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me, che studio i Padri della Chiesa, sembra proprio che la via miglio-
re per riflettere sull’omelia sia quella percorsa da alcuni predicatori
La Rivista del Clero Italiano
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mento tra gli oratori ecclesiastici. Risalgono agli anni tra il 386 e il
397, periodo in cui il Crisostomo fu chiamato a svolgere diversi inca-
richi di predicazione nelle più importanti chiese antiochene. Questi
incarichi riuscivano particolarmente congeniali a Giovanni che, dopo
un’esperienza monastica ed eremitica, aveva abbracciato il sacerdozio
per un’irresistibile vocazione pastorale, e che specialmente attraverso
la predicazione delle Scritture puntava a realizzare tale vocazione:
coerentemente la sua predicazione e la sua esegesi paiono singolar-
mente sensibili alle condizioni concrete, ai problemi e alle necessità
anche materiali dei destinatari.
In particolare – nell’Antiochia della seconda metà del quarto seco-
lo, dove enormi erano le sperequazioni sociali ed economiche, a causa
delle guerre, del latifondismo, del capitalismo, dell’iniquo regime
fiscale... – il Crisostomo è continuamente stimolato a trattare i molte-
plici problemi sollevati dalla compresenza di ricchi e poveri all’inter-
no della comunità: si pensi che nelle sole omelie Sul vangelo di Matteo
il tema ricorre non meno di cento volte!
Vogliamo cogliere lo stile della predicazione crisostomiana leggen-
do un passo della sua cinquantesima omelia su Matteo. Complessiva-
mente essa commenta la pericope conclusiva di Matteo 14, ma l’e-
stremo versetto del capitolo – dove si legge che gli abitanti di
Genesaret portarono a Gesù i loro malati «e lo pregavano di poter
toccare almeno l’orlo del suo mantello» (Mt 14,36) – consente al
Crisostomo un ampliamento parenetico sostanzialmente autonomo,
che occupa da solo la seconda metà dell’omelia.
L’ampliamento si giustifica grazie al contesto della liturgia eucari-
stica, in cui l’omelia – ieri come oggi – si colloca: «Tocchiamo anche
noi il lembo del suo mantello», invita il Crisostomo; «anzi, se voglia-
mo, noi abbiamo il Cristo tutto intero. Il suo corpo infatti è ora qui
dinanzi a noi». E prosegue: «Credete che anche ora c’è quella mensa,
alla quale anche Gesù sedette».
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«Non era d’argento quella mensa, né d’oro il calice dal quale il Cristo
diede il suo sangue ai discepoli... Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non
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permettere che egli sia nudo: e non onorarlo qui in chiesa con stoffe di
seta, per poi tollerare, fuori di qui, che egli stesso muoia per il freddo
e la nudità. Colui che ha detto: “Questo è il mio corpo”, ha detto
anche: “Mi avete visto affamato, e non mi avete nutrito”; e: “Quello
che non avete fatto ad uno di questi piccoli, non l’avete fatto a me”.
Impariamo dunque ad essere saggi, e ad onorare il Cristo come egli
vuole, spendendo le ricchezze per i poveri. Dio non ha bisogno di sup-
pellettili d’oro, ma di anime d’oro. Che vantaggio c’è se la sua mensa
è piena di calici d’oro, quando egli stesso muore di fame? Prima sazia
lui affamato, e allora con il superfluo ornerai la sua mensa!»
Ecco chi è Giuda, secondo il Crisostomo. È colui che si accosta al
Corpo e al Sangue del Signore, ma in realtà non ne condivide il pro-
getto di vita. Giovanni, sempre attento ai risvolti concreti e alla rile-
vanza sociale della scelta di fede, non perde l’occasione per sottoli-
nearlo con forza, a costo di rendere ‘sproporzionata’ la sua Omelia.
Egli può approdare così a uno dei temi caratteristici della sua predi-
cazione, quello dell’elemosina. Il tema dell’elemosina, infatti, scaturi-
sce come un corollario: il Corpo di Cristo condiviso richiama i fedeli
alla solidarietà fraterna (cfr. Omelia sul vangelo di Matteo 50,3-4).
È un esempio incisivo di attualizzazione della Parola di Dio, cioè di
come la Parola debba ‘riecheggiare’ nelle comunità cristiane: il «lembo
del mantello» di Gesù continua a toccare i malati, i poveri, tutti gli
uomini che implorano la salvezza. La Parola del Maestro è sempre vali-
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gnamenti dei Padri della Chiesa è una vera mistagogia, ossia una vera
iniziazione ai misteri celebrati e vissuti».
