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MICHELANGELO TÁBET

COLLECTANEA BIBLICA

A CURA DI
EUSEBIO GONZÁLEZ

Roma 2014

EDUSC

T
IL SACERDOZIO DI CRISTO E IL SACERDOZIO MINISTERIALE
NEL NUOVO TESTAMENTO*

Nella relazione che mi è stata proposta per il convegno che celebriamo, faremo
riferimento prevalentemente al sacerdozio in quanto ordinamento salviico esercitato
da Gesù e istituito da lui per la sua Chiesa; un sacerdozio che emerge come punto
di arrivo e pienezza del sacerdozio stabilito dall’antica legge1. Occorre osservare,
infatti, che il Nuovo Testamento contiene due serie di testi sul nostro argomento,

* In S.M. Manelli/S.M. Lanzetta (a cura di), Il sacerdozio ministeriale: “l’amore del Cuore di Gesù”,
Casa Mariana, Frigento 2010, 19-46.
1
La bibliograia sul nostro tema è abbondante e comprende, oltre agli studi generali sul sacerdozio e i
diversi articoli dei dizionari biblici, i commenti biblici soprattutto alla Lettera agli Ebrei, per quanto
riguarda il sacerdozio di Gesù, e all’Apocalisse, in riferimento al sacerdozio comune dei cristiani.
Opere più speciiche sono, tra le altre: J. Delorme (ed.), Le ministère et les ministères selon le Nouveau
Testament, Seuil, Paris 1974; P. Grelot, Le ministère de la nouvelle alliance, Cerf, Paris 1967; M.
Guerra et al., El ministerio en los primeros siglos, «Teología del sacerdocio» 11, Aldecoa, Burgos 1979;
Ph. Rolland, Les ambassadeurs du Christ. Ministère pastoral et Nouveau Testament, Cerf, Paris 1991;
K. Romaniuk, Il sacerdozio nel Nuovo Testamento, EDB, Bologna 1970 (orig. fr.: Xavier Mappus, Le
Puy 1966); H. Schlier, Grundelemente des priesterlichen Amtes im Neuen Testament, hPh 44 (1969)
161-180; G. Schrenk, ἱερεύϛ, hWNT III, 257-265; M. Tomasovik, Melchisedek e il sacerdozio di
Cristo. Saggio di teologia biblica, Messaggero, Padova 1993; A. Vanhoye, Testi del Nuovo Testamento
sul sacerdozio, Pontiicio Istituto Biblico, Roma 1982; Idem, Sacerdoti antichi e nuovo sacerdote secondo
il Nuovo Testamento, Elle Di Ci, Leumann 1990; Idem, Sangue di Cristo e sacerdozio dei fedeli nel Nuovo
Testamento, in F. Vattioni (a cura di), Sangue e antropologia nella teologia. Atti della VI Settimana di
Studi (Roma, 23-28 novembre 1987), Pia Unione Preziosissimo Sangue, Roma 1989, II 771-785; Idem,
Il sacerdozio della nuova alleanza, EDB, Bologna 1992; Idem, La novità del sacerdozio di Cristo, CC 149
(1998/1) 16-27; Idem, La Lettre aux hébreux: Jésus-Christ, médiateur d’une nouvelle alliance, Desclée,
Paris 2002; A. Vanhoye/F. Manzi/U. Vanni, Il sacerdozio della nuova alleanza, Ancora, Milano 1999.

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che prospettano realtà diverse sebbene relazionate: ai testi che parlano dell’istituzione
sacerdotale veterotestamentaria adoperando la nota terminologia biblica2, si aiancano
altri passi che si riferiscono al sacerdozio in quanto istituzione della nuova economia
di salvezza. In questo secondo caso, il vocabolario adottato, tranne che in alcuni
contesti determinati, diferisce da quello dell’Antico Testamento, come esporremo
più avanti. Ciò spiega, ad esempio, perché gli scritti narrativi del Nuovo Testamento
(Vangeli e Atti) non applicano mai a Gesù e ai ministri da lui istituiti i titoli sacerdotali
della tradizione biblica. Tale terminologia è invece usata in tutta la sua ampiezza nella
Lettera agli Ebrei, dove l’autore è intento a dimostrare che Cristo non è soltanto
la vittima immolata per i nostri peccati, ma è stato e sarà per sempre il Sacerdote
supremo e deinitivo fra Dio e gli uomini, il Sommo Sacerdote della nuova alleanza,
piena realizzazione e sublimazione del sacerdozio antico, così come il tabernacolo e il
tempio di Gerusalemme hanno raggiunto la sua più piena sublimazione nel Santuario
celeste in cui Gesù esercita il culto mistico ed eterno, unico e perfetto, di valore ininito,
del suo sacriicio redentore. A questa lettera perciò dedicheremo un posto speciale,
dopo aver esaminato il tema negli altri scritti neotestamentari.

1. Il sacerdozio di Cristo nella tradizione narrativa,


nelle lettere di Paolo e nelle lettere cattoliche
a) La questione terminologica
Gli scritti che adesso esaminiamo, come abbiamo appena indicato, non applicano
mai a Cristo le espressioni veterotestamentarie sul sacerdozio. Tali forme linguistiche
vengono utilizzate unicamente in rapporto all’ordinamento ebraico3. Il fatto richiede
una spiegazione, che non può essere ricondotta semplicemente al contrasto negativo
che si creò fra Gesù e i rappresentanti del sacerdozio israelitico a causa della loro
opposizione alla novità cristiana; anche perché il summenzionato sacerdozio non di rado
è tratteggiato positivamente. Di sicuro, l’atteggiamento generale dei sommi sacerdoti
fu piuttosto ostile contro Gesù, motivo per cui Egli annunzia in diverse occasioni che

2
Si tratta speciicamente dei termini ἱερεύϛ (“sacerdote”) e ἀρχιερεύϛ (“sommo sacerdote”). Nel NT
ἱερεύϛ indica di norma il sacerdote levitico, sebbene nella Lettera agli Ebrei venga applicato anche a
Cristo e nell’Apocalisse ai cristiani. La voce è attestata 30 volte; 14 nella Lettera agli Ebrei. Il termine
ἀρχιερεύϛ è attestato circa 100 volte tra Vangeli e Atti, e 17 volte in Eb. Nei testi narrativi l’ἀρχιερεύϛ
è quasi sempre il capo del sinedrio. Nella Lettera agli Ebrei il termine viene applicato specialmente a
Cristo, sommo sacerdote della nuova alleanza. Il titolo «sacerdote» sarà applicato al sacerdozio del
Nuovo Testamento verso la metà del sec. II, quando già non c’era possibilità di confusione con il
sacerdozio giudaico o pagano.
3
Tranne At 14,13 che applica il termine «sacerdote» a un pagano, al «sacerdote di Zeus» che in Listra
voleva ofrire un sacriicio a Paolo e Barnaba.

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Il sacerdozio di Cristo e il sacerdozio ministeriale nel Nuovo Testamento

doveva sofrire molto da parte di loro, come parimenti dagli anziani e dagli scribi (Mt
16,21 par.; 20,18 par.). Tutti questi tre gruppi giocarono, come sappiamo, un ruolo
negativo di primo piano nel processo contro Gesù (Mt 26,62-66; 27,1.20 par.). Inoltre, è
altrettanto vero che Gesù entrò chiaramente in polemica contro il sacerdozio israelitico
perché mancante di vera spiritualità, contrapponendo al ritualismo del tempio il culto
in «spirito e verità» (Gv 4,23s). Tuttavia, Luca racconta nella seconda sua grande
opera ecclesiale che «anche una gran folla di sacerdoti aderiva alla fede» (At 6,7) e nei
Vangeli vengono attestati, sia la dedizione e integrità di alcune igure sacerdotali al loro
ministero, come ad esempio Zaccaria padre di Giovanni Battista, vissuto nella fede e
al servizio dell’evento salviico (Lc 1,5-25), sia il riconoscimento della loro funzione da
parte di Gesù, come accade nel caso del lebbroso cui Gesù comanda di presentarsi ai
sacerdoti e di ofrire l’oferta prescritta da Mosè (Mt 8,4 par.; Lc 17,14).
Per tutto ciò, il motivo per cui Gesù non utilizzò per se stesso al pari degli
evangelisti il termine «sacerdote» occorre ricercarlo necessariamente in una
comprensione più profonda della tradizione evangelica. Come ha segnalato Albert
Vanhoye, e l’osservazione ci sembra giusta, ciò avvenne perché «né la persona
di Gesù né il suo ministero né la sua morte corrispondevano al concetto antico di
sacerdozio»4. Gesù non era infatti della tribù di Levì, alla quale era stato riservato il
sacerdozio, ma della tribù di Giuda, clan che aveva ricevuto bensì il ruolo di comando
secondo la tradizione attestata in Gn 49,10-12 e 1Cr 5,2. Egli, poi, non pretese mai
durante la sua vita di essere ritenuto kohen nel senso tradizionale del termine né
esercitò propriamente nessuna funzione prescritta per i sacerdoti dalla Torah. Nelle
pagine bibliche la sua igura appare in modo più determinante come quella di un
profeta «simile a Mosè», come verrà segnalato da Pietro (At 3,22) citando un celebre
brano messianico (Dt 18,15-19). Come i profeti dell’antica alleanza, Gesù predicava,
si esprimeva con azioni simboliche, faceva dei miracoli che evocavano quelli di Elia e
di Eliseo, denunziava con forza il formalismo religioso della classe dirigente, spiegava
la giusta valorizzazione da dare alla purezza rituale e alle altre prescrizioni legali come
quella del sabato, ecc. Non meraviglia perciò che Gesù fosse proclamato abitualmente
dalla gente come profeta, o meglio ancora, come un «grande profeta» (Lc 7,16.39;
cf Mt 21,11.46; Gv 4,19; 6,14). Signiicativa è la risposta dei discepoli quando Gesù
domandò loro, mentre si trovavano nella regione di Cesarèa di Filippo: «La gente chi
dice che sia il Figlio dell’uomo?». Essi risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri
Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti» (Mt 16,1-15). Anche altri titoli vennero

4
A. Vanhoye, Sacerdozio, NDTB, 1393. Il tema è specialmente sviluppato nell’articolo dello stesso
autore, La novità del sacerdozio di Cristo, CC 149 (1998/1) 16-27.

