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Luca Riccardelli
Sapienza University of Rome
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Luca Riccardelli
Matricola 1615837
Relatore Correlatore
Prof. Paolo Di Giovine Prof. Andrea Berardini
A.A. 2019-2020
1. INTRODUZIONE………………………………………………………………4
1.1. Nozioni generali………………………………………………………………..4
1.2. Riconoscimento politico……………………………………………………….8
1.3. Come chiamare la lingua…………………………………………………….10
1.4. Premessa terminologica……………………………………………………...11
1.4.1. Antico Nordico, Antico Scandinavo, Runico e Protonorreno………11
1.4.2. Classificazioni delle lingue scandinave………………………………14
1.4.3. Fasi storiche dello svedese…………………………………………… 19
1.4.3.1. Svedese antico………………………………………………….19
1.4.3.2. Svedese moderno………………………………………………22
1.4.3.3. Svedese contemporaneo……………………………………….24
1.4.4. Classificazione dei dialetti svedesi……………………………………25
1.5. Periodizzazione……………………………………………………………… 30
1.5.1. Stadi della lingua tra XIX e XX secolo……………………………….32
1.5.2. Dissoluzione e rivitalizzazione dell’evdalico…………………………36
2. FONETICA E FONOLOGIA………………………………………………38
2.1. Vocalismo…………………..…………………………………………………38
2.1.1. Mutamenti vocalici…………………………………………………….40
2.1.1.1. Monottongamento scandinavo orientale……………………..40
2.1.1.2. Mutamento scandinavo occidentale dei dittonghi…………...41
2.1.1.3. Umlaut da ʀ…………………………………………………….41
2.1.1.4. Mutamento in contiguità di w-………………………………..42
2.1.2. Nasalizzazione……………………………………………………… .43
3. MORFOLOGIA………………………………………………………………..77
3.1. Sostantivi……………………………………………….…………………….. 77 .
3.6.3. Dativo………………………………………………………………….110
3.6.4. Accusativo……………………………………………………………. 111 .
3.6.5. Vocativo……………………………………………………………….113
3.7. Verbi………………………………………………………………………….117
3.7.1. Verbi deboli…………………………………………………………...119
3.7.2. Verbi forti……………………………………………………………..120
3.7.3. Verbi ausiliari: wårå e åvå…………………………………………...124
3.7.4. Reggenza verbale……………………………………………………..124
4. SINTASSI……………………………………………………………………… 127 .
5. ORTOGRAFIA……………………………………………………………… 157 .
6. CONCLUSIONI…………………………………………………………….., 168 .
Bibliografia…………………………………………………………………… . 171 .
1. INTRODUZIONE
1.1. Nozioni generali
L’evdalico (ev. övdalsk, övkallmål o dalska, sv. älvdalska o älvdalsmål, ingl.
Elfdalian o Övdalian) costituisce una realtà linguistica che ha iniziato a ricevere
una considerevole attenzione da parte degli studiosi solo in tempi piuttosto recenti1.
Si tratta di una varietà parlata principalmente nella regione del Dalarna (lett. “le
valli”, spesso menzionata col nome latino Dalecarlia) nella Svezia centro-
occidentale, al confine con la Norvegia (vd. carta 1). Secondo i più recenti calcoli
essa conta circa 2400 parlanti, 1700 dei quali nella parrocchia di Älvdalen 2
(Larsson et al. 2008).
1
Le opere più ricche di dati sul tema sono i lavori di Levander (1909b, 1920, 1925, 1928). I primi
studi sull’evdalico ed il dalecarlico in generale sono rappresentati dai saggi di Eenberg (1693,
1702), la dissertazione di Grönwall & Näsman (1733), ed i tre saggi di Arborelius (1813, 1818,
1822). La maggior parte degli studi, tuttavia, è stata pubblicata a partire dagli anni ’90. Gran
parte del merito va riconosciuto all’associazione per la promozione e la conservazione della
lingua Ulum Dalska, fondata nel 1984.
2
Per ulteriori informazioni sulle divisioni amministrative svedesi vd. 1.4.4.
4
La regione presenta una ricca diversità linguistica: essa viene infatti
considerata la zona linguisticamente più densa dalla Svezia (Sapir, 2006:4). Vi si
possono identificare varietà appartenenti a diversi gruppi: a nord si trova una
comunità di parlanti sami meridionali mentre a sud si possono trovare i dialetti
Sarna-Idremål – tradizionalmente classificati come dialetti norvegesi – ed i
dialetti “svedesi” del Dalarna. Nell’ambito di questi ultimi si può operare
un’ulteriore distinzione tra dialetti del Dala-Bergslag nel Dalarna inferiore ed il
dalecarlico propriamente detto (sv. de egentliga dalmålen, ingl. Dalecarlian
proper) nel Dalarna superiore (Sapir, 2006: 4) (vd. carta 2). La classificazione di
quest’ultimo gruppo all’interno dei dialetti svedesi risulta particolarmente
difficoltosa ed è oggetto di dibattito tra gli studiosi (vd. 1.4.4); là dove alcuni –
ad es. Wessén (1954) Hallberg (2005) e Garbacz (2010) – lo ritengono un
sottogruppo dialettale svedese, altri – ad es. Levander (1925), Reitan (1930),
Sapir (2006) e Kroonen (2015) – ne sostengono la piena autonomia linguistica.
Carta 2: Dialetti del Dalarna: in blu il gruppo del dalecarlico propriamente detto
5
Dal punto di vista linguistico, l’evdalico presenta un’interessante
commistione di aspetti arcaici ed innovativi, ed alcune delle sue caratteristiche
fanno sorgere quesiti di difficile soluzione per i linguisti (Sapir, 2005: 2).
L’evdalico rappresenta, talvolta, l’unica varietà ad aver conservato determinati
aspetti arcaici all’interno del panorama nordico – come nel caso
dell’approssimante /w/ (2.2.3) – o persino nell’intero panorama germanico –
come nel caso delle vocali nasalizzate etimologiche (2.1.2). Già Rask,
nell’Investigazione sulle Origini dell’Antico Nordico (1818), citava il dalecarlico
come varietà linguistica tra le più affini all’antico nordico – da lui identificato
con l’islandese –, seconda solo al faeroerico3; operando inoltre una distinzione
tra il dalecarlico e lo svedese vero e proprio (Rask, 2013: 61-62).
3
“det gamle nordiske nærmeste Sprogart er den færøiske, der næst den dalske i nogle Sogne af
Landskabet Dalene i Sverrig, der næst den egentlige Svensk, der paa den norske Sprogart og
endelig Dansk.” (Rask, cit. in Diderichsen, 1960: 195)
4
Le statistiche di Steensland riportano 4000 parlanti nel 1986. Levander (1925: 4) ritiene che i
numeri non possano essere stati molto superiori nei secoli precedenti.
5
Levander (1909b: 5) Indica 21 villaggi in cui si parla evdalico – Blyberg, Brunnsberg, Dysberg,
Evertsberg, Garberg, Gåsvarv, Holen, Karlsarvet, Kåtilla, Kittan, Klitten, Liden, Loka, Månsta,
Mjågen, Näset, Östmyckeläng/Kyrkbyn, Rot, Väsa, Västmyckeläng ed Åsen– tutti nel raggio di
60 km dal villaggio di Älvdalen (Zach, 2013: 9). L’estensione dell’area di lingua
evdalicacorrisponde sostanzialmente a quella attuale (Garbacz&Johannessen, 2015: 2).
6
riguarda l’uso delle varietà regionali, tendenza comune a tutto il territorio
svedese. Helgander (1996: 106) riportava l’88% di parlanti evdalici tra gli
anziani oltre i 70 anni, il 70% tra gli adulti tra i 30 ed i 40 anni, ed il 28% tra i
bambini sotto i 10 anni (Melerska, 2011: 23). In merito alla progressiva perdita
di competenza in evdalico da parte delle generazioni più giovani, Sapir (2006:
11) parla di “dissoluzione dell’evdalico” (vd. 1.5.2). Le differenze a livello
diatopico, nonché la combinazione di aspetti arcaici ed innovativi, rendono
l’evdalico sostanzialmente incomprensibile ai parlanti svedesi (Melerska, 2011:
15), e persino ai parlanti di altri dialetti dalecarlici (Sapir, 2006: 4)6.
Bisogna tenere conto, a tal riguardo, della tendenza generale dei linguisti
scandinavi a porre l’attenzione sugli arcaismi. Le caratteristiche conservative del
dalecarlico – specialmente dal punto di vista morfologico e, parzialmente, da
quello fonologico –, risultano spesso analoghe a quelle dello svedese antico
6
“it is hardly even understood by speakers of the neighboring parish vernaculars, if
unaccustomed to it” (Sapir, 2006: 4) Là dove è riconoscibile un certo grado di mutua
intelligibilità tra parlanti del gruppo Ovansiljan – si pensi ai dialetti di Orsa e Mora –, i parlanti
del dalecarlico occidentale non hanno alcuna comprensione dell’evdalico. Levander (1925)
riportava un livello di mutua intelligibilità relativamente elevato all’interno del gruppo
Ovansiljan, ma piuttosto scarso per l’intera regione. Säve (1855: 34), infatti, testimonia il ricorso
allo svedese standard per la comunicazione tra parlanti di diverse varietà dalecarliche.
7
classico (sv. klassisk fornsvenska, vd. 1.4.3.1), favorendo così la classificazione
tradizionale all’interno del gruppo Sveamål (1.4.4). Tuttavia – tenendo conto
anche della prospettiva sincronica – le innovazioni presentate dal dalecarlico, ed
il crescente influsso dello svedese standard sugli altri dialetti, fanno propendere
per l’identificazione del dalecarlico come un gruppo dialettale a sé stante, di cui
l’evdalico rappresenta il membro più marcato (Sapir, 2006: 6).
7
Nell’elenco di argomentazioni per il riconoscimento dell’evdalico come lingua minoritaria,
Garbacz (2008: 3) cita l’esistenza di una lingua scritta “standardizzata”. In realtà, allo stato
attuale, l’evdalico non dispone di un’ortografia standardizzata. L’uso dei parlanti e degli studiosi
è diviso tra tre modelli ortografici: il modello della Råðdjärum (2005), il modello di Steensland
(2010), ed il modello di Åkerberg (2012). In questo elaborato si farà ricorso al modello di
Steensland poiché è quello che meglio mette in evidenza le caratteristiche che divergono dallo
svedese standard. Per un’analisi contrastiva dei tre sistemi ortografici vd. 5.2.
8
pressocché pari a quella che intercorre tra lo svedese e l’islandese parlato
(Garbacz, 2010: 29). Il fattore della mutua intellegibilità risulta particolarmente
rilevante alla luce del livello relativamente alto di comprensione reciproca tra i
parlanti delle lingue scandinave continentali8. La vicinanza linguistica tra
svedese, danese e norvegese – lingue che tra loro formano un continuum
dialettale – è tale da permettere una forma di semicomunicazione (Zeevaert
2004: 67). In generale, in un contesto comunicativo interscandinavo, i parlanti
più anziani ricorrono alla propria lingua materna (Josephson, 2012: 2; Ridell,
2008: 213), là dove i parlanti più giovani prediligono l’inglese (Delsing &
Lundin, 2005: 102; Gooskens, 2006: 5).
Ne deriva che la divisione tradizionale delle tre lingue sia innanzitutto basata
su criteri di carattere politico e nazionale, e non sull’effettiva distanza formale e
strutturale tra le lingue9. Per Harbert (2006: 13-14) questa è una condizione
comune per molte minoranze all’interno delle nazioni di lingua germanica.
Other GMC languages are non-state languages, these include […] all of the varieties
regarded as nonstandard “dialects” of the state languages (including some sufficiently
remote from the standard variety that they would count as separate languages under
different political circumstances [corsivo mio]). […] the situation of non-state GMC
languages is made yet more problematic by the fact that they are sufficiently similar to
the surrounding dominant languages that they tend to be dismissed as “mere dialects” of
those languages, and denied recognition as independent languages, along with such
prestige and consideration as comes with that status.
8
Vd. 1.4.2 “The continental group in general has converged to a remarkable degree, and
investigators remark on the high degree of mutual intelligibility among them” (Harbert, 2006:
19).
9
Per ulteriori informazioni sull’intercomunicazione in ambito scandinavo vd. anche Gooskens
(2007), Karker (1978) e Maurud (1976).
9
1.3. Come chiamare la lingua
È tuttavia alla luce di dichiarazioni di questo tipo che l’impegno del linguista
deve essere votato alla demistificazione di quei pregiudizi e mitizzazioni di una
lingua i quali, pur potenzialmente incentivando la riscoperta di realtà linguistiche
svantaggiate, rischiano in ultima analisi di osteggiarne lo studio obiettivo. È
questo il caso di articoli sensazionalistici come quello del The Guardian
intitolato The prince, the glamour model and the Vikings’ lost language (24
maggio 2015), che descrive la lingua come “something you are more likely to
encounter in Tolkien’s Lord of the Rings rather than in a remote Swedish forest”
(Karlander: 1), analogamente a quanto riportato da Bentzen et. al. (2015: 5)
riguardo ad un articolo del 2008 del sito The Virtual Linguist “Elfdalian sounds
like something out of Lord of the Rings”. Come facilmente deducibile, queste
descrizioni fanno pesantemente leva sull’adattamento inglese del nome della
lingua per operare i sopra ricordati rimandi all’elfico. Il fraintendimento si
presenta anche nella stampa italiana, come nel caso dell’articolo del Corriere
della Sera del 7 maggio 2015 intitolato Svezia, nel paese dove fin dall’asilo si
studierà la «lingua degli elfi».
10
riferirsi alla lingua, adattato a partire dall’autonimo övdalsk, in analogia con la
forma proposta da Bentzen.
10
Per uno studio approfondito dell’origine del sistema runico si rimanda a Mancini (2012).
11
Ciò dimostrerebbe, secondo Antonsen (1975), che il gruppo dialettale germanico orientale sia
stato il primo a distinguersi dal resto del germanico comune.
11
Proto-Norse, Proto-Nordic, sv. urnordiska, ted. Urnordisch) (Nielsen,
2000: 32; Bampi et al., 2018: 19). Quest’ultima definizione, sebbene molto
comune nei testi accademici12, è particolarmente problematica per tre
ragioni fondamentali, così illustrate da Nielsen (2000: 32):
1. L’uso generalizzato del termine protonordico non riflette
adeguatamente la rottura linguistica avvenuta intorno al 500 d.C.
Skautrup (1944), ad esempio, si riferisce ai due periodi con i nomi
protonordico antico e protonordico recente (ældre e yngre
urnordisk)
2. Se le innovazioni specifiche del germanico settentrionale sono
datate a partire dal 500 d.C. ca., risulta poco adeguato estendere
l’etichetta di “nordico” o “norreno” agli stadi della lingua dei secoli
precedenti.
3. Si fa normalmente ricorso al prefisso proto- (o ur-) per le lingue
ricostruite (ad. es. “protogermanico”, “protoindoeuropeo” etc.).
Data la presenza di attestazioni scritte, l’uso del prefisso è
improprio13.
12
“[…] most follow the well-established tradition of preferring Proto-Nordic” (Bandle et. Al,
2005: 649).
13
“Since a protolanguage is by definition a wholly reconstructed, unrecorded parent stage of a
family of languages, the term ‘Proto-Nordic’ is clearly inappropriate as the designation of a
language known to us in written records.” (Antonsen, 1994: 58)
12
nome di fornordiska. Le prime, notevoli, divisioni dialettali all’interno di
questo gruppo sarebbero avvenute tra il IX ed il X sec., portando alla
distinzione di un gruppo nordico occidentale – cui appartengono l’antico
islandese e l’antico norvegese – ed un gruppo orientale, cui appartengono
l’antico danese e l’antico svedese (König & Van Auwera, 2013: 38)14. Le
differenze tra i singoli dialetti sarebbero diventate evidenti a partire dal
1150, la divisione definitiva tra svedese e danese sarebbe avvenuta intorno
al 1300 (Harbert, 2006: 19). Il periodo di transizione tra il VII e l’VIII
secolo vede anche lo sviluppo di un nuovo alfabeto runico a 16 caratteri,
noto come futhark recente (Bampi et al., 2018: 19). Dal futhark recente si
sviluppò successivamente l’alfabeto runico medievale, rimasto in uso fino
al XVII secolo ca. (Harbert, 2006: 15, Sapir, 2006: 2). Da una
combinazione del runico medievale con caratteri latini si sviluppò il runico
dalecarlico, con attestazioni che ne testimoniano l’uso fino al XX secolo
(Sapir, 2006: 2)15.
La seconda accezione con cui vengono usati i termini “antico nordico”
ed Old Norse, è di natura filologico-letteraria. È in questo senso che Barnes
(1999: 1-2) identifica l’antico nordico come la lingua della Norvegia – nel
periodo tra il 750-1350 – e dell’Islanda – dall’insediamento (870 ca.) fino
alla Riforma (1550 ca.) –; lingua detta norrænna in islandese moderno e
norrønt in norvegese moderno. Questo perché fu principalmente nei luoghi
e nei periodi citati – specialmente in Islanda – che si sviluppò una
considerevole tradizione scritta in alfabeto latino, tramite la quale ci è
pervenuta gran parte della conoscenza della lingua. I manoscritti più antichi
risalgono al 1150, ma la maggior parte della produzione risale al XIII e
XIV secolo. È alla luce di questa realtà che, spesso, anche nella tradizione
italiana, si fa corrispondere formalmente l’antico nordico all’antico
islandese. È in questo senso che usano il termine Old Norse anche Harbert
(2006) e Faarlund (2013), che ricorrono rispettivamente alle definizioni di
Common Scandinavian ed Old Scandinavian per riferirsi alla realtà
14
A questi due gruppi principali va aggiunto il gutnico, dell’isola di Gotland, che mostra di aver
partecipato solo parzialmente ai fenomeni tipici degli altri due gruppi, presentando talvolta
innovazioni indipendenti. Per ulteriori informazioni sul gutnico vd. Noreen (1904) e Vriedland
(2011). Alcuni fenomeni tipici del gruppo occidentale e del gruppo orientale verranno trattati in
2.1 e 2.2.
15
Vd. 5.1
13
linguistica unitaria da cui si sarebbero sviluppati il gruppo dialettale
occidentale e quello orientale.
Ai fini di questo studio, risulta dunque conveniente evitare del tutto il
termine antico nordico, ed avvalersi della dicitura antico scandinavo16 in
riferimento alla cornice ricostruttiva, in accordo con Faarlund (2013). Ci si
riferirà, dunque, col nome di antico islandese, alla lingua usata nei testi
medievali islandesi – come ad es. il Primo Trattato Grammaticale –
quando necessario. Partendo dalla definizione di Early Runic di Nielsen
(2000), ci si riferirà invece col nome di antico runico scandinavo allo
stadio linguistico attestato a partire dal 500 d.C. nelle iscrizioni in futhark
antico, distinguendolo così dalla fase precedente, di carattere
nordoccidentale.
16
NB: Si fa qui corrispondere “antico scandinavo” alla dicitura “Old Scandinavian” di Faarlund.
Ciò che Faarlund chiama “Ancient Scandinavian”, viene qui definito “antico runico scandinavo”.
17
Si intende per “scandinavo” l’insieme delle lingue germaniche settentrionali. Sebbene, da un
punto di vista geografico, il termine scandinavo si riferisce specificamente all’area continentale
e molti studiosi prediligono per la dicitura “lingue nordiche”, si preferisce in questa sede l’uso
del termine “scandinavo” per coerenza con la cornice ricostruttiva appena illustrata.
18
“Due to the prevalence of Danish in Norway during the half millennium of Danish rule there,
and the efforts during the 19th century to re-create Norwegian as a written language,
Norwegian today has two written standards, bokmål and nynorsk, with the former being fairly
close to Danish and the latter being based mainly on rural vernaculars. Consequently, in some
treatments bokmål is seen as an East Scandinavian language and nynorsk as a West
14
danese –, ed in parte alle innovazioni che hanno investito tutta l’area
scandinava continentale (Faarlund, 2013: 38).
Una diversa distinzione viene applicata al periodo che va
approssimativamente dal 1200 al 1500 (Torp, 1988: 34), periodo in cui le
differenze tra il norvegese e le altre lingue occidentali erano ancora
minime. Ci si riferisce comunemente a questo periodo col nome di medio
scandinavo (Venås, 2002: 34-35; vd. 1.4.3). Tuttavia, la grande disparità
nell’insorgere delle innovazioni – per rapidità e quantità – porta Faarlund
(2013: 39) a polemizzare sulla definizione 19. Le innovazioni, in parte
dovute alla grande influenza politica della Lega Anseatica sul territorio
scandinavo, interessavano in primo luogo il danese – che, specialmente dal
punto di vista fonologico, ha presentato sviluppi sorprendentemente rapidi
(Brink & Lund, 1975; Grønnum, 1998) –, investendo successivamente lo
svedese, per poi estendersi ai dialetti norvegesi orientali, seguiti da quelli
occidentali.
In questa prospettiva, è possibile riconoscere due centri di innovazione
in Scandinavia. Il primo di questi si trova in Danimarca, e identifica un
gruppo scandinavo meridionale più innovativo. Il secondo, più a nord,
segna la distinzione tra un gruppo scandinavo settentrionale interno, più
innovativo, ed un gruppo settentrionale esterno, più conservativo (Torp,
1982: 92). Intersecando la propria teoria con la divisione moderna delle
lingue scandinave in un gruppo continentale ed un gruppo insulare, Torp
(1998: 34; 2002: 19) distingue un gruppo scandinavo continentale
meridionale – rappresentato dal danese – da un gruppo settentrionale –
rappresentato da svedese e norvegese – sulla base degli sviluppi storici
divergenti del danese e per il maggior grado di vicinanza e mutua
intellegibilità di svedese e norvegese (Gooskens, 2020: 762).
Scandinavian language, which is counterintuitive since both varieties are not only very close to
each other but also much more similar to Danish and Swedish than to Modern Icelandic.”(Dahl,
2015: 17).
19
“Quite frequently, the term 'Middle' Norwegian etc. is used of the last couple of centuries
before the Reformation (mid-sixteenth century). This is a chronological term rather than a
linguistic one. Linguistically, it was in many ways a period of transition, and it is impossible to
define a sufficiently uniform 'middle' stage of Scandinavian. It was a period where many of the
changes that led to the modern system took place, but at different times in the different areas
of Scandinavia” (Faarlund, 2013:39).
15
Tuttavia, l’applicazione di questi parametri per operare una classificazione
dell’evdalico o del dalecarlico – o di altre forme vernacolari particolarmente
conservative della Scandinavia continentale – risulta problematica. Le
caratteristiche conservative dell’evdalico e del dalecarlico, specialmente dal
punto di vista morfologico, sarebbero tali da favorirne l’inclusione nel gruppo
insulare (Ringmar, 2005). Analizzando la progressiva semplificazione del
sistema morfologico scandinavo Lars-Olof Delsing (1991, 2004) identifica due
momenti di innovazione, rispettivamente detti “piccola” e “grande catastrofe”.
La piccola catastrofe, datata intorno al 1300, consiste nella regressione dell’uso
del genitivo (che precedentemente seguiva determinati verbi e preposizioni),
generalmente sostituito dall’accusativo. L’uso dell’accusativo e del dativo
sarebbe ancora sopravvissuto per uno o due secoli, venendo poi a cadere
definitivamente con la grande catastrofe. La prima ondata innovativa ha colpito
l’intera area germanica settentrionale, ad eccezione dell’Islanda 20. La seconda
ondata, invece, non ha interessato né le lingue insulari, né alcuni dialetti in
Svezia e Norvegia (Ringmar, 2005: 3). È quindi possibile riconoscere due
ulteriori gruppi:
20
La presenza di un caso genitivo in evdalico è oggetto di dibattito, vd. 1.5, 3.6.2 (Garbacz &
Johannessen, 2015: 19; Svenonius, 2015: 189-191).
16
Carta 3: Zone relittuali (nero) e varietà che conservano parzialmente il sistema
casuale (grigio). (Ringmar, 2005).
21
Dahl definisce il limes norrlandicus come la corrispondenza di un insieme di confini di
carattere naturale e culturale che dividono la Svezia in una parte meridionale ed una parte
settentrionale, l’ultima delle quali non comprende solo la regione storica del Norrland, ma
anche il Dalarna e parti di altre province (vd. carta 4). Sebbene la definizione di limes
norrlandicusnon sia di uso comune tra i dialettologi, questo confine corrisponde
sostanzialmente a diverse isoglosse. L’area comprendente le varietà della Svezia settentrionale
e delle regioni di lingua svedese in Finlandia ed Estonia vanno a formare quella che Dahl
definisce are dello “svedese periferico” (Peripheral Swedish) (Dahl, 2015: 11-12).
17
di un periodo prolungato di tempo, più che a ragioni di ordine storico o
genealogico
18
in conformità alle norme areali di Bartoli. Nel corso di questo elaborato,
tuttavia, si farà riferimento al concetto di scandinavo centrale
(sentralskandinavisk) secondo l’accezione di Hagland (1978, 2009) e Bye
(2005, 2008), ovvero di un’area geolinguistica che ricopre determinate
regioni della Svezia e della Norvegia – Dalarna incluso – le cui varietà
condividono una serie di aspetti sia dal punto di vista degli arcaismi che
delle innovazioni. Quest’area, così descritta, rientra nel gruppo scandinavo
periferico della classificazione di Dahl.