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riscono a una Parola isolata, ma a una Parola che viene proposta dalla
Chiesa in intima relazione con l’evento liturgico celebrato.
Nell’ambito della Chiesa di Rito romano la progettualità dell’an-
nuncio è racchiusa nei vari Lezionari, mentre la descrizione teologica
è presentata nell’Introduzione generale al Lezionario (1981).
Di qui una conseguenza pratica molto importante. Occorre che
l’omileta ponga la massima attenzione ai temi offerti dai Lezionari per
le singole celebrazioni. L’omelia non è il luogo per parlare di tutto e
di nulla, ma il momento per operare una formazione religiosa a parti-
re dai suggerimenti intrinseci al Lezionario. Se la metodologia del
Lezionario, con i titoli proposti alle singole letture, non è patrimonio
connaturale all’omileta, i fedeli non potranno cogliere il progetto di
annuncio che soggiace alla celebrazione liturgica.
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do parla, parla dalla biblioteca del suo cuore. Cioè si sente davvero
che il suo impegno di ‘attualizzare’ la Parola viene da un cuore pla-
smato da essa, in profonda sintonia con essa.
Gli omileti che hanno inciso più profondamente nella vita dei fede-
li sono precisamente i testimoni di questa intima, cordiale unione con
il mistero di Dio.
Si pensi – solo per fare qualche esempio – a Francesco d’Assisi. È
stato detto che del «profumo del Vangelo» sono a tal punto ripieni i
suoi scritti (come lo erano, per quanto possiamo saperne, le sue ome-
lie), che se si togliesse il Vangelo non vi rimarrebbe più nulla. Oppure
si pensi a san Carlo Borromeo, e alla celebre Omelia 45, nella quale il
santo vescovo si rivolge direttamente al Crocifisso: «Perché hai volu-
to nascere in così bassa condizione, vivere sempre in essa e morire tra
le ignominie? Perché hai sofferto tante fatiche, tante offese, tanti
oltraggi, tanti dolori e tante piaghe, e alla fine una morte così crude-
le, versando il tuo sangue fino all’ultima goccia?...». E san Carlo con-
clude la sua omelia proclamando «veramente felici coloro che hanno
impresso nel cuore Cristo crocifisso, e non svanisce mai».
La preparazione dell’omelia
Abbiamo alluso così – oltre al metodo dell’omelia – anche al retro-
terra spirituale del predicatore: egli deve essere profondamente nutri-
to di scienza e di fede, perché non gli capiti di essere – secondo l’am-
monimento di sant’Agostino – «vano predicatore della Parola»: un
«parolaio», diremmo noi oggi.
Ma l’esempio dei nostri Padri ci insegna pure che, oltre al retro-
terra spirituale e alla preparazione remota, occorre curare anche la
preparazione prossima dell’omelia.
È stato detto – e giustamente – che le omelie migliori sono quelle più
a lungo preparate, e molti zelanti pastori concordano nell’affermare che
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re al cuore dei fedeli, deve partire da un cuore che sia già plasmato – in
qualche misura – dalla Parola di Dio; e questo non si raggiunge certo
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‘Relativizzazione’ dell’omelia
Le considerazioni svolte fin qui aiutano anche a ‘relativizzare’, in
senso positivo, l’omelia. «La migliore catechesi sull’Eucaristia», e
anche la migliore omelia, abbiamo letto nella Proposizione 19 del
recente Sinodo dei Vescovi, «è la stessa Eucaristia ben celebrata».
Vale a dire che l’omelia non va considerata da sola, in assoluto.
Essa è situata in un contesto liturgico, che ne determina la validità.
Anzitutto, ciò che relativizza positivamente l’impegno dell’omileta
è il fatto che in ultima istanza chi parla veramente al cuore dell’uomo
è solo Dio. Ancora di più: secondo i nostri Padri, Dio stesso apre il
suo cuore a coloro che ascoltano la Parola: «Disce cor Dei in verbis
Dei», non si stancava di ripetere Gregorio Magno.
Da parte sua, il predicatore cercherà di assicurare le condizioni
migliori perché questo incontro tra il cuore di Dio e il cuore dell’uo-
mo si realizzi efficacemente.
Inoltre, l’omelia è situata nella vita della comunità cristiana – nor-
malmente della parrocchia – in cui si celebra. L’efficacia dell’omelia
dipende anche dalla testimonianza di questa comunità cristiana, dal
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suo impegno nella vita ecclesiale, dalla sua partecipazione nella fede,
nella speranza e nella carità.
Da questo punto di vista è significativa una testimonianza delle
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