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LII

2002

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

INDICE GENERALE

M. Pazzini

Qohelet o la gioia come fatica e dono di Dio a chi lo teme

9
29

La Massorah del Libro di Giona (BHS)

103

Dio Padre nei Sinottici

117

Informazione e ricostruzione negli Atti degli Apostoli.


Note di lettura

125

Nuovi commenti agli Atti degli Apostoli. Saggio bibliografico

175

Rabbinic Literature as a historical source for the study


of the Gospels background

217

Qumran in the Second Temple Period. Reassessing


the Archaeological Evidence

247

Las grutas del Parque de la Independencia de Jerusaln,


un mithraeum?

297

Il Monte degli Ulivi nella Demonstratio Evangelica


di Eusebio di Cesarea

307

Y. Patrich

The Martyrs of Caesarea. The Urban Context

321

R. Rubin

The Melagria: On Anchorites and Edible Roots


in Judaean Desert

347

A Mansion House from the Late Byzantine-Umayyad Period


in Beth Shean-Scythopolis

353

La Chiesa del vescovo Giovanni a Zizia

367

Il cortile a Sud della Chiesa di S. Paolo ad Umm al-Rasas


- Kastron Mefaa in Giordania

385

The Sanctuary of Sheikh el-Qatrawani

441

Sintesi degli articoli (Abstracts)

457

G. Bissoli
G.C. Bottini
N. Casalini
N. Casalini
F. Manns
Y. Hirschfeld
A. Cabezn
E. Alliata
R. Pierri

O. Sion
A. Said
M. Piccirillo
C. Pappalardo
H. Taha

Ricerca storico-archeologica in Giordania XXII 2002

465

Recensioni e libri ricevuti

517

SBF: Anno accademico 2001-2002

607

Tavole

1-63

FRANCISCANUM

A. Niccacci

Quando Dio si nasconde. Una metafora della rivelazione


biblica

STUDIUM BIBLICUM

A. Mello

LIBER ANNUUS

Articoli

LIBER ANNUUS
LII
2002

JERUSALEM

LIBER ANNUUS
Annual of the
Studium Biblicum Franciscanum
Jerusalem

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

LIBER ANNUUS
LII
2002

JERUSALEM

Editor
Co-editors
Editorial Board

Eugenio Alliata
Carmelo Pappalardo, L. Daniel Chrupcaa
Giovanni Bissoli, G. Claudio Bottini, A. Marcello
Buscemi, Nello Casalini, Lino Cignelli, Gregor Geiger,
Pietro Kaswalder, Stanislao Loffreda, Frdric Manns,
Alviero Niccacci, Massimo Pazzini, Michele Piccirillo,

Pubblications of the STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM


sponsored by the Franciscan Custody of the Holy Land:
SBF

Liber Annuus (LA)


Collectio Maior
Collectio Minor
Analecta
Museum

1951-2002
43 volumes
43

64

14

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Printed in Jerusalem 2004

ISSN 0081-8933

INDICE GENERALE

Articoli
A. Mello

Quando Dio si nasconde.


Una metafora della rivelazione biblica

A. Niccacci

Qohelet o la gioia come fatica e dono di Dio


a chi lo teme

M. Pazzini

La Massorah del Libro di Giona (BHS)

103

Dio Padre nei Sinottici

117

Informazione e ricostruzione negli Atti


degli Apostoli. Note di lettura

125

Nuovi commenti agli Atti degli Apostoli.


Saggio bibliografico

175

F. Manns

Rabbinic Literature as a historical source


for the study of the Gospels background

217

Y. Hirschfeld

Qumran in the Second Temple Period.


Reassessing the Archaeological Evidence

247

Las grutas del Parque de la Independencia


de Jerusaln, un mithraeum?

297

Il Monte degli Ulivi nella Demonstratio


Evangelica di Eusebio di Cesarea

307

The Martyrs of Caesarea. The Urban Context

321

G. Bissoli
G.C. Bottini
N. Casalini
N. Casalini

A. Cabezn
E. Alliata
R. Pierri
Y. Patrich

29

R. Rubin
O. Sion
A. Said
M. Piccirillo
C. Pappalardo
H. Taha

The Melagria: On Anchorites and Edible


Roots in Judaean Desert

347

A Mansion House from the Late ByzantineUmayyad Period in Beth Shean-Scythopolis

353

La Chiesa del vescovo Giovanni a Zizia

367

Il cortile a Sud della Chiesa di S. Paolo ad


Umm al-Rasas - Kastron Mefaa in Giordania

385

The Sanctuary of Sheikh el-Qatrawani

441

Sintesi degli articoli (Abstracts)

457

Ricerca storico-archeologica
in Giordania XXII 2002

465

Recensioni e libri ricevuti

517

SBF: Anno accademico 2001-2002

607

Tavole

1-63

ARTICOLI

LA 52 (2002) 7-512; tavv. 1-63

QUANDO DIO SI NASCONDE


Una metafora della rivelazione biblica

A. Mello
Non c niente di nascosto
se non per essere rivelato
(Mc 4,22)

1. Una Presenza elusiva


La cosiddetta teologia biblica sembra essere entrata in una crisi di identit1. Impossibile ricondurre a un unico filo conduttore il materiale eterogeneo che si presenta nella Bibbia, anche solo nellAntico Testamento. Non a
caso, la tendenza pi recente preferisce esporre la teologia dei singoli libri
biblici, nella loro successione canonica2. In realt, ci siamo accorti che il
discorso biblico su Dio non si lascia facilmente tematizzare o esporre concettualmente, ma si limita ad usare delle metafore, le quali sono tutte pi o
meno inadeguate. In questo senso, la critica letteraria si presenta oggi come
uno strumento pi congeniale, pi pertinente al dato biblico che non una
teologia che abbia la pretesa di definire positivamente le idee centrali o
i temi fondamentali di tutta la Scrittura.
Samuel Terrien, una ventina di anni fa, ha imboccato unaltra strada,
apparentemente negativa, apofatica. Invece di inseguire un singolo tema
teologico (il patto o la promessa, per esempio), che privilegia il linguaggio
narrativo della Tor e dei libri storici, ha cercato i modi nei quali Dio si
rende presente oppure nasconde il suo volto (e questo rivaluta teologicamente il linguaggio poetico dei Salmi e degli altri scritti sapienziali)3.
1. Non vuol dire che non si scrivano pi delle teologie bibliche, che, al contrario, prolifera-

no, ma che i modelli interpretativi, i paradigmi tematici, sono largamente divergenti dalluna
allaltra: per uno status quaestionis intelligente e aggiornato, vedi J. Barr, The Concept of
Biblical Theology. An Old Testament Perspective, Fortress, Minneapolis 1999.
2. Il rappresentante pi qualificato di questa tendenza canonica certamente B.S. Childs,
Biblical Theology of the Old and New Testaments, London 1992 (Teologia biblica: Antico e
Nuovo Testamento, Piemme, Casale Monferrato 1998) che prima espone i singoli contenuti
della testimonianza vetero e neotestamentaria, e poi li riassume unitamente come il messaggio teologico della Bibbia cristiana.
3. significativo che la celebre Teologia dellAntico Testamento di Gerhard von Rad, per
decenni lopera di riferimento in questo campo, considerasse le tradizioni storiche e profetiche di Israele, ma praticamente ignorasse quelle salmiche e sapienziali. Del resto, non
ostante tutti i suoi meriti, unopera come quella di von Rad oggi appare una storia della
religione dIsraele pi che una vera teologia biblica.
LA 52 (2002) 9-28

10

A. MELLO

Tra laltro, non c nella Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, un termine che equivalga ad idea, ma si parla di un volto o di uno sguardo4: quindi, anche nelle Scritture, non si tratta tanto di cogliere delle idee,
quanto di cercare un volto. La presenza elusiva del Dio della Bibbia, una
presenza nascosta che per non unassenza, appunto quella di un volto
familiare che si nasconde, o di uno sguardo amorevole che si sottrae. Questo nascondimento, questa elusivit della Presenza divina sono sembrati, a
Terrien, come il cuore della teologia biblica5.
La conclusione del suo libro, che riassuntivamente si intitola Deus
Absconditus atque Praesens6, cita un famoso frammento pascaliano: Una
religione che non afferma che Dio nascosto, non vera. Una religione
che non ne d la spiegazione, non istruisce. La nostra fa tutto questo: Vere
tu es Deus absconditus7, con citazione del passo capitale di Is 45,15 nella versione tanto nota quanto discutibile della Vulgata. La spiegazione
cui accenna, Pascal ce la offre nel pensiero successivo: Se non ci fosse
oscurit, luomo non avvertirebbe la sua corruzione; se non ci fosse la
luce, luomo non spererebbe alcun rimedio. Per questo, non solo giusto
ma anche utile per noi che Dio sia in parte nascosto e in parte manifesto,
poich ugualmente pericoloso per luomo conoscere Dio senza conoscere
la propria miseria, e conoscere la propria miseria senza conoscere Dio8.
Non si pu negare, a questi pensieri, una certa intuizione della verit.
Tuttavia, si ha limpressione che il problema sia impostato male, in termini
dualistici pi che biblici: da una parte, la manifestazione; dallaltra il nascondimento. come se Dio - se cos si pu dire - fosse diviso in se stesso,
o presentasse due lati diversi, uno tenebroso e laltro luminoso: in parte
nascosto e in parte manifesto. Penso che Pascal, come tanti altri prima e
4. Tuttavia, lo stesso termine greco eido, da cui viene il nostro idea, etimologicamente

significa sguardo, apparenza, con un risvolto anche estetico: vedi, per esempio, laspetto
del volto di Ges nel racconto della trasfigurazione (Lc 9,29).
5. S. Terrien, The Elusive Presence. The Heart of Biblical Theology (Religious Perspectives
26), Harper and Row, San Francisco 1978. Ancor prima, il nascondimento di Dio era stato
tematizzato, non tanto per dal punto di vista della teologia biblica, quanto da quello della
filosofia della religione, anche da Martin Buber, nella sua opera dal titolo Leclisse di Dio
(Gottesfinsternis. Betrachtungen zur Beziehung Zwischen Religion und Philosophie, Zurich
1953; trad. francese: Lclipse de Dieu. Considrations sur les relations entre la religion et
la philosophie, Paris 1987). Loriginalit di Terrien di aver messo a fuoco questo aspetto
da un punto di vista teologico-biblico.
6. Op. cit., pp. 470-477.
7. B. Pascal, Pensieri e altri scritti, a cura di G. Auletta, Mondadori, Milano 1994, p. 327
(n. 585 ed. Brunschvicg, sulla quale condotta anche ledizione italiana).
8. N. 586, op. cit., p. 327.

QUANDO DIO SI NASCONDE

11

dopo di lui, sia stato fuorviato dalla versione latina di Is 45,15, di cui lo
stesso Terrien rileva la grave insufficienza. Non c un Deus Absconditus e
un Deus Praesens: biblicamente, nel nascondimento che Dio si rivela nella maniera pi congeniale alla sua irriducibile alterit o trascendenza.
A questo riguardo, quasi anticipando il senso della nostra ricerca, risulta
assai pi pertinente una pagina di San Juan de la Cruz, un autore spirituale
di grande interesse anche in sede esegetica: Non voler essere come molti
insipienti i quali, avendo un concetto volgare di Dio, allorch non lo intendono, non lo gustano e non lo sentono, credono che egli sia lontano e
nascosto, mentre piuttosto vero il contrario e cio che quanto meno distintamente lo intendono, pi si accostano a lui, poich come dice il Profeta
David: Pose il suo nascondiglio nelle tenebre (Sal 18,12)9.
A partire dallo studio suggestivo di Terrien, e poi dalla ricerca pi dettagliata di Balentine sullespressione biblica haster panim,10 ho cercato di
ripercorrere i dati biblici pi importanti circa il nascondimento di Dio,
ovvero circa questa Presenza che si comunica nellassenza, questa Presenza
nascosta o elusiva. Va da s che il nascondimento di Dio una metafora come tante altre, con le sue inevitabili impertinenze11. Metaforicamente,
si pu anche dire, ad esempio, che Dio tace (Sal 28,1; Is 42,14; 62,1)12,
ma appunto: come chi tace presente, cos presente chi si nasconde. Pu
quindi darsi che Terrien non abbia tutti i torti a considerare la Presenza
elusiva di Dio come il cuore della teologia biblica, o per lo meno come
una metafora propriamente biblica della rivelazione.
2. Il vocabolario biblico del nascondimento
La prima cosa che appare al nostro sguardo la singolare ricchezza del
vocabolario ebraico che si specializzato nel senso del nascondimento.
9. Cantico Spirituale B, I.12 in S. Giovanni della Croce, Opere, Roma 1991, p. 514.
10. S.E. Balentine, The Hidden God. The Hiding of the face of God in the Old Testament

(Oxford Theological Monographs), Oxford 1983.


11. Per una definizione della metafora in letteratura, indico due opere ormai classiche: P.
Ricoeur, La mtaphore vive, Paris 1975; H. Weinrich, Metafora e menzogna. La serenit
dellarte, Bologna 1976. Per la sua applicazione biblica: N. Frye, The Great Code. The Bible
and Literature, New York 1981, pp. 53-77; 139-168. Adesso anche D.H. Aaron, Biblical
Ambiguities. Metaphor, Semantics and Divine, Leiden 2001.
12. Il silenzio di Dio un altro modo biblico per dire il suo nascondimento. A questo proposito,
molto suggestiva la lettura rabbinica di Es 15,11: Chi come te fra i silenziosi? (cf. Rabbi
Jishmael, Il Cantico presso il mare, a cura di A. Mello, Qiqajon, Bose 2000, p. 131).

12

A. MELLO

Almeno sette termini diversi (Balentine ne registra sei, ma anche il settimo


ha la sua pertinenza) occupano nella lingua biblica questo campo semantico, con una variet di sfumature particolarmente notevole, e istruttiva anche
sul piano teologico. In greco, ne troviamo appena uno, il verbo kru/ptw,
che nei Lxx traduce non meno di dodici termini ebraici13. Tuttal pi, il
greco pu ricorrere anche a kalu/ptw, velare, che traduce quasi sempre
una sola parola, lebraico hsk. In pratica, vuol dire che, in questo campo,
sei vocaboli ebraici hanno un solo equivalente greco.
Questo significa, a priori, che la lingua ebraica, solitamente pi povera di
quella greca, nel formulare la nozione del nascondimento dispone di mezzi
straordinariamente elaborati, e quindi in grado di variarla con grande duttilit e precisione. La mia rassegna comprende i sette termini che considero
fondamentali: 1) rts: nascondere, proteggere; 2) abj: nascondersi; 3) px:
mettere in serbo, riservare; 4) l[: celare, dissimulare; 5) djk: occultare,
negare; 6) mf: nascondere un tranello; 7) hsk: coprire, velare14.
2.1. rts: nascondere e quindi anche proteggere
Questa radice si presenta soprattutto in due forme verbali: quella passiva
nistar (32x) e quella transitiva histir (44x). La costruzione riflessiva (histatter) che si legge in Is 45,15 si incontra appena 5x e pu considerarsi
una forma rara. Inoltre, questa radice d luogo a due sostantivi: seter e
mistar, che hanno il significato di nascondiglio o quello avverbiale di in
segreto, di nascosto (be-seter)15. Di tutte le forme verbali che indicano
un nascondimento, la radice rts la pi teologica, quella cio che pi
frequentemente ha Dio per soggetto. Secondo i calcoli di Balentine, delle
81 frequenze del verbo, 49 hanno per soggetto Dio (vale a dire il 60% del
totale), mentre 24 (meno della met) hanno per soggetto un uomo.
13. Oltre ai sette verbi principali da me recensiti, i Lxx traducono con kru/ptw gli equiv-

alenti ebraici di oscurare (Gb 38,2); astenersi (Ger 49,4); situarsi (2Re 6,9); essere
meraviglioso (Ger 39,27); velare (2Sam 19,5 che un hapax). Ma questi cinque termini
presentano una ricorrenza singola e non sono significativi.
14. Su questa rassegna semantica, oltre allo studio di Balentine, che si interessa particolarmente allespressione teologica nascondere il volto, vedere i lessici, soprattutto la voce
Nascondere curata da G. Wehmeier in E. Jenni - C. Westermann, Dizionario Teologico
dellAntico Testamento (=DTAT) 2, Marietti, Casale Monferrato 1982, coll. 158-165.
15. Va notato che il Vangelo non dice che Dio nascosto, ma che vede nel segreto o va
pregato di nascosto: en tw kruptw (Mt 6,4-6). un invito alla segretezza nel nostro rapporto con il Padre, non unaffermazione della sua inaccessibilt.

