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26 giugno 2016
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Indice
Perché Archimede i
2 Il corpus archimedeo 15
1 I testi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.1 Le opere inviate ad Alessandria . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.2 Un universo di sabbia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
1.3 Le altre opere pervenute . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
1.4 Frammenti e opere perdute o di dubbia attribuzione . . . . . . 22
2 La tradizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
2.1 Nel mondo antico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
2.2 La tradizione arabo-latina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.3 ABC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
2.4 Archimede nelle corti umanistiche . . . . . . . . . . . . . . . . 28
2.5 Il Cinquecento e la rinascita di Archimede . . . . . . . . . . . 29
2.6 L’età della rivoluzione scientifica . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
3 Archimede e la filologia classica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
3.1 Un nuovo interesse per la matematica classica . . . . . . . . . 31
3.2 L’edizione di Heiberg . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
4 La riscoperta del palinsesto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
4.1 Milionari e studiosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
3
4 INDICE
3 Amici e nemici 37
5 Pagine scelte 47
1 Dalle lettere a Dositeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
1.1 La Quadratura della parabola . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
1.2 Sfera e Cilindro, 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
1.3 Spirali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
2 La lettera a Eratostene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
3 Dall’Arenario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
6 Ulteriori letture 53
1 Per saperne un po’ di più . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
2 Fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
3 Approfondimenti e letteratura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
Perché Archimede
i
ii PERCHÉ ARCHIMEDE
Viene poi descritta brevemente la sua opera, dedicando un certo spazio ai pro-
blemi di tradizione testuale. Spesso non si riflette abbastanza sul fatto che le opere
del mondo classico ci sono giunte attraverso un complesso processo di trasmissione; il
lavoro filologico è essenziale per potere interpretare correttamente un testo, a maggior
ragione un testo scientifico.
Infine, un capitolo sulla fortuna: per far vedere come l’aura “mitologica” che
circonda la sua figura si sia strettamente intrecciata, a partire dal Rinascimento,
con l’assimilazione della sua opera – assimilazione che via via ha prodotto una nuova
matematica e una nuova meccanica, spesso assai lontane da quelli che potevano essere
gli intenti di Archimede stesso.
Molti amici mi hanno aiutato nel mio studio di Archimede – che ormai conta più
di qualche anno – con nuovi punti di vista, consigli, indicazioni. Vorrei ringraziare
in particolare Fabio Acerbi, Lorenzo Braccesi, Paolo d’Alessandro, Enrico Giusti,
Roshdi Rashed e Ken Saito, per anni e anni di discussioni e di lavoro.
Un grazie speciale a Carlo Maccagni, per le tante ore passate a discutere insieme
e i consigli; a Paolo Buzzao, per le critiche inesorabili, ma sempre azzeccate. Se
troverete leggibile questo libretto è in gran parte merito loro.
Infine, Pierre Souffrin. Sono diversi anni che Pierre ci ha lasciato, ma ancora
oggi mi mancano le sue visioni fuori dal politically correct – e le mille discussioni su
Archimede e la scienza galileiana.
Capitolo 1
Siracusa: la più grande di tutte le città greche, di tutte la più bella. Tale la
racconta Cicerone nel 70 a.C. ai giudici del processo contro Verre, assicurando loro
che è proprio così: descrive i suoi due porti, le quattro maximae urbes – l’Insula,
Achradina, Tyche e Neapolis – da cui la metropoli era costituita, i ricchi e numerosi
templi, il grande ginnasio e il grandissimo teatro, vanta la bellezza della fonte Aretusa
tutta piena di pesci. In una di queste quattro città, nell’Insula Ortigia separata dalla
terraferma solo da uno stretto braccio di mare, stava il palazzo del re Gerone. Questi
(306 ca.–215 a.C.) era stato l’artefice della grande prosperità di Siracusa, prosperità
che, a dire di Cicerone, nemmeno la conquista romana aveva potuto far sfiorire. La
sua era stata una politica prudente e saggia, che aveva permesso alla città di crescere
e arricchirsi in tempi tutt’altro che facili. (Contro Verre, II.4.116-119.)
Vale la pena di ricordare questi fatti perché la vita del protagonista di questo
racconto si intrecciò inestricabilmente con le vicende della sua città e con la cauta
1
2 CAPITOLO 1. ARCHIMEDE E IL SUO TEMPO
avvedutezza di Gerone. Archimede era ancora un bambino quando Pirro (famoso per
i suoi elefanti e per le “vittorie di Pirro” contro i Romani) si impadronì di Siracusa e
di tutta la Sicilia. Il suo regno durò pochi mesi, e quando il re dell’Epiro nel 276 a.C.
lasciò l’isola, Siracusa cadde nelle mani di Gerone, capo dell’esercito.
Intanto Roma, sconfitto Pirro, si stava espandendo rapidamente in Italia, e la sua
espansione la portava a entrare in contrasto con le città greche dell’Italia meridionale
e con l’impero commerciale cartaginese. Archimede aveva una ventina d’anni quando
nel 264 iniziò la prima guerra punica tra i Romani e i Cartaginesi. La posta in gioco
era assai alta: il controllo della Sicilia e di tutto il Mediterraneo occidentale. Nel
difficile equilibrio di forze, Gerone si alleò dapprima con i Cartaginesi, poi vista la
superiorità romana, si ritirò quasi subito dalla lotta. I Romani gli imposero condizioni
di pace piuttosto dure, ma Gerone, pur di conservare l’indipendenza di Siracusa le
accettò ugualmente e rimase fedele all’alleanza con Roma per tutto il corso del suo
regno.
Alla fine della prima guerra punica (241 a.C.) Roma fece sua la Sicilia, ma
Siracusa rimase la sola città indipendente dell’isola. La saggia politica di Gerone
permise ai siracusani di godere di mezzo secolo di pace e prosperità in cui fiorirono
agricoltura e commerci, arti e scienze. Fu sotto il suo regno che venne edificata la
grandiosa Ara, un altare dedicato quasi certamente a Zeus, lungo ben 196 metri,
di cui purtroppo ben poco resta di visibile; suo l’Olympeion, un grandioso tempio
dedicato a Zeus nell’agorà; suo il rifacimento e l’ampliamento del famosissimo teatro.
Come scrive Lorenzo Campagna:
Tutto concorre a far intuire l’impegno messo in atto per conferire alla cit-
tà l’immagine di una capitale dinastica [...] Quanto resta della Siracusa
ieroniana ci fa intuire che la sua trasformazione in una grande metropo-
li ellenistica è il frutto di un disegno mirato a imprimere nel paesaggio
urbano i simboli del nuovo potere (Campagna:2013, pp. 49 e 53).
2 Il figlio di Fidia
Questa Siracusa di Gerone è quindi lo sfondo e al tempo stesso l’humus della mate-
matica e della meccanica di Archimede: è la città dove crebbe, per cui lavorò, per cui
perse la vita.
Non si hanno notizie certe della sua famiglia: alcune fonti lo vogliono di umili
origini, altre – tra cui Plutarco (I-II sec. d.C.) – imparentato con la famiglia reale
di Siracusa. Forse conosciamo il nome del padre. In un passo di una sua opera,
l’Arenario, egli cita misurazioni astronomiche fatte da Feidía dè toū Akoúpatros. Il
che vorrebbe dire qualcosa come “Fidia, di Acupatro” ovvero “originario di Acupatro”
o “figlio di Acupatro”. Tuttavia Friedrich W. Blass – un importante filologo tedesco
2. IL FIGLIO DI FIDIA 3
del XIX secolo – osservò (Blass:1883a e 1883b) che entrambe tali interpretazioni erano
assai problematiche e propose di leggere Feidía dè toū amoú patròs: Fidia, nostro
padre.
Erano gli anni in cui Gerone andava consolidando il suo potere (sarebbe stato
eletto re nel 270, quando Archimede aveva diciassette anni) in guerre e scontri contro
i Mamertini, una specie di “soldati di ventura” campani che si erano impadroniti
di Messina. Riuscì a sconfiggerli formando un esercito composto di cittadini e sba-
razzandosi delle infide truppe mercenarie su cui aveva dovuto contare fino a quel
momento. Con un po’ di sforzo di fantasia, perché non immaginarci un Archimede
arruolato nel nuovo esercito siracusano? Un giovane che, mentre combatte per la sua
patria, è curioso di capire a fondo come funzionino le macchine da guerra? E perché
non immaginarci anche il giovane Archimede che, cercando di impadronirsi dei segreti
del mestiere, osserva i cantieri che il nuovo sovrano sta allestendo in Siracusa per la
costruzione di templi, edifici pubblici e palazzi che celebrino il suo nuovo potere.
E, visto che ci siamo messi a raccontare una storia, possiamo spingerci a conget-
turare che fossero proprio questi gli anni in cui Archimede contrasse un’amicizia che
avrebbe segnato gran parte della sua carriera di matematico: quella con Conone di
Samo.
4 CAPITOLO 1. ARCHIMEDE E IL SUO TEMPO
Quando sentii che era morto Conone, a cui da tempo ero legato da amici-
zia, e che tu eri stato in precedenza assai intimo di Conone e che sei versa-
tissimo in geometria, fui colpito dal rimpianto e da un dolore grandissimo
per la sua scomparsa, poiché era un uomo che mi amava moltissimo e,
per di più, nelle speculazioni teoriche aveva un ingegno mirabile e quasi
divino. A te invece preannunziai che — proprio come ero avvezzo a fare
3. TRA SIRACUSA E ALESSANDRIA 5
spessissimo con Conone — avrei mandato per iscritto, tra altri teoremi di
geometria, questo [sulla quadratura della parabola].
importanza: ai tempi di Archimede, Apollonio Rodio (dal 270 al 245, l’autore delle
Argonautiche) ed Eratostene di Cirene (276–194), astronomo, poeta e matematico
che diresse la biblioteca dal 245 al 204.
non c’è dubbio che verso la metà del III sec. Alessandria era un centro
d’avanguardia nella ricerca sulle macchine da guerra e che i progressi che
Filone ci ha trasmesso sono di non minore importanza nella valutazione
dei risultati alessandrini di quelli ottenuti dai grandi matematici teorici.
(vol I, p. 429.)
Filone scrisse un vasto Trattato di meccanica in più libri in cui riprendeva anche
lavori di Ctesibio. Oggi è in gran parte perduto, ma è noto che conteneva un’intro-
duzione matematica, trattati sulla costruzione di armi da getto (i Belopoeica, l’unico
libro pervenuto in greco), sulle macchine idrauliche e quelle semoventi, sulle tecniche
di difesa e di conduzione di un assedio.
4. NAVI, CORONE E MACCHINE 7
Per il figlio di Fidia e il giovane educato all’arte della guerra nel ginnasio di
Siracusa il periodo trascorso ad Alessandria non può essere stato altro che veramente
stimolante. Ma anche se si volesse mettere in dubbio il soggiorno di Archimede in
Egitto, bisogna comunque tenere conto che la capitale tolemaica era uno degli incroci
nevralgici di quello che Giovanni Di Pasquale ha definito un “network tecnologico
mediterraneo” di cui anche Siracusa era parte, insieme con Rodi, Samo, Bisanzio,
Atene, Pergamo, Cirene, Perga... . I protagonisti delle nuove invenzioni tecniche e i
matematici che danno un nuovo impulso e una nuova strutturazione alla geometria
viaggiano tra i centri di un Mediterraneo solcato non solo da mercanti ed eserciti, ma
anche da
4.2 La corona
L’altra storia famosissima su Archimede riguarda l’affaire della corona d’oro che
Gerone aveva dedicato agli dei. È Vitruvio (I sec. d.C.) che ha tramandato questa
storia nel IX libro del De Architectura: a Gerone sarebbe venuto il sospetto che
l’orefice si fosse intascato parte dell’oro che gli aveva affidato per fabbricare la corona,
sostituendolo con argento. Siccome la corona nel frattempo era stata consacrata, non
poteva venire rotta o comunque alterata per scoprire il furto. Il caso fu passato ad
Archimede, il quale cominciò a pensare come avrebbe potuto fare senza distruggere
il manufatto. Se ne andò ai bagni e, notando che quando entrò nella vasca piena fino
all’orlo l’acqua usciva fuori, ebbe un’improvvisa illuminazione: saltò fuori dal bagno e
nudo com’era corse a casa gridando l’altra frase famosissima “Eureka, Eureka!” (“Ho
trovato!”). Arrivato a casa, prese una massa d’oro e una d’argento di ugual peso
della corona. Poi, preso un vaso d’acqua pieno fino all’orlo vi immerse la corona,
misurando l’acqua che ne usciva. Ripetè l’operazione con l’oro e con l’argento: e la
differenza tra i volumi d’acqua fuoriusciti gli permise di svelare il furto dell’orefice.
La storia non racconta cosa accadde all’incauto artigiano; sta di fatto, però, che
la vicenda della corona è una di quelle che piú ha eccitato le fantasie intorno ad Archi-
mede e l’inventività dei matematici. Il resoconto di Vitruvio, infatti, appare alquanto
sospetto: per dirla con Galileo, è “privo di quell’esquisitezza” di cui Archimede dà
prova nelle sue opere. Inoltre il metodo che Archimede avrebbe seguito non ha nulla
a che vedere con il principio del galleggiamento che porta a ragione il suo nome. Già
a partire dalla tarda Antichità e poi nel corso del Medioevo cominciarono a circolare
idee alternative, basate appunto sul principio di Archimede: l’idea era di misurare
le diverse perdite di peso dell’oro e dell’argento quando vengono immersi in acqua.
Galileo si inserí in questa tradizione proponendo la sua “bilancetta” idrostatica: uno
5. L’ASSEDIO DI SIRACUSA 9
strumento di alta precisione con cui riuscí a ottenere misurazioni assai accurate e
precise.
5 L’assedio di Siracusa
5.1 Tempi difficili
Nel 218 a.C. era iniziata la seconda guerra punica. Annibale aveva condotto i suoi
elefanti oltre le Alpi e aveva sconfitto un esercito romano dopo l’altro. Nonostante
questi rovesci, Gerone non ruppe i patti che aveva con il suo tradizionale alleato,
anzi. Non solo collaborò con i generali romani per sconfiggere tentativi cartaginesi di
far ribellare la Sicilia, ma inviò addirittura a Roma trecentomila moggia di frumento
e duecentomila di orzo, accompagnate da una statua della Vittoria tutta in oro, del
peso di trecentoventi libbre.
10 CAPITOLO 1. ARCHIMEDE E IL SUO TEMPO
Il ruolo di Archimede in questo assedio è un fatto storico che esce dalle nebbie
delle notizie vaghe, delle leggende, degli aneddoti. È narrato in dettaglio da Polibio
che scrisse solo qualche decina di anni dopo i fatti e poteva ancora accedere a fonti
dirette, da Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.) e da Plutarco.
Archimede aveva assunto la direzione delle operazioni di difesa. Siracusa era ben
protetta dalle sue mura a mare, mentre dalla parte di terra era difesa dalla natura del
5. L’ASSEDIO DI SIRACUSA 11
sito, assai scosceso e difficile da scalare tranne che in alcuni punti: e questi Archimede
aveva provveduto a munirli opportunamente e i Romani che tentarono l’assalto da
quella parte ne uscirono alquanto malconci.
Marcello aveva il comando delle operazioni marittime: ma non appena le sue
navi si avvicinavano, venivano colpite da catapulte di varie dimensioni e di varia
portata di tiro. Come se non bastasse Archimede aveva fatto costruire gru girevoli
che lasciavano cadere enormi massi sulle navi che si avvicinavano e la famosa manus
ferrea, una sorta di artiglio di ferro che afferrava le navi per la prua facendole poi
ricadere di colpo in acqua. I soldati romani erano terrorizzati, scappavano non appena
vedevano un asse di legno far capolino da dietro le mura. Marcello, riferisce Polibio,
riusciva a mantenere abbastanza humour da commentare: “Questo Archimede usa le
mie navi per attingere acqua per le sue coppe da vino, ma caccia via le mie sambuche
[una scala protetta da parapetti che serviva per dare la scalata alle mura] dal suo
banchetto!” (Le storie, VIII.6). Le cose non andavano meglio da parte di terra,
al punto che i Romani decisero di interrompere gli assalti e di cercare di prendere
Siracusa per fame.
Naturalmente alla storia si mischia sempre la leggenda, e cosí è avvenuto anche
per l’assedio di Siracusa. Vari secoli dopo Polibio e Livio, fanno la loro comparsa
nella letteratura anche gli specchi ustori con cui Archimede avrebbe bruciato le navi
romane. È ben noto che non poteva trattarsi di specchi parabolici, perché la parabola
concentra i suoi raggi troppo vicino: questo fatto non impedì lo sviluppo di un’im-
pressionante letteratura in materia, che a partire dalla tarda Antichità attraversò il
mondo arabo e il Medioevo latino per arrivare almeno fino al Seicento. Merito di
questo mito fu di far sviluppare la ricerca sulle proprietà ottiche delle sezioni coniche
e, naturalmente, di aggiungere un altro tocco di leggendario alla figura di Archimede.
Ancora nel Settecento, Buffon sperimentava un sistema di specchi piani per potere
bruciare oggetti a distanze ragionevoli.
Nonostante esperimenti recenti (eseguiti dalla Marina greca (1973) e all’MIT
(2005)), è poco probabile che una nave romana rimanesse ferma sotto il “raggio della
morte” a farsi bruciare senza che nessuno tirasse una secchiata d’acqua nel punto che
iniziava a fumare e a fiammeggiare. Recentemente è stato proposto che Archimede
sparasse proiettili incendiari utilizzando una sorta di cannone a vapore, portando
l’acqua all’evaporazione grazie a uno specchio parabolico. Una trovata ingegnosa,
ma poco sostenuta dalle fonti, talmente vaghe da aver permesso, per l’appunto, la
nascita della leggenda degli specchi. (Il lettore curioso di questo cannone, di cui
parleranno anche Petrarca e Leonardo da Vinci, può rifarsi a Rossi:2010.)
È qui che, a quanto pare, inizia un’altra leggenda destinata a una fortuna im-
mensa. Livio racconta (Ab Urbe condita, XXV.24) che Marcello fosse contrario al
saccheggio, anzi, che penetrato nell’Epipole dall’Exapylon (la monumentale porta
settentrionale, una delle chiavi della difesa esterna) e vedendo Siracusa distesa sotto
di sé rompesse in singhiozzi. Forse perché pensava alla sua prossima rovina? (Ma
forse, come accenna Livio, piangeva di gioia, pensando alla gloria che stava raggiun-
gendo: conquistava Siracusa, la città che aveva sconfitto l’impero ateniese, che aveva
tenuto in scacco per decenni e decenni i Cartaginesi, quella metropoli così bella, così
ricca.)
Quando, mesi dopo, prese finalmente grazie al tradimento di Merico Ortigia e
Achradina, Neapolis e Tyche, messo al sicuro il tesoro reale, abbandonò Siracusa al
saccheggio della soldataglia. Il bottino fu enorme: si racconta che quando i Romani
conquistarono Cartagine non ne fecero uno altrettanto ricco.
Fu in questo saccheggio che morì Archimede. Un soldato romano (almeno cosí
racconta Livio, XXV.31) che girava per le case saccheggiando, si imbatté in Archime-
de, tanto assorto nello studio di alcune figure geometriche da non essersi nemmeno
accorto di quello che stava succedendo. Non sapendo chi fosse, il legionario l’uccise.
Plutarco (Vita di Marcello, 19) fornisce altre versioni, leggermente diverse: il soldato
si sarebbe avvicinato ad Archimede ordinandogli di seguirlo da Marcello, e Archimede
gli disse di aspettare che avesse risolto il problema: il che fece infuriare il legionario
che l’uccise. Una variante è che il soldato lo minacciò subito di morte, ma Archimede
lo pregò di dargli il tempo di terminare la dimostrazione. Infine, secondo un’altra
versione, Archimede sarebbe stato ucciso mentre si recava da Marcello con una cassa
di strumenti matematici che eccitò l’avidità dei saccheggiatori.
Livio e Plutarco sono concordi nel dire che Marcello fosse assai addolorato dall’in-
crescioso accaduto (avrebbe anzi dato ordine di risparmiare a tutti i costi Archimede);
avrebbe fatto ricercare i parenti di Archimede per proteggerli e provvedere alla sua
sepoltura. Questa è la storia tramandata, che non manca di un suo pathos: il grande
e clemente generale piange sul nemico sconfitto; la triste fine di uno dei piú grandi
geni dell’umanità trucidato da un rozzo e ignorante legionario.
