III
IV
Ringraziamenti
Infine, un grande grazie a tutte le persone che in questi anni sono state per me
fondamentali e che mi hanno sostenuto in questo percorso: la mia famiglia, Laura,
don Fabio e don Cesare, i miei più frequenti compagni di studio Mimmo, Marco,
Andrea, Alessandro, Luca, Marto, Maria, Totò e Stefano, i miei amici del Poli, i
CP e gli amici esterni all’università (in particolare i ragazzi di Cascella).
V
VI
Indice dei contenuti
1 INTRODUZIONE ............................................................................................. 1
Evoluzione ............................................................................................. 16
VII
Indice dei contenuti
Stralli .................................................................................................. 35
Antenne .............................................................................................. 36
Ettringite ............................................................................................. 52
Thaumasite ......................................................................................... 53
Dilavamento ....................................................................................... 61
Acciaio e fatica................................................................................... 70
3.2.3.2 Usura.......................................................................................... 74
VIII
Indice dei contenuti
Esempi................................................................................................ 78
Sassi ................................................................................................... 80
Ghiaccio ............................................................................................. 81
Camion............................................................................................... 82
IX
Indice dei contenuti
X
Indice dei contenuti
5.5 Deduzioni sull’efficacia della prova dinamica nel C.A.P. .................. 159
Bibliografia.......................................................................................................... 167
XI
XII
Indice delle figure
fig. 2.5 ponte con travi a T gettate in opera formanti impalcato collaborante
(multi-trave) .......................................................................................................... 10
fig. 2.10 schema statico di un ponte a travata isostatico con travi semplicemente
appoggiate. ........................................................................................................... 13
XIII
Indice delle figure
fig. 2.19 Sir John Fowler, Benjamin Baker e Kaichj Watanabe dimostrano il
funzionamento del ponte isostatico a sbalzo ....................................................... 18
fig. 2.20 Forth Bridge, ponte isostatico a sbalzo, reticolare ad altezza variabile 19
fig. 2.22 dettaglio di una cerniera realizzata per ponte metallico ....................... 20
fig. 2.23 schema statico di un ponte Gerber e relative selle Gerber ................... 21
fig. 2.25 distribuzione dei momenti flettenti in una trave Gerber a confronto con
altri schemi ............................................................................................................ 22
fig. 2.27 ponte Plato-Zambrano in C.A.P., Colombia, con fondazioni con pali in
calcestruzzo ........................................................................................................... 25
fig. 2.28 ponte Europa realizzato con travi in acciaio. Innsbruck (Austria) ........ 25
fig. 2.29 ponte a cassone in c.a., sezione della trave cava .................................. 27
fig. 2.30 la trave cassone più diffusa, il suo schema statico e il suo comportamento
scatolare................................................................................................................. 28
fig. 2.37 sezione a cassone mista acciaio-cls con trave in acciaio aperta ........... 32
fig. 2.38 sezione a cassone mista acciaio-cls con trave in acciaio chiusa e sostegno
degli sbalzi laterali................................................................................................. 32
XIV
Indice delle figure
fig. 2.43 ponte strallato a travata irrigidente: Ponte General Rafael Urdaneta,
Venezuela.............................................................................................................. 35
fig. 3.4 riassunto del comportamento del calcestruzzo esposto a incendio ....... 46
fig. 3.6 il ponte Koror-Babelthuap sul canale Toagle prima del collasso ........... 49
fig. 3.7 il collasso del ponte Koror-Babelthuap del 26 settembre 1996 ............. 50
fig. 3.11 fessurazione diffusa nel cls a causa delle reazioni alcali-aggregati ..... 54
fig. 3.12 fenomeno del pop-out: espulsione di una porzione di cls .................... 55
XV
Indice delle figure
fig. 3.13 struttura con forte fessurazione ramificata (map cracking) .................. 55
fig. 3.22 il crollo della trave del ponte Lake View Drive Bridge in Pennsylvania
............................................................................................................................... 66
fig. 3.23 il ponte pedonale crollato nel North Carolina nel 2000 ....................... 67
fig. 3.28 il Bay Bridge di San Francisco originale, prima del rifacimento. Ponte
reticolare in acciaio con sezione ad altezza variabile .......................................... 72
fig. 3.29 il pezzo con funzione di trasporto dei carichi di tensione. Su uno dei due
fori è stata trovata la cricca ................................................................................... 73
fig. 3.31 il rinforzo applicato alla barra con i fori circolari .................................. 74
XVI
Indice delle figure
fig. 3.36 il Schoharie Creek Bridge collassato a causa del cedimento del pilastro
3............................................................................................................................. 79
fig. 3.37 accumulo di ghiaccio alla base della pila di un ponte .......................... 81
fig. 3.42 l’impatto del camion contro il pilastro lungo l’autostrada Kashirsky .. 84
fig. 3.43 il ponte di Annone Brianza collassato, con il mezzo pesante risultato
decisivo per il crollo.............................................................................................. 89
fig. 3.44 collasso locale dovuto ad eccessivo scorrimento della piastra di appoggio
superiore: la disposizione dei cavi in testata e lo spacco dello spigolo, l’instabilità
locale delle barre di armatura e la rotazione della piastra superiore dell’appoggio.
............................................................................................................................... 90
fig. 3.47 il crollo di una campata del Mianus River Bridge ................................. 92
fig. 3.50 corrosione delle armature a causa delle colature dell’acqua attraverso i
giunti, per mancanza di un buon sistema di convogliamento delle acque ......... 95
XVII
Indice delle figure
fig. 3.53 la campata crollata. Il piano stradale della parte di ponte crollata non
affondò sott’acqua poiché a causa della stagione secca la profondità dell’acqua
non superava i 5 metri ........................................................................................ 100
fig. 3.58 segregazione che causa esposizione dei ferri ...................................... 105
fig. 3.61 il ponte sul fiume Rio Sinigo, nei pressi di Merano, fotografato nel 2004
poco prima dei lavori di ristrutturazione ............................................................ 107
fig. 3.63 il crollo del ponte sul fiume Schelde nel 1992 .................................... 109
fig. 4.1 strumentazione in utilizzo durante una prova dinamica ....................... 121
fig. 4.3 esempio di risultato delle prove: modo di vibrare della struttura ......... 124
fig. 5.2 le prime quattro frequenze proprie della trave semplicemente appoggiata
............................................................................................................................. 130
XVIII
Indice delle figure
fig. 5.11 le caratteristiche geometriche delle travi AASHTO utilizzate negli Stati
Uniti, secondo il Precast/Prestressed Concrete Institute ................................... 148
fig. 5.12 trave AASHTO type III utilizzata nella pubblicazione citata, con le misure
in millimetri ......................................................................................................... 149
fig. 5.16 le due condizioni di carico riguardanti una trave tipo del ponte in
questione ............................................................................................................. 152
fig. 5.18 la configurazione della deformata nei casi 1,2,3 e 4. Si nota come la
sezione proceda e arrivi a parzializzazione ........................................................ 156
fig. 5.19 configurazione deformata della sezione per il caso 3. Nella vista di profilo
si nota come la parzializzazione sia ad un passo ............................................... 157
fig. 5.21 le riduzioni dell’area dei cavi, a sinistra, e del carico critico, a destra, col
progredire della corrosione dei cavi di precompressione .................................. 158
fig. 5.22 l’andamento della J: a fessurazione avvenuta, il suo valore precipita 158
XIX
XX
Sommario
Negli ultimi decenni si sono diffuse nel campo civile e infrastrutturale le prove
dinamiche come metodo di collaudo e controllo dell’integrità strutturale delle
opere. Tale metodo per sua natura non permette di sapere con certezza se la
struttura è sana o meno: è scopo di questo lavoro studiare l’efficacia delle prove
dinamiche per l’individuazione dello stato di salute dei ponti, in particolare
realizzati in Calcestruzzo Armato Precompresso (C.A.P.). Inizialmente vengono
illustrati i tipi di ponti maggiormente diffusi nel nostro Paese, i materiali con cui
vengono realizzati, i loro schemi statici e le loro principali caratteristiche.
Successivamente viene condotto un approfondito studio dei danni e degradi cui
questi ponti possono essere sottoposti, identificandone le cause di collasso e
classificando tutte queste problematiche in tabelle riassuntive. Dopodiché
vengono introdotte le prove dinamiche ed il loro funzionamento e, identificando
i principali parametri in gioco, si simulano tre casi di danno riguardanti tre
differenti strutture, concentrandosi in particolare sul caso reale di un ponte a
travata realizzato con travi in Calcestruzzo Armato Precompresso che presenta
una progressiva corrosione dei cavi di precompressione. I risultati ottenuti
sottolineano il limite delle prove dinamiche ed invitano ad usare coscientemente
questo strumento ponendo l’attenzione sulla possibile gravità dell’esito che esse
forniscono.
XXI
XXII
Abstract
In the last few decades, dynamic tests have been widespread in the civil and
infrastructural field as a method of testing and controlling the structural integrity
of the works. This method does not allow to know for sure whether the structure
is healthy or not. The purpose of this work is to study the efficacy of the dynamic
tests for the identification of bridges’ health state, in particular the Prestressed
Concrete ones. The most common bridges in Italy, materials which they are made
of, their static diagrams and their main characteristics, are illustrate at the
beginning. Subsequently, an in-depth study of the damage and degrades bridges
can undergo is conducted, identifying the causes of collapse and classing all these
problems in summary tables. Then dynamic tests and their operation are
introduced and, identifying the main parameters in play, three cases of damage
concerning three different structures are simulated. These tests are made focusing
on the real case of a girth bridge realized with Prestressed Reinforced Concrete
beams, which has a progressive corrosion of the prestressing cables. The results
obtained underline the limit of the dynamic tests and invite to use this instrument
consciously, paying attention to the possible severity of the outcome they provide.
XXIII
XXIV
1 INTRODUZIONE
L’obiettivo di questo lavoro è quello di individuare e dimostrare il limite delle
prove dinamiche, studiando in particolare la valutazione dello stato di degrado di
un ponte in Calcestruzzo Armato Precompresso tramite queste prove. I risultati
ottenuti riguardanti le strutture in precompresso sono stati frutto di un percorso
che è partito con un orizzonte più ampio e pian piano ha delineato proprio questa
tecnologia come la più interessante da studiare per l’obiettivo che ci si è posti
inizialmente.
Volendo definire l’efficacia delle prove dinamiche per l’individuazione dello stato
di salute dei ponti, è stato necessario dare ampio spazio ad uno studio
approfondito delle cause di danno e degrado che colpiscono le tipologie di ponti
affrontate (Capitolo 0). Questo studio, reso possibile anche grazie al database che
raccoglie i collassi di ponti avvenuti dal 1966 al 2017, di cui si sta occupando il
professor Anton Syrkov nell’ambito della Commissione 1 dello IABSE
(International Association for Bridge and Structural Engineering), ha portato ad
avere un quadro molto interessante sulle cause principali di collasso e sulla loro
pericolosità, e ha permesso sia di portare tanti esempi concreti a sostegno delle
problematiche esposte in maniera teorica, sia di produrre delle preziose tabella
riassuntive di tutti i processi di degrado e danno a cui possono essere soggetti i
ponti (paragrafo 3.4).
1
INTRODUZIONE
Il metodo delle prove dinamiche si propone come metodo non invasivo e che per
essere applicato necessita solamente delle eccitazioni cui la struttura è già
sottoposta per sua natura, oltre che ovviamente della strumentazione tecnica
necessaria per rilevare i dati. Per questo, dopo averne dato breve descrizione
riguardo il loro funzionamento nel Capitolo 4, ci si è chiesti se queste siano delle
prove i cui risultati possano avere l’ultima parola sullo stato di salute di un ponte.
Si è quindi entrati nel dettaglio di quale parametro rilevano le prove dinamiche
(inizio del Capitolo 5), evidenziando che esse registrano solamente una variazione
di rigidezza della sezione, caratteristica della struttura che per alcuni tipi di danno
non subisce variazioni.