QUANDO DIO SI NASCONDE

13

Lespressione pi specificamente teologica lidiomatismo nascondere


il volto o la faccia (haster panim), che in fondo una forma riflessiva
(Dio nasconde se stesso: per questo lhitpael cos poco usato) e, di per
s, non vuol dire molto di pi che volgere altrove lo sguardo (da qui la resa
costante dei Lxx con apostrefein to\ pro/swpon), ovvero non farsi vedere
e quindi, metaforicamente, non concedere il proprio favore, non assistere,
non aiutare qualcuno. Questo idiomatismo ricorre 26x nella Bibbia ebraica:
3x nel Deuteronomio, 4x in Isaia, 3x in Ezechiele, 1x in Michea e Geremia,
2x in Giobbe, ma soprattutto nei Salmi (12x)16.
Altrove, il soggetto Dio pu nascondere qualcun altro e non se stesso.
Anche qui, le ricorrenze pi numerose sono nei Salmi: Mi nascondi allombra delle tue ali (Sal 17,8). In questo caso, nascondere equivale a
proteggere. Quindi il verbo histir non ha solamente un aspetto negativo,
di interruzione della comunicazione o di abbandono di qualcuno, ma anche
un risvolto positivo, confidenziale, di ingresso nellintimit pi riservata
di qualcuno: Mi nasconde nel segreto della sua tenda (Sal 27,5; cf. Sal
31,21; 64,3).
2.2. abj: nascondersi (detto di persone)
attestato soprattutto nella forma passiva abjn e riflessiva abjth, praticamente con lo stesso significato, ma non si predica quasi mai di Dio: soltanto
degli uomini (Balentine registra appena cinque eccezioni, su un totale di
38 ricorrenze). La ragione, semplicissima, che il nascondersi comporta
abitualmente un sentimento di paura, di vergogna, o la percezione di un
pericolo da fuggire, che sarebbero sconvenienti per Dio. Alcuni esempi:
Adamo e sua moglie si nascondono quando si accorgono di essere nudi
(Gen 3,8-10); Giacobbe si nasconde precipitosamente per poter fuggire da
Labano (Gen 31,27); i due esploratori ospitati da Rahab si nascondono
furtivamente per tre giorni fuori di Gerico (Gs 2,16); Saul si nasconde tra
i bagagli per timore di essere sorteggiato quale re (1Sam 10,22).
Se, dunque, rts ha una forte valenza teologica, abj il termine pi
adatto per esprimere la paura, langoscia, il pericolo che di solito inducono
gli uomini a nascondersi. Perfino David si nasconde nelle cavit delle rocce
del deserto (2Sam 17,9). Lui, per, fa eccezione, perch il termine pi usua16. Vedi la tavola che indica tutti i casi in cui nascondere si riferisce a Dio in S.E. Bal-

entine, The Hidden God, cit., p. 9. Per quanto riguarda nascondere il volto si daranno qui
di seguito tutte le ricorrenze salmiche.

14

A. MELLO

le, nel suo caso, proprio rttsm (1Sam 23,19; 26,1; Sal 54,2) che si usa
anche per Dio in Is 45,15. Delle quattro attestazioni di questo participio,
una teologica e tre sono davidiche: forse anche questo va tenuto in conto
quando si parla del nascondimento di Dio17.
2.3. px: mettere in serbo, riservare
Di tutte le radici ebraiche che definiscono il campo semantico del nascondimento, zafan quella che manifesta meglio lidea di mettere da parte,
serbare o anche conservare, e in quanto tale di nuovo, come histir, transitiva e teologica, fino a dar luogo al nome teoforico Zefan-j (Sofonia),
che significa appunto Il Signore riserva o nasconde. Ma, se si mette da
parte qualche cosa, lo si fa certamente con lintenzione di goderne ancora
in futuro: vale per zafan, pi che per gli altri termini, losservazione evangelica che non vi nulla di nascosto se non per essere rivelato (Mc 4,22).
Esemplifico alcune possibili sfumature, sulla scorta dei Salmi:
Mi mette in serbo nella [sua] capanna nel giorno del male
mi nasconde (satar) nel segreto della sua tenda (Sal 27,5; cf. Sal
31,21).
Com grande la bont che hai messo in serbo
per quanti ti temono (Sal 31,20).
Nel mio cuore conservo la tua parola
per non peccare contro di te (Sal 119,11).
Si tratta, quasi sempre, di una nozione positiva, che allude a una ricchezza ben celata e quindi assicurata, affidabile. Delle trentadue ricorrenze
complessive, tredici sono teologiche e undici sono antropologiche: quindi,
pi o meno, i due usi si equivalgono.
2.4. l[: celare, dissimulare
Questa radice, come scrive Wehmeier, la pi legata alla sfera del cognitivo. Attestata specialmente al nifal e allhifil, esprime ci che nascosto
allintelligenza, e quindi lignoranza. Non vi era nulla che fosse celato al
re (Salomone) (1Re 10,3); Il Signore - ammette Eliseo - me lo ha celato:
17. Nel Vangelo di Giovanni, pi di una volta si sottolinea che il Messia davidico, Ges, si

nasconde a chi lo cerca (Gv 8,59; 12,36) oppure si ritira per evitare di essere acclamato
re (Gv 6,15).

QUANDO DIO SI NASCONDE

15

non me lha detto (2Re 4,27). Qui ci che nascosto ci che non pu
essere detto: quindi il segreto o linconfessabile. Perci si pu arrivare a
dire che Dio conosce i nascondigli (twml[t) del cuore (Sal 44,22) o mette
il nostro segreto (wnmwl[) alla luce del suo volto (Sal 90,8): due modi per
dire che, davanti a Dio, non vi nulla di nascosto.
Il contrario di celare vedere: molto spesso, si precisa che una
cosa celata agli occhi. degno di nota il fatto che, mentre il volto
sempre oggetto del verbo histir, gli occhi sono sempre oggetto del verbo
alam, e mai il contrario. Nascondere il volto e celare gli occhi sono
due idiomatismi simili ma dal significato molto diverso, perch il primo
sottolinea linterruzione della comunicazione, mentre il secondo esprime
lignoranza. Infatti l[ ha una valenza antropologica piuttosto che teologica: delle 28 ricorrenze, secondo Balentine, 12 hanno per soggetto un uomo,
mentre Dio lo soltanto 6 volte.
Ci non toglie che, nel linguaggio dei Salmi, anche Dio possa celarsi,
ma ci va inteso nel senso che egli dissimula, finge di ignorare, fa finta
di non vedere:
Perch ti celi nei momenti di angoscia? (Sal 10,1).
Non celarti alla mia supplica (Sal 55,2)18.
2.5. djk: occultare, cancellare
Possiamo dire che il verbo pi radicalmente negativo. Ma, soprattutto
quando ha una valenza teologica (11x su 32), troviamo la negazione della
negazione, e quindi una affermazione positiva. Si nega che a Dio possa
occultarsi qualcosa, tanto meno i nostri peccati: Le mie colpe non ti sono
occulte (Sal 69,6). Ma, pi in generale, tutta la nostra vita che non si sottrae al suo sguardo, dal nostro concepimento fino alla nostra morte: Non
ti era occulto il mio corpo quando ero formato nel segreto (Sal 139,15).
Anche dal punto di vista antropologico (17x) vale spesso la negazione
della negazione: La tua grazia e la tua verit non ho occultato alla grande
assemblea (Sal 40,11).
Sicch si pu dire che questo verbo serve soprattutto a negare il nascondimento, ad affermare, per via negativa, lonniscienza divina. Solo in
un caso, ossia nei confronti dei suoi nemici, si pu dire, positivamente, che
18. Questa finzione ancora pi esplicita presso gli uomini, quando nascondono le loro

vere intenzioni. I neelamim del Sal 26,4 sono n pi n meno che degli ipocriti, dei dissimulatori.

16

A. MELLO

Dio li occulta dalla faccia della terra. In questo caso, il verbo kachad,
nella forma intensiva, assume il valore di eliminare, cancellare. Cos si pu
dire che Dio cancella dalla terra il Faraone (Es 9,15) o fa sparire davanti
a Israele gli abitanti del Canaan (Es 23,23): questo, per, un significato
che si allontana molto dal campo semantico del nascondimento.
2.6. mf: nascondere, detto specialmente di tranelli
Bench il senso del verbo taman sia proprio nascondere sotto terra, e
abbia anche dato luogo al sostantivo wmfm, che vuol dire tesoro nascosto,
sepolto, la sua utilizzazione biblica riservata quasi esclusivamente a
due soli ambiti, entrambi linguisticamente molto circoscritti: a) seppellire,
sotterrare un cadavere; b) tendere una trappola, disporre un tranello sotto
terra. Nei Salmi, per esempio, presenta sempre e solo questultimo significato. Di conseguenza, la radice mf non ha nessuna valenza teologica: Il
verbo non presenta mai valori traslati e non viene mai usato in contesti
teologici19. Il meno che si possa dire che Dio non abituato a tendere
insidie, a nascondere tranelli.
2.7. hsk: coprire, velare
Il verbo (quasi sempre al piel) diventa teologico e ci interessa specialmente
per la sua associazione metaforica con il peccato: Beato colui cui tolto il
delitto, coperto il peccato (Sal 32,1). Tu hai coperto tutti i miei peccati
(Sal 85,3). Questo significa che Dio cancella, perdona, i nostri peccati; non,
beninteso che i nostri peccati gli rimangano occulti (vedi sopra); n che
non debbano essere confessati. Lo stesso Sal 32 di cui si citato lesordio,
prosegue dicendo: Io ti ho confessato i miei peccati, non ti ho coperto la
mia iniquit (Sal 32,5). Da qui, il verbo coprire viene spesso a significare anche nascondere, ma abitualmente per negarne la legittimit: Non
ho nascosto la tua giustizia in fondo al mio cuore (Sal 40,11). I Lxx traducono hsk in maniera costante con kalu/ptw, percependone esattamente
il valore teologico (kalu/ptw - apokalu/ptw: velare - ri-velare che poi, in
un certo senso, anche un velare di nuovo).

19. G. Wehmeier, alla voce Nascondere in DTAT 2, col. 162.

QUANDO DIO SI NASCONDE

17

3. Chi si nasconde a chi?


Nella rassegna dei termini che circoscrivono il campo semantico del nascondimento, si sono distinti un uso teologico e un uso antropologico.
Tuttavia, ci si pu chiedere se questi due usi non abbiano una qualche
relazione fra di loro, una qualche corrispondenza. In altri termini, si tratta
di vedere fino a che punto la metafora del nascondimento, applicata a Dio,
risulta davvero pertinente e fino a che punto, invece, debitrice delluso
comune. Chi si nasconde a chi? Dio che si nasconde o siamo noi che ci
nascondiamo? E il nostro nascondimento reale o illusorio?
Adamo, nel giardino, si nasconde perch teme il giudizio di Dio, ma
chiaro che questo suo nascondimento illusorio e che egli non pu sottrarsi alla voce di Dio che cammina nel vento e lo raggiunge dappertutto. Il
profeta Amos lo insegna esplicitamente: non vi nessuna possibilit di nascondersi allira di Dio, alla sua giustizia. Non c posto per nascondersi:
Se si nasconderanno (abj) in cima al Carmelo
di l andr a cercarli e a prenderli
se si sottrarranno (rts) alla mia vista in fondo al mare
di l comander al serpente di morsicarli (Am 9,3).
Quindi, diciamo, un theologoumenon: luomo non pu nascondersi a
Dio. Questo fatto pu dar luogo allo scoraggiamento: in cima ai monti, in
fondo al mare, Dio l. Ma vi anche un risvolto positivo: infatti, per lo
stesso motivo, nessun luogo si sottrae alla Presenza di Dio:
Dove andr lontano dal tuo Spirito?
Dove fuggir lontano dal tuo volto?
Se salgo nei cieli, tu sei l
se scendo negli inferi, eccoti (Sal 139,7-8).
Limpossibilit umana di nascondersi a Dio, se da un lato non lascia
scampo alla propria responsabilit, e intercetta ogni via di fuga, dallaltro
confortante, perch assicura che ogni nostra situazione, fosse pure la
pi disperata, manifesta agli occhi di Dio. Gli esuli babilonesi cos si
lamentano, secondo il profeta dellesilio, quello stesso Secondo Isaia cui si
attribuisce il detto pi famoso circa il divino nascondimento:
Perch dici, Giacobbe, e tu Israele ripeti:
La mia via nascosta a Jhwh? (Is 40,27).
Il lamento degli esuli presuppone una implicita contestazione da
parte del profeta20. Quale che sia la via che pratichiamo, quale che sia
20. Altrove si dice che la via di un uomo gli resta nascosta (Gb 3,23) e questo un sin-

tomo della sua ignoranza. Non lo stesso si pu dire di Dio: che la via del suo popolo gli sia

18

A. MELLO

il cammino che percorriamo, il Signore lo conosce, anzi lo percorre


insieme a noi, bench di nascosto (aunque es de noche, se volessimo
citare ancora San Juan de la Cruz): egli per loro andr su quella strada
(Is 35,8 TM).
Tuttavia non si ancora detto tutto. Esistono delle maniere positive di
nascondersi, esiste, anche da parte delluomo, un nascondimento necessario. Sofonia, il profeta del nascondimento, insegna, ad esempio, che c
un modo per sfuggire allira divina:
Cercate Jhwh tutti gli umili della terra
che operate il suo giudizio:
cercate la giustizia, cercate lumilt:
forse vi potrete nascondere
nel giorno dellira di Jhwh (Sof 2,3).
La possibilit di nascondersi, in questo caso, dipende dallumilt e dalla
giustizia, cio dallastenersi dal compiere il male. E comunque rimane un
dato ipotetico, incerto, imprevedibile: ylwa21. Una cosa simile, da un altro
punto di vista, insegnano anche i Sapienti, che evidenziano una certa logica, una certa giustizia del nascondimento:
Laccorto vede il male e si nasconde
gli inesperti vanno avanti e la pagano (Pr 22,3; 27,12 CEI).
il nascondimento davanti al male, che si pu leggere in diversi modi.
Anzitutto, come un segno di accortezza: ci sono situazioni rischiose, insidiose, che preferibile evitare per non restarne intrappolati. Oppure si tratta
di un sentimento di disgusto, di rigetto del male, quindi il senso della
giustizia che ci rende improponibili delle strade non buone. Mi sembra che
proprio questo sia il punto in cui nascondimento umano e nascondimento
divino maggiormente coincidono, o in cui il nascondimento umano diventa
un dato anche teologico:
Tu, dagli occhi cos puri
che non puoi vedere il male (Abac 1,13).
Anche Dio - se cos si pu dire - si nasconde davanti al male: non pu
vederlo, non pu sopportarlo. Sar forse per questo che, nei periodi pi bui

nascosta non vuol dire che egli la ignori, ma che, secondo gli esuli, non se ne prenderebbe
abbastanza cura. proprio questo che invece il profeta contesta: che lapparente assenza di
Dio sia un segno del suo disinteresse.
21. Limportanza dellavverbio ulaj nella predicazione profetica stata particolarmente
sottolineata da A. Neher, Lesilio della Parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz,
Marietti, Casale Monferrato 1983, p. 246 (ma tutto il libro ha una diretta attinenza con il
nostro tema).

QUANDO DIO SI NASCONDE

19

della storia, quelli in cui predominano le forme pi gravi e pi palesi di


ingiustizia, Dio sembra cos assente22?
4. Nascondere il volto
Di tutti i verbi recensiti sopra, quello che ha un uso prevalentemente teologico histir. E di tutte le espressioni aventi per soggetto Dio, quella pi
significativa la locuzione haster panim23. Questa ricorre in tutto 26x e,
come si gi detto, soprattutto nei Salmi (12x). Molto pi rara la costruzione riflessiva: nascondersi, che con soggetto Dio ricorre tre sole
volte: Sal 89,47; Is 45,15; 57,17. Penso che Balentine abbia ragione quando
afferma che, nei Salmi, haster panim non ha un significato tragico, assolutamente negativo, come nella Tor: Si accender la mia collera contro
di esso in quel giorno: li abbandoner e nasconder loro il mio volto (Dt
31,17).
Nascondere il volto non necessariamente unespressione dellira
divina. Lo si pu intendere in senso pi blando, come distogliere lo
sguardo, non fare attenzione. Nascondere il volto ha come sinonimi,
nella Scrittura, volgersi altrove, allontanarsi, o perfino dimenticare24. Il contrario alzare il volto su qualcuno, come nella benedizione

22. Coraggiose e degne di considerazione sono, per esempio, le osservazioni circa il nascon-

dimento di Dio (inteso come una sua apparente indifferenza), portate avanti dai teologi del
dopo Auschwitz: cf. Ch. Pilkington, The Hidden God in Isaiah 45,15. A Reflection from
Holocaust Theology, Scottish Journal of Theology 48 (1995), pp. 285-300. A mio modesto
avviso, tuttavia, il senso tragico del nascondimento di Dio non dovrebbe essere esagerato, o
comunque non ha un vero fondamento biblico. Del resto, il pi importante teologo che abbia riflettuto su questi temi afferma risolutamente che il Deus absconditus, il Dio nascosto
(per non parlare del Dio assurdo) un concetto del tutto estraneo allebraismo. La nostra
dottrina , la Tor, si fonda sul presupposto che noi possiamo conoscere Dio, ovviamente
non in modo perfetto, ma limitato: che noi conosciamo cio qualcosa di lui, del suo volere,
delle sue intenzioni e della sua essenza, dal momento che egli stesso ce lo ha rivelato: H.
Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il Melangolo, Genova 1989, p. 34 (per la stessa
ragione, se si trattasse di scegliere, egli sarebbe disposto a rinunciare alla onnipotenza di
Dio, ma non alla sua bont e alla sua comprensibilit).
23. Cf. S.E. Balentine, The Phrase Hide the Face in the Old Testament, in The Hidden
God, cit., pp. 45-79.
24. Cf. A.S. van der Woude, alla voce Volto in DTAT 2, col. 407. Per lequivalenza tra
nascondere il volto e dimenticare, non ricordarsi pi di qualcuno o non intervenire in
suo favore, cf. Sal 10,11; 44,25. Si ricorda che panim in ebraico deriva dalla radice panah,
volgersi verso qualcuno, esattamente come in italiano volto. Quindi designa una persona nellatto in cui si volge o rifiuta di volgersi verso un altro.