19
maggiormente, avanzando nel processo di sostanziale separazione
linguistica dallo svedese, il quale – fino al XIV secolo circa – rimane
notevolmente conservativo (Bampi et al., 2018: 29-30). Questo
periodo che va dal 1225 al 1375 è dunque caratterizzato dal cosiddetto
äldre o klassisk fornsvenska (Noreen, 1913: 42; Bergman, 1968: 29;
Wessén, 1969: 44), qui tradotto come svedese antico classico.
L’inizio di questa fase è marcato dalla stesura dell’Äldre
Västgötalagen22 (Vikør, 2002: 5), la cui copia integrale più antica
pervenutaci – Holm B 59 – risale al 1281 (Larsson, 2010: 412;
Beckman, 1912).
22
“Antica Legge del Västergötaland”.
23
NB: Noreen (2019:42) chiama questo stadio linguistico “Mittelschwedisch”
24
Lo stile di traduzione della scuola di Vadstena risulta rivoluzionario per l’epoca, essendo
votato ad un principio di “equivalenza” – dal punto di vista contenutistico e formale –,
contrapposto alla cultura della parafrasi, predominate all’epoca (Wollin, 2005: 1202).
20
influssi dialettali all’interno dei testi, questi presentano un’ortografia
sorprendentemente sistematica – sia all’interno di uno stesso
manoscritto, sia confrontando manoscritti diversi – molto più di
quanto osservabile nei documenti di carattere amministrativo
(Teleman, 2019: 22).
25
Un consistente corpus di testi è costituito dai tänkeböcker di Stoccolma, una raccolta di
registri dell’amministrazione comunale (Dahlbäck, 1995: 61; Pettersson, 2017).
21
marche d’accordo (Mørck, 2005: 1142-1143). La sintassi risente
fortemente dell’influsso basso tedesco, ed emerge in questo periodo la
tendenza a porre il verbo finito in posizione finale di frase nelle
subordinate (Faarlund, 2005: 1154; Petzel, 2014: 133-134).
26
Il testo vede anche l’introduzione del carattere <å>.
22
Le più importanti innovazioni mostrate dallo svedese nel periodo
tra il 1526 ed il 1732 riguardano innanzitutto la morfologia. Lo
svedese moderno mostra il passaggio da un sistema a tre generi
(maschile, femminile, neutro) a due (comune e neutro), nonché la
diminuzione delle marche di accordo verbale (Mørck, 2005: 1133-
1143). In un primo periodo, il sistema verbale contemplava due sole
marche d’accordo (una per le persone singolari ed una per le persone
plurali), successivamente – nel corso del 1600 – la marca del
singolare si estese al plurale (Larsson, 2005: 1276).
Quest’innovazione, insieme alla stabilizzazione delle strutture
sintattiche delle subordinate, è un tratto estesosi a partire dalla varietà
parlata della classe aristocratica residente nel distretto del lago
Mälaren (Lindström, 2008; Sangfelt, 2019: 130). La parlata del
Mälardalen rappresentava dunque la varietà di prestigio,
particolarmente influente anche sul piano della pronuncia. Il desiderio
di una lingua nazionale standardizzata, del resto, era notevolmente
diffuso nell’aristocrazia svedese (Olsson 2005:1241; Larsson, 2005:
1270-1271).
23
1600 (Kalm, 2019) – si pensi, ad esempio, alle università di Lund
(1666), Åbo (1640) e Tartu (1632) – nonché dalla progressiva
centralizzazione politica (Larsson, 2005: 1270). Il dibattito sulla
standardizzazione, specialmente dal punto di vista ortografico, si
rivelò allora relativamente infruttuoso (Kalm, 2019): la questione
della standardizzazione della lingua era ancora aperta al momento
della fondazione della Svenska Akademien, nel 1786 (Larsson, 2005:
1271).
24
culturale e nazionale. Per i dettagli sulle diverse proposte e posizioni
ideologiche nell’area scandinava si rimanda a Torp (2005).
25
un punto di vista dialettologico, si ricorre più spesso alla tradizionale
divisione in landskap (regioni)27, härad (distretti) e socknar (parrocchie)
(Dahl, 2015: 14).
27
Dahl traduce landskap con “province”, tuttavia, data l’estensione areale, in questa sede si
ritiene più adeguata la traduzione “region” a cui ricorre Sapir (2006:4).
26
È opportuno specificare che per “dialetti orientali” non si intendono i
dialetti della parte orientale della Svezia, bensì i dialetti svedesi parlati in
Finlandia ed Estonia. Analogamente a Rendahl (2001) e Dahl (2015: 19), si
ricorrerà in questo testo alla definizione di “dialetti trans-baltici”.
La classificazione dei dialetti di Gotland è oggetto di dibattitto: là dove
Wessén li considera dialetti svedesi, Noreen (1913: 1319-1320) li considera
un gruppo a sé stante, direttamente discendente dall’antico gutnico.
Noreen, inoltre, classifica i dialetti svedesi meridionali come dialetti
scandinavi meridionali, raggruppandoli dunque insieme ai dialetti danesi28.
28
Si noti che le regioni della Scania, del Blekinge e dell’Halland furono parte del regno danese
fino al 1658 (Frost, 2014: 180; Sanders, 2017: 66).
29
“En särställning intar det egentliga dalmålet i Öster- och Västerdalarne, med sin mycket
ålderdomliga prägel och sin starka splittring i underarter” (Wessén, 1966: 30).
27
Carta 6: Distribuzione dei dialetti svedesi secondo Wessén (Dahl: 2005).
30
“Det bör ihågkommas, att dalmålet – trots den enhet, som kan anas bakom den nuvarande
mångfalden – icke är ett språk utan en hel språkvärld.”
28
fedele, e più complessa, operando una comparazione lessicale tra le diverse
varietà diatopiche (vd. carta 7) (Dahl, 2005). Lo studio mostra che le
varietà che più si distinguono dalle altre – e dallo svedese standard –
appartengono al gruppo superiore (fatta l’eccezione di Ore) e al gruppo
occidentale (Transtrand e Lima), andando a formare due aree ben delineate.
29
Carta 7: Aree dialettali del dalecarlico in base alla comparazione lessicale (Dahl,
2005).
1.5. Periodizzazione
31
La posizione intermedia dei dialetti Dalecarlici e alcuni dei loro caratteri linguistici (vd. infra)
fanno insorgere diversi quesiti in merito alla netta classificazione degli stessi nel gruppo
scandinavo orientale. Laddove Levander e la maggior parte degli studiosi dopo di lui
propendono per la classificazione nel gruppo orientale, Nyström (2007) avanza alcune
argomentazioni per la classificazione nel gruppo occidentale.
30
avrebbe coperto, al tempo, un’area sensibilmente più estesa di quella corrente
(Sapir, 2006: 10).
32
Per ulteriori informazioni sulla sopravvivenza del runico in Dalarna vd. 5.1
33
“The Upper Siljan vernaculars existed in the beginning of the 17th century as independent
dialects and that they, in all most crucial points, had the same shape as today. Without risking
31
È proprio a partire dalla fine del XIX secolo, infatti, che l’evdalico ha
cominciato a subire considerevoli mutamenti, parallelamente agli sviluppi
socioeconomici della regione. In merito ai 50 anni precedenti il suo studio,
Levander riconosce la causa principale del restringimento dell’area del
dalecarlico propriamente detto e dell’insorgere delle varietà del Dala-Bergslagen
nello sviluppo dell’industria mineraria nell’area del Bergslagen e nella
conseguente migrazione di lavoratori, sia dal resto della Svezia che dall’estero
(Garbacz, 2010: 29).
mistaking, we may assume that the dialectal situation in Upper Dalarna in the 16th century was
essentially the same as in our days, naturally disregarding the devastation of the past half a
century” (Levander, 1925: 39, tradotto in Sapir, 2006: 10).
32
lavoratori – che avrebbero progressivamente perso la propria stabilità,
innescando veloci mutamenti dal punto di vista linguistico.
Heglander descrive dunque tre stadi della società, cui Garbacz (2010: 31-35)
fa corrispondere altrettante fasi linguistiche.
33
anziane, ma non rappresenta necessariamente la varietà che parlano. Per
Garbacz, la competenza dell’evdalico classico è esclusiva dei parlanti nati
fino al 1920.
36
Garbacz (2010) definisce il quadro del periodo di transizione come una forma di bilinguismo.
Sebbene, dal punto di vista della competenza, i parlanti dell’evdalico tradizionale siano
considerabili bilingui, la situazione sociolinguistica è meglio definibile come diglossia,
caratterizzata dal progressivo confinamento dell’evdalico in contesti diafasici e diastratici bassi.
34
tradizionale pertengono principalmente alla morfologia. Åkerberg (1957),
nota rilevanti differenze nella flessione nominale in base all’età
dell’informatore. Per l’informatore più anziano, nato nel 1867, la
declinazione singolare di kulla (ragazza) prevedeva 5 forme diverse: kulla
(nom. sing. indet.); kullu (obl. sing. indet.); kullą (nom. sing. det.); kullun
(dat. sing. det.); kullų (acc. sing. det.). I due informatori nati nel 1898
mostrano l’estensione della forma kulla (nom. sing. indet.) all’obliquo e
talvolta anche l’estensione del nominativo determinato all’accusativo.
L’informatore più giovane, nato nel 1934, testimonia di aver mantenuto solo
l’opposizione di determinazione (Garbacz, 2010: 35). La progressiva
semplificazione del paradigma nominale è, con tutta probabilità, da
attribuirsi all’influsso dello svedese e all’emersione del bilinguismo
(Helgander, 1996: 90).
35
parlante più giovane (Helgander, 2005: 5- 6). Le differenze più rilevanti
sono innanzitutto di ordine fonologico (Helgander, 2005: 10); altre tendenze
divergenti sono riscontrabili a livello morfologico (Helgander, 2005: 20). La
parlante più giovane mostra sostanziali influssi dallo svedese per quanto
riguarda la pronuncia dei fonemi [ð], [ɽ] e [w]37, rispettivamente realizzati
come [d], [l] e [v] (Helgander, 2005: 10-18). Gli aspetti specifici delle varie
fasi dell’evdalico – specialmente dal punto di vista morfosintattico –
verranno di volta in volta analizzati nei capitoli seguenti.
37
Vd. 2.2
38
Vd. 5.2
39
Le varietà dalecarliche sono rimaste la lingua d’uso prevalente nell’ambiente scolastico fino
alla fine del XIX secolo, nonostante i tentativi delle autorità di imporre l’uso esclusivo dello
svedese (Hultgren, 1983: 20), che si sarebbe definitivamente affermato con l’inizio del secolo
seguente (Levander, 1909a: 41).
36
decenni precedenti (Arbin, 2013: 14-15). L’uso effettivo della lingua
risultava però estremamente ridotto: solo il 6% degli studenti affermava di
ricorrere regolarmente all’evdalico nella vita quotidiana. Dei restanti, metà
affermava di farne un uso scarso o nullo (Melerska, 2011: 58-60).
L’interesse per l’evdalico, specialmente da parte dell’amministrazione
locale, si riaccese pochi anni dopo, con l’apertura di un istituto prescolare
monolingue nel 2016 e la reintroduzione del corso facoltativo nel 2017. Uno
dei fattori fondamentali per la rivitalizzazione dell’evdalico è stata la
fondazione dell’associazione Ulum Dalska nel 1984, organo fondamentale
per l’organizzazione di convegni sul tema, tra cui spiccano le tre edizioni
della Råðstemma um övdalskų “conferenza sull’evdalico”, tenutesi
rispettivamente nel 2004, nel 2011 e nel 2015. L’associazione ha pubblicato
diverse opere lessicografiche, testi grammaticali e traduzioni, occupandosi
inoltre della sovvenzione di studi e dell’organizzazione e promozione di
corsi, sia in ambito scolastico che extrascolastico, inclusi corsi per stranieri
(Garbacz&Johannessen, 2015: 8).
È opportuno evidenziare che la rivitalizzazione dell’evdalico ed il suo
insegnamento assumono spesso caratteri fortemente prescrittivi (Garbacz &
Johannessen, 2015: 7). Le diverse grammatiche (Åkerberg, 2000; Åkerberg,
2004; Åkerberg, 2012; Sapir & Nyström 2015), sono principalmente basate
sul lavoro di Levander (1909b), e descrivono dunque l’evdalico classico, da
molti – inclusi i parlanti delle altre varietà – tuttora considerato il modello
“genuino e corretto” di evdalico (Sapir, 2006: 12). Il modello normativo
dell’evdalico è quindi estremamente lontano dalla lingua correntemente
parlata – sia dalle generazioni più giovani che da quelle più anziane
(Garbacz, 2010: 49) –, specialmente se si tiene in considerazione che il
lavoro di Levander (1909b: 4) è basato sulla varietà del villaggio di Åsen,
che considerava essere quella meglio preservatasi nel tempo (Garbacz &
Johannessen, 2015: 7-8). In conformità con la letteratura di riferimento –
quando non diversamente specificato – la lingua analizzata nel corso di
questo elaborato è l’evdalico classico. Là dove opportuno – specialmente in
ambito morfologico e sintattico – verranno messe in evidenza le
caratteristiche divergenti tra le tre varietà.
37
2. FONETICA E FONOLOGIA
2.1. Vocalismo
38
/e/ [eː, (ɛː)] [e, (ɛ), ə] <e>
39
2.1.1. Mutamenti vocalici
Prima di affrontare nello specifico le questioni appena accennate, è
opportuno mettere in risalto alcuni aspetti caratteristici dell’evdalico,
particolarmente rilevanti in prospettiva diacronica nel panorama nordico. È
innanzitutto necessario elencare alcuni degli sviluppi vocalici regolari
dall’antico scandinavo all’evdalico. Le vocali lunghe ō, ū, ī, ȳ, ø hanno
dittongato rispettivamente in uo, au, aj, åi e yö come mostrano i seguenti esempi
(vd. anche 2.1.6).
1) bōk>buok “libro”
2) hūs>aus “casa”
3) knīfr>knaiv “coltello”
4) hȳsa>åisa “ospitare”
5) møta>myöta “incontrare”
40
vs. sv. sten), sviluppando il dittongo in un secondo momento (vd. 2.1.4),
mentre gli sviluppi di ey/øy e au, pur subendo monottongamento, rimangono
distinti.
Tabella 3: *‐ḗa/*‐ī́a>*‐jā́ ‐
NB: l’esito ev. trjär anziché del previsto *trjår si spiega per Umlaut da ʀ (vd. infra)
2.1.1.3. Umlaut da ʀ
Nello scandinavo occidentale, le vocali precedenti -ʀ (<pgmc. -z) si
innalzano analogamente a quanto succede per Umlaut innescato da -i
(Robinson, 1992: 72-73). Anche in questo caso l’evdalico si trova in una
posizione intermedia tra varietà orientali e occidentali.
41
Tabella 4: Umlaut da ʀ
Tabella 5: Umlaut da w-
42
2.1.2. Nasalizzazione
La presenza di vocali nasali in evdalico costituisce uno dei maggiori punti di
interesse degli studiosi, specialmente se contestualizzata in una prospettiva
diacronica. Difatti, l’evdalico rappresenta uno dei rarissimi casi in cui tali vocali
sono il risultato di processi etimologici, costituendo così un’importantissima
testimonianza per la ricostruzione dell’antico nordico, dell’antico runico
scandinavo e persino del protogermanico, caratteristica condivisa secondo
Kroonen (2015) soltanto dalla varietà di Selbu in Norvegia. La presenza di
vocali anteriori alte nasalizzate ([ɪ]̃ , [ỹ]) sarebbe, secondo Sapir (2006: 22),
unica nel panorama linguistico europeo.
Alla luce di questi dati, non c’è tuttora consenso assoluto sul trattamento
delle vocali nasali. Se anche si potessero identificare delle coppie minime per
isolare le cinque vocali nasali restate escluse dall’analisi precedente, sarebbe
possibile avanzare argomentazioni per le quali tutte le vocali nasali sarebbero da
considerarsi allofoni, in quanto la maggior parte delle differenze emerse dalle
coppie minime identificate sono di ordine grammaticale piuttosto che semantico
e l’analisi delle coppie minime non permette di determinare se tali differenze
non siano anche individuate da elementi di ordine morfosintattico all’interno
della frase (Zach, 2013: 25). Fatte le dovute puntualizzazioni di ordine
fonologico, si può procedere con l’analisi diacronica delle nasalizzazioni in
evdalico.
43
2.1.2.1. Nasalizzazione spontanea
La nasalizzazione spontanea (talvolta detta “automatica”) delle
vocali seguite da consonante nasale potrebbe apparire come
un’innovazione piuttosto recente dell’evdalico, specie a fronte del
fatto che è ancora produttiva per i forestierismi. Tuttavia, in una
prospettiva diacronica, risulta particolarmente rilevante la
corrispondenza del fenomeno con la nasalizzazione descritta nel
Primo Trattato Grammaticale (Fyrsta málfræðiritgerðin), documento
islandese del XII secolo.
La presenza di vocali nasalizzate in antico scandinavo descritta
dal trattato è stata spesso messa in discussione dai linguisti a fronte
dell’assenza del fenomeno in altre lingue germaniche settentrionali, in
particolare l’islandese, generalmente considerato il discendente più
conservativo dell’antico scandinavo. È proprio tramite il confronto
con l’evdalico che emerge la regolarità del fenomeno, che si verifica
negli stessi lessemi e nelle stesse condizioni, dimostrando così
l’attendibilità del documento (Nooren, 1886).
44
Tabella 7: Nasalizzazione finale centro-scandinava
NB: la preposizione i “in” non presenta nasalizzazione poiché continua una forma
atona; *ī̃ accentata avrebbe dato esito *ąi (vd. 2.1.1).
45
*‐ḗã‐ e *‐ī́ã‐> *‐iã́ (vd. 2.1.1.4) ha generato monosillabi tonici,
nell’ultimo caso si tratta di un monosillabo ab origine.
42
La condivisione di questo fenomeno è un’ulteriore argomentazione a favore della teoria di
uno stadio linguistico germanico nordoccidentale comune.
46
Tabella 10: Nasalizzazione da caduta di nasale avanti a spirante
43
La ricostruzione della trafila di tiu̢or risulta particolarmente difficoltosa. La presenza del
trittongo implicherebbe la metatesi di ars. *þinwra‐ in ascand. *þiunra-, laddove l’antico
scandinavo mostra il regolare esito þinurr. È possibile che il paradigma pgmc.
*þinwaraz/*þinwaraidat. si sia sviluppato in ars. *þinwarʀ/ *þinwrēdat., il quale si sarebbe potuto
evolvere in *þiunrē. Diversamente da quanto affermato da Noreen (1881), non è possibile
sostenere una derivazione di tiu̢or da ars. *þinwra tramite Umlaut da -w poiché questo
fenomeno non interessa l’evdalico (vd. 2.1.1.4) (Kroonen, 2015: 18).
47
2.1.2.7. Nasalizzazione protogermanica prima di h
Il passaggio da protogermanico ad antico runico scandinavo
mostra la caduta di n avanti ad h. In alcuni casi la testimonianza
dell’evdalico si dimostra fondamentale per la ricostruzione delle
radici protogermaniche, confutando ipotesi precedentemente
avanzate, specialmente nei casi in cui esse presupponevano la
presenza di un’approssimante labiovelare.
48
definito da Steensland genuinisering – è particolarmente evidente in
esempi come rįesa (<mbt. rēsen “viaggiare”), kęse (<lat. cāseus
“caglio”), įesum (<mbt. ēnsām cfr. sv. ensam “da solo”). In
quest’ultimo caso il processo di adattamento risulta piuttosto evidente:
il dittongo (sviluppatosi da ē, vd. 2.1.6) avrebbe subito nasalizzazione
non etimologica analogamente a quanto accade per le forme
presentate nella tabella 10 in virtù della consonante nasale avanti a
sibilante nella forma originaria del prestito – Steensland parla dunque
di “caduta fittizia di n” (Steensland, 2011: 119).
Questo processo è riscontrabile anche per la forma fjǫs (cfr. sv.
fähus “stalla”), la cui analogia su bǫs “mangiatoia” – che presenta
invece nasale etimologica – è favorita dalla contiguità semantica.
Steensland evidenzia come un numero considerevole di queste forme
presenti vocale nasale seguita da s, riconoscendo in questa
caratteristica uno dei fattori decisivi per la nasalizzazione parassita. In
alcuni casi la nasalizzazione genera degli omofoni, come nel caso di
rįesa “viaggiare” (<mbt. rēsen) con rįesa “pulire” (<ascand. hreinsa,
cfr. sv. rensa) oppure di lęsa “lasciar andare” (<ascand. leysa, cfr. sv.
lösa) con lęsa “bloccare” (<anscand. láss<pgmc. *lamsaz-, cfr. sv.
låsa): qui si parla dunque di analogia fonetica (Steensland 2011, 120).
Dopo aver trattato brevemente alcune forme quali fręsa “sibilare”,
kwęka “gracchiare”, tiųota “ululare, kwęsa “umiliare”, ųosa “puzzare”
in cui la nasalizzazione svolgerebbe una funzione di tipo
onomatopeico-espressivo, rimangono da analizzare le forme kǫl
“cavolo” e stǫl “acciaio”. Per questi due casi non risultano applicabili
le spiegazioni fin qui proposte e, allo stesso modo, non risulta
convincente la proposta di Noreen (1886) di un rimodellamento su
mǫl, giacché in questo caso la presenza della nasalizzazione è da
attribuirsi alla consonante precedente.
Steensland ritiene che la vocale nasalizzata in stǫl sia da
ricondurre ad un’aspirata che seguiva originariamente la vocale nella
forma *stahla-. In quest’ottica la h svolgerebbe dunque un ruolo
analogo a quella della s nella caduta “fittizia”. Come evidenzia
Steensland, tenendo conto della pronuncia ricostruita per l’h,
49
entrambe le consonanti sono effettivamente delle fricative sorde, e
non è dunque da escludersi che inneschino fenomeni simili. Come
indica anche Kroonen (2011: 20) bisogna quindi trattare stǫl come le
forme analizzate nella Tabella 9 (proponendo una pseudoetimologia
del tipo *sta(n)hla-,), in cui la caduta – fittizia – della nasale avanti a
h ha prodotto nasalizzazione. Infine, per quanto riguarda kǫl, esso
sarebbe stato rimodellato in un secondo momento sulla base di stǫl
per analogia fonetica.
50
Sillaba lunga2 V+gruppo cons. est [ɛsːt]“cavallo”
2.1.4. Accento
Lo svedese e il norvegese standard, così come diversi dialetti in Svezia e
Norvegia, hanno ereditato il sistema a due accenti lessicali dell’antico
scandinavo, che possono di fatto essere considerati toni distintivi. I dialetti
dell’area danese hanno sviluppato un sistema che prevede un accento primario
ed un’occlusiva glottidale (stød), perdendo i toni originari (Sapir, 2006: 15). I
diversi percorsi intrapresi dalle lingue sono strettamente connessi con i diversi
esiti delle stesse per quanto riguarda il mutamento delle quantità sillabiche
dell’antico scandinavo: là dove svedese e norvegese hanno mantenuto la quantità
consonantica, il danese ha mantenuto la quantità vocalica, concordando così con
le lingue germaniche occidentali (Lahiri et al., 2008: 363).
51
jämviktsaccent), come nel caso di fårå [fɔrɔ] “andare”, che presenta
un’intonazione identica su entrambe le sillabe (Kristoffersen, 2008: 94-95).
Il tono, chiaramente, dipende dalla struttura sillabica: gli esempi con sillaba
radicale leggera presentano accento parificato, laddove gli esempi con sillaba
radicale pesante presentano accento grave (Sapir, 2006: 16).
Dallo schema emergono dunque due tendenze generali. Nel caso delle vocali
alte [i] e [u], e della vocale bassa [æ], esse tendono ad assumere una qualità
ridotta se seguono una sillaba pesante, tendono dunque a passare da un luogo di
articolazione periferico ad uno non periferico (Riad, 1998: 240). La vocale bassa
[a] rimane tale quando segue sillaba pesante, ma cambia in [ɔ] dopo sillaba
leggera, seguendo quindi un percorso opposto rispetto a quello precedentemente
descritto.
52
Riad (1998: 234) riconosce difatti due processi la cui interazione va a
costituire il fenomeno complessivamente definito “equilibrio vocalico”. Il primo
di essi è la riduzione generale delle vocali atone – fenomeno molto comune in
tutta l’area germanica – come nel caso delle vocali alte in esame, che in molte
varietà porta ad apocope (ad es. i> e> Ø). Sebbene il fenomeno sia frequente,
sarebbe scorretto tentare di ricostruirne una comune origine, come nel caso di
Hesselman (1948) che notava simili esiti in anglosassone, antico sassone e
antico alto tedesco; o di Wiik (1997) che ipotizzava persino un’origine
protogermanica dell’equilibrio vocalico (vd. infra).
44
Per un’analisi più approfondita dello sviluppo della tipologia accentuale scandinava si
rimanda a Bye (2004).
53
Tracce del mutamento sono talvolta visibili in svedese standard, in
particolare all’interno di composti, come nel caso di gatu-korsning
“attraversamento stradale”, che presenta u in successione ad una sillaba breve;
rispetto a kyrko-gård “cimitero”, che presenta invece la vocale ridotta in
successione alla sillaba lunga. La sostanziale incongruenza cronologica confuta
in ultima analisi anche l’ipotesi di Hesselman (vd. supra), giacché l’equilibrio
vocalico nelle lingue germaniche occidentali si sarebbe sviluppato tra il 600 ed il
700 (Kusmenko, 2013: 242).