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Parte III: Nuovo Testamento

attribuiti a Gesù: Maestro, Figlio di Davide, Figlio dell’uomo, Messia, Signore, come
pure quello di «Figlio di Dio» (Mt 14,33; 27,54; Gv 11,27); ma mai il titolo di sacerdote
o sommo sacerdote. Si può aggiungere che la morte di Gesù veniva in qualche modo
a contraddire una certa immagine popolare sul culto sacriicale della religione antica:
essa apparve come l’esecuzione di una condanna infamante (Dt 21,22s; Gal 3,13),
realizzata fuori dell’ambito sacro del tempio, fuori della Città santa.
In sintesi, alla domanda iniziale sul perché nella tradizione narrativa nonché nelle
lettere paoline e cattoliche non si rinvengono titoli sacerdotali applicati a Gesù, sembra
si possa rispondere che una tale terminologia, se usata da Gesù o in riferimento a Gesù,
poteva risultare fuorviante, sia poiché lo avrebbe associato a un gruppo molto connotato
del giudaismo, sia perché non dava ragione suiciente della sua missione; anzi, poteva
prospettare una falsa immagine di essa. Vanhoye precisa che «quest’assenza dei termini
[sacerdotali applicati a Gesù] indica chiaramente la consapevolezza, da parte della
Chiesa primitiva, di una novità tanto forte che non era possibile, in un primo momento,
esprimerla con le parole antiche. È stata necessaria una radicale rielaborazione delle
categorie sacerdotali perché la loro applicazione al mistero di Cristo diventasse
possibile. Tale rielaborazione richiese parecchi anni. La sua utilità però si rivelò di
primaria importanza per l’approfondimento della fede in Cristo. Il risultato inale è che
il solo trattato metodico di cristologia presente nel Nuovo Testamento è un trattato di
cristologia sacerdotale, che si trova nella Lettera agli Ebrei»5.

b) Manifestazioni del sacerdozio di Cristo


Negli scritti che esaminiamo si scoprono, tuttavia, episodi in cui Gesù svolge
indubbiamente funzioni tipicamente sacerdotali, come proclamare con autorità la
parola di Dio spiegandola e interpretandola (Mt 5,20-48; 22,34-40), rivolgersi a Dio
con preghiere d’intercessione per i suoi (Gv 17), e applicare a se stesso parole legate
all’idea del re-sacerdote come quelle del Sal 110, salmo ritenuto messianico nella
tradizione ebraica (Mt 22,41-46 e par.). Tale fatto viene evidenziato specialmente
quando Gesù parla della morte che gli verrà inlitta e che egli accetta ofrendola
come sacerdote che porge la vittima per l’espiazione dei peccati: «Il Figlio dell’uomo
infatti – egli aferma –, non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria
vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Episodio di eccezionale signiicato in questo
contesto è l’evento dell’Ultima Cena. In quella circostanza Gesù, dopo aver consacrato
il pane, prendendo il calice disse: «Questo è il mio sangue dell’alleanza» (Mt 26,28).
Un tale gesto non era previsto nel rituale antico della cena pasquale, costituendo

5
La novità del sacerdozio di Cristo, 17.

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Il sacerdozio di Cristo e il sacerdozio ministeriale nel Nuovo Testamento

un’innovazione imprevedibile. Il rapporto fra sangue e alleanza richiamava, d’altra


parte, il patto realizzato nel Sinai, in cui Mosè aveva agito come il grande mediatore
di salvezza fra Dio e il suo popolo (Es 24,6-8). Esso imprimeva inoltre una decisa
determinazione sacriicale all’atto compiuto in quel momento da Gesù e quindi alla
sua morte, anticipata da quel preciso atto6. La stessa data della morte di Cristo ne
suggeriva inoltre il suo carattere sacriicale, perché la collocava in stretta relazione
con l’immolazione dell’agnello pasquale (Mt 26,17-19; Gv 13,1). La tradizione biblica
neotestamentaria, rilettendo su questi aspetti, ritorna spesso sulla morte di Cristo
presentandola sotto simboli sacriicali veterotestamentari, come ad esempio quello
dell’agnello pasquale – «È stata immolata la nostra pasqua, Cristo», dirà san Paolo
(1Cor 5,7) –, del servo soferente, realtà che emerge dall’inno cristologico della Lettera
ai Filippesi (Fil 2,6-11), oppure del propiziatorio (Rm 3,25), segno della presenza di
Dio nel santuario, sul quale, il giorno dell’espiazione, il sommo sacerdote aspergeva
il sangue delle vittime per ristabilire il rapporto di alleanza con Dio (Lv 16,14-17;
Rm 3,25s; Ef 5,2; Col 1,20, 1Gv 2,2; Eb 9,5ss; ecc.). Queste immagini riappaiono
nell’insegnamento paolino riguardante la comunione col sangue di Cristo (1Cor
10,16-22) e la redenzione in virtù di questo sangue (Rm 5,9; Ef 1,7; 2,13; Col 1,20).
La presentazione della morte di Gesù come sacriicio per eccellenza e atto da
Egli oferto personalmente con gesto sacerdotale, appare anche negli altri scritti
neotestamentari, benché, per motivi già visti, non attribuiscano a Gesù i noti titoli
riguardanti il ministero giudaico della tradizione biblica. Così 1Pt, come è noto,
applica a Cristo un’espressione molto signiicativa del rituale antico: «Agnello senza
difetti e senza macchia» (1Pt 1,19; cf Lv 14,10; 23,18) ed evoca la morte di Gesù
come il sacriicio del Servo di YHWH consegnato alla morte ma risuscitato da Dio
perché portasse la benedizione a tutte le nazioni (At 3,13-16.25s; 4,27.30; 1Pt 2,22-
25), considerazione che riportano anche altri testi neotestamentari (At 8,32s). Per
quanto riguarda gli scritti giovannei, si può notare che tutto il racconto della passione
appare come un grande atto sacriicale ad incominciare dalla maestosa «preghiera
sacerdotale» (Gv 17), in cui Gesù si presenta come il sommo sacerdote che sta per
ofrire il sacriicio di salvezza universale7. Espressive sono le parole di Gesù nell’Ultima
Cena rivolte a tutti coloro che crederanno: «Per loro Io consacro (ἁγιάζω) me stesso»
(Gv 17,19); espressione che implica un’oblazione mediante il sacriicio. Il verbo

6
Cf A. Vanhoye, Sacerdozio, NDTB, 1394.
7
Su questo tema cf I. de La Potterie, La passione di Gesù secondo il vangelo di Giovanni, Paoline,
Cinisello Balsamo 1988, specialmente pp. 13-29.

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Parte III: Nuovo Testamento

ἁγιάζω (“consacrare”) esprime, infatti, l’idea di “riservare per Dio”, “fare sacra una
cosa”, richiamando, data l’imminenza della morte di Cristo, il suo sacriicio redentore.

