. occ. ganga→gakk; sv.
gå→gå; ev. gå→gokk. Il paradigma di questo verbo appare particolarmente
interessante alla luce del suppletivismo presentato. L’imperativo gokk, così come
il preterito dşikk, deriva da ascand. ganga < pgmc. *gangan- (Kroonen, 2013:
166), là dove per l’infinito è necessario risalire ad ascand. gá < pgmc. *gēn-
(Kroonen, 2013: 174).

L’assenza di nasalizzazione in evdalico è di difficile spiegazione, ma la


nasalizzazione è presente nella corrispettiva forma selbumål gā̃ (Røset 2011:
114). Sebbene la nasale sia scomparsa in evdalico in seguito all’assimilazione
regressiva, è logico ritenere che la vocale precedente nasale fosse nasalizzata
prima di arrotondarsi, come mostrato nella forma selbumål. Successivamente, la
lunghezza fonetica della nasale sarebbe stata assorbita dall’occlusiva che la
seguiva, e non dalla vocale. È quindi possibile ricostruire una trafila del tipo:
pgmc. *ankulaz > proto-dal. *ãkkulʀ > ant.dal. *okkul > ev. okkel (Kroonen,
2015: 25). Kroonen sostiene dunque che, siccome l’arrotondamento davanti a
nasali assimilate è uno sviluppo specifico dell’evdalico, la lingua da cui esso
deriva (identificabile come proto-dalecarlico o antico dalecarlico) debba aver
cominciato a dividersi dagli altri dialetti scandinavi durante gli stadi iniziali
dello sviluppo dello scandinavo antico.

72
2.3. Fenomeni fonosintattici
2.3.1. Sandhi
Le consonanti /ð/ ed /r/ vengono regolarmente omesse in posizione finale di
parola nel caso in cui la parola successiva presenti una consonante iniziale
(Garbacz, 2010: 38) per effetto di sandhi esterno, o all’interno dei composti e
dei derivati per effetto di sandhi interno (Sapir, 2006: 17). Anche [ɣ]
(realizzazione allofonica di /g/) viene omessa per effetto di sandhi nel caso di ig
“io”, mig “me”, dig “te”, sig “sé”, nog “qualche”, og “e” e nei suffissi
aggettivali -ig ed -ug secondo le stesse regole di /ð/ e /r/ (Steensland 2000a:
363; Sapir & Nyström, 2015: 22).
Inoltre, la /d/ iniziale di pronomi monosillabici e avverbi brevi viene
pronunciata come /ð/ se la parola precedente termina in vocale (anche per
effetto di sandhi esterno). La pronuncia /ð/ riflette la presenza di þ /θ/ antico
scandinavo in quelle posizioni, cfr. ad es. ev. ig war dar dǫ /ɪ wa ðaː ðõ/ “io ero
lì allora”, cfr. vs. ascand. ek var þar þá (Sapir, 2006: 17).

2.3.2. Apocope
L’apocope è uno degli aspetti innovativi più notevoli riscontrabili in
evdalico. Essa si verifica in tutte le categorie grammaticali (Sapir & Nyström,
2015: 30) e consiste nell’omissione di /a/, /e/ ed /u/ – o di un’intera sillaba – in
posizione finale di morfema o parola (Sapir, 2005: 18). L’apocope può avvenire
a causa di sviluppi diacronici o per variazioni paradigmatiche a livello
sincronico65 (Garbacz, 2010: 37). Åkeberg (2012: 43-45) distingue due tipi di
apocope: l’apocope permanente e l’apocope temporanea, quest’ultima definita
da Levander (1925), Steensland (2003) e Sapir (2005) apocope condizionata.
L’apocope permanente, ovvero non condizionata dalla posizione della parola
all’interno della frase, può verificarsi nei seguenti casi:

1) Parole semplici bisillabiche


Alcune parole terminanti per -el, -en, -er presentano apocope nello
schema flessivo. Lo stesso accade per alcune parole terminanti in -l, -
n, o -r che presentano sincope della vocale precedente la consonante
finale. Nelle forme apocopate, la vocale epentetica e appare prima di
-l, -r o -n (ma non /n/ sonora). L’apocope è esclusiva delle forme

65
Per gli schemi flessivi vd. cap. 3

73
indeterminate (Levander, 1925: 21-22), cfr. ad es. fugel nom. sing. ind.

“uccello” vs. fugel dat. sing. ind. anziché *fugele nella flessione nominale.

2) Parole semplici trisillabiche o polisillabiche


Le parole di tre o più sillabe presentano solitamente apocope di tutte
le vocali finali66. L’apocope è regolarmente inibita dalla presenza di
una consonante successiva o di nasalizzazione (Levander, 1925: 29),
cfr. ad es. ev. wårend, part. pres. di wåra “essere” vs. sv. varande.

3) Composti
L’apocope permanente si verifica all’interno di composti con la
caduta delle vocali finali dei costituenti che terminano con sillaba
lunga o iperlunga (Sapir, 2005: 17), come ad es. skaulkull <skaul+
kulla “scolara” e smyörbytt < smyör + bytta “vaschetta di burro”.
Anche in questo caso l’apocope è esclusiva delle forme
indeterminate, poiché l’affissione dell’articolo determinativo innesca
nasalizzazione, preservando così la vocale finale, come ad es.
skaulkullą “la scolara” (Åkerberg, 2012: 43-45).

L’apocope permanente interessa inoltre le parole con accento sulla prima


sillaba che erano originariamente formate da tre o più sillabe. Ciò può avvenire
per parole con diversi tipi di accento, come nel caso di fundir “ragionare” (prima
sillaba breve) e studir “studiare” (prima sillaba lunga). Non presentano apocope
le parole polisillabiche con prima sillaba atona, come nel caso di dividira
“dividere” (Levander, 1925: 23-25; Åkerberg, 2012: 43-45).

L’apocope condizionata interessa di norma le vocali finali – ed


eccezionalmente anche ę seguita da -r67 – nelle parole che presentano sillaba
finale lunga o iperlunga all’interno di frase; essa non può dunque avvenire in
posizione prepausale (Sapir & Nyström, 2015: 30). Alcune parole appaiono
unicamente in forma apocopata, come nel caso di ba(r) “solo, solamente” (ad es.

66
Sebbene Levander sostenga che l’apocope interessi “alla ändelsevokaler”, anche gli esempi
ivi riportati interessano unicamente /a/, /e/ ed /u/.
67
Oltre che da consonante seguente, la vocale è protetta dall’apocope tramite nasalizzazione
stu kalęr (cfr. vs sv. stora karlar “uomini grandi”) stu kulęr (sv. stora flickor “ragazze grandi”),
ma sturų buærd “sv. stora bord “tavoli grandi”) (Levander, 1925: 26).

74
ulųm bar a Falų “dobbiamo solo andare a Falun”) cfr. vs. sv. bara; laik
“qualsiasi” (ad es. laik ukin “chiunque”), ęnd “fino” (ad es. ęnd frą̊ iemą̊ “fin da
casa”), cfr. vs. sv. ända. Queste forme non possono apparire in posizione
prepausale (Levander, 1925: 26). Se direttamente seguiti da preposizione,
presentano apocope di vocale finale anche i verbi terminanti per sillaba breve,
cfr. ad es. ulųm av-iem Ulåv “avremo Olov a casa” vs. ulųm åvå ąn ieme
“avremo lui a casa”. Come si evince dall’esempio, i verbi con ă radicale
originaria all’infinito mantengono il timbro /a/ in questo contesto, l’armonia
vocalica risulta quindi inibita dall’apocope (Levander, 1925: 27).

I verbi con sillaba finale breve bjärå “portare”, fårå “viaggiare, andare”,
dşärå “fare” e wårå “essere” presentano apocope della vocale finale all’infinito
e alla 3apers. plur. pres. – a prescindere dall’accento – quando sono
immediatamente seguiti da parole che iniziano con consonante, come ad es. wert
al du få nu? “dove devi andare adesso?”. La stessa apocope si verifica per il
verbo con sillaba finale breve tågå “prendere” nell’espressione tåg åv “togliere”
(Levander, 1925: 27).

Presentano apocope condizionata, inoltre, alcune forme verbali all’infinito


con sillaba finale breve (Sapir & Nyström, 2015: 30-31). Si consideri ad es. la
frase Mass belld it kåit strai‘tt, /mɐsː bɛlːd ɪt kɔyt strajːtː/ per Masse bellde itte
kåita strai’tt, “Masse non poteva correre velocemente” (Sapir, 2005: 18).
L’apocope condizionata può interessare anche le parole con tre o più sillabe con
accento sulla penultima sillaba, come nel caso di dividira, precedentemente
citato. Le parole che presentano apocope mantengono il proprio accento tonale,
il che significa che una parola monosillabica può presentare sia accento acuto
che grave se la parola seguente è apocopata (Steensland, 2003: 366). Si
considerino i seguenti esempi tratti da Åkerberg (2012):

a. An yöpte. “Lui gridò”

b. An yöpt að mig. “Lui mi gridò”

c. Eð kam įe kulla. “Venne una ragazza”

d. Eð kam įe kull daitað uoss. “Una ragazza venne da noi”

75
Negli esempi b. e d. yöpt e kull mantengono il proprio accento grave,
rendendo dunque trasparente il processo di apocope al parlante (Åkerberg, 2012:
45).

2.3.2.1. Apocope nei nomi propri


Le regole menzionate per l’apocope condizionata sono valide anche per i
nomi propri tradizionali, come ad es. eð war Ann og Lass so kamu “sono
stati Anna e Lasse a venire”. I nomi propri di introduzione più recente, come
ad es. Elvira, non sono normalmente soggetti ad apocope. L’apocope
condizionata può inoltre verificarsi per alcuni nomi di parentela come muna
“mamma” e tytta “zia” (Åkerberg, 2012: 43-45). Osservando alcuni casi
atipici di apocope, Steensland (2015: 366) avanza l’ipotesi dell’esistenza di
un caso vocativo in evdalico68. Si considerino i seguenti esempi.

d. Kom jųot, Lass, og kuogä! “Vieni qui, Lasse, e guarda!


e. Är ǫ Elvir! “Ascolta, Elvira!”

Nell’esempio e l’atipicità è decisamente palese: l’apocope interessa


infatti un nome proprio di introduzione recente nonché in posizione
prepausale. Nell’esempio d, invece, l’elemento atipico è l’accento, che nella
forma regolarmente apocopata rimane grave, mentre nell’esempio la
realizzazione è acuta. I nomi propri, inoltre, sono sempre apocopati se
preceduti da un nome rurale69, come nel caso di Felt-Lass and Draguns-Ann;
con l’eccezione di Maja, che non presenta apocope, come nel caso di Bjärg-
Maja. Le regole dell’apocope si applicano spesso anche ai toponimi di
località limitrofe a Älvdalen, come nel caso di Loka e Mora, rispettivamente
apocopati in Luok e Muor (Åkerberg, 2012: 43-45).

68
Vd. 3.6.5 (Steensland, 2015)
69
Il cosiddetto gårdsnamn è un sistema onomastico comune in Dalarna ed in altre comunità
rurali svedesi. Esso consiste nell’aggiunta del nome della fattoria di provenienza al nome
proprio di un individuo al fine di evitare omonimie e/o ambiguità. (Wasling, 2018).

76
3. MORFOLOGIA
Questo capitolo è incentrato sull’analisi del sistema morfologico dell’evdalico.
Ove opportuno, le caratteristiche morfologiche dell’evdalico verranno messe a
confronto con quelle di altre lingue scandinave, in particolar modo lo svedese
standard e le lingue insulari. Verrà inoltre evidenziata l’evoluzione del sistema
morfologico attraverso le tre varietà generazionali: evdalico classico, tradizionale e
moderno. Il sistema morfologico evdalico differisce considerevolmente da quanto
osservabile nelle varietà standard scandinave continentali; Garbacz (2010: 39), in
particolare lo definisce “più complesso”70, specificando tuttavia che non ci sarebbe
una categoria nel sistema morfologico evdalico che non sia stata presente anche in
svedese ad un certo punto del suo sviluppo.
Durante il periodo medievale, il sistema morfologico delle lingue scandinave
continentali ha subito una sostanziale riduzione, come illustrato in 1.4.2 in merito al
sistema casuale. Al contrario, come accennato in 1.5.1, l’evdalico inizia a mostrare
evidenti mutamenti morfologici solo in un periodo considerevolmente più tardo,
ovvero intorno al XX secolo (Helgander 2005: 20; Garbacz 2010: 39),
contestualmente alla progressiva diminuzione dei parlanti monolingui (Garbacz &
Johannessen, 2015: 26).

3.1. Sostantivi
In evdalico classico, i sostantivi, gli aggettivi, i pronomi ed i numerali (da uno a
quattro) vengono declinati per caso – nominativo, accusativo, dativo e
genitivo71 – e numero, singolare o plurale (Sapir, 2006: 25). I sostantivi
possono essere di genere maschile, femminile o neutro, laddove lo svedese
standard presenta convergenza di maschile e femminile nel genere comune
(utrum) a partire dal XVI secolo ca. Nei sostantivi, l’evdalico distingue una
declinazione forte da una declinazione debole (Sapir, 2006: 25). I sostantivi
maschili sono divisi in sei classi flessive, i sostantivi femminili in otto ed i

70
La complessità dell’evdalico rispetto allo svedese è determinata dal fatto che il primo
presenta più distinzioni morfologiche del secondo, in tutte le categorie grammaticali. La
distribuzione di queste distinzioni, inoltre, non è prevedibile, non è ad esempio possibile
dedurre la classe flessiva di un sostantivo a partire dalla sua radice (Dahl, 2009: 54-57).
71
La presenza di un caso genitivo potrebbe apparire in contraddizione con quanto illustrato in
1.4.2, dove l’islandese è indicato come unica lingua ad aver conservato il genitivo. Di fatto, il
genitivo evdalico è generalmente formato a partire dal dativo, con l’aggiunta del suffisso –(e)s
(Levander, 1909; Zach, 2013: 35), e il suo status di caso vero è proprio è oggetto di dibattito.
Per questa ragione, il genitivo non è riportato nelle tabelle delle classi flessive della sezione
successiva. Per un’analisi più approfondita vd. 3.5

77
sostantivi neutri in cinque. A queste classi flessive vanno aggiunti i sostantivi
indeclinabili (Zach, 2013: 35). Sia l’evdalico che lo svedese presentano una
distinzione tra sostantivi determinati ed indeterminati, e in entrambi i casi la
forma determinata viene marcata tramite l’aggiunta di un suffisso (Garbacz,
2010: 39).
L’evdalico tradizionale mostra una morfologia nominale relativamente
ridotta. In generale, le forme dell’accusativo tendono a convergere con le forme
del nominativo, con l’estensione della forma del nominativo all’accusativo o
viceversa. Il dativo mostra una certa regressione, risultando particolarmente
raro nella flessione della forma indeterminata (Garbacz, 2010: 39). Di seguito
sono riportati i paradigmi flessivi delle diverse classi di sostantivi in evdalico
classico72, con alcuni confronti con i paradigmi della varietà tradizionale73.

3.1.1. Sostantivi maschili

Tabella 21: I classe maschile dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -n / -in -er -är
Dat. -e / -Ø -em -um -um
Acc. -Ø -n / -in -a / -Ø -ą

Alla prima classe maschile appartiene la maggior parte dei sostantivi


maschili con sillaba radicale lunga, nonché alcuni sostantivi bisillabi, uscenti in
consonante. I prestiti di genere comune dallo svedese all’evdalico vengono
generalmente inseriti in questa classe (Zach, 2013: 36). In questa classe
rientrano i sostantivi kall “uomo”, dşäst “ospite”, bil “automobile”, kripp
“bambino”, kunnung “re”, dag “giorno”.

Tabella 21b: I classe maschile dell’evdalico tradizionale, flessione di kall “uomo”

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. kall kalln kaller kaller
Dat. kall kallem kallum kallum
Acc. kall kalln kaller kaller

72
Adattati da Zach (2013).
73
Adattati da Garbacz (2010). Le forme evidenziate in grigio indicano le deviazioni dall’evdalico
classico.

78
Tabella 22: II classe maschile dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -in /-n -ir -ir
Dat. -i -im -um -um
Acc. -Ø in /-n -i -į

A questa classe appartiene la maggior parte dei monosillabi maschili, oltre


ad alcuni bisillabi uscenti in consonante, ad es. smið “fabbro”, stað “città”, sun
“figlio”.

Tabella 23: III classe maschile dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -e / -Ø -in -er -är
Dat. -a / -Ø -am -um -um
Acc. -a / -Ø -an -a / -Ø -ą

Alla terza clase appartengono i maschili uscenti in -e o -er preceduti da


consonante, ad es. bljomme “fiore”, taime “ora”, rakke “cane”, skaule “scuola”,
dukter “dottore”, tşäller “cantina”.

Tabella 24: IV classe maschile dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -i - -in -ir -ir
Dat. -o / -å -om / -åm -um -um
Acc. -o / -å -on / -ån -o / -å -ǫ

La quarta classe è costituita unicamente dai sostantivi maschili uscenti in -i,


come ad es. dratşi “drago”, stritşi “cascata”, andruni “ricrescita dell’erba”.

Tabella 25: V classe maschile dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -n / -nn -er / -ner -är / -när
Dat. -Ø -m / -mm -um -um
Acc. -Ø -n / -nn -a -ą

79
Alla quinta classe appartengono i sostantivi maschili uscenti in vocale lunga,
dittongo o trittongo, ad es. sniųo “neve”, skuo “scarpa”, sju “lago”, by
“villaggio”.
La sesta classe, infine, è costituita dai soli sostantivi faðer e bruoðer,
indeclinabili al singolare. Il plurale è formato tramite Umlaut.

3.1.2. Sostantivi femminili

Tabella 26: I classe femminile dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -ę -er -är
Dat. -Ø -n / -in -um -um
Acc. -Ø -ę -er -är

La prima classe femminile è costituita dai sostantivi con sillaba radicale


lunga uscenti in consonante, ad es. kelingg “donna”, jåp “aiuto”, jågd “fine
settimana”, nyiet “notizia, novità”.

Tabella 26b: I classe femminile dell’evdalico tradizionale, flessione di buð “capanno”

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. buð buðe buðer buðer
Dat. buð buðn buðum buðum
Acc. buð buðe buðer buðer

Tabella 27: II classe femminile dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -ę -är -är
Dat. -Ø - n / -in -um -um
Acc. -Ø -ę -är -är

La seconda classe femminile è costituita da pochi sostantivi monosillabi


uscenti in consonante, come fuor “solco” e gron “abete”.

80
Tabella 28: III classe femminile dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -e -ę -er -är
Dat. -e -in /-n -um -um
Acc. -e -ę -er -är

A questo gruppo appartengono tutti i sostativi femminili uscenti in -e, come


öve “fiume”, måire “palude”, ille “scaffale”. La flessione del plurale è identica a
quella della prima classe.

Tabella 29: IV classe femminile dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -a -ą -ur -ur
Dat. -u -un -um -um
Acc. -u -ų -ur -ur

Alla quarta classe appartengono i sostantivi femminili uscenti in -a, come


kulla “ragazza”, ferga “colore”, tşyörtşa “chiesa”, kwitta “scontrino”.

Tabella 30: V classe femminile dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -o / -å -ǫ -ur -ur
Dat. -u -un / -u -um -um
Acc. -u -ǫ / -ų -ur -ur

La quinta classe è costituita dai sostantivi uscenti in -o o -å, come stugo


“cottage”, wiko “settimana”, gåtå “strada”.

Alla sesta classe appartengono i monosillabi uscenti in vocale come dşiet


“capra”, maus “topo” e buok “libro”. Questi sostantivi assumono le stesse
marche morfologiche della prima declinazione, ma presentano Umlaut al
plurale.

81
Tabella 31: VII classe femminile dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -ę -er / -ner -är /-när
Dat. -Ø -n -m -m
Acc. -Ø -ę -er / -ner -är /-när

Alla settima classe appartengono i sostantivi femminili uscenti in vocale


lunga, come ad es. bru “ponte”, ä “isola”, kluo “artiglio”. Alcuni di questi
presentano Umlaut al plurale.

L’ottava classe, infine, è costituita unicamente dai sostantivi syster


“sorella” e duotter “figlia”, indeclinabili al singolare. Nella flessione plurale,
questi sostantivi assumono le desinenze della prima classe. Duotter, inoltre,
presenta Umlaut nella flessione plurale.

3.1.3. Sostantivi neutri


Tabella 32: I classe neutra dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -eð / -að -Ø -ę
Dat. -e / -Ø -ę / -ą -um -um
Acc. -Ø -eð / -að -Ø -ę

La prima classe neutra è costituita dai sostantivi con sillaba radicale lunga
terminanti in consonante, ad es. buord “tavolo”, aus “casa, år “anno”, fuok
“popolo”.

Tabella 32b: I classe neutra dell’evdalico tradizionale, flessione di buord “tavolo”

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. buord buordeð buord buordę
Dat. buord74 buordę buordum buordum
Acc. buord buordeð buord buordę

74
La forma in evdalico classico è buorde, e la caduta della -e finale può essere attribuita all’alta
frequenza dell’apocope.

82
Tabella 34: II classe neutra dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -eð / -Ø -Ø -ę
Dat. -i -į -um -um
Acc. -Ø -eð / -Ø -Ø -ę

La caratteristica distintiva della seconda classe è la desinenza -į del dativo


singolare determinato. Alcuni sostantivi che appartengono a questa classe sono
suoð “zuppa”, drit “sporco”, smyör “burro”, elit “inferno”.

Tabella 35: III classe neutra dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -e -eð -e -ę
Dat. -e -ę -um -um
Acc. -e -eð -e -ę

Alla terza classe neutra appartengono i sostantivi bisillabi uscenti in -e,


come daitşe “fossa” ed enne “padella”.

Tabella 36: IV classe neutra dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -a -að -a -ų
Dat. -a -ą -um -um
Acc. -a -að -a -ų

Alla quarta classe appartengono i sostantivi bisillabi uscenti in -a, come nel
caso di ära “orecchio” ed oga “occhio”.

Tabella 37: V classe neutra dell’evdalico classico

Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -t -Ø -nę
Dat. -Ø -nę -m -m
Acc. -Ø -t -Ø -nę

83
La quinta classe neutra è costituita da sostantivi monosillabici uscenti per
vocale lunga, dittongo o trittongo, come kni “ginocchio”, trai “albero” e ö
“fieno”.

3.2. Sviluppi diacronici del sistema flessivo nominale


Alla luce di questi dati, risulta opportuno fornire alcune indicazioni sulla
dimensione diacronica, operando i dovuti confronti tra il sistema flessivo
evdalico ed il sistema antico scandinavo. Le seguenti sezioni, inoltre, forniranno
un’analisi più approfondita dei mutamenti morfologici avvenuti nel periodo più
recente della lingua, evidenziando le differenze che intercorrono tra evdalico
classico, evdalico tradizionale ed evdalico moderno. Infine, i casi morfologici
verranno analizzati singolarmente, dal punto di vista formale e del contesto
sintattico, in prospettiva diacronica e sincronica, operando, ove opportuno,
confronti con le lingue scandinave insulari.

L’antico svedese75 mostra di aver ereditato il sistema flessivo a quattro casi –


nominativo, accusativo, dativo e genitivo – dell’antico scandinavo senza
alterazioni sostanziali, come mostrato dal seguente paradigma, basato su Noreen
(1904) e Delsing (2002) (Svenonius, 2015: 183).

Tabella 38: Paradigma di hestær “cavallo” in antico svedese:

Indeterminato Determinato
Singolare Nominativo hestær hestrinn
Accusativo hest hestinn
Dativo hesti hestinum
Genitivo hests hestsins
Plurale Nominativo hestar hestanir
Accusativo hesta hestana
Dativo hestum hestumin
Genitivo hesta hestanna

75
È opportuno evidenziare che Svenonius (2015: 182) ritiene che il gruppo dalecarlico si sia
sviluppato divergendo dall’antico svedese classico, piuttosto che dall’antico scandinavo. Nel
caso specifico della flessione nominale (e pronominale), ciò non ha implicazioni sostanziali,
giacché l’antico svedese ha conservato pressocché del tutto il sistema flessivo e le marche
morfologiche. Si è ritenuto dunque conveniente, in questa sede, comparare occasionalmente i
paradigmi dell’evdalico classico con quelli dell’antico svedese, i quali rappresentano
l’attestazione più recente del sistema antico scandinavo. Inoltre, le attestazioni antico-
scandinave sono spesso di carattere occidentale, e potrebbero dunque presentare aspetti
fonologici estranei all’evdalico che renderebbero di difficile interpretazione il confronto.

