“PELLEGRINI E FORESTIERI”:
L’ITINERANZA NELLA PROPOSTA DI VITA
DI FRANCESCO D’ASSISI
Introduzione
Nella lettera apostolica Incarnationis Mysterium, con la quale nel
novembre del 1998 Giovanni Paolo II indiceva l’anno santo giubilare del
2000, il papa ricordava i tre segni costitutivi e caratteristici del giubileo: il
pellegrinaggio, il passaggio della porta santa e l’indulgenza 1. Sebbene il testo
apostolico non si soffermi ad evidenziare la relazione che vi è tra i tre aspetti,
non è tuttavia difficile cogliere la continuità che sembrerebbe legare
ordinatamente i tre momenti giubilari. Con coraggio e fiducia all’uomo è
chiesto di porsi in cammino, in pellegrinaggio verso il santuario del Signore, lí
dove, attraversata quella porta che lo stava attendendo spalancata, farà
l’esperienza del volto del Signore, del suo amore gratuito e rinnovante. In
qualche modo si potrebbe dire, allora, che il diventare pellegrino costituisca il
presupposto per incontrarsi con il mistero della grazia di Dio. E nelle parole
con cui il papa descrive l’importanza spirituale di questo gesto si hanno i
motivi del suo valore propedeutico all’esperienza di Dio: “Il pellegrinaggio
evoca il cammino personale del credente sulle orme del Redentore: è esercizio
di ascesi operosa, di pentimento per le umane debolezze, di costante vigilanza
sulla propria fragilità, di preparazione interiore alla riforma del cuore” 2. In
altre parole si potrebbe dire che nel diventare pellegrino l’uomo ricorda a se
stesso la sua condizione esistenziale di povertà e proclama a Dio il bisogno
radicale della sua grazia3.
1
Cf. Acta Apostolicae Sedis 91 (1999) 129-143, rispettivamente i nn. 7, 8 e 9-10, p.
135-139.
2
Ivi, n. 7, 136.
3
Per una lettura generale degli aspetti antropologici, culturali e teologici del
pellegrinaggio come fatto religioso cf. G. Scarvaglieri, Pellegrinaggio e “liminarità”, in
Italia Francescana 75 (2000) n. 2, 56-92; prospettive piú pastorali si trovano in P.
Vanzan, Pellegrinaggio e giubileo del 2000: orizzonti teologico-pastorali rinnovati, in
9
Cf. Ff 185-212 (in seguito, per queste tre opere di Francesco verranno riportati
solo i numeri di paragrafo e non le pagine di Ff).
10
Optatus van Asseldonk ha mostrato l’importanza della prima lettera di Pietro, e in
particolare del capitolo 2, nei testi di Francesco evidenziando il ruolo strategico delle
varie citazioni di quel testo biblico nel proporre le idee portanti dell’esperienza del Santo
(cf. Le lettere di S. Pietro negli scritti di S. Francesco, in Coll. Franc. 48 [1978] 27-76).
Nell’analisi del nostro passaggio però non vi è una lettura diacronica del suo utilizzo nei
due testi di Francesco (cf. ivi, 75-76).
11
Rb, VI 2.
348 PIETRO MARANESI
12
Test. 24.
13
Si riprende qui l’espressione impiegata da Giacomo da Vitry nella sua Historia
occidentalis, II 32, dove si dice che il mondo intero era la loro “amplitudo spatiosi
claustri” (ed. J.F. Hinnebusch, Fribourg 1972, 158).
14
K. Esser, Anfänge und ursprüngliche Zielsetzungen des Ordens der
Minderbrüder (Studia et documenta franciscana, IV), Leiden 1966; il testo è apparso
anche in traduzione italiana Origini e inizi del movimento e dell’Ordine francescano.
Nuova introduzione di Lázaro Iriarte (Già e non ancora, 319), Milano 1990; di
quest’ultima ci serviremo durante l’analisi.
15
Cf. il testo italiano ivi, 59-133.
16
“Predicatori ambulanti senza fissa dimora”, Origini e inizi, 60-66.
17
Tra esse campeggiano le memorie di Giacomo da Vitry cf. ivi, 60-61.
PELLEGRINI E FORESTIERI 349
18
Cf. in particolare le due Regole e il Testamento, ivi, 62-63.
19
Il Sacrum commercium, le biografie di Tommaso da Celano, e la Vita Aegidii, cf.
ivi, 63-65.
20
Ivi, 66.
21
Cap. IV: “Prime crisi e tentativi di superamento”, ivi, 135-193.
22
Cf. ivi, 136-139.
23
Cf. ivi, 139-141.
24
È il titolo dato da Esser all’ampio paragrafo dedicato ad uno degli aspetti cruciali
dell’evoluzione dell’Ordine, cf. ivi, 159-176.
25
Cf. ivi, rispettivamente 159-162, 162-170, 171-176.
350 PIETRO MARANESI
26
Cf. Rnb VIII 3; IX 13; X 1; XII 1.
27
Rnb XIV 1.
28
L’analisi di questi ultimi due testi non è sviluppata dall’autore, perché, come
osserva alla nota 95, “le affermazioni di questi due opuscoli collimano perfettamente con
quelle della Regola non bullata” (K. Esser, Origini e inizi, 164).
29
Ivi, 165.
30
Cf. ivi, 168. Per i testi principali in cui ricorre il termine cf. Rnb IV 1; VI 1; VII
1, 13, 15; VIII 9; XV 1; Rb VI 1. Un esame particolare dei passaggi è fatto da L.
Pellegrini, Insediamenti francescani nell’Italia del Duecento (Studi e ricerche. Nuova
serie), Roma 1984, 47-51, dove si conclude “la scarsità e indeterminatezza di riferimenti
a sedi specifiche dei frati in fondamentali scritti normativi: evidentemente la quotidianità
vissuta dai frati minori era tuttora ben lontana dall’ancoramento e internamento in sedi
stabili, conventualmente (e monasticamente) concepite e organizzate” (50).