20

A. MELLO

sacerdotale di Nm 6, dove significa n pi n meno che fare grazia,


dare pace25.
Possiamo dedurne che nascondere il volto non essere in pace con
qualcuno, non mostrargli il proprio favore. Analogamente, cercare il volto di Dio vuol dire entrare nelle sue grazie, riconciliarsi con lui, come si
vede bene soprattutto nel Salterio:
Di te ha detto il mio cuore:
Cercate il mio volto26.
Il tuo volto Jhwh io cerco
non nascondermi il tuo volto
non trattare con sdegno il tuo servo (Sal 27,8-9).
Le dodici ricorrenze salmiche, sulle quali maggiormente ci fermiamo,
sono cos disposte:
a) affermazione in terza persona: Dio nasconde il suo volto (Sal 10,11)
b) negazione in terza persona: Dio non nasconde il suo volto (Sal
22,25)
c) affermazione in seconda persona: tu nascondi il tuo volto (Sal
13,2; 30,8; 104,29)
d) interrogativo in seconda persona: perch nascondi il tuo volto?
(Sal 44,25; 88,15)
e) precativo positivo: nascondi il tuo volto (Sal 51,11)
f) precativo negativo: non nascondere il tuo volto (Sal 27,9; 69,18;
102,3; 143,7)
Supponiamo che io dica a qualcuno: Perch mi nascondi il volto? (d).
come se gli dicessi: Perch fai la faccia offesa?. Non nascondere il tuo
volto (f): come se io gli chiedessi di fare la pace. In tutti i casi, la persona
che mi nasconde il volto una persona viva e vegeta: nellatto stesso in cui gli
chiedo di riconciliarsi con me, testimonio che lui presente. C un solo caso
in cui io stesso chiedo allAltro di nascondere il suo volto: perch lo distolga
dai miei peccati, non li prenda in considerazione, non ci faccia caso (e)27.
25. Cf. M.I. Gruber, The Many Faces of Hebrew nasa panim, Lift up the Face, ZAW 95

(1983), pp. 252-260.


26. Cos il TM, che per difficile da spiegare. I Lxx hanno letto diversamente: A te ha
detto il mio cuore: Ho cercato il tuo volto, e questa sembra essere la lezione da preferire:
cf. P.C. Craigie, Psalms 1-50 (Word Biblical Commentary 19), Waco, Texas 1983, p. 230.
27. Allinverso, Is 59,2 sostiene che sono i nostri peccati a nasconderci il volto di Dio, a
separarci da lui, a impedire che egli ascolti la nostra preghiera, dando cos dellhaster panim
una lettura che possiamo considerare moralistica. Su questo punto, estremamente sensibile,
si vede bene la differenza tra la prospettiva profetica e quella sapienziale, pi misterica, che
propria dei Salmi, ma anche di Giobbe: cf. Gb 13,24; 34,29.

QUANDO DIO SI NASCONDE

21

Particolare attenzione meritano le prime due affermazioni salmiche sopra riportate, che sono uguali e contrarie. La prima dice che Dio nasconde
il suo volto (a), la seconda invece che non lo nasconde (b). Proviamo a
vedere chi sono i locutori. Se osserviamo da vicino, vediamo che la prima affermazione riflette il pensiero dellempio, e quindi implicitamente
empia:
(Lempio) dice in cuor suo: Dio dimentica
nasconde il suo volto per non vedere (Sal 10,11).
Naturalmente esistono altri casi in cui si afferma che Dio si nasconde,
ma sono tutti alla seconda persona (c): Fino a quando mi nasconderai il
tuo volto? (Sal 13,2). Ma un conto che io mi rivolga a Dio chiedendogli
di farmi vedere il suo volto, di concedermi la sua grazia, un altro conto
che io affermi, senza mezzi termini, che Dio nasconde il suo volto. Affermare che Dio nascosto unempiet. Uno scarto molto significativo si
verifica nel passaggio dalla seconda alla terza persona, dal linguaggio della
preghiera a quello dellasserzione teologica.
Infatti, laffermazione corretta, alla terza persona, proprio il rovescio
di questa: la parola dellorante del Sal 22, che il pi cristologico di
tutti i Salmi:
Perch (Dio) non disprezza e non disdegna
lumilt del povero:
a lui non nasconde il suo volto (Sal 22,25).
Da qui sappiamo che vi almeno una condizione in cui impossibile
che Dio si nasconda, ed lumilt (vedi anche il forse di Sofonia). Tra
laltro, la doppia negazione di questo versetto (non disprezza, non disdegna) fa quasi inclusione con il duplice appello iniziale: Mio Dio, mio Dio,
perch mi hai abbandonato?. impossibile che Dio mi abbandoni!28
Tuttavia, possiamo imparare qualcosa anche dallempio, perch lui sostiene (a torto) che Dio nasconde il suo volto, ma poi aggiunge che Dio farebbe
cos per non vedere. Questa precisazione importante. Se uno nasconde il
suo volto, perch lo fa? Per non vedere o per non essere visto? Se fosse per
non essere visto, sarebbe un po come lo struzzo che nasconde la testa nella
sabbia. Vuol dire - mutatis mutandis - che anche nellhaster panim di Dio non
28. Il testo di Is 53,3 anzich essere letto come uno che nasconde il suo volto da noi, o

come uno davanti al quale ci si copre la faccia (CEI), si potrebbe anche leggere: come se
(Dio) nascondesse il suo volto da lui, cio dal Servo [questa era gi la lettura del Targum,
ed recepita come alternativa anche da R.N. Whybray, Isaiah 40-66 (NCB), London 1981,
pp. 174-175]. Questa sarebbe lopinione che le genti hanno del Servo del Signore, come se
egli fosse abbandonato da Dio. Ma si tratta di un loro pregiudizio, di una loro falsa comprensione: non solo non vero, ma la cosa pi sbagliata che si possa pensare.

22

A. MELLO

tanto in gioco la nostra impossibilit di vedere Dio, ma il fatto che lui non
vede noi, o cessa per un momento di provvedere a noi.
Circa limpossibilit di vedere Dio, vi una serie di affermazioni bibliche che, pur senza essere del tutto univoche, sono comunque abbastanza
eloquenti29. Il libro dellEsodo il pi esplicito, al riguardo. Bench ammetta
che Mos parlava con Dio faccia a faccia, come un uomo parla con un altro
(Es 33,11), subito dopo aggiunge che non si pu vedere Dio e vivere (Es
33,20). Diciamo che si ammette, metaforicamente, la possibilit umana di
parlare con Dio, ma negata la visione del suo volto. Perci, anche quando
si parla del nascondimento del volto, non si intende lincapacit umana di
vedere il volto di Dio, che va da s, ma un libero atto di distrazione della
sua attenzione, dellamorevole cura che ha verso di noi.
Questa distrazione - se mi si consente lespressione - sempre momentanea. Se Dio si nasconde, solo per un batter docchio, per una frazione di
secondo (In un accesso di collera ti ho nascosto, per un attimo, il mio volto:
Is 54,8). Ora, la provvisoria interruzione della comunicazione divina ha un
motivo pedagogico: proprio perch noi, assuefacendoci alla sua presenza, alla
sua rivelazione, alla sua consolazione, non crediamo di esserne padroni, o di
poterne disporre a piacimento, magari addirittura snaturandola.
Jhwh, nella tua benevolenza
mi hai fatto stare saldo come un monte
ma quando hai nascosto il tuo volto
mi sono confuso (Sal 30,8).
Dio ritrae il suo sguardo da noi e ci confonde, perch noi ri-conosciamo
che la nostra felicit, la nostra salute, non sono opera nostra, ma della sua
benevolenza verso di noi, del suo sguardo sopra di noi. Una volta che abbia
esaurito la sua funzione pedagogica, quella, per intenderci, di ricondurci
alle nostre vere proporzioni, allumilt del povero come dice il Sal 22,
anche il nascondimento del volto di Dio viene trasceso.
5. Cose nascoste fin dalla fondazione del mondo
Il nipote di Rabbi Barukh giocava a nascondino, ma il suo compagno di
giochi smise di cercarlo. And a lamentarsi dal nonno che osserv, con le
lacrime agli occhi: Cos dice anche Dio: Io mi nascondo, ma nessuno mi
29. Come noto, i testi cultuali che associano il verbo vedere al volto di Dio (Es 23,15-17;

34,20-24; Dt 16,16; 31,11; Sal 42,3; 84,8 ecc.) sono stati sistematicamente vocalizzati dai masoreti al nifal, assumendo il valore non di vedere Dio, ma di presentarsi al suo cospetto.

QUANDO DIO SI NASCONDE

23

vuole cercare30. Questa storiella chassidica mette in luce un altro aspetto


della pedagogia divina del nascondimento. Se Dio fosse sempre disponibile,
a portata di mano, la sua Presenza sarebbe un fatto banale, scontato, e non
ci daremmo la pena di cercarlo. Cercare Dio il corrispettivo del suo nascondimento. Ma che cosa vuol dire cercarlo? E soprattutto, dove cercarlo, se egli presente dappertutto? Qui ci soccorre, almeno parzialmente, un
proverbio piuttosto intrigante, che si presta a molteplici interpretazioni:
Gloria di Dio nascondere le cose
gloria dei re investigarle (Pr 25,2).
Vi , in questo proverbio, una apparente contrapposizione: la gloria di
Dio irriducibile a quella dei re di questo mondo. Il regno di Dio non
di questo mondo: il regno di Dio, in questo mondo, nascosto: come un
granello di senapa in un campo o un po di lievito nella pasta, per esprimerci con il Vangelo. I re di questo mondo cercano un consenso basato
sulla propaganda, sulla pubblicit. Dio, invece, si nasconde: e questo nascondimento intenzionale, fa parte della sua strategia rivelativa. Come se
la verit richiedesse, per se stessa, un certo riserbo, una certa segretezza, o
quella che una volta si chiamava la disciplina dellarcano.
Ma, da un altro punto di vista, il nostro proverbio presenta anche una
reciprocit: Dio - per cos dire - si diverte a nascondere le cose (il testo
dice, semplicemente, davar: una parola, dando luogo a una lettura anche
ermeneutica), ma lo fa proprio perch gli uomini possano ricercarle, metterle in chiaro. Il compito di Dio e quello degli uomini sono diversi, ma
complementari. Vi una gloria che, certo, tutta umana, ma non di meno
un compito regale, nel ricercare le cose nascoste da Dio.
Le cose nascoste (nistarot) appartengono a Jhwh nostro Dio, come insegna la Tor (Dt 29,28). Con questo, essa intende dire che si sottraggono a una
casistica precisa, non sono normabili dalla legge, diversamente dalle cose
manifeste che sono appunto quelle normate dalla Tor. Un Salmo precisa che
si tratta, per lo pi, di peccati nascosti, commessi per inavvertenza:
Gli errori, chi li capisce?
Da quelli nascosti purificami.
Anche da quelli di orgoglio trattieni il tuo servo
non abbiano dominio su di me:
allora sar integro e innocente
da un peccato pi grave (Sal 19,13-14).
Nella misura in cui questi peccati non sono perseguibili legalmente, non
sono punibili pubblicamente, essi rimangono nascosti in Dio. Vi un limite alla
30. M. Buber, I racconti dei Chassidim, Milano 1979, p. 140.

24

A. MELLO

nostra conoscenza, e anche alla nostra responsabilit. Eppure noi non possiamo
evitare di fare i conti anche con queste cose nascoste, che spesso sono anche
quelle psicologicamente pi determinanti. Compito regale, gloria delluomo,
investigare anche le cose che Dio, in un certo senso, ci nasconde.
Levangelista Matteo, che il pi suggestivo da questo punto di vista31,
presenta le parabole di Ges come la spiegazione di cose nascoste fin dalla
fondazione del mondo (citazione molto libera e intenzionalmente rielaborata del Sal 78,2 che, in ebraico come in greco, suona: Aprir la mia bocca
in parabole: pronuncer degli enigmi fin dal principio). La parabola, per
sua natura, un modo di dire e di non dire, di rivelare e di nascondere, di
esprimere delle cose che, di per se stesse, rimangono inesprimibili. Quindi
la stessa parabola, che il mezzo di comunicazione pi adatto ai misteri
del regno, non fa che rivelare, allusivamente, delle cose nascoste32.
Il Ges di Matteo ci spiega anche la logica di questo nascondimento:
In quel tempo, prendendo la parola, Ges disse:
Ti rendo grazie, o Padre, Signore del cielo e delle terra,
poich hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti
e le hai rivelate ai piccoli (Mt 11,25).
Qui si afferma una volontaria contrapposizione della logica divina alla
logica mondana. Nel mondo, ossia nel corso ordinario delle cose, sono i
sapienti, le persone intellettualmente pi dotate, che hanno le maggiori probabilit di comprensione. Nellordine della rivelazione, invece, sono privilegiate le persone pi semplici, pi sprovvedute, quelle incapaci perfino
di esprimersi (nh/pioi: infanti). Anche San Paolo contrappone la sapienza
di questo mondo a una sapienza misteriosa e nascosta (1Cor 2,6s.). La
rivelazione divina pi connaturale, pi accessibile, non ai grandi personaggi della storia, ma alle persone meno equipaggiate, proprio perch sono
quelle pi umili e pi bisognose della salvezza.
6. Una formula di riconoscimento
Quando si cita il detto arcinoto di Is 45,15, quasi sempre ci si limita alla
31. Matteo lautore neotestamentario che ricorre pi di frequente al vocabolario del
nascondimento. I termini kru/ptw, krupto/, krufaio, compaiono 14x in Mt, appena 5x in

Lc e una sola volta in Mc (Mc 4,22).


32. In genere si sottolinea laspetto dialogico, comunicativo, delle parabole di Ges (per es.
J. Dupont, Il metodo parabolico di Ges, Paideia, Brescia 1978). Ma si potrebbe ugualmente
mettere in luce il loro aspetto reticente, opaco, e quindi misterioso: un uomo, avendo trovato un tesoro, lo nasconde di nuovo (Mt 13,44).

QUANDO DIO SI NASCONDE

25

prima met del versetto: Veramente tu sei un Dio nascosto (per adesso
prendiamo per buona questa resa tradizionale, anche se poi la contesteremo). Vere tu es Deus absconditus, e inoltre questa affermazione, estrapolata
dal suo contesto, viene considerata a s stante, come una specie di assioma
metafisico. In realt, il testo continua aggiungendo, in forma appositiva:
Dio dIsraele, Salvatore. Di questo Dio nascosto noi sappiamo, per lo
meno, che il Dio dIsraele e che il Salvatore: che il Salvatore proprio
nel suo apparente nascondimento. Infine, cosa per nulla trascurabile,
qualcuno a cui noi diamo del tu: Tu sei un Dio nascosto.
Occorre anche chiedersi in bocca a chi il Secondo Isaia pone queste
parole33. Tutto il brano in cui si trova il nostro versetto ci parla della
conversione delle genti, e del loro riconoscimento del Dio dIsraele: una
prospettiva universalistica perfettamente in linea con il resto della profezia
deuteroisaiana34.
Cos dice Jhwh:
Manodopera egiziana, commercianti dellEtiopia
e sabei dallalta statura passeranno a te,
diventeranno tuoi, Gerusalemme.
Ti seguiranno in catene
si prostreranno a te e ti pregheranno:
Solamente in te Dio: non ve n altri!
Gli altri di sono nulla!
Veramente tu sei un Dio che ti nascondi,
Dio dIsraele, salvatore! (Is 45,14-15).
Il v. 15, secondo linterpretazione pi ovvia35, viene posto dal profeta
33. In sede esegetica, la questione dibattuta. Ma largomento di C. Westermann, Isaia

(capp. 40-66), Paideia, Brescia 1978, p. 206, secondo cui il v. 15 non pu essere attribuito
alle genti, perch queste non possono parlare di un Dio nascosto nel momento in cui lo
riconoscono, evidentemente inaccettabile, perch proprio la subitanea rivelazione di
Dio che fa loro realizzare quanto fosse nascosto in precedenza: cf. R.N. Whybray, Isaiah
40-66 cit., p. 110.
34. Vedi, in particolare, A. Gelston, Universalism in Second Isaiah, Journal of Theological
Studies 43 (1992), pp. 377-398. Luniversalismo teologico deuteroisaiano non ha un fondamento
soltanto religioso (la vanit delle divinit delle genti), ma anche politico (la messianit del re
persiano Ciro: Is 45,1). In questo senso, Westermann forse ha ragione di mettere questa pagina in
relazione con gli oracoli precedenti, che riguardano Ciro (Is 44,24-28 e Is 45,1-8). Dal momento
che Ciro non conosce il Dio dIsraele, potrebbe darsi che questi sia un Dio che si tiene nascosto
proprio perch opera la salvezza per mezzo di chi non lo riconosce: cos anche P. Stefani, Un
Dio che si tiene nascosto, Le religioni come esperienza e attesa della salvezza. Atti della XXXV
sessione del SAE, Ancora, Milano 1999, pp. 141-148.
35. E senza bisogno di correggere il testo. perfettamente gratuito cambiare akhen attah
in akhen ittakh, come suggerisce la Bibbia Stuttgartensia allo scopo di mantenere

26

A. MELLO

sulla bocca dei gentili (egiziani, etiopi, sabei), che si sono convertiti al
Dio dIsraele (passeranno a te, diventeranno tuoi, si prostreranno a te, ti
pregheranno sono tutte formule inequivocabili di una conversione al giudaismo). Non solo, ma il v. 15 ha un parallelo alla fine del v. 14, cio nella
dichiarazione delle genti: Solamente in te (Gerusalemme) Dio: non ve
n altri. Queste parole esprimono un riconoscimento, una manifestazione,
non un nascondimento. Le genti prima si rivolgono a Gerusalemme, dove
hanno incontrato Dio, e quindi si indirizzano a Dio stesso, il Salvatore
conosciuto a Gerusalemme (cf. Sal 76,2).
Vi da aggiungere unosservazione importante, di solito abbastanza
trascurata, circa lavverbio ka, tradotto con veramente. Basta consultare
un lessico per sapere che questo avverbio, in ebraico, esprime quasi sempre
una nota di sorpresa, di stupore36. Nel momento in cui Dio si rivela loro
come il Salvatore, le genti si accorgono, con la pi grande sorpresa, di
quanto fino ad allora egli sia rimasto inaccessibile, inafferrabile.
Si pu paragonare unaltra formula di riconoscimento, introdotta
sempre dallavverbio ka: quando Giacobbe si sveglia dal sonno, a Betel,
dimprovviso capisce che Dio era presente in quel luogo: Veramente Jhwh
in questo luogo e io non lo sapevo! (Gen 28,16). Si accorge della sua
ignoranza nel momento stesso in cui Dio gli si rivela. A posteriori, riconosce che fino ad allora Dio gli era rimasto nascosto, ma lo pu riconoscere
proprio perch, adesso, gli si rivelato nel sogno. Se Dio non gli si fosse
rivelato, non saprebbe nemmeno che prima era nascosto.
Dunque la formula: Veramente tu sei un Dio che ti nascondi, una
formula di riconoscimento, di rivelazione, non unaffermazione dellimpossibilit di conoscere Dio. Il parallelo tra Is 45,15 e Gen 28,16 tanto pi
calzante in quanto stato ricopiato dai traduttori greci, che in Isaia leggono: Tu infatti sei Dio, e noi non lo sapevamo, Dio dIsraele, Salvatore.
Qui lavverbio veramente cade, ma al posto di rttsm troviamo kai oujk
hdeimen. La resa dei Lxx, certamente, libera, ma coglie perfettamente
il senso dellespressione biblica. Dal momento che ho capito che Dio si
nasconde, non si tratta pi di un nascondimento.
Gerusalemme come destinataria anche del v. 15: Veramente con te un Dio nascosto.
Almeno tre motivi militano contro questo cambiamento: a) Nessuna forma testuale (manoscritti o versioni) lo giustificano, ma una semplice congettura; b) Lapposizione Dio
dIsraele, Salvatore diventa ridondante e innaturale (in questo caso, ci si aspetterebbe la
lezione tuo Salvatore); c) Il passaggio da una persona allaltra (da Gerusalemme a Dio)
come destinataria del discorso, non presenta una difficolt insormontabile.
36. F. Zorell, Lexicon Hebraicum Veteris Testamenti, Roma 1984: inducit rem novam,
inopinatam, stupendam.