84
Levander (1909) evidenzia la recessività del caso genitivo, particolarmente
raro nella flessione indeterminata (Dahl, 2006: 64), già in evdalico classico.
Come accennato in 1.4.2, il processo di riduzione d’uso del genitivo, comune a
tutta l’area scandinava continentale, sarebbe partito, secondo Delsing (1991,
2004) e Ringmar (2005), intorno al XIV secolo. Il processo di riduzione
morfologica non appare completamente omogeneo: esso è avvenuto con diverse
modalità per diverse classi nominali (Steensland. 2000).
Come si evince dalle tabelle in 3.1, l’evdalico tradizionale mostra una
generale perdita delle marche morfologiche dell’accusativo, rimasto in uso solo
per alcune forme. Lo stesso vale per il dativo, nei sostantivi declinati nella
forma indeterminata. Alcuni parlanti di evdalico tradizionale – in particolare
nell’area del villaggio di Brunnsberg – mostrano ancora una distinzione tra la
forma indeterminata e la forma determinata dei plurali maschili e femminili
(come ad es. kaller nom. pl. indet. “uomini” vs. kallär nom. pl. det “gli uomini”). La
perdita di questa distinzione, tuttavia, era già caratteristica di diverse varietà
diatopiche nel periodo dell’evdalico classico. Già negli anni ’20, Levander
(1928: 128) rileva delle oscillazioni nella distinzione nominativo/accusativo tra
gli informatori delle zone più estese di Älvdalen, nonché la definitiva
scomparsa nei distretti adiacenti (Dahl & Koptievskaja-Tamm, 2006: 64). In
particolare, Levander nota l’assenza di distinzione morfologica nel parlato di un
informatore nato nel 1909, in contrasto con i fratelli maggiori di 10 anni che
invece la mostravano (Svenonius, 2015: 208).
Un sincretismo tra le forme del nominativo e le forme dell’accusativo è già
osservabile in antico scandinavo/antico svedese, specialmente in determinati
contesti morfologici. Nei sostantivi forti i due casi presentano sincretismo
completo al neutro ed al femminile nella flessione plurale, ma non vi è
sistematicità nel maschile e nel femminile singolare. Lo stesso sincretismo
nominativo-accusativo al neutro e femminile plurale è osservabile nei sostantivi
deboli; inoltre il singolare indeterminato mostra sincretismo di tutti i casi
diversi dal nominativo (Svenonius, 2015: 192-193).
L’evdalico classico, dunque, presenta un leggero aumento dei sincretismi
sistematici: il sincretismo nominativo-accusativo si estende ai maschili ed ai
femminili singolari dei sostantivi forti, nonché alle forme determinate del
femminile. Di conseguenza, in evdalico classico, l’unico contesto in cui il

85
paradigma forte ha conservato una distinzione tra nominativo ed accusativo è il
maschile plurale, sia determinato che indeterminato. Il nominativo rimane
invece distinto nella flessione singolare dei sostantivi deboli maschili e
femminili (Svenonius, 2015: 196-197). Questo paradigma presenta convergenza
di accusativo e dativo in un caso detto obliquo76. La distinzione tra nominativo
ed obliquo può ricordare il sistema morfologico dello svedese moderno (äldre
nysvenska): è attestata ad es. nella Bibbia di Gustav Vasa e nel Codice civile del
1734 (Ringmar, 2005: 6). È tuttavia necessario sottolineare che, in evdalico,
l’opposizione del tipo nominativo/obliquo è propria soltanto di una classe
circoscritta di sostantivi77, laddove in svedese moderno appare generalizzata.
È opportuno precisare che nel momento in cui nominativo ed accusativo
convergono in un caso diretto78 – così come descritto da Blake (2001) e
Haspelmath (2009) – la forma che prevale può essere tanto la forma del
nominativo storico quanto quella dell’accusativo storico, per cui la presenza di
forme che riflettono l’accusativo storico non è da interpretarsi come prova della
sopravvivenza di una distinzione morfologica79. I dati raccolti da Helgander
(1996) suggeriscono che la distinzione si sia inizialmente perduta nelle forme
indeterminate dei sostantivi tra i parlanti nati alla fine del XIX secolo, per poi
venir meno anche nelle forme determinate tra i parlanti nati negli anni ’30
(Svenonius, 2015: 209). Ad ogni modo, il sincretismo morfologico è
generalmente più frequente in evdalico tradizionale di quanto lo sia in evdalico
classico, e tale tendenza è osservabile in tutti i paradigmi (Garbacz 2010: 41).
Ricapitolando: l’evdalico classico mostra sostanzialmente un sistema a
quattro casi – sebbene in maniera irregolare ed asimmetrica – cui può essere
talvolta aggiunto un caso vocativo80 (Levander, 1909: 24,36; Steensland, 2015).
L’evdalico tradizionale mostra, invece, la perdita di distinzione tra accusativo e
nominativo, risultando dunque in un sistema di flessione nominale a due o tre

76
Si ricorre, in questa sede, alla dicitura “obliquo” in concordanza con Ringmar (2005) e Dahl &
Koptjevskaja-Tamm (2006), che a loro volta si basano su Blake (2001). Svenonius (2015)
propende per la definizione “oggettivo”.
77
Il sincretismo di accusativo e dativo è caratteristico anche dei pronomi, vd. 3.5
78
Si predilige in questa sede per la dicitura “direct case” a cui fa ricorso Svenonius (2015), Dahl
& Koptjevskaja Tamm (2006), seguendo Weerman & de Wit (1999) ricorrono alla dicitura
“default case”.
79
Steensland (2006: 12) nota che la forma dell’accusativo storico diventa spesso la forma del
caso diretto nei sostantivi maschili in -e e per un’ampia classe di sostantivi femminili con tema
in vocale.
80
Vd. 3.6.5

86
casi81, cfr. ad es. l’opposizione nominativo/accusativo nel plurale maschile
indeterminato ev. class. ester/esta e determinato estär/estą (Levander 1909: 11–
12) vs. ev. trad. ester (Svenonius, 2015: 179). Si prendano in considerazione le
seguenti tabelle:

Tabella 39: Paradigma di est “cavallo” in evdalico classico

Indeterminato Determinato

Singolare Nom est estn

Acc est estn

Dat este estem

Gen - estemes

Plurale Nom ester estär

Acc esta estą

Dat estum estum(e)

Gen - estumes

Tabella 39b: paradigma di est “cavallo” in evdalico tradizionale

Singolare Plurale

Indeterminato Determinato

Diretto est estn ester

Dativo est estem estum

La perdita di distinzione tra la forma del nominativo e la forma


dell’accusativo nel plurale può essere considerata, a sua volta, alla base della
perdita della distinzione di determinazione in diversi plurali. La perdita di
distinzione tra nominativo ed accusativo, infatti, ha portato all’eliminazione di
parte del paradigma in cui era presente una distinzione tra forme determinate ed
indeterminate nel plurale, là dove le forme del dativo erano già identiche in

81
In base alle occorrenze ed all’interpretazione del genitivo: vd. Ringmar (2005: 8-9); Dahl &
Koptievskaja-Tamm (2006: 63-66); Svenonius (2015: 189-190) e 3.6.2

87
evdalico classico82 (Svenonius, 2015: 179). A differenza del sincretismo tra
nominativo ed accusativo, questo sviluppo morfologico interessa solamente
alcune classi di sostantivi; si osservi ad esempio il seguente paradigma di un
sostantivo neutro:

Tabella 40 paradigma di tak “tetto” in evdalico tradizionale:

Singolare Plurale

Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato

Diretto tak tatşeð tak tatşe

Dativo tak tatşį takum takum

Un’ultima differenza riscontrabile nel sistema flessivo nominale


dell’evdalico tradizionale consiste nella perdita di diversi suffissi caratteristici
del dativo nella flessione indeterminata singolare, per cui il caso diretto ed il
dativo risultano spesso indistinguibili (Svenonius, 2015:179). Quest’ultimo tipo
di sincretismo è osservabile in diverse varietà norvegesi che hanno preservato il
caso dativo (Eyþórsson et al. 2012; Svenonius, 2015: 218).

Come accennato nel capitolo introduttivo, la tendenza alla dissoluzione del


sistema casuale è stata analizzata da Helgander (20005: 20), il quale, servendosi
di tre informatrici, nate rispettivamente nel 1914, nel 1937 e nel 1984, rileva
l’assenza di sostantivi declinati al dativo nel parlato delle due informatrici più
giovani (Garbacz & Johannessen, 2015: 29). Per corroborare l’ipotesi di
Helgander, Garbacz & Johannessen (2015) hanno condotto un’investigazione
sull’Övdalian Speech Corpus83, analizzando le ricorrenze del suffisso -um
(suffisso dativale di tutti i sostantivi plurali), ed i suffissi -em, -im, -am, -åm ed -
mm (Nyström & Sapir 2005b: 2–6) del dativo singolare maschile determinato,

82
Nella varietà dei parlanti più anziani, Levander (1909: 13) riporta la presenza di un suffisso -
ume per distinguere il dativo plurale determinato; il suo uso, tuttavia, era già sufficientemente
in regressione da motivarne l’esclusione dal paradigma.
83
Corpus creato in collaborazione tra l’Università di Oslo e l’Università di Lund, basato su una
collezione di registrazioni effettuate da Janne Bondi Johannessen, Signe Laake, Åshild
Søfteland, Karine Stjernholm e Lars Steensland nel 2007 e trascritto da Piotr Garbacz. Per
ulteriori informazioni vd. Garbacz & Johannessen (2015: 12)

88
contesto morfologico in cui il dativo si è meglio conservato nel tempo 84. Il
numero di ricorrenze è risultato estremamente esiguo: un totale di 19 sostantivi
declinati al dativo, cui va aggiunta la completa assenza del suffisso -åm
(Garbacz & Johannessen, 2015: 29-30). Inoltre, la maggior parte di queste
ricorrenze pare essere legata a forme fossilizzate nell’uso, come nel caso di
buðer “capanne” e byrånend “inizio”, le cui rispettive forme al dativo sono
ricorrenti nelle locuzioni i buðum “nelle capanne” e i byrånendam “in
principio”. Alcune delle ricorrenze di dativo, inoltre, mostrano delle irregolarità:
il dativo plurale krytyrem “bestiame” presenta un suffisso inatteso (la forma
attesa sarebbe krytyrum), mentre la forma ringgum kraftwerkum “attorno alle
centrali elettriche” risulta inaspettata poiché l’avverbio ringgum governa
normalmente il caso accusativo (Garbacz & Johannessen, 2015: 30).

A confermare definitivamente il declino del dativo in evdalico moderno,


l’investigazione del corpus ha rilevato l’assenza del dativo in diversi contesti
dove sarebbe atteso, in particolare in associazione con le preposizioni di luogo i
“in”, frǫ “da”, e að “a”. Forme del tipo i skaulan “a scuola”; i bynn “nel
villaggio”; frå̜ bystugų “dalla cascina”; að garder “alle fattorie” competono con
gli attesi i skaulam; i bymm; frǫ bystugun; að gardum. Talvolta le forme al
nominativo si alternano con le forme al dativo (anche nel parlato dei singoli
informatori, testimoniando quindi delle variazioni a livello individuale), altre
volte – ed è questo il caso dei parlanti più giovani – il dativo risulta
completamente assente (Garbacz & Johannessen, 2015: 30-31). Quanto emerso
dalla ricerca di Garbacz & Johannessen (2015) conferma sostanzialmente
l’ipotesi di Helgander (2005: 20) riguardo al declino del dativo e,
consequenzialmente – data la convergenza di nominativo ed accusativo già nel
periodo più tardo dell’evdalico classico (Steensland, 2000: 368; Garbacz, 2010:
39; Svenonius, 2015) – dell’intero sistema casuale in evdalico moderno.

La flessione nominale dell’evdalico moderno, così come emerge dall’Ö.S.C.,


può essere esemplificata nella tabella seguente, adattata da Garbacz &

84
“Exempelvis är dativ i bestämda kontexter (oftast de med efterställd artikel) mycket
starkare än dativ i obestämda kontexter som i dag endast förekommer sporadisk” (Garbacz,
2008: 6).

89
Johannessen (2015: 31). Le forme evidenziate in grigio rappresentano deviazioni
dall’evdalico tradizionale.

Tabella 41: Declinazione nominale maschile sulla base dell’Övdalian Speech Corpus.

Singolare Plurale

Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato

Nominativo -Ø (kripp) -n/-an -er (skauler) -er (tjyner)


(skauln/skaulan)

Genitivo Non attestato -es (faðeres) Non attestato -eres (Ǫseres)

Dativo -Ø -n/-am/-an -er/-um (raster/ -er/-um


(blybjärskall) (skauln/ kraftwerkum) (Ǫser/Ǫsum)
skaulam/
skaulan)

Accusativo -Ø (bil) -n/-an (skaulan/ -er (kwelder) -er (Ǫser)


skauln)

3.3. Determinatezza
Nelle lingue scandinave, la forma determinata del sostantivo è generalmente
ottenuta tramite l’affissione dell’articolo. In svedese, la forma determinata
viene costruita tramite l’aggiunta di -(e)n ai sostantivi comuni e di -(e)t85 ai
sostantivi neutri (Zach, 2013: 46). Per il plurale, i sostantivi comuni
costruiscono la forma determinata tramite l’aggiunta del suffisso -na alla
desinenza del plurale (-ar, -er o -or, in base alla classe). I neutri ricorrono al
suffisso -en(a) per i temi in consonante – che presentano desinenza zero per il
plurale – e -a per i temi in vocale, che hanno desinenza -n per il plurale86 (Dahl,
2015: 42).
L’evdalico, anche in questo caso, mostra una situazione
considerevolmente più complessa. Da un punto di vista sincronico,
l’osservazione dei paradigmi dell’evdalico classico potrebbe portare a sostenere
la presenza di una flessione determinata distinta da quella indeterminata. In

85
Diversamente dalle apparenze, non c’è relazione etimologica tra i suffissi determinativi -en, -
et (rispettivamente da ascand. -inn, it) e gli articoli indeterminativi en en, ett che derivano da
forme del numerale “uno”. La flessione dell’articolo indeterminato in evdalico è mostrata nella
sezione successiva.
86
Per un’analisi più approfondita del sistema di determinazione in svedese vd. Goodwin Davies
(2016)

90
particolare, nella flessione del plurale, non risulta possibile distinguere
l’articolo determinativo dalla desinenza del plurale, sembrerebbe invece che ci
sia una sola desinenza, con funzione di marca di numero, caso e determinazione
(Zach, 2013: 47). È possibile effettuare un confronto tra le due lingue
prendendo però in considerazione la dimensione diacronica. In antico
scandinavo, l’articolo determinativo poteva essere posposto ed encliticizzato al
sostantivo, sviluppando così la forma determinata nelle varie lingue (Faarlund,
2009: 619). Le diverse ricorrenze di articoli posposti in testi considerevolmente
antichi come il Primo Trattato Grammaticale e l’Antica Legge del
Västergötaland – rispettivamente risalenti al XII e al XIII secolo (Perridon
2002) – fanno presumere che questo tipo di formazione fosse già ben integrato
nella lingua, benché apparisse con minore frequenza nello scritto (Dahl, 2015:
38).
Nel sistema flessivo dell’antico scandinavo, nonché dell’antico svedese,
la marca determinativa mostra un alto grado di indipendenza. Essa può quasi
sempre essere separata dalla forma flessa in base al caso, come osservabile nel
paradigma di hæster (Tabella 38). Il suffisso determinativo viene declinato
secondo il paradigma aggettivale – mostrando di norma le forme degli aggettivi
terminanti in -n – con l’eccezione del dativo plurale che mostra la forma
indeclinata -in, in luogo della forma attesa -inum (Svenonius, 2015: 198). La
posposizione rappresenta la regolare strategia di determinazione, l’articolo
determinativo viene preposto solamente nel caso in cui il sostantivo sia
preceduto da un aggettivo. Si considerino i seguenti esempi:
(a) ascand. hestrinn “il cavallo”
sv. hästen “il cavallo”
(b) ascand. hinn gamli hestr “il vecchio cavallo”
sv. den gamla hästen “il vecchio cavallo
Le lingue scandinave continentali moderne mostrano delle differenze
sostanziali. In particolare, risultano rilevanti la perdita della distinzione di caso
(in tutte le lingue) e lo sviluppo del doppio determinativo (in svedese e
norvegese87), come mostrato dallo svedese nell’esempio (b) (Faarlund, 2009:
619). In antico scandinavo, dunque, la forma determinata del sostantivo si
ottiene solitamente tramite l’aggiunta dell’articolo al sostantivo declinato. Sia il
sostantivo che l’articolo presentano flessione per genere, numero e caso

87
Cfr. sv. den gamla hästen vs. dan. den gamle hest

91
(Faarlund, 2009: 619). Di conseguenza, la struttura morfologica di un sostantivo
determinato in antico scandinavo può essere suddivisa in quattro parti:

1. la radice del sostantivo, che porta intrinsecamente le informazioni di


classe e genere grammaticale;
2. un suffisso variabile in base a classe, genere, numero e caso;
3. la marca determinativa -in-, con l’allomorfo fonologicamente
condizionato -n-88
4. la desinenza aggettivale – distinta dalla desinenza sostantivale –,
concorde per genere, numero e caso, ma non classe

Un sostantivo indeterminato, al contrario, mostra un solo suffisso, che porta


informazioni su caso, genere e numero (Svenonius, 2015: 198).

In evdalico classico la struttura morfologica mostra delle divergenze


sostanziali. Innanzitutto, non è presente un suffisso determinante invariabile
come descritto nel punto 3; il suffisso determinante porta sempre informazioni
su genere, caso e numero, risultando fuso agli altri suffissi (Svenonius, 2015:
200). Faarlund (2009: 621) analizza lo sviluppo dei clitici antico-scandinavi in
periodo medievale e moderno, descrivendolo come un processo di
grammaticalizzazione in cui il clitico, prima relativamente indipendente, si
trasforma in un suffisso. Il suffisso -et in sv. bordet “il tavolo” ad es. non indica
solamente la determinazione ma anche il genere (neutro) ed il numero
(singolare).

Il quadro morfologico dell’evdalico, tuttavia, è reso più complicato dalla


presenza delle distinzioni di caso. La fusione può dunque essere parziale e
portare alla presenza di due suffissi: 1) uno interno – variabile in base alla classe
– che porta informazioni di numero; e 2) uno esterno, che porta informazioni di
determinazione e caso. La fusione è invece completa nel caso in cui abbiamo un
unico suffisso, dove anche la parte che indica determinazione risulta sensibile
alla classe flessiva del sostantivo (Svenonius, 2015: 200). La presenza di casi di
fusione parziale è dimostrata dall’esistenza di coppie minime distinguibili per
l’accento. Si consideri il seguente paradigma:

88
“The alternation between /n/ and /in/ is determined by the phonology of the whole (/n/ if a
vowel immediately precedes or follows), which can be assumed to reflect a late phonological
rule” (Svenonius, 2015: 199); “If the inflected noun ends in a vowel, […] or if it ends in an -r
preceded by an unstressed vowel, […] then the initial i- of the article is deleted” (Faarlund, 2009:
619).

92
Tabella 42: Accenti nel paradigma di buord “tavolo”

Mentre le forme del dativo, come previsto, presentano accento grave – tipico
delle parole bisillabe –, le forme del caso diretto presentano accento acuto, tipico
dei monosillabi. Questo implica che il suffisso determinativo, meno integrato
nella struttura della parola (Lahiri et al. 2005)89, non venga calcolato ai fini
dell’accento, per cui la forma flessa mostra inalterato il tono tipico dei
monosillabi. Le forme del dativo singolare, al contrario, presentano un suffisso
interno che modifica la struttura sillabica e, di conseguenza, tonale. Il suffisso
determinativo è dunque rappresentato dal tratto nasale, aggiunto ad una base
bisillaba di partenza. In caso di fusione totale dei suffissi, ovvero in presenza di
un suffisso -ę (con funzione di marca di determinazione, caso e numero) il tono
sarebbe rimasto acuto e la forma del dativo singolare sarebbe stata omofona con
la forma del caso diretto plurale (Svenonius, 2015: 201).
La fusione dei suffissi rappresenta una differenza sostanziale tra il sistema
flessivo antico-scandinavo e quello evdalico. Dei tre suffissi identificabili in un
sostantivo determinato in antico scandinavo, solo il primo (descritto nel punto 2)
fa parte del paradigma nominale in senso stretto. Il secondo è sostanzialmente
invariabile, ed il terzo segue un paradigma aggettivale e, di conseguenza, non
subisce effetti da eventuali fenomeni di sincretismo paradigmatico della
flessione nominale debole. La forma determinata appare, dunque, sempre
distinta, poiché il suffisso è palese e direttamente applicato alla forma
indeterminata. Al contrario, la presenza di fusione completa dei suffissi in

89
Osservando la struttura sillabica ed i pattern accentuali, Lahiri et al. (2005) e Faarlund (2009)
giungono, in realtà, a conclusioni diverse. I primi ritengono che la scarsa integrazione
dell’articolo determinativo nello schema prosodico dimostri che sia un clitico. Faarlund,
operando un’analisi diacronica, afferma che le leggi fonologiche che determinano l’accento
nelle lingue nordiche si fossero già stabilizzate durante il periodo antico scandinavo, prima che
il clitico si evolvesse in suffisso. Nel caso dell’evdalico, come dimostrato da Svenonius (2015), la
situazione appare più semplice: l’articolo determinativo è da considerarsi un suffisso per ragioni
sia di ordine fonologico che morfologico.

93
evdalico classico può agire come catalizzatore per la neutralizzazione
paradigmatica (Svenonius, 2015: 206).
L’evdalico, difatti, mostra diversi casi di neutralizzazione dell’opposizione
di determinatezza, come abbiamo potuto osservare in 3.2 riguardo alla perdita di
distinzione tra forme determinate e forme indeterminate nel plurale (Levander,
1909b), che rappresenta uno sviluppo piuttosto recente (Dahl, 2015: 40). La
neutralizzazione dell’opposizione di determinatezza è osservabile anche nel
dativo, per cui il fenomeno appare asimmetrico. Nel singolare è la forma
indeterminata ad apparire marginale o in regressione, laddove nel plurale è la
forma determinata che tende a scomparire 90, come mostrato in 3.5 (Dahl, 2015:
41). La neutralizzazione, inoltre, può verificarsi per singoli lessemi o gruppi di
lessemi. È questo il caso dei neutri terminanti in -ð, che mostrano marca zero nel
nominativo e nell’accusativo singolare determinato, analogamente alle forme
indeterminate (Dahl, 2015: 41).

3.4. Aggettivi
Gli aggettivi, così come i sostantivi, vengono declinati per caso, genere e
numero (Åkerberg, 2012: 190). La tendenza al sincretismo morfologico
dell’evdalico tradizionale si manifesta chiaramente anche nell’ambito dei
paradigmi flessivi degli aggettivi. In evdalico tradizionale, nella flessione
indeterminata (altrimenti detta “forte”) degli aggettivi, la distinzione di caso è
andata perduta; solo genere e numero hanno conservato delle marche
morfologiche distintive. Si prendano in considerazione le seguenti tabelle,
riadattate da Garbacz (2010: 42):

90
È possibile ipotizzare che questa tipologia rifletta una ben precisa tendenza a ridurre
l’accumulo di marche morfologiche – dove non c’è la marca del plurale, resiste bene la forma
determinata, e viceversa (Di Giovine, c.p., 9 agosto 2020).

94
Tabella 43: Flessione indeterminata di stur “grande” in evdalico classico91

Singolare Plurale
Maschile Femminile Neutro Maschile Femminile Neutro
Nom. stur stur sturt stur(er) stur(er) sturų

Dat. sturum stur92 stur(å) / sturum sturum sturum


stur(u) /
stur(a) 93

Acc. sturan stur(a) sturt stur(a) stur(er) sturų

Tabella 43b: Flessione indeterminata di stur “grande” in evdalico tradizionale

Singolare Plurale
Maschile Femminile Neutro Maschile Femminile Neutro
Nom. stur stur sturt sturer sturer sturer
Dat.94 stur stur sturt sturer/ sturer/ sturer/
sturum sturum sturum
Acc. stur stur sturt sturum sturer sturum

È importante evidenziare una caratteristica particolare dell’evdalico


nell’ambito della flessione aggettivale. A differenza di quanto accade in svedese
e norvegese, che presentano doppio determinativo (ad es. sv. den gamla hästen),
l’evdalico ricorre ad una strategia di incorporazione aggettivale (Dahl, 2015:
127). Nella forma determinata, l’aggettivo – nella forma breve mostrata nella
tabella95 – viene prefisso al sostantivo seguente, come ad es. guolbuotşę “il libro
giallo”, sturkartaundşę “la scatola grande” (Åkerberg, 2012: 200). L’evdalico

91
Le forme estese, ovvero comprensive della desinenza tra parentesi, sono usate in posizione
predicativa (cfr. ad es. flier stur kaller “molti grandi uomini” vs. kallär war sturer “gli uomini
erano grandi”) (Åkerberg, 2012: 203) o in caso di ellissi del sostantivo (ad es. gok-etter ien sturå
“va’ a prenderne uno grande”) (Svenonius, 2015: 224). La desinenza -ų del neutro plurale viene
spesso sostituita con -er in posizione predicativa, ad es. bjärrę irå blåer “le montagne sono blu”
ma blåų bjärr “montagne blu” (Åkerberg, 2012: 203).
92
Levander (1928: 200) non indica una desinenza per il dativo femminile singolare in evdalico,
indicando però la forma stūrer per l’Orsamålet. Åkerberg (2002: 23) riporta la forma sturer tra
parentesi (Ringmar, 2005: 10).
93
La forma sturå è caratteristica del villaggio di Åsen, le forme sturu e stura sono
rispettivamente attestate nelle varietà orientali e occidentali (Levander 1909b: 45).
94
La forma sturum dat. pl. per tutti i generi è ancora diffusa tra i parlanti più anziani (Garbacz
2010: 42).
95
Dahl (2009: 55) precisa che l’evdalico non mostra le desinenze della flessione debole
dell’aggettivo quando quest’ultimo è incorporato (come ad es. gamkalln “l’uomo anziano”). La
desinenza debole, sebbene non esplicita, è individuabile indirettamente quando l’aggettivo
segue un dimostrativo (ad es. eð-dar stùr auseð “quella casa grande”) poiché l’aggettivo
assume accento grave: si tratta dunque di un caso di apocope (vd. 2.3.2).

95
condivide questo tipo di formazione con altre varietà svedesi periferiche (Dahl,
2015: 127). Delsing (2003) descrive il fenomeno come una forma di
composizione, descrizione ritenuta però inadeguata sotto il profilo semantico da
Dahl (2015), il quale, seguendo Sandström & Holmberg (2003), propende per la
definizione di incorporazione aggettivale96.

Il paradigma del comparativo e del superlativo appare analogo a quello dello


svedese, con l’aggiunta delle desinenze -er(a)97 ed -est, come ad es. stark,
starkera, starkest “forte, più forte, il più forte”. Alcuni aggettivi presentano un
paradigma irregolare, per Umlaut o suppletivismo, ad es. stur, styörrera, styöst
“grande, più grande, il più grande” e bra, wildera/bettera, wildest/best “buono,
meglio, il migliore” (Åkerberg, 2012: 205-206). Gli aggettivi possono essere
sostantivati, e in tal caso essi assumono le desinenze del paradigma nominale, ad
es. roðn “il rosso” gambeln “il vecchio”98 (Åkerberg, 2012: 204). Alcuni
aggettivi reggono il dativo, è il caso di laik “simile”, iwari “consapevole” e uoni
’”abituato”, ad es. dugum it werd uoni plågum “non possiamo abituarci ai
tormenti” (Åkerberg, 2012: 207).

In prospettiva sincronica, è possibile operare alcuni confronti con le lingue


insulari. In primo luogo, così come accade per i sostantivi, la forma del
nominativo singolare maschile degli aggettivi evdalici non presenta la desinenza
–(u)r (< ascand. -r), mantenuta invece sia in islandese che faeroerico, cfr. ad es.
ev. glað vs. isl. glaður “contento”. L’evdalico, inoltre, mostra di aver perso la
distinzione tra maschile e femminile al nominativo plurale, cfr. ad es. ev. laiker
(masch. /fem.) vs. fø. e isl. líkir (mask.) /líkar (fem.). Viceversa, nel caso
accusativo, solo l’evdalico e l’islandese marcano distinzione di genere tra
maschile e femminile. In tutte e tre le lingue è preservata la distinzione dal
neutro (Ringmar, 2005: 9).

96
“In Swedish or English, a compound like våtjacka or wet-jacket could only be used for a special
kind of jacket that is permanently wet, or perhaps more plausibly, for a jacket intended for use
in wet conditions. […] By contrast, the Elfdalian expression refers to a jacket that is in a
temporary state of wetness. In other words, it functions just like the English phrase the wet
jacket […] It is the possibility of using the Elfdalian expression in such an “occasional” way that
motivates using the term “incorporation” rather than “compounding” (Dahl, 2015: 127).
97
Il comparativo può presentare apocope, in quel caso la forma risulta identica alla forma
predicativa del plurale (Åkerberg, 2012: 205).
98
Cfr. vs. sv. den röde, den gamle, anche in questo caso l’evdalico mostra di non aver sviluppato
l’articolo determinativo preposto a partire dal dimostrativo ascand. þann/ þat (Faarlund, 2009:
624).

96
In alcuni villaggi occidentali della parrocchia di Älvdalen è individuabile
una distinzione di lunghezza sillabica tra maschile e femminile nei nominativi
degli aggettivi uscenti in -l ed -n, ad es. īell masc. /īel fem. (Nyström, 2000). In
questo esempio vi è un’ulteriore distinzione fonologica poiché la forma del
maschile presenta l alveolare, laddove il femminile presenta l velarizzata (vd.
2.2.1). La tabella seguente mette a confronto i paradigmi per le forme del tipo
laik/ líkur in evdalico e nelle lingue insulari. Le deviazioni dall’antico
scandinavo sono evidenziate con un asterisco, posto tra parentesi nel caso
deviazioni minori (Ringmar, 2005: 9-10).

Tabella 44: Confronto della morfologia aggettivale nelle aree relittuali:

Singolare Evdalico Faeroerico Islandese


Maschile
Nominativo -Ø * -ur(*) -ur(*)
Dativo -um -um -um
Accusativo -an -an -an
Femminile
Nominativo -Ø -Ø -Ø
Dativo -(er)99* -ari(*) -ri
Accusativo -a -a -a
Neutro
Nominativo -t -t -t
Dativo -u -um* -u
Accusativo -t -t -t
Plurale
Maschile
Nominativo -er -ir -ir
Dativo -um -um -um
Accusativo -a -ar* -a
Femminile
Nominativo -er* -ar -ar
Dativo -um -um -um
Accusativo -er* -ar -ar
Neutro
Nominativo -ų* -Ø -Ø
Dativo -um -um -um
Accusativo -ų* -Ø -Ø

99
Le forme estese, ovvero comprensive della desinenza tra parentesi, sono usate in posizione
predicativa.

97
Osserviamo infine la declinazione dei numerali, che concordano in
genere e caso col sostantivo. La flessione del numerale ien, con alcune
precisazioni, è valida anche per l’articolo indeterminativo (Sapir &
Nystöm, 2015: 39).

