«A chi non è sposato e alle vedove dico: sarebbe bene se rimanessero come sono
anch’io, ma se non riescono a essere continenti si sposino pure: infatti è meglio
sposarsi che ardere di desiderio. […] La donna senza marito e la vergine pensano
alle cose del Signore, per essere sante nel corpo e nello spirito; invece colei che è
sposata pensa alle cose del mondo e a come piacere al marito» (1 Cor. 7, 8-9 e 34).
Ma è solo in età patristica che si sviluppa una riflessione specifica sul valore della
verginità .
La verginità di Maria
Il Protovangelo di Giacomo è un testo apocrifo, scoperto dall’umanista
Guillaume Postel alla metà del Cinquecento. Secondo il Postel, ne era autore
Giacomo il Minore, fratello di Gesù , ed era stato composto non oltre la metà del
II secolo. Sarebbe stato dunque uno dei più antichi testi cristiani, per alcuni
studiosi addirittura precedente al Vangelo di Luca, che vi si sarebbe ispirato.
Questa tesi è stata respinta per molti motivi, innanzitutto il silenzio dei Padri
della Chiesa, che non fanno alcun riferimento a questo scritto. Ma
principalmente un’analisi interna del suo contenuto ha spostato la sua datazione
molto più tardi, nel IV secolo. L’autore anonimo rivela infatti una scarsa
conoscenza degli usi palestinesi, ed è legato intellettualmente all’ambiente
greco.
Nonostante non sia stato accolto nel canone, il Vangelo di Giacomo è però
considerato più un testo extracanonico che un apocrifo, perché la Chiesa ha
tacitamente accolto molte informazioni che vi sono contenute e che sono entrate
a far parte della tradizione e delle credenze comuni. Il Vangelo di Giacomo
riveste particolare importanza anche per l’iconografia cristiana.
Il Protovangelo di Giacomo
Al centro del racconto vi è la figura della Vergine Maria, con notizie
sulla sua vita che ampliano notevolmente il sobrio racconto
dell’evangelista Luca.
«Se vuoi entrare in questa santa vita per ottenere misericordia davanti a
Dio, esaminati accuratamente e i fratelli costruiranno un edificio, dove
potrai ritirarti. Senza dubbio, grazie a te, il Signore farà venire altre
sorelle, che si salveranno per merito tuo» (Vita copta di san Pacomio, p. 27).
Preghiera e lavoro manuale sono alla base della vita pacomiana, e tuttavia
uno spazio importante è riservato anche allo studio, e questa è una
occupazione prevista anche per le monache:
«Chi entra nel monastero ancora pagano, prima sia istruito su ciò che
deve osservare e quando avrà accettato ogni cosa, gli si diano venti Salmi
o due lettere dell’Apostolo o una parte del resto della Scrittura. E se ignora
le lettere, alle ore prima, terza e sesta vada da colui che può istruirlo e
impari con molta diligenza e ogni gratitudine. Poi gli si scrivano gli
elementi di una sillaba, le parole e i nomi e sia costretto a leggere anche
contro voglia. Nel monastero non ci sia proprio nessuno che non sappia
leggere e non ricordi qualcosa della Scrittura: come minimo il Nuovo
Testamento e il Salterio» (Regula Pachomii, 139-140).
Il monachesimo greco:
Macrina e i Padri Cappadoci
Basilio pone alla base del suo insegnamento il precetto della carità, dell’amore
di Dio e del prossimo. L’amore di Dio esige una rinuncia totale al mondo, ma non
implica la separazione dalla comunità dei fedeli. La caratteristica essenziale
della spiritualità basiliana è la vita comune: solo la vita cenobitica può garantire
l’esercizio della carità , mentre l’eremitismo è pericoloso e può condurre a forme di
ascesi esasperate.
Ma il cenobitismo basiliano si differenzia profondamente da quello pacomiano
nell’organizzazione del monastero. Per Basilio nella comunità il numero dei monaci
non deve essere elevato, in modo da consentire loro una vita più raccolta. Inoltre il
cenobio non deve essere una entità a sé stante rispetto alla comunità cristiana;
ecco perché il monastero basiliano ha delle scuole, un ospizio, un orfanotrofio.
Importante è la funzione assegnata all’insegnamento e alla formazione. Un altro
elemento distingue il cenobitismo basiliano da quello egiziano: le comunità sono al
servizio della chiesa locale presieduta dal vescovo.