QUANDO DIO SI NASCONDE

27

Si pu tentare anche un altro parallelo, questa volta nel Nuovo Testamento.


Alla morte del Salvatore, si fece buio su tutta la terra: tenebre e nascondimento. Ges muore in croce emettendo un forte grido. Allora il centurione che
gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: Veramente (alhqw)
questuomo era figlio di Dio! (Mc 15,39). Il centurione, anche lui un gentile,
riconosce la divinit di Ges nel momento stesso in cui questa pi nascosta,
quasi cancellata: ma poich lo riconosce come figlio di Dio, quel nascondimento non pi un nascondimento, una rivelazione37.
7. Un Dio che si nasconde
Resta unultima obiezione alla ricezione tradizionale di Is 45,15, ed unosservazione grammaticale gi avanzata da un esegeta medioevale, Abraham Ibn
Ezra. Evidentemente, in ambito ebraico, diffusa lopinione che Dio, essendo
appunto il Dio dIsraele, sia nascosto alle genti. Il passo isaiano, in cui le genti
dichiarano che Dio veramente nascosto, sembra confortare questa opinione.
Ma Ibn Ezra ha avuto il coraggio di smentire, filologicamente, questa esegesi
tradizionale. Prima la espone, e poi la confuta:
Tu sei un Dio nascosto alle genti, delle quali non ti compiaci, ma sei
il Dio dIsraele, il loro Salvatore. I commentatori intendono mistatter come
se fosse nistar, e quindi come se tu ti rivelassi solamente a Israele, che hai
salvato. Ma questo, grammaticalmente, sbagliato, perch mistatter una
forma hitpael38.
ammirevole lobiettivit scientifica di questo grande commentatore,
che non pochi citano a sproposito39. Egli sostiene, correttamente, che il
37. Cf. P. Stefani, Esodo 3 (2003), il quale recupera, in questo senso, anche la rivelazione

della gloria divina fatta a Mos. SullOreb, Dio ha negato a Mos la visione del volto
(panaj), ma si fatto vedere solo di spalle (achoraj). Queste posteriora Dei si possono
intendere anche in senso temporale: dal momento che Dio si nasconde, non lo si pu riconoscere se non a posteriori, dopo che lui passato. Stefani cita, a questo proposito, anche le
famose tesi luterane della Disputa di Heidelberg (1518): Non ille digne theologus dicitur,
qui invisibilia Dei, per ea quae facta sunt, intellecta conspicit [nel qual caso si dovrebbe
parlare di un Deus manifestus] sed qui visibilia et posteriora Dei per passiones et crucem
intellegit (M. Lutero, Scritti religiosi, a cura di V. Vinay, Utet, Torino 1967, p. 183).
38. Miqraot Ghedolot Ha-Keter, sotto la direzione di M. Cohen, Sefer Jeshajahu, Bar
Ilan University, Ramat Gan 1996, ad locum.
39. Effettivamente l'interpretazione di Ibn Ezra molto succinta, si presta a qualche ambiguit. Ma S. Terrien, The Elusive Presence, cit., p. 474, pur senza citarlo, sottolinea giustamente la differenza tra la forma passiva e quella riflessiva, e questa mi sembra proprio
lintenzione del commentatore medioevale.

28

A. MELLO

verbo rts non si trova, qui, nella forma passiva, come invece leggevano
il Targum e la maggior parte degli interpreti precedenti. Quindi non si pu
dire che Dio nascosto. Abbiamo, piuttosto, una forma riflessiva, che
come gi sappiamo piuttosto rara, pressoch unica dal punto di vista teologico40. La differenza grande. Un Dio nascosto indica una situazione
chiusa, permanente, impossibilitata a rivelarsi. Un Dio che si nasconde
indica piuttosto una eventualit, una semplice possibilit, o addirittura
uneccezione. Dio, certo, Dio: se vuole, pu anche nascondersi, sempre
libero di farlo, ma se si nasconde vuol dire che normalmente egli qui,
Presente.
Il Dio dIsraele, il Salvatore, non un Dio ignoto (cf. At 17,23). Il
Dio ignoto, nel migliore dei casi, il Dio dei filosofi contro cui polemizzava proprio Pascal; nel peggiore, ancora un idolo pagano: un Dio che
noi preferiamo che resti nascosto, perch non abbiamo il minimo interesse
nei suoi confronti. Il Dio dIsraele un Dio che si rivela e si nasconde, che
si rivela proprio nel suo nascondimento, perch nel nascondimento mette
alla prova la nostra speranza: Io attendo Jhwh che nasconde il suo volto
alla casa di Giacobbe, e spero in lui (Is 8,17). Se non fosse cos, sarebbe
pretendere dei segni della sua presenza in ogni momento, non accettare
che egli sia libero di esserci o non esserci, contraddire, in fin dei conti, la
nostra stessa libert.
Per questo la Presenza di Dio elusiva. Non perch Dio sia abitualmente nascosto (tra laltro, qualche versetto pi in l, in Is 45,19, egli
dichiara di non essere solito parlare di nascosto), ma perch la sua Presenza intermittente un segnale di libert. Proprio per questo il Dio che si
nasconde il Dio dIsraele, il Salvatore. Il Dio dIsraele, cio qualcuno
che entra, con noi, in un rapporto personale, altrimenti non avrebbe senso
parlare di un suo nascondimento. Il Salvatore, in quanto si manifesta nel
modo che lui sceglie, nei tempi che lui vuole: fossero pure i tempi e i modi
per noi pi imprevedibili.
Alberto Mello
Monaco di Bose
Professore invitato, Studium Biblicum Franciscanum - Jerusalem

40. Questo riflessivo viene spesso interpretato come durativo: Tu sei un Dio che rimani

nascosto, che ti tieni nascosto. Cos, per esempio, G. Wehmeier, DTAT 2, col. 160, ma non
questo - io credo - il senso pi ovvio; in ogni caso, non quello pi tradizionale.

QOHELET
O LA GIOIA COME FATICA
E DONO DI DIO A CHI LO TEME

A. Niccacci
A padre Emmanuele Nazareno Testa, O.F.M., un Maestro dello SBF,
nel suo 80 compleanno con riconoscenza e affetto

Negli ultimi anni gli studi sul libro di Qohelet sono diventati davvero
numerosi1. Per il suo carattere speciale, il libro stato definito di volta
in volta scettico, pessimista, ironico, postmoderno, e il suo autore, critico
della sapienza tradizionale ottimistica, predicatore di gioia2, filosofo del1. Una bibliografia degli anni 1988-1998, a cura di B. Perregaux Allison, si trova in M.

Rose, Rien de nouveau. Nouvelles approches du livre de Qohleth, Freiburg - Gttingen


1999, 557-612 (elenco per autore) e 613-629 (per versetti). La curatrice continua la bibliografia di R.G. Lehmann in D. Michel, Untersuchungen zur Eigenart des Buches Qohelet,
Berlin - New York 1989, 291-322. Si vedano anche le rassegne di L. Schwienhorst-Schnberger, Kohelet: Stand und Perspektiven der Forschung, in: Id. (ed.), Das Buch Kohelet.
Studien zur Struktur, Geschichte, Rezeption und Theologie, Berlin - New York 1997, 5-38,
e anche Neuere Verffentlichungen zum Buch Koheleth (1998-2003), ThLZ 128 (2003)
1123-1138; di I.J.J. Spangenberg, A Century of Wrestling with Qohelet. The Research
History of the Book Illustrated with a Discussion on Qoh 4,17-5,6, in: A. Schoors (ed.),
Qohelet in the Context of Wisdom, Leuven 1998, 61-91; e di I. Kottsieper, Alttestamentliche Weisheit: Proverbia und Kohelet (II), TR 67 (2002) 201-237 (su Qohelet, pp. 226-237).
Nel seguito dellarticolo i commentari verranno indicati con il solo nome dellautore: A.
Barucq, Ecclsiaste, Paris 1968; F. Delitzsch, The Book of Ecclesiastes, in: C.F. Keil - F.
Delitzsch, Commentary on the Old Testament in Ten Volumes, vol. VI: Proverbs, Ecclesiastes, Song of Songs, Grand Rapids 1980; M.V. Fox, A Time to Tear down and a Time to
Build up. A Rereading of Ecclesiastes, Grand Rapids 1999; R. Gordis, Koheleth The Man
and His World, New York 57111951; T. Krger, Kohelet (Prediger), Neukirchen-Vluyn
2000; A. Lauha, Kohelet, Neukirchen-Vluyn 1978; N. Lohfink, Qoheleth. A Continental
Commentary, Minneapolis 2003 (edizione rivista del suo commentario tedesco); R.E.
Murphy, Ecclesiastes, Dallas (Tex.) 1992; P. Sacchi, Ecclesiaste, Roma 1971; C.L. Seow,
Ecclesiastes. A New Translation with Introduction and Commentary, New York etc. 1997;
J. Vlchez Lndez, Sapienciales III: Eclesiastes o Qohelet, Estella (Navarra) 1994. Verranno
citate con i nomi degli autori anche le grammatiche di ebraico biblico di Gesenius-KautzschCowley e di Joon-Muraoka.
2. R.N. Whybray, Qoheleth, Preacher of Joy, JSOT 23 (1982) 87-98, merita una segnalazione speciale perch per primo ha rilevato questo aspetto e, tutto sommato, lha illlustrato
meglio di altri che lhanno ripreso e per lo pi contraddetto. Su nuovi metodi letterari utilizzati per interpretare Qohelet, di tipo reader-response and rhetorical approaches, si pu
consultare G.D. Salyer, Vain Rhetoric. Private Insight and Public Debate in Ecclesiastes,
Sheffield 2001.
LA 52 (2002) 29-102

30

A. NICCACCI

lassurdo, esistenzialista, peripatetico, saggio tra giudaismo ed ellenismo,


sottoposto a influssi ellenistici o vicino-orientali antichi3. Queste diverse
interpretazioni suppongono per lo pi lunit del libro, mentre nel passato
si ipotizzava una serie di redattori diversi, o di citazioni implicite, discusse
dallautore, o dispute tra sostenitori di posizioni opposte4.
Ritengo che, dopo il titolo (1,1)5, il libro di Qohelet comprenda:
una cornice, con esordio 1,2-11 (non c storia, non c ricordo) //
epilogo 12,8-14 (il tutto delluomo)6;
3. Gli influssi greci su Qohelet sono stati presentati in epoca recente da R. Braun, Kohelet

und die frhhellenistische Popularphilosophie, Berlin - New York 1973. Tra i commentatori,
il pi convinto assertore di questi influssi sembra essere Lohfink. Buoni paralleli egiziani
sono stati segnalati da S. Fischer, Die Aufforderung zur Lebensfreude im Buch Kohelet und
seine Rezeption der gyptischen Harfnerlieder, Frankfurt am Main 1999, il quale rimprovera, credo giustamente, a Braun di aver trascurato i legami di Qohelet con la letteratura
sapienziale biblica, di aver esaminato detti singoli, avulsi dal contesto del libro, e di aver
liquidato troppo velocemente i motivi che esso ha in comune con le letterature vicino-orientali antiche, soprattutto quella egiziana (p. 203). Si veda anche, dello stesso autore, Qohelet
and Heretic Harpers Songs, JSOT 98 (2002) 105-121. Le somiglianze con la letteratura
mesopotamica sono state illustrate da J.Y.-S. Pahk, Il canto della gioia in Dio. Litinerario
sapienziale espresso dallunit letteraria in Qohelet 8,16-9,10 e il parallelo di Gilgames
Me. iii, Napoli 1996; Id., Qohelet e le tradizioni sapienziali del Vicino Oriente Antico, in:
G. Bellia - A. Passaro (edd.), Il libro del Qohelet. Tradizione, redazione, teologia, Milano
2001, 117-143; C. Uehlinger, Qohelet im Horizont mesopotamischer, levantinischer und
gyptischer Weisheitsliteratur der persischen und hellenistischen Zeit, in: SchwienhorstSchnberger (ed.), Das Buch Kohelet, 155-247. Da parte sua O. Kaiser, Carpe diem und
Memento mori bei Ben Sira, in: M. Dietrich - O. Loretz - T.E. Balke (edd.), Dubsar antamen: Festschrift fr Willem H.Ph. Rmer. Studien zur Altorientalistik. Zur Vollendung seines
70. Lebensjahres, Mnster 1998, 185-203, mostra che si tratta di motivi letterari attestati in
ogni tempo, dal secondo millennio a.C. al secondo d.C. (!).
4. Sui vari modelli adottati per interpretare le tensioni e contraddizioni in Qohelet si possono consultare Schwienhorst-Schnberger, Kohelet: Stand und Perspektiven der Forschung,
14-20, e F.J. Backhaus, Widersprche und Spannungen im Buch Qohelet. Zu einem neueren Versuch, Spannungen und Widersprche literarkritisch zu lsen, in: SchwienhorstSchnberger (ed.), Das Buch Kohelet, 123-154. Rose, Rien de nouveau, si distingue per
aver riproposto la teoria di redazioni successive, o riletture, del testo originale di Qohleth
le Sage, composto in epoca persiana, da parte di un Disciple e di un ThologienRdacteur, uno successivo allaltro in epoca ellenistica. Su una posizione analoga si colloca
L. Mazzinghi, Ho cercato e ho esplorato. Studi sul Qohelet, Bologna 2001, 313-356.
5. Qohelet si presenta come figlio di David, re di Gerusalemme (1,1; cf. 1,12). Quanto
allo stile, questa finzione regale ricorda le autobiografie accadiche; cf. T. Longman III,
Fictional Akkadian Autobiography: A Generic and Comparative Study, Winona Lake (Indiana) 1991; Seow, 119. H.-P. Mller, Travestien und geistige Landschaften. Zum Hintergrund einiger Motive bei Kohelet und im Hohenlied, ZAW 109 (1997) 557-574, segnala
anche paralleli ammoniti, moabiti, egizi e greci.
6. Riguardo alla cornice direi che la sequenza inversa nome dellautore (1,1) + suo motto
(1,2) // motto (12,8) + nome (12,9-11) mostra che 12,8 non legato a 1,2 mediante un

QOHELET

31

il corpo, con due parti maggiori parallele: (I) 1,12-7,14 // (II) 7,1511,6, e una suddivisione centrale: 11,7-12,7, comprendente 11,7-9 // 11,1012,77.
Senza entrare nei dettagli, dir che i criteri che ho seguito per delimitare le diverse suddivisioni sono il genere letterario (confessioni, in prima
persona, e istruzione, con invito o ammonizione e motivazione, secondo
la tradizione sapienziale)8 e le espressioni guida (come ho visto ho visto ancora) considerate insieme ai termini caratteristici e agli argomenti
trattati. Lo stile di Qohelet personalissimo, ripetitivo, quasi ossessivo, e
lesposizione gira e rigira su se stessa. E forse volutamente, per coinvolgere
il lettore/ascoltatore nel vortice dellesperienza modello del saggio, guidata
dalla fede, alla ricerca di un punto fermo che consenta di trarre frutto dalla
fatica delluomo sulla terra alle prese con lopera e con il mistero di Dio. Due
poli del ragionamento sono le dichiarazioni di vanit e le proclamazioni o
inviti alla gioia. Lepilogo (12,8) ripete il motto dellinizio (1,2) ma lo collega a delle affermazioni che condensano la suddivisione centrale (11,7-12,7),
la quale presenta il succo dellinsegnamento di Qohelet. Lepilogo comunica
poi una valutazione sullautore come uno che fu saggio non solo per s ma
insegn al popolo e con molta cura formul pregevoli parole (12,9-10).
Afferma quindi che le parole dei saggi in generale sono come pungoli

parallelismo chiastico, e perci non chiude a inclusione lo svolgimento 1,1-12,8, ma appunto


apre lepilogo 12,8-14, parallelo allesordio 1,1-11. Comunemente invece i commentatori
ritengono che lepilogo sia 12,9-14, diviso in due parti (12,9-11 e 12-14), e che vada attribuito ad autori differenti dallautore del libro (cf. infra, note 94 e 99).
7. Tralascio le suddivisioni ulteriori delle parti, che sono pi discutibili; ne dir qualcosa nel
corso dellesposizione nel 2. Per rendersi conto della difficolt di suddividere il testo si
pu consultare la lunga difesa che N. Lohfink fa della propria struttura: Das Koheletbuch:
Strukturen und Struktur, in: Schwienhorst-Schnberger (ed.), Das Buch Kohelet, 39-121.
Io stesso ho modificato leggermente la composizione del libro delineata in La casa della
Sapienza. Voci e volti della sapienza biblica, Cinisello Balsamo (MI) 1994, 85-106 (Qoelet
o la sapienza degli opposti), e nelle recensioni a V. DAlario, Il libro del Qohelet. Struttura
letteraria e retorica, Bologna 1992, in LA 43 (1993) 551-558, e al commentario di Fox in
LA 50 (2000) 512-526, spec. 525-526.
8. Confessions la designazione usata anche da Barucq, 29. Allinterno dei due generi
dominanti, confessioni e istruzioni, Qohelet utilizza anche detti proverbiali secondo la tradizione dei saggi pi antichi. La migliore trattazione che conosco sullargomento S. De
Jong, A Book of Labour: The Structuring Principles and the Main Theme of the Book of
Qohelet, JSOT 54 (1992) 107-116. Secondo De Jong, i due generi principali di Qohelet
sono le observations (corrispondente al mio confessioni) e le instructions e tutto il
libro strutturato dallalternanza di essi (a parte a 1,1 introduzione, 1,2 // 12,8 motto e 12,914 epilogo). Largomento principale delle observations la fatica umana, quello delle
instructions cosa bene fare per una persona nelle varie circostanze della vita.