Tabella 45: Paradigmi flessivi dei numerali da 1-4

Maschile Femminile Neutro Maschile Femminile Neutro


Nom. ien įe iett Nom. twer twär tau
Acc. ien iena iett Acc. tųo twär tau
100 Dat. twemm twemm twemm
Dat. ienum ienn(er) ienu

Maschile Femminile Neutro


Maschile Femminile Neutro
Nom. fiuorer fiuorer fiuorę
Nom. trair trjär tråi
Acc. fiuora fiuorer fiuorę
Acc. triųo trjär tråi
Dat. fiuorum fiuorum fiuorum
Dat. trimm trimm trimm

3.5. Pronomi
Come osservato da Helgander (2005: 23), anche i pronomi mostrano la
perdita della distinzione di caso, come nel caso del nominativo dier “loro”,
talvolta sostituito dalla forma obliqua diem101. Le grammatiche evdaliche in uso,
come Åkerberg (2000; 2004; 2012) e Nyström & Sapir (2005 a; b; 2015), in
quanto basate su Levander (1909b), propongono tuttora una flessione
pronominale che presenta distinzione per tre casi: nominativo, dativo e
accusativo (Garbacz & Johannessen, 2015: 31). Secondo questi autori, in
particolare, vi è una distinzione tra accusativo e dativo nella flessione dei
pronomi di terza persona singolare: si consideri la seguente tabella, adattata da
Garbacz (2010: 43).

100
Ienner è la forma in posizione predicativa. La forma del dativo femminile in posizione
attributiva è iènn (l’accento grave è indice di apocope). Nella flessione dell’articolo
indeterminato la forma del dativo femminile è ien, priva di apocope (Sapir & Nystöm, 2015: 39).
101
Innovazione già mostrata in evdalico classico nelle varietà di Väsa ed Evertsberg (Garbacz,
2010: 43).

98
Tabella 46: Flessione dei pronomi personali in evdalico classico

Numero Singolare Plurale


Persona I II III I II III
Genere Masc. Fem. Neutro
Nom. ig du an ǫ eð wįr/wįð įr/įð dier
102

Dat. mig dig ånum/ enner/ dyö uoss įr/įð diem/ dyöm
åm en

Acc. mig dig an ån(a) eð uoss įr/įð diem/ dyöm

Già nell’ambito dell’evdalico classico, i paradigmi pronominali illustrati


mettono in risalto un fenomeno di particolare interesse. Il sistema casuale
presenta infatti un’evidente asimmetria nei casi di sincretismo morfologico.
Anche i pronomi di prima e seconda persona, sia singolari che plurali, mostrano
una distinzione bicasuale, ma, a differenza di quanto accade nella flessione
lessicale, l’accusativo tende a convergere con il dativo piuttosto che con il
nominativo (Svenonious, 2015: 180).

Tabella 47: confronto tra paradigma pronominale e paradigma lessicale in evdalico


classico

In prospettiva sincronica, il sistema può essere posto a confronto col quadro


presentato da alcune varietà parlate in Norvegia che hanno conservato il dativo,
come nel caso della varietà di Halsa (Åfarli & Fjøsne 2012).

102
Le forme con -r erano caratteristiche dei villaggi di Åsen ed Evertsberg (Levander, 1909b:
63).

99
Tabella 48: confronto tra paradigma pronominale e paradigma lessicale nella varietà di
Halsa

In prospettiva diacronica, è possibile porre a confronto il paradigma


pronominale dell’evdalico classico con quello dell’antico scandinavo103,
specialmente per quanto riguarda la prima e seconda persona. (Svenonius, 2015:
184).

Tabella 49: paradigma pronominale dell’antico svedese

Come si evince dalla tabella, le forme del plurale (e del duale) presentano
sincretismo di dativo e accusativo. In uno stadio più avanzato dell’antico
svedese, la distinzione tra i due casi risulta neutralizzata anche per le forme del
singolare, con le forme dell’accusativo che compaiono in contesti che prevedono
103
Anche in questo caso, per rendere più trasparente il confronto, si ricorre al paradigma
dell’antico svedese (vd. nota 2).

100
il dativo (Delsing, 2002: 929). Per questi pronomi, l’evdalico classico, così come
lo svedese contemporaneo, mostra dunque una distinzione del tipo
nominativo/obliquo. Il sincretismo è attivo anche nella terza persona plurale, in
cui è la forma del dativo a prevalere (altro fattore condiviso con l’antico
svedese) (Delsing 2002: 931). Le terze persone singolari mostrano invece degli
allineamenti diversi. Il maschile ed il neutro mostrano un’opposizione del tipo
caso diretto vs. dativo, analogamente a quanto mostrato dai sostantivi maschili e
femminili singolari della declinazione forte (vd. 3.2). È opportuno precisare che
il sincretismo tra nominativo ed accusativo era già presente in antico
scandinavo104 (Rask, 1843: 94; Wessén, 1969: 116).

Dunque, sebbene il sistema pronominale dell’evdalico classico – nel suo


complesso – abbia conservato un paradigma a tre casi, la distinzione è palese
unicamente nel pronome di terza persona femminile (Svenonius, 2015: 186). È
opportuno puntualizzare che, in generale, non è raro che le lingue, nel corso
della propria evoluzione, sviluppino delle asimmetrie tra il sistema casuale
nominale e quello pronominale. Il paradigma dei dimostrativi mostra uno
schema di sincretismi simile a quello dei pronomi di terza persona: l’accusativo
tende a convergere con il nominativo nel singolare, ma con il dativo al plurale.

Tabella 50: Flessione dei dimostrativi di lontananza in evdalico classico

L’opposizione del tipo caso diretto vs. dativo mostrata dal singolare (anche
per il femminile, a differenza di quanto accade per i pronomi) sembra indicare
che gli aggettivi dimostrativi concordino con gli aggettivi qualificativi – e di
conseguenza con i sostantivi – nello schema dei sincretismi. Una tensione
emerge nel momento in cui si prende in considerazione il plurale, che mostra

104
A fronte della tendenza generale, mostrata dal paradigma pronominale, di conservare una
distinzione tra nominativo ed accusativo, il sincretismo dei due casi nel maschile e nel neutro
della terza persona singolare è probabilmente da attribuire ad un processo fonologico (cfr. vs.
flessione 3a sing. masc. got. is nom. ina acc. imma dat. is gen., per cui il sincretismo tra nominativo e
genitivo appare accidentale (Svenonius, 2015: 186)).

101
invece un’opposizione del tipo nominativo vs. obliquo. Di conseguenza, il
paradigma nel suo complesso sembrerebbe concordare con il sistema
pronominale (Svenonius, 2015: 226).

È possibile fare chiarezza sulla questione osservando la distribuzione dei


dimostrativi nei contesti sintattici che prevedono l’accusativo, ad es. nella frase
nu war ed it gral so ienkelt min dier-dar ritualer, sos det låt “ora, quei rituali
non erano così semplici come sembrerebbe”. Nell’esempio, la preposizione min,
che regge normalmente il caso accusativo, è seguita dall’aggettivo dimostrativo
dier-dar che, come mostrato nella tabella, è la forma del nominativo. Di
conseguenza, sebbene lo schema di sincretismi morfologici dei dimostrativi
sembri concordare con quello dei pronomi – indicando dunque un sistema del
tipo nominativo vs. obliquo – la distribuzione nei contesti sintattici dimostra che
gli aggettivi dimostrativi – così come gli aggettivi qualificativi ed i restanti
modificatori nominali105 – seguono una distinzione del tipo caso diretto vs.
dativo. Ciò sembra evidenziare la presenza di due sistemi bicasuali distinti e
concorrenti, uno operativo nell’ambito dei pronomi ed uno nell’ambito dei
sintagmi nominali nella loro interezza (Svenonius, 2015: 227).

Se osserviamo lo sviluppo del sistema pronominale, la situazione appare


sostanzialmente invariata per l’evdalico tradizionale, la cui flessione
pronominale può essere illustrata come segue:

Tabella 51: Flessione dei pronomi personali in evdalico tradizionale 106

Numero Singolare Plurale


Persona I II III I II III
Genere Masc. Fem. Neutro
Nom. ig du an ǫ eð wįð įð dier
Dat. mig dig onum/om enner/en dyö uoss įð diem
Acc. mig dig an ona eð uoss įð diem

Mentre l’evdalico tradizionale mantiene sostanzialmente invariata la


flessione pronominale, gli studi sulle varietà di evdalico moderno mostrano una
chiara tendenza verso la semplificazione morfologica (Garbacz & Johannessen,

105
Vd. Svenonius (2015: 223) per un’analisi degli aggettivi quantitativi.
106
Da Garbacz (2010: 43), a sua volta basato su Steensland (2010). Le forme riportate sono
attestate nella variante di Brunnsberg.

102
2015) – similmente a quanto osservabile per i sostantivi – che ha portato alla
riduzione del sistema a tre casi ad un sistema a due casi con opposizione di tipo
nominativo vs. obliquo (Svenonius, 2015).

L’investigazione condotta da Garbacz & Johannessen (2015) sull’Ö.S.C.


porta alla luce una distinzione tra una forma nominativale ed una forma obliqua
per le prime e seconde persone. Analizzando, ad esempio, la distribuzione delle
forme ig (623 occorrenze) e mig (35 occorrenze), Garbacz & Johannessen (2015:
32) hanno evidenziato l’uso del secondo unicamente in contesti sintattici in cui
dativo ed accusativo sono storicamente attesi: è dunque possibile affermare che
il pronome di prima persona presenta un’opposizione tra nominativo ed obliquo.
I pronomi di terza persona maschili e neutri, invece, tendono a convergere verso
delle forme uniche, rispettivamente an ed eð. Dall’investigazione dell’Ö.S.C.
emergono dati inequivocabili, in particolare per quanto riguarda il neutro: su 17
contesti in cui sarebbe attesa la forma del dativo dyö, ben 15 mostrano l’uso del
nominativo/accusativo eð (Garbacz & Johannessen, 2015: 32).

Il sistema pronominale dell’evdalico moderno, così come emerge dal corpus,


può quindi essere schematizzato come segue:

Tabella 52: Flessione dei pronomi personali in evdalico moderno107

Numero Singolare Plurale


Persona I II III I II III
Genere Masc. Fem. Neutro
Nom. ig du an (114) ǫ (44) eð (641) wįð įð dier
(623) (64) (154) (110)
diem
(23)
Dat. mig dig an (3) enner (3) eð (15) uoss non diem
(35) (9) onum (1) en (1) dyö (2) (24) attestato (34)
Acc. an (4) åna (1) eð (69) dier108
honum ǫ (1) (3)
(1) enner (1)

107
Le forme divergenti dall’evdalico tradizionale sono evidenziate in grigio. I numeri tra
parentesi indicano le occorrenze nel corpus (Garbacz & Johannessen, 2015: 32).
108
La forma dier in contesti che prevedono l’accusativo o il dativo è attestata solo nel caso in
cui sia seguita da una proposizione relativa – ad es. […] min dier so saggd an ar däeð “con loro
che hanno detto che [lui] è morto” – o quando il pronome è topicalizzato – ad es. dier war eð
faktiskt synd um “per loro era un vero peccato” – (Garbacz & Johannessen, 2015: 32).

103
In prospettiva sincronica, l’emersione di un sistema di questo tipo – in cui le
diverse forme di un pronome di terza persona plurale possono essere usate
pressocché intercambiabilmente in diversi contesti sintattici – appare simile allo
sviluppo osservabile in numerose varietà scandinave. Nelle varietà colloquiali di
svedese e norvegese, difatti, i pronomi di terza persona singolare possono
presentare la stessa forma sia in contesti in cui è regolarmente atteso il
nominativo che in contesti in cui è regolarmente atteso l’accusativo
(Johannessen, 2008: 176–180).
I dati del corpus indicano lo sviluppo di un sistema in progressiva riduzione
in cui, pur essendo presente un contrasto tra forme casuali, non risulta possibile
delimitarne i confini all’interno di contesti d’uso definiti e sistematici (Garbacz
& Johannessen, 2015: 33). Osserviamo infine lo sviluppo del pronome
possessivo menn “mio”.
Tabella 53: Flessione del pronome possessivo menn “mio” in evdalico classico

Singolare Plurale
Maschile Femminile Neutro Maschile Femminile Neutro
Nom. menn mąi mett main(er) main(er) mainų
Dat. mainum menner mainå mainum mainum mainum
(main) mainu
maina
(main)
Acc. menn maina mett main(a) main(er) mainų
(main)

Le desinenze tra parentesi possono essere soggette ad apocope


condizionata quando il pronome precede il sostantivo (ad es. mainer >
main “miei”), dando luogo ad un’apparente semplificazione del
paradigma. Tale semplificazione si concretizza successivamente in
evdalico tradizionale, con la cristallizzazione delle forme apocopate e
l’estensione. per analogia, di alcune forme all’interno del paradigma
(Garbacz, 2010: 44).

104
Tabella 53b: Flessione del pronome possessivo menn “mio” in evdalico tradizionale

Singolare Plurale
Maschile Femminile Neutro Maschile Femminile Neutro
Nom. menn mąi mett main/ main mainų
mainer mainer mainer

Dat. menn mąi mett main main main


mainum menner mainu mainum mainum mainum
Acc. menn mąi mett main main mainų
mainer mainer mainer

3.6. Casi
È ora necessario offrire un’analisi sincronica e diacronica dei singoli casi, sia nei
loro aspetti formali che nei rispettivi contesti d’uso.

3.6.1. Nominativo
Nelle lingue insulari, il nominativo presenta spesso il suffisso -ur. In
particolare, in faeroerico, questo suffisso ha subito una considerevole
estensione tramite analogia (cfr. isl ís “ghiaccio”, fugl “uccello” vs. fø. ísur,
fuglur). Fatte alcune eccezioni in islandese, questo suffisso indica
generalmente il nominativo maschile e rimanda ad un antico suffisso
protoindoeuropeo *-s, evolutosi in -r in antico scandinavo per rotacismo
(Ringmar, 2005: 5). L’inserimento di una vocale di appoggio ha portato
regolarmente allo sviluppo del suffisso -ur nelle lingue insulari ed -er in
antico svedese.
Il suffisso è assente in evdalico, sebbene sia possibile individuarne dei
residui, in particolare in alcuni casi che presentano la conservazione della
vocale di appoggio e. Si possono citare, ad esempio, la forma konunge “re”
nella commedia di Prytz (Levander 1928:313) e le forme del tipo kåven (<
kåve-n) nom. sing. det. “il vitello”, individuabili nella varietà di Åsen, in cui la e
marca la distinzione dall’accusativo kåvin (kåv-in) (Ringmar, 2005: 6). In
alcuni villaggi, la caduta del suffisso è indicata da opposizioni fonologiche
all’interno del paradigma, ad es. makkin (< *makkerin)109 nom. vs. mattşin (<
*makkin) acc. “la maschera” (Levander 1928:114).
Il suffisso -r appare nella flessione aggettivale – spesso come
alternativa al morfema zero – in alcuni monosillabi con tema in vocale,

109
[e] non innesca palatalizzazione, vd. 2.2.2

105
come ad es. blår “blu”, senza però fornire informazioni sul genere. I
paradigmi aggettivali rappresentano, in tutta la Scandinavia, il contesto
morfologico in cui il suffisso -r si è meglio conservato, specialmente a
livello dialettale (Ringmar, 2005: 6).

3.6.2. Genitivo
Come accennato più volte nel corso del capitolo, la grammatica di
Levander (1909) testimonia, per l’evdalico classico, un sistema flessivo
tetracasuale ereditato direttamente dall’antico scandinavo. Tuttavia, egli
stesso nota la rarità delle occorrenze del caso genitivo, in particolar modo
nella flessione indeterminata, dove è fondamentalmente ristretto ad una
serie di espressioni lessicalizzate, in particolar modo dopo le preposizioni
et – ad es. et bys “al villaggio”; et endes “alla fine” – e i – ad es. i wittres
“lo scorso inverno”; i kwelds “ieri sera” – (Levander 1909: 96; Dahl &
Koptjevskaja-Tamm, 2006: 64). Il suffisso -s rappresenta la desinenza
storica regolare per il genitivo singolare maschile e neutro nella
declinazione forte. Tuttavia, vi sono anche locuzioni che mostrano
desinenze del plurale, del femminile, o della declinazione debole, ad es. et
messer “a messa” ed et juoler “per Natale” (Svenonius, 2015: 189).
Espressioni di questo tipo sono individuabili anche in svedese, come nel
caso di till skogs “nella foresta”; till havs “per mare”; till fjälls “in
montagna”. Anche nel caso dello svedese, alcune di queste collocazioni
cristallizzate mostrano di aver conservato suffissi deboli o femminili, ad es.
till handa “sottomano” e till salu “in vendita”.
L’aspetto rilevante è che, tanto in evdalico quanto in svedese, queste
collocazioni non consentono l’inserimento di elementi che modifichino,
determinino o quantifichino il sostantivo. Tuttavia, si può dedurre che
questo tipo di costruzioni, specialmente quelle introdotte da i, abbiano
conosciuto uno stadio di discreta produttività in una fase più antica
dell’evdalico, poiché in antico scandinavo í non reggeva il genitivo
(Svenonius, 2015: 190). Le desinenze etimologiche del plurale e del
femminile risultano limitate a queste espressioni cristallizzate, in cui il
sostantivo appare nella forma indeterminata. Quando il sostantivo appare
nella forma determinata – ad es. nella frase ittað-jär i kullumes saing
“questo è il letto della ragazza” (Levander, 1909:96) – si assiste

106
all’estensione analogica della desinenza maschile -es, affissa alla forma del
dativo, piuttosto che alla presenza della forma prevista, in questo caso
*kuller (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 65).
La generalizzazione del suffisso -s, considerevolmente diffusa nel
panorama germanico, viene definita da Koptjevskaja-Tamm (2003) col
nome di “genitivo deformato” (Dahl, 2015: 158). A differenza degli altri
casi del sistema evdalico, il genitivo non si presta a confronti trasparenti né
sull’asse diacronico – con l’antico scandinavo –, né sull’asse sincronico –
con l’islandese moderno –, risultando dunque anomalo, sia nell’ambito
puramente formale che nei contesti morfosintattici d’uso (Svenonius, 2015:
189). Ringmar (2005: 8) evidenzia la dissoluzione del genitivo come “caso
vero e proprio”110 sia in evdalico che in faeroerico, ribadendo come esso
sia sopravvissuto unicamente in islandese (vd. 1.4.2). Una delle
argomentazioni avanzate, valida anche per lo svedese contemporaneo, è
l’assenza di accordo casuale tra testa e complemento all’interno dei
sintagmi nominali: cfr. ad es. asv. ens gammals manz hæstr vs. sv. en
gammal mans häst “il cavallo di un uomo anziano” (Delsing 1991: 12). In
quest’ultimo esempio, il suffisso -s funge come marca del genitivo per
l’intero sintagma.
La scomparsa del genitivo come caso a sé stante è stata spesso correlata
con la fossilizzazione dell’ordine sintattico del tipo attributo possessivo-
testa111, che Ringmar (2005: 8) ritiene essere una naturale conseguenza
della generalizzazione del morfema -s come marca dell’intero sintagma. In
antico scandinavo, infatti, l’ordine non marcato degli elementi del sintagma
era testa-possessivo (Nygaard, 1966: 129; Faarlund, 2004: 59); inoltre la
desinenza del genitivo appariva sia nella testa che nei modificatori del
possessore, come ad es. nel sintagma skáld Haralds hins hárfagra “lo
scaldo di Araldo Bellachioma” (Svenonius, 2015: 190).
La generalizzazione della desinenza per l’intero sintagma è
individuabile anche in evdalico, si consideri ad es. la frase an bar
pridikantem jär upp-es an “ha portato qua su (la valigia) del predicatore,
lui” (Levander, 1909: 96-97). Come si può notare, il suffisso -es è posto in

110
“kasus i egentlig mening”
111
In islandese, al contrario, il genitivo è tuttora posposto alla testa del sintagma, ad es. Forseti
Íslands “il presidente dell’Islanda” (Ringmar, 2005: 8).

107
coda ad un sintagma complesso, la cui testa (pridikantem) appare al caso
dativo112. Alla luce di questi dati, Dahl & Koptjevskaja-Tamm (2006: 66)
affermano che non si può parlare di un caso genitivo in termini strettamente
morfologici.
Da un punto di vista diacronico, il genitivo in -es appare come una
ricostruzione di tipo analogico, perfettamente equiparabile alla costruzione
con -s dello svedese standard (Ringmar, 2005: 8)113. Questa somiglianza,
evidente ai parlanti stessi, ha portato ad un aumento delle costruzioni con -
es in tempi più recenti (Dahl, 2015: 173). Un aspetto rilevante di questo
fenomeno è la tendenza dei parlanti a scrivere il suffisso come una parola
separata – come ad es. Anna es buok “il libro di Anna” –, indicandone la
scarsa integrazione a livello morfologico (Dahl & Koptjevskaja-Tamm,
2006: 66-67).
Se la desinenza -es rappresenta una marca di possesso, piuttosto che un
caso vero e proprio, questo potrebbe spiegare perché Levander (1909)
riporti alcune forme al genitivo quasi esclusivamente per i sostantivi nella
declinazione determinata: i possessori sono tipicamente determinati e la
determinazione potrebbe persino essere una condizione per la costruzione
possessiva (Svenonius, 2015: 191). L’estraneità del clitico (-)es al sistema
morfologico giustificherebbe dunque le divergenze con l’antico
scandinavo, tra cui le co-occorrenze tra dativo e genitivo, l’indifferenza del
suffisso -es ai generi e alle classi flessive e le lacune nei paradigmi
dell’evdalico classico (Svenonius, 2015: 191-192).
Levander (1909) stesso evidenzia come l’uso del genitivo non
rappresenti, in realtà, la strategia morfosintattica più comune per indicare il
possesso. Esso, invece, è solitamente indicato tramite la posposizione del
(sostantivo) possessore, declinato al dativo (Ringmar, 2005: 8; Dahl &

112
Dahl (2015: 169) definisce questo tipo di costruzione “dativo possessivo complesso”
(complex possessive dative).
113
Assieme a quest’interpretazione, Dahl & Koptjevskaja-Tamm (2006: 66) avanzano
l’ipotesi che -es possa derivare dalla forma al genitivo della terza persona maschile singolare os
(<ascand. hans). In altre varietà dalecarliche, il pronome appare come -as, -ås [ɔs] e ôs [əs], il
che renderebbe ancora più plausibile la derivazione. In tal caso, la costruzione con dativo+ es
appare analoga a quanto riscontrabile in alcuni dialetti tedeschi, con costruzioni del tipo dem
Mann dat. sein pron. poss. Haus “la casa dell’uomo”.

108
Koptjevskaja-Tamm, 2006: 66), come ad es. in Ulov add taið pennskrineð
kullun “Ulov ha preso il portapenne della ragazza” (Åkerberg, 2004: 8)114.
L’assunzione, da parte del dativo, delle funzioni del genitivo nelle
costruzioni possessive è un fenomeno relativamente comune. Esso può
essere ricondotto alla progressiva estensione dei dominî del dativo dalla
funzione di oggetto indiretto. Costruzioni di questo tipo sono individuabili
anche in altre varietà periferiche, nel Norrbotten e nel Västerbotten (Dahl
& Koptjevskaja-Tamm, 2006: 66). La considerevole distanza geografica tra
le aree linguistiche in cui sono presenti costruzioni possessive che
ricorrono al dativo – ad es. tra Älvdalen, Skellefteå e Vätö, vd. carta 8 –
suggerisce che tali costruzioni abbiano una comune origine e che le aree in
esame rappresentino le aree periferiche in cui la costruzione si è meglio
conservata. Il genitivo, non più produttivo in queste aree (Delsing, 1996:
41), avrebbe dunque cominciato ad essere sostituito dal dativo già da prima
del 1350 (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 67).
Carta 8: Varietà linguistiche periferiche che presentano dativo possessivo semplice

114
Questo tipo di costruzione viene denominata da Ringmar (2005: 8) “dativo puro” (sv. ren
dativ). Dahl (2015: 161) ricorre alla definizione “dativo possessivo semplice” (engl. plain dative
possessive), in contrapposizione alla costruzione “complessa” con dativo+es.

109
3.6.3. Dativo
Come accennato in 1.4.2, il dativo, oltre che in dalecarlico e nelle
lingue insulari, è sopravvissuto in diverse altre varietà svedesi e norvegesi,
interessando un’area piuttosto estesa, specialmente nella declinazione
determinata dei sostantivi. Tuttavia, nell’ambito delle varietà continentali, è
proprio nel dalecarlico superiore che il dativo mostra di essersi
maggiormente conservato (Ringmar, 2005: 7). In evdalico, esso è presente
anche nella flessione aggettivale e dei numerali, nonché nel paradigma
indeterminato del singolare dei sostantivi forti maschili neutri
(Reinhammar 1973:28-29).
Il suffisso indeterminato -e (/-i) dell’evdalico corrisponde,
fondamentalmente, al suffisso -i dell’islandese e del faeroerico. In antico
scandinavo non tutte le classi flessive del maschile presentavano suffisso -i
e, tanto nelle fonti antico-svedesi quanto nelle fonti antico-islandesi, c’è
una certa confusione riguardo a quali sostantivi debbano presentare il
suffisso. L’evdalico ed il faeroerico mostrano di aver esteso il suffisso,
generalizzandolo, seppure con alcune eccezioni, ai sostantivi monosillabici
con tema in consonante. Alla luce delle sue caratteristiche fonetiche – che
lo esponevano al rischio di apocope – e considerata la sua posizione già
indebolita in antico svedese (Pamp, 1971: 129), la sopravvivenza del
suffisso in evdalico appare particolarmente rilevante (Ringmar, 2005: 7).
La forma definita viene formata con l’aggiunta del suffisso -m, ad es.
kåvem “al vitello”, rövim “alla volpe”. La sopravvivenza del dativo nella
declinazione dei sostantivi neutri è forse stata facilitata dal fatto che la
maggior parte dei sostantivi neutri presenta tema originario in a115, come
anche testimoniato da alcune forme cristallizzate in svedese standard, ad es.
man ur huse (<pgmc. *hūsą) “uomo fuori di casa” (Levander 1928: 194;
Reinhammar 1993: 186). La distinzione tra forma determinata e forma
indeterminata è marcata dalla nasalizzazione nel suffisso della forma
determinata (Ringmar, 2005: 7).
Il suffisso del dativo plurale indeterminato -um mostra di essersi
conservato sia in dalecarlico che nelle lingue insulari. Anche in questo caso

115
“Vid neutrala substantiv har det på sätt och viss varit enklare eftersom nästan alla ord ska ha
ändelse (dvs. de är s.k. a-stammar)” (Ringmar, 2005: 7). Per approfondimenti sulle classi flessive
dei sostantivi germanici vd. Lehmann (2004).

110
è possibile individuare delle espressioni in svedese standard che presentano
il suffisso, ad es. i lönndom “in segreto”, lagom “abbastanza”, stundom
“talvolta” (Ringmar, 2005: 8). La sopravvivenza del suffisso può essere
attribuita alla sua frequenza d’uso, in quanto comune a tutti i generi. La
tendenza ad unificare le desinenze del dativo plurale è comune a tutte le
lingue germaniche, sebbene le caratteristiche fonetiche dei risultati possano
variare116 (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 71).
L’evdalico, inoltre, mostra sincretismo tra la forma determinata e la
forma indeterminata, che hanno probabilmente iniziato a convergere verso
la fine del XIX secolo117 (Dahl, 2015: 41). Questo tipo di sviluppo,
tipicamente scandinavo, sembra essere comune alla maggior parte delle
varietà che hanno preservato il dativo in Svezia, tra cui spicca la varietà di
Skellefteå, che presenta una forma per il dativo singolare ed una per il
plurale (Marklund, 1976; Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 69; Dahl,
2015: 41). La perdita della distinzione di determinatezza nei plurali può
essere una conseguenza della fusione dei suffissi determinativi e del
plurale118 (Svenonius, 2015: 218).

