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I Introduzione 9
1 Presentazione dell’autore 11
3
Indice 4
4 Astrometria 35
4.1 Parallasse stellare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
4.2 Aberrazione stellare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
4.3 Rifrazione atmosferica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
4.4 Potere risolutivo occhio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
4.5 Velocità radiali: effetto Doppler . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
IV Cenni planetologia 83
8 Sistema Solare 85
8.1 Il Sole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
8.1.1 Struttura interna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
8.1.2 Tabella con parametri fisici del Sole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
8.2 I pianeti rocciosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
8.2.1 Venere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
8.2.2 Terra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
8.2.3 Marte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
8.3 Fascia principale asteriodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
8.3.1 Cerere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
8.4 I pianeti gassosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
8.4.1 Giove . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
8.4.2 Saturno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
8.4.3 Urano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
8.4.4 Nettuno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
8.5 Fascia di Kuiper . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
8.5.1 Plutone e Caronte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
8.5.2 Haumea e Makemake . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94
8.6 Disco diffuso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94
Indice 6
8.6.1 Eris . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94
8.7 Nube di Oort . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
8.7.1 Sedna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
8.8 Comete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
8.9 Tabella riassuntiva con parametri fisici dei pianeti . . . . . . . . . . . . . . . 96
8.10 Legge di Titius-Bode . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96
9 Pianeti extrasolari 99
9.0.1 Cenni storici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
9.0.2 Metodologie per la scoperta di pianeti extrasolari . . . . . . . . . . . 100
V Gravitazione 103
10 Legge di Gravitazione Universale 105
VI Appendici 119
14 Teorema del viriale 121
Introduzione
9
Capitolo 1
Presentazione dell’autore
Il seguente documento è stato realizzato con lo scopo di raccogliere e integrare i materiali del
corso di Fondamenti di Astronomia e Astrofisica presso l’Unisalento, tenuto dal Prof.
Franesco De Paolis, per gli studenti del terzo anno di Fisica.
Il materiale di base è fornito dalle slide del corso, a cui ho aggiunto parti mie e prese da
altre fonti, elencate in bibliografia.
Nel seguente documento ho cercato tuttavia di valorizzare anche l’aspetto più propriamente
storico-divulgativo. Pertanto ne posso raccomandare la lettura a chiunque voglia avvicinarsi
all’Astronomia e all’Astrofisica, nonché agli studenti delle scuole superiori che, se ignorano i
passaggi matematici più complessi, possono trovarne utilità nella preparazione delle Olimpiadi
Italiani di Astronomia, organizzate annualmente dall’INAF, MIUR e SAIt, a cui ho io stesso
partecipato.
Per correzioni, aiuti e materiale aggiuntivo mi si può contattare secondo le modalità illustrate
sul mio sito Web, gvdnowadays.home.blog, dove per i più interessati si discutono, tra le altre
cose, alcune tematiche associate alla disciplina astronomica.
11
Capitolo 1. Presentazione dell’autore 12
Capitolo 2
2.1 Definizione
L’astronomia è la scienza che studia la posizione, le caratteristiche dinamiche, chimiche e
fisiche degli oggetti celesti e dell’Universo nel suo insieme.
Astronomi e Astrofisici sfruttano l’Universo come un vero e proprio laboratorio di fisica,
perché in esso hanno luogo fenomeni estremi e si verificano condizioni fisiche spesso non
riproducibili nei normali laboratori terrestri.
Le indagini dell’Astrofisico sono condotte usando i metodi delle scienze sperimentali, con
esperimenti riproducibili ed osservazioni ripetibili. Questo lavoro sfrutta non solo tutte le
attuali conoscenze della Fisica e della Matematica, ma anche molte nozioni di Chimica,
Geologia, e Biologia. Tecniche avanzate di Ingegneria (soprattutto meccanica, elettronica,
ottica, computazionale) e sofisticate procedure Statistiche e Informatiche di analisi dati
sono ampiamente utilizzate dall’Astrofisico nel suo sforzo di comprensione dell’universo.
L’indagine astrofisica stimola anche lo sviluppo tecnologico: per questo in ogni istituto di
ricerca astronomica esistono laboratori avanzati dove gli studenti imparano ad utilizzare le
tecnologie più moderne, spesso in contatto con industrie esterne.
13
Capitolo 2. Che cos’è l’Astronomia? 14
e di altri monumenti allineati secondo la posizione delle stelle, presenta come punto di forza
il calendario. Il trascorrere della vita in Egitto era fortemente legato a quella del fiume Nilo
e delle sue periodiche alluvioni, le quali avvenivano con una certa costanza, in genere ogni
11 o 13 lunazioni. Gli egiziani si accorsero che l’inizio delle inondazioni avveniva quando si
alzava nel cielo la stella Sirio ("Sopdet" per gli egizi) con un errore di 3-4 giorni al massimo.
Con questo riferimento sorsero diversi calendari, il primo era il "calendario lunare" di 354
giorni con mesi di 29 o 30 giorni. Ma nel tempo si notarono errori di calcolo, così ne fu
introdotto un secondo definito "calendario civile" di 365 giorni, con 30 giorni ogni mese e
5 epagomeni ogni anno. Ma anche questo calendario mostrava qualche differenza con la
realtà. Così fu introdotto un "ultimo calendario" ancora più preciso. Questo calendario,
estremamente preciso, venne utilizzato anche da Tolomeo nel II secolo d.C. e venne preso
in considerazione sino ai tempi di Niccolò Copernico. Da ricordare che i mesi di 30 giorni
erano divisi in settimane di 10 giorni e in 3 stagioni di 4 mesi detti: mesi dell’inondazione,
mesi della germinazione, mesi del raccolto. Già dal 3000 a.C. gli egizi avevano in uso la
divisione delle ore (immaginate come divinità) diurne e notturne in dodici parti ciascuna:
per le ore diurne usavano regolare il tempo con le meridiane, mentre per le ore notturne si
servivano di un orologio stellare, ovvero osservavano le posizioni di 24 stelle brillanti. Le ore
così misurate sia di giorno che di notte avevano una durata diversa a seconda della stagione,
mantenendo comunque una durata media di 60 minuti. Successivamente, per le ore notturne
vennero introdotti i "decani", ovvero 36 stelle poste in una fascia a sud dell’eclittica, ognuna
delle quali indicava con maggior precisione l’orario.
Figure 2.3: Con considerazioni geometriche, Eratostene ottenne una buona stima delle
dimensioni della Terra.
l’ipotesi semplificata che fossero sullo stesso meridiano (in realtà sono separate da 3◦ di
longitudine), si misura dapprima la distanza tra le due città, ponendo concettualmente i
raggi solari paralleli tra loro: questa situazione è possibile in alcuni giorni dell’anno; il
giorno del solstizio d’estate, infatti, a Siene (assunta ipoteticamente sul Tropico del Cancro)
il Sole è allo zenit e i raggi risultano verticali, mentre ad Alessandria formano un certo
angolo: questo angolo corrisponde all’angolo posto ipoteticamente al centro della Terra tra
le rette che congiungono le due città. Il suo valore era di 1/50 di angolo giro (ancora i gradi
sessagesimali non erano stati ufficialmente introdotti), che equivaleva a 250.000 stadi, ossia
a 39.400 km (contro i circa 40.000 reali).
Allo scopo di descrivere con precisione il moto della Terra e degli altri pianeti, Apollonio
di Perga (262 a.C. 190 a.C.) introdusse il sistema degli epicicli e dei deferenti, una
Capitolo 2. Che cos’è l’Astronomia? 18
2.2.4 Medioevo
Durante il Medioevo, nel mondo occidentale l’astronomia faceva parte del corso ordinario di
studi (nel cosiddetto quadrivio): si vedano, ad esempio, le notevoli conoscenze astronomiche
19 2.2. Cenni storici: l’astronomia antica
che esprime un poeta come Dante, nella Divina Commedia. Nel XIII secolo, Guido Bonatti
si attribuiva il merito di aver "individuato 700 stelle, delle quali, fino ad allora, non si
aveva avuta ancora conoscenza". Ciò indica un forte interesse per l’osservazione diretta e
per il progresso delle conoscenze. Dall’Islanda dell’XI secolo ci è giunto l’Oddatala di Oddi
Helgason, l’opera di un contadino che, avvalendosi della navigazione vichinga come mezzo
di orientamento, calcolò le varie posizioni del sole durante l’anno, così come le date esatte
dei solstizi.
L’arrivo degli Arabi nel sud dell’Europa, in particolare in Spagna e in Sicilia, determinò il
mantenimento di una fiorente cultura astronomica che avrebbe influenzato le future generazioni
di intellettuali; basti pensare che buona parte dei nomi delle stelle (Deneb, Altair, Betelgeuse,
Aldebaran, Rigel ecc.) e alcuni termini astronomici (Zenit, Nadir, almanacco, algoritmo,
algebra, ecc.) hanno un’origine araba.
Valenti astronomi hanno reso possibile il fiorire di questa cultura del cielo: da Yaqb ibn
Triq (noto per aver misurato la distanza e il diametro di Giove e Saturno), Muammad ibn
Ms al-Khwrizm (padre dell’algebra, formulò una teoria per la costruzione di meridiane e
quadranti astronomici), Habash al-Hasib al-Marwazi (perfezionò le misure e le dimensioni
di Terra, Sole e Luna), al-Farghn (latinizzato in Alfraganus), al-Hasan ibn al-Haytham
(latinizzato in Alhazen), da al-Brn a Ibn Ynus, da Abu l-Waf a Omar Khayym (la cui fama di
poeta oscurò quella per cui fra i musulmani era assai più apprezzato, quella cioè di astronomo
e di matematico). Abd al-Rahmn al-Sfi fu il primo a catalogare la galassia di Andromeda,
descrivendola come una "piccola nube" e a scoprire la Grande Nube di Magellano.
Al-Battani (latinizzato in Albategnius), attivo al Cairo, fu il più grande astronomo arabo,
autore di misurazioni che migliorarono la conoscenza dell’inclinazione dell’asse terrestre.L’andaluso
Ibn Rushd, detto Averroè, criticò apertamente la teoria degli epicicli, sostenendo l’irrealtà
dei cerchi eccentrici e dei deferenti assieme a tanti altri scienziati come Alhazen e al-Brn.
Bisogna anche ricordare il fatto che furono gli scienziati arabi i sostenitori di ciò che oggi
chiamiamo il metodo scientifico o galileiano di dimostrare la validità delle affermazioni
scientifiche.
i confini del sistema tolemaico, allora limitato a un numero finito di orbite o sfere celesti
visibili dalla Terra e ruotanti attorno a questa: per Bruno adesso il massimo orizzonte
visibile dell’universo non costituiva più il suo limite estremo, perché oltre di esso occorreva
ammettere, per mezzo della speculazione filosofica, la presenza di innumerevoli altri pianeti
e cieli motori.
Tycho Brahe è considerato tra i più grandi osservatori del passato. All’età di 30 anni
ottenne dal re di Danimarca la concessione dell’isolotto di Hveen, dove avrebbe costruito
"Uraniborg", l’osservatorio più importante dell’epoca. A seguito del passaggio di due comete
nel 1577 e nel 1583 dedusse che questi corpi, tanto variabili, si trovassero oltre l’orbita lunare;
cominciava quindi a cadere l’idea delle sfere associate al Sole, alla Luna e ai pianeti, come
pensava Aristotele, così come cominciava a cadere l’idea dell’immutabilità del cielo stellato.
La fama di Brahe non è legata solo a queste considerazioni, ma soprattutto alle precise
osservazioni effettuate con strumenti da lui stesso realizzati. Brahe determinò con precisione
la lunghezza dell’anno terrestre, riscontrando l’accumulo di errori dal passato, tanto da
rendere inevitabile la riforma del calendario. Riuscì poi a stabilire con una precisione mai
raggiunta: l’obliquità dell’eclittica, l’eccentricità dell’orbita terrestre, l’inclinazione del piano
dell’orbita lunare e l’esatta misura della retrogradazione dei nodi, scoprendo la non costanza
del moto. Infine, compilò il primo catalogo moderno di posizioni stellari con oltre 1000 stelle.
21 2.2. Cenni storici: l’astronomia antica
Giovanni Keplero nel 1600 andò a Praga a lavorare come assistente di Brahe, e due anni
dopo venne nominato suo successore. Utilizzò le osservazioni di Brahe e in particolare,
studiando l’orbita di Marte, si accorse dell’esistenza di incongruenze tra teoria e pratica;
provando e riprovando, Keplero capì che per limitare gli errori di calcolo l’unico modello che
potesse spiegare il moto fosse quello ellittico, con il Sole in uno dei fuochi. Con tale deduzione
Keplero gettò le basi della meccanica celeste; le tre leggi di Keplero infatti, furono una vera
e propria rivoluzione, abbattendo l’ultima barriera ideologica alla radicata convinzione dei
moti uniformi e circolari delle orbite dei pianeti. Nel 1609, Galileo Galilei venne a sapere
23
Capitolo 3
Coordinate astronomiche
Per effetto del moto di rotazione della Terra intorno al proprio asse, la sfera celeste sembra
ruotare intorno ad un asse detto asse celeste, proiezione dell’asse terrestre, che interseca la
sfera celeste in due punti detti poli celeste nord e polo celeste sud. I poli celesti sono gli
unici due punti della sfera celeste che restano immobili durante il moto diurno.
25
Capitolo 3. Coordinate astronomiche 26
3.2 Le costellazioni
Una costellazione è un gruppo di stelle che formano una linea o una figura immaginaria sulla
sfera celeste. Tipicamente rappresenta un animale, una persona mitologica o una creatura,
un dio o un oggetto inanimato. L’Unione Astronomica Internazionale (UAI) divide il cielo
in 88 costellazioni dai confini precisi in modo tale che ciascun punto del cielo appartenga
a una sola costellazione. Le costellazioni visibili dalle latitudini settentrionali sono basate
principalmente su quelle della tradizione dell’Antica Grecia, e i loro nomi richiamano figure
mitologiche come Pegaso o Ercole; quelle visibili dall’emisfero australe sono state invece
battezzate in età illuministica e i loro nomi sono spesso legati a invenzioni del tempo, come
l’Orologio o il Microscopio. Le costellazioni che intersecano l’eclittica sono dette zodiacali.
Esse sono tradizionalmente 12, ma osservando bene la disposizione delle costellazioni nel
cielo se ne deve contare una in più, quella dell’Ofiuco, che porta il numero delle costellazioni
zodiacali a 13.
Figure 3.2: Mappa stellare, con ben indicate le 88 costellazioni e relativi confini.
• La latitudine, che da la distanza angolare tra il parallelo per il punto dato e il cerchio
massimo di riferimento;
Coordinate galattiche
• La longitudine (I) viene misurata sull’equatore galattico partendo dalla direzione del
centro galattico e procedendo in senso antiorario per un osservatore che ha la testa in
direzione del polo nord galattico.
3.4.2 Nutazioni
Le nutazioni sono perturbazioni del moto di precessione dell’asse di periodo di circa 18,6
anni. Queste perturbazioni sono dovute al cambiamento della distanza Terra-Luna, che non
si mantiene costante sia poiché i due corpi si muovono su orbite ellittiche, sia a causa del
moto di regressione della linea dei nodi (il cui periodo è proprio 18,6 anni). Le nutazioni
fanno sì che l’asse terrestre, anziché descrivere coni circolari, si muova lungo coni leggermente
ondulati.
Piena Nuova
3.6 Il Tempo
3.6.1 Unità di misura
Nel 1925 fu introdotto il TU e l’unità di misura del tempo. Il secondo fu definito come la
1/86400 parte del giorno solare medio. Questa definizione si rivelò insufficiente poiché anche
il giorno solare medio mostra delle irregolarità dovute al moro di rotazione della Terra. Nel
1960 si defini il secondo come la 1/31556925.5477 parte dell’anno tropico 1900 (Tempo delle
Effemeridi (TE)).
Nel 1968 anche il TE venne abbandonate per problemi con la sua determinazione e la misura
del tempo venne sostituita dal Tempo Atomico Internazionale(TAI): "il secondo è la durata
di 9192631770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione fra due livelli iperfini
33 3.7. Eclissi
3.6.2 L’anno
Si definisce anno siderale il tempo necessario alla Terra per compiere una rivoluzione
completa intorno al Sole rispetto alle stelle fisse. In altre parole, dopo un anno siderale il
Sole torna ad essere visto dalla Terra nella stessa posizione rispetto alle stelle fisse. Un anno
siderale dura, in giorni solari medi, 365d 06h 09m 095.5s circa.
Si definisce anno tropico l’intervallo di tempo tra due successivi equinozi di primavera.
Dal punto di vista dell’osservatore terrestre, dopo un anno tropico il Sole si ritrova al punto
d’Ariete. L’anno tropico coinciderebbe con quello siderale se non esistessero delle irregolarità
del moto della Terra, la più importante delle quali è il moto di precessione. La sua durata
in giorni solari medi è di 365d 05h 48m 45.2s circa.
Si definisce allora anno anomalistico l’intervallo tra due successivi passaggi della Terra al
perielio. Esso ha una durata di circa 365 06 13m 53.11s. Il nome anomalistico deriva
dal fatto che l’angolo n tra il raggio vettore e la direzione del perielio si chiama anomalia, e
quindi l’anno anomalistico è il tempo che occorre alla Terra per avere nuovamente la stessa
anomalia. A causa delle azioni perturbative degli altri pianeti del Sistema Solare. Pertanto
l’orbita terrestre non è chiusa e la linea degli absidi, congiungente afelio e perlelio ruota
lentamente sul piano dell’eclittica in senso concorde con il moto della Terra facendo spostare
questi punti di circa 10-11,3 s ogni anno. Perciò, per tornare al perielio, la Terra dovrà
percorrere quest’ulteriore arco di orbita, cosa che fa in circa 4m 435,5.
3.7 Eclissi
Il piano dell’orbita lunare forma con quello dell’orbita terrestre circa 5◦ . Ci sono quindi 2
punti di intersezione detti nodi; la linea che li unisce è detta linea dei nodi.
La Terra e la Luna, essendo pressoché sferiche, quando vengono investite da un fascio di
luce, producono un cono d’ombra. Quando uno di questi corpi celesti entra nel cono d’ombra
dell’altro, si verifica un’eclissi. Le eclissi si verificano solo quando:
Figure 3.9: Vari tipi di eclissi con le posizioni reciproche di Sole, Terra e Luna.
L’eclissi di Sole si verifica quando la Luna, nella fase di novilunio, transita davanti al Sole: in
questo caso il cono d’ombra è molto piccolo e solo nelle zone attraversate da esso è possibile
osservare il fenomeno nella sua completezza (eclissi totale). Se la Luna è in apogeo si hanno
delle eclissi anulari.
Capitolo 4
Astrometria
35
Capitolo 4. Astrometria 36
Figure 4.2: Il classico esempio per spiegare l’abberazione stellare: A chi non è mai capitato di dover fare i
conti con la fretta in una giornata piovosa? Se non siete tra i fortunati che non sanno di cosa stia parlando,
certamente avrete ben presente che, per evitare di bagnarsi più del necessario, si è costretti ad inclinare in
avanti lombrello. E quanto più si allunga il passo, tanto più lombrello deve essere abbassato. La faccenda
si può spiegare ricorrendo alla composizione del moto: le gocce dacqua scendono verticalmente (evitiamo di
complicarci la vita con la presenza del vento) ed i malcapitati passanti si muovono orizzontalmente. Per chi
sta reggendo lombrello il risultato è che le gocce di pioggia sembrano provenire da una direzione obliqua.
Una cosa molto simile capita allosservatore terrestre che guarda le stelle in cielo. Anche in questo caso
possiamo identificare un moto verticale (quello della luce che ci proviene dalle stelle) ed un moto orizzontale
(quello della Terra che sta orbitando intorno al Sole). Dato che abbiamo a che fare con la luce, la teoria
della relatività ci dice che non possiamo applicare le regole classiche di composizione del moto, ma questo
non impedisce che, se vogliamo osservare una stella, dobbiamo comunque inclinare il nostro telescopio. In
queste pagine considereremo solo lapprossimazione newtoniana al problema, escludendo le complicazioni
relativistiche.
Nel 1725 Bradley scoprì l’effetto dell’aberrazione della luce mentre cercava di misurare
la parallasse della stella δ Draconis. Tanto l’aberrazione che la parallasse determinano lo
spostamento apparente delle stelle sulla sfera celeste rispetto alla posizione reale e sono
dovuti al moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole. Ma, mentre la parallasse dipende
dalla distanza della stella che osserviamo, l’aberrazione è identica per tutte le stelle.
Posto δ = θ − γ
n0 sin γ = sin δ + γ = sin δ cos γ + sin γ cos δ
da cui isolando δ
δ = (n0 − 1) tan γ (4.3.3)
Questo è l’angolo con cui la luce arriva all’osservatore dopo aver attraversato l’atmosfera. La
rifrazione atmosferica è molto maggiore per gli oggetti vicino all’orizzonte che per gli oggetti
più vicini allo zenit . Quindi, per limitare gli effetti, gli astronomi programmano il più
possibile le osservazioni degli oggetti nel punto più alto della loro traiettoria nel cielo. Allo
stesso modo, per guida, i marinai non mirano a stelle vicine all’orizzonte, ma solo a stelle di
almeno 20◦ sopra. Se le osservazioni vicino all’orizzonte non possono essere evitate, è possibile
su alcuni strumenti ottici compensare gli spostamenti dovuti alla rifrazione atmosferica
nonché gli effetti della dispersione. Da notare che n0 dipende anche dalla pressione e
dalla temperatura atmosferica: i sistemi che consentono di compensare correttamente tutti
gli effetti sono tecnologicamente complicati e spesso proibitivi. Il problema è ancora più
complicato quando la rifrazione atmosferica non è omogenea, in particolare quando c’è
turbolenza nell’aria. Questa turbolenza è all’origine del fenomeno della scintillazione
stellare, ovvero la rapida variazione di luminosità di un astro se osservato ad occhio nudo.
39 4.4. Potere risolutivo occhio
dove ν è la normale al fronte d’onda. La relatività speciale prevede sia un effetto Doppler
radiale che uno trasverso (quando ν è ortogonale a V), non presente nel caso classico. entra
in gioco tutta la velocità, non solo quella radiale. Dopo semplici passaggi si ricava che
λO 1 + β cos α λO − λ 1 + β cos α
= −1 + p 1+z =1+ = p (4.5.6)
λS 1 − β2 λ 1 − β2
Figure 4.5: Illustrazione schematica dello spostamento delle righe spettrali dovuto all’effetto
Doppler
Parte III
Oggetti astronomici
41
Capitolo 5
Le stelle
2hν 3 1
B(ν, T ) = 2 hν/kT (5.1.1)
c e −1
2hc2 /λ5
Bλ (T ) = (5.1.2)
ehν/λkT − 1
dove h costante di Planck e k costante di Boltzmann
43
Capitolo 5. Le stelle 44
B(T ) = σT 4 (5.1.3)
L = 4πR2 σT 4 (5.1.4)
5.2 Magnitudini
5.2.1 Scala di Ipparco
La scala con cui sono misurate le magnitudini affonda le sue radici nella pratica ellenistica
di dividere le stelle visibili a occhio nudo in sei magnitudini. Le stelle più luminose erano
dette di prima magnitudine (m = +1), quelle brillanti la metà di queste erano di seconda
magnitudine, e così via fino alla sesta magnitudine (m = +6), al limite della visione umana a
occhio nudo (senza un telescopio o altri aiuti ottici). Questo metodo puramente empirico di
indicare la luminosità delle stelle fu reso popolare da Tolomeo nel suo Almagesto, e si pensa
che sia stato inventato da Ipparco. Il sistema prendeva in considerazione solo le stelle, e
non considerava la Luna, il Sole o altri oggetti celesti non stellari
4πR2 F (λ)
f=
4πd2
in cui il numeratore è la luminosità dell’astro a quella lunhezza d’onda. Tenendo conto della
legge di Pogson e esprimendo d in parsec:
L(λ)
M = k − 2.5 log (5.2.6)
4π102
L(λ)
m = k − 2.5 log = k − 2.5 log L(λ) + 5 log 4πd
4πd2
L(λ)
M = k − 2.5 log = k − 2.5 log L(λ) + 5 log 4π10
4π102
Sottraendo membro a membro e semplificando si ricava
m − M = 5 log(d(pc)) − 5 (5.2.7)
Il colore di una stella è misurato confrontando la sua luminosità in una differenti bande dello
spettro elettromagnetico, in genere il blue e il verde (banda B-V ). Definiamo le magnitudini
B-V esattamente come prima per la magnitudine totale. Definiamo indice di colore la
diffferenza di magnitudine tra le bande B-V.
Capitolo 5. Le stelle 46
composte da un quark e un antiquark legati dalla forza forte. Sono particelle instabili e
decadono tipicamente in fotoni o in leptoni. Il quark e l’antiquark costituenti possono
essere omogenei o di tipo diverso (ad es. cc o ud).
Figure 5.3: Foto della Luna nei raggi X. L’elevata luminosità è dovuta alla radiazione
bremsstrahlung.
• l’effetto Compton inverso che si realizza quando l’energia del fotone è molto più
piccola di quella dell’elettrone, ad esempio un elettrone di altissima energia dei raggi
cosmici che interagisce con un fotone della radiazione cosmica di fondo. Il processo è
importante poiché è un metodo per generare fasci di fotoni ad alta energia (centinaia
di MeV).
5.5 Spettroscopia
La spettroscopia nasce nel 1817 dall’osservazione mediante uno spettroscopio da parte di
Fraunhofer. La spettroscopia, permette, come scoperto da Bunsen e Kirchhoff nel 1859, di
determinare la composizione chimica di una stella. Infatti ogni elemento chimico, se portato
all’incandescenza, presenta uno spettro univocamente caratterizzato da righe di emissione.
Capitolo 5. Le stelle 48
Lo spettro di una stella si discosta da quello teorico di un corpo nero proprio pr la presenza
di righe di assorbimento, dal colore scuro. Quelle del Sole furono individuate per la prima
volta da Wollaston nel 1802. Successivamente (1817) Fraunhofer scoprì che gli spettri delle
stella non sono tutti uguali. Kirchhoff nel 1859 mise in relazione le righe dello spettro del
Sodio ottenuta in laboratorio con quelle del Sole.
• Tipo II: stelle gialle con righe scure e sottili (metalli come
Fe,Cr,ecc.)
• Tipo III: stelle arancio con larghe bande scure (righe assorbimento
dovute alle molecole)
Figure 5.5: Padre
• Tipo IV, stelle rosse con larghe bande molto estese.
Angelo Secchi
Secchi in realtà nel 1877 aggiunse anche il Tipo V, in cui incluse le stelle
con righe di emissioni, come β Lyrae.
nei 9 volumi che compongono il celebre Henry Draper Catalog, che raccoglie oltre 225000
stelle.
Curiosità
Per memorizzare la classificazione di Harvard, in genere si ricorre alla celebre espressione:
“Oh Be A Fine Girl/Guy, Kiss Me!
la sequenza delle nane bianche, in quanto sono corpi celesti con alte temperature efficaci ma
poco luminose; mentre sopra la sequenza principale, verso destra, si dispongono le giganti
rosse e le supergiganti, in quanto sono corpi celesti molto luminosi ma a basse temperature.
limite di Hayashi.
Sul diagramma H-R pertanto la traccia di Hayashi è una linea quasi verticale. Le stelle
che si trovano al limite di Hayashi sono totalmente convettive: questo perché sono stelle
fredde e altamente opache, pertanto il trasporto radiativo di energia non è efficiente e, di
conseguenza, all’interno della stella s’instaura un forte gradiente di temperatura che origina
moti convettivi.
La temperatura di colore, o temperatura colore, è una grandezza fisica associata alla tonalità
della luce: a ogni temperatura corrisponde una sola tonalità. Questa informazione ci viene
fornita dall’uso degli indici di colore, che descrivono l’energia emessa nelle diverse regioni
dello spettro elettromagnetico. Ha senso parlare di temperatura di colore solo se la sorgente
di luce emette uno spettro di energia continuo; di conseguenza, ciò non si verifica per tutte
le sorgenti luminose.
Le stelle non sono corpi neri: definiamo temperatura effettiva di una stella quella che
avrebbe un corpo nero con le stesse dimensioni e flusso di energia della stella reale.
Capitolo 5. Le stelle 54
Si può semplificare il problema considerando al posto delle ultime tre equazioni l’equazione
politropica.
P = P (ρ) = Kρ1+1/n
Su ottiene l’equazione di Lane-Endem
1 d 2 dθ
2
= −θn (5.9.10)
d d
e+ + n ↔ p + ν̄e νe + n ↔ p + e− (5.9.11)
n → p + e + ν̄e (5.9.12)
Dopo questa breve fase iniziale dell’espansione dell’universo, la nucleosintesi non può più
aver luogo a causa della diminuzione della temperatura e della densità e tutta la materia
è praticamente costituita da H (75%) ed He (25%). Questi elementi non sono distribuiti
uniformemente nello spazio. Tale condizione è critica, perché una distribuzione non uniforme
ha permesso alla gravità di agire nelle aree di maggior concentrazione per iniziare la condensazione
della materia. Come risultato di questa leggera difformità nella distribuzione della materia, la
gravità ha determinato il collasso di grandi quantità di idrogeno e elio in aree più concentrate.
Queste zone alla fine si sono evolute a formare le galassie. All’interno di queste aree
un’ulteriore concentrazione di H ed He ha portato successivamente alla formazione delle
stelle dove sono stati sintetizzati gli elementi di massa maggiore.
Le stelle nella fase di sequenza principale fondono sostanzialmente 4 protoni formando un
nucleo di He attraverso due cicli principali:
L’enorme quantità di energia rilasciata nella reazione di fusione (circa 6 · 1018 erg/g di H)
serve per stabilizzare la compressione dovuta alla forza gravità. La stella appare quindi
un corpo stabile con l’energia liberata dalle reazioni nucleari nel nucleo bilanciata dalla
radiazione emessa alla superficie. La massa della stella determina la velocità con cui brucia il
combustibile nucleare e quindi il suo tempo di vita in sequenza principale t ' 10Gyr/(M/M )3 .
Se la massa della stella è sufficientemente grande, una volta terminata la fase di combustione
dell’H nel nucleo della stella, la forza di gravità induce una contrazione del nucleo che
comporta un aumento di temperatura e pressione. Questo determina un’espansione degli
strati gassosi esterni composti da idrogeno che dà luogo ad una nuova fase dell’evoluzione
della stella, chiamata fase di gigante rossa.
Durante lo stadio di gigante rossa, la pressione gravitazionale continua a comprimere e a
α + α → 8Be (5.9.16)
anche se si tratta di una reazione endotermica, cioè assorbe energia dal plasma stellare. Il
berillio risulta però instabile per decadimento in due a ed ha vita media di circa 10−16 s,
tuttavia il tempo che impiegano i prodotti a del decadimento a oltrepassare la barriera
coulombiana e dare origine al berillio è di circa 10−19 s e dunque le due reazioni di formazione
e decadimento riescono a restare in equilibrio. Hoyle immaginò che il 8Be, durante la sua
fugace esistenza, potesse divenire il bersaglio di un terzo nucleo di He generando il 12C:
8
Be + α → 12
C+γ (5.9.17)
In realtà l’idea originale di questa fusione risale all’inizio degli anni ’50 e si deve a Salpeter.
Questa ipotesi non era stata però presa nella dovuta considerazione in quanto si pensava che
la fusione di un terzo nucleo di He con il Be ne avrebbe generato la disgregazione. Hoyle
invece suggerì che nel C’ fosse presente una risonanza la quale avrebbe consentito di assorbire
l’energia del terzo nucleo di He. E aveva ragione dato che questa risonanza in prossimità
del Q-valore della reazione precedente pari a 7.68MeV fu effettivamente scoperta al Kellogg
59 5.9. Struttura stellare
che avviene alle stesse temperature della reazione di produzione del 12C. Questo nucleo di He
o C/O (nel rapporto che rimane congelato nel momento in cui inizia il raffreddamento della
struttura) da origine, dopo la perdita dell’envelope esterno della stella, alla nana bianca. Le
nane bianche provenienti dalle stelle più piccole avranno una struttura formata da nuclei di
He mentre quelle provenienti da stelle di massa maggiore avranno una struttura C/O.
Capitolo 5. Le stelle 60
Capitolo 6
2hKi + hU i = 0 (6.1.1)
Le stelle come evidente sono sistemi con calore specifico negativo (ovvero l’energia persa
induce un aumento di temperatura).
Cosa succede quando vince la gravità? L’energia gravitazionale è data da:
GM 2
EG ∼ −
L
L’energia termica è
M
ET ∼ N kT = kT
m
Il rapporto 2
G(ρL3 )m
|EG | GM m L
∼ ∼ =
ET LkT LkT LJ
Definiamo raggio di Jeans
1/2
kT
LJ ∼ (6.1.2)
Gρm
61
Capitolo 6. Evoluzione stellare e oggetti compatti 62
Esso rappresenta il raggio più piccolo che collassa. La gravità vince quando L > LJ .
Definiamo la massa più piccola che collassa massa di Jeans
3/2
kT
MJ ∼ ρLJ 3
∼ρ = 2 · 1022 T 3/2 ρ−1/2 (6.1.3)
Gρm
Sostituendo M (R) e dM :
R Z R
(4π)2 2 4
Z
4 3 2 1
U = −G πρr 4πρr dr dr = −G ρ r dr =
0 3 r 0 3
(4π)2 2 R5 R (4π)2 G 3M 2
=− ρ =− = (6.1.4)
3 5 R 3 5R (4π)2
3 GM 2
=−
5 R
dove abbiamo prima moltiplicato e diviso per R e poi ricordato che M = 4/3πρR3 . In
conclusione abbiamo ricavato che
3 GM 2
U =− (6.1.5)
5 R
Dalla teoria cinetica dei gas
3 3 M
K = N kT = kT
2 2 mH
Dunque
3 GM 2 3 5 kT R
≥ ↔M ≥
5 R 2 2 mH G
Essendo di nuovo M = 4/3πρR3 si ricava sostituendo
1/3
5 kT 3M
M≥
2 mH 4πρ
paragonabili a quelle della Terra, la massa dell’astro è simile o lievemente superiore a quella
del Sole; è quindi un oggetto molto compatto, dotato di un’elevatissima densità (dell’ordine
del miliardo di Kg/cm3 ) e gravità superficiale.
Si ritiene che le nane bianche siano l’ultima fase dell’evoluzione delle stelle di massa piccola
e medio-piccola, le quali costituirebbero oltre il 97% delle stelle della Galassia. Queste, dopo
aver concluso la sequenza principale e le fasi di instabilità ad essa successive, attraversano
delle ulteriori fasi di forte instabilità che le portano ad espellere i propri strati più esterni,
mentre i nuclei inerti vanno a costituire le nane bianche. Non essendo più soggette alla
fusione nucleare, esse non possiedono una fonte di energia autonoma che possa contrastare
il collasso gravitazionale cui sono naturalmente sottoposte; l’unica forza che vi si oppone è
la pressione degli elettroni degenerati. Da notare che quanto più massiccia è la nana bianca,
tanto minore è il suo raggio.
Figure 6.3: La Nebulosa Granchio (M1) è un celebre resto di supernova. La supernova che
la produsse fu osservata per la prima volta il 4 luglio 1054 e venne registrata dagli astronomi
cinesi e arabi dell’epoca (probabilmente anche ebrei); la sua luminosità era tale da renderla
visibile ad occhio nudo durante il giorno, sorpassando la luminosità apparente di Venere. Al
centro della nebulosa si trova la pulsar del Granchio (nota anche come PSR B0531+21), una
stella di neutroni con un diametro di circa 28-30 chilometri, scoperta nel 1968: fu la prima
osservazione di un’associazione tra pulsar e resti di supernova, una scoperta fondamentale
per l’interpretazione delle pulsar come stelle di neutroni. La presenza di una pulsar nella
Nebulosa del Granchio esclude l’origine da una nana bianca, dato che la supernova di tipo
Ia non produce pulsar.
Fleming scoprirono che, sebbene fosse una stella molto debole, Keid B presentava uno spettro
dalle caratteristiche simili a quelle delle brillanti stelle di classe spettrale A, come Sirio (la
stella più brillante del cielo), Vega e Altair, dal tipico colore bianco; il tipo spettrale della
nana bianca fu poi ufficialmente descritto nel 1914 da Walter S. Adams.
Nel corso del XIX secolo i progressi conseguiti nell’ambito delle tecniche astrometriche
permisero all’astronomo tedesco Friedrich Bessel si servì di tali misure per scoprire che Sirio
e Procione subivano delle oscillazioni nel loro moto spaziale molto simili a quelle riscontrate
nelle stelle doppie, sebbene i due astri non sembrassero avere dei compagni; Bessel imputò
dunque simili oscillazioni a delle ńcompagne invisibiliż. Fu necessario attendere sino al 31
gennaio 1862 prima che Alvan Graham Clark riuscisse ad osservare una debole stellina mai
vista in precedenza nei pressi di Sirio, identificata in seguito come la compagna predetta da
Bessel. Applicando la terza legge di Keplero, gli astronomi calcolarono che la massa del nuovo
Capitolo 6. Evoluzione stellare e oggetti compatti 66
Figure 6.4: Le prime tre nane bianche scoperte: Keid B, Sirio B e Procione B.
oggetto, denominato Sirio B, dovesse essere compresa tra 0,75 e 0,95 volte quella del Sole;
tuttavia, l’oggetto risultava meno luminoso della nostra stella. Poiché la luminosità L di un
corpo celeste dipende dal quadrato del suo raggio R, questi dati dovevano necessariamente
implicare che le dimensioni della stella fossero molto ridotte. Walter S. Adams annunciò nel
1915 che lo spettro della piccola stella, ribattezzata affettuosamente Il Cucciolo, presentava
caratteristiche assimilabili a quelle di Sirio A, che suggerivano che la temperatura superficiale
dell’oggetto dovesse essere prossima ai 9000 K. Combinando poi il valore della temperatura
con la luminosità, Adams riuscì a risalire al valore del diametro di Sirio B, che risultò essere
di soli 36 000 km. Misure più accurate, svolte nel 2005 attraverso il Telescopio spaziale
Hubble, hanno mostrato che la stella possiede, in realtà, un diametro minore (circa un terzo
di quello stimato da Adams), equivalente a quello terrestre (circa 12 000 km), ed una massa
pari a circa il 98% di quella solare. Si ritiene che sia stato Willem Luyten a coniare il termine
nana bianca quando esaminò questa classe di stelle nel 1922; il termine fu in seguito reso
popolare dall’astrofisico inglese Arthur Eddington.
pd ∼ h → p ∼ hn1/3
r = cp ∼ chn1/3
La pressione di degenerazione è:
4/3 4/3
4/3 M M 1
Pr = nr ∼ hcn = hc = hc
mp V mp R4
La gravitazione di pressione è
GM 2
Pg =
R4
Da cui Pr ≤ Pg Uno ottiene il limite superiore per la massa, il limite di Chandrasekhar
appunto:
3/2
ch 1
MCh =
G mp 2
6.3.3 Novae
Quando una nana bianca si trova in un sistema binario stretto, può sottrarre materia,
sopratutto gas idrogeno e elio, alla sua compagna per mezzo della propria gravità, specialmente
quando la compagna attraversa la fase di gigante rossa e riempie il suo lobo di Roche. I
gas si depositano sulla superficie della nana bianca e lì vengono compressi e riscaldati ad
altissime temperature dalla gravità della stella. Col passare del tempo, sempre più materiale
si accumula finché la pressione e la temperatura raggiunte sono sufficienti ad innescare
una reazione di fusione nucleare, che converte rapidamente una grossa parte dell’idrogeno
in elementi più pesanti; a queste temperature, l’idrogeno brucia attraverso il ciclo CNO.
L’enorme energia liberata da questo processo soffia letteralmente via il resto del gas dalla
superficie della nana bianca, e produce un "lampo" molto luminoso ma di breve durata,
destinato a spegnersi in pochi giorni. Questo lampo era ciò che gli antichi astronomi
chiamavano stelle nuove (novae).
Figure 6.6: Schema che mostra la genesi di una supernova di tipo Ia.
Figure 6.8: L’immaginario buco nero Gargantua nel film Interstellar (2014), film realizzato
con la consulenza scientifica di Kip Thorne, premio Nobel per la fisica nel 2017.
In astrofisica un buco nero è un corpo celeste con un campo gravitazionale così intenso da
non lasciare sfuggire né la materia, né la radiazione elettromagnetica, ovvero, da un punto di
vista relativistico, una regione dello spaziotempo con una curvatura talmente grandep che nulla
dal suo interno può uscirne, nemmeno la luce, essendo la velocità di fuga vf = 2GM/R2
superiore a c.
Il buco nero è il risultato di implosioni di masse sufficientemente elevate. La gravità domina
su qualsiasi altra forza, sicché si verifica un collasso gravitazionale che tende a concentrare
lo spaziotempo in un punto al centro della regione, dove è teorizzato uno stato della materia di
curvatura tendente ad infinito e volume tendente a zero chiamato singolarità, con caratteristiche
sconosciute ed estranee alle leggi della relatività generale. Il limite del buco nero è definito
orizzonte degli eventi, regione che ne delimita in modo peculiare i confini osservabili. Il raggio
dell’orizzonte degli eventi è detto Raggio di Schwarzschild ed ha un valore facilmente
calcolabile di:
2GM
Rg = (6.5.7)
c2
6.5.1 Formazione
La maggior parte dei buchi neri hanno massa di scala stellare. Questi si ritiene che si formino
durante supernova di tipo II. Durante l’esplosione quel che resta della stella espelle gran parte
della propria massa, che va a disperdersi nell’universo circostante. Quello che rimane è un
nucleo estremamente denso e massiccio. Se la sua massa è abbastanza piccola da permettere
alla pressione di degenerazione di contrastare la forza di gravità si arriva a una situazione di
equilibrio e si forma una stella di neutroni. Se la massa supera le 3M (limite di Volkoff-
Oppenheimer) non c’è più niente che possa contrastare la forza gravitazionale. Inoltre,
secondo la relatività generale, la pressione interna non viene più esercitata verso l’esterno
71 6.5. Buchi neri
(in modo da contrastare il campo gravitazionale), ma diventa essa stessa una sorgente del
campo gravitazionale rendendo così inevitabile il collasso infinito.
Il collasso gravitazionale richiede una grande densità. Al momento nell’universo queste alte
densità si trovano solo nelle stelle, ma nell’universo primordiale, poco dopo il Big Bang,
le densità erano molto più elevate, e ciò probabilmente permise la creazione di buchi neri.
Tuttavia la sola alta densità non è sufficiente a consentire la formazione di buchi neri poiché
una distribuzione di massa uniforme non consente alla massa di convergere. Affinché si
formino dei buchi neri primordiali, sono necessarie delle perturbazioni di densità che possano
poi crescere grazie alla loro stessa gravità. Vi sono diversi modelli di universo primordiale che
variano notevolmente nelle loro previsioni della dimensione di queste perturbazioni. Molti
prevedono la creazione di buchi neri, che vanno da una massa di Planck a centinaia di migliaia
di masse solari. I buchi neri primordiali potrebbero così spiegare la creazione di qualsiasi
tipo di buco nero.
Altro caso sono i buchi neri supermassici, una massa milioni o miliardi di volte superiore
Figure 6.9: Le immagini ottenute dall’Event Horizon Telescope del buco nero supermassiccio
al centro della galassia M87 a sinistra (2019) e del buco nero supermassiccio Sagittarius A*
al centro della Via Lattea (2022). Nell’immagine si può osservare l’ńombraż del buco nero:
la materia attratta al suo interno, riscaldandosi, emette luce osservabile parzialmente grazie
ai radiotelescopi, rendendo osservabile la zona "in ombra" all’interno del buco nero.
a quella del Sole. Si ritiene che quasi tutte le galassie contengano un buco nero supermassiccio
al loro centro. La prima e più ovvia è per accrezione lenta e graduale di materia a partire da
un buco nero di grandezza stellare. Un secondo modello considera una grande nube di gas che
collassa in una stella relativistica di dimensioni pari a centinaia di masse solari o anche più.
Questa stella risulterebbe presto instabile alle perturbazioni radiali a causa della produzione
di coppie elettrone-positrone nel suo nucleo e potrebbe quindi collassare in un buco nero senza
esplodere in una supernova, che altrimenti emetterebbe gran parte della massa impedendole
Capitolo 6. Evoluzione stellare e oggetti compatti 72
così di lasciare come residuo un buco nero supermassiccio. Un altro modello considera un
denso ammasso stellare che va incontro a collasso perché la capacità termica negativa del
sistema porta la dispersione delle velocità verso valori relativistici. Ulteriore ipotesi sono
l’evoluzione di un buco nero primordiale prodottosi a causa della pressione esterna nei primi
istanti dopo il Big Bang o il collasso di aggregati di materia oscura.
In base alle conoscenze attuali, sembra esserci una lacuna nella distribuzione statistica delle
masse dei buchi neri. Si conoscono, infatti, buchi neri generati dal collasso di una stella che
hanno masse fino a 33 volte quella solare; mentre il valore minimo per un buco supermassiccio
è dell’ordine delle centinaia di migliaia di masse solari: pertanto sembra che ci sia una carenza
di buchi neri di massa intermedia. Questa lacuna sembra suggerire un processo di formazione
differente, sebbene alcuni autori ritengano che le sorgenti ultraluminose a raggi X (o ULX,
UltraLuminous X-ray source) potrebbero corrispondere a questi oggetti di massa intermedia.
Capitolo 7
Dalla definizione è evidente che il centro di massa di un sistema isolato è in uno stato di
moto rettilineo uniforme. Assumendo le orbite circolari, si può dimostrare che il periodo di
un sistema binario (P) e la distanza tra le stelle sono legati attraverso la forma newtoniana
della Terza legge di Keplero:
P2 4π 2
=
R3 G(m1 + m2 )
73
Capitolo 7. Stelle binarie e variabili 74
R1 /R2 = m2 /m1
La Funzione di massa
Sappiamo che:
m2 v1 P (v1 + v2 )3
= m1 + m2 =
m1 v2 2πG sin3 i
Talvolta è osservabile solo lo shift Doppler di una delle due stelle. Non si può usare v1 /v2 =
m2 /m1 perché v2 non è misurabile. Conoscendo la somma delle velocità
Figure 7.1: Mizar e Alcor. Si nota immediatamente che Mizar è una binaria visuale. Inoltre,
sia Mizar A, sia Mizar B che Alcor sono binarie spettroscopiche. Si tratta dunque di
un sistema di ben sei stelle legate. Nella foto è presente anche Sidus Ludovicianum, o
Sidus Ludoviciana, è una stella della costellazione dell’Orsa Maggiore,una stella di ottava
magnitudine; è situata nello stesso campo visivo di Mizar e Alcor e può essere individuata
con un piccolo telescopio. Deve il suo nome, assolutamente inusuale per una stella, a Johann
Georg Liebknecht (1679 - 1749) che azzardò l’ipotesi che si trattasse di un pianeta e lo chiamò
Sidus Ludovicianum (l’Astro di Ludovico) in onore del suo sovrano, il langravio Ludovico
di Hessen-Darmstadt. Tale ipotesi fu presto smentita e perfino ridicolizzata dagli scienziati
contemporanei.
Figure 7.2: Albireo, stupenda binaria visuale osservabile nel Cigno, dunque in particolare
nel periodo estivo. Un binocolo o telescopio anche di modesta qualità permette di separare
le due componenti.
minore distanza l’una dall’altra, il loro moto rispetto al baricentro del sistema sarà a velocità
orbitale più elevata, cosa che ne facilita l’osservazione con lo spettroscopio.
Lo spettroscopio è in grado di rilevare una binaria come tale, perché le due stelle, nella
loro orbita, mostreranno una componente di velocità parallela alla linea di vista (a meno che
il piano dell’orbita non sia perfettamente perpendicolare ad essa). Le righe spettrali delle
due stelle mostreranno così uno spostamento periodico dovuto all’effetto Doppler.
In alcune binarie sono visibili le righe spettrali di entrambe le stelle. In tal caso, le righe
saranno alternativamente doppie e singole, o meglio sovrapposte. In altre, solo lo spettro di
una delle due è visibile (essendo l’altra troppo debole per essere osservata), e in tal caso le
righe spettrali oscilleranno avanti e indietro.
Per determinare l’orbita di una binaria spettroscopica occorre una lunga serie di osservazioni,
volte a costruire un grafico della velocità radiale di una o di entrambe le stelle nel tempo.
Alcune binarie hanno periodi orbitali di anni, decenni o anche secoli, il che complica non
poco l’osservazione. Se l’orbita è circolare, il grafico risultante sarà una curva sinusoidale.
Se è ellittica, la forma della curva dipenderà dall’eccentricità dell’ellisse e dall’orientamento
dell’asse maggiore rispetto alla linea di vista. Tali stime sono comunque incerte, perché la
vera inclinazione orbitale rispetto alla linea di vista è in generale sconosciuta.
77 7.1. Stelle binarie
stella del diavolo dagli arabi, che con tutta probabilità avevano notato la sua variabilità.
– Le variabili a eclissi, stelle binarie che, viste dalla Terra, si eclissano l’una con
l’altra nel corso del loro moto orbitale.
– Le variabili rotanti, nelle quali la variabilità è causata dalla rotazione della stella
su sé stessa. Esempi sono le stelle che presentano estese macchie, che influiscono
79 7.2. Stelle variabili
sulla luminosità dell’astro, oppure stelle che a causa dell’alta velocità di rotazione
assumono forma ellissoidale.
Questi sottogruppi sono a loro volta divisibili in tipi più specifici, che vengono solitamente
denominati a partire dal loro prototipo.
Per una variabile intrinseca, la variazione di luminosità può essere misurata fotometricamente
mentre la variazione radiale è determinabile dallo spostamento della velocità radiale mediante
effetto Doppler.
La prima stella variabile ad essere riconosciuta come tale fu o Ceti (poi chiamata Mira): nel
1638 Johannes Holwarda notò che essa variava la propria luminosità con un periodo di 11
mesi. La seconda stella variabile a essere scoperta fu la variabile a eclisse Algol nel 1669. χ
Cygni fu identificata come variabile da G. Kirch nel 1686, quindi fu la volta di R Hydrae nel
1704 per merito di G. D. Maraldi. Nel 1786 erano conosciute 12 variabili, fra cui 4 δ Cephei e
β Lyrae, scoperte da John Goodricke nel 1784. Dal 1850 il numero di variabili conosciute ha
cominciato a crescere più rapidamente e il ritmo delle scoperte è ulteriormente aumentato
dopo il 1890, quando cominciò ad essere possibile identificare le variabili per mezzo della
fotografia.
M = A + B log P (7.2.3)
Figure 7.7: Un esempio classico di variabile eruttiva di tipo S Doradus: Eta Carinae. Quando
fu catalogata per la prima volta nel 1677 da Edmond Halley, la stella appariva di quarta
magnitudine; tuttavia già nel 1730 gli osservatori avevano annotato che la stella aveva subito
un notevole incremento di luminosità, tanto da essere una delle stelle più brillanti della
costellazione. Negli anni successivi la stella diminuì progressivamente la propria luminosità,
tornando nel 1782 alla sua originaria magnitudine. A partire dal 1820 la stella riprese a
crescere di luminosità e già nel 1827 era dieci volte più luminosa, con una magnitudine quasi
pari a 0; nell’aprile 1843 la stella raggiunse il picco massimo della sua luminosità, quando,
nonostante la sua enorme distanza (700010000 al), divenne la seconda stella più brillante
del cielo, dopo Sirio, con una magnitudine di 0,8. In seguito la luminosità decrebbe, e tra
il 1900 e il 1940 era solo di ottava magnitudine, invisibile ad occhio nudo. La luminosità
riprese poi a salire lentamente, fino a raggiungere, nel 2004, una magnitudine compresa tra
5 e 6. La stella è circondata da un inviluppo, eruttato dalla stella stessa, che prende il nome
di Nebulosa Omuncolo. Data la sua massa ed i fenomeni di instabilità manifestati dall’astro,
gli astronomi ritengono che la stella esploderà in supernova o addirittura ipernova entro il
prossimo milione di anni, anche se non si esclude che ciò possa accadere da qui a qualche
migliaio di anni.
81 7.2. Stelle variabili
Cenni planetologia
83
Capitolo 8
Sistema Solare
Il sistema solare è un sistema planetario costituito da una varietà di corpi celesti mantenuti
in orbita dalla forza gravitazionale del Sole, cui appartiene anche la Terra: con un diametro
di circa 120130 au (se inteso come la zona dello spazio che è sottoposta al vento solare,
tralasciando l’immensa zona sottoposta alla sola gravità solare) è situato nel braccio di
Orione della Via Lattea, orbitando attorno al centro galattico ad una distanza di circa 26700
anni luce ed una velocità di 230 km/s; si stima che il sistema solare impieghi circa 230
milioni di anni per completare un giro attorno al centro galattico. È costituito dal Sole,
che da solo possiede il 99,86% della poderosità di tutto il sistema, da otto pianeti (quattro
pianeti rocciosi interni e quattro giganti gassosi esterni) e cinque pianeti nani, dai rispettivi
satelliti naturali, e da moltissimi altri corpi minori; quest’ultima categoria comprende gli
asteroidi, in gran parte ripartiti fra due cinture asteroidali (la fascia principale e la fascia di
Kuiper), le comete (prevalentemente situate nella nube di Oort), i meteoroidi e la polvere
interplanetaria.
In ordine di distanza dal Sole, gli otto pianeti sono: Mercurio, Venere, Terra, Marte,
Giove, Saturno, Urano e Nettuno; i cinque pianeti nani sono: Cerere, situato nella
fascia principale degli asteroidi, Plutone, Haumea, Makemake, e Eris. Il vento solare,
un flusso di plasma generato dall’espansione continua della corona solare, permea l’intero
sistema solare, creando una bolla nel mezzo interstellare conosciuta come eliosfera, che si
estende fino oltre alla metà del disco diffuso.
8.1 Il Sole
La sua massa, pari a 2 · 1030 kg, è quasi il 99.9% della massa totale di tutto il sistema. Il
suo diametro medio è poco meno di 1.4 milioni di chilometri, il che lo rende una stella di
dimensioni medio-piccole, costituita principalmente da idrogeno (al 74% della sua massa) ed
elio (al 24-25%) e piccole tracce di altri elementi più pesanti.
Classificato come nana gialla di tipo G2 V ha una temperatura superficiale di 5777 K. Si
tratta di una stella allinterno della sequenza principale. Di questo suo percorso, che dovrebbe
durare 10 miliardi di anni, il Sole si trova all’incirca a metà. Alla fine di questa fase di
equilibrio, la nostra stella aumenterà le proprie dimensioni fino a 2 unità astronomiche (il
doppio della distanza Terra-Sole), inglobando così il nostro pianeta ed entrando nella fase di
85
Capitolo 8. Sistema Solare 86
gigante rossa. Nulla, però, sul destino della Terra è ancora certo, visto che secondo alcune
stime il Sole, in virtù della sua massa attuale, il Sole dovrebbe solo arrivare a sfiorare la
Terra.
La sua magnitudine assoluta è pari a +4,83. Se fosse possibile osservare la nostra stella da
α Centauri, il sistema stellare più vicino, essa apparirebbe nella costellazione di Cassiopea
con una magnitudine apparente di 0.5.
87 8.1. Il Sole
l Sole è una sfera di plasma quasi perfetta, le cui dimensioni sono un po’ più grandi di quelle di
una stella di media grandezza, ma decisamente più piccole di quelle di una ben più imponente
gigante blu o gigante rossa. Possiede un’ellitticità stimata in circa 9 milionesimi: infatti, il
suo diametro polare differisce da quello equatoriale di appena 10 km. Tale differenza sussiste
perché la rotazione del corpo sul proprio asse origina all’equatore una forza che tenderebbe
a fargli assumere una forma ellissoidale: la forza centrifuga. Tuttavia, poiché la rotazione
della stella è molto lenta, la forza centrifuga è 18 milioni di volte più debole della gravità
superficiale; da ciò ne consegue che la stella non possieda un rigonfiamento equatoriale molto
pronunciato, caratteristica propria invece di alcune stelle, come Achernar, le quali possiedono
elevate velocità di rotazione. Inoltre, gli effetti mareali esercitati dai pianeti sulla stella non
ne influenzano significativamente la forma.
Poiché si trova allo stato di plasma e non possiede, al contrario di un pianeta roccioso, una
superficie solida, la stella è soggetta ad una rotazione differenziale, ovvero ruota in maniera
diversa a seconda della latitudine: infatti la stella ruota più velocemente all’equatore che non
ai poli ed il periodo di rotazione varia tra i 25 giorni dell’equatore e i 35 dei poli. Tuttavia,
poiché il punto di vista osservativo dalla Terra cambia man mano che il nostro pianeta
compie il proprio moto di rivoluzione, il periodo di rotazione apparente all’equatore è di 28
giorni. Inoltre, la densità dei gas che costituiscono la stella diminuisce esponenzialmente
all’aumentare della distanza dal centro.
Il Sole possiede una struttura interna ben definita: come quella delle altre stelle, appare
costituita di involucri concentrici; ogni strato possiede caratteristiche e condizioni fisiche ben
precise, che lo differenziano dal successivo. Gli strati sono, dal centro verso l’esterno:
• Il nucleo, che rappresenta in volume il 10% della stella, in massa oltre il 40%. È qui
che avvengono le reazioni di fusione nucleare, fonte principale dell’energia solare. Gli
astrofisici ritengono che il nucleo solare abbia dimensioni prossime a 0,2 raggi solari, con
una densità superiore a 150000kg/m3 (150 volte quella dell’acqua), una temperatura
di circa 13600000 K ed una pressione di quasi 500 miliardi di atmosfere.
• La zona radiativa. Situata all’esterno del nucleo, la zona radiativa si estende da circa
0,2 sino a 0,7 raggi solari; essa assorbe l’energia prodotta dal nucleo e la trasmette per
irraggiamento (donde il nome) agli strati superiori.Pressione e temperatura sono ancora
abbastanza elevate da permettere il trasferimento dell’energia allo strato successivo.
In questa fascia avviene il trasferimento dell’energia prodotta nel nucleo verso lo strato
superiore, la zona convettiva; la zona radiativa appare priva di moti convettivi: infatti,
mentre la materia diventa più fredda a quote crescenti, il gradiente di temperatura
resta minore di quello del tasso di caduta adiabatica, il che agevola il trasferimento di
energia per irraggiamento.
• La fotosfera, la superficie del Sole. Si tratta dello strato del Sole al di sotto del quale
la stella diviene opaca alla luce visibile; si tratta dunque del primo strato visibile, dal
quale l’energia proveniente dall’interno è libera di propagarsi nello spazio. È sede di
fenomeni come le macchie solari e i brillamenti. Una macchia solare è una regione
della superficie del Sole (la fotosfera) che è distinta dall’ambiente circostante per una
89 8.1. Il Sole
Mercurio
Mercurio (0,4 UA) è il pianeta più vicino al Sole ed è anche il più
piccolo (0,055 masse terrestri). Mercurio non possiede satelliti naturali
e le sue sole formazioni geologiche conosciute, oltre ai crateri da impatto,
sono creste sporgenti o rupes, probabilmente prodotte durante una fase
di contrazione avvenuta nella sua storia primordiale.Il pianeta è senza
atmosfera, fatta eccezione per esili tracce di gas probabilmente frutto
dell’interazione del vento solare con la superficie del pianeta. Questo fa
sì che siano assenti fenomeni atmosferici e che l’escursione termica fra il
giorno e la notte sia elevatissima. Durante il giorno il suolo raggiunge i
427◦ C, mentre di notte può arrivare a −180◦ C.
8.2.1 Venere
Venere (0,7 UA) è per dimensioni molto simile alla Terra (0,815 masse
terrestri), e, come la Terra, ha un mantello composto da silicati attorno
a un nucleo ferroso, possiede un’atmosfera e l’attività sulla sua superficie
rende evidente la presenza di attività geologica interna. Tuttavia è
molto più asciutto della Terra, e la sua atmosfera è novanta volte più
densa. Venere non ha satelliti naturali. Esso è il pianeta più caldo del
sistema solare, con temperature superficiali superiori ai 450◦ C, molto
probabilmente a causa della quantità di gas che provoca effetto serra
nell’atmosfera. Non sono state individuate prove definitive delle attuali
attività geologiche su Venere, ma si potrebbe pensare che la sua densa
atmosfera sia regolarmente alimentata da eruzioni vulcaniche.
8.2.2 Terra
La Terra (1 UA) è il più grande e denso dei pianeti interni,
l’unico in cui sono conosciute attuali attività geologiche, ed è
probabilmente l’unico pianeta del sistema solare che permette
la vita (l’unico su cui la vita è sicuramente presente). La
sua idrosfera liquida è unica tra i pianeti interni, ed è anche
l’unico pianeta dove siano state osservate placche tettoniche.
L’atmosfera terrestre è estremamente differente rispetto a
91 8.3. Fascia principale asteriodi
8.2.3 Marte
Marte (1,6 UA) è più piccolo della Terra e di Venere (0,107 masse
terrestri). Possiede un’atmosfera tenue, composta principalmente da
anidride carbonica. La sua superficie, costellata di vulcani, come il
grande Olympus Mons, e da rift valley, come la Valles Marineris, mostra
attività geologica che ha persistito fino a tempi relativamente recenti. Il
suo colore rosso deriva dalla presenza della ruggine del suolo, ricco di
ferro. Marte ha due piccoli satelliti naturali (Deimos e Fobos), che si
pensa siano asteroidi catturati dal suo campo gravitazionale.
8.3.1 Cerere
Cerere (2,77 UA) è il più grande corpo della fascia degli
asteroidi ed è classificato come pianeta nano. Esso ha un
diametro di poco meno di 1000 km, grande abbastanza perché
la propria gravità gli dia una forma sferica. Cerere, quando
è stato scoperto nel XIX secolo, è stato considerato un
pianeta, ma è stato riclassificato come asteroide nel 1850, dopo
che ulteriori osservazioni rivelarono la presenza di numerosi
asteroidi. È stato nuovamente riclassificato nel 2006 come
pianeta nano.
Alcuni astronomi suggeriscono che appartengono a un’altra categoria, quella dei giganti di
ghiaccio. Tutti e quattro i giganti gassosi possiedono degli anelli, anche se solo quelli di
Saturno sono facilmente osservabili dalla Terra.
8.4.1 Giove
Giove (5,2 UA), con 318 masse terrestri, possiede 2,5 volte
la massa di tutti gli altri pianeti messi insieme. Dista
778 milioni di chilometri dal Sole, e impiega circa 12 anni
terrestri per percorrere un’orbita completa. La sua densità
è molto bassa (circa 1,3 kg/dmş) con venti che raggiungono
circa 600 km/h;infatti, esso è un pianeta prevalentemente
gassoso, composto da elementi molto leggeri, come idrogeno
ed elio. Probabilmente nella zona centrale si trova un
nucleo solido a una temperatura molto elevata. Il forte calore interno di Giove crea una serie
di caratteristiche semipermanenti nella sua atmosfera, come ad esempio la famosa Grande
Macchia Rossa. Giove ha 79 satelliti naturali conosciuti: i quattro più grandi, Ganimede,
Callisto, Io, e Europa, mostrano analogie con i pianeti terrestri, come fenomeni di vulcanismo
e calore interno.
8.4.2 Saturno
Saturno (9,5 UA), distinto dal suo sistema di anelli,
ha diverse analogie con Giove, come la sua composizione
atmosferica. Saturno è molto meno massiccio, essendo
solo 95 masse terrestri. Ha una densità minore di
quella dell’acqua. Sono noti 82 satelliti, due dei quali,
Titano e Encelado, mostrano segni di attività geologica,
anche se sono in gran parte criovulcani. Titano è
più grande di Mercurio ed è l’unico satellite del sistema
solare ad avere una atmosfera densa formata da azoto e
metano.
8.4.3 Urano
Urano (19,6 UA), con 14 masse terrestri, è il pianeta esterno
meno massiccio. Unico tra i pianeti, esso orbita attorno al Sole
con una inclinazione assiale superiore a 90◦ rispetto all’eclittica
forse data da un impatto con un altro corpo di 2,75 masse
terrestri durante la sua formazione. Ha un nucleo molto freddo
rispetto agli altri giganti gassosi, quindi irradia pochissimo
calore nello spazio. Urano ha 27 satelliti noti, tra cui i più
grandi sono Titania, Oberon, Umbriel, Ariel e Miranda.
93 8.5. Fascia di Kuiper
8.4.4 Nettuno
Nettuno (30 UA), anche se leggermente più piccolo di Urano,
è più massiccio (equivalente a 17 masse terrestri) e quindi più denso. Esso irradia più calore
interno rispetto a Urano, ma non tanto quanto Giove o Saturno. Nettuno ha 14 satelliti
noti. Il più grande, Tritone, è geologicamente attivo, con geyser di azoto liquido. Tritone è
l’unico grande satellite con orbita e direzione retrograda. Nettuno è accompagnato nella sua
orbita da una serie di planetoidi che sono in risonanza orbitale 1:1 con esso.
non si trova in nessuno dei due corpi, ma cade nello spazio, e per
questo Plutone-Caronte è ritenuto un sistema binario. Attorno
a loro orbitano altre quattro lune molto piccole: Stige, Notte,
Cerbero e Idra. Plutone è un corpo classificato come oggetto risonante della fascia di Kuiper,
e ha una risonanza orbitale di 2:3 con Nettuno, ovvero Plutone orbita due volte intorno al
Sole ogni tre orbite di Nettuno. Gli oggetti della fascia di Kuiper che condividono questo
rapporto di risonanza sono chiamati plutini
Haumea (43,34 UA) e Makemake (45,79 UA) sono i più grandi oggetti conosciuti della
fascia di Kuiper classica. Haumea è un oggetto a forma di uovo con due lune. Makemake
è l’oggetto più luminoso nella fascia di Kuiper. Lo status di pianeta nano sono stati loro
concessi nel 2008. Le loro orbite sono molto più inclinate rispetto a quella di Plutone (28◦
e 29◦ ), e a differenza di Plutone non sono influenzati da Nettuno; fanno quindi parte degli
oggetti classici della fascia di Kuiper.
8.6.1 Eris
Eris (68 UA) è il secondo più grande corpo conosciuto del
disco diffuso, sebbene al momento della scoperta le stime
sul diametro fossero maggiori: con un diametro stimato di
circa 2400 km sembrava almeno il 5% più grande di Plutone,
provocando un dibattito su cosa può essere definito un pianeta.
Possiede un satellite, Disnomia. Come Plutone, la sua orbita è
fortemente eccentrica e fortemente inclinata rispetto al piano
dell’eclittica: ha un perielio di 38,2 UA e uno afelio di 97,6 UA
dal Sole.
95 8.7. Nube di Oort
8.7.1 Sedna
Sedna (525,86 UA) è un grande oggetto simile a Plutone,
con un’orbita estremamente ellittica, con un perielio a circa
76 UA e un afelio a 928 UA dal Sole. Un’orbita così grande
richiede ben 12 050 anni per il suo completamento. Mike
Brown, scopritore dell’oggetto nel 2003, afferma che non può
essere parte del disco diffuso o della fascia di Kuiper, poiché
il suo perielio è troppo lontano per aver subito degli effetti
dalla migrazione di Nettuno. Brown definisce questa nuova
popolazione "nube di Oort interna", che si può essere formata
attraverso un processo simile, anche se è molto più vicina al
Sole. Sedna è molto probabilmente un pianeta nano, anche se
la sua forma deve essere ancora determinata con certezza.
8.8 Comete
Le comete sono corpi minori del sistema solare, di solito di pochi chilometri di diametro, e
sono composte in gran parte di ghiaccio volatile. Le comete hanno orbite molto eccentriche:
in genere, durante il perielio si trovano vicino alle orbite dei pianeti interni, mentre durante
l’afelio si trovano al di là di Plutone. Quando una cometa entra nel sistema solare interno,
la superficie ghiacciata comincia a sublimare e a ionizzarsi, per via della vicinanza del Sole,
fino a quando si crea una coda, spesso visibile a occhio nudo, di gas e polveri.
Le comete di breve periodo hanno orbite che possono essere compiute anche in meno di
duecento anni, mentre le comete di lungo periodo hanno orbite dalla durata di migliaia di
anni. Le comete di breve periodo si crede siano originarie della fascia di Kuiper, mentre
quelle di lungo periodo, come la Hale-Bopp, si ritiene siano originarie della nube di Oort.
Molti gruppi di comete, come le comete radenti di Kreutz, si sono formati dalla rottura di
un’unica grande cometa. Alcune comete con orbite iperboliche possono provenire dall’esterno
del sistema solare, ma la precisa determinazione delle loro orbite è complessa. Le vecchie
comete che hanno visto espulso la maggior parte della loro parte volatile per via del calore
del Sole sono spesso classificate come asteroidi.
Capitolo 8. Sistema Solare 96
La legge di Titius-Bode è una formula empirica che descrive con buona approssimazione i
semiassi maggiori delle orbite dei pianeti del sistema solare. La relazione fu individuata nel
1766 da Johann Daniel Titius e pubblicata formalmente da Johann Elert Bode nel 1772, da
cui il nome. Secondo alcune fonti la scoperta sarebbe invece da attribuire a Christian Wolff,
nel 1724. La formula è:
con i = −∞, 0, 12, ... di seguito un confronto tra i valori teorici e sperimentali.
97 8.10. Legge di Titius-Bode
Pianeti extrasolari
99
Capitolo 9. Pianeti extrasolari 100
Marcy e Robert Butler - nel condurre una campagna di osservazione simile a quella degli
astronomi svizzeri - confermano anch’essi l’esistenza del pianeta. Negli anni successivi le
scoperte riguardavano per lo più giganti gassosi che orbitano attorno alle loro stelle a breve
distanza (pianeti chiamati gioviani caldi), che influiscono notevolmente sulla velocità radiale
delle loro stelle e transitano di frequente davanti a esse, facilitando la loro individuazione.
Nel 1999 fu scoperto il primo sistema planetario multiplo attorno a una stella di sequenza
principale, Upsilon Andromedae, e nello stesso anno per la prima volta fu osservato un
pianeta transitare davanti alla propria stella madre, HD 209458 b (Osiride). Il metodo del
transito era una nuova via già proposta da alcuni anni per scoprire pianeti, ma fu con il
lancio di telescopi spaziali dedicati che il numero delle scoperte aumentò considerevolmente,
come l’europeo COROT e lo statunitense Kepler, che lanciato nel 2011 ha analizzato oltre
530 000 stelle, scoprendo 2 662 pianeti, con altri candidati in attesa di conferma, tra i quali
Kepler-16, il primo pianeta circumbinario scoperto, che orbita attorno a una coppia di stelle
di sequenza principale.
Figure 9.2: Illustrazione schematica per illustrare il metodo delle velocità radiali per la
scoperta di esopianeti.
Le fondamenta teorica derivano dal lavoro dei Pickering e delle sue collaboratrici ma
l’idea di utilizzare questo metodo per i pianeti extrasolari fu suggerito da Otto Struve nel
1952. Le variazioni nella velocità radiale della stella rispetto alla Terra possono far dedurre la
presenza di un pianeta, a causa di sbilanciamenti della linea spettrale della stella, in accordo
con l’effetto Doppler. Col passare del tempo, questa è diventata la tecnica più produttiva
usata dai "cacciatori di pianeti". Con questo metodo si possono determinare la massa e il
peso di un pianeta extrasolare. Ovviamente la scoperta di pianeti più piccoli di tipo terrestre
101
è sfavorita dalla poca influenza che questi hanno sulla modifica della velocità radiale e in
ogni caso non fornisce informazione circa le dimensioni e la composizione del pianeta.
Timing
Un altro effetto del moto relativo del sistema binario Stella-Pianeta attorno al centro di
massa si riscontra nelle variazioni dei tempi di arrivo di segnali periodici. Tale cambiamento è
dovuto alla diversa distanza che il segnale deve percorrere per giungere dalla stella all’osservatore.
Questo metodo, il primo a dare un risultato significativo nella ricerca di esopianeti, è
particolarmente indicato in caso di pulsar in quanto esse emettono dei segnali con una certa
regolarità.
Transiti planetari
Se un pianeta attraversa (o transita) di fronte alla propria stella, allora è osservabile una
riduzione della luminosità della stella eclissata. L’ammontare della variazione dipende dalla
dimensione del pianeta e della stella stessa (Il rapporto dei flussi si dimostra essere semplicemente
pari a ∆F/F = Rp 2 /R∗ 2 . I pianeti extrasolari si distinguono dalle stelle variabili a eclisse
dal fatto che nella curva di luce dei primi c’è un’unica variazione, nelle seconde invece le
variazioni sono due. Con questo metodo si possono determinare le dimensioni del pianeta
extrasolare e, in alcuni casi, la composizione chimica dell’atmosfera. Poiché è possibile
determinare la massa mediante variazione delle velocità radiali, si può riuscire a trovare la
densità del pianeta e dunque la sua natura.
Microlensing gravitazionale
l’effetto della lente gravitazionale avviene quando i campi gravitazionali di due corpi celesti
cooperano per focalizzare la luce di una stella lontana. Se il primo corpo celeste (quello più
vicino all’osservatore) è un pianeta, ciò sta a significare che possiede un campo gravitazionale
tale da contribuire in modo importante all’effetto della microlente gravitazionale. Il vantaggio
fondamentale di questo metodo è che permette di scoprire pianeti di piccola massa (quindi
più simili alla Terra) usando le tecnologie oggi disponibili. Se fosse possibile osservare con
continuità un grande numero di stelle, si otterrebbe almeno una stima di quanto siano comuni
i pianeti di tipo terrestre nella nostra galassia. L’osservazione non può essere ripetuta, perché
il perfetto allineamento necessario alle misurazioni non si ripete quasi mai. La maggior parte
delle stelle osservate sono inoltre molto distanti, cosa che rende impossibile la conferma dei
pianeti con altri metodi.
Astrometria
Sempre a causa dell’interazione Esopianeta Stella, quest’ultima può variare la sua posizione
rispetto alle stelle più lontane, che perciò risultano "fisse". Dalla misura della variazione
periodica della posizione relativa degli astri si possono ottenere delle utili informazioni sul
pianeta che orbita attorno alla sua stella genitrice.
Capitolo 9. Pianeti extrasolari 102
Figure 9.3: Immagine d’artista del telescopio spaziale Kepler. Il telescopio Kepler è stato
"specificatamente progettato per monitorare una porzione della nostra regione della Via
Lattea e scoprire dozzine di pianeti simili alla Terra vicino o nella zona abitabile e determinare
quante delle miliardi di stelle della nostra galassia posseggano pianeti". Per fare ciò, un
fotometro ha monitorato costantemente la luminosità di più di 145 000 stelle della sequenza
principale nel suo campo di vista fissato, presso le costellazioni del Cigno, della Lira e
del Drago. Il tempo previsto per la missione è stato inizialmente di 3,5 anni, ma è stato
ripetutamente esteso fino a concludersi ufficialmente ad ottobre del 2018 con la disconnessione
dal centro di controllo a terra il mese successivo. Durante i suoi oltre nove anni e mezzo di
servizio, Kepler ha osservato 530 506 stelle e rilevato 2 662 pianeti.
Immagini dirette
Oggigiorno lo sviluppo tecnologico ha reso possibile rivelare direttamente corpi celesti a
grandi distanze per mezzo di potenti telescopi sia a terra che in orbita attorno al nostro
pianeta. Le tecniche usate sfruttano l’interferenza distruttiva e i coronografi per occultare
la luce della stella e rivelare il pianeta orbitante. Da Terra vi sono ovvi problemi di seeing
causati dall’atmosfera terrestre, inoltre la luce della stella è miliardi di volte più intensa di
quella proveniente dai pianeti.
Parte V
Gravitazione
103
Capitolo 10
La legge di gravitazione universale è una legge fisica fondamentale che afferma che
nell’Universo due corpi si attraggono in modo direttamente proporzionale al prodotto delle
loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.
La sua formulazione è dovuta ad Isaac Newton che la enunciò nell’opera Philosophiae Naturalis
Principia Mathematica ("Principia") e pubblicata il 5 luglio 1687, fa parte della meccanica
classica e si tratta di una legge fisica generale derivata per induzione da osservazioni empiriche,
in particolare dalle legge leggi Keplero.
Con linguaggio moderno, è possibile enunciarla in questa maniera: Ogni punto materiale
attrae ogni altro singolo punto materiale con una forza che punta lungo la linea di intersezione
di entrambi i punti. La forza è proporzionale al prodotto delle due masse e inversamente
proporzionale al quadrato della distanza fra loro:
m1 m2
F =G (10.0.1)
r2
dove G prend eil nome di costante di gravitazione universale, mi sono le masse dei corpi e r
è la loro distanza. In forma vettoriale
m1 m2
F = −G rˆ12 (10.0.2)
r12
105
Capitolo 10. Legge di Gravitazione Universale 106
Capitolo 11
Il problema a due corpi può essere ricondotto ad un problema ad un solo corpo utilizzando
un sistema di riferimento opportuno. Siano r1 e r2 le coordinate dei due corpi di massa m1
ed m2 , interagenti solo gravitazionalmente. Il sistema ha dunque, in generale, 6 gradi di
libertà. Se R = (m1 r1 + m2 r2 )/(m1 + m2 ) sono le coordinate del baricentro e r = r1 r2 è la
distanza relativa fra i due corpi, esprimendo r1 e r2 in funzione dir r e R si ha
m2 m1
r1 = R + r r2 = R + r
m1 + m2 m1 + m2
1 1 1 1
L = m1 r˙1 2 + m2 r˙2 2 − V (r) = M Ṙ2 + µṙ2 − V (r) (11.0.1)
2 2 2 2
dove M = m1 + m2 e µ = m1 m2 /(m1 + m2 ) è la massa ridotta del sistema. Si vede subito
che R corrisponde a tre coordinate cicliche, il che significa che la quantità di moto del centro
di massa si conserva, cioè che la velocità del centro di massa del sistema è costante (in effetti
sul sistema non agiscono forze esterne). Il moto dei corpi quindi avviene senza disturbare il
moto del centro di massa del sistema e questo implica che possiamo metterci in un sistema
di riferimento centrato nel centro di massa. Ciò riduce il problema a tre gradi di libertà ed
il nostro problema si riduce al problema di un corpo di massa µ che si muove, sotto l’effetto
di un campo di forze generato dal potenziale V (r), rispetto ad un centro di forze considerato
fisso e preso come origine degli assi coordinati. Si noti anche che se m1 >> m2 , µ ← m2
e M ∼ m1 cioè, in questo caso, il corpo mi è talmente massiccio da potersi considerare
coincidente con il baricentro del sistema ed il corpo m2 si muove attorno ad esso con moto
governato dal potenziale gravitazionale V (r).
La forza gravitazionale è centrale e di conseguenza il momento angolare si conserva, dato che
d
L= (r × p) = 0
dt
dato che v//p F//r. La costanza del momento angolare implica che L ⊥ r e che quindi il
moto del sistema è sempre centrato in un piano , detto piano orbitale del sistema, ortogonale
a L e che contiene i vettori r e p. A questo punto, possiamo quindi usare. coordinate polari
107
Capitolo 11. Il problema di Keplero a due corpi 108
r e φ nel piano orbitale per descrivere il moto del corpo di massa µ, cosi che la Lagrangiana
diventa
1
L = µ(ṙ2 + r2 φ̇2 ) − V (r) (11.0.2)
2
La coordinata φ è ciclica e quindi il momento angolare si conserva ed è pari a L = pφ =
˙ = µr φ̇. Nel tempo dt il corpo di massa µ si muove di dφ e l’area infinitesima spazzata
∂L 2
∂ phi
dal raggio vettore nel tempo dt è dA = r2 dφ/2. Si ottiene dunque la II legge di Keplero
dA 1 1L
= r2 φ̇ = = costante (11.0.3)
dt 2 2µ
che afferma che aree spezzate in tempi uguali sono uguali.
La III legge di Keplero che afferma che a3 /p2 = cost, dove a è il semiasse maggiore dell’orbita.
e P il periodo orbitale del sistema. Può essere dimostrata facilmente nel caso di orbite
circolari. Ad esempio, nel caso in cui m1 >> m2 si ha
µv2 2 GµM
= (11.0.4)
a a2
e ricordando che v2 = 2πa/P si ottiene immediatamente la terza legge di Keplero. Anche se
consideriamo il caso m1 6= m2 su orbite circolari si ottiene facilmente la III legge di Keplero.
La prima I legge di Keplero afferma non solo che il moto del sistema binario avviene in un
piano (questo lo abbiamo già dimostrato), ma anche che le orbite descritte dai pianeti sono
in generale ellittiche con il Sole che occupa uno dei fuochi. Quest’ultima è proprio la parte
più difficile da dimostrare. In generale si può dimostrare che le orbite permesse sono solo
coniche. Per far questo ripartiamo dalla Lagrangiana con
Gm1 m2 µM
V (r) = − = −G (11.0.5)
r r
dove M e µ sono la massa totale e la massa ridotta del sistema. Naturalmente abbiamo
due equazioni di Eulero-Lagrange, una per la coordinata r ed una per φ. Dall’equazione di
Eulero-Lagrange per φ otteniamo, come si è visto precedentemente, che
L
φ̇ = (11.0.6)
µr2
L’altra equazione fornisce
d ∂L ∂L GM µ L
= → µr̈ = − 2 + 3
dt ∂ ṙ ∂r r µr
Questa equazione differenziale può essere facilmente risolta con la sostituzione u = 1/r e
convertendo le derivate temporali rispetto a φ. Si ha:
d L d
= ... = u2
dt µ dφ
Quindi si ottiene:
dr L du
ṙ = = ... = −
dt µ dφ
109
dṙ L2 d2 u
r̈ = = ... = − 2 u2 2
dt µ dφ
che moltiplicando per µ e dividendo per L2 e per u2 può essere riscritta nella forma
d2 u(φ) GM µ2
+ u(φ) =
dφ2 L2
Gµ2 M
u(φ) = (1 + e cos (φ − φ0 )) (11.0.7)
L2
che rappresenta una conica con uno dei due fuochi posti nell’origine del sistema di riferimento
con φ0 una costante arbitraria di integrazione mentre e indica l’eccentricità. Riscrivendo
l’equazione nella variabile originaria r si ha infine
L2 1
r(φ) = 2
(11.0.8)
Gµ M 1 + e cos (φ − φ0 )
L’orbita sarà dunque una circonferenza per e = 0, un’elisse per 0 < e < 1, una parabola
se e = 1 e un’iperbole se e > 1. Spesso il termine costante viene posto uguale a p−1 , cioè
µ2
p = GML2
e l’equazione precedente viene scritta come:
p
r(φ) = (11.0.9)
1 + e cos (φ − φ0 )
Un altro modo per dimostrare che l’equazione precedente è veramente l’equazione che descrive
il moto dei pianeti è di partire dal vettore di Runge-Lenz definito dalla relazione
A = p × L − µkr̂ (11.0.10)
avendo assunto che la forza gravitazionale sia scritta nella forma F = −k/r2 r̂. Si può
dimostrare che A è un integrale primo del moto dato cha vale dA/dt = 0 e inoltre giace
sul piano dell’orbita ed è perpendicolare a L. L’equazione dell’orbita può essere ottenuta
ricavando esplicitamente A · r = Ar cos φ.
Dalla relazione precedente possiamo anche calcolare l’energia meccanica del nostro sistema:
1 1 GM µ 1 L2 GM µ 1 2
E = µṙ2 + µr2 φ̇2 − = µṙ2 + − = µṙ + Vef f (r) (11.0.11)
2 2 r 2 2µr2 r 2
Capitolo 11. Il problema di Keplero a due corpi 110
L2 GM µ
Vef f (r) = 2
− (11.0.12)
2µr r
Si vede immediatamente che se E < 0 il corpo di massa µ (diciamo un pianeta) non può
allontanarsi indefinitamente dal Sole, mentre se E ≥ 0 l’orbita è aperta. Se E è pari al
minimo del potenziale efficace Vmin l’orbita è circolare, se 0 < E < Vmin l’orbita ellittica e
la distanza del pianeta va da un minimo (perielio o in genereale periapside) ad un massimo
(afelio, o in generale apoapside).Tra l’altro, è facile verificare che il potenziale centrifugo è
proprio il potenziale della forza centrifuga Fc . Infatti:
2
L2
L
2
Fc = µφ r = µr = 3 (11.0.13)
µr2 µr
e il potenziale è dato da
L2 L2
Z
Vc (r) = − dr = (11.0.14)
µr3 2µr2
Nel caso di orbita circolare (ṙ = 0) si vede facilmente quanto segue: l’energia meccanica è
data da
L2 GM µ
E= 2
− (11.0.15)
2µr r
e il valore di r corrispondente al minimo del potenziale efficace è
d L2
Vef f = 0 → rcirc = (11.0.16)
dr GM µ2
L’energia cinetica K è allora data da
L2 L2 GM µ2 GM µ V
K= 2
= 2
= =− (11.0.17)
2µr 2µrcirc L 2rcirc 2
In altre parole, l’energia cinetica è sempre uguale alla metà del modulo dell’energia potenziale.
Vale quindi sempre, per i sistemi legati gravitazionalmente, il teorema del viriale 2hKi +
hV i = 0, dove la media è in generale effettuata su un periodo orbitale o un tempo opportuno.
Capitolo 12
da confrontare con l’efficienza del bruciamento chimico di C/O (C/O ' 10−1 ) e della fusione
nucleare dell’idrogeno ( pp = 0.007).
Poiché la luminosità emessa per accrescimento è L = GM ṁ/R si potrebbe pensare che
sia possibile generare luminosità arbitrariamente elevate all’aumentare di ṁ. Esiste invece,
111
Capitolo 12. Accrescimento e Limite di Eddington 112
un limite superiore alla radiazione che può essere prodotta determinata dal fatto che se la
luminosità è troppo grande la pressione di radiazione generata tende ad opporsi alla caduta
della materia. Questo è il cosiddetto limite di Eddington. Considerando una superficie
generica di raggio r > R si ha che il numero Nγ di fotoni (di frequenza ν ) che attraversa un
cm2 di superficie di raggio r nell’unità di tempo (dimensionalmente cm−2 s−1 ) è dato da
L
Nγ = (12.0.2)
4πr2 hν
La forza, diretta verso l’esterno, impartita su un protone in caduta libera è data dal momento
p = hν/e comunicato al protone moltiplicato per il numero di urti al secondo dato da N , σT
(dove σT = 6.6 · 10−25 cm2 è la sezione d’urto Thomson). Si ottiene quindi
L hν σT L
Frad = σT 2
= (12.0.3)
4πr hν c 4πcr2
Imponendo che Frad sia minore della forza gravitazionale che agisce sul protone Fg =
GM/r2 (mp + me ) ' GM mp /r2 si ottiene
4πGmp cM
LEdd ≥ (12.0.4)
σT
Si definisce quindi luminosità limite di Eddington
4πGmp cM M
LEdd = = 1.3 · 1038
[erg/s] (12.0.5)
σT M
la luminosità massima che può essere prodotta per accrescimento.
Immediatamente si può calcolare il tasso di accrescimento massimo mEdd
˙ corrispondente alla
luminosità di Eddington. Si ottiene
4πGmp cM 4πGmp cM 6.67 · 10−17 M −1
˙ c2 → mEdd
= mEdd ˙ = ' gs (12.0.6)
σT σT c g
Uguagliando l’espressione nella relazione con quella che fornisce la luminosità di un corpo
neroL = 4πR2 σT 4 è possibile stimare, in prima approssimazione, la temperatura media T
del disco di accrescimento e si trova
−1/2
Gmp c M 1/4 R
T = M R1/4 −1/2
∼ 108
) K (12.0.7)
σσT M km
e chiaramente è nella banda dei raggi X.
Assumiamo ora che un buco nero si accresca costantemente al limite di Eddington. Abbiamo.
quindi che la sua massa aumenterà costantemente della quantità
4πGmp cM
Ṁ =
σT c
Chiaramente, nel termine di destra, la costante che moltiplica M ha le dimensioni dell’inverso
di un tempo ed è chiamata tempo scala di Eddington
σT c (/0.1)
TEdd = ' 4.4 × 107 yrs (12.0.8)
4πGmp
113
che fornisce la legge esponenziale con cui aumenta la massa dell’oggetto compatto in accresci
mento in funzione del tempo se la massa di partenza (al tempo t= 0) è M,. Il fatto che il
tempo scala di Eddington sia relativamente elevato pone problemi severi per quanto riguarda
la formazione dei buchi neri supermassicci partendo da buchi neri di massa stellare, dato
che questi buchi neri supermassicci che sono il motore di Quasar e Nuclei Galattici Attivi
(AGN) si osservano già quando l’universo aveva pochi centinaia di milioni di anni, cioè circa
10 volte il tempo scala di Eddington, A questi tempi la massa iniziale del buco nero può
essere aumentata solo di un fattore 10’, certamente non sufficiente a spiegare la presenza di
buchi neri con massa pari a miliardi di masse solari. Questo problema viene generalmente
risolto ipotizzando la formazione nell’universo primordiale di buchi neri seme notevolmente
più massicci di quelli che si formano tipicamente attraverso il collasso gravitazionale delle
stelle.
Capitolo 12. Accrescimento e Limite di Eddington 114
Capitolo 13
Forze di marea
La forza di marea è una forza differenziale legata alle dimensioni del corpo che la subisce.
Se tale corpo fosse puntiforme la forza di marea su di esso sarebbe nulla. In generale, tra
due punti materiali di massa m a distanza dr luno dallaltro, la forza di marea (tidal force in
inglese) generata da un corpo di massa M è data da
dF 2GM m
dFt = dr = − dr (13.0.1)
dr r3
ed è quindi inversamente proporzionale al cubo della distanza tra i due corpi considerati.
Facciamo ad esempio riferimento alle forze di marea generate dalla Luna sulla Terra, seguendo
la geometria descritta nella figura e assumendo la Luna di massa M a distanza r dal centro
115
Capitolo 13. Forze di marea 116
della Terra e agente su due masse m puntiformi poste in un generico punto P e al centro C
della Terra. Le forze di marea possono essere comprese analizzando la differenza vettoriale
tra le forze che agiscono in P ed in C. Consideriamo, per semplicità, solo le forze agenti nel
piano xy, con î e ĵ versori verso x e y, rispettivamente. In C e P abbiamo quindi
GM m
FC,x = FC,y = 0 (13.0.2)
r2
GM m GM m
FP,x = cos φ F P,y = − sin φ (13.0.3)
s2 s2
La forza di marea Ft è quindi data da
cos φ 1 GM m
Ft = ∆F = FP − FC = GM m − î − sin φĵ (13.0.4)
s2 r2 s2
r da un corpo di massa M (con M > m). L’accelerazione mareale (forza mareale per unità
di massa) indotta su m è data da
2GM R
at ' (13.1.8)
r3
mentre l’accelerazione gravitazionale che tiene assieme l’oggetto di massa m è a = Gm/R2 .
Naturalmente le forze d marea non rompono l’oggetto di massa m se at < a e questa con
dizione definisce il cosiddetto raggio di distruzione mareale, o raggio di Roche, dato da
1/3
2M
rt = R (13.1.9)
m
Appendici
119
Capitolo 14
È impossibile che tra particelle interagenti con forze che dipendono dall’inverso del quadrato
della distanza possa aversi equilibrio statico stabile. Ciò significa che in un sistema, dove
agiscono forze di questo tipo, nessuno stato, per il quale l’energia cinetica del sistema si
annulli, può essere stabile. Tale risultato si applica agli elettroni di un atomo, agli atomi di
una stella, alle stelle di una galassia: l’universo perciò, a qualunque livello di osservazione,
deve essere composto da corpi in movimento, e solo in una valutazione media noi possiamo
considerare in quiete una parte qualunque del mondo della natura. Possiamo avere uno stato
stazionario in cui, in media, non avvengano grandi cambiamenti, ma mai uno stato statico
in cui non vi sia moto. Il teorema del viriale ci fornisce la media (per tempi lunghi)
dell’energia cinetica di particelle legate da forze dipendenti dall’inverso del quadrato della
distanza:
2hKi + hU i = 0 (14.0.1)
in cui le parentesi ad angolo indicano che la media viene eseguita su tempi molto lunghi.(In
ogni applicazione specifica sarà chiarito il significato di cosa si intende per ńmolto lungoż).
L’energia potenziale, come viene usata in questo ragionamento, vale zero quando tutte le
particelle sono a distanza infinita l’una dall’altra.
Ora dimostreremo il teorema del viriale per le forze dipendenti dall’inverso del quadrato
della distanza. Consideriamo dapprima il moto di una singola particella nel campo centrale
descritto dall’energia potenziale
C
U (r) = (14.0.2)
r
dove C è una costante. L’equazione del moto per velocità non relativistiche è
C
F= r̂ = M v̇ (14.0.3)
r2
e, moltiplicando scalarmente per r ambo i membri si ottiene
C
r · F = M r · v̇ = = U (r) (14.0.4)
r
inoltre vale
d
M (r · v) = M ṙ · v + M r · v̇ = M v · v + M r · v̇ (14.0.5)
dt
121
Capitolo 14. Teorema del viriale 122
1 d 1 C 1 1
M (r · v) = M v 2 + = M v 2 + U (r) (14.0.7)
2 dt 2 2r 2 2
in cui r e v variano con il tempo. Per un potenziale attrattivo C è negativa ed è possibile
avere uno stato legato in cui la particella rimanga indefinitamente in un volume finito che
contiene il centro di forza. Nel caso di uno stato legato, la particella, prima o poi, deve
invertire la sua direzione di moto ed r · v deve avere un limite superiore: questa quantità, in
media, aumenterà e, altrettanto spesso, diminuirà. In uno stato legato la media temporale
di d(r · v)/dt deve essere zero, se mediamo su molti cicli del moto, quindi la media temporale
dell’ultima equazione dà:
1 1
M hv 2 i = − hU i (14.0.8)
2 2
cioè
Per una particella legata per mezzo di una forza inversamente proporzionale al quadrato della
distanza, l’energia cinetica media è uguale a metà dell’energia potenziale media, presa con il
segno cambiato.
Il teorema del viriale non afferma che l’energia cinetica e quella potenziale siano legate dalla
precedente in ogni istante, ma si riferisce solo a medie su lunghi periodi di tempo. (In una
prima lettura, da questo punto potete passare direttamente agli esempi).
Lo stesso teorema vale anche per un numero qualunque di particelle, mantenute all’interno di
un volume finito da forze mutuamente attrattive dipendenti dall’inverso del quadrato della
distanza, anche se tutte le masse non sono identiche e anche se alcune forze sono repulsive
(per esempio, una miscela di elettroni e nuclei che formano una molecola).
Capitolo 15
Cannocchiale e Telescopio
15.2 Definizioni
Definiamo rapporto di apertura f / la quantità f /D. Consideriamo una sorgente in cielo di
dimensione angolare α. La sua distanza è tale da far sì che α sia molto piccolo. Sia h la sua
dimensione lineare sul piano focale del telescopio.
h α 1
= tan α ' α ⇒ h = f α ⇒ = (15.2.1)
f h f
123
Capitolo 15. Cannocchiale e Telescopio 124
l’immagine, a scapito della sua qualità per ché ogni lente introduce alcuni difetti: per l’uso
astronomico l’inversione dei riferimenti non crea eccessivi problemi, quindi spesso non si
usano dispositivi raddrizzatori.
Tali principi sono gli stessi che governano i telescopi rifrattori. All’aumentare delle
dimensioni del telescopio il peso e il costo delle lenti rendono tuttavia impraticabile la
costruzione di grandi telescopi di questo tipo. Nell’uso amatoriale, il telescopio a lenti trova
le migliori applicazioni nella osservazione dei pianeti. Nei rifrattori le immagini astronomiche
posseggono una grandissima nitidezza, per questa ragione essi sono generalmente preferiti
dagli astrofili che osservano gli sfuggenti particolari dei pianeti, spesso poco contrastati.
Proprio a causa delle difficoltà costruttive, i telescopi ad uso amatoriale in commercio
difficilmente superano il diametro di 10-15 cm. In caso di osservazioni terrestri si antepone
spesso -prima dell’oculare- un prisma raddrizzatore ad angolo retto.
un Cassegrain (lunga focale, e un campo di vista più piccolo con maggiore ingrandimento)
o newtoniano. Hanno uno specchio primario forato, un fuoco newtoniano, e un braccio
meccanico per poter montare differenti specchi secondari. La generazione attuale di telescopi
in costruzione ha uno specchio primario tra 8 e 10 metri. Gli specchi sono in genere molto
sottili e deformabili, e sono tenuti nella loro posizione ottimale da una serie di attuatori
(vedi ottica attiva). Grazie a questa tecnologia, stanno nascendo progetti per telescopi del
diametro di 30, 50 e addirittura 100 metri.
Configurazione Nasmyth
Altra variante del Cassegrain è la configurazione
Nasmyth. In questo caso alla classica
configurazione Cassegrain si aggiunge un
terzo specchio (piano), situato lungo l’asse
di declinazione strumentale che estrae il
fuoco all’interno dell’asse. L’osservazione
della sorgente avviene così all’estremità
Figure 15.3: Configurazione Nasmyth dell’asse di declinazione ove sono collocati
gli strumenti di osservazione. In un
telescopio Nasmyth non è dunque necessaria
la foratura dello specchio primario.
diversi. Se si dispone di alcuni oculari e di una lente di Barlow si può ottenere una vasta
gamma di ingrandimenti. In generale la formula per ottenere la focale equivalente è:
f ∗ fbarlow
fequivalente =
fbarlow − d
15.5 Montature
15.5.1 Montatura altazimutale
Una montatura altazimutale è un sistema meccanico, in genere riferito ai telescopi, che
sostiene lo strumento e permette di puntarlo seguendo movimenti paralleli all’orizzonte
(azimut) o perpendicolari ad esso (altezza). È in genere realizzata come una montatura
a forcella.
Questa montatura, avendo l’asse principale (azimut) perpendicolare al suolo, origina il
fenomeno della cosiddetta rotazione di campo, secondo il quale l’immagine risultante ruota
ad una velocità dipendente dalla declinazione del corpo celeste osservato. Quest’effetto ha
reso fino a circa 20 anni fa le montature altazimutali inadatte alla fotografia a lunga posa
Capitolo 15. Cannocchiale e Telescopio 130
sia per piccoli che grandi telescopi. Con il progredire dell’elettronica e con la diffusione
del software, è stato agevole compensare questo effetto, per cui tutti i moderni telescopi
vengono ormai costruiti quasi esclusivamente in montatura altazimutale, perché si riducono
le dimensioni strumentali e della cupola con notevole risparmi mentre il software si prende
cura di annullare, tramite elettronica dedicata, la rotazione di campo.
Montature moderne costruite secondo il principio dell’altazimutale sono l’NTT, il TNG,
Figure 15.5: Il Telescopio Nazionale Galileo, il più grande telescopio italiano, sito sulla
sommità dell’isola di La Palma, alle Canarie. Lo specchio primario ha un diametro di 3.58m
e una focale di 38.5m, con configurazione Ritchey-Chrétien. La montatura è altazimutale.
il VLT. Nel campo degli strumenti amatoriali, la montatura altazimutale viene usata nei
modelli più economici. È semplice come progettazione e costruzione, ma non è ideale
nell’uso astronomico, perché la sfera celeste ruota secondo assi, che non sono paralleli né
perpendicolari all’orizzonte (a meno che uno non stia osservando precisamente dall’equatore
terrestre), e l’osservatore è costretto a manovrare continuamente il telescopio su entrambi i
movimenti, per mantenere l’oggetto nel campo di vista. Inoltre, usando questa montatura,
il campo inquadrato ruota lentamente, cosa che impedisce la fotografia degli oggetti celesti.
131 15.6. Aberrazioni di Telescopi e Ottiche
Montatura Dobson
Prende il nome del suo ideatore, l’americano John Dobson. Si tratta di una montatura
altazimutale costruita con materiali poveri e precari: alluminio leggero, ed assai più spesso
legno compensato, e talvolta addirittura cartone pressato. Anche se equipaggia a volte
telescopi con specchi di generose dimensioni ed anche se molto in voga nel mondo amatoriale,
specie anglosassone, è adatta solo per osservazioni visuali.
15.6.3 Coma
Il coma è un difetto generato principalmente
dai raggi che cadono obliqui al di fuori
dell’asse ottico: i raggi marginali convergono
15.6.4 Astigmatismo
Lastigmatismo in un telescopio è provocato dai raggi obliqui (astigmatismo dei raggi
obliqui). Può anche essere provocato da deformazioni dello specchio. E generalmente dovuto
a due differenti curvature degli specchi o delle lenti che hanno differenti distanze focali. Un
raggio appare perpendicolare rispetto ad un altro. Nei dischi di diffrazione l’astigmatismo si
evidenzia con immagini allungate. Diaframmando il telescopio si può ridurre il difetto.
Legge di Hubble
H0 D H0 D
z= = (16.0.1)
c c
o in analogo come
v = H0 D (16.0.2)
135
Capitolo 16. Legge di Hubble 136
Figure 17.1: La Galassia di Andromeda, membro principale insieme alla Via Lattea del
Gruppo Locale. Si tratta dell’oggetto celeste più lontano osservabile ad occhio nudo. Nella
foto sono presenti anche i satelliti M110 in basso a destra e M32 a sinistra del nucleo.
137
Capitolo 17. Cenni di astronomia galattica e extragalattica 138
17.1 Introduzione
Le galassie sono enormi insiemi di stelle e di gigantesche nubi di gas e polvere. Esse sono i
"mattoni" che compongono l’universo, il quale ne contiene miliardi.
Una galassia costituisce anch’essa, in piccolo, un vero e proprio universo a sè stante: è
un sistema autogravitante, che generalmente si evolve separatamente dalle altre galassie.In
realtà, quasi sempre due o più galassie vicine interagiscono tra loro, si avvicinano deformandosi
a causa della reciproca attrazione gravitazionale, o addirittura si scontrano dando luogo a
fenomeni molto violenti. Si definisce corrente stellare (in inglese stellar stream) un’associazione
di stelle che orbita attorno ad una galassia; può essere ciò che resta di un ammasso globulare
o di una galassia nana che è stata disgregata dalle potenti forze mareali e deformata fino ad
assumere un aspetto simile ad un nastro.
Le galassie sono oggetti vastissimi di dimensioni estremamente variabili; variano dalle più
piccole galassie nane, contenenti poche centinaia di milioni di stelle, alle galassie giganti
che contengono un numero di stelle nell’ordine di centomila miliardi, orbitanti attorno
a un comune centro di massa. Non tutti i sistemi massicci auto-gravitanti costituiti da
stelle vengono definiti galassie; il limite dimensionale inferiore, convenzionalmente, per la
definizione di galassia è un ordine di massa di 106 M , criterio per cui gli ammassi globulari
e gli altri ammassi stellari non sono galassie. Non è definito un limite superiore, tutte le
galassie osservate comunque non superano una dimensione massima di circa 101 3M .
galassie ellittiche da quelle spirali; riuscì inoltre a distinguere sorgenti puntiformi di luce
(ovvero delle stelle) in alcune di queste nebulose, dando credito all’ipotesi del filosofo tedesco
Immanuel Kant, che riteneva che alcune nebulose fossero in realtà galassie distinte dalla Via
Lattea. Nel 1917 Heber Curtis osservò la supernova S Andromedae all’interno della "Grande
Nebulosa di Andromeda" (M31); cercando poi con accuratezza nei registri fotografici ne scoprì
altre undici. Curtis determinò che la magnitudine apparente di questi oggetti era 10 volte
inferiore di quella che raggiungono gli oggetti all’interno della Via Lattea. Come risultato
egli calcolò che la "nebulosa" dovesse trovarsi a una distanza di circa 150.000 parsec; Curtis
divenne così sostenitore della teoria degli "universi isola", che affermava che le nebulose di
forma spirale erano in realtà galassie simili alla nostra, ma separate. Nel 1920 ebbe luogo
il Grande Dibattito tra Harlow Shapley e Heber Curtis sulla natura della Via Lattea, delle
nebulose spiraliformi e sulle dimensioni generali dell’Universo. Per supportare l’ipotesi che
la Grande Nebulosa di Andromeda fosse in realtà una galassia esterna, Curtis indicò la
presenza di macchie scure, situate nel piano galattico di Andromeda, simili alle nebulose
oscure osservabili nella Via Lattea, e fece notare anche il notevole spostamento della galassia
secondo l’effetto Doppler. l problema fu definitivamente risolto da Edwin Hubble nei primi
anni venti, grazie all’uso del nuovo e più potente telescopio presso l’osservatorio di Monte
Wilson. Lo scienziato americano fu in grado di risolvere le parti esterne di alcune nebulose
spiraliformi come insiemi di stelle e tra esse identificò alcune variabili Cefeidi, che lo aiutarono
a stimare la distanza di queste nebulose: queste si rivelarono troppo distanti per essere parte
della Via Lattea. Nel 1936 lo stesso Hubble ideò un sistema di classificazione per le galassie
ancora usato ai nostri giorni: la sequenza di Hubble.
Capitolo 17. Cenni di astronomia galattica e extragalattica 140
molto aperti (Sc). Oltre all’avvolgimento dei bracci la classificazione di queste galassie
avviene anche attraverso altri due parametri, comunque sempre collegati: dimensione
del bulge (più è piccolo più il tipo morfologico è avanzato) e risoluzione dei bracci in
sottostrutture (stelle, nubi, etc... più sono risolti più il tipo è avanzato). Hanno una
popolazione mista di stelle vecchie e giovani su orbite ordinate.
• le galassie a spirale barrata sono simili alle galassie a spirale, anche come popolazione
stellare, ma i bracci partono da una specie di barra che attraversa il bulge invece che
direttamente da esso. Sono denominate da SBa a SBc ed i parametri di classificazione
sono gli stessi delle galassie a spirali normali. Contrariamente a quanto si possa pensare
sono queste le galassie a spirale più diffuse nell’universo (sono circa il 70% del totale).
• le galassie a spirale intermedia, classificate come SAB (ovverò a metà tra le galassie
a spirale e le galassie a spirale barrata). Sono molto rare, tanto da non comparire nella
sequenza di Hubble (infatti più propriamente è una terminologia successiva).
• le galassie irregolari non mostrano alcuna forma regolare riconoscibile, sono state
divise da Hubble in due classi: Irregolari di tipo I e di tipo II. In seguito queste classi
sono state rinominate in Irregolari di tipo magellanico (Im) e barrate di tipo magellanico
(Ibm) pensate come continuazione dei due bracci del diagramma a diapason. Sono
ricche di gas, polveri e giovani stelle.
Gli astronomi hanno costruito una teoria dell’evoluzione delle galassie che suggerisce come
le ellittiche siano, in realtà, il risultato di collisioni tra galassie spirali e/o irregolari, che
rimuovono la maggior parte del gas presente nei sistemi e rimescolano le orbite delle stelle. Il
merging delle galassie da semplici ammassi di stelle (dell’oridne della massa di un ammasso
globulare) a galassie via via più grandi, è una delle basi del modello standard della cosmologia
(modello Lambda-CDM).
Figure 17.5: Modello della Via Lattea basato sulle osservazione e simulazioni
compongono sono varie e a volte controverse: secondo alcune fonti sarebbero circa 200
miliardi, mentre secondo altre potrebbero essere fino a 400 miliardi. Recenti osservazioni
inducono a pensare che il disco gassoso della Via Lattea abbia uno spessore di ben 12 000 anni
luce, un valore dodici volte superiore a quello precedentemente ipotizzato. La magnitudine
assoluta integrata della Via Lattea è stata invece stimata intorno a 20,9. Gran parte della
massa galattica potrebbe essere costituita da materia oscura, che forma un alone galattico
le cui stime di massa variano tra 600 miliardi e 3 000 miliardi di masse solari (M).
All’esterno della Via Lattea si staglia l’alone galattico, delimitato dalle due galassie satelliti
maggiori, la Grande e la Piccola Nube di Magellano, i cui perigalattici (i punti delle
loro orbite più vicini alla nostra Galassia) distano circa 180 000 anni luce dalla Via Lattea
stessa.
Con qualche eccezione, ogni ammasso possiede un’età ben definita; la maggior parte delle
stelle appartenenti ad un ammasso infatti sono nella stessa fase evolutiva, e probabilmente
quindi si sono formate nella stessa epoca. Tutti gli ammassi conosciuti non possiedono
nuove stelle in formazione. Alcuni ammassi, come Omega Centauri nella Via Lattea sono
straordinariamente massicci (diversi milioni di masse solari) e contengono popolazioni diverse
di stelle; entrambi possono essere considerati la prova che i super ammassi stellari sono in
realtà i nuclei di galassie nane che sono state inglobate da galassie più grandi. Alcuni ammassi
globulari (come M15) hanno nuclei estremamente massicci che potrebbero ospitare persino
buchi neri, anche se dalle simulazioni non possono essere escluse concentrazioni di stelle di
neutroni o nane bianche particolarmente grandi.
Alcuni ammassi globulari sono visibili ad occhio nudo e si presentano come delle piccole
macchie chiare e dai contorni sfumati. I più luminosi sono Omega Centauri e 47 Tucanae,
visibili solo dall’emisfero australe, e, da quello boreale, l’Ammasso Globulare di Ercole.
Omega Centauri e 47 Tucanae sono così brillanti (quarta e quinta magnitudine rispettivamente),
da aver ricevuto una sigla identificativa equivalente a quella di una stella. Altri ammassi
globulari visibili ad occhio nudo in condizioni osservative eccellenti anche dalle latitudini
temperate boreali sono M4 nello Scorpione ed M22 nel Sagittario.
Capitolo 17. Cenni di astronomia galattica e extragalattica 146
Bibliografia
147
Capitolo 18
Fonti
• NASA
• ESO
• Edu INAF
• BFC Space
• Astroshop.it
• Wikipedia
• ResearchGate
149
Capitolo 18. Fonti 150