32

A. NICCACCI

e come chiodi ben piantati / sono state date dallunico Pastore (12,11)9.
Termina con quello che possiamo chiamare il succo del succo (12,12-14).
Da un lato, mette in guardia il giovane discepolo/lettore che possa essere
preso dal desiderio di continuare la tradizione dei saggi: scrivere molti libri
pu essere impresa senza fine e faticosa; dallaltro, condensa il tutto in una
lapidaria istruzione di cinque membri (12,13) conclusa da una motivazione
di quattro (12,14). Per questo motivo, alla fine di tutto, il motto non suona pi
allorecchio del lettore come suonava allinizio10.
Una conseguenza di questa lettura che non vedo argomenti validi per
ritenere, con la quasi totalit degli interpreti, che lepilogo non sia dellautore ma vada attribuito a uno o due redattori o discepoli: da un lato le idee mi
sembrano perfettamente in linea con il resto del libro; dallaltro luso della
terza persona attestato in altre opere didattiche e non obbliga a supporre
una diversit di autore (cf. infra, nota 94).
Dicevo dei due poli del ragionamento di Qohelet: le dichiarazioni di
vanit e le proclamazioni o inviti alla gioia. Sulla corretta valutazione di
questi due poli si gioca linterpretazione del libro. opinione generale che
Qohelet sia vissuto in un periodo di crisi politica, sociale e anche di fede, e
per questo motivo sia critico della cosiddetta sapienza tradizionale; per di pi
in un periodo sottoposto a forte influsso da parte della filosofia e concezione
di vita ellenistica. Direi che lopinione su questi punti dipende da come si
interpretano le affermazioni negative, riassunte nella dichiarazione di lRbRh
vanit, e da quale funzione si attribuisce ad esse nellinsieme del libro.
chiaro a tutti che le contraddizioni costituiscono il problema maggiore
di Qohelet. In genere gli interpreti contemporanei valorizzano le affermazioni negative fino al punto di intendere lRbRh come assurdo11. Di conseguenza
si pone il problema di come intendere le affermazioni e gli inviti alla gioia.
Alcuni li intendono semplicemente come un carpe diem che consente di
dimenticare la realt e di godere a dispetto di essa12, oppure come unironia
9. Senza discutere altri problemi di questo difficile versetto, direi che lunico pastore

(dDjRa hRoOr) designa Dio. Varie opinioni al riguardo sono discusse, tra gli altri, in Delitzsch,
432-435, e Murphy, 125.
10. Cf. infra, 2.4. Sul problema letterario di Qohelet (cf. note 1 e 7) si consulter anche
DAlario, Il libro del Qohelet, e pi recentemente, della stessa autrice, Struttura e teologia
del libro di Qohelet, in: Bellia - Passaro (edd.), Il libro del Qohelet, 256-275.
11. Cf. recentemente V. DAlario, Lassurdit del male nella teodicea del Qohelet, in: R.
Fabris (ed.), Initium sapientiae. Scritti in onore di Franco Festorazzi nel suo 70 compleanno, Bologna 2000, 179-197.
12. Riguardo a questa posizione dice bene Whybray, Qoheleth, Preacher of Joy, 92:
Qoheleth not only did not deny the existence of these vanities: he emphasized them so

QOHELET

33

pi o meno benevola, che il lettore chiamato a riconoscere13. Quelli che


attribuiscono allautore, e non a un glossatore posteriore, la prospettiva del
timore di Dio, vedono in esso un narcotico per dimenticare, o lunica
guida che conduce a godere le gioie che Dio concede nella vita14. Anche chi
si propone esplicitamente di tenere insieme entrambi i poli contrapposti, in
realt non sembra darne uninterpretazione soddisfacente15.
Sia consentita qui una parola sul sistema verbale di Qohelet. Analizzer
la sequenza delle forme verbali secondo la teoria del sistema verbale ebraico
da me proposta16. Ritengo infatti che, per quanto il libro venga datato per lo
pi in epoca tarda (V, o anche III sec. a.C.), la lingua non si discosti dal sistema verbale della lingua classica. Ad esempio, la sequenza 1,16-18 che analizzer pi avanti ( 1.1) inizia in 1,12, dove lautore comincia a raccontarsi.
Come al solito, il racconto orale del passato inizia con x-qatal (1,12) o con
qatal allinizio di frase (cf. 1,14). Dato che il testo ha un andamento poetico
e quindi procede per lo pi per segmenti paralleli17, la continuazione avviene ancora con qatal per presentare uninformazione parallela e sullo stesso
livello della precedente (ad es. 2,4-8). Per cui se nel corso (non allinizio!) di
una unit sintattico-semantica non si trova qatal ma x-qatal, questultimo di
strongly that he has been supposed to be a teacher of unrelieved pessimism. But in spite of
them, and even from them he was able, as we have seen, to provide answers and to make
recommendations which in some sense transcend the evils which the Creator has inscrutably
allowed to exist in the world.
13. Cos propone W.H.U. Anderson, A Critique of the Standard Interpretations of the Joy
Statements in Qoheleth, JNSL 27 (2001) 57 - 75, dopo aver passato in rassegna le principali
interpretazioni delle affermazioni di gioia di Qohelet: glosse di un pio editore, indicazione
del carpe diem, messaggio essenziale del libro. Su una linea analoga si colloca R. Vignolo,
La poetica ironica di Qohelet. Contributo allo sviluppo di un orientamento critico, Teologia 25 (2000) 217-240.
14. Rappresentanti di queste due posizioni sono, rispettivamente, A. Schoors, Lambiguit
della gioia in Qohelet, in: Bellia - Passaro (edd.), Il libro del Qohelet, 276-292 (cf. gi
Lauha, 169), e Lohfink, ad es. pp. 2-3. Un punto di vista contrario alla concezione della
gioia come narcotico presenta A.A. Fischer, Skepsis oder Furcht Gottes? Studien zur
Komposition und Theologie des Buches Kohelet, Berlin - New York 1997, 74-86.
15. il caso in particolare di Fox; cf. la mia recensione in LA 50 (2000), spec. 516.
16. Cf. Sintassi del verbo ebraico nella prosa biblica classica, Jerusalem 1986; The Syntax
of the Verb in Classical Hebrew Prose, Sheffield 1990 (edizione corretta e aumentata); Sintaxis del Hebreo bblico, Estella (Navarra) 2002 (edizione corretta e aggiornata); e in Lettura sintattica della prosa ebraico-biblica. Principi e applicazioni, Jerusalem 1991 (sintesi
della teoria e applicazione pratica a Gs 1-6; Gdc 1-4.6-8; 2 Sam 5-7 // 1 Cr 11-17).
17. Ho presentato le peculiarit della poesia in Analysing Biblical Hebrew Poetry, JSOT
74 (1997) 77-93, e in Biblical Hebrew Verbal System in Poetry, di prossima pubblicazione. Sul procedimento a segmenti paralleli, o stichi, tipico della poesia, si veda il primo dei
due articoli appena citati, pp. 78-80.

34

A. NICCACCI

livello secondario. In 1,16, ad esempio, hDar yI;bIlw un costrutto secondario di


tipo x-qatal legato probabilmente al wayyiqtol che segue in 1,17: Dopo che
il mio cuore aveva visto io posi.
In 2,7 invece i due x-qatal (yIl hyDh tyAb_ynVbw e yIl hyDh hE;brAh Naxw rqDb hnVqIm Mg)
sono legati al qatal di livello principale che precede e lo specificano, non lo
continuano come forme coordinate: Comprai (yItynq) serve e serve: / inoltre
(servi/e) nati in casa ebbi, / anche possesso di armenti e pecore in quantit
ebbi. Il motivo di questa valutazione che la forma verbale che continua il
quatal sul medesimo livello linguistico un altro qatal (per indicare uninformazione parallela, autonoma) o un wayyiqtol (per indicare uninformazione
continuativa, coordinata). significativo che la forma coordinata di qatal non
sia weqatal, come nellebraico mishnico, ma appunto wayyiqtol, mentre weqatal indica un commento (abitudine, stato, descrizione) di una forma verbale
di livello principale18.
1. Il mondo ideale di Qohelet
Prima di iniziare lanalisi dei passi sulla gioia ( 2), esaminer una serie di
argomenti generali allo scopo di comprendere, per quanto possibile, il mon18. Cf. infra, nota 26. Studi recenti sulla lingua di Qohelet sono: B. Isaksson, Studies in

the Language of Qoheleth. With Special Emphasis on the Verbal System, Uppsala 1987;
D.C. Fredericks, Qohelets Language. Re-Evaluating Its Nature and Date, New York 1988;
A. Schoors, The Preacher Sought to Find Pleasing Words: A Study of the Language of
Qoheleth, Leuven 1992. Schoors condivide lopinione, purtroppo diffusa, secondo la quale
il fatto che Qohelet presenti solo tre casi di wayyiqtol un segno di lingua tarda (p. 86),
mentre in realt conseguenza del modo di procedere a segmenti paralleli tipico della poesia, come segnalato sopra (nota 17). Del resto non credo neppure che sia in s giustificata
lopinione secondo la quale le cosiddette forme inverse, wayyiqtol e weqatal, diminuiscano
nellebraico di epoca tarda: il confronto dei testi paralleli 2 Sam // 1 Cr non lo conferma. Si
possono consultare al riguardo il mio saggio Lettura sintattica della prosa ebraico-biblica,
21-23, e la mia recensione a Z. Zevit, The Anterior Construction in Classical Hebrew,
Atlanta 1998, in LA 49 (1999) 507-525, spec. 521-522. Accenno infine a una disputa circa
la lingua di Qohelet (se sia di epoca tarda o se invece le sue peculiarit siano da ritenere
colloquialismi del dialetto del Nord o anche del Sud) condotta da diversi esperti in annate
recenti della rivista Hebrew Studies: 31 (1990) 144-154, recensione di Fredericks, Qohelets
Language, da parte di A. Hurvitz; 37 (1996) 7-20, D.C. Fredericks, A North Israelite Dialect in the Hebrew Bible? Questions of Methodology (discute soprattutto G.A. Rendsburg,
Diglossia in Ancient Hebrew, New Haven 1990); 38 (1997) 7-20, I. Young, Evidence of
Diversity in Pre-Exilic Judahite Hebrew. Questa disputa succeduta a quella sui legami
della lingua di Qohelet con lebraico mishnico e con laramaico, da un lato, e sugli influssi
fenici, dallaltro, condotta in particolare da M. Dahood e da R. Gordis; cf. F. Bianchi The
Language of Qohelet: A Bibliographical Survey, ZAW 105 (1993) 210-223, e C.-L. Seow,
Linguistic Evidence and the Dating of Qohelet, JBL 115 (1996) 643-666.

QOHELET

35

do ideale di Qohelet: il modo come egli ha impostato la sua ricerca della


sapienza in 1,16-18 ( 1.1); la composizione di 3,10-15, in cui si collocano
due proclamazioni di gioia ( 1.2); la creazione e la provvidenza, cio come
il fare delluomo si esercita e si incontra e scontra con il fare di Dio ( 1.3);
la vita sulla terra e nelloltretomba, un argomento molto controverso in
Qohelet, strettamente legato a quello della gioia ( 1.4).
1.1. Impostazione della ricerca
Qo 1,16-18 mostra che il saggio, che gi ricercava la sapienza, ad un certo
punto decide nel suo cuore di estendere la sua esperienza e allora impegna il
suo cuore a conoscere non solo la sapienza ma anche la follia e la stoltezza:
(16)

(17)

(18)

rOmaEl yI;bIl_MIo ynSa yI;trA;b;d


hDmVkDj yI;tVpAswhw yI;tVl;dgIh hnIh ynSa
ynDpVl hyDh_rRvSa_lD;k lAo
MIDlDvwry_lAo
hE;brAh hDar yI;bIlw
tAodw hDmVkDj
hDmVkDj tAodDl yI;bIl hnV;tRaw
twlVkIcw twlElwh tAodw
Ajwr NwyVor awh hz_MgRv yI;tVody
sAoD;k_br hDmVkDj bOrV;b yI;k
tAo;d PyIswyw
bwaVkAm PyIswy

Parlai io con il mio cuore dicendo:


Io, ecco ho ingrandito e anche aumenter la sapienza
pi di chiunque stato prima di me (re)
su Gerusalemme!
Dopo che il mio cuore aveva visto in abbondanza
sapienza e conoscenza,
io posi il mio cuore a conoscere sapienza
e a conoscere follia e stoltezza
Ho imparato che anche questo rincorrere vento,
poich nella molta sapienza c molta pena
e se uno vorr19 aggiungere conoscenza,
aggiunger dolore.

Dopo che il mio cuore aveva visto (hDar yI;bIlw) in abbondanza / sapienza e
conoscenza, / io posi il mio cuore a conoscere sapienza / e a conoscere follia
e stoltezza (1,16-17a). Questo senso si accorda con ci che precede: Parlai
io con il mio cuore dicendo: / Io, ecco ho ingrandito e anche aumenter la sapienza / pi di chiunque stato prima di me (re) su Gerusalemme! (1,16).
Ma subito Qohelet aggiunge: Ho imparato che anche questo rincorrere
vento, / poich nella molta sapienza c molta pena / e se uno vorr aggiungere conoscenza, / aggiunger dolore (1,17b-18). Che senso ha questa motivazione? Credo che abbia ragione Delitzsch:
The wise man gains an insight into the thousand-fold woes of the natural world, and of
the world of human beings, and this reflects itself in him without his being able to change

PyIswyw un weyiqtol di protasi; cf. Gesenius-Kautzsch-Cowley, 108e-f; JoonMuraoka, 167a.


19.

36

A. NICCACCI

it; hence the more numerous the observed forms of evil, suffering, and discord, so much
greater the sadness () which the inutility of knowledge occasions (p. 232).

Cio, leccessiva ricerca dei perch dellesistenza causa di fatica e di


dolore per il fatto che mette a nudo, da un lato limpossibilit delluomo di
comprenderli, dallaltro la sua incapacit di correggere le situazioni di ingiustizia e di dolore.
Lidea di evitare il troppo anche nel campo della sapienza/ricerca richiama 12,12: Fare libri in quantit non ha fine / e lo studio in quantit stanchezza della carne. Si capisce anche 7,16-18:
(16)

(17)

(18)

hE;brAh qy;dAx yIhV;t_lAa


rEtwy MA;kAjVtI;t_lAaw
MEmwvI;t hD;mDl
hE;brAh oAvrI;t_lAa
lDkDs yIhV;t_lAaw
KR;tIo alV;b twmDt hD;mDl
hzD;b zOjTaR;t rRvSa bwf
Kdy_tRa jnA;t_lAa hzIm_Mgw
MD;lU;k_tRa aExy MyIhlTa ary_yI;k

Non essere giusto troppo


e non comportarti da saggio oltremodo:
perch vorresti rovinarti?
Non essere malvagio troppo
e non essere stolto (troppo):
perch vorresti morire prima del tuo tempo?
bene che tu tenga luno (questo)
e anche dallaltro non ritirare la tua mano,
poich il timorato di Dio uscir (bene) con tutti (e
due)20.

Secondo Delitzsch il senso :


he who fears God will set himself free from all, will acquit himself of the one as well as
of the other, will perform both, and thus preserve the golden via media (p. 326).