3.6.4. Accusativo
Alla luce di quanto evidenziato in 3.2, l’accusativo rappresenta
indubbiamente l’elemento più debole del sistema flessivo evdalico e
sembrerebbe destinato a scomparire, così come nella maggior parte delle
varietà svedesi periferiche (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 71).
Ad oggi, la distinzione nominativo-accusativo – già in regressione in
Levander (1928: 128) – è da considerarsi arcaica, anche per i parlanti più
conservativi. Questi dimostrano di aver conoscenza delle forme
all’accusativo e possono citarle come forme corrette o preferibili in contesti
di elicitazione, ma la distinzione tra i due casi risulta sostanzialmente
assente nella produzione spontanea (Svenonius, 2015: 209).

116
Una desinenza comune -um per il dativo plurale è già individuabile in antico scandinavo ed
antico inglese. Anche il gotico presenta un unico suffisso -m, preceduto da diverse vocali, in
base al tema del sostantivo. Per ulteriori approfondimenti vd. Dahl & Koptjevskaja-Tamm
(2006: 71)
117
Questa caratteristica è condivisa da tutto il dalecarlico superiore, eccetto la varietà di Orsa,
dove la desinenza del dativo plurale è -uma (Dahl & Koptjevskaja-Tamm 2006: 71). Nel
dalecarlico inferiore ed occidentale, la forma del dativo plurale indeterminato corrisponde al
nominativo ed il suffisso -um appare nella flessione determinata (Ringmar, 2005: 8).
118
Vd. 3.3

111
Se si vuole operare un confronto sincronico, l’evdalico classico, così
come l’islandese, mostra di aver mantenuto una forma distinta per
l’accusativo plurale maschile, laddove il faeroerico mostra l’estensione
della desinenza -r del nominativo (Ringmar, 2005: 6). A fronte dell’assenza
della distinzione nominativo-accusativo nella flessione singolare dei
sostantivi maschili, la sua presenza nel plurale rappresenta un’anomalia
anche in termini tipologici (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 70). In
generale, la marcatura esplicita dell’oggetto diretto è tendenzialmente più
comune nei sintagmi con posizione alta nella scala di individuabilità 119. La
scala è implicazionale, e la presenza di una marca dell’accusativo al plurale
implicherebbe la sua presenza al singolare 120 (Hopper & Thompson 1980:
253).
Questa caratteristica particolare dell’evdalico può essere considerata un
effetto di diversi mutamenti di ordine fonologico, che hanno
incidentalmente portato all’eliminazione della distinzione nominativo-
accusativo nei singolari maschili, piuttosto che di una riduzione sistematica
del sistema morfologico. Un elemento così scarsamente integrato nel
sistema presenta chiaramente una forte instabilità e può essere soggetto ad
eliminazione (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 71).
Sebbene in evdalico tradizionale sia possibile individuare forme
dell’accusativo in contesti che prevedono l’accusativo, il sistema in sé non
presenta questa distinzione nei sintagmi nominali. La distinzione è invece
presente a livello sintattico tra contesti che prevedono il nominativo e
contesti che prevedono l’accusativo, giacché i pronomi di prima e seconda
persona – sia singolare che plurale – continuano a distinguere
sistematicamente la posizione del soggetto dalle altre posizioni (Svenonius,
2015: 217).
Secondo Svenonius (2015: 207), dunque, la lingua deve prevedere il caso
accusativo affinché esso possa essere espresso a livello pronominale e,
siccome la distribuzione sintattica dei sintagmi nominali è identica a quella

119
Per uno studio approfondito vd. Grimm (2018).
120
Sebbene la situazione dell’evdalico risulti anomala, non ci sono prove definitive che un
sistema di questo tipo non sia tollerato nelle lingue umane (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006:
71).

112
dei pronomi, bisogna dedurne che l’accusativo esista, sebbene non sia
esplicitamente marcato nel paradigma nominale.

3.6.5. Vocativo
Nella descrizione del sistema casuale evdalico, Levander (1909: 24) cita
alcune forme che interpreta come ricorrenze di un caso vocativo, in
particolare i nomi propri maschili Lasse e Nisse per cui riporta le forme
Lass! e Niss!. Il caso vocativo, così come ereditato dal sistema flessivo
indoeuropeo, risulta già in sostanziale regresso negli stadi più tardi del
protogermanico (Lehmann, 2014: 51). Nelle lingue storiche, questo si
sarebbe conservato unicamente nel gotico, per cui la forma del vocativo
tende generalmente a convergere con quella del nominativo o
dell’accusativo121 (Wright, 1910: 84). L’assenza del caso vocativo in antico
scandinavo, dunque, implica che le forme attestate dall’evdalico necessitino
di una diversa interpretazione (Steensland, 2015: 167).
Anche in evdalico moderno è possibile individuare alcune categorie
nominali che sembrano presentare una forma al vocativo, generalmente
formata tramite l’elisione della vocale o della sillaba finale (Steensland,
2015: 168-169). Queste categorie sono:
1) Nomi propri maschili e femminili
a) Lasse > Lass!
b) Lina > Lin!
c) Friða > Frið!
2) Lessico di parentela
a) muna “madre” > mun!
b) tytta “zia” > tytt!
c) pappa “papà” > papp!
3) Nomi di animali domestici
a) masse “micio” > mass!
4) Nomi di figure religiose
a) Faðer “padre” > Fað!
b) Djiesus “Gesù” > tjiess!
c) Satan/ sate “Satana/ bastardo” > sat!

121
Fatta eccezione per la flessione di atta “padre”, che presenta suppletivismo e per cui il
vocativo mostra la forma ereditaria fadar (Lehmann, 1910: 45).

113
5) Alcuni nomi comuni
a) gosse “ragazzo” > goss!
È opportuno evidenziare che alcune forme, come nel caso di pappa al
punto 2c, costituiscono dei prestiti di ingresso relativamente recente dallo
svedese, il che indica come questo tipo di formazione abbia conosciuto un
periodo di produttività piuttosto esteso (e come sia, probabilmente, tuttora
produttiva). Tuttavia, a partire da questi esempi, risulta complicato dedurre
una regola generale e sistematica per la formazione del vocativo (Steensland,
2015: 169). Per quanto riguarda le forme dei nomi propri maschili – così
come per masse, sate e gosse –, si potrebbe sostenere che si tratti di semplici
esempi di apocope (vd. 2.3.2). Lo schema prosodico, tuttavia, contrasta con
questa ipotesi: le forme abbreviate degli esempi mostrano accento acuto
(altrimenti detto accento 1, proprio dei monosillabi), laddove le forme
apocopate – come ad es. Lass willd tşyöp pärur – conservano l’accento grave
(Steensland, 2015: 169).

Levander (1909: 36) indica la caduta della -a come regola per la


formazione del vocativo dei nomi femminili uscenti in -na preceduto da
vocale. Questa regola è applicabile anche nel caso di muna, al punto 2a e,
anche in questo caso, si assiste al cambio di accento, da grave ad acuto.
Questa spiegazione non appare però adeguata nel momento in cui si
prendono in considerazione forme come Frið (punto 1c), tytt (2b) e Grit (<
Grita), che non presentano uscita in -na al nominativo122 (Steensland, 2015:
170). Alla luce di queste osservazioni, Steensland (2015: 171) avanza
l’ipotesi che la regola generale per la formazione del vocativo consista
nell’elisione dell’ultima vocale e la trasformazione dell’accento da grave ad
acuto. Questa regola non sembra però applicabile agli esempi 4a e 4b.
Tuttavia, se si ipotizza che si tratti di forme piuttosto arcaiche – ipotesi più
che plausibile se si tiene conto del campo semantico – si può sostenere che
esse seguano lo schema di elisione dell’ultima sillaba proposto da Levander
(1909), il che renderebbe possibile anche la derivazione di sat da Satan, oltre
che da sate. In merito, Steensland (2015) opera un confronto con le uniche

122
Altre irregolarità sono presentate da Ann – indicata da alcuni informatori moderni – la cui
uscita -na non è preceduta da vocale e da Jöst (< Jösta), poiché si tratta di un maschile
(Steensland, 2015: 170).

114
due forme di vocativo sopravvissute nel russo contemporaneo, entrambe di
carattere religioso: Боже мой! “mio Dio!” e Господи! “Oh, Signore!”.

Una volta ipotizzato che il vocativo evdalico, così descritto, rappresenti


un’innovazione, risulta comunque piuttosto complesso determinare il
periodo durante il quale questa innovazione avrebbe avuto luogo. Due sono
le attestazioni scritte che possono fornire alcune indicazioni: la prima è una
serie di paradigmi in un manoscritto di Borg (1768: 62), che indica la forma
al vocativo goss (punto 5a), tuttora presente in evdalico. La seconda consiste
in una traduzione del Padre Nostro a cura di Näsman (1733: 35), reso come
Fad Uær, che confermerebbe dunque la relativa antichità della forma Fað.
La presenza di testi risalenti all’inizio del XVIII secolo che attestano esempi
di vocativo formato tramite l’elisione dell’ultima vocale (o sillaba)
suggerisce dunque che il fenomeno possa essere ancora più antico
(Steensland, 2015: 173).

Si può infine individuare un’ulteriore strategia, di carattere prosodico,


per esprimere il complemento di vocazione in evdalico. Essa consiste nel
semplice spostamento dell’accento sulla sillaba finale, come nel caso della
frase ev jųot an-dar, Gunnár! “portami lui qui, Gunnar” (cfr. vs. ev jųot an-
dar Gúnnar! “portami qui questo [individuo di nome] Gunnar”). Un esempio
simile è offerto da Levander (1909: 36) stesso, il quale indica Anná come
forma al vocativo di Anna, il che dimostra come questo tipo di strategia
fosse in uso già al suo tempo. Nell’analisi della prima strategia per la
formazione del vocativo qui descritta, Steensland (173-174) opera dei
confronti con alcune lingue indoeuropee antiche. L’obiettivo è quello di
determinare se ci sia una correlazione causale tra l’elisione e la modifica
della struttura prosodica, avanzando due ipotesi principali:

1) Il cambio dell’accento è innescato dall’elisione, ovvero, i nomi


contratti assumono l’accento acuto tipico dei monosillabi;
2) L’elisione è causata dalla modifica dell’accento, i nomi vengono
contratti perché presentano l’accento acuto. Si tratterebbe in questo
caso di un fenomeno di analogia o riduzione fonetica.

115
Le forme del vocativo presentate dall’antico slavo ecclesiastico – nella
varietà russa123 – e dal greco antico sembrano confermare la prima ipotesi.
Nel caso dell’antico slavo ecclesiastico, la flessione di жена [ʒɛˈna]
“donna” presenta l’accento sulla prima sillaba solo al vocativo жено
[ˈʒɛno], negli altri casi esso cade sempre sull’ultima sillaba. Allo stesso
modo, in greco antico, l’accento cade sulla prima sillaba solo nella forma
γύναι, vocativo di γυνή “donna”.

È opportuno sottolineare che – sebbene sia possibile avanzare


un’ipotesi di questo tipo – questo confronto non mira a dimostrare che
l’evdalico rappresenti un caso eccezionale di lingua scandinava che ha
conservato una strategia di formazione del vocativo ricostruibile per il
protoindoeuropeo124. Al contrario, si può sostenere che questa strategia
costituisce un fenomeno potenzialmente molto diffuso e produttivo, che può
apparire indipendentemente in diverse lingue125. Generalmente il vocativo,
così come il modo imperativo, si configura come una forma morfologica
altamente indipendente, non legata ad un particolare contesto sintattico
(Donati, 2010), che svolge una funzione sostanzialmente espressiva. È forse
per questa caratteristica che, secondo Steensland (2015: 175), il vocativo e
l’imperativo nelle lingue indoeuropee tendono a mostrare il tema puro 126
(vd. lat. lupe, voca) (Moro, 2003: 258), tendenza mostrata, come
innovazione, anche dall’evdalico.

È possibile corroborare l’ipotesi di Steensland (2015) operando


un’analisi delle strategie di espressione del complemento di vocazione in
russo (Parrot, 2010) ed italiano contemporaneo (Alber, 2010; Huszthy,
2019), specialmente nelle loro varietà colloquiali. Il russo mostra la caduta

123
Per semplicità Steensland (2015: 174) riporta le forme secondo l’ortografia russa moderna.
124
La baritonesi è, ad ogni modo, un tratto tipico del vocativo indoeuropeo (Di Giovine, c.p., 10
agosto 2020). Esaminando il fenomeno della ritrazione dell’accento nelle lingue indoeuropee
antiche Lazzeroni (1995) afferma: “nelle coppie diatoniche del greco e del sanscrito la
baritonesi segnala il termine caratterizzato dal tratto che occupa il posto più alto nella gerarchia
dell’individuazione: il nome proprio rispetto al nome comune, il sostantivo rispetto
all’aggettivo, il nome d’azione rispetto al nome d’agente (assimilato all’aggettivo), l’agente
individuato rispetto all’agente generico” (Lazzeroni 1995: 4-5).
125
“a universal, psychologically motivated phenomenon that could appear in different
languages at different times, lacking any direct connection.” Steensland (2015: 174)
126
Per un’analisi più approfondita del vocativo dal punto di vista morfosintattico vd. Donati
(2010).

116
di -a finale delle forme ipocoristiche dei nomi di persona, dei nomi di
parentela e dei nomi di animali domestici:

a) Саша (Saša) > Саш! (Saš!)


b) Мама (Mama) > Мам! (Mam!)
c) Лайка (Lajka) > Лайк! (Lajk!)

Questo fenomeno costituisce un’innovazione piuttosto recente,


documentata solamente a partire dalla seconda metà del XIX secolo127 ed
accettata in diversi contesti sintattici – ad es. in posizione intrafrasale –
solamente dagli informatori appartenenti alle generazioni più giovani,
cresciuti nei centri urbani durante il periodo post-sovietico (Parrot, 2010:
214).

Dall’analisi delle strategie di espressione del complemento di vocazione


in italiano emergono analogie ancor più interessanti. Una strategia diffusa
consiste nel troncamento dei nomi propri di persona, che appaiono ridotti a
forme bisillabiche, con ritrazione dell’accento sulla prima sillaba 128 (Alber,
2010: 2).

a) Fránce < Francesca


b) Vále < Valentina, Valentino
c) Ále < Alessandra, Alessandro
d) Mánu < Manuela

Come si evince dagli esempi, il fenomeno presenta caratteristiche


notevolmente simili al vocativo evdalico: le forme tronche mostrano
ritrazione dell’accento sulla prima sillaba, assumendo la struttura prosodica
più comune per i bisillabi.

3.7. Verbi
A differenza dello svedese contemporaneo, sia l’evdalico classico che
l’evdalico tradizionale presentano accordo verbale per persona e numero
(Garbacz, 2010: 44). Come indicato in 1.4.3.2, lo svedese mostra la riduzione

127
Vadim Krys’ko, (cit. in Steensland, 2015: 174)
128
Questa strategia è denominata “ancoramento all’estremità sinistra” (anchoring to the left
edge) da Alber (2010, 2). Il fenomeno è particolarmente diffuso nell’area settentrionale,
laddove le varietà centro-meridionali mostrano prevalentemente il troncamento dopo la vocale
tonica (cfr. it.reg.sett. Fránce, Vále, Ále, Mánu vs. it.reg.cm. Francé, Valentì, Alessà, Manué)
(D’alessandro & van Oostendorp, 2016: 63; Huszthy, 2019: 171)

117
delle marche d’accordo verbali ad un’unica forma a partire dal 1600 ca.
(Larsson, 2005: 1276). Il paradigma delle marche d’accordo appare simile a
quello dell’yngre fornsvenska, presentando un’unica desinenza per le persone
del singolare e tre desinenze distinte per le persone del plurale (Sapir, 2006:26).
Al di là di questo aspetto, il sistema verbale dell’evdalico appare
sostanzialmente identico a quello svedese.

L’evdalico consta infatti di cinque tempi verbali, di cui presente e preterito


rappresentano i tempi semplici, laddove perfetto, piuccheperfetto e futuro
costituiscono i tempi composti. Il sistema verbale distingue inoltre tre diatesi –
attiva, passiva129 e riflessiva – e cinque modi: due finiti – indicativo e
imperativo – e tre indefiniti – infinito, participio presente e supino – (Garbacz,
2010: 45; Sapir, 2006: 26).

Alcune forme relittuali di congiuntivo – recessivo in buona parte delle


lingue germaniche (Harbert, 2006: 278; König & Van der Auwera, 2013) –
sono individuabili in wäre (cfr. sv. vore), congiuntivo preterito di wårå
“essere”130, ed edde congiuntivo preterito di åvå “avere” (Sapir, 2006: 26;
Garbacz, 2010: 45)131. Per gli altri verbi, il modo congiuntivo può essere
espresso tramite la preposizione dell’ausiliare edde al supino del verbo
principale per il preterito – ad es. kanstşi eddum bellt råkas i morgų atte? “forse
potremmo rivederci domani?” – e con la preposizione di edde + að al supino del

129
Analogamente a quanto accade in svedese, la forma passiva è contraddistinta dal suffisso –s,
cfr. sv. bära, ev. bjärå “trasportare” vs. sv. bäras, ev. bjärås “essere trasportato”. Il suffisso può
inoltre indicare un’azione reciproca (sv. träffa, ev. råka “incontrare” vs. sv. träffas, ev. råkas
“incontrarsi”) o un verbo deponente come ad es. ųogas “occuparsi” (Sapir, 2006: 26).
130
A tal riguardo vi è in realtà una discrepanza tra le fonti: Garbacz (2010), citando Levander
(1909b: 88) riporta wäre come forma al congiuntivo preterito – e con lui Ringmar (2005: 13) –,
sostenendo inoltre che questo presenti una flessione per tutte le persone, laddove Sapir (2006)
cita wäre come forma di congiuntivo presente, la cui flessione è limitata alla terza persona
singolare. In questa sede si considera wäre forma al preterito per due ragioni principali: 1) essa
è indicata come forma al preterito da Sapir stesso in Sapir & Nyström (2015: 65); 2) La forma
wäre presenta Umlaut da –i, regolare fenomeno per il congiuntivo preterito nelle varietà antico
scandinave occidentali (Vigfússon et al., 2007: 25), come indicato da Garbacz (2008: 1) in una
nota sui caratteri prettamente orientali e occidentali dell’evdalico, contrastando la forma
evdalica a sv. vore che invece non presenta Umlaut (cfr. anche vs. isl. væri). Tuttavia, né la
grammatica di Sapir & Nyström (2015), né quella di Åkerberg (2012) testimoniano una flessione
al di fuori della terza persona singolare per questa forma, se ne deve dedurre che la flessione di
wäre fosse già in recessione al tempo di Levander.
131
Operando un confronto con le lingue insulari, l’islandese presenta una flessione completa
del congiuntivo, sia al presente che al preterito, laddove il faeroerico conserva alcune forme di
congiuntivo soltanto in poche espressioni fossilizzate (Ringmar, 2005: 12; Levander 1909:88;
Thráinsson, 2004: 68-69).

118
verbo principale per il piuccheperfetto – ad es. eddum að bellt råkas “ci
saremmo potuti incontrare” – (Sapir & Nyström, 2015: 65).

Così come la maggior parte delle lingue germaniche, l’evdalico mostra una
distinzione tra verbi deboli e verbi forti. I verbi forti, caratterizzati dall’assenza
di suffisso in dentale nel preterito e nel perfetto, sono ulteriormente divisibili in
sette gruppi apofonici. I verbi deboli, che presentano regolarmente suffisso in
dentale al preterito ed al perfetto, sono invece stati classificati da Sapir e
Nystrom (2015) in cinque classi (Sapir, 2006: 26).

Nelle tabelle sottostanti sono illustrati gli schemi flessivi di verbi


appartenenti ai due gruppi, indicando – ove opportuno – le differenze emerse
nell’evoluzione storica da evdalico classico ad evdalico tradizionale.

3.7.1. Verbi deboli


Tabella 54: Coniugazione indicativa di spilå “giocare” in evdalico classico

Tempo Presente Preterito


Persona Singolare Plurale Singolare Plurale
I spilär spilum spiläð spiläðum
II spilär spilið/-ir132 spiläð spiläðið/-ir4
III spilär spilå spiläð spiläð

Tabella 54b: Coniugazione indicativa di spilå “giocare” in evdalico tradizionale

Tempo Presente Preterito


Persona Singolare Plurale Singolare Plurale
I spilär spilum spiläð spiläðum
II spilär spilið spiläð spiläðið/-ir
III spilär spilå spiläð spiläð

132
Le forme con desinenza –ir sono attestate da Levander (1909b: 86) nei villaggi di Åsen ed
Evertsberg (Garbacz, 2010: 45). La distribuzione geografica corrisponde dunque a quella dei
pronomi wįr e įr (Levander, 1909b: 63).

119
3.7.2. Verbi forti
Tabella 55: Coniugazione indicativa di fårå “viaggiare” in evdalico classico

Tempo Presente Preterito


Persona Singolare Plurale Singolare Plurale
I far farum fuor fuorum
II far farið/ -ir fuor fuorið
III far fårå133 fuor fuoru
fuorå
fuora
fuorä134

Tabella 55b: Coniugazione indicativa di fårå “viaggiare” in evdalico tradizionale

Tempo Presente Preterito


Persona Singolare Plurale Singolare Plurale
I far farum fuor fuorum
II far farið fuor fuorið
III far fårå135 fuor fuoru

Come si può vedere dalle tabelle, con lo sviluppo dall’evdalico classico


all’evdalico tradizionale, la morfologia verbale è rimasta sostanzialmente
invariata. Le forme riportate per l’evdalico tradizionale rispecchiano la varietà
del villaggio di Brunnsberg, ma risultano ugualmente valide per diverse altre
varietà136 (Garbacz, 2010: 46).

Analogamente a quanto precedentemente accennato, sia l’evdalico classico


che l’evdalico tradizionale presentano sincretismo per le marche di accordo delle
tre persone singolari. Inoltre, come si evince dalle tabelle 43 e 43b, la forma del
singolare viene estesa anche alla terza persona plurale nel preterito dei verbi
deboli (vd. ad es. spilað). Questa convergenza è presente anche nel presente per
alcuni verbi irregolari che presentano paradigma difettivo, come nel caso di iess
“è probabile, si dice”; lär “è possibile”, luss e syökse “sembra” (Garbacz, 2010:
46-47).

133
Notare l’armonia vocalica
134
Levander (1909b:87) attesta rispettivamente la forma fuorå per il villaggio di Åsen, fuora per
tutti i villaggi occidentali e fuorä per i villaggi di Gåsvarv, Blyberg and Garberg (Garbacz, 2010:
45).
135
Notare l’armonia vocalica
136
Gli altri informatori consultati da Garbacz (2010: 57) sono originari di Åsen, Loka e Klitten.

120
Nell’ambito dei verbi forti, operando un confronto tra evdalico e scandinavo
insulare, si può notare che l’islandese ha conservato marche d’accordo distinte
per quasi tutte le persone, laddove – sia al presente che al preterito – il faeroerico
presenta una sola forma per il plurale137, estesasi dalla terza persona etimologica,
analogamente a quanto accade nello svedese scritto fino al 1950 ca. (Ringmar,
2005: 12). Inoltre, al presente, sia il faeroerico che l’islandese mostrano una
distinzione tra la prima persona e le restanti persone del singolare. Si prenda in
considerazione la seguente tabella:

Tabella 56: Coniugazione dei continuatori di ascand. beita “mordere”138

Presente
Evdalico Faeroerico Islandese
Singolare I bait bíti* bít
II bait* bítur (*) bítur (*)
III bait* bítur (*) bítur (*)
Plurale I baitum bíta* bítum
II baitið bíta* bítið
III baita bíta bíta
Preterito
Singolare I biet beit beit
II biet* beitst (*) beist
III biet beit beit
Plurale I bietum bitu* bitum
II bietið (*) bitu* bituð
III bietu bitu bitu

È opportuno specificare che in evdalico, all’interno di frase, la forma della


terza persona plurale del preterito dei verbi forti presenta regolarmente apocope,
apparendo ortograficamente identica alla forma singolare, come ad es. fuoru>
fuor. Le forme, tuttavia, appaiono differenti a livello fonetico e prosodico,
giacché la forma del singolare presenta accento acuto (accento I) e la forma del
plurale presenta accento grave (accento II) (Garbacz, 2010: 47).

Sebbene, come affermato precedentemente, i paradigmi flessivi


dell’evdalico presentino notevoli similitudini con l’antico svedese tardo, è
necessario evidenziare alcune importanti divergenze. La prima tra queste è

137
NB: nella coniugazione dei verbi deboli il faeroerico presenta distinzione di numero, ma non
di persona (Ringmar, 2005: 12).
138
Gli asterischi indicano deviazioni dall’antico scandinavo, gli asterischi tra parentesi indicano
deviazioni di minor rilevanza (Ringmar, 200: 12).

121
proprio l’assenza di apocope in antico svedese, che mostra dunque una
distinzione ortografica tra le forme del singolare e la terza forma plurale nel
preterito dei verbi forti. Inoltre, la desinenza della seconda persona plurale in
antico svedese è -in, laddove l’evdalico presenta -ið/ -ir. Analizzando il testo
della Comoedia di Prytz (1622), Björklund (1956: 98-107) ha supposto che
l’antica desinenza -in fosse presente anche in evdalico, e sarebbe andata perduta
nel corso del XVII secolo (Garbacz & Johannessen, 2015: 27).
Etimologicamente, la desinenza -ið/ -ir consisterebbe nella rianalisi del pronome
di seconda persona plurale139. Rosenkvist (2008: 17) ritiene che il fenomeno di
rianalisi sia alla base delle costruzioni morfosintattiche con soggetto nullo per la
seconda persona plurale140. Di diversa opinione Ringmar, che – come si evince
dalla tabella 56 – considera -ið il regolare continuatore del suffisso antico-
scandinavo: cfr. ad es. ev. baitið vs. isl. bítið < ascand. bitið141.

Sia in evdalico classico che in evdalico tradizionale è possibile omettere il


soggetto della prima e della seconda persona plurale dei verbi (Garbacz &
Johannessen, 2015: 36). Questo fenomeno – citato nella letteratura di riferimento
con la definizione di pro-drop o null referential subject – è comunemente
imputato al sistema delle marche di accordo del paradigma verbale (Rosenkvist
2008, 2010; Garbacz 2010: 78). Nonostante la ricca morfologia verbale, il
fenomeno non si verifica invece in islandese: cfr.ad es. ev. warum aut bitaið um
morgun vs. isl við vorum úti snemma um morguninn “siamo usciti la mattina
presto”142 (Ringmar, 2005: 12). Viceversa, come dimostrato da Garbacz &
Johannessen (2015: 26), il fenomeno di omissione del soggetto ha permesso la
conservazione delle marche d’accordo delle prime due persone plurali in
evdalico moderno e contemporaneo. Il suffisso -um della prima persona plurale
– comune al presente ed al preterito, sia nella flessione forte che nella flessione
debole – è presente in islandese e nelle varietà scandinave continentali

139
Per ulteriori informazioni sulla rianalisi di pronomi personali come desinenze verbali, vd. Fuß
(2005).
140
Vd. 4.7.
141
Seguendo l’ipotesi di Ringmar, per il preterito bietið sarebbe dunque necessario presuppore
un’analogia basata sulla forma del presente.
142
Per un confronto più approfondito dei sistemi flessivi vd. Sigurðsson (1993: 275)

122
medievali, ma risulta scomparso in faeroerico143 e nello scandinavo continentale
moderno (Garbacz & Johannessen, 2015: 26).

