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ANTILEGOMENON SU uJpovstasiç

In un recente articolo, 1 in cui torna ancora su oJmoouvsioç, G.


Bartolozzi mi muove due critiche a proposito dell’ espressione ejx
eJtevraç uJpostavsewç contenuta nella cosiddetta quarta formula di
fede di Antiochia (341). 2 Perché l’ eventuale lettore di queste
pagine non del tutto a giorno circa i dettagli della controversia
ariana si possa orientare in argomento, mi limito a rammentare che
questa professione di fede in realtà non fu pubblicata dal concilio
antiocheno del 341 ma fu presentata nel 342 all’ imperatore
Costante a Milano da una delegazione di vescovi orientali,
esponenti del partito eusebiano, al fine di attenuare i contrasti
dottrinali che allora contrapponevano la fazione dominante dell’
episcopato orientale alla sede romana. 3 La professione, che
riprende in sintesi i punti qualificanti della seconda formula di
Antiochia del 341, se da una parte omette l’ oJmoouvsioç caratteristico
della formula di fede pubblicata dal concilio di Nicea del 325, dall’
altra conferma proprio la condanna nicena delle principali
proposizioni ariane, e si presenta in complesso come una formula di
compromesso. Ciò posto, veniamo alle critiche di Bartolozzi.
Egli mi rimprovera di aver affermato che, nella formula
antiochena, l’ espressione ejx eJtevraç uJpostavsewç « stava ad indicare
con chiarezza la reale generazione del Figlio dal Padre », mentre,
1
Cf. L’ oJmoouvvsioç niceno: alcune considerazioni, in Augustinianum 53
(2013), 375-392.
2
Per il testo greco di questa professione di fede cf. A. Hahn – G. L.
Hahn, Bibliothek der Symbole und Glaubensregeln der alten Kirche, Breslau 1897,
187-188.
3
Siamo nella seconda fase della controversia ariana, successiva alla
morte di Costantino, che vide contrapposti uno all’ altro gli episcopati
orientale e occidentale, in quanto gli orientali cercavano una soluzione
dottrinale mediana tra il simbolo niceno del 325 da una parte e la dottrina
di Ario dall’ altra, e per questo venivano accusati di essere tout court ariani
dalla sede romana. Per dettagli cf. il mio La crisi ariana nel IV secolo, Roma
1975 (SEA 11), 135 ss.
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secondo lui, con questa espressione « si voleva probabilmente


indicare una generica derivazione del Figlio dal Padre » (pag. 383,
in nota). Di per sé effettivamente l’ espressione indica una
derivazione di carattere generico, ma nella parte iniziale di questa
formula di fede riguardo al Figlio si legge proprio che è stato
generato dal Padre (ejk tou= patroVç gennhqevnta), esattamente come
nella professione nicena del 325. Data questa esplicita affermazione
di poche linee più su, è evidente che anche il conclusivo ejx eJtevraç
uJpostavsewç implicitamente ma indubbiamente presenta lo stesso
significato.
Ancora a proposito di questa espressione, Bartolozzi osserva che
l’ interpretazione che io le ho dato in questo contesto « contrasta
con quanto lo studioso ha affermato riguardo alla stessa espressione
nell’ anatematismo del simbolo niceno, 4 dove inspiegabilmente ejx
eJtevraç uJpostavsewç avrebbe un altro significato, quello di
interpretare l’ oJmoouvsioç anche in senso monarchiano, cioè come
identità nell’ ipostasi di Padre e Figlio alla maniera di Marcello di
Ancira » (ancora pag. 383, in nota). Obietto che il significato di un’
espressione di norma dipende dal contesto del quale fa parte, e il
contesto della quarta formula antiochena è molto diverso da quello
della formula nicena del 325, sì che anche il significato di quell’
espressione risulta diverso. A proposito della formula nicena il mio
ragionamento, riportato da Bartolozzi in modo piuttosto
approssimativo, si fondava sulla presenza in essa del cruciale termine
oJmoouvsioç, che identifica l’ ousia del Figlio con quella del Padre,
mentre nell’ anatematismo si legge ejx eJtevraç uJpostavsewç h] oujsivaç:
dato che qui ousia e ipostasi sono identificate, « alla luce di questa
uguaglianza era facile ricavare che anche in homoousios si dovesse
intendere ousia in senso individuale, e allora l’ affermazione che il
Figlio è homoousios col Padre veniva a significare che egli partecipava
della essenza individuale del Padre, cioè della stessa ipostasi ». 5 Di

4
In questo anatematismo si condannano quanti affermano che il Figlio
di Dio è stato fatto dal nulla ovvero deriva da altra ipostasi o ousia rispetto a
quella del Padre.
5
Cf. La crisi ariana nel IV secolo, 94. Per intendere il senso di queste
parole si abbia presente che oujsiva significava sia la essenza (=sostanza)
individuale di una entità sia quella di tutto il genere di cui quella entità
faceva parte, mentre ipostasi aveva soltanto significato individuale. Nell’
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qui il possibile significato monarchiano di oJmoouvsioç e perciò di


tutto il simbolo niceno, secondo una tendenza dottrinale che nel
concilio niceno del 325 fu rappresentata soprattutto da Marcello di
Ancira. 6 Passando alla quarta formula antiochena rilevo che in essa
è omesso l’ oJmoouvsioç e che l’ espressione in oggetto è semplificata:
ejx eJtevraç uJpostavsewç, con l’ omissione di oujsiva, dal significato
tanto ambiguo. In tal modo ipostasi, secondo il suo abituale
significato individualizzante, qui sta semplicemente a significare che
il Figlio deriva dalla ipostasi del Padre, in quanto da lui generato. In
altri termini, mentre nel simbolo niceno l’ accostamento identitario
di ousia e ipostasi favoriva l’ interpretazione monarchiana di
oJmoouvsioç e perciò dell’ intera formula, nella formula antiochena
ipostasi caratterizza la sussistenza individuale del Padre rispetto a
quella del Figlio in senso programmaticamente antimonarchiano,
come voleva la dottrina origeniana delle tre ipostasi trinitarie,

anatematismo niceno l’ affiancamento di ousia a ipostasi specificava anche


ousia in senso indidividuale.
6
A questo proposito Bartolozzi, in polemica con Ayres, e implicitamente
con i non pochi studiosi che ravvisano nell’ oJmoouvsioç niceno del 325 un
significato monarchiano di tipo marcelliano, obietta: « se ci fosse stata
sintonia fra la dottrina dell’ oJmoouvsioç e quella di Marcello, non si comprende
perché quest’ ultimo non utilizzi mai il termine nella sua polemica con
Asterio e nella lettera a Giulio di Roma, la quale costituisce una sorte di
professione di fede » (pag. 377, in nota). Ma, precisato che sia la polemica
con Asterio sia la lettera a Giulio di Roma furono successive al 325, qui
Bartolozzi non tiene conto che per molti anni dopo la conclusione del
concilio niceno oJmoouvsioç non fu mai addotto nei contrasti dottrinali che
ne seguirono, e se il silenzio si spiega agevolmente da parte degli avversari
orientali, non è facile capire perché lo abbiano evitato anche i sostenitori
occidentali della dottrina nicena, perfino nella professione di fede che
pubblicarono nel concilio di Serdica del 343, che condannò esplicitamente
la dottrina orientale delle tre ipostasi trinitarie e in tal modo sembrava
accentuare il significato monarchiano della dottrina nicena. La spiegazione
che abitualmente vene proposta di questo silenzio è che il termine fu
accantonato anche dai sostenitori occidentali della dottrina nicena, e anche
da Marcello che a loro si appoggiava, a causa dell’ ambiguità del suo
significato, conseguente alla duplicità di significato di oujsiva, su cui cf.
nota 5. A questo proposito va precisato che, proprio a causa di questa
duplicità di significato, oJmoouvsioç e relativa dottrina potevano, non dovevano
necessariamente, essere interpretati in senso monarchiano.
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secondo quanto era stato affermato esplicitamente nella seconda


formula di Antiochia, da cui deriva la quarta. Come si vede, dati i
differenti contesti dottrinali, uJpovstasiç ha nella formula antiochena
valenza e funzione ben diverse rispetto a quelle che ha nella
formula nicena.
Per controbattere l’ affermazione del significato monarchiano
dell’ oJmoouvsioç niceno, Bartolozzi adduce l’ autorità di Eusebio, il
quale, nella lettera inviata ai suoi diocesani l’ indomani della
chiusura del concilio di Nicea, ne interpreta l’ oJmoouvsioç come
significativo « che il Figlio potesse sussistere in una distinta ipostasi e
ousia rispetto al Padre » (ancora pag. 383, in nota). È superfluo
rammentare la grande importanza di questo testo eusebiano, in
quanto l’ unico giunto a noi, di significato dottrinale, redatto
immediatamente dopo la conclusione del concilio. È per altro ben
noto che di esso si deve far uso cum grano salis, in quanto Eusebio lo
scrisse tutt’ altro che da storico il quale riferisca spassionatamente i
fatti ai quali egli stesso aveva partecipato, bensì con evidente finalità
difensiva, per giustificare l’ atteggiamento da lui tenuto durante i
lavori del concilio, dove, dopo avere in precedenza preso le parti di
Ario, ne aveva invece sottoscritto la condanna. In effetti,
presentatosi al concilio di Nicea gravato dalla condanna che solo
poco tempo prima gli aveva inflitto il concilio di Antiochia proprio
in quanto partigiano di Ario, 7 Eusebio si era dato da fare, durante i
lavori del successivo concilio, per rimuovere la condanna, in modo
da salvare se stesso a spese di Ario. Di qui l’ opportunità, da parte
sua, di giustificare questo operato con la lunga lettera, e da parte
nostra di considerare la sua interpretazione del simbolo nella
prospettiva della particolare situazione in cui versava e che non
gliene permetteva una valutazione del tutto sincera e in sintonia con
le sue più personali convinzioni. Più in generale, torno di nuovo a
ribadire che l’ ambiguità del significato di ousia, essenza (sostanza)

7
Comunque, la condanna fu sospesa e la sua eventuale conferma fu
demandata al prossimo concilio niceno, di cui era stata già fissata la data di
convocazione quando si svolse il concilio di Antiochia. Su tutto questo cf.
La crisi ariana nel IV secolo, 38 ss. 83 s. Quanto all’ autenticità del documento,
in lingua siriaca, che ci ha fatto conoscere le deliberazioni del concilio
antiocheno del 325, ancora di recente contestata, confermo la mia
convinzione del tutto favorevole.
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sia individuale sia generica, permetteva d’ interpretare oJmoouvsioç in


base a due significati diversi, sintonizzandolo variamente con gli altri
dettagli della formula, sì che esso poteva, non doveva necessariamente,
essere interpretato in senso monarchiano. Ma certamente furono
allora in molti a interpretarlo in questo modo, chissà, forse in cuor
suo anche Eusebio.
MANLIO SIMONETTI
Istituto Patristico ‘Augustinianum’
Via Paolo VI, 25
00193, Roma,
ITALIA
ABSTRACT
Concerning the vexing question concerning the value to be
attributed to oJmoouvsioç, the key term of Nicea, this note rejects the
earlier critiques raised against Simonetti by way of an interpretation
of the expressions ex eJtevraç uJpostavsewç contained in the fourth
creedal formula of Antiochia.

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