2. Il sacerdozio di Cristo nella Lettera agli Ebrei8


a) Cristo, Sommo Sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchìsedek
A diferenza della letteratura biblica sopra considerata, nella Lettera agli Ebrei si
scopre una teologia ampiamente sviluppata e ben articolata su Cristo come sommo
sacerdote. L’autore della lettera ha afrontato con grande forza e originalità il tema,
precisando che Cristo non solo è stato vittima sacriicale per i peccati degli uomini (10,1-
17), ma anche «sommo sacerdote» del suo proprio sacriicio, espressione che ricorre più
di 10 volte nella lettera applicata a Gesù, talvolta con l’aggiunta «per sempre» (7,3.17.28).
L’argomento si sviluppa attraverso una valutazione dell’intenzione profonda del
legislatore biblico riguardante l’antica istituzione sacerdotale e un riesame della ricchezza
innovatrice del mistero redentore di Cristo. Si potrebbe afermare che la concezione della
Lettera agli Ebrei sul sacerdozio è «caratterizzata dall’impressione profonda lasciata dalla
vita di Cristo obbediente, misericordioso, consacrato a Dio, dalla sua morte vista alla luce
della sua gloriicazione nonché dalla rivelazione veterotestamentaria di Melchìsedek; il
sommo sacerdozio levitico dell’Antico Testamento con le sue funzioni essenziali (colte
nella liturgia del giorno dell’espiazione) servì da sfondo alla rappresentazione»9. Brano
fondamentale è il seguente: «È noto infatti che il Signore nostro è germogliato dalla tribù
di Giuda e di essa Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio. Ciò risulta ancora più
evidente dal momento che sorge, a somiglianza di Melchìsedek, un sacerdote diferente,
il quale non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza
di una vita indistruttibile. Gli è resa infatti questa testimonianza: “Tu sei sacerdote per
sempre secondo l’ordine di Melchìsedek”. Si ha così l’abrogazione di un ordinamento
precedente a causa della sua debolezza e inutilità – la legge infatti non ha portato nulla
alla perfezione – e si ha invece l’introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale
noi ci avviciniamo a Dio» (7,14-19).
Se da una parte il brano segnala che non è possibile attribuire a Cristo il sacerdozio
rituale antico perché Gesù non era della stirpe di Levì alla quale fu vincolato tale
sacerdozio, dall’altra, precisa che occorre accreditare il sacerdozio di Cristo in virtù
di quel solenne annunzio profetico che proclamava il sorgere di un sacerdozio futuro

8
Oltre alla bibliograia citata, cf C. Marcheselli-Casale, Lettera agli Ebrei, LBNT 16, Paoline, Milano
2005, specialmente gli excursus: Sommo sacerdote grande e perfetto (pp. 683-690); «Alla maniera di
Melchisedek» (pp. 691-696); Compie espiazione e riconciliazione (pp. 696-701); È mediatore di un patto
migliore, nella continuità (pp. 701-706).
9
Cf J.B. Bauer, Sacerdozio, DTB, 1269.

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Il sacerdozio di Cristo e il sacerdozio ministeriale nel Nuovo Testamento

secondo un nuovo e più perfetto ordine: «Tu sei sacerdote per sempre secondo
l’ordine di Melchìsedek» (Sal 110,4). La prova scritturistica, introdotta in 5,6 e ripresa
in 5,10 e 6,20, è spiegata dettagliatamente in 7,1-28. Sulla scia della tradizione ebraica,
garantita poi dai vangeli sinottici (Mt 22,41-46; 26,63-66), l’autore della lettera fa
un ampio uso del salmo 110 in dall’inizio del suo scritto (cf anche Eb 1,3.13; 8,1;
10,12; 12,2). La formula «secondo l’ordine di Melchìsedek» è precisata in funzione
del modo in cui la tradizione biblica presenta il summenzionato personaggio e la
prospettiva con cui si contempla il sacerdozio di Cristo. La mancanza di riferimenti
riguardanti l’origine familiare nonché la nascita e la morte di Melchìsedek è percepita
dall’autore di Ebrei come preigurazione implicita del sacerdozio di Cristo glorioso,
il quale non dipende da una qualsiasi genealogia umana e non ha limiti temporali,
poiché è il sacerdozio del Figlio di Dio incarnato che ha vinto la morte e vive per
sempre (7,3-24). La speciicazione «sacerdote» nell’inciso «sacerdote secondo
l’ordine di Melchìsedek» si spiega, a sua volta, ricorrendo al modo in cui Gesù portò
a termine l’opera della salvezza: «Nei giorni della sua vita terrena egli ofrì preghiere
e suppliche, con forti grida e lacrime, a colui che poteva salvarlo da morte e, per il
suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza
da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che
gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di
Melchìsedek» (5,7-10).
Cosa sia e come venga esercitato questo nuovo sacerdozio è stato evidenziato,
inine, nella lettera, alla luce di alcuni concetti che possono descriversi riassuntivamente
nel seguente modo: i) Cristo, il Figlio di Dio incarnato, è stato intronizzato presso il
Padre sedendosi alla sua destra (1,13; cf Sal 110,1); ii) Egli è al contempo fratello degli
uomini, con i quali si è mostrato pienamente solidale ino alla morte (2,5-18); iii) essendo
pienamente unito a Dio, perché Dio, Egli è anche pienamente unito agli uomini, perché
uomo; iv) i cristiani, quindi, non si trovano in una situazione inferiore a quella dei giudei,
anzi, vivono in una situazione molto più splendida, perché hanno un Sommo Sacerdote
«sempre vivente per intercedere per loro» (7,25). La funzione sacerdotale di Cristo non
deriva quindi soltanto dal fatto che egli fosse da sempre il Figlio di Dio: proviene dal
suo essere anche vero uomo; dal fatto che egli, essendo Dio, partecipa al contempo della
natura umana, avendo preso su di sé le prove, le soferenze e la stessa morte. Egli è
diventato infatti, realmente, in tutto, uomo fra gli uomini, tranne che nel peccato. Così
divenne il mediatore perfetto. Perciò, segnala l’autore della lettera: «Doveva rendersi in
tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede
nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo» (2,17).

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Parte III: Nuovo Testamento

b) La novità del sacerdozio di Cristo


Si possono precisare ancora di più le idee sopra accennate tenendo presente
che l’autore della Lettera agli Ebrei ha sviluppato il suo pensiero sulla falsariga del
sacerdozio levitico, volendo mostrare la maggiore dignità ed eicacia del sacerdozio
di Cristo10. Esiste infatti, da una parte, una somiglianza fra i due sacerdozi poiché, a
somiglianza della igura del sommo sacerdozio levitico che, «scelto fra gli uomini e per
gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per ofrire doni e sacriici
per i peccati», così Cristo «non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma
colui che gli disse: “tu sei mio iglio, oggi ti ho generato”, gliela conferì come è detto
in un altro passo: “Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek”»
(5,1.5). Ma le diferenze sono ragguardevoli:
– I sommi sacerdoti levitici, a causa dei loro peccati (5,3; 7,27; 9,9), dovevano ofrire
costantemente «sacriici per i peccati» come oblazioni gradite, per se stessi come per il
popolo. Gesù, invece, perché è stato «reso perfetto» per mezzo della sua oblazione (5,9;
cf 2,10; 7,28) e perché «resta per sempre» (7,24), sorge come «il sommo sacerdote che
ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i
cieli. Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di ofrire sacriici ogni giorno prima
per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, ofrendo
se stesso» (7,27). Perciò, egli «può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si
avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore» (7,25).
– Anche a diferenza del sacerdozio levitico, che ofriva come oferta cose temporali
(cibi, bevande, sangue di capri e vitelli, ecc.), potendo perciò ottenere soltanto una
puriicazione “carnale”, esteriore, non la puriicazione interna, della coscienza (9,9-
10), Cristo ha oferto «se stesso» (9,14) «una volte per sempre» (10,10), come «vittima
senza macchia» (9,14), in sacriicio di espiazione, ofrendo la possibilità di liberare la
coscienza dal peccato per servire il Dio vivente: Egli, «venuto come sommo sacerdote
dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano
di uomo, cioè non appartenente a questa creazione, egli entrò una volta per sempre
nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio
sangue, ottenendo così una redenzione eterna». Infatti, continua a dire l’autore della
Lettera agli Ebrei, «se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa
su quelli che sono contaminati, li santiicano, puriicandoli nella carne, quanto più il
sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, ofrì se stesso senza macchia
a Dio – puriicherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo il Dio
vivente? Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta

10
Seguiamo J. Baehr, Sacerdote - ἱερεύϛ, DCBNT, 1617-1620.

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Il sacerdozio di Cristo e il sacerdozio ministeriale nel Nuovo Testamento

la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro
che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa» (9,11-15).
– Il brano citato riprende, sia il tema della Croce come sacriicio di espiazione, sia
quello della nuova alleanza instaurata, ma concentra la sua attenzione sulla funzione
di Cristo come sommo sacerdote nell’oferta di questo sacriicio e come mediatore.
Egli è il sacerdote unico ed eterno, che ha compiuto il suo sacriicio nel tempo una
volta per sempre (7,27; 9,12.25-28; 10,10-14). Egli è ormai intercessore per tutti gli
uomini lungo tutta la storia (7,24s), il mediatore della nuova alleanza (8,6-13; 10,12-
28). Questo sommo sacerdozio, esercitato da Cristo già durante la sua vita terrena,
lo continua ora, dopo la risurrezione, e lo completerà al momento della sua seconda
venuta (Eb 9,28). Nel sacerdozio di Cristo vengono quindi implicati l’attività terrena
svolta nel tempo, quella presente del gloriicato e quella di Colui che ritornerà.
– I testi citati mettono anche in rilievo un elemento di fondamentale importanza,
l’attuazione dello Spirito: «Quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo
Spirito eterno, ofrì se stesso senza macchia a Dio –, puriicherà la nostra coscienza
dalle opere di morte, perché serviamo il Dio vivente» (9,14). L’argomento a fortiori
dimostra l’eicacia della mediazione di Cristo perché agisce a livello interiore grazie
all’azione dello Spirito.
– Per quanto riguarda il luogo e il tempo, l’autore della lettera precisa che
il sacerdozio levitico era imperfetto perché svolgeva il suo oicio in un «santuario
terreno» (9,1), igura del santuario celeste, in cui Cristo esercita adesso la sua funzione
di sommo sacerdote in eterno (8,2.5; 9,11.24). L’elevazione di Cristo viene dunque
«interpretata come un’entrata nel vero e celeste santuario e come una presenza
costante davanti a Dio a favore dei credenti. Cristo, l’eterno e celeste sommo sacerdote
di coloro che conservano la fede in lui, garantisce già in d’ora l’accesso immediato a
Dio e, nel futuro, l’entrata nel mondo celeste»11.
Ci sono diversi altri aspetti dell’eminenza di Cristo in confronto al sacerdozio
levitico che però non posso evidenziare in questa sede se non brevemente12: i) il
sacerdozio antico era vincolato al culto ma non intervenne direttamente nella
realizzazione dell’alleanza, efettuata da Mosè senza l’intervento dei sacerdoti; quello
di Cristo, invece, appare in diretto rapporto con l’alleanza: egli venne come mediatore
di una «nuova alleanza» (Lc 22,20 e par.); ii) in questo senso, deve essere messa in
risalto la funzione di Cristo come «mediatore», «scelto fra gli uomini e per gli uomini

11
Ibidem, 1620.
12
Vengono esaminate ampiamente da A. Vanhoye nell’articolo già citato La novità del sacerdozio di
Cristo.

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Parte III: Nuovo Testamento

nelle cose che riguardano Dio» (Eb 5,1), titolo non utilizzato per i sacerdoti dell’antica
legge e che viene applicato a Cristo per tre volte, e sempre con l’aggiunta «di alleanza»
(«mediatore di alleanza», διαθήκηϛ μεσίτηϛ: 8,6; 9,15; 12,24); iii) mentre i sacerdoti
dell’antica alleanza erano segregati dal resto delle nazioni e dallo stesso popolo per
mezzo di legami familiari e separazioni rituali (Es 29; Lv 8-9), nel sacerdozio di Cristo
troviamo una solidarietà esistenziale: egli «per diventare sacerdote misericordioso e
degno di fede nelle cose che riguardano Dio», si è reso «in tutto simile ai fratelli»
(2,17), frase che si riferisce non solo alla natura umana, ma a tutti gli aspetti della
nostra esistenza, anche a quelli più penosi e umilianti.
In questo quadro acquista un signiicato speciale il sacriicio di riconciliazione
operato da Gesù, poiché le sue soferenze, accettate con splendida magnanimità, in un
atteggiamento di piena obbedienza verso suo Padre Dio e di solidarietà fraterna con
gli uomini, resero perfetto il sacriicio redentore da Lui stesso oferto come sommo
sacerdote: Egli, infatti, «pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso
perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (5,8-9).
Cristo è allo stesso tempo Sacerdote consacrato e Vittima immolata (cf 1Cor 5,7; Ef 5,2;
1Pt 1,19). «In questo evento egli non è rimasto passivo, ma ha cooperato attivamente
all’opera divina, sotto l’impulso dello Spirito: “Mediante lo spirito eterno ha oferto se
stesso senza macchia a Dio” (Eb 9,14). La sua oferta non ha soltanto valore di sacriicio
di consacrazione sacerdotale, ma anche di sacriicio di espiazione (9,26ss) e di alleanza
(9,15-22). Sostituisce tutti i sacriici antichi (10,5-10) e fa passare da un culto rituale,
esterno e ineicace, a un culto esistenziale che prende tutto l’uomo per unirlo a Dio e
ai fratelli. In conclusione diventa evidente che la passione di Cristo non soltanto è un
vero sacriicio, ma è l’unico vero sacriicio pienamente riuscito: gli altri erano tentativi
ineicaci. Similmente Cristo non soltanto va riconosciuto quale sacerdote, ma è l’unico
sacerdote autentico, l’unico mediatore di Dio e degli uomini (1Tm 2,5), i sacerdoti
antichi non facevano altro che preigurarlo, in modo molto imperfetto»13.

3. I ministri del sacerdozio di Cristo


Contro l’afermazione di una certa teologia di matrice protestante per cui il Nuovo
Testamento parlerebbe soltanto del sacerdozio generale della Chiesa nel suo insieme e
non di quello riguardante singoli uomini investiti da uno speciico uicio sacerdotale,
sembra doversi afermare che i testi del Nuovo Testamento propugnano che la mediazione
di Cristo si rende presente fra gli uomini per mezzo di ministri scelti da Lui e sollevati

13
A. Vanhoye, Sacerdozio, 1396.

706
Il sacerdozio di Cristo e il sacerdozio ministeriale nel Nuovo Testamento

a così alta missione per mezzo di doni speciici della grazia divina14. Si constata, infatti,
nella lettura dei testi biblici, una consapevolezza da parte degli apostoli di essere stati
chiamati grazie a un dono divino per svolgere un servizio di mediazione tra Dio e gli
uomini e, quindi, sacerdotale; non solo predicando la parola, ma anche trasmettendo la
salvezza eicacemente, come attesta Paolo: «Questa è la iducia che abbiamo per mezzo
di Cristo davanti a Dio. Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come
proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, il quale anche ci ha resi capaci di
essere ministri di una nuova alleanza, non della lettera, ma dello Spirito; perché la lettera
uccide, lo Spirito invece dà vita» (2Cor 3,4-6). Le idee espresse in questo brano appaiono
difusamente in diversi altri scritti dell’Apostolo e il suo messaggio risulta eloquente
(1Cor 15,10; Gal 1,11-24). Egli sa di essere stato costituito ministro della nuova economia
della salvezza grazie ai doni divini elargiti da Dio per mezzo di Gesù Cristo; doni che lo
hanno reso idoneo per continuare la missione svolta da Gesù.
Prima, però, di sviluppare quest’idea, occorre precisare in dall’inizio il perché
coloro che furono costituiti da Cristo «ministri di una nuova alleanza» non ricevono
nelle pagine bibliche il titolo di ἱερεύϛ (“sacerdote”), secondo la tradizione ebraica.
La risposta è stata già in parte esaminata, ma sembra opportuno seppur brevemente
ritornare sul tema. Un’osservazione di Vanhoye ci sembra molto chiariicatrice:
«La cosa si capisce – egli aferma – senza diicoltà: i titoli dei dirigenti della chiesa
primitiva furono scelti in un tempo in cui la dottrina del sacerdozio di Cristo non
era stata ancora elaborata; siccome le loro funzioni erano molto diverse da quelle dei
sacerdoti del tempo, ebrei o pagani, l’idea di chiamarli sacerdoti non poteva venire
in mente. Dopo però l’elaborazione della cristologia sacerdotale, una comprensione
sacerdotale del ministero cristiano diventava possibile, anzi necessaria: essa si fece
strada in modo quanto mai naturale nei tempi posteriori al Nuovo Testamento»15.
Si constata, tuttavia, che non pochi passi neotestamentari sottolineano l’istituzione
del sacerdozio da parte di Gesù: chiamò i Dodici per aidare loro la responsabilità di
governo della sua Chiesa (Mt 16,17-19; 18,15-18; At 1,8), li preparò per il servizio della
parola (Mt 10; Lc 10,1-20), gli trasmise i suoi poteri di ammaestrare e santiicare tutte
le genti (Mt 28,18-20; Gv 20,21-23), aidò loro «sino alla consumazione dei secoli»
(Mt 28,20) il potere di perdonare i peccati (Mt 18,15-18; Lc 24,47; Gv 20,22s), cioè,

14
Per una prospettiva biblica sul sacerdozio ministeriale nel Nuovo Testamento, cf K. Romaniuk, Il
sacerdozio nel Nuovo Testamento, 61-236. Una rilessione più ampia, fra la molteplice bibliograia al
riguardo, si può trovare in Commissione teologica internazionale, Il sacerdozio ministeriale, EDB,
Bologna 1972; J. Saraiva Martins, Il sacerdozio ministeriale: storia e teologia, Pontiicia Università
Urbaniana, Roma 1991; G. Ferraro, Il sacerdozio ministeriale. Dottrina cattolica sul sacramento
dell’ordine, Graite, Napoli 1999.
15
A. Vanhoye, Sacerdozio, 1398a.

707
Parte III: Nuovo Testamento

il «ministero della riconciliazione», come viene designato da Paolo (2Cor 5,18), e di


rinnovare il sacriico eucaristico (Mt 26,26-29 par.) nonché altre prerogative; compiti,
tutti questi, speciici del sacerdozio cristiano. I ministri scelti da Gesù, poi, anziché
limitarsi a proclamare la remissione dei peccati, li rimettevano realmente (At 2,36-41;
3,19-4,4; 10,43-48; ecc.)16; non solo parlavano della morte sacriicale di Cristo ma
la rendevano di fatto presente nella celebrazione dell’Eucaristia (1Cor 11,17-34)17;
imponendo poi le mani trasmettevano realmente lo Spirito Santo (At 8,15-17; 19,1-7).
In questo contesto esistono due passi molto eloquenti. Il primo, 1Cor 9,13-14,
aferma: «Non sapete che quelli che celebrano il culto, dal culto traggono il vitto, e quelli
che servono l’altare, dall’altare ricevono la loro parte? Così anche il Signore ha disposto
che quelli che annunziano il Vangelo vivano del Vangelo». Il brano esprime un rapporto
di somiglianza tra i sacerdoti antichi e i ministri della nuova alleanza. La missione di
questi è prospettata come una azione cultuale a cui applicare, conseguentemente, una
prassi analoga a quella dei sacerdoti del culto antico. Il secondo passo, Rm 15,15-16,
legge: «Tuttavia, su alcuni punti, vi ho scritto con un po’ di audacia, come per ricordarvi
quello che già sapete, a motivo della grazia che mi è stata data da Dio di essere ministro di
Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero di annunciare il Vangelo di Dio
perché le genti divengano un’oferta gradita, santiicata dallo Spirito Santo». In questo
secondo testo l’Apostolo deinisce in termini cultuali e sacriicali la propria vocazione.