Dato che questa via media pu essere malintesa, direi piuttosto che il
senso : Non porsi un numero eccessivo di domande sul perch/senso della
vita (= sapienza che produce fatica) n permettersi uneccessiva trascurataggine sul perch/senso (= stoltezza che pu provocare la morte anzitempo;
cf. infra, 2.5)21.
20. Cos anche Seow: for the one who fears God goes forth with both of them (pp. 252;

255-256); diversamente Gordis: for he who reverences God will do his duty by both
(p. 169; 267-268), il quale ritiene che il verbo axy abbia il senso di fare il proprio dovere
come nel linguaggio della Mishnah.
21. L. Mazzinghi, Qohelet tra giudaismo ed ellenismo. Unindagine a partire da Qo 7,1518, in: Bellia - Passaro (edd.), Il libro del Qohelet, 90-116, passa in rassegna le varie opinioni circa quel passo ritenuto imbarazzante (si veda anche, dello stesso autore, Ho cercato
e ho esplorato, 77-90). La sua traduzione di 7,18 Chi teme Dio sfuggir a entrambe le
cose (p. 105) si muove nella direzione giusta, ma la sua interpretazione riprende la convinzione purtroppo diffusa che con il libro di Giobbe era stato messo in crisi il rapporto
tradizionale giustizia-successo e aggiunge che il Qohelet va oltre, affermando che losservanza della Legge non basta, e neppure la sapienza (p. 107). Ora, da un lato la Legge
non nellorizzonte del libro (per cui non credo si possa dire che in Qohelet la Legge-Torah

QOHELET

37

Si delinea quindi un percorso dalla ricerca pura e semplice della sapienza, secondo la tradizione dei saggi, a una ricerca in qualche modo illimitata,
indicata con il binomio sapienza e stoltezza. Questultima espressione
potrebbe essere infatti un merismo per indicare la totalit dellesperienza.
Ma per interpretarla correttamente dobbiamo chiederci cosa intenda Qohelet
per stoltezza o follia. Presumibilmente lopposto di quello che intende per
sapienza. Se per sapienza egli intende fare esperienza della realt allo scopo
di comprenderne il senso alla luce dellinsegnamento tradizionale e della
fede di Israele, stoltezza sar non porsi questo impegno ma semplicemente
godere di ci che la vita offre senza riflettere e senza far riferimento a quei
valori. Diversamente si dovrebbe dire, come fa qualche autore, che Qohelet
a/immorale22.
Questo percorso verso unesperienza illimitata viene esplicitato in 2,1-8,
che presenta prima una specie di programma:
(1) Dissi io nel mio cuore:

Su vieni, voglio farti sperimentare la gioia (hDjVmIcVb)23

viene rivista in modo critico, come fa T. Krger, Die Rezeption der Tora im Buch Kohelet, in: Schwienhorst-Schnberger [ed.], Das Buch Kohelet, 303-325; cf. infra, nota 45);
dallaltro i limiti della sapienza erano chiari anche prima di Qohelet (basta leggere G. von
Rad, La sapienza in Israele, Torino 1975, cap. VI I limiti della sapienza). Inoltre giusto
che il timore di Dio la chiave per una corretta scelta etica tra eccessiva saggezza e eccessiva stoltezza; non vedo per come il concetto del timore di Dio di Qohelet sia diverso
da quello della cosiddetta sapienza tradizionale di Israele (p. 111): anche per questa il
temere Dio non consiste nellosservanza della Legge (p. 112)! In realt Qohelet, come
anche Giobbe, parte dellunica tradizione sapienziale di Israele; lindividualit degli scritti
dipende, oltre che dalla personalit degli autori, dalle diverse epoche e condizioni in cui
essi operarono e dalluditorio a cui si rivolgevano; non ultimo, dal preciso campo di investigazione di ognuno: lattivit umana sulla terra per Qohelet, la sofferenza del giusto per
Giobbe. Per entrambi il problema , in fondo, il rapporto Dio-uomo, Creatore-creatura. Mi
permetto di rimandare al mio saggio complessivo La casa della sapienza, in particolare
allultimo capitolo Unit e diversit. La proposta religiosa della sapienza, pp. 177-182;
si veda anche infra, 2.8.
22. Molto opportunamente R.N. Whybray, Qoheleth the Immoralist? (Qoh 7:16-17), in:
J.G. Gammie - W. Brueggemann - W.L. Humphreys - J.M. Ward, Israelite Wisdom. Theological and Literary Essays in Honor of Samuel Terrien, Missoula (Montana) 1978, 191-204,
precisa che Qoheleth is neither recommending immorality nor teaching the golden mean,
neppure in 7,16-17 (cf. infra, nota 91).
23. Secondo Fox, 113-115, hDjVmIc in Qohelet significa piacere, non gioia: imah never
means happiness in Qohelet. Indeed, the pleasures called imah never even seem to produce happiness in him (p. 115). Credo che questo giudizio faccia torto al saggio. Da un
lato, nel passo in esame hDjVmIc parallelo a bwf bene, che designa ogni tipo di valore
nella vita umana (cf. infra); dallaltro, credo che le cose che Qohelet nomina (cibo, vino,
giardini, concubine ecc.) procurano non soltanto piacere ma vera gioia. Il fatto che dica che
sono vanit significa che hanno termine, ma ci non toglie che diano gioia, vera gioia

38

A. NICCACCI

perch tu goda il bene (bwfVb hEarw)!24


Ed ecco anche questo vanit.
(2) Del riso poi dissi: Folle!,
e della gioia:
Cosa produce questa?25 (2,1-2).

Forse il saggio intende godere di tutto quello che la sua vita ad altissimo
livello gli offre (2,3-8) senza porsi le domande sul senso, ma nota subito,
anticipando la conclusione, la vanit di questo modo di godere. Lo stesso del
resto afferma pi avanti della sapienza, che talvolta non porta stabile giovamento (cf. 2,21.26).
I versetti successivi (2,3-8) dettagliano il percorso dellesperienza attraverso una serie di forme verbali qatal che elencano i vari beni di cui il re
Qohelet si potuto concedere il godimento. Nella prospettiva del testo essi
rappresentano il massimo che essere umano possa mai permettersi. Ci che
segue (2,9-23) elenca una serie di valutazioni negative (con sei affermazioni
di vanit: vv. 11.15.17.19.21.23, che specificano quella del v. 1) introdotte
da undici forme verbali weqatal (vv. 9[bis].11.12.13.14.15[bis].17.18.20)26.
che insieme frutto del lavoro delluomo e sua parte che Dio gli concede (cf. 2.8). Purtroppo linterpretazione di Fox viene ripresa da Schoors, Lambiguit della gioia in Qohelet,
278-279, e anche da H. Simian-Yofre, Conoscere la sapienza. Qohelet e Genesi 2-3, ibid.,
314-336. Questultimo autore, dopo una (per conto mio un po) disinvolta lettura di Gen 2-3
come un mito di maturazione, scrive che Qo 8,15 (un altro passo in cui compare hDjVmIc, cf.
infra, 2.5) presenta, tra laltro, la lode di una meschina gioia che viene dal mangiare e dal
bere (p. 322). Analogamente interpreta altri passi (8,16-17; 7,23-29). Ma poi, inaspettatamente, scopre in 9,9 il trionfo della contemplazione, intendendo il verbo har appunto come
contemplare invece di godere (cf. infra, nota 24), e questo avverrebbe nella relazione
uomo-donna come per Adamo nel giardino. Ma, per quanto la cosa possa apparire suggestiva,
francamente non vedo come linvito contempla la vita con la donna che ami (9,9) possa avere esito positivo se realmente Qohelet ha una visione del tutto negativa della realt. Ritengo
invece che le proclamazioni e gli inviti alla gioia in Qohelet nascano da una visione della realt
umana che evidenzia sempre un aspetto positivo accanto a uno negativo (cf. 2.8)
24. La forma verbale hEarw, o imperativo indiretto (Joon-Muraoka, 116), esprime finalit; letteralmente: e vedi, nel senso di: affinch tu veda, e quindi: affinch tu
goda il bene. Il verbo har con la preposizione bet significa infatti godere (cf. 11,4), ma
lespressione compare con lo stesso senso anche senza preposizione (3,13: bwf hDarw; cf.
2,24; 9,9; 11,7).
25. Folle! // cosa produce?: dal parallelismo si comprende che folle (lDlwhVm; cf. 7,7)
significa che non produce nulla di utile, che non porta vero giovamento. Il motivo che
anche la gioia ha fine; per cui anche questo vanit (2,1).
26. Come detto allinizio, quando si riferisce al passato weqatal indica abitudine, ripetizione,
descrizione; indica cio un aspetto dellazione/informazione (o livello secondario della comunicazione), non semplicemente il passato come qatal e wayyiqtol (cf. Syntax of the Verb,
157), anche se gli studiosi regolarmente ignorano questo fatto. Perci: cos diventavo
grande e aggiungevo (= diventavo grande sempre di pi) (2,9); ma poi mi volgevo io

39

QOHELET

Tra le due suddivisioni 2,1-8 e 2,9-23 si notano importanti richiami di


vocabolario che sottolineano il legame tra di esse:
2,1

hDjVmIcVb hDkV;snSa an_hDkVl

2,3

hDmVkDjA;b gEhOn yI;bIlw

Su vieni, voglio farti sperimentare la gioia


mentre il mio cuore guidava (la carne) con
la sapienza

twlVkIsV;b zOjTaRlw
(Riflettei) di tenere la stoltezza
Cf. 1,17 hDmVkDj tAodDl
(Posi il mio cuore) a conoscere sapienza

twlVkIcw twlElwh tAodw

2,9

yI;l hdVmDo yItDmVkDj PAa

2,10

hDjVmIc_lD;kIm yI;bIl_tRa yI;tVonDm_al

tuttavia la mia sapienza mi assistette


non trattenni il mio cuore da alcuna
gioia,

yIlDmSo_lD;kIm AjEmDc yI;bIl_yI;k

ma il mio cuore gio di tutta la mia


fatica
2,12

hDmVkDj twarIl

(Allora mi volgevo) a vedere


la sapienza

twlVkIsw twlElwhw

e la follia e la stoltezza

e a conoscere27 follia e stoltezza


(2,11); allora mi volgevo (2,12); infatti vedevo (2,13); ma anche sapevo io
(2,14); e dicevo io e parlavo io (2,15); e perci odiavo (2,17); e perci odiavo
io (2,18); e mi rivolgevo io (2,20). Altre forme di weqatal di prima persona, con la
medesima funzione di commentare varie fasi dellesperienza del saggio, si trovano in 3,22;
4,1.4.7 (per 4,1 e 4,7 cf. infra, nota 114); 8,15.17; 9,16. Riguardo alla forma weqatal, da lui
detta w + SC, Isaksson, Studies in the Language of Qoheleth, ha una posizione abbastanza
complessa, difficile da classificare. Da un lato contrario allidea del waw conversivo, e
quindi, immagino, anche alla designazione weqatal (p. 31); di conseguenza rifiuta la cosiddetta
teoria frequentativa (pp. 56-58) e traduce i weqatal dei passi autobiografici di Qohelet con
il present perfect come i semplici qatal (I have built I have devoted myself I have
made, p. 57). Dallaltro lato, conclude la sua analisi affermando: This means that the
author speaks out of his present situation My conclusion is that the choice of conjunctive
SC and wSC forms in the autobiographical thread is due to a special kind of narrative that
constitutes this thread. The narrative of this thread is of the rsum type (p. 190). Francamente non credo che weqatal e semplice qatal siano equivalenti in nessun tipo di testo. Sui
casi difficili di weqatal, spesso corretti o semplicemente ignorati, si pu consultare la mia
recensione di W. Gross - H. Irsigler - T. Seidl (edd.), Text, Methode und Grammatik. Wolfgang Richter zum 65. Geburtstag, St. Ottilien 1991, in LA 44 (1994) 667-692, 6. Quanto a
Schoors, The Preacher Sought to Find Pleasing Words, da un lato egli ritiene giustamente,
contro M. Dahood e C.F. Whitley, che weqatal sia ben attestato in Qohelet (p. 88), dallaltro
afferma che in 9,14-15 the sequence abw bbsw hnbw axmw flmw should at least have
had bsyw, Nbyw and flmyw according to classical grammar, and possibly even all of these verbs
could have been imperfect consecutive (p. 86). Credo invece che wayyiqtol compare dove
lautore vuole che compaia, e cos pure weqatal, ciascuno secondo la sua precisa funzione.
Quello che fa difficolt a Schoors, e non solo a lui, luso di weqatal in rapporto al passato,
in cui esso indica, come detto sopra, un livello secondario della comunicazione (abitudine,
ripetizione, descrizione), mentre non fa problema luso per indicare il futuro, in cui weqatal
indica il livello principale della comunicazione (cf. Syntax of the Verb, 156).
27. Come suggerisce Delitzsch, 231, tAodw equivale a tAodDl dello stico precedente. Cos
anche Gordis, 202; diversamente Seow, 124-125.

40

A. NICCACCI

Il proposito di tenere insieme saggezza e stoltezza viene enunciato in


modo programmatico allinizio (2,3; cf. 1,17) e ripetuto nella parte descrittiva del processo di ricerca (2,12). Lo scopo di tenere insieme i due estremi ,
nel primo caso, fino a che vedessi / qual il bene per i figli delluomo / che
essi facciano sotto il cielo / nei pochi giorni della loro vita (2,3); nel secondo, il misterioso poich, cos luomo che possa venire dopo il re, / quello
che gi (da tempo) hanno fatto (= eletto)? (2,12b)28.
La proposta iniziale, Dissi io nel mio cuore: / Su vieni, voglio farti
sperimentare la gioia / perch tu goda il bene! (2,1), parallela a Riflettei
nel mio cuore / di attirare con il vino la mia carne, / mentre il mio cuore (la)
guidava con la sapienza, / e di tenere la stoltezza (2,3), viene rovesciata alla
fine: E mi rivolgevo io per far perdere ogni speranza al mio cuore / circa
tutta la fatica / che avevo faticato sotto il sole (2,20). Scopo dellinvito a
sperimentare i piaceri della vita vedere qual il bene per i figli delluomo
(2,3); motivo dellinvito a desistere perch c un uomo / la cui fatica
nella sapienza e nella conoscenza e nellabilit, / e a un uomo che non ha
faticato in essa (= la sua fatica) / dovr darla come sua parte (2,21).
28. Versetto oscuro, interpretato diversamente. Una difficolt per accettare la traduzione

data sopra la presenza di tEa che di solito regge loggetto diretto, qui invece lapposizione
di un complemento. Delitzsch, 245, rimanda a Zc 12,10, dove rRvSa tEa specifica il complemento indiretto yAlEa: wrq;d_rRvSa tEa yAlEa wfyI;bIhw e guarderanno a me, cio a colui che
avranno trafitto (cf. Vulgata: et aspicient ad me quem confixerunt). Un altro esempio
simile Ez 23,22, dove il secondo tEa regge unapposizione delloggetto diretto introdotto
dal primo tEa: MRhEm JKEvVpn hDoVqn_rRvSa tEa / JKyAlDo JKyAbShAaVm_tRa ryIoEm ynnIh Ecco io susciter i
tuoi amanti contro di te, / quelli di cui si disgustata la tua anima. Altrove in Qohelet il
sintagma rRvSa tEa + verbo finito introduce anche la proposizione soggettiva (4,3) oltre che
quella oggettiva (5,3; 7,13). La traduzione data sopra suppone che lespressione il re che
gi (da tempo) hanno fatto (eletto) alluda a Salomone. Il senso sarebbe: Salomone, da un
lato, in quanto re aveva a disposizione tutti i mezzi immaginabili per fare unesperienza in
qualche modo illimitata, esemplare per tutti; daltro lato, siccome era stato eletto da molto
tempo (allusione probabile ai suoi 40 anni di regno), la sua esperienza dur a lungo. Il
senso sembra dunque: cos luomo (= un uomo qualsiasi) che possa venire dopo il re (=
me, Salomone/Qohelet) e perci che possa continuare la sua/mia ricerca? In altre parole,
nessun uomo potr mai continuare lesperienza di Qohelet n farne una pi attendibile della
sua, unidea che in accordo con linterpretazione di 2,25 (infra, nota 65). Per vie diverse,
Gordis arriva a uninterpretazione abbastanza simile: Koheleth, in his assumed role of
Solomon, wishes to assure the reader that he has experienced the ultimate in both wisdom
and pleasure and that there is no need for any one else to repeat the experiment (Gordis,
211). Osserverei soltanto che il saggio non intende dire che non c bisogno che un altro
ripeta la sua esperienza, ma piuttosto che nessuno sar in grado di ripeterla a quel livello.
Anche K.A.D. Smelik, A Re-Interpretation of Ecclesiastes 2,12b, in: Schoors (ed.), Qohelet in the Context of Wisdom, 385-389, pur analizzando diversamente, arriva a uninterpretazione simile: Qoheleths search for wisdom and folly is unique and cannot be surpassed.
Whoever undertakes a similar quest after him, will never outdo Qoheleth. His conclusions
regarding the value of human life are final, unto this very day (p. 389).