2
INTRODUZIONE
I risultati prodotti dalle analisi effettuate su questo ponte tramite il software Limit
State Analysis (LISA) sono di particolare rilevanza e mettono inequivocabilmente
in mostra come un errato approccio al problema possa provocare il collasso
improvviso della struttura. I risultati più interessanti sono riassunti dalla tabella e
dai grafici riportati a conclusione del Capitolo 5. Essi mostrano che mentre la
capacità resistente del ponte in precompresso diminuisce proporzionalmente con
l’area dei cavi di precompressione, la rigidezza della sezione rimane praticamente
costante (fino alla parzializzazione della stessa), “nascondendo” di fatto il danno
all’occhio delle prove dinamiche.
3
4
2 TIPOLOGIE DI PONTI
2.1 Premessa
L’ambito dei ponti, in cui questo lavoro di tesi si svolge, è molto ampio.
I ponti che qui vengono affrontati sono fatti in calcestruzzo armato (c.a.) e in
acciaio: anche alcuni materiali non verranno approfonditi, o perché non utilizzati
per gli schemi statici presi in considerazione, o perché si tratta di realizzazioni
molto rare e/o anacronistiche. Non vengono qui studiati dunque ponti in pietra,
in muratura e ponti in legno.
Per i ponti affrontati, prima di procedere alla valutazione dello stato di degrado si
vuole fare un breve approfondimento della loro costituzione, delle tipologie nello
specifico [1], e del loro comportamento.
I materiali che possono essere impiegati nella costruzione dei ponti che
consideriamo sono:
5
TIPOLOGIE DI PONTI
Nei nostri casi possiamo trovare ponti realizzati interamente in c.a., interamente
in acciaio, con sezioni miste acciaio/c.a. e ponti in calcestruzzo armato
precompresso (C.A.P.).
Quest’ultima tecnica in Italia vede i suoi primi utilizzi nell’ambito dei ponti negli
anni ’50, sviluppandosi poi molto nei decenni successivi e caratterizzando molte
delle realizzazioni sul nostro territorio: per questo motivo vale la pena accennarne
il funzionamento generico che verrà poi ripreso nello specifico più avanti.
6
TIPOLOGIE DI PONTI
7
TIPOLOGIE DI PONTI
8
TIPOLOGIE DI PONTI
impalcati legati alle travi a doppia T (le più classiche, in fig. 2.1)
presentano una lastra tralicciata tra trave e trave, mentre negli impalcati
soprastanti travi a V (fig. 2.3) si posiziona la lastra tralicciata all’interno
della trave, unendo le diverse travi a V tramite dei sistemi a cerniera o
incastro. La realizzazione dell’impalcato collaborante è rappresentato in
fig. 2.2.
fig. 2.3 realizzazione di un impalcato collaborante tramite lastra tralicciata, nel caso di travi a doppia T (a sinistra) e
di travi a V (a destra)
9
TIPOLOGIE DI PONTI
In altri casi, specie quando le luci non sono piccolo, le travi a doppia T
possono essere in acciaio (fig. 2.4), utilizzate per la realizzazione di
impalcati interamente in acciaio o misti acciaio-cls, in cui una soletta
prefabbricata viene posta appunto a completamento dell’impalcato sopra
le travi in acciaio.
fig. 2.5 ponte con travi a T gettate in opera formanti impalcato collaborante (multi-trave)
10
TIPOLOGIE DI PONTI
Per questo col tempo si sono sviluppate due alternative spesso utilizzate che
possono anche essere adottate contemporaneamente per sfruttare al meglio il
materiale riducendo spesa e peso proprio, in particolare con l’aumentare della
luce. Si tratta delle travi ad altezza variabile e delle travature reticolari.
11
TIPOLOGIE DI PONTI
12
TIPOLOGIE DI PONTI
essere sia sotto che sopra l’impalcato: nel secondo caso l’impalcato viene
“appeso” alla trave (fig. 2.8).
fig. 2.10 schema statico di un ponte a travata isostatico con travi semplicemente appoggiate.
13
TIPOLOGIE DI PONTI
I ponti a travata isostatici vengono impiegati per luci piccole, dai 5 ai 40 metri, in
particolare nel caso di forte prefabbricazione degli elementi strutturali o nel caso
si temano cedimenti differenziali in fondazione dovute per esempio all’erosione
del letto del fiume durante le piene, in quanto si concede a ogni tratta di ponte
una risposta “personalizzata” al cedimento: si adatta alla deformazione (fig.
2.13). La soletta può garantire continuità sulle diverse campate per azioni
orizzontali (sisma).
Il vantaggio del realizzare ponti con questo schema statico consiste in un calcolo
molto semplice, essendo assenti auto tensioni per cedimenti, effetti termici, ritiri,
14
TIPOLOGIE DI PONTI
15
TIPOLOGIE DI PONTI
fig. 2.16 crollo sul Po, vista dall’impalcato crollato fig. 2.15 crollo sul Po, vista dall’alto
La prima realizzazione che segue questa tipologia di schema statico risale al 1866,
quando l’ingegner G. H. Gerber pensa e realizza l’innovativo Haßfurt Brücke sul
fiume Meno (fig. 2.17), un ponte a tre campate di cui quella centrale più lunga
delle laterali, con due giunti (cerniera e carrello) nella campata centrale,
supportata dalle due travi laterali a sbalzo.
16
TIPOLOGIE DI PONTI
fig. 2.18 configurazioni per la realizzazione di ponti articolati: due cerniere in campata centrale (a),
due cerniere nelle campate laterali (b), cerniera in chiave (c).
17
TIPOLOGIE DI PONTI
La soluzione con cerniera scorrevole in chiave (fig. 2.18 (c)) consente rotazioni
relative e accorciamenti/allungamenti relativi tra le estremità in chiave delle due
mensole: si tratta di uno schema iperstatico, in quanto è vero che l’analisi
strutturale parte da un semplice schema iniziale di struttura isostatica, ma dopo
l’attivazione della cerniera centrale l’impalcato diventa una volta iperstatico a
causa del taglio che i due tratti di impalcato si scambiano in chiave. Resta nullo il
momento flettente di mezzeria, che invece prende valore per le strutture
interamente continue affrontate nel prossimo paragrafo [3].
fig. 2.19 Sir John Fowler, Benjamin Baker e Kaichj Watanabe dimostrano il funzionamento del
ponte isostatico a sbalzo
Nel 1887 tre ingegneri (un giapponese e due inglesi) danno una simpatica
dimostrazione pratica del funzionamento dello schema statico con trave tampone
(fig. 2.19): le braccia dei due ingegneri laterali rappresentano le travi a sbalzo, i
bastoni sottostanti sono sollecitati a compressione. I mattoni ai lati rappresentano
le banchine del ponte stesso e la loro azione attiva è visibile nello sforzo degli
uomini, le cui braccia sono sottoposte a trazione uniforme a causa del peso
centrale rappresentato dall’ingegnere giapponese, “appoggiato” agli altri due [6].
18
TIPOLOGIE DI PONTI
I dispositivi di giunto tipici dei primi ponti metallici presero ispirazione da quelli
dei macchinari industriali pesanti, come per esempio rulli, cerniere, bielle a
pendolo, e altri dispositivi meccanici che richiedono lavorazioni speciali (fig. 2.22
e fig. 2.21). In genere veniva utilizzato come corpo principale dei supporti un
blocco di fusione poi sbozzato e sagomato tramite lavorazioni meccaniche. Infine,
le superfici venivano sottoposte a trattamenti termici.
19
TIPOLOGIE DI PONTI
fig. 2.22 dettaglio di una cerniera realizzata per ponte fig. 2.21 rulliera del ponte Niagare Cantilever
metallico Bridge
Per quanto riguarda invece i ponti in c.a. su piccole luci, inizialmente si usavano
delle lastro di piombo, poi di neoprene. Per ponti più lunghi si realizzavano
cerniere e pendoli in calcestruzzo ad alta resistenza, o più frequentemente
dispositivi simili a quelli dei ponti metallici.
Oggi sia per i ponti in acciaio che per le realizzazioni in C.A. e C.A.P. si usano
appoggi in elastomero armato, appoggi in acciaio/Teflon o appoggi metallici a
disco elastomerico confinato. Tali appoggi devono avere possibilità di rotazione
compatibili con la deformabilità degli impalcati e possono essere fissi (a cerniera
sferica) o scorrevoli in una o più direzioni e dotati di dissipatori antisismici.
Per impalcati articolati in mezzeria (fig. 2.18 (c)) la cerniera in chiave è realizzata
con blocchi in acciaio, le cui interfacce scorrevoli devono essere accuratamente
fresate e rettificate, in modo da consentire l’assemblaggio in opera e contenere le
tolleranze al fine di rendere il più possibile continua l’azione di contatto.
Ponti Gerber
Una tipologia di ponte isostatico a sbalzo frequente in particolare in Europa è il
ponte Gerber: costituito da tre o più luci in cui la campata centrale è prefabbricata
e quelle laterali costruite in loco. Quella centrale viene appoggiata sulle laterali
tramite le “selle Gerber” (fig. 2.23), una coppia di mensola tozze coniugate. In
corrispondenza dei giunti, entrambi gli appoggi devono consentire rotazioni
20
TIPOLOGIE DI PONTI
relative tra le facce delle travi concorrenti (cerniere) e uno dei due deve essere
libero di scorrere longitudinalmente (carello).
I primi ponti Gerber in c.a. erano ponti stradali di luci modeste, ma poi con la
diffusione della precompressione, dagli anni ’50 del secolo scorso, si raggiunsero
e superarono le luci dei ponti metallici. Ciò avvenne anche perché per quanto
riguarda la precompressione all’inizio vi furono innegabili difficoltà a svolgere
analisi strutturali affidabili degli effetti dovuti a ritiro e viscosità del calcestruzzo,
e dunque si cercava di evitare di costruire strutture iperstatiche con questa tecnica
costruttiva [3].
21
TIPOLOGIE DI PONTI
fig. 2.25 distribuzione dei momenti flettenti in una trave Gerber a confronto con altri schemi
22
TIPOLOGIE DI PONTI
Si noti che l’andamento del momento per luci di pari ampiezza è uguale, e
semplicemente traslato in basso o in alto a seconda della configurazione:
adottando lo schema Gerber si evitano sia gli alti valori del momento in campata
presenti nella trave isostatica, che gli elevati valori di una trave continua a luci
uguali.
Lo schema Gerber oltre a non avere resistenza in campo plastico come tutti i
sistemi isostatici, può risultare scomodo in quanto gli sforzi tendono a
concentrarsi nelle cerniere esterne, ovvero nei giunti: questo presenta un alto
23
TIPOLOGIE DI PONTI
Per motivi economici spesso si ricorre a travi ad altezza variabile, che come visto
nel paragrafo 2.3.1.1 concentrano il materiale solo laddove è necessario per
rispondere agli sforzi. Spesso si ricorre, per ovvii motivi di economia, ad una trave
a sezione (altezza) variabile.
Le pile possono raggiungere altezze notevoli: la pila più alta dell’Europa Brücke
(fig. 2.28), una trave continua a sei campate sull’autostrada tra il Brennero e
Innsbruck, misura 146.5 m.
24
TIPOLOGIE DI PONTI
fig. 2.28 ponte Europa realizzato con travi in acciaio. Innsbruck (Austria)
fig. 2.27 ponte Plato-Zambrano in C.A.P., Colombia, con fondazioni con pali in
calcestruzzo
25
TIPOLOGIE DI PONTI
Come tutte le soluzioni anche questa presenta i suoi svantaggi. Essendo il ponte
iperstatico l’insorgere di sollecitazioni come cedimenti, effetti termici o ritiri, si
ripercuote su tutta la struttura: il calcolo diventa più complesso. Inoltre, nel caso
di ponti precompressi gli effetti differiti nel tempo possono avere un grave
impatto sullo stato di salute del ponte: il principio di riacquisto del regime
principale tende a cambiare lo stato di sollecitazione del ponte in maniera molto
marcata, a causa del tentativo dei cavi di “liberarsi” dallo stato tensionale
imposto. Per questo si introdusse la precompressione esterna: la perdita di
tensione nei cavi divenne controllabile e per correggere eventuali perite di
tensione nel tempo era sufficiente tesare nuovamente i cavi. Molti dei ponti
iperstatici moderni sono caratterizzati dalla precompressione esterna poiché
permette di evitare difficili calcoli precisi sulle perdite viscose.