16
Nel Nuovo Testamento, la remissione dei peccati era unita abitualmente al Battesimo: «Pentitevi e
ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per il perdono dei vostri peccati» (At 2,38),
aferma l’apostolo Pietro nel suo discorso la mattina di Pentecoste. Anche perciò nella professione
di fede che il cristiano recita abitualmente nella messa domenicale, si aferma di credere «in un solo
battesimo per la remissione dei peccati». È infatti nel Battesimo dove per primo, con il perdono del
peccato originale e degli altri peccati commessi prima di ricevere tale sacramento, muore l’uomo
vecchio con i suoi peccati e le sue concupiscenze e nasce l’uomo nuovo creato secondo Dio.
17
L’espressione «Cena del Signore» utilizzata da san Paolo in 1Cor 11,17-34 (v. 20), assieme a quella di
«frazione [del pane]» (At 2,42; cf Lc 20,7.11; 24,30.35; 27,35; 1Cor 10,16) sono le formule neotestamentarie
che indicano ciò che la Chiesa ai nostri giorni chiama abitualmente Eucaristia o celebrazione
eucaristica. Il vocabolo “Eucaristia” derivato dal verbo “rendere grazie” (εὐχαριστέω) utilizzato da Gesù
nell’istituzione del sacramento (Mt 15,36 par.), è testimoniato già da antico dalla Did. 9,1.5. In 1Cor 10,21
Paolo parla anche della «mensa del Signore» in contrapposizione alla «mensa dei demoni». Ambedue
le espressioni («Cena del Signore» e «mensa del Signore») stabiliscono un collegamento profondo e
molteplice: Cena e mensa sono del Signore perché egli vi è presente e attivamente partecipe, cosicché i
credenti entrano in comunione con Lui (10,16-22), con il suo Corpo e il suo Sangue, strumenti di una
nuova alleanza (1Cor 11,24-25); la sua presenza è attiva al punto da proclamare un giudizio di condanna
su chi, mangiandone indegnamente, si rende colpevole verso il suo corpo e il suo sangue (vv. 27-28). Al
di là di possibili ainità con il linguaggio cultuale greco contemporaneo, è il contesto remoto e prossimo
di Paolo a ofrire il senso della terminologia eucaristica paolina. La cena rituale di cui parla Paolo è del
Signore: perché istituita da lui e da lui lasciata ai discepoli come sua memoria (vv. 23-26); perché in essa
egli spezza il pane e lo dona come suo Corpo e porge il calice ofrendolo da bere come suo Sangue (vv.
24.25b.27 e 10,16). Si tratta di una realtà cristologica e soteriologica.

708
Il sacerdozio di Cristo e il sacerdozio ministeriale nel Nuovo Testamento

Egli si presenta come «ministro di Cristo Gesù», come «liturgo» (λειτουργὸν Χριστοῦ
Ἰησοῦ εἰϛ τὰ ἔθνη), qualiicando quindi la sua azione come quella di un sacerdote che
compie il suo sacriicio cultuale a favore dell’insegnamento evangelico, ossia come
servizio sacerdotale18. L’espressione «oferta gradita» sottolinea l’idea che gli stessi
pagani, a cui viene rivolta la predicazione, sono prospettati come un dono da presentare
a Dio. Paolo, quindi, intende la propria opera missionaria come opera di culto, come
svolgimento di un servizio cultuale-sacerdotale, e perciò asserisce che se dovesse sofrire
il martirio lo considererebbe un supplemento del sacriicio oferto a Dio nella comunità
dei fedeli e si rallegrerebbe di immolarsi per dare compimento a questo servizio divino:
«Ma, anche se io dovessi essere versato sul sacriicio e sull’oferta della vostra fede (εἰ καὶ
σπένδομαι ἐπὶ τῇ θυσίᾳ καὶ λειτουργίᾳ τῆϛ πίστεωϛ ὑμῶν), sono contento e ne godo con
tutti voi» (Fil 2,17-18). Se l’Apostolo non prende il termine ἱερεύϛ (“sacerdote”), poiché
rischiava di provocare un equivoco come abbiamo più volte segnalato, adopera tuttavia
una lunga perifrasi che descrive la sua missione come un ministero sacerdotale di genere
completamente nuovo: l’uicio sacro dell’annunzio evangelico di Dio perché i pagani
divengano un’oblazione gradita, santiicata dallo Spirito Santo (Rm 15,16). Appare così
il ministero apostolico come un compito d’indole sacerdotale, partecipe del sacerdozio
di Cristo a servizio di tutti gli uomini.
Gli apostoli, convinti di essere «ministri di Cristo e amministratori dei misteri
di Dio» (1Cor 4,1), trasmisero la loro missione a fedeli prescelti, con l’imposizione
delle mani e della preghiera, tramite cui agiva lo Spirito Santo (At 14,23; 20,28;
1Tm 4,14; 5,22; 2Tm 1,6). Per coloro che agivano con fedeltà, in conformità con la
missione a loro aidata, si chiedeva che fossero trattati con grande onore, come viene
accennato in 1Tm: «I presbiteri (πρεσβύτεροι) che esercitano bene la presidenza
siano trattati con doppio onore, soprattutto quelli che si afaticano nella predicazione
e nell’insegnamento» (1Tm 5,17). Questi collaboratori apostolici erano designati

18
Se nel suo signiicato originario la parola λειτουργόϛ (“ministro, servo”) non era un termine riservato al
sacerdozio, nel Nuovo Testamento essa acquista un profondo signiicato di ministro liturgico, «ministro
del santuario», espressione che viene applicata a Cristo (Eb 8,2). Presentando se stesso come ministro
di Cristo, Paolo sembra suggerire che egli si considera un oiciante al servizio cultuale di Cristo,
come suggerisce l’inciso: «esercitare un oicio sacro», soprattutto se si tiene presente il contesto in cui
l’Apostolo attribuisce la partecipazione laicale al culto dei pagani convertiti: «Perché i pagani divengano
una oblazione gradita, santiicata dallo Spirito Santo». A diferenza del sacerdozio veterotestamentario,
Paolo concepisce la sua missione come quella del sacerdote nuovo che santiica gli uomini comunicando
loro, già non un fuoco materiale come avveniva per gli animali sacriicati nell’antica legge, ma il fuoco
dello Spirito Santo: «Da qui deriva tutta la diferenza fra il ministero di Paolo e il sacerdozio rituale
antico: una diferenza enorme. Si comprende quindi che Paolo non abbia preso per sé il titolo di hieréus,
ma si sia preoccupato di cercare circonlocuzioni per meglio deinire il suo ministero» (A. Vanhoye, Il
sacerdozio ordinato, in A. Vanhoye/F. Manzi/U. Vanni, Il sacerdozio della nuova alleanza, 129).

709
Parte III: Nuovo Testamento

frequentemente come ἐπίσκοποϛ (“custode, sorvegliante”) oppure come πρεσβύτεροϛ


(“anziano, dirigente”)19. In tre casi si parla di «diaconi» (Fil 1,1; 1Tm 3,8.12). Ma la
terminologia adoperata negli scritti apostolici è più ampia e diversiicata20. I testi
neotestamentari utilizzano infatti un linguaggio variegato in riferimento a coloro che
presiedevano le comunità, come si osserva nei testi citati in seguito. Se nel racconto del
primo viaggio missionario di Paolo (45-49 d.C.) si aferma che l’Apostolo, dopo «aver
pregato e digiunato», stabilì «presbiteri» in ciascuna delle comunità da lui fondate,
«aidandoli al Signore, nel quale avevano creduto» (At 14,23), lo stesso autore degli
Atti narra poco dopo che verso l’anno 58 Paolo ebbe a Èfeso un emotivo incontro di
congedo con i «vescovi» della regione, designati però anche come «presbiteri» (At
20,17.28). Nelle lettere paoline più antiche, le quali non usano il vocabolo «presbiteri»,
si parla di «preposti nel Signore» (1Ts 5,12) oppure «colui che presiede [nel Signore]»
(ὁ προϊστάμενοϛ: Rm 12,8). Nella Lettera agli Ebrei si aferma invece: «Ricordatevi

19
Il termine «presbitero» è un comparativo del termine greco πρέσβυϛ con il signiicato originario di “più
vecchio”, “più anziano”. Negli ambienti ebraici di lingua greca il vocabolo si era trasformato ino ad
acquisire un signiicato più denso di contenuto, cioè ino a designare i membri del consiglio incaricato
di dirigere la comunità, la quale, in genere, era formata da uomini anziani. Divenne quindi un titolo per
designare i dirigenti. Dalle comunità ebraiche l’appellativo passò alle comunità cristiane, anche quelle
paoline, per indicare un ministro ordinato caratteristico della struttura della Chiesa. Se un tale uso per
la logica della narrazione non è presente nei Vangeli, si avverte già negli Atti degli Apostoli (At 14,23;
20,17) e nelle Lettere canoniche. San Pietro, nella sua Prima lettera aferma: «Esorto i presbiteri che
sono tra voi, quale presbitero come loro, testimone delle soferenze di Cristo e partecipe della gloria che
deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è aidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri
secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi
aidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona
della gloria che non appassisce» (1Pt 5,1-4). Il testo esprime la coscienza che il servizio del presbitero è
una funzione di «pastore», cioè, di guida del popolo di Dio. Inoltre, è molto signiicativo il rapporto che
Pietro stabilisce tra i pastori e Cristo, deinito come «pastore supremo», cioè, «arcipastore», termine
che in greco fa pensare alla parola «arcisacerdote» (ἀρχιερεύϛ, “sommo sacerdote”). Anche Paolo,
quando scrive a Tito (1,5-9), parla dell’organizzazione della Chiesa citando presbiteri e vescovi (cf A.
Vanhoye, Il sacerdote ordinato, 125s).
20
Su questa terminologia, cf C. Spicq, Les épitres pastorales, Gabalda, Paris 19694, I 65-83; 426-455.
Per uno studio contestualizzato sull’argomento, cf M. Guerra, “Episcopos y presbyteros”. Evolución
semántica de los términos ἐπίσκοποϛ-πρεσβύτεροϛ desde Homero hasta el siglo segundo después de
Jesucristo, Aldecoa, Burgos 1962 (specialmente pp. 261-350). L’autore, consapevole della luidità della
terminologia neotestamentaria, ritiene tuttavia come probabile designazione per il vescovo come
igura gerarchica i seguenti testi: At 20,28; Fil 1,1; 1Tm 3,2ss; Tt 1,7. Per quanto riguarda i presbiteri,
invece, i testi, più numerosi, vengono classiicati in presbiteri della chiesa di Gerusalemme (At 11,30;
15,2.4.6.22.23; 16,4; 21,19), della diaspora (Gc 5,14), delle comunità paoline dell’Asia Minore (At 14,23;
20,17; 1Tm 5,17.19) e di altre Chiese (1Pt 5,1.5; Tt 1,5). Inine, come proiezione dell’organizzazione
comunitaria terrestre su quella celestiale enumera: Ap 4,4.10; 5,5.8.11.14; 7,11.13; 11,16; 14,3; 19,4. Cf
anche Ch. Rico, Episcopoi, Presbyteroi et Diakonoi dans la Bible et la littérature chrétienne des deux
premiers siècles, RB 115 (2008) 127-134; Idem, L’adresse de l’Épître aux Philippiens: σὺν ἐπισκόποιϛ καὶ
διακόνοιϛ (Ph 1,1), RB 116 (2009) 262-271.

710
Il sacerdozio di Cristo e il sacerdozio ministeriale nel Nuovo Testamento

dei vostri capi (τῶν ἡγουμένων ὑμῶν), i quali vi hanno annunziato la parola di Dio;
considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede» (Eb
13,7.17.24). Una terminologia più tecnica e univoca apparirà successivamente21;
tuttavia, si può notare che nel saluto iniziale della Lettera ai Filippesi (Fil 1,1) si distingue
fra «i vescovi e i diaconi (ἐπισκόποιϛ καὶ διακόνοιϛ)»22, come fa analogamente la Prima
lettera a Timoteo, che speciica i diversi ruoli degli uni e degli altri nella comunità
(1Tm 3,2.8.12), aggiungendo poi un riferimento ai «presbiteri» (4,14; 5,17). Riguardo
all’istituzione dei diaconi è a tutti noto il celebre brano At 6,1-623.
Ciò che in ogni caso emerge dai testi neotestamentari è che a questi “dirigenti” delle
comunità venivano conferite funzioni e autorità quasi apostoliche, quali presiedere la
comunità, vegliare su di essa, predicare la dottrina e difenderla di fronte ai falsi profeti
(At 20,17-35; 1Pt 5,1-5; e passim in 1-2Tm e Tt), come anche di compiere azioni
propriamente sacramentali (Gc 5,14s), e che tale potere era conferito dal collegio dei
presbiteri mediante «l’imposizione delle mani e la preghiera», come precisa un passo
di 1Tm: «Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito, per
indicazioni di profeti, con l’imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri»

21
Nelle lettere di sant’Ignazio di Antiochia († 107) troviamo per la prima volta la tripartizione vescovi,
presbiteri, diaconi in forma tecnica, nella forma in cui oggi è in uso nella Chiesa cattolica. Un brano
celebre è il seguente: «È bene per voi procedere insieme d’accordo col pensiero del vescovo, cosa che già
fate. Infatti il vostro collegio dei presbiteri, giustamente famoso, degno di Dio, è così armonicamente
unito al vescovo, come le corde alla cetra. Per questo nella vostra concordia e nel vostro amore
sinfonico Gesù Cristo è cantato. E così voi, ad uno ad uno, diventate coro, ainché nella sinfonia della
concordia, dopo aver preso il tono di Dio nell’unità, cantiate a una sola voce» (Eph. 4,1-2). Dalla lettera
di sant’Ignazio ai Romani è invece quest’altro brano: «Similmente tutti rispettino i diaconi come Gesù
Cristo, come anche il vescovo che è l’immagine del Padre, i presbiteri come il sinedrio di Dio e come
il collegio degli apostoli. Senza di loro non c’è Chiesa. Sono sicuro che intorno a queste cose la pensate
allo stesso modo. Infatti ho accolto e ho presso di me, un esemplare della vostra carità nel vostro
vescovo, il cui contegno è una grande lezione, come la sua dolcezza una forza. Credo che anche gli atei
lo rispettino. Poiché vi amo mi trattengo, potendo scrivere con più severità sulla cosa. Non arriverei col
pensiero a tanto da comandarvi come un apostolo essendo, invece, un condannato» (3,1-3).
22
Cf Ch. Rico, L’adresse de l’Épître aux Philippiens: σὺν ἐπισκόποιϛ καὶ διακόνοιϛ (Ph 1,1), RB 116 (2009)
262-271.
23
Nella Prima lettera a Timoteo 3,1-12 oltre a vescovi e presbiteri e in parallelo con i diaconi Paolo
cita le «donne» (vv. 11-12), richiedendo che «siano dignitose, non pettegole, sobrie, fedeli in tutto».
Queste donne avevano probabilmente il ruolo di diaconesse, come lo era Febe, diaconessa della
Chiesa di Cencre (cf Rm 16,1), ma il loro servizio, come si segue dall’esame esegetico dei testi, non era
certamente ministeriale. Sul tema, cf P. Grelot, La donna nel Nuovo Testamento, San Paolo, Cinisello
Balsamo 1996 (orig. fr.: La condition de la femme d’après le Nouveau Testament, Desclée de Brouwer,
Paris 1995). L’uicio delle diaconesse fu certamente dichiarato non sacramentale nel primo Concilio
di Nicea (325), canone XIX: «Riguardo alle diaconesse che sono in questa posizione ricordiamo ai
responsabili della chiesa che esse non possiedono ordinazione, ma devono essere considerate nel
laicato con ogni rispetto”. Nella Chiesa cristiana dei primi secoli la diaconessa era quindi una donna
cui era aidata la cura dei malati e dei poveri oltre che taluni uici liturgici.

711
Parte III: Nuovo Testamento

(1Tm 4,14; cf 5,22; 2Tm 1,6). Di questo rito abbiamo un’ampia testimonianza nel
sec. II. Si può inoltre segnalare: i) che verso la seconda parte del primo secolo c’erano
dei ministri nelle diverse chiese locali con piena autorità apostolica (At 20,17.28; Tm
3,1-2; Tt 1,5.7; Ap 2-3); e ii) che sebbene nessun termine preciso esistesse nel Nuovo
Testamento in riferimento all’episcopato monarchico, la funzione corrispondente
appare delineata nel ruolo dei Dodici e successivamente in alcuni membri della
comunità stabiliti dai Dodici come Timòteo e Tito, i πρεσβύτεροι/ἐπίσκοποι di Filippo
o Efeso, oppure i ἡγούμενοι di Eb 13,7. Perciò, al di là di una imprecisione terminologica
originale, l’esame attento dei testi del Nuovo Testamento rivela un’organizzazione dei
ministeri ecclesiastici che annunzia quella che prevarrà nella Chiesa dei primi secoli.
In sintesi si può asserire che nel Nuovo Testamento la igura del sacerdozio della
nuova economia salviica appare delineata in funzione di una speciica vocazione
divina, ricevuta come «dono spirituale» (1Tm 4,14), mediante il quale coloro che erano
chiamati diventavano partecipi del sacerdozio di Cristo, unico ed eterno sacerdote (Eb
7,24s), per l’opera della santiicazione della Chiesa. La missione sacerdotale viene così
esaltata come ministero divino, continuazione necessaria dell’opera salviica di Gesù.
Da tale suprema dignità derivavano doveri di santità e di abnegazione, specialmente
inculcati nelle Lettere Pastorali, in modo di far crescere la grazia della vocazione in
una continua corrispondenza alla volontà divina (2Cor 4,6; 2Tm 1,6.14), per condurre
una vita di santità irreprensibile (1Tm 4,12ss). Appare anche una chiara distinzione
di ministeri all’interno dell’istituzione sacerdotale, sebbene una terminologia precisa
e univoca non fosse ancora del tutto stabilita.

4. Il sacerdozio comune di fedeli


Il Nuovo Testamento prospetta ancora un altro modo di vivere il sacerdozio
di Cristo, un modo che raggiunge tutti i fedeli e che non vaniica minimamente il
sacerdozio ministeriale, ma piuttosto lo richiede, così come il sacerdozio comune
del popolo di Dio dell’antica economia di salvezza non rendeva vano ma richiamava
l’istituzione del sacerdozio levitico. Infatti, così come l’intero Israele era investito
di una missione sacerdotale tra i popoli (Es 19,6), così anche tutti i cristiani sono
chiamati a vivere il «sacerdozio regale» (1Pt 2,5) mediante la loro partecipazione al
sacerdozio regale di Cristo, suggellata nel carattere battesimale e cresimale24. Tale

24
Sulla rilessione biblica riguardante il sacerdozio comune dei fedeli, cf K. Romaniuk, Il sacerdozio
nel Nuovo Testamento, 41-59; P. Dacquino, Il sacerdozio del nuovo popolo di Dio e la Prima lettera
di Pietro, in G. Canfora (a cura di), San Pietro. Atti della XIX Settimana Biblica, Paideia, Brescia
1967, 291-317; M. Adinolfi, Il sacerdozio comune dei fedeli, Antonianum, Roma 1983; U. Vanni, La
promozione del regno come responsabilità sacerdotale dei cristiani secondo l’Apocalisse e la Prima lettera

712
Il sacerdozio di Cristo e il sacerdozio ministeriale nel Nuovo Testamento

sacerdozio era stato preannunziato in certo qual modo dai profeti, che parlavano del
sorgere in Israele, ai tempi della salvezza escatologica, di un sacerdozio rinnovato
(Is 56,7; 60,7; 61,6). La sua esistenza è stata proclamata dal Concilio Vaticano II con
parole che fanno emergere i più centrali testi biblici neotestamentari al riguardo:
«Cristo Signore, ponteice assunto di mezzo agli uomini (cf Eb 5,1-5), fece del nuovo
popolo “un regno e sacerdoti per il Dio e il Padre suo” (Ap 1,6; cf Ap 5,9-10). Infatti,
con la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati
per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per ofrire, mediante tutte
le attività del cristiano, spirituali sacriici, e far conoscere i prodigi di colui, che dalle
tenebre li chiamò all’ammirabile sua luce (cf 1Pt 2,4-10). Tutti quindi i discepoli di
Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio (cf At 2,42-47), ofrano
se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio (cf Rm 12,1), rendano dovunque
testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano ragione della speranza che è in
essi di una vita eterna (cf 1Pt 3,15). Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio
ministeriale o gerarchico, quantunque diferiscano essenzialmente e non solo di grado,
sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio
modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo. Il sacerdote ministeriale, con la
potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacriicio
eucaristico nel ruolo di Cristo e lo ofre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in
virtù del loro regale sacerdozio, concorrono all’oferta dell’Eucaristia, ed esercitano il
loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la
testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa»25.
Tre testi, come si può osservare, si trovano al centro della dottrina del sacerdozio
comune dei fedeli. Nel passo della Lettera ai Romani, Paolo adopera il linguaggio sacriicale
per esprimere l’ideale della vita cristiana. Egli non fa uso del termine «sacerdozio», però
descrive la realtà: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a ofrire i vostri
corpi come sacriicio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non
conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di
pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto»
(Rm 12,1-2). Si tratta dell’oferta a Dio, non già di solo cose esterne come era determinato
nell’antica legge, ma di tutta la persona nella sua esistenza concreta; una donazione totale
di se stesso, in modo tale che la vita divenga un «sacriicio vivente», gioioso e continuo
a Dio. Tale «culto spirituale», aldilà delle forme esteriori e convenzionali, deve essere

di Pietro, Greg 68 (1987) 34-50; F. Mosetto, Sacerdozio regale (1Pt 2,4-10), in A. Sacchi e coll., Lettere
paoline e altre lettere, Elle Di Ci, Leumann 1996, 571-582; L. Campagnoli, Il sacerdozio comune dei
battezzati. Bilancio storico e prospettive future, Apostolato della preghiera, Roma 2007.
25
Lumen Gentium 10.

713
Parte III: Nuovo Testamento

vissuto, insegna l’Apostolo, lasciandosi trasformare dall’azione dello Spirito Santo, in


modo tale che lo stesso modo di pensare si svolga nel desiderio di discernere quale sia in
ogni circostanza la volontà di Dio, per poter così agire in ogni circostanza in conformità
con ciò che è gradito a Dio, con continue manifestazioni di lode e d’impegno nella carità,
di ringraziamento e di preghiera (Eb 13,15-16).
L’applicazione di un titolo d’indole sacerdotale alla comunità dei credenti appare
ancora più esplicita nella Prima lettera di Pietro. Il principe degli Apostoli si rifà
alla traduzione greca di Es 19,6, che modiica leggermente il testo ebraico. Questo si
potrebbe tradurre nei seguenti termini: «Voi sarete per me un regno di sacerdoti e
una nazione santa». Al posto del plurale «sacerdoti» la versione greca trae un nome
collettivo, ἱεράτευμα, con il signiicato di “corpo sacerdotale”26. Il termine viene
ripreso da 1Pt 2,5.9 per qualiicare la Chiesa: «Avvicinandovi a lui, pietra viva, riiutata
dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche
voi come ediicio spirituale, per un sacerdozio santo (ἱεράτευμα ἅγιον) e per ofrire
sacriici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo […]. Voi siete stirpe eletta,
sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le
opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa».
1Pt trasferisce quindi la prerogativa veterotestamentaria di «sacerdozio regale» al
popolo di Dio della nuova economia di salvezza. Alla comunità dei credenti sono
applicati perciò tutti quei titoli religiosi (elezione, sacerdozio, sacralità, acquisto
completo da parte di Dio, testimonianza per gli altri popoli) che erano stati riservati
alla comunità dell’esodo (Es 19,5-6); fatto che, se da una parte sottolinea la continuità
del nuovo popolo di Dio con quello dell’alleanza antica, dall’altra, evidenzia la
speciica caratteristica del nuovo popolo di Dio: «Ofrire sacriici spirituali graditi a
Dio, mediante Gesù Cristo». Viene proclamata così l’attuazione nella Chiesa di Cristo
della splendida promessa fatta a Israele e l’originalità di questa realizzazione. Quale
popolo sacerdotale, questa nuova stirpe deve annunciare le opere meravigliose di Dio,
che l’autore della lettera descrive così: «Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece
siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete
ottenuto misericordia» (v. 10). Altrettanto importante nel testo di 1Pt è che il concetto
di elezione non viene ristretto in senso individualistico. Le «pietre vive» vengono
inserite nell’«ediicio spirituale». Il sacerdozio dei credenti si realizza all’interno
della struttura ecclesiale (Ef 2,19-21; 4,11-16). I fedeli, «immessi quali pietre viventi
nell’ediicio di un tempio costruito nello Spirito Santo, di un sacerdozio santo eletto da

26
Sul tema cf J.H. Elliot, he Elect and the Holy. An Exegetical Examination of 1 Peter 2:4-10 and the
Phrase βασίλειον ἱεράτευμα, NT.S 12, Brill, Leiden 1966.