Tuttavia Lorenzo Braccesi si interroga (2008) su quanto sia attendibile la storia
edificante per cui il console vincitore avrebbe voluto mostrare la sua clemenza e la
sua lungimiranza salvando la vita del famoso saggio, e quanto invece non rappresenti
un travestimento di una realtà molto più bieca. Se pensiamo che Archimede fu in
rapporti con Gelone, il re filocartaginese; se pensiamo alle lotte intestine che squas-
sarono Siracusa tra il 215 e il 212; se pensiamo che ad Archimede fu affidata la difesa
della città: beh, allora non si può sfuggire alla conclusione che Archimede fosse uno
dei capi del partito che aveva voluto rompere l’alleanza con i Romani. In questa luce
la fine di Archimede risulta una conseguenza logica di un ordine di Marcello: impar-
tire un monito solenne a tutti coloro che osassero pensare di intralciare la politica di
Roma.
Questa conclusione mi piace molto di più. Una fine eroica, non una fine triste.
Archimede muore insieme alla sua patria.
Ma la sua matematica non morirà. Racconta Cicerone (Tusculanae disputationes
V.64-66) che sulla sua tomba, come egli aveva chiesto, fu posta una sfera inscritta
in un cilindro con inciso il rapporto tra i due solidi; era stata, questa, una delle sue
5. L’ASSEDIO DI SIRACUSA 13
Il corpus archimedeo
Gli storici antichi ci hanno raccontato soprattutto ciò che Archimede fece. Daremo
ora uno sguardo a quello che Archimede scrisse e racconteremo la storia che sta dietro
ai testi che possiamo oggi leggere – in originale o in traduzione.
Cominceremo col descrivere i testi inviati ad Alessandria che, essendo corredati
da una lettera di accompagnamento, possono essere collocati in un ordine cronologico
di pubblicazione. Vale appena di segnalare che per nessuna di queste lettere abbiamo
la risposta dell’interlocutore. Descrivendo l’Arenario accenneremo al complesso pro-
blema della sistemazione cronologica delle sue opere, passando poi a dar conto delle
altre opere pervenute.
Nel terzo paragrafo vedremo quale sia stato il processo che ha portato a formarsi
il corpus attuale a partire dai tempi di Archimede. Passeremo poi a raccontare come
il filologo danese Johan Ludvig Heiberg sia arrivato a costruire la sua edizione critica
degli opera omnia, accennando infine alle prospettive future degli studi archimedei.
1 I testi
1.1 Le opere inviate ad Alessandria
1.1.1 Quadratura della parabola (QP)
È la prima delle cinque opere indirizzate a Dositeo ad Alessandria. Come si è visto,
Archimede si rivolge a lui in quanto amico di Conone, cui in precedenza aveva inviato
altri scritti. Scopo del breve trattato è dimostrare che un segmento di parabola è
uguale ai 4/3 del triangolo avente uguale base e uguale altezza. Il testo è diviso in
due parti: una quadratura “meccanica” (in cui si fa ricorso a concetti di statica) e
una “geometrica”.
Si osservi che, nonostante il titolo Tetragonismos parabolēs, nel testo si utilizza
la terminologia pre-apolloniana delle sezioni coniche e la curva che, da Apollonio in
poi, è detta “parabola”, viene chiamata “sezione di cono rettangolo”.
15
16 CAPITOLO 2. IL CORPUS ARCHIMEDEO
Figura 2.1: Il segmento di parabola ABC è uguale ai 4/3 del triangolo inscritto; il
parallelogramma ADEC è quindi una volta e mezzo il segmento.
Oltre ai problemi sui segmenti sferici di SC2, Archimede aveva inviato a Conone
un altro tipo di questioni che, come egli stesso dice a Dositeo, erano di tutt’altro
genere e “non avevano niente in comune” con quelli relativi ai solidi: si trattava di
studiare una nuova curva, la spirale. Abbiamo già accennato al fatto che Pappo nella
sua Collezione matematica (libro IV, prop. 30) attribuisce l’invenzione della spirale
a Conone stesso.
Archimede definisce la spirale in modo cinematico: una semiretta che ha l’origine
fissata ruota uniformemente su piano; su di essa si muove di moto uniforme un punto:
la curva descritta da questo punto sarà la spirale.
I risultati più interessanti che dimostra riguardo a questa curva sono due. Il
primo (LS.18) riguarda la tangente: si immagini che la retta ruotante abbia compiuto
una rivoluzione completa, e si prenda la tangente alla spirale in questo punto. Dal
centro di rotazione si tracci la perpendicolare alla retta: il segmento di perpendicolare
compreso tra il centro di rotazione e il punto di intersezione tra la perpendicolare e
la tangente è uguale alla circonferenza del “primo cerchio”, ovvero il cerchio che ha
come raggio il segmento compreso tra il centro di rotazione e il punto di tangenza. Il
secondo risultato stabilisce che la superficie compresa tra la prima rivoluzione della
spirale e la retta ruotante è uguale a 1/3 del primo cerchio (LS.24).
Anche quest’opera esercitò un grande fascino su studiosi del calibro di François
Viète (1540–1603, l’inventore dell’algebra simbolica e della sua applicazione alla geo-
metria) e di Galileo. Oltre che dai risultati ottenuti da Archimede, Galileo era colpito
dalla commistione di argomenti cinematici e geometrici. In effetti le prime due pro-
posizioni delle Spirali trattano appunto del moto uniforme e sono uno dei primissimi
tentativi di costruire un modello matematico per la descrizione del moto. La di-
mostrazione è infatti inquadrata nello schema teorico della teoria delle proporzioni,
Figura 2.3: La lunghezza della circonferenza è pari a quella dell’asse in rosso; l’area in nero
racchiusa dal primo giro della spirale è pari a 1/3 di quella del cerchio.
18 CAPITOLO 2. IL CORPUS ARCHIMEDEO
Figura 2.4: L’unghia cilindrica. Si ottiene a partire da un prisma a base quadrata in cui sia
inscritto un cilindro. Prendendo un diametro del cerchio di base parallelo a uno dei lati del
quadrato, si tagli il cilindro con un piano che passi per tale diametro e per uno dei lati del
quadrato sulla faccia superiore del prisma. L’unghia è il solido contenuto dal semicerchio
nella base del cilindro, dalla semiellisse sul piano secante e dalla superficie del cilindro.
tale approccio nella ricerca di centri di gravità e di rapporti tra figure geometriche,
ottenendo i risultati relativi alla parabola, alla sfera e ai segmenti sferici, ai conoidi
e agli sferoidi.
L’opera è tuttavia mirata allo studio della cosiddetta “unghia cilindrica” (fig.
2.4) e del solido che si ottiene intersecando due cilindri inscritti in un cubo (fig. 2.5).
Il suo ritrovamento in un palinsesto, avvenuto nel 1906, fece un enorme scalpore.
Figura 2.5: La doppia volta. Intersecando perpendicolarmente due cilindri uguali, si ottiene
una doppia volta a crociera. Si osservi che essa può venire scomposta in otto unghie
cilindriche. Una discussione di questi solidi si può trovare in Saito Napolitani 2014.
In questa operetta Archimede vuole far vedere che è possibile costruire un sistema
di numerazione in grado di contare numeri grandissimi: come il numero di granelli
di sabbia contenuti in una sfera grande quanto l’intero universo. Per capire meglio
il problema, si tenga presente che i Greci utilizzavano una numerazione basata su
27 lettere dell’alfabeto (24 + tre lettere cadute in disuso). Le prime 9 lettere rap-
presentavano i numeri da 1 a 9, le seconde nove quelli da 10 a 90, le terze da 100 a
900. Con un complicato sistema di apici in alto, in basso e sovrascritture si poteva
poi arrivare a scrivere numeri fino alla “miriade di miriadi” ovvero 10 milioni. Una
tale complicazione poteva indurre a pensare che non fosse possibile contare qualsiasi
quantità, se questa fosse stata veramente grande.
Nonostante il suo carattere curioso, l’Arenario è molto importante per varie
ragioni. In primo luogo è una testimonianza di primissima mano della vicinanza di
Archimede con la casa reale di Siracusa; inoltre permette di datare l’opera a dopo il
240 a.C. In secondo luogo in essa Archimede dà conto del sistema di Aristarco, che
poneva il Sole immobile al centro dell’universo e la Terra e gli altri pianeti in orbita
intorno ad esso; e parla anche di risultati e di metodi di misurazione astronomici in
uso all’epoca (è in questo contesto che Archimede citerebbe suo padre Fidia). Infine,
Archimede segnala a Gelone di aver scritto un’opera sui sistemi di numerazione, opera
che ha inviato a un certo Zeusippo.
La menzione del sistema eliocentrico di Aristarco ebbe ovviamente un peso
notevole quando dopo il 1543 iniziò la discussione sul De revolutionibus di Copernico.
Quest’opera consiste di tre sole proposizioni. Nella prima si dimostra che il cerchio è
uguale al triangolo rettangolo avente per cateti il raggio e la circonferenza rettificata.
Nella terza si dimostra che il rapporto tra la circonferenza e il diametro deve essere
compreso tra 3 1071
e 3 17 . La seconda (che logicamente dovrebbe seguire la terza)
asserisce imprecisamente che “Il rapporto di un cerchio al quadrato del diametro è
uguale a quello di 11 a 14”.
Già da questo si vede che il testo della Misura del cerchio ci è pervenuto parti-
colarmente corrotto. Wilbur Knorr nei suoi Textual Studies in Ancient and Medieval
Geometry (1989) considera il testo attuale di DC come un prodotto della scuola ales-
sandrina tra la seconda metà del IV secolo e l’inizio del VI: si tratterebbe in pratica
di un riassunto di rielaborazioni precedenti del genuino testo di Archimede. Correda-
to da un importante commento di Eutocio, DC ebbe un’enorme fortuna nel mondo
arabo e nell’Occidente latino.