26
TIPOLOGIE DI PONTI
27
TIPOLOGIE DI PONTI
fig. 2.30 la trave cassone più diffusa, il suo schema statico e il suo comportamento scatolare
Il comportamento scatolare tipico del cassone può essere riprodotto tramite l’uso
di diversi materiale: può essere costruito tramite strutture prefabbricate in acciaio,
C.A.- C.A.P. o tramite struttura mista, oppure direttamente gettate in opera, e può
dare la possibilità di formare tutta la campata o parte di essa (costruzione per
conci), dando così vita a un ponte a travata isostatico o iperstatico (travata
continua). In generale questa tipologia di impalcato è utilizzato per soddisfare
esigenze di campate medio-lunghe.
Anche per la realizzazione dei ponti a cassone si può ricorrere a travi ad altezza
variabile: la cavità può area fissa o variabile per ottimizzare i pesi, a seconda delle
esigenze di luce da soddisfare: ponti a cassone a sezione costante vengono usati
28
TIPOLOGIE DI PONTI
per luci da 30 a 120 metri (fig. 2.31), ponti a cassone a sezione variabile
soddisfano luci fino a 240 metri (fig. 2.32) [8].
29
TIPOLOGIE DI PONTI
30
TIPOLOGIE DI PONTI
I ponti a cassone possono essere realizzati anche tramite travi reticolari in acciaio
connesse superiormente e inferiormente: se il reticolo è chiuso, le travi reticolari
formano un cassone con risposta alle sollecitazioni del tutto analoga a quanto
visto in precedenza: il comportamento è scatolare.
I cassoni reticolari, come già visto per i ponti a travata, possono avere anch’essi
altezza variabile, in modo da concentrare il materiale solo laddove gli sforzi si
intensificano.
31
TIPOLOGIE DI PONTI
32
TIPOLOGIE DI PONTI
collegati al fondo del cassone (fig. 2.38). Negli impalcati curvi o di grande luce,
per aumentare la rigidezza torsionale durante il varo, la parte metallica può essere
chiusa superiormente (fig. 2.38) [10].
fig. 2.39 Viadotto Fontescodella a Macerata realizzata con cassone misto. Il viadotto è costituito da un
impalcato curvo continuo a quattro campate di luci tra i 30 e i 40 metri. Si tratta di cassone monocellulare
costituito da una parte metallica trapezoidale (aperta) e una soletta di 30 cm. Il cassone è irrigidito da
diaframmi a parete piena solidali alla soletta, posti ad interasse di 5 m e, sul fondo, da due irrigidimenti
longitudinali di tipo chiuso.
33
TIPOLOGIE DI PONTI
I ponti strallati sono formati da una trave principale sostenuta da funi perlopiù
rettilinee collegate al pilone: si sfrutta un meccanismo resistente di tipo assiale.
Deve essere garantito l’equilibrio delle azioni trasmesse all’antenna per evitare
che questa sia soggetta a sollecitazioni di tipo flessionale: entrano in gioco il peso
delle campate e la loro lunghezza. Le campate laterali, solitamente più corte,
devono essere di notevole peso per bilanciare le campate lunghe. Il prodotto
peso*lunghezza delle campate deve essere uguale. Per questo si può trovare
ricorrentemente l’utilizzo dell’acciaio per campate principali (più leggero) e di CA
34
TIPOLOGIE DI PONTI
per quelle laterali. Quindi, se i pesi sono differenti, si può raggiungere l’equilibrio
o attribuendo elevata rigidezza flessionale alle campate laterali oppure
ancorandole a terra.
fig. 2.43 ponte strallato a travata irrigidente: Ponte General Rafael Urdaneta, Venezuela
35
TIPOLOGIE DI PONTI
Antenne
- Baricentriche (fig. 2.45): sono disposte tra le carreggiate (il che implica
necessariamente uno spartitraffico) e non contribuiscono alla resistenza
torsionale: l’impalcato deve avere quindi elevate rigidezza torsionale;
36
TIPOLOGIE DI PONTI
37
38
3 DANNI E CAUSE DI DEGRADO
3.1 Introduzione
L’ormai consistente storia realizzativa dei ponti trattati nel precedente capitolo
consente di condurre un’approfondita analisi e classificazione delle varie tipologie
e cause di degrado che interessano queste infrastrutture, che sono molteplici. Nei
ponti con luce medio-grande costruiti negli ultimi 150 anni, i danni più comuni
sono quelli dovuti all’invecchiamento dei materiali, all’azione degli agenti
atmosferici aggressivi e alla scarsa manutenzione [3], ma si vuole qui fare un
quadro generico più ampio portando anche qualche esempio. Si valuteranno le
cause del degrado per le tipologie approfondire nel capitolo precedente sia per
ponti in C.A. e C.A.P. che per ponti in acciaio, tenendo però conto che i ponti a
struttura in acciaio o a struttura mista acciaio-calcestruzzo se regolarmente
mantenuti e sorvegliati non manifestano problemi di alterazione e riduzione
progressiva di efficienza [11], e quindi ci si concentrerà maggiormente sul
calcestruzzo armato.
A partire dal database sui collassi di ponti di cui si sta occupando il professor
Anton Syrkov nell’ambito della Commissione 1 dello IABSE (International
Association for Bridge and Structural Engineering), si è svolta una breve analisi
dei dati dividendo i collassi registrati nel mondo dal 1966 al 2017 per causa di
collasso. Tale analisi è riassunta nella Tabella 1.
39
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
n° ponti causa
̴ 80 sovraccarichi (errori di gestione o mantenimento durante la realizzazione
o il servizio della struttura)
̴ 70 errori di progetto
̴ 70 alluvioni
̴ 65 corrosioni (principalmente del calcestruzzo) o deterioramento del
calcestruzzo armato per errori di manutenzione)
̴ 50 negligenze costruttive (crollo impalcature/casseforme)
̴ 50 collisioni dei veicoli
46 difetti costruttivi (rottura fragile delle barre di armatura, curvatura,
instabilità acciaio o pile, rotture pile)
27 collisioni di navi
8 vento
5 terremoti
5 incendi
4 invecchiamento mattoni (errori di manutenzione/test di controllo)
̴ 20 altro/indefinito
Tabella 1: riassunto delle cause di collasso dei ponti dal 1966 al 2017.
40
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
3.2.1 Fisici
Il degrado fisico è dovuto ad un’alterazione fisica che si attua essenzialmente
tramite sforzi e sollecitazioni fisici che esercitano un’azione meccanica di
frammentazione del materiale [15], e per questo dipende dalla composizione
mineralogica e dalla struttura granulare del materiale.
41
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
I cicli gelo e disgelo sono pericolosi anche perché possono determinare il ristagno
di elementi inquinanti all’interno del materiale e della sua struttura interna. In
generale, chiaramente il danno è tanto maggiore quanto è più elevato il numero
di cicli gelo/disgelo a cui il materiale è effettivamente sottoposto [13].
Chiaramente l’effetto del ghiaccio è deleterio solo se c’è acqua allo stato liquido
all’interno del cls, ma questo non vuol dire che per evitare questo tipo di degrado
il cls debba essere perfettamente secco, ma piuttosto che il livello di umidità non
superi il determinato valore chiamato “saturazione critica” indicato in
precedenza.
42
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
È anche vero che la rottura del cls potrebbe verificarsi senza il superamento del
valore di saturazione, per la sola presenza di acqua in eccesso: la percentuale
potrebbe essere sotto al limite indicato, ma la sua distribuzione all’interno del cls
potrebbe non essere eterogenea e dunque si potrebbero riscontrare delle zone
critiche in cui c’è una maggiore concentrazione di acqua. Per risolvere questo
inconveniente si misura la percentuale presente sulla faccia corticale, ovvero dove
si innescano i fenomeni di degrado causati dai cicli gelo/disgelo (fig. 3.3 e fig.
3.2).
Con lo scopo di evitare gli effetti negativi delle basse temperature sul calcestruzzo
occorre diminuire la microporosità capillare e favorire la presenza di macro-pori
di dimensioni comprese tra 100 e 300 µm), aggiungendo alla miscela additivi
aeranti e mantenendo un basso rapporto a/c con l’aggiunta di aggregati non gelivi
nelle situazioni più ostili [19].
Riassumendo si può dire che i danni dovuti ai cicli gelo/disgelo si verificano con
la concomitanza di basse temperature e assenza di macro-porosità, e che il tipo di
danno, ovvero la fessurazione e il distaccamento del calcestruzzo, è proporzionale
al livello di porosità e di saturazione di umidità, oltre che al numero di cicli
gelo/disgelo e alla quantità di aria inglobata.
43
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Nel calcestruzzo gli effetti termici, quali il riscaldamento e/o raffreddamento della
struttura, possono indurre tensioni interne che provocano una deformazione della
struttura e una conseguente fessurazione. Il meccanismo di fessurazione è
innescato dalla differenza di temperatura che può esserci tra il cuore
dell’elemento strutturale, più caldo per l’assenza di calore dissipato, e gli strati
corticali che essendo soggetti a maggiore dissipazione verso l’ambiente sono più
freddi. Gli stati tensionali conseguenti al differente comportamento dilatazionale
fra gli elementi presenti favoriscono la nascita di quadri fessurativi.
I gradienti termici possono avere varia natura e causare danni più o meno gravi,
da quadri fessurativi a deformazioni, fino ad arrivare al collasso della struttura.
44
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
45
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
46
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Il ritiro può essere di tipo plastico e di tipo igrometrico. Il primo si verifica quando
il calcestruzzo, ancora nella fase plastica post-getto cede parte della sua umidità
47
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
1
Dal database del professor Anton Syrkov nell’ambito della Commissione 1 dello IABSE
(International Associations for Bridge and Structural Engineering)
48
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Il problema fu che l’abbassamento, già registrato nel 1990 pari a 1,2 metri, era
causato dal fenomeno del rilassamento viscoso (creep) che però venne ignorato e
sottovalutato (il ponte venne dichiarato sicuro e in perfetto stato di salute). Dal
1990 al 1996 il fenomeno progredì fino a causare un ulteriore abbassamento di
un altro metro. Nel 1996 si decise dunque di intervenire, ma la decisione fu dettata
dalla volontà di riparare il danno estetico più che quello strutturale, e così il ponte
venne modificato nei suoi meccanismi: il giunto a cerniere centrale
originariamente privo di carico venne caricato con un blocco continuo di cemento,
vennero poi aggiunti otto cavi di precompressione per raddrizzare la campata e
otto alette piatte che caricarono il centro del ponte.
49
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
3.2.2 Chimici
L’alterazione chimica di un materiale comporta la modifica della composizione
profonda dello stesso: i processi chimici sono più profondi di quelli fisici, seppur
maggiormente localizzati [15].
50
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
L’entità del danno causato da un degrado chimico dipende dalla quantità di acqua
piovana che colpisce il materiale, dalla porosità dello stesso e dalla durata del
fenomeno.
51
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Ettringite
I solfati provenienti dai terreni o dalle acque a contatto con la struttura vengono
trasportati all’interno della matrice cementizia dall’acqua: lo ione solfato reagisce
così con l’idrossido di calce della pasta cementizia e forma gesso bi-drato [23].
Questo va a reagire a sua volta con gli alluminati di calcio idrati formando
ettringite secondaria (fig. 3.8), che a differenza di quella primaria (ovvero quella
non dannosa poiché che si forma dal legame tra gli alluminati anidridi e il gesso
aggiunto nel cemento per regolare la presa) risulta dannosa poiché formata dopo
la fase di presa: aumentando di volume provoca delaminazione, rigonfiamenti,
fessurazioni e distacchi (fig. 3.9). L’ettringite primaria invece oltre a non essere
dannosa è utile poiché crea una barriera attorno agli alluminati che ne rallenta il
processo di idratazione [19].