714
Il sacerdozio di Cristo e il sacerdozio ministeriale nel Nuovo Testamento

Dio e a lui appartenente, debbono ofrire un sacriicio compiuto e determinato dallo


Spirito che abita in loro, un sacriicio grato a Dio attraverso Gesù Cristo».27. Sebbene
i sacriici spirituali non vengano precisati, la dottrina generale della lettera fa capire
che consistono, come aferma Vanhoye, «in una “condotta bella” (2,12) e santa (1,15),
conforme all’obbedienza di Cristo e all’ispirazione dello Spirito (1,2)»28.
L’Apocalisse, inine, illumina la dottrina segnalata del sacerdozio comune dei
fedeli in tre testi fondamentali29. Un primo brano s’ispira alla promessa divina di Es
19,6, facendo però una traduzione diretta dell’ebraico: «[A Colui che] ha fatto di noi
un regno di sacerdoti (ἱερεῖϛ) per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli
dei secoli. Amen» (1,6). Più avanti il libro descrive il cantico di lode della corte celeste
rivolto all’Agnello per questa sua opera: «Cantavano un canto nuovo: “Tu sei degno di
prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio,
con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e hai fatto di loro, per
il nostro Dio, un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra» (Ap 5,9-10). Il nostro
tema viene inine proclamato all’interno di una beatitudine che riguarda i martiri:
«Beati e santi quelli che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha
potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo, e regneranno con
lui per mille anni» (20,6). I testi citati, se esaminati attentamente, hanno un interesse
singolare nel nostro studio: essi non solo proclamano l’esistenza di un sacerdozio dei
fedeli redenti da Cristo che si prolunga nella Gerusalemme celeste, ma anche di un
rapporto esistente fra questo sacerdozio e la dignità regale del cristiano. Come spiega

27
J.B. Bauer, Sacerdozio, DTB, 1277-1278.
28
A. Vanhoye, Sacerdozio, 1397b. È noto che Lutero fece un uso polemico del brano che abbiamo
esaminato per fondare i suoi attacchi contro il sacerdozio ministeriale della Chiesa cattolica. Nella sua
esegesi egli veniva ad afermare che tutti i cristiani sono sacerdoti a uguale titolo e che, in conseguenza, i
sacerdoti e i vescovi non possiedono nessun potere speciale né alcuna autorità se non quella concessa dai
fedeli. Il testo, invece, se ben esaminato, mette in risalto la partecipazione di tutti i credenti al sacerdozio
di Cristo nella Chiesa senza voler negare l’esistenza di diversi livelli di partecipazione al sacerdozio
di Cristo, e quindi, salvando il sacerdozio ministeriale. Il fatto che Pietro non faccia riferimento
esplicitamente in questo passo agli apostoli o ai responsabili della comunità, come troviamo in altri
testi che parlano della Chiesa come comunità ediicata nel Signore (Rm 12,1-8; Ef 2,19-20; 4,11-12), è
dovuto alla inalità che egli si propone nel brano esaminato e non sarebbe lecito inferire che egli abbia
voluto escludere se stesso dal sacerdozio ministeriale insieme con gli altri responsabili della comunità.
Il senso del testo di Pietro è quindi che tutti i credenti sono uniti nello stesso organismo sacerdotale;
organismo che ha come fondamento lo stesso Cristo. Un po’ più avanti, verso la ine della sua lettera,
Pietro attesterà esplicitamente l’esistenza di una struttura nell’organismo sacerdotale (1Pt 5,1-4).
29
Per i commenti dei testi, cf fra gli altri le recenti opere di G. Biguzzi, Apocalisse. Nuova versione,
introduzione e commento, LBNT 20, Paoline, Milano 2005; e U. Vanni, Apocalisse, libro della
Rivelazione. Esegesi biblico-teologica e implicazioni pastorali, SRivBib 17, EDB, Bologna 2009; Idem,
Il sacerdozio dei cristiani nell’Apocalisse, in A. Vanhoye/F. Manzi/ U. Vanni, Il sacerdozio della
nuova alleanza, 85-99.

715
Parte III: Nuovo Testamento

Vanhoye, «il contributo speciico dell’Apocalisse consiste nell’insistenza sull’unione


della dignità regale e di quella sacerdotale. In circostanze diicili, che mettevano i
cristiani in una situazione di vittime e di condannati, Giovanni li invita a riconoscere
arditamente che, grazie al sangue di Cristo, sono in realtà sacerdoti e re, che godono,
cioè, di un rapporto privilegiato con Dio e che questo rapporto esercita un’azione
determinante nella storia del mondo. La dignità regale e sacerdotale dei cristiani viene
presentata come il culmine dell’opera redentrice di Cristo (1,6; 5,10). D’altra parte, la
piena attuazione di questa duplice dignità appare come il colmo della felicità e della
santità (20,6). Questa prospettiva deve incoraggiare i credenti nelle loro prove. La loro
speranza è magniica. Nella Gerusalemme nuova ci sarà “il trono di Dio e dell’Agnello”
e “i suoi servi a lui presteranno culto” (22,3) e “regneranno nei secoli dei secoli” (22,5).
In questa maniera la vocazione dell’uomo sarà perfettamente adempiuta»30.
Dai testi sorge quindi la prospettiva precisa del sacerdozio comune dei fedeli. I
cristiani, con il loro sacerdozio, devono partecipare del sacerdozio gradito a Dio per
mezzo di Gesù Cristo. Solo compiendo questa funzione possono partecipare anche del
sacerdozio celeste di Cristo.

Riflessioni conclusive
Nel Nuovo Testamento occupa quindi come abbiamo osservato un luogo centrale
la prospettiva riguardante il sacerdozio di Gesù. L’insegnamento fondamentale lo
troviamo nella Lettera agli Ebrei, che costituisce un momento basilare dello sviluppo
della teologia del sacerdozio di Cristo. Questa lettera, com’è stato segnalato, «fa una
“lettura liturgica” della persona e dell’opera redentrice di Gesù con riferimento alla
liturgia che si svolgeva nel tempio di Gerusalemme nel giorno dell’espiazione»31. Cristo
è deinito come il Sommo Sacerdote di una nuova economia di salvezza, Ponteice di
un santuario «non fatto da mani d’uomo», ma celeste, e «non per ofrire se stesso più
volte», come il sommo sacerdote dell’antica legge che doveva entrare «nel santuario
ogni anno con sangue altrui». In questo caso, segnala l’autore della Lettera agli Ebrei,
Gesù «avrebbe dovuto sofrire più volte dalla fondazione del mondo. Ora invece
una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante
il sacriicio di se stesso» (Eb 9,24-26). In contrapposizione al sacerdozio levitico,
legato ai sacriici di animali e al ritualismo del tempo, la nuova economia di salvezza
ci parla dunque di un nuovo sacerdozio, quello di Cristo, realizzato nell’oferta di

30
A. Vanhoye, Sacerdozio, 1397b; cf Idem, Il sacerdozio regale, in A. Vanhoye/F. Manzi/U. Vanni, Il
sacerdocio della nuova alleanza, 65-83.
31
Così nell’introduzione alla Lettera agli Ebrei della Bibbia CEI del 2008.

716
Il sacerdozio di Cristo e il sacerdozio ministeriale nel Nuovo Testamento

se stesso al Padre per la nostra salvezza. La Lettera agli Ebrei sottolinea inoltre
l’assoluta superiorità del sacerdozio di Cristo, Sommo Sacerdote secondo l’ordine di
Melchìsedek; un sacerdozio fondato sul mistero dell’Incarnazione e che ha raggiunto
tutto il suo splendore e dispiegato tutta la sua eicacia quando Cristo, risorto dai
morti, si è seduto sul trono della gloria, alla destra del Padre, diventando causa di
salvezza per quanti credono in lui.
Ma l’opera di Cristo non si compie nella solitudine dell’isolamento: «Egli è venuto
al mondo per unire a sé gli uomini e insieme lodare il Padre, insieme celebrare il suo
amore, insieme ofrirsi a lui per compiere la sua volontà. Così il sacerdozio di Cristo
non svuota ma fonda il sacerdozio di tutti i redenti, chiamati a partecipare al suo
stesso ministero. Tutti i battezzati, con Cristo e in quanto sono ammessi a partecipare
alla sua vita e alla sua missione, sono sacerdoti. Ogni redento, nella misura in cui
partecipa alla vita di Cristo, partecipa anche al suo sacerdozio. E l’intera Chiesa, che è
l’insieme dei redenti in Cristo, è quindi una comunità “sacerdotale” e “profetica”»32.
Questo sacerdozio comune dei fedeli, però, non solo non invalida, ma esige a
viva voce il sacerdozio ministeriale instaurato da Gesù. Cristo ha lasciato sulla terra
la possibilità che ministri consacrati potessero continuare la sua opera santiicatrice
partecipando del suo sacerdozio, in modo che la sua Chiesa fosse governata, ammaestrata
e santiicata con un potere divino. Il sacerdozio ministeriale, grazie alla potestà sacra
di cui è investito, è chiamato a servire il popolo sacerdotale specialmente mediante il
sacriicio eucaristico che realizza in nome di Cristo e che ofre a Dio in nome di tutta la
comunità cristiana. I fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono a loro volta
all’oferta dell’Eucaristia ed esercitano il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la
preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione
e la carità operosa33. Difatti «l’oferta dei battezzati non potrebbe unirsi oggi all’oferta
di Cristo, se non esistesse un sacerdozio “ministeriale” col compito di rendere presente
oggi tra noi l’oblazione e il sacriicio di Cristo stesso: è quello che avviene nei segni
della celebrazione eucaristica e, in genere, in ogni azione propriamente liturgica.
Risulta chiaro perciò che tra sacerdozio battesimale e sacerdozio ministeriale esiste
una profonda diferenza, qualitativa e di funzione, fondata sul carattere sacramentale
del battesimo e dell’ordine. Ma resta chiaro che il sacerdozio ministeriale risponde al
concetto di “funzione”, in vista e a servizio del sacerdozio battesimale, comune a tutta
la Chiesa, e che quindi ha anche valore di “ine”»34.

32
J. Baehr, Sacerdote, DCBNT, 1622.
33
Cf Lumen Gentium 10.
34
J. Baehr, Sacerdote, DCBNT, 1622.

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