QOHELET

41

Il percorso del saggio pu essere riassunto come segue: sperimentare tutti i beni e le situazioni della vita alla luce della fede/tradizione di Israele per
comprenderne lutilit (= sapienza), e addirittura godere di ogni cosa senza
porsi tale domanda (= stoltezza); tutto questo al fine di scoprire cosa bene
per luomo nella sua fatica sulla terra; in ambedue i casi comunque la conclusione tutto vanit, nel senso che niente dura, tutto passa, mentre ci che
resta, ad esempio la ricchezza e il risultato della fatica di una vita, passer a
un altro che non ci ha lavorato e che forse non ne sar degno.
Mi sembra che questo percorso faccia emergere una dinamica che struttura alla base il pensiero di Qohelet e caratterizza il suo modo di procedere
lungo tutto il libro; una dinamica in tre momenti: esperienza del saggio,
negativa, dato di fede, positivo, soluzione con la proclamazione della gioia
o con linvito a godere i beni che Dio d insieme con la vita. Esaminando i
passi sulla gioia, cercher di delineare come dal contrasto tra il primo momento e il secondo scaturisce il terzo, cio il messaggio che il saggio propone
alluomo sulla terra ( 2). Lopera di Qohelet , possiamo dire, unappassionata ricerca di ci che bene, una ricerca di senso, con la coscienza per
che il senso ultimo luomo non potr mai raggiungerlo; potr raggiungere
solo il bene/senso che alla sua portata e che Dio nella sua bont gli concede
di godere.
Il termine che pi caratterizza la ricerca di Qohelet lRbRh, anzi MyIlDbSh lEbSh
vanit delle vanit29. Vanit nel senso di finitudine; ad esempio lado29. Non mi sembra giustificato intendere

lRbRh nel senso di assurdo come fa, ad es. Fox,


anche in The Innerstructure of Qohelets Thought, in: Schoors (ed.), Qohelet in the Context of Wisdom, 225-238; si veda la mia recensione del commentario di Fox in LA 50 (2000)
519. N. Lohfink, Ist Kohelets lbh-Aussage erkenntnistheoretisch gemeint?, in: Schoors
(ed.), Qohelet in the Context of Wisdom, 41-59, ha ragione di sostenere, contro D. Michel,
Untersuchungen zur Eigenart des Buches Qohelet, Berlin - New York 1989, 40-51, che le
affermazioni di vanit non si riferiscono alla conoscenza delluomo in quanto tale ma
piuttosto alle azioni, cose, situazioni, eventi della sua vita. Daltra parte per, pur negando
che le affermazioni di vanit riflettano uno scetticismo circa la teoria della conoscenza,
lo stesso Lohfink professa unopinione simile: In der Tat lehrt Kohelet einen erkenntnistheoretischen Skeptizismus, wenn man dieses Wort in diesem Zusammenhang vielleicht
auch etwas abgeschwcht gebrauchen mu (ibid., 59). Uno scetticismo di fondo, nel modo
come il problema della conoscenza umana viene trattato, scopre anche A. Schellenberg,
Erkenntnis als Problem. Qohelet und die alttestamentliche Diskussion um das menschliche
Erkennen, Freiburg - Gttingen 2002, sia in Qohelet che in Giobbe (cf. ad es. p. 215). Come
risulter dal seguito della presente esposizione, Qohelet non affatto scettico, nel senso che
non nega che luomo possa conoscere; afferma soltanto che, essendo egli una creatura e non
il Creatore, ha una conoscenza limitata della realt creata e della provvidenza che la governa
( 1.3). Due autori in particolare respingono lidea di lRbRh assurdo: D.C. Fredericks, Coping with Transience. Ecclesiastes on Brevity in Life, Sheffield 1993, e T. Zimmer, Zwischen
Tod und Lebensglck. Eine Untersuchung zur Anthropologie Kohelets, Berlin - New York

42

A. NICCACCI

lescenza e i capelli neri sono lRbRh (11,10). Ci sono cose nella vita che sono
buone ma sono anche lRbRh perch hanno fine, non durano in eterno, come
invece dura lopera di Dio. Anche la sapienza lRbRh dato che muoiono sia
il saggio che lo stolto (2,16). In 7,12 si dice che la sapienza far vivere i
suoi possessori, ma ci dovrebbe significare che li fa vivere tutto il tempo
concesso da Dio e non li fa morire anzi tempo (7,17). Il problema della fede
o non fede nellaldil non dovrebbe entrare in questo ragionamento. Quella
di Qohelet una riflessione che prende molto seriamente la vita sulla terra.
Non necessariamente esclude la vita oltre la morte, ma questa resta al di fuori
dellesperienza e quindi della riflessione del saggio, appunto perch la riflessione si esercita su ci che oggetto di esperienza (cf. 1.4)30.
Cosa dire allora di 11,8, in cui si legge che luomo in tutti (i suoi anni)
sia nella gioia / e ricordi i giorni delle tenebre, / che (cio) saranno in quantit: / tutto ci che verr vanit? Commenta Delitzsch:
For Koheleth, the future is not less veiled in the dark night of Hades, as it was for Horace, i.4.16s.: Jam te premet nox fabulaeque Manes / Et domus exilis Plutonia. Also,
for Koheleth as for Horace, iv.7.16, man at last becomes pulvis et umbra, and that which
thus awaits him is hevel. Tyler is right, that the shadowy and unsubstantial condition of
the dead and the darkness of Sheol is thus referred to (p. 399).

Io non direi che Qohelet propugna dello sheol unidea di questo genere,
ma certo la forte espressione di 11,8 richiede una spiegazione; e anche il
problema della fede o no nella vita oltre la morte va affrontato ( 1.4). Forse,
oltre che finitudine, lRbRh implica anche oscurit e ignoranza da parte delluomo. Si dice pi volte che quello che viene dopo, sia dopo la vita che dopo la
morte, luomo non lo conosce. Appare sempre pi chiaro che la riflessione di
Qohelet legata alla vita sulla terra e si limita ad essa. Ci di cui non parla,
non si pu dire di per s che lo neghi. una riflessione tutta concentrata sulla

1999, 25-32. Fredericks propone il significato di transience, transitoriet, che per non
implica alcuna mancanza di senso o assurdit, e ne fa la chiave di lettura dellintero libro.
Cos interpretato Qohelet appare a more coherent, even though more conventional, Hebrew
sage; diversamente egli sarebbe a self-contradicting, incoherent thinker who concludes
that life is both meaningless, yet an enjoyable gift of God (p. 32).
30. Quello che Fischer, Die Aufforderung zur Lebensfreude, 48, afferma riguardo a 3,19-21
si muove su questa linea interpretativa e vale per tutto il libro di Qohelet: Kohelet bleibt
seiner auf die Empirik begrenzten Diskussion treu und bringt kein Jenseitsargument ein.
Mi sembra invece discutibile la considerazione che Fischer fa poche righe dopo: Kohelet
weist eine auf jenseitige Vergeltung abzielende Lsung des Tun-Ergehen-Zusammenhanges
ab und kommt zur Aufforderung zur Lebensfreude (ibid.). Se Qohelet non parla dellaldil,
perch dire che nega la ricompensa oltre la morte? Egli dice semplicemente che nessuno
pu controllare direttamente (cf. infra, nota 73).

QOHELET

43

tremenda responsabilit delluomo sulla terra di fronte alla creazione e al


governo divino della storia.
Notiamo ancora che il termine lRbRh e le affermazioni di vanit si accompagnano spesso a unaltra espressione caratteristica, che compare in due
forme equivalenti: Ajwr twor andare dietro a vento (1,14; 2,11.17.26; 4,4.6;
6,9) e Ajwr NwyVor rincorrere vento (1,17; 4,16)31, e anche insieme a hD;br hDor
male grande (2,21) e a or yIlFj malattia cattiva (6,2). Da ci che andiamo dicendo si comprende che questo linguaggio non ha nulla di ontologico
n lRbRh ha valore di assurdo, contrariamente a quanto spesso si ritiene. Il
saggio non d un giudizio sulla natura della creazione, che opera di Dio
e perci ha tutto il suo rispetto; d un giudizio sullopera delluomo nella
creazione e sulla creazione, sulle difficolt e sui limiti che luomo incontra
nella sua esperienza. un punto importante su cui torneremo pi volte nel
corso dellesposizione.
1.2. Composizione di Qo 3,10-15
Fra i passi in cui compare laffermazione che non c bene se non godere
e/o linvito a farlo, richiama lattenzione 3,10-15. Il brano presenta una
composizione in due parti parallele:
31. Non c accordo su come intendere la coppia

twor / NwyVor, dato che la loro radice pu


essere oor rompere, come intendono la Vulgata (adflictio spiritus), il Targum, la versione
siriaca e alcuni interpreti giudaici, tra cui Rashi (cf. A.J. Rosenberg, The Five Megilloth,
vol. 2: Lamentations, Ecclesiastes, New York 1992, 10-11); ma pu essere anche hor con
le sue varianti: I pascere, II essere compagno, associarsi, III (aramaismo) avere piacere, desiderio, scegliere (cf. Delitzsch, 227-228; Gordis, 200-201; Seow, 121-122); anzi,
secondo P. van Hecke, Polysemy or Homonymy in the Root(s) rh in Biblical Hebrew. A
Cognitive-Linguistic Approach, ZAH 14 (2001) 50-67, queste varianti potrebbero essere
riconducibili a ununica radice hor avente il senso fondamentale di to walk after. La
traduzione data sopra deriva dalla radice hor II mentre quella della LXX sembra derivare
da hor III: proairesi pneu/mato, che dovrebbe significare desiderio di vento, dato che
altrove proairesi indica una tendenza del cuore, sia buona (Gdc 5,2) che cattiva (Ger 8,5;
14,14), e il verbo proairew traduce lebraico rjb scegliere (Dt 7,6; 10,15; Is 7,15; Pro
1,29; in 21,25 ouj proairouvntai traduce wnSaEm rifiutarono) e anche qvj affezionarsi
(Gen 34,8; Dt 7,7, dove si alterna con rjb). Curiosamente il senso di hor I compare nella
prima delle tre aggiunte della LXX a Pro 9,12: (9,12A) Celui qui sappuie sur des mensonges, celui-l fera patre les vents (poimanei anemou), / cet homme-l poursuivra des
oiseaux en plein vol (diwxetai ornea peto/mena): D.-M. DHamonville - . Dumouchet
(edd.), La Bible dAlexandrie, 17: Les Proverbes. Traduction du texte grec de la Septante.
Introduction et notes, Paris 2000, 214. A detta degli editori, le espressioni pascolare i venti
e inseguire uccelli in volo erano proverbiali nel mondo greco per indicare cose impossibili
(ibid., 103-104; 215).

44

a)
b)
c)

A. NICCACCI

3,10-13:

w;b twnSoAl MdDaDh ynVbIl MyIhlTa NAtn rRvSa NynIoDh_tRa yItyIar 3,10

Vidi32 loccupazione che Dio ha dato ai figli delluomo per occuparsi di essa.

w;tIoVb hRpy hDcDo lO;kAh_tRa 3,11

Tutto egli ha fatto bello a suo tempo;

MD;bIlV;b NAtn MDlOoDh_tRa Mg

pure loscurit33 ha posto nei loro cuori,

MyIhlTaDh hDcDo_rRvSa hRcSoA;mAh_tRa MdDaDh aDxVmy_al rRvSa yIlV;bIm


di modo che luomo non comprenda (trovi) lopera che Dio ha fatto

Pws_dAow varEm

dallinizio alla fine.

b')

wyyAjV;b bwf twcSoAlw AjwmVcIl_MIa yI;k MD;b bwf NyEa yI;k yI;tVody 3,12

Ho imparato che non c bene tra di essi se non essere nella gioia e fare il bene
nella propria vita34.

32. Il verbo

yItyIar vidi viene ripreso e continuato da yItyIar dwow e ancora vidi in 3,16.
Luno e laltro introducono una constatazione, un dato di esperienza (cf. infra, 2.2), mentre
i due yI;tVody ho imparato in 3,12 e 3,14 comunicano acquisizioni, riflessioni o conseguenze
derivate dalle cose osservate.
33. Il problema come intendere MDlOoDh. Rashi intese: the wisdom of the world, mentre
Ibn Ezra nota che il termine significa sempre eternit nella Bibbia (cf. Rosenberg,
The Five Megilloth, 34-35, e M. Gmez Aranda [ed.], El comentario de Abraham Ibn
Ezra al libro del Eclesiasts. Introduccin, traduccin y edicin crtica, Madrid 1994,
52-53). Forse per il termine legato alla radice Mlo essere nascosto, in ugaritico
lm to grow dark, to cover over (cf. M. Dahood, Canaanite-Phoenician Influence
in Qoheleth, Bib 33 [1952] 191-221, spec. 206), pace Sacchi, 142-143, il quale rifiuta
questo senso e propone invece una certa visione dinsieme. Il senso essere nascosto
compare anche in Qo 12,14: Infatti ogni opera Dio condurr in giudizio, / (giudizio)
su tutto quello che nascosto (MDlVon_lD;k lAo), / sia buono che cattivo; cf. Sir 11,4:
wlop Mdam Mlonw / yy ycom twalp yk poich sono meravigliose le opere del Signore / e
nascosta al mortale la sua attivit. Per L. Mazzinghi, Il mistero del tempo: sul termine
lm in Qo 3,11, in: Fabris (ed.), Initium sapientiae, 147-161, MDlOo indica qui uno
spazio di tempo dalla durata indefinita diverso da t, con il quale del resto posto
in rapporto antitetico (p. 157); ma alla fine lui stesso non esclude un gioco di parole tra
tempo e mistero (nel senso di essere nascosto) e traduce il mistero del tempo
(p. 160). Si veda anche, dello stesso autore, Ho cercato e ho esplorato, 217-227.
34. Si noti il passaggio dal plurale (MD;b) al singolare (wyyAjV;b); letteralmente Ho imparato
che non c bene tra di essi (cf. 2,24: MdDaD;b bwf_NyEa non c bene nelluomo/tra gli uomini, cf. nota 59) / se non essere nella gioia / e fare il bene (ciascuno) nella sua vita. Forse
i due verbi essere nella gioia / e fare il bene sono endiadi: godere del bene che fanno,
mentre fanno il bene (cf. 3,22; 8,15). Il termine bwf non ha qui senso morale (bene etico,
come ha in 7,20 dove collegato a non peccare) ma indica piuttosto ogni cosa che d
gioia nella vita. Equivale perci a ci che segue: e goda (veda) il bene in tutta la sua
fatica (3,13). Lespressione fare il bene si oppone a fare il male, nel senso di fare
qualcosa di nocivo (cf. 2 Sam 12,18: si temeva che David facesse qualcosa di sconsiderato
alla notizia della morte del suo bambino nato da Betsabea) e perci lespressione non
necessariamente un grecismo, come spesso si ritiene, anche se equivale a eu prattein
fare bene (cf. Gordis, 222).

QOHELET

45

wlDmSo_lDkV;b bwf hDarw hDtDvw lAkayRv MdDaDh_lD;k Mgw 3,13

E anche (ho imparato che) ogni uomo che mangi e beva e goda (veda) il bene
in tutta la sua fatica,

a')

ayIh MyIhlTa tA;tAm

a)

MyIhlTaDh hRcSoy rRvSa_lD;k yI;k yI;tVody 3,14

b)
c)
b)
a)

dono di Dio questo.

3,14-15:

Ho imparato che tutto quello che Dio far,

oOrgIl NyEa wnR;mImw PyIswhVl NyEa wyDlDo MDlwoVl hyVhy awh


ci sar in eterno: ad esso non c da aggiungere e da esso non c da togliere;

wynDpV;lIm waryRv hDcDo MyIhlTaDhw

e Dio ha agito (cos) affinch abbiano timore di fronte a lui.

hyDh rDbV;k twyVhIl rRvSaw awh rDbV;k hyDhRv_hAm 3,15


Quello che fu gi e quello che sar gi fu35,

P;drn_tRa v;qAby MyIhlTaDhw

poich Dio ricercher quello che passato (inseguito)36.