PELLEGRINI E FORESTIERI 351
31
Tra gli altri testi che possono essere citati il piú chiaro sembra essere Rnb XV 1:
“Iniungo omnibus fratribus meis, tam clericis quam laicis euntibus per mundum vel
morantibus in locis, quod nullo modo apud se nec apud alium nec alio aliquo modo
bestiam aliquam habeant”.
32
“… due distinte forme di vita… Lo sviluppo della prima forma di vita nella
seconda avvenne assai lentamente e nella misura in cui i predicatori itineranti
cominciavano ad avere basi fisse per le loro puntate apostoliche e il lavoro manuale si
esauriva quasi esclusivamente all’interno dei propri conventi” (K. Esser, Origini e inizi,
168).
33
Ivi, 170-171.
34
Nella lettura critica effettuata da Stanislao da Campagnola sulla proposta di K.
Esser viene di fatto rimproverato allo studioso tedesco di aver effettuato un’analisi
guidata principalmente dall’intento di ribaltare la soluzione storiografica di P. Sabatier
che vedeva Francesco sopraffatto dalla gerarchia ecclesiastica determinata a rendere il
suo movimento un Ordine regolamentato e non semplicemente un movimento laicale (cf.
Stanislao da Campagnola, Le origini francescane come problema storiografico, Perugia
1979, 286-304).
352 PIETRO MARANESI
distinguere tre ambiti generali del suo utilizzo. Il primo è il meno frequente
(3 volte): due volte è in connessione con la citazione biblica di Mt 18, 20
“Ubicumque sunt duo vel tres congregati in nomine meo ibi sum in medio
eorum”37, la terza un invito rivolto a tutti gli uomini dovunque essi sono 38.
Il secondo ambito ha una frequenza maggiore (6 volte) ed è utilizzato in
riferimento all’onore da tributare ad oggetti e ai nomi sacri “ubicumque”
essi sono39. Il terzo e ultimo contesto è quello piú frequente (19 volte) e piú
importante, perché viene impiegato in rapporto ai frati minori e sempre in
testi di tipo giuridico, cioè normativi per l’identità dell’Ordine: i
Fragmenta alterius Regulae non bullatae, la Regula non bullata, la Regula
bullata e infine il Testamentum. Ad osservare bene la ricorrenza dell’av-
verbio in queste quattro opere (delle quali però le prime due vanno
considerate insieme), sembra possibile scoprire un’evoluzione diacronica
del suo utilizzo. Diamo innanzitutto una lettura sinottica dei testi in
questione:
FRAGMENTA RNB REGULA NON BULLATA REGULA BULLATA TESTAMENTUM
Gebeten des Franziskus von Assisi (Franziskanische Forschungen, 29), Werl 1984, 34.
37
Fragmenta alterius Regulae non bullatae (FragmRnb), I 23 (dall’ed. di K. Esser,
Die Opuscula des hl. Franziskus von Assisi. Neue textkritische Edition [Spicilegium
Bonaventurianum, XIII], Grottaferrata 1976, 300-312); Rnb, XXII 37.
38
Rnb, XXIII 7.
39
Cf. Epistola ad clericos, 11, 12; Epistola ad custodes, 5; Epistula ad fideles, II
15; Epistola toti Ordini missa, 35; Testamentum, 12.
354 PIETRO MARANESI
TESTAMENTUM
25-26: Praecipio firmiter per
obedientiam fratribus universis, quod
ubicumque sunt, non audeant petere
aliquam litteram in curia Romana, per se
neque per interpositam personam, neque
pro ecclesia neque pro alio loco neque
sub specie praedicationis neque pro
persecutione suorum corporum; sed
ubicumque non fuerint recepti, fugiant
in aliam terram ad faciendam
poenitentiam cum benedictione Dei.
31: Et qui inventi essent, quod non
facerent officium secundum regulam, et
vellent alio modo variare, aut non essent
catholici, omnes fratres, ubicumque
sunt, per obedientiam teneantur, quod
ubicumque invenerint aliquem ipsorum,
proximiori custodi illius loci, ubi ipsum
invenerint debeant repraesentare.
huic domui (cf. Lc 10,5). Et in eadem domo manentes edant et bibant quae
apud illos sunt (cf. Lc 10,7). Non resistant malo (cf. Mt 5,39), sed qui eos
percusserit in una maxilla praebeant et alteram (cf. Mt 5,39; Lc 6,29). Et qui
aufert eis vestimentum et tunicam (Lc 6,29) non prohibeant. Omni petenti se
tribuant; et qui aufert quae sua sunt, ea non repetant (cf. Lc 6,30)42.
L’ampio utilizzo dei testi evangelici riguardanti l’invio missionario dei
discepoli da parte di Gesú costituisce l’aspetto caratterizzante del testo di
Francesco43, dove il Santo propone ai suoi frati un andare per via senza
munirsi di sicurezza alcuna, ma di affidarsi alla strada, fidandosi di Dio:
questa è la loro precipua predicazione44.
I due testi costituiscono in qualche modo due specificazioni
complementari di quanto è contenuto e sottinteso nel frequente ”ubicumque
sunt fratres” della Rnb.