52
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
sì che si creino piccole tensioni espansive non dannose poiché il getto è ancora in
grado di assecondarle al contrario del caso di ettringite secondaria in cui il getto
ha già acquisito la sua rigidezza finale. I solfati oltre che dall’esterno possono
provenire anche dall’interno del cls sotto forma di impurità naturali negli
aggregati (in forma di gesso o anidrite). Il gesso degli aggregati ha dimensioni
maggiori rispetto a quello aggiunto al cemento per la presa e ciò lo rende meno
solubile in acqua: questo fa sì che non sia subito disponibile per la formazione di
ettringite primaria, ma solo in un secondo momento provoca la formazione di
ettringite secondaria nel cls ormai stagionato creando così fessurazione [19].
Thaumasite
Se sono presenti quei tipi aggregati in grado di reagire con la soluzione alcalina
presente nei pori del conglomerato cementizio, queste reagendo producono un
gel che si espande assorbendo acqua, e che quindi accentua la sua espansione se
esposto all’umidità. Tale espansione crea stati tensionali interni che possono
portare al danneggiamento del calcestruzzo intorno all’aggregato in questione.
54
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
55
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
56
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
57
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
fig. 3.15 struttura soggetta a carbonatazione con completa espulsione del copriferro circostante
le armature
58
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
decisamente maggiore di quello della barra originale [18]. Ciò causa delle tensioni
interne al calcestruzzo che interessano tutto il copriferro e generano importanti
stati fessurativi (fig. 3.14 e fig. 3.17) se non addirittura il distaccamento del
copriferro (fig. 3.15), quindi una maggior esposizione agli agenti aggressivi e di
conseguenza un sempre più rapido degrado della struttura: il degradamento sarà
sempre più veloce in quanto si creeranno vie di accesso più facili per ossigeno e
umidità.
59
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
sezioni metalliche di progetto e il ferro non è più protetto, e viene esposto così
anche all’attacco da cloruri di cui si parla nel paragrafo 3.2.2.4.
La velocità di degrado dipende dalla velocità con cui penetra la CO2, che procede
dall’esterno verso l’interno del calcestruzzo. La velocità di penetrazione è
fortemente influenzata dal tenore di umidità: il trasporto dell’anidride carbonica
è molto veloce in fase gassosa, ovvero all’interno dei pori pieni di aria, mentre è
molto più lento nei pori dove c’è presenza di umidità. Nei pori saturi di acqua la
velocità di penetrazione è infatti pressoché nulla. È anche vero che affinché la
carbonatazione del calcestruzzo avvenga è necessaria la presenza di umidità [19].
60
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Dilavamento [17]
61
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Il dilavamento procede più o meno velocemente a seconda della velocità con cui
si muove l’acqua, del grado di finitura della superficie del cls e del volume della
porosità capillare del materiale.
In questo caso l’analisi chimica, termica, piuttosto che per diffrazione dei raggi X
non risulta essere appropriata per individuare il fenomeno del dilavamento in
quanto il prodotto di questo tipo di degrado è il bicarbonato di calcio che è molto
solubile. Di conseguenza con il passaggio dell’acqua il bicarbonato di calcio viene
asportato e non si può più individuare sulla superficie [19]. Non potendo dunque
condurre analisi di questo tipo, l’unico modo per rilevare il danneggiamento della
62
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Il processo di degrado di per sé è molto simile a quello per anidride carbonica, nel
senso che gli effetti procurati sono gli stessi: la pericolosità di questo processo di
degrado consiste nella possibile corrosione dei ferri di armatura. Il cloruro infatti
una volta penetrato nel cls se raggiunge i ferri elimina il film passivante di ossido
ferrico, lasciandoli, come visto, esposti al processo di corrosione
Anche in questo caso l’ossidazione dei ferri si verifica nel momento in cui si ha la
presenza di due fattori contemporaneamente: la presenza di cloruri che
depassivino i ferri e l’umidità unita all’ossigeno. Infatti, in una struttura
completamente immersa in acqua marina nonostante il contenuto di cloruri sia
molto elevato non si potrà avviare il processo di degrado poiché i pori saranno
completamente sature di umidità e dunque l’ossigeno non riuscirà a penetrare nei
pori: la corrosione delle barre di armatura non si potrà verificare o sarà
trascurabile. La zona critica di tale struttura immersa nel mare sarà quella in
corrispondenza del pelo libero dell’acqua, poiché sottoposta a moto ondoso e
maree, e quindi periodicamente bagnate e asciutta: il contatto frequente con un
63
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Come per l’anidride carbonica, una volta innescato il processo tutte le strutture
diventano più vulnerabili: la corrosione diventa sempre più veloce poiché trova
sempre più vie di accesso sempre più facili. La concentrazione di cloruri che basta
ad avviare l’ossidazione dei ferri è direttamente proporzionale al pH del cls: più
questo è alcalino, più cloruro sarà necessario per avviare il processo di degrado.
Proprio per quanto detto è possibile anche legare il fenomeno della
carbonatazione al degrado dovuto ai cloruri, in quanto il fenomeno affrontato nel
paragrafo precedente, come visto, abbassa il pH del calcestruzzo e lo rende
dunque più vulnerabile all’attacco da cloruri poiché ne saranno necessarie
quantità ridotte per avviare il processo di degrado.
Le cause del degrado per cloruri in realtà possono essere molteplici. Occorre
distinguere l’attacco dovuto a cloruri di sodio e quello dovuto a cloruri di calcio
poiché interagiscono diversamente col calcestruzzo [17] nonostante provochino
ugualmente il degrado: mentre il cloruro di sodio è uno dei responsabili delle
64
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Come per l’anidride carbonica quindi, nel calcestruzzo armato il cloruro si fa largo
fino alle armature depassivandole (Ph<9) e innescando fenomeni corrosivi
localizzati e penetranti (pitting). La corrosione delle armature sviluppa la ruggine,
prodotto espansivo che diminuisce la sezione resistente delle armature e esercita
forze interne sul conglomerato cementizio. L’aumento di volume può provocare
stati fessurativi che contribuiranno al diffondersi dei degradi citati. Nel peggiore
dei casi, gli stati fessurativi e i degradi sono così marcati che comportano
l’espulsione del copriferro. Se questi attacchi riguardano cavi di precompressione
le conseguenze relative alla stabilità della struttura possono essere molto critiche.
65
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Il cloruro che penetra nella struttura collabora alle reazioni che portano il
conglomerato cementizio a disintegrarsi, senza però danneggiare gravemente la
struttura. Il cloruro tende a fessurare e a delaminare il cls a causa della
disintegrazione della pasta cementizia che avvolge gli aggregati. Questo tipo di
attacco è tanto più favorito quanto più è bassa la temperatura e quanto più è
modesta la permeabilità del cls.
fig. 3.22 il crollo della trave del ponte Lake View Drive Bridge in Pennsylvania
66
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
esattamente sulla trave caduta: ciò è risultato fatale per la trave che è collassata
improvvisamente [26].
Un evento simile si verificò cinque anni prima, il 20 maggio 2000, nel North
Carolina vicino a Concord, quando ponte pedonale si spezzò a metà
improvvisamente. Il crollò si verificò mentre migliaia di persone stavano
attraversando il ponte dopo la fine di un evento di motori (fig. 3.23). Il ponte, la
cui campata principale era lunga 25 metri, aveva le barre di armatura parecchio
indebolite a causa dei cloruri penetrati negli anni: tutti gli 11 cavi sepolti nel
cemento sono stati trovati corrosi. Il crollò causo 107 feriti e, fortunatamente,
nessuna vittima.
fig. 3.23 il ponte pedonale crollato nel North Carolina nel 2000
67
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Per strutture in acciaio può essere più elevato il rischio di corrosione, in quanto
non sono protette dallo strato di calcestruzzo. Per questo per prevenire il degrado
delle strutture in acciaio è necessario rivestire i manufatti con adeguate barriere
che isolino il metallo dagli agenti corrosivi dell’ambiente esterno: è necessaria
una corretta prevenzione, da prevedere fin dalla fase di progettazione, dato che
essa deve dipendere strettamente dalle condizioni ambientali di esercizio della
struttura stessa. Quando poi la struttura sarà in servizio è essenziale ai fini della
durata la frequenza e la qualità degli interventi di manutenzione.
68
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
3.2.3 Meccanici
3.2.3.1 Fatica
La rottura per fatica, ovvero in risposta a carichi ciclici, può arrivare anche per
sforzi molto inferiori a quelli di rottura statica, soprattutto quando lo stato di
sforzo è variabile ciclicamente nel tempo.
Le opere meno recenti risentono molto di questo fenomeno, sia perché in uso da
molto tempo, sia perché i carichi di esercizio per cui sono state progettate erano
certamente inferiori a quelli attuali.
69
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
processo innescato per fatica è irreversibile e si manifesta sia sul calcestruzzo che
sull’acciaio, sebbene con meccanismi differenti [17].
Infatti, essa rimuove le scaglie di materiale, come visto nei paragrafi precedenti,
e genera micro-cricche diffuse, che progrediscono a causa della fatica. La fatica
scopre quindi materiale che si espone nuovamente alla corrosione, e così via.
Dunque, la corrosione riduce notevolmente la resistenza a fatica e in questo
assume un ruolo importante la frequenza.
Anche i ponti in acciaio possono essere sensibili agli effetti della fatica: possono
formarsi cricche in corrispondenza di irrigidimenti longitudinali, di saldature di
piastre di collegamento o in prossimità di squadrette di collegamento o di fori
delle chiodature. In particolare, impalcati in acciaio a lastra ortotropa direttamente
soggetta a carichi di traffico, risultano essere molto sensibili agli effetti della
fatica: si formano fessure che interessano la lastra superiore, gli irrigidimenti
longitudinali e le saldature [18].
70
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
fatica vera e propria e con caratteristiche di rottura fragile, l’altra in genere pulita
e brillante [11].
Nei ponti il punto di innesco della rottura per fatica è superficiale. I fenomeni che
maggiormente influenzano la resistenza a fatica sono la resistenza del materiale,
la frequenza delle sollecitazioni, le auto tensioni presenti nella struttura per effetto
del raffreddamento differenziato che tendono a ridurre la resistenza a fatica, lo
stato della superficie e la corrosione.
Un esempio molto famoso di struttura in acciaio che ha avuto problemi legati alla
fatica è il San Francisco-Oakland Bay Bridge di San Francisco (USA) (fig. 3.28)
che, fino a quando venne presa la decisione di rifare la struttura del ponte, soffrì
di problemi legati alla propagazione di cricche e distaccamento di pezzi di acciaio,
causati dalle numerose vibrazioni cui era sottoposto e dalle forti raffiche di vento
che lo attraversavano.
71
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Nell’ottobre 2009, durante la chiusura del ponte per un week end di lavori di
ristrutturazione, venne rilevata una fessura piuttosto importante in un
componente del ponte soggetto a trazione continua, precisamente nella eyebar di
collegamento, per cui si decise di chiudere il ponte. Furono svolti dei rapidi lavori
di riparazione e il ponte venne aperto comunque poche ore più tardi. Il 27 ottobre,
mentre il flusso serale dei pendolari era al suo culmine, la trave d’acciaio e due
tiranti soggetti della riparazione svolta rapidamente si staccarono dalla parte
orientale del Bay Bridge e caddero sull’impalcato del ponte: le vibrazioni del
traffico e le raffiche del vento, quel giorno con velocità fino a 90 km/h, furono la
causa del cedimento di una canna che si ruppe, causando la caduta degli altri
pezzi e la conseguente collisione con tre veicoli che fortunatamente non implicò
feriti.
fig. 3.28 il Bay Bridge di San Francisco originale, prima del rifacimento. Ponte reticolare in acciaio
con sezione ad altezza variabile
Il pezzo che venne trovato con la cricca da fatica aveva la funzione di trasportare
carichi di tensione: sono barre piatte a forma di osso con un foro ad ogni estremità
(fig. 3.29).