1. I TESTI 21
Il titolo completo di quest’opera è Sull’equilibrio dei piani ovvero sui centri di gra-
vità dei piani. Nel primo libro viene dedotta la legge della leva: due grandezze si
fanno equilibrio da distanze inversamente proporzionali al loro peso. Inoltre vengono
determinati i centri di gravità di alcune figure piane: parallelogrammo, triangolo,
trapezio. Il secondo è interamente dedicato alla determinazione del centro di gravità
del segmento di parabola. L’opera è pervenuta corredata dal commento di Eutocio.
Mentre il secondo libro appare senz’altro genuinamente archimedeo (lo stile, il
riferimento costante a risultati ottenuti nella QP lo provano), sul primo pesano molti
dubbi.
Len Berggren (1977) ritiene che buona parte di PE.I debba essere considerata
spuria. Il problema è troppo complesso per essere discusso qui approfonditamente;
in ogni caso, si tratta di un testo cui manca qualcosa. Infatti nella proposizione 6 di
QP Archimede fa esplicito riferimento a una serie di teoremi e definizioni riguardanti
i concetti di equilibrio e di centro di gravità dicendo che “queste cose sono state
dimostrate nelle proposizioni meccaniche”: ma tale materiale non si ritrova nel testo
tràdito di PE.
Un’ipotesi plausibile è che il testo che oggi disponibile di PE.I sia una compilazio-
ne, basata forse su un testo mutilo.Che la produzione di Archimede in questo campo
fosse di ben altra portata si ricava non solo dai riferimenti a opere sull’equilibrio che
Archimede fa e da citazioni di autori antichi quali Erone e Pappo, ma dal Metodo in
cui Archimede discute i centri di gravità di figure solide e non solo di figure piane.
La mancanza di una trattazione dei centri di gravità delle figure solide nelle
opere di Archimede che pervennero al Rinascimento fu l’occasione per i matematici
del Cinquecento e del Seicento di dedicarsi alla ricerca della loro determinazione;
studio che diede l’avvio ad approcci che contribuirono alla creazione della meccanica
e della matematica moderne.
Il testo greco dell’opera è stato ritrovato solo nel 1906 nello stesso palinsesto
contenente il Metodo; fino ad allora l’opera fu conosciuta unicamente grazie alla tra-
duzione eseguita da Guglielmo di Moerbeke nel 1269. Traduzione che, nonostante
gravi limiti, ebbe un’importanza enorme perché permise lo sviluppo di nuove conce-
zioni matematiche e si colloca alle origini della riflessione di Galileo nel campo della
filosofia naturale.
Nel 1773 l’illuminista tedesco Gotthold Ephraim Lessing scoprì un manoscritto greco
che conteneva tra le altre cose un poemetto intitolato “Problema trovato da Archime-
de e inviato sotto forma di epigramma in una lettera a Eratostene di Cirene per coloro
che ad Alessandria studiavano cose di questo genere”. Lessing stesso sollevò dubbi
sulla possibilità che il testo fosse da attribuire ad Archimede; Heiberg l’accolse nella
sua edizione critica, non senza qualche riserva, sulla base di uno scolio al Carmide di
Platone, di una citazione di Erone e di una (probabile) citazione di Cicerone.
L’operetta sfida i matematici del tempo a risolvere un problema di aritmetica:
contare il numero dei buoi – tori e giovenche; bianchi, pezzati, neri e fulvi – che il dio
Sole pascolava nella Trinacria, note certe relazioni tra i numeri dei buoi di ogni singolo
colore. Si tratta di un problema di analisi diofantea che nella sua formulazione più
semplice e più aderente al testo tràdito ha come più piccola soluzione intera positiva
una ottupla di numeri, per un totale di una cinquantina di milioni di capi di bestiame
(50.389.082, per la precisione).
L’epigramma introduce poi condizioni aggiuntive e ciò conduce a un’equazione
del tipo x2 − ky 2 = 1 le cui soluzioni sono numeri decisamente mostruosi, con più
di duecentomila cifre e che è stata risolta da August Amthor solo alla fine del XIX
secolo.
1. I TESTI 23
Figura 2.6: Un arbelo. La superficie in verde risulta uguale a quella del cerchio avente
diametro CD.
In Occidente vide la luce nel 1657, tradotto dall’arabo in latino da John Graeves
e rivisto da Samuel Forster (Londra, 1657). Una seconda traduzione uscirà nel 1661
a Firenze, curata dal galileiano Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679) e dal maronita
Abramo Ecchellense (1605-1664), insieme con la traduzione latina di una parafrasi
araba dei libri 5-7 delle Coniche di Apollonio, anch’essi perduti nell’originale greco.
Oltre a queste, gli autori antichi attribuiscono ad Archimede varie opere. Erone
e Pappo citano suoi lavori sui poliedri semiregolari; Pappo parla di un trattato Sulla
bilancia; varie testimonianze gli attribuiscono lavori di ottica e sulla costruzione di
planetari e di orologi ad acqua.
Gli autori arabi, infine, segnalano una serie di testi di geometria piana, in parti-
colare una sulla costruzione dell’ettagono regolare e sui cerchi mutuamente tangenti.
2 La tradizione
Tradizione, nel linguaggio corrente, significa la trasmissione del patrimonio culturale
delle generazioni passate (non senza qualche sfumatura: le tradizioni “folkloristiche”
o quelle “familiari”). Tradizioni anche bizzarre, curiose: baciarsi sotto il vischio,
mangiare il panettone a Natale, tirare le orecchie a qualcuno quando compie gli
anni...
Più austero è il concetto di tradizione in filologia: con traditio si intendono le
modalità con cui l’opera di un autore è giunta fino a noi. Si tratta cioè del processo
che trasmette il testo, che si incarna di volta in volta nei suoi testimoni, ovvero i
manoscritti e le stampe che lo tramandano.
Descriveremo ora la traditio dei testi archimedei, il processo che ha portato alla
formazione del corpus che possiamo oggi studiare. Ma avvertiamo subito che dovremo
poi fare i conti anche con l’altra accezione del termine, perché la storia, le leggende
e gli aneddoti intorno alla sua figura hanno condizionato – e non poco – anche la
trasmissione e lo studio dei suoi testi.
Pappo-Guldin che collega i centri di gravità di una figura piana al volume del soli-
do di rotazione che essa genera. Un teorema importante, generalizzatore, certo: ma
che al tempo stesso è indice di come la matematica di stampo archimedeo avesse
sostanzialmente segnato il passo per più di settecento anni.
Le parti più difficili della sua opera non furono dunque molto lette, né svilup-
pate.Le opere di carattere più fondamentale quali la Sfera e il cilindro, la Misura del
cerchio, il primo libro dell’Equilibrio dei piani subirono un processo parallelo di tra-
sformazione e di mutilazione. Per esempio, già nel II sec. a.C., Dione e Dionisodoro
non disponevano più di una dimostrazione che Archimede asserisce di aver scritto alla
fine della proposizione 4 di SC2. Eutocio attesta che questa dimostrazione mancava
da tutti gli esemplari di SC da lui consultati; solo dopo lunghe ricerche si era imbattu-
to in un frammento ormai poco leggibile, ma scritto in dialetto dorico (quello parlato
a Siracusa e in cui Archimede compose le sue opere), che gli sembrava attribuibile ad
Archimede.
È questa una conferma che gli aspetti più ardui della sua opera tendevano a essere
espunti o quantomeno trascurati. Inoltre le opere che abbiamo qui sopra citato furono
spesso trasfigurate a scopi divulgativi. DC e SC furono tradotte in koinè; il testo che
oggi possediamo di DC è fuor di dubbio un frammento (o forse un estratto per uso
scolastico) di un’opera che ai tempi di Eutocio non esisteva già più. Considerare
il primo libro di PE come un’opera completamente genuina non regge alle critiche
interne ed esterne che vari studiosi hanno sollevato.
Dopo Pappo, e con la decadenza generale del mondo antico, la conoscenza dei
testi di Archimede sembra fosse circoscritta a poche opere, probabilmente solo a
SC 1 & 2, DC e PE e che esse circolassero in versioni ormai fortemente adulterate.
All’inizio del VI secolo Eutocio le commentava usando un testo che non sembra si
scostasse molto da quello di cui disponiamo oggi; ma dalle sue parole risulta che era
inconsapevole del fatto che Archimede avesse scritto la Quadratura della parabola (e
con ogni probabilità gli erano ignote anche le Spirali).
Il lavoro di Eutocio fu letto e studiato da Antemio di Tralles (morto nel 534)
e da Isidoro di Mileto, entrambi architetti impegnati nei lavori di ricostruzione di
Santa Sofia a Costantinopoli. Isidoro incoraggiò lo studio dei trattati commentati da
Eutocio nella sua scuola, salvando così quanto rimaneva in circolazione alla fine del
mondo antico dell’opera di Archimede.
Verso la fine del VI secolo, alla vigilia della conquista araba della Siria e dell’Egitto
(633-642), la diffusione dei testi archimedei nel mondo bizantino sembra dunque li-
mitata essenzialmente ai trattati Sulla sfera e il cilindro, Sull’equilibrio dei piani e
Misura del cerchio.
Di conseguenza i matematici arabi conobbero solo queste opere oltre a frammenti
dei Galleggianti. Nonostante questo, svilupparono una loro, originale matematica
archimedea. In particolare, nel IX secolo, i tre fratelli Muhammad, Ahamad e al-
Hasan, noti come i Banū Mūsā (ovvero i figli di Mūsā ibn Shākir), scrissero un testo
26 CAPITOLO 2. IL CORPUS ARCHIMEDEO
che riprendeva molti dei temi archimedei legati alla Sfera e il cilindro, che ebbe poi
una larga diffusione nell’Occidente latino.
È inoltre grazie alla matematica araba se ci sono pervenuti frammenti e notizie di
opere archimedee perdute nell’originale greco, quali un frammento dello Stomachion
(che integra il breve frustulo noto per tradizione diretta), il Libro dei lemmi, un libro
sui Cerchi mutuamente tangenti, un testo sulla costruzione dell’ettagono regolare e
altri.
Fino al XIII secolo in Occidente si conoscono ben poche opere di Archimede
o di ispirazione archimedea. In pratica, l’unico testo di Archimede che circolò nel
Medioevo fu la Misura del cerchio, nella traduzione eseguita nel XII secolo dal grande
Gerardo da Cremona (1147–1187). Tra le tantissime opere che tradusse dall’arabo
(oltre settanta) bisogna contare quella dei Banū Mūsā che circolò con il titolo Verba
filiorum (Le parole dei figli [di Mosé]) o Liber trium fratrum (Libro dei tre fratelli).
Sempre di ispirazione araba sono altri due testi: il Liber de curvis superficiebus
(Libro sulle superficie curve), in cui si offre una dimostrazione del volume e della
superficie della sfera ispirata a quella dei Verba filiorum ed essenzialmente diversa da
quella originale, e il Liber Archimenedis de ponderibus (Libro di Archimenide sui pesi),
dedicato alla determinazione del rapporto tra due sostanze costituenti un composto.
In questo periodo lo stesso nome “Archimede” sembra quasi dimenticato: i tra-
duttori e i compilatori medievali lo storpiano in forme derivate dall’arabo quali “Er-
semides” o “Arsamithes”. La figura del matematico di Siracusa si intravede appena
dietro le nebbie di leggende ormai lontane.
2.3 AB C
2.3.1 I Bizantini e la costituzione del corpus archimedeo
Verso la metà del IX secolo il mondo bizantino conosce una sorta di Rinascimento.
Con Basilio I nell’811 si insedia la nuova dinastia macedone, che farà uscire l’impero
da una crisi durata decenni e decenni, dovuta all’espansionismo arabo, alle invasioni
barbariche di Slavi e Bulgari nei Balcani, alle laceranti lotte intestine connesse con
la questione del culto delle immagini. Costantinopoli conoscerà un nuovo apogeo e
il IX secolo sarà un periodo di rinnovamento artistico e letterario. Vengono prodotti
manoscritti di pregio abbandonando la scrittura maiuscola e creando la “minuscola
libraria”, utilizzata per copiare le opere dell’Antichità. Durante i regni di Teofilo
(829–842) e di Michele III (842–867) viene riorganizzato l’insegnamento superiore e
istituite le cattedre di filosofia, geometria, astronomia, grammatica.
Questo periodo di rinascita intellettuale è legato al nome di Leone il Matematico
(detto anche il Filosofo, 790 – 869 ca.), riorganizzatore della Scuola di filosofia di
Costantinopoli. Fu per suo impulso se tra il IX e il X secolo vennero copiati almeno
tre codici – designati oggi con i sigla A, B e C – che contenevano tutte le opere
del corpus archimedeo oggi note. I codici A e B sarebbero divenuti la fonte della
diffusione di Archimede nell’Occidente latino.
Il codice C, invece, conobbe una storia molto diversa: il testo archimedeo fu
infatti cancellato e la pergamena fu nuovamente impiegata per trascrivere testi reli-
giosi. Il codice divenne cioè un “palinsesto” e rimase sepolto nella biblioteca di un
convento fin quando nel 1906 Heiberg riuscì a leggerne la scriptio inferior, ovvero il
2. LA TRADIZIONE 27
testo archimedeo che era stato cancellato nell’XI secolo. Questo manoscritto conte-
neva, tra l’altro, un’opera del tutto sconosciuta, quella oggi nota con il titolo Metodo
sui teoremi meccanici.
I tre capostipiti non contenevano tutti e tre le stesse opere, né le presentavano nello
stesso ordine (anche se, come ora si vedrà, l’ordine e il preciso contenuto di B sono
difficili da determinare). Ciò mostra che nel IX secolo non si era ancora costituito un
unico corpus di testi archimedei. Leone il Matematico e i suoi continuatori lavorarono
con tutta probabilità su materiali fino ad allora dispersi.
Nel corso del Quattrocento il codice A era pervenuto nelle mani dell’umanista Giorgio
Valla (1447-1500). Questi, grande collezionista di manoscritti greci, matematici in
particolare, aveva intenzione di utilizzarli per la compilazione di una grande enciclo-
pedia che sarebbe però stata pubblicata solo postuma e solo parzialmente compiuta:
il De expetendis et fugiendis rebus opus (Sulle cose da ricercare e da fuggire, Venezia,
1501). Anche se appare un testo piuttosto frammentario, ebbe comunque un’impor-
tanza notevole: tra l’altre cose vi si trovano pubblicati per la prima volta alcuni brani
del commento di Eutocio ad Archimede.
La biblioteca di Valla aveva attirato l’interesse di molti, tra cui quello di Polizia-
no. Questi, su incarico di Lorenzo il Magnifico, fece copiare il codice A ordinando al
copista di imitare quanto meglio poteva il modo di scrivere e la mise en page del ve-
tusto esemplare del IX secolo: la copia è oggi conservata nella Biblioteca Laurenziana
di Firenze.
Dopo la morte di Valla, la sua biblioteca fu acquisita dal conte Alberto Pio di
Carpi ed ereditata poi dal nipote di questi, il cardinale Rodolfo Pio. Le ultime notizie
sul codice A risalgono alla morte di Rodolfo (1564: a esso si fa cenno nell’inventario
dei beni del Cardinale); dopo di allora non se ne sono sin qui più avute notizie. For-
tunatamente, nel corso del Cinquecento il codice A era stato copiato almeno altre due
volte: sulla base di queste tre copie e su quella appartenuta a Bessarione, Heiberg ha
fondato il suo lavoro di edizione critica del testo archimedeo, riuscendo dal confronto
tra questi testimoni a ricostruire il testo del loro capostipite comune.
- nel 1501 esce a Venezia il De expetendis di Valla, in cui sono contenuti alcuni
frammenti del commento di Eutocio alla Sfera e il cilindro e all’Equilibrio dei
piani;
30 CAPITOLO 2. IL CORPUS ARCHIMEDEO
- nel 1503, Luca Gaurico pubblica a Venezia il Tetragonismus idest circuli qua-
dratura , in cui è contenuto il testo della Misura del cerchio e della Quadratura
della parabola nella traduzione di Gugliemo di Moerbeke;
- nel 1543, sempre a Venezia, Tartaglia fa uscire gli Opera Archimedis Syracu-
sani philosophi et mathematici ingeniosissimi: si tratta del testo latino di Gu-
glielmo di Moerbeke della Misura del cerchio, della Quadratura della parabola,
dell’Equilibrio dei piani e del primo libro dei Galleggianti.
Nel caso di Valla si tratta di brevissimi frammenti; i testi di Gaurico e di Tartaglia
sono pieni di errori. Ma si tratta comunque di edizioni che ebbero molta importanza
sullo sviluppo degli studi archimedei.
che teneva conto del lavoro, ormai imponente, che sull’opera di Archimede si era
venuto accumulando nel corso di tre secoli.
Il lavoro di Torelli servì di base a François Peyrard (1759-1822) per la sua tradu-
zione francese delle opere di Archimede, dedicata a Napoleone e pubblicata nel 1807
con l’approvazione entusiasta di Lagrange e Delambre, due dei più importanti mate-
matici del tempo. Peyrard è famoso per aver identificato il “codice P” come il più
antico codice della tradizione euclidea: si tratta di un manoscritto degli Elementi che
Napoleone aveva sottratto alla Biblioteca Vaticana. Su di esso lo studioso francese
condusse la sua traduzione francese dell’opera di Euclide. Sollecitato dai suoi amici
matematici, si era poi dedicato ad Archimede e aveva messo mano a una traduzione
delle opere complete di Euclide e delle Coniche di Apollonio, traduzione questa che
sarebbe però rimasta inedita.
Tutto cià testimonia il risveglio dell’interesse verso il rigore dei metodi della
matematica classica, alla vigilia delle grandi riforme che matematici come Augustin-
Louis Cauchy (1789-1857), Peter Gustav Lejeune-Dirichlet (1805-1859) o Bernhard
Bolzano (1781-1848) avrebbero introdotto nell’analisi. Un analogo discorso si po-
trebbe fare per il risveglio di interesse nei confronti della matematica apolloniana
che avrebbe portato, sempre nei primi decenni del XIX secolo, alla creazione della
geometria proiettiva: uno dei protagonisti di queste ricerche, Michel Chasles (1793-
1880), pubblicherà nel 1837 l’Aperçu historique sur l’origine et le développement des
méthodes en géométrie (Esposizione storica sull’origine e lo sviluppo dei metodi in
geometria) in cui riconosceva esplicitamente i lavori di Apollonio e Pappo come sua
fonte di ispirazione.
Il parallelo svilupparsi della filologia classica, in particolare tedesca, convergeva
verso la meta di ottenere finalmente edizioni rigorose dei testi di quella che veniva
sempre di più vista come l’immediato antecedente della matematica militante.
za di più di un secolo, il suo lavoro è ancora il punto di riferimento obbligato per chi
voglia intraprendere lo studio della matematica greca.
nel 1915, quando uscì a Lipsia, nella classica “Bibliotheca Teubneriana”, il terzo volu-
me degli Archimedis opera omnia cum commentariis Eutocii. In esso erano contenuti
anche i Prolegomena all’edizione, che restano finora lo strumento indispensabile per
lo studioso di Archimede.
Su questa edizione si sono basati tutti i lavori critici successivi e i vari lavori di
traduzione e commento in lingue moderne: la parafrasi inglese di Thomas L. Heath,
la traduzione francese di Paul ver Eecke, la traduzione italiana di Attilio Frajese.
A queste occorre aggiungere l’edizione del testo greco di Charles Mugler (che non
si discosta in quanto a impianto complessivo da quella di Heiberg) con traduzione
francese a fronte.
più romanzesca che sostenibile: come sottolinea Giuseppe Morelli nel suo recente
studio (2009), nulla – né nel testo sopravvissuto, né nelle testimonianze antiche –
autorizza questa ipotesi.
Amici e nemici
Ci sono state famosissime dispute fra matematici: si pensi a quella fra Leibniz e
Newton sulla priorità dell’invenzione del calcolo infinitesimale, o alle feroci invettive
di Niccolò Tartaglia contro Girolamo Cardano, colpevole di aver rivelato al mondo il
segreto dell’equazione di terzo grado che Tartaglia gli aveva incautamente comunicato.
Nel caso di Archimede, però, è difficile individuare a distanza di ventitré secoli
simili diatribe. Ma fra i suoi amici possiamo certamente collocare Conone di Samo;
anzi, con un po’ di immaginazione, si può persino arrivare a pensare che tra loro due
si sia sviluppato un vero e proprio rapporto di collaborazione.
Più sfumato è il rapporto che Archimede ebbe con Dositeo. Quando gli invia la
Quadratura della parabola non esita a manifestargli la sua stima. Nelle lettere succes-
sive però cambia un po’ registro. Quando gli manda i problemi del secondo libro della
Sfera e il cilindro, già il tono si raffredda. “Mi chiedi di mandarti la dimostrazione
dei problemi che avevo mandato a Conone” – dice – “ma guarda che si risolvono con
i teoremi che ti ho già mandato qualche tempo fa!” E quando gli invia le Spirali sem-
bra proprio perdere la pazienza. “Insomma, continui a chiedermi di quei problemi,
ma la maggior parte ce l’hai, te li ha portati Eraclide.” (È interessante osservare che,
secondo Eutocio, un Eraclide/Eraclio avrebbe scritto una Vita di Archimede., oggi
per noi purtroppo perduta.)
Sempre in questa lettera c’è un passo famoso che è stato variamente interpretato.
Archimede si lamenta del fatto che, pur essendo passati tanti anni dalla morte di
Conone, quei famosi problemi nessuno ha mai nemmeno provato a risolverli. Tanto
più che in quella lista c’erano due problemi che lui stesso non aveva potuto portare a
buon fine, perché erano sbagliati. E aggiunge:
C’è chi ha pensato che Archimede inviasse a bella posta risultati impossibili ad
Alessandria per disprezzo verso i suoi interlocutori: in questa categoria rientrerebbe
anche il Problema dei buoi, impossibile da risolvere nella sua formulazione comple-
ta. Personalmente ritengo che Archimede si stesse semplicemente lamentando di un
atteggiamento un po’ spocchioso di qualche matematico alessandrino che avrebbe
trattato con sufficienza i risultati che egli andava loro proponendo.
37
38 CAPITOLO 3. AMICI E NEMICI
Una conferma di questa mia opinione la trovo nella famosissima lettera a Erato-
stene che apre il Metodo. Anche in questo caso aveva inviato al direttore della biblio-
teca di Alessandria due problemi, quello sulla cosiddetta unghia cilindrica e quello
sull’intersezione di due cilindri, invitandolo a trovarne la dimostrazione. Apparente-
mente Eratostene non gli aveva risposto: e allora non solo gli manda le dimostrazioni
in questione, ma addirittura gli affida quello che potrebbe essere considerato il suo
testamento scientifico: quel modo di procedere che gli aveva permesso le sue mirabo-
lanti scoperte, nella speranza “che qualcuno, tra i presenti o tra quanti verranno in
futuro, seguendo il procedimento indicato, scoprirà altri teoremi, a cui non abbiamo
ancora pensato.”
Quindi più che un Archimede burlone o, peggio, tessitore di perfidi trabocchetti,
sembra venire fuori la figura di un matematico piuttosto isolato, che non trova con
chi condividere veramente le sue ricerche. Cosa piuttosto terribile, per un matema-
tico. La matematica è un genere di letteratura molto comunicativo. Tutti hanno nel
cassetto una poesia che hanno scritto in giovane età, a cui tengono moltissimo ma
non farebbero mai leggere a nessuno. Ma chi farebbe altrettanto con un teorema?
Amici di Archimede saranno sicuramente stati Gerone e suo figlio Gelone. Se poi
davvero Gelone fu uno dei sostenitori del partito filocartaginese, allora possiamo far
galoppare la fantasia e spingerci fino a immaginare un’amicizia con Archimede molto
stretta. Me lo immagino invece poco amichevole con Geronimo, il ragazzino che finì
sul trono di Siracusa alla morte di Gerone, approfittandone a quanto pare per darsi
a dissolutezze di svariato genere.
E i nemici? Beh, sicuramente ad Alessandria ci deve esser stato qualche matema-
tico che gli stava antipatico – quelli che ostentavano di saper fare qualsiasi dimostra-
zione, senza però farne mai vedere nessuna. Ma i suoi veri nemici furono i Romani.
Per più di due anni la sua Siracusa fu sotto il loro assedio, e da come stavano andando
le cose c’erano ben poche speranze che la città potesse salvarsi o, quantomeno, man-
tenere la sua indipendenza. Con che animo colui che aveva tenuto in scacco l’esercito
di Marcello avrà appreso che i nemici si erano impossessati dell’Epipole!
Da quel giorno Archimede avrà capito che Siracusa aveva i giorni contati. E
piuttosto che cercare la fuga o arrendersi a Marcello implorando pietà, preferì morire
in compagnia della sua amica più cara: la matematica.
Capitolo 4
1 Il mito
1.1 Sfaccettature
La figura di Archimede è tanto famosa quanto poco conosciuta è la sua opera. Per
quanto strano possa oggi sembrare, questa separazione tra i “detti e fatti memorabili”
e i suoi scritti, cominciò a formarsi già nell’Antichità. Infatti, non pare che nel mondo
classico l’opera matematica di Archimede sia stata studiata con la solerzia che ci si
potrebbe aspettare. Sembra che Archimede stesso avvertisse queste difficoltà, come
39
40 CAPITOLO 4. LA FORTUNA: QUALE ARCHIMEDE?
traspare dal tono – quello sconsolato di uno che sente di non essere compreso – con
cui invia i suoi lavori ad Alessandria.
La scarsa considerazione per la sua opera matematica fa da contraltare alla
fama di cui gode la sua figura. Nel recente libro di Mary Jaeger, Archimedes and the
Roman Imagination (2008), sono raccolte le storie tradizionalmente legate a questo
matematico, quelle che andranno a costruire gli ingredienti fondamentali del mito di
Archimede:
il difensore della patria: vera anima della resistenza contro il barbaro romano; la
manus ferrea che afferra le navi romane e le scaglia in acqua; gli specchi ustori
che bruciano le quinquiremi ecc.
Un mito può essere assai potente. I Greci, inventori della medicina razionale,
della ricerca storica, della filosofia, della matematica con dimostrazione, questi cultori
della razionalità credevano sul serio alla storia di Priamo e di Ettore, Paride ed Elena,
e a tutte le leggende che narravano la guerra di Troia. Forse, osservava Georges
Dumézil (cit. in Lozano 1991, p. 121), qualche dubbio poteva toccarli a proposito
del giudizio di Paride e delle tre dee, ma l’avventatezza di assegnare la mela d’oro ad
Afrodite diveniva ai loro occhi un motivo di spiegazione della vittoria achea, segno
profetico della vocazione greca a conquistare l’Asia. “Il mito e la storia” aggiungeva
Dumézil “risultano allora inestricabilmente intrecciati”.
Così è stato per Archimede. La sua figura è divenuta una figura fondatrice della
nostra civiltà, attraversando, grazie appunto anche alla dimensione mitica, ventitré
secoli. E, come tutti i miti, è stato variamente ricercato e variamente reinterpretato
dalle varie civiltà in cui ha operato. Nelle prossime pagine cercheremo di fornire gli
elementi essenziali per valutare la complessità di questo processo.
1.2 La sirena
Queste varie componenti del mito sono apparentemente contraddittorie. Come conci-
liare il disinteresse che un saggio dovrebbe avere con il coinvolgimento di Archimede
nelle vicende politiche e militari? E come conciliare la vantata rarefatta bellezza della
sua matematica con il fatto che non sdegnava di mischiarsi con opere indegne di un
sapiente, quali la costruzione di macchine e di ordigni? Si tratta di domande in gran
parte frutto diretto o indiretto della penna di Plutarco, che parla a lungo e in vari
luoghi di Archimede; in particolare nel cap. 17 della Vita di Marcello si trova questa
famosa descrizione:
2. LA MATEMATICA DEI DESTINI INCROCIATI 41
restò per lo più inedito, anche se i suoi risultati e l’approccio nei confronti dei Classici
ebbero circolazione nei collegi dei Gesuiti.
Nel corso del Cinquecento la matematica archimedea si impose come modello
da seguire nello studio e nella ricerca: questo risultato è in gran parte dovuto a
Federico Commandino (1509-1575) e alla sua scuola. Se Maurolico non era riuscito a
pubblicare i risultati delle proprie ricerche, l’opera di Commandino ebbe invece vasta
diffusione; egli riunì intorno a sé una scuola di matematici e tecnici assai fiorente a
cavallo tra Cinque e Seicento.
La sua opera fornì ai lettori un filo per riappropriarsi della cultura matematica
greca: il Liber de centro gravitatis solidorum, pubblicato nel 1565, inaugurò un filone
di ricerca originale, destinato ad approdare, con la mediazione di Luca Valerio (1553-
1618), all’invenzione della teoria degli indivisibili di Bonaventura Cavalieri (1598-
1647). Con la loro opera, la riscoperta matematica archimedea si trasformava in
qualcosa di nuovo. Non più studio di singoli oggetti, generati da procedure ben
precise come i cerchi, i coni, le parabole... . Al loro posto si studiano classi di figure,
le più generali possibili, e si cercano metodi generali che possano permetterne lo
studio.
ma che tendono a rileggerla con occhiali moderni. D’altra parte, lo stesso Heiberg
concludeva la prima pubblicazione del palinsesto con questa lapidaria sentenza parole:
Indicato come precursore di ciò che i matematici andavano facendo, finirà rele-
gato nel mondo platonico di cui dicevamo. È la rivincita di Plutarco: Archimede in
quel mondo avrebbe visto anche una matematica che era di là da venire e nelle sue
opere si è voluto di volta in volta trovarci gli indivisibili di Cavalieri; l’idea di limite;
il calcolo integrale; varie nozioni di meccanica; e, in tempi recentissimi, persino il
calcolo combinatorio e la teoria degli insiemi transfiniti.
Per quasi tutto il secolo scorso gli studi sulla sua matematica (e, più in generale
su quella greca) si sono centrati sulla rilettura in chiave moderna dei suoi risultati.
Come scriveva Alexandre Koyré, uno dei padri fondatori della storia della scienza
contemporanea:
nulla ha avuto influsso piú nefasto nella storiografia della nozione di pre-
cursore. Indicare qualcuno come precursore di qualcun altro comporta
inevitabilmente l’impossibilità di comprenderlo.
Pagine scelte
47
48 CAPITOLO 5. PAGINE SCELTE
queste cose similmente le scrissero basandosi sullo stesso fondamento, poiché avviene
che ciascuno di quei teoremi di cui ho detto merita per sé altrettanta fede di qualunque
di quelli che furono dimostrati senza tale fondamento.
Dato poi che non da molto tempo sono stato condotto da quanto ho esposto ad
avere una simile fiducia in questo fondamento, te ne invio per iscritto le dimostrazioni:
come furono anzitutto indagate per mezzo di ragionamenti meccanici, e poi dimostrate
con argomenti geometrici.
Iacopo da San Cassiano, Quadratura Parabolae, in d’Alessandro & Napolitani 2102, pp. 282-
284.
1.3 Spirali
Archimede a Dositeo salute.
Dei teoremi già inviati a Conone, e dei quali sempre mi richiedi di scrivere le
dimostrazioni, hai, la maggior parte di queste, scritte nei libri che ti ha portato
Eraclide: alcune [altre] di esse te le mando scritte in questo libro. Non meravigliarti
se gran tempo ho lasciato trascorrere prima di inviarti le dimostrazioni: infatti è
accaduto che io ho voluto prima presentarle a studiosi di matematica, che preferivano
ricercare essi stessi [le dimostrazioni].
Infatti, quanti teoremi di geometria che non apparivano facili in principio so-
no stati poi portati a compimento? Conone poi, prima che avesse avuto il tempo
sufficiente per il loro esame, è passato ad altra vita: altrimenti egli avrebbe trovato
e reso evidenti queste cose, e molte altre ne avrebbe trovate facendo progredire la
geometria: sappiamo infatti che egli fu straordinariamente abile in matematica e che
fu molto amante del lavoro. Ed essendo passati molti anni dalla morte di Conone,
non sappiamo che da alcuno sia stato risolto nessuno di quei problemi.
Voglio quindi qui uno per uno riportarli, tanto più che accade che sono stati
aggiunti due di essi, che non ho potuto portare a buon fine [testo incerto], sicché
coloro che dicono di [saper] trovare tutto, ma senza riportare alcuna dimostrazione,
vengano confutati per il fatto di aver trovato le cose impossibili.
Ouali siano questi problemi, tanto quelli di cui ti ho già mandato le dimostrazioni,
quanto quelli che ti mando in questo libro, mi è sembrato [opportuno] comunicarti.
[segue l’elenco dei provlemi trattati in SC2]
Di tutti questi problemi [sopra] menzionati Eraclide ti ha portato le dimostrazioni,
ma quel [teorema] che era stato proposto dopo di essi era falso. Esso è: se una sfera
è tagliata da un piano in parti disuguali, il segmento maggiore ha rispetto al minore
ragione duplicata di quella che la superficie maggiore ha rispetto alla minore. Che
questo sia falso risulta manifesto dalle [dimostrazioni] che prima ti sono state inviate:
infatti nelle stesse si trova che se una sfera è divisa in parti disuguali da un piano
perpendicolare a un diametro, la superficie del segmento sferico maggiore ha rispetto
alla minore lo stesso rapporto che la parte maggiore del diametro ha rispetto alla
minore; e che il segmento sferico maggiore ha rispetto al minore rapporto minore
del [rapportol duplicato dì quello che la superficie maggiore ha rispetto alla minore,
quindi maggiore di 3/2.
Anche l’ultimo dei problemi che era stato proposto è falso, ed era: se si divide
il diametro di una qualunque sfera in modo che il quadrato della parte maggiore sia
triplo del quadrato della parte minore, e per quel punto [di divisione del diametro] si
conduce un piano perpendicolare al diametro, [detto piano] taglia la sfera, e la figura
costituita dal segmento sferico è massima fra tutti gli altri segmenti aventi uguale
superficie. Che questa proposizione sia falsa è [reso] manifesto dai teoremi che ti
ho prima inviato: è stato infatti dimostrato che la semisfera è massima fra tutti i
segmenti sferici compresi da una uguale superficie.
Dopo di queste erano proposte [le seguenti proposizioni] sul cono: [si tratta delle
proposizioni relative al paraboloide di rotazione (PDN)] ... Non ancora ti vengono
inviate le dimostrazioni di questi [teoremi].
Dopo di questi sulla spirale erano stati proposti i seguenti: essi sono d’altro
genere e non hanno nulla in comune con quelli prima detti: e di essi ti abbiamo scritto
50 CAPITOLO 5. PAGINE SCELTE
le dimostrazioni in questo libro. Essi sono questi: se una linea retta, rimanendo
[fermo] un estremo, vien fatta rotare nel piano con velocità costante fino a farla
tornare di nuovo nella posizione dalla quale è partita, e insieme con la retta rotante
viene mosso un punto sulla retta con velocità costante cominciando dall’estremo fisso,
il punto descrive nel piano una spirale.
Dico quindi che l’area compresa tra la spirale e la retta che è tornata nella
posizione dalla quale si è mossa, è la terza parte del cerchio descritto con centro
nel punto fisso e con raggio che è la retta percorsa dal punto in una sola rotazione
della retta. E se una retta è tangente ad una spirale nell’ultimo suo termine, e se
dal termine fisso [= principio] della spirale si traccia una retta perpendicolare alla
retta rotata e ricondotta nella posizione [iniziale] [= retta principio della rotazione]
in modo che incontri la tangente, dico che la retta condotta [alla tangente] è uguale
alla circonferenza del cerchio. [...]
Archimede, Spirali, in Frajese 1974, pp. 317-321.
2 La lettera a Eratostene
Si tratta come abbiamo già rilevato del testamento intellettuale di Archimede. Sui due
solidi di cui egli parla all’inizio della lettera, si veda ***Saito Napolitani 2014***.
Archimede ad Eratostene – salute!
Tempo fa ti comunicai per iscritto gli enunciati dei risultati da me trovati, inci-
tandoti a trovare quelle dimostrazioni che non ti dicevo sul momento. Gli enunciati
dei risultati che avevo comunicato erano i seguenti.
Primo: qualora in un prisma retto che ha un parallelogrammo come base sia
inscritto un cilindro che ha le basi nei parallelogrammi opposti e i lati tangenti alle
quattro facce che restano, e per il centro del cerchio che è base del cilindro e per un
solo lato del quadrato nella faccia opposta sia condotto un piano, il piano condotto
resecherà dal cilindro un segmento che è compreso da due piani e da una superficie
cilindrica – un piano è quello condotto, l’altro quello in cui è la base del cilindro,
mentre la superficie è quella tra i detti piani – e il segmento resecato dal cilindro è la
sesta parte dell’intero prisma.
L’enunciato dell’altro risultato è il seguente: qualora in un cubo sia inscritto un
cilindro che ha le basi sui parallelogrammi opposti e la superficie tangente alle quattro
facce che restano, e nello stesso cubo sia inscritto anche un altro cilindro che ha le
basi in altri parallelogrammi e la superficie tangente alle quattro facce che restano,
la figura circondata dalle superfici dei cilindri (quella che è in entrambi i cilindri) è
due terzi dell’intero cubo.
Si dà il caso che questi risultati siano di natura differente da quelli da me scoperti
in precedenza. In effetti, misi in relazione quelle figure – i conoidi, gli sferoidi e i
loro segmenti – sia tra loro che con coni e cilindri, ma nessuna di esse si è trovata
essere uguale a una figura solida compresa da piani, mentre ciascuna di queste figure
comprese da due piani e da una superficie cilindrica si scopre uguale ad una figura
solida compresa da piani.
Ecco, nel presente libro vado a comunicarti per iscritto le dimostrazioni di questi
risultati. Sapendoti però, come ho detto, curioso intellettualmente, sempre in prima
3. DALL’ARENARIO 51
fila nella ricerca del sapere e all’occasione in grado di apprezzare al meglio le argo-
mentazioni matematiche, mi è sembrato opportuno esporti in dettaglio per iscritto
nello stesso libro le peculiarità di una particolare procedura, grazie alla quale, una
volta assimilata, sarà agevole prendere le mosse per essere in grado di stabilire qual-
che risultato matematico in virtù di considerazioni meccaniche – e sono d’altronde
convinto che essa sia non meno utile in vista della dimostrazione dei risultati stessi.
In effetti, alcuni risultati che mi si erano in un primo momento rivelati per via
meccanica sono poi stati da me dimostrati per via geometrica, dato che lo stabilire
risultati per mezzo di questa procedura si situa al di fuori di un contesto dimostrativo.
È infatti più agevole elaborare una dimostrazione di quanto ricercato una volta che
siano poste delle linee guida per mezzo della procedura piuttosto che mettersi a
ricercare senza alcuna linea guida. Per questo motivo, della scoperta di quei risultati
di cui Eudosso diffuse per primo la dimostrazione – a proposito del cono e della
piramide, che il cono è la terza parte del cilindro (e la piramide del prisma) che ha la
stessa base e altezza uguale – una parte non piccola del merito andrebbe assegnata a
Democrito, che per primo fece quest’asserzione riguardo alla detta figura al di fuori
di un contesto dimostrativo.
Mi è capitato che anche la scoperta del risultato cui ora do diffusione si sia pro-
dotta in modo analogo a quelle precedenti; volevo d’altronde far circolare la procedura
per iscritto, vuoi perché, essendomi espresso su di essa in precedenza, non paresse
a qualcuno che parlavo a vanvera, 7 vuoi perché sono convinto che se ne produca
un’utilità non piccola per la materia – ritengo infatti che certuni (nel presente o nel
futuro) potranno scoprire, grazie al metodo, altri risultati che non mi sono ancora
venuti a mente.
Trascrivo dunque per primo quel risultato che, a sua volta, mi si rivelò per primo
in virtù di considerazioni meccaniche: ogni segmento di sezione di cono rettangolo
[= parabola] è quattro terzi di un triangolo che ha come base la stessa e altezza
uguale; e dopo di esso ciascuno di quelli stabiliti per mezzo della stessa procedura;
alla fine del libro trascrivo le dimostrazioni in stile geometrico di quei risultati di cui
in precedenza ti comunicai gli enunciati.
Archimede ad Eratostene sui risultati meccanici in Acerbi et al. 2013, pp. 99-102
3 Dall’Arenario
Archimede vuol calcolare il numero di granelli di sabbia che si dovrebbero ammassare
per riempirlo completamente la sfera del Cosmo. Prendendo come diametro quello
ammesso da sistemi geocentrici quali quelli di Eudosso e di Aristotele, arriva a un
numero di granelli pari circa a 1051 . Ma Archimede è anche al corrente che il suo
contemporaneo Aristarco di Samo aveva ipotizzato un Mondo ben più grande. Per
Aristarco, infatti, il sistema del Mondo è eliocentrico ed eliostatico: il Sole è immobile
al centro dell’universo, e la Terra gli orbita intorno descrivendo una circonferenza,
il cui diametro è insensibile rispetto a quello del Cosmo. Archimede, allora, rifà il
conto adottando come diametro del Mondo quello fornito da Aristarco e ottiene un
numero di granelli di sabbia circa eguale a 1063 .
Alcuni pensano, o re Gelone, che il numero [dei granelli] della sabbia sia infinito
in quantità: dico non solo quello dei [granelli di sabbia] che sono intorno a Siracusa
52 CAPITOLO 5. PAGINE SCELTE
e nel resto della Sicilia, ma anche di quello [dei granelli di sabbia] che sono in ogni
regione, sia abitata sia non abitata. Vi sono poi alcuni che ritengono che quel numero
non sia infinito, ma che non si possa nominare un numero che superi la sua quantità.
È chiaro che se coloro che così pensano si rappresentassero un volume di sabbia
di grandezza tale quale quello della Terra, avendo riempito tutti i mari e tutte le
depressioni fino a raggiungere l’altezza delle più alte montagne, molto meno com-
prenderebbero che si possa nominare un numero che superi quella quantità. Ma io
tenterò di mostrarti, per mezzo di dimostrazioni geometriche che tu potrai seguire,
che dei numeri da noi denominati ed esposti negli scritti inviati a Zeusippo, alcuni
superano non soltanto il numero [dei granelli] della sabbia aventi [nell’insieme] gran-
dezza uguale alla Terra riempita come abbiamo detto, ma anche grandezza uguale al
cosmo [intero].
Tu sai che dal più gran numero di astrologi vien chiamata cosmo la sfera il cui
centro è il centro della Terra, e il [cui] raggio è uguale alla retta compresa tra il centro
del Sole e il centro della Terra: questo l’hai appreso dalle dimostrazioni scritte dagli
astrologi. Aristarco di Samo, poi, espose per iscritto alcune ipotesi, secondo le quali
si ricava che il cosmo è più volte maggiore di quello suddetto. Suppone infatti che le
stelle fisse e il Sole rimangano immobili, e che la Terra giri seguendo la circonferenza
di un cerchio, attorno al Sole, che sta nel mezzo dell’orbita.
[...]
Credo, o re Gelone, che queste cose sembreranno incredibili alla maggior parte
di coloro cui le matematiche non sono familiari; ma quelli che in esse sono versati e
che hanno meditato sulle distanze e le dimensioni della Terra, del Sole e del Cosmo
intero le ammetteranno dopo la mia dimostrazione.
Archimede, Arenario, in Frajese 1974, p. 447.
Capitolo 6
Ulteriori letture
• Dijksterhuis 1989
Eduard J. Dijksterhuis, Archimede. Con un saggio bibliografico di W.R. Knorr,
Ponte alle Grazie, Firenze, 1989. La bibliografia di Knorr, aggiornata al 1989,
fornisce una panoramica dello stato degli studi archimedei del secolo scorso.
• Russo 2001
Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli, Milano, 2001.
Su Internet si trovano varie fonti relative ad Archimede. Segnaliamo il bel sito della
Drexel University di Philadelphia:
• Chris Rorres
http://www.mcs.drexel.edu/ crorres/Archimedes/contents.html
ricchissimo di materiale iconografico; in esso troverete anche le fonti classiche
(in originale e in traduzione inglese) su Archimede.
• Napolitani 2007
Pier Daniele Napolitani, Il Rinascimento italiano, in La matematica. I luoghi
e i tempi, a cura di C. Bartocci e P. Oddifreddi, Torino, Einaudi, 2007, pp.
237-281.
53
54 CAPITOLO 6. ULTERIORI LETTURE
Molto bello il catalogo della mostra tenuta ai Musei Capitolini a Roma nel 2013 (era
il 2300-esimo anniversario di Archimede):
• Archimede 2013
Archimede. Arte e scienza dell’invenzione a cura di G. di Pasquale e C. Parisi
Presicce, Firenze-Milano, GAMM-Giunti, 2013. Oltre al catalogo riccamente
illustrato della mostra, contiene una trentina di saggi e una vasta bibliografia
su tutti gli aspetti della figura e dell’opera di Archimede.
2 Fonti
Il riferimento fondamentale è la seconda edizione di Heiberg:
• Heiberg 1910-15
Archimedis opera omnia cum commentariis Eutocii, Iterum edidit Iohan Ludvig
Heiberg, I, Lipsiae, in Aedibus B.G. Teubneri, 1910-15 [ristampata a cura di
E.S. Stamatis, Stuttgart, 1972].
L’opera di Heiberg è accessibile solo a chi conosca il greco o il latino; ne esistono però
due traduzioni francesi integrali:
• Mugler 1970-72
Charles Mugler (Les oeuvres d’Archimède, Paris, Les Belles lettres, 1970-72, 4
voll. con testo greco a fronte)
• Frajese 1974
Attilio Frajese Opere di Archimede, UTET, Torino, 1974.
Esiste una traduzione inglese della Sfera e cilindro e del relativo commento di Eutocio:
• Netz 2004
Reviel Netz, The Two Books “On the Sphere and the Cylinder”, Cambridge,
Cambridge University Press, 2004
• Frajese 1974
Attilio Frajese Opere di Archimede, UTET, Torino, 1974.
Infine, data l’importanza che Plutarco ha avuto per la formazione del mito archime-
deo:
• Plutarco 1996
Plutarco, Marcello, in Vite a cura di D. Magnino, vol. IV, Torino, UTET, 1996,
pp. 219-303, in part. 256-271.
3 Approfondimenti e letteratura
Troverete qui – in ordine di apparizione nel testo – i libri e gli articoli che abbiamo
via via richiamato:
• Blass 1883a
Friederich Blass, Der Vater des Archimedes, in “Astronomische Nachrichten”,
vol. 104, pp. 255-256.
• Blass 1883b
—, Zu Archimedes, “Jarbücher für classische Philologie”, 1883, p.382.
• Braccesi 2015
Lorenzo Braccesi, Archimede, appunti per una biografia, “Sicilia Antiqua” 12,
2015, pp. 113-114.
• Marrou 2010
Henri-Irénée Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, Roma, Studium,
2010.
• Porciani 2010
Leone Porciani, Guerra e paideia nella Grecia antica, in Formare alle professio-
ni. La cultura militare fra passato e presente, a cura di M. Ferrari e F. Ledda,
Milano FrancoAngeli, 2010, pp. 35-48.
• Acerbi 2007
Fabio Acerbi, Una scuola matematica alessandrina?, in La matematica. I luoghi
e i tempi, pp. 65-90.
• Bagnall 2002
Roger S. Bagnall, Alexandria: Library of Dreams, “Proceedings of the American
Philosophical Society” vol. 146, n. 4, December 2002, pp. 348-362.
56 CAPITOLO 6. ULTERIORI LETTURE
• Fraser 1972
Paul M. Fraser, Ptolemaic Alexandria, Oxford, Clarendon Press, 1972, 3 voll.
• Di Pasquale 2013
Giovanni di Pasquale, Tra Siracusa e Alessandria: Il Mediterraneo come net-
work tecnologico, in Archimede 2013, pp. 76-81.
• Di Pasquale 2010
—, The “Syrakousia” Ship and the Mechanical Knowledge between Syracuse
and Alexandria, in The Genius of Archimedes , a cura di S. A. Paipetis e M.
Ceccarelli, Dordrecht-Heidelberg-London-New York, Springer, 2010, pp. 289-
301.
• Rossi 2010
Cesare Rossi, Archimedes’ Cannons Against the Roman Fleet? in The Genius
of Archimedes, pp. 113-131.
• Braccesi 2008
Lorenzo Braccesi, L’assassinio di Archimede, “Hesperìa”, 22, 2008, pp. 161-166.
Il corpus archimedeo
• Knorr 1978
Wilbur B. Knorr, Archimedes and the Elements: Proposal for a Revised Chro-
nological Ordering of the Archimedean Corpus, “Archive for History of Exact
Sciences”, 19 (1978), pp. 211-290.
• Vitrac:1998
Bernard Vitrac, À propos de la chronologie des œuvres d’Archimède, in Mathé-
matiques dans l’Antiquité, a cura di J.-Y. Guillaumin, Saint-Etienne, Publica-
tions de l’Université, 1992, pp. 59-91.
• Knorr 1978
Wilbur B. Knorr, Textual Studies in Ancient and Medieval Geometry, Boston,
Birkhäuser, 1989.
• Berggren 1977
Len Berggren, Spurious Theorems in Archimedes Equilibria of Planes, Book I,
“Archive for History of Exact Sciences”, 16 (1976-1977), pp. 87-103.
• Morelli 2009
Giuseppe Morelli, Lo Stomachion di Archimede nelle testimonianze antiche,
“Bollettino di Storia delle scienze matematiche”, 29, 2009, pp. 181-206.
3. APPROFONDIMENTI E LETTERATURA 57
• Saito & Napolitani Ken Saito e Pier Daniele Napolitani, Reading the Lost
Folia of the Archimedean Palimpsest, in From Alexandria, Through Baghdad. ,
a cura di N. Sidoli e G. Van Brumellen, Berlin-Heidelberg, Springer, 2014, pp.
199-226.
• Clagett 1964-1984
Archimedes in the Middle Ages, 5 voll; vol. 1, Madison, The University of
Wisconsin Press, 1964; voll. 2-5, Philadelphia, The American Philosophical
Society 1976-1984.
• Netz 2012
Reviel Netz, Archimedes’ Writings: Through the Heiberg’s Veil, in The History
of Mathematical Proofs in Ancient Traditions, a cura di K. Chemla, New York,
Cambridge University Press, 2012, pp. 163-205.
• Acerbi 2010
Fabio Acerbi, Il silenzio delle sirene, Roma, Carocci, 2010.
• Lozano 1991
Jorge Lozano, Il discorso storico, Palermo Sellerio, 1991.
• Banker 2005
James R. Banker, A Manuscript of the Works of Archimedes in the Hand of
Piero della Francesca, in “The Burlington Magazine”, 147 (marzo 2005), pp.
165-169