Garbacz & Johannessen (2015) hanno condotto una ricerca sull’Övdalian


Speech Corpus, al fine di confermare l’ipotesi di Steensland (2000); Åkerberg
(2000, 2004, 2012); Nyström & Sapir (2005a, b) e Garbacz (2010: 46) riguardo
alla distribuzione dei suffissi -um ed -ið in evdalico moderno. Dalla
consultazione del corpus emergono dati inequivocabili: non è stata trovata
alcuna ricorrenza in cui il suffisso -um fosse accordato con un soggetto diverso
dalla prima persona plurale, né alcuna ricorrenza in cui il suffisso -ið fosse
accordato con un soggetto diverso dalla seconda persona plurale (Garbacz &
Johannessen, 2015: 26-27). Allo stesso modo non sono emerse ricorrenze in cui
soggetti alla prima o seconda persona plurale fossero accordati con verbi aventi
suffissi diversi da quelli previsti. Un’analisi di controllo è stata condotta
servendosi del suffisso -eð, ossia il suffisso del preterito dei verbi deboli. Come
previsto, nelle 60 attestazioni ottenute dalla ricerca, tale suffisso risulta sempre
accordato con le tre persone singolari e la terza persona plurale, non risultando
dunque mai esteso alle prime due persone plurali.

Alla luce di questi dati – analogamente a quanto rilevato da Helgander


(2005: 20) – si può concludere che l’evdalico moderno abbia mantenuto intatta
la distinzione di numero e persona (Garbacz & Johannessen, 2015: 28),
contrariamente a quanto sostenuto da Angantýsson (2011: 93), che ritiene che il
sistema di accordo verbale sia in declino tra i parlanti più giovani.

143
Thráinsson (2004: 426) attesta ancora il suffisso -um per la prima persona plurale nella
varietà di faeroerico delle Norðoyar durante la metà del XIX secolo.

123
3.7.3. Verbi ausiliari: wårå e åvå
Tabella 57: Coniugazione di wårå “essere”

Indicativo
Tempo Presente Preterito
Persona Singolare Plurale Singolare Plurale
I ir irum war warum
II ir irið war warið
III ir irå war waru
Imperativo Singolare Plurale
II wari warið
Participio presente wärend
Supino werið
Congiuntivo Preterito
III singolare wäre

Tabella 58: Coniugazione di åvå “avere”

Indicativo
Tempo Presente Preterito
Persona Singolare Plurale Singolare Plurale
I ar amm adde addum
II ar avið adde addið
III ar åvå adde adde
Imperativo Singolare Plurale
II avi avið
Participio presente avend
Supino apt
Congiuntivo Preterito
Persona Singolare Plurale
I ed eddum
II ed eddið
III ed edde

3.7.4. Reggenza verbale


In prospettiva sincronica, il sistema di reggenze dell’evdalico può talvolta
apparire poco intuitivo, specialmente per quanto riguarda il caso dativo. In
lingue come il tedesco, ad esempio, il dativo svolge solitamente la funzione di
oggetto indiretto, laddove la funzione di oggetto diretto è regolarmente svolta
dall’accusativo. Nelle lingue delle aree relittuali scandinave – in particolare nel
caso dell’evdalico e dell’islandese – il quadro appare più complesso. L’antico
scandinavo presenta diversi verbi in cui l’oggetto diretto è espresso con il dativo
o il genitivo (Ringmar, 2005: 13). Un sistema di questo tipo può dar luogo ad
ulteriori sviluppi secondo due modalità principali (Thráinsson et al., 2004: 429):

124
1) L’accusativo può estendersi ai contesti in cui l’oggetti diretto è espresso con
il dativo, specialmente nei casi in cui quest’ultimo dovesse risultare
idiosincratico
2) Qualora sia possibile individuare delle regolarità semantiche che supportino
la presenza del dativo, questo potrebbe estendersi ai contesti in cui l’oggetto
diretto – con un simile ruolo semantico – è espresso con l’accusativo
Sia l’evdalico che il faeroerico, come già accennato, sono privi di verbi con
reggenza al genitivo, variamente sostituito dal dativo o dall’accusativo
(Ringmar, 2005: 13). Questa caratteristica fornisce un’ulteriore prova della
riduzione d’impiego del genitivo in evdalico come caso strictu sensu.
L’evdalico, ancor più dell’islandese (Barðdal 2001; Maling 2002), mostra una
tendenza all’estensione del dativo ai danni dell’accusativo nell’espressione
dell’oggetto diretto, come illustrato nel punto 2. Per quest’aspetto, l’evdalico
costituisce un caso unico tra le varietà continentali144 (Levander 1928: 112). Il
faeroerico segue invece la tendenza inversa, mostrando l’estensione
dell’accusativo in verbi che reggevano storicamente il dativo.

Levander (1909b: 99) fornisce un elenco di 125 verbi che reggono


esclusivamente il dativo, alcuni esempi sono jåpa “aiutare”, myöta “incontrare”,
truo “credere”, glemma “dimenticare”, kasta “lanciare”, lęsa “bloccare”,
sammbel “raccogliere”, åka “andare (con un mezzo di trasporto)” (Ringmar,
2005: 14). Alcuni verbi come jåpa, myöta e truo (cfr. vs. isl. hjálpa, mæta, trúa;
fø. hjálpa, møta, trúgva.) mostrano di aver conservato la reggenza al dativo in
tutte e tre le lingue (Ringmar, 2005: 13). Per altri verbi, invece, il dativo svolge
una funzione strumentale, come ad es. nelle espressioni ig ar ringt klukkum “ho
suonato la campana” (Reinhammar, 1973: 181) e wind stienum “lanciare
pietre”145 (Åkerberg 2002: 51). Una situazione analoga è presentata da alcuni
verbi che reggono il dativo in islandese, ad es. henda “lanciare”, ýta e moka
“sparare”.

In evdalico ed islandese, inoltre, il dativo svolge la funzione di complemento


di materia quando retto da verbi come graina “piangere”, ųosta “tossire”, spaja

144
Le restanti varietà dell’area relittuale II mostrano di aver conservato il dativo quando retto
da una preposizione, ma non quando retto da un verbo. (Reinhammar 1973:71).
145
Per la precisione Åkerberg (2012: 51) parla in questo caso di “oggetto di manipolazione”
(manipulationsobjekt). Ritengo che ci sia sufficiente contiguità semantica, così come descritta
da Thráinsson et al. (2004), per far rientrare il caso nell’ambito della funzione strumentale.

125
“vomitare”, raingen “piovere” (Ringmar, 2005: 14). Per queste categorie di
verbi, l’evdalico – concordando con l’islandese – appare più conservativo del
faeroerico, che mostra invece l’accusativo146.

L’islandese, inoltre, conserva ancora diversi verbi per cui il soggetto è


espresso con un caso diverso dal nominativo, in particolare l’accusativo, come
ad es. mig lystir “ho voglia” (Ringmar, 2005: 16). Laddove l’evdalico – seppur
marginalmente – mostra ancora delle costruzioni di questo tipo – ad es. laindsa/
stytta dagum “le giornate si allungano/accorciano” (Reinhammar, 1973: 190) e
megh ticker147 “penso” (Garbacz, 2010: 31) –, il faeroerico mostra la tendenza a
sostituire con il nominativo il soggetto espresso al caso obliquo.

146
Nel caso del complemento strumentale, è possibile trovare attestazioni in antico islandese in
cui esso appare espresso con l’accusativo. La presenza di queste attestazioni, tuttavia, può
essere attribuita all’influsso del latino sulla lingua scritta (Nygaard 1966:102).
147
Garbacz (2010) puntualizza che questa forma compare per la prima volta in Prytz (1622),
implicando che possa essere un’innovazione. Il carattere formulaico dell’espressione, tuttavia,
induce a pensare che si tratti di una forma fossilizzata, analogamente all’esempio addotto da
Reinhammar (1973).

126
4. SINTASSI

Nel corso di questo capitolo verranno analizzati gli aspetti salienti della sintassi
dell’evdalico, mettendo in risalto le caratteristiche condivise con le altre lingue
scandinave – continentali ed insulari – e quelle che invece sono risultato di
innovazioni indipendenti. Questo capitolo ed il precedente sono strettamente
correlati: molti degli aspetti più complessi della morfologia evdalica hanno –
talvolta necessariamente148 – dei riflessi sulla sua sintassi (Dahl, 2009: 57).
In generale, la struttura sintattica dell’evdalico tradizionale149 è piuttosto simile a
quella dello svedese moderno (Garbacz, 2010: 108, Garbacz & Johannessen, 2015:
16): entrambe le lingue presentano il verbo in seconda posizione (V2), le
apposizioni precedono generalmente i sintagmi nominali, i dimostrativi e gli
aggettivi precedono i sostantivi. (Dahl, 2009: 60). È tuttavia possibile individuare
alcune divergenze rilevanti. Laddove alcune di queste – come la posposizione dei
pronomi possessivi al sostantivo (Dahl, 2009: 59) – sono condivise dalle lingue
insulari – in particolare l’islandese –, altre sono innovazioni proprie dell’evdalico
(Garbacz & Johannessen, 2015: 16). Risulta particolarmente rilevante che Holmberg
& Platzack (1995: 8), operando una divisione delle lingue scandinave in base a
criteri morfosintattici, raggruppino l’evdalico insieme alle lingue insulari e alle
lingue scandinave medievali, in contrapposizione alle lingue continentali.
Dunque, le caratteristiche sintattiche dell’evdalico sono da ripartire in quattro
gruppi fondamentali: 1) caratteristiche comuni a tutte le lingue scandinave; 2)
caratteristiche condivise con le lingue continentali; 3) caratteristiche in comune con
le lingue insulari; 4) caratteristiche specifiche dell’evdalico (Garbacz &
Johannessen, 2015: 17). Incrociando la prospettiva sincronica con la prospettiva
diacronica, inoltre, verranno messe in evidenza le proprietà sintattiche presenti in
evdalico classico non più presenti nella varietà tradizionale (o in corso di
regressione) e le innovazioni emerse nell’evdalico tradizionale, talvolta ancora
produttive nella varietà moderna (Garbacz, 2008: 8).

148
“there could hardly be a distinction between nominative, dative, and accusative case without
there being syntactic rules that determine their distribution, and the person and number
distinctions in verbs entail rules that regulate the agreement between subjects and verbs” (Dahl,
2009: 57).
149
La letteratura di riferimento (Garbacz, 2006, 2008, 2009, 2010; Dahl, 2009; Bentzen et al.,
2015) è principalmente incentrata sullo studio della varietà tradizionale. Di conseguenza,
quando non diversamente specificato, nel corso di questo capitolo si farà riferimento
all’evdalico tradizionale, operando gli opportuni confronti con la varietà classica (Levander,
1909b) e moderna (in base alle investigazioni effettuate sull’ÖSC).

127
4.1. Caratteristiche sintattiche condivise da tutte le lingue scandinave

In evdalico, la struttura non marcata delle proposizioni è di tipo SVO: essa


presenta dunque il verbo in seconda posizione (V2) e l’ordine verbo-oggetto
(VO). Si prendano in considerazione i seguenti esempi (Garbacz, 2010: 65):
1. (a) Ig will it tşyöp an-dar biln nų “non voglio comprare questa macchina
adesso”
(b) An-dar biln will ig it tşyöp nų “questa macchina non voglio comparla
adesso”
(c) Nų will ig it tşyöp an-dar biln “adesso non voglio comprare questa
macchina”
Come nelle altre lingue scandinave, il verbo può essere preceduto da un solo
costituente sintattico, e in casi di topicalizzazione – come (b) e (c) – il soggetto
appare regolarmente in terza posizione150. Nelle lingue germaniche moderne,
solamente in inglese il verbo in seconda posizione non è attestato come
proprietà generale (Garbacz, 2010: 65). In evdalico tradizionale, così come nelle
altre lingue scandinave, l’ordine basilare del sintagma verbale è verbo-oggetto
(VO): gli oggetti non-negativi sono regolarmente posti dopo il verbo non-finito
e prima degli avverbi di tempo, luogo, maniera ed altri costituenti avverbiali, ad
es. Ig al ev etter biln iem i morgų “lascerò la macchina a casa domani”.
La stabilizzazione dell’ordine VO rappresenta un’innovazione per le lingue
scandinave: le varietà medievali mostrano sia l’ordine VO che l’ordine OV
(Delsing 1999, Hróarsdóttir 2001). L’ordine OV è tuttavia presente in evdalico
classico (Garbacz, 2008: 8), e alcuni esempi in cui l’oggetto pronominale
precede il verbo non-finito sono riportati da Levander (1909b: 122), ad es. add
dier int ånum stşuo´ssað, eld? “non gli hanno dato un passaggio?”.
Così come le altre lingue scandinave, l’evdalico presenta dei pronomi
possessivi riflessivi per la terza persona singolare (senn masc. sąi fem., cfr. vs. sv.
sin, isl. sinn) e plurale (sainer, cfr. vs. sv. sina, isl. sínir). Tutte le lingue
scandinave presentano accordo dell’aggettivo predicativo. Tuttavia, laddove
l’evdalico classico presenta accordo per genere e numero (Levander 1909: 45),
l’evdalico tradizionale presenta solo accordo per numero, cfr. ad es. ev class.
nyų aus irå liuotų vs. ev. trad. nyų aus irå liuoter “le nuove case sono brutte”
(Garbacz, 2008: 14).

150
L’inversione verbo-soggetto nelle frasi topicalizzate è la costruzione più comune nelle lingue
germaniche, vd. Harbert (2006, 398); König & Van der Auwera (2013)

128
4.2. Caratteristiche comuni allo scandinavo continentale

La divisione operata da Holmberg & Platzack (1995) all’inizio del capitolo,


ed il conseguente raggruppamento dell’evdalico con le lingue insulari, è basata
sull’ipotesi che la presenza di un sistema morfologico ricco (rich agreement151)
implichi la presenza di determinate proprietà sintattiche. In molti casi, l’ipotesi
sembra confermata dalle attestazioni delle lingue insulari. Tuttavia, molte di
queste proprietà non sono attestate in evdalico tradizionale, sebbene esso abbia
conservato un sistema di accordo verbale ed i casi morfologici (Garbacz, 2010:
78). È quindi opportuno evidenziare queste divergenze per poter portare una
valutazione critica rispetto al modello teorico di Holmberg & Platzack e cercare
di determinare i limiti entro i quali esso sia applicabile all’evdalico.
Ad esempio, a differenza dello scandinavo insulare, l’evdalico non prevede
generalmente l’omissione del soggetto espletivo non referenziale, come ad es. i
nǫt ar eð snieð mitşið “stanotte ha nevicato molto” (cfr. sv. i natt har det snöat
mycket, isl. í nótt hefur snjóað mikið). L’omissione è obbligatoria nelle lingue
insulari ed è possibile in svedese nel caso in cui la frase sia introdotta da un
avverbio di luogo, ad es. I skogen kan finnas vilda djur “nella foresta possono
esserci animali selvatici” 152
(Falk 1993: 270; Teleman et al. 1999- IV: 44).
Alcuni esempi di evdalico classico presentano omissione dell’espletivo nelle
frasi coordinate, come ad es. og war såmårn, an war daraute “ed era estate, lui
era fuori” (Garbacz, 2010: 68).
Inoltre, in evdalico, come nelle lingue continentali, non è possibile omettere
il pronome soggetto generico (ev. an, sv. man) nelle costruzioni impersonali153,
cfr. ad es. ev. jär får an it rötşa vs. sv. här får man inte röka “qui non si può
fumare”.
Un fenomeno di attestazione solo marginale154 è la cosiddettta alternanza
del dativo (dative alternation), ovvero la sostituzione dell’oggetto indiretto con
un sintagma preposizionale, posto in fine di frase, cfr. ad es. kullǫ mǫi gav mig

151
Per un’analisi approfondita della Rich Agreement Hypothesis (RAH) vd. Bobalijk (2000).
152
Questo tipo di costruzione è accettata anche da alcuni parlanti evdalici, ad es. i grasį kann
wårå uormer “nell’erba possono esserci i serpenti” (Garbacz, 2010: 68). In questo caso non
sarebbe da escludere la possibilità dell’interferenza svedese.
153
Per uno studio delle costruzioni impersonali e dell’omissione del pronome in islandese vd.
Sigurðsson (1989, 1993).
154
Su 12 informatori intervistati da Garbacz (2010: 69), 3 hanno indicato la forma con sintagma
preposizionale come non grammaticale ed altri 3 come dubbia.

129
ǫ-dar buotşę vs. kullǫ mǫi gav ǫ-dar buotşę að mig “mia figlia mi ha dato quel
libro”. Questo tipo di costruzione è perfettamente accettato nelle lingue
continentali, laddove in islandese è ristretto ai verbi trivalenti che esprimono il
movimento dell’oggetto diretto (Thráinsson 2007: 174). Per i verbi trivalenti
l’islandese permette invece l’inversione dell’oggetto indiretto con l’oggetto
diretto. In questa costruzione, dunque, l’accusativo precede il dativo
(Thráinsson 2007: 131). Questo tipo di costruzione non è presente né in
evdalico né nelle lingue continentali (Garbacz, 2010: 72), cfr. ad es. ev. ig gav
kullum dukkur vs. isl. ég gaf dúkkuna stúlkunni “ho dato la bambola alla
bambina”.
Un ulteriore fenomeno morfosintattico previsto dall’ipotesi di Holmberg &
Platzack (1995) è la presenza di proposizioni con soggetto espresso in un caso
diverso dal nominativo. Come già accennato in 3.3.4, costruzioni di questo tipo
sono regolarmente attestate in islandese, ma risultano assenti in evdalico
tradizionale155 (Garbacz, 2010, 70), cfr. ad es. ev. i går drömd ig ien underlin
dröm vs. isl í gær dreymdi mig undarlegan draum “ieri ho fatto un sogno
strano”. L’islandese presenta inoltre una costruzione con espletivo transitivo, in
cui un soggetto espletivo appare in prima posizione in una frase con soggetto
esplicito e verbo transitivo, come ad es. isl. það höfðu aldrei margir lokið
verkefninu “in molti non hanno mai portato a termine il compito” (Thráinsson
2007: 46). Costruzioni di questo tipo sono completamente estranee sia
all’evdalico che allo svedese.
Inoltre, l’evdalico, così come le lingue continentali, presenta
obbligatoriamente un clitico di ripresa nelle proposizioni interrogative indirette
introdotte da un pronome interrogativo (Garbacz, 2010: 71). Nelle lingue
insulari, questo tipo di costruzione non presenta nessun elemento di ripresa, cfr.
ad es. ev. ǫ spuord etter wen so låg i dragtşistun vs. sv. hon frågade vad som
låg i lådan vs. isl. hún spurði hvað væri í skúffunni “lei ha chiesto cosa ci fosse
nel cassetto”.
In islandese, inoltre, si può assistere alla mobilità del verbo nelle
proposizioni infinitive, ovvero il verbo può sia precedere che seguire un
avverbio valutativo, incluse le negazioni (Thráinsson 2007: 421). In evdalico il
verbo è sempre preceduto dall’avverbio (Garbacz 2006: 180), cfr. ad es. ev. an

155
Alcune attestazioni residuali di questa costruzione in evdalico classico sono indicate in 3.3.4.

130
luveð aut tä aldri kum att vs. isl. hann lofaði að koma aldrei aftur “ha promesso
di non tornare mai più”. Allo stesso modo, in evdalico non è possibile preporre
l’oggetto all’avverbio valutativo all’interno di un sintagma nominale. Anche
nell’ambito delle lingue insulari, questa costruzione è esclusiva dell’islandese
(Garbacz, 2010: 73-74), cfr. ev. ig tşyöpt int buotşę vs. isl. ég keypti bókina ekki
“non ho comprato il libro”.
Un’ultima costruzione sintattica attestata in islandese ma assente in
evdalico tradizionale è il cosiddetto riflessivo a lunga distanza: l’oggetto di una
proposizione oggettiva può essere espresso con il pronome riflessivo se esso
corrisponde al soggetto della proposizione principale (Thráinsson 2017), cfr. ad
es. ev. Olga ar sagt at Andes elsker ån “Olga ha detto che Anders la ama” vs.
isl. Jón segir að þú hatir sig “Jón dice che lo odi”. Levander (1909b: 109)
riporta tuttavia alcune attestazioni di riflessivo a lunga distanza in evdalico
classico, come ad es. an fikk dą̊̊ fel bital Lasuls-Lass so stşuo’sseð sig
“chiaramente, ha poi dovuto pagare Lasuls-Lass che gli ha dato un passaggio”
(Garbacz & Rosenkvist, 2006: 3).
Un discorso a parte va fatto per l’inversione stilistica156 (stylistic fronting,
sv. kilkonstruktionen), fenomeno per cui, in una frase subordinata priva di
soggetto esplicito, la testa di un sintagma – spesso il verbo non finito di un
sintagma verbale – viene posta tra la congiunzione subordinante ed il verbo
finito157 (Garbacz, 2009: 168-169) ad es. itşä ulum wįr ender dyö so gart ir
“non cambieremo ciò che è stato fatto” (Levander, 1909b: 122). Il fenomeno,
piuttosto arcaico, è ampiamente attestato nelle lingue medievali e nelle lingue
insulari158 (Thráinsson 2007: 352). Come si evince dall’esempio, la costruzione
è possibile in evdalico classico ma non più produttiva nella varietà tradizionale.

156
Per un’analisi più approfondita vd. 4.9.
157
Ad un primo approccio, l’inversione stilistica può apparire come un fenomeno di
topicalizzazione. La differenza consiste nel fatto che laddove la topicalizzazione interessa un
intero sintagma, l’inversione stilistica interessa un solo costituente di un sintagma ( Maling,
1980, Thráinsson 2007: 365,368).
158
La costruzione è attestata anche in alcune lingue romanze, come l’italiano (Cardinaletti,
2003), l’italiano antico (Franco, 2009) ed il francese antico (Falk, 1993: 179).

131
4.3. Caratteristiche comuni allo scandinavo insulare

Per determinati aspetti, la struttura sintattica dell’evdalico tradizionale


presenta invece caratteristiche comuni allo scandinavo insulare in generale e
all’islandese in particolare. Molte di queste caratteristiche rientrano tra quelle
che Holmberg & Platzack (1995) ritengono essere dipendenti da un sistema
morfologico ricco.

Né l’evdalico né l’islandese prevedono la dislocazione a sinistra del


sintagma verbale, attestata invece in svedese (Garbacz & Johannessen, 2015:
19), ad es. sv. vann gjorde jag “vincere l’ho fatto”. Le lingue continentali,
inoltre, presentano attestazioni di costruzioni pseudopassive (anche detto
passivo preposizionale159) come ad es. sv. gästerna blev utkastade “gli ospiti
sono stati cacciati”. Questo tipo di costruzione non è grammaticale in evdalico
ed islandese160 (Garbacz, 2010: 76-77), cfr ad es. ev. fuotjeð stjemteð min
Gunnar “le persone prendevano in giro Gunnar” vs. *Gunnar wart stjemtað min
“Gunnar veniva preso in giro”.

Un’altra caratteristica sintattica comune all’evdalico e alle lingue insulari161


è la costruzione con participio presente con funzione gerundivale (Garbacz &
Johannessen, 2015: 19), cfr ad es. ev. ittað-jär wattneð ir it drikkend
“quest’acqua non è potabile” (Levander, 1909b: 116) vs. isl. það er ekki
hlæjandi að þessu “di questo non si ride” (Sigurðsson 1989: 341)162.

159
Per uno studio più approfondito delle costruzioni passive preposizionali in ambito
scandinavo vd. Klingvall (2012) e Engdahl & Laanemets (2015).
160
Costruzioni come isl. þennan mann var talað um “si parlava di quest’uomo” possono
apparire come esempi di passivo preposizionale, il participio talað tuttavia non concorda con
l’argomento, espresso al caso accusativo. Una costruzione pseudopassiva vera e propria
presenterebbe il soggetto al nominativo in accordo con il verbo, ad es. ∗þessi maður var talaður
um (Engdahl & Laanemets 2015, 290). L’assenza di costruzioni pseudopassive in islandese ed
evdalico è conforme alle ipotesi di Holmberg & Platzack (1995).
161
Per un’analisi delle costruzioni con participio presente in faeroerico vd. Thráinsson et al.
(2004: 317)
162
Faarlund et al. (1997: 119) sostengono che questo tipo di costruzione sia attestata in
norvegese, ad es. nella frase han var truandes til litt av kvart “si credeva fosse capace un po’ di
tutto”, riportata anche da Garbacz & Johannessen (2015: 19). Tuttavia, la costruzione
norvegese presenta delle divergenze rispetto a quanto osservato per l’evdalico e l’islandese: il
valore semantico è fortemente diverso ed il verbo è coniugato al passivo. Il participio presente
in questo caso sembra avere valore di gerundio piuttosto che di gerundivo. L’uso del participio
presente con funzione di gerundio è attestato anche nelle altre lingue continentali, vd. sv.
flickan kom dansande runt hörnet “la ragazza ha girato l’angolo danzando”. In svedese, la forma

132
Un ultimo aspetto che richiede un’analisi più approfondita163 è il movimento
verbale (da V a I164) nelle subordinate, attestato anche nelle lingue insulari e
medievali. In evdalico, il verbo finito può precedere gli avverbi valutativi
all’interno di proposizioni subordinate rette da un verbo non-bridge165, ovvero
un verbo che regge necessariamente un sintagma di complementatore (CP), ad
es. ev. eð ir biln so an will it åvå “questa è la macchina che lui non vuole avere”
(Garbacz, 2010: 76). Questa costruzione non è attestata nelle lingue scandinave
continentali, cfr. ad es. isl. ég spurði hvort Jón hefði ekki séð myndina vs sv. Jag
frågade om Jon inte hade sett filmen “ho chiesto se Jon non avesse visto il film”
(Angantýsson 2011: 62). Il movimento verbale, obbligatorio in evdalico
classico, è opzionale in evdalico tradizionale.

4.4. Strutture sintattiche specifiche dell’evdalico

L’evdalico tradizionale mostra alcuni fenomeni sintattici unici nel panorama


scandinavo. Alcuni di questi, come il raddoppiamento del soggetto, l’accordo
negativo e l’omissione del soggetto referenziale sono particolarmente rari nel
contesto delle lingue germaniche e sono attestati solo in un numero limitato di
varietà non standard. In prospettiva diacronica, tutti questi fenomeni sembrano
costituire delle innovazioni dell’evdalico.

Un tratto piuttosto raro – condiviso unicamente dalle varietà fennosvedesi e


dalla varietà danese parlata nelle isole di Lolland e Falster (Christensen 2005:
153) – è l’assenza di preposizione dell’oggetto pronominale (object shift).
L’oggetto pronominale atono non può dunque precedere l’avverbio, cfr. ad es.
ev. an såg int mig vs. sv. han såg mig inte “lui non mi ha visto” (Garbacz &
Johannessen, 2015: 21). Il fenomeno rappresenta un’innovazione poiché in
antico scandinavo il pronome – con funzione di oggetto diretto o indiretto –
precede regolarmente l’avverbio (Nygaard, 1905: 351).

con il suffisso -s è quasi del tutto limitata al parlato e non ha valore passivo (Teleman et al.,
1999, vol.2: 614-615).
163
Vd. 4.6
164
Ovvero dal sintagma verbale al sintagma flessivo. Per una spiegazione dettagliata del
movimento verbale V to I vd. Koeneman (2000) 58-103.
165
Per ulteriori informazioni vd. Franks (2005).

133
L’evdalico tradizionale è l’unica lingua scandinava a mostrare casi di
proposizioni con doppio soggetto166, ad es. du ir sakt du uvendes duktin dalska
“parli certamente molto bene evdalico” (Garbacz, 2010: 81). Il primo soggetto
appare sempre in posizione iniziale, mentre il secondo è sempre preceduto da un
avverbio che esprime l’attitudine del parlante, come ad es. sakta
“effettivamente” fel “certamente/probabilmente” o kanenda167 “veramente”
(Rosenkvist, 2015: 114). Un ulteriore aspetto unico168 dell’evdalico è
l’omissione del soggetto referenziale per la prima e la seconda persona plurale
(vd. anche 3.3.2 e 4.7), ad es. an såg it mes (wįð) kamum in “non ha visto
quando siamo arrivati” e wiso kåitið (ið)? “perché correte?” (Garbacz &
Johannessen, 2015: 20).