35. Questo stico collega il presente (awh

rDbV;k) e il futuro (twyVhIl rRvSaw) al passato (hyDhRv_hAm


// hyDh rDbV;k): ci che avviene e ci che avverr sono uguali a ci che avvenuto. Questo
ripetersi degli eventi frutto del sovrano governo di Dio, come specifica lo stico successivo.
Scrive Delitzsch, 264: The government of God is not to be changed, and does not change;
His creative as well as His moral ordering of the world produces with the same laws the
same phenomena. Resta comunque il fatto che luomo non conosce in anticipo n pu
prevedere i tempi del governo divino (cf. 2.6). Riguardo alla tessitura grammaticale dello
stico, Delitzsch, 264, traduce hyDhRv_hAm come That which is now e awh rDbV;k come hath
been long ago, rovesciando i riferimenti temporali: presente-passato invece di passato-presente. Cos fanno anche Isaksson, Studies in the Language of Qoheleth, 82, e A. Schoors,
Words Typical of Qohelet, in: Schoors (ed.), Qohelet in the Context of Wisdom, 17-39,
spec. 22-23. Si noti per che, in conformit alla regola dellebraico biblico (cf. il mio saggio
Sullo stato sintattico del verbo hy, LA 40 [1990] 9-23), quando vuole indicare il passato
Qohelet usa il qatal (hyDh rDbV;k), mentre per indicare il presente non usa una voce del verbo
hyh ma il pronome personale (awh rDbV;k).
36. Fraseologia simile in Sir 5,3 (in un contesto di ammonizione contro la falsa sicurezza):
Mypdrn vqbm yy yk / wjk lkwy ym rmat la Non dire: Chi potr vincerlo (forse per vincermi, lett. chi potr contro la sua/mia forza)?, / poich il Signore cerca gli inseguiti.
Il senso sembra: God is seeking the circle of things gone by, per cui P;drn indicherebbe
what is driven away, i.e. the past, events that vanish (Gordis, 224); oppure: Dio ricerca
sempre le stesse cose, nel senso che His government remains always, and brings thus always up again that which hath been (Delizsch, 264). Dalla storia dellinterpretazione che
si legge in R.B. Salters, A Note on the Exegesis of Ecclesiastes 3 15b, ZAW 88 (1976)
419-422, risulta, tra laltro, che mentre Rashi fa propria linterpretazione tradizionale (Dio
cerca il perseguitato per punire il persecutore; cos gi la LXX: kai oJ qeo\ zhth/sei to\n
diwko/menon Dio cercher il perseguitato), Ibn Ezra se ne distacca (come gi la Vulgata:
et Deus instaurat quod abiit) e offre una spiegazione complessa, veramente degna di nota:
La obra de Dios sigue un nico procedimiento. Lo que ha sido ya es significa: aqu est,
hay como l. Lo que ser ya fue es lo mismo. Lo perseguido es el tiempo presente [y] lo
nombra con la palabra awh (es) [porque] est entre el pasado y el futuro; quiere decir que

46

A. NICCACCI

Lopera di Dio indicata al passato in 3,10-13, al futuro in 3,14-15. Nel


primo caso dovrebbe indicare lopera della creazione in s, nel secondo
lopera del governo della storia umana, o provvidenza. Tutto ci che Dio
ha creato bello/buono a suo tempo: ogni cosa stata fatta per uno scopo e
realizza a suo modo il piano divino. La conoscenza di questo piano tuttavia
supera le capacit delluomo.
Ci che detto della creazione vale per la provvidenza, o governo divino
degli eventi. Ci che Dio far ci che ha gi fatto e fa ora; questo dovrebbe
significare la frase avverr in eterno. Non nelleternit di Dio ma in quella
del mondo umano, nella sua stabilit e regolarit lungo tutto il corso della
storia. Per Qohelet infatti il concetto di eternit viene esemplificato nelle generazioni che vanno e vengono37, nel percorso del sole che tramonta e risorge
ogni giorno dallo stesso luogo, nel circuito del vento che gira e rigira nelle
varie direzioni, nei fiumi che vanno al mare senza mai riempirlo e ne riescono, e nelle parole/eventi che sono in continuo movimento senza che luomo
riesca mai ad esaurirle/i (1,4-8). In questo senso il saggio conclude: Quello
che fu ci che sar / e quello che fu fatto ci che sar fatto, / e non c
niente di nuovo sotto il sole (1,9).
Questultima frase dovrebbe suggerire non un sentimento di noia,
fatica, inutilit di tutto, ma piuttosto uno di fiducia: fiducia in Dio che
fedele a se stesso, che non governa a caso o secondo listinto del momento, come potrebbe fare un uomo, ma fedele al piano che ha stabilito38.
Dios pide que el tiempo sea perseguido. El tiempo persigue al tiempo y no acaba porque
el tiempo que pas se vuelve presente y lo que [va a] ser vuelve al pasado y vuelve al
primer tiempo: Gmez Aranda (ed.), El comentario de Abraham Ibn Ezra al libro del
Eclesiasts, 54-55. Il senso generale di 3,15 sembra dunque: Dio cercher quello che
inseguito/fuggito per ripeterlo. il tornare incessante del tempo e degli eventi.
37. Generazioni (rw;d) umane, non eventi naturali come intendono alcuni; cf. Fredericks,
Coping with Transience, 25, nota 1, con bibliografia.
38. L. Wilson, Artfull Ambiguity in Ecclesiastes 1,1-11: A Wisdom Technique?, in:
Schoors (ed.), Qohelet in the Context of Wisdom, 357-365, cerca di dimostrare che 1,4-8
un passo volutamente ambiguo, che permette sia linterpretazione positiva di R.N. Whybray,
il quale vi vede regular cyclical processes, sia quella negativa di R.E. Murphy secondo
cui quei versetti epitomize the fruitless nature of human activity. Io ritengo piuttosto che
non si tratti dellopera delluomo ma piuttosto di Dio: della stabilit della creazione (cf. 1,4:
la terra in eterno sta) e della regolarit della provvidenza che assicura lordine del mondo
(sole, vento, fiumi, parole) nel passare delle generazioni (rw;d, 1,4). Come afferma giustamente R.N. Whybray, Qoheleth as a Theologian, in Schoors (ed.), Qohelet in the Context
of Wisdom, 239-265, 1,3-11, then, is not a comment on the futility of life Vv. 4-11 are
principally concerned with the processes of nature rather than having man as their centre
of interest (p. 249). Non vedo per il bisogno di affermare che rw;d non significhi, come
dabitudine, successive periods in the history of mankind, o generazioni, ma piuttosto
time past and present (ibid., 248-249).

QOHELET

47

La concezione di un Dio a-morale del tutto estranea a Qohelet, come


quella di un Dio lontano, impersonale. Il fatto che il piano divino rimanga
nascosto alluomo non significa che non esista o che sia cattivo: Qohelet
non si permetterebbe mai un giudizio del genere, anche se alcuni interpreti glielo attribuiscono.
In questa concezione si comprende la frase misteriosa: poich Dio
cercher ci che inseguito/passato (3,15). Nel corso degli eventi della
storia del mondo Dio far accadere di nuovo quello che ha fatto accadere
nel passato e quello che sta facendo accadere ora. In questo senso appunto
non c niente di nuovo sotto il sole (1,9)39.
Da parte delluomo questo comporta che non c vantaggio (NwrVty /
rEtwy o rEtOy / rAtwm) per lui in tutta la sua fatica (1,3; 2,11.13; 3,9.19; 5,15;
6,11; 7,11.12; 10,10.11), e non c ricordo di nessuno del passato, n
del saggio n dello stolto (1,11; 2,16; 9,5.15). Il motivo di questo senso di
frustrazione sembra essere il fatto che niente di quello che luomo fa dura,
luomo stesso passa, viene presto dimenticato, deve lasciare ad altri il frutto
della sua fatica (2,18-21) e niente porter con s al momento della morte
(5,14).
Possiamo affermare perci che il limite delluomo si misura di fronte
alleternit: di fronte a quel MDlwoVl in eterno che compete allopera di
Dio (3,14), mentre tutto quello che luomo fa lRbRh (cf. 1,1)40.

39. Niente di nuovo sotto il sole un detto di solito frainteso (cf. nota 38), anche come

dichiarazione di impossibilit che accada qualsiasi cosa di nuovo nel mondo o, in base alla
supposta data di Qohelet, come critica della societ ellenistica o dellattesa escatologica del
tempo; cf. Krger, 119-120. Ha ragione Vlchez Lndez, 169: En este contexto el horizonte
ideal del hombre es el de lo permanentemente estable, inmutable, como Dios. Direi per
che il motivo di questo ideale non che nellantichit la categora del cambio se identifica
con la de imperfeccin y, al contrario, la de la inmutabilidad con la de la perfeccin (ibid.),
bens che lordine che Qohelet delinea quello di Dio.
40. La visione negativa della realt di Qohelet non mai assoluta (per cui non intitolerei la
pericope 2,13-2,26 le assurdit della vita come fa Sacchi, 130) ma deriva dalla coscienza
del limite umano di fronte allopera di Dio, come rileva ripetutamente Fischer, Die Aufforderung zur Lebensfreude. Direi per che la concezione del tempo adatto unindicazione
positiva circa la stabilit e fedelt del governo di Dio, non negativa come sostiene invece
Fischer: Auerdem wrde die Kenntnis der rechten Zeit keinen Vorteil bringen, da alles
in der Zeit geschieht und damit lRbRh ist und keinen Gewinn bringt (p. 43). Mi pare che
il termine tEo non abbia mai connotazione negativa in Qohelet; ad esempio, per lui male
morire prima del tempo fissato (cf. 7,17 KR;tIo alV;b), mentre bene banchettare nel tempo
adatto (10,17 tEoD;b), non al mattino (10,16). Daltra parte lopera della creazione detta lRbRh
non in s, dato che in s essa in eterno, ma quando viene considerata dal punto di vista
delluomo e dei suoi limiti (cf. 1.3).

48

A. NICCACCI

1.3. La creazione e la provvidenza


Il binomio ha fatto (nel passato) // far (nel futuro) (3,11.14; 1.2) suggerisce lutilit di esaminare questa terminologia. La radice hvo fare,
come verbo e come sostantivo, la pi frequente in Qohelet (43x il verbo,
21x il sostantivo hRcSoAm opera), che proprio un libro del fare. Siccome in
alcuni casi il verbo viene usato al passivo: hDcSon stato fatto (11x) o hRcDoy
verr fatto (1,9), si pone il problema se il soggetto sia Dio oppure luomo. anche questo un mezzo per decifrare il mondo ideale del saggio.
Quando il sostantivo hRcSoAm, per lo pi al singolare ma talvolta anche
al plurale, compare insieme al verbo hDcSon, si riferisce a Dio in 1,13-14
(wcSonRv MyIcSoA;mAh_lD;k_tRa [vidi] tutte le cose che sono state fatte) a motivo di
1,15: ci che storto non potr mai diventare diritto (cf. 7,13, in cui Dio
viene esplicitamente nominato); cos anche in 2,17, dato che lopera che
stata fatta sotto il sole la causa per cui Qohelet odia la vita; in 8,14: i giusti
vengono trattati come i malvagi (evidentemente da Dio); in 8,17: vedevo
tutta lopera di Dio, / che (cio) luomo non potr mai comprendere (trovare) / lopera che stata fatta sotto il sole; lo stesso in 9,3 e in 9,6, perch
lopera viene specificata, rispettivamente, come un caso unico per tutti, e
(i morti) non hanno pi una parte in eterno / in tutto quello che stato fatto
sotto il sole. Lopera si riferisce invece alluomo in 4,3 a motivo del legame
con 4,4, (invidia di uno verso laltro); in 8,16 perch lespressione sonno
con i suoi occhi non vede dovrebbe indicare lattivit delluomo che si esercita sullopera di Dio nominata in 8,17 sia in modo esplicito che implicito
(cf. sopra). Infine in 8,9 lopera che stata fatta sotto il sole indica quella
delluomo, in quanto subito dopo si nomina una forma di violenza tra esseri
umani; ma forse lespressione include anche lopera di Dio, cio la sua provvidenza, in quanto Qohelet lamenta la mancanza di un giudizio immediato
sui malvagi, naturalmente da parte di Dio (8,11).
Ci sono poi dei casi in cui si allude esplicitamente allopera di Dio solo
con il verbo o con il sostantivo: Tutto egli ha fatto bello a suo tempo (3,11;
Dio soggetto anche in 3,10); tutto quello che Dio far / Dio ha agito
(cos) affinch (gli uomini) abbiano timore di fronte a lui (3,14); Sia questa
che quello (= la sventura e il bene) ha fatto Dio (7,14); Dio ha fatto lessere
umano retto (7,29); non conoscerai mai lopera di Dio che far il tutto
(11,5), cio il suo governo del mondo, la sua provvidenza, espressione parallela a poich tu non sai quale [seme] riuscir quando semini (11,6).
Stando cos le cose, sorprende che Qohelet usi una terminologia molto
dura nei confronti dellopera di Dio sia della creazione (al passato) che della
provvidenza (al futuro):

QOHELET

49

Vidi tutte le cose che sono state fatte sotto il sole,


ed ecco, il tutto vanit e andare dietro a vento (Ajwr tworw lRbRh) (1,14);
E perci odiavo la vita
perch era male per me (yAlDo or) lopera
che stata fatta sotto il sole,
poich il tutto vanit e andare dietro a vento (2,17);
C una vanit che stata fatta (hDcSon rRvSa lRbRh_vy) sulla terra,
(cio) che ci sono giusti
a cui tocca secondo lopera dei malvagi;
e ci sono malvagi
a cui tocca secondo lopera dei giusti.
Dissi che anche questo vanit (8,14);
Questo male in tutto quello che stato fatto (hDcSon_rRvSa lOkV;b or hz) sotto il sole,
che (cio) c un caso unico per tutti;
e (di conseguenza) anche il cuore dei figli delluomo pieno di male
e la pazzia nel loro cuore durante la loro vita;
e dopo di ci (vanno) ai morti (9,3).

Cosa provoca una terminologia cos dura? Dal suo esame della realt
Qohelet conclude che luomo non pu raddrizzare ci che ai suoi occhi
storto (1,15); c un destino unico per tutti (2,14-15), non c ricordo del saggio, il quale muore come lo stolto (2,16) e deve lasciare ad altri il frutto della
propria fatica (2,17-19); il principio della retribuzione (chi fa il bene avr il
bene e viceversa) non sempre funziona (8,14); c un destino unico per tutti:
gli uomini vivono con il cuore pieno di sofferenza, poi devono morire e cos
non hanno pi le gioie della vita e non vengono pi ricordati (non hanno
alcuna ricompensa / poich il loro ricordo stato dimenticato) (9,3-5)41.
E ancora: come si conciliano quelle espressioni cos dure sullopera
divina della creazione e della provvidenza con laffermazione che Dio ha
fatto tutto bello a suo tempo (3,11)? Direi che la riflessione sui tempi (3,18) il tentativo pi alto di delineare in termini umani il piano di Dio, la sua
provvidenza che guida le sorti dellumanit42. Lespressione Dio ha fatto
41. Per avere un quadro completo delle cose che affliggono la riflessione del saggio e la vita

umana in generale bisognerebbe esaminare tutti i passi che vengono conclusi con lespressione vanit e andare dietro a vento (o simile), e anche i passi in cui si dice che luomo
non potr trovare lopera di Dio (3,11; 8,17) n conoscerla (11,5), che Dio agisce in
modo tale che luomo non trovi il suo futuro (7,14; cf. 3,22) n il passato (7,24).
42. Nei codici e nelle varie edizioni del testo questo brano famoso viene scritto in colonne
(cos anche Gs 12,9-24 e Est 9,7-9, che sono liste), in modo tale che le 28 occorrenze di
tEo tempo si corrispondono. Sono elencate 28 attivit, 14 positive (a) e 14 negative (b), 6
nellordine a-b e 8 nellordine b-a. Si pone il problema: opere di chi? delluomo o di Dio?
Opere delluomo, si intende abitualmente, ma almeno la prima coppia nascere-morire non
dipende dalluomo in via normale. E comunque nella mente di Qohelet il tEo tempo

50

A. NICCACCI

tutto bello a suo tempo (w;tIoV;b) completa e qualifica quella con cui si apre il
catalogo dei tempi: Per il tutto c un momento / e un tempo (tEow) per ogni
affare sotto il cielo (3,1)43. Si tratta comunque del bello di Dio, non delluomo, il quale non ha accesso al piano della creazione e della provvidenza,
non sa prevedere i tempi e quindi non comprende fino in fondo il senso delle
vicende umane44.
Da un lato, quelle espressioni dure sono formulazione della frustrazione
umana; dallaltro, dire che Dio ha fatto tutto bello a suo tempo significa
che luomo deve fidarsi di lui, il quale fedele e non capriccioso, pienamente responsabile della sua creazione45. Se vogliamo comprendere il mondo
sempre saldamente nelle mani di Dio. Questo il punto essenziale e perci mi pare fuori
luogo interpretare la lista dei tempi come espressione di determinismo, pessimismo o monotonia dellesistenza umana (cf. infra, 2.2).
43. M. Gilbert, Il concetto di tempo (to) in Qohelet e Ben Sira, in: Bellia - Passaro
(edd.), Il libro del Qohelet, 69-89, discute le varie opinioni su come intendere il concetto
di tempo e illustra anche le somiglianze con Ben Sira. Per parte mia non accentuerei le
differenze affermando che latteggiamento di Ben Sira radicalmente diverso da quello del
Qohelet, che riflette senza che Dio sia per lui vicino (p. 89). Bench sia nascosto, Dio
continuamente presente nella sua creazione e accompagna luomo nella sua attivit (cf. Qo
8,15 // 5,19; infra, 2.5).
44. Si confronti il magnifico testo di Sir 39,12-35; cf. J. Marbck, Kohelet und Sirach. Eine
vielschichtige Beziehung, in: Schwienhorst-Schnberger (ed.), Das Buch Kohelet, 275-301,
spec. 286-291, e il mio saggio Siracide o Ecclesiastico. Scuola di vita per il popolo di Dio,
Cinisello Balsamo (Milano) 2000, 32.
45. P. Sacchi, Il problema del tempo in Qohelet, PSV 36 (1997) 73-83, un articolo
istruttivo e stimolante, per quanto leggendolo mi sono venute alla mente alcune riserve.
Ad esempio, non mi pare che la concezione del tempo di Qohelet sia paragonabile a quella
dei filosofi greci (pp. 74-75). In realt Qohelet si muove sulla linea del libro di Giobbe, ad
esempio quando Dio interroga il protagonista sui tempi giusti delle costellazioni (w;tIoV;b, Gb
38,32), o sul tempo in cui partoriscono le capre (tdRl tEo, 39,1-2), e anche sulla linea di Proverbi, come quando il maestro loda la parola a suo tempo (w;tIoV;b) (Pro 15,23). N direi che
Qohelet esula completamente dalla sua stessa tradizione per il fatto che la sua religiosit
non si fonda mai sul Dio che si rivel al Sinai e sulla tradizione del suo popolo, che egli
conobbe certamente (p. 75). Infatti tutto il movimento dei saggi, fino a Ben Sira e Baruc,
non si rif per nulla al Dio del Sinai ma al Dio della creazione: questa infatti la prospettiva
teologica caratteristica della sapienza biblica. Daltra parte, quando Qohelet dichiara di ricercare e riflettere per mezzo della sapienza (hDmVkDjA;b) (1,13) non intende affatto, non meno
degli altri saggi prima di lui, che la sapienza sia una facolt umana, quello che in una
lingua moderna si chiama ragione (nota 2, pp. 75-76). Non penso neppure che, secondo
uninterpretazione condivisa anche da altri autori, per Qohelet nella natura ci sono leggi
immutabili, cicliche e che il processo conoscitivo non pu mai concludersi, perch luomo
non pu vivere oