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Marco Rigoli

(APPUNTI DI)
GEOMETRIA 3
A.A. 2018–2019
Questa dispensa è stata realizzata da (ordine alfabetico)
Alessandro Di Tocco, Samuele Gatti, Michael Moroni, Matteo Salvi, altri.

Ultima modifica: Ottobre 2018.

Avvertenze

Questa dispensa nasce dalla trascrizione degli appunti manoscritti del docente. Non ci si
assume la responsabilità di eventuali errori e si invita a segnalarli – o a inviare un feedback – a
michael.moroni@studenti.unimi.it e a paolo.mastrolia@unimi.it.
Indice

1 Spazi topologici 1
1.1 Spazi topologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Spazi metrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.3 Topologia prodotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.4 Topologia sottospazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.5 Interno e chiusura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.6 Assiomi di separazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.7 Intorni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

2 Funzioni continue e successioni 21


2.1 Funzioni continue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2.2 Spazi vettoriali topologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
2.3 Successioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.4 Completamento di uno spazio metrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
2.5 Compattezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
2.6 Curve di tipo Peano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

3 Compattezza e connessione 41
3.1 Ancora sulla compattezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
3.2 Il teorema di Ascoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
3.3 Connessione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
3.4 Componenti connesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

4 Ulteriori assiomi di separazione 60


4.1 Spazi regolari e normali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60
4.2 Il lemma di Urysohn e alcune sue conseguenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69

5 Gruppo fondamentale e ricoprimenti 74


5.1 Omotopia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74
5.2 Gruppo fondamentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
5.3 Ricoprimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81

iii
Capitolo 1

Spazi topologici

1.1 Spazi topologici


Definizione 1.1. Una topologia su un insieme X 6= ∅ è una collezione τ ⊆ P(X) con le seguenti
proprietà:
A1. X, ∅ ∈ τ ;
S
A2. ∀ I insieme di indici e ∀ Ai ∈ τ, i ∈ I, i∈I Ai ∈ τ ;
Tn
A3. ∀ J insieme di indici finito, cioè con |J|= n < +∞, ∀ Aj ∈ τ, j ∈ J, j=1 Aj ∈ τ .
Definizione 1.2. Gli elementi di τ si dicono gli aperti della topologia, la coppia (X, τ ) si dice
uno spazio topologico e gli elementi di X vengono generalmente chiamati punti.
Definizione 1.3. Sia Y ⊂ (X, τ ), allora Y si dice chiuso se c Y ∈ τ . c Y = X \ Y = {x ∈ X : x 6∈
Y } si dice il complementare (in X) di Y .
Proposizione 1.4. Sia σ ⊆ P(X) la famiglia di chiusi dello spazio topologico (X, τ ). Allora σ
gode delle seguenti proprietà:
C1. X, ∅ ∈ σ;
T
C2. ∀ I insieme di indici e ∀ Ci ∈ σ, i ∈ I, i∈I Ci ∈ σ;
Sm
C3. ∀ J insieme di indici finito, cioè con |J|= m < +∞, ∀ Cj ∈ σ, j ∈ J, j=1 Cj ∈ σ.
Dimostrazione.
1. X = c ∅, ∅ = c X;
c T
2. ( i∈I Ci ) = i∈I c Ci ;
S

c
Sm Tm c
3. Supponendo |J|= m, allora ( j=1 Cj ) = j=1 Cj .

Proposizione 1.5. Sia σ ⊆ P(X) con X 6= ∅ una famiglia con le proprietà della proposizione
1.4 e sia τ = {c C : C ∈ σ}. Allora τ definisce una topologia su X.
Nota. X e ∅ sono sempre contemporaneamente sia aperti sia chiusi.

1
2 1. SPAZI TOPOLOGICI

Esempio 1.6. 1. X 6= ∅, τ = {X, ∅} definisce una topologia che si dice topologia banale;

2. X 6= ∅, τ = P(X) definisce una topologia che si dice topologia discreta;

3. X 6= ∅, τ = {∅} ∪ {U ∈ X : |c U |< +∞}: τ definisce una topologia che si dice del


complemento finito (topologia cofinita);

4. X 6= ∅, (X, ≤) con ≤ ordine totale. A ∈ τ se e solo se ∀ x ∈ A, y ≤ x implica y ∈ A;

5. X 6= ∅, τ = {∅} ∪ {U ∈ X : c U è al più numerabile }: τ definisce una topologia che si dice


topologia del complemento numerabile.
Definizione 1.7. Sia (X, τ ) uno spazio topologico. Una base B per la topologia τ è una collezione
B ⊆ τ tale che ogni aperto di τ si ottiene come unione di elementi di B.
Proposizione 1.8. Sia B una base di τ . Allora valgono le seguenti due proprietà:

1. ∀ x ∈ X, ∃ B ∈ B : x ∈ B;

2. Se B1 , B2 ∈ B e x ∈ B1 ∩ B2 , allora ∃ B3 ∈ B : x ∈ B3 ⊆ B1 ∩ B2 .

Dimostrazione. Sia x ∈ X; allora, poiché X è unione di elementi della base, esiste un B ∈ B


tale che x ∈ B. Se poi x ∈ B1 ∩ B2 , allora questo è un aperto, e dunque è unione di elementi
della base, per cui esiste un B3 ∈ B tale che x ∈ B3 .

Definizione 1.9. Dato un insieme X 6= ∅ e una collezione B ⊆ P(X) soddisfacente le proprietà


della proposizione 1.8, si definisce la topologia τ generata da B (per la quale ovviamente B
risulta essere una base) nel modo seguente: A ⊆ X è aperto se e solo se ∀ x ∈ A, ∃ B ∈ B : x ∈
B ⊆ A oppure A = ∅.
Si verifica immediatamente che la famiglia τ così definita verifica gli assiomi della definizione
1.1.
Si supponga ora che τ 0 sia una seconda topologia che ammette B come base. Poiché gli
elementi di B sono aperti in τ 0 è chiaro che τ ⊆ τ 0 . Il viceversa è altrettanto ovvio. Ha dunque
senso parlare della topologia generata da B e non di una topologia generata da B.
Definizione 1.10. Siano τ1 e τ2 due topologie su X 6= ∅. τ1 si dice meno fine di τ2 se τ1 ⊆ τ2 ,
strettamente meno fine se τ1 ⊂ τ2 .
Esempio 1.11. Si consideri (R, ≤), cioè la retta reale con il suo ordine naturale e sia

B = {(a, b) : a < b, a, b ∈ R}

dove
(a, b) = {x ∈ R : a < x < b}.

Allora B è una base, da cui è stata costruita τ , che prende il nome di topologia della retta
reale. Si indica con
τ1 = {A ⊂ R : ∀ x ∈ A, y ≤ x ⇒ y ∈ A} ∪ {∅};

proviamo che τ non è comparabile con τ1 , cioè né τ è meno fine di τ1 né viceversa. Infatti
(−∞, a] ∈ τ1 ma (−∞, a] 6∈ τ e (a, b) ∈ τ ma (a, b) 6∈ τ1 .
1.2. SPAZI METRICI 3

1.2 Spazi metrici


Particolarmente importanti sono gli spazi metrici. Cominciamo col definire la nozione di distanza.
Definizione 1.12. Sia X 6= ∅ un insieme. Si definisce una distanza su X come una funzione

X × X → R+
0 = [0, +∞)

che soddisfi le seguenti proprietà ∀ x, y, z ∈ X:


1. d(x, y) = 0 ⇐⇒ x = y (riflessività);
2. d(x, y) = d(y, x) (simmetria);
3. d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y) (disuguaglianza triangolare).
Definizione 1.13. Uno spazio metrico (X, d) è un insieme X 6= ∅ munito di una distanza d.
Definizione 1.14. Siano R ∈ R+ = (0, +∞) e x ∈ (X, d). Si dice bolla di centro x e raggio R
l’insieme
BR (x) = {y ∈ X : d(y, x) < R}.
Proposizione 1.15. Sia (X, d) uno spazio metrico. La famiglia

B = {BR (x) : x ∈ X, R ∈ R+ } (1.1)

soddisfa le proprietà di una base.


Dimostrazione. Si veda la figura 1.1.
1. È evidente che, ∀ x ∈ X, x ∈ BR (x), ∀ R > 0, poiché d(x, x) = 0 < R;

2. Sia ora z ∈ BR (x) ∩ BT (y). Posto R = d(x, z), allora Bε1 (z) con ε1 = R−R
2 è un intorno
T −T
centrato in z e contenuto in BR (x). Per T = d(z, y) e ε2 = 2 , si ha che Bε2 (z) ⊂ BT (y),
dunque, posto ε = min{ε1 , ε2 }, Bε (z) ⊂ BR (x) ∩ BT (y).

Definizione 1.16.
• Sia (X, d) uno spazio metrico. La topologia generata da B in (1.1) si dice topologia
indotta dalla distanza d.
• Uno spazio topologico (X, τ ) si dice metrizzabile se esiste una distanza d che induce la
topologia τ .
• Due distanze d e d0 si dicono topologicamente equivalenti se inducono la stessa topologia
τ.
Esempio 1.17. Sia (X, d) uno spazio metrico e indichiamo con τ la topologia indotta da d. Si
definisce d1 ponendo ∀ x, y ∈ X

d1 (x, y) = min{1, d(x, y)};

d1 è una distanza.
Dimostrazione.
1. d1 (x, y) = min{1, d(x, y)} ≥ 0 e d1 (x, y) = 0 ⇐⇒ d(x, y) = 0, cioè x = y;
4 1. SPAZI TOPOLOGICI

R z T
x y

Figura 1.1: Dimostrazione grafica del secondo punto della definizione di base. Il primo cerchio è Bε1 (z)
mentre quello più interno è Bε2 (z).

2. d1 (y, x) = min{1, d(y, x)} = min{1, d(x, y)} = d1 (x, y);

3. d1 (x, z) + d1 (z, y) = min{1, d(x, z)} + min{1, d(z, y)} ≥ min{1, d(x, z) + d(z, y)} ≥
≥ min{1, d(x, y)} = d1 (x, y).

Esempio 1.18. Sia B come in (1.1) e sia

B1 = {B̂R (x) : x ∈ X, R ∈ R+ }

con
B̂R (x) = {y ∈ X : d1 (x, y) < R}.

Si indichi con τ1 la topologia indotta da d1 . Per mostrare che τ ≡ τ1 è sufficiente provare


che, ∀ x ∈ X, R ∈ R+ , BR (x) ∈ τ1 e B̂R (x) n
∈ τ. o
Sia dunque y ∈ BR (x) e sia ε < min 1, R−d(y,x)2 . Allora BR (x) ⊇ Bε (y) = {z ∈ X :
d(z, y) < ε} = {z ∈ X : d1 (x, y) = min{1, d(x, y)} < ε} = B̂ε (y).

y
x
1.3. TOPOLOGIA PRODOTTO 5

y
f (x) + ε

g(x)
f (x)

f (x) − ε

Figura 1.2: Rappresentazione di g ∈ Bε (f ).

Con ciò BR (x) ∈ τ1 . Il viceversa è altrettanto ovvio.


Al posto di d1 si sarebbe potuto, sempre a partire da d, introdurre la seguente distanza:
∀ x, y ∈ X
d(x, y)
d2 (x, y) = .
1 + d(x, y)
Si verifica che anche d2 è una distanza su X ed è topologicamente equivalente a d.
Esempio 1.19. Sia [a, b] ⊂ R e sia C 0 ([a, b]) l’insieme delle funzioni continue a valori in R,
definita su [a, b]. Dunque f ∈ C 0 ([a, b]) se e solo se f : [a, b] → R e f è continua in ogni punto di
[a, b] secondo l’usuale definizione dell’analisi e cioè f è continua in x0 ∈ [a, b] se

lim f (x) = f (x0 )


x→x0

cioè se ∀ ε > 0 esiste δ = δ(ε, x0 ) : ∀ x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) si abbia

|f (x) − f (x0 )|< ε.

Si definisce in C 0 ([a, b]) una distanza d ponendo ∀ f, g ∈ C 0 ([a, b])

d(f, g) = sup |f (t) − g(t)|.


t∈[a,b]

È facile verificare che d è una metrica. Inoltre, d induce su C 0 ([a, b]) una topologia detta
della convergenza uniforme. Dato f ∈ C 0 ([a, b]) e fissato ε > 0

Bε (f ) = {g ∈ C 0 ([a, b]) : sup |f (t) − g(t)|< ε}.


t∈[a,b]

Dunque la bolla di raggio ε e centrata in f si può rappresentare graficamente come in figura


1.2.

1.3 Topologia prodotto


Spesso risulta di una certa utilità la seguente definizione.
6 1. SPAZI TOPOLOGICI

Definizione
S 1.20. Si dice sottobase ζ di una topologia su X una collezione ζ ⊆ P(X) tale che
X= S
S∈ζ
Considerando la collezione Bζ di tutte le intersezioni finite di elementi di ζ è immediato
verificare che Bζ è una base e la topologia che esso genera si dice la topologia generata dalla
sottobase ζ.
Siano (X, τ ), (Y, ζ) due spazi topologici e sia B ⊆ P(X × Y ) la collezione dei sottoinsiemi di
X × Y definita nel modo seguente

B = {U × V : U ∈ τ, V ∈ ζ} ;

B ha la proprietà di una base, cioè

1. ∀ (x, y) ∈ X × Y, ∃ U × V ∈ B : (x, y) ∈ U × V ;

2. Se (x, y) ∈ (U1 ×V1 )∩(U2 ×V2 ) = (U1 ∩U2 )×(V1 ∩V2 ) allora ∃ U3 ×V3 ∈ B : (x, y) ∈ U3 ×V3
e U3 × V3 ⊆ (U1 × V1 ) ∩ (U2 × V2 ).

Entrambe le proprietà sono di immediata verifica, come mostra la figura 1.3.

Y Y

V1 (x, y)
V V2
(x, y)

X X
U U1 U2

Figura 1.3

Definizione 1.21. Si dice topologia prodotto di X × Y la topologia generata dalla base B.


Proposizione 1.22. Se B è una base di (X, τ ) e C è una base di (Y, ζ), allora

D = B × C = {B × C : B ∈ B, C ∈ C}

è una base per la topologia prodotto.

Dimostrazione.

1. Sia W ⊂ X × Y aperto e (x, y) ∈ W , allora ∃ U ∈ τ, V ∈ ζ : (x, y) ∈ U × V ⊆ W .

2. Essendo B e C basi esistono U1 ⊂ U, U1 ∈ B, U1 3 x e V1 ⊂ V, V1 ∈ C, V1 3 y tali che


(x, y) ∈ U1 × V1 ⊂ U × V ⊆ W . Poiché U1 × V1 è aperto nella topologia prodotto se ne
deduce che D è una base per tale topologia.
1.3. TOPOLOGIA PRODOTTO 7

Esempio 1.23. Siano (R, τ ), (R, τ ) due copie di R con l’usuale topologia, per la quale la famiglia

B = {(a, b) ⊂ R : a < b, a, b ∈ R}

è una base per la topologia. Allora

D = {(a1 , b1 ) × (a2 , b2 ) : a1 < b1 , a2 < b2 , a1 , a2 , b1 , b2 ∈ R}

è una base per la topologia τ di R2 = R × R ma R2 è anche munito di una topologia metrica


indotta dalla base
U = {BR ((x, y)) : (x, y) ∈ R2 , R ∈ R+ }
e p
d ((x, y), (z, w)) = (x − z)2 + (y − w)2 .

È facile vedere che D e U inducono la medesima topologia su R2 (si veda la figura 1.4), per
cui possiamo dire che τ1 è metrizzabile.

Y Y

d
d
R
R (x, y)
(x, y)
c

a X a X
b b

Figura 1.4

Dati X e Y due insiemi generici, esistono due mappe, le proiezioni canoniche πX e πY definite
rispettivamente da πX (x, y) = x e πY (x, y) = y.

X ×Y
πX πY

X Y

Ovviamente entrambe le mappe sono suriettive. Ad esempio


−1
πX ({x}) = {(x, y) : y ∈ Y },

πY−1 ({y}) = {(x, y) : x ∈ X}.


8 1. SPAZI TOPOLOGICI

Proposizione 1.24. Siano (X, τ ) e (Y, ζ) due spazi topologici. La famiglia

T = {πx−1 (U ) : U ∈ τ } ∪ {πy−1 (V ) : V ∈ ζ}

è una sottobase della topologia prodotto.

Dimostrazione. Si veda la figura 1.5.


−1
∀ U ∈ τ, V ∈ ζ, U × V = πX (U ) ∩ πY−1 (V )

−1
πX (U )
Y

U ×V πY−1 (V )

a X
b

Figura 1.5

1.4 Topologia sottospazio


Si vede ora come definire la topologia su sottoinsiemi Y di uno spazio topologico (X, τ ).
Definizione 1.25. Sia (X, τ ) uno spazio topologico. Se Y ⊂ X, la collezione τY = {Y ∩U : U ∈ τ }
è una topologia per Y , chiamata topologia di sottospazio. Con questa topologia Y è detto
un sottospazio di X.
Che τY sia una topologia su Y è immediato.

Dimostrazione. Per la definizione 1.1:

1. ∅ = ∅ ∩ Y , Y = Y ∩ X;
S S 
2. Se Y ∩ Ui ∈ τY , con i ∈ I, allora i∈I (Y ∩ Ui ) = Y ∩ i∈I Ui ∈ τY ;

3. Se Y ∩ U1 , Y ∩ U2 ∈ τY , allora (Y ∩ U1 ) ∩ (Y ∩ U2 ) = Y ∩ (U1 ∩ U2 ) ∈ τY .

Proposizione 1.26. Sia B una base di τ , topologia di X, e sia Y ⊆ X. Allora BY = {Y ∩ B :


B ∈ B} è una base della topologia del sottospazio Y .
1.4. TOPOLOGIA SOTTOSPAZIO 9

Esempio 1.27. Siano X = R e Y = (0, 1]. AlloraBY = {(a, b)∩ (0, 1] : a < b} è una base per
la topologia di sottospazio di Y . Si noti che 21 , 1 ∩ Y = 21 , 1 è aperto sia in Y sia in X ma
1 3 1
 
2 , 2 ∩ Y = 2 , 1 è aperto in Y ma non in X.
Proposizione 1.28. Se Y è un sottospazio aperto di (X, τ ) e U è aperto in Y allora U è aperto
in X.

Dimostrazione. U = A ∩ Y , con A aperto di X; ma Y è aperto, allora U è aperto perché


intersezione di aperti.

Proposizione 1.29. Se A è sottospazio di X e B è sottospazio di Y allora la topologia prodotto


su A × B coincide con quella ereditata da X × Y .

Dimostrazione. Un aperto della base di A è del tipo U ∩ A, con U aperto di X; un aperto della
base di B è del tipo V ∩ B, con V aperto di Y . Un aperto della base del prodotto A × B è quindi

(U ∩ A) × (V ∩ B) = (U × V ) ∩ (A × B),

cioè un aperto della topologia di sottospazio. Analogamente il viceversa.

Esempio 1.30. In R si consideri la collezione

Bl = {[a, b) : a < b} ,

che ha la proprietà di una base e dà origine a una topologia che prende il nome di topologia
del limite inferiore.
Si consideri Rl × Rl con la topologia prodotto, per la quale una base è fornita dalla collezione

B 0 = {[a1 , b1 ) × [a2 , b2 ) : a1 < b1 , a2 < b2 };

sia L = {(x, y) ∈ R2 : y = x} la bisettrice del I e III quadrante. Dalla figura si evince che la
topologia di L è quella di Rl .

Y
d2

d1

c2

c1

a1 X
b1 b1 a2 b2
10 1. SPAZI TOPOLOGICI

1.5 Interno e chiusura


Definizione 1.31. Sia A ⊆ (X, τ ). Si definisce interno di A e lo si indica con Å l’unione di
tutti gli aperti contenuti in A. Si dice chiusura di A (A) l’intersezione di tutti i chiusi che
contengono A.
Si assuma che per definizione A non è vuoto poiché ∅ ∈ τ e X è chiuso.
Esempio 1.32.

• In R sia A = [a, b). Allora Å = (a, b) e A = [a, b].

• In Rl , Å = A e A = A. Si prova infatti che c A in Rl è aperto:


c
A = (−∞, a) ∪ [b, +∞),

quindi
S
• [b, +∞) = n∈N [b, n)
e dunque è aperto;
1
S  
• (−∞, a) = n>1 a − n, a − n e dunque è aperto.

Ne segue allora che c A è aperto. Dunque, come si usa dire, A = [a, b) è un insieme
claperto (in inglese, clopen set) in Rl , cioè un insieme che è al contempo chiuso e aperto
nella topologia di Rl .

Chiaramente
Å ⊆ A ⊆ A
e il precedente esempio mostra che può essere

Å = A = A.

Tuttavia, le inclusioni possono essere proprie, come è ad esempio il caso di A = [a, b) in R.


Proposizione 1.33. Sia Y un sottospazio di X e sia A ⊂ Y . Siano A la chiusura di A in X e
Y
A la chiusura di A in Y . Risulta allora che
Y
A = A ∩ Y.
Y
Dimostrazione. Poiché A è l’intersezione di tutti i chiusi che contengono A, e A∩Y è un chiuso
Y Y
in Y che contiene A, A ⊆ A ∩ Y . Inoltre, A ⊆ A = C ∩ Y , con C chiuso in X. Perciò A ⊆ C,
Y
e quindi A ∩ Y ⊆ C ∩ Y = A .

Definizione 1.34. Sia x ∈ (X, τ ). Si dice intorno di x un qualsiasi aperto U che lo contiene.
Equivalentemente si dice intorno di x un qualunque insieme S contenente un aperto U che
contiene x.
Teorema 1.35. Sia A ⊂ (X, τ ), allora x ∈ A se e solo se ogni intorno U di x interseca A, cioè
A ∩ U 6= ∅.
Osservazione 1.36. Chiaramente a U si può sostituire il generico intorno di x appartenente a
una base di τ .

Dimostrazione.

⇐ Sia x 6∈ A; allora x ∈ X \ A ∈ τ e, posto U = X \ A, x ∈ U e U ∩ A = ∅.


1.5. INTERNO E CHIUSURA 11

⇒ Se ∃ x ∈ U e U ∩ A = ∅ allora X \ U è chiuso e X \ U ⊃ A, quindi X \ U ⊃ A, da cui


x 6∈ A.

Esempio 1.37. In R sia B = n1 : n ∈ N , allora B = 0, . . . , 21 , 1 = {0} ∪ B.


 

Definizione 1.38. Sia A ⊂ (X, τ ). Un punto x ∈ X si dice di accumulazione o punto limite


per A se ∀ U ∈ τ, x ∈ U, {A ∩ U } \ {x} =
6 ∅, cioè U contiene almeno un punto di A che non sia x.
Equivalentemente, x è punto di accumulazione di A se x ∈ A \ {x}. Più in generale x è punto
di aderenza per A se x ∈ A. Dato A ⊂ (X, τ ) si indica con A0 ⊂ X l’insieme dei suoi punti di
accumulazione (a volte si usa per A0 il termine insieme derivato di A).
Teorema 1.39. Sia A ⊂ (X, τ ). Allora A = A ∪ A0 .

Dimostrazione.

⊇ Si prova che A0 ⊆ A in modo che A ⊇ A ∪ A0 . Ciò è ovvio in base alla definizione di A0 e


al teorema 1.35.

⊆ Sia x ∈ A allora ∀ U ∈ τ : x ∈ U risulta A ∩ U 6= ∅. Se x 6∈ A, ∅ 6= (A \ {x}) ∩ U e quindi


x ∈ A0 . Risulta così provato che x ∈ A ∪ A0 , cioè A ⊆ A ∪ A0 .

Corollario 1.40. Sia A ⊂ (X, τ ). Allora A è chiuso se e solo se A contiene tutti i suoi punti di
accumulazione.

Dimostrazione. Sia A chiuso. Allora A = A = A ∪ A0 e A0 ⊆ A. Il viceversa è altrettanto


ovvio.

Come la chiusura di A, A, è il più piccolo chiuso contenente A, cioè A è chiuso e ∀ C ⊇ A


chiuso si ha C ⊇ A (dunque più piccolo nel senso della relazione d’ordine parziale indotta da ⊆
in P(X), così vale per Å la seguente caratterizzazione.
Proposizione 1.41. Sia A ⊆ (X, τ ). Allora Å è il più grande aperto contenuto in A.

Dimostrazione. Si è definito [
Å = B,
τ 3B⊆A

e∈τ eB
dunque se B e ⊆ A risulta B
e ⊆ Å. Inoltre Å è aperto.

Nel seguito si considera l’interno di un insieme A ⊂ (X, τ ) solo sporadicamente.


Osservazione 1.42. La nozione di chiusura definisce un’applicazione : P(X) → P(X) ovvia-
mente definita da A 7→ A che gode delle seguenti proprietà:

K1. ∀ A ∈ P(X), A ⊆ A;

K2. ∅ = ∅;

K3. ∀ A ∈ P(X), A = A;

K4. ∀ A, B ∈ P(X), A ∪ B = A ∪ B.

Dimostrazione. Viene dimostrata solo la proprietà K4. Poiché A ⊆ A ∪ B dalla proprietà K1 si


ottiene A ⊆ A ⊆ A ∪ B. Analogamente, B ⊆ A ∪ B e quindi A ∪ B ⊆ A ∪ B ma A ∪ B ⊇ A ∪ B
ed è chiuso, con ciò A ∪ B ⊆ A ∪ B e quindi A ∪ B = A ∪ B.
12 1. SPAZI TOPOLOGICI

Teorema 1.43 (di Kuratowski). Sia X 6= ∅ un insieme e sia assegnata un’applicazione :


P(X) → P(X) soddisfacente i punti dell’osservazione 1.42. Allora ∃! τ topologia su X per
la quale A è la chiusura di A, ∀ A ∈ P(X).
Dimostrazione. Si può assegnare una topologia precisando la cosiddetta famiglia dei chiusi σ.
In questo caso si definisce
σ = {A : A ∈ P(X)};
si deve provare che σ soddisfa i primi tre punti della proposizione 1.4.

1. Per il punto 2 dell’osservazione 1.42, ∅ = ∅ ∈ σ e X ⊆ X ⊆ X quindi X = X;


T
2. Siano I un insieme qualsiasi di indici e C i ∈ σ, ∀ i ∈ I. Si consideri D = i∈I C i .
Ovviamente D ⊆ D per il punto 1 dell’osservazione 1.42, d’altro canto D ⊂ C i , ∀ i ∈ I da
T
cui D ⊆ C i = C i , ∀ i ∈ I per il punto 3 dell’osservazione 1.42. Ne segue che D ⊆ i∈I C i
e ciò D ⊆ D. Se ne deduce che D = D ∈ σ;
3. Siano A, B ∈ σ. Allora A ∪ B = A ∪ B ∈ σ per il punto 4 dell’osservazione 1.42.

La topologia τ è dunque definita dai complementari di σ. Poiché A è chiuso in τ , allora


coincide con la sua chiusura in τ .
L’unicità di τ con quest’ultima proprietà si dimostra facilmente.
Definizione 1.44. Un operatore : P(X) → P(X) soddisfacente i punti dell’osservazione 1.42 si
dice operatore di chiusura.
Kuratowski1 definisce la topologia di uno spazio X attraverso un operatore di chiusura. In
alcune questioni questo punto di vista si rivela particolarmente utile.
Definizione 1.45. Sia A ⊆ (X, τ ). Un punto x ∈ A si dice isolato (in A) se ∃ U intorno di x
tale che A ∩ U = {x}.
In particolare, i punti di aderenza di A sono i suoi punti isolati e quelli di accumulazione.
Con ciò un insieme A chiuso privo di punti isolati coincide con il suo derivato A0 . Se A = A0
allora è chiuso e privo di punti isolati. Tali insiemi si dicono perfetti.
Esempio 1.46. [a, b] ∈ R è un insieme perfetto. Non lo è A = [0, 1] ∪ {2} poiché 2 è punto isolato
di A.
Definizione 1.47. Sia D ⊆ (X, τ ). D si dice denso (in X) se D = X.
Esempio 1.48. Q è denso in R.
Proposizione 1.49. Sia D ⊆ (X, τ ). Allora D è denso se e solo se ∀ U ∈ τ, U 6= ∅ si ha
U ∩ D 6= ∅.
Dimostrazione.
⇒ Sia D denso e U ∈ τ , con U =
6 ∅, e si fissi un qualunque punto x ∈ U . Poiché x ∈ D, x è
un punto di aderenza per D e con ciò, essendo U aperto, U ∩ D =6 ∅.
⇐ Sia x ∈ X, x ∈ U e U ∈ τ , allora U ∩ D 6= ∅, quindi x è punto di aderenza per D. Essendo
x generico se ne deduce che D = X.
Definizione 1.50. Sia A ∈ (X, τ ). Un punto x ∈ X si dice di frontiera per A se x ∈ A ∩ c A,
cioè se x è punto di aderenza sia per A sia per c A.
1 Kazimierz Kuratowski, Topologie I et II, Éditions Jacques Gabay, 1992, ISBN 9782876471412 (testo in

francese)
1.5. INTERNO E CHIUSURA 13

L’insieme dei punti di frontiera di A si indica con ∂A, ovvero

∂A = A ∩ c A.

Nota. Dalla precedente definizione si evince che ∂A è un insieme chiuso.


Esempio 1.51. Sia BR (x) = {y ∈ Rn : d(x, y) < R}. Allora ∂BR (x) = {y ∈ Rn : d(x, y) = R}.
Si prova ora che le funzioni polinomiali a coefficienti reali su [0, 1] sono dense in C 0 ([0, 1]) con
la topologia della convergenza uniforme.
Teorema 1.52 (di approssimazione di Weierstrass). Siano f ∈ C 0 ([0, 1]) e ε > 0 assegnati. Allora
esiste un polinomio p(x) ∈ R[x] tale che

sup |f (x) − p(x)|< ε.


x∈[0,1]

Dimostrazione. Definiamo l’n-esimo polinomio di Bernstein Bn associato a f come


n    
X n k n−k k
Bn (x) = x (1 − x) f
k n
k=0

n n!

con k = k!(n−k)! il coefficiente binomiale. f sarà approssimata uniformemente attraverso la
successione dei polinomi di Bernstein a essi associati. Si consideri l’identità
n  
X n k
1 = [x + (1 − x)]n = x (1 − x)n−k . (1.2)
k
k=0

Derivando si ottiene
n  
X n
0= [kxk−1 (1 − x)n−k − (n − k)xk (1 − x)n−k−1 ]
k
k=0
n  
X n k−1
= x (1 − x)n−k−1 (k − nx).
k
k=0

Moltiplicando entrambi i membri per x(1 − x) si ottiene


n  
X n k
x (1 − x)n−k (k − nx) = 0. (1.3)
k
k=0

Derivando la (1.3) e considerando xk (1 − x)n−k come uno dei due fattori nell’applicare la
regola di Leibnitz di derivazione del prodotto si ha
n  
X n
0= [−nxk (1 − x)n−k + (k − nx)(kxk−1 (1 − x)n−k − (n − k)xk (1 − x)n−k−1 )]
k
k=0 (1.4)
n  
X n
= [−nxk (1 − x)n−k + (k − nx)2 xk−1 (1 − x)n−k−1 ].
k
k=0

Utilizzando la (1.2) nella (1.4) si ottiene


n  
X n
[xk−1 (1 − x)n−k−1 (k − nx)2 ] = n
k
k=0
14 1. SPAZI TOPOLOGICI

e moltiplicando per x(1 − x)n−2 si ha


n  
"  2 #
X n k n−k k x(1 − x)
x (1 − x) x− = . (1.5)
k n n
k=0

Si giunge ora all’approssimazione di f . Utilizzando la (1.2) si ha che


n    
X n k n−k k
f (x) − Bn (x) = x (1 − x) [f (x) − f ]
k n
k=0

e dunque
n    
X n k
xk (1 − x)n−k f (x) − f

|f (x) − Bn (x)|≤ . (1.6)
k n
k=0

f è uniformemente continua in [0, 1] esiste δ > 0 tale che f (x) − f nk < 2ε ogniqual-

Poiché

volta x − nk < δ. La somma viene ora spezzata al secondo
numero della (1.6) in due parti σ1 e
σ2 dove σ1 è la somma di quei termini per cui x − nk < δ e σ2 quella dei rimanenti.
Dalla (1.2) segue immediatamente che σ1 < 2ε , ∀ x ∈ [0, 1] fissato. Per quanto riguarda σ2
si prova che scegliendo n sufficientemente grande e indipendente da x si ha σ2 < 2ε . Poiché f è
limitata ∃ M : |f (x)|≤ M su [0, 1]. Ne segue che
X n
σ2 ≤ 2M xk (1 − x)n−k = 2M σ3 .
k
k:|x− n |≥δ
k

ε
Sarà ora sufficiente dimostrare che σ3 < 4M indipendentemente da x pur di prendere n
grande. Utilizzando la (1.5) si ha
x(1 − x)
δ 2 σ3 ≤
n
cioè
x(1 − x)
σ3 ≤ .
nδ 2
Ora, il massimo (non-negativo) della funzione x(1 − x) su [0, 1] è 41 , da cui

1
σ3 ≤ .
4δ 2 n
Preso allora n > M/δ 2 ε si ha σ3 < ε/4M .

1.6 Assiomi di separazione


Si introduce ora forse il più importante di quelli che si chiamano assiomi di separazione.
Definizione 1.53. Si dice che lo spazio topologico (X, τ ) soddisfa l’assioma di separazione di
Hausdorff (anche chiamato assioma T2 ) se ∀ x, y ∈ X, x 6= y, ∃ U 3 x, V 3 y intorni tali che
U ∩ V = ∅.
Uno spazio topologico in cui valga tale assioma prende il nome di spazio di Hausdorff.
Osservazione 1.54. Sono spazi di Hausdorff gli spazi metrici. Infatti sia (X, d) metrico e x 6= y
generici punti. Si ha che se d(x, y) = R > 0 allora le bolle B R (x) e B R (y) sono intorni disgiunti
4 4
rispettivamente di x e y.
1.6. ASSIOMI DI SEPARAZIONE 15

R R
4 R 4
x y

Nei prossimi due risultati sarà usata una proprietà di separazione più debole dell’assioma di
Hausdorff. A tale scopo si introduce la seguente definizione.
Definizione 1.55. Si dice che (X, τ ) soddisfa l’assioma T1 se ∀ x 6= y ∈ X, ∃ U 3 x, V 3 y intorni
tali che x ∈ U ma y 6∈ U e y ∈ V ma x 6∈ V .
Ovviamente T2 ⇒ T1 . Il viceversa, cioè T1 ⇒ T2 , è falso come messo in evidenza nel seguente
esempio.
Esempio 1.56. Sia X di cardinalità infinita e sia τ la topologia cofinita, cioè

τ = {A ⊆ X : |c A|< +∞}.
c
Fissati x, y ∈ X e x 6= y, allora X \ {y} è aperto, infatti x ∈ X \ {y} e (X \ {y}) = {y} e,
poiché x 6= y allora y 6∈ X \ {y}. Analogamente, X \ {x} 3 y è aperto non contenente x, dunque
τ è una topologia T1 ma (X, τ ) non è T2 . Infatti, per assurdo, siano A 3 x e B 3 y aperti tali
c
che A ∩ B = ∅. Allora X = (A ∩ B) = c A ∪ c B ma entrambi c A e c B hanno cardinalità finita
mentre X ha cardinalità infinita.
L’assioma di separazione di Hausdorff è quindi generalmente più forte dell’assione T1 .
La seguente proposizione fornisce alcune caratterizzazioni dell’assiome T1 e dunque anche
alcune proprietà godute dagli spazi di Hausdorff.
Proposizione 1.57. Sia (X, τ ) uno spazio topologico. Allora le seguenti condizioni sono equiva-
lenti:

1. (X, τ ) è T1 ;

2. ∀ x ∈ X, {x} è chiuso;
T
3. Sia Ux = {Ux } la collezione degli intorni di x. Allora ∀ x ∈ X, Ux ∈Ux Ux = {x}.

Dimostrazione.
c c S
1 ⇒ 2 Sia y ∈ {x}, cioè y 6= x. Allora ∃ Uy 3 y aperto tale che x 6∈ Uy e {x} = Uy ∈Uy Uy , con
c
Uy del precedente tipo, quindi {x} è aperto e {x} è chiuso.

2 ⇒ 3 Sia x ∈ X genericoTe Ux la collezione degli intorni di x. Per assurdo, si supponga che esista
c
y 6= x tale che y ∈ Ux ∈Ux Ux ⊇ {x}. Allora per il punto 2, {y} è chiuso e {y} è un aperto
c
che contiene x poiché x 6= y. Con ciò, {y} ∈ Ux , che è una contraddizione.

3 ⇒ 1 Siano x, y ∈ X con x 6= y e sia Ux la collezione degli intorni


T di x. Allora esiste almeno uno
di essi, Uex , tale che x ∈ Uex ma y 6∈ Uex , altrimenti y ∈ Ux ∈Ux Ux = {x} e y 6∈ x. Assurdo.
Analogamente si prova l’esistenza di un intorno di y che non contiene x.

Proposizione 1.58. Sia (X, τ ) uno spazio topologico T1 e sia S ⊆ X e x un punto di accumula-
zione di S, allora ∀ U 3 x intorno si ha che |U ∩ S|= +∞.

Dimostrazione. Si supponga che per assurdo esista un intorno U 3 x tale che |U ∩ S|< +∞.
Siano x1 , . . . , xn gli n punti distinti di U ∩ S eventualmente diversi da x. Allora esistono degli
16 1. SPAZI TOPOLOGICI

intorni U1 , U2 , . . . , Un di x tali che x1 ∈


6 U1 , x2 6∈ U2 , . . . , xn 6∈ Un , poiché la topologia è T1 . Si
consideri l’intorno di x dato da
V = U ∩ U1 ∩ · · · ∩ Un ;
chiaramente (
{x}
S∩V =

e quindi x non può essere punto di accumulazione per S.

Corollario 1.59. Sia (X, τ ) uno spazio topologico T1 e sia A ⊆ X. Allora A0 , l’insieme derivato
di A cioè l’insieme dei punti di accumulazione di A, è chiuso.

Dimostrazione. Sia x ∈ A0 , cioè x sia punto di aderenza di A0 e sia U un generico intorno di x.


Allora in U esiste y ∈ A0 e quindi in U esistono infiniti punti di A, quindi almeno uno è diverso
0
da x e con ciò x ∈ A0 , perciò A = A0 e A0 è chiuso.

Per completezza viene ricordato qui un ulteriore assioma di separazione.


Definizione 1.60. Uno spazio topologico (X, τ ) si dice T0 se ∀ x, y ∈ X, con x 6= y, esiste un
intorno di uno di essi che non contiene l’altro.
Nota. Chiaramente T1 ⇒ T0 . È facile vedere che esistono spazi T0 che non sono T1 .
Esempio 1.61.

1. Sia X = R con la topologia τ0 generata dalla seguente base:

B0 = {(−∞, a) : a ∈ R}.

Chiaramente τ0 è T0 ma non è T1 . Infatti, dati x 6= y in R, ad esempio x < y, esiste


ε > 0 sufficientemente piccolo tale che x + ε < y e l’aperto (−∞, x + ε) contiene x ma non
contiene y.

2. Nella stessa topologia su R, sia A = N ⊆ R; il punto 1 ∈ A è punto di accumulazione per


A ma ∀ U ∈ τ0 , il punto 2 ∈ U e |U ∩ A|< +∞.

Esistono altri assiomi di separazione più importanti di T0 e T1 , ad esempio T3 e T4 , dei quali


ci occuperemo di seguito.
Si ritorni ora all’importante assioma di Hausdorff, cioè l’assioma T2 . Si è già visto che gli
spazi metrici sono T2 .
Proposizione 1.62. Sia (X, τ ) uno spazio topologico T2 e Y ⊆ X. Allora (Y, τY ) è T2 .

Dimostrazione. Siano x, y due punti distinti di Y ; poiché x, y ∈ Y ⊂ X, esistono U 3 x, V 3 y


e = U ∩ Y e Ve = V ∩ Y sono due aperti disgiunti di Y che
aperti di X disgiunti. Allora U
contengono rispettivamente x e y.

Proposizione 1.63. Siano (X, τ ) e (Y, ζ) spazi T2 allora X × Y con la topologia prodotto è T2 .

Dimostrazione. Siano (x1 , y1 ) e (x2 , y2 ) due punti di X × Y tra loro distinti. Senza ledere di
generalità si può supporre che x1 6= x2 , allora ∃ U, V ∈ τ intorni rispettivamente di x1 e x2 tali
che U ∩ V = ∅, allora U × Y e V × Y sono intorni rispettivamente di (x1 , y1 ) e (x2 , y2 ), tra loro
disgiunti.
1.6. ASSIOMI DI SEPARAZIONE 17

Definizione 1.64. Sia (X, ≤) un insieme totalmente ordinato, vale a dire un insieme parzialmente
ordinato dove due qualunque elementi sono confrontabili. Dati a ≤ b si possono definire i seguenti
insiemi, che sono chiamati intervalli (aperti, chiusi, . . . ) esattamente come nel caso dell’insieme
dei numeri reali R con il suo ordinamento canonico:

(a, b) = {x ∈ X : a < x < b}

(a, b] = {x ∈ X : a < x ≤ b}

[a, b) = {x ∈ X : a ≤ x < b}

[a, b] = {x ∈ X : a ≤ x ≤ b}

Definizione 1.65. Sia (X, ≤) totalmente ordinato e con almeno due elementi. Sia B la collezione
di tutti gli insiemi del seguente tipo:

1. (a, b), dove a, b ∈ X;

2. [a0 , b), dove a0 è il minimo di X nel caso esista;

3. (a, b0 ], dove b0 è il massimo di X nel caso esista.

La collezione B è una base per una topologia in X che prende il nome di topologia dell’or-
dine.
Esempio 1.66.

1. In (R, ≤) la topologia dell’ordine coincide con la topologia usuale di R.

2. Sia N munito dell’usuale relazione d’ordine totale ≤. Allora la topologia dell’ordine coincide
con la topologia discreta, dato che ogni punto di N è aperto. Infatti, basta considerare
{n} = (n − 1, n + 1), con n > 1, e {1} = [1, 2).

Definizione 1.67. Dati due insiemi totalmente ordinati (X, ≤X ) e (Y, ≤Y ), si definisce in X × Y
l’ordine alfabetico (ordine lessicografico) nel modo seguente:

(x1 , y1 ) 4 (x2 , y2 ) ⇐⇒ x1 <X x2 oppure x1 = x2 e y1 ≤Y y2 .

È chiaro che la relazione d’ordine così definita in X × Y è una relazione d’ordine totale.
Si può quindi introdurre in X × Y la corrispondente topologia dell’ordine.
Esempio 1.68. Si studi l’intervallo (p, q) = ((a1 , b1 ), (a2 , b2 )) con p = (a1 , b1 ) 4 (a2 , b2 ) = q.
Se a1 < a2 allora (x, y) ∈ (p, q) ⇐⇒ a1 < x < a2 e y ∈ Y è generico oppure x = a1 e y > b1
o x = a2 e y < b2 (figura 1.6a).
Se a1 = a2 allora p ≺ q ⇐⇒ b1 < b2 e (x, y) ∈ (p, q) ⇐⇒ x = a1 e b1 < y < b2 (figura
1.6b).
Nota. La topologia dell’ordine alfabetico in X ×Y è più fine della topologia prodotto proveniente
dalle due topologie dell’ordine, rispettivamente in X e Y .
Proposizione 1.69. Sia (X, ≤) un insieme totalmente ordinato. Allora la topologia dell’ordine è
di Hausdorff.

Dimostrazione. Per esercizio.


18 1. SPAZI TOPOLOGICI

Y Y
b2 q b2 q

b1 p b1 p

a1 a2 X a1 ≡ a2 X

(a) (b)

Figura 1.6

1.7 Intorni
Ora verrà trattato un ultimo modo per introdurre una topologia su un insieme X 6= ∅.
Definizione 1.70. Sia (X, τ ) uno spazio topologico e sia Ux la famiglia degli intorni di x dove -
viene ricordato - un intorno di x in X è un qualunque insieme U tale che ∃ A ∈ τ : x ∈ A ⊆ U .
Allora Ux gode delle seguenti proprietà:
U1. Se U ∈ Ux e U ⊂ V allora V ∈ Ux ;
T
U2. Se ∀ i ∈ I insieme di indici finito, cioè con |I|< +∞, Ui ∈ Ux , allora i∈I Ui ∈ Ux ;
U3. Se U ∈ Ux allora x ∈ U ;
U4. Se U ∈ Ux allora ∃ V ∈ Ux : ∀ y ∈ V, U ∈ Uy .
Proposizione 1.71. Se ∀ x ∈ X, ∃ Ux soddisfacente le proprietà della definizione 1.70 allora ∃! τ
topologia su X per la quale Ux è la famiglia di intorni di x, ∀ x ∈ X.
Dimostrazione. Se esiste una topologia τ nella quale Ux sia la famiglia degli intorni di x, A ⊆ X
è aperto se e solo se ∀ x ∈ A, A ∈ Ux . Quindi, se τ esiste è unica. Si prova ora che la topologia
esiste definendo i suoi elementi:

τ = {A ⊆ X : A ∈ Ux , ∀ x ∈ A} ∪ {∅};

τ è una topologia, infatti:


1. Per U1, ∀ x ∈ X, X ∈ Ux perciò X ∈ τ ;
S
2. Sia {Ai }i∈I una
S famiglia di τ . Se x ∈ i∈I Ai allora
S ∃ i0 ∈ I : x ∈ Ai0 e quindi Ai0 ∈ Ux e
poiché Ai0 ⊆ i∈A Ai la proprietà
S U1 dice che i∈A i ∈ Ux ; sicuramente ciò è vero per il
A
generico x, se ne deduce che i∈A Ai ∈ τ ;
3. Siano ora A1 , A2 ∈ τ e sia x ∈ A1 ∩ A2 , allora x ∈ A1 e x ∈ A2 quindi A1 ∈ Ux e A2 ∈ Ux .
Per la U2 A1 ∩ A2 ∈ Ux e data l’arbitrarietà di x ne segue che A1 ∩ A2 ∈ τ .
1.7. INTORNI 19

Si noti che fino a questo punto della dimostrazione abbiamo usato solo le proprietà U1 e U2.
Ux è la famiglia degli intorni di x. Infatti, sia A un intorno di x nella topologia τ appena
definita. Allora ∃ B ∈ τ : x ∈ B ⊂ A. Se B ∈ τ per ogni suo punto, in particolare per x,
B ∈ Ux e quindi per la U1 A ∈ Ux . Viceversa si supponga che U ∈ Ux . U è un intorno di x nella
topologia τ .
Infatti, definito
V = {z ∈ X : U ∈ Uz },
allora x ∈ V e per la U3 se y ∈ V poiché U ∈ Uy si ha che y ∈ U , cioè V ⊆ U . Se si
prova che V è aperto in τ allora U è un intorno di x nella topologia τ . Per provare che V è
aperto in τ si deve verificare che ∀ y ∈ V, V ∈ Uy . Fissato y ∈ V , poiché U ∈ Uy per la U4
∃ Wy ⊂ U : U ∈ Uz , ∀ z ∈ Wy quindi Wy ⊂ V . Per la U1 V ∈ Uy .

Definizione 1.72. Si dice sistema fondamentale di intorni di un punto x ∈ (X, τ ) un insieme


U(x) di intorni di x tale che ∀ U ∈ Ux , ∃ V ∈ U(x) con la proprietà che V ⊂ U .
Nota. A questa definizione si può sostituire quella equivalente di sistema fondamentale di intorni
aperti di x per la quale U(x) ⊆ τ .
Proposizione 1.73. Una famiglia B di aperti di (X, τ ) è una base della topologia τ se e solo se
∀ x ∈ X l’insieme
Bx = {B ∈ B : x ∈ B}
è un sistema fondamentale di intorni aperti di x.

Dimostrazione.

⇒ Sia B una base. Ogni U intorno di x cioè U ∈ Ux contiene V ∈ τ tale che x ∈ V , quindi
∃ B ∈ Bx tale che B ⊂ V ⊂ U . Dunque Bx è un sistema fondamentale di intorni aperti di
x.

⇐ Si supponga che ∀ x ∈ X, Bx sia un sistema fondamentale di intorni aperti di x. Sia A ∈ τ


e sia x ∈ A, allora A ∈ Ux ed esiste quindi B ∈ Bx tale che x ∈ B e B ⊂ A. Ciò prova che
B è una base di τ .

Osservazione 1.74. I sistemi fondamentali di intorni U(x) dei punti x soddisfano le seguenti
proprietà:

• L’intersezione di una famiglia finita di elementi di U(x) contiene un elemento di U(x);

• Se U ∈ U(x) allora x ∈ U ;

• Se U ∈ U(x) allora ∃ V ∈ U(x) : ∀ y ∈ V, ∃ W ∈ U(y) : W ⊂ U .

Proposizione 1.75. Se a ogni punto x di un insieme X è associata una famiglia U(x) di sot-
toinsiemi di X per la quale valgono le proprietà dell’osservazione 1.74 allora ∃! τ topologia su
X nella quale U(x) è un sistema fondamentale di intorni di x.

Dimostrazione. ∀ x ∈ X sia Ux la famiglia di tutti i sottoinsiemi di X che contengono un qualche


elemento di U(x). Dalle proprietà dell’osservazione 1.74 segue che Ux soddisfa le proprietà della
definizione 1.70 degli intorni di x. Per la proposizione 1.71 ∃! τ topologia su X per la quale Ux
è l’insieme degli intorni di x. Per costruzione U(x) è un sistema fondamentale di intorni su tale
topologia, cioè ne prova l’esistenza.
D’altra parte in ogni topologia nella quale U(x) è un sistema fondamentale di intorni di x,
Ux è l’insieme di tutti gli intorni di x, da ciò segue l’unicità.
20 1. SPAZI TOPOLOGICI

Esempio 1.76. Sia RR = {f : R → R} l’insieme delle applicazioni di R in R. Fissati ε > 0 e n


numeri reali x1 < x2 < · · · < xn , sia α = ({xk }nk=1 , ε). Fissata f ∈ RR , sia

Ufα = {g ∈ RR : |f (xh ) − g(xh )|< ε, ∀ h = 1, . . . , n}

e si indichi con U(f ) la famiglia dei sottoinsiemi Ufα per ogni scelta di α.
Gli U(f ) godono delle proprietà 1.74 e quindi definiscono su RR una topologia.
Capitolo 2

Funzioni continue e successioni

2.1 Funzioni continue


Siano (X, τ ) e (Y, ζ) due spazi topologici e sia f : X → Y un’applicazione.
Definizione 2.1. Si dice che f è continua su X se ∀ A ∈ ζ

f −1 (A) = {x ∈ X : f (x) ∈ A} ∈ τ
Sia ora (Z, γ) un terzo spazio topologico e g : Y → Z. L’applicazione composta g ◦ f : X → Z
è ovviamente definita da

x 7→ (g ◦ f )(x) = g(f (x))


Proposizione 2.2. Siano f : X → Y e g : Y → Z continue. Allora g ◦ f : X → Z è continua.

Dimostrazione. Sia A aperto di Z. Allora (g ◦ f )−1 (A) = f −1 (g −1 (A)), che è aperto perché
g −1 (A) è aperto in Y e f è continua.

Chiaramente la proposizione precedente si estende alla composizione di un qualsiasi numero


finito di applicazioni continue, ovviamente quando la composizione sia possibile.
Vale la duale della definizione 2.1 nel seguente modo:
Proposizione 2.3. Sia f : (X, τ ) → (Y, ζ), allora f è continua ⇐⇒ ∀ C ⊆ Y chiuso, f −1 (Y ) è
chiuso in X.

Dimostrazione. Sia B ∈ P(Y ) allora


c
f −1 (c B) = f −1 (B).

La proposizione segue ora immediatamente da tale proprietà.

Definizione 2.4. Siano (X, τ ) e (Y, ζ) due spazi topologici. Un omeomorfismo f : X → Y è


un’applicazione biunivoca che è continua insieme alla sua inversa f −1 .
Osservazione 2.5.

• id : Rl → R è biettiva e continua ma la sua inversa non è continua;

• L’omeomorfismo è una relazione d’equivalenza nell’insieme degli spazi topologici.

21
22 2. FUNZIONI CONTINUE E SUCCESSIONI

Proposizione 2.6. Siano (X, τ ) e (Y, ζ) due spazi topologici e B una base di ζ. Allora f : X → Y
è continua ⇐⇒ ∀ B ∈ B, f −1 (B) ∈ τ .

Dimostrazione. Che la condizione sia necessaria è ovvio.


S Si prova allora che la condizione è
sufficiente. Sia A ∈ ζ. Poiché B è una base di ζ, A = i∈I Bi , con Bi ∈ B, ∀ i ∈ I. Ora risulta
[
f −1 (A) = f −1 (Bi )
i∈I

da cui in base all’ipotesi si ha che f −1 (A) è aperto in X.

Esempio 2.7.

1. Sia S 1 = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 = 1} munito della topologia indotta da R2 e sia f : [0, 1) →


S 1 definita da
f (t) = (cos(2πt), sin(2πt));
f è chiaramente biiettiva e continua ma f −1 non è continua. Questo può essere provato
direttamente oppure con il seguente ragionamento: se f −1 fosse continua allora il compatto
S 1 avrebbe per immagine un compatto ma [0, 1) non lo è.

2. Sia (−1, 1) dotato della topologia indotta da R e sia g : (−1, 1) → R definita da


x
g(x) = ;
1 − x2
l’inversa di g risulta essere
2y
g −1 (y) = p
1 + 1 + 4y 2
e quindi g realizza un omeomorfismo. Si noti anche che la topologia di (−1, 1) e R so-
no topologie dell’ordine (usuali) e che g è iniettiva e strettamente crescente, quindi un
omeomorfismo.

Vale infatti la seguente proposizione.


Proposizione 2.8. Siano (X, ≤), (Y, ≤) due insiemi totalmente ordinati con la topologia dell’or-
dine e sia f : X → Y . Allora f è un omeomorfismo se e solo se f è strettamente crescente e
suriettiva.
Definizione 2.9. Siano (X, τ ) e (Y, ζ) spazi topologici, f : X → Y e x ∈ X. Allora f si dice
continua nel punto x se ∀ U intorno di f (x), ∃ V intorno di x : f (V ) ⊆ U .
Proposizione 2.10. Siano f : X → Y e g : Y → Z con X, Y e Z spazi topologici, x ∈ X, f
continua in x e g continua in f (x). Allora g ◦ f è continua in x.
Teorema 2.11. Siano (X, τ ) e (Y, ζ) spazi topologici e f : X → Y . Allora f è continua se e solo
se f é continua in ogni punto di X.

Dimostrazione.

⇒ Sia f continua e si fissi x ∈ X. Sia U un intorno di f (x) in Y , allora ∃ W ⊂ U con


f (x) ∈ W e W ⊆ ζ aperto : f −1 (W ) 3 x e f −1 (W ) è aperto, dunque intorno di x.
Chiaramente f (f −1 (W )) ⊂ W ⊂ U . Poiché x è un punto generico di X si ha che f è
continua in ogni punto di X.
2.2. SPAZI VETTORIALI TOPOLOGICI 23

⇐ Supponiamo che f sia continua in ogni punto di X. Sia U ∈ ζ e consideriamo f −1 (U ).


∀ y ∈ f −1 (U −1
S ), ∃ Wy 3 y, con Wy ∈ τ : f (Wy ) ⊂ U . In particolare, Wy ⊂ f (U ) e quindi
−1
f (U ) = y∈f −1 U Wy è aperto di τ . Ciò prova che f è continua.

Proposizione 2.12. Siano (X, τ ) e (Y, ζ) spazi topologici e si consideri lo spazio X × Y con la
topologia prodotto τP . Allora πX : X × Y → X e πY : X × Y → Y sono continue. Inoltre τP è
la topologia meno fine su X × Y per la quale le due proiezioni canoniche sono continue.
−1
Dimostrazione. Sua U ∈ τ , allora πX (U ) = U × Y è aperto di τP , da cui la continuità di
πX . Nello stesso modo si dimostra la continuità di πY . Sia τe una topologia su X × Y per
−1
la quale πX e πY sono continue. Sia U ∈ τ allora πX (U ) = U × Y ∈ τe. Analogamente,
−1
∀ V ∈ ζ, πY (V ) = X × V ∈ τe. Allora

U × V = (U × Y ) ∩ (X × V ) ∈ τe

e τe è più fine di τP .

Definizione 2.13. Siano (X, τ ) e (Y, ζ) spazi topologici e f : X → Y . Allora l’applicazione f si


dice aperta se ∀ A ∈ τ si ha f (A) ∈ ζ.
Proposizione 2.14. Le proiezioni canoniche πX e πY definite nello spazio prodotto X × Y sono
aperte.
S S
Dimostrazione. Sia A ⊆ X ×Y e sia
S A = i∈I Bi , con Bi ⊆ X ×Y , allora πX (A) = i∈I πX (Bi ).
Sia quindi A ∈ τP . Allora A = i∈I Bi , con Bi = USi × Vi elementi della base canonica della
topologia prodotto ma πX (Bi ) = Ui da cui πX (A) = i∈I Ui ∈ τ . Ciò prova che πX è aperto.
Lo stesso vale per πY .

2.2 Spazi vettoriali topologici


Si vede ora un esempio di struttura naturale che soddisfa alcune delle proprietà precedentemente
introdotte.
Definizione 2.15. Si dice spazio vettoriale topologico (X, τ ) uno spazio vettoriale X su un
campo K munito di una topologia τ che gode delle seguenti proprietà:

1. τ è T1 ;

2. Le operazioni di spazio vettoriale sono continue.

In questa dispensa ci si limiterà al caso in cui K = R o K = C.


La seconda richiesta della definizione precedente significa, più esplicitamente, che valgono le
due seguenti affermazioni: considerata su K la topologia usuale di R o C, si considerino i due
spazi prodotto X × X e K × X, allora la richiesta è che le due applicazioni

(x, y) 7→ x + y

(λ, x) 7→ λx
siano continue, vale a dire, se si usa la nozione di continuità espressa in modo puntuale, che se
∀ x0 , y0 ∈ X, V ⊆ X intorno di x0 + y0 , ∃ V1 , V2 ⊆ X intorni aperti rispettivamente di x0 e y0
per i quali
+(V1 × V2 ) = V1 + V2 ⊂ V
24 2. FUNZIONI CONTINUE E SUCCESSIONI

e se x0 ∈ X, λ0 ∈ K e ∀ V ⊆ X intorno aperto di λ0 x0 , ∃ V0 ⊆ X intorno aperto di x0 e K0 ⊆ K


intorno aperto di λ0 per i quali
·(K0 × V0 ) = K0 V0 ⊂ V.
Allora, fissato y ∈ X e λ ∈ K \ {0}, il fatto che somma e prodotto siano due applicazioni
continue dice anche che le applicazioni Ty = +y : X → X data da x 7→ x + y e Mλ : λ· : X → X
data da x 7→ λx sono degli omeomorfismi.
Dimostrazione. La biunivocità e la continuità di entrambe è ovvia. Le inverse sono rispettiva-
mente +(−y) e λ−1 ·, da cui l’asserto.
Definizione 2.16. Ty e Mλ si dicono anche rispettivamente operatore di traslazione e ope-
ratore di dilatazione.
Conseguenza del fatto che Ty è un omeomorfismo è il fatto che la topologia τ è invariante per
traslazione. Vale a dire, ∀ y ∈ X, V ∈ τ ⇐⇒ y + V ∈ τ . In particolare, se U(0) è S un sistema
fondamentale di intorni dello zero di X, allora U(0) individua τ , cioè A ∈ τ ⇐⇒ A = i∈I Tyi Ui ,
con I insieme di indici e Ui ∈ U(0), ∀ i e yi ∈ X opportuni.
In altri termini gli aperti di τ sono esattamente unioni di traslati di membri di U(0).
Esempio 2.17. Sia (V, k k ) uno spazio vettoriale su K(= R o C) normato. Si ricorda che k k è
un’applicazione k k : V → R con le seguenti proprietà, ∀ x, y ∈ V e λ ∈ K:
1. kxk ≥ 0. In particolare, kxk = 0 ⇐⇒ x = 0V
2. kλxk = |λ| kxk
3. kx + yk ≤ kxk +kyk
È noto che una norma induce una metrica d ponendo

d(x, y) = kx − yk

e quindi si ha una topologia τ su V indotta dalla norma attraverso la metrica. Si noti che, fissata
l’origine 0 ∈ V , è possibile considerare in τ la famiglia

BR (0) = {x ∈ V : kxk = d(x, 0) < R}.

Tale famiglia è un sistema fondamentale di intorni per τ in 0.


Occorre ora verificare che + e prodotto scalare sono continue in τ . Siano x0 , y0 ∈ V fissati.
Sia BR (x0 + y0 ) 3 x0 + y0 e siano B R (x0 ), B R (y0 ) intorni di x0 e y0 in V . Allora si ha che
4 4
∀ (x, y) ∈ B R (x0 ) × B R (y0 )
4 4

R
k(x + y) − (x0 + y0 )k ≤ kx − x0 k +ky − y0 k < <R
2
da cui si dimostra la continuità dell’operazione di somma nel punto generico (x0 , y0 ). Lo stesso
vale per il prodotto scalare.
Si ha dunque uno spazio vettoriale topologico per il quale gli aperti A sono del tipo, ∀ i ∈
I, yi ∈ V, Ri ∈ R+ [
A= Tyi BRi (0).
i∈I

Si noti che

Tyi BRi (0) = yi + BRi (0) = {z = yi + x : kxk < Ri } = BRi (yi ).


2.3. SUCCESSIONI 25

Si considerino ora due spazi metrici (X, dX ) e (Y, dY ). Data f : X → Y , si ha il seguente


teorema.
Teorema 2.18. f è continua nel punto x0 ∈ X ⇐⇒ ∀ ε > 0, ∃ δ > 0 : dX (x, x0 ) < δ ⇒
dY (f (x), f (x0 )) < ε
Dimostrazione. Si supponga che f sia continua in x0 rispetto alle topologie di X e Y indotte
dalle metriche. Fissato ε > 0, si consideri l’aperto di Y
Y
Bε (f (x0 )) = {y ∈ Y : dY (y, f (x0 )) < ε}.

Per la continuità di f in x0 esiste un intorno aperto U di x0 tale che f (U ) ⊆ Y Bε (f (x0 )) cioè


X X Y
∃ Bδ (x0 ) ⊂ U : f ( Bδ (x0 )) ⊆ Bε (f (x0 )) cioè

∀ x ∈ X : d(x, x0 ) < δ ⇒ d(f (x), f (x0 )) < ε.

Il viceversa è ovvio.

2.3 Successioni
Nel caso di spazi metrici la continuità si può esprimere anche mediante successioni.
Sia (X, τ ) un qualsiasi spazio topologico.
Definizione 2.19. Si definisce successione una qualsiasi applicazione f : N → X. Più comu-
nemente, posto f (n) = xn , una successione viene individuata attraverso i suoi termini con una
scrittura del tipo {xn } ⊆ X.
Definizione 2.20. Si dice che, data la successione {xn } ⊆ (X, τ ), x è un limite per {xn }, e si
X
scrive xn −→ x oppure
lim xn = x ∈ X,
n→+∞

se ∀ U intorno aperto di x, ∃ N = N (U ) ∈ N : ∀ n ≥ N

xn ∈ U.

Nota. Risulta chiaro che se X è T2 una successione può convergere al più a un solo limite.
Definizione 2.21. Sia {nk } ⊆ N una successione strettamente crescente, cioè tale che, ∀ k ∈ N

nk < nk+1 .

Data la successione {xn } ⊆ X si dice che {xnk } è una sottosuccessione di {xn }.


Definizione 2.22. Data una successione {xn } ⊆ X si dice che x ∈ X è un valore limite della
successione {xn } se esiste una sottosuccesione {xnk } ⊆ X convergente a x.
Esempio 2.23. Si consideri la successione dei numeri reali

xn = (−1)n .

Tale successione non converge in R ma −1 e 1 sono due suoi valori limite.


Definizione 2.24. Si dice che uno spazio topologico (X, τ ) soddisfa il primo assioma di nu-
merabilità se ogni punto x ∈ X ha un sistema fondamentale di intorni numerabile.
È ovvio che non sia restrittivo sostituire a un sistema fondamentale di intorni di x un sistema
fondamentale di intorni aperti.
26 2. FUNZIONI CONTINUE E SUCCESSIONI

Esempio 2.25. Ogni spazio metrico soddisfa il prima assioma di numerabilità, prendendo, ∀ x ∈
X, Bq (x), con q ∈ Q.
Proposizione 2.26. Sia (X, τ ) uno spazio topologico soddisfacente il primo assioma di numera-
bilità e sia {xn } ⊆ X una successione. Allora x ∈ X è valore limite per {xn } ⇐⇒ ∀ U aperto
con x ∈ U e ∀ n ∈ N, ∃ m = m(U, n) > n : xm ∈ U .
Dimostrazione. La condizione è chiaramente necessaria in base alla definizione di valore limite;
si prova ora che è anche sufficiente. Poiché vale il primo assioma di numerabilità, il punto x
ammette un sistema fondamentale di intorni aperti {Ui }i∈N . Si supponga fissato Ui e xni ∈ Ui .
Si consideri Ui+1 allora esiste m > mi tale che xm ∈ Ui+1 . Scegliamo xni+1 = xm . Senza ledere
di generalità si può supporre che Ui+1 ⊂ Ui , ∀ i ∈ N, come si vedrà successivamente. In questo
modo si è costruita una sottosuccessione {xni } di {xn } che essendo {Ui } un sistema fondamentale
di intorni di x converge a x.
Proposizione 2.27. Sia (X, τ ) uno spazio topologico soddisfacente il primo assioma di numera-
bilità. Sia A ⊂ X, allora x ∈ X è aderente ad A se e solo se esiste una successione {xn } di
punti di A convergente a x.
Dimostrazione.
⇐ Se una tale successione esiste è chiaro che x ∈ A.
⇒ Si supponga viceversa che x ∈ A e sia {Ui }i∈N un sistema fondamentale di interni aperti
di x tale che Ui+1 ⊂ Ui . Si noti che quest’ultima proprietà si può ottenere ad esempio nel
modo seguente: sia {Vi } un sistema fondamentale di intorni aperti di x. Si ponga U1 = V1 ,
U2 = V1 ∩ V2 , · · · e si scelga xi ∈ A ∩ Ui , ∀ i ∈ N. La successione {xi } converge a x.
Nota. In uno spazio metrico la proposizione 2.27 caratterizza la chiusura di un sottoinsieme di
A.
Osservazione 2.28. Si consideri ora uno spazio metrico (X, d). Fissato x0 ∈ X l’applicazione
f : X → R, definita da x 7→ d(x, x0 ), è continua. Infatti, fissato x = x ∈ X, dalla disuguaglianza
triangolare risulta che

|f (x) − f (x)|= |d(x, x0 ) − d(x, x0 )|≤ d(x, x),

da cui la continuità nel generico punto x.


