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UMILTÀ E CULTO DEGLI ANGELI IN COL 2,18 DI FRED O.

FRANCIS

LA POSIZIONE DELL’AUTORE

Il nostro autore inizia la sua discussione relativa al summenzionato versetto, elencando le principali
difficoltà che lo accompagnano:
- la tradizione greca evidenzia due varianti a) l’omissione di ἐν dopo θέλων

b) inclusione di una negazione dopo ἃ

- l’estrema rarità del verbo καταβραβευέτω, inteso da molti commentatori greci con il
significato di assegnare un premio ingiustamente, dai commentatori moderni come
equivalente di condannare e da altri, in una posizione più moderata, nel senso primario del
verbo βραβεύειν, col senso di privare, squalificare, usurpare;

- θέλων (ἐν) inteso da alcuni con senso avverbiale e quindi legato a καταβραβευέτω, da altri
collegato invece a ἐμβατεύων ed infine da altri studiosi ancora come un “Septuagintismo”;

- ταπεινοφροσύνῃ una falsa umiltà


parola tecnica per indicare digiuno o pratiche ascetiche (Tertulliano)
Analisi dell’uso tecnico del termine atto ad indicare un legame con le pratiche di digiuno (di cui si
fa richiamo anche in Col 2,16-23). Nel nostro versetto si potrebbe scorgere un legame con gli effetti
del digiuno. Nella LXX, verbo e sostantivo relativi, richiamano il vestire di sacco e coprirsi il capo
di cenere in segno di penitenza. In Is 58 l’umiltà è ciò che aiuta la preghiera e permette di conoscere
le vie di Dio. Questo legame con le pratiche di ascesi e digiuno congiunge l’umiltà alle visioni
trascendenti.
Scholem → questo tipo di ascetismo continua nel giudaismo fino al medioevo; l’intima relazione tra
rigorismo ed entrata nel Regno non è caratteristica della sola letteratura apocrifa giudaica.

- θρησκείᾳ τῶν ἀγγέλων genitivo oggettivo → il culto diretto agli angeli


genitivo soggettivo → il culto che rendono gli angeli (modifica
anche la concezione della ταπεινοφροσύνῃ)
Culto condannato dal Concilio di Laodicea (XXXV canone) e identificato come una forma di eresia
(Teodoreto). Ad ogni modo Isaia vede angeli pregare e glorificare Dio in ognuno dei sette cieli da
lui attraversati e anche l’Ap di Giovanni parla degli angeli nella descrizione della liturgia celeste.
Dal punto di vista sintattico dire che τῶν ἀγγέλων sia un genitivo soggettivo riferito al culto che gli
angeli danno a Dio, è confermato anche dal fatto che questo non esclude la possibilità di un culto ad
essi diretto.

- ἃ ἑόρακεν oggetto di ἐμβατεύων


proposizione relativa riferita a ταπεινοφροσύνῃ καὶ θρησκείᾳ τῶν ἀγγέλων

- ἐμβατεύων coordinato con gli altri participi (θέλων - φυσιούμενος)


con valore temporale in riferimento a ἃ ἑόρακεν
avente come oggetti ταπεινοφροσύνῃ καὶ θρησκείᾳ τῶν ἀγγέλων
collegato a θέλων in una proposizione finale
Il significato originale è quello di entrare. Nelle quattro ricorrenze di 1Mac il verbo fa riferimento
ad un’azione di incursione di carattere militare, assumendo, pertanto, il valore di invadere. In Gs 19
è utilizzato per dire l’entrare in possesso della terra promessa. Il verbo appare anche nelle iscrizioni
al santuario di Apollo a Claro che parlano di un ingresso con una particolare sfumatura legata ai riti
di iniziazione ai culti misterici (cfr. studio di Dibelius → ἐμβατεύων indica questa forma di

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iniziazione cui potevano essere indotti anche i Colossesi). Di contro altri studi fanno notare come
questo entrare sia inteso altrove, e dallo stesso Paolo, come metafora di un viaggio celeste. C’è sia
in Paolo (essere catturato/rapito) che nella teologia rabbinica (entrare) questa idea di una visio
estatica, di un viaggio nel cielo. L’entrare quindi non sarebbe la descrizione di un fenomeno
differente dall’ascendere.

- εἰκῇ → collegato a φυσιούμενος o ἐμβατεύων?

Veniamo ora alla traduzione offerta dal nostro autore. Egli innanzitutto traduce καταβραβευέτω
con il termine squalificare. In questo contesto l’autore vuole comunicare il doppio senso di un
giudizio oggettivo dei lettori rispetto a coloro che si trovano nell’errore e un giudizio soggettivo che
ricade su quanti adottano lo stile di vita proposto da coloro che traggono in errore, e che possono
trovarsi anche tra i destinatari dello scritto.
Questa ambivalenza del testo, sembra confermata anche dalla traduzione scelta per il participio
θέλων. Dall’analisi della discussione su un valore avverbiale o assoluto, l’autore opta per una
traduzione avverbiale che confermi l’ambivalenza delle espressioni. Difatti traducendo con tenendo
a / piegandosi verso, si può pensare sia ad una forma di specificazione del tipo di giudizio dinanzi
al quale ci si trova, che ad un riferimento all’ambiente della comunità nel quale qualcuno potrebbe
correre il rischio di essere privato del premio di Cristo. Resta chiaro il legame tra ταπεινοφροσύνῃ
καὶ θρησκείᾳ τῶν ἀγγέλων rette da καταβραβευέτω.
Infine notiamo come il participio ἐμβατεύων sia tradotto come avverbiale con sfumatura temporale.

VALUTAZIONE CRITICA

La traduzione offerta dal nostro autore innanzitutto ha il vantaggio di mettere in rilievo il soggetto
μηδεὶς, senza per questo forzare la grammatica nell’analisi dei participi seguenti (resi tutti in senso
avverbiale). Proprio in relazione a due di questi participi (θέλων e ἐμβατεύων), evidenziamo le
maggiori novità. Sembra che, però, rendere il participio con tendendo a – piegandosi verso, anche
se nell’intenzione espressa dall’autore vuole essere un modo per mantenere ampio il quadro della
possibile squalifica, soprattutto in relazione ai suoi destinatari (dimensione oggettiva e soggettiva),
in realtà finisca per qualificare già negativamente ταπεινοφροσύνῃ καὶ θρησκείᾳ τῶν ἀγγέλων.
Al fine di mantenere davvero ampio lo sguardo, cosa che poi l’autore fa quando parla di una umiltà
non necessariamente negativa e anche di un culto angelico, con i riferimenti biblici corrispondenti,
ci sembra più opportuna la traduzione del participio con senso avverbiale di proposito (cfr. BDR
418,7). Questo rimanda l’attenzione al καταβραβευέτω che diventa transitivo→ “Nessuno vi
squalifichi”. È l’azione dello squalificare, del far perdere il premio ricevuto in Cristo, ad essere la
vera cosa negativa da cui i cristiani di Colossi devono guardarsi.
Molto interessante è lo studio fatto del participio ἐμβατεύων collegato con l’ambiente religioso-
culturale. Da qui risulta ragionevole, pensare che lo sviluppo semantico di ἐμβατεύω sia dovuto
all’uso popolare che ne veniva fatto nelle aree dalle quali provenivano le “delegazioni” templari di
Apollo. Ad ogni modo, come messo in evidenza dall’autore nella critica all’argomentazione di
Dibelius, un prestito di vocabolario non è sufficiente per affermare la presenza a Colossi di culti
misterici che, nella pratica, potessero tanto minacciare la vita della comunità.
La consapevolezza di questo retroterra culturale, e l’uso che Paolo ne fa in modo volontario (non
sarebbe la prima volta) mantenuto nella traduzione, permette di intravedere certamente la religiosità
degli avversari dietro la scelta di questo termine. Allo stesso tempo fa risaltare la necessità di una
interpretazione più ampia, quello che l’autore si sforza proprio di mettere in luce, fino alla
conclusione che: il vero pericolo è una riduzione della portata salvifica dell’unica mediazione del
Cristo.
GERARDO CERBASI
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