L’evdalico tradizionale, infine, presenta anche il cosiddetto accordo


negativo. In alcuni contesti sintattici la negazione inte/it concorda con
l’aggettivo quantificatore indşin/inggan “nessuno”, ad es. ig ar it si’tt inggan
“non ho visto nessuno”. La doppia negazione è attestata anche nelle
proposizioni che presentano l’avverbio aldri “mai” (Garbacz & Johannessen,
2015: 38), come ad es. ig ar it aldri aft so uont “non ho mai provato così tanto
dolore”. È opportuno sottolineare che questo tipo di costruzione è opzionale, e la
doppia negazione ha dunque un valore enfatico. Nella maggior parte delle lingue
scandinave, al contrario, costruzioni di questo tipo risultano in un valore
affermativo, fatta eccezione per pochissime varietà169 (Garbacz & Johannessen,
2015: 21). I fenomeni qui elencati verranno analizzati più approfonditamente
nelle prossime sezioni.

4.5. Sintassi dell’evdalico moderno: i dati dell’Övdalian Speech Corpus

L’investigazione condotta da Garbacz & Johannessen (2015) sull’Övdalian


Speech Corpus ha confermato che molte delle caratteristiche sintattiche presenti

166
Alcuni esempi riportati da Levander (1909b: 109) attestano che l’evdalico classico poteva
presentare proposizioni in cui il soggetto compariva fino a tre volte (vd. 4.6)
167
Kanenda deriva probabilmente dalla fusione dei due verbi kan “potere” ed enda
“succedere”, ragion per cui può apparire in posizioni sintattiche atipiche, così come kantşi cfr.
vs. sv. kanske “forse” (Rosenkvist, 2010).
168
È possible trovare un numero limitato di attestazioni di omissione del soggetto referenziale
in antico svedese (Håkansson 2008) e nelle altre lingue scandinave medievali (Rosenkvist 2009),
vd 4.4.
169
Si tratta, nello specifico di alcuni dialetti danesi (Jespersen 1917: 72), alcuni dialetti
fennosvedesi (Wide & Lyngfelt 2009) e del norvegese dell’etnia Kven (Sollid 2005).

134
in evdalico classico e tradizionale sono attestate anche in evdalico moderno. Tra
queste sono presenti le innovazioni tipiche dell’evdalico trattate nella sezione
precedente, ed è questo il caso dell’omissione del soggetto referenziale, del
raddoppiamento del soggetto e dell’accordo negativo. Alcuni fenomeni, di
ordine sia morfologico che sintattico, come il sistema a tre generi e la
posposizione dell’aggettivo possessivo170, possono essere fatti risalire ad uno
stadio particolarmente antico della lingua, ovvero alla varietà dalecarlica
dell’antico scandinavo (Garbacz & Johannessen, 2015: 40).
Come accennato in 4.2, l’inversione stilistica è attestata da Levander
(1909b) ma risulta già scomparsa in evdalico tradizionale. Il fenomeno è tuttora
assente in evdalico moderno. Allo stesso modo, il corpus non presenta
ricorrenze di riflessivo a distanza, attestato in evdalico classico ma non in
evdalico tradizionale. Risultano inoltre assenti alcuni fenomeni sintattici attestati
in evdalico tradizionale, come nel caso del movimento verbale da V a I e
dell’uso aggettivale del participio presente.
Date le dimensioni limitate del corpus, la mancata attestazione di questi
ultimi fenomeni al suo interno non implica necessariamente che questi non siano
più possibili in evdalico moderno. L’assenza di ricorrenze dei fenomeni già non
attestati in evdalico tradizionale, al contrario, potrebbe dimostrarne la definitiva
scomparsa dal sistema linguistico (Garbacz & Johannessen, 2015: 40).
L’investigazione offre un’interessante prospettiva sullo stato dell’evdalico
moderno, sia dal punto di vista specificamente diacronico, sia nell’ambito dei
suoi contatti con lo svedese. Quest’ultimo, come osservato da Sapir (2006: 3),
ha un considerevole influsso sull’evdalico, che mostra una tendenza progressiva
ad uniformarsi alla lingua standard. Dal punto di vista sintattico, questa
tendenza si concretizza prevalentemente nella scomparsa di quei fenomeni
ritenuti più arcaici e, forse, di diretta eredità antico scandinava. Sono invece le
innovazioni specifiche dell’evdalico a mostrare una maggiore resistenza
all’influsso svedese (Garbacz & Johannessen, 2015: 42).
Lo studio degli aspetti sintattici dell’evdalico – spesso divergenti rispetto
all’intero panorama scandinavo – può portare ad interessanti scoperte, utili al

170
In evdalico classico e tradizionale, l’ordine non marcato degli elementi è possessore-
sostantivo, l’ordine invertito indica un’enfasi sul possessore. L’evdalico moderno, al contrario,
mostra prevalentemente l’ordine inverso, probabilmente per interferenza dello svedese
(Garbacz & Johannessen, 2015: 40).

135
raggiungimento di una comprensione più approfondita delle lingue scandinave
in particolare e germaniche in generale. Questo studio inoltre, può portare al
perfezionamento ed alla riconsiderazione di teorie ed ipotesi di ordine tipologico
e generativista, come nel caso delle ipotesi di Holmberg & Platzack (1995),
spesso citate nel corso di questo capitolo. È in questa prospettiva che le
prossime sezioni tratteranno gli aspetti più particolari e controversi della sintassi
dell’evdalico.

4.6. Raddoppiamento del soggetto

In evdalico classico, secondo le attestazioni di Levander (1909b: 91), la


reduplicazione del soggetto rappresenta un fenomeno piuttosto comune. Come
accennato in 4.4, l’evdalico classico prevede anche situazioni in cui il soggetto
può apparire tre volte, come ad es. ig ar ig sakt ig mįer i grytųn “ho dell’altro in
pentola”. Come evidenziato da Levander stesso, il fenomeno non conosce un
corrispettivo in svedese. Quest’affermazione, tuttavia, può apparire in contrasto
con gli studi di Engdahl (2003, 2008), che analizza degli esempi di doppio
soggetto in svedese. Nel corso di questa sezione verranno analizzati i contesti
sintattici e le funzioni semantiche e pragmatiche del raddoppiamento del
soggetto nelle due lingue, al fine di determinare se ci sia una relazione tra i due
fenomeni.

Nel tentativo di definire la distribuzione e la frequenza del fenomeno in


evdalico tradizionale e moderno, Rosenkvist (2015) ha innanzitutto condotto
un’investigazione su un corpus costituito dal romanzo Kunundsin kumb
(Larsson, 1986) – della lunghezza di circa 100 pagine – e dalle trascrizioni di
alcune registrazioni. Dall’investigazione è emerso un numero piuttosto esiguo di
ricorrenze, il che ha reso necessaria un’investigazione sul campo, condotta nel
2007 con l’ausilio di 52 informatori171 (Rosenkvist, 2015: 109). Il primo dato
rilevante è la scomparsa pressocché completa del soggetto triplo attestato in
Levander (1909b), non accettato dalla maggior parte degli intervistati.

Una caratteristica particolare dell’evdalico, a differenza di altre lingue che


presentano soggetto raddoppiato (come ad es. il finlandese), è che il primo

171
Agli informatori è stato sottoposto un questionario nel quale venivano richiesti dei giudizi di
grammaticalità per delle frasi che presentavano reduplicazione del soggetto in diversi contesti
sintattici.

136
soggetto non deve necessariamente essere costituito da un pronome. Il soggetto
iniziale può essere costituito da un pronome soggetto espletivo (eð far sakt eð
raingen nų “adesso inizierà senz’altro a piovere”), un nome proprio (Bo ir sakt
an unggrun nų “Bo è affamato adesso”), un sintagma nominale (dier so åvå
klaið ǫ iel da’n irå sakt dier liuotunggruger nų “quelli che hanno lavorato tutto
il giorno sono sicuramente affamati adesso”), un soggetto referenziale nullo
(fǫm sakt wįð luv jätå nų, fer winnum int baið etter onum “possiamo anche
mangiare adesso perché non abbiamo tempo per aspettarlo”) o persino una
proposizione soggettiva (åk bil’n ir fel eð ruolit “guidare la macchina è
divertente”) (Rosenkvist, 2015: 111). Gli esempi mostrano che il primo
costituente rappresenta il soggetto tematico, la seconda posizione può essere
occupata unicamente da un pronome e, di conseguenza, l’ordine dei soggetti non
può essere invertito (Rosenkvist: 2015: 112). Inoltre, non sono state individuate
variazioni a livello generazionale riguardo alla struttura sintattica del
raddoppiamento: gli esempi riportati sono ugualmente accettati sia dai parlanti
più giovani che dai parlanti più anziani172.

Come accennato in 4.4, un requisito obbligatorio per la costruzione con


soggetto doppio è la presenza degli avverbi sakta, fel (che presenta le varianti
nufel e dåfel) o kanenda, che esprimono l’attitudine del parlante (Rosenkvist,
2015: 114). Levander (1909b: 109) riporta alcuni esempi in cui appare il verbo
lär “si dice” ma nessuno degli avverbi precedentemente indicati, ad es. an lär an
wårå duktin dalska “si dice che lui parli evdalico molto bene”. Questo tipo di
costruzione non è più considerato accettabile dai parlanti, che considerano
parimenti non grammaticali costruzioni prive di avverbio che presentano i verbi
syöks, iess o luss “sembra” (Rosenkvist, 2015: 114).

Un ulteriore requisito, non trattato precedentemente, necessario per la


costruzione con soggetto doppio riguarda la posizione del primo soggetto.
Questo deve obbligatoriamente apparire in posizione iniziale di proposizione, e
non è quindi possibile ricorrere al soggetto doppio nelle frasi introdotte da
avverbio o nelle interrogative, contesti in cui il soggetto occupa regolarmente la
terza posizione (Rosenkvist, 2015: 112). La costruzione, inoltre, è permessa

172
È possibile individuare una variazione a livello prosodico nel parlato di alcuni degli
informatori più giovani, che tendono a porre l’accento sull’elemento pronominale (Rosenkvist:
2015: 111).

137
unicamente nelle subordinate che presentano verbo in seconda posizione: è il
caso delle proposizioni soggettive ed oggettive, rette da un bridge verb (ovvero
un verbo che non regge un sintagma complementatore (CP), vd 4.3), come ad
es. ig wet an ir sakt an duktin dalska “io so che parla evdalico molto bene”
(Rosenkvist, 2015: 113).

Tenendo conto delle caratteristiche del raddoppiamento del soggetto in


evdalico e dei requisiti necessari affinché la costruzione possa manifestarsi, è
possibile mettere a confronto il fenomeno con le ricorrenze di raddoppiamento
presentate da altre lingue. In particolare, è opportuno analizzare le differenze tra
il raddoppiamento in evdalico ed il raddoppiamento in svedese, al fine di
determinare se ci sia o meno una relazione tra i due fenomeni e, eventualmente,
se si possa ritenere che il raddoppiamento in evdalico non sia frutto di un
influsso dalla lingua standard.

Engdahl (2003, 2008), come già accennato, ha condotto uno studio sui casi
di raddoppiamento del soggetto in svedese, i cui requisiti sono 1) un soggetto
dev’esser presente in posizione iniziale di proposizione e 2) il pronome di
ripresa deve essere necessariamente preceduto da un avverbio focalizzante (ad
es. också, även “anche” o bara “soltanto”), come ad es. Jari har också han
slutat röka “anche Jari ha smesso di fumare”. Di conseguenza, Engdahl ritiene
che – così come in evdalico – il raddoppiamento non sia possibile nelle
interrogative. Tuttavia, come dimostrato da Holmberg & Nikanne (2008: 346), il
soggetto non deve necessariamente trovarsi in posizione iniziale e, inoltre, il
raddoppiamento risulta possibile anche nelle frasi interrogative, ad es. varför
kunde pojkarna inte heller dom öppna dörren? “perché neanche i bambini
riuscivano ad aprire la porta?”. Per lo svedese, inoltre, Engdahl (2003: 100)
riporta attestazioni di raddoppiamento dell’oggetto – completamente assente in
evdalico –, ad es. torget fungerar som mötesplats och parken använder man
också den som ett ställe att träffas på “la piazza funge come luogo d’incontro ed
anche il parco può essere usato come un posto dove incontrarsi”.

Un’altra differenza rilevante è che lo svedese non ammette raddoppiamento


del pronome espletivo, a differenza dell’evdalico. In svedese, inoltre, l’avverbio
ed il soggetto rappresentano un unico costituente sintattico che precede il verbo
finito, ad es. också han kan tala svenska “anche lui sa parlare svedese”. In

138
evdalico non è possibile costruire frasi di questo tipo con gli avverbi necessari al
raddoppiamento del soggetto (Rosenkvist, 2015: 121).

Alle divergenze di carattere sintattico e strutturale che emergono dal


confronto tra le costruzioni con soggetto doppio in evdalico e svedese vanno
aggiunte rilevanti differenze che intercorrono a livello semantico e pragmatico.
In svedese la costruzione ha la funzione principale di focalizzare l’attenzione
sul soggetto (Engdahl 2003, 2008). In evdalico, al contrario, il raddoppiamento
ha una funzione di focus polare (polarity focus173), che evidenzia l’aspetto
illocutivo dell’affermazione del parlante, come dimostrato dalla presenza degli
avverbi che esplicitano l’attitudine del parlante stesso all’interno dell’enunciato.
Questo è dimostrato anche dalla presenza di una strategia alternativa con
funzione di focus polare in evdalico, ovvero l’enfasi prosodica sul verbo, come
ad es. an IR sakt uvendes duktin dalska174 “lui sì che parla veramente bene
evdalico175” (Rosenkvist, 2015: 116). Le due strategie sono appunto alternative,
l’evdalico non prevede il raddoppiamento del soggetto in una frase che già
presenta enfasi prosodica sul verbo. La funzione di focus polare per quanto
riguarda il raddoppiamento del soggetto in evdalico è confermata dalla presenza
di costruzioni simili in rumeno (Cornilescu, 2000: 98), in nederlandese
(D’Alessandro et al., 2010) e nel dialetto fiammingo occidentale di Lapscheure
(Haegeman & van de Velde, 2006: 13; Haegeman & Van Craenenbroeck,
2007)176.

4.7. Omissione del soggetto referenziale

Come già accennato in 4.4, l’evdalico rappresenta l’unica lingua scandinava


in cui sia prevista l’omissione del soggetto referenziale (lingua ProDrop).
Questo accade per i pronomi soggetto di prima e seconda persona plurale. Le
regole e le restrizioni sintattiche, tuttavia, sono distinte per i due pronomi
(Rosenkvist, 2008: 232).

173
Anche detto verum focus, vd. (Höhle 1988; Creswell 2000; Wilder 2013).
174
L’accento della frase è indicato col carattere maiuscolo.
175
La funzione di focus polare corrisponde a quella svolta da espressioni del tipo sì che in
italiano (Garassino & Jacob, 2018) e dal do ausiliario nelle proposizioni affermative in inglese
(Wilder 2013). Vd. Garassino & Jacob (2018) e D’Alessandro et al. (2010) per altre strategie di
focus polare nelle lingue romanze.
176
Per un confronto più approfondito delle costruzioni con soggetto doppio tra evdalico,
nederlandese e fiammingo vd Rosenkvist (2015: 111-126).

139
L’assenza di soggetti referenziali nulli in tutte le lingue germaniche standard
moderne ha portato alcuni studiosi, tra cui Jaeggli & Safir (1989) e Rohrbacher
(1999), a sostenere che vi sia un’incompatibilità universale tra la struttura di tipo
V2 e l’omissione del soggetto referenziale. Tuttavia, l’ipotesi è confutata dai dati
forniti da diversi sistemi linguistici: l’omissione del soggetto non è possibile
solamente in evdalico, ma anche in un numero non indifferente di altre varietà
non standard (tutte di tipo V2) all’interno del mondo germanico (Rosenkvist,
2009: 152). È questo il caso del bavarese (Bayer, 1984; Weiß, 1998; Fuß, 2005),
dello svevo (Haag-Merz, 1996), del tedesco di Zurigo (Cooper & Engdahl 1989;
Cooper, 1995), dello yiddish (Prince, 1998; Jacobs, 2005) e del frisone
(Hoekstra & Marácz, 1989; de Haan, 1994; Hoekstra, 1997). È inoltre possibile
individuare diverse ricorrenze di omissione del soggetto referenziale nelle lingue
germaniche antiche e medievali, tra cui spiccano – ai fini di questo studio –
l’antico islandese (Sigurðsson, 1993, 2011) e l’antico svedese (Håkansson,
2008), nonché l’antico inglese (Van Gelderen, 2000) e l’antico alto tedesco
(Axel, 2007).

Da un punto vista tipologico, Rizzi (1982, 1986) opera una distinzione tra
lingue che prevedono il soggetto nullo (Null Subject Languages, in breve NSLs)
o meno. Nel caso delle prime, la funzione di soggetto viene ricoperta da un
pronome nullo (pro), che deve essere licenziato e identificato. La licenza
consiste nelle configurazioni sintattiche che permettono l’omissione del soggetto
e l’identificazione consiste nella ricreazione del contenuto semantico del
soggetto omesso. Rizzi (1982, 1986) ritiene, dunque, che l’identificazione sia
dipendente dal sistema morfologico della lingua: il soggetto non è identificabile
a meno che le specifiche di persona e numero non siano espresse dal verbo finito
o da un altro componente della proposizione (Vikner, 1997; Rohrbacher, 1999).
Nelle lingue ProDrop, dunque, l’identificazione è legata alla flessione del verbo
(il sintagma flessivo, detto I): l’affisso del verbo svolge in questo caso la
funzione di soggetto (Borer, 1986). Una lingua con un sistema di accordo
verbale “debole” non dovrebbe, in teoria, prevedere l’omissione del soggetto

140
referenziale; essa può tuttavia prevedere l’omissione del soggetto non
referenziale177.

Roberts & Holmberg (2010: 8), basandosi sugli studi di Rizzi, sostengono
l’esistenza di un’implicazione relazionale: ogni lingua che permette l’omissione
del soggetto referenziale permette necessariamente anche l’omissione del
soggetto non referenziale (Rosenkvist, 2010: 232). Tuttavia, questo non è il caso
dell’evdalico che, come accennato in 4.2, non prevede l’omissione del soggetto
non referenziale, pur ammettendo l’omissione del soggetto referenziale. Le
ipotesi qui citate, dunque, sono da tenere in considerazione con alcune riserve.

La possibilità di soggetto referenziale nullo, inoltre, presenta delle ulteriori


restrizioni in base alla lingua. In questa prospettiva, è possibile dividere le NSLs
in due ulteriori gruppi: 1) le lingue NSL parziali – come l’ebraico (Borer, 1986)
ed il finlandese (Vainikka, 1989) –, per cui l’omissione del soggetto referenziale
è possibile solo per alcune combinazioni di persona e numero, 2) le lingue NSL
asimmetriche – come l’arabo (Alexiadou, 2006) – per cui la distribuzione del
soggetto nullo è limitata a determinate posizioni sintattiche all’interno della
frase (Rosenkvist, 2010: 233).

In evdalico, i pronomi soggetto wįð e ið sono regolarmente impliciti (ad es.


irum iema “siamo a casa” e irið iema “siete a casa”); essi appaiono
esplicitamente in posizione iniziale solo nel caso in cui il parlante voglia porre
enfasi sul soggetto. Da un punto di vista diacronico, l’omissione di questi
pronomi è un fenomeno produttivo in evdalico a partire almeno dal XVII secolo:
se ne trovano ricorrenze nel testo di Prytz (1622), ad es. wiliom nu wårå lostegar
och glädier “ora vogliamo essere felici e contenti”178 (Rosenkvist, 2010: 236).
È opportuno evidenziare che è possibile individuare ricorrenze di wįð implicito
anche nelle proposizioni subordinate, ad es. a du twajd ferdugan dig nu so
bellum gå aut? “hai finito di lavarti così possiamo uscire?” (Olsson, 1988).
Come accennato in 3.3.2, solo le forme verbali della prima e della seconda
persona plurale sono sistematicamente distinte dal resto della flessione. Di

177
Questa ipotesi è messa in discussione da Huang (1984), che evidenzia come anche il
mandarino – una lingua con accordo verbale “debole” – preveda l’omissione del soggetto
referenziale.
178
Nei testi più antichi l’omissione di ið è più rara, ma ciò è probabilmente da attribuire alla
minor frequenza del pronome nei testi in generale. Ricorrenze di ið implicito sono presenti in
Näsman (1733: 66).

141
conseguenza, il fatto che l’omissione del pronome sia possibile unicamente per
queste persone porterebbe ad includere l’evdalico tra le lingue NSL parziali
precedentemente descritte.

È tuttavia opportuno evidenziare la presenza di differenze a livello sintattico


tra le distribuzioni dei due pronomi, differenze documentate fin dai primi testi di
cui si dispone (Rosenkvist, 2010: 240). È infatti possibile omettere entrambi i
pronomi quando essi si trovano in posizione iniziale. In contesti di inversione,
tuttavia, solo ið può essere omesso179, cfr. ad es. nų irum wįð iema “adesso
siamo a casa” vs. irið iem nų? “siete a casa adesso?” (Sapir & Nyström, 2015:
25). Ad ogni modo, entrambi i pronomi possono essere omessi nelle
proposizioni subordinate rette da avverbio, ad es. um irum iema “se siamo a
casa” e um irið iema “se siete a casa” (Rosenkvist, 2010: 241).

4.7.1. Condizioni strutturali per l’omissione di wįð


Giacché l’omissione di wįð appare limitata ai contesti in cui questo occupa
la posizione iniziale, il fenomeno potrebbe apparire come una regolare
omissione del tema (topic drop). L’evdalico tuttavia presenta delle strutture
proposizionali che osteggiano quest’interpretazione. Si prendano in
considerazione i seguenti esempi (Sapir & Nyström, 2015: 29):

1) Kanstşi eddum bellt råkas i morgų ate “magari possiamo rivederci domani”
2) […] so wilum dşärå i morgų “[…] che vogliamo fare domani”

Nelle lingue scandinave, alcune subordinate presentano un ordine dei


costituenti analogo a quello della proposizione principale, permettendo
quindi la topicalizzazione (Julien, 2007). L’esempio 2, tuttavia, consiste in
una subordinata relativa, che tipicamente non prevede topicalizzazione.
Questo esclude la possibilità che l’omissione di wįð costituisca un esempio
di omissione del tema (Rosenkvist, 2010: 243).

Una possibile generalizzazione consiste nell’affermare che l’omissione


del pronome di prima persona plurale sia possibile qualora esso preceda
direttamente il verbo finito. Di fatto, come già accennato, l’omissione di wįð

179
“De båda pronomina wįð ’vi’ och ið ’ni’ utelämnas vid rak ordföljd […] I omvänd ordföljd sätts
wįð alltid ut, däremot inte ið.” (Sapir & Nyström, 2015: 25).

142
– a differenza di ið – non è grammaticale nelle proposizioni che presentano
inversione e, dunque, non ammettono la sequenza soggetto-verbo finito. Lo
stesso vale per le proposizioni subordinate che presentano un elemento
topicalizzato (ad es. un avverbio) in posizione iniziale, cfr. ad es. Bo saggd
at irum tungner dşärå ittað i morgų vs. Bo saggd at i morgų irum wįð
tungner dşärå ittað “Bo ha detto che domani dobbiamo per forza fare
questo” (Rosenkvist, 2010: 243-244).

Nell’esempio 1, la posizione iniziale è occupata da kanstşi “forse” e non


dal soggetto, il che contrasta con l’ipotesi che l’omissione di wįð sia limitata
ai casi in cui questo occupi la posizione iniziale. Tuttavia, la congiunzione
kanstşi (perfettamente corrispondente allo svedese kanske) rappresenta un
caso particolare (Rosenkvist, 2010: 247-248). In svedese, le frasi che
presentano kanske in prima posizione possono violare la struttura V2 e
possono assumere sia un valore affermativo che interrogativo (Teleman et
al, 1999 IV: 21, 418, 676, 695). L’esempio 1 può dunque essere interpretato
come analogo a sv. kanske Lina är färdig snart? “forse Lina sarà pronta a
breve?”. Siccome kanstşi, così come kanske180, è il risultato della
grammaticalizzazione di due elementi verbali giustapposti, esso si presta a
due possibili interpretazioni, all’interno del contesto sintattico. Si prendano
in considerazione i seguenti diagrammi:

Fig.1: Analisi strutturale dell’esempio 1)

180
Kanske deriva dall’univerbazione (Hopper & Traugott 2003: 134) di [det] kan ske “può
essere” (Rosenkvist, 2010: 262).

143
In entrambi i casi, il pronome precede direttamente un elemento verbale,
sia nel caso si ritenga che wįð occupi la prima posizione, sia nel caso si
ritenga che kanstşi intervenga sulla normale struttura della frase, come
accade in svedese. Nell’analisi B, di fatto, le condizioni strutturali per
l’omissione di wįð sono analoghe a quanto descritto per le proposizioni
subordinate (Rosenkvist, 2010: 248). L’omissione di wįð è inoltre possibile
nelle frasi introdotte da welest “grazie a Dio”, come ad es. welest wartum
kwitter ålåellum “grazie a Dio ci siamo sbarazzati delle lucertole selvatiche”
(Steensland, 2006: 61). A fronte dell’analisi condotta, le condizioni per
l’omissione di wįð accomunano l’evdalico alle lingue NSL asimmetriche.

4.7.2. Condizioni strutturali per l’omissione di ið

A differenza di wįð, ið non conosce limitazioni di carattere sintattico:


esso può essere omesso anche in contesti di inversione, incluse le
proposizioni subordinate introdotte da un elemento topicalizzato. È dunque
chiaro che le condizioni strutturali per l’omissione di ið sono diverse da
quelle descritte nella sezione precedente.

Come già accennato in 3.3.2, Björklund (1956: 98–107) ritiene che il


suffisso originario della seconda persona plurale fosse -in (come in antico
svedese) e che il suffisso -ið si sia sviluppato tramite una serie di processi
fonologici e di rianalisi181. Il suffisso -ið rappresenterebbe dunque una
fusione tra il suffisso originario ed il pronome personale, che può essere
interpretato dai parlanti come un pronome clitico. L’ipotesi è avvalorata da
alcune attestazioni scritte piuttosto antiche che mostrano ricorrenze di ið in
isolamento, come ad es. huru säyi ir? “come dite?” Prytz (1622) e stå int ir
jän og gåpå! “non state lì ad urlare” (Levander, 1928:164).

Da questo punto di vista, l’evdalico presenta dei tratti in comune col


bavarese, che ammette l’omissione dei pronomi di seconda persona, sia
singolare che plurale (Fuß, 2005). Anche nel caso del bavarese, i suffissi di
seconda persona costituiscono il risultato di un fenomeno di fusione tra i
suffissi originari ed un pronome clitico (Fuß 2005:162). La rianalisi del

181
È possibile ricostruire una trafila del tipo baitin ið> baiti ið> bait ið> baitið “mordete”.

144
clitico soggetto come marca d’accordo, dunque, porterebbe i parlanti a
dedurre la presenza di un pronome referenziale nella posizione del soggetto
(Fuß 2005:168).

Lo sviluppo di un sistema ProDrop, inoltre, può essere facilitato da una


corrispondenza formale tra il pronome e la marca d’accordo182 (Koeneman,
2006: 87). Nel caso dell’evdalico, questa caratteristica è limitata al pronome
di seconda persona plurale, giacché il suffisso -um della prima persona non
presenta somiglianza alcuna con il pronome wįð. Il suffisso -um della prima
persona plurale, tuttavia, è identico nell’indicativo e nell’imperativo.