Esempio 2.29. Si consideri l’esempio 1.76 di RR munito della topologia ivi descritta. Si supponga
che la successione fn tenda a f in tale topologia. Fissato x ∈ R e ε > 0, sia α = (x, ε) in modo
che
U(f ) ⊇ Ufα = {g ∈ RR : |g(x) − f (x)|< ε}.
Dunque se fn tende a f in tale topologia allora, ∀ x ∈ R

fn (x) → f (x);

il viceversa è altrettanto ovvio.


Si prova ora che RR con tale topologia non soddisfa il primo assioma di numerabilità e quindi,
in particolare, la sua topologia non può provenire da una metrica, cioè lo spazio topologico RR
non è metrizzabile.
A tale scopo si prova che in RR la proposizione 2.27 è falsa.
Sia A = {f ∈ RR : f 6= 0 solo in un numero finito di punti}. A = RR , cioè A è denso
in RR . Infatti sia f ∈ RR . Fissato x ∈ R e ε > 0, siano α e Ufα come sopra. Si definisca
2.3. SUCCESSIONI 27

h(x) = f (x) e h(x) = 0, ∀ x 6= x, allora h ∈ A ∩ U(f ). Sia ora hn una successione di elementi
di A. Sia T = {t ∈ R : ∃ n : hn (t) 6= 0}. Chiaramente T è numerabile. Si consideri la funzione
f (x) = 1, ∀ x ∈ R. Allora 6∃ {hn } ⊂ A convergente in RR a f . Infatti fissato x ∈ R \ T ,
hn (x) = 0 → 0 6= f (x) = 1.
Come immediata conseguenza si ha quindi la seguente proposizione.
n→+∞
Proposizione 2.30. Sia (X, d) uno spazio metrico. Allora xn → x in d ⇐⇒ d(x, xn ) −−−−−→ 0.
Il punto x è un valore limite della successione {xn } ⇐⇒ 0 è un valore limite della successione
{d(x, xn )}.
La prossima proposizione esprime la continuità puntuale attraverso l’uso di successioni.
ˆ due spazi metrici. A ⊂ X e f : A → Y . Sia a ∈ A e
Proposizione 2.31. Siano (X, d) e (Y, d)
ya ∈ Y . Allora
lim f (x) = ya (2.1)
A3x→a

se e solo se per ogni successione {an } ⊂ A tale che an → a, la successione {f (an )} converge a
ya .
Si noti che la (2.1) significa che ∀ V 3 ya aperto ∃ U 3 a aperto tale che

f (U ∩ A) ⊆ V.

Dimostrazione.
⇒ Si assuma la validità di 2.1. Sia an → a. Allora ∃ N = N (U, a) : ∀ n ≥ N risulta
an ∈ U ∩ A. Di conseguenza f (an ) ∈ V, ∀ n ≥ N . Data l’arbitrarietà di V ciò prova che
f (an ) → ya .
⇐ Se f (x) 6→ ya per x → a in A esiste un intorno aperto V̂ di ya tale che ∀ U 3 a aperto
esiste qualche punto xU ∈ U ∩ A tale che f (xU ) 6∈ V̂ . Si scelga U = B n1 (a) ⊂ (X, d). La
successione xn = xB 1 (a) è tale che xn → a ma f (xn ) 6∈ V̂ ∀ n e quindi f (xn ) 6→ ya . Ciò
n
completa la dimostrazione della proposizione.
In particolare si ha che se (X, dX ) e (Y, dY ) sono spazi metrici, f : X → Y è continua in
x ∈ X se e solo se per ogni successione {xn } ⊂ X con xn → x si ha che f (xn ) → f (x).
Osservazione 2.32. Sia {xn } una successione in (X, d) convergente a x ∈ X. Fissato ε >
0, ∃ N = N (x, ε) : ∀ n ≥ N
ε
d(x, xn ) < .
2
Dunque ∀ n, m ≥ N
d(xn , xm ) ≤ d(xn , x) + d(x, xm ) < ε.
Definizione 2.33. Una successione {xn } ⊂ (X, d) si dice di Cauchy se ∀ ε > 0, ∃ N = N (ε) :
∀ n, m > N risulta:
d(xn , xm ) < ε.
Per quanto appena visto ogni successione convergente è una successione di Cauchy.
Esempio 2.34. Si consideri lo spazio metrico (Q, d), dove

d(x, y) = |x − y|;

la successione
n
X (−1)k
Sn =
2k + 1
k=0
28 2. FUNZIONI CONTINUE E SUCCESSIONI

è costituita dalle somme parziali della serie di Gregory e, come ben noto, converge al numero
irrazionale π4 . {Sn } ⊂ Q e Sn → π4 in (R, d). In particolare, {Sn } è di Cauchy in (Q, d), quindi
esistono successioni di Cauchy non convergenti.
Vale tuttavia il seguente fatto.
Proposizione 2.35. Sia {xn } ⊂ (X, d) di Cauchy e x sia un suo valore limite. Allora xn → x.
Dimostrazione. Esiste una sottosuccessione xnk → x, quindi, fissato ε > 0, ∃ N = N (ε) tale che,
∀ n, m > N
ε
d(xn , xm ) <
2
ed esiste un qualche nk > N per cui
ε
d(xnk , x) < .
2
Scelto m = nk si ha, ∀ n > N

d(xn , x) ≤ d(xn , xnk ) + d(xnk , x) < ε,

vale a dire xn → x.
π
Esempio 2.36. Per provare che Sn → 4 si consideri ad esempio la serie geometrica
+∞
X 1
(−1)i (x2 )i =
i=0
1 + x2

con |x|< 1. Allora le somme pari Pn (x) della sommatoria precedente vale

1 − x4n
Pn (x) = 1 − x2 + x4 − x6 + · · · + x4n−4 − x4n−2 =
1 + x2
con |x|< 1. Del resto si può scrivere

1 1 − x4n x4n x4n


2
= 2
+ 2
= Pn (x) + .
1+x 1+x 1+x 1 + x2
Integrando Pn (x) su [0, 1] si ha
Z 1
1 1 1 1 1 1 1
2
dx = 1 − + − + − · · · + −
0 1+x 3 5 7 9 4n − 3 4n − 1

e dunque
1 1 1
x4
Z Z Z
π dx
= arctan(1) − arctan(0) = = Pn (x) dx + dx.
4 0 1 + x2 0 0 1 + x2

Ma
1 1
x4n
Z Z
1 n→+∞
dx ≤ x4n dx = −−−−−→ 0;
0 1 + x2 0 4n + 1
prendendo quindi il limite per n → +∞, nella precedente uguaglianza si ha

X (−1)k +∞
π
= lim Sn = .
4 n→+∞ 2k + 1
k=0
2.4. COMPLETAMENTO DI UNO SPAZIO METRICO 29

Definizione 2.37. Lo spazio metrico (X, d) si dice completo se ogni successione di Cauchy in
X è convergente.
Osservazione 2.38. La nozione di successione di Cauchy non è topologica ma dipende dalla
metrica scelta. In altri termini, date due metriche che inducono la medesima topologia, una
successione può essere di Cauchy in una metrica ma non nell’altra.
Esempio 2.39. Sia R munito delle seguenti metriche

x y
d(x, y) = |x − y|, d(x, y) =
e − .
1 + |x| 1 + |y|

Si verifica che de è una metrica su R e che le topologie indotte da d e da de coincidono. A tal


x
proposito, si noti che l’applicazione f : R → (−1, 1) data da f (x) = 1+|x| è un omeomorfismo.
La successione {xn } = {n} è di Cauchy in (R, d) e ma non lo è ovviamente in (R, d). Per n, m ∈ N
sia
e m) = n − m ;

d(n, 1 + n 1 + m

n n→+∞
poiché 1+n −−−−−→ 1, fissato ε > 0 e per n e m sufficientemente grandi risulterà ovviamente
che d(n, m) < ε. La successione è quindi di Cauchy. Si noti che, poiché {n} ⊂ (R, d) non è di
e
Cauchy, non può convergere in (R, d), e che quindi non risulta essere uno spazio metrico completo.
Infatti, in (R, d) si consideri la successione {xn } = 1 − n1 con n ∈ N, che è di Cauchy e converge,
mentre la stessa successione in ((−1, 1), d) è di Cauchy ma non converge.
Definizione 2.40. Sia (X, d) uno spazio metrico e sia Y ⊆ X un sottoinsieme di X, allora la
restrizione di d a Y si dice metrica indotta su Y .
Proposizione 2.41. Un sottospazio chiuso di uno spazio metrico completo è completo per la
metrica indotta.

Dimostrazione. Sia Y ⊆ X, Y ≡ Y e sia {yn } ⊂ Y di Cauchy in Y . Allora {yn } è di Cauchy in


X e quindi yn → x ∈ X. Con ciò x è punto di aderenza di Y e x ∈ Y e quindi yn converge in
Y.

Viceversa, si ha la seguente proposizione.


Proposizione 2.42. Un sottospazio completo di uno spazio metrico è chiuso.

Dimostrazione. Sia Y ⊆ (X, d) con Y completo. Sia y ∈ Y . Per la proposizione 2.27 esiste una
successione {yn } ⊂ Y convergente a y. {yn } è dunque di Cauchy in X e quindi in Y . Essendo
Y completo, yn → z in Y e quindi in X ma (X, d) è T2 e dunque y = z. Ciò prova che Y ⊆ Y e
che quindi Y è chiuso.

2.4 Completamento di uno spazio metrico


Si vede ora il completamento di uno spazio metrico.
Lemma 2.43. Siano {xn } e {yn } due successioni di Cauchy nello spazio metrico (X, d). La
successione {d(xn , yn )} ⊆ R è convergente.

Dimostrazione. Si ha

d(xn , yn ) ≤ d(xn , xm ) + d(xm , ym ) + d(ym , yn )


30 2. FUNZIONI CONTINUE E SUCCESSIONI

d(xm , ym ) ≤ d(xm , xn ) + d(xn , yn ) + d(yn , ym ),

da cui risulta
|d(xn , yn ) − d(xm , ym )|≤ d(xn , xm ) + d(yn , ym ).

Il fatto che le due successioni {xn } e {yn } siano di Cauchy implica allora che lo è anche
{d(xn , yn )}, che è dunque convergente, essendo R uno spazio metrico completo.

Si utilizzerà ora la notazione x̂ per individuare la successione di Cauchy {xn } ⊆ X. Si pone

ˆ ŷ) = lim d(xn , yn ).


d(x̂,
n→+∞

Si noti che se xn → x e yn → y essendo d : X × X → R continua si ha che


n→+∞
d(xn , yn ) −−−−−→ d(x, y)

e dunque in questo caso


ˆ ŷ) = d(x, y).
d(x̂, (2.2)

Inoltre, da
d(xn , ym ) ≤ d(xn , yn ) + d(yn , ym )

d(xn , yn ) ≤ d(xn , ym ) + d(ym , yn )

si ha anche
−d(yn , ym ) ≤ d(xn , yn ) − d(xn , ym ) ≤ d(ym , yn ),

cioè
|d(xn , yn ) − d(xn , ym )|≤ d(ym , yn )

e dunque
ˆ ŷ) =
d(x̂, lim d(xn , ym ). (2.3)
n,m→+∞

Lemma 2.44. Siano x̂, ŷ e ẑ tre successioni di Cauchy in X. Allora valgono le seguenti proprietà:
ˆ ŷ) ≥ 0;
1. d(x̂,

ˆ ŷ) = d(ŷ,
2. d(x̂, ˆ x̂);

ˆ ẑ) ≤ d(x̂,
3. d(x̂, ˆ ŷ) + d(ŷ,
ˆ ẑ).

Dimostrazione.

1. È ovvio;

2. È ovvio;

3. Siano x̂ = {xn }, ŷ = {yn }, ẑ = {zn }. Si ha

ˆ ẑ) = lim d(xn , zn ) ≤ lim (d(xn , yn ) + d(yn + zn )) = d(x̂,


d(x̂, ˆ ŷ) + d(ŷ,
ˆ ẑ).
n→+∞ n→+∞
2.4. COMPLETAMENTO DI UNO SPAZIO METRICO 31

Si ponga C(X) per denotare l’insieme delle successioni di Cauchy in (X, d) e si introduca in
C(X) la relazione binaria
ˆ ŷ) = 0.
x̂ ∼ ŷ ⇐⇒ d(x̂,
Dalle proprietà del lemma 2.44 si verifica immediatamente che ∼ è una relazione d’equiva-
lenza.
Sia X ∗ = C(X)
∼ ; si cerca di introdurre in X

una metrica. Si indica con x∗ la classe
d’equivalenza individuata da x̂ e si pone

ˆ ŷ);
d∗ (x∗ , y ∗ ) = d(x̂,

d∗ è ben definita.

Dimostrazione. Sia x̂ ∼ x̂0 e ŷ = {yn }, con x̂ = {xn } e x̂0 = {x0n }. Si ha

ˆ ŷ) − d(x̂
|d(x̂, ˆ 0 , ŷ)|= lim |d(xn , yn ) − d(x0 , yn )|≤ lim d(xn , x0 ) = 0.
n n
n→+∞ n→+∞

Quindi d∗ è ben definita. Dal lemma 2.44 segue allora che d∗ è una distanza su X ∗ .

Si definisce l’applicazione
i : X → X∗
nel seguente modo:
x 7→ x∗ = [x̂]∼
con x̂ = {xn } tale che xn = x, ∀ n ∈ N. Ovviamente {xn } è una successione di Cauchy in X,
allora ∀ x, y ∈ X per l’equazione 2.2 si ha

ˆ ŷ) = d(x, y),


d∗ (i(x), i(y)) = d(x̂,

cioè i preserva la distanza e come tale è un’applicazione iniettiva. Si può quindi identificare
(X, d) con (i(X), d∗ ).
Lemma 2.45. i(X) è denso in (X ∗ , d∗ ).

Dimostrazione. Fissato x∗ ∈ X e ε > 0, si deve provare che ∃ y ∗ ∈ i(X) : d∗ (x∗ , y ∗ ) < ε.


Ora y ∗ = i(y), y ∈ X e sia y ∗ = [ŷ]∼ , con ŷ = {yn } e yn = y, ∀ n. Quindi, se x∗ = [x̂]∼ e
x̂ = {xn } ∈ C(X),
d∗ (x∗ , y ∗ ) = d∗ (x∗ , i(y)) = lim d(xn , y).
n→+∞

Poiché {xn } ∈ C(X), ∃ N = N (ε) : ∀ n, m ≥ N

d(xm , xn ) < ε.

Si scelga allora m > N e si ponga y = xm . Si ha che

lim d(xn , y) = lim d(xn , xm ) < ε,


n→+∞ n→+∞

da cui l’asserto.

Teorema 2.46. (X ∗ , d∗ ) è uno spazio metrico completo.


32 2. FUNZIONI CONTINUE E SUCCESSIONI

Dimostrazione. Sia {x∗n } una successione di Cauchy in X ∗ . Poiché i(X) è denso in X ∗ , ∀ x∗n , ∃ xn ∈
X tale che
1
d∗ (x∗n , i(xn )) < .
n
Si consideri la successione {xn } ⊆ X. Poiché
d(xn , xm ) = d∗ (i(xn ), i(xm ))
≤ d∗ (i(xn ), x∗n ) + d∗ (x∗n , x∗m ) + d∗ (x∗m , i(xm ))
1 1
< + d∗ (x∗n , x∗m ) +
n m
si ha, per n, m → +∞
d(xn , xm ) → 0
cioè x̂ = {xn } ⊂ X è di Cauchy in X. Sia x∗ la sua classe d’equivalenza in X ∗ . Risulta essere
d∗ (x∗ , x∗n ) ≤ d∗ (x∗ , i(xn )) + d∗ (i(xn ), x∗n )
1
≤ d∗ (x∗ , i(xn )) +
n
1
= lim d(xm , xn ) + .
n→+∞ n
Ora
1
lim d∗ (x∗ , x∗n ) ≤ lim d(xm , xn ) + lim = 0,
n→+∞ n,m→+∞ n→+∞ n
e ciò prova che {x∗n } converge a x∗ in (X ∗ , d∗ ).
Definizione 2.47. Sia (X, d) uno spazio metrico. Si dice completamento di (X, d) uno spazio
e per il quale esiste un’isometria i : X → Z tale che i(X) sia denso in Z.
metrico completo (Z, d)
Esempio 2.48. Lo spazio (X ∗ , d∗ ) è un completamento dello spazio metrico (X, d).
In un certo modo il completamento di (X, d), che già si è visto che esiste, è unico nel senso
della seguente proposizione.
Proposizione 2.49. Sia (X 0 , d0 ) uno spazio metrico completo e g : X → X 0 un’isometria (non
necessariamente suriettiva) di X in X 0 . Allora esiste una e una sola applicazione isometrica
h : X ∗ → X 0 tale che h ◦ i = g. In particolare, se g(X) è denso in X 0 allora X ∗ e X 0 sono
isometrici (cioè h è suriettiva).
i
(X, d) (X ∗ , d∗ )

g h
0 0
(X , d )

Dimostrazione. Si definisca h : X ∗ → X 0 nel modo seguente. Sia {xn } una successione di Cauchy
in X che individua x∗ = [{xn }]∼ in X ∗ . Poiché g è un’isometria (non generalmente suriettiva),
{g(xn )} è una successione di Cauchy in X 0 che dunque converge a x0 ∈ X 0 . Se {yn } ∈ C(X) e
{yn } ∼ {xn } si ha
lim d0 (g(xn ), g(yn )) = lim d(xn , yn ) = 0,
n→+∞ n→+∞
0 0
da cui g(yn ) → x . Quindi x dipende solo dalla classe di equivalenza individuata da {xn } e
l’applicazione
h : [{xn }]∼ 7→ h([{xn }]∼ ) = x0
2.4. COMPLETAMENTO DI UNO SPAZIO METRICO 33

è ben definita. Chiaramente


h(i(x)) = g(x)
per costruzione. Bisogna provare che h sia un’isometria. Sia z ∗ = [{zn }]∼ un altro punto di X ∗
e sia z 0 = lim g(zn ) ∈ X 0 . Risulta
n→+∞

d0 (h(x∗ ), h(z ∗ )) = d0 (x0 , z 0 )


= lim d0 (g(xn ), g(zm ))
n,m→+∞
= lim d(xn , zm )
n,m→+∞
∗ ∗ ∗
= d (x , z ).

Resta da provare l’unicità di h. Sia h1 : X ∗ → X 0 soddisfacente h1 ◦ i = g; h1 e h coincidono


su i(X) e, poiché questo è denso in X ∗ , coincidono su X ∗ .

Il completamento dello spazio metrico (X, d) è stato costruito sostanzialmente secondo le


idee di Cantor della costruzione dei numeri reali R a partire dai razionali Q. Di seguito si darà
un’altra costruzione introducendo alcuni utili concetti ed esempi.
Definizione 2.50. Sia (Y, d) uno spazio metrico. Si definisce

d(x, y) = min{d(x, y), 1};

d si dice metrica standard limitata associata a d.


Definizione 2.51. Dato un insieme di indici I, si pone

Y I = {f : I → Y }

e si introduce una metrica ρ in Y I a partire da d nel modo seguente:



ρ(f, g) = sup d(f (i), g(i)) : i ∈ I .

La funzione ρ : Y I × Y I → R è una metrica, che prende il nome di metrica uniforme su


I
Y corrispondente alla metrica d su Y .
La verifica che ρ sia effettivamente una metrica su Y I è lasciata come semplice esercizio.
Teorema 2.52. Se (Y, d) è uno spazio metrico completo, comunque si scelga I, lo spazio (Y I , ρ)
è uno spazio metrico completo.

Dimostrazione. Sia {fn } ⊂ Y I una successione di Cauchy nella metrica ρ. Dato i ∈ I, si ha

d(fn (i), fm (i)) ≤ ρ(fn , fm ).

Questo implica che, ∀ i ∈ I fissato, la successione {fn (i)} ⊂ Y è di Cauchy nella metrica d
e dunque nella metrica d. Con ciò fn (i) → f (i) ∈ Y . È stata dunque individuata una funzione
f : I → Y , cioè un elemento di Y I . Si ha che
ρ
fn −
→ f.

Infatti, fissato ε > 0 e scelto N sufficientemente grande in modo che, ∀ n, m > N


ε
ρ(fn , fm ) < ,
2
34 2. FUNZIONI CONTINUE E SUCCESSIONI

si ha in particolare
ε
.
d(fn (i), fm (i)) <
2
Poiché d è continua e fm (i) → f (i) per m → +∞, risulta
ε
d(fn (i), f (i)) ≤ ,
2
e ciò vale ∀ i ∈ I, purché n ≥ N . Quindi
ε
ρ(fn , f ) ≤ < ε
2
per n ≥ N .
Si consideri ora il caso in cui I = (X, τ ) sia uno spazio topologico. È chiaro che quanto
precedentemente detto non dipende da τ . Si può però ora considerare il sottoinsieme C(X, Y ) di
Y X dato dalle applicazioni continue da X a Y , cioè
C(X, Y ) = {f : X → Y, f continua}.
Teorema 2.53. Sia (X, τ ) uno spazio topologico e sia (Y, d) uno spazio metrico. C(X, Y ) è chiuso
in (Y X , ρ). In particolare, se Y è completo, C(X, Y ) è completo.
Nota. Il teorema è quello che in analisi prende il nome di teorema del limite uniforme.
ρ
Dimostrazione. In primo luogo, è bene provare che, se {fn } ⊂ Y X è tale che fn −
→ f , allora fn
converge a f uniformemente su X, cioè ∀ ε > 0, ∃ N = N (ε) : ∀ n ≥ N, x ∈ X
d(fn (x), f (x)) < ε,
ma questo è ovvio, in base alla definizione di convergenza nella metrica ρ.
Per provare che C(X, Y ) è chiuso in (Y X , ρ), sia {fn } ⊂ C(X, Y ) una successione tale che
ρ
fn −→ f . Si deve provare che f ∈ C(X, Y ). A tale scopo, sia V aperto in Y e sia x0 ∈ f −1 (V ):
si vuole trovare un aperto U 3 x0 , tale che f (U ) ⊂ V o, equivalentemente, U ⊂ f −1 (V ). Sia
ρ
y0 = f (x0 ) e si scelga ε > 0 in modo tale che Bε (y0 ) ⊂ V . Poiché fn −
→ f , si scelga N = N (ε)
sufficientemente grande in modo che ∀ n ≥ N e ∀ x ∈ X
ε
d(fn (x), f (x)) < .
4
Usando ora la continuità di fN , si scelga un aperto U 3 x tale che fN (U ) ⊂ B 2ε (fN (x0 )). Si
ha che
f (U ) ⊂ Bε (y0 ) ⊂ V,
e dunque che f è continua in x0 . Se x ∈ U
ε
d(f (x), fN (x)) < per la scelta di N ,
4
ε
d(fN (x), fN (x0 )) < per la scelta di U ,
2
ε
d(fN (x0 ), f (x0 )) < per la scelta di N .
4
Dunque, ∀ x ∈ U
d(f (x), f (x0 )) ≤ d(f (x), fN (x)) + d(fN (x), fN (x0 )) + d(fN (x0 ), f (x0 )) < ε.
Poiché (Y X , ρ) è completo se (Y, d) è completo, lo è pure il suo sottospazio chiuso (C(X, Y ), ρ).
2.4. COMPLETAMENTO DI UNO SPAZIO METRICO 35

Definizione 2.54. Sia (Y, d) uno spazio metrico e sia X o un insieme o uno spazio topologico.
Sia F ⊆ Y X un sottoinsieme con la seguente proprietà, ∀ f, g ∈ F:

{d (f (x), g(x)) : x ∈ X} ⊆ R

sia limitato. Si definisce una metrica ρ su F ponendo

ρ(f, g) = sup {d (f (x), g(x))}.


x∈X

Tale distanza prende il nome di metrica dell’estremo superiore.


È facile vedere che per f, g ∈ F

ρ(f, g) = min{ρ(f, g), 1};

ne segue che ρ e ρ danno origine alla stessa topologia su F e F è completo in ρ se e solo se lo è


in ρ.
Lemma 2.55. Sia (X, τ ) uno spazio topologico e sia

B(X, R) = {f : X → R : f limitata};

allora B(X, R) è completo nella metrica dell’estremo superiore.

ρ
Dimostrazione. Si prova che B(X, R) è chiuso in (RX , ρ). Sia {fn } ⊂ B(X, R) e fn −
→ f ∈ RX .
Si scelga N sufficientemente grande, tale che ∀ n ≥ N

ρ(fn , f ) < 1.

Poiché fN ∈ B(X, R), ∃ M  1 : ∀ x ∈ X

|fN (x)|≤ M.

Dunque, ∀ x ∈ X
d(fN (x), f (x)) < 1,
da cui, ∀ x ∈ X
|fN (x) − f (x)|= d(fN (x), f (x)) < 1.
Ma allora
−1 + fN (x) ≤ f (x) ≤ 1 + fN (x)
e con ciò, su X
|f (x)|≤ M + 1.
Ma allora B(X, R) è chiuso nella metrica ρ, e poiché (RX , ρ) è completo, B(X, R) è completo
nella metrica ρ dell’estremo superiore.

Si giunge ora alla dimostrazione del seguente teorema.


Teorema 2.56. Sia (X, d) uno spazio metrico. Allora esiste un’isometria ϕ (in generale non
suriettiva) di (X, d) nello spazio metrico completo (B(X, R), ρ). In particolare ϕ(X)ρ è uno
spazio metrico completo.
36 2. FUNZIONI CONTINUE E SUCCESSIONI

Dimostrazione. Si consideri B(X, R) e si fissi il punto x0 ∈ X. Dato a ∈ X si definisce ϕa :


X → R, cioè ϕa ∈ RX ponendo

ϕa (x) = d(x, a) − d(x, x0 );

ϕa (x) ∈ B(X, R). Infatti


d(x, a) ≤ d(x, x0 ) + d(x0 , a)
d(x, x0 ) ≤ d(x, a) + d(a, x0 )
e dunque
−d(x0 , a) ≤ ϕa (x) = d(x, a) − d(x, x0 ) ≤ d(x0 , a).
Vale a dire, ∀ x ∈ X,
|ϕa (x)|≤ d(x0 , a)
Si definisce quindi ϕ : X → B(X, R) ponendo

a 7→ ϕa .

Si prova ora che ϕ è un’isometria. Siano dunque a, b ∈ X. Si deve mostrare che

ρ(ϕa , ϕb ) = d(a, b).

Per definizione
ρ(ϕa , ϕb ) = sup {|ϕa (x) − ϕb (x)|}
x∈X
= sup {|d(x, a) − d(x, b)|};
x∈X

per la disugualianza triangolare si ha

|d(x, a) − d(x, b)|≤ d(a, b)

e dunque
ρ(ϕa , ϕb ) ≤ d(a, b).
D’altro canto la disugualianza non può essere stretta perché, per x = a si ha

|d(x, a) − d(x, b)|= d(a, b).

2.5 Compattezza
Il prossimo risultato, conseguenza del teorema 2.56, richiede una nota proprietà, la cui di-
mostrazione è semplificata dall’introduzione del concetto di compattezza, che dunque viene
premessa.
S e sia A ⊂ τ una collezione di aperti. Si dice
Definizione 2.57. Sia (X, τ ) uno spazio topologico
che A è un ricoprimento aperto di X se X = A∈A A.
Definizione 2.58. Si dice che lo spazio topologico (X, τ ) è compatto se da ogni ricoprimento
aperto A di X è possibile estrarre un sottoricoprimento finito.
Dato un sottospazio Y di (X, τ ) con la topologia indotta, le precedenti definizioni danno
origine alla seguente definizione.
Definizione 2.59. Sia Y ⊂ (X, τ ) alloraSY si dice compatto se per ogni ricoprimento aperto A
di Y , vale dire A ⊂ τ per il quale Y ⊆ A∈A A, esiste un sottoricoprimento finito.
2.6. CURVE DI TIPO PEANO 37

Teorema 2.60. Sia (X, τ ) uno spazio compatto e Y un chiuso di X. Allora Y è compatto.

Dimostrazione. Sia A ⊆ τ un ricoprimento aperto di Y . Si definisca A0 = A ∪ {c Y } ⊂ τ . A0 è


un ricoprimento aperto di X, dunque esistono A1 , . . . , An ∈ A0 tali che

X = A1 ∪ · · · ∪ An

con ciò
Y = (A1 ∩ Y ) ∪ · · · ∪ (An ∩ Y )

e se negli Ai è presente c Y lo si elimina. Ciò prova che Y è compatto.

Teorema 2.61. Sia (X, τ ) di Hausdorff e sia Y ⊂ X compatto. Allora Y è chiuso.

Dimostrazione. Si deve provare che c Y è aperto. Si fissi x0 ∈ c Y . ∀ y ∈ Y, ∃ Uy 3 y, Vy 3 x0


aperti tali che Uy ∩ Vy = ∅. Poiché {Uj }y∈Y è un ricoprimento aperto di Y e Y è compatto,
esiste un sottoricoprimento finito di Y , ovvero Uy1 , . . . , Uyn , quindi si ha che

Y ⊂ U = Uy1 ∪ · · · ∪ Uyn .

Inoltre
V = Vy1 ∪ · · · ∪ Vyn 3 x0

e U ∩ V = ∅. Ne segue che l’aperto V 3 x0 è tale che V ⊂ c Y . Poiché il punto x0 era generico,


si ha che c Y è aperto.

Teorema 2.62. Sia (X, τ ) compatto, f : X → (Y, ζ) continua. Allora f (X) ⊂ Y è compatto.

Dimostrazione. Sia B ⊂ ζ un ricoprimento aperto di f (X). {f −1 (B) : B ∈ B}, dovuto alla


continuità di f , è allora un ricoprimento aperto di X, quindi ammette un sottoricoprimento
finito f −1 (B1 ), . . . , f −1 (Bk ). Allora B1 , . . . , Bk è un sottoricoprimento finito di f (X) estratto
da B.

Come immediata conseguenza dei precedenti risultati si ricava il seguente teorema.


Teorema 2.63. Sia f : X → Y una biezione continua. Se X è compatto e Y di Hausdorff allora
f è un omeomorfismo.

Dimostrazione. Per provare che f −1 è continua basta provare che f è chiusa, cioè porta chiusi
in chiusi. Ora sia C ⊆ X chiuso. Poiché X è compatto C è compatto e f (C) è compatto in Y
ma quest’ultimo è T2 e quindi f (C) è chiuso.

2.6 Curve di tipo Peano


Con quanto dimostrato precedentemente si cercherà ora di costruire una curva di tipo Peano,
cioè una curva continua f : I → I 2 = I × I, con I = [0, 1], che sia suriettiva. È chiaro che questo
risultato violi l’usuale intuizione geometrica.
Teorema 2.64. Esiste un’applicazione continua e suriettiva f : I → I × I, dove I = [0, 1].
38 2. FUNZIONI CONTINUE E SUCCESSIONI

Dimostrazione. La dimostrazione viene spezzata in una serie di passi.