72
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Due o più di queste piastre sono disposte parallelamente l'una all'altra per creare
un gruppo completo in grado di scaricare in maniera ottimale le tensioni. Queste
piastre sono collegate tra loro e ad altre parti della struttura tramite grandi cilindri
di acciaio, detti perni, che sono guidati attraverso i fori nelle estremità.
73
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Il rinforzo che venne messo qualche week end prima, visibile già rotto in fig. 3.30
e schematizzato in fig. 3.31, non servì a contrastare gli effetti dell’affaticamento
e soprattutto è un rinforzo in genere utilizzato per riparazione temporanee: è
innegabile dunque che oltre agli aspetti meccanici a contribuire al danno fu la
negligenza di chi gestiva l’infrastruttura [30].
74
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
3.2.3.3 Erosione
L’erosione è una particolare tipologia di usura dovuta al vento, all’acqua o al
ghiaccio, e provoca l’asportazione di materiale dalla superficie. Dipende dalla
velocità, dal contenuto di polveri dure e dalla qualità del calcestruzzo. In questo
caso l’unico rimedio è la cura del confezionamento del materiale e valgono gli
stessi termini utilizzati per l’abrasione affrontati nel paragrafo precedente [19].
75
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Del calcestruzzo
Gli effetti erosivi si producono a causa dell’aumento della velocità della corrente
e dei conseguenti fenomeni di turbolenza che si instaurano in corrispondenza
della sezione del ponte interessata: la velocita elevata dell’acqua unita ad una
superficie di scorrimento non regolare provoca delle turbolenze, si creano delle
zone di bassa pressione e s’instaurano dei vortici che vanno ad usurare il
sottofondo. Le bolle d’aria che si formano nell’acqua corrono fino a valle con essa
e quando incontrano una zona di alta pressione implodono creando un forte
impatto, questo crea erosione. Se la velocita dell’acqua è notevole l’erosione
dovuta alla cavitazione può essere anche di grande entità [19].
77
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
fig. 3.35 Cedimento di una pila. Il ponte è ad arco, ma l’immagine rende comunque
molto bene l’idea di cosa significhi un cedimento e che effetti possa avere sulla
struttura. La pila 3 cede per oltre 1,4 m.
Esempi
Stando al database già citato in precedenza sono molteplici (circa 70, un caso su
sette) i casi di collasso che negli scorsi decenni sono stati causati da alluvioni che
hanno scavato intorno ai pilastri dei ponti se non direttamente i pilastri stessi. Se
il progetto non è ben fatto e la materia prima non è ottima, il rischio che si corre
è veramente elevato. Inoltre, se la costruzione del ponte non è eseguita a regola
d’arte l’azione di erosione provoca danni irreversibili in brevissimo tempo, come
78
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
nel caso del ponte cinese nella Ghost Valley, presso Luoyang City, il quale dopo
sole tre ore di vita il 16 agosto del 2009 è collassato brutalmente a causa di
un’incessante pioggia che ha fatto sprofondare una pila di quasi due metri, prima
del collasso.
fig. 3.36 il Schoharie Creek Bridge collassato a causa del cedimento del pilastro 3
79
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
3.2.3.4 Urti
Un altro tipo di degrado dovuto a cause meccaniche è quello provocato da urti. Il
calcestruzzo è un materiale fragile e quindi se subisce degli impatti di una certa
entità si degrada con conseguente riduzione della sezione e perdita di resistenza.
Per quanto riguarda l’acciaio invece l’urto è un problema molto meno importante
in quanto il materiale è decisamente meno fragile.
Nel calcestruzzo non è detto che il danno si presenti immediatamente, può essere
che questo avvenga dopo molti cicli, ad esempio su giunti di una pavimentazione
gravati dal passaggio di mezzi meccanici [19].
Sassi
80
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Ghiaccio
Allo stesso modo le pile dei ponti possono essere colpite dalle lastre di ghiaccio
in movimento. Se non è previsto un sistema di protezione della pila, questo
fenomeno può avere conseguenze molto pericolose simili negli effetti a quelle
appena descritte per l’impatto dei sassi. I danni possibili sono molteplici, dal
danneggiamento dell’elemento strutturale allo spostamento della sovrastruttura
dovuta all’impatto del ghiaccio, fino all’accumulo di ghiaccio con conseguente
sollevamento della sovrastruttura dai pilastri [37].
81
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Camion
Il suo principale effetto sui ponti in calcestruzzo armato è una riduzione della
sezione resistente a causa di asportazione di materiale e nei casi peggiori anche
un tranciamento delle barre di armatura (fig. 3.39). Nei ponti in acciaio le travi
possono rimanere danneggiate e si possono osservare deformazioni plastiche.
Si possono verificare anche casi estremi in cui camion, navi o aerei si scontrano
violentemente contro a pile di ponti o impalcati: è un caso che ovviamente causa
danni molto significativi se non addirittura il diretto collasso della struttura,
motivo per cui non è utile ai fini di questo elaborato approfondirne più di tanto la
dinamica.
82
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
83
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
mezzo pesante entrò in collisione con un pilastro, causando un parziale crollo dei
binari ferroviari.
84
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
sembrare “dettagli” o comunque errori non gravi, in realtà trovano la loro severa
verifica nell’invecchiamento della struttura. In sintesi, un progetto carente nella
sua impostazione di base genera molteplici tipi di cause intrinseche di degrado,
agenti a scala diversa sull’opera [15].
85
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Si consideri per esempio i casi di collasso di ponti con problemi legati al vento
sono veramente pochi (8), di cui non sospesi ancora meno (6) 2. Laddove i carichi
da vento vengono sottovalutati possono sì avere effetti letali, ma ciò avviene
sempre come sovrapposizione degli effetti di altre mancanze o altri danni. Per
esempio, nel caso del Bay Bridge a San Francisco, già raccontato nel paragrafo
3.2.3.1, le forti raffiche di vento furono sì sottovalutate in fase di progetto, ma
non furono l’unico motivo per cui alcune componenti metalliche del ponte si
staccarono e volarono sull’impalcato: furono decisive le cricche per fatica già
formate che ne facilitarono il distaccamento [29].
2
Dal database del professor Anton Syrkov nell’ambito della Commissione 1 dello IABSE
(International Associations for Bridge and Structural Engineering)
86
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
87
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
e vengono richiesti i seguenti carichi (si indicano i carichi flettenti per una luce
maggiore di 14 m):
no carichi concentrati
no carichi concentrati
no carichi concentrati
no carichi concentrati
88
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Questo dimostra un problema che è reale e che deve essere monitorato con
attenzione, limitando il passaggio di mezzi pesanti su ponti di seconda categoria.
Quando ciò non avviene il ponte può subire gravi danni.
fig. 3.42 il ponte di Annone Brianza collassato, con il mezzo pesante risultato decisivo per il crollo
89
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
fig. 3.43 collasso locale dovuto ad eccessivo scorrimento della piastra di appoggio superiore: la disposizione
dei cavi in testata e lo spacco dello spigolo, l’instabilità locale delle barre di armatura e la rotazione della
piastra superiore dell’appoggio.
Tali difetti progettuali sono facilmente visibili ma il rischio che comportano è
comunque elevato per la struttura. Infatti, in viadotti molto lunghi l’entità degli
spostamenti può modificare i meccanismi diffusivi locali nelle zone di appoggio.
90
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Spesso infatti i giunti di dilatazione sono assenti nei ponti esistenti perché divenuti
inefficaci e danneggiati a causa o della loro errata progettazione, o della scarsa o
91
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
92
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Si riporta come esempio ciò che è avvenuto in 28 settembre 1983 al Mianus River
Bridge, un viadotto Gerber negli Stati Uniti. Quella notte una trave di campata
sospesa tra i piloni 20 e 21 della corsia di traffico in direzione est del ponte crollò
improvvisamente e cadde per oltre 20 metri nel fiume sottostante causando la
morte di tre persone (fig. 3.47).
La campata crollata era ben collegata alla struttura del ponte in ognuno dei suoi
quattro angoli: erano tutti attaccati alle travi del braccio a sbalzo con un perno e
un gruppo di sospensione. Effettivamente, il National Transportation Safety Board
ha stabilito che la probabile causa del crollo non è da attribuire ad una cattiva
realizzazione dell’opera, ma bensì allo spostamento laterale non rilevato dai ganci
del perno e del gruppo di sospensione di uno dei quattro angoli della campata
causato da forze indotte dalla corrosione dovuta a carenze di manutenzione dei
giunti del ponte. In sostanza, la corrosione riguardante il giunto diede vita ad uno
spostamento eccessivo della campata che essa subì particolarmente anche per la
sua conformazione non simmetrica: la corrosione dei ganci articolari causata da
acqua ordinaria causò sollecitazioni di vincoli dovute a una grande asimmetria
della struttura.
93
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
94
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
fig. 3.49 corrosione delle armature a causa delle colature dell’acqua attraverso i giunti, per mancanza di un
buon sistema di convogliamento delle acque
95
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
(come accaduto nel caso del ponte vicino ad Annone illustrato ne paragrafo
3.3.1.1 in fig. 3.43), le strutture di servizio quali le solette di transizione che spesso
presentano dettagli poco curati nel progetto delle armature, con insufficiente
lunghezza di sovrapposizione o ancoraggio, o soluzioni approssimative per i getti
in opera durante la fase di costruzione, non garantendo il copriferro minimo
richiesto. Durante la fase costruttiva ogni dettaglio può causare un danno che può
manifestarsi nel tempo: per esempio, a causa di gesso residuo utilizzato come
regolatore di presa, in seguito a un processo di idratazione caratterizzato da
temperature troppo elevate, può formarsi ettringite (vedi paragrafo 3.2.2.1), che
come visto è un prodotto pericoloso se si forma tardi poiché implica un aumento
di volume, e quindi la formazione di stati tensionali interni al materiale che
possono portare fino alla fessurazione. Altri casi di danno possono essere legati
all’impiego di barre di armatura di grosso diametro, per le quali è difficile
rispettare sia i vincoli sul raggio di piegatura che quelli legati al copriferro, e ad
un eccesso di piega che genera nelle barre delle micro-cricche che possono
causare la rottura della barra anche in presenza di sforzi modesti, in particolare se
a ciò collabora la corrosione delle stesse barre.
Nelle strutture in acciaio invece i danni possono essere per esempio l’adozione di
dettagli strutturali inadeguati, i difetti delle saldature risalenti all’epoca della
costruzione (come un trattamento termico di distensione dopo la saldatura non
adeguato) e le tensioni e deformazioni non previste in corrispondenza dei giunti
possono essere cause dei danneggiamenti per fatica negli impalcati in acciaio,
così come una scarsa manutenzione della struttura e dell’impalcato. Questo tipo
di difetti nell’acciaio sono molto pericolosi perché possono causare la rottura
fragile degli elementi del ponte, ovvero il suo collasso improvviso e senza i segni
premonitori che può dare una struttura in calcestruzzo. Un esempio è il Ponte sul
96
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Veglia, a Tramonti di Sopra (PN), crollato nel 2004 subito dopo la costruzione
durante la fase di collaudo (fig. 3.51).
Il crollo del nuovo ponte, realizzato in acciaio e lungo 35 metri, è avvenuto con
molta probabilità per il cedimento dei vincoli metallici [34]. La carreggiata sul
torrente Veglia ha ceduto sotto il peso dei tre autocarri carichi di ghiaia fermi al
centro della campata per verificare la stabilità della struttura. I camion sono
precipitati da un’altezza di dieci metri.
Ponti articolati
97
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
negativi sulla vita in esercizio delle strutture. Non si tratta di veri e propri “errori”
ma piuttosto di tecniche e criteri che si sono rivelati nel tempo non adeguati.
Nei ponti articolati, come visto nel paragrafo 2.3.1.3, la posizione delle cerniere
deve essere molto precisa per garantire il buon funzionamento statico della
struttura: piccole variazioni nella posizione delle cerniere o riguardanti la
distribuzione dei carichi possono produrre altrettanto piccole variazioni negli
spostamenti verticali e nelle distribuzioni delle azioni interne (momenti e tagli),
ma provocano variazioni di entità importante nelle rotazioni relative tra gli estremi
delle travi, creando sensibili discontinuità nelle pendenze in corrispondenza dei
punti di cerniera. Inoltre, in alcuni impalcati, per effetto di giochi eccessivi tra le
superfici, la trasmissione del taglio diventa discontinua e può a causare effetti
dinamici e di martellamento, al passaggio di mezzi da un semi-impalcato ad un
altro.
La discontinuità può anche incrementarsi nel tempo per effetti di ritiro e viscosità
esaltando effetti dinamici e riducendo il comfort di guida, oltre che danneggiando
i dispositivi di appoggio (cfr. paragrafo 3.3.1.2) e di giunto (cfr. paragrafo
3.3.1.3). L’aumento degli effetti dinamici sulle travi a sbalzo accentua la
sollecitazione a fatica nei cavi di precompressione e nelle barre di armatura,
mentre la cinematica dei giunti danneggia anche i sistemi di
impermeabilizzazione e favorisce la colatura delle acque meteoriche sulle
superficie sottostanti, velocizzando i processi di degrado affrontati in questo
capitolo 0.
98
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
condizioni del ponte è stato decisivo anche il fatto che la sella Gerber fu
progettata particolarmente stretta, e in più vi fu un grave mancanza di armature:
un disegno e/o un posizionamento non corretti delle armature possono lasciare
scollegato un ampio volume di calcestruzzo, e se su questo zona insiste la
pressione dell’appoggio, come in una sella Gerber, si possono verificare la rottura
dello spigolo e la perdita di equilibrio dell’appoggio [3].
Il ponte era articolato con due cerniere e campata centrale e a crollare fu proprio
la campata centrale di oltre 48 metri mentre il ponte era in pieno servizio (fig.
3.53). Il ponte nel 1994 era considerato relativamente nuovo poiché inaugurato
nel 1979 ma nonostante ciò in quindici anni ha visto raddoppiare il carico
transitante su di esso: negli ultimi anni veniva utilizzato per trasporti di 24
tonnellate, contro le 18 iniziali. Ma ciò fu come sempre non il cuore del problema
ma bensì soltanto un’aggravante, infatti dalle indagini successive emerse che la
99
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
causa primaria del collasso furono cricche da fatica generate dal fatto che alcune
saldature e alcune dimensioni realizzate differivano dal disegno progettuale. Il
ponte nonostante ciò inizialmente faceva un buon servizio, ma con l’aumentare
dei carichi agenti e quindi il sovraccarico continuo la cattiva esecuzione è
diventata un fattore cruciale.
fig. 3.52 la campata crollata. Il piano stradale della parte di ponte crollata non affondò sott’acqua
poiché a causa della stagione secca la profondità dell’acqua non superava i 5 metri
100
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
vennero riscontrati prima poiché per mancanza di fondi non fu fatto un controllo
periodico del ponte durante il suo servizio [41].
101
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
102
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
103
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
dal materiale un comportamento che non avrà. Il problema della scarsa qualità
delle materie prime impiegate per la realizzazione dell’opera spesso nasce da
“pressioni” economiche o riguardanti le tempistiche di realizzazione dell’opera,
mentre altre volte avviene per trascuratezza durante qualche passaggio delle
lavorazioni in cantiere.
104
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
fig. 3.57 esempio di segregazione degli aggregati dovuta ad un errato confezionamento e/o messa in opera
105
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
più un adeguato copriferro (fig. 3.58) tutti i problemi dovuti alla penetrazione
degli agenti degradanti sono facilmente innescabili.
106
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
L’effetto fu così grave che la trave principale della costruzione collassò ben prima
che l’opera fosse completata, all’improvviso (fig. 3.60). Questo episodio ci
testimonia di come gli effetti di una non curanza del materiale e delle sue
caratteristiche per la fretta di concludere i lavori siano rapidi e devastanti.
fig. 3.60 il ponte sul fiume Rio Sinigo, nei pressi di Merano, fotografato nel 2004 poco prima dei lavori di
ristrutturazione
107
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
della perdita di tensione nei cavi sono sostanzialmente una deformazione viscosa
mal calcolata, in particolare nelle strutture iperstatiche e un errore nel tiro iniziale.
La corrosione dei cavi implica una riduzione dell’area resistente e dunque una
sovratensione nel cavo che preannuncia la rottura: il comportamento di un cavo
che perde tensione per corrosione è infatti piuttosto pericoloso, dal momento che
se si tagliano alcuni fili del cavo la pressione sul calcestruzzo diminuisce, e dunque
questo si dilata e sovraccarica la fune (quel che ne rimane). La diminuzione della
risultante delle azioni non è più solo la variazione di area per il tiro iniziale, ma è
molto più bassa perché il cavo si tende ancora di più, perché si dilata e si
108
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
fig. 3.62 il crollo del ponte sul fiume Schelde nel 1992
Un altro episodio noto riguarda il ponte sul fiume Schelde nei pressi di Melle, in
Belgio, costruito nel 1956 e crollato improvvisamente il 18 marzo 1992. Il crollo,
che è stato ricondotto alla corrosione dei cavi di post-tensionamento, è avvenuto
nonostante i lavori di completo restauramento avvenuti solamente due anni prima
[42]. I cavi si sono sovraccaricati fino a quando il carico di rotture delle barre è
stato superato e il giunto incernierato non ha più retto causando dunque il crollo
della struttura che ha avuto carattere fragile [43].
109
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
110
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
111
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
112
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
113
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Fessurazione cls;
Ritiro e
variazioni tensionali nelle Le fessure facilitano altri
scorrimento
armature; degradi (corrosione)
viscoso
allentamento bulloni (acciaio);
Reazione
Fessurazione cls;
alcali- Riguarda solo CA/CAP
espulsione cls;
aggregati
La gravità dipende
Asportazione materiale;
molto dalla potenza e
Urti deformazioni plastiche;
dalla periodicità degli
cedimento/scalzamento;
urti
114
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
La corrosione causa
Perdita di verniciatura
Corrosione successiva
protettiva
delaminazione
Acciaio
Provocano un
Forzature in fase di funzionamento
Deformazioni plastiche
montaggio anomalo della
struttura
Corrosione stralli non
Mancanze di progetto -
protetti; /
stralli
fessurazione per fatica;
Ponti
strallati
Mancanze Corrosione stralli non
/
manutentive protetti
115
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Per far questo, occorre prima di tutto concentrarsi sul danno in sé (sull’effetto
primario) più che sulle cause che provocano danni e degrado: per esempio, se
risulterà necessario rilevare il fenomeno della corrosione, non sarà interessante
conoscere per quali motivi la struttura è corrosa in quanto sarà sufficiente il dato
“corrosione”.
Per questo motivo occorre prima di tutto “ribaltare” la tabella del paragrafo
precedente, riscrivendola non più in funzione delle cause di danno ma piuttosto
in funzione direttamente dell’effetto primario del danno, in modo poi da poter
approfondire come individuare la presenza dei singoli effetti.
Occorre considerare che la gravità della maggior parte dei danni dipende dalle
tempistiche di intervento: se lasciati progredire all’infinito essi potenzialmente
portano al collasso della struttura. Nella tabella precedente volendo identificare
l’effetto del danno si è fatto quindi riferimento all’effetto immediato che il danno
implica, ovvero si è assunto di poter rilevare sempre l’effetto primario con buon
anticipo sugli effetti secondari che a cascata causerebbero il rapido degrado della
struttura verso il collasso. Nella realtà dei fatti, intercettare l’effetto primario non
è sempre facile. Per questo occorre fare un’ulteriore specifica, distinguendo quali
di questi effetti primari siano effettivamente visibili tramite un’attenta ispezione
visiva del ponte, e quindi facilmente rilevabili, e per quali invece occorre
individuare delle tecniche di monitoraggio in grado di fornire informazioni
sull’ammaloramento del ponte con sufficiente tempismo.
116
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
117
DANNI E CAUSE DI DEGRADO
Se il danno risulta visibile potrebbe non essere necessario fare alcuna prova per
scovarlo. È anche vero che in certe situazioni, specialmente se si parla di ponti,
una buona ispezione visiva potrebbe essere difficoltosa se non impossibile: per
questo motivo il fatto che un effetto sia visibili non permette di disinteressarsene,
a meno che si è certi di aver compiuto un’ispezione visiva perfette.
Le prove dinamiche potranno essere utili per identificare danni visibili qualora
un’ottima ispezione visiva non sia possibile, e in ogni caso sono sicuramente utili
per valutare quanto è grave il danno cui è soggetto il ponte.
Rimangono poi dei danni che non sono rilevabili neanche con un’ottima ispezione
visiva, di cui occuparsi in maniera specifica. Volendo rilevare il danno il prima
possibile occorre prestare attenzione a questi danni non visibili, ovvero come visto
nella precedente tabella a quelli che si manifestano sotto forma di:
il caso di allentamento dei bulloni nelle strutture in acciaio non è stato inserito nel
precedente elenco poiché trattasi di un problema per norma monitorato da
periodici controlli di coppia obbligatori nelle strutture [11].
In tutti gli altri casi occorre trovare un modo per rilevare il danno con il maggior
anticipo possibile. Le prove dinamiche sono un test comodo e non invasivo.
118
4 INTRODUZIONE ALLE PROVE DINAMICHE
4.1 Definizione
Le prove dinamiche consistono nel misurare la risposta vibratoria di una struttura
sottoposta a sollecitazioni in grado di introdurre energia nel campo di frequenze
considerato di interesse [49]. In sostanza, si basano sul controllo delle vibrazioni
causate da eccitatori: si tratta quindi di prove non invasive e che non necessitano
particolari lavorazioni.
119
INTRODUZIONE ALLE PROVE DINAMICHE
Ecco perché si possono definire prove “comode”: gli eccitatori sono in ogni caso
strumenti semplici e talvolta già a disposizione durante la vita normale
dell’infrastruttura (camion che normalmente transitano sul ponte, vento, corsi
d’acqua, ecc.), oppure sono semplici camion ad hoc che transito in maniera
controllata sul ponte.
120
INTRODUZIONE ALLE PROVE DINAMICHE
Per quanto riguarda gli strumenti e i metodi con cui misurare la risposta della
struttura invece, sono diverse le tipologie e le caratteristiche dei sensori impiegati
che non vengono approfondite in questo elaborato poiché non utili ai fini di
questa ricerca, ma in sostanza la risposta della struttura viene rilevata mediante
accelerometri, e con opportune tecniche di elaborazione è possibile ricavare i
parametri caratteristici del comportamento della struttura, da utilizzare per
costruire un modello analitico. In ogni caso, la tipologia e la qualità degli
strumenti di misura impiegati devono essere tali da garantire il corretto rapporto
segnale/rumore al fine di fornire all’identificatore modale dati sufficientemente
robusti per l’estrazione dei parametri modali. Le attrezzature impiegate per la
misura delle vibrazioni ed i rilievi dinamici sono sostanzialmente analoghe e
differiscono sostanzialmente dal tipo di sensore utilizzato.
- Fase teorica, costituita dallo sviluppo del modello teorico della struttura;
121
INTRODUZIONE ALLE PROVE DINAMICHE
Questo perché se tale sistema viene eccitato e lasciato libero di oscillare nel
tempo, è descritto da due soli parametri: il periodo proprio di vibrazione T0 e il
coefficiente di smorzamento strutturale c.
Il sistema di eccitazione, che nel caso dei ponti corrisponde come detto col traffico
veicolare, ha dunque due funzioni fondamentali: porre in vibrazione la struttura
erogando una forza confrontabile e di caratteristiche note a priori in modo da
122
INTRODUZIONE ALLE PROVE DINAMICHE
+∞
∫ x(t )e
− iωt
X (ω ) = dt (1)
−∞
Che può essere espressa in funzione del tempo tramite la trasformata inversa:
+∞
1
∫ X (t )e
− iωt
x(t ) = dω (2)
2π −∞
123
INTRODUZIONE ALLE PROVE DINAMICHE
+∞
∫ R (τ )e
− iωτ
S x (ω ) = x dτ (3)
−∞
fig. 4.3 esempio di risultato delle prove: modo di vibrare della struttura
Negli ultimi anni si è sviluppato anche un monitoraggio a distanza tale per cui un
sistema automatico di allarme su cellulari avverte i responsabili della struttura se
si verifica fenomeni superiori ai limiti prefissati. Tramite un computer remoto è
possibile anche riprogrammare la logica di raccolta dei dati, modificare le soglie
di allarme e trasferire i dati [52].
124
INTRODUZIONE ALLE PROVE DINAMICHE
4.3 Utilizzi
Le prove dinamiche sono dunque un metodo di indagine non distruttiva mirata
all’analisi e al monitoraggio di grandi strutture, utilizzabile anche per strutture
meno importanti tramite strumenti proporzionati alle sue dimensioni.
Le prove dinamiche sono state anche inserite nella Normativa per il collaudo della
struttura: le NTC affermano che le prove di collaudo dinamico sono da affiancarsi
a quelle di tipo statico e possono essere eseguite a giudizio del Collaudatore per
infrastrutture di particolare importanza [49]. In particolare, nella normativa si dice,
come già visto, che lo scopo del collaudo dinamico è quello di controllare che “il
periodo fondamentale sperimentabile sia confrontabile con quello previsto in
progetto”, verificando nei fatti solamente che la prima frequenza propria prevista
da calcolo sia confrontabile con quella misurata [53]. Se a valle di un collaudo
dinamico il confronto tra il dato sperimentale e quello numerico evidenzia una
discrepanza significativa tra i due, è necessario interrogarsi sulla buona riuscita
del processo costruttivo, in quanto differenze rilevanti segnalano che la struttura
non è stata realizzata in modo tale da corrispondere alle prescrizioni di progetto.
Nel caso dei ponti, tali prove vengono effettuate al fine di verificare le ipotesi
poste alla base dei calcoli teorici e quindi l’utilizzo dell’opera con richiesti livelli
di sicurezza. I parametri dinamici di una struttura danneggiata derivano da quelli
originali e tali variazioni potranno essere utilizzate come indice di localizzazione
e quantizzazione globale del danno [51]. Le prove dinamiche vengono utilizzate
in genere per il monitoraggio di ponti di grandi dimensioni, sui quali si controllano
alcune fessurazioni e deformazioni dell’impalcato, di viadotti, per i quali spesso
ci si concentra sulle pile e i primi impalcati, e di ponti ferroviari per monitorare
125
INTRODUZIONE ALLE PROVE DINAMICHE
gli allungamenti dei puntoni e la rotazione delle pile e lo stato generale di salute
dell’infrastruttura [54].
Riassumendo, gli utilizzi principali che se ne fanno sono di collaudo della struttura
e di monitoraggio, in particolare per l’individuazione di danni visibili laddove non
sia possibile effettuare un’ispezione visiva ben fatta o di danni non visibili, e per
la valutazione dell’entità di un danno noto.
126
5 IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
Risulta chiaro dunque che le prove dinamiche innanzitutto possono essere
utilizzate per verificare che un’opera sia stata ben realizzata secondo il progetto:
si intuisce che delle prove dinamiche utilizzate in fase di collaudo
permetterebbero di portare alla luce errori in fase costruttiva che implicano non
conformità con il progetto redatto.
In secondo luogo, è evidente che il metodo delle prove dinamiche è adatto anche
per identificare, durante la vita della struttura, dei danni non visibili o per loro
natura o perché non è possibile condurre un’accurata ispezione visiva (a causa per
esempio di un ponte a 100 metri di altezza), e per valutare l’entità di un danno
conosciuto o sconosciuto, in basa a quanto la risposta alle sollecitazioni della
struttura reale differisce da quella che ci si aspetta secondo la teoria.
Per far ciò occorre innanzitutto identificare quali siano i parametri effettivamente
in gioco nel moto vibratorio di una struttura come può essere un ponte e nella
rilevazione dello stesso tramite le prove dinamiche di cui si è illustrato il
funzionamento in precedenza.
127
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
.. .
M⋅u − C ⋅u + K ⋅u =b( t) (4)
struttura significa che è cambiata la rigidezza in qualche sua parte e dunque che
qualche segmento della struttura è danneggiato. Non si vedono infatti altre cause
che possano modificare la matrice K . Pertanto, una prova dinamica eseguita nei
L’equazione (4) tuttavia non considera in alcun modo la resistenza locale della
struttura. Non è quindi possibile garantire che una struttura che non ha subito
variazioni di rigidezza possieda la capacità resistente iniziale. Questo è il limite di
una prova dinamica: permette di escludere tutti i danni che causano una
variazione di rigidezza della struttura, ma non può garantire che la struttura non
128
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
Si vuole ora calare in un contesto concreto quanto appena esposto a livello teorico
per verificare se e in quali casi le prove dinamiche non siano effettivamente il
metodo migliore per rilevare uno stato di degrado.
2
kπ EJ y
ωk = (5)
L m
Dove:
129
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
Dunque nell’equazione (5) una volta fissata la frequenza propria da studiare (k=1)
l’unico parametro a variare è la J: la prima frequenza propria dipende solo dalla J
della struttura, e quindi dalla sua area.
130
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
La corrosione su una trave ina acciaio è il caso di un danno visibile che potrebbe
essere rilevato anche senza bisogna di prove dinamiche, oppure che le necessita
nel caso in cui una buona ispezione visiva non sia possibile a causa delle
condizioni in cui si trova il ponte.
131
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
Dunque, nonostante il danno non sia visibile e lo strallo sia protetto, attraverso lo
studio delle vibrazioni è possibile verificarne non solo lo stato di salute ma anche
come il danno evolve.
132
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
Prima di entrare nello specifico del caso pratico occorre dare un’approfondita
spiegazione della tecnica del calcestruzzo armato precompresso per fissare i
termini del problema.
5.4.1 Definizione
La precompressione è uno stato di auto tensione (nella sezione) indotto da una
distorsione (deformazione non congruente) tra armature e calcestruzzo ad esse
circostante [56] [57] [58] [59].
133
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
tesi, o di cavi disposti all’esterno del getto, fissati alla struttura tramite
deviatori e testate di ancoraggio, post-tesi.
Metodo caratterizzato dal fatto che i trefoli sono tesi prima del getto di
calcestruzzo. I cavi sono ancorati fissi a uno dei cavalletti di ancoraggio della pista
di tensione, e tesi alla forza nominale di tiro all’altra spalla:
134
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
X0 X m (1 − r )
=
εp = (6)
EpAp EpAp
dove:
dell’acciaio;
135
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
Post-tensione
Consiste nel confezionare la trave annegando in essa dei condotti (guaine) nei
quali infilare i cavi a posteriori, una volta avvenuta la maturazione del
calcestruzzo, per metterli in seguito in tensione utilizzando apparecchiature
(martinetti) che premono sulle testate dell’elemento da precomprimere. Durante
la tesatura l’armatura si allunga mentre il calcestruzzo facendo da contrasto al
martinetto, si accorcia. Alla fine di tale processo viene iniettata della malta nelle
guaine per stabilire la congruenza.
136
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
[ X m − ∆X m (z*)] ⋅ (1 − r ) − ε X0
pj (z*)
ε= c (x pj , y
= pj , z*) − εc (x pj , y pj , z*)
E p ⋅ A pj E p ⋅ A pj
(7)
Dove:
∆X m (z*) è la perdita per attrito lungo il cavo valutata tra il martinetto e la sezione
considerata z=z* (le perdite di attrito sono dovute all’attrito che nasce tra il cavo,
che nei tratti curvi insiste sulla superficie corrugata della guaina, e la guaina
stessa. Nei tratti rettilinei non vi dovrebbe essere attrito);
X 0 è il tiro del cavo al martinetto X m depurato delle perdite di attrito fino alla
precompressione e dal peso proprio della trave che normalmente inizia ad agire
durante la fase di tesatura dei cavi.
137
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
138
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
Nel documento analogo dello stato del Minnesota viene individuato un limite di
sforzo in trazione consentito nel calcestruzzo che corrisponde di fatto al limite
rispettato da una precompressione totale e non da una parziale: sebbene non sia
esplicitato il divieto di uso della precompressione parziale, ne è impedito
l’impiego dai limiti di tensioni consentiti [65].
ipotizzano una lettura di fessure da parte delle prove dinamiche nelle strutture in
precompresso anche sotto i carichi di esercizio. Quest’ipotesi non è riscontrabile
139
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
nella realtà, almeno fintanto che i cavi o gran parte di essi è attiva, poiché la
fessurazione nel C.A.P. non è possibile nel caso di precompressione totale sotto
il carico massimo di esercizio e tantomeno sotto i carichi dinamici usati nei test
(nettamente più bassi).
Per l’acciaio si adotta quindi la legge costitutiva lineare riportata in fig. 5.9,
mentre per il calcestruzzo si adotta il diagramma σ-ε lineare di fig. 5.8. A questo
140
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
punto si può affermare che, avendo a che fare con due materiali a comportamento
elastico lineare, la soluzione esiste sempre ed è unica.
141
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
εc (y) = ε z + y ⋅ χ (10)
ε pk = εc (y pk ) + ε pk (12)
Le equazioni (10), (11) e (12) sono legate tra loro mediante le leggi costitutive
illustrate in fig. 5.9 e fig. 5.8: in questo modo si hanno tutti gli elementi necessari
per condurre le verifiche desiderate.
142
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
dove:
Ec = modulo elastico del calcestruzzo ( Ecm secondo Eurocodice 2, funzione
E c ⋅ ∫ y dA c + E p ⋅ ∑ k y pk ⋅ A pk
Ac
E c A c + E p ⋅ ∑ k A pk
Se si tiene presente che normalmente l’area dei cavi non supera l’1% dell’area
della sezione geometrica, è evidente che l’espressione di yG corrisponde con
143
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
Per essa l’area dei cavi (integri) è 0.81% dell’area della sezione geometrica. Se la
riduzione della sezione resistente dei cavi è omogenea e pari al 25% (area ridotta
= 0.39 cm2), la posizione di yG passa da yG = 57.04 [cm] a yG = 57.28 [cm], con
una variazione di 0,24 [cm] su un’altezza della trave di 110 [cm]. Altrettanto Ei J i
144
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
differenze misurabili, almeno fintanto che non si arrivi alla parzializzazione della
sezione.
Constatato che riducendo l’area dei cavi la rigidezza non diminuisce, si vuole ora
valutare la capacità resistente residua. Nel caso di sezione rettangolare ciò si può
fare scrivendo l’equilibrio alla traslazione come [60]:
in cui:
Dalla (14) si può notare che se l’area del cavo è ridotta del 25%, il termine Ap
diventa 0,75Ap. Dunque, la risultante delle trazioni della trave danneggiata è il
75% rispetto a quella sana e, per l’equilibrio alla traslazione, così sarà anche per
la risultante delle compressioni. Essendo il momento resistente forza*braccio,
anche questo sarà ridotto approssimativamente (in genere il braccio della coppia
interna subisce una variazione non trascurabile) del 25%. Riducendo la
precompressione cambia la posizione dell’asse neutro, e quindi il braccio varia:
questo spiega la variazione di capacità resistente leggermente discostata dalla
variazione dell’area reagente.
145
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
− E p ⋅ ∑ k ε pk ⋅ Apk M − E p ⋅ ∑ k ε pk ⋅ ( y pk − yG ) Apk
ε c ( yi ) = ε c ( y − yG ) = + ( y − yG )
( Ec Ac + E p ⋅ ∑ k Apk ) ( Ec ⋅ ∫ ( y − yG ) 2 dAc + E p ⋅ ∑ ( y pk − yG ) 2 ⋅ Apk
k
Ac
(15)
dove ε c indica la deformazione del calcestruzzo al bordo più teso. Inoltre, per il
146
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
Dunque, nel caso di trave con cavi corrosi il numeratore cambia del 25%, e quindi
quando il valore della compressione tende a zero effettivamente si ha una
riduzione del valore della deformazione rispetto al caso di trave integra pari al
25% e quindi praticamente proporzionale alla riduzione del momento di
decompressione visto in precedenza, tale per cui la sezione si parzializza. In
sostanza, nel caso di trave danneggiata per corrosione dei cavi non solo la sezione
si parzializza per un valore critico di sollecitazione minore del 25% rispetto alla
trave sana, ma in quello stesso momento presenterà anche una deformazione
minore del 25% rispetto alla deformazione che caratterizza la sezione della trave
integra nel momento in cui si parzializza.
147
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
fig. 5.11 le caratteristiche geometriche delle travi AASHTO utilizzate negli Stati Uniti, secondo il Precast/Prestressed
Concrete Institute
148
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
fig. 5.12 trave AASHTO type III utilizzata nella pubblicazione citata, con le misure in millimetri
149
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
DATI
Area calcestruzzo 3615 cm2
Numero trefoli 34
Diametro nominale trefolo ½”
Area nominale trefolo 0.93 cm2
Area totale acciaio 31.62 cm2
Classe cls C50
Ecm 37 GPa
Es 195 GPa
m (Es/Ecm) 5,3
150
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
Per la realizzazione dell’impalcato sono state affiancate, con interasse di 170 [cm]
sette travi AASHTO per una larghezza totale dell’impalcato di 13.2 [m] (larghezza
più comune utilizzata in Italia, che permette un metro per lato di barriere di
sicurezza). La lunghezza totale delle travi è di 20.6 [m] così da avere una luce di
calcolo dell’impalcato è pari a 20 [m]. Per la realizzazione sono stati pensati tre
traversi, due in testata ed uno in mezzeria. Di seguito sono riportate, con le misure
espresse in [cm], la sezione longitudinale dell’impalcato (fig. 5.15) e quella
trasversale (fig. 5.14) per chiudere il quadro dei dati della struttura.
Per mostrare come variano resistenza e rigidezza in questo caso reale a seguito di
una perdita di tensione dei cavi, occorre cominciare ricordando che, come
spiegato in fondo al precedente paragrafo, i carichi variabili su un ponte
normalmente sono molto inferiori ai carichi massimi in esercizio, e gli stessi
carichi usati come eccitatori per le prove dinamiche sono sempre molto inferiori
ai carichi massimi in esercizio. Se il ponte arriva a fessurazione non sarà certo
151
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
solamente a causa del camion che passa poiché gran parte del carico
effettivamente agente sulla struttura consta nel peso proprio della struttura stessa.
Per questo motivo per fare un’analisi accurata, occorre prima di tutto fare un
calcolo di quali siano effettivamente i carichi agenti su di una singola trave
AASHTO, comprendendo i permanenti (struttura composta di trave, impalcato e
traverso) e i permanenti portati (le finiture). Il camion che passa, come visto anche
nel capitolo 0 in diversi esempi di collassi realmente accaduti, è solamente la
cosiddetta goccia che fa traboccare il vaso. Siccome si fessura per il peso proprio,
è dunque necessario calcolare i pesi agenti sulla singola trave.
fig. 5.16 le due condizioni di carico riguardanti una trave tipo del ponte in questione
152
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
TRAVE:
Area trave * densità calcestruzzo
0,3615 m2 * 2500 kg/m3 = 903,75 kg/m peso lineare della trave
IMPALCATO:
Area impalcato agente su una trave (0,24 m * 1,7 m) * densità calcestruzzo
0,408 m2 * 2500 kg/m3 = 1020 kg/m peso lineare dell’impalcato
TRAVERSO:
Area traverso agente su una trave (0,965 m * 1,7 m) * densità calcestruzzo
1,3787 m2 * 2500 kg/m3 = 3446,7 kg/m peso lineare traverso, ma essendo di
larghezza 30 cm (infatti è un carico concentrato) procedo con il calcolo del peso
esatto:
3446,7 kg/m * 0,3 m = 1034,01 kg peso del traverso gravante su una trave
FINITURE:
peso stimato finiture (da norma) * larghezza agente su una trave
300 kg/m3 * 1,7 m = 510 kg/m peso lineare delle finiture
153
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
Proseguendo, come detto si vuole valutare cosa succede in una singola trave a
livello di rigidezza flessionale nel caso di corrosione dei cavi, e dunque risulta
necessario calcolare il momento flettente agente sulla trave:
CARICHI PERMANENTI
REAZIONI VINCOLARI (equilibrio verticale):
19237,5 N/m * 20 m + 10340,1 N = Ry
Ry = 395090,1 N
Ry/2 = 197,55 KN singola reazione vincolare
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IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
J
Percentuale yy
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IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
fig. 5.18 la configurazione della deformata nei casi 1,2,3 e 4. Si nota come la sezione proceda e arrivi a parzializzazione
156
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
fig. 5.19 configurazione deformata della sezione per il caso 3. Nella vista di profilo si nota come la
parzializzazione sia ad un passo
157
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
fig. 5.20 le riduzioni dell’area dei cavi e del carico critico col progredire della corrosione dei cavi di precompressione
Riduzioni percentuali
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
caso 0 caso 1 caso 2 caso 3 caso 4 caso 5
158
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
Si può dunque affermare che la rilevazione del danno non è più progressiva come
nei casi uno e due ma improvvisa, come testimoniato dai grafici nelle figure
precedenti: la Jyy fino alla parzializzazione praticamente non cambio, per poi avere
un picco, mentre nello stesso periodo la capacità resistente è diminuita
spaventosamente (41%). Se la sezione si fessura significa che il danno è così
elevato da rendere sufficiente il peso proprio della struttura per superare il limite
di esercizio della stessa, e dunque la situazione è molto critica.
Alle due travi analizzate all’inizio del paragrafo 5.4.4, per esempio, è assegnata
una certa resistenza della sezione di progetto, con i cavi dimensionati per arrivare
allo snervamento. La trave con area di armatura ridotta non arriverà allo
snervamento: la struttura si romperà prima del previsto (se la distorsione impressa
è la medesima, non ci sarà perdita di tensione dei cavi poiché sotto lo stesso carico
il 75% rimasto di armatura lavora di più, facendo anche il lavoro di quel 25% che
non c’è più). La rottura sarà inaspettata poiché ne è stata ridotta la resistenza ma
non la rigidezza e la prova dinamica non è in grado di rilevare questa tipologia di
danno: si romperà senza preavviso poiché sta lavorando come previsto.
159
IL LIMITE DI UNA PROVA DINAMICA
questo rischio poiché non si arriva a parzializzare la sezione, quindi quella che si
vede è una sezione solida, monolitica, come quella precedente, ma che in realtà
ha perso il gran parte della capacità resistente. In questo caso dunque il metodo
delle prove dinamiche non è efficace, poiché non registra il danno (in realtà
piccole fessure si creano quando i cavi sono solo parzialmente danneggiati, ma
queste si aprono e chiudono al passaggio di mezzi e non danno quindi
significative variazioni di frequenza [72]).
Per quanto appena esposto è chiaro che la prova dinamica può essere funzionale,
oltre che per il collaudo della struttura, per l’individuazione di quei danni che per
i quali varia la rigidezza, come quelli esposti nel primo e secondo caso di questo
capitolo (paragrafi 5.2 e 5.3), e per valutare lo stato di avanzamento di un danno
che si sa già esserci (laddove le prove sono utili, ovvero per danni che coinvolgono
la rigidezza, si potrebbe addirittura monitorare in continuo il ponte usando il
carico del traffico per verificare le vibrazione e come queste cambiano nel tempo).
La prova dinamica può essere utilizzata certamente anche per casi uguali o simili
all’ultimo esposto (es. ponte con stralli realizzati in C.A.P.), ma occorre essere
coscienti che in quel caso una variazione di rigidezza rilevata dalle prove ha un
significato ben diverso e ben più grave che in altri casi, per il quale occorre
chiudere immediatamente la struttura e procedere al più presto con il suo
risanamento.
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6 CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI
Il primo risultato significativo di questo elaborato deriva dallo studio portato
avanti nel Capitolo 0 riguardante la classificazione dei danni e degradi, necessaria
per inquadrare adeguatamente il problema, che ha evidenziato come la maggior
parte dei collassi o comunque dei processi di degrado siano evitabili: fatte salve
catastrofi naturali e incidenti imprevisti, cause che ricoprono una bassa
percentuali del totale dei problemi, una buona manutenzione e un’accurata
gestione dell’infrastruttura sono in grado di evitare problemi alla stessa o di far
intervenire per tempo in presenza di problematiche di varia natura.
L’analisi dei danni e dei processi di degrado ha evidenziato inoltre come non tutti
i danni siano rilevabili tramite un’attenta ispezione visiva, e come allo stesso
tempo la stessa ispezione visiva non sia sempre facilmente conducibile: ci sono
casi in cui occorre utilizzare delle tecniche alternative all’ispezione visiva per
l’individuazione di danni e il monitoraggio dello stato di salute dei ponti. Si è
entrati quindi nel dettaglio di quale parametro rilevano le prove dinamiche,
evidenziando in modi diversi che esse rilevano solamente una variazione di
rigidezza della struttura.
Questa passaggio fondamentale sottolinea come queste prove non possano avere
l’ultima parola sullo stato di salute di una struttura, poiché una riduzione della
capacità resistente non implica sempre una variazione di rigidezza: un esito
positivo delle prove dinamiche permette di escludere tutti quei danni che
modificano la rigidezza della struttura, ma non permette sempre di affermare al
100% che la struttura sia sana in quanto possono esserci danni che si
“nascondono” alle prove dinamiche, ovvero che fanno variare solamente la
capacità resistente. Tuttavia, è sempre vero il contrario: se si verifica una
variazione di rigidezza significa che c’è un danno, che evidentemente è causa di
una diminuzione della capacità resistente.
161
CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI
Dunque è chiaro che la prova dinamica può essere funzionale, oltre che per il
collaudo della struttura come previsto da normativa, per l’individuazione di quei
162
CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI
danni che per i quali varia la rigidezza, come quelli esposti nel primo e secondo
caso del Capitolo 5, e per valutare lo stato di avanzamento di un danno che si sa
già esserci (laddove le prove sono utili, ovvero per danni che coinvolgono la
rigidezza, si potrebbe addirittura monitorare in continuo il ponte usando il carico
del traffico per verificare le vibrazione e come queste cambiano nel tempo). La
possibilità di definire la rapidità con cui avviene la progressione del danno e il
rilevamento di quanto è cambiata la sezione, rende possibile valutare l’urgenza
ed i tempi di intervento, in quanto possono far capire se il danno è molto avanzato
o se c’è il tempo di intervenire con calma.
La prova dinamica può essere utilizzata certamente anche per casi uguali o simili
all’ultimo esposto (es. ponte con stralli realizzati in C.A.P.), ma occorre essere
coscienti che in quel caso una variazione di rigidezza rilevata dalle prove ha un
significato ben diverso e ben più grave che in altri casi, per il quale occorre
chiudere immediatamente la struttura e procedere al più presto con il suo
risanamento. In generale, i risultati ottenuti evidenziano come prima di effettuare
una prova dinamica sia necessario essere coscienti dei parametri che registrano
tali prove e quindi dei danni che è possibile escludere con queste prove.
Infine, avendo escluso l’utilità delle prove dinamiche per la rilevazione di alcuni
danni, si potrebbe indicare delle possibili alternative e valutarne l’efficacia. Nel
caso del C.A.P. una possibile soluzione da studiare e verificare è la valutazione
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CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI
della resistenza elettrica dei cavi: se cambia la sezione del cavo cambia la sua
resistenza elettrica.
164
165
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Bibliografia
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strutturali» Seminario Eucentre - Mantova, 2017.
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