Una possibile spiegazione per l’emersione e la distribuzione di wįð


implicito potrebbe dunque essere costituita da una rianalisi morfosintattica
(Rosenkvist, 2010: 255). È possibile, dunque, che i parlanti abbiano
rianalizzato le forme dell’imperativo come forme dell’indicativo all’interno
di una proposizione, estendendo l’omissione del soggetto da un tipo di
proposizione all’altra183. La rianalisi dall’imperativo all’indicativo non è
però adeguata a spiegare le ricorrenze di wįð implicito nelle proposizioni
subordinate.

È dunque necessario supporre che sia avvenuto un ulteriore mutamento


sintattico, che ha portato all’estensione dei contesti che ammettono soggetto
implicito. Questo processo analogico è probabilmente legato all’ordine dei
costituenti: è possibile omettere il soggetto di prima persona plurale nelle
proposizioni dichiarative quando questo occupa la stessa posizione che
occupa nelle proposizioni imperative, ovvero direttamente prima del verbo
finito (Rosenkvist, 2010: 256).

4.7.3. Omissione del soggetto referenziale nelle lingue germaniche

Date le attestazioni di soggetti referenziali nulli in antico svedese


(Håkansson, 2008) ed antico islandese (Sigurðsson, 1993, 2011), risulta

182
L’ipotesi di Koeneman (2006) risulta piuttosto solida poiché non implica che ci sia una
relazione tra un sistema di accordo verbale “forte” e l’omissione del soggetto referenziale
(Rosenkvist, 2010: 253).
183
Da un punto di vista pragmatico, è possibile individuare un’adiacenza tra gli atti esortativi e
gli atti assertivi espressi alla prima persona, siccome una richiesta autoreferenziale viene
solitamente soddisfatta (Rosenkvist, 2010: 255).

145
necessario definire le caratteristiche strutturali del fenomeno nelle lingue
germaniche antiche e medievali, al fine di determinare se vi sia una
relazione di ordine diacronico con il fenomeno attestato in evdalico e nelle
altre varietà moderne.

Le caratteristiche dell’omissione del soggetto referenziale in antico


svedese appaiono nettamente distinte da quelle dell’evdalico. In primo
luogo, lo svedese permette l’omissione di tutti i pronomi personali, e il 92%
dei casi di omissione interessa i pronomi di terza persona singolare e plurale
(Håkansson, 2008: 103). È opportuno evidenziare che l’antico svedese non
mostra nessuna correlazione tra l’accordo verbale e l’omissione del
soggetto, dato il sincretismo tra le forme verbali del singolare (Håkansson,
2008: 133; Rosenkvist, 2009: 158). Delle differenze rilevanti emergono
anche dall’osservazione della distribuzione sintattica: in antico svedese il
soggetto referenziale implicito appare quasi esclusivamente (88% dei casi
individuati) nelle proposizioni principali (Håkansson, 2008: 101). Il
fenomeno, seppur non rarissimo, è decisamente meno frequente rispetto alla
costruzione con soggetto esplicito: Håkasson (2008: 99) riporta 1.4 casi di
omissione del soggetto referenziale per ogni 1000 parole del corpus su cui
ha condotto lo studio. In evdalico, al contrario, il soggetto implicito
rappresenta la struttura non marcata, mentre l’esplicitazione dei pronomi
wįð e ið ha un valore enfatizzante o contrastivo (Rosenkvist, 2012: 177). In
antico svedese non ci sono apparenti differenze a livello pragmatico tra le
due strutture.

Le caratteristiche del fenomeno in antico svedese sono spesso condivise


dalle altre lingue germaniche antiche e medievali. In antico islandese, antico
alto tedesco ed antico inglese l’omissione del soggetto referenziale interessa
principalmente i pronomi di terza persona: Sigurðsson, (1993:253) in
particolare evidenzia la rarità dei casi di omissione dei pronomi di prima e
seconda persona in antico islandese. Inoltre, in nessuna di queste lingue è
possibile determinare una correlazione tra la “ricchezza” del paradigma
verbale e la presenza di soggetti referenziali nulli. La regressione – e
conseguente sparizione – del soggetto referenziale nullo in antico islandese
(Sigurðsson 1993:248) o antico alto tedesco (Axel 2007:323) è avvenuta

146
senza che si verificassero sostanziali mutamenti nel sistema flessivo verbale
(Rosenkvist, 2009: 158). Questo aspetto appare in netto contrasto con le
valutazioni formulate da Rizzi (1982, 1986), Vikner (1997) e Rohrbacher
(1999).

Un ultimo aspetto rilevante è costituito dalla distribuzione sintattica:


nelle lingue germaniche antiche e medievali, l’omissione del soggetto
referenziale appare quasi del tutto limitata alle proposizioni principali, così
come mostrato dall’antico svedese. Nelle varietà germaniche moderne
(bavarese e basso bavarese, tedesco di Zurigo, svevo, frisone e yiddish), così
come in evdalico, l’omissione del soggetto non risulta sensibile al tipo di
proposizione (Rosenkvist, 2009: 171). Le differenze sistematiche tra le
caratteristiche sintattiche del soggetto referenziale nullo nei due gruppi
linguistici sono illustrate nella seguente tabella.

Tabella 59: differenze sintattiche sistematiche tra i soggetti referenziali nulli in


germanico antico e germanico moderno

Accordo Proposizione III Valore Rarità188


verbale184 185
persona pragmatico
186 187

Germanico Antico
Antico alto tedesco - + + - + (?)
Antico inglese - ? + - + (?)
Antico islandese - ? + - +
Antico svedese - + + - +
Germanico Moderno
Evdalico + - - + -
Bavarese + - - + -
Basso Bavarese + - - + -
Tedesco Z. + - - + -
Svevo + - - + -
Frisone + - - + -
Yiddish + (?) - (?) + (?) - (?) - (?)

184
Persona e numero del soggetto sono ricostruibili dall’accordo verbale.
185
Il soggetto referenziale nullo è sensibile al tipo di proposizione (è più frequente o possibile
solo nella proposizione principale).
186
È possibile l’omissione del soggetto referenziale di terza persona
187
Un soggetto esplicito (che potrebbe essere implicito) ha un valore enfatico o contrastivo.
188
Il soggetto implicito è meno frequente del soggetto esplicito.

147
Come si evince dalla tabella, le caratteristiche tipologiche del
soggetto referenziale nullo nei due gruppi mostrano considerevoli
disparità e – in assenza di un’ipotesi che possa tener conto di questo
mutamento – l’esistenza di una relazione diacronica tra i fenomeni
risulta poco plausibile. È ben più probabile che nelle lingue germaniche
moderne l’omissione del soggetto referenziale costituisca
un’innovazione sintattica idiolinguistica (Rosenkvist, 2010: 151).

4.8. Movimento verbale da V a I

Come già accennato in 4.3, in evdalico tradizionale il verbo finito può


precedere gli avverbi valutativi nelle proposizioni subordinate rette da un verbo
non-bridge (ad es. ig ir redd an kumb inte “ho paura che non verrà”),
caratteristica condivisa dall’islandese e dalle lingue scandinave medievali
(Vikner, 1995). Citando testualmente Levander (1909b; 124):

“Ordet ‘inte’ kan aldrig såsom i rikspråket stå emellan subjektet ock
predikatet i bisatser; om ordet ej sättes i satsens början, måste det därför
stå efter värbet”189

Stando alle osservazioni di Levander, dunque, il movimento verbale era


obbligatorio in evdalico classico (Garbacz, 2010: 112). Nel corso del XX secolo,
tuttavia, il fenomeno ha attraversato dei mutamenti. Gli studi di Rosenkvist
(1994) suggeriscono che in evdalico tradizionale il movimento verbale sia
obbligatorio unicamente nelle proposizioni che presentano soggetto referenziale
nullo, ma opzionale nelle proposizioni con soggetto esplicito (Rosenkvist, 1994:
22-25), ad es. …at wįð older baiðum min jätå “… che non vogliamo mai
aspettare per mangiare”. Garbacz (2007) tuttavia, ha rilevato che alcuni parlanti
di evdalico tradizionale accettano anche strutture con soggetto referenziale nullo
in cui il verbo finito segue l’avverbio valutativo190, ad es. ir eð-dar estn so aldri
wilið raið? “è questo il cavallo che non volete mai cavalcare?”. I parlanti più

189
“Nelle subordinate, la parola ‘non’ non può mai essere posta tra il soggetto ed il predicato
come accade nella lingua standard; se la parola non appare in posizione iniziale, essa deve stare
dopo il verbo” (trad. mia)
190
Per un’analisi più approfondita del fenomeno vd. Garbacz (2010: 113).

148
giovani, in generale, giudicano non grammaticale il movimento verbale in
presenza degli avverbi oltiett “sempre”, föstå’ss “chiaramente”, older “mai” e
sakta “probabilmente/certamente” (Garbacz, 2006:5).

Nel caso degli avverbi di negazione, gli informatori più giovani mostrano
due tendenze distinte: 1) l’avverbio di negazione viene topicalizzato, rendendo
così impossibile rilevare il movimento verbale; 2) l’avverbio di negazione è
posto tra il soggetto ed il verbo, secondo il regolare ordine scandinavo
continentale, cfr. ad es. eð ir biln so int an will åvå vs. eð ir biln so an int will
åvå “questa è la macchina che lui non vuole avere” (Garbacz, 2015: 99).

Si può dunque affermare che il movimento verbale, obbligatorio in evdalico


classico, sia diventato opzionale nel corso del XX secolo (Garbacz. 2010: 113) e
sia in regressione nell’evdalico moderno, varietà per cui l’ordine verbo-avverbio
rappresenta l’ordine marcato degli elementi (Garbacz, 2015: 99).
L’obbligatorietà del movimento verbale è rimasta intatta unicamente nel caso
delle proposizioni interrogative indirette, per le quali qualsiasi altro ordine dei
costituenti risulta non grammaticale (Garbacz, 2006: 7).

Nel quadro teorico della Rich Agreement Hypothesis (RAH), il movimento


verbale da V a I rientra tra i fenomeni sintattici comunemente associati ad una
morfologia verbale “ricca”. L’ipotesi è stata formulata da Bobalijk (2003: 131-
132) in una versione forte191 (l’accordo verbale ricco è la causa del movimento
verbale) ed una versione debole192 (una lingua con accordo verbale ricco
presenterà anche movimento verbale). Un’altra ipotesi è avanzata da Vikner
(1997: 103–104), che ritiene che il movimento verbale possa avvenire solamente
nelle lingue in cui una stessa forma verbale porta sia indicazioni di persona che
di tempo193.

Tuttavia, diverse varietà scandinave, come il dialetto di Tromsø in Novergia


(Bentzen, 2007) ed il dialetto fennosvedese di Kronoby (Alexiadou et al., 2002),
presentano movimento verbale in diversi tipi di proposizioni subordinate,
nonostante la morfologia verbale non soddisfi i requisiti sopra citati

191
Vd. anche Rohrbacher (1999).
192
Vd. anche Bobaljik & Thráinsson (1998).
193
Thráinsson (1996: 262-269), ritiene che il fattore determinante per la presenza di
movimento verbale sia la distinzione tra il morfema che indica il tempo e quello che indica la
persona, questa condizione è detta Split IP (sintagma flessivo scisso).

149
(Angantýsson, 2015: 56). Nel caso dell’antico svedese e dell’antico danese,
inoltre, il fenomeno di movimento verbale sembra essersi sviluppato
posteriormente al sincretismo delle marche d’accordo verbali (Falk, 1993). Ciò
mette in discussione la possibilità che il sistema d’accordo verbale possa essere
alla base del fenomeno di movimento da V a I, come invece ipotizzato nella
versione forte della RAH.

Come illustrato in 3.3.2, il sistema di accordo verbale dell’evdalico è rimasto


sostanzialmente intatto nel corso dell’ultimo secolo (Garbacz, 2015: 94).
Ciononostante, nello stesso periodo si assiste ad un progressivo declino del
movimento verbale. Il fenomeno, opzionale in evdalico tradizionale ed ormai
residuale in evdalico moderno, non può essere quindi correlato con la presenza
di un sistema d’accordo verbale “ricco”, – che distingue, inoltre, la marca
indicante il tempo da quella indicante la persona (Thráinsson, 2007: 59;
Garbacz, 2010: 120) – in contrasto da quanto predetto nella versione debole
della RAH (Garbacz, 2015: 87). Thráinsson (2010: 1084) ha ipotizzato che la
regressione del movimento verbale in evdalico possa essere attribuita al
crescente influsso dello svedese standard.

Tuttavia, diversi aspetti sintattici peculiari dell’evdalico sono tuttora


stabilmente presenti nella lingua, sebbene assenti in svedese; l’influsso di
quest’ultimo non va dunque sopravvalutato (Garbacz, 2010: 129). Piuttosto,
secondo Garbacz (2015) e Rosenkvist (1994: 21), il declino del movimento
verbale può essere correlato con le costruzioni con avverbio topicalizzato.
L’ordine avverbio-soggetto-verbo, già frequente in evdalico classico (Levander
1909: 124), rende opaca la posizione sintattica del verbo finito (V o I) al parlante
(Garbacz, 2015: 100). La topicalizzazione dell’avverbio può inoltre avvenire in
proposizioni che presentano omissione del soggetto referenziale – ad es. um int
windir brott ån “se non lo buttate via” (Rosenkvist, 1994: 20) – il che rende
ulteriormente incerta la posizione del verbo finito in relazione agli altri
costituenti sintattici (Garbacz, 2015: 102). In questo caso è possibile ritenere che
l’influsso svedese abbia funzionato da catalizzatore: l’assenza di indizi sulla
posizione sintattica del soggetto in queste proposizioni avrebbe reso possibile
l’emersione del regolare ordine dei costituenti attestato nello scandinavo
continentale (soggetto-avverbio-verbo), così come mostrato da alcuni dei
parlanti più giovani (Garbacz, 2015: 102-103).

150
4.9. Inversione stilistica

Così come il movimento verbale, anche l’inversione stilistica rappresenta un


fenomeno sintattico comunemente correlato con un accordo verbale “ricco”
(Holmberg & Platzack, 1995). Anche questo fenomeno, produttivo in evdalico
classico ma già assente in evdalico tradizionale, mostra di esser regredito
nonostante il sistema verbale dell’evdalico sia rimasto sostanzialmente invariato
nel corso dell’ultimo secolo (Garbacz, 2010: 143). La costruzione, osservata da
Levander (1909b: 122), viene brevemente descritta come segue: “predikatet står
mycket ofta sist i korta relativsatser” (“il predicato si trova spesso per ultimo
nelle proposizioni relative brevi”). Si osservino i seguenti esempi:

1) An fikk fel Swen råða, so gambler war. “Stava probabilmente a Swen,


che era il più vecchio, decidere”
2) An saggd sos sant war “ha detto ciò che era vero”
3) Oller so ogų og neveð åvå “tutti coloro che hanno occhi e naso”

L’inversione stilistica può essere definita come lo spostamento di un


elemento sintattico – solitamente “leggero”, come la testa di un sintagma – nella
posizione tra il complementatore ed il verbo finito nelle proposizioni secondarie
prive di un soggetto esplicito (Garbacz, 2010: 144). Il fenomeno è attestato
anche nelle lingue scandinave medievali, ad es. ant.sv. tha som lypt war i
messonne “poi, quando fu alzato nella messa” (Falk 1993: 178); aisl. eina dottur
er Droplaug hét “una figlia che si chiamava Droplaug” (Faarlund, 2004: 237),
nonché in islandese moderno (Thráinsson 2007: 352). Thráinsson stesso (2007:
356-368) fornisce una lista di caratteristiche che distinguono l’inversione dalla
topicalizzazione:

a) l’inversione interessa singoli componenti del sintagma (solitamente la


testa), la topicalizzazione interessa l’intero sintagma;
b) nel caso della topicalizzazione, l’elemento posto in prima posizione è
normalmente enfatizzato, l’inversione non ha necessariamente valore
enfatico;

151
c) la topicalizzazione avviene primariamente nelle proposizioni principali,
là dove l’inversione avviene solitamente nelle proposizioni secondarie
prive di soggetto esplicito194;
d) l’inversione, a differenza della topicalizzazione, è vincolata alla
proposizione195, l’elemento soggetto ad inversione non può essere
spostato al di fuori della proposizione subordinata;
e) l’inversione può avvenire solo nelle proposizioni prive di soggetto.

Come accennato in 4.2, il fenomeno risulta già assente in evdalico


tradizionale, a prescindere dall’età del parlante (Rosenkvist, 1994; Garbacz,
2010: 143–164; Angnatýsson, 2011: 174–183), cfr. ad es. ev.cl. såg du ǫ-dar
kelindşę so aut fuor? vs. ev.trad. såg du ǫ-dar kelindşę so fuor aut? “hai visto
quella donna che è uscita?” (Garbacz, 2010: 70-71). Gli studi condotti da
Garbacz & Johannessen (2015: 34-35) sull’Ö.S.C. sembrano confermare
l’assenza del fenomeno in evdalico moderno. Garbacz & Johannessen (2015)
hanno analizzato le ricorrenze nel corpus di proposizioni relative brevi
(introdotte dal connettivo so) in cui erano presenti il verbo wårå (essere) e un
predicativo, contesto favorevole all’inversione stilistica in evdalico classico.
Nessuna delle 8 ricorrenze individuate presenta inversione in evdalico moderno
(Garbacz & Johannessen, 2015: 34-35).

Il fenomeno dell’inversione, come già accennato, è stato spesso correlato


con la presenza di un sistema di accordo verbale ricco, nella cornice teorica
della RAH. Diversi studiosi, tra cui Falk (1993), Holmberg & Platzack (1995) e
Hrafnbjargarson (2004), ritengono che sia possibile definire una relazione
implicazionale per i diversi fenomeni sintattici: l’inversione stilistica avrebbe
dunque come requisito la presenza di movimento verbale, a sua volta correlato
con il sistema di accordo verbale (Garbacz, 2010: 153). Falk (1993) e Holmberg
& Platzack (1995), in particolare ritengono che l’inversione stilistica sia un
fenomeno di aggiunta ad I (adjunction to I0), ovvero, che essa consista
nell’anteposizione della testa del sintagma al verbo finito, spostato nella
posizione del sintagma flessivo (IP) per effetto del movimento verbale.

194
Ci sono, ad ogni modo, alcuni esempi di inversione nelle proposizioni principali in islandese
(Thráinsson, 2007: 372) e di topicalizzazione nelle proposizioni subordinate in antico svedese
(Holmberg & Platzack, 1995: 86).
195
Per studi più approfonditi vd. Ingason & Wood (2017)

152
L’inversione stilistica, di conseguenza, non risulterebbe più possibile in
assenza di movimento verbale (Garbacz, 2009: 173-175). L’ipotesi è sostenuta
da Angantýsson (2015: 78), che ritiene che la presenza di movimento verbale sia
una condizione necessaria – sebbene non sufficiente – affinché possa avvenire
l’inversione stilistica. In prospettiva diacronica, Angantýsson (2015: 81-82)
ritiene che il sistema verbale dell’evdalico stia progressivamente perdendo le
caratteristiche del sintagma flessivo scisso (Split IP, vd. supra), fattore da lui
considerato determinante per il movimento verbale.

Garbacz & Johannessen, (2015: 28), al contrario, ritengono che il sistema


verbale dell’evdalico, inclusa la caratteristica del sintagma flessivo scisso, sia
rimasto sostanzialmente invariato fino ai giorni nostri. La regressione del
fenomeno di inversione – così come per il movimento verbale – sarebbe dunque
da attribuire ad altri fattori. Garbacz (2010: 161-164) ritiene che il fattore
principale sia costituito dal mutamento della struttura del sintagma flessivo in
evdalico tradizionale. Nei casi di inversione stilistica, il sito di arrivo
dell’elemento dislocato è lo specificatore del sintagma flessivo (Spec, IP). In
islandese e nelle lingue scandinave medievali, questa posizione può essere
occupata da qualsiasi costituente sintattico (Garbacz, 2010: 162).

In evdalico tradizionale e moderno, così come nelle lingue continentali


moderne, la posizione Spec, IP è ristretta al solo soggetto (Håkansson, 2008:
164). Ciò è dimostrato dal fatto che l’evdalico, a differenza dell’islandese, non
accetta esempi di topicalizzazione nelle proposizioni subordinate, cfr. ad es. isl,
hann viðurkenndi að þessa mynd i hafði hann ekki séð “ha ammesso di non aver
visto questo film” (Hrafnbjargarson, 2004: 119) vs. ev. eð ir fel Maj so ar lesið
ǫ-dar buotję (ma non *eð ir fel Maj so ǫ-dar buotję ar lesið) “è possibile che
Maj abbia letto quel libro” (Garbacz, 2010: 163). Di conseguenza, si può
sostenere che in evdalico – a differenza di quanto accade in islandese e nelle
lingue scandinave medievali – l’accordo verbale non abbia un valore
sintattico196 (Garbacz, 2010: 164).

196
Un’ipotesi avanzata da Holmberg & Platzack (1995) è che l’accordo verbale possa svolgere la
funzione di posizione di un argomento (A-position), permettendo così alla posizione Spec, Ip di
essere occupata da un costituente sintattico diverso dal soggetto. Nel momento in cui l’accordo
verbale perde questa funzione, la posizione Spec, IP deve essere necessariamente occupata dal
soggetto (Garbacz, 2010: 164).

153
4.10. Accordo negativo

Come accennato in 4.4, l’evdalico rappresenta una delle poche varietà


germaniche che presentino accordo negativo197. All’interno di una frase, un
quantificatore negativo (come inggan “nessuno”, werrå “da nessuna parte”,
aldri “mai”) può essere accompagnato da uno o più avverbi di negazione (come
int, it198 o itşä “non”) (Garbacaz, 2006: 12). Alcuni esempi sono riportati da
Levander (1909b: 111), il che dimostra come il fenomeno fosse già produttivo
in evdalico classico:

a) Dier dşärå inggum inggan skåðå “non fanno male a nessuno”;


b) Itşä ir dą̊ int ig jälåk ǫ inggan “non sono arrabbiato con nessuno”;
c) […] og int ig såg inggan kall eld werrå “[…] e non ho nemmeno
visto nessun uomo da nessuna parte”

Il fenomeno è stato oggetto di studio per Baker (1970), che opera una
distinzione tra le lingue che presentano accordo negativo obbligatorio (strict
NC) e le lingue che presentano accordo negativo facoltativo (non-strict NC). Al
secondo gruppo appartiene l’evdalico, per cui il quantificatore negativo non
deve essere necessariamente accompagnato da un avverbio di negazione
(Garbacz, 2010: 87).

Nel tentativo di determinare le condizioni che rendano possibile l’accordo


negativo, Garbacz (2006: 12-13) ha rilevato che non è possibile formare una
frase con due avverbi di negazione in assenza di un quantificatore negativo. Una
frase come *jär ligg oll rekkningger so int ig ar it bitalt (“ecco tutte le fatture
che [non] io non ho pagato”) può essere intesa con valore affermativo, ma è
generalmente considerata non grammaticale (Garbacz, 2010: 88). La presenza di
un quantificatore negativo sembrerebbe dunque una condizione necessaria per la
costruzione con accordo negativo.

197
Alcune lingue germaniche che presentano accordo negativo sono l’afrikaans e lo yiddish,
nonché alcune varietà non standard del tedesco – come il bavarese (Weiß 1999) –, dell’inglese
e del nederlandese (Raidt 1991:222).
198
L’alternanza di int o it sembra dipendere dall’accento e dalla posizione nella frase. È tuttavia,
possibile rilevare delle variazioni a livello diatopico, nel villaggio di Åsen la forma int sembra
essere prevalente (Garbacz, 2009: 134).

154
Tuttavia, in presenza di movimento verbale, i verbi intransitivi richiedono la
presenza dell’elemento di polarità negativa noð (approssimativamente
traducibile come “affatto”), come ad es. ig will witå wiso Ierk kumb it noð
“voglio sapere perché Ierk non viene” (Garbacz, 2006: 12). Sono marginalmente
possibili costruzioni che presentano due quantificatori negativi ma nessun
avverbio, ad es. an fą̊r aldri inggų jåp “non ottiene mai alcun aiuto” (Garbacz,
2010: 88). Inoltre, nel caso in cui il quantificatore negativo si trovi in posizione
preverbale, la presenza di un avverbio di negazione risulta non grammaticale,
cfr. ad es. aldri kumb an et messer vs. *aldri kumb an it et messer “non viene
mai a messa” (Garbacz, 2010: 87).

L’avverbio itşä – probabilmente sviluppatosi da icke199, attestato in Prytz


(1622) – può correntemente apparire solamente in posizione iniziale e finale 200
(Garbacz, 2009: 118). Così come sv. inte ed icke (Rosenkvist, 2012: 180), itşä
può apparire in isolamento in posizione finale, assumendo così un valore
enfatico, cfr. ad es. sv. inte ska vi köpa en ny bil, inte “non compreremo una
nuova macchina, assolutamente” (Rosenkvist, 2012: 180) vs. ev. itşä will dą̊ int
indjin iem nest uoss older lån åm-dar ingg pening noð mįer, itşä “nessuno a
casa nostra vuole più prestargli dei soldi, assolutamente” (Garbacz, 2008: 12).

L’accordo negativo costituisce, con tutta probabilità, un’innovazione


dell’evdalico (Garbacz, 2010: 88). Ciò sembra essere confermato dall’assenza di
ricorrenze del fenomeno nei testi di Prytz (1622) e Näsman (1733), che
costituiscono tuttavia dei testi relativamente brevi i quali presentano, inoltre, un
numero ristretto di contesti in cui il fenomeno potrebbe apparire (Garbacz, 2009,
123). Il fenomeno è attestato nell’antico runico scandinavo e, marginalmente,
anche in antico islandese (Eyþórsson, 2002; Lundin-Åkesson 2005), ma risulta
già assente in antico svedese ed antico danese (Garbacz, 2010: 122); è dunque
poco probabile che il fenomeno evdalico costituisca un arcaismo (Rosenkvist,
2012: 181).

È possibile che la presenza di accordo negativo in evdalico sia legata ad un


mancato processo di standardizzazione della lingua. Nell’ambito di uno studio

199
Cfr. sv. icke, aisl. ekki, probabilmente da antscand. *etki, ottenuto dalla fusione di et “uno” e
del suffisso negativo -gi.
200
Itşä in posizione interna di frase è attestato in evdalico classico (Skansvakten, 1925: 27).

155
condotto sull’accordo negativo in bavarese, Weiß (1999, 838-841) afferma che
la diffusione del fenomeno in tedesco sia stata disincentivata e infine bloccata
dalle tendenze standardizzanti nella lingua. L’innovazione si sarebbe invece
mantenuta in bavarese, che non ha subito lo stesso processo di
standardizzazione e l’influenza di organi puristi (Weiß, 2002: 135). Una
situazione simile può essere ricostruita per il caso dell’evdalico: il fenomeno
dell’accordo negativo potrebbe aver iniziato ed emergere nelle lingue
scandinave continentali, salvo venir rifiutato nel processo di standardizzazione
delle diverse lingue, processo non che non ha interessato l’evdalico e le altre
varietà non-standard danesi e fennosvedesi che presentano accordo negativo
(Garbacz, 2010: 89).

156
5. ORTOGRAFIA
Il presente capitolo offre una breve analisi dei diversi sistemi di scrittura
dell’evdalico. In una prima fase verrà esaminato il sistema runico dalecarlico,
sviluppatosi dal runico medievale. Successivamente, verranno messe a confronto le
tre principali proposte per un’ortografia standardizzata in evdalico, rispettivamente
basate sui lavori della Råðdjärum (2005), di Lars Steensland (2010) e di Bengt
Åkerberg (2012).

5.1. Rune dalecarliche

Come accennato in 1.4.1, il futhark recente, costituito da 16 caratteri (vd.


fig.2), è stato il principale sistema di scrittura dell’antico scandinavo a partire
approssimativamente dall’VIII secolo. L’introduzione dell’alfabeto latino in
Scandinavia è avvenuta intorno alla fine dell’XI secolo (Enoksen, 1998:140).
L’alfabeto latino, rimasto a lungo ad uso esclusivo del clero, non ha
immediatamente soppiantato l’alfabeto runico, ancora in uso per la lingua locale.
Il sistema è stato esteso affinché ad ogni carattere corrispondesse un fonema
(Jacobsen & Moltke, 1942: 7; Werner, 2004: 20). In particolare, sono state
aggiunte delle varianti puntate alle consonanti sorde per indicare le corrispettive
consonanti sonore e viceversa (vd. fig.3).

Fig.2: Futhark recente: in alto le rune a rami lunghi, maggiormente in uso in


Danimarca; in basso le rune a rami corti, prevalentemente utilizzate in Svezia e
Norvegia.

Fig.3: Alfabeto runico medievale.

157
La maggior parte delle rune presenti nell’alfabeto runico medievale
rimandano direttamente alle forme del futhark recente: la tendenza generale dei
mastri runici era dunque quella di utilizzare o modificare rune preesistenti,
piuttosto che introdurre nuovi caratteri (Enoksen, 1998:136). Le iscrizioni
runiche medievali mostrano un uso intercambiabile di diverse rune, in
particolare quelle corrispondenti a s, c e z (Jacobsen & Moltke, 1942: 7; Werner,
2004: 20). L’uso comune delle rune è progressivamente diminuito nel corso del
XIV secolo, arrivando ad una conclusione intorno al 1450.

Siccome l’interesse degli studiosi per le rune risale già al medioevo, risulta
difficile determinare se le iscrizioni runiche post-medievali costituiscano una
testimonianza di una tradizione ininterrotta da parte della popolazione locale o se
le attestazioni dell’epoca siano da attribuire all’influsso di una classe culturale
più prestigiosa (Gustavson, 2005: 1). La situazione è ulteriormente complicata
dalla quantità limitata di iscrizioni runiche di epoca vichinga e medievale in
Dalecarlia (Gustavson, 2005: 5). È opportuno puntualizzare che, a discapito del
nome, il runico dalecarlico non è diffuso in tutta la regione; la maggior parte
delle attestazioni è stata rinvenuta nell’area dell’Ovansiljian che comprende
Älvdalen, Mora, Våmhus, Venjan e Sollerön (Gustavson, 2005: 3).

Le più antiche attestazioni di runico dalecarlico (vd. fig.4) risalgono alla fine
del XVI secolo e sono costituite da un gruppo di circa 30 iscrizioni (Gustavson,
2005: 4). Tra queste spicca un’iscrizione su una lastra di rame, ad opera dello
studioso Johannes Bureus (1599, vd. fig.5), che riporta i nomi delle 24 rune in
ordine alfabetico (Stille, 2006: 453). Molte delle altre iscrizioni, invece, sono da
riferire alla popolazione rurale. Queste sono state rinvenute sulle pareti di stalle,
capanne e cabine, nonché su utensili di diverso tipo. Sono inoltre comuni le
iscrizioni su tronchi d’albero201, al fine di delimitare le zone di pascolo dei
diversi pastori e allevatori. Le iscrizioni di questo tipo vengono comunemente
denominate gätrunor (“rune del pastore”, lett. “rune capra”) (Gustavson, 2005:
3).

201
Sono state inoltre rinvenute circa 12 iscrizioni su pietra (Gustavson 1996, 2004).

158
Fig 4: I caratteri del runico dalecarlico in uso intorno alla fine del XVI secolo.

Fig.5: I nomi delle rune dalecarliche in ordine alfabetico (Bureus, 1599).

Delle 30 iscrizioni precedentemente citate, alcune presentano caratteristiche


notevolmente simili al runico medievale. In particolare, due iscrizioni su aste di
legno, rinvenute a Mora nel 2010, dette “l’iscrizione di Kerstin” e “l’iscrizione
di Nisse”, appaiono quasi completamente prive di interferenze attribuibili
all’ortografia latina (Gustavson, 2005: 4). Un’interferenza di questo tipo può
essere rilevata a partire dal 1670 ca., con l’emersione di alcuni mutamenti nel
sistema di scrittura, rappresentati dalla comparsa occasionale dei caratteri latini
<C>, <Ö>, e <K>202. L’influenza dell’alfabeto latino sul runico dalecarlico è
innanzitutto attribuibile alle attività degli organi religiosi. I tentativi di istruire
la popolazione locale attraverso la catechesi risalgono fino al medioevo, ma è
con la conversione della Svezia al luteranesimo che si ha un considerevole
aumento della diffusione di testi religiosi e della progressiva competenza
nell’uso dell’alfabeto latino anche da parte delle classi meno colte (Gustavson,
2005: 5).
È opportuno precisare che le iscrizioni in runico dalecarlico non risultano
sempre adeguate al fine di descrivere e ricostruire la varietà locale parlata al
tempo (Melerska, 2011: 174): esse riflettono spesso una tendenza degli incisori
a riprodurre lo svedese dei testi religiosi (Gustavson, 2004: 69). Alcune

202
L’inserimento del carattere latino <K> può essere dovuto alla notevole somiglianza con la
runa corrispondente (Gustavson, 2005: 4).

159
attestazioni integralmente in evdalico risalgono al 1681, al 1705, al 1706 (vd.
fig. 6) ed al 1787 (Levander, 19010: 166-168; Björklund, 1957: 187).

Fig.6: Iscrizione in runico dalecarlico risalente al 1706203.

La retrodatazione delle diverse iscrizioni, insieme alle informazioni pervenute


da Bureus (1599), Carl von Linné (1734)204, Abraham Hülphers (1762) e
Levander (1910), testimonia che l’uso del runico dalecarlico è continuato
ininterrottamente almeno fino all’inizio del XIX secolo, sebbene il sistema
abbia subito la progressiva influenza dell’alfabeto latino (vd. fig. 7) (Enoksen,
1998: 180). Ad oggi sono state rinvenute circa 350 iscrizioni runiche nel
distretto di Älvdalen, la maggior parte delle quali sono state incise su oggetti di
legno (Melerska, 2011: 175). Molte delle iscrizioni più recenti presentano solo
alcuni caratteri runici, circondati da caratteri dell’alfabeto latino.
La ragione per cui l’alfabeto runico è sopravvissuto così a lungo nell’area
di Älvdalen è probabilmente legata al costo elevato ed alla scarsa reperibilità
della carta (Gustavsson, 2005: 5). Considerati gli scopi pratici delle iscrizioni,
l’uso delle rune – semplici da incidere su legno – poteva risultare spesso più
conveniente rispetto all’uso dei caratteri latini (Gustavson 1996: 4). Un altro
fattore da tenere in considerazione è il relativo conservatorismo ed
attaccamento alle tradizioni che tuttora caratterizzano le comunità dei villaggi
(Melerska, 2011: 175). Inoltre, l’introduzione piuttosto tarda dell’istruzione

203
_Trascrizione:
ien.buför.vid.ad.sprängbud.12.iunius.1706.vid.gik.trät.og.ien.kåv.va.ofärdug.gu.iåp.os.fram “Ci
siamo accampati qui durante trasferimento verso Sprängbodarna il 12 giugno 1706. Ci siamo
stancati ed un vitello si è azzoppato. Dio ci aiuti ad andare avanti” (Björklund, 1957: 187).
204
Durante una spedizione nel Dalarna, Linné annota sul suo diario la singolare usanza degli
abitanti di Mora di ricorrere all’alfabeto runico per iscrizioni di vario tipo (Jansson et al., 1997:
174). Citando testualmente: “[…] skrifwa än idag sina namn och bomärken med runska
bokstäfwer, som synes på wäggar, skötstenar, skålar etc. Det man på intet annat ställe i Sverje
wet continueras” (scrivono ancora oggi i propri nomi e marchi di proprietà con lettere runiche,
che si trovano su muri, pietre angolari, ciotole ecc. Che si sappia, ciò non si continua a fare da
nessun’altra parte in Svezia).

160
obbligatoria nell’area può aver contribuito al protrarsi della scarsa competenza
nell’uso dell’alfabeto latino ed alla sopravvivenza del sistema runico.

Fig.7: Evoluzione del runico dalecarlico dal XVI al XIX secolo (Noreen et al., 1906:
90).

161
5.2. Standardizzazione dell’ortografia
Come accennato in 1.5.2, correntemente non si dispone di un’ortografia
standardizzata per l’evdalico. Come sottolineato da Helgander (2013: 29), le
varietà linguistiche minoritarie sono spesso considerate espressioni di una
cultura subalterna e dotate di minor prestigio sociolinguistico. Questo
pregiudizio è spesso legato al fatto che molte di queste varietà sono
prevalentemente parlate. La presenza di una lingua scritta standardizzata
rappresenta dunque un fattore di vitale importanza per la conservazione ed il
riconoscimento dell’evdalico come forma linguistica dotata di una propria
autonomia e dignità culturale, riducendo così il divario sociolinguistico con lo
svedese standard e incentivando l’uso da parte dei parlanti. Nel corso degli
ultimi due decenni, sono stati proposti tre modelli ortografici principali (Zach,
2013: 84):

1) L’ortografia della Råðdjärum (2005)


2) L’ortografia di Steensland (2010)
3) L’ortografia di Åkerberg (2012)

Questi tre sistemi presentano alcune divergenze, che verranno approfondite


nelle sezioni seguenti. Il tentativo di creare un’ortografia standardizzata per
l’evdalico è complicato da due ostacoli fondamentali. Il primo di questi ostacoli
è costituito dall’impossibilità di creare un sistema ortografico che risulti
ugualmente valido per le tre varietà generazionali – classica, tradizionale e
moderna –, specialmente tenendo conto del fatto che la varietà parlata dalle
generazioni più recenti risulta fortemente instabile e soggetta a variazioni
(Helgander, 2013: 32). I tre sistemi ortografici sono dunque ottimizzati per la
scrittura dell’evdalico classico, su cui sono basate le diverse grammatiche
normative (Åkerberg, 2000; Åkerberg, 2004; Åkerberg & Nyström, 2012; Sapir
& Nyström 2015). Il secondo ostacolo è rappresentato dalla presenza di
variazioni a livello diatopico: i diversi sistemi ortografici cercano di operare un
compromesso che risulti adeguato a rappresentare le varietà dei diversi villaggi,
piuttosto che imporre come norma la varietà di un singolo villaggio (Helgander,
2013: 32).

162
5.2.1. Il modello della Råðdjärum

La creazione di un sistema ortografico per l’evdalico è stata


commissionata dall’associazione Ulum Dalska nel 2004, con l’istituzione
di un organo detto Råðjärum, Älvdalska språkrådet (“consiglio linguistico
evdalico”), presieduto da Yair Sapir e costituito da Östen Dahl, Gunnar
Nyström, Lars Steensland e Bengt Åkerberg205 (Zach, 2013). Insieme agli
ostacoli per la creazione di sistema ortografico unico precedentemente
citati, il consiglio ha dovuto tenere conto di molteplici fattori, di seguito
sintetizzati, su cui ha basato il proprio modello teorico (Råðjärum, 2005: 1-
2):

1) Le caratteristiche uniche dell’evdalico: l’evdalico presenta delle


caratteristiche fonetiche e fonologiche spesso fortemente divergenti
rispetto allo svedese standard. L’uso dell’alfabeto e dei principi
ortografici dello svedese risulta spesso inadeguato all’espressione
delle opposizioni fonologiche rilevanti in evdalico. Di conseguenza, è
risultata necessaria l’introduzione di alcuni caratteri assenti
nell’alfabeto svedese, entro i limiti della praticità d’uso;
2) Le variazioni diatopiche: il sistema ortografico della Råðjärum non è
basato sulla varietà di un singolo villaggio. Il principio basilare è
dunque quello di riflettere la pronuncia più diffusa o, qualora ciò non
fosse possibile, di proporre una forma che risulti comprensibile alla
maggior parte dei parlanti;
3) La tradizione svedese: allo stato attuale, tutti i parlanti evdalici hanno
ricevuto un’istruzione formale in svedese. Là dove possibile,
l’ortografia evdalica dovrebbe dunque essere comparabile con quella
svedese, evitando la creazione di un sistema che venga percepito
come estraneo dai parlanti;
4) La tradizione evdalica: sebbene il loro numero sia piuttosto limitato,
sono pervenute attestazioni di evdalico scritto che risalgono fino a
diversi secoli fa (Melerska, 2011: 176). In alcuni casi è possibile

205
Come si può notare, sia Steensland che Åkerberg hanno partecipato alla stesura del modello
ortografico della Råðjärum. I sistemi successivamente proposti dai due studiosi sono dunque
basati sugli stessi principi fondamentali, presentando soltanto alcune divergenze. Si noterà
anche la presenza nel consiglio di Östen Dahl, forse il più noto tipologo scandinavo, dunque uno
studioso di solida formazione linguistica generale.

163
individuare dei principî comuni nella scrittura, che dovrebbero
dunque avere un proprio riflesso nel sistema standardizzato;
5) Aspetti pratici: l’alfabeto deve risultare semplice nell’apprendimento
e nell’uso. Il sistema ortografico, inoltre, deve essere adeguato alla
scrittura digitale. I caratteri speciali, di conseguenza, dovrebbero
essere limitati allo stretto necessario e disponibili nel set di caratteri
generalmente diffuso;
6) Aspetti estetici: il sistema di scrittura dovrebbe avere un aspetto
generalmente gradevole. L’eccessiva frequenza di caratteri speciali e
diacritici rischia di conferire alla lingua un’aura di inintelligibilità ed
esoterismo.

L’alfabeto proposto dalla Råðjärum (2005: 4) è dunque il seguente.

Aa Ąą Bb Cc Dd Ðð Ee Ęę Ff Gg Hh Ii
Įį Jj Kk Ll Mm Nn Oo Pp Qq Rr Ss Tt
Uu Ųų Vv Ww Xx Yy Y̨ y̨ Zz Åå Ą̊ ą̊ Ää Öö

Come si può notare, l’alfabeto non prevede dei caratteri con ogonek
per <ä>, <o> (per cui si ricorre rispettivamente ad <ę> ed <ą̊>) ed
<ö>206. I dittonghi <ai>, <au>, <ie> e <yö> presentano la stessa grafia in
tutti i sistemi ortografici. Nel modello della Råðdjärum (2005: 5) il
dittongo /uo/ ed il trittongo /iuo/ sono resi rispettivamente con <uo> ed
<iuo>. Il dittongo [ɔj] presenta la grafia <åy>. Il sistema della
Råðdjärum si distingue per la grafia delle affricate /ʤ/ e /ʧ/,
rispettivamente rese come <dj> e <tj>, mentre le combinazioni fonetiche
[dj] e [tj] sono indicate con <di> e <ti>. Questa caratteristica rappresenta
una delle divergenze più evidenti tra i diversi sistemi: secondo
Steensland ed Åkerberg, la somiglianza dei caratteri potrebbe indurre i
parlanti in confusione (Zach, 2013: 87).

I sistemi della Råðdjärum e di Steensland presentano inoltre alcune


analogie fondamentali. La prima di queste è costituita dall’uso
dell’apostrofo, che può indicare una sillaba iperlunga (se l’apostrofo è
seguito da doppia consonante, ad es trä’tt “stanco”) o una n acrosillabica

206
La nasalizzazione di <ö> occorre unicamente quando essa precede -m, -n o -ng, il carattere
con diacritico risulta dunque superfluo (Åkerberg, 2012: 38

164
(come in we’n “la strada”) (Råðjärum, 2005: 6). In entrambi i sistemi il
fonema [ɬ] è indicato tramite il nesso <sl>. In tutti i sistemi ortografici, i
caratteri <c>, <q>, <x>, e <z> appaiono unicamente nei forestierismi
(Råðdjärum, 2005: 3).

5.2.2. Il modello di Steensland


Il sistema ortografico proposto da Steensland (2010) si pone in una
posizione intermedia tra il modello della Råðjärum (2005) e quello di
Åkerberg (2012). In particolare, là dove Åkerberg punta alla creazione di
un sistema che possa riflettere le diverse varietà diatopiche, Steensland –
analogamente alla Råðjärum – persegue un ideale di neutralità del sistema
ortografico, ritenendo possibile la creazione di un’ortografia unificata
(Zach, 2013: 90). In opposizione a Åkerberg, Steensland cerca inoltre di
limitare l’introduzione di caratteri speciali, che potrebbero rendere oscura e
poco comprensibile la lingua scritta.

Il modello di Steensland condivide con Åkerberg il ricorso alle forme


<dş> e <tş>207 per indicare le affricate /ʤ/ e /ʧ/, là dove combinazioni /dj/ e
/tj/ sono rese con <dj> e <tj> (Steensland 2010: 280). Il sistema di
Steensland si distingue innanzitutto per l’uso della grafia <åi> per indicare
il dittongo [ɔj], là dove gli altri due sistemi presentano la grafia <åy>
(Zach, 2013: 88). Analogamente al sistema della Råðjärum, Steensland
ricorre al carattere <ę> per indicare la nasalizzazione di <ä>. La
nasalizzazione di <å>, invece, è indicata con <ǫ>, là dove la Råðjärum
ricorre ad <ą̊> (Zach, 2013: 87). L’alfabeto ideato da Steensland appare
dunque come indicato qui di seguito:

Aa Ąą Bb Cc Dd Ðð Ee Ęę Ff Gg
Hh Ii Įį Jj Kk Ll Mm Nn Oo Ǫǫ
Pp Qq Rr Ss Şş Tt Uu Ųų Vv Ww
Xx Yy Y̨ y̨ Zz Åå Ää Öö

207
Per semplificare la scrittura digitale, Steensland (2012: 4) propone le grafie alternative <dsj>
e <tsj>.

165
5.2.3. Il modello di Åkerberg

La differenza sostanziale tra i tre sistemi ortografici consiste nella


rappresentazione dei fonemi assenti in svedese standard. Là dove il
modello della Råðjärum predilige l’uso di caratteri presenti in svedese –
sebbene questi potrebbero talvolta non riflettere adeguatamente la
pronuncia –, Åkerberg preferisce ricorrere a diversi caratteri speciali, che
rispecchino più fedelmente la lingua parlata (Zach, 2013: 88-89). Nella
grammatica del 2012, fornisce delle spiegazioni riguardo alle scelte operate
nella creazione di un sistema ortografico per l’evdalico. I suoi obiettivi
principali sono due: da un lato ritiene che la scrittura dell’evdalico
dovrebbe essere quanto più chiara possibile per gli apprendenti (Åkerberg,
2005: 528); dall’altro intende preservare le differenze che intercorrono tra
le varietà diatopiche dei singoli villaggi, invitando i singoli parlanti a
scrivere nella maniera che meglio rifletta la propria varietà locale 208
(Åkerberg, 2012: 37).

Per questa ragione, Åkerberg ricorre alle forme <uä> e <iuä> per
rappresentare il dittongo /uo/ ed il trittongo /iuo/, che presentano
rispettivamente le realizzazioni diatopiche [ʉæ, uɛ] e [iʉæ, iuɛ] (Zach,
2013: 87-88). A differenza degli altri due sistemi ortografici, il modello di
Åkerberg presenta una variante nasalizzata per ogni vocale orale,
includendo dunque <ą̈> ed <ǫ̈> (Åkerberg, 2012: 37). Analogamente a
Steensland, Åkerberg ricorre alle forme <dj> e <tj> per /dj/ e /tj/ ed alle
forme <dş> e <tş> per indicare le affricate /ʤ/ e /ʧ/.

Il sistema ortografico ideato da Åkerberg presenta due caratteristiche


distintive. La prima è l’uso della sottolineatura per indicare il fonema [ɬ]
(ad es. slaik “come”209), le sillabe iperlunghe (ad es. trätt “stanco”) e la n
acrosillabica (ad es. wen “la strada”) (Åkerberg, 2005: 530). La seconda è
il ricorso ad un simbolo di elisione per indicare i casi di sandhi (vd. 2.3.1),
per cui le consonanti /ð/ ed /r/ – omesse nella pronuncia – e la consonante
/g/ – pronunciata come [ɣ] – vengono rispettivamente indicate con i

208
“Citando testualmente: Tiden är inte mogen för att skapa ett älvdalskt standardspråk” (“i
tempi non sono maturi per la creazione di un evdalico standard”) (Åkerberg, 2012: 37).
209
[ɬ:] è indicata con <ssl>

166
caratteri < >, < > e < > (Åkerberg: 2005: 530; Zach, 2013: 88).

L’alfabeto designato da Åkerberg consta dunque dei seguenti caratteri:

Aa Ąą Bb Cc Dd Ðð Ee Ęę Ff Gg
Hh Ii Įį Jj Kk Ll Mm Nn Oo Ǫǫ
Pp Qq Rr Ss Şş Tt Uu Ųų Vv Ww
Xx Yy Y̨ y̨ Zz Åå Ą̊ ą̊ Ää Ą̈ ą̈ Öö Ǫ̈ ǫ̈

167
6. CONCLUSIONI

Dopo aver analizzato le caratteristiche strutturali e gli sviluppi storici


dell’evdalico, è possibile trarre delle conclusioni di notevole rilievo riguardo alla sua
posizione in ambito diacronico, sincronico, dialettologico e tipologico.

Innanzitutto, lo studio delle caratteristiche fonologiche dell’evdalico ne


impedisce la netta collocazione all’interno del gruppo scandinavo orientale o
occidentale. L’evdalico non condivide sistematicamente i tratti fonologici ed i
mutamenti caratteristici dell’uno o dell’altro gruppo, presentando spesso
innovazioni indipendenti – come il dittongamento delle vocali lunghe antico-
scandinave (2.1.1) e l’arrotondamento di *a pgmc. seguita da nasale + occlusiva
(2.2.5). Queste innovazioni, insieme al considerevole numero di arcaismi – come la
conservazione delle vocali nasalizzate (2.1.2) e delle consonanti ð e w (2.2) –
appaiono inconciliabili con l’ipotesi – sostenuta da Wessén (1954) Hallberg (2005),
Garbacz (2010), Zach (2013) e Svenonius (2015) – secondo cui l’evdalico si sarebbe
sviluppato a partire dall’antico svedese. I dati sembrano invece indicare che
l’evdalico – e con esso tutto il gruppo dalecarlico propriamente detto – abbia
iniziato a divergere dall’antico scandinavo intorno all’XI secolo (vd. fig.8), così
come sostenuto da Levander (1925), Reitan (1930), Sapir (2006) e Kroonen (2015).

Fig. 8 Ricostruzione dello sviluppo genealogico dell’evdalico

168
La posizione autonoma dell’evdalico all’interno della cornice ricostruttiva
rappresenta peraltro un elemento di cruciale importanza per il riconoscimento dello
status di lingua minoritaria in Svezia.

Nell’ambito della linguistica ricostruttiva, l’evdalico offre testimonianze di


notevole interesse. Lo studio approfondito delle caratteristiche fonologiche più
conservative può rivelarsi particolarmente utile al fine di ricostruire il sistema
fonologico dell’antico scandinavo (Sandbeck, 2014) e per una più fedele
ricostruzione di alcune radici del protogermanico (Kroonen, 2015). Lo studio
dell’evdalico si è dimostrato dunque prezioso per una comprensione più
approfondita del panorama linguistico germanico nel suo complesso.

Ove si operi un confronto tra l’evdalico ed alcuni dialetti norvegesi orientali,


emergono alcune corrispondenze interessanti a livello fonomorfologico. Molte di
queste caratteristiche condivise rappresentano delle innovazioni tipiche dell’area
scandinava centrale (Sandøy, 1996). Tra queste si possono citare la presenza della
monovibrante retroflessa [ɽ] (Molde, 2005; Heide, 2010) ed i fenomeni di accento
parificato (Kristoffersen, 2004, 2008; Riad, 2005, 2011), bilanciamento vocalico
(Bye, 2005, 2008) e armonia vocalica210 (Hagland, 1978, 2009). Le innovazioni
meso-scandinave sono generalmente attribuite alla natura sostanzialmente isolata
dell’area, dal punto di vista sia geografico – si tenga conto della morfologia del
territorio, prevalentemente montuoso – che culturale (Dahl & Edlund, 2010).
Tuttavia, è possibile individuare anche degli aspetti notevolmente conservativi che
l’evdalico condivide con alcuni dialetti dell’area meso-scandinava, tra cui spiccano
le vocali nasalizzate (Røset, 2011; Kroonen, 2011, 2015) e la conservazione del caso
dativo (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2066; Eyþórsson et al., 2012; Garbacz, 2014).

Alla luce di questi dati risulta possibile ipotizzare che il gruppo dalecarlico
faccia a sua volta parte di un più ampio gruppo scandinavo centrale, caratterizzato
dalla condivisione solo parziale di tratti tipici del gruppo orientale e del gruppo
occidentale, dalla conservazione di alcuni aspetti arcaici – tuttora mostrati
dall’evdalico e da altri dialetti norvegesi orientali – e da alcune innovazioni
indipendenti. Ulteriori studi sulle caratteristiche strutturali condivise dall’evdalico e

210
L’origine di questi ultimi due fenomeni è attribuita al contatto areale con le varietà sami
meridionali (Kusmenko & Rießler, 2000; Kusmenko 2013, 2019)

169
da altre varietà dell’area centro-scandinava potrebbero permettere di confermare o
confutare quest’ipotesi con maggiore certezza.

Infine, le caratteristiche morfosintattiche dell’evdalico appaiono spesso peculiari


in prospettiva tipologica e teorica. Il sistema morfologico dell’evdalico presenta
diversi aspetti asimmetrici. Tra questi si possono citare la distribuzione
paradigmatica della determinatezza (3.3) e la conservazione del caso dativo (3.6.3).
L’evdalico mostra la coesistenza di due sistemi bicasuali – uno di tipo “nominativo
vs. obliquo”, l’altro di tipo “caso diretto vs. dativo” – che appare in contrasto con
predizioni di ordine tipologico relative alla gerarchia dei casi (Greenberg, 1966;
Weerman & De Wit, 1999; Blake, 2001) ed alla scala implicazionale di marcatezza
(Greenberg, 1963; Givón, 1995). Un’interessante innovazione morfologica
dell’evdalico è costituita dalla presenza di due strategie di carattere prosodico per
l’espressione del complemento di vocazione (3.6.5). La presenza di strategie
analoghe in lingue prive di una relazione genealogica con l’evdalico – come alcune
varietà colloquiali del russo e dell’italiano – potrebbe indicare che queste strategie
costituiscano un fenomeno tipologicamente diffuso e potenzialmente produttivo,
meritevole di ulteriori approfondimenti (Steensland, 2015).

L’evdalico presenta diversi fenomeni sintattici di notevole interesse. Esso


rappresenta l’unica lingua scandinava a mostrare omissione del soggetto referenziale
(ProDrop) – caratteristica condivisa con alcune varietà germaniche non standard –
costituendo così un esempio valido al fine di confutare l’ipotesi dell’incompatibilità
dell’omissione del soggetto referenziale con la struttura V2 (Jaeggli & Safir, 1989;
Rohrbacher, 1999). Un ulteriore aspetto degno di nota è costituito dal progressivo
declino, nel corso dell’ultimo secolo, del movimento verbale da V a I – fenomeno
comunemente correlato con la presenza di un sistema morfologico con accordo
verbale “ricco” nel quadro della Rich Agreement Hypothesis (Bobaljik &
Thráinsson, 1998; Rohrbacher, 1999; Bobalijk, 2003). La regressione del fenomeno
non mostra alcuna correlazione con la riduzione del sistema morfologico verbale,
rimasto sostanzialmente invariato fino ai giorni nostri (Garbacz 2010, 2015).
Dunque, uno studio approfondito delle caratteristiche morfosintattiche dell’evdalico
può rivelarsi di notevole utilità al fine di riconsiderare e/o perfezionare diverse
ipotesi di ordine tipologico e generativo-trasformazionale.

170
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