Passo 1. L’applicazione f viene costruita come il limite di una successione di applicazioni
continue. A tale scopo viene ora descritta un’operazione di carattere geometrico. Si consideri
l’applicazione continua g : I → Q il cui grafico è disegnato in figura 2.1a.
È chiaro che, fissato nel piano un sistema di assi cartesiani ortogonali, sia immediato dare
una semplice rappresentazione analitica di g. In figura 2.1b viene descritta l’operazione che
sostituisce a g il cammino g 0 ; g e g 0 hanno gli stessi punti iniziali e finale.
La stessa operazione si può applicare a un qualsiasi altro cammino triangolare tra due angoli
adiacenti del quadrato, come mostra la figura 2.2.
Passo 2. Viene definita ora una successione di funzioni fn : I → I 2 .
• La funzione f0 è il cammino triangolare della figura 2.1a (definita su I).
• La f1 è la funzione ottenuta da f0 applicando l’operazione descritta nel passo 1, vale a dire
quello ottenuto in figura 2.1b.
• La funzione f2 è quella ottenuta applicando la procedura descritta nel passo 1 a ciascuno
dei quattro cammini triangolari di f1 (figura 2.3).
• La funzione successiva f3 è ottenuta applicando la medesima operazione a ciascuno dei 16
cammini triangolari che danno origine a f2 .
• Al passo generale n-esimo, la fn è il cammino costruito dai 4n cammini triangolari del tipo
considerato nel passo 1, ciascuno dei quali giace in un quadrato di lato 21n .
Passo 3. Dati x = (x1 , x2 ), y = (y1 , y2 ) in R2 sia

d(x, y) = max{|x1 − y1 |, |x2 − y2 |}.

Si indica con ρ la corrispondente metrica del sup in C(I, I 2 ):

ρ(f, g) = sup{d(f (t), g(t))};


t∈I

poiché I 2 ⊂ R2 è chiuso, è completo nella metrica d, e dunque C(I, I 2 ) è completo nella metrica
ρ. Si può affermare che la successione {fn } precedentemente definita è di Cauchy in ρ. A tale
scopo si cerca ora di scoprire cosa succede passando da fn a fn+1 . Ciascun cammino triangolare
di fn giace in un quadrato di lato 21n . L’operazione di passaggio da fn a fn+1 sostituisce questo
cammino triangolare con quattro cammini triangolari che stanno nello stesso quadrato, quindi
nella metrica d di I 2 la distanza tra fn (t) e fn+1 (t) è al più 21n , quindi
1
ρ(fn , fn+1 ) ≤ .
2n
Da qui segue che, ∀ n, m ∈ N, maggiorando la somma con la coda della serie geometrica,
1 1 1 2
ρ(fn , fn+m ) ≤ n
+ n+1 + · · · + n+m−1 < n .
2 2 2 2
Ciò prova che {fn } è di Cauchy nella metrica ρ.
Passo 4. Poiché C(I, I 2 ) è completo fn converge ad una funzione continua f : I → I 2 . Si
prova ora che f è suriettiva. Sia dunque x ∈ I 2 . Dato n, il cammino fn dista meno di 21n da x.
Si fissi ε > 0 e si consideri Uε 3 x, un intorno di raggio ε di x dato da, se x = (x1 , x2 ),

Uε = z ∈ I 2 : max{|z1 − x1 |, |z2 − x2 |} < ε .



2.6. CURVE DI TIPO PEANO 39

I g
0 1
I

I
(a)

I g0
0 1
I

I
(b)

Figura 2.1: Definizione di g e g 0 .

I
0 1 h
I

I
Q

I
0 1 h0
I

Figura 2.2: Definizione di h e h0 .


40 2. FUNZIONI CONTINUE E SUCCESSIONI

I f2
0 1
I

Figura 2.3: Definizione di f2 .

ε 1 ε
Scelto N sufficientemente grande tale che ρ(fN , f ) < 2 e 2N
< 2 allora ∃ t0 ∈ I : d(x, fN (t0 )) <
1
2N
, e poiché d(fN (t), f (t)) < 2ε , ∀ t ∈ I ne segue che

d(x, f (t0 )) < ε.

Dunque Uε ∩ f (I) 6= ∅. Con ciò x ∈ f (I), ma I è compatto e dunque f (I) è compatto e


dunque chiuso. Con ciò x ∈ f (I) e la dimostrazione è completa.
Capitolo 3

Compattezza e connessione

3.1 Ancora sulla compattezza


È stata introdotta nel precedente paragrafo la nozione di compattezza, che ora ci si appresta a
studiare più in dettaglio.
Teorema 3.1. Siano (X, τ ) e (Y, ζ) spazi compatti, allora X × Y munito della topologia prodotto
è anch’esso compatto.
Si producono ora alcuni esempi di spazi compatti.
Definizione 3.2. Sia (X, ≤) un insieme totalmente ordinato. Si dice che (X, ≤) gode della
proprietà dell’estremo superiore se ∀ A0 ⊂ X, con A0 6= ∅ tale che esista ζ ∈ X per cui
∀ a ∈ A0 , a ≤ ζ, si ha che ∃ γ ∈ X : ∀ b ∈ A0 , b ≤ γ e se ρ ∈ X è tale che ∀ b ∈ A0 , b ≤ ρ, allora
γ ≤ ρ.
L’elemento γ ∈ X con la precedente proprietà si dice estremo superiore di A0 e si indica con

γ = sup a
a∈A0

Ovviamente dato che A0 6= ∅ ammette un estremo superiore γ si ha che γ è univocamente


determinato dalla proprietà che lo definisce.
Teorema 3.3. Sia (X, ≤) un insieme totalmente ordinato con la proprietà dell’estremo superiore
e sia
I = [a, b] = {x ∈ X : a ≤ x ≤ b}
un suo intervallo chiuso. Allora I è compatto nella topologia dell’ordine.

Dimostrazione. Si suddivide la dimostrazione in alcuni passi. Sia a < b e sia A un ricoprimento


aperto di [a, b].
Passo 1. Se x ∈ [a, b] e x 6= b, allora esiste un punto y > x, con y ∈ [a, b], tale che [x, y] si
può ricoprire con al più due elementi di A. Infatti,

• se x ha un successore immediato in X – sia y tale successore – allora [x, y] = {x, y} e quindi


[x, y] si può ricoprire con al più due elementi di A;

• se x non ha un successore immediato, si scelga A ∈ A tale che x ∈ A. Poiché x 6= b e


A è aperto, A contiene un intervallo della forma [x, c) per un qualche c ∈ [a, b]. Si scelga
y ∈ (x, c). Allora l’intervallo [x, y] è ricoperto dal singolo elemento A ∈ A.

41
42 3. COMPATTEZZA E CONNESSIONE

Passo 2. Sia C = {y ∈ [a, b] : y > a e [a, y] sia ricopribile con un numero finito di elementi di
A}. Applicando il punto 1 con x = a si ha C 6= ∅. Sia

c = sup C.

Allora a < c ≤ b.
Passo 3. Si prova ora che c ∈ C, cioè che l’intervallo [a, c] si può ricoprire con un numero
finito di elementi di A. Si scelga A ∈ A : c ∈ A. Poiché A è aperto, A contiene un intervallo
della forma (d, c] per un qualche d ∈ [a, b]. Se c 6∈ C deve esistere z ∈ C ∩ (d, c], altrimenti c
non sarebbe estremo superiore. Poiché z ∈ C, l’intervallo [a, z] si può ricoprire con n elementi di
A. Si noti che [z, c] ⊂ A, dunque [a, c] = [a, z] ∪ [z, c] si può ricoprire con n + 1 elementi di A,
contraddicendo il fatto che c 6∈ C.
Passo 4. Si mostra ora che c = b. Per assurdo, si supponga che c < b. Applicando il passo 1
con la scelta x = c, ∃ y > c, y ∈ [a, b] : [c, y] si può ricoprire con un numero finito di elementi di
A ma
[a, y] = [a, c] ∪ [c, y]
e c ∈ C; ne segue dunque che [a, y] si può ricoprire con un numero finito di elementi di A,
contraddicendo il fatto che c < y e la definizione di c.

Corollario 3.4. Ogni intervallo [a, b] ⊂ R è compatto.


Teorema 3.5. Sia A ⊂ Rn . Allora A è compatto se e solo se è chiuso e limitato o nella metrica
euclidea d o nella metrica quadrata

ρ(x, y) = max {|xi − yi |} .


i=1,...,n

Dimostrazione. Poiché √
ρ(x, y) ≤ d(x, y) ≤ nρ(x, y)
l’insieme A è limitato in d se e solo se è limitato in ρ. È quindi sufficiente dimostrare il teorema
nel solo caso della metrica ρ. Si supponga che A sia compatto. Poiché (Rn , ρ) è T2 si evince che
A è chiuso. Si consideri ora la collezione di sfere di raggio m nell’origine di Rn :

B = {Bm (0) : m ∈ N}.

Bm (0) = Rn . Una qualche sottocollezione finita ricopre A, quindi per un


S
Chiaramente
qualche m
A ⊂ Bm (0)
e ∀ x, y ∈ A, ρ(x, y) ≤ 2m, quindi A è limitato nella metrica ρ.
Si supponga ora che A sia chiuso e limitato nella metrica ρ. Sia ρ(x, y) ≤ m,
e ∀ x, y ∈ A. Si
scelga x0 ∈ A e sia ρ(x0 , 0) = b. ∀ x ∈ A allora si ha

ρ(x, 0) ≤ ρ(x, x0 ) + ρ(x0 , 0) ≤ m


e + b = T.

Dunque A ⊆ [−T, T ]n ed è compatto, poiché è il prodotto di un numero finito di compatti e


dunque A essendo chiuso è esso stesso compatto.

Teorema 3.6. Sia (X, τ ) compatto e (Y, ≤) un insieme totalmente ordinato con la topologia
dell’ordine. Sia f : X → Y continua. Allora ∃ c, d ∈ X : ∀ x ∈ X

f (c) ≤ f (x) ≤ f (d).


3.1. ANCORA SULLA COMPATTEZZA 43

Dimostrazione. Poiché f è continua e X è compatto, K = f (X) è compatto in Y . Si prova ora


che K ha un minimo m e un massimo M . Poiché m, M ∈ K, ∃ c, d ∈ X : f (c) = m, f (d) = M e
ciò completa la dimostrazione del teorema. Si supponga che K non ammetta massimo. Allora
la collezione
B = {(−∞, a) : a ∈ K}
è un ricoprimento aperto di K (se X ha minimo x0 , allora viene posto −∞ = x0 e gli intervalli
sono del tipo [x0 , a)). Poiché A è compatto esiste una sottocollezione finita di B che ricopre K:

(−∞, a1 ), . . . , (−∞, an ).

Sia a = maxi=1,...,n ai . Allora a non appartiene ad alcuno dei precedenti aperti ma a ∈ K,


che è una contraddizione. Analogamente si dimostra che K ammette minimo.
Lemma 3.7. Sia (X, τ ) uno spazio topologico. Allora X è compatto se e solo se ogni collezione
C di chiusi di X, per la quale ogni intersezione di un numero finito di essi è non vuoto, ha
intersezione non vuota.
Dimostrazione. Sia X compatto e sia C una collezione di chiusi C, come nell’enunciato. Al-
c
T A = { C : C ∈Sτ } èc una collezione di aperti di X. Si supponga per assurdo che
lora
C∈C C = ∅, dunque C∈C C = X, cioè A è un ricoprimento aperto, ma X è compatto e
quindi ∃ c C1 , . . . , c Cn : c C1 ∪ · · · ∪ c Cn = X e dunque

C1 ∩ C2 ∩ · · · ∩ Cn = ∅

è un assurdo.
S Viceversa, per assurdo X non sia compatto. Sia A =
S {Ai } un ricoprimento aperto di X; allora
Ai = X e per ogni sottofamiglia finita A0 si ha che {Ai : Ai ∈ A0 } = 6 X. C = {c Ai : Ai ∈ A}
c
Tn c Sn
è una famiglia di chiusi tale che i=1 Ai = ( i=1 Ai ) 6= c X = ∅. Allora, per ipotesi c Ai 6= ∅.
T

c Tc
Ai ) 6= c ∅ = X, assurdo.
S
Ma allora Ai = (

Definizione 3.8. Una collezione C di sottoinsiemi di X si dice che soddisfa la proprietà dell’in-
tersezione finita se ogni sottocollezione finita di C, {C1 , C2 , . . . , Cn } è tale che C1 ∩ · · · ∩ Cn 6=
∅.
Definizione 3.9. Una successione {Cn } di sottoinsiemi di X si dice inscatolata se Cn+1 ⊂
Cn , ∀ n ∈ N.
Osservazione 3.10. Se la successione inscatolata {Cn } è costituita da insiemi non vuoti allora
si ha la proprietà dell’intersezione finita.
Teorema 3.11. Sia (X, τ ) uno spazio di Hausdorff compatto. Se ∀ x ∈ X, x è punto di accumu-
lazione per X allora X non è numerabile.
Dimostrazione. La dimostrazione viene divisa in due passi.
Passo 1. Per prima cosa, sia ∅ 6= U ⊂ X aperto. Allora dato x ∈ X, ∃ ∅ 6= V ⊂ U : x 6∈ V .
Il punto x può sia appartenere sia non appartenere a U ma in entrambi i casi si può scegliere
un y ∈ U con y 6= x. Infatti, se x ∈ U poiché x è punto limite per X, ∃ y ∈ U con y 6= x. Se
x 6∈ U poiché U 6= ∅, ∃ y ∈ U e ovviamente y 6= x. Siano W1 , W2 due aperti disgiunti contenenti
rispettivamente x e y. Allora V = U ∩ W2 è tale che x 6∈ V . (Si veda la figura 3.1).
Passo 2. Se si prova che data una generica applicazione f : N → X, f è necessariamente non
suriettiva, allora si ha che X è non numerabile. Sia xn = f (n). Nel passo 1 si scelga U = X e sia
44 3. COMPATTEZZA E CONNESSIONE

x U
W1

y
V

W2

Figura 3.1

V1 aperto non vuoto tale che x1 6∈ V 1 . In generale scelto Vn−1 aperto non vuoto, sia Vn aperto
non vuoto tale che xn 6∈ V n ⊂ Vn−1 . Si consideri la successione

V 1 ⊃ V 2 ⊃ ···

T+∞ inscatolata di insiemi chiusi di X. Essendo X compatto per il lemma


Questa è una successione
3.7 si ha che ∃ x ∈ i=1 V i . x non può essere nessuno degli xn poiché xn 6∈ V n .

Corollario 3.12. Ogni intervallo [a, b] ⊆ R è non numerabile.


Si introducono ora alcune altre nozioni di compattezza, in generale più deboli della precedente,
ma che in alcuni casi, come ad esempio in quello degli spazi metrici, coincidono con quest’ultima.
Definizione 3.13. Sia (X, τ ) uno spazio topologico. Si dice che X è compatto per punti limite
se ogni suo sottoinsieme infinito ha almeno un punto limite. Questo tipo di compattezza viene
anche chiamata compattezza secondo Fréchet.
Teorema 3.14. Se (X, τ ) è uno spazio compatto allora è compatto secondo Fréchet.

Dimostrazione. Sia A ⊂ X un sottoinsieme infinito e per assurdo si supponga che non abbia
punti limiti, cioè lo spazio X non sia compatto secondo Fréchet. Contando tutti i suoi punti
limiti, cioè nessuno, A è chiuso. Essendo A chiuso in un compatto è esso stesso un compatto.
∀ a ∈ A, ∃ Ua 3 a aperto tale che Ua ∩ (A \ {a}) = ∅ poiché a non è un punto limite. La
famiglia {Ua }a∈A è un ricoprimento aperto di A ed essendo quest’ultimo compatto esiste un
sottoricoprimento finito Ua1 , . . . , Uan . Poiché ciascun Ua contiene un solo punto di A, il punto
a, ne segue che A dev’essere finito, da cui la contraddizione.

Definizione 3.15. Sia (X, τ ) uno spazio topologico Allora X si dice compatto per successioni
se ogni successione {xn } ⊂ X ammette una sottosuccessione convergente.
Proposizione 3.16. Sia (X, τ ) uno spazio topologico soddisfacente il primo assioma di numera-
bilità e sia compatto secondo Fréchet. Allora è compatto per successioni.

Dimostrazione. Sia {xn } una successione in X. Per la compattezza secondo Fréchet se A =


{xn } è infinito allora ammette un punto limite x. Per la proposizione 2.26 esiste allora una
sottosuccessione convergente a x. Se A è finito allora infiniti elementi della successione {xn }
coincidono e questi danno origine a una sottosuccessione convergente.
3.1. ANCORA SULLA COMPATTEZZA 45

Teorema 3.17. Sia (X, d) uno spazio metrico. Le seguenti proprietà sono equivalenti:

1. X è compatto;

2. X è compatto secondo Fréchet;

3. X è compatto per successioni.

Dimostrazione. Per quanto già precedentemente provato, rimane solo da dimostrare che per uno
spazio metrico la compattezza per successioni implica la compattezza usuale. La dimostrazione
viene divisa in due passi.
Passo 1. ∀ ε > 0 esiste un sottoricoprimento finito di X con bolle di raggio ε. Per assurdo
si supponga che esista ε > 0 per cui ciò non S sia possibile. Si scelga x1 ∈ X, allora Bε (x1 ) 6= X.
n
In generale, scelto xn , si scelga xn+1 ∈ X \ ( i=1 Bε (xi )). Questo è possibile perché un numero
finito di bolle di raggio ε non può ricoprire X. Si noti che per costruzione d(xn+1 , xi ) ≥ ε, ∀ i =
1, . . . , n, dunque la successione {xn } non può avere sottosuccessioni convergenti, il che è una
contraddizione.
Passo 2. Sia A un ricoprimento aperto di X. Poiché X è compatto per successioni allora
∃ δ > 0 tale che ∀ S ⊆ X con
d(S) = sup d(x, y) < δ
x,y∈S

esiste A ∈ A tale che A ⊇ S. Si supponga il contrario. Ciò significa che ∀ δ > 0, ∃ S = S(δ) con
d(S) < δ ma che non è contenuto in alcun A ∈ A.
In particolare, ∀ n, ∃ Sn : d(Sn ) < n1 e Sn 6⊆ A, ∀ A ∈ A. Si scelga xn ∈ Sn , ∀ n. Si afferma
ora che la successione {xn } non ha sottosuccessioni convergenti, contraddicendo l’ipotesi che X
sia compatto per successioni. Si supponga che {xnk } ⊂ {xn } e sia convergente a x. Poiché x ∈ A
per un qualche A ∈ A, ∃ ε > 0 : Bε (x) ⊂ A. Sia k sufficientemente grande tale che d(xnk , x) < 2ε
e n1k < 2ε . Poiché xnk ∈ Snk e d(Snk ) < n1k si ha che ∀ s ∈ Snk

ε
d(x, s) ≤ d(x, xnk ) + d(xnk , s) < + d(Snk ) < ε
2
e quindi
Snk ⊂ Bε (x)
e con ciò Snk ⊂ A e ciò contraddice la scelta degli {Sn }, dunque dato A ricoprimento aperto
di X, ∃ δ > 0 con le proprietà precedenti. Per il punto 1, si può scegliere un ricoprimento di
X con bolle di raggio 3δ e ciascuna di esse ha diametro 32 δ. Dunque, per ciascuno di esse si può
scegliere un elemento di A che lo contenga. Si ottiene in questo modo una sottocollezione finita
di elementi di A che ricopre X e con ciò X è compatto.

La dimostrazione appena vista suggerisce la seguente definizione.


Definizione 3.18. Uno spazio metrico (X, d) si dice totalmente limitato se ∀ ε > 0 esiste un
ricoprimento finito di X costituito da bolle di raggio ε.
Definizione 3.19. Il δ > 0 trovato nel secondo punto della dimostrazione del teorema precedente
si dice un numero di Lebesgue per il ricoprimento aperto A.
Con la nozione di totale limitatezza si possono caratterizzare gli spazi metrici compatti
nell’ulteriore modo espresso dal seguente teorema.
Teorema 3.20. Sia (X, d) uno spazio metrico, allora X è compatto se e solo se è completo e
totalmente limitato.
46 3. COMPATTEZZA E CONNESSIONE

Dimostrazione. Sia X compatto, allora è compatto per successioni e quindi chiaramente com-
pleto. Inoltre già si sa che X è anche totalmente limitato. Si assume ora la completezza e la
totale limitatezza di X e si prova che X è compatto per successioni e dunque compatto. Sia
dunque {xn } ⊂ X una successione. Si costruisce una sottosuccessione di Cauchy che risulterà
dunque convergente per la completezza di (X, d).
Poiché X è totalmente limitato, esiste un ricoprimento finito di X con bolle aperte di raggio
1 e poiché sono in numero finito almeno una di esse, la si denoti con B1 , contiene xn per infiniti
valori di n. Sia J1 = {n ∈ N : xn ∈ B1 }.
Si ricopre ora X con un numero finito di bolle di raggio 12 . Almeno una di esse, B1/2 , contiene
xn con n ∈ J1 infinite volte. Sia J2 = {n ∈ J1 : xn ∈ B1/2 }.
In generale, assegnato Jk , si ha
n o
Jk+1 = n ∈ Jk : xn ∈ B k+1 1 .

Si scelga n1 ∈ J1 . Dato nk , si scelga nk+1 ∈ Jk+1 tale che nk+1 > nk . Ciò è possibile poiché
|Jk+1 |= +∞, dunque {xnk } è una sottosuccessione di {xn }. Per i, j ≥ k si ha che ni , nj ∈ Jk ,
dunque ∀ i, j ≥ k si ha che xni , xnj ∈ B k1 e dunque {xnk } è una sottosuccessione di Cauchy come
desiderato.

3.2 Il teorema di Ascoli


Sia ora X uno spazio compatto, allora gli elementi di C(X, Rn ) sono funzioni limitate per cui
ha senso considerare direttamente su C(X, Rn ) la metrica della convergenza uniforme data da,
∀ f, g ∈ C(X, Rn ),
ρ(f, g) = sup {kf (x) − g(x)k }.
x∈X

Ci si pone ora il problema di caratterizzare i sottoinsiemi compatti di (C(X, Rn ), ρ). A tale


scopo viene introdotta la seguente definizione.
Definizione 3.21. Sia (Y, d) uno spazio metrico e sia F ⊆ C(X, Y ). Fissato x0 ∈ X si dice che
la famiglia di funzioni F è equicontinua in x0 se ∀ ε > 0, ∃ U 3 x0 , con U aperto, tale che
∀ x ∈ U, f ∈ F
d(f (x), f (x0 )) < ε.
Se F è equicontinua in ogni punto x0 ∈ X, si dice allora che F è una famiglia di funzioni
equicontinue su X. Nel caso in cui X e Y siano compatti, l’equicontinuità di una famiglia di
funzioni F ⊆ C(X, Y ) si può interpretare nel senso del seguente lemma.
Lemma 3.22. Siano (X, τ ) uno spazio compatto e (Y, d) uno spazio metrico compatto; sia F ⊂
(C(X, Y ), ρ). Allora F è equicontinuo su X se e solo se F è totalmente limitato.
Dimostrazione. (⇐) Si supponga che F sia totalmente limitata. Fissato x0 ∈ X, sia ε > 0 e
siano ε1 , ε2 > 0 tali che 2ε1 + ε2 ≤ ε. Si ricopra F con un numero finito n di sfere aperte di
raggio ε1 nella metrica ρ:
Bε1 (f1 ), . . . , Bε1 (fn ).
Ciascuna fi con i = 1, . . . , n è continua, quindi esiste un aperto U 3 x0 tale che ∀ x ∈ U e
i = 1, . . . , n
d(fi (x), fi (x0 )) < ε2 .
Si prova ora che se x ∈ U e f ∈ F allora

d(f (x), f (x0 )) < ε


3.2. IL TEOREMA DI ASCOLI 47

e questo prova l’equicontinuità in x0 . Poiché f ∈ F allora f ∈ Bε1 (fi ) per un qualche i e dunque
per x ∈ U si ha
d(f (x), fi (x)) < ε1 ;

d(fi (x), fi (x0 )) < ε2 ;

d(fi (x0 ), f (x0 )) < ε1 .

Dalla disuguaglianza triangolare segue dunque

d(f (x), f (x0 )) < ε1 + ε2 + ε1 = 2ε1 + ε2 ≤ ε, ∀ x ∈ U.

(⇒) Si supponga che F sia equicontinuo su X. Si fissi ε > 0 e di nuovo si scelgano ε1 , ε2 > 0
tali che 2ε1 + ε2 ≤ ε. Usando l’equicontinuità di F e la compattezza di X, X viene ricoperto
con un numero finito di aperti U1 , . . . , Uk , contenenti rispettivamente i punti x1 , . . . , xk , tali che

d(f (x), f (xi )) < ε1


ε2
per x ∈ Ui e ∀ f ∈ F. Y viene ora ricoperto con un numero finito di bolle di raggio 2 , che sono
V1 , . . . , Vm . Sia
J = {α : {1, . . . , k} → {1, . . . , m}} .

Dato α ∈ J, se esiste una funzione f ∈ F tale che f (xi ) ∈ Vα(i) , ∀ i = 1, . . . , k, si scelga una
tale funzione e la si chiami fα . La collezione {fα } è indicizzata da un sottoinsieme J 0 ⊆ J ed è
dunque finita. Così si afferma che la famiglia finita

{Bε (fα )}

con α ∈ J 0 è un ricoprimento di F e ciò prova che F è totalmente limitata. Sia ora f ∈ F.


∀ i = 1, . . . , k si scelga α(i) tale che f (xi ) ∈ Vα(i) , dunque α ∈ J 0 . Si afferma quindi che
f ∈ Bε (fα ). Infatti, sia x ∈ X e si scelga i tale che x ∈ Ui .
Allora risulta
d(f (x), f (xi )) < ε1 ;

d(f (xi ), fα (xi )) < ε2 ;

d(fα (xi ), fα (x)) < ε1 .

Dalla disuguaglianza triangolare segue dunque

d(f (x), fα (x)) < ε1 + ε2 + ε1 = 2ε1 + ε2 ≤ ε, ∀ x ∈ X

e dunque
ρ(f, fα ) < ε.

Ciò prova che f ∈ Bε (fα ).

Si giunge ora alla versione classica del teorema di Ascoli che risponderà al quesito iniziale.
Teorema 3.23 (di Ascoli). Sia (X, τ ) uno spazio compatto e si consideri C(X, Rn ), ρ). Un
sottoinsieme F ⊆ C(X, Rn ) è compatto se e solo se è chiuso, limitato ed equicontinuo su X.
48 3. COMPATTEZZA E CONNESSIONE

Dimostrazione. (⇐) Si supponga F chiuso, limitato ed equicontinuo e si dimostri che è compatto.


Innanzitutto, la limitatezza di F nella metrica ρ implica l’esistenza di un compatto Y ⊂ Rn tale
che ∀ f ∈ F, f ∈ C(X, Y ).
Dunque F ⊆ C(X, Y ). Infatti fissato f0 ∈ F, poiché F è limitato in ρ, ∃ r > 0 sufficientemente
grande tale che ρ(f0 , f ) ≤ r, ∀ f ∈ F ma X compatto implica f0 (X) ⊂ Rn compatto e quindi
∃ s > 0 sufficientemente grande tale che
f0 (X) ⊂ Bs (0) ⊂ Rn
nella usuale distanza di Rn . Allora ∀ f ∈ F
f (X) ⊂ Br+s (0).
Si scelga ora Y = Br+s (0). Poiché F ⊆ C(X, Y ) ed entrambi sono compatti dall’equiconti-
nuità di F su X e del lemma 3.22 segue che F è totalmente limitato.
(C(X, Rn ), ρ) è completo e poiché F è chiuso F è completo nella metrica ρ. Il teorema 3.20
implica allora che F sia compatto.
(⇒) Sia F compatto in C(X, Rn ) allora F è chiuso e limitato in ρ ma se è limitato per la
prima parte della dimostrazione F ⊂ C(X, Y ) per un qualche Y compatto. Per il teorema 3.20,
essendo F completo è totalmente limitato e per il lemma 3.22 questo equivale a dire che F è
equicontinuo su X, poiché F ⊆ C(X, Y ).
Il seguente risultato garantisce a priori l’equicontinuità uniforme di una qualsivoglia famiglia
F di funzioni equicontinue.
Teorema 3.24. Sia (X, d) uno spazio metrico compatto, (Y, d) e uno spazio metrico e F ⊂ Y X
una famiglia di funzioni equicontinue su X, allora F è una famiglia di funzioni uniformemente
equicontinue su X, cioè ∀ ε > 0, ∃ δ = δ(ε) : d(x, y) < δ implica d(f
e (x), f (y)) < ε, ∀ f ∈ F.

Dimostrazione. Per l’equicontinuità di F su X, ∀ x ∈ X, ∃ δ = δ(x, ε) > 0 tale che, ∀ f ∈ F,


e (y), f (x)) < ε .
d(y, x) < δ ⇒ d(f
2
Si consideri il ricoprimento aperto di X dato da
n o
B δ(x) (x) ;
2 x∈X

poiché X è compatto, esiste un sottoricoprimento finito


B δ(x1 ) (x1 ), . . . , B δ(xn ) (xn ).
2 2

Sia  
δ(x1 ) δ(xn )
δ = inf ,...,
2 2
e siano x, y ∈ X : d(x, y) < δ. Ora x starà in una certa B δ(xp ) (xp ) per cui, ∀ f ∈ F,
2

e (x), f (xp )) < ε .


d(f
2
Inoltre si ha che
δ(xp ) δ(xp ) δ(xp )
d(xp , y) ≤ d(xp , x) + d(x, y) < +δ ≤ + = δ(xp )
2 2 2
e (xp ), f (y)) < ε . Pertanto, ∀ f ∈ F,
cioè y ∈ Bδ(xp ) (xp ) e quindi, ∀ f ∈ F, d(f 2

e (x), f (y)) ≤ d(f


d(f e (xp ), f (y)) < ε + ε = ε.
e (x), f (xp )) + d(f
2 2
3.2. IL TEOREMA DI ASCOLI 49

e è uno spazio metrico allora ogni f : X → Y


Corollario 3.25. Se (X, d) è compatto e (Y, d)
continua è uniformemente continua, cioè ∀ ε > 0, ∃ δ = δ(ε) > 0 : ∀ x, y ∈ X

d(x, y) < δ ⇒ d(f


e (x), f (y)) < ε

Dimostrazione. Si applichi il precedente teorema alla famiglia equicontinua su X data da F =


{f }.

Ci si propone ora di dimostrare l’estensione dovuta a Marshall Harvey Stone del teorema
di Weierstrass sull’approssimazione uniforme di una funzione f : [0, 1] → R continua attraverso
polinomi (teorema 1.52), cioè sul fatto che P, l’insieme delle funzioni polinomiali su [0, 1] a valori
in R, è denso nella metrica uniforme in C([0, 1], R). Il problema può essere posto nei termini
seguenti: C([0, 1], R) è un’algebra su R esattamente allo stesso modo in cui lo è C(X, R) per un
qualsiasi spazio topologico (X, τ ). Date f, g ∈ C(X, R), la loro somma e prodotto per uno scalare
λ ∈ R sono definite nel modo seguente, ∀ x ∈ X,

(f + g)(x) = f (x) + g(x) (λf )(x) = λf (x).

Il prodotto tra due funzioni viene in modo simile definito da

(f g)(x) = f (x)g(x).

Ovviamente, nelle precedenti definizioni, le operazioni alla destra del segno di uguaglianza
sono rispettivamente le operazioni di somma e prodotto di numeri reali. Che le operazioni così
definite diano origine a elementi di C(X, R) deriva dalla continuità delle due applicazioni

+: R×R→R ·: R×R→R
(a, b) 7→ a + b (a, b) 7→ a · b

e dal fatto che composizioni di applicazioni continue sono continue.


C(X, R) denota dunque un’algebra su R seconda la seguente definizione.
Definizione 3.26. Un’algebra A su un campo K è uno spazio vettoriale A su K munito di un’ul-
teriore operazione interna indicata con notazione moltiplicativa che sia associativa e bilineare,
cioè soddisfacente gli assiomi:

1. ∀ v, w, z ∈ A, (vw)z = v(wz);

2. ∀ v, w, z ∈ A, λ ∈ K, (λv + w)z = λvz + wz e v(λw + z) = λvw + vz.

L’algebra A si dice dotata di unità se esiste un elemento 1A tale che

3. ∀ v ∈ A, 1A v = v = v1A .

C(X, R) rispetto alle operazioni precedentemente definite risulta essere un’algebra con unità
data dalla funzione continua
x 7→ 1R .
Si noti che P è una sottoalgebra di C(X, R) e che P, la chiusura di P in (C([0, 1], R), ρ), è
ancora una sottoalgebra.
Risulta ancora naturale cercare di generalizzare il teorema originario di Weierstrass nella
seguente direzione: data l’algebra C(X, R) caratterizzare quelle sottoalgebre B chiuse rispetto a
una qualche distanza in C(X, R) per la quale B ≡ C(X, R). Si è già osservato che per introdurre
50 3. COMPATTEZZA E CONNESSIONE

su C(X, R) la distanza dell’estremo superiore si deve restringersi ad esempio a CB (X, R), cioè alla
sottoalgebra delle funzioni continue e limitate su X per le quali ha senso definire

ρ(f, g) = sup|f (x) − g(x)|.


X

Si procede ora in questa generalità finché ciò sarà possible. Si noti innanzitutto che si può
introdurre in CB (X, R) una relazione d’ordine ≤ ponendo, ∀ f, g ∈ CB (X, R)

f ≤ g ⇐⇒ ∀ x ∈ X, f (x) ≤ g(x)

per le quali, dati f e g, esistono sempre f ∧ g e f ∨ g, rispettivamente definite da

(f ∧ g)(x) = min{f (x), g(x)} (f ∨ g)(x) = max{f (x), g(x)}.

Chiaramente f ∧ g e f ∨ g sono ancora elementi di CB (X, R). Rispetto a queste due operazioni
CB (X, R) è un reticolo secondo la seguente definizione:
Definizione 3.27. Una struttura algebrica (R, ∧, ∨) costituita da un insieme R e da due opera-
zioni interne ∧ e ∨ si dice un reticolo se valgono i seguenti assiomi, ∀ a, b, c ∈ R:

1. a ∨ b = b ∨ a e a ∧ b = b ∧ a (commutatività);

2. (a ∨ b) ∨ c = a ∨ (b ∨ c) e (a ∧ b) ∧ c = a ∧ (b ∧ c) (associatività);

3. a ∨ (a ∧ b) = a e a ∧ (a ∨ b) = a (assorbimento).

Ovviamente un sottoreticolo S ⊆ R è un sottoinsieme chiuso rispetto alle operazioni ∨ e ∧.


Si può ora definire l’operazione (unaria) | · | in termini di ∧ e ∨ nel modo seguente. Sia 0 la
funzione identicamente nulla in CB (X, R) e sia f ∈ CB (X, R). Si pone

|f |= f ∨ 0 − f ∧ 0. (3.1)

È immediato verificare che, ∀ f, g ∈ CB (X, R)

1 1
f ∨g = (f + g + |f − g|) f ∧g = (f + g − |f − g|). (3.2)
2 2
Si ha quindi il seguente lemma.
Lemma 3.28. Sia (X, τ ) uno spazio topologico e sia A una sottoalgebra chiusa di (CB (X, R), ρ),
allora A è un sottoreticolo chiuso di CB (X, R).

Dimostrazione. Per la (3.2) sarà sufficiente dimostrare che se f ∈ A allora |f |∈ A e poiché A


è chiuso sarà sufficiente provare che fissato ε > 0, ∃ g ∈ A : ρ(g, |f |) < ε. Sia a = supX |f | e si
consideri l’intervallo [−a, a]; si può supporre che a > 0 poiché altrimenti f ≡ 0 e |f |≡ 0 da cui
l’asserto. Sull’intervallo [−a, a] si consideri la funzione continua h(x) = |x|. Per il teorema di
Weierstrass esiste un polinomio a coefficienti reali pe2ε (x) tale che, ∀ x ∈ [−a, a]
ε
|x|−e
p 2ε (x) < .
2
Sia p(x) = pe2ε (x) − pe2ε (0). Per la proprietà del valore assoluto si ha

||x|−p(x)| ≤ |x|−e
p 2ε (x) + |0|−e
p 2ε (0) .
3.2. IL TEOREMA DI ASCOLI 51

PnPoichéi A è un’algebra
Pn e p(x)i 1
è un polinomio senza termine noto, cioè del tipo p(x) =
a
i=1 i x , g = p(f ) = a
i=1 i f . Inoltre, poiché ∀ y ∈ X, f (y) ∈ [−a, a], si ha

||f (y)|−p(f (y))| < ε

cioè
p(|f |, g) < ε.

Si noti che se (X, τ ) è compatto allora CB (X, R) = C(X, R). La compattezza di X servirà in
modo cruciale nel seguente lemma.
Lemma 3.29. Sia (X, τ ) uno spazio topologico compatto non ridotto a un solo punto e sia S ⊆
(C(X, R), ρ) un sottoreticolo chiuso con la seguente proprietà: se x, y ∈ X con x 6= y e a, b ∈ R
allora ∃ h ∈ S : h(x) = a e h(y) = b. In questo caso S ≡ C(X, R).
Dimostrazione. Sia f ∈ C(X, R). Poiché S è chiuso per provare che f ∈ S sarà sufficiente
mostrare che fissato ε > 0 esiste g ∈ S tale che ρ(g, f ) < ε. A tale scopo si fissi x ∈ X e sia y
un generico punto di X tale che y 6= x. Si noti che y esiste poiché X ha più di un punto. Per le
ipotesi del lemma esiste hy ∈ S tale che

hy (x) = f (x) hy (y) = f (y).

La continuità di f e hy implicano che l’insieme

Gy = {z ∈ X : hy (z) < f (z) + ε}

sia un aperto di X. Ovviamente x, y ∈ Gy , quindi {Gy }x6=y∈X è un ricoprimento aperto di X. La


compattezza di X permette di estrarre un sottoricoprimento finito {Gi }i=1,...,n ; siano h1 , . . . , hn
le corrispondenti funzioni in S. Essendo S un sottoreticolo

gx = h1 ∧ · · · ∧ hn ∈ S.

Inoltre
gx (x) = f (x)
e∀z∈X
gx (z) < f (z) + ε.
Analogamente si consideri l’insieme aperto

Hx = {z ∈ X : gx (z) > f (z) − ε} .

Si ha che x ∈ Hx e la collezione {Hx }x∈X è un ricoprimento aperto di X. Se ne estragga


un sottoricoprimento finito {Hk }k=1,...,m e si indichino le corrispondenti funzioni con g1 , . . . , gm .
Allora
g = g1 ∨ · · · ∨ gm ∈ S.
Inoltre, ∀ z ∈ X si ha
f (z) − ε < g(z) < f (z) + ε
cioè
ρ(f, g) < ε
il che completa la dimostrazione.
1 p(x) deve essere privo del termine noto poiché non si sa se 1 ∈ A.
52 3. COMPATTEZZA E CONNESSIONE

Si osservi che se nel lemma 3.29 S è un’algebra (su R) allora la proprietà richiesta, cioè
∀ a, b ∈ R, ∀ x, y ∈ X, con x 6= y, ∃ h ∈ S : h(x) = a e h(y) = b, può essere espressa in modo più
elegante. Viene posta quindi la seguente definizione.
Definizione 3.30. Sia (X, τ ) uno spazio topologico. Si dice che un sottoinsieme A ⊆ C(X, R)
separa i punti di X se ∀ x, y ∈ X, con x 6= y, ∃ g ∈ A : g(x) 6= g(y).
Si supponga allora che S sia un’algebra (sottoalgebra di C(X, R)) che contenga una costante
non nulla λ che separa i punti. Siano inoltre x, y ∈ X, con x 6= y e a, b ∈ R. Si scelga g ∈ S
come nella definizione 3.30 e dunque g(x) 6= g(y). Allora λ = g(x) − g(y) 6= 0. Poiché S è una
sottoalgebra che contiene una costante non nulla

h(z) = aλ−1 [g(z) − g(y)] − bλ−1 [g(z) − g(x)]

è un elemento di S tale che h(x) = a e h(y) = b.


Si è ora in grado di enunciare l’estensione del teorema di Weierstrass dovuta a Stone.
Teorema 3.31. Sia (X, τ ) uno spazio topologico compatto e sia A una sottoalgebra chiusa di
C(X, R) che separa i punti di X e contiene una (funzione) costante non nulla. Allora A ≡
C(X, R).
Dimostrazione. Se X non si riduce a un solo punto il teorema è conseguenza dei lemmi 3.28 e 3.29
e della precedente considerazione. Se X si riduce a un solo punto, C(X, R) contiene solamente
(funzioni) costanti e poiché A è una sottoalgebra contenente una (funzione) costante non nulla
A ≡ C(X, R).

3.3 Connessione
Definizione 3.32. Sia (X, τ ) uno spazio topologico. Una separazione di X è una coppia U, V
di aperti non vuoti tali che U ∩ V = ∅ e U ∪ V = X. X si dice connesso se non esiste alcuna
separazione di X.
La nozione di connessione, essendo fondata in termini della sola nozione di aperto, è una
proprietà topologica, cioè è invariante per omeomorfismi.
La definizione si estende in modo ovvio a un sottospazio Y ⊆ (X, τ ) con la topologia indotta
τY essendo esso stesso uno spazio topologico.
Esempio 3.33.
1. Sia (R, τ ) la retta reale con l’usuale topologia e sia Y = [−1, 0) ∪ (0, 1] allora gli aperti di
Y , [−1, 0) e (0, 1] costituiscono una separazione di Y per cui quest’ultimo non è connesso
nella topologia indotta da R;
2. I razionali Q ⊆ (R, τ ) con la topologia indotta non sono uno spazio topologico connesso.
Infatti sia a ∈ I = R \ Q cioè un numero irrazionale, allora esistono due numeri razionali p
e q tali che p < a < q. Si considerino gli aperti di Q dati da

U = Q ∩ (−∞, a),

V = Q ∩ (a, +∞).
Allora U e V sono aperti di Q non vuoti poiché contengono rispettivamente p e q, U ∩V = ∅
e chiaramente U ∪ V = Q.
Si procede ora alla costruzione di alcuni spazi (o sottospazi) connessi. A tale scopo si premette
il seguente lemma.
3.3. CONNESSIONE 53

Lemma 3.34. Se A e B sono una separazione di (X, τ ) e Y ⊆ X è connesso allora o Y ⊆ A o


Y ⊆ B.

Dimostrazione. Poiché A, B ∈ τ , A ∩ Y e B ∩ Y sono aperti in Y ; inoltre (A ∩ Y ) ∩ (B ∩ Y ) = ∅


e (A ∩ Y ) ∪ (B ∩ Y ) = Y . Dunque se entrambi fossero non vuoti si avrebbe che Y non è connesso.
Sia allora ad esempio A ∩ Y = ∅; dunque Y ⊆ B.
T
Teorema 3.35.S Sia {Yα }α∈I una famiglia di insiemi connessi in (X, τ ) tale che α∈I Yα 6= ∅,
allora Y = α∈I Yα è connesso.
T
Dimostrazione. Sia x ∈ α∈I Yα e per assurdo sia A, B ∈ τY una separazione di Y . Ora si può
supporre che x ∈ A ma allora poiché Yα è connesso ∀ α ∈ I e x ∈ Yα si ha che Yα ⊆ A e dunque
Y ⊆ A, contraddicendo il fatto che B 6= ∅.

Teorema 3.36. Sia A un connesso di (X, τ ). Se B ⊆ X soddisfa A ⊆ B ⊆ A allora anche B è


connesso.

Dimostrazione. Per assurdo, siano C e D una separazione di B. Poiché A ⊆ B e A è connesso,


per il lemma 3.34 si ha che A ⊆ C o A ⊆ D. Si supponga senza ledere la generalità che A ⊆ C,
allora A ⊂ C. Poiché D è aperto, C è chiuso in B e quindi C ⊂ c D, cioè C e D sono disgiunti
ma B ⊂ A e quindi B ∩ D = ∅, che è una contraddizione.

Teorema 3.37. Sia f : (X, τ ) → (Y, ζ) continua e X connesso, allora f (X) è connesso in Y .

Dimostrazione. Sia Z = f (X) con la topologia indotta, allora f : (X, τ ) → Z è continua, quindi,
senza ledere la generalità, si può supporre che f sia suriettiva. Per assurdo, sia A, B ∈ ζ una
separazione di Y ; f −1 (A) e f −1 (B) sono aperti in τ , f −1 (A) 6= ∅ 6= f −1 (B), f −1 (A) ∩ f −1 (B) =
∅ poiché A ∩ B = ∅ e X = f −1 (A) ∪ f −1 (B). Con ciò, f −1 (A) e f −1 (B) costituiscono una
separazione di X, contro l’ipotesi che quest’ultimo sia connesso.

Si veda ora il generico prodotto di spazi connessi. Si deve introdurre quindi la topologia
Q pro-
dotto.
Q Sia (X ,
α α τ ), con α ∈ I, una famiglia di spazi topologici. I sottoinsiemi di α∈I X α del
tipo α∈I Aα , con Aα ∈ τα per un numero finito di indici e Q Aα = Xα per i rimanenti, costituisco-
no una base per la topologia prodotto. La base standard è α∈I Vα , con Vα = Xα , ∀ α ∈ I \ {β}
e Vβ ⊂ Xβ , ∀ Vβ ∈ τβ al variare di β ∈ I.
Q
Teorema 3.38. Sia (Xα , τα ) con α ∈ I una famiglia di spazi topologici connessi, allora α∈I Xα
con la topologia prodotto è connesso.

Dimostrazione. Si cominci con il considerare due spazi topologici connessi X e Y . Si scelga un


punto (a, b) ∈ X × Y . Si osserva che Xb = {(x, b) : x ∈ X} è connesso poiché omeomorfo nella
topologia indotta a X. Per lo stesso motivo,

Yx = {(x, y) : y ∈ Y }

è connesso, ∀ x ∈ X. Quindi
Tx = Xb ∪ Yx
è connesso poiché unione di due connessi che hanno in comune il punto (x, b). Si consideri ora
[
Tx .
x∈X
54 3. COMPATTEZZA E CONNESSIONE

Ciascun Tx contiene il punto (a, b), quindi la precedente è un’unione di insiemi connessi con
un punto in comune, il punto (a, b) e dunque è connesso ma il generico punto (x, y) ∈ X × Y è
in Yx e quindi in Tx . Ciò prova che X × Y è connesso.
La dimostrazione che un prodotto finito di spazi connessi è connesso segue facilmente indut-
tivamente notando che X1 × · · · × Xn−1 × Xn è omeomorfo a (X1 × · · · ×QXn−1 ) × Xn .
Si passa ora al caso di un insieme I qualunque di indici e sia X = α∈I Xα . Si fissi b =
{bα }α∈I come punto base in X. Si fissi un insieme finito di indici α1 , . . . , αn di I e sia
Xα1 ,...,αn = {{xα }α∈I : xα = bα , ∀ α 6= α1 , . . . , αn } .
Si può affermare che Xα1 ,...,αn è omeomorfo a Xα1 × · · · × Xαn , dato che anch’esso è connesso.
Si definisce una mappa
g : Xα1 × . . . × Xαn → Xα1 ,...,αn
ponendo
(xα1 , . . . , xαn ) 7→ {yα }α∈I
tali che (
yα = bα α 6= α1 , . . . , αn
yαi = xαi i = 1, . . . , n.
Chiaramente g è suriettiva e porta una base della topologia prodotto di Xα1 × · · · × Xαn in
una base della topologia indotta su Xα1 ,...,αn , cioè g è un omeomorfismo. Ora ciascun Xα1 ,...,αn
contiene il punto b ∈ X e quindi [
Y = Xα1 ,...,αn
dove l’unione è estesa a tutti i sottoinsiemi finiti di indici in I, è connessa. Se si prova che Y
è denso in X si ha allora che, essendo Y connesso, anche X lo è. Sia quindi Q {xα } un punto
arbitrario di X, si deve provare che è punto di aderenza per Y . Sia U = α∈I Uα 3 {xα }. Si
prova che U ∩ Y 6= ∅. Ciascun Uα è aperto in Xα e Uα = Xα ad eccezione di un numero finito
di indici α1 , . . . , αn . Si costruisce il punto {yα } ∈ X ponendo
(
xα per αi , con i = 1, . . . , n
yα =
bα per ogni altro α.

Allora {yα } ∈ Xα1 ,...,αn ⊂ Y . Inoltre, {yα } ∈ U poiché yα = xα ∈ Uα per α = α1 , . . . , αn e


yα = bα per i restanti valori di α, quindi U ∩ Y 6= ∅.
Osservazione 3.39.
Q
1. Se α∈I Xα è connesso allora ciascun (Xα , τα ) è connesso. La dimostrazione è immediata.
Tale risultato si può vedere anche come applicazione del teorema successivo.
2. Data la famiglia
Q di spazi tolopogici (Xα , τα ) con α ∈ I e considerato il loro prodotto carte-
siano X = α∈I Xα , si può introdurre su X un’altra topologia, chiamata in nomenclatura
anglosassone box topology, la cui base è costituita dagli insiemi del tipo
Y
U= Uα
α∈I

con Uα ∈ τα e ∀ α ∈ I. Si indichi con τB tale topologia. Chiaramente, τB è più fine della


topologia prodotto τP e ovviamente coincide con quest’ultima se l’insieme di indici I ha
cardinalità finita. La box topology è in generale strettamente più fine. Questo fatto lo si
può vedere in più modi, ad esempio provando che un certo insieme connesso nella topologia
prodotto non lo è nella box topology.
3.3. CONNESSIONE 55

Q
Teorema 3.40. Sia f : A → α∈I Xα data dall’equazione

f (a) = {πα ◦ f (a)} = {fα (a)}


Q
con fα = πα ◦ f : A → Xα , ∀ α ∈ I. Si supponga che α∈I Xα abbia la topologia prodotto. Allora
f è continua se e solo se ciascuna fα è continua.
Q
Dimostrazione. (⇒) Sia πβ : α∈I Xα → Xβ la proiezione canonica. Se Uβ è aperto di Xβ ,
πβ−1 (Uβ ) è chiaramente un elemento della base di τP su α∈I Xα , dunque πβ è continua. Da qui
Q
discende immediatamente che se f è continua fα = πα ◦ f è anch’essa continua ∀ α ∈ I.
(⇐) Si supponga che fα = πα ◦ f sia continua ∀ α ∈ I. Un tipico elemento della sottobase di
τP è del tipo
πβ−1 (Uβ )
con Uβ aperto in Xβ . Del resto

f −1 (πβ−1 (Uβ )) = fβ−1 (Uβ ) ∈ τP

e quindi f è continua.
Ci si propone ora i dare alcuni ulteriori esempi di spazi topologici connessi. A tale scopo si
ricorda la seguente definizione.
Definizione 3.41. Un insieme totalmente ordinato (L, ≤) contenente più di un elemento si dice
un continuo lineare se:
1. (L, ≤) ha la proprietà dell’estremo superiore;
2. Se x ≤ y e x 6= y allora ∃ z 6= x e z 6= y : x ≤ z ≤ y.
Si ricorda inoltre che un raggio è un insieme di uno dei seguenti tipi:
• Nel caso in cui L non abbia minimo:
• (−∞, a) = {x ∈ L : x < a};
• (−∞, a] = {x ∈ L : x ≤ a};
• Nel caso in cui L abbia minimo:
• [xm , a) = {x ∈ L : xm ≤ x < a};
• [xm , a] = {x ∈ L : xm ≤ x ≤ a}.
Un discorso simile vale per gli insiemi (a, +∞), [a, +∞), (a, xM ], [a, xM ] dove xM è il massimo
di L nel caso in cui esista.
Teorema 3.42. Sia (L, ≤, τ ) un continuo lineare unito della topologia τ dell’ordine. Allora L è
connesso e così pure sono connessi i suoi intervalli e i suoi raggi.
Dimostrazione. Sia Y un sottoinsieme di L che sia o L o un intervallo o un raggio. Si noti che
se a, b ∈ Y e a < b allora [a, b] ⊆ Y . Siano per assurdo A e B aperti in Y tali che costituiscono
una separazione di Y . Si scelga a ∈ A e b ∈ B e senza ledere la generalità sia a < b, dunque
[a, b] ⊂ Y .
Si troverà un punto di [a, b] che non appartiene né ad A né a B contraddicendo in tal modo
l’assunzione che {A, B} sia una separazione di Y . A tale scopo si considerino gli insiemi

A0 = A ∩ [a, b] e B0 = B ∩ [a, b].


56 3. COMPATTEZZA E CONNESSIONE

A0 e B0 sono aperti in [a, b] munito della topologia di sottospazio. Poiché A0 ammette b come
maggiorante, per la prima proprietà dei continui lineari esiste c = sup A0 ∈ L e chiaramente
c ∈ [a, b] ⊆ Y . Si prova che c 6∈ A0 e c 6∈ B0 . Si cominci con il supporre che c ∈ B0 . Poiché
a ∈ A0 e A0 ∩ B0 ⊂ A ∩ B = ∅ si ha che c 6= a, quindi o c = b o a < c < b.
In ciascuno di questi due casi, poiché B0 è aperto in [a, b] esiste un qualche intervallo della
forma (d, c] ⊂ B0 .

• Se c = b, allora d è un maggiorante di A0 , cioè d < c, che è una contraddizione;

• Se c < b allora (c, b]∩A0 = ∅ poiché c = sup A0 , allora A0 ∩(d, b] = ((d, c]∪(c, b])∩A0 = ∅.
d è così un maggiorante di A0 più piccolo di c, che è una contraddizione.

Si supponga ora che c ∈ A0 . Poiché b ∈ B0 e A0 ∩ B0 = ∅ si ha che c 6= b, dunque o


c = a o a < c < b. Poiché A0 è aperto in [a, b] esiste un qualche intervallo [c, e) ⊂ A0 . Per la
seconda proprietà del continuo lineare L si può scegliere z ∈ L tale che c < z < e, allora z ∈ A0 ,
contraddicendo il fatto che c ∈ sup A0 .

Corollario 3.43. Ogni intervallo, raggio e la retta reale R sono connessi nella topologia ereditata
dalla topologia standard di R.
Il seguente risultato generalizza un noto teorema di analisi.
Teorema 3.44. Sia (X, τ ) connesso, (Y, ≤) un insieme totalmente ordinato munito della topo-
logia dell’ordine e sia f : X → Y un’applicazione continua. Siano a, b ∈ X e r ∈ Y tale che
f (a) ≤ r ≤ f (b), allora esiste almeno un punto c ∈ X tale che f (c) = r.

Dimostrazione. Per (−∞, r) e (r, +∞) si utilizzi la convenzione già precedentemente specificata.
Si considerino gli insiemi A = f (X) ∩ (−∞, r) e B = f (X) ∩ (r, +∞). f (a) ∈ A e f (b) ∈ B,
dunque A e B sono non vuoti e ciascuno di essi è aperto in f (X). Se ∀ c ∈ X, f (c) 6= r allora
f (X) = A ∪ B e poiché A ∩ B = ∅ si ottiene una separazione di f (X) ma quest’ultimo è connesso
poiché f è continua e X è connesso, il che è una contraddizione.

Definizione 3.45. Sia (X, τ ) uno spazio topologico e x, y ∈ X due suoi punti. Si dice arco in X
da x a y un’applicazione continua f : [a, b] ⊆ R → X con la topologia indotta tale che f (a) = x
e f (b) = y
Definizione 3.46. Uno spazio topologico (X, τ ) si dice connesso per archi se per ogni x, y ∈ X
esiste un arco f : [a, b] → X tale che f (a) = x e f (b) = y.
Esempio 3.47. (C 0 ([0, 1]), ρ), dove ρ è la metrica dell’estremo superiore, è connesso per archi.
Infatti date f, g ∈ C 0 ([0, 1]) sia h : [0, 1] → C 0 ([0, 1]) definita da h(t) = f + t(g − f ), allora h è un
arco che connette f a g.
Proposizione 3.48. Sia (X, τ ) connesso per archi, allora (X, τ ) è connesso.

Dimostrazione. Si fissi x0 ∈ X e sia y ∈ X un generico punto, allora esiste fy : [a, b] → X


continua
S tale che fy (a) = x0 e fy (b) = y. Inoltre fy ([a, b]) è connesso. È chiaro che X =
f
y∈X y ([a, b]) è connesso poiché x0 = fy (a) è comune a ciascun insieme fy ([a, b]).

Osservazione 3.49. Uno spazio connesso può non essere connesso per archi.

Dimostrazione. Sia I = [0, 1] ⊆ R con la relazione d’ordine ereditata da R. Sia I ×I = I 2 dotato


della relazione d’ordine lessicografica 4 e della relativa topologia. Se si dimostra che (I 2 , 4) è un
continuo lineare allora sarà connesso per la relativa topologia. Se (x, y)< (x, y)
 allora o x < x, nel
x+x y+y

qual caso (x, y) < 2 , y < (x, y), o x = x, nel qual caso (x, y) < x, 2 < (x, y). Rimane
3.3. CONNESSIONE 57

A
A c

π1 (A) b b
(a) (b)

Figura 3.2

quindi da verificare la sola proprietà dell’estremo superiore. Sia A ⊂ I 2 , di cui chiaramente (1, 1)
è un maggiorante, si introduca π1 : I × I → I e sia b = sup π1 (A) (figura 3.2a).
Se b ∈ π1 (A) allora {b} × I ∩ A 6= ∅. Poiché {b} × I ha lo stesso tipo di ordine di I esiste
sup A ∩ ({b} × I) = (b, c) e (b, c) = sup A come si verifica immediatamente. Se b 6∈ π1 (A) allora
(b, 0) = sup A, dunque I 2 è connesso. (figura 3.2b).
Si prova però che I 2 non è connesso per archi. A tale scopo è sufficiente provare che i punti
p = (0, 0) e q = (1, 1) di I 2 non sono collegati da alcun arco. Infatti per assurdo sia f : [a, b] → I 2
un arco che connette p e q. Poiché p e q sono rispettivamente il massimo e il minimo di I 2 , dato
il generico (x, y) ∈ I 2 per il teorema 3.44 esiste c(x,y) ∈ [a, b] tali che f (c(x,y) ) = (x, y). In altri
termini (x, y) ∈ f ([a, b]) quindi ∀ x ∈ I fissato l’insieme

Ux = f −1 ({x} × I)

è un sottoinsieme non vuoto di [a, b] e per la continuità di f è aperto in [a, b]. Per ciascun x ∈ I
si scelga qx ∈ Ux ∩ Q. Poiché Ux1 ∩ Ux2 = ∅ per x1 6= x2 l’applicazione g : I → Q, definita come
x 7→ qx è ben definita e iniettiva. Questo contraddice il fatto che I ha la potenza del continuo e
Q è invece numerabile.

Esempio 3.50. Sia P il punto di coordinate 0, 12 e A ⊆ R2 con la topologia euclidea definito




come   
1
A= , y : 0 ≤ y ≤ 1, n ∈ N ∪ {(x, 0) : 0 < x ≤ 1};
n
X = P ∪ A è connesso ma non connesso per archi.
Proposizione 3.51. Sia (X, τ ) uno spazio topologico connesso per archi e f : X → Y un’applica-
zione continua, allora il sottospazio f (X) ⊂ Y è connesso per archi.

Dimostrazione. Si scelgano p, q ∈ f (X) e siano x, y ∈ X tali che f (x) = p e f (y) = q. Sia


z : [a, b] → X un arco che connette x a y allora f ◦ z : [a, b] → f (X) è un arco che connette p a
q.

Esempio 3.52. Sia Sn la sfera unitaria di Rn+1 . Per n ≥ 1, Sn è connesso per archi. Infatti si
consideri Rn+1 \ {0}, che facilmente si prova essere connesso per archi, e sia g : Rn+1 \ {0} → Sn
x
l’applicazione g(x) = kxk . Poiché g è continua si ha che Sn è connesso per archi. Si noti che per
58 3. COMPATTEZZA E CONNESSIONE

n = 0, S0 = {∗, 0} è uno spazio formato da due punti con la topologia discreta, che chiaramente
non è un arco connesso.

3.4 Componenti connesse


Definizione 3.53. Si supponga ora che (X, τ ) sia un generico spazio topologico e si introduca in
X una relazione d’equivalenza ponendo x ∼ y ⇐⇒ ∃ C ⊆ X connesso tale che x, y ∈ C. Le
classi d’equivalenza di tale relazione si dicono componenti connesse di X.
Teorema 3.54. Una componente connessa di (X, τ ) è un sottospazio connesso.
Dimostrazione. Sia Cx0 una componente connessa di (X, τ ) contenente il punto x0 . Sia y ∈ Cx0
allora
S esiste Cy connesso tale che x0 ∈ Cy e y ∈ Cy . Chiaramente Cy ⊂ Cx0 e dunque Cx0 =
y6=x0 ∈Cx Cy . Poiché ciascun Cy contiene x0 si ha che Cx0 è connesso.
0

Le componenti connesse di uno spazio topologico (X, τ ) quindi forniscono una partizione
di X in sotoinsiemi connessi. Se Y ⊂ X è connesso allora Y sarà contenuto in una e una
sola componente connessa di X. Inoltre poiché se D è connesso lo è anche D si deduce che le
componenti connesse sono chiuse.
Analogamente a quanto fatto per le componenti connesse si introducono ora le componenti
di (X, τ ) connesse per archi. A tale scopo sia ∼ la relazione
x ∼ y ⇐⇒ x e y sono connessi da un arco f : [a, b] → X.
Per verificare che ∼ è una relazione d’equivalenza si asserisce che x ∼ x attraverso l’arco
c : [0, 1] → X dato da c(t) = x, ∀ t ∈ [0, 1]. Se x ∼ y attraverso l’arco g : [a, b] → X, con g(a) = x
e g(b) = y, allora l’arco h : [a, b] → X definito da h(t) = g(b + a − t) connette y a x. Per quanto
riguarda la proprietà transitiva x ∼ y e y ∼ z implica x ∼ z. Si osservi che se f : [a, b] → X è un
arco da x a y e g : [c, d] → X è un arco da y a z si può innanzitutto riparametrizzare g in modo
che g : [b, f ] → X e osservare che l’applicazione h : [a, f ] → X definito da
(
f (t) t ∈ [a, b]
h(t) =
g(t) t ∈ [b, f ]

è in effetti continua e connette x a z. La continuità di h è dovuta al seguente fatto di carattere


generale.
Lemma 3.55 (dell’incollamento). Siano X e Y spazi topologici con X = A ∪ B, A e B chiusi
(aperti) in X. Si assuma che f : A → Y , g : B → Y siano applicazioni continue tali che
f|A∩B = g|A∩B . Si definisca (
f (x) x∈A
h(x) =
g(x) x∈B
allora h è continua.
Dimostrazione. Sia F chiuso di Y , allora si ha che
h−1 (F ) = h−1 (F ) ∩ (A ∪ B)
= (h−1 (F ) ∩ A) ∪ (h−1 (F ) ∩ B)
= f −1 (F ) ∪ g −1 (F ).
Dunque, poiché f e g sono continue h−1 (F ) si esprime come unione di due chiusi ed è pertanto
chiuso, provando così la continuità di h.
3.4. COMPONENTI CONNESSE 59

Le classi d’equivalenza della precendente relazione si dicono le componenti connesse per archi
dello spazio topologico (X, τ ). Chiaramente esse danno origine a una partizione di X tale che
ogni sottoinsieme A di X connesso per archi è contenuto esattamente in una di esse.
Nota. Le componenti connesse per archi non sono necessariamente chiuse. Sia
   
1
X= t, sin : t ∈ (0, 1] ⊂ R2 ,
t

che è connesso poiché immagine di un connesso attraverso un’applicazione continua. X = X ∪


{(0, t) : t ∈ [−1, 1]} è connesso ma si può vedere che non è connesso per archi, sebbene X lo sia.
Capitolo 4

Ulteriori assiomi di separazione

4.1 Spazi regolari e normali


In questa sezione si introducono gli assiomi di separazione T3 e T4 che rispettivamente prendono
il nome di assioma di regolarità e di normalità. Si premette alla definizione di T3 la seguente
proposizione.
Proposizione 4.1. Sia (X, τ ) uno spazio topologico. Le seguenti proprietà sono equivalenti:

1. Sia F ⊂ X chiuso, x ∈ X \ F allora esistono due aperti Ax e AF tali che x ∈ Ax , F ⊂ AF


e Ax ∩ AF = ∅;

2. Dato x ∈ X sia C(x) la collezione di intorni chiusi di x, allora C(x) è un sistema fonda-
mentale di intorni di x.

Dimostrazione.

1 ⇒ 2 Sia U 3 x aperto, allora c U è chiuso. Per il punto 1 allora esistono Ax e Ac U aperti tali
che Ax ∩ Ac U = ∅, perciò Ax ⊆ c Ac U . Poiché c Ac U è chiuso e c Ac U ⊂ U , risulta che
Ax ⊂ c Ac U ⊂ U e questo prova il punto 2.

2 ⇒ 1 Dato il chiuso F , c F è aperto e poiché x 6∈ F , allora x ∈ c F , che è dunque un intorno


aperto di x. Per il punto 2 allora esiste un intorno chiuso N di x tale che

N ⊂ cF

cioè
F ⊂ cN
ma c N è aperto e inoltre c N ∩ N = ∅ e N contiene un aperto contenente x. Ciò prova la
proprietà 1.

Definizione 4.2. Lo spazio topologico (X, τ ) si dice T3 o regolare se esso è T1 e se vale una delle
due condizioni equivalenti espresse nella proposizione 4.1.
Esempio 4.3. Si supponga che valga il punto 1 della proposizione 4.1 e si abbia F chiuso e x 6∈ F
con UF e Ux aperti disgiunti contenenti rispettivamente F e x (figura 4.1).
Si noti che poiché per definizione (X, τ ) è T1 e dunque i suoi punti sono chiusi, uno spazio T3
è automaticamente T2 , cioè di Hausdorff.

60
4.1. SPAZI REGOLARI E NORMALI 61

UF Ux

F
x

Figura 4.1

Proposizione 4.4. Uno spazio metrico (X, d) è uno spazio regolare.

Dimostrazione.

1. Uno spazio metrico è T2 e dunque T1 ;

2. Si dimostri la proprietà 2 della proposizione 4.1. Per il generico punto x ∈ X dato U aperto
contenente x esiste Bε (x) ∈ C(x) tale che Bε (x) ⊂ U .

Chiaramente l’assioma di separazione T3 è di natura topologica e quindi uno spazio topologico


omeomorfo a uno spazio T3 è anch’esso T3 .
Proposizione 4.5. Sia (X, τ ) uno spazio topologico T3 e sia Y ⊆ X un suo sottospazio, allora Y
è T3 .

Dimostrazione. Sia y ∈ Y , C ⊂ Y chiuso e y 6∈ C, allora y ∈ X e C = Y ∩ F con F chiuso in


X. Poiché y 6∈ C si ha che y 6∈ F . Esistono allora aperti Ay e AF in X disgiunti e contenenti
ey = Ay ∩ Y e A
rispettivamente x e F . Gli aperti di Y , A eC = AF ∩ Y , sono disgiunti e contengono
y e C.

Si prova ora la seguente proposizione.


Proposizione 4.6. Sia (X, τ ) uno spazio topologico T1 , allora X è T3 se e solo se ∀ x ∈ X, ∀ U ∈
τ : x ∈ U, ∃ V ∈ τ : x ∈ V ⊆ V ⊆ U .

Dimostrazione.

⇒ Sia X uno spazio T3 e siano x e U come nell’enunciato, allora x 6∈ c U chiuso e quindi


esistono Ax 3 x e Ac U ⊃ c U aperti disgiunti. Inoltre deve essere Ax ∩ c U = ∅, altrimenti
se y ∈ Ax ∩ c U si ha che y ∈ c U e Ac U è un intorno di y per cui Ax ∩ Ac U 6= ∅, che è una
contraddizione. Posto V = Ax si ha che x ∈ V e V ⊆ U , come desiderato.

⇐ Siano x ∈ X, F 63 x chiuso e U = c F tale per cui x ∈ U . Esiste allora V 3 x e V ∈ τ tale che


c c c
x ∈ V ⊆ V ⊂ U . In particolare V ⊃ c U = F e V è aperto. Inoltre V ∩ V ⊆ c V ∩ V = ∅,
c
quindi V e V sono i due aperti cercati.

La proposizione 4.6 ci permette di provare in modo semplice la seguente proposizione.


Proposizione 4.7. Siano (X, τ ) e (Y, ζ) due spazi T3 , allora il loro prodotto X × Y è T3 .
62 4. ULTERIORI ASSIOMI DI SEPARAZIONE

Dimostrazione. Che X × Y sia T1 discende dal fatto che X e Y sono T1 . Si fissi ora (x, y) ∈
X × Y e sia W aperto di X × Y contenente (x, y). Esistono allora A ∈ τ e B ∈ ζ tali che
(x, y) ∈ A × B ⊂ W ma x ∈ A e y ∈ B quindi per la proposizione 4.6 esistono VA ∈ τ con x ∈ VA
e VB ∈ ζ con y ∈ VB tali che V A ⊂ A e V B ⊂ B. Con ciò

(x, y) ∈ VA × VB ⊂ V A × V B = VA × VB ⊂ A × B ⊂ W

il che prova che X × Y è uno spazio T3 .


Osservazione 4.8. Esistono spazi T2 che non sono T3 .
Dimostrazione. A tale scopo si introduce in R una base B di una topologia strettamente più fine
della topologia usuale, fatta nel modo seguente:

B = {(a, b) : a < b, a, b ∈ R} ∪ {(a, b) ∩ Q : a < b, a, b ∈ R}.

B è chiaramente una base per una topologia τ su R strettamente più fine di quella usuale per
cui essa risulta essere T2 . Si prova però che (R, τ ) non è T3 . Q è aperto in τ mentre
( √ √ )
√ 2 2
F = 2, ,..., ,... : n ∈ N
2 n

è chiuso in τ , infatti la chiusura di F sulla topologia usuale è F ∪ {0}, dunque la chiusura di F


in τ , F , soddisfa F ⊆ F ∪ {0} essendo τ più fine. D’altronde Q 3 0 e Q ∩ F = ∅ per cui 0 non è
punto di aderenza in τ per F . Ciò prova che F ⊆ F ⊆ F , vale a dire F = F .
Ora si mostra che gli intorni chiusi di 0, C(0), non sono un sistema fondamentale di intorni
per 0 e dunque (R, τ ) non è T3 . Sia B ∈ B tale che B 3 0. Risulta

B ∩ F 6= ∅, (4.1)
c
dunque B F . Poiché quest’ultimo è un aperto che contiene 0 ciò prova che C(0) non è un sistema
j
fondamentale di intorni di 0. Ora per provare 4.1 si noti che se B = (a, b) 3 0, B∩F ⊇ B∩F 6= ∅.
Se B = (a, b) ∩ Q 3 0 allora B = [a, b] e quindi B ∩ F 6= ∅.
Per introdurre il prossimo assioma di separazione si prova la seguente proposizione.
Proposizione 4.9. Sia (X, τ ) uno spazio topologico. Le seguenti proprietà sono equivalenti:
1. Siano F, G ⊂ X chiusi tali che F ∩ G = ∅, allora esistono due aperti UF e UG tali che
F ⊂ UF , G ⊂ UG e UF ∩ UG = ∅;
2. Se F ⊂ X è chiuso e U ∈ τ è tale che F ⊂ U allora ∃ V ∈ τ : F ⊂ V ⊂ V ⊂ U .
Dimostrazione.
1 ⇒ 2 Sia F ⊂ X chiuso e U ∈ τ tale che F ⊂ U , allora c U è chiuso e F ∩ c U = ∅ e dunque
esistono UF e Uc U aperti tali che UF ∩ Uc F = ∅, F ⊂ UF e Uc U ⊃ c U . UF è quindi un
c
sottoinsieme di c Uc F , che è chiuso. Inoltre, c Uc U ⊂ (c U ) = U . Posto quindi V = UF si ha
che F ⊂ V ⊂ V ⊂ c Uc F ⊂ U , il che prova il punto 2.
2 ⇒ 1 Siano F e G due chiusi disgiunti di X, dunque F ⊂ c G che è un aperto e quindi per
c c
il punto 2 esiste un aperto V tale che F ⊂ V ⊂ V ⊂ c G, quindi V ⊃ (c G) = G e
c c
V è aperto. Con ciò V e W = V contengono rispettivamente F e G, sono aperti e
c
V ∩ W ⊂ V ∩ W = V ∩ V = ∅. Ciò prova la validità della 1.
4.1. SPAZI REGOLARI E NORMALI 63

Proposizione 4.10. Se (X, τ ) è uno spazio topologico T1 e soddisfa una delle due condizioni
equivalenti della proposizione 4.9 allora (X, τ ) è uno spazio T3 .
Dimostrazione. I punti {x} ⊂ X sono chiusi.
Nota. La richiesta che (X, τ ) sia T1 è essenziale. Infatti uno spazio che soddisfa una delle due
condizioni equivalenti della proposizione 4.9 non è necessariamente T1 e quindi neppure T2 .
Esempio 4.11. X con la topologia banale e almeno due punti. ∅ e X sono insiemi chiusi e sono
inoltre aperti, per cui vale la proprietà 2 della proposizione 4.9. I punti non sono però chiusi di
(X, τ ) che quindi non è T1 .
Definizione 4.12. Uno spazio topologico (X, τ ) si dice normale o T4 se è T1 e due chiusi disgiunti
qualsiasi di X hanno intorni disgiunti.
Chiaramente spazi topologici omeomorfi a spazi T4 sono T4 , inoltre uno spazio normale è
uno spazio regolare. Il viceversa non è generalmente vero. Per un controesempio si veda quanto
scritto da Munkres1 .
Se (X, τ ) è uno spazio topologico con la topologia discreta allora (X, τ ) è uno spazio normale.
La seguente proposizione ci dà un’ampia classe di spazi normali, della quale fa parte il precedente
esempio banale.
Proposizione 4.13. Sia (X, d) uno spazio metrico, allora X è normale.
Dimostrazione. Chiaramente (X, d) è T1 . Sia ora F un chiuso di X e si consideri la funzione
reale f : X → R definita da
f (x) = d(x, F ) = inf d(x, y);
y∈F

f è ben definita, poiché d(x, y) ≥ 0, ∀ y ∈ F . Si prova che f è continua. Infatti, dati x, y ∈ X e


∀z∈F
d(x, z) ≤ d(x, y) + d(y, z)
e quindi
d(x, F ) ≤ d(x, y) + d(y, z)
da cui
d(x, F ) ≤ d(x, y) + d(y, F )
e quindi
d(x, F ) − d(y, F ) ≤ d(x, y).
Scambiando x con y
d(y, F ) − d(x, F ) ≤ d(y, x) = d(x, y)
e dunque ∀ x, y ∈ X
|d(x, F ) − d(y, F )|≤ d(x, y)
il che prova la continuità di f . Si noti che il fatto che F sia chiuso non gioca alcun ruolo nella
precedente dimostrazione.
Analogamente la funzione g : X → R definita da x 7→ g(x) = d(x, G) è continua. Pertanto è
continua la funzione ϕ = f − g : X → R. Siano

A = ϕ−1 ((−∞, 0)) = {x ∈ X : d(x, F ) < d(x, G)}

B = ϕ−1 ((0, +∞)) = {x ∈ X : d(x, G) < d(x, F )}.


1 James R. Munkres, Topology; A First Course, Prentice Hall College Div, 1974, ISBN 9780139254956 (testo

in inglese)
64 4. ULTERIORI ASSIOMI DI SEPARAZIONE

A e B sono dunque aperti e disgiunti. Si prova che F ⊂ A e G ⊂ B. Infatti, sia z ∈ F ,


dunque d(z, F ) = 0. Poiché G ∩ F = ∅, z 6∈ G. Inoltre d(z, G) ≥ 0. Poiché G è chiuso e z 6∈ G
si afferma che d(z, G) > 0. Ciò prova che z ∈ A.
n→+∞
Infatti, se per assurdo d(z, G) = 0 allora ∃ {gn } ⊂ G : d(z, gn ) −−−−−→ 0 e con ciò z ∈ G = G,
che è una contraddizione. Analogamente si prova che G ⊂ B.
Proposizione 4.14. Ogni spazio (X, d) compatto e T2 è normale.
Dimostrazione. Siano F e G chiusi di X tali che F ∩ G = ∅. Ora si ragioni come nel teorema
2.61. Si fissi g ∈ G e sia f ∈ F generico. Poiché X è T2 , esistono Vf 3 f e Ufg 3 g aperti tali che
Vf ∩ Ufg = ∅. Poiché F è chiuso in X compatto, F è compatto, quindi dal ricoprimento {Vf }f ∈F
si può estrarre un sottoricoprimento finito Vf1 , . . . , Vfn con i corrispondenti Ufg1 , . . . , Ufgn ; allora
VFg = Vf1 ∪ · · · ∪ Vfn è aperto e contiene F , Ug = Ufg1 ∩ · · · ∩ Ufgn è aperto e contiene g, e
VFg ∩ Ug = ∅. Con ciò X è regolare. Ora si consideri il ricoprimento aperto {Ug }g∈G di G,
che essendo chiuso è compatto. Si può quindi estrarre un sottoricoprimento finito Ug1 , . . . , Ugk ,
con i corrispettivi aperti VFg1 , . . . , VFgk . Ora U = Ug1 ∪ · · · ∪ Ugk è un aperto che contiene F ,
V = VFg1 ∩ . . . ∩ VFgk è un aperto che contiene G e chiaramente U ∩ V = ∅. Da ciò segue che
(X, τ ) è normale.
Per introdurre il prossimo esempio premettiamo la seguente definizione.
Definizione 4.15. Sia (X, τ ) uno spazio topologico. Si dice che (X, τ ) è a base numerabile
o che soddisfa il secondo assioma di numerabilità se esiste una base numerabile B per la
topologia τ .
È chiaro che se X è a base numerabile, allora soddisfa il primo assioma di numerabilità.
Esempio 4.16.
• R munito della topologia naturale è a base numerabile: è sufficiente considerare gli intervalli
aperti con estremi razionali;
• R munito della topologia discreta è ancora uno spazio metrico ma non è a base numerabile.
Proposizione 4.17. Se (X, τ ) è a base numerabile allora Y ⊆ X con la topologia indotta è
anch’esso a base numerabile.
Dimostrazione. Data B = {Bn }n∈N base, la collezione BY = {Bn ∩ Y : Bn ∈ B} è una base per
la topologia di sottospazio.
Proposizione 4.18. Sia {(Xi , τi )}i∈N una famiglia di spazi topologici a base numerabile, allora
Q
i∈N Xi munito della topologia prodotto è anch’esso a base numerabile.

Dimostrazione. Lasciata come esercizio.


Si noti che gli spazi topologici a base numerabile godono di una sorta di nozione debole di
compattezza. Vale infatti il seguente teorema.
Teorema 4.19 (di Lindelöf). Sia (X, τ ) uno spazio topologico a base numerabile e sia {Ai }i∈I un
ricoprimento aperto di X, allora esiste un sottoricoprimento numerabile {Ain }n∈N .
Dimostrazione. Si prova che se {Ai }i∈I è una famiglia di aperti di X allora esiste una sottofa-
miglia numerabile {Ain }n∈N tale che
[ [
Ai = Ai n .
i∈I n∈N
4.1. SPAZI REGOLARI E NORMALI 65

Sia allora B = {Bn }n∈N la base numerabile di (X, τ ) e sia B 0 = {Bk ∈ B : ∃ i ∈ I : Bk ⊂ Ai }.


In altre parole, gli elementi di B 0 sono gli aperti Bn0 di B per cui esiste in ∈ I tale che

Bn0 ⊂ Ain ;

{Ain } è una famiglia numerabile. Inoltre


[ [ [
Ai ⊃ Ain ⊃ Bn0 . (4.2)
i∈I n∈N n∈N

Poiché B è una base e gli Ai sono aperti, ∀ i ∈ I, ∀ x ∈ Ai , ∃ Bn0 ∈ B 0 : x ∈ Bn0 ⊂ Ai . Ne


segue che [ [
Ai ⊂ Bn0 . (4.3)
i∈I n∈N

Mettendo assieme la (4.2) e la (4.3) si ha che


[ [ [ [
Bn0 ⊃ Ai ⊃ Ai n ⊃ Bn0
n∈N i∈I n∈N n∈N

da cui [ [
Ai = Ai n
i∈I n∈N

e ciò completa la dimostrazione del teorema.

Definizione 4.20. Sia (X, τ ) uno spazio topologico, allora (X, τ ) si dice separabile se X contiene
un insieme numerabile e denso.
Esempio 4.21. R con la sua usuale topologia è separabile, dato che contiene Q, che è numerabile
e denso in R.
Proposizione 4.22. Se (X, τ ) è a base numerabile allora è separabile.

Dimostrazione. Sia B = {Bn }n∈N una base numerabile di X. ∀ n ∈ N si scelga xn ∈ Bn .


L’insieme D = {xn }n∈N è dunque numerabile e denso in X. Infatti, sia ∅ 6= A ∈ τ , allora A è
unione di elementi di B e quindi esiste Bn ⊂ A e xn ∈ A. Con ciò, D ∩ A 6= ∅ per ogni aperto
non vuoto di X. Ciò prova che D è denso in X.

Vale la seguente proposizione.


Proposizione 4.23. Sia (X, d) uno spazio metrico separabile, allora è a base numerabile.

Dimostrazione. Sia D = {xn }n∈N un insieme numerabile e denso in X. ∀ n ∈ N, ∀ q ∈ Q+ =


{q ∈ Q : q > 0}, sia
Bn,q = Bq (xn ) = {x ∈ X : d(x, xn ) < q}.
La famiglia B = {Bn,q } è una famiglia numerabile di aperti di X. Sia A aperto di X e x ∈ A,
allora ∃ ε > 0 : Bε (x) ⊂ A. Poiché D è denso in X, esiste n ∈ N tale che
ε
d(x, xn ) < .
4
Sia q ∈ Q+ tale che
ε ε
<q< ;
4 2
66 4. ULTERIORI ASSIOMI DI SEPARAZIONE

allora
Bn,q ⊂ Bε (x),
infatti per y ∈ X si ha
ε
d(x, y) ≤ d(x, xn ) + d(xn , y) < + d(xn , y).
4
Poiché d(x, xn ) < q si ha x ∈ Bn,q ; se y ∈ Bn,q risulta
ε ε ε
d(x, y) < +q < + <ε
4 4 2
e quindi y ∈ Bε (x).

Proposizione 4.24. Siano (X, τ ) e (Y, ζ) due spazi separabili, allora X × Y con la topologia
prodotto è separabile.

Dimostrazione. Esistono D = {xn } ⊂ X, E = {yn } ⊂ Y tali che D = X e E = Y . Sia

W = {(xn , ym ) : xn ∈ D, ym ∈ E};

W è numerabile e denso in X × Y . Infatti, dato A × B intorno aperto del generico (xn , ym ) ∈


X × Y , si ha che (A × B) ∩ W 6= ∅, perché A ∩ X 6= ∅ e B ∩ E 6= ∅.

Non è però vero, in generale, che un sottospazio di uno spazio separabile sia esso stesso
separabile. Vale però la seguente conseguenza della proposizione 4.23.
Proposizione 4.25. Sia (X, d) uno spazio metrico separabile. Sia Y ⊂ X con la metrica indotta,
allora Y è separabile.

Dimostrazione. X ha una base numerabile per la proposizione 4.23, B = {Bn }n∈N , allora BY =
{Bn ∩ Y }n∈N è una base numerabile per la topologia di Y . Per la proposizione 4.22 si ha dunque
che Y è separabile.

Esempio 4.26. Sia X = R con la topologia τ che ha per base

B = {[a, b) : a < b};

(X, τ ) è allora separabile: infatti, Q è denso in (X, τ ). Non è però a base numerabile perché, se
lo fosse, X × X con la topologia prodotto sarebbe a base numerabile e quindi lo sarebbero tutti
i suoi sottospazi che di conseguenza sarebbero separabili. Tuttavia, il sottospazio

Γ = {(x, y) ∈ X × Y : y = −x}

non è separabile. X × X è separabile ma ha sottospazi non separabili, quindi X × X non è


metrizzabile.
Nel seguente risultato vengono individuati altri spazi normali.
Teorema 4.27. Sia (X, τ ) uno spazio T3 a base numerabile, allora (X, τ ) è T4 .

Dimostrazione. Sia B = {Bn }n∈N una base numerabile di X. Siano F e G due chiusi disgiunti.
Siano
U = {Bn ∈ B : B n ∩ G = ∅, cioè B n ⊂ c G}
V = {Bn ∈ B : B n ∩ F = ∅, cioè B n ⊂ c F }.
4.1. SPAZI REGOLARI E NORMALI 67

Gli elementi delle famiglie U e V verranno indicati rispettivamente con le lettere U e V . U è


numerabile e si può quindi porre
U = {Un }n∈N ;
analogamente
V = {Vn }n∈N .
Si prova ora che
∀ x ∈ F, ∃ n ∈ N : x ∈ Un (4.4)

∀ x ∈ G, ∃ n ∈ N : x ∈ Vn (4.5)
Poiché F ∩ G = ∅, se x ∈ F allora x ∈ c G (aperto). Poiché X è T3 e B è una base esiste
un elemento B ∈ B tale che x ∈ B ⊂ B ⊂ c G. Con ciò B ∈ U, provando in tal modo (4.4). La
validità di (4.4) è analoga. Dalle equazioni (4.4) e (4.4) si deduce
[
F ⊂ Un = Λ
n∈N

[
G⊂ Vn = Σ.
n∈N

Tuttavia gli aperti Λ e Σ possono non essere disgiunti. Si definiscono per ricorrenza gli aperti
Hn e Ln con n ∈ N ponendo

H1 = U1 L1 = V 1 \ H 1
n−1
[ n
[
Hn = Un \ Lh Ln = Vn \ H h.
h=1 h=1

Si dimostra che gli aperti


[ [
H= Hn L= Ln
n∈N n∈N

sono tali che


H ∩ L = ∅ e F ⊂ H, G ⊂ L.
Si prova che H ∩ L = ∅ mostrando che, ∀ n, m ∈ N

Hn ∩ Lm = ∅;

• Se n ≤ m risulta
m
[
Lm = Vm \ H h ⊂ Vm \ Hn ,
h=1
Sm
poiché Hn ⊂ h=1 H h , quindi Hn ∩ Lm = ∅;

• Se n > m si ha
n−1
[
Hn = Un \ Lh ⊂ Un − Lm ,
h=1

e dunque ancora Hn ∩ Lm = ∅.
68 4. ULTERIORI ASSIOMI DI SEPARAZIONE

Si prova ora che F ⊂ H. Sia x ∈ F e sia n ∈ N tale che x ∈ Un ; ∀ m ∈ N si ha


Lm ⊂ V m ⊂ c F
e quindi Lm ∩ F = ∅. Ne segue che
n−1
!
[
Hn ∩ F = Un \ Lh ∩ F = Un ∩ F
h=1

e con ciò x ∈ Hn ⊂ H. Analogamente si prova che G ⊂ L.


Si viene ora a un ultimo esempio importante. Si ricordi che un insieme parzialmente ordinato
(X, ≤) si dice ben ordinato se ogni ∅ 6= S ⊆ X ammette minimo. È chiaro che se (X, ≤) è ben
ordinato allora è totalmente ordinato. Infatti, dati x, y ∈ X, l’insieme S = {x, y}, supponendo
x 6= y senza ledere la generalità, ammette minimo e dunque o x ≤ y o y ≤ x. Dunque in
particolare se (X, ≤) è ben ordinato lo si può topologizzare con la topologia dell’ordine.
A breve sarà utilizzata la seguente proprietà.
Lemma 4.28. Sia (X, ≤) ben ordinato e sia y ∈ X che non sia un eventuale massimo di X,
allora y ammette un successore immediato y 0 .
Dimostrazione. Si deve provare che data y come nell’enunciato del lemma esiste y 0 con la pro-
prietà che y 0 6= y, y ≤ y 0 e se y ≤ z ≤ y 0 allora o z = y o z = y 0 . Siccome y non è il massimo di
X, l’insieme
W = {w ∈ X : w 6= y e y ≤ w} = 6 ∅.
Dunque W ammette un minimo w. Si prova che w è l’y 0 cercato. Infatti, w 6= y e y ≤ w.
Inoltre, se y ≤ z e z 6= y allora z ∈ W da cui w ≤ z e la proprietà rimanente desiderata per y 0
segue immediatamente.
Teorema 4.29. Sia (X, τ ) ben ordinato, allora X è normale nella topologia dell’ordine.
Dimostrazione. Innanzitutto si prova che gli intervalli del tipo (x, y] con x ≤ y e x 6= y sono
aperti. Infatti se y è eventuale massimo allora il precedente intervallo è aperto per come è definita
la topologia dell’ordine. Se y non è il massimo, per il lemma 4.28 esiste un successore immediato
y 0 di y e
(x, y] = (x, y 0 )
è dunque aperto. Siano ora F e G chiusi disgiunti di X. Detto a il minimo di X si supponga per
il momento che a 6∈ F ∪ G. ∀ f ∈ F esiste un elemento della base della topologia che contiene f ,
disgiunto da G e che contiene un intervallo del tipo (xf , f ]: qui si usa il fatto che f 6= a poiché
a 6∈ F . Analogamente, ∀ g ∈ G, ∃ yg : (yg , g] disgiunto da F . Dunque gli insiemi
[ [
U= (xf f ] e V = (yg g]
f ∈F g∈G

sono aperti che contengono rispettivamente F e G. Si prova che U ∩ V = ∅. Infatti, per assurdo
sia z ∈ U ∩ V , allora z ∈ (xf , f ] ∩ (yg , g] per un qualche f ∈ F, g ∈ G. Si assuma f < g, dato che
il caso f > g viene trattato in modo analogo. Se f ≤ yg allora i due intervalli (xf , f ] e (yg , g]
sono disgiunti, il che non può essere. Dunque f > yg e con ciò f ∈ (yg , g] contraddicendo il fatto
che F ∩ (yg , g] = ∅.
Si consideri infine il caso in cui a ∈ F , dato che il caso in cui a ∈ G è analogo. L’insieme {a} è
sia aperto sia chiuso in X. Per quanto dimostrato prima esistono U e V aperti disgiunti tali che
F \ {a} ⊂ U e G ⊂ V . Gli aperti U ∪ {a} e V \ {a} sono disgiunti e contengono rispettivamente
F e G.
4.2. IL LEMMA DI URYSOHN E ALCUNE SUE CONSEGUENZE 69

4.2 Il lemma di Urysohn e alcune sue conseguenze


Lemma 4.30. Sia (X, ≤) un insieme totalmente ordinato, con |X|= n. Allora esiste un isomor-
fismo d’ordine
f : X → {1, . . . , n}.

Dimostrazione. Si procede per ricorsione su n.


X ha un massimo. Infatti, se |X|= 1, 1 è il massimo; se |X|= n e a ∈ X, |X \ {a}|= n − 1,
dunque per ipotesi X \ {a} ha un massimo, lo si denoti con b. Allora, se a ≤ b, max X = b e, se
b ≤ a, max X = a.
Ora, se |X|= 1, f : X → {1} con f (x) = 1 è l’isomorfismo cercato. Quindi, per |X|= n, sia
x0 = max X. Per ipotesi, esiste

f : X \ x0 → {1, . . . , n − 1}

isomorfismo d’ordine; f si estende a un

f : X → {1, . . . , n}

ponendo f (x) = f (x), ∀ x 6= x0 e f (x0 ) = n.

Il seguente risultato prende il nome di lemma di Urysohn.


Teorema 4.31. Sia (X, τ ) uno spazio normale e siano A e B due suoi chiusi disgiunti. Sia
[a, b] ⊂ R, allora esiste un’applicazione continua f : X → [a, b] tale che f (x) = a, ∀ x ∈ A, e
f (x) = b, ∀ x ∈ B.

Dimostrazione. Senza ledere la generalità si può supporre che [a, b] = [0, 1]. La dimostrazione
viene ora divisa in quattro passi.
Passo 1. Sia P = [0, 1] ∩ Q; P è numerabile e lo si ordina in modo che 1 e 0 siano i primi due
elementi della successione {pk } = P, con k ∈ N ∪ {0}. Si definisca l’aperto U1 ponendo

U1 = X \ B.

Poiché A è chiuso e A ⊂ U1 , essendo A disgiunto da B, per la normalità di (X, τ ) si può


scegliere un aperto U0 tale che
A ⊂ U0 ⊂ U 0 ⊂ U1 .
Si indica con
Pn = {0, 1, . . . , pn−1 } ⊂ P
l’insieme che consiste nei primi n elementi della successione {pk }, Si supponga che Up sia definito
per p ∈ Pn soddisfacente la condizione

p < q ⇒ U p ⊂ Uq . (4.6)

Sia r ∈ P e sia r = pn . Si definisca Ur con la stessa proprietà sopraccitata. Si pone


Pn+1 ∪ {pn } = Pn ∪ {r}; P, come sottoinsieme di [0, 1], eredita l’ordinamento ≤ usuale da [0, 1].
Dal lemma 4.30 si ha che, in un insieme finito totalmente ordinato, ogni elemento che non sia il
massimo o il minimo ha rispettivamente un immediato successore e un immediato predecessore;
0 e 1 sono rispettivamente il minimo e il massimo dell’insieme totalmente ordinato (Pn+1 , ≤) e
r 6= 0, 1, quindi r ha un immediato predecessore p ∈ Pn+1 e un immediato successore q ∈ Pn+1 .
70 4. ULTERIORI ASSIOMI DI SEPARAZIONE

Necessariamente p, q ∈ Pn e p ≤ q con p 6= q. Gli insiemi Up e Uq sono già stati definiti e U p ⊂ Uq


per l’ipotesi di induzione. Usando la normalità di X si può trovare un aperto Ur di X tale che

U p ⊂ Ur ⊂ U r ⊂ Uq .

Si noti che (4.6) ora vale in Pn+1 . Infatti sia p < q se vale (4.6) per p, q ∈ Pn , per ipotesi
induttiva. Se uno di essi è r e l’altro è un s ∈ Pn , allora o s ≤ p, e nel qual caso

U s ⊂ U p ⊂ Ur ,

oppure s ≥ q, e nel qual caso


U r ⊂ Uq ⊂ Us .
Dunque per ogni coppia di elementi di Pn+1 vale la (4.6). Per induzione si è così definito
Up , ∀ p ∈ P.
Passo 2. Si estende la definizione di Up da p ∈ P = [0, 1] ∩ Q a tutto Q nel modo seguente:
(
Up = ∅ p < 0
(4.7)
Up = X p > 1

Si noti che ancora vale la proprietà (4.6) e cioè

∀ p < q ∈ Q, U p ⊂ Uq .

Passo 3. Dato x ∈ X si definisce

Q(x) = {p ∈ Q : x ∈ Up } (4.8)

Si osservi che per la (4.7) si ha che Q(x) ⊂ Q+ +


0 = R0 ∩ Q e inoltre Q(x) ⊃ (1, +∞). Dunque

f (x) = inf Q(x) (4.9)


p∈[0,1]

Si è definita così una funzione f : X → [0, 1].


Passo 4. Si prova ora che f ha le proprietà richieste. Se x ∈ A allora x ∈ Up , ∀ p ≥ 0 e
quindi f (x) = 0, ∀ x ∈ A. Analogamente, se x ∈ B allora x 6= Up , ∀ p ≥ 0 per la (4.6) e per la
definizione di U1 . Quindi f (x) = 1, ∀ x ∈ B.
Si deve ora provare che f è continua. A tale scopo si comincia con il provare i seguenti due
fatti:
x ∈ U r ⇒ f (x) ≤ r (4.10)
x 6∈ Ur ⇒ f (x) ≥ r. (4.11)
Per provare (4.10) si osservi che, per la (4.6), se x ∈ U r allora x ∈ Us , ∀ s > r. Si usi
poi la definizione di f (x). Per provare (4.11), se x 6∈ Ur allora x 6∈ Us , ∀ s ≤ r e quindi
f (x) = inf Q(x) ≥ r.
Si prova ora la continuità di f . Si fissi x0 ∈ X e sia (c, d) 3 f (x0 ). Si vuole trovare un aperto
U ⊂ X, con x0 ∈ U , tale che f (U ) ⊂ (c, d). Si scelgano due razionali p e q tali che

c < p < f (x0 ) < q < d. (4.12)

Si pone
U = Uq \ U p ;
4.2. IL LEMMA DI URYSOHN E ALCUNE SUE CONSEGUENZE 71

U è aperto. Si prova che contiene x0 . Se x0 6∈ Uq allora, per la definizione di f , si avrebbe

f (x0 ) ≥ q

il che contraddice (4.12). Dunque x0 ∈ Uq . Se x0 ∈ U p allora

f (x0 ) ≤ p

contraddicendo di nuovo (4.12), quindi x0 ∈ U Sia ora x ∈ U . Poiché x ∈ Uq , f (x) ≤ q e poiché


x 6∈ U p allora f (x) ≤ q e, poiché x 6∈ U p , f (x) ≥ p. In definitiva

f (x) ∈ [p, q] ⊂ (c, d)

e ciò completa la dimostrazione del teorema.