Vita Macrinae
Imitate il pubblicano e così non sarete condannate come lo fu il fariseo. Scegliete l’umiltà di
Mosè per trasformare il vostro cuore di pietra in una sorgente. — È bene non adirarsi ma, se
questo dovesse succedere, san Paolo non vi lascia nemmeno una giornata per sfogare questa
passione, perché dice «Non tramonti il sole sulla vostra ira». E voi aspetterete sinché non
tramonterà il vostro tempo? Perché odiare chi vi ha rattristato? Non quella persona ha
sbagliato, ma il Maligno. Detestate la malattia e non il malato. — Esattamente come è
impossibile essere allo stesso tempo una pianta e un seme, così è per noi impossibile essere
circondati dagli onori del mondo e allo stesso tempo produrre un frutto celeste.
Amma Teodora disse:
Un maestro dovrebbe essere estraneo al desiderio di dominio, vanagloria e orgoglio. Un maestro non
dovrebbe farsi ingannare dall’adulazione, non farsi accecare dai propri doni e mai farsi dominare dalla
collera. Un maestro dovrebbe essere paziente, gentile e umile per quanto è possibile; deve essere stato
messo alla prova con successo, privo di partigianeria, pieno di sollecitudine e amante delle anime. — Se
volete che il vostro spirito porti frutto e che le passioni cessino di esercitare su di voi ogni seduzione,
rafforzate l’esercizio della lettura. Fatelo in totale silenzio con la mente limpida dandole la possibilità di
approfondirla completamente. Siamo condannati ad assaggiare il pane della sapienza con fatica e il
sudore della fronte. — Amate il Signore nostro Gesù Cristo, lottate per raggiungere le virtù . Il lavoro
continuo che si svolge nella perseveranza allontana e scaccia la tristezza. — Amate l’esichia (equilibrio
interiore, ndr). L’indipendenza dell’anima dalle vanità del mondo si rafforza tramite l’esichia, il silenzio
e la rinuncia. La preghiera e la lettura perfezionano il discernimento.
Se ti ricorderai quanto dice la Scrittura: «In base alle tue parole sarai giustificata, e in base alle tue
parole sarai condannata», sceglierai come cosa migliore il tacere. — Siano sempre i Salmi sulla tua
bocca e il ricordo di Dio nella tua mente! Se ricordiamo Dio e lo teniamo dentro di noi i demoni
vengono cacciati. Bada bene a non scordare Dio!
Le prime esperienze occidentali
Le origini del monachesimo femminile in Italia ci sono poco note, a causa del
silenzio quasi totale delle fonti in proposito.
A fronte di questa scarsezza di documentazione possediamo invece numerosi
testi dei Padri della Chiesa, che svolgono una propaganda a tutto campo a favore
della verginità consacrata, ponendo le premesse ideologiche della valorizzazione
dell’astinenza sessuale. Cessate le persecuzioni, la rinuncia al mondo viene a
configurarsi come una sorta di martirio incruento (sine cruore martyrium), e
nella nuova graduatoria di merito stabilitasi la palma tocca alla verginità , seguita
dalla continenza vedovile e dal matrimonio.
Il primo scritto teorico incentrato sulla esaltazione della verginità è di ambiente
greco ed è il Simposio di Metodio d’Olimpo (†311), in cui le vergini vengono
considerate come un gruppo a sé stante all’interno della comunità ecclesiale,
dotato di una particolare dignità .
In Occidente, i due personaggi che nei loro scritti più si impegnano nella difesa
dello stato verginale sono sant’Ambrogio, vescovo di Milano, e san Girolamo.
La propaganda in favore della verginità
Un ruolo importante nello sviluppo delle esperienze ascetiche a Roma venne svolto
da san Girolamo (†420) durante il suo soggiorno nella città tra il 382 e il 385.
Girolamo in realtà non ne fu l’iniziatore, perché al tempo del suo arrivo erano già
molto attivi gruppi di donne impegnate in una vita di severo ascetismo. Tra queste, la
prima e più famosa fu Marcella (†410), di grande famiglia patrizia. Rimasta vedova
dopo soli sette mesi di matrimonio, sembra intorno al 355, respinse le seconde nozze
e abbracciò una vita di perpetua continenza. Continuò ad abitare con la madre Albina
nella sua casa dell’Aventino, trattenendo delle proprie sostanze quanto le era
necessario per il sostentamento suo e dei suoi parenti. Marcella non consumava
carne e beveva solo limitate quantità di vino, indossava una semplice tunica, e non
coltivava le relazioni sociali tipiche del suo ceto. Usciva di casa solo per brevi
pellegrinaggi nelle basiliche e nei santuari, incontrando ecclesiastici e monaci, ma
sempre alla presenza di testimoni.
Marcella è il modello ideale della vidua sacra nella Roma del IV secolo, e il suo
esempio attirò molte donne di estrazione aristocratica che seguirono il suo magistero
spirituale.
L’ascetismo colto delle matrone romane