– Regola bollata
Se adesso spostiamo la nostra attenzione al secondo testo, cioè alla Rb,
si osserva una specie di scomparsa o forte riduzione dell’impiego di
“ubicumque” riferito alla posizione dei frati nel mondo. Il riutilizzo nella Rb
dei passi della Rnb dove compariva l’avverbio sembrerebbe essere stato
guidato dalla volontà precisa di eliminare l’“ubicumque”, cosí da togliere
quel carattere di provvisorietà e itineranza dei frati. Le stesse situazioni prese
in esame e regolamentate nella Rnb ritornano nella Rb con uguali soluzioni,
ma liberate da nostro avverbio, il quale, pur non avendo un ruolo essenziale
per il contenuto normativo, svolgeva nella Rnb una funzione esplicativa nel
“posizionare” i frati in rapporto al mondo. Nella Rb la soppressione
dell’“ubicumque” fa pensare ad una maggiore residenzialità dei frati, ad un
vivere, cioè, piú legati ad un luogo preciso e meno aperti alla possibilità di
essere in qualunque parte del mondo. Il carattere itinerante dei frati non è
eliminato nella Rb. Lo testimoniano i due passaggi in cui ancora ricorre
l’avverbio “ubicumque”. La situazione di itineranza è alla base di Rb VI 7,
dove i frati sono esortati ad una caritatevole e benevola accoglienza
“ubicumque sunt et se invenerint”. La stessa situazione sembra ritrovarsi nel
cap. X 4 dove Francesco concede, in continuità con la Rnb, ai suoi frati
42
Rnb, XIV 1-6.
43
Per un’analisi del modo di utilizzare i testi biblici nel tessuto dei capitolo XIV-
XVII della Rnb si veda ivi, 209-221.
44
Cf. le sottili considerazione di Dozzi in ivi, 221-222.
PELLEGRINI E FORESTIERI 359
- Testamento
L’ultima tappa di questa evoluzione lo troviamo nel Testamentum nel
quale vi è una specie di ritorno dell’utilizzo dell’avverbio “ubicumque”.
L’opuscolo scritto o meglio dettato da Francesco 45 costituisce un punto di
confronto importante per cogliere l’evoluzione dell’idealità francescana e,
soprattutto, per tentare di stabilire quale fosse la posizione dell’ultimo
45
Per una presentazione particolare dello Scritto di Francesco restano fondamentali
le pagine di K. Esser, Il Testamento di S. Francesco d’Assisi, Milano 1978 (il testo
originale, piú ampio e critico: Das Testament des hl. Franziskus von Assisi. Eine
Untersuchung über seine Echtheit und seine Bedeutung, Münster 1949. A questo lavoro
si richiamano le pagine introduttive della recente pubblicazione di M. Conti, Il discorso
d’addio di san Francesco. Introduzione e commento al Testamento (Bibliotheca
Pontificii Athenaei Antoniani, 37), Roma 2000, 17-37 (per un giudizio sul lavoro cf.
Coll. Franc. 70 [2000] 542-543).
PELLEGRINI E FORESTIERI 363
pensa e si rivolge quando li esorta a non difendersi chiedendo lettere alla curia
Romana, ma a rimettersi in cammino qualora non venissero accolti:
Praecipio firmiter per obedientiam fratribus universis, quod ubicumque
sunt, non audeant petere aliquam litteram in curia Romana per se neque per
interpositam personam, neque pro ecclesia neque pro alio loco neque sub
specie praedicationis neque pro persecutione suorum corporum, sed ubicumque
non fuerint recepti, fugiant in aliam terram ad faciendam poenitentiam cum
benedictione Dei48.
Altrettanto si risente nell’altro testo, dove chiaramente Francesco ha
davanti ai suoi occhi la visione di frati sparpagliati “ubicumque”, e in
qualunque posto siano debbono vegliare sulla loro cattolicità, né il loro
essere per via esenta i superiori dall’intervenire nei casi dove venisse
infranto questo valore:
Et qui inventi essent, quod non facerent officium secundum regulam, et
vellent alio modo variare, aut non essent catholici, omnes fratres, ubicumque
sunt, per obedientiam teneantur, quod ubicumque invenerint aliquem ipsorum,
proximiori custodi illius loci, ubi ipsum invenerint, debeant repraesentare49.
Francesco riutilizza una parola che, sebbene in parte eliminata nella Rb
perché forse non piú rispondente alla situazione e all’idealità dell’Ordine,
costituiva per la sua personale autocoscienza un termine ancora molto
significativo nel quale si condensava un elemento importante della
vocazione rivelatagli da Dio e vissuta nella prima fraternità.
Si potrebbe, dunque concludere che l’utilizzo dell’avverbio
“ubicumque” percorra un doppio movimento in relazione al suo rapporto con
l’idealità dell’itineranza francescana: il suo ampio utilizzo nella Rnb
costituisce un chiaro rinvio ad uno stato itinerante della prima comunità
quale traduzione concreta di un preciso ideale di vita; ad esso fa seguito lo
spostamento progressivo verso una residenzialità sempre piú marcata
registrata dalla forte diminuzione e scomparsa dell’avverbio nella Rb; un
ritorno all’avverbio e alla sua valenza ideale sembra doversi constatare nel
Testamento, dove l’ultimo Francesco è ancora linguisticamente e dunque
anche idealmente legato ai valori condensati nell’“ubicumque sunt fratres”.
48
Test. 25-26.
49
Test., 31.
PELLEGRINI E FORESTIERI 365
50
Cf. quanto si è detto in antecedenza a p. 350.
51
Cf. K. Esser, Origini e inizi, 169-170.
366 PIETRO MARANESI
52
Cf. D. Flood, Die Regula non bullata der Minderbrüder (Franziskanische
Forschungen, 19), Werl 1967, 105-108. L‘ipotesi ha una sua conferma anche nelle parole
di Francesco del Testamento: “Et in omnibus capitulis quae faciunt quando legunt
regulam” (v. 37).
PELLEGRINI E FORESTIERI 367
53
L’espressione esortativa costituisce un termine specifico della Rnb, infatti nelle
28 volte che ricorre nei testi di Francesco esso è impiegato soltanto nei Frammenta e
nella prima Regola, con l’eccezione di due volte nella Rb.
54
Cf. D. Flood, Die Regula non bullata, 108-112, nell’analisi sono studiati anche i
capitoli IX (cf. 112-113), cap. IV-V (cf. 113-115); cap. XIV-XV (cf. 115), cap. II (cf.