Osservazione 4.32. Sia (X, τ ) uno spazio regolare. In base alla dimostrazione precedente sem-
brerebbe che dato a ∈ X e un chiuso F 63 a si possa trovare una funzione continua f : X → [0, 1]
tale che f (a) = 0 e f (F ) = {1}. In effetti nel passo 1 la dimostrazione precedente ci permette di
trovare
U0 ⊂ U 0 ⊂ U1
aperti tali che
a ∈ U0 e F ⊂ U1
usando la regolarità di X ma il passo successivo riguardo la separazione di due chiusi e ciò non
è generalmente possibile nella sola condizione di regolarità di X.
La richiesta di separare chiusi da punti con una funzione continua è in effetti più forte della
regolarità; questo punto verrà ritrovato più avanti.
Si dà ora la seguente definizione.
Definizione 4.33. Sia (X, τ ) uno spazio topologico e siano A, B ⊂ X. Si dice che A e B si possono
separare con una funzione continua  se esiste f : X →  [0, 1] continua tale che f (A) = {0}
e f (B) = {1}. In tal caso, f −1 0, 21 = U e f −1 12 , 1 = V sono due aperti di X tali che


A ⊂ U , B ⊂ V e U ∩ V = ∅.
Dal teorema 4.31 e dalla caratterizzazione degli spazi normali segue il prossimo corollario.
Corollario 4.34. Sia (X, τ ) uno spazio topologico T1 , allora (X, τ ) è T4 , cioè normale, se e solo
se coppie di chiusi disgiunti di X si possono separare con funzioni continue.
Si noti come l’osservazione 4.32 e il precedente corollario giustifichino l’introduzione della
seguente definizione.
Definizione 4.35. Uno spazio topologico (X, τ ) si dice completamente regolare o di Tycho-
noff se X è T1 e se per ogni chiuso F e x ∈ X \ F esiste una funzione continua f : X → [0, 1]
tale che f (x) = 0 e f (F ) = {1}.
Ovviamente la nozione di spazio completamente regolare è invariante per omeomorfismi.
Inoltre uno spazio completamente regolare è regolare e uno spazio normale, per il lemma di
Urysohn, è completamente regolare. Esistono però spazi regolari che non sono completamente
regolari e spazi regolai che non sono normali. Per giustificare quest’ultima affermazione verranno
dati degli esempi.
Si prova ora il seguente lemma.
Lemma 4.36. Sia (X, τ ) uno spazio normale e Y ⊆ X munito della topologia indotta, allora
(Y, τY ) è completamente regolare.
72 4. ULTERIORI ASSIOMI DI SEPARAZIONE

Dimostrazione. Sia F ⊆ Y chiuso e y ∈ Y tale che y 6∈ F . Esiste allora G ⊂ X chiuso tale che
F = Y ∩ G. Chiaramente y 6∈ G, quindi, considerato che {y} è chiuso nello spazio T1 (X, τ ), si
ha l’esistenza di h : X → [0, 1] continua tale che h(y) = 0 e h(G) = {1}. Si definisce f = h|Y ,
allora f è continua, f (y) = 0 e f (F ) = {1} come desiderato.
La stessa dimostrazione, sostituendo la definizione 4.35 al lemma di Urysohn, dà la validità
della seguente proposizione.
Proposizione 4.37. Sia (X, τ ) uno spazio completamente regolare e Y ⊆ X munito della topologia
indotta, allora (Y, τY ) è completamente regolare.
Sia Xi = R, con i ∈ N, e si consideri Rω =
Q
Xi con la topologia prodotto τ . È facile vedere
i∈N
che (Rω , τ ), che altro non è che l’insieme delle successioni di numeri reali, è metrizzabile. Ad
esempio si può definire una metrica che induce la topologia τ nel modo seguente, ∀ a = {an }, b =
{bn } ∈ Rω :
+∞
X 1 |an − bn |
d(a, b) = n 1 + |a − b |
n=1
2 n n

oppure, per r, n ∈ R, posto


d(r, n) = min{|r − n|, 1},
si può definire  
d(an , bn )
D(a, b) = sup .
n∈N n
Anche questa seconda metrica induce la topologia τ . Si noti però che la metrica

ρ(a, b) = sup d(an , bn )


n∈N

dà la topologia della convergenza uniforme su RN , che è più fine strettamente di τ .


Si è ora in grado di dimostrare il seguente teorema.
Teorema 4.38 (di metrizzazione di Urysohn). Sia (X, τ ) uno spazio topologico T3 e a base nume-
rabile, allora X è metrizzabile.
Dimostrazione. Si prova il teorema mostrando che (X, τ ) è omeomorfo a un sottospazio dello
spazio metrico Rω . Si divide quindi la dimostrazione in due passi.
Passo 1. Esiste una successione {fn } di funzioni continue fn : X → [0, 1] tali che dato un
generico x0 ∈ X e U ∈ τ tale che U 3 x0 esiste n per cui fn (x0 ) > 0 e fn (X \ U ) = {0}.
Per dimostrare tale affermazione si fissi una base numerabile B = {Bn }n∈N della topologia τ
di X. Per ogni coppia di indici n, m tali che B n ⊂ Bm con il lemma di Urysoh si sceglie una
funzione continua gn,m : X → [0, 1] tale che gn,m (B n ) = {1} e gn,m (c Bm ) = {0}. Ora dato
x0 ∈ U si sceglie un elemento Bm nella base tale che x ∈ Bm ⊂ U . Per la regolarità di (X, τ )
si possono ancora scegliere Bn ∈ B tale che x0 ∈ Bn ⊂ B n ⊂ Bm , allora gn,m è definita nel
seguente modo: (
gn,m > 0 in x0
gn,m ≡ 0 fuori da U.
Si noti che la collezione {gn,m } è numerabile e quindi fornisce la famiglia {fn } desiderata.
Passo 2. Considerate le funzioni {fn } del passo 1, si consideri Rω con la topologia prodotto.
Si definisce F : X → Rω ponendo

F (x) = (f1 (x), f2 (x), . . . ).


4.2. IL LEMMA DI URYSOHN E ALCUNE SUE CONSEGUENZE 73

Si afferma quindi che F è un embedding, cioè un omeomorfismo di X sull’immagine F (X)


dotata della topologia di sottospazio di Rω . Innanzitutto, F è continua poiché Rω ha la topologia
prodotto e ciascun fi , proiezioni di F sull’i-esimo fattore del prodotto Rω , è continua.
F è iniettiva, infatti se x 6= y esiste un n tale che fn (x) > 0 e fn (y) = 0 e dunque F (x) 6= F (y).
Rimane dunque da dimostrare che ∀ U ⊂ X aperto, F (U ) è aperto in Z = F (X) ⊆ Rω .
Sia z0 ∈ F (U ) e sia x0 ∈ U la preimmagine di z0 in F . Si scelga un indice N tale che
fN (x0 ) > 0 e fN (c U ) = {0}. Sia
−1
V = πN ((0, +∞)) ⊆ Rω

dove πN è la proiezione canonica sul fattore N -esimo di Rω . V è aperto e dunque W = V ∩ Z


è aperto in Z ⊆ Rω . Si ha che z0 appartiene a W ⊆ F (U ). Innanzitutto, z0 ∈ W poiché
πN (z0 ) = πN (F (x0 )) = fN (x0 ) > 0. Sia ora z ∈ W , si deve provare che z ∈ F (U ). Esiste un
unico x ∈ X tale che z = F (x) e πN (z) ∈ (0, +∞). Poiché 0 < πN (z) = πN (F (x)) = fN (x) e
fN (c U ) = {0} si ha che x ∈ U e con ciò z = F (x) ∈ F (U ).
Dunque F è un embedding di X in Rω . Ciò completa la dimostrazione del teorema.
La seconda parte della dimostrazione del teorema di metrizzabilità di Urysohn prova in effetti
la validità del seguente teorema.
Teorema 4.39. Sia (X, τ ) uno spazio topologico T2 e si supponga che esistano famiglie {fα }α∈A
di funzioni continue fα : X → R tali che ∀ x0 ∈ X, ∀ U ∈ τ , con x ∈ U , si ha che ∃ α ∈ A :
fα (x0 ) > 0 e f (X \ U ) = {0}. Allora la funzione F : X → RA con la topologia del prodotto
definita da
F (x) = {fα (x)}α∈A
è un embedding di X in RA .
Capitolo 5

Gruppo fondamentale e ricoprimenti

5.1 Omotopia
Definizione 5.1. Siano X e Y spazi topologici e f0 , f1 : X → Y due applicazioni continue. Si dice
che f0 è omotopa a f e si scrive f0 ∼ f1 se esiste un’applicazione continua F : [0, 1] × X → Y
tale che F (0, x) = f0 (x) e F (1, x) = f1 (x), ∀ x ∈ X.
Esempio 5.2. Siano X = Y = Rm , f0 , f1 : Rm → Rm definite da

f0 (x) ≡ 0 f1 (x) = x;

allora f0 ∼ f1 : infatti si consideri F : [0, 1] × Rm → Rm data da

F (t, x) = tx.

Chiaramente F è continua, inoltre F (0, x) = 0 e F (1, x) = x, ∀ x ∈ Rm .


Teorema 5.3. La relazione di omotopia è una relazione di equivalenza, ovvero se f, g, h : X → Y
sono applicazioni continue allora:

1. f ∼ f

2. f ∼ g ⇒ g ∼ f

3. f ∼ g, g ∼ h ⇒ f ∼ h

Dimostrazione.

1. Sia F : [0, 1] × X → Y definita da F (t, x) = f (x);

2. Sia F : [0, 1] × X → Y continua tale che f (x) = F (0, x) e F (1, x) = g(x), ∀ x ∈ X. Si


consideri allora G : [0, 1] × X → Y definita da

G(t, x) = F (1 − t, x);

G è continua poiché composta di funzioni continue e realizza la desiderata omotopia tra g


e f;

74
5.1. OMOTOPIA 75

3. Siano F, G : [0, 1] × X → Y omotopie tali che F (0, x) = f (x), F (1, x) = G(0, x) = g(x) e
G(1, x) = h(x), ∀ x ∈ X. Si definisce H : [0, 1] × X → Y ponendo
(
(t, x) ∈ 0, 21 × X
 
F (2t, x)
H(t, x) =
G(2t − 1, x) (t, x) ∈ 21 , 1 × X.
 

Risulta 0, 12 × X ∩ 12 , 1 × X = 12 × X e dal lemma dell’incollamento si ha imme-


      

diatamente che H è continua. Del resto, H(0, x) = F (0, x) = f (x), H(1, x) = G(1, x) =
h(x), ∀ x ∈ X da cui segue che H realizza la desiderata omotopia di f con h.
Definizione 5.4. Due spazi topologici X e Y si dicono avere lo stesso tipo di omotopia se
esistono delle applicazioni continue f : X → Y e g : Y → X tali che g ◦ f ∼ idX e f ◦ g ∼ idY .
Chiaramente, la relazione di tipo di omotopia è riflessiva, simmetrica e la sua transitività,
vale a dire il fatto che sia una relazione d’equivalenza, segue immediatamente dalla seguente
proposizione.
Proposizione 5.5. Siano X, Y, Z spazi topologici e siano f0 , f1 : X → Y e g0 , g1 : Y → Z
applicazioni omotope. Allora g0 ◦ f0 , g1 ◦ f1 : X → Z sono omotope.
Dimostrazione. La verifica è lasciata al lettore.
Definizione 5.6. Uno spazio topologico X si dice contrattile se la mappa identica iX : X → X
è omotopa alla mappa costante, cioè iX ∼ c con c : X → {x0 } per un qualche x0 ∈ X.
Teorema 5.7. Uno spazio X è contrattile se e solo se X ha lo stesso tipo di omotopia dello spazio
topologico costituito da un unico punto.
Dimostrazione.
⇒ Sia X contrattile, allora idX ∼ c con c : X → {x0 }. Si definisca g : {x0 } → X ponendo
g(x0 ) = x0 e g ∈ C 0 ({x0 }). Risulta inoltre che g ◦ c = c ∼ idX e c ◦ g = id{x0 } .
⇐ Sia Y = {y} e X abbia lo stesso tipo d’omotopia di Y . Dunque esistono f : X → Y e
g : Y → X continue tali che g ◦ f ∼ idX e f ◦ g ∼ idY . Sia x0 = g(y) e sia c : X → {x0 },
allora c = g ◦ f ∼ idX , cioè X è contrattile.
Si ricordano ora i seguenti fatti.
Definizione 5.8. Sia X uno spazio topologico. Un cammino in X con origine in x0 ∈ X e fine
in x1 ∈ X è un’applicazione continua α : [0, 1] → X tale che α(0) = x0 e α(1) = x1 .
Definizione 5.9. Uno spazio topologico X si dice connesso per archi se dati due generici punti
x0 , x1 ∈ X esiste un cammino che li connette, vale a dire con origine x0 e fine x1 .
Proposizione 5.10. Se X è connesso per archi allora è connesso.
Nota. Il viceversa è falso, cioè uno spazio connesso non è detto che sia connesso per archi.
Si possono così introdurre le seguenti definizioni.
Definizione 5.11. Sia α un cammino da x0 a x1 e β un cammino da x1 a x2 . Il prodotto di α
con β è il cammino αβ da x0 a x2 definito da
(
α(2t) 0 ≤ t ≤ 21
αβ =
β(2t − 1) 21 ≤ t ≤ 1.
Definizione 5.12. L’inverso del cammino α è il cammino α−1 da x1 a x0 definito da α−1 (t) =
α(1 − t).
76 5. GRUPPO FONDAMENTALE E RICOPRIMENTI

Nota. La definizione di prodotto di due cammini è ben posta in virtù del lemma dell’incolla-
mento.
Definizione 5.13. Due cammini α e β da x0 a x1 si dicono omotopi (α ∼ β) se esiste un’appli-
cazione continua F : [0, 1] × [0, 1] → X tale che, ∀ τ, t ∈ [0, 1]:

• F (0, τ ) = α(τ )

• F (1, τ ) = β(τ )

• F (t, 0) = x0

• F (t, 1) = x1

1 X
α(τ )

F (t, τ ) x1

x0
0 t 1
β(τ )

Nota. Un’omotopia di cammini è un’omotopia in senso usuale con in più la richiesta che gli
estremi dei cammini rimangono fissi attraverso l’omotopia.
Senza quest’ultima richiesta ogni cammino sarebbe omotopo al cammino costante. Infatti,
dato α : [0, 1] → M con α(0) = x0 e α(1) = x1 , si consideri F : [0, 1] × [0, 1] → M dato da
F (t, τ ) = α(tτ ). F è continua, F (0, τ ) = x0 e F (1, τ ) = α(τ ), ∀ τ ∈ [0, 1].
Proposizione 5.14. La relazione d’omotopia tra cammini con estremi fissi è una relazione d’e-
quivalenza.

Dimostrazione. Del tutto simile a quella del teorema 5.3.

Teorema 5.15. Siano α0 ∼ α1 e β0 ∼ β1 cammini tali che α0 β0 sia ben definito. Allora α1 β1 è
ben definito e α0 β0 ∼ α1 β1 .
F G
Dimostrazione. Che α1 β1 sia ben definito è ovvio. Siano α0 ∼ α1 e β0 ∼ β1 le omotopie. Si
definisca, ∀ t ∈ [0, 1] (
F (t, 2τ ) 0 ≤ τ ≤ 12
H(t, τ ) =
G(t, 2τ − 1) 21 ≤ τ ≤ 1.
Risulta   (
1 F (t, 1) = α0 (1)
H t, =
2 G(t, 0) = β0 (0)
e poiché α0 (1) = β0 (0) dal lemma dell’incollamento si ha che H è continua. Inoltre risulta che

• H(0, τ ) = α0 β0 (τ )

• H(1, τ ) = α1 β1 (τ )
5.1. OMOTOPIA 77

• H(t, 0) = α0 (0)

• H(t, 1) = β0 (1),

quindi H realizza la desiderata omotopia.

Teorema 5.16. Siano α0 ∼ α1 . Allora α0−1 ∼ α1−1 .


F
Dimostrazione. Sia α0 ∼ α1 , allora H(t, τ ) = F (t, 1 − τ ) realizza l’omotopia desiderata tra α0−1
e α1−1 .

Si indichi con [α] la classe d’equivalenza di quei cammini omotopi ad α. Si noti che, poiché
cammini omotopi hanno i medesimi estremi, l’origine e la fine di [α] sono definiti in modo naturale.
Definizione 5.17. Il prodotto e l’inverso di classi d’equivalenza di cammini omotopi sono
definiti da:

• [α][β] = [αβ], naturalmente quando αβ è definito;

• [α]−1 = [α−1 ]

Questa definizione è ben posta in base ai teoremi 5.15 e 5.16.


Teorema 5.18. Per ciascun x ∈ X sia ex : [0, 1] → X il cammino costante ex (t) = x, ∀ t ∈ [0, 1].
Allora

1. Se [α] ha origine x0 allora [ex0 ][α] = [α];

2. Se [α] ha fine x1 allora [α][ex1 ] = [α];

3. Se [α] ha origine x0 e fine x1 allora [α][α]−1 = [ex0 ] e [α]−1 [α] = [ex1 ];

4. Se (αβ)γ è definito allora ([α][β])[γ] = [α]([β][γ]).

Dimostrazione.

1. Dato I = [0, 1], si deve provare che ex0 α ∼ α, dunque si deve costruire una mappa continua
F : I × I → X tale che, ∀ t, τ ∈ I:

• F (0, τ ) = (ex0 α)(τ )


• F (1, τ ) = α(τ )
• F (t, 0) = x0
• F (t, 1) = x1 = α(1)

1
x1
1
2

τ= 1−t
x0 F (t, τ )
2

0 t 1
78 5. GRUPPO FONDAMENTALE E RICOPRIMENTI

Considerando la precedente figura, sarà sufficiente definire F come la mappa costante x0 e


richiedere che F ristretta a ogni segmento verticale nel rimanente trapezoide sia data da α
attraverso un’opportuna riparametrizzazione del segmento. Analiticamente,
(
F (τ, t) =
x0  0 ≤ 2τ ≤ 1 − t
2τ −1+t
α 1+t 1 − t ≤ 2τ ≤ 2;

si noti che F è continua in base al lemma dell’incollamento;


2. la dimostrazione è del tutto simile al punto 1;
3. lasciata come semplice esercizio;
F
4. si deve provare che (αβ)γ ∼ α(βγ). Ora

α(4τ )
 0 ≤ τ ≤ 41
((αβ)γ) (τ ) = β(4τ − 1) 14 ≤ τ ≤ 21
γ(2τ − 1) 21 ≤ τ ≤ 1


α(2τ )
 0 ≤ τ ≤ 21
(α(βγ)) (τ ) = β(4τ − 2) 12 ≤ τ ≤ 23
γ(4τ − 3) 43 ≤ τ ≤ 1

Volendo dare un’espressione analitica dell’omotopia F : I × I → X si ha:


  



 α 1+t 4τ − 1 ≤ t

 − t −1) 4τ − 2 ≤ t ≤ 4τ − 1
F (t, τ ) = β(4τ

γ 4τ −t−2

t ≤ 4τ − 2
2−t

5.2 Gruppo fondamentale


Definizione 5.19. Sia X uno spazio topologico, x0 ∈ X. L’insieme delle classi d’equivalenza di
cammini con origine e fine in x0 , chiamati lacci in x0 , è un gruppo rispetto all’operazione di
moltiplicazione definita tra classi di lacci omotopi. Tale gruppo si indica con π1 (X, x0 ) e si dice
gruppo fondamentale o primo gruppo d’omotopia, della coppia (X, x0 ).
Osservazione 5.20. Dati x0 , x1 ∈ X non ci si può in generale aspettare alcuna relazione tra
π1 (X, x0 ) e π1 (X, x1 ).
Esempio 5.21.
1. Se x0 e x1 non stanno nella medesima componente connessa di X allora tra i due gruppi
in generale non c’è relazione;
2. Sia X = {x1 } ∪ {circonferenza C ⊆ R2 : x1 6∈ C} e sia x0 ∈ C. Allora π1 (X, x0 ) 6= {e}
mentre π1 (X, x1 ) = {e}. Analogamente ciò accade nel caso in cui X non sia connesso per
archi.
D’altro canto vale il seguente teorema.
Teorema 5.22. Sia X uno spazio topologico connesso per archi e siano x0 , x1 ∈ X, allora esiste
un isomorfismo di π1 (X, x0 ) su π1 (X, x1 ).
5.2. GRUPPO FONDAMENTALE 79

Dimostrazione. Sia γ un cammino da x0 a x1 e si definisce, ∀ [α] ∈ π1 (X, x0 ):

γ# : π1 (X, x0 ) → π1 (X, x1 )
[α] 7→ [γ −1 αγ]

• γ# è un omomorfismo. Infatti risulta

γ# ([α])γ# ([β]) = [γ −1 αγ][γ −1 βγ] = [γ −1 αγ γ −1 βγ] = [γ −1 αβγ] = γ# ([αβ])

poiché γγ −1 ∼ ex0 .
−1
• γ# è un isomorfismo, infatti ammette come inversa γ# = (γ −1 )# .
Si ricordi che, dato un gruppo G e un suo elemento a, l’automorfismo interno definito da a,
ia : G → G, è l’isomorfismo definito da ia : g 7→ aga−1 .
Corollario 5.23. Siano γ1 e γ2 due cammini in X da x0 a x1 , allora

(γ2 )# = (γ1 )# ◦ ia

dove ia è l’automorfismo interno di π1 (X, x0 ) dato da a = [γ1 γ2−1 ].


Dimostrazione. Per [α] ∈ π1 (X, x0 ) risulta

(γ1 )−1 −1 −1 −1 −1 −1
# ◦ (γ2 )# ([α]) = [γ1 γ2 αγ2 γ1 ] = [γ1 γ2 α(γ1 γ2 ) ] = ia ([α])

Osservazione 5.24. Il teorema 5.22 prova che tutti i gruppi fondamentali di uno spazio connesso
per archi sono tra loro isomorfi, però il precedente corollario mostra che, a meno che π1 (X, x0 ) non
sia commutativo, tale isomorfismo non può essere scelto in modo canonico. In effetti l’isomorfismo
dipende dalla classe d’omotopia dei cammini che congiungono i punti base. Si dovrebbe quindi
considerare il gruppo fondamentale concretamente rispetto al suo punto base.
Definizione 5.25. Siano X e Y spazi connessi per archi e sia f : X → Y continua. Fissato
x0 ∈ X sia, ∀ α ∈ π1 (X, x0 ):

f∗ : π1 (X, x0 ) → π1 (Y, f (x0 ))


[α] 7→ [f ◦ α].

F f ◦F
Si noti che la precedente definizione è ben posta, perché se [α] = [β] e α ∼ β, allora f ◦ α ∼
f ◦ β, come si verifica immediatamente. Si ha che f∗ è un omomorfismo, detto omomorfismo
indotto da f . Infatti se [α], [β] ∈ π1 (X, x0 ) risulta

f∗ ([α][β]) = [f ◦ αβ] = [(f ◦ α)(f ◦ β)] = f∗ ([α])f∗ ([β]).

Teorema 5.26. Siano X, Y, Z spazi connessi per archi e sia x0 ∈ X, allora:


1. se f : X → Y , g : Y → Z sono continue, si ha (g ◦ f )∗ = g∗ ◦ f∗
2. se f0 : X → Y e f1 : X → Y sono omotope e F : I × X → Y realizza l’omotopia da
f0 a f1 , allora (f1 )∗ = σ# ◦ (f0 )∗ , dove σ è il cammino in Y da f0 (x0 ) a f1 (x0 ) dato da
σ(t) = F (t, x0 )
Dimostrazione. 1. Sia [α] ∈ π1 (X, x0 ). Risulta

(g ◦ f )∗ ([α]) = [g ◦ f ◦ α] = g∗ ([f ◦ α]) = g∗ ◦ f∗ ([α]).


80 5. GRUPPO FONDAMENTALE E RICOPRIMENTI

2. Sia [α] ∈ π1 (X, x0 ). Si deve provare che

(f1 )∗ ([α]) = σ# ((f0 )∗ ([α]))

cioè che
[f1 ◦ α] = [σ −1 (f0 ◦ α)σ].

Si deve dunque provare che


f1 ◦ α ∼ σ −1 (f0 ◦ α)σ.

Si consideri allora G : [0, 1] × [0, 1] → Y dato da

G(t, τ ) = F (t, α(τ ));

G è continua perché composta di applicazioni continue. Inoltre


• G(0, τ ) = F (0, α(τ )) = f0 (α(τ )) = (f0 ◦ α)(τ )
• G(1, τ ) = F (1, α(τ )) = f1 (α(τ )) = (f1 ◦ α)(τ )
• G(t, 0) = F (t, α(0)) = F (t, x0 ) = σ(t)
• G(t, 1) = F (t, α(1)) = F (t, x0 ) = σ(t)
Dunque la frontiera di [0, 1] × [0, 1] viene mandata da G come indicato in figura:
L’omotopia H del laccio σ −1 (f0 ◦ α)σ al laccio f1 ◦ α è allora ottenuta deformando G.
Analiticamente H è data da

−1
σ (2τ )
 0 ≤ τ ≤ 1−t
2
H(t, τ ) = G(t, 3t+1 ) 1−t
4τ +2t−2
2 ≤ τ ≤ 3+t4
3+t

σ(4τ − 3) ≤ τ ≤ 1

4

Corollario 5.27. Se X e Y sono spazi connessi per archi con lo stesso tipo d’omotopia, allora i
loro gruppi fondamentali sono isomorfi.
Dimostrazione. Poiché X e Y hanno lo stesso tipo d’omotopia esistono applicazioni continue
f : X → Y e g : Y → X tali che g ◦ f ∼ idX e f ◦ g ∼ idY . Si fissi y0 ∈ Y e sia x0 = g(y0 ). Si
prova che
f∗ : π1 (X, x0 ) → π1 (Y, f (x0 ))
è un isomorfismo. Ora
g∗ : π1 (Y, f (x0 )) → π1 (X, g ◦ f (x0 ))
e in base al teorema 5.26 si ha

g∗ ◦ f∗ = (g ◦ f )∗ = σ# ◦ (idX )∗ = σ#

dove σ# : π1 (X, (g ◦ f )(x0 )) → π1 (X, idX (x0 ) = x0 ) è un isomorfismo per il teorema 5.22. Ne
segue quindi che f∗ è iniettiva. D’altro canto si consideri l’omomorfismo

ge∗ : π1 (Y, y0 ) → π1 (X, x0 = g(y0 ));

si ha che
f∗ ◦ ge∗ = (f ◦ g)∗ = σ
e# ◦ (idY )∗ = σ
e#
e# : π1 (Y, f ◦ g(y0 )) → π1 (Y, y0 ) è un isomorfismo. Dunque f∗ è suriettiva e quindi un
dove σ
isomorfismo.
5.3. RICOPRIMENTI 81

Corollario 5.28. Se X è contrattile, allora π1 (X, x0 ) = {e}.


Nota. Nel corollario precedente non è richiesto che X sia connesso per archi.
Dimostrazione. X contrattile significa che ha lo stesso tipo d’omotopia dello spazio costituito
da un unico punto. Comunque fissato x0 ∈ X in base alla dimostrazione del corollario 5.27 si
ottiene il risultato.
Corollario 5.29.
π1 (Rm , 0) = {e}

5.3 Ricoprimenti
D’ora in avanti trattando di ricoprimenti di spazi topologici si assume che tutti gli spazi in
questione siano di Hausdorff.
Definizione 5.30. Uno spazio X si dice localmente connesso se ∀ x ∈ X, ∀ V 3 x aperto ∃ U
aperto connesso tale che x ∈ U ⊂ V . Uno spazio X si dice localmente connesso per archi
se ∀ x ∈ X e aperto V 3 x esiste un aperto U con x ∈ U ⊂ V tale che ∀ x1 , x2 ∈ U esiste un
cammino α da x1 a x2 tale che α([0, 1]) ⊂ V .
Osservazione 5.31. Uno spazio connesso per archi può essere localmente connesso per archi.
Definizione 5.32. Siano X e Xe due spazi connessi per archi e localmente connessi per archi e
e → X un’applicazione continua. La coppia (X,
sia p : X e p) si dice un ricoprimento di X se

1. p è suriettiva;
2. ∀ x ∈ X, ∃ U ⊂ X aperto con x ∈ U tale che p−1 (U ) è l’unione disgiunta di aperti di
X
e ciascuno dei quali è mappato da p omeomorficamente su U . Un tale aperto U si dice
ammissibile.
Esempio 5.33.
1. Sia X = S1 = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 = 1} dotato della topologia indotta e sia X e = R. Si
2πit
definisca p : X → X ponendo p(t) = e
e . Allora (X, p) è un ricoprimento di X. Infatti, se
e
x ∈ S1 = X e U è un piccolo arco aperto contenente x, allora p−1 (U ) è l’unione disgiunta
di intervalli aperti, ciascuno traslato da ogni altro per un opportuno interno.
2. Sia X = S1 × S1 e Xe = R2 . Si definisca p : X
e → X ponendo p(t, τ ) = (e2πit , e2πiτ ). Si
verifica immediatamente che (X,
e p) è un ricoprimento di X.

Teorema 5.34. Sia (X, e → X è una mappa aperta.


e p) un ricoprimento di X, allora p : X

Dimostrazione. Sia U e un aperto di X.e Per x ∈ p(Ue ) sia V 3 x un aperto ammissibile in modo
−1
che p (V ) è l’unione disgiunta di aperti A ei di X
e mappati omeomorficamente su V da p.
Sia xe ∈ U tale che p(e
e e ∈ Ai per un qualche i. Ora U
x = x, allora x e e ∩Aei è aperto in A
ei e quindi
p(U ∩ Ai ) è aperto in V poiché p|Aei è un omeomorfismo, ma V è aperto in X e quindi p(U
e e e ∩Aei )
è aperto in X e p(U e ∩A ei ) ⊂ p(U
e ). Poiché x ∈ p(Ue ) era arbitrario allora p(U
e ) è un’unione di
aperti e dunque un aperto.
Dati due spazi Y e X, un’applicazione continua f : Y → X e un ricoprimento (X, e p) di X, è
spesso interessante sapere se si può rilevare la mappa f a una mappa f : Y → X, vale a dire se
e e
si può costruire un’applicazione continua fe : Y → Xe tale che p ◦ fe = f . In caso affermatvo tale
mappa si dice un ricoprimento di f .
82 5. GRUPPO FONDAMENTALE E RICOPRIMENTI

X
e
fe
p

Y f
X

Ora vengono mostrate delle condizioni che garantiscono unicità ed esistenza di un ricopri-
mento di f .
Teorema 5.35. Sia (X, e p) un ricoprimento di uno spazio X e sia Y uno spazio topologico
connesso e localmente connesso. Siano α, β : Y → X
e applicazioni continue tali che:

1. p ◦ α = p ◦ β;

2. α(y0 ) = β(y0 ) per un qualche y0 ∈ Y ;

allora α = β.

Dimostrazione. Sia Z = {y ∈ Y : α(y) = β(y)}. Per il punto 2, y0 ∈ Z e dunque Z 6= ∅. Si


vuole provare che Z = Y . Poiché Y è connesso è sufficiente provare che Z è sia chiuso sia aperto.
Z è chiuso, quindi si consideri la mappa α × β : Y → X
e ×X e definito da (α × β)(y) = (α(y), β(y)).
α × β è continua. Sia D la diagonale in X × X, cioè
e e

D = {(e
x, x e ∈ X}.
e) : x e

e è di Hausdorff, D è chiuso, dunque (α×β)−1 (D) è chiuso in Y ma (α×β)−1 (D) = Z,


Poiché X
che è aperto. Sia z ∈ Z e sia x = ρ ◦ α(z) = ρ ◦ β(z).
Sia U un aperto ammissibile contenente x, allora ρ−1 (U ) è un’unione disgiunta di aperto con
uno dei quali, W , contenente α(z) = β(z). Ora W è aperto e chiuso in ρ−1 (U ), dunque ogni
sottoinsieme connesso di ρ−1 (U ) che ha un punto in comune con W deve essere interamente
contenuto in W . Ora z ∈ (ρ ◦ α)−1 (U ) aperto di Y . Poiché Y è localmente connesso esiste V1
aperto connesso tale che z ∈ V1 ⊂ (ρ ◦ α)−1 (U ) Poiché α è continua α(V1 ) è connesso in ρ−1 (U )
e α(z) ∈ W . Ne segue che α(V1 ) ⊂ W . Analogamente, esiste z ∈ V2 connesso in Y tale che
β(V2 ) ⊂ W . Poiché ρ|W è iniettiva e poiché ρ ◦ α = ρ ◦ β ne segue che α ≡ β su V1 ∩ V2 6= ∅,
quindi V1 ∩ V2 3 z è un aperto contenuto in Z. Ne segue che Z è aperto.

Teorema 5.36. Sia (X, e ρ) un ricoprimento di uno spazio X e sia Y uno spazio compatto, con-
nesso e localmente connesso. Sia f : Y → X e e sia F : [0, 1] × Y → X un’omotopia con
F (0, y) = ρ ◦ f (y) con y ∈ Y . Allora esiste un’omotopia G : [0, 1] × Y → X
e tale che:

1. G(0, y) = f (y), ∀ y ∈ Y ;

2. ρ ◦ G = F .

Inoltre G può essere scelta in modo che sia stazionaria, cioè ogniqualvolta y ∈ Y è tale che
F (t, y) è costante per t in un qualche intervallo J ⊂ I allora G(t, y) è costante per t ∈ J.
Prima della dimostrazione del teorema vengono esposte alcune conseguenze.
Corollario 5.37. Sia (X, e ∈ X,
e p) un ricoprimento di X e sia x e allora l’applicazione p∗ : π1 (X,
e xe) →
π1 (X, p(e
x)) è iniettiva.
5.3. RICOPRIMENTI 83

α] ∈ ker p∗ ⊂ π1 (X,
Dimostrazione. Si osserva che [e e xe). Allora

[p ◦ α
e] = p∗ ([e
α]) = e = [ex ]
F
cioè p ◦ α
e ∼ ex , dove x = p(e x). Si deve provare che [eα] = [exe], cioè αe ∼ exe. In base al teorema
5.36 se F : [0, 1] × [0, 1] → X è l’omotopia da p ◦ α
e a ex , allora, poiché [0, 1] è compatto, connesso
e localmente connesso, esiste un’omotopia G : [0, 1] × [0, 1] → X e tale che p ◦ G = F e, ∀ τ ∈ [0, 1]

G(0, τ ) = α
e(τ ).

Inoltre, poiché F (t, 0) = x e F (t, 1) = x sono costanti per t ∈ [0, 1], G può essere scelta in
modo tale che
G(t, 0) = α
e(0) = x
e e G(t, 1) = α e(1) = xe
∀ t ∈ [0, 1]. Inoltre, poiché F (1, τ ) = ex (τ ) e poiché p ◦ G = F , i cammini τ 7→ G(1, τ ) e
τ 7→ exe(τ ) sono entrambi mappati da p in ex . Inoltre G(1, 0) = x e = exe(0), dunque questi
cammini coincidono in un punto e ne segue, per il teorema 5.35, che G(1, τ ) ≡ exe(τ ), ∀ τ ∈ [0, 1],
e dunque G realizza un’omotopia tra α e e exe.
Corollario 5.38. Sia (X, e p) un ricoprimento di X e sia α un cammino in X, x0 = α(0). Si scelga
f0 ∈ X tale che p(e
x e x0 ) = x0 . Allora esiste un unico cammino αe in X
e con origine x
e0 che ricopre
α, vale a dire tale che p ◦ α
e = α.
Dimostrazione. L’unicità è immediata in base al teorema 5.35. Se ne dimostra l’esistenza. Sia
Y = {y0 } e f : Y → X e definita da f (y0 ) = xf0 . Si può individuare α come una mappa
α : I × Y → X definito da
α(t, y0 ) = α(t).
Chiaramente α è continua e inoltre α(0, y0 ) = x0 = p ◦ f (y0 ) e α(t, y0 ) può considerarsi come
un’omotopia tra la mappa p ◦ f : Y → X e la mappa α(1, y0 ) = x0 : Y → X. In base al teorema
5.36 esiste un’omotopia G : [0, 1] × Y → X
e tale che

G(0, y0 ) = f (y0 ) = x
e0 = x
e e p ◦ G(t, y0 ) = α(t, y0 ) = α(t).

e(τ ) = G(τ, y0 ). Chiaramente p ◦ α


Si definisce quindi α e = α inoltre α
e(0) = x
e0 e dunque α
e è il
cammino desiderato.
Corollario 5.39. Sia (X,e p) un ricoprimento di X e siano x ∈ X e x e∈ X e tali che p(e x) = x,
−1
allora esiste una biezione naturale tra p ({x}) e le classi laterali π1 (X, x)/p∗ π1 (X, x
e e).
Dimostrazione. Si definisca un’applicazione c : π1 (X, x) → p−1 ({x}) nel seguente modo. Sia
[α] = [β] ∈ π1 (X, x). Per il corollario 5.38 α e β hanno un unico rilevamento α e e βe in Xe con
F
e. Ora α ∼ β e utilizzando il teorema 5.36 e l’unicità del rilevamento di un cammino se ne
origine x
G e
deduce che α e ∼ β. In particolare, avendo avuto modo di scegliere G stazionario, poiché F (t, 0) =
x0 = F (t, 1), ∀ t ∈ I si ha che G(t, 0) e G(t, 1) sono costanti, ∀ t ∈ I, quindi G è un’omotopia a
estremi fissi e si ha α
e(0) = G(0, 0) = G(1, 0) = β(0)
e =x eeα e(1) = G(1, 0) = G(1, 1) = β(1).
e Si
noti che αe e β non sono in generale lacci e dunque può essere α
e e(0) 6= α
e(1). Definendo

c([α]) = α
e(1)

risulta che c è ben definita. Poiché X


e è connesso per archi, x
e si può congiungere con un qualsiasi
−1
elemento di p ({x}) con un cammino ρ in X, e che a sua volta è il rilevamento di un cammino
γ = p ◦ ρ in X, che necessariamente è un laccio; [γ] ∈ π1 (X, x) e quindi c è suriettiva.
84 5. GRUPPO FONDAMENTALE E RICOPRIMENTI

Si prova ora che c è costante sulle classi laterali di p∗ π1 (X,


e xe) in π1 (X, x). Si supponga infatti
che [α] e [β] appartengono alla stessa classe laterale (destra). Allora

[β] = [γ][α] = [γα]

per un qualche [γ] ∈ p∗ π1 (X,


e xe). Dunque

c([β]) = c([γα]) = γα(1)


f

ma, per il corollario 5.38, γα


f =γ
eαe e dunque

c([β]) = γ
eαe(1) = α
e(1) = c([α]).

Dunque c definisce una mappa b : π1 (X, x)/p∗ π1 (X,


e xe) → p−1 ({x}) ponendo

b(p∗ π1 (X,
e xe)[α]) = c([α])

b è suriettiva poiché lo è c e inoltre è iniettiva. Infatti, sia c([α]) = c([β]), cioè α


e(1) = β(1)
e in
−1
modo tale che [eαβ ] ∈ π1 (X, x
e e e). Risulta allora

αβe−1 ]) = [p ◦ α
p∗ ([e eβe−1 ][β] = [αβ −1 ][β] = [α]

e con ciò [α] e [β] stanno nella medesima classe laterale.

Esempio 5.40. Si è visto il ricoprimento

p: R → S1 t 7→ e2πit .

Si prenda come punto base in S1 ⊂ R2 il punto x = (1, 0), allora π −1 ({x}) = Z ⊂ R, l’insieme
degli interi relativi. Poiché π1 (R, 0) = {e}, si ha p∗ π1 (R, 0) = {e} e dunque π1 (S1 , x) è in
corrispondenza biunivoca con Z. In modo del tutto analogo,

π1 S1 × S1 , ((1, 0), (1, 0))




è in corrispondenza biunivoca con Z × Z.

Dimostrazione del teorema 5.36. Poiché Y e [0, 1] sono compatti allora lo è [0, 1] × Y e dunque
F ([0, 1] × Y ) è compatto in X. Quindi F ([0, 1] × Y ) si può ricoprire con un numero finito di
aperti ammissibili U1 , . . . , Ur . Poiché {F −1 (Ui )}ri=1 ricopre [0, 1] × Y e poiché una base per gli
aperti di [0, 1] × Y è data dai prodotti cartesiani di aperti di [0, 1] con aperti di Y , essendo
quest’ultimo localmente connesso, si può trovare un ricoprimento finito {Vα } di Y costituito da
aperti connessi e una decomposizione finita di [0, 1] data da 0 = t0 < t1 < · · · < tk = 1 tale che
F ([ti , ti+1 ] × Vα ) ⊂ UL per un qualche L. Per costruire l’omotopia G : [0, 1] × Y → X e si cominci
con il costruire Gi : [ti−1 , ti ] × Y → X, con i = 1, . . . , k con le proprietà:
e

1. p ◦ Gi = F/[ti−1 , ti ] × Y ;

2. Gi è continua;

3. Gi = Gi+1 su ([ti−1 , ti ] × Y ) ∩ ([ti , ti+1 ] × Y ) = {(ti , y) : y ∈ Y }.


5.3. RICOPRIMENTI 85

In tal caso, in base al lemma dell’incollamento, le Gi danno origine a una G continua e tale
che, per il punto 1., p ◦ G = F . Si procede per induzione. Si assuma che le Gi siano state
definite per i ≤ j in modo tale da soddisfare i punti 1. e 2. per i = 1, . . . , j e il punto 3. per
i = 1, . . . , j − 1. Si costruisce Gj+1 . Affinché il punto 3. sia verificato, Gj+1 = Gj (tj , y), ∀ y ∈ Y .
Sia

j+1 : [tj , tj+1 ] × Vα → X
e

definita nel modo seguente. Per qualche l,

F ([tj , tj+1 ] × Vα ) ⊂ Ul

aperto ammissibile in X. Poiché Vα è connesso, Gj ({tj } × Vα ) è connesso ma

p ◦ Gj ({tj } × Vα ) = F ({tj } × Vα ) ⊂ Ul . (5.1)

Dunque Gj ({tj } × Vα ) giace in un qualche aperto W ⊂ p−1 (Ul ) sul quale p : W → Ul è un


omeomorfismo. Si definisce
−1

j+1 = p/W ◦ F/[tj , tj+1 ] × Vα

Si noti che per il punto 1. e per la (5.1), Gα j+1 = Gj su {tj } × Vα . Per costruire la mappa
continua Gj+1 su [tj , tj+1 ] × Y si incolli la mappa Gα j+1 definita su [tj , tj+1 ] × Vα che sono aperti
di [tj , tj+1 ] × Y . Per il lemma dell’incollamento (per aperti) sarà sufficiente verificare che Gα j+1
e Gβj+1 coincidano su [tj , tj+1 ] × (Vα ∩ Vβ ) qualora questo sia non vuoto. Si assuma che, per
γ = α, β:
Gj ({tj } × Vγ ) ⊂ Wγ
β
con p : Wα → Ul e p : Wβ → Um omeomorfismi. Poiché Gα j+1 = Gj+1 su {tj } × (Vα ∩ Vβ ) può
essere connesso a {tj } × (Vα ∩ Vβ ) con un arco in [tj , tj+1 ] × (Vα ∩ Vβ ) si deve avere, per γ = α, β

Gγj+1 ([tj , tj+1 ] × (Vα ∩ Vβ )) ⊂ Wα ∩ Wβ ;

ma p ◦ Gγj+1 = F/[tj , tj+1 ] × Vγ , con γ = α, β, e p|Wα = p|Wβ su Wα = Wβ , dunque Gα β


j+1 = Gj+1
su [tj , tj+1 ] × (Vα ∩ Vβ ).
Si osservi che questa procedura funziona anche per cominciare il processo di induzione, vale
a dire per costruire G1 , infatti ci è dato G1 su {t0 } × Y attraverso f :

G1 (t0 , y) = f (y).

È immediato inoltre verificare che la precedente costruzione rende G stazionaria in modo


automatico.

Teorema 5.41 (Lemma del rilevamento). Sia (X, e p) un ricoprimento di X con p(e
x) = x. Sia
f : Y → X un’applicazione continua con f (y) = x. Si assuma che Y sia connesso per archi e
localmente connesso per archi. Allora la mappa f si può rilevare a una mappa fe : Y → Xe tale
che fe(y) = x
e se e solo se
f∗ (π1 (Y, y)) ⊆ p∗ (π1 (X,
e xe)); (5.2)

inoltre, se un tale rilevamento esiste, è unico.


86 5. GRUPPO FONDAMENTALE E RICOPRIMENTI

Dimostrazione. Si supponga che fe esista. Allora f = p ◦ fe, da cui

f∗ (π1 (Y, y)) = p∗ (fe∗ (π1 (Y, y))) ⊆ p∗ (π1 (X,


e xe))

da cui la necessità di (5.2). Si provi ora che se fe esiste allora è unica. Sia infatti y1 ∈ Y e si
scelga un cammino α in Y da y a y1 . Si consideri ora il cammino f ◦ α in X con origine x. Per il
corollario 5.38 f ◦ α si può rilevare a un unico cammino γ con origine x e ma fe ◦ α è un cammino
con origine xe e tale che p ◦ (f ◦ α) = f ◦ α; dunque è anch’esso un rilevamento di f ◦ α con origine
e
e, da cui segue che γ = fe ◦ α e fe(y1 ) = γ(1).
x
La dimostrazione dell’unicità di fe ci suggerisce come si deve definire fe; vale a dire

fe(y1 ) = γ(1),

dove γ è il cammino determinato con il procedimento precedente. Si prova che in questo modo,
nell’ipotesi (5.2), fe è ben definita. Infatti sia β un secondo cammino in Y da y a y1 . Si consideri
il cammino f ◦ β e sia δ il suo rilevamento in X e con origine x
e. Per provare che fe è ben definita
si deve verificare che δ(1) = γ(1). Si consideri [αβ −1 ] ∈ π1 (Y, y). In base alla (5.2) si ha

f∗ ([αβ −1 ]) ∈ p∗ (π1 (X,


e xe))

e quindi f ◦ (αβ −1 ) = (f ◦ α)(f ◦ β −1 ) ha per rilevamento con origine in x e un laccio ϕ


e in xe ma
allora ϕδ
e è un rilevamento con origine in x e di f ◦ α. Ne segue quindi che ϕδ e = γ e δ(1) = γ(1).
Rimane dunque da provare la continuità di fe. Sia N ⊂ X e aperto, fe(y1 ) ∈ N . Sia U un
aperto ammissibile di X contenente f (y1 ). Poiché p(f (y1 )) = f (y1 ), fe(y1 ) sarà contenuto in uno
e
degli aperti, sia esso V0 , la cui unione disgiunta dà p−1 (U ).
Si può sempre supporre che V0 ⊂ N . Si consideri l’omeomorfismo p|V0 : V0 → U . Sia W un
aperto connesso per archi contenente y1 e contenuto in f −1 (U ). Allora fe(W ) ⊂ V0 . Infatti sia
z ∈ W e sia β un cammino in W da y1 a z. Si consideri f ◦β e lo si rilevi al cammino σ = p−1 |V0 ◦f ◦β
con origine in fe(y1 ). Allora γσ è definito ed è un rilevamento di (f ◦ α)(f ◦ β) = f ◦ (αβ) con
e. Dunque fe(z) = γσ(1) ∈ V0 per come è stato definito σ.
origine in x
Definizione 5.42. Sia X uno spazio connesso per archi, localmente connesso per archi. Si dice
che X è semplicemente connesso se il suo gruppo fondamentale si riduce all’identità, o,
equivalentemente, se ogni laccio in X è omotopo a un laccio costante. Un ricoprimento (X,
e p) di
uno spazio X si dice un ricoprimento universale se X è semplicemente connesso.
e
Definizione 5.43. Uno spazio X si dice localmente semplicemente connesso se ∀ x ∈ X, ∃ V 3 x
aperto tale che ogni cammino α in V con α(0) = α(1) = x è omotopo in X al cammino costante
ex .
Si noti che l’omotopia tra α e ex può debordare da V .
Teorema 5.44. Sia X uno spazio connesso per archi, localmente connesso per archi e localmente
semplicemente connesso. Sia x ∈ X e sia H un sottogruppo di π1 (X, x). Allora esiste un
ricoprimento (X,
e p) tale che p∗ (π1 (X,
e x e∈X
e)) = H, dove x e è tale che p(e
x) = x. In particolare se
H = {e}, allora X è semplicemente connesso in modo che ciascun tale X abbia un ricoprimento
e
universale.
Dimostrazione. Dal Teorema 5.36 e dai suoi corollari si sa che ciascun cammino α e in X
e è l’unico
rilevamento che parte da α e(0) del cammino p ◦ α
e in X; inoltre, per il corollario ??, α
e è un laccio
se e solo se [p ◦ α
e] ∈ p∗ (π1 (X,
e xe)). Dunque il punto α e è determinato da [p ◦ α
e(1) in X e]. Ha quindi
senso cercare di costruire X a partire dai cammini in X.
e
5.3. RICOPRIMENTI 87

Sia allora Ω l’insieme di tutti i cammini in X con origine in x. Si introduca in Ω una relazione
di equivalenza, in dipendenza dal sottogruppo H assegnato, nel modo seguente:
α ≈ β ⇐⇒ α(1) = β(1) e [αβ −1 ] ∈ H.
Effettivamente ≈ è una relazione di equivalenza, vale a dire:
1. α ≈ α, infatti α(1) = α(1) e [αα−1 ] = [ex ] ∈ H;
2. se α ≈ β allora α(1) = β(1) e [αβ −1 ] = [αβ −1 ]−1 ∈ H, quindi β ≈ α;
3. se α ≈ β e β ≈ γ, allora α(1) = β(1) = γ(1) e [αγ −1 ] = [αβ −1 βγ −1 ] = [αβ −1 ][βγ −1 ] ∈ H,
quindi α ≈ γ.
Sia Xe l’insieme di tutte le precedenti classi di equivalenza, e per α ∈ Ω sia {α} la corrispon-
e → X ponendo
dente classe. Si definisca p : X
p({α}) = α(1).
Si osservi che p è suriettiva poiché, per ipotesi, X è connesso per archi. Si definisce ora una
e Per {α} ∈ X,
topologia in X. e sia U un insieme aperto in X contenente α(1). Si definisce

({α}, U ) = {{αβ} : β è un cammino in U con origine in α(1)} .


La collezione di tutti i precedenti ({α}, U ) unitamente all’insieme vuoto forma una base per
la topologia di X.
e Infatti
e = ({ex }, X);
1. X
2. se ({α1 }, U1 ) e ({α2 }, U2 ) sono tali che {γ} ∈ ({α1 }, U1 )∩({α2 }, U2 ), allora {γ} = {α1 δ1 } =
{α2 δ2 }, con δ1 in U1 e δ2 in U2 . Ne segue che γ(1) ∈ U1 ∩ U2 e se β è un cammino in
U1 ∩ U2 con origine in γ(1) allora {α1 δ1 β} ∈ ({α1 }, U1 ) e {α2 δ2 β} ∈ ({α2 }, U2 ), cioè
({γ}, U1 ∩ U2 ) ⊂ ({α1 }, U1 ) ∩ ({α2 }, U2 )

La topologia generata dalla precedente base è di Hausdorff. Infatti, siano {α1 } 6= {α2 } ∈ X. e
Poiché α1 6≈ α2 si hanno due possibilità, vale a dire o α1 (1) 6= α2 (1), nel qual caso, poiché X è di
Hausdorff, si possono considerare due aperti disgiunti U1 e U2 contenenti rispettivamente α1 (1) e
α2 (1), ed è allora chiaro che ({α1 }, U1 ) ∩ ({α2 }, U2 ) = ∅ oppure α1 (1) = α2 (1) ma [α1 α2−1 ] 6∈ H.
In questo caso, poiché X è localmente semplicemente connesso, esiste un aperto U contenente
z = α1 (1) = α2 (1) tale che ogni laccio in U con origine in z è omotopo in X al laccio costante
ez . Risulta allora
({α1 }, U ) ∩ ({α2 }, U ) = ∅.
Infatti si supponga, per assurdo, che esistano due cammini β e γ in U che cominciano in z e
tali che {α1 β} = {α2 γ}. Allora α1 β ≈ α2 γ, cioè α1 β(1) = α2 γ(1) e [α1 βγ −1 α2−1 ] ∈ H ma βγ −1
è un laccio con origine z contenuto in U ed è allora omotopo in X a ez . Ne segue quindi che
[α1 βγ −1 α2−1 ] = [α1 ez α2−1 ] = [α1 α2−1 ]
e con ciò [α1 α2−1 ] ∈ H, contraddizione.
e → X è continua rispetto alla topologia introdotta in X.
Si prova ora che la suriezione p : X e
Infatti sia U ⊂ X aperto, allora per ciascun {α} contenuto in p−1 (U ) si ha che ({α}, U ) è aperto
in Xe e ({α}, U ) ⊂ p−1 (U ).
Xe è connesso per archi. Siano {α}, {β} ∈ X.e Si definisca f : [0, 1] → X e con f (0) = {α} e
f (1) = {β} nel modo seguente:
88 5. GRUPPO FONDAMENTALE E RICOPRIMENTI

α α(1)

β β(1)

(
{αt } 0 ≤ t ≤ 21
f (t) =
{βt } 12 ≤ t ≤ 1
dove αt (τ ) = α ((1 − 2t)τ ), βt (τ ) = β ((2t − 1)τ ). Si osservi che f soddisfa le precedenti due
richieste. Inoltre f è continua; infatti, sia ({γ}, U ) aperto in X.
e Allora

f −1 (({γ}, U )) = {t ∈ [0, 1] : f (t) ∈ ({γ}, U )} = A ∪ B

con        
1 1
A= t ∈ 0, : {αt } ∈ ({γ}, U ) B= t∈ , 1 : {βt } ∈ ({γ}, U ) .
2 2
A è aperto; infatti, sia t ∈ A, allora αt (1) ∈ U . Poiché t 7→ αt (1) è continua, esiste un
intervallo aperto J 3 t tale che αt (1) ∈ U per t ∈ J. Inoltre, per t ∈ J fisso, αt = αt η, dove η è
il cammino lungo α da αt (1) a αt (1) contenuto in U . In più
poiché t ∈ A, {αt } = {γξ} per un qualche cammino ξ in U da γ(1) a αt (1) e [αt ξ −1 γ −1 ] ∈ H
ma
[αt (γξη)−1 ] = [αt η −1 ξ −1 γ −1 ] = [αt ξ −1 γ −1 ] ∈ H
e quindi, poiché αt (1) = γξη(1) si ha che

αt ≈ γ(ξη).

Dunque {αt } = {γ(ξη)} ∈ ({γ}, U ) , ∀ t ∈ J.


Quindi J è un aperto contenente t e contenuto in A. Ne segue che A è aperto. In modo
analogo si prova che B è aperto e dunque f −1 (({γ}, U )) è aperto e f è continua. Questo prova
che Xe è connesso per archi. La stessa dimostrazione prova che X e è localmente connesso per
archi, perché lo è X.
Bisogna ora provare che (X, e p) è un ricoprimento di X. Sia dunque y ∈ X. Poiché X è
localmente semplicemente connesso e localmente connesso per archi, esiste un aperto U connesso
per archi di X contenente y con la proprietà che ciascun laccio in U con punto base y è omotopo
in X al laccio costante ey .
Si supponga che {α1 } = 6 {α2 } siano tali che p({α1 }) = p({α2 }), cioè α1 (1) = α2 (1) = y.
Allora come si è già visto nel provare che X e è di Hausdorff, si ha ({α1 }, U ) ∩ ({α2 }, U ) = ∅.
Inoltre, poiché U è connesso per archi,

P|({α},U ) : ({α}, U ) → U

è suriettiva ∀ {α} con p({α}) = y. Si mostra ora che P|({α},U ) è iniettiva. Si supponga infatti
che p({αβ}) = p({αγ}) per un qualche cammino β, γ in U con origine in y, allora β(1) = γ(1) e
così βγ −1 è un laccio in U con origine y. Con ciò βγ −1 è omotopo in X a ey . Risulta così

[(αβ)(αγ)−1 = [α(βγ −1 )α−1 ] = [αey α−1 ] = [ex ] ∈ H


5.3. RICOPRIMENTI 89

per cui {αβ} = {αγ}. Ora p−1 (U ) = α ({α}, U ) dove l’unione è fatta su tutti quei cammini α
F
tali che p({α}) = α(1) = y. Infatti se γ è un cammino con p({γ}) = γ(1) ∈ U , sia β un cammino
in U da γ(1) a y. Allora p({γβ}) = y e {γ} ∈ ({γβ}, U ) Per terminare la dimostrazione che
(X,
e p) è un ricoprimento, è sufficiente mostrare che p è una mappa aperta. Sia quindi Ve aperto
di Xe . Poiché Ve è l’unione di aperti del tipo U e = ({α}, U ) è sufficiente provare che p(Ue ) sia
aperto per un tale U . Sia y ∈ p(U ), cioè si supponga che y = p({β}) = β(1) per β ∈ U . Sia
e e e
U1 l’insieme di tutti i punti di U che si possono congiungere a y con un cammino in U . Poiché
X è localmente connesso per archi, U1 è aperto. Chiaramente y ∈ U1 , quindi si prova ora che
U1 ⊂ p(U e ) risulti aperto. Infatti U1 = p (({β}, U1 )). Inoltre, {β} = {αγ} dove
e ) in modo che p(U
γ è un cammino contenuto in U . Quindi ciascun elemento

{η} ∈ ({β}, U1 )

è della forma
{η} = { βδ} = {αγδ} ∈ ({α}, U ) = U
e,

dove δ è un cammino in U1 da β(1) a η(1). Con ciò ({β}, U1 ) ⊂ U


e.
Per completare la dimostrazione del teorema, si deve provare che p∗ (π1 (X,
e xe)) = H dove
e = {ex }. A tale scopo sia α un generico cammino in X con origini in x. Si definisca in X
x e un
cammino α e con origine in x
e ponendo
αe(t) = {αt }
dove
αt (τ ) = α(tτ ).
Il cammino α
e è continuo. Per provare questo fatto si ripeta la dimostrazione sulla continuità
di f quando si è provato che X
e è connesso per archi. Si ha che α e è un rilevamento di α. Infatti

α(t)) = p({αt }) = αt (1) = α(t).


p(e

Si assuma ora che α sia un laccio, vale a dire [α] ∈ π1 (X, x). Allora [α] ∈ p∗ (π1 (X,
e xe)) ⇐⇒ α
e
è un laccio in X ⇐⇒ α
e e(1) = {ex } ⇐⇒ {α} = {ex } ⇐⇒ α ≈ ex ⇐⇒ [α] ∈ H. Dunque
px (π1 (X,
e xe)) = H, come desiderato.
Si ricorda che due sottogruppi H e K di un gruppo si dicono coniugati se esiste un automor-
fismo interno di G che porta l’uno nell’altro, vale a dire che ∃ g ∈ G : K = gHg −1 = {ghg −1 :
h ∈ H}.
Teorema 5.45. Sia (X, e p) un ricoprimento di uno spazio X, x ∈ X e x e2 ∈ p−1 ({x}), allora
e1 , x
p∗ π1 (X,
e xe1 ) e p∗ π1 (X,
e xe2 ) sono coniugati in π1 (X, x).

Dimostrazione. Sia γ
e un cammino X
e da x
e1 e x
e2 , allora per il teorema 5.22 γ
e induce l’isomorfismo

γ
e# : π1 (X,
e xe2 ) → π1 (X,
e xe1 )

definito da
α] 7→ [e
[e γ −1 ].
γ αe
Proiettando con p si ha

p∗ π1 (X,
e xe1 ) = {[p ◦ γ e−1 ] : h ∈ p∗ π1 (X,
e]h[p ◦ γ e xe2 )}

e [p ◦ γ
e] ∈ π1 (X, x).
90 5. GRUPPO FONDAMENTALE E RICOPRIMENTI

Teorema 5.46. Sia X localmente semplicemente connesso e sia (X, e p) un ricoprimento di X. Si


supponga che (X, pe) sia un ricoprimento di X,
ee e p ◦ pe) è un ricoprimento di X.
e allora (X,
e

Dimostrazione. Per esercizio.

Teorema 5.47. Siano (X e1 , p1 ), (Xe2 , p2 ) ricoprimenti di X. Si assuma che x ei ∈ X


ei , con i = 1, 2,
p1 (e
x1 ) = p2 (e
x2 ) e (p1 )∗ π1 (X1 , x
e e1 ) ⊂ (p2 )∗ π1 (X2 , x
e e2 ), allora esiste un’unica mappa pe : X e1 → X e2
con pe(ex1 ) = x
e2 tale che (X e1 , pe) è un ricoprimento di X e2 . Inoltre p2 ◦ pe = p1 .

Dimostrazione. Si consideri il diagramma

X
e2
p
e
p2

X
e1
p1 X

con p2 (e
x2 ) = y = p1 (e
x1 ) e si applichi il lemma del rilevamento per trovare pe come in figura
tale che pe(e e2 e p2 ◦ pe = p1 . Ciò è possibile poiché (p1 )∗ π1 (X
x1 ) = x e1 ) ⊂ (p2 )∗ π(X
e1 , x e2 , x
e2 ).

Definizione 5.48. Due ricoprimenti (X


e1 , p1 ) e (X
e2 , p2 ) di uno spazio X si dicono isomorfi se
e1 → X
esiste un omeomorfismo h : X e2 tale che p2 ◦ h = p1

h
X
e1 X
e2

p1 p2

Teorema 5.49. Sia X localmente semplicemente connesso e siano (X e1 , p1 ), (X


e2 , p2 ) ricoprimenti
ei ∈ X
di X. Si assuma che x ei , con i = 1, 2, p1 (e
x1 ) = p2 (e
x2 ) e con

(p1 )∗ π1 (X
e1 , x
e1 ) = (p2 )∗ π1 (X
e2 , x
e2 );

allora (X
e1 , p1 ) e (X
e2 , p2 ) sono ricoprimenti di X isomorfi.

Dimostrazione. Per il teorema 5.47 esistono due mappe continue pe : X e1 → X e2 → X


e2 e qe : X e1
per le quali (X1 , pe) è un ricoprimento di X2 e (X2 , qe) è un ricoprimento di X1 . Inoltre p1 = p2 ◦ pe
e e e e
e p2 = p1 ◦ qe, pe(e
x1 ) = x
e2 e qe(e
x2 ) = x e1 , qe ◦ pe) è un ricoprimento di X
e1 . Per il teorema 5.46, (X e1 .
1
Dalla parte riguardante nel teorema 5.47 ne segue che

qe ◦ pe = idXe1 .

In modo analogo pe◦ qe = idXe2 . Quindi qe = pe−1 e pe : X e1 → X


e2 è un omeomorfismo per il quale
p2 ◦ pe = p1 ; vale a dire (X
e1 , p1 ) e (X
e2 , p2 ) sono isomorfi.

Definizione 5.50. Sia (X,e p) un ricoprimento di X. Una trasformazione di ricoprimento


(deck trasformation) di (X, e →X
e p) è un omeomorfismo h : X e tale che p ◦ h = p.
1 Si noti che qe ◦ pe(e
x1 ) = x
e1 .
5.3. RICOPRIMENTI 91

Si verifica immediatamente che l’insieme delle trasformazioni di ricoprimento di (X,


e p), che
d’ora innanzi sarà denotato con G(X, p), è un gruppo rispetto alla composizione. Tale gruppo
e
verrà chiamato il gruppo di trasformazioni di ricoprimento di (X,e p).
−1
Si noti che se U è un aperto ammissibile di X e W ∈ p (U ) allora h|W : W → h(W ) ⊂
p−1 (U ) cioè h agisce come una permutazione sugli elementi di p−1 (U ).
Definizione 5.51. Un ricoprimento (X, e p) di X si dice un ricoprimento regolare di X se
p∗ π1 (X,
e xe) è un sottogruppo normale di π1 (X, p(e
x)) per un qualche xe ∈ X.
e
Nota. Poiché un sottogruppo normale coincide con i suoi coniugati la definizione precedente è
indipendente dal punto base x e.
Teorema 5.52. Sia (X, p) un ricoprimento regolare di uno spazio topologico X localmente sem-
e
plicemente connesso, allora il gruppo delle trasformazioni di ricoprimento G(X,
e p) è isomorfo al
gruppo quoziente π1 (X, p(e
x))/p∗ π1 (X,
e xe).

Dimostrazione. Sia H = p∗ π1 (X, e x


e). Per il teorema ??, si può rimpiazzare (X, e p) con un
qualunque spazio di ricoprimento il cui gruppo fondamentale si proietta su H. Si può dunque
supporre che (X, e = {ex }. Si costruisca
e p) sia il ricoprimento costruito nel teorema ?? e che x
ora un omomorfismo suriettivo
ϕ : π1 (X, x) → ξ(X,
e p)

il cui nucleo è H, dimostrando in questo modo la conclusione del teorema.


Per [α] ∈ π1 (X, x) sia ϕ([α]) la trasformazione del ricoprimento definito per {β} ∈ X
e da

ϕ([α])({β}) = {αβ}.

L’applicazione ϕ è ben definita. Infatti, se [α] = [α1 ] cioè i lacci α e α1 con punto base x
sono omotopi e {β} = {β1 }, cioè β(1) = β1 (1) e [ββ1−1 ] ∈ H si ha

[αβ(α1 β1 )−1 ] = [αββ1−1 α1−1 ] = [α][ββ1−1 ][α]−1 ∈ H

poiché H è normale, quindi αβ(1) = α1 β1 (1) e [αβ(α1 β1 )−1 ] ∈ H, cioè

{αβ} = {α1 β1 }.

L’applicazione ϕ([α]) è biettiva, dato che ϕ([α−1 ]) è l’applicazione inversa di ϕ([α]). Per
quanto riguarda la continuità si ha che per ogni U
e = ({β}, U ) aperto in (X,
e p) si ha

ϕ([α])−1 (U
e ) = ϕ([α−1 ])(U
e ) = ({α−1 β}, U )

cioè dimostra che non solo ϕ([α]) è continua ma è un omeomorfismo essendo la sua inversa
ϕ([α−1 ]), anch’essa continua. Si provi ora che ϕ([α]) è una trasformazione di ricoprimento.
Infatti
p(ϕ([α]))({β}) = p({αβ}) = αβ(1) = β(1) = p({β});

ϕ è un omeomorfismo. Infatti, ∀ {β} ∈ X,


e ∀ [α1 ], [α2 ] ∈ π1 (X, x):

ϕ([α1 ][α2 ])({β}) = ϕ([α1 α2 ])({β})


= {α1 α2 β}
= ϕ([α1 ]){α2 β}
= ϕ([α1 ])ϕ([α2 ])({β}).
92 5. GRUPPO FONDAMENTALE E RICOPRIMENTI

Si determini il nucleo di ϕ. ∀ {β} ∈ X


e

ϕ([α])({β}) = {β} ⇐⇒ {αβ} = {β}

cioè αβ(1) = β(1), che è vero, e [αββ −1 ] = [α] ∈ H, quindi ker ϕ = H. Non resta che dimostrare
la suriettività di di ϕ. Sia allora h ∈ ξ(X,
e p) e sia {α} = h({ex }), allora α(1) = p({α}) = x cosí
che α sia un laccio in x. Con ciò, [α] ∈ π1 (X, x). Risulta

ϕ([α]) = h.

e →X
Infatti, ϕ([α]), h : X e e inoltre

p = (ϕ([α])) = p ◦ h = p

ϕ([α])({ex }) = {αex } = {α} = h({ex } dunque, per il teorema 5.35, ϕ([α]) = h.

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