45
Per ulteriori informazioni sulle varietà linguistiche che presentano questo tipo di armonia si
rimanda a Riad (1998) e Kusmenko (2013)
54
f. uov-släg-är “maniscalco” tşäll-er “cantina”
g. dypyl “avvallamento” pyndşel “pacco”
h. nytşyl “chiave” dymbel “spina”
Per quanto riguarda la serie bassa, data una radice con vocale [a], l’armonia
consiste nell’assimilazione regressiva del luogo di articolazione, ovvero
nell’estensione del tratto [+coronale] nel caso in cui la vocale della seconda
sillaba sia [æ], o del tratto [+dorsale] nel caso in cui la vocale sia [ɔ]. I requisiti
per l’armonia sono l’accordo nel grado di altezza e l’assenza di conflitto nel
punto di articolazione. In questi termini, la vocale [a] viene quindi considerata
come non avente un punto di articolazione specifico nello spettro [dorsale]-
[coronale].
55
ricostruzione è confermata da alcune varietà più conservative del Trøndelagen
che mostrano di aver mantenuto la vocale lunga (Hægstad, 1899: 65).
56
l’ipotesi secondo cui l’innovazione fosse originariamente scandinava e si
sarebbe poi estesa alle varietà sami; a tal riguardo evidenziava la presenza di
metafonesi nelle varietà sami orientali, in cui l’influsso scandinavo non sarebbe
potuto avvenire.
46
Vd. Kusmenko (2016, 2019)
57
/iuo/ [jʉæ, juɛ, juɔ] [jˈʉæ, jˈuɛ, <iuo>
jˈuɔ]
(/ĩũõ/ [jʉ̃ ̃æ̃, jũ̃ ɛ̃, jũ̃ ɔ̃] [jˈ̃ ʉ̃æ̃, jˈ̃ ũɛ̃, <įuo>)
jˈ̃ ũɔ̃]
58
individuabili anche in prestiti del lessico religioso cristiano e la regione della
Dalecarlia è stata cristianizzata intorno alla fine del XII secolo. Levander
sostiene inoltre che il processo si sarebbe arrestato intorno al XIV secolo poiché
gli effetti non sono visibili nei prestiti basso-tedeschi.
Tabella 15: Prestiti dal medio basso tedesco che presentano dittongamento o > uo
59
schōpe skopa skuop(a)
Risulta necessario apportare delle precisazioni allo studio di Zach, che mette
in risalto alcune corrispondenze più o meno costanti tra monottonghi svedesi e
dittonghi evdalico. Sebbene, in prospettiva sincronica, le osservazioni di Zach
siano – il più delle volte – ineccepibili, si potrebbero avanzare delle obiezioni
sulla cornice diacronica. In particolare, mettendo in correlazione il monottongo
sv. /e/ con ev. /ie/, Zach evidenzia anche la corrispondenza con il dittongo /ei/ in
islandese e faeroerico: sv. heder vs. ev. ieðer (asv. hedher, isl. heiðr, fø. heiður)
“onore”; sv. Sked vs. ev. tşieð (asv. skedh, isl. fø. skeið) “cucchiaio”; sv. vrede
vs. ev. rwieðe47 (asv. vreþe, isl. reiði) “ira”. Ecco le parole testuali:
[…] bei dieser Entsprechung ist der älvdalische Diphthong im Altschwedischen nicht
zu finden, allerdings findet sich auch im Inselskandinavischen ein Diphthong an dieser
Stelle, wenn es sich auch um einen anderen handel. (2013: 71)
Zach fornisce le proprie interpretazioni classificando il dalecarlico come un
sottogruppo dello Sveamål (2013:10), in concordanza con Wessén (1954)
Hallberg (2005) e Garbacz (2010). Partendo da questo presupposto, ritiene che la
varietà si sia sviluppata a partire dall’antico svedese (sv. fornsvenska), e che il
dittongo /ie/ debba quindi essersi sviluppato da /e/ antico svedese. Alla luce di
quanto già illustrato in 2.1.1.1 riguardo al monottongamento scandinavo
orientale, le corrispondenze con il dittongo /ei/ in scandinavo insulare risultano
perfettamente regolari e affatto sorprendenti. Lo scandinavo insulare altro non è
che il gruppo più conservativo evolutosi dall’antico scandinavo occidentale, in
cui il monottongamento di /ei/ in /e/ non è avvenuto.
L’analisi delle corrispondenze risulta più problematica nel caso di sv. /ö/ vs.
ev. /yö/, come nel caso di sv. kött vs. ev. tşyöt (asv. kiot, kiøt, isl. kjǫt) “carne”;
sv. smör vs. ev. smyör (asv. smior, isl. smjǫr) “burro”; sv. föra vs. ev. fyöra (asv.
føra, isl. færa) “condurre”; sv. kök vs. ev. tşyök (asv. kökia<mbt. köke) “cucina”;
sv. röra vs. ev. ryöra (asv. røra, isl. hrøra) “muovere”. Alla luce di questi dati,
Zach afferma che il dittongo evdalico /yö/ rifletta il dittongo antico svedese /io/,
47
Per la metatesi vd. 2.2.3
60
e che si sia esteso anche al di fuori del proprio ambito etimologico.
Testualmente:
Der älvdalische Diphthong sieht in diesem Fall wieder alte Diphthong in aschw. Kiot
‘Fleisch’ aus. Man kann vermuten, dass im Älvdalischen dieser Diphthong auch auf
jene Wörter ausgeweitet worden ist, die ursprünglich keinen solchen Diphthon
gaufgewiesen haben. (2013:72)
L’estensione del tratto al di fuori dell’ambito etimologico sarebbe quindi da
spiegare tramite processi di tipo analogico che, ad ogni modo, Zach non
esplicita. Tuttavia, se con Levander (1925), Sapir (2006) e Kroonen (2015)
consideriamo il dalecarlico come un sistema indipendente dallo svedese,
possiamo analizzare queste corrispondenze come processi etimologici
perfettamente regolari, senza dover ricorrere a spiegazioni tramite analogie. Per
quanto riguarda le forme fyöra e ryöra, esse mostrano l’esito del regolare
dittongamento spontaneo di ø lungo antico scandinavo (vd. 2.1.1), come ad es.
anche in ev. myöta < ascand. møta “incontrare”; ev. gryön < ascand. grønn
“verde”; ev. syötşa < ascand. søkja “cercare”. È notevole che anche in questo
caso, come mostrato da tşyök (asv. kökia < mbt. köke) il dittongamento risulta
ancora produttivo per i prestiti basso-tedeschi, in contrapposizione a quanto
affermato da Levander.
Per sv. smör (< asv. smior) e kött (< asv. kiot) il quadro è più complesso e
richiede alcune premesse. Uno dei fenomeni caratteristici dell’antico scandinavo
è la cosiddetta frattura vocalica (ingl. vowel breaking, sv. vokalbrytning),
fenomeno simile all’Umlaut che interessa *e protogermanica seguita da sillaba
contenente *a o *u/*w48, dando rispettivamente esito ja e jǫ. È questo il caso
delle forme prese in esame: pgmc. *smerwą > ascand. smjǫr e pgmc. *ketwą >
ascand. kjǫt; così come pgmc. *bernuz > ascand. bjǫrn “orso”; pgmc. *berkō >
ascand. bjǫrk “betulla”; pgmc. *melwą > ascand. mjǫl “farina”; pgmc. *meduz >
ascand. mjǫðr “miele, idromele”. In tutto lo scandinavo orientale – nel caso
dell’antico svedese a partire dal 1350 (Wessén, 1969) – la /o/ nel dittongo /io/
avrebbe subito metafonesi progressiva innescata dalla /i/ precedente, dando così
gli esiti björn, björk, mjöl, mjöd, ecc, Il fenomeno non avrebbe interessato i
dittonghi che precedevano velare (pgmc. *þekuz > ascand. þjokkr > asv. thiokker
48
Alcune delle forme pgmc. in esame presentano ō, si tenga conto che ō pgmc. si evolve in u in
antico runico scandinavo.
61
> sv. tjock “spesso”) o che precedevano r+dentale, posizione che causava
l’allungamento della /o/ (pgmc. *erþō > ascand. jǫrð > asv. iorþ > sv. jord
“terra”; pgmc. *herutaz > ascand. hjǫrtr > asv. hiorter > sv. hjort “cervo”).
Per gli sviluppi di queste forme, il dittongo evdalico /yö/ corrisponde quindi
perfettamente al dittongo /jö/ dello svedese, e si può supporre che là dove lo
svedese presenta assimilazione progressiva, l’evdalico presenta assimilazione
reciproca (Pavlík, 2009: 9), per cui la [o] avrebbe assunto il tratto [+ frontale]
della [i], mentre quest’ultima avrebbe assunto il tratto [+arrotondato] della [o].
Altrettanto regolarmente, l’evdalico dittonga in /uo/ la /o/ lunga sviluppatasi da
/jo/+r+dentale, dando rispettivamente juord e juort in corrispondenza a jord e
hjort svedesi. Anche questo aspetto è un possibile indicatore della longevità del
dittongamento spontaneo in dalecarlico.
Durante il XIV secolo, in tardo antico svedese evolve in /jö/ anche /iṓ/
derivante da pgmc. *-aiw-, come nel caso di pgmc. *snaiwaz > ascand. snjór >
asv. sniṓr > tardo asv. snjör>sv. snö49, ev. sniųo “neve”; pgmc. *saiwiz >
ascand. sjór > asv. siṓr > tasv. sjör > sv. sjö, ev. sju. Anche in questo caso, come
si evince dagli esempi forniti, l’evdalico non presenta il dittongo yö. Dunque, la
corrispondenza tra sv. ö ed ev. yö individuata da Zach va reinterpretata sotto una
nuova prospettiva diacronica. Il dittongo dalecarlico appare essere sempre
etimologico, in un caso per dittongamento spontaneo dall’antico scandinavo,
nell’altro caso per assimilazione reciproca del dittongo jo derivante da frattura
vocalica di *e pgmc.
49
Il dileguo della semivocale in snjör>snö e smjör>smör può essere spiegato nel contesto del
mutamento delle quantità sillabiche avvenuto durante il XIV sec (Riad, 2005: 1103). La struttura
C:+V: rappresenta una sillaba iperlunga, che è stata ridotta a lunga tramite il dileguo o
l’assimilazione dell’elemento semivocalico (Noreen, 1904: 123).
50
Vd. 2.2.2
62
palatalizzazione, oppure può essere stata semplicemente eliminata dalla grafia
poiché superflua51.
2.2. Consonantismo
Analogamente a quanto finora fatto per il vocalismo, questa sezione tratterà
il sistema consonantico dell’evdalico, operando i dovuti confronti con lo
svedese standard ed altre varietà scandinave ed analizzando i mutamenti che ne
hanno determinato lo sviluppo in prospettiva diacronica. Nella tabella seguente
è presentato l’inventario consonantico dell’evdalico, principalmente basato
sull’interpretazione di Sapir (2006: 18), con alcune integrazioni e modifiche
tratte da Steensland (2000: 362–365), Garbacz (2010: 38) e Zach (2013: 31).
Approssimante
Labiovelare
51
Cfr. sv. kött, vs. no. kjøtt o sv. köpa vs. no. kjøpe. In norvegese [œ] non innesca
palatalizzazione dell’occlusiva velare (ad es. kølle [kœl:e] “mazza”, køye [kœje] “branda”). La
semivocale è quindi mantenuta nella grafia per indicare palatalizzazione.
63
nei nomi propri e nei prestiti, il più comune dei quali è l’interiezione häj! < sv.
hej! “ciao!” (Garbacz, 2010: 38). Tutti i fonemi elencati possono apparire come
lunghi o brevi, fatta eccezione per /ŋ/, /v/, /ð/, /ɣ/, /j/, /ɽ/ e /w/, che sono
esclusivamente brevi.
L’evdalico presenta le due fricative sonore [ð] e [ɣ], quest’ultima a
rappresentare la realizzazione allofonica di /g/ in posizione intervocalica, come
ad es. oga [oɣa] “occhio”, o postvocalica finale nei monosillabi, come nel caso
di mig [miɣ] “me” (Zach, 2013: 34). Noreen (1903: 415) e Levander (1909: 58)
riportavano anche l’esistenza di una fricativa bilabiale /β̞/, sebbene in
regressione, ad. es. in åvå /ɔβɔ/ “avere”, correntemente realizzato come /ɔvɔ/.
Ad ogni modo, residui di questo fonema sono individuabili in evdalico nella
realizzazione allofonica non-plosiva /b̚/ di /v/ avanti a /d/, come nel caso del
nome del villaggio Övdaln /œb̚daːɽn/ (Sapir, 2006: 21) o lovdag /lœb̚da:g/ – cfr.
vs. sv. lördag – “sabato” (Åkeberg, 2012: 49). Si ritiene che il fonema /β/
potesse far parte dell’inventario dell’antico scandinavo, nonché del
protogermanico stesso52 (Robinson, 1992: 79; Harbert, 2006: 41). In alcune
varietà diatopiche, [ð] si è fusa con [r] 53, da cui ad es. la realizzazione [au̯sɛr]
per auseð “la casa” (Sapir, 2006: 24).
Steensland (2003: 362) e Sapir (2006: 20) specificano che la /s/
dell’inventario evdalico è in realtà una sibilante apico-alveolare sorda [s̺ ], dalla
realizzazione simile a quella individuabile in islandese e danese. Sapir ritiene
inoltre che le affricate /ʦ̺ / e /ʣ̺ /condividano il luogo di articolazione con la
sibilante, laddove Steensland (2000) e Garbacz (2010) ritengono siano alveolo-
palatali, come indicato nella Tabella 16 54. La differenza tra le realizzazioni può
essere di natura generazionale, giacché Sapir stesso (2006: 21) afferma che i
parlanti delle generazioni più recenti dimostrano considerevoli interferenze dala
pronuncia svedese55.
52
“There is little doubt that the runes for b, d, g had two pronunciations, namely as the stops
[b], [d], [g], and as the fricatives [ƀ], [ð], [ǥ], as in Gothic.” (Robinson, 1992: 79)
53
La fusione tra questi fonemi è un fenomeno piuttosto antico, già visibile in testi risalenti al
XVII secolo (Sapir, 2006: 24).
54
Steensland e Garbacz ricorrono al simbolo [tç] per la sorda, Zach (2013) la interpreta come
͡ In questa sede si preferisce [ʨ], per la corrispondenza di distribuzione con sv. [ɕ] <tj>, in
[tʃ].
concordanza con Åkeberg (2012: 49) che lo descrive come corrispondente a “un suono tj- con
enfasi sulla t” (trad. mia). Per ulteriori confronti con lo svedese vd. 2.2.2.
55
Per un’analisi più approfondita delle divergenze fonologiche a livello generazionale vd.
Helgander (2005)
64
L’intera serie delle occlusive sorde presenta gli allofoni aspirati [p h], [th],
[kh] (Garbacz, 2010: 38); come in svedese, questi allofoni rappresentano la
normale realizzazione delle occlusive in posizione iniziale di sillaba accentata
(Engstrand, 1999: 141).
2.2.1. Retroflessione
Per il fonema /l/ si riconoscono tre allofoni. A differenza dello svedese, in
cui la monovibrante retroflessa [ɽ] – anche nota come “l spessa” (sv. tjockt-l,
no. tjukk-l)56 – può rappresentare una delle possibili realizzazioni del gruppo
<rl> (Eliasson, 1986: 279), in evdalico essa costituisce la realizzazione standard
del fonema /l/; la realizzazione [l] – definita per opposizione “l sottile” (sv.
tunt-l) –è invece indicata con <ll> (Zach, 2013: 33). In dalecarlico, a differenza
di altre varietà, la realizzazione retroflessa può apparire anche in posizione
iniziale di parola (Steensland, 2010: 14): essa rappresenta il regolare sviluppo di
l breve antico-scandinava, cfr. ad es. sv. lov [loːv] vs. ev. luv [ɽʏːv] < ascand. lof
“permesso” (Sapir 2006: 23).
Il terzo allofono è costituito dall’approssimante laterale alveolare sorda [l̥ ],
sviluppatosi da sl o tl antico-scandinavi, cfr. ad es. sv. kittla [ɕitːla] vs. ev. tşissla
[ʨil̥ ːa] < ascand. kitla “solleticare” (Sapir, 2006: 24; Steensland, 2010: 12).
L’allofono risulta assente in alcune varietà diatopiche, in cui il nesso sl viene
pronunciato distintamente come ad es. slaik [l̥ aik]/[slaik] <ascand. slīkr “simile”
(Sapir: 2006: 20)57.
Per le varietà di alcuni villaggi ad ovest del fiume Österdalälven – come, ad
esempio, Västermyckeläng ed Evertsberg – Nyström (1982: 52-77) evidenzia
un’alternanza a livello morfologico tra le realizzazioni allofoniche di /l/ finale.
In queste varietà, i sostantivi e gli aggettivi maschili presentano -l finale “sottile”
(cioè alveolare), là dove gli aggettivi femminili ed i sostantivi femminili e neutri
56
La realizzazione allofonica retroflessa viene spesso resa con [ɭ], come nel caso di Steensland
(2000) e Garbacz (2010), ma anche Sapir&Nystöm (2015). Essa rappresenta un’altra
realizzazione di sv. <rl> (Eliasson, 1986). Zach (2013) ricorre invece alla trascrizione [ɫ]. Si
predilige in questa sede la trascrizione [ɽ] – come riportata in Sapir (2006) – per la sua
corrispondenza alla definizione di l-spessa sia nella dialettologia svedese che in quella
norvegese (Molde, 2005; Heide, 2010), nonché alla sua presenza nelle vicine varietà norvegesi
orientali.
57
[l̥] rappresenta in questo caso la trascrizione più comune, adottata da Steensland (2000),
Sapir (2006), Garbacz (2010) e Sapir & Nystöm (2015), nonché da Vanvik (1979) per la
descrizione di una consonante analoga in alcune varietà del Trøndelagen. Per queste stesse
varietà Kristoffersen (2000) ricorre alla trascrizione [ɫ], adottata anche da Zach (2013).
65
presentano -l “spessa” (ovvero la monovibrante retroflessa). Nyström ritiene che
questa caratteristica si sia sviluppata dalla distinzione di lunghezza consonantica
in uno stadio precedente della lingua (vd. cap. morfologia).
Come accennato, in svedese i gruppi consonantici <rd>, <rt>, <rs>, <rn> ed
<rl> vengono normalmente realizzati con pronuncia retroflessa,
rispettivamente: [ɖ], [ʈ], [ʂ], [ɳ] ed [ɭ]/ [ɽ] come ad es. sv. bord [buːɖ] “tavolo”;
först [fœȿt] “primo”; barn [bɑːɳ] “bambino”. Queste realizzazioni appaiono
anche in contesti fonosintattici, ad es. <bor du här?> [buːɖʉː ˈhæːr] “vivi qui?”
(Elert 1979: 47, 55). Al contrario, in evdalico, in queste posizioni la r non
innesca retroflessione: i nessi r+ dentale rimangono inalterati – cfr. sv. bord
[buːɖ] vs. ev. buord [bʉærd] “tavolo” (Zach: 2013: 31) –; i nessi <rs>, <rn> ed
<rl> mostrano invece assimilazione regressiva, ad es. ascand. karl “uomo”,
stjarna “stella”, fyrst “primo” > ev. kall, stienna, fuost58 (Sapir, 2006: 24).
La realizzazione [ɳ], sebbene talvolta presente, non è condizionata dalla
prossimità di una vibrante, si consideri ad es. ev. <final> [finɑːl]/[fiɳɑːl]
“finale” (Steensland, 2010: 11). Lo svedese e l’evdalico mostrano esiti
notevolmente diversi anche per quanto riguarda lo sviluppo dei nessi
consonantici con l come primo elemento: l’evdalico mostra difatti caduta di l
davanti a g, k, m, p, s e v, cfr. ad es. sv. talg vs. ev. tåg “sego”; sv. mjölk59 vs.
ev. mjok “latte”; sv. holme < asv. holmbe < ascand. holmr vs. ev. uome60
“isolotto”; sv. hjälp vs. ev. jåp “aiuto”; sv. hals vs. ev. ǫs “collo”; sv. själv vs.
ev. siouv “stesso” (Levander, 1928: 51-57). Questo fenomeno risulta già visibile
nel Dalalagen, documento datato intorno alla metà del XIV secolo (Björklund,
1957: 2). Tra gli aspetti conservativi dell’evdalico si nota inoltre il
mantenimento dei nessi ld, nd, mb, rg, gd e ng: cfr. ad es. sv. kväll [kvɛlː]
“sera”; lamm [lamː] “agnello”; varg [varj] “lupo”; konung [ˈkoːˌnɵŋ] “re” vs.
ev. kweld [kwelːd] < ascand. kveld; ev. lamb [lamb] < ascand. lamb; ev. warg
[warg] < ascand. vargr; ev. kunungg [ˈkuːnuŋg] < ascand. konungr (Sapir,
2006: 24).
58
Zach (2013: 31) evidenzia il mantenimento del nesso <rn> in ev. barn [bɑːrn] in
contrapposizione all’esito retroflesso dello svedese standard. La mancata assimilazione
regressiva in questo esempio potrebbe suggerire che si tratti di un prestito relativamente
recente dallo svedese, il termine più comune per “bambino” in ev. è kripp (Steensland, 2010).
59
Notare l’assenza di dittongo yö, l’Umlaut può essere stato inibito dalla velare seguente (cfr.
2.1.7). Bisogna dedurne che la caduta di l sia precedente all’Umlaut.
60
L’assenza del nesso mb in evdalico potrebbe essere un indicatore dell’indipendenza dallo
svedese, vd. infra.
66
2.2.2. Palatalizzazione
Sono individuabili alcune rilevanti differenze tra evdalico e svedese standard
per quanto riguarda i meccanismi di palatalizzazione. In svedese, la
palatalizzazione si è sviluppata tra il XVI ed il XVII secolo, nella fase del
cosiddetto Äldre Nysvenska (Wessén, 1969: 241). In questo periodo lo svedese
ha assistito allo sviluppo di [ɕ] da [kj] e [k] + voc. anteriore, e di [j] da [gj] o [g]
+ voc. anteriore, cui corrispondono le affricate [ʨ] e [ʤ] in evdalico, cfr. ad es.
sv. kött [ˈɕœtː] vs. ev. tşyöt [ˈʨyœtː] “carne”; sv. kjol [ˈɕuːl] vs. ev. tşuosle
[ˈʨuol̥ e] “gonna”; sv. giva [ˈjiva] vs. ev. dşävå [ˈʤævo] “dare”; sv. gjord [jʊɖː]
vs. ev. dşyörd61 [ʤyœrd] “sottopancia (in equitazione)” (Sapir&Nyström, 2015:
7).
In svedese, il fono [ɕ] è tipico anche del gruppo consonantico tj-, da cui
anche la denominazione tj-ljudet; l’evdalico non mostra questo tipo di sviluppo,
cfr. ad es. sv. tjock [ɕɔk] vs. ev. tjokk [thjɔkː] “spesso”. Un altro suono
caratteristico dello svedese standard assente in evdalico è il cosiddetto sj-ljudet,
ossia la fricativa dorsopalatale-velare sorda [ɧ]. In posizione iniziale di parola,
questa realizzazione è lo sviluppo dei nessi sj-, stj-, skj- e sk- se seguiti da vocale
anteriore. Per i primi due di questi casi, l’evdalico mantiene distinta la pronuncia
dei singoli componenti, cfr. ad es. sv. sjuk [ɧʉːk] vs. ev. siuok [siuok] “malato”;
sv. stjärna [²ɧæːɳa] vs ev. stienna [2stienːa] “stella.” Negli altri due casi,
61
Da asv. giorþ < ascand. gjǫrð < pgmc. *gerdō (Hellquist 1948). Notare corrispondenza tra a.sc.
jǫ e ev. yö (vd. 2.1.7)
62
“Indebolimento norrlandico” come suggerito dal nome, il fenomeno è tipico delle varietà del
Norrland. Si tenga conto, a tal riguardo, della posizione del Dalarna rispetto al limes
norrlandicus evidenziata in Dahl (2015). Vd. 1.2.4, carta 4.
67
l’evdalico mostra la regolare palatalizzazione di kj- e k- avanti a vocale
anteriore, mantenendo però distinta la sibilante, cfr. ad es. sv. skjuta [²ɧʉːta] vs.
ev. stşuota [2sʨuota] “sparare”; sv. sköld [ɧœld] vs. ev. stşöld [sʨœld] “scudo”
(Zach, 2013: 32).
The consonant v was earlier something like the [w] of English “water”, but
during the history of Old Norse it moved first to ƀ (a v made with both lips), then
to something like Modern English [v]
Ulteriori prove a favore della ricostruzione della pronuncia [w] sono
costituite dai numerosi prestiti dall’antico scandinavo presenti in inglese (ad es.
ingl. window < mingl. windoge < ascand. vindauga; ingl. weak < mingl. weik <
ascand. veikr; ingl. want < mingl. wanten < ascand. vanta) e dal sistema
ortografico delle iscrizioni runiche, in cui ᚢ appariva per [u] all’interno di parola
e per [w] in posizione iniziale, laddove [v] costituiva la realizzazione allofonica
sonora di ᚠ all’interno di parola, con la corrispettiva realizzazione sorda [f]
quando in posizione iniziale (Robinson 1992: 70). L’evdalico rappresenterebbe
63
Quantomeno in una prima fase (vd. infra), ascand. -v- all’interno di parola rappresenta
l’allofono sonoro di f.
68
dunque l’unica lingua nordica ad aver mantenuto la pronuncia originaria (Sapir:
2006: 23).
64
Zach (2013: 73) cita anche il faeroerico, riportando diversi esempi di corrispondenze con
islandese ed evdalico. Sebbene il faeroerico abbia mantenuto il grafema <ð> nell’ortografia
tradizionale (Sandøy, 2008: 240), la realizzazione fonetica risulta profondamente mutata, senza
lasciar tracce della pronuncia fricativa interdentale originaria (Barnes &Weyhe, 2013: 195).
69
2.3.1 – ed è normalmente indicata graficamente (Zach, 2013: 33). A fronte di
questa caratteristica distributiva, Zach ritiene che [ð] sia da considerarsi un
allofono di /d/. Tuttavia, non mostrano esito fricativo le forme adwokat
“avvocato”, akadiemisk “accademico”, akudira “parlare”, identitiet “identità”.
Sebbene tutte queste forme siano giustificabili come prestiti di introduzione
relativamente recente, lo stesso non vale per öduos “fieno (da erba spontanea)”,
che è invece forma autoctona. Alla luce di questi dati, verrebbe a mancare il
criterio di distribuzione complementare per sostenere che [ð] sia allofono di /d/.
70
Protogermanico Ant. Scand. Nynorsk Svedese Evdalico
71
Gli effetti di questo mutamento sono osservabili a livello paradigmatico,
dove il vocalismo in -o- del preterito di alcuni verbi forti si contrappone alla
regolare alternanza i/a da Ablaut (Kroonen 2015: 23).
72
2.3. Fenomeni fonosintattici
2.3.1. Sandhi
Le consonanti /ð/ ed /r/ vengono regolarmente omesse in posizione finale di
parola nel caso in cui la parola successiva presenti una consonante iniziale
(Garbacz, 2010: 38) per effetto di sandhi esterno, o all’interno dei composti e
dei derivati per effetto di sandhi interno (Sapir, 2006: 17). Anche [ɣ]
(realizzazione allofonica di /g/) viene omessa per effetto di sandhi nel caso di ig
“io”, mig “me”, dig “te”, sig “sé”, nog “qualche”, og “e” e nei suffissi
aggettivali -ig ed -ug secondo le stesse regole di /ð/ e /r/ (Steensland 2000a:
363; Sapir & Nyström, 2015: 22).
Inoltre, la /d/ iniziale di pronomi monosillabici e avverbi brevi viene
pronunciata come /ð/ se la parola precedente termina in vocale (anche per
effetto di sandhi esterno). La pronuncia /ð/ riflette la presenza di þ /θ/ antico
scandinavo in quelle posizioni, cfr. ad es. ev. ig war dar dǫ /ɪ wa ðaː ðõ/ “io ero
lì allora”, cfr. vs. ascand. ek var þar þá (Sapir, 2006: 17).
2.3.2. Apocope
L’apocope è uno degli aspetti innovativi più notevoli riscontrabili in
evdalico. Essa si verifica in tutte le categorie grammaticali (Sapir & Nyström,
2015: 30) e consiste nell’omissione di /a/, /e/ ed /u/ – o di un’intera sillaba – in
posizione finale di morfema o parola (Sapir, 2005: 18). L’apocope può avvenire
a causa di sviluppi diacronici o per variazioni paradigmatiche a livello
sincronico65 (Garbacz, 2010: 37). Åkeberg (2012: 43-45) distingue due tipi di
apocope: l’apocope permanente e l’apocope temporanea, quest’ultima definita
da Levander (1925), Steensland (2003) e Sapir (2005) apocope condizionata.
L’apocope permanente, ovvero non condizionata dalla posizione della parola
all’interno della frase, può verificarsi nei seguenti casi:
65
Per gli schemi flessivi vd. cap. 3
73
indeterminate (Levander, 1925: 21-22), cfr. ad es. fugel nom. sing. ind.
“uccello” vs. fugel dat. sing. ind. anziché *fugele nella flessione nominale.
3) Composti
L’apocope permanente si verifica all’interno di composti con la
caduta delle vocali finali dei costituenti che terminano con sillaba
lunga o iperlunga (Sapir, 2005: 17), come ad es. skaulkull <skaul+
kulla “scolara” e smyörbytt < smyör + bytta “vaschetta di burro”.
Anche in questo caso l’apocope è esclusiva delle forme
indeterminate, poiché l’affissione dell’articolo determinativo innesca
nasalizzazione, preservando così la vocale finale, come ad es.
skaulkullą “la scolara” (Åkerberg, 2012: 43-45).
66
Sebbene Levander sostenga che l’apocope interessi “alla ändelsevokaler”, anche gli esempi
ivi riportati interessano unicamente /a/, /e/ ed /u/.
67
Oltre che da consonante seguente, la vocale è protetta dall’apocope tramite nasalizzazione
stu kalęr (cfr. vs sv. stora karlar “uomini grandi”) stu kulęr (sv. stora flickor “ragazze grandi”),
ma sturų buærd “sv. stora bord “tavoli grandi”) (Levander, 1925: 26).
74
ulųm bar a Falų “dobbiamo solo andare a Falun”) cfr. vs. sv. bara; laik
“qualsiasi” (ad es. laik ukin “chiunque”), ęnd “fino” (ad es. ęnd frą̊ iemą̊ “fin da
casa”), cfr. vs. sv. ända. Queste forme non possono apparire in posizione
prepausale (Levander, 1925: 26). Se direttamente seguiti da preposizione,
presentano apocope di vocale finale anche i verbi terminanti per sillaba breve,
cfr. ad es. ulųm av-iem Ulåv “avremo Olov a casa” vs. ulųm åvå ąn ieme
“avremo lui a casa”. Come si evince dall’esempio, i verbi con ă radicale
originaria all’infinito mantengono il timbro /a/ in questo contesto, l’armonia
vocalica risulta quindi inibita dall’apocope (Levander, 1925: 27).
I verbi con sillaba finale breve bjärå “portare”, fårå “viaggiare, andare”,
dşärå “fare” e wårå “essere” presentano apocope della vocale finale all’infinito
e alla 3apers. plur. pres. – a prescindere dall’accento – quando sono
immediatamente seguiti da parole che iniziano con consonante, come ad es. wert
al du få nu? “dove devi andare adesso?”. La stessa apocope si verifica per il
verbo con sillaba finale breve tågå “prendere” nell’espressione tåg åv “togliere”
(Levander, 1925: 27).
75
Negli esempi b. e d. yöpt e kull mantengono il proprio accento grave,
rendendo dunque trasparente il processo di apocope al parlante (Åkerberg, 2012:
45).
68
Vd. 3.6.5 (Steensland, 2015)
69
Il cosiddetto gårdsnamn è un sistema onomastico comune in Dalarna ed in altre comunità
rurali svedesi. Esso consiste nell’aggiunta del nome della fattoria di provenienza al nome
proprio di un individuo al fine di evitare omonimie e/o ambiguità. (Wasling, 2018).
76
3. MORFOLOGIA
Questo capitolo è incentrato sull’analisi del sistema morfologico dell’evdalico.
Ove opportuno, le caratteristiche morfologiche dell’evdalico verranno messe a
confronto con quelle di altre lingue scandinave, in particolar modo lo svedese
standard e le lingue insulari. Verrà inoltre evidenziata l’evoluzione del sistema
morfologico attraverso le tre varietà generazionali: evdalico classico, tradizionale e
moderno. Il sistema morfologico evdalico differisce considerevolmente da quanto
osservabile nelle varietà standard scandinave continentali; Garbacz (2010: 39), in
particolare lo definisce “più complesso”70, specificando tuttavia che non ci sarebbe
una categoria nel sistema morfologico evdalico che non sia stata presente anche in
svedese ad un certo punto del suo sviluppo.
Durante il periodo medievale, il sistema morfologico delle lingue scandinave
continentali ha subito una sostanziale riduzione, come illustrato in 1.4.2 in merito al
sistema casuale. Al contrario, come accennato in 1.5.1, l’evdalico inizia a mostrare
evidenti mutamenti morfologici solo in un periodo considerevolmente più tardo,
ovvero intorno al XX secolo (Helgander 2005: 20; Garbacz 2010: 39),
contestualmente alla progressiva diminuzione dei parlanti monolingui (Garbacz &
Johannessen, 2015: 26).
3.1. Sostantivi
In evdalico classico, i sostantivi, gli aggettivi, i pronomi ed i numerali (da uno a
quattro) vengono declinati per caso – nominativo, accusativo, dativo e
genitivo71 – e numero, singolare o plurale (Sapir, 2006: 25). I sostantivi
possono essere di genere maschile, femminile o neutro, laddove lo svedese
standard presenta convergenza di maschile e femminile nel genere comune
(utrum) a partire dal XVI secolo ca. Nei sostantivi, l’evdalico distingue una
declinazione forte da una declinazione debole (Sapir, 2006: 25). I sostantivi
maschili sono divisi in sei classi flessive, i sostantivi femminili in otto ed i
70
La complessità dell’evdalico rispetto allo svedese è determinata dal fatto che il primo
presenta più distinzioni morfologiche del secondo, in tutte le categorie grammaticali. La
distribuzione di queste distinzioni, inoltre, non è prevedibile, non è ad esempio possibile
dedurre la classe flessiva di un sostantivo a partire dalla sua radice (Dahl, 2009: 54-57).
71
La presenza di un caso genitivo potrebbe apparire in contraddizione con quanto illustrato in
1.4.2, dove l’islandese è indicato come unica lingua ad aver conservato il genitivo. Di fatto, il
genitivo evdalico è generalmente formato a partire dal dativo, con l’aggiunta del suffisso –(e)s
(Levander, 1909; Zach, 2013: 35), e il suo status di caso vero è proprio è oggetto di dibattito.
Per questa ragione, il genitivo non è riportato nelle tabelle delle classi flessive della sezione
successiva. Per un’analisi più approfondita vd. 3.5
77
sostantivi neutri in cinque. A queste classi flessive vanno aggiunti i sostantivi
indeclinabili (Zach, 2013: 35). Sia l’evdalico che lo svedese presentano una
distinzione tra sostantivi determinati ed indeterminati, e in entrambi i casi la
forma determinata viene marcata tramite l’aggiunta di un suffisso (Garbacz,
2010: 39).
L’evdalico tradizionale mostra una morfologia nominale relativamente
ridotta. In generale, le forme dell’accusativo tendono a convergere con le forme
del nominativo, con l’estensione della forma del nominativo all’accusativo o
viceversa. Il dativo mostra una certa regressione, risultando particolarmente
raro nella flessione della forma indeterminata (Garbacz, 2010: 39). Di seguito
sono riportati i paradigmi flessivi delle diverse classi di sostantivi in evdalico
classico72, con alcuni confronti con i paradigmi della varietà tradizionale73.
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -n / -in -er -är
Dat. -e / -Ø -em -um -um
Acc. -Ø -n / -in -a / -Ø -ą
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. kall kalln kaller kaller
Dat. kall kallem kallum kallum
Acc. kall kalln kaller kaller
72
Adattati da Zach (2013).
73
Adattati da Garbacz (2010). Le forme evidenziate in grigio indicano le deviazioni dall’evdalico
classico.
78
Tabella 22: II classe maschile dell’evdalico classico
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -in /-n -ir -ir
Dat. -i -im -um -um
Acc. -Ø in /-n -i -į
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -e / -Ø -in -er -är
Dat. -a / -Ø -am -um -um
Acc. -a / -Ø -an -a / -Ø -ą
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -i - -in -ir -ir
Dat. -o / -å -om / -åm -um -um
Acc. -o / -å -on / -ån -o / -å -ǫ
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -n / -nn -er / -ner -är / -när
Dat. -Ø -m / -mm -um -um
Acc. -Ø -n / -nn -a -ą
79
Alla quinta classe appartengono i sostantivi maschili uscenti in vocale lunga,
dittongo o trittongo, ad es. sniųo “neve”, skuo “scarpa”, sju “lago”, by
“villaggio”.
La sesta classe, infine, è costituita dai soli sostantivi faðer e bruoðer,
indeclinabili al singolare. Il plurale è formato tramite Umlaut.
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -ę -er -är
Dat. -Ø -n / -in -um -um
Acc. -Ø -ę -er -är
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. buð buðe buðer buðer
Dat. buð buðn buðum buðum
Acc. buð buðe buðer buðer
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -ę -är -är
Dat. -Ø - n / -in -um -um
Acc. -Ø -ę -är -är
80
Tabella 28: III classe femminile dell’evdalico classico
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -e -ę -er -är
Dat. -e -in /-n -um -um
Acc. -e -ę -er -är
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -a -ą -ur -ur
Dat. -u -un -um -um
Acc. -u -ų -ur -ur
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -o / -å -ǫ -ur -ur
Dat. -u -un / -u -um -um
Acc. -u -ǫ / -ų -ur -ur
81
Tabella 31: VII classe femminile dell’evdalico classico
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -ę -er / -ner -är /-när
Dat. -Ø -n -m -m
Acc. -Ø -ę -er / -ner -är /-när
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -eð / -að -Ø -ę
Dat. -e / -Ø -ę / -ą -um -um
Acc. -Ø -eð / -að -Ø -ę
La prima classe neutra è costituita dai sostantivi con sillaba radicale lunga
terminanti in consonante, ad es. buord “tavolo”, aus “casa, år “anno”, fuok
“popolo”.
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. buord buordeð buord buordę
Dat. buord74 buordę buordum buordum
Acc. buord buordeð buord buordę
74
La forma in evdalico classico è buorde, e la caduta della -e finale può essere attribuita all’alta
frequenza dell’apocope.
82
Tabella 34: II classe neutra dell’evdalico classico
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -eð / -Ø -Ø -ę
Dat. -i -į -um -um
Acc. -Ø -eð / -Ø -Ø -ę
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -e -eð -e -ę
Dat. -e -ę -um -um
Acc. -e -eð -e -ę
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -a -að -a -ų
Dat. -a -ą -um -um
Acc. -a -að -a -ų
Alla quarta classe appartengono i sostantivi bisillabi uscenti in -a, come nel
caso di ära “orecchio” ed oga “occhio”.
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato Indeterminato Determinato
Nom. -Ø -t -Ø -nę
Dat. -Ø -nę -m -m
Acc. -Ø -t -Ø -nę
83
La quinta classe neutra è costituita da sostantivi monosillabici uscenti per
vocale lunga, dittongo o trittongo, come kni “ginocchio”, trai “albero” e ö
“fieno”.
Indeterminato Determinato
Singolare Nominativo hestær hestrinn
Accusativo hest hestinn
Dativo hesti hestinum
Genitivo hests hestsins
Plurale Nominativo hestar hestanir
Accusativo hesta hestana
Dativo hestum hestumin
Genitivo hesta hestanna
75
È opportuno evidenziare che Svenonius (2015: 182) ritiene che il gruppo dalecarlico si sia
sviluppato divergendo dall’antico svedese classico, piuttosto che dall’antico scandinavo. Nel
caso specifico della flessione nominale (e pronominale), ciò non ha implicazioni sostanziali,
giacché l’antico svedese ha conservato pressocché del tutto il sistema flessivo e le marche
morfologiche. Si è ritenuto dunque conveniente, in questa sede, comparare occasionalmente i
paradigmi dell’evdalico classico con quelli dell’antico svedese, i quali rappresentano
l’attestazione più recente del sistema antico scandinavo. Inoltre, le attestazioni antico-
scandinave sono spesso di carattere occidentale, e potrebbero dunque presentare aspetti
fonologici estranei all’evdalico che renderebbero di difficile interpretazione il confronto.
84
Levander (1909) evidenzia la recessività del caso genitivo, particolarmente
raro nella flessione indeterminata (Dahl, 2006: 64), già in evdalico classico.
Come accennato in 1.4.2, il processo di riduzione d’uso del genitivo, comune a
tutta l’area scandinava continentale, sarebbe partito, secondo Delsing (1991,
2004) e Ringmar (2005), intorno al XIV secolo. Il processo di riduzione
morfologica non appare completamente omogeneo: esso è avvenuto con diverse
modalità per diverse classi nominali (Steensland. 2000).
Come si evince dalle tabelle in 3.1, l’evdalico tradizionale mostra una
generale perdita delle marche morfologiche dell’accusativo, rimasto in uso solo
per alcune forme. Lo stesso vale per il dativo, nei sostantivi declinati nella
forma indeterminata. Alcuni parlanti di evdalico tradizionale – in particolare
nell’area del villaggio di Brunnsberg – mostrano ancora una distinzione tra la
forma indeterminata e la forma determinata dei plurali maschili e femminili
(come ad es. kaller nom. pl. indet. “uomini” vs. kallär nom. pl. det “gli uomini”). La
perdita di questa distinzione, tuttavia, era già caratteristica di diverse varietà
diatopiche nel periodo dell’evdalico classico. Già negli anni ’20, Levander
(1928: 128) rileva delle oscillazioni nella distinzione nominativo/accusativo tra
gli informatori delle zone più estese di Älvdalen, nonché la definitiva
scomparsa nei distretti adiacenti (Dahl & Koptievskaja-Tamm, 2006: 64). In
particolare, Levander nota l’assenza di distinzione morfologica nel parlato di un
informatore nato nel 1909, in contrasto con i fratelli maggiori di 10 anni che
invece la mostravano (Svenonius, 2015: 208).
Un sincretismo tra le forme del nominativo e le forme dell’accusativo è già
osservabile in antico scandinavo/antico svedese, specialmente in determinati
contesti morfologici. Nei sostantivi forti i due casi presentano sincretismo
completo al neutro ed al femminile nella flessione plurale, ma non vi è
sistematicità nel maschile e nel femminile singolare. Lo stesso sincretismo
nominativo-accusativo al neutro e femminile plurale è osservabile nei sostantivi
deboli; inoltre il singolare indeterminato mostra sincretismo di tutti i casi
diversi dal nominativo (Svenonius, 2015: 192-193).
L’evdalico classico, dunque, presenta un leggero aumento dei sincretismi
sistematici: il sincretismo nominativo-accusativo si estende ai maschili ed ai
femminili singolari dei sostantivi forti, nonché alle forme determinate del
femminile. Di conseguenza, in evdalico classico, l’unico contesto in cui il
85
paradigma forte ha conservato una distinzione tra nominativo ed accusativo è il
maschile plurale, sia determinato che indeterminato. Il nominativo rimane
invece distinto nella flessione singolare dei sostantivi deboli maschili e
femminili (Svenonius, 2015: 196-197). Questo paradigma presenta convergenza
di accusativo e dativo in un caso detto obliquo76. La distinzione tra nominativo
ed obliquo può ricordare il sistema morfologico dello svedese moderno (äldre
nysvenska): è attestata ad es. nella Bibbia di Gustav Vasa e nel Codice civile del
1734 (Ringmar, 2005: 6). È tuttavia necessario sottolineare che, in evdalico,
l’opposizione del tipo nominativo/obliquo è propria soltanto di una classe
circoscritta di sostantivi77, laddove in svedese moderno appare generalizzata.
È opportuno precisare che nel momento in cui nominativo ed accusativo
convergono in un caso diretto78 – così come descritto da Blake (2001) e
Haspelmath (2009) – la forma che prevale può essere tanto la forma del
nominativo storico quanto quella dell’accusativo storico, per cui la presenza di
forme che riflettono l’accusativo storico non è da interpretarsi come prova della
sopravvivenza di una distinzione morfologica79. I dati raccolti da Helgander
(1996) suggeriscono che la distinzione si sia inizialmente perduta nelle forme
indeterminate dei sostantivi tra i parlanti nati alla fine del XIX secolo, per poi
venir meno anche nelle forme determinate tra i parlanti nati negli anni ’30
(Svenonius, 2015: 209). Ad ogni modo, il sincretismo morfologico è
generalmente più frequente in evdalico tradizionale di quanto lo sia in evdalico
classico, e tale tendenza è osservabile in tutti i paradigmi (Garbacz 2010: 41).
Ricapitolando: l’evdalico classico mostra sostanzialmente un sistema a
quattro casi – sebbene in maniera irregolare ed asimmetrica – cui può essere
talvolta aggiunto un caso vocativo80 (Levander, 1909: 24,36; Steensland, 2015).
L’evdalico tradizionale mostra, invece, la perdita di distinzione tra accusativo e
nominativo, risultando dunque in un sistema di flessione nominale a due o tre
76
Si ricorre, in questa sede, alla dicitura “obliquo” in concordanza con Ringmar (2005) e Dahl &
Koptjevskaja-Tamm (2006), che a loro volta si basano su Blake (2001). Svenonius (2015)
propende per la definizione “oggettivo”.
77
Il sincretismo di accusativo e dativo è caratteristico anche dei pronomi, vd. 3.5
78
Si predilige in questa sede per la dicitura “direct case” a cui fa ricorso Svenonius (2015), Dahl
& Koptjevskaja Tamm (2006), seguendo Weerman & de Wit (1999) ricorrono alla dicitura
“default case”.
79
Steensland (2006: 12) nota che la forma dell’accusativo storico diventa spesso la forma del
caso diretto nei sostantivi maschili in -e e per un’ampia classe di sostantivi femminili con tema
in vocale.
80
Vd. 3.6.5
86
casi81, cfr. ad es. l’opposizione nominativo/accusativo nel plurale maschile
indeterminato ev. class. ester/esta e determinato estär/estą (Levander 1909: 11–
12) vs. ev. trad. ester (Svenonius, 2015: 179). Si prendano in considerazione le
seguenti tabelle:
Indeterminato Determinato
Gen - estemes
Gen - estumes
Singolare Plurale
Indeterminato Determinato
81
In base alle occorrenze ed all’interpretazione del genitivo: vd. Ringmar (2005: 8-9); Dahl &
Koptievskaja-Tamm (2006: 63-66); Svenonius (2015: 189-190) e 3.6.2
87
evdalico classico82 (Svenonius, 2015: 179). A differenza del sincretismo tra
nominativo ed accusativo, questo sviluppo morfologico interessa solamente
alcune classi di sostantivi; si osservi ad esempio il seguente paradigma di un
sostantivo neutro:
Singolare Plurale
82
Nella varietà dei parlanti più anziani, Levander (1909: 13) riporta la presenza di un suffisso -
ume per distinguere il dativo plurale determinato; il suo uso, tuttavia, era già sufficientemente
in regressione da motivarne l’esclusione dal paradigma.
83
Corpus creato in collaborazione tra l’Università di Oslo e l’Università di Lund, basato su una
collezione di registrazioni effettuate da Janne Bondi Johannessen, Signe Laake, Åshild
Søfteland, Karine Stjernholm e Lars Steensland nel 2007 e trascritto da Piotr Garbacz. Per
ulteriori informazioni vd. Garbacz & Johannessen (2015: 12)
88
contesto morfologico in cui il dativo si è meglio conservato nel tempo 84. Il
numero di ricorrenze è risultato estremamente esiguo: un totale di 19 sostantivi
declinati al dativo, cui va aggiunta la completa assenza del suffisso -åm
(Garbacz & Johannessen, 2015: 29-30). Inoltre, la maggior parte di queste
ricorrenze pare essere legata a forme fossilizzate nell’uso, come nel caso di
buðer “capanne” e byrånend “inizio”, le cui rispettive forme al dativo sono
ricorrenti nelle locuzioni i buðum “nelle capanne” e i byrånendam “in
principio”. Alcune delle ricorrenze di dativo, inoltre, mostrano delle irregolarità:
il dativo plurale krytyrem “bestiame” presenta un suffisso inatteso (la forma
attesa sarebbe krytyrum), mentre la forma ringgum kraftwerkum “attorno alle
centrali elettriche” risulta inaspettata poiché l’avverbio ringgum governa
normalmente il caso accusativo (Garbacz & Johannessen, 2015: 30).
84
“Exempelvis är dativ i bestämda kontexter (oftast de med efterställd artikel) mycket
starkare än dativ i obestämda kontexter som i dag endast förekommer sporadisk” (Garbacz,
2008: 6).
89
Johannessen (2015: 31). Le forme evidenziate in grigio rappresentano deviazioni
dall’evdalico tradizionale.
Tabella 41: Declinazione nominale maschile sulla base dell’Övdalian Speech Corpus.
Singolare Plurale
3.3. Determinatezza
Nelle lingue scandinave, la forma determinata del sostantivo è generalmente
ottenuta tramite l’affissione dell’articolo. In svedese, la forma determinata
viene costruita tramite l’aggiunta di -(e)n ai sostantivi comuni e di -(e)t85 ai
sostantivi neutri (Zach, 2013: 46). Per il plurale, i sostantivi comuni
costruiscono la forma determinata tramite l’aggiunta del suffisso -na alla
desinenza del plurale (-ar, -er o -or, in base alla classe). I neutri ricorrono al
suffisso -en(a) per i temi in consonante – che presentano desinenza zero per il
plurale – e -a per i temi in vocale, che hanno desinenza -n per il plurale86 (Dahl,
2015: 42).
L’evdalico, anche in questo caso, mostra una situazione
considerevolmente più complessa. Da un punto di vista sincronico,
l’osservazione dei paradigmi dell’evdalico classico potrebbe portare a sostenere
la presenza di una flessione determinata distinta da quella indeterminata. In
85
Diversamente dalle apparenze, non c’è relazione etimologica tra i suffissi determinativi -en, -
et (rispettivamente da ascand. -inn, it) e gli articoli indeterminativi en en, ett che derivano da
forme del numerale “uno”. La flessione dell’articolo indeterminato in evdalico è mostrata nella
sezione successiva.
86
Per un’analisi più approfondita del sistema di determinazione in svedese vd. Goodwin Davies
(2016)
90
particolare, nella flessione del plurale, non risulta possibile distinguere
l’articolo determinativo dalla desinenza del plurale, sembrerebbe invece che ci
sia una sola desinenza, con funzione di marca di numero, caso e determinazione
(Zach, 2013: 47). È possibile effettuare un confronto tra le due lingue
prendendo però in considerazione la dimensione diacronica. In antico
scandinavo, l’articolo determinativo poteva essere posposto ed encliticizzato al
sostantivo, sviluppando così la forma determinata nelle varie lingue (Faarlund,
2009: 619). Le diverse ricorrenze di articoli posposti in testi considerevolmente
antichi come il Primo Trattato Grammaticale e l’Antica Legge del
Västergötaland – rispettivamente risalenti al XII e al XIII secolo (Perridon
2002) – fanno presumere che questo tipo di formazione fosse già ben integrato
nella lingua, benché apparisse con minore frequenza nello scritto (Dahl, 2015:
38).
Nel sistema flessivo dell’antico scandinavo, nonché dell’antico svedese,
la marca determinativa mostra un alto grado di indipendenza. Essa può quasi
sempre essere separata dalla forma flessa in base al caso, come osservabile nel
paradigma di hæster (Tabella 38). Il suffisso determinativo viene declinato
secondo il paradigma aggettivale – mostrando di norma le forme degli aggettivi
terminanti in -n – con l’eccezione del dativo plurale che mostra la forma
indeclinata -in, in luogo della forma attesa -inum (Svenonius, 2015: 198). La
posposizione rappresenta la regolare strategia di determinazione, l’articolo
determinativo viene preposto solamente nel caso in cui il sostantivo sia
preceduto da un aggettivo. Si considerino i seguenti esempi:
(a) ascand. hestrinn “il cavallo”
sv. hästen “il cavallo”
(b) ascand. hinn gamli hestr “il vecchio cavallo”
sv. den gamla hästen “il vecchio cavallo
Le lingue scandinave continentali moderne mostrano delle differenze
sostanziali. In particolare, risultano rilevanti la perdita della distinzione di caso
(in tutte le lingue) e lo sviluppo del doppio determinativo (in svedese e
norvegese87), come mostrato dallo svedese nell’esempio (b) (Faarlund, 2009:
619). In antico scandinavo, dunque, la forma determinata del sostantivo si
ottiene solitamente tramite l’aggiunta dell’articolo al sostantivo declinato. Sia il
sostantivo che l’articolo presentano flessione per genere, numero e caso
87
Cfr. sv. den gamla hästen vs. dan. den gamle hest
91
(Faarlund, 2009: 619). Di conseguenza, la struttura morfologica di un sostantivo
determinato in antico scandinavo può essere suddivisa in quattro parti:
88
“The alternation between /n/ and /in/ is determined by the phonology of the whole (/n/ if a
vowel immediately precedes or follows), which can be assumed to reflect a late phonological
rule” (Svenonius, 2015: 199); “If the inflected noun ends in a vowel, […] or if it ends in an -r
preceded by an unstressed vowel, […] then the initial i- of the article is deleted” (Faarlund, 2009:
619).
92
Tabella 42: Accenti nel paradigma di buord “tavolo”
Mentre le forme del dativo, come previsto, presentano accento grave – tipico
delle parole bisillabe –, le forme del caso diretto presentano accento acuto, tipico
dei monosillabi. Questo implica che il suffisso determinativo, meno integrato
nella struttura della parola (Lahiri et al. 2005)89, non venga calcolato ai fini
dell’accento, per cui la forma flessa mostra inalterato il tono tipico dei
monosillabi. Le forme del dativo singolare, al contrario, presentano un suffisso
interno che modifica la struttura sillabica e, di conseguenza, tonale. Il suffisso
determinativo è dunque rappresentato dal tratto nasale, aggiunto ad una base
bisillaba di partenza. In caso di fusione totale dei suffissi, ovvero in presenza di
un suffisso -ę (con funzione di marca di determinazione, caso e numero) il tono
sarebbe rimasto acuto e la forma del dativo singolare sarebbe stata omofona con
la forma del caso diretto plurale (Svenonius, 2015: 201).
La fusione dei suffissi rappresenta una differenza sostanziale tra il sistema
flessivo antico-scandinavo e quello evdalico. Dei tre suffissi identificabili in un
sostantivo determinato in antico scandinavo, solo il primo (descritto nel punto 2)
fa parte del paradigma nominale in senso stretto. Il secondo è sostanzialmente
invariabile, ed il terzo segue un paradigma aggettivale e, di conseguenza, non
subisce effetti da eventuali fenomeni di sincretismo paradigmatico della
flessione nominale debole. La forma determinata appare, dunque, sempre
distinta, poiché il suffisso è palese e direttamente applicato alla forma
indeterminata. Al contrario, la presenza di fusione completa dei suffissi in
89
Osservando la struttura sillabica ed i pattern accentuali, Lahiri et al. (2005) e Faarlund (2009)
giungono, in realtà, a conclusioni diverse. I primi ritengono che la scarsa integrazione
dell’articolo determinativo nello schema prosodico dimostri che sia un clitico. Faarlund,
operando un’analisi diacronica, afferma che le leggi fonologiche che determinano l’accento
nelle lingue nordiche si fossero già stabilizzate durante il periodo antico scandinavo, prima che
il clitico si evolvesse in suffisso. Nel caso dell’evdalico, come dimostrato da Svenonius (2015), la
situazione appare più semplice: l’articolo determinativo è da considerarsi un suffisso per ragioni
sia di ordine fonologico che morfologico.
93
evdalico classico può agire come catalizzatore per la neutralizzazione
paradigmatica (Svenonius, 2015: 206).
L’evdalico, difatti, mostra diversi casi di neutralizzazione dell’opposizione
di determinatezza, come abbiamo potuto osservare in 3.2 riguardo alla perdita di
distinzione tra forme determinate e forme indeterminate nel plurale (Levander,
1909b), che rappresenta uno sviluppo piuttosto recente (Dahl, 2015: 40). La
neutralizzazione dell’opposizione di determinatezza è osservabile anche nel
dativo, per cui il fenomeno appare asimmetrico. Nel singolare è la forma
indeterminata ad apparire marginale o in regressione, laddove nel plurale è la
forma determinata che tende a scomparire 90, come mostrato in 3.5 (Dahl, 2015:
41). La neutralizzazione, inoltre, può verificarsi per singoli lessemi o gruppi di
lessemi. È questo il caso dei neutri terminanti in -ð, che mostrano marca zero nel
nominativo e nell’accusativo singolare determinato, analogamente alle forme
indeterminate (Dahl, 2015: 41).
3.4. Aggettivi
Gli aggettivi, così come i sostantivi, vengono declinati per caso, genere e
numero (Åkerberg, 2012: 190). La tendenza al sincretismo morfologico
dell’evdalico tradizionale si manifesta chiaramente anche nell’ambito dei
paradigmi flessivi degli aggettivi. In evdalico tradizionale, nella flessione
indeterminata (altrimenti detta “forte”) degli aggettivi, la distinzione di caso è
andata perduta; solo genere e numero hanno conservato delle marche
morfologiche distintive. Si prendano in considerazione le seguenti tabelle,
riadattate da Garbacz (2010: 42):
90
È possibile ipotizzare che questa tipologia rifletta una ben precisa tendenza a ridurre
l’accumulo di marche morfologiche – dove non c’è la marca del plurale, resiste bene la forma
determinata, e viceversa (Di Giovine, c.p., 9 agosto 2020).
94
Tabella 43: Flessione indeterminata di stur “grande” in evdalico classico91
Singolare Plurale
Maschile Femminile Neutro Maschile Femminile Neutro
Nom. stur stur sturt stur(er) stur(er) sturų
Singolare Plurale
Maschile Femminile Neutro Maschile Femminile Neutro
Nom. stur stur sturt sturer sturer sturer
Dat.94 stur stur sturt sturer/ sturer/ sturer/
sturum sturum sturum
Acc. stur stur sturt sturum sturer sturum
91
Le forme estese, ovvero comprensive della desinenza tra parentesi, sono usate in posizione
predicativa (cfr. ad es. flier stur kaller “molti grandi uomini” vs. kallär war sturer “gli uomini
erano grandi”) (Åkerberg, 2012: 203) o in caso di ellissi del sostantivo (ad es. gok-etter ien sturå
“va’ a prenderne uno grande”) (Svenonius, 2015: 224). La desinenza -ų del neutro plurale viene
spesso sostituita con -er in posizione predicativa, ad es. bjärrę irå blåer “le montagne sono blu”
ma blåų bjärr “montagne blu” (Åkerberg, 2012: 203).
92
Levander (1928: 200) non indica una desinenza per il dativo femminile singolare in evdalico,
indicando però la forma stūrer per l’Orsamålet. Åkerberg (2002: 23) riporta la forma sturer tra
parentesi (Ringmar, 2005: 10).
93
La forma sturå è caratteristica del villaggio di Åsen, le forme sturu e stura sono
rispettivamente attestate nelle varietà orientali e occidentali (Levander 1909b: 45).
94
La forma sturum dat. pl. per tutti i generi è ancora diffusa tra i parlanti più anziani (Garbacz
2010: 42).
95
Dahl (2009: 55) precisa che l’evdalico non mostra le desinenze della flessione debole
dell’aggettivo quando quest’ultimo è incorporato (come ad es. gamkalln “l’uomo anziano”). La
desinenza debole, sebbene non esplicita, è individuabile indirettamente quando l’aggettivo
segue un dimostrativo (ad es. eð-dar stùr auseð “quella casa grande”) poiché l’aggettivo
assume accento grave: si tratta dunque di un caso di apocope (vd. 2.3.2).
95
condivide questo tipo di formazione con altre varietà svedesi periferiche (Dahl,
2015: 127). Delsing (2003) descrive il fenomeno come una forma di
composizione, descrizione ritenuta però inadeguata sotto il profilo semantico da
Dahl (2015), il quale, seguendo Sandström & Holmberg (2003), propende per la
definizione di incorporazione aggettivale96.
96
“In Swedish or English, a compound like våtjacka or wet-jacket could only be used for a special
kind of jacket that is permanently wet, or perhaps more plausibly, for a jacket intended for use
in wet conditions. […] By contrast, the Elfdalian expression refers to a jacket that is in a
temporary state of wetness. In other words, it functions just like the English phrase the wet
jacket […] It is the possibility of using the Elfdalian expression in such an “occasional” way that
motivates using the term “incorporation” rather than “compounding” (Dahl, 2015: 127).
97
Il comparativo può presentare apocope, in quel caso la forma risulta identica alla forma
predicativa del plurale (Åkerberg, 2012: 205).
98
Cfr. vs. sv. den röde, den gamle, anche in questo caso l’evdalico mostra di non aver sviluppato
l’articolo determinativo preposto a partire dal dimostrativo ascand. þann/ þat (Faarlund, 2009:
624).
96
In alcuni villaggi occidentali della parrocchia di Älvdalen è individuabile
una distinzione di lunghezza sillabica tra maschile e femminile nei nominativi
degli aggettivi uscenti in -l ed -n, ad es. īell masc. /īel fem. (Nyström, 2000). In
questo esempio vi è un’ulteriore distinzione fonologica poiché la forma del
maschile presenta l alveolare, laddove il femminile presenta l velarizzata (vd.
2.2.1). La tabella seguente mette a confronto i paradigmi per le forme del tipo
laik/ líkur in evdalico e nelle lingue insulari. Le deviazioni dall’antico
scandinavo sono evidenziate con un asterisco, posto tra parentesi nel caso
deviazioni minori (Ringmar, 2005: 9-10).
99
Le forme estese, ovvero comprensive della desinenza tra parentesi, sono usate in posizione
predicativa.
97
Osserviamo infine la declinazione dei numerali, che concordano in
genere e caso col sostantivo. La flessione del numerale ien, con alcune
precisazioni, è valida anche per l’articolo indeterminativo (Sapir &
Nystöm, 2015: 39).
3.5. Pronomi
Come osservato da Helgander (2005: 23), anche i pronomi mostrano la
perdita della distinzione di caso, come nel caso del nominativo dier “loro”,
talvolta sostituito dalla forma obliqua diem101. Le grammatiche evdaliche in uso,
come Åkerberg (2000; 2004; 2012) e Nyström & Sapir (2005 a; b; 2015), in
quanto basate su Levander (1909b), propongono tuttora una flessione
pronominale che presenta distinzione per tre casi: nominativo, dativo e
accusativo (Garbacz & Johannessen, 2015: 31). Secondo questi autori, in
particolare, vi è una distinzione tra accusativo e dativo nella flessione dei
pronomi di terza persona singolare: si consideri la seguente tabella, adattata da
Garbacz (2010: 43).
100
Ienner è la forma in posizione predicativa. La forma del dativo femminile in posizione
attributiva è iènn (l’accento grave è indice di apocope). Nella flessione dell’articolo
indeterminato la forma del dativo femminile è ien, priva di apocope (Sapir & Nystöm, 2015: 39).
101
Innovazione già mostrata in evdalico classico nelle varietà di Väsa ed Evertsberg (Garbacz,
2010: 43).
98
Tabella 46: Flessione dei pronomi personali in evdalico classico
Dat. mig dig ånum/ enner/ dyö uoss įr/įð diem/ dyöm
åm en
102
Le forme con -r erano caratteristiche dei villaggi di Åsen ed Evertsberg (Levander, 1909b:
63).
99
Tabella 48: confronto tra paradigma pronominale e paradigma lessicale nella varietà di
Halsa
Come si evince dalla tabella, le forme del plurale (e del duale) presentano
sincretismo di dativo e accusativo. In uno stadio più avanzato dell’antico
svedese, la distinzione tra i due casi risulta neutralizzata anche per le forme del
singolare, con le forme dell’accusativo che compaiono in contesti che prevedono
103
Anche in questo caso, per rendere più trasparente il confronto, si ricorre al paradigma
dell’antico svedese (vd. nota 2).
100
il dativo (Delsing, 2002: 929). Per questi pronomi, l’evdalico classico, così come
lo svedese contemporaneo, mostra dunque una distinzione del tipo
nominativo/obliquo. Il sincretismo è attivo anche nella terza persona plurale, in
cui è la forma del dativo a prevalere (altro fattore condiviso con l’antico
svedese) (Delsing 2002: 931). Le terze persone singolari mostrano invece degli
allineamenti diversi. Il maschile ed il neutro mostrano un’opposizione del tipo
caso diretto vs. dativo, analogamente a quanto mostrato dai sostantivi maschili e
femminili singolari della declinazione forte (vd. 3.2). È opportuno precisare che
il sincretismo tra nominativo ed accusativo era già presente in antico
scandinavo104 (Rask, 1843: 94; Wessén, 1969: 116).
L’opposizione del tipo caso diretto vs. dativo mostrata dal singolare (anche
per il femminile, a differenza di quanto accade per i pronomi) sembra indicare
che gli aggettivi dimostrativi concordino con gli aggettivi qualificativi – e di
conseguenza con i sostantivi – nello schema dei sincretismi. Una tensione
emerge nel momento in cui si prende in considerazione il plurale, che mostra
104
A fronte della tendenza generale, mostrata dal paradigma pronominale, di conservare una
distinzione tra nominativo ed accusativo, il sincretismo dei due casi nel maschile e nel neutro
della terza persona singolare è probabilmente da attribuire ad un processo fonologico (cfr. vs.
flessione 3a sing. masc. got. is nom. ina acc. imma dat. is gen., per cui il sincretismo tra nominativo e
genitivo appare accidentale (Svenonius, 2015: 186)).
101
invece un’opposizione del tipo nominativo vs. obliquo. Di conseguenza, il
paradigma nel suo complesso sembrerebbe concordare con il sistema
pronominale (Svenonius, 2015: 226).
105
Vd. Svenonius (2015: 223) per un’analisi degli aggettivi quantitativi.
106
Da Garbacz (2010: 43), a sua volta basato su Steensland (2010). Le forme riportate sono
attestate nella variante di Brunnsberg.
102
2015) – similmente a quanto osservabile per i sostantivi – che ha portato alla
riduzione del sistema a tre casi ad un sistema a due casi con opposizione di tipo
nominativo vs. obliquo (Svenonius, 2015).
107
Le forme divergenti dall’evdalico tradizionale sono evidenziate in grigio. I numeri tra
parentesi indicano le occorrenze nel corpus (Garbacz & Johannessen, 2015: 32).
108
La forma dier in contesti che prevedono l’accusativo o il dativo è attestata solo nel caso in
cui sia seguita da una proposizione relativa – ad es. […] min dier so saggd an ar däeð “con loro
che hanno detto che [lui] è morto” – o quando il pronome è topicalizzato – ad es. dier war eð
faktiskt synd um “per loro era un vero peccato” – (Garbacz & Johannessen, 2015: 32).
103
In prospettiva sincronica, l’emersione di un sistema di questo tipo – in cui le
diverse forme di un pronome di terza persona plurale possono essere usate
pressocché intercambiabilmente in diversi contesti sintattici – appare simile allo
sviluppo osservabile in numerose varietà scandinave. Nelle varietà colloquiali di
svedese e norvegese, difatti, i pronomi di terza persona singolare possono
presentare la stessa forma sia in contesti in cui è regolarmente atteso il
nominativo che in contesti in cui è regolarmente atteso l’accusativo
(Johannessen, 2008: 176–180).
I dati del corpus indicano lo sviluppo di un sistema in progressiva riduzione
in cui, pur essendo presente un contrasto tra forme casuali, non risulta possibile
delimitarne i confini all’interno di contesti d’uso definiti e sistematici (Garbacz
& Johannessen, 2015: 33). Osserviamo infine lo sviluppo del pronome
possessivo menn “mio”.
Tabella 53: Flessione del pronome possessivo menn “mio” in evdalico classico
Singolare Plurale
Maschile Femminile Neutro Maschile Femminile Neutro
Nom. menn mąi mett main(er) main(er) mainų
Dat. mainum menner mainå mainum mainum mainum
(main) mainu
maina
(main)
Acc. menn maina mett main(a) main(er) mainų
(main)
104
Tabella 53b: Flessione del pronome possessivo menn “mio” in evdalico tradizionale
Singolare Plurale
Maschile Femminile Neutro Maschile Femminile Neutro
Nom. menn mąi mett main/ main mainų
mainer mainer mainer
3.6. Casi
È ora necessario offrire un’analisi sincronica e diacronica dei singoli casi, sia nei
loro aspetti formali che nei rispettivi contesti d’uso.
3.6.1. Nominativo
Nelle lingue insulari, il nominativo presenta spesso il suffisso -ur. In
particolare, in faeroerico, questo suffisso ha subito una considerevole
estensione tramite analogia (cfr. isl ís “ghiaccio”, fugl “uccello” vs. fø. ísur,
fuglur). Fatte alcune eccezioni in islandese, questo suffisso indica
generalmente il nominativo maschile e rimanda ad un antico suffisso
protoindoeuropeo *-s, evolutosi in -r in antico scandinavo per rotacismo
(Ringmar, 2005: 5). L’inserimento di una vocale di appoggio ha portato
regolarmente allo sviluppo del suffisso -ur nelle lingue insulari ed -er in
antico svedese.
Il suffisso è assente in evdalico, sebbene sia possibile individuarne dei
residui, in particolare in alcuni casi che presentano la conservazione della
vocale di appoggio e. Si possono citare, ad esempio, la forma konunge “re”
nella commedia di Prytz (Levander 1928:313) e le forme del tipo kåven (<
kåve-n) nom. sing. det. “il vitello”, individuabili nella varietà di Åsen, in cui la e
marca la distinzione dall’accusativo kåvin (kåv-in) (Ringmar, 2005: 6). In
alcuni villaggi, la caduta del suffisso è indicata da opposizioni fonologiche
all’interno del paradigma, ad es. makkin (< *makkerin)109 nom. vs. mattşin (<
*makkin) acc. “la maschera” (Levander 1928:114).
Il suffisso -r appare nella flessione aggettivale – spesso come
alternativa al morfema zero – in alcuni monosillabi con tema in vocale,
109
[e] non innesca palatalizzazione, vd. 2.2.2
105
come ad es. blår “blu”, senza però fornire informazioni sul genere. I
paradigmi aggettivali rappresentano, in tutta la Scandinavia, il contesto
morfologico in cui il suffisso -r si è meglio conservato, specialmente a
livello dialettale (Ringmar, 2005: 6).
3.6.2. Genitivo
Come accennato più volte nel corso del capitolo, la grammatica di
Levander (1909) testimonia, per l’evdalico classico, un sistema flessivo
tetracasuale ereditato direttamente dall’antico scandinavo. Tuttavia, egli
stesso nota la rarità delle occorrenze del caso genitivo, in particolar modo
nella flessione indeterminata, dove è fondamentalmente ristretto ad una
serie di espressioni lessicalizzate, in particolar modo dopo le preposizioni
et – ad es. et bys “al villaggio”; et endes “alla fine” – e i – ad es. i wittres
“lo scorso inverno”; i kwelds “ieri sera” – (Levander 1909: 96; Dahl &
Koptjevskaja-Tamm, 2006: 64). Il suffisso -s rappresenta la desinenza
storica regolare per il genitivo singolare maschile e neutro nella
declinazione forte. Tuttavia, vi sono anche locuzioni che mostrano
desinenze del plurale, del femminile, o della declinazione debole, ad es. et
messer “a messa” ed et juoler “per Natale” (Svenonius, 2015: 189).
Espressioni di questo tipo sono individuabili anche in svedese, come nel
caso di till skogs “nella foresta”; till havs “per mare”; till fjälls “in
montagna”. Anche nel caso dello svedese, alcune di queste collocazioni
cristallizzate mostrano di aver conservato suffissi deboli o femminili, ad es.
till handa “sottomano” e till salu “in vendita”.
L’aspetto rilevante è che, tanto in evdalico quanto in svedese, queste
collocazioni non consentono l’inserimento di elementi che modifichino,
determinino o quantifichino il sostantivo. Tuttavia, si può dedurre che
questo tipo di costruzioni, specialmente quelle introdotte da i, abbiano
conosciuto uno stadio di discreta produttività in una fase più antica
dell’evdalico, poiché in antico scandinavo í non reggeva il genitivo
(Svenonius, 2015: 190). Le desinenze etimologiche del plurale e del
femminile risultano limitate a queste espressioni cristallizzate, in cui il
sostantivo appare nella forma indeterminata. Quando il sostantivo appare
nella forma determinata – ad es. nella frase ittað-jär i kullumes saing
“questo è il letto della ragazza” (Levander, 1909:96) – si assiste
106
all’estensione analogica della desinenza maschile -es, affissa alla forma del
dativo, piuttosto che alla presenza della forma prevista, in questo caso
*kuller (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 65).
La generalizzazione del suffisso -s, considerevolmente diffusa nel
panorama germanico, viene definita da Koptjevskaja-Tamm (2003) col
nome di “genitivo deformato” (Dahl, 2015: 158). A differenza degli altri
casi del sistema evdalico, il genitivo non si presta a confronti trasparenti né
sull’asse diacronico – con l’antico scandinavo –, né sull’asse sincronico –
con l’islandese moderno –, risultando dunque anomalo, sia nell’ambito
puramente formale che nei contesti morfosintattici d’uso (Svenonius, 2015:
189). Ringmar (2005: 8) evidenzia la dissoluzione del genitivo come “caso
vero e proprio”110 sia in evdalico che in faeroerico, ribadendo come esso
sia sopravvissuto unicamente in islandese (vd. 1.4.2). Una delle
argomentazioni avanzate, valida anche per lo svedese contemporaneo, è
l’assenza di accordo casuale tra testa e complemento all’interno dei
sintagmi nominali: cfr. ad es. asv. ens gammals manz hæstr vs. sv. en
gammal mans häst “il cavallo di un uomo anziano” (Delsing 1991: 12). In
quest’ultimo esempio, il suffisso -s funge come marca del genitivo per
l’intero sintagma.
La scomparsa del genitivo come caso a sé stante è stata spesso correlata
con la fossilizzazione dell’ordine sintattico del tipo attributo possessivo-
testa111, che Ringmar (2005: 8) ritiene essere una naturale conseguenza
della generalizzazione del morfema -s come marca dell’intero sintagma. In
antico scandinavo, infatti, l’ordine non marcato degli elementi del sintagma
era testa-possessivo (Nygaard, 1966: 129; Faarlund, 2004: 59); inoltre la
desinenza del genitivo appariva sia nella testa che nei modificatori del
possessore, come ad es. nel sintagma skáld Haralds hins hárfagra “lo
scaldo di Araldo Bellachioma” (Svenonius, 2015: 190).
La generalizzazione della desinenza per l’intero sintagma è
individuabile anche in evdalico, si consideri ad es. la frase an bar
pridikantem jär upp-es an “ha portato qua su (la valigia) del predicatore,
lui” (Levander, 1909: 96-97). Come si può notare, il suffisso -es è posto in
110
“kasus i egentlig mening”
111
In islandese, al contrario, il genitivo è tuttora posposto alla testa del sintagma, ad es. Forseti
Íslands “il presidente dell’Islanda” (Ringmar, 2005: 8).
107
coda ad un sintagma complesso, la cui testa (pridikantem) appare al caso
dativo112. Alla luce di questi dati, Dahl & Koptjevskaja-Tamm (2006: 66)
affermano che non si può parlare di un caso genitivo in termini strettamente
morfologici.
Da un punto di vista diacronico, il genitivo in -es appare come una
ricostruzione di tipo analogico, perfettamente equiparabile alla costruzione
con -s dello svedese standard (Ringmar, 2005: 8)113. Questa somiglianza,
evidente ai parlanti stessi, ha portato ad un aumento delle costruzioni con -
es in tempi più recenti (Dahl, 2015: 173). Un aspetto rilevante di questo
fenomeno è la tendenza dei parlanti a scrivere il suffisso come una parola
separata – come ad es. Anna es buok “il libro di Anna” –, indicandone la
scarsa integrazione a livello morfologico (Dahl & Koptjevskaja-Tamm,
2006: 66-67).
Se la desinenza -es rappresenta una marca di possesso, piuttosto che un
caso vero e proprio, questo potrebbe spiegare perché Levander (1909)
riporti alcune forme al genitivo quasi esclusivamente per i sostantivi nella
declinazione determinata: i possessori sono tipicamente determinati e la
determinazione potrebbe persino essere una condizione per la costruzione
possessiva (Svenonius, 2015: 191). L’estraneità del clitico (-)es al sistema
morfologico giustificherebbe dunque le divergenze con l’antico
scandinavo, tra cui le co-occorrenze tra dativo e genitivo, l’indifferenza del
suffisso -es ai generi e alle classi flessive e le lacune nei paradigmi
dell’evdalico classico (Svenonius, 2015: 191-192).
Levander (1909) stesso evidenzia come l’uso del genitivo non
rappresenti, in realtà, la strategia morfosintattica più comune per indicare il
possesso. Esso, invece, è solitamente indicato tramite la posposizione del
(sostantivo) possessore, declinato al dativo (Ringmar, 2005: 8; Dahl &
112
Dahl (2015: 169) definisce questo tipo di costruzione “dativo possessivo complesso”
(complex possessive dative).
113
Assieme a quest’interpretazione, Dahl & Koptjevskaja-Tamm (2006: 66) avanzano
l’ipotesi che -es possa derivare dalla forma al genitivo della terza persona maschile singolare os
(<ascand. hans). In altre varietà dalecarliche, il pronome appare come -as, -ås [ɔs] e ôs [əs], il
che renderebbe ancora più plausibile la derivazione. In tal caso, la costruzione con dativo+ es
appare analoga a quanto riscontrabile in alcuni dialetti tedeschi, con costruzioni del tipo dem
Mann dat. sein pron. poss. Haus “la casa dell’uomo”.
108
Koptjevskaja-Tamm, 2006: 66), come ad es. in Ulov add taið pennskrineð
kullun “Ulov ha preso il portapenne della ragazza” (Åkerberg, 2004: 8)114.
L’assunzione, da parte del dativo, delle funzioni del genitivo nelle
costruzioni possessive è un fenomeno relativamente comune. Esso può
essere ricondotto alla progressiva estensione dei dominî del dativo dalla
funzione di oggetto indiretto. Costruzioni di questo tipo sono individuabili
anche in altre varietà periferiche, nel Norrbotten e nel Västerbotten (Dahl
& Koptjevskaja-Tamm, 2006: 66). La considerevole distanza geografica tra
le aree linguistiche in cui sono presenti costruzioni possessive che
ricorrono al dativo – ad es. tra Älvdalen, Skellefteå e Vätö, vd. carta 8 –
suggerisce che tali costruzioni abbiano una comune origine e che le aree in
esame rappresentino le aree periferiche in cui la costruzione si è meglio
conservata. Il genitivo, non più produttivo in queste aree (Delsing, 1996:
41), avrebbe dunque cominciato ad essere sostituito dal dativo già da prima
del 1350 (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 67).
Carta 8: Varietà linguistiche periferiche che presentano dativo possessivo semplice
114
Questo tipo di costruzione viene denominata da Ringmar (2005: 8) “dativo puro” (sv. ren
dativ). Dahl (2015: 161) ricorre alla definizione “dativo possessivo semplice” (engl. plain dative
possessive), in contrapposizione alla costruzione “complessa” con dativo+es.
109
3.6.3. Dativo
Come accennato in 1.4.2, il dativo, oltre che in dalecarlico e nelle
lingue insulari, è sopravvissuto in diverse altre varietà svedesi e norvegesi,
interessando un’area piuttosto estesa, specialmente nella declinazione
determinata dei sostantivi. Tuttavia, nell’ambito delle varietà continentali, è
proprio nel dalecarlico superiore che il dativo mostra di essersi
maggiormente conservato (Ringmar, 2005: 7). In evdalico, esso è presente
anche nella flessione aggettivale e dei numerali, nonché nel paradigma
indeterminato del singolare dei sostantivi forti maschili neutri
(Reinhammar 1973:28-29).
Il suffisso indeterminato -e (/-i) dell’evdalico corrisponde,
fondamentalmente, al suffisso -i dell’islandese e del faeroerico. In antico
scandinavo non tutte le classi flessive del maschile presentavano suffisso -i
e, tanto nelle fonti antico-svedesi quanto nelle fonti antico-islandesi, c’è
una certa confusione riguardo a quali sostantivi debbano presentare il
suffisso. L’evdalico ed il faeroerico mostrano di aver esteso il suffisso,
generalizzandolo, seppure con alcune eccezioni, ai sostantivi monosillabici
con tema in consonante. Alla luce delle sue caratteristiche fonetiche – che
lo esponevano al rischio di apocope – e considerata la sua posizione già
indebolita in antico svedese (Pamp, 1971: 129), la sopravvivenza del
suffisso in evdalico appare particolarmente rilevante (Ringmar, 2005: 7).
La forma definita viene formata con l’aggiunta del suffisso -m, ad es.
kåvem “al vitello”, rövim “alla volpe”. La sopravvivenza del dativo nella
declinazione dei sostantivi neutri è forse stata facilitata dal fatto che la
maggior parte dei sostantivi neutri presenta tema originario in a115, come
anche testimoniato da alcune forme cristallizzate in svedese standard, ad es.
man ur huse (<pgmc. *hūsą) “uomo fuori di casa” (Levander 1928: 194;
Reinhammar 1993: 186). La distinzione tra forma determinata e forma
indeterminata è marcata dalla nasalizzazione nel suffisso della forma
determinata (Ringmar, 2005: 7).
Il suffisso del dativo plurale indeterminato -um mostra di essersi
conservato sia in dalecarlico che nelle lingue insulari. Anche in questo caso
115
“Vid neutrala substantiv har det på sätt och viss varit enklare eftersom nästan alla ord ska ha
ändelse (dvs. de är s.k. a-stammar)” (Ringmar, 2005: 7). Per approfondimenti sulle classi flessive
dei sostantivi germanici vd. Lehmann (2004).
110
è possibile individuare delle espressioni in svedese standard che presentano
il suffisso, ad es. i lönndom “in segreto”, lagom “abbastanza”, stundom
“talvolta” (Ringmar, 2005: 8). La sopravvivenza del suffisso può essere
attribuita alla sua frequenza d’uso, in quanto comune a tutti i generi. La
tendenza ad unificare le desinenze del dativo plurale è comune a tutte le
lingue germaniche, sebbene le caratteristiche fonetiche dei risultati possano
variare116 (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 71).
L’evdalico, inoltre, mostra sincretismo tra la forma determinata e la
forma indeterminata, che hanno probabilmente iniziato a convergere verso
la fine del XIX secolo117 (Dahl, 2015: 41). Questo tipo di sviluppo,
tipicamente scandinavo, sembra essere comune alla maggior parte delle
varietà che hanno preservato il dativo in Svezia, tra cui spicca la varietà di
Skellefteå, che presenta una forma per il dativo singolare ed una per il
plurale (Marklund, 1976; Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 69; Dahl,
2015: 41). La perdita della distinzione di determinatezza nei plurali può
essere una conseguenza della fusione dei suffissi determinativi e del
plurale118 (Svenonius, 2015: 218).
3.6.4. Accusativo
Alla luce di quanto evidenziato in 3.2, l’accusativo rappresenta
indubbiamente l’elemento più debole del sistema flessivo evdalico e
sembrerebbe destinato a scomparire, così come nella maggior parte delle
varietà svedesi periferiche (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 71).
Ad oggi, la distinzione nominativo-accusativo – già in regressione in
Levander (1928: 128) – è da considerarsi arcaica, anche per i parlanti più
conservativi. Questi dimostrano di aver conoscenza delle forme
all’accusativo e possono citarle come forme corrette o preferibili in contesti
di elicitazione, ma la distinzione tra i due casi risulta sostanzialmente
assente nella produzione spontanea (Svenonius, 2015: 209).
116
Una desinenza comune -um per il dativo plurale è già individuabile in antico scandinavo ed
antico inglese. Anche il gotico presenta un unico suffisso -m, preceduto da diverse vocali, in
base al tema del sostantivo. Per ulteriori approfondimenti vd. Dahl & Koptjevskaja-Tamm
(2006: 71)
117
Questa caratteristica è condivisa da tutto il dalecarlico superiore, eccetto la varietà di Orsa,
dove la desinenza del dativo plurale è -uma (Dahl & Koptjevskaja-Tamm 2006: 71). Nel
dalecarlico inferiore ed occidentale, la forma del dativo plurale indeterminato corrisponde al
nominativo ed il suffisso -um appare nella flessione determinata (Ringmar, 2005: 8).
118
Vd. 3.3
111
Se si vuole operare un confronto sincronico, l’evdalico classico, così
come l’islandese, mostra di aver mantenuto una forma distinta per
l’accusativo plurale maschile, laddove il faeroerico mostra l’estensione
della desinenza -r del nominativo (Ringmar, 2005: 6). A fronte dell’assenza
della distinzione nominativo-accusativo nella flessione singolare dei
sostantivi maschili, la sua presenza nel plurale rappresenta un’anomalia
anche in termini tipologici (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 70). In
generale, la marcatura esplicita dell’oggetto diretto è tendenzialmente più
comune nei sintagmi con posizione alta nella scala di individuabilità 119. La
scala è implicazionale, e la presenza di una marca dell’accusativo al plurale
implicherebbe la sua presenza al singolare 120 (Hopper & Thompson 1980:
253).
Questa caratteristica particolare dell’evdalico può essere considerata un
effetto di diversi mutamenti di ordine fonologico, che hanno
incidentalmente portato all’eliminazione della distinzione nominativo-
accusativo nei singolari maschili, piuttosto che di una riduzione sistematica
del sistema morfologico. Un elemento così scarsamente integrato nel
sistema presenta chiaramente una forte instabilità e può essere soggetto ad
eliminazione (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006: 71).
Sebbene in evdalico tradizionale sia possibile individuare forme
dell’accusativo in contesti che prevedono l’accusativo, il sistema in sé non
presenta questa distinzione nei sintagmi nominali. La distinzione è invece
presente a livello sintattico tra contesti che prevedono il nominativo e
contesti che prevedono l’accusativo, giacché i pronomi di prima e seconda
persona – sia singolare che plurale – continuano a distinguere
sistematicamente la posizione del soggetto dalle altre posizioni (Svenonius,
2015: 217).
Secondo Svenonius (2015: 207), dunque, la lingua deve prevedere il caso
accusativo affinché esso possa essere espresso a livello pronominale e,
siccome la distribuzione sintattica dei sintagmi nominali è identica a quella
119
Per uno studio approfondito vd. Grimm (2018).
120
Sebbene la situazione dell’evdalico risulti anomala, non ci sono prove definitive che un
sistema di questo tipo non sia tollerato nelle lingue umane (Dahl & Koptjevskaja-Tamm, 2006:
71).
112
dei pronomi, bisogna dedurne che l’accusativo esista, sebbene non sia
esplicitamente marcato nel paradigma nominale.
3.6.5. Vocativo
Nella descrizione del sistema casuale evdalico, Levander (1909: 24) cita
alcune forme che interpreta come ricorrenze di un caso vocativo, in
particolare i nomi propri maschili Lasse e Nisse per cui riporta le forme
Lass! e Niss!. Il caso vocativo, così come ereditato dal sistema flessivo
indoeuropeo, risulta già in sostanziale regresso negli stadi più tardi del
protogermanico (Lehmann, 2014: 51). Nelle lingue storiche, questo si
sarebbe conservato unicamente nel gotico, per cui la forma del vocativo
tende generalmente a convergere con quella del nominativo o
dell’accusativo121 (Wright, 1910: 84). L’assenza del caso vocativo in antico
scandinavo, dunque, implica che le forme attestate dall’evdalico necessitino
di una diversa interpretazione (Steensland, 2015: 167).
Anche in evdalico moderno è possibile individuare alcune categorie
nominali che sembrano presentare una forma al vocativo, generalmente
formata tramite l’elisione della vocale o della sillaba finale (Steensland,
2015: 168-169). Queste categorie sono:
1) Nomi propri maschili e femminili
a) Lasse > Lass!
b) Lina > Lin!
c) Friða > Frið!
2) Lessico di parentela
a) muna “madre” > mun!
b) tytta “zia” > tytt!
c) pappa “papà” > papp!
3) Nomi di animali domestici
a) masse “micio” > mass!
4) Nomi di figure religiose
a) Faðer “padre” > Fað!
b) Djiesus “Gesù” > tjiess!
c) Satan/ sate “Satana/ bastardo” > sat!
121
Fatta eccezione per la flessione di atta “padre”, che presenta suppletivismo e per cui il
vocativo mostra la forma ereditaria fadar (Lehmann, 1910: 45).
113
5) Alcuni nomi comuni
a) gosse “ragazzo” > goss!
È opportuno evidenziare che alcune forme, come nel caso di pappa al
punto 2c, costituiscono dei prestiti di ingresso relativamente recente dallo
svedese, il che indica come questo tipo di formazione abbia conosciuto un
periodo di produttività piuttosto esteso (e come sia, probabilmente, tuttora
produttiva). Tuttavia, a partire da questi esempi, risulta complicato dedurre
una regola generale e sistematica per la formazione del vocativo (Steensland,
2015: 169). Per quanto riguarda le forme dei nomi propri maschili – così
come per masse, sate e gosse –, si potrebbe sostenere che si tratti di semplici
esempi di apocope (vd. 2.3.2). Lo schema prosodico, tuttavia, contrasta con
questa ipotesi: le forme abbreviate degli esempi mostrano accento acuto
(altrimenti detto accento 1, proprio dei monosillabi), laddove le forme
apocopate – come ad es. Lass willd tşyöp pärur – conservano l’accento grave
(Steensland, 2015: 169).
122
Altre irregolarità sono presentate da Ann – indicata da alcuni informatori moderni – la cui
uscita -na non è preceduta da vocale e da Jöst (< Jösta), poiché si tratta di un maschile
(Steensland, 2015: 170).
114
due forme di vocativo sopravvissute nel russo contemporaneo, entrambe di
carattere religioso: Боже мой! “mio Dio!” e Господи! “Oh, Signore!”.
115
Le forme del vocativo presentate dall’antico slavo ecclesiastico – nella
varietà russa123 – e dal greco antico sembrano confermare la prima ipotesi.
Nel caso dell’antico slavo ecclesiastico, la flessione di жена [ʒɛˈna]
“donna” presenta l’accento sulla prima sillaba solo al vocativo жено
[ˈʒɛno], negli altri casi esso cade sempre sull’ultima sillaba. Allo stesso
modo, in greco antico, l’accento cade sulla prima sillaba solo nella forma
γύναι, vocativo di γυνή “donna”.
123
Per semplicità Steensland (2015: 174) riporta le forme secondo l’ortografia russa moderna.
124
La baritonesi è, ad ogni modo, un tratto tipico del vocativo indoeuropeo (Di Giovine, c.p., 10
agosto 2020). Esaminando il fenomeno della ritrazione dell’accento nelle lingue indoeuropee
antiche Lazzeroni (1995) afferma: “nelle coppie diatoniche del greco e del sanscrito la
baritonesi segnala il termine caratterizzato dal tratto che occupa il posto più alto nella gerarchia
dell’individuazione: il nome proprio rispetto al nome comune, il sostantivo rispetto
all’aggettivo, il nome d’azione rispetto al nome d’agente (assimilato all’aggettivo), l’agente
individuato rispetto all’agente generico” (Lazzeroni 1995: 4-5).
125
“a universal, psychologically motivated phenomenon that could appear in different
languages at different times, lacking any direct connection.” Steensland (2015: 174)
126
Per un’analisi più approfondita del vocativo dal punto di vista morfosintattico vd. Donati
(2010).
116
di -a finale delle forme ipocoristiche dei nomi di persona, dei nomi di
parentela e dei nomi di animali domestici:
3.7. Verbi
A differenza dello svedese contemporaneo, sia l’evdalico classico che
l’evdalico tradizionale presentano accordo verbale per persona e numero
(Garbacz, 2010: 44). Come indicato in 1.4.3.2, lo svedese mostra la riduzione
127
Vadim Krys’ko, (cit. in Steensland, 2015: 174)
128
Questa strategia è denominata “ancoramento all’estremità sinistra” (anchoring to the left
edge) da Alber (2010, 2). Il fenomeno è particolarmente diffuso nell’area settentrionale,
laddove le varietà centro-meridionali mostrano prevalentemente il troncamento dopo la vocale
tonica (cfr. it.reg.sett. Fránce, Vále, Ále, Mánu vs. it.reg.cm. Francé, Valentì, Alessà, Manué)
(D’alessandro & van Oostendorp, 2016: 63; Huszthy, 2019: 171)
117
delle marche d’accordo verbali ad un’unica forma a partire dal 1600 ca.
(Larsson, 2005: 1276). Il paradigma delle marche d’accordo appare simile a
quello dell’yngre fornsvenska, presentando un’unica desinenza per le persone
del singolare e tre desinenze distinte per le persone del plurale (Sapir, 2006:26).
Al di là di questo aspetto, il sistema verbale dell’evdalico appare
sostanzialmente identico a quello svedese.
129
Analogamente a quanto accade in svedese, la forma passiva è contraddistinta dal suffisso –s,
cfr. sv. bära, ev. bjärå “trasportare” vs. sv. bäras, ev. bjärås “essere trasportato”. Il suffisso può
inoltre indicare un’azione reciproca (sv. träffa, ev. råka “incontrare” vs. sv. träffas, ev. råkas
“incontrarsi”) o un verbo deponente come ad es. ųogas “occuparsi” (Sapir, 2006: 26).
130
A tal riguardo vi è in realtà una discrepanza tra le fonti: Garbacz (2010), citando Levander
(1909b: 88) riporta wäre come forma al congiuntivo preterito – e con lui Ringmar (2005: 13) –,
sostenendo inoltre che questo presenti una flessione per tutte le persone, laddove Sapir (2006)
cita wäre come forma di congiuntivo presente, la cui flessione è limitata alla terza persona
singolare. In questa sede si considera wäre forma al preterito per due ragioni principali: 1) essa
è indicata come forma al preterito da Sapir stesso in Sapir & Nyström (2015: 65); 2) La forma
wäre presenta Umlaut da –i, regolare fenomeno per il congiuntivo preterito nelle varietà antico
scandinave occidentali (Vigfússon et al., 2007: 25), come indicato da Garbacz (2008: 1) in una
nota sui caratteri prettamente orientali e occidentali dell’evdalico, contrastando la forma
evdalica a sv. vore che invece non presenta Umlaut (cfr. anche vs. isl. væri). Tuttavia, né la
grammatica di Sapir & Nyström (2015), né quella di Åkerberg (2012) testimoniano una flessione
al di fuori della terza persona singolare per questa forma, se ne deve dedurre che la flessione di
wäre fosse già in recessione al tempo di Levander.
131
Operando un confronto con le lingue insulari, l’islandese presenta una flessione completa
del congiuntivo, sia al presente che al preterito, laddove il faeroerico conserva alcune forme di
congiuntivo soltanto in poche espressioni fossilizzate (Ringmar, 2005: 12; Levander 1909:88;
Thráinsson, 2004: 68-69).
118
verbo principale per il piuccheperfetto – ad es. eddum að bellt råkas “ci
saremmo potuti incontrare” – (Sapir & Nyström, 2015: 65).
Così come la maggior parte delle lingue germaniche, l’evdalico mostra una
distinzione tra verbi deboli e verbi forti. I verbi forti, caratterizzati dall’assenza
di suffisso in dentale nel preterito e nel perfetto, sono ulteriormente divisibili in
sette gruppi apofonici. I verbi deboli, che presentano regolarmente suffisso in
dentale al preterito ed al perfetto, sono invece stati classificati da Sapir e
Nystrom (2015) in cinque classi (Sapir, 2006: 26).
132
Le forme con desinenza –ir sono attestate da Levander (1909b: 86) nei villaggi di Åsen ed
Evertsberg (Garbacz, 2010: 45). La distribuzione geografica corrisponde dunque a quella dei
pronomi wįr e įr (Levander, 1909b: 63).
119
3.7.2. Verbi forti
Tabella 55: Coniugazione indicativa di fårå “viaggiare” in evdalico classico
133
Notare l’armonia vocalica
134
Levander (1909b:87) attesta rispettivamente la forma fuorå per il villaggio di Åsen, fuora per
tutti i villaggi occidentali e fuorä per i villaggi di Gåsvarv, Blyberg and Garberg (Garbacz, 2010:
45).
135
Notare l’armonia vocalica
136
Gli altri informatori consultati da Garbacz (2010: 57) sono originari di Åsen, Loka e Klitten.
120
Nell’ambito dei verbi forti, operando un confronto tra evdalico e scandinavo
insulare, si può notare che l’islandese ha conservato marche d’accordo distinte
per quasi tutte le persone, laddove – sia al presente che al preterito – il faeroerico
presenta una sola forma per il plurale137, estesasi dalla terza persona etimologica,
analogamente a quanto accade nello svedese scritto fino al 1950 ca. (Ringmar,
2005: 12). Inoltre, al presente, sia il faeroerico che l’islandese mostrano una
distinzione tra la prima persona e le restanti persone del singolare. Si prenda in
considerazione la seguente tabella:
Presente
Evdalico Faeroerico Islandese
Singolare I bait bíti* bít
II bait* bítur (*) bítur (*)
III bait* bítur (*) bítur (*)
Plurale I baitum bíta* bítum
II baitið bíta* bítið
III baita bíta bíta
Preterito
Singolare I biet beit beit
II biet* beitst (*) beist
III biet beit beit
Plurale I bietum bitu* bitum
II bietið (*) bitu* bituð
III bietu bitu bitu
137
NB: nella coniugazione dei verbi deboli il faeroerico presenta distinzione di numero, ma non
di persona (Ringmar, 2005: 12).
138
Gli asterischi indicano deviazioni dall’antico scandinavo, gli asterischi tra parentesi indicano
deviazioni di minor rilevanza (Ringmar, 200: 12).
121
proprio l’assenza di apocope in antico svedese, che mostra dunque una
distinzione ortografica tra le forme del singolare e la terza forma plurale nel
preterito dei verbi forti. Inoltre, la desinenza della seconda persona plurale in
antico svedese è -in, laddove l’evdalico presenta -ið/ -ir. Analizzando il testo
della Comoedia di Prytz (1622), Björklund (1956: 98-107) ha supposto che
l’antica desinenza -in fosse presente anche in evdalico, e sarebbe andata perduta
nel corso del XVII secolo (Garbacz & Johannessen, 2015: 27).
Etimologicamente, la desinenza -ið/ -ir consisterebbe nella rianalisi del pronome
di seconda persona plurale139. Rosenkvist (2008: 17) ritiene che il fenomeno di
rianalisi sia alla base delle costruzioni morfosintattiche con soggetto nullo per la
seconda persona plurale140. Di diversa opinione Ringmar, che – come si evince
dalla tabella 56 – considera -ið il regolare continuatore del suffisso antico-
scandinavo: cfr. ad es. ev. baitið vs. isl. bítið < ascand. bitið141.
139
Per ulteriori informazioni sulla rianalisi di pronomi personali come desinenze verbali, vd. Fuß
(2005).
140
Vd. 4.7.
141
Seguendo l’ipotesi di Ringmar, per il preterito bietið sarebbe dunque necessario presuppore
un’analogia basata sulla forma del presente.
142
Per un confronto più approfondito dei sistemi flessivi vd. Sigurðsson (1993: 275)
122
medievali, ma risulta scomparso in faeroerico143 e nello scandinavo continentale
moderno (Garbacz & Johannessen, 2015: 26).
143
Thráinsson (2004: 426) attesta ancora il suffisso -um per la prima persona plurale nella
varietà di faeroerico delle Norðoyar durante la metà del XIX secolo.
123
3.7.3. Verbi ausiliari: wårå e åvå
Tabella 57: Coniugazione di wårå “essere”
Indicativo
Tempo Presente Preterito
Persona Singolare Plurale Singolare Plurale
I ir irum war warum
II ir irið war warið
III ir irå war waru
Imperativo Singolare Plurale
II wari warið
Participio presente wärend
Supino werið
Congiuntivo Preterito
III singolare wäre
Indicativo
Tempo Presente Preterito
Persona Singolare Plurale Singolare Plurale
I ar amm adde addum
II ar avið adde addið
III ar åvå adde adde
Imperativo Singolare Plurale
II avi avið
Participio presente avend
Supino apt
Congiuntivo Preterito
Persona Singolare Plurale
I ed eddum
II ed eddið
III ed edde
124
1) L’accusativo può estendersi ai contesti in cui l’oggetti diretto è espresso con
il dativo, specialmente nei casi in cui quest’ultimo dovesse risultare
idiosincratico
2) Qualora sia possibile individuare delle regolarità semantiche che supportino
la presenza del dativo, questo potrebbe estendersi ai contesti in cui l’oggetto
diretto – con un simile ruolo semantico – è espresso con l’accusativo
Sia l’evdalico che il faeroerico, come già accennato, sono privi di verbi con
reggenza al genitivo, variamente sostituito dal dativo o dall’accusativo
(Ringmar, 2005: 13). Questa caratteristica fornisce un’ulteriore prova della
riduzione d’impiego del genitivo in evdalico come caso strictu sensu.
L’evdalico, ancor più dell’islandese (Barðdal 2001; Maling 2002), mostra una
tendenza all’estensione del dativo ai danni dell’accusativo nell’espressione
dell’oggetto diretto, come illustrato nel punto 2. Per quest’aspetto, l’evdalico
costituisce un caso unico tra le varietà continentali144 (Levander 1928: 112). Il
faeroerico segue invece la tendenza inversa, mostrando l’estensione
dell’accusativo in verbi che reggevano storicamente il dativo.
144
Le restanti varietà dell’area relittuale II mostrano di aver conservato il dativo quando retto
da una preposizione, ma non quando retto da un verbo. (Reinhammar 1973:71).
145
Per la precisione Åkerberg (2012: 51) parla in questo caso di “oggetto di manipolazione”
(manipulationsobjekt). Ritengo che ci sia sufficiente contiguità semantica, così come descritta
da Thráinsson et al. (2004), per far rientrare il caso nell’ambito della funzione strumentale.
125
“vomitare”, raingen “piovere” (Ringmar, 2005: 14). Per queste categorie di
verbi, l’evdalico – concordando con l’islandese – appare più conservativo del
faeroerico, che mostra invece l’accusativo146.
146
Nel caso del complemento strumentale, è possibile trovare attestazioni in antico islandese in
cui esso appare espresso con l’accusativo. La presenza di queste attestazioni, tuttavia, può
essere attribuita all’influsso del latino sulla lingua scritta (Nygaard 1966:102).
147
Garbacz (2010) puntualizza che questa forma compare per la prima volta in Prytz (1622),
implicando che possa essere un’innovazione. Il carattere formulaico dell’espressione, tuttavia,
induce a pensare che si tratti di una forma fossilizzata, analogamente all’esempio addotto da
Reinhammar (1973).
126
4. SINTASSI
Nel corso di questo capitolo verranno analizzati gli aspetti salienti della sintassi
dell’evdalico, mettendo in risalto le caratteristiche condivise con le altre lingue
scandinave – continentali ed insulari – e quelle che invece sono risultato di
innovazioni indipendenti. Questo capitolo ed il precedente sono strettamente
correlati: molti degli aspetti più complessi della morfologia evdalica hanno –
talvolta necessariamente148 – dei riflessi sulla sua sintassi (Dahl, 2009: 57).
In generale, la struttura sintattica dell’evdalico tradizionale149 è piuttosto simile a
quella dello svedese moderno (Garbacz, 2010: 108, Garbacz & Johannessen, 2015:
16): entrambe le lingue presentano il verbo in seconda posizione (V2), le
apposizioni precedono generalmente i sintagmi nominali, i dimostrativi e gli
aggettivi precedono i sostantivi. (Dahl, 2009: 60). È tuttavia possibile individuare
alcune divergenze rilevanti. Laddove alcune di queste – come la posposizione dei
pronomi possessivi al sostantivo (Dahl, 2009: 59) – sono condivise dalle lingue
insulari – in particolare l’islandese –, altre sono innovazioni proprie dell’evdalico
(Garbacz & Johannessen, 2015: 16). Risulta particolarmente rilevante che Holmberg
& Platzack (1995: 8), operando una divisione delle lingue scandinave in base a
criteri morfosintattici, raggruppino l’evdalico insieme alle lingue insulari e alle
lingue scandinave medievali, in contrapposizione alle lingue continentali.
Dunque, le caratteristiche sintattiche dell’evdalico sono da ripartire in quattro
gruppi fondamentali: 1) caratteristiche comuni a tutte le lingue scandinave; 2)
caratteristiche condivise con le lingue continentali; 3) caratteristiche in comune con
le lingue insulari; 4) caratteristiche specifiche dell’evdalico (Garbacz &
Johannessen, 2015: 17). Incrociando la prospettiva sincronica con la prospettiva
diacronica, inoltre, verranno messe in evidenza le proprietà sintattiche presenti in
evdalico classico non più presenti nella varietà tradizionale (o in corso di
regressione) e le innovazioni emerse nell’evdalico tradizionale, talvolta ancora
produttive nella varietà moderna (Garbacz, 2008: 8).
148
“there could hardly be a distinction between nominative, dative, and accusative case without
there being syntactic rules that determine their distribution, and the person and number
distinctions in verbs entail rules that regulate the agreement between subjects and verbs” (Dahl,
2009: 57).
149
La letteratura di riferimento (Garbacz, 2006, 2008, 2009, 2010; Dahl, 2009; Bentzen et al.,
2015) è principalmente incentrata sullo studio della varietà tradizionale. Di conseguenza,
quando non diversamente specificato, nel corso di questo capitolo si farà riferimento
all’evdalico tradizionale, operando gli opportuni confronti con la varietà classica (Levander,
1909b) e moderna (in base alle investigazioni effettuate sull’ÖSC).
127
4.1. Caratteristiche sintattiche condivise da tutte le lingue scandinave
150
L’inversione verbo-soggetto nelle frasi topicalizzate è la costruzione più comune nelle lingue
germaniche, vd. Harbert (2006, 398); König & Van der Auwera (2013)
128
4.2. Caratteristiche comuni allo scandinavo continentale
151
Per un’analisi approfondita della Rich Agreement Hypothesis (RAH) vd. Bobalijk (2000).
152
Questo tipo di costruzione è accettata anche da alcuni parlanti evdalici, ad es. i grasį kann
wårå uormer “nell’erba possono esserci i serpenti” (Garbacz, 2010: 68). In questo caso non
sarebbe da escludere la possibilità dell’interferenza svedese.
153
Per uno studio delle costruzioni impersonali e dell’omissione del pronome in islandese vd.
Sigurðsson (1989, 1993).
154
Su 12 informatori intervistati da Garbacz (2010: 69), 3 hanno indicato la forma con sintagma
preposizionale come non grammaticale ed altri 3 come dubbia.
129
ǫ-dar buotşę vs. kullǫ mǫi gav ǫ-dar buotşę að mig “mia figlia mi ha dato quel
libro”. Questo tipo di costruzione è perfettamente accettato nelle lingue
continentali, laddove in islandese è ristretto ai verbi trivalenti che esprimono il
movimento dell’oggetto diretto (Thráinsson 2007: 174). Per i verbi trivalenti
l’islandese permette invece l’inversione dell’oggetto indiretto con l’oggetto
diretto. In questa costruzione, dunque, l’accusativo precede il dativo
(Thráinsson 2007: 131). Questo tipo di costruzione non è presente né in
evdalico né nelle lingue continentali (Garbacz, 2010: 72), cfr. ad es. ev. ig gav
kullum dukkur vs. isl. ég gaf dúkkuna stúlkunni “ho dato la bambola alla
bambina”.
Un ulteriore fenomeno morfosintattico previsto dall’ipotesi di Holmberg &
Platzack (1995) è la presenza di proposizioni con soggetto espresso in un caso
diverso dal nominativo. Come già accennato in 3.3.4, costruzioni di questo tipo
sono regolarmente attestate in islandese, ma risultano assenti in evdalico
tradizionale155 (Garbacz, 2010, 70), cfr. ad es. ev. i går drömd ig ien underlin
dröm vs. isl í gær dreymdi mig undarlegan draum “ieri ho fatto un sogno
strano”. L’islandese presenta inoltre una costruzione con espletivo transitivo, in
cui un soggetto espletivo appare in prima posizione in una frase con soggetto
esplicito e verbo transitivo, come ad es. isl. það höfðu aldrei margir lokið
verkefninu “in molti non hanno mai portato a termine il compito” (Thráinsson
2007: 46). Costruzioni di questo tipo sono completamente estranee sia
all’evdalico che allo svedese.
Inoltre, l’evdalico, così come le lingue continentali, presenta
obbligatoriamente un clitico di ripresa nelle proposizioni interrogative indirette
introdotte da un pronome interrogativo (Garbacz, 2010: 71). Nelle lingue
insulari, questo tipo di costruzione non presenta nessun elemento di ripresa, cfr.
ad es. ev. ǫ spuord etter wen so låg i dragtşistun vs. sv. hon frågade vad som
låg i lådan vs. isl. hún spurði hvað væri í skúffunni “lei ha chiesto cosa ci fosse
nel cassetto”.
In islandese, inoltre, si può assistere alla mobilità del verbo nelle
proposizioni infinitive, ovvero il verbo può sia precedere che seguire un
avverbio valutativo, incluse le negazioni (Thráinsson 2007: 421). In evdalico il
verbo è sempre preceduto dall’avverbio (Garbacz 2006: 180), cfr. ad es. ev. an
155
Alcune attestazioni residuali di questa costruzione in evdalico classico sono indicate in 3.3.4.
130
luveð aut tä aldri kum att vs. isl. hann lofaði að koma aldrei aftur “ha promesso
di non tornare mai più”. Allo stesso modo, in evdalico non è possibile preporre
l’oggetto all’avverbio valutativo all’interno di un sintagma nominale. Anche
nell’ambito delle lingue insulari, questa costruzione è esclusiva dell’islandese
(Garbacz, 2010: 73-74), cfr. ev. ig tşyöpt int buotşę vs. isl. ég keypti bókina ekki
“non ho comprato il libro”.
Un’ultima costruzione sintattica attestata in islandese ma assente in
evdalico tradizionale è il cosiddetto riflessivo a lunga distanza: l’oggetto di una
proposizione oggettiva può essere espresso con il pronome riflessivo se esso
corrisponde al soggetto della proposizione principale (Thráinsson 2017), cfr. ad
es. ev. Olga ar sagt at Andes elsker ån “Olga ha detto che Anders la ama” vs.
isl. Jón segir að þú hatir sig “Jón dice che lo odi”. Levander (1909b: 109)
riporta tuttavia alcune attestazioni di riflessivo a lunga distanza in evdalico
classico, come ad es. an fikk dą̊̊ fel bital Lasuls-Lass so stşuo’sseð sig
“chiaramente, ha poi dovuto pagare Lasuls-Lass che gli ha dato un passaggio”
(Garbacz & Rosenkvist, 2006: 3).
Un discorso a parte va fatto per l’inversione stilistica156 (stylistic fronting,
sv. kilkonstruktionen), fenomeno per cui, in una frase subordinata priva di
soggetto esplicito, la testa di un sintagma – spesso il verbo non finito di un
sintagma verbale – viene posta tra la congiunzione subordinante ed il verbo
finito157 (Garbacz, 2009: 168-169) ad es. itşä ulum wįr ender dyö so gart ir
“non cambieremo ciò che è stato fatto” (Levander, 1909b: 122). Il fenomeno,
piuttosto arcaico, è ampiamente attestato nelle lingue medievali e nelle lingue
insulari158 (Thráinsson 2007: 352). Come si evince dall’esempio, la costruzione
è possibile in evdalico classico ma non più produttiva nella varietà tradizionale.
156
Per un’analisi più approfondita vd. 4.9.
157
Ad un primo approccio, l’inversione stilistica può apparire come un fenomeno di
topicalizzazione. La differenza consiste nel fatto che laddove la topicalizzazione interessa un
intero sintagma, l’inversione stilistica interessa un solo costituente di un sintagma ( Maling,
1980, Thráinsson 2007: 365,368).
158
La costruzione è attestata anche in alcune lingue romanze, come l’italiano (Cardinaletti,
2003), l’italiano antico (Franco, 2009) ed il francese antico (Falk, 1993: 179).
131
4.3. Caratteristiche comuni allo scandinavo insulare
159
Per uno studio più approfondito delle costruzioni passive preposizionali in ambito
scandinavo vd. Klingvall (2012) e Engdahl & Laanemets (2015).
160
Costruzioni come isl. þennan mann var talað um “si parlava di quest’uomo” possono
apparire come esempi di passivo preposizionale, il participio talað tuttavia non concorda con
l’argomento, espresso al caso accusativo. Una costruzione pseudopassiva vera e propria
presenterebbe il soggetto al nominativo in accordo con il verbo, ad es. ∗þessi maður var talaður
um (Engdahl & Laanemets 2015, 290). L’assenza di costruzioni pseudopassive in islandese ed
evdalico è conforme alle ipotesi di Holmberg & Platzack (1995).
161
Per un’analisi delle costruzioni con participio presente in faeroerico vd. Thráinsson et al.
(2004: 317)
162
Faarlund et al. (1997: 119) sostengono che questo tipo di costruzione sia attestata in
norvegese, ad es. nella frase han var truandes til litt av kvart “si credeva fosse capace un po’ di
tutto”, riportata anche da Garbacz & Johannessen (2015: 19). Tuttavia, la costruzione
norvegese presenta delle divergenze rispetto a quanto osservato per l’evdalico e l’islandese: il
valore semantico è fortemente diverso ed il verbo è coniugato al passivo. Il participio presente
in questo caso sembra avere valore di gerundio piuttosto che di gerundivo. L’uso del participio
presente con funzione di gerundio è attestato anche nelle altre lingue continentali, vd. sv.
flickan kom dansande runt hörnet “la ragazza ha girato l’angolo danzando”. In svedese, la forma
132
Un ultimo aspetto che richiede un’analisi più approfondita163 è il movimento
verbale (da V a I164) nelle subordinate, attestato anche nelle lingue insulari e
medievali. In evdalico, il verbo finito può precedere gli avverbi valutativi
all’interno di proposizioni subordinate rette da un verbo non-bridge165, ovvero
un verbo che regge necessariamente un sintagma di complementatore (CP), ad
es. ev. eð ir biln so an will it åvå “questa è la macchina che lui non vuole avere”
(Garbacz, 2010: 76). Questa costruzione non è attestata nelle lingue scandinave
continentali, cfr. ad es. isl. ég spurði hvort Jón hefði ekki séð myndina vs sv. Jag
frågade om Jon inte hade sett filmen “ho chiesto se Jon non avesse visto il film”
(Angantýsson 2011: 62). Il movimento verbale, obbligatorio in evdalico
classico, è opzionale in evdalico tradizionale.
con il suffisso -s è quasi del tutto limitata al parlato e non ha valore passivo (Teleman et al.,
1999, vol.2: 614-615).
163
Vd. 4.6
164
Ovvero dal sintagma verbale al sintagma flessivo. Per una spiegazione dettagliata del
movimento verbale V to I vd. Koeneman (2000) 58-103.
165
Per ulteriori informazioni vd. Franks (2005).
133
L’evdalico tradizionale è l’unica lingua scandinava a mostrare casi di
proposizioni con doppio soggetto166, ad es. du ir sakt du uvendes duktin dalska
“parli certamente molto bene evdalico” (Garbacz, 2010: 81). Il primo soggetto
appare sempre in posizione iniziale, mentre il secondo è sempre preceduto da un
avverbio che esprime l’attitudine del parlante, come ad es. sakta
“effettivamente” fel “certamente/probabilmente” o kanenda167 “veramente”
(Rosenkvist, 2015: 114). Un ulteriore aspetto unico168 dell’evdalico è
l’omissione del soggetto referenziale per la prima e la seconda persona plurale
(vd. anche 3.3.2 e 4.7), ad es. an såg it mes (wįð) kamum in “non ha visto
quando siamo arrivati” e wiso kåitið (ið)? “perché correte?” (Garbacz &
Johannessen, 2015: 20).
166
Alcuni esempi riportati da Levander (1909b: 109) attestano che l’evdalico classico poteva
presentare proposizioni in cui il soggetto compariva fino a tre volte (vd. 4.6)
167
Kanenda deriva probabilmente dalla fusione dei due verbi kan “potere” ed enda
“succedere”, ragion per cui può apparire in posizioni sintattiche atipiche, così come kantşi cfr.
vs. sv. kanske “forse” (Rosenkvist, 2010).
168
È possible trovare un numero limitato di attestazioni di omissione del soggetto referenziale
in antico svedese (Håkansson 2008) e nelle altre lingue scandinave medievali (Rosenkvist 2009),
vd 4.4.
169
Si tratta, nello specifico di alcuni dialetti danesi (Jespersen 1917: 72), alcuni dialetti
fennosvedesi (Wide & Lyngfelt 2009) e del norvegese dell’etnia Kven (Sollid 2005).
134
in evdalico classico e tradizionale sono attestate anche in evdalico moderno. Tra
queste sono presenti le innovazioni tipiche dell’evdalico trattate nella sezione
precedente, ed è questo il caso dell’omissione del soggetto referenziale, del
raddoppiamento del soggetto e dell’accordo negativo. Alcuni fenomeni, di
ordine sia morfologico che sintattico, come il sistema a tre generi e la
posposizione dell’aggettivo possessivo170, possono essere fatti risalire ad uno
stadio particolarmente antico della lingua, ovvero alla varietà dalecarlica
dell’antico scandinavo (Garbacz & Johannessen, 2015: 40).
Come accennato in 4.2, l’inversione stilistica è attestata da Levander
(1909b) ma risulta già scomparsa in evdalico tradizionale. Il fenomeno è tuttora
assente in evdalico moderno. Allo stesso modo, il corpus non presenta
ricorrenze di riflessivo a distanza, attestato in evdalico classico ma non in
evdalico tradizionale. Risultano inoltre assenti alcuni fenomeni sintattici attestati
in evdalico tradizionale, come nel caso del movimento verbale da V a I e
dell’uso aggettivale del participio presente.
Date le dimensioni limitate del corpus, la mancata attestazione di questi
ultimi fenomeni al suo interno non implica necessariamente che questi non siano
più possibili in evdalico moderno. L’assenza di ricorrenze dei fenomeni già non
attestati in evdalico tradizionale, al contrario, potrebbe dimostrarne la definitiva
scomparsa dal sistema linguistico (Garbacz & Johannessen, 2015: 40).
L’investigazione offre un’interessante prospettiva sullo stato dell’evdalico
moderno, sia dal punto di vista specificamente diacronico, sia nell’ambito dei
suoi contatti con lo svedese. Quest’ultimo, come osservato da Sapir (2006: 3),
ha un considerevole influsso sull’evdalico, che mostra una tendenza progressiva
ad uniformarsi alla lingua standard. Dal punto di vista sintattico, questa
tendenza si concretizza prevalentemente nella scomparsa di quei fenomeni
ritenuti più arcaici e, forse, di diretta eredità antico scandinava. Sono invece le
innovazioni specifiche dell’evdalico a mostrare una maggiore resistenza
all’influsso svedese (Garbacz & Johannessen, 2015: 42).
Lo studio degli aspetti sintattici dell’evdalico – spesso divergenti rispetto
all’intero panorama scandinavo – può portare ad interessanti scoperte, utili al
170
In evdalico classico e tradizionale, l’ordine non marcato degli elementi è possessore-
sostantivo, l’ordine invertito indica un’enfasi sul possessore. L’evdalico moderno, al contrario,
mostra prevalentemente l’ordine inverso, probabilmente per interferenza dello svedese
(Garbacz & Johannessen, 2015: 40).
135
raggiungimento di una comprensione più approfondita delle lingue scandinave
in particolare e germaniche in generale. Questo studio inoltre, può portare al
perfezionamento ed alla riconsiderazione di teorie ed ipotesi di ordine tipologico
e generativista, come nel caso delle ipotesi di Holmberg & Platzack (1995),
spesso citate nel corso di questo capitolo. È in questa prospettiva che le
prossime sezioni tratteranno gli aspetti più particolari e controversi della sintassi
dell’evdalico.
171
Agli informatori è stato sottoposto un questionario nel quale venivano richiesti dei giudizi di
grammaticalità per delle frasi che presentavano reduplicazione del soggetto in diversi contesti
sintattici.
136
soggetto non deve necessariamente essere costituito da un pronome. Il soggetto
iniziale può essere costituito da un pronome soggetto espletivo (eð far sakt eð
raingen nų “adesso inizierà senz’altro a piovere”), un nome proprio (Bo ir sakt
an unggrun nų “Bo è affamato adesso”), un sintagma nominale (dier so åvå
klaið ǫ iel da’n irå sakt dier liuotunggruger nų “quelli che hanno lavorato tutto
il giorno sono sicuramente affamati adesso”), un soggetto referenziale nullo
(fǫm sakt wįð luv jätå nų, fer winnum int baið etter onum “possiamo anche
mangiare adesso perché non abbiamo tempo per aspettarlo”) o persino una
proposizione soggettiva (åk bil’n ir fel eð ruolit “guidare la macchina è
divertente”) (Rosenkvist, 2015: 111). Gli esempi mostrano che il primo
costituente rappresenta il soggetto tematico, la seconda posizione può essere
occupata unicamente da un pronome e, di conseguenza, l’ordine dei soggetti non
può essere invertito (Rosenkvist: 2015: 112). Inoltre, non sono state individuate
variazioni a livello generazionale riguardo alla struttura sintattica del
raddoppiamento: gli esempi riportati sono ugualmente accettati sia dai parlanti
più giovani che dai parlanti più anziani172.
172
È possibile individuare una variazione a livello prosodico nel parlato di alcuni degli
informatori più giovani, che tendono a porre l’accento sull’elemento pronominale (Rosenkvist:
2015: 111).
137
unicamente nelle subordinate che presentano verbo in seconda posizione: è il
caso delle proposizioni soggettive ed oggettive, rette da un bridge verb (ovvero
un verbo che non regge un sintagma complementatore (CP), vd 4.3), come ad
es. ig wet an ir sakt an duktin dalska “io so che parla evdalico molto bene”
(Rosenkvist, 2015: 113).
Engdahl (2003, 2008), come già accennato, ha condotto uno studio sui casi
di raddoppiamento del soggetto in svedese, i cui requisiti sono 1) un soggetto
dev’esser presente in posizione iniziale di proposizione e 2) il pronome di
ripresa deve essere necessariamente preceduto da un avverbio focalizzante (ad
es. också, även “anche” o bara “soltanto”), come ad es. Jari har också han
slutat röka “anche Jari ha smesso di fumare”. Di conseguenza, Engdahl ritiene
che – così come in evdalico – il raddoppiamento non sia possibile nelle
interrogative. Tuttavia, come dimostrato da Holmberg & Nikanne (2008: 346), il
soggetto non deve necessariamente trovarsi in posizione iniziale e, inoltre, il
raddoppiamento risulta possibile anche nelle frasi interrogative, ad es. varför
kunde pojkarna inte heller dom öppna dörren? “perché neanche i bambini
riuscivano ad aprire la porta?”. Per lo svedese, inoltre, Engdahl (2003: 100)
riporta attestazioni di raddoppiamento dell’oggetto – completamente assente in
evdalico –, ad es. torget fungerar som mötesplats och parken använder man
också den som ett ställe att träffas på “la piazza funge come luogo d’incontro ed
anche il parco può essere usato come un posto dove incontrarsi”.
138
evdalico non è possibile costruire frasi di questo tipo con gli avverbi necessari al
raddoppiamento del soggetto (Rosenkvist, 2015: 121).
173
Anche detto verum focus, vd. (Höhle 1988; Creswell 2000; Wilder 2013).
174
L’accento della frase è indicato col carattere maiuscolo.
175
La funzione di focus polare corrisponde a quella svolta da espressioni del tipo sì che in
italiano (Garassino & Jacob, 2018) e dal do ausiliario nelle proposizioni affermative in inglese
(Wilder 2013). Vd. Garassino & Jacob (2018) e D’Alessandro et al. (2010) per altre strategie di
focus polare nelle lingue romanze.
176
Per un confronto più approfondito delle costruzioni con soggetto doppio tra evdalico,
nederlandese e fiammingo vd Rosenkvist (2015: 111-126).
139
L’assenza di soggetti referenziali nulli in tutte le lingue germaniche standard
moderne ha portato alcuni studiosi, tra cui Jaeggli & Safir (1989) e Rohrbacher
(1999), a sostenere che vi sia un’incompatibilità universale tra la struttura di tipo
V2 e l’omissione del soggetto referenziale. Tuttavia, l’ipotesi è confutata dai dati
forniti da diversi sistemi linguistici: l’omissione del soggetto non è possibile
solamente in evdalico, ma anche in un numero non indifferente di altre varietà
non standard (tutte di tipo V2) all’interno del mondo germanico (Rosenkvist,
2009: 152). È questo il caso del bavarese (Bayer, 1984; Weiß, 1998; Fuß, 2005),
dello svevo (Haag-Merz, 1996), del tedesco di Zurigo (Cooper & Engdahl 1989;
Cooper, 1995), dello yiddish (Prince, 1998; Jacobs, 2005) e del frisone
(Hoekstra & Marácz, 1989; de Haan, 1994; Hoekstra, 1997). È inoltre possibile
individuare diverse ricorrenze di omissione del soggetto referenziale nelle lingue
germaniche antiche e medievali, tra cui spiccano – ai fini di questo studio –
l’antico islandese (Sigurðsson, 1993, 2011) e l’antico svedese (Håkansson,
2008), nonché l’antico inglese (Van Gelderen, 2000) e l’antico alto tedesco
(Axel, 2007).
Da un punto vista tipologico, Rizzi (1982, 1986) opera una distinzione tra
lingue che prevedono il soggetto nullo (Null Subject Languages, in breve NSLs)
o meno. Nel caso delle prime, la funzione di soggetto viene ricoperta da un
pronome nullo (pro), che deve essere licenziato e identificato. La licenza
consiste nelle configurazioni sintattiche che permettono l’omissione del soggetto
e l’identificazione consiste nella ricreazione del contenuto semantico del
soggetto omesso. Rizzi (1982, 1986) ritiene, dunque, che l’identificazione sia
dipendente dal sistema morfologico della lingua: il soggetto non è identificabile
a meno che le specifiche di persona e numero non siano espresse dal verbo finito
o da un altro componente della proposizione (Vikner, 1997; Rohrbacher, 1999).
Nelle lingue ProDrop, dunque, l’identificazione è legata alla flessione del verbo
(il sintagma flessivo, detto I): l’affisso del verbo svolge in questo caso la
funzione di soggetto (Borer, 1986). Una lingua con un sistema di accordo
verbale “debole” non dovrebbe, in teoria, prevedere l’omissione del soggetto
140
referenziale; essa può tuttavia prevedere l’omissione del soggetto non
referenziale177.
Roberts & Holmberg (2010: 8), basandosi sugli studi di Rizzi, sostengono
l’esistenza di un’implicazione relazionale: ogni lingua che permette l’omissione
del soggetto referenziale permette necessariamente anche l’omissione del
soggetto non referenziale (Rosenkvist, 2010: 232). Tuttavia, questo non è il caso
dell’evdalico che, come accennato in 4.2, non prevede l’omissione del soggetto
non referenziale, pur ammettendo l’omissione del soggetto referenziale. Le
ipotesi qui citate, dunque, sono da tenere in considerazione con alcune riserve.
177
Questa ipotesi è messa in discussione da Huang (1984), che evidenzia come anche il
mandarino – una lingua con accordo verbale “debole” – preveda l’omissione del soggetto
referenziale.
178
Nei testi più antichi l’omissione di ið è più rara, ma ciò è probabilmente da attribuire alla
minor frequenza del pronome nei testi in generale. Ricorrenze di ið implicito sono presenti in
Näsman (1733: 66).
141
conseguenza, il fatto che l’omissione del pronome sia possibile unicamente per
queste persone porterebbe ad includere l’evdalico tra le lingue NSL parziali
precedentemente descritte.
1) Kanstşi eddum bellt råkas i morgų ate “magari possiamo rivederci domani”
2) […] so wilum dşärå i morgų “[…] che vogliamo fare domani”
179
“De båda pronomina wįð ’vi’ och ið ’ni’ utelämnas vid rak ordföljd […] I omvänd ordföljd sätts
wįð alltid ut, däremot inte ið.” (Sapir & Nyström, 2015: 25).
142
– a differenza di ið – non è grammaticale nelle proposizioni che presentano
inversione e, dunque, non ammettono la sequenza soggetto-verbo finito. Lo
stesso vale per le proposizioni subordinate che presentano un elemento
topicalizzato (ad es. un avverbio) in posizione iniziale, cfr. ad es. Bo saggd
at irum tungner dşärå ittað i morgų vs. Bo saggd at i morgų irum wįð
tungner dşärå ittað “Bo ha detto che domani dobbiamo per forza fare
questo” (Rosenkvist, 2010: 243-244).
180
Kanske deriva dall’univerbazione (Hopper & Traugott 2003: 134) di [det] kan ske “può
essere” (Rosenkvist, 2010: 262).
143
In entrambi i casi, il pronome precede direttamente un elemento verbale,
sia nel caso si ritenga che wįð occupi la prima posizione, sia nel caso si
ritenga che kanstşi intervenga sulla normale struttura della frase, come
accade in svedese. Nell’analisi B, di fatto, le condizioni strutturali per
l’omissione di wįð sono analoghe a quanto descritto per le proposizioni
subordinate (Rosenkvist, 2010: 248). L’omissione di wįð è inoltre possibile
nelle frasi introdotte da welest “grazie a Dio”, come ad es. welest wartum
kwitter ålåellum “grazie a Dio ci siamo sbarazzati delle lucertole selvatiche”
(Steensland, 2006: 61). A fronte dell’analisi condotta, le condizioni per
l’omissione di wįð accomunano l’evdalico alle lingue NSL asimmetriche.
181
È possibile ricostruire una trafila del tipo baitin ið> baiti ið> bait ið> baitið “mordete”.
144
clitico soggetto come marca d’accordo, dunque, porterebbe i parlanti a
dedurre la presenza di un pronome referenziale nella posizione del soggetto
(Fuß 2005:168).
182
L’ipotesi di Koeneman (2006) risulta piuttosto solida poiché non implica che ci sia una
relazione tra un sistema di accordo verbale “forte” e l’omissione del soggetto referenziale
(Rosenkvist, 2010: 253).
183
Da un punto di vista pragmatico, è possibile individuare un’adiacenza tra gli atti esortativi e
gli atti assertivi espressi alla prima persona, siccome una richiesta autoreferenziale viene
solitamente soddisfatta (Rosenkvist, 2010: 255).
145
necessario definire le caratteristiche strutturali del fenomeno nelle lingue
germaniche antiche e medievali, al fine di determinare se vi sia una
relazione di ordine diacronico con il fenomeno attestato in evdalico e nelle
altre varietà moderne.
146
senza che si verificassero sostanziali mutamenti nel sistema flessivo verbale
(Rosenkvist, 2009: 158). Questo aspetto appare in netto contrasto con le
valutazioni formulate da Rizzi (1982, 1986), Vikner (1997) e Rohrbacher
(1999).
Germanico Antico
Antico alto tedesco - + + - + (?)
Antico inglese - ? + - + (?)
Antico islandese - ? + - +
Antico svedese - + + - +
Germanico Moderno
Evdalico + - - + -
Bavarese + - - + -
Basso Bavarese + - - + -
Tedesco Z. + - - + -
Svevo + - - + -
Frisone + - - + -
Yiddish + (?) - (?) + (?) - (?) - (?)
184
Persona e numero del soggetto sono ricostruibili dall’accordo verbale.
185
Il soggetto referenziale nullo è sensibile al tipo di proposizione (è più frequente o possibile
solo nella proposizione principale).
186
È possibile l’omissione del soggetto referenziale di terza persona
187
Un soggetto esplicito (che potrebbe essere implicito) ha un valore enfatico o contrastivo.
188
Il soggetto implicito è meno frequente del soggetto esplicito.
147
Come si evince dalla tabella, le caratteristiche tipologiche del
soggetto referenziale nullo nei due gruppi mostrano considerevoli
disparità e – in assenza di un’ipotesi che possa tener conto di questo
mutamento – l’esistenza di una relazione diacronica tra i fenomeni
risulta poco plausibile. È ben più probabile che nelle lingue germaniche
moderne l’omissione del soggetto referenziale costituisca
un’innovazione sintattica idiolinguistica (Rosenkvist, 2010: 151).
“Ordet ‘inte’ kan aldrig såsom i rikspråket stå emellan subjektet ock
predikatet i bisatser; om ordet ej sättes i satsens början, måste det därför
stå efter värbet”189
189
“Nelle subordinate, la parola ‘non’ non può mai essere posta tra il soggetto ed il predicato
come accade nella lingua standard; se la parola non appare in posizione iniziale, essa deve stare
dopo il verbo” (trad. mia)
190
Per un’analisi più approfondita del fenomeno vd. Garbacz (2010: 113).
148
giovani, in generale, giudicano non grammaticale il movimento verbale in
presenza degli avverbi oltiett “sempre”, föstå’ss “chiaramente”, older “mai” e
sakta “probabilmente/certamente” (Garbacz, 2006:5).
Nel caso degli avverbi di negazione, gli informatori più giovani mostrano
due tendenze distinte: 1) l’avverbio di negazione viene topicalizzato, rendendo
così impossibile rilevare il movimento verbale; 2) l’avverbio di negazione è
posto tra il soggetto ed il verbo, secondo il regolare ordine scandinavo
continentale, cfr. ad es. eð ir biln so int an will åvå vs. eð ir biln so an int will
åvå “questa è la macchina che lui non vuole avere” (Garbacz, 2015: 99).
191
Vd. anche Rohrbacher (1999).
192
Vd. anche Bobaljik & Thráinsson (1998).
193
Thráinsson (1996: 262-269), ritiene che il fattore determinante per la presenza di
movimento verbale sia la distinzione tra il morfema che indica il tempo e quello che indica la
persona, questa condizione è detta Split IP (sintagma flessivo scisso).
149
(Angantýsson, 2015: 56). Nel caso dell’antico svedese e dell’antico danese,
inoltre, il fenomeno di movimento verbale sembra essersi sviluppato
posteriormente al sincretismo delle marche d’accordo verbali (Falk, 1993). Ciò
mette in discussione la possibilità che il sistema d’accordo verbale possa essere
alla base del fenomeno di movimento da V a I, come invece ipotizzato nella
versione forte della RAH.
150
4.9. Inversione stilistica
151
c) la topicalizzazione avviene primariamente nelle proposizioni principali,
là dove l’inversione avviene solitamente nelle proposizioni secondarie
prive di soggetto esplicito194;
d) l’inversione, a differenza della topicalizzazione, è vincolata alla
proposizione195, l’elemento soggetto ad inversione non può essere
spostato al di fuori della proposizione subordinata;
e) l’inversione può avvenire solo nelle proposizioni prive di soggetto.
194
Ci sono, ad ogni modo, alcuni esempi di inversione nelle proposizioni principali in islandese
(Thráinsson, 2007: 372) e di topicalizzazione nelle proposizioni subordinate in antico svedese
(Holmberg & Platzack, 1995: 86).
195
Per studi più approfonditi vd. Ingason & Wood (2017)
152
L’inversione stilistica, di conseguenza, non risulterebbe più possibile in
assenza di movimento verbale (Garbacz, 2009: 173-175). L’ipotesi è sostenuta
da Angantýsson (2015: 78), che ritiene che la presenza di movimento verbale sia
una condizione necessaria – sebbene non sufficiente – affinché possa avvenire
l’inversione stilistica. In prospettiva diacronica, Angantýsson (2015: 81-82)
ritiene che il sistema verbale dell’evdalico stia progressivamente perdendo le
caratteristiche del sintagma flessivo scisso (Split IP, vd. supra), fattore da lui
considerato determinante per il movimento verbale.
196
Un’ipotesi avanzata da Holmberg & Platzack (1995) è che l’accordo verbale possa svolgere la
funzione di posizione di un argomento (A-position), permettendo così alla posizione Spec, Ip di
essere occupata da un costituente sintattico diverso dal soggetto. Nel momento in cui l’accordo
verbale perde questa funzione, la posizione Spec, IP deve essere necessariamente occupata dal
soggetto (Garbacz, 2010: 164).
153
4.10. Accordo negativo
Il fenomeno è stato oggetto di studio per Baker (1970), che opera una
distinzione tra le lingue che presentano accordo negativo obbligatorio (strict
NC) e le lingue che presentano accordo negativo facoltativo (non-strict NC). Al
secondo gruppo appartiene l’evdalico, per cui il quantificatore negativo non
deve essere necessariamente accompagnato da un avverbio di negazione
(Garbacz, 2010: 87).
197
Alcune lingue germaniche che presentano accordo negativo sono l’afrikaans e lo yiddish,
nonché alcune varietà non standard del tedesco – come il bavarese (Weiß 1999) –, dell’inglese
e del nederlandese (Raidt 1991:222).
198
L’alternanza di int o it sembra dipendere dall’accento e dalla posizione nella frase. È tuttavia,
possibile rilevare delle variazioni a livello diatopico, nel villaggio di Åsen la forma int sembra
essere prevalente (Garbacz, 2009: 134).
154
Tuttavia, in presenza di movimento verbale, i verbi intransitivi richiedono la
presenza dell’elemento di polarità negativa noð (approssimativamente
traducibile come “affatto”), come ad es. ig will witå wiso Ierk kumb it noð
“voglio sapere perché Ierk non viene” (Garbacz, 2006: 12). Sono marginalmente
possibili costruzioni che presentano due quantificatori negativi ma nessun
avverbio, ad es. an fą̊r aldri inggų jåp “non ottiene mai alcun aiuto” (Garbacz,
2010: 88). Inoltre, nel caso in cui il quantificatore negativo si trovi in posizione
preverbale, la presenza di un avverbio di negazione risulta non grammaticale,
cfr. ad es. aldri kumb an et messer vs. *aldri kumb an it et messer “non viene
mai a messa” (Garbacz, 2010: 87).
199
Cfr. sv. icke, aisl. ekki, probabilmente da antscand. *etki, ottenuto dalla fusione di et “uno” e
del suffisso negativo -gi.
200
Itşä in posizione interna di frase è attestato in evdalico classico (Skansvakten, 1925: 27).
155
condotto sull’accordo negativo in bavarese, Weiß (1999, 838-841) afferma che
la diffusione del fenomeno in tedesco sia stata disincentivata e infine bloccata
dalle tendenze standardizzanti nella lingua. L’innovazione si sarebbe invece
mantenuta in bavarese, che non ha subito lo stesso processo di
standardizzazione e l’influenza di organi puristi (Weiß, 2002: 135). Una
situazione simile può essere ricostruita per il caso dell’evdalico: il fenomeno
dell’accordo negativo potrebbe aver iniziato ed emergere nelle lingue
scandinave continentali, salvo venir rifiutato nel processo di standardizzazione
delle diverse lingue, processo non che non ha interessato l’evdalico e le altre
varietà non-standard danesi e fennosvedesi che presentano accordo negativo
(Garbacz, 2010: 89).
156
5. ORTOGRAFIA
Il presente capitolo offre una breve analisi dei diversi sistemi di scrittura
dell’evdalico. In una prima fase verrà esaminato il sistema runico dalecarlico,
sviluppatosi dal runico medievale. Successivamente, verranno messe a confronto le
tre principali proposte per un’ortografia standardizzata in evdalico, rispettivamente
basate sui lavori della Råðdjärum (2005), di Lars Steensland (2010) e di Bengt
Åkerberg (2012).
157
La maggior parte delle rune presenti nell’alfabeto runico medievale
rimandano direttamente alle forme del futhark recente: la tendenza generale dei
mastri runici era dunque quella di utilizzare o modificare rune preesistenti,
piuttosto che introdurre nuovi caratteri (Enoksen, 1998:136). Le iscrizioni
runiche medievali mostrano un uso intercambiabile di diverse rune, in
particolare quelle corrispondenti a s, c e z (Jacobsen & Moltke, 1942: 7; Werner,
2004: 20). L’uso comune delle rune è progressivamente diminuito nel corso del
XIV secolo, arrivando ad una conclusione intorno al 1450.
Siccome l’interesse degli studiosi per le rune risale già al medioevo, risulta
difficile determinare se le iscrizioni runiche post-medievali costituiscano una
testimonianza di una tradizione ininterrotta da parte della popolazione locale o se
le attestazioni dell’epoca siano da attribuire all’influsso di una classe culturale
più prestigiosa (Gustavson, 2005: 1). La situazione è ulteriormente complicata
dalla quantità limitata di iscrizioni runiche di epoca vichinga e medievale in
Dalecarlia (Gustavson, 2005: 5). È opportuno puntualizzare che, a discapito del
nome, il runico dalecarlico non è diffuso in tutta la regione; la maggior parte
delle attestazioni è stata rinvenuta nell’area dell’Ovansiljian che comprende
Älvdalen, Mora, Våmhus, Venjan e Sollerön (Gustavson, 2005: 3).
Le più antiche attestazioni di runico dalecarlico (vd. fig.4) risalgono alla fine
del XVI secolo e sono costituite da un gruppo di circa 30 iscrizioni (Gustavson,
2005: 4). Tra queste spicca un’iscrizione su una lastra di rame, ad opera dello
studioso Johannes Bureus (1599, vd. fig.5), che riporta i nomi delle 24 rune in
ordine alfabetico (Stille, 2006: 453). Molte delle altre iscrizioni, invece, sono da
riferire alla popolazione rurale. Queste sono state rinvenute sulle pareti di stalle,
capanne e cabine, nonché su utensili di diverso tipo. Sono inoltre comuni le
iscrizioni su tronchi d’albero201, al fine di delimitare le zone di pascolo dei
diversi pastori e allevatori. Le iscrizioni di questo tipo vengono comunemente
denominate gätrunor (“rune del pastore”, lett. “rune capra”) (Gustavson, 2005:
3).
201
Sono state inoltre rinvenute circa 12 iscrizioni su pietra (Gustavson 1996, 2004).
158
Fig 4: I caratteri del runico dalecarlico in uso intorno alla fine del XVI secolo.
202
L’inserimento del carattere latino <K> può essere dovuto alla notevole somiglianza con la
runa corrispondente (Gustavson, 2005: 4).
159
attestazioni integralmente in evdalico risalgono al 1681, al 1705, al 1706 (vd.
fig. 6) ed al 1787 (Levander, 19010: 166-168; Björklund, 1957: 187).
203
_Trascrizione:
ien.buför.vid.ad.sprängbud.12.iunius.1706.vid.gik.trät.og.ien.kåv.va.ofärdug.gu.iåp.os.fram “Ci
siamo accampati qui durante trasferimento verso Sprängbodarna il 12 giugno 1706. Ci siamo
stancati ed un vitello si è azzoppato. Dio ci aiuti ad andare avanti” (Björklund, 1957: 187).
204
Durante una spedizione nel Dalarna, Linné annota sul suo diario la singolare usanza degli
abitanti di Mora di ricorrere all’alfabeto runico per iscrizioni di vario tipo (Jansson et al., 1997:
174). Citando testualmente: “[…] skrifwa än idag sina namn och bomärken med runska
bokstäfwer, som synes på wäggar, skötstenar, skålar etc. Det man på intet annat ställe i Sverje
wet continueras” (scrivono ancora oggi i propri nomi e marchi di proprietà con lettere runiche,
che si trovano su muri, pietre angolari, ciotole ecc. Che si sappia, ciò non si continua a fare da
nessun’altra parte in Svezia).
160
obbligatoria nell’area può aver contribuito al protrarsi della scarsa competenza
nell’uso dell’alfabeto latino ed alla sopravvivenza del sistema runico.
Fig.7: Evoluzione del runico dalecarlico dal XVI al XIX secolo (Noreen et al., 1906:
90).
161
5.2. Standardizzazione dell’ortografia
Come accennato in 1.5.2, correntemente non si dispone di un’ortografia
standardizzata per l’evdalico. Come sottolineato da Helgander (2013: 29), le
varietà linguistiche minoritarie sono spesso considerate espressioni di una
cultura subalterna e dotate di minor prestigio sociolinguistico. Questo
pregiudizio è spesso legato al fatto che molte di queste varietà sono
prevalentemente parlate. La presenza di una lingua scritta standardizzata
rappresenta dunque un fattore di vitale importanza per la conservazione ed il
riconoscimento dell’evdalico come forma linguistica dotata di una propria
autonomia e dignità culturale, riducendo così il divario sociolinguistico con lo
svedese standard e incentivando l’uso da parte dei parlanti. Nel corso degli
ultimi due decenni, sono stati proposti tre modelli ortografici principali (Zach,
2013: 84):
162
5.2.1. Il modello della Råðdjärum
205
Come si può notare, sia Steensland che Åkerberg hanno partecipato alla stesura del modello
ortografico della Råðjärum. I sistemi successivamente proposti dai due studiosi sono dunque
basati sugli stessi principi fondamentali, presentando soltanto alcune divergenze. Si noterà
anche la presenza nel consiglio di Östen Dahl, forse il più noto tipologo scandinavo, dunque uno
studioso di solida formazione linguistica generale.
163
individuare dei principî comuni nella scrittura, che dovrebbero
dunque avere un proprio riflesso nel sistema standardizzato;
5) Aspetti pratici: l’alfabeto deve risultare semplice nell’apprendimento
e nell’uso. Il sistema ortografico, inoltre, deve essere adeguato alla
scrittura digitale. I caratteri speciali, di conseguenza, dovrebbero
essere limitati allo stretto necessario e disponibili nel set di caratteri
generalmente diffuso;
6) Aspetti estetici: il sistema di scrittura dovrebbe avere un aspetto
generalmente gradevole. L’eccessiva frequenza di caratteri speciali e
diacritici rischia di conferire alla lingua un’aura di inintelligibilità ed
esoterismo.
Aa Ąą Bb Cc Dd Ðð Ee Ęę Ff Gg Hh Ii
Įį Jj Kk Ll Mm Nn Oo Pp Qq Rr Ss Tt
Uu Ųų Vv Ww Xx Yy Y̨ y̨ Zz Åå Ą̊ ą̊ Ää Öö
Come si può notare, l’alfabeto non prevede dei caratteri con ogonek
per <ä>, <o> (per cui si ricorre rispettivamente ad <ę> ed <ą̊>) ed
<ö>206. I dittonghi <ai>, <au>, <ie> e <yö> presentano la stessa grafia in
tutti i sistemi ortografici. Nel modello della Råðdjärum (2005: 5) il
dittongo /uo/ ed il trittongo /iuo/ sono resi rispettivamente con <uo> ed
<iuo>. Il dittongo [ɔj] presenta la grafia <åy>. Il sistema della
Råðdjärum si distingue per la grafia delle affricate /ʤ/ e /ʧ/,
rispettivamente rese come <dj> e <tj>, mentre le combinazioni fonetiche
[dj] e [tj] sono indicate con <di> e <ti>. Questa caratteristica rappresenta
una delle divergenze più evidenti tra i diversi sistemi: secondo
Steensland ed Åkerberg, la somiglianza dei caratteri potrebbe indurre i
parlanti in confusione (Zach, 2013: 87).
206
La nasalizzazione di <ö> occorre unicamente quando essa precede -m, -n o -ng, il carattere
con diacritico risulta dunque superfluo (Åkerberg, 2012: 38
164
(come in we’n “la strada”) (Råðjärum, 2005: 6). In entrambi i sistemi il
fonema [ɬ] è indicato tramite il nesso <sl>. In tutti i sistemi ortografici, i
caratteri <c>, <q>, <x>, e <z> appaiono unicamente nei forestierismi
(Råðdjärum, 2005: 3).
Aa Ąą Bb Cc Dd Ðð Ee Ęę Ff Gg
Hh Ii Įį Jj Kk Ll Mm Nn Oo Ǫǫ
Pp Qq Rr Ss Şş Tt Uu Ųų Vv Ww
Xx Yy Y̨ y̨ Zz Åå Ää Öö
207
Per semplificare la scrittura digitale, Steensland (2012: 4) propone le grafie alternative <dsj>
e <tsj>.
165
5.2.3. Il modello di Åkerberg
Per questa ragione, Åkerberg ricorre alle forme <uä> e <iuä> per
rappresentare il dittongo /uo/ ed il trittongo /iuo/, che presentano
rispettivamente le realizzazioni diatopiche [ʉæ, uɛ] e [iʉæ, iuɛ] (Zach,
2013: 87-88). A differenza degli altri due sistemi ortografici, il modello di
Åkerberg presenta una variante nasalizzata per ogni vocale orale,
includendo dunque <ą̈> ed <ǫ̈> (Åkerberg, 2012: 37). Analogamente a
Steensland, Åkerberg ricorre alle forme <dj> e <tj> per /dj/ e /tj/ ed alle
forme <dş> e <tş> per indicare le affricate /ʤ/ e /ʧ/.
208
“Citando testualmente: Tiden är inte mogen för att skapa ett älvdalskt standardspråk” (“i
tempi non sono maturi per la creazione di un evdalico standard”) (Åkerberg, 2012: 37).
209
[ɬ:] è indicata con <ssl>
166
caratteri < >, < > e < > (Åkerberg: 2005: 530; Zach, 2013: 88).
Aa Ąą Bb Cc Dd Ðð Ee Ęę Ff Gg
Hh Ii Įį Jj Kk Ll Mm Nn Oo Ǫǫ
Pp Qq Rr Ss Şş Tt Uu Ųų Vv Ww
Xx Yy Y̨ y̨ Zz Åå Ą̊ ą̊ Ää Ą̈ ą̈ Öö Ǫ̈ ǫ̈
167
6. CONCLUSIONI
168
La posizione autonoma dell’evdalico all’interno della cornice ricostruttiva
rappresenta peraltro un elemento di cruciale importanza per il riconoscimento dello
status di lingua minoritaria in Svezia.
Alla luce di questi dati risulta possibile ipotizzare che il gruppo dalecarlico
faccia a sua volta parte di un più ampio gruppo scandinavo centrale, caratterizzato
dalla condivisione solo parziale di tratti tipici del gruppo orientale e del gruppo
occidentale, dalla conservazione di alcuni aspetti arcaici – tuttora mostrati
dall’evdalico e da altri dialetti norvegesi orientali – e da alcune innovazioni
indipendenti. Ulteriori studi sulle caratteristiche strutturali condivise dall’evdalico e
210
L’origine di questi ultimi due fenomeni è attribuita al contatto areale con le varietà sami
meridionali (Kusmenko & Rießler, 2000; Kusmenko 2013, 2019)
169
da altre varietà dell’area centro-scandinava potrebbero permettere di confermare o
confutare quest’ipotesi con maggiore certezza.
170
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