115-117) e cap. VIII (cf. 117-121).
55
“Wir haben in diesem Kapitel drei später hinzugefügte Sätze nachgewiesen, die
Aussagen präzisieren wollen, die früher aus einem anderen Gefühl für das Leben
uneingeschränkt formuliert wurden. Das Kapitel bezeugt zweierlei Redaktionselemente:
je ein positives, dem ein negatives folgt. Wenn wir auch die drei negativen Einschübe
zeitlich nicht genau fixieren können, zeigen sie doch gleichfalls, wie der ursprüngliche
Regeltext im Laufe der Jahre bearbeitet wurde“ (ivi, 111-112).
56
Cf. ivi, 110.
57
Una descrizione breve e puntuale della situazione dei frati prima del 1220 è
proposta da M. B. Mistretta, Francesco architetto di Dio. L’edificazione dell’Ordine dei
Minori e i suoi primi insediamenti, Roma 1983, 113-123; cf. anche quanto nota F.
Accrocca, Francesco e la sua Fraternitas. Caratteri e sviluppi del primo movimento
francescano, in F. Accrocca - A. Ciceri, Francesco e i suoi frati. La regola non bollata:
una regola in cammino (Tau 6), Milano 1998, 43-44
368 PIETRO MARANESI
- Regola bollata
La rielaborazione che viene fatta nel cap. VI della Rb della norma di
non appropriarsi di luoghi presenta due significative novità rispetto al testo
della Rnb: la prima terminologica, la seconda concernente il contesto in cui è
inserita la norma.
A fronte dell’eliminazione della notazione presente nella Rnb
“ubicumque fuerint in eremis vel in aliis locis”, il dettato della Rb inserisce
all’interno dell’elenco delle cose a cui si deve applicare il divieto di
possedere un termine assente precedentemente: “domus”: “Fratres nihil sibi
approprient nec domum nec locum nec aliquam rem ”. A me sembra che
nell’aggiunta si nasconda una nuova situazione in seno all’Ordine.
Determiniamo innanzitutto il significato del termine. Il testo di riferimento
principale per capire la portata semantica di “domus” è nella Rnb, quando
vengono date le norme ai frati per il loro comportamento “in domibus in
quibus serviunt”58. “Domus” indica la casa nobile di un signore che chiama a
sé dei servitori per gestire la sua proprietà; conferma di tale uso è la
citazione delle parole di Gesú impiegata da Francesco per esortare i frati a
vestirsi con vesti umili e povere, perché “qui mollibus vestiuntur in domibus
regum sunt”59. E non è a caso che nelle diverse ricorrenze del termine, se si
fa eccezione del nostro testo della Rb del cap. VI 1, esso non è mai applicato
ai luoghi dove vivono i frati. A questo proposito non mi sembra convincente
la lettura fatta da Esser di un passaggio del Rnb:
Et nullo modo fratres recipiant, nec recipi faciant, nec quaerant, nec quaeri
faciant pecuniam pro eleemosyna neque denarios pro aliquibus domibus vel
locis, neque cum persona pro talibus locis pecunias vel denarios quaerente
vadant60.
Secondo il padre Esser, “è poco probabile che allora i frati si prestassero
a raccogliere denaro per case e ‘luoghi’ altrui. Si tratta quindi di ‘case o
fondazioni’ destinate ai frati”61. Il contesto nel quale è collocato il passaggio
58
Rnb VII 1.
59
Rnb II 14.
60
Rnb VIII 8.
61
K. Esser, Origini e inizi, 169.
PELLEGRINI E FORESTIERI 369
parrebbe smentire questa illazione dello studioso 62. Nel capitolo infatti è
trattata la grave questione di non ricevere mai denaro, e per chiarire questo
divieto assoluto vengono fatti diversi casi, quali il dover sopperire ai propri
bisogni (come ad esempio per i vestiti e per i libri) o a quelli degli altri (i
malati), o anche il caso di andare a cercare denaro “pro aliquibus domibus”,
quelle case in cui, appunto, diceva il capitolo VII, prestano servizio; e che si
tratti proprio di queste case dei signori in cui prestano servizio e non le
abitazioni dei frati, lo attesta la frase che segue il testo sopra citato:
Alia autem servitia quae non sunt contraria vitae nostrae possunt fratres
locis facere cum benedictione Dei63.
Il cercare soldi, o collaborare in questa ricerca, sebbene possa essere
uno dei servizi richiesti “in domibus” dove sono o anche necessari
nell’aiutare il mantenimento dei lebbrosi 64, non deve essere assolto perché
contrario alla loro vocazione; tutti gli altri servizi sono invece consentiti.
Dunque “pro aliquibus domibus vel locis” non sembra indicare luoghi
abitativi destinati ai frati65.
Fino a Rb VI 1, cioè prima del 1223, il termine “domus” non indica mai
l’abitazione dei frati, ma, al contrario, è un termine che, per contrasto, si lega
alla minorità a cui sono chiamati i frati quando sono nelle case dei signori.
L’utilizzo allora di “domus” nella Rb dice qualcosa sul tipo di residenze che
avevano i frati in questo secondo periodo: esse non erano piú soltanto poveri
eremitaggi o semplici “loca”, ma comprendevano anche “domos”, case piú o
meno ampie in muratura con una struttura architettonicamente organizzata e
collocata stabilmente in un preciso contesto urbano 66. Il termine inserito
nella Rb costituisce un piccolo, ma anche preciso indizio dell’evoluzione
innestata all’interno dell’Ordine verso una residenzialità piú organizzata che
62
Della stessa opinione F. Accrocca, Francesco e la sua Fraternitas, 50, nota 82.
63
Rnb VIII 9.
64
Come viene previsto proprio nel versetto seguente quando si dice: “Fratres tamen
in manifesta necessitate leprosorum possunt pro eis quaerere eleemosynam” (Rnb VIII
10).
65
Sembrerebbe essere questa l’interpretazione che emerge dalle pagine di D. Flood,
il quale, pur non prendendo direttamente in esame la questione, pone il divieto come
regolamentazione dei vari servizi che debbono svolgere i frati nelle case in cui lavorano
(cf. Die Regula non bullata, 120).
66
Cf. M. B. Mistretta, Francesco architetto di Dio, 127-130.
370 PIETRO MARANESI
- Testamento
Questa tensione e il tentativo di coniugare realtà diverse e in qualche
modo opposte sono presenti invece nell’ultimo testo della sinossi sopra
proposta, cioè nel Testamento.
Tra gli aspetti ideali ricordati, ammoniti ed esortati da Francesco ai suoi
frati nel Testamento vi è anche la questione dei luoghi dove essi vivono. Il
passaggio è molto importante perché permette di controllare e verificare
quale fosse effettivamente la posizione del Santo nei confronti
dell’evoluzione insediativa attuata dall’Ordine e condensata giuridicamente
nella Rb.
Diversi sono gli aspetti da notare nel dettato del versetto 24 del
Testamento. La prima notazione da fare è di carattere linguistico e riguarda il
“caveant” che apre il testo. Il verbo “cavere” è uno dei termini piú frequenti
e quasi caratteristici della Rnb, dove ricorre ben 29 volte 68 delle 33
complessive presenti negli scritti di Francesco. Nella Rb il termine sembra
aver avuto la stessa sorte dell’“ubicumque”: forse perché termine esortativo
non adatto al carattere giuridico normativo di una Regola, il “caveant”
scompare quasi del tutto. Delle tre volte utilizzato nella Rb una soltanto
sembra legata ad un comando normativo, quando si dice ai frati di non
occuparsi della destinazione che i nuovi membri daranno ai loro beni al
momento dell’entrata nell’Ordine69; gli altri due casi riguardano invece
esortazioni morali non strettamente codificabili, come l’invito a non adirarsi
per il peccato degli altri o a evitare ogni superbia e vanagloria 70. Le esigenze
giuridiche chiedevano di eliminare le formule esortative, per impiegare le
formule imperative. Ed è proprio quello che capita, tra gli altri casi, per il
testo sopra analizzato del comando di non appropriarsi dei luoghi dove
vivono, nel quale viene eliminato il verbo “caveant” che apriva il testo
parallelo della Rnb. Nel Testamento ricompare il verbo nel passaggio
fortemente giuridico del divieto di possedere i luoghi, riemerge cioè il
68
Di esse, 13 appartengono ai Fragmenta della Rnb.
69
Cf. Rb II 7.
70
Cf. Rb VII 3 e X 7.
372 PIETRO MARANESI
proprietà dei luoghi non è sufficiente se essa non si coniuga intimamente con
la santissima povertà.
A questa prima regola si affianca la seconda che riguarda lo spirito con
cui i frati debbono utilizzare i luoghi in cui vivono: essi sono lí non come
“habitantes”, ma “hospitantes sicut advenae et peregrini”. È questa la
seconda importante precisazione fatta da Francesco rispetto al testo della Rb,
dove si ufficializzava in qualche modo il processo di residenzialità
dell’Ordine senza però precisare lo spirito dell’utilizzo dei luoghi in cui
vivevano i frati. Sebbene il Santo non condanni come contraria alla
vocazione rivelatagli da Dio la scelta dell’Ordine di avere delle abitazioni
fisse dove organizzare una vita piú sedentaria e meno itinerante, Francesco
ribadisce tuttavia che lo spirito deve restare “per viam”: l’idealità che deve
guidare l’utilizzo delle loro abitazioni deve essere quello dei senza dimora,
di coloro che vanno per il mondo senza avere un luogo dove riporre il loro
capo e che spiritualmente sono e debbono sentirsi “ubicumque”. E
sicuramente vi era nella fraternità il pericolo non solo della sontuosità nelle
loro abitazioni, tanto da richiamare il criterio della “santa povertà”, ma anche
dell’appropriarsi spiritualmente dei luoghi, del diventare attaccati al luogo.
Contro un tale pericolo Francesco riprende il testo di 1 Pt 2, 1374 già
utilizzato, come si è visto, nella Rb, spostandolo però dal suo utilizzo in
relazione all’andare a chiedere l’elemosina, per applicarlo allo spirito di
itineranza con cui risiedere nelle chiese e “habitacula” costruite per i frati.
Sebbene ormai terminato uno stile concreto di itineranza in favore di una
maggiore stabilità, evoluzione di fatto implicitamente accettata anche da
Francesco, tuttavia il Santo con il nuovo utilizzo del testo biblico ricorda nel
Testamento ai suoi frati quale sia la direzione ideale a cui tendere: non alla
stabilità siamo stati chiamati ma ad essere pellegrini e forestieri. La non
[…] Sed quidam dixerunt ei quod non videbatur eis bonum, quod domus fratrum
deberent construi ex luto et lignis, quoniam in pluribus locis et provinciis cariora sint
ligna lapidibus. Et beatus Franciscus nolebat contendere cum eis, quia erat valde
infirmus et quoniam erat prope mortem, quia parum postea vixit. Unde scripsit postea in
Testamento suo: Caveant fratres sibi…” (106; Ff 1651; lo stesso testo è riportato anche
nell’Intentio regulae, in Documenta Antiqua Franciscana, I: Scripta Fratris Leonis socii
S.P. Francisci, ed. L. Lemmens, Quaracchi 1901, 97-98, nn. 14-15).
74
La citazione può essere legata anche al testo di Eb 11,13 dove coloro che erano
morti nella fede, vedendo solo da lontano le promesse, sono definiti “peregrini et
hospites super terram”.
374 PIETRO MARANESI
celebrare la messa nelle loro case (Il testamento di San Francesco, 158-163). E dunque:
“Francesco ha ripetutamente chiesto privilegi presso la curia romana. In casi particolari
va dimostrato il suo apporto alla realizzazione delle lettere papali, si tratta cioè di
provare, con buona ragione, come ciò sia del tutto possibile. In via di fatto egli ha
accettato e perciò approvato queste lettere per l’Ordine” (ivi, 163). L’ordine impartito nel
Testamento verrebbe allora ad abbandonare una linea piú morbida adottata normalmente
da Francesco, ed è da considerare psicologicamente “come una delle spontanee reazioni,
ben note nella vita del Santo, una di quelle reazioni in cui egli, in certo senso, dimentica
se stesso ed è capace di rispondere a casi che lo irritano particolarmente con risposte
demolitrici e con imprecazioni. Molto probabilmente si deve supporre che egli, in
circostanze piú tranquille di quelle degli ultimi mesi di sua vita e con una adeguata
riflessione, avrebbe trovata la forma corrispondente al comportamento dimostrato in tutta
la sua vita” (ivi, 164-165).
78
Emblematiche e significative le parole che si leggono ancora nella Compilatio
assisiensis: “Nos vero qui cum ipso fuimus, quando scripsit Regulam et fere omnia alia
376 PIETRO MARANESI
nei confronti del suo Ordine ricordando ai frati gli elementi essenziali della
loro esperienza. Tra di essi vi era la vocazione all’itineranza spirituale
ribadita proponendo il testo biblico di 1 Pt 2, 13 quale riferimento ideale per
valutare e giudicare l’evoluzione organizzativa che si stava attuando nella
fraternità. Sebbene il Santo non condanni e rifiuti in modo assoluto
l’evoluzione in direzione “conventuale” assunta dal suo Ordine, sente
tuttavia con urgenza il bisogno di ricordare l’essenzialità per la vocazione
minoritica di permanere in uno stato e spirito itinerante, quello appunto,
contenuto e riassunto nelle due figure bibliche del “pellegrino e forestiero”.
Mi sembra che l’interpretazione di Esser di un’evoluzione di tipo
lineare dall’itineranza alla residenzialità sia forse da sostituire con una
lettura piú circolare. E in questo contesto l’immagine piú adatta per
sintetizzare quanto si è osservato nei testi analizzati è quella del movimento
ad arco, che, partendo dalla Rnb, si innalza verso la Rb per ridiscendere nel
Testamento. Il Francesco dell’ultimo suo scritto è colui che, pur cosciente
della nuova situazione “residenziale” attuata dall’Ordine, ripensa con
nostalgia all’itineranza iniziale, quella che traspariva ancora tra le pieghe
della Rnb, ma che era stata messa da parte e in parte cancellata nel dettato
della Rb. L’ultimo utilizzo di 1 Pt 2, 11 fatto nel Testamento costituiva la
riproposta di un ideale di povertà itinerante che i frati debbono conservare
come criterio definitivo della nuova forma di vita sempre piú residenziale e
organizzata. È attraverso questa modalità che Francesco aveva incontrato il
Signore ed è solo restando spiritualmente “per viam” che i frati avrebbero
realizzato la loro vocazione.
sua scripta, testimonium perhibemus, quod plura fecit scribi in Regula et aliis suis
scriptis, de quibus quidam fratres fuerunt sibi contrarii, et maxime praelati […] Sed quia
ipse plurimum timebat scandalum, condescendebat, licet involuntarius, voluntatibus
fratrum. Sed sepe dicebat hunc sermonem: « Ve illis fratribus, qui sunt michi contrarii de
hoc, quod cognosco, quod voluntas Dei est pro maiori utilitate Religionis, licet invitus
condescendam voluntati eorum ». Unde saepe dicebat sociis suis: « In hoc est dolor meus
et afflictio mea, quod ea cum multo labore orationis et meditationis a Deo per
misericordiam suam obtineo pro utilitate praesenti et futura totius Religionis, et ab ipso
sum certificatus, quod secundum voluntatem eius sunt, et aliqui fratres ex auctoritate et
providentia suae scientiae evacuant et sunt michi contrarii dicentes: « Ista sunt tenenda et
observanda, et ista non! ». Sed quia, ut dictum est, tantum timebat scandalum, quod
multa fieri permittebat et in multis condescendebat voluntatibus eorum, quae non erant
secundum voluntatem suam” (106; Ff 1652; ed è il testo che chiude l’opuscolo Intentio
regulae, 98-99, n. 16)
PELLEGRINI E FORESTIERI 377
79
Test. 1-2.
378 PIETRO MARANESI
88
La parola “misericordia” è in relazione al “termine ebraico rahamîm che esprime
l’attaccamento istintivo di un essere ad un altro. Secondo i semiti questo sentimento ha
sede nel seno materno (rehem: 1 Re 3, 26), nelle viscere (rahamîm) – noi diremo: il
cuore – di un padre (Ger 31, 20; Sal 103, 13), o di un fratello (Gen 43, 30): è la
tenerezza” (J. Cambier e X. Léon-Dufour, Misericordia, in Dizionario di Teologia
Biblica, Casale Monferrato 1971, col. 699). La convergenza tra i due termini è percepita
in qualche modo anche da Francesco quando nella XXVI Ammonizione fa questo
parallelo: “Ubi est misericordia et discretio, ibi nec superfluitas nec induratio”, dove la
discretio si oppone a superfluitas e la misericordia a induratio.
89
Delle 20 volte che ricorre nei testi di Francesco, nella breve lettera il termine è
utilizzato ben 6 volte.
PELLEGRINI E FORESTIERI 381
93
Legenda maior, I 6 (Ff 785).
94
Cf. Anonimus perusinus, 11 (Ff 1317).
95
Cf. Tommaso da Celano, I vita, 22 (Ff 296-297). Sulla valutazione delle due
tradizioni narrative riguardo ai testi biblici uditi dal gruppo insieme a Francesco si veda
l’ampio studio di G. Miccoli, Francesco d’Assisi, 158-189, in particolare 173, e anche L.
Di Fonzo, L’anonimo perugino tra le fonti francescane del secolo XIII. Rapporti
letterari e testo critico, in Miscellanea Francescana 72 (1972) 439-440.
PELLEGRINI E FORESTIERI 383
lebbrosi: quanto era stato vissuto trovava la sua traduzione biblica nella
proposta di itineranza evangelica dei tre testi uditi in una chiesa di Assisi 96.
L’essere “pellegrini e forestieri” costituisce dunque un’immagine
sintetica di un ideale scoperto intuitivamente ed esistenzialmente tra i
lebbrosi e diventato consapevole “forma vitae” nell’ascolto dei tre testi
biblici. Nell’immagine biblica presa in prestito da 1 Pt 2, 11 si condensa
dunque tutta la novità vocazionale di Francesco e la specifica “proposta
cristiana”97 fatta ai suoi frati quando li esorta a gioire dovendo condividere la
stessa sorte degli emarginati e dei mendicanti, a restare liberi da ogni
possesso di cose e di luoghi per essere cosí sempre pronti a ripartire, a
scegliere sempre una presenza “minore” nella società, rimanendo “idotae et
subditi omnibus”98. Il “pellegrino e il forestiero” è colui che non ha diritti né
possedimenti che assicurino la sua esistenza, ma che deve ogni volta
affidarsi alla provvidenza dell’Amore di Dio: questa immagine costituisce
dunque per Francesco l’ultima traduzione e riaffermazione del suo ideale di
“vestigia Christi sequi”99 che Dio gli aveva rivelato all’inizio chiamandolo
ad essere “minore” tra i lebbrosi100.
Mi sembra possibile chiudere questo tentativo di lettura simbolica
dell’esperienza fatta da Francesco tra i lebbrosi e del suo valore rivelativo
e programmatico per la sua vita, con un episodio narrato da alcune delle
96
Credo appunto che l’esperienza travolgente e sconvolgente fatta da Francesco tra
i lebbrosi costituisce quella “precisa situazione spirituale” presupposta da O. Schmucki,
ma non identificata, per spiegare perché Francesco abbia percepito proprio quei tre testi
biblici particolarmente significativi per la sua vita (cf. La “forma di vita secondo il
Vangelo” gradatamente scoperta da Francesco d’Assisi, in L’Italia Francescana 59
[1984] 351).
97
Per usare l’espressione impiegata da G. Miccoli nell’interessante secondo
capitolo del suo volume (ivi, 33-97), alla cui efficacia di sviluppo vorrei dare il mio
apporto proponendo l’immagine di “pellegrino e forestiero” come ennesima chiave di
lettura della specificità di Francesco.
98
Test. 19.
99
Rnb I 1; XXII 2.
100
Interessante lo studio di A. Marini, “Vestigia Christi sequi” o “imitatio Christi”,
due differenti modi di intendere la vita evangelica di Francesco di Assisi, in Coll. Franc.
64 (1994) 89-119, dove, dopo aver appurato la mancanza negli scritti di Francesco della
seconda espressione, introdotta invece dai biografi, la “sequela Christi” viene presentata
come la modalità specifica di Francesco di vivere il Vangelo: “un’interpretazione
attualizzante dell’esempio del Cristo, libera nella fedeltà ai valori (non alle forme
[letteralismo]) ed alla concretezza della storia, della vita degli uomini. […] Il questo
senso segue le orme del Cristo, non lo imita” (115).
384 PIETRO MARANESI
prime fonti biografiche. Nei consigli dati da Francesco ai dubbi dei frati di
Monte Casale su come comportarsi con i ladroni che infestavano quella
zona101, si ritrovano gli stessi elementi paradossali del pellegrinaggio fatto
dal santo verso i lebbrosi. Lasciate il convento e ponetevi in cammino, in
pellegrinaggio, verso i ladroni e là fate misericordia, usate la tenerezza con
loro. Ed è quanto traspare dalle parole di Francesco quando suggerisce ai
frati di portare ai briganti “bonum panem et bonum vinum”, e di imbandire
per terra una mensa: “Vos autem extendite toaleam in terra” per preparare
una festa; ma non solo, debbono porsi a loro servizio con uno spirito molto
particolare e specifico: “et servite eis humiliter et laetanter, donec
manducaverint”. Nel proporre queste soluzioni paradossali Francesco stava
sicuramente ripensando alla sua esperienza con i lebbrosi e ai sentimenti da
lui messi in campo in quell’occasione, perché sapeva bene che da essi
sarebbe sorta una trasformazione paradossale della realtà:
Immo, propter familiaritatem et caritatem quam ostenderunt eis fratres,
coeperunt portare eis ligna in dorsis suis ad eremitorium, ita quod per
misericordiam Dei, occasione illius caritatis et familiaritatis quam fratres illis
exhibuerunt, alii intraverunt Religionem, alii acceperunt poenitentiam,
promittentes in manibus fratrum se de cetero huiusmodi mala non committere,
sed de labore manuum suarum velle vivere102.
Si potrebbe dire, senza esagerare in una lettura simbolica e traslata, che
il pellegrinaggio fatto verso i lebbrosi e le dinamiche ideali da esso scaturite
rappresentarono per Francesco un punto di riferimento forse implicito ma
sicuramente basilare nella scoperta della vocazione evangelica e nella difesa
successiva della scelta paradossale della “minorità”. L’utilizzo fatto da
Francesco nel Testamento del testo di 1 Pt 2, 11 costituisce uno dei momenti
di arrivo della rielaborazione concettuale dell’esperienza iniziale applicata
ad un problema cruciale dell’evoluzione dell’Ordine, quale era lo spirito con
cui utilizzare i luoghi abitativi. Non solo non dovevano diventare la “domus”
dei frati, ma dovevano restare luoghi di passaggio e di accoglienza, luoghi
nei quali, cioè, doveva risplendere la loro vocazione fondamentale di essere
“pellegrini e forestieri”.
101
Cf. Compilatio assisiensis, 115 (Ff 1672-1674) e Speculum perfectionis, 66 (Ff
1954-1956).
102
Compilatio assisiensis (Ff 1674).
PELLEGRINI E FORESTIERI 385
103
Speculum perfectionis 121-124 (Ff 2046-2053).
104
Quanto nello Speculum è posto come ultimo atto della biografia su Francesco,
formando un blocco uniforme e compatto, nella Compilatio, invece, è sparpagliato lungo
il testo: cf. 99-100, 7, 5 (Ff 1632-1635, 1475-1477, 1473-1475).
105
Cf. I vita, 109-111 (Ff 386-389); II vita, 214-217 (Ff 628-632).
106
Cf. Legenda maior, XIV 3-6 (Ff 900-905); Legenda minor, VII 3-7 (Ff 1008-
1011).
107
Tre sono gli episodi narrati: il dialogo con Elia al quale spiega perché la sua
letizia nel prepararsi alla morte (n. 121), il benvenuto che da a sorella morte dopo che il
medico gli comunica la gravità della sua malattia (n. 122) e l’aggiunta al Cantico delle
creature dell’ultima strofa sulla morte dopo la conferma della prossima fine della sua
vita datagli da un suo frate (n. 123); nella Compilatio i primi due racconti sono ai 99-
100, mentre l’ultimo si trova al n. 7.
386 PIETRO MARANESI
112
I vita, 108 (Ff 386).
388 PIETRO MARANESI
113
Legenda maior, XIV 3 (Ff 900-901).
114
Cf. I vita, 110 (Ff 388).
115
Cf. II vita, 214 (Ff 629). Cf. R. Grégoire, L´adage ascétique “nudus nudum
Christum sequi”, in Studi storici in onore di Ottorino Bertolini, vol 1, Pisa 1972, 395-
409.
116
Ivi, 217 (Ff 632).
PELLEGRINI E FORESTIERI 389
storico delle tensioni tra Francesco e le scelte che stava facendo l’Ordine,
costituisce una sintesi parabolica dell’ideale di vita vissuto dal Santo e
proposto ai suoi frati121. In questo contesto vi è un elemento narrativo di tipo
bipolare – non sempre notato dagli studiosi –, che riveste, a mio avviso, un
ruolo di grande rilevanza nella parabola di Francesco. In parallelo alle due
situazioni volutamente contrastanti descritte dal Santo nel suo racconto, vi
sono due notazioni particolari, riguardanti la posizione occupata da
Francesco stesso in relazione ai fatti. Strutturiamo schematicamente il
racconto:
Una die beatus Franciscus apud Sanctam Mariam
A: 1. Venit nuntius [ad me] et dicit
2. quod omnes magistri de Parisiis venerunt ad Ordinem …
3. Dico tibi quod in his omnibus non vera laetitia
B: 1. Redeo de Perusio et de nocte profunda venio huc
2. Vade, tu es unus simplex et idiota
3. in hoc est vera laetitia.
Ad osservar bene, alle due parti del racconto corrispondono due opposte
situazioni in cui si colloca Francesco. Nel primo caso egli è fermo nel suo
convento di Santa Maria degli Angeli, e vengono a lui dei nunzi122; la
costruzione del racconto lascia immaginare Francesco simile ad un padrone
di una grande proprietà a cui vengono i suoi operai ad annunciare un buon
raccolto; dopo aver tanto lavorato e faticato, ora nella sua “domus”
Francesco può “godere” gli abbondanti frutti del buon seme sparso per il
mondo dal suo Ordine. Ma non è questa la “vera” letizia! Infatti essa può
essere ottenuta soltanto dal perfetto contatto con il Signore che è “bonum,
omne bonum, summum bonum”123, mentre tutte le cose buone e
meravigliose nate dall’impegno di santità di Francesco e dei suoi frati
121
Cf. G. Miccoli, Francesco d’Assisi, 63-65 e anche Id., Un’esperienza cristiana
tra Vangelo e istituzione, in Dalla “sequela Christi” di Francesco d’Assisi all’apologia
della povertà. Atti del XVIII Convegno internazionale, Assisi 18-20 ottobre 1990,
Spoleto 1992, 11-13.
122
Nel racconto degli Actus manca questa impostazione, la notizia delle grandi
opere che si stavano compiendo grazie all’Ordine non sono riferite a Francesco come a
colui da cui esse indirettamente derivano, ma sono raccontate in forma per cosí dire
anonima ad un ipotetico frate minore: “O fr. Leo, quamvis fr. Minor illuminet cecos…”
(Ff 2099).
123
Laudes Dei altissimi, 3 (Ff 45).
PELLEGRINI E FORESTIERI 391
124
Admonitiones, V 7 (Ff 28)
125
È questa l’idea dominante di diverse Admonitiones: “Et illi sunt vivificati a
spiritu divinae litterae, qui omnem litteram, quam sciunt et cupiunt scire non attribuunt
corpori sed verbo et exemplo reddunt ea altissimo Domino Deo cuius est omne bonum”
(VII 4); “Sic potest cognosci servus Dei, si habet de spiritu Domini: cum Dominus
operaretur per ipsum aliquod bonum, si caro eius non inde se exaltaret quia semper est
contraria omni bono, sed si magis ante oculos se haberet viliorem et omnibus aliis
hominibus minorem se existimaret” (XII); “Beatus ille servus qui non magis se exaltat de
bono, quod Dominus dicit et operatur per ipsum, quam quod dicit et operatur per alium”
(XVII).
392 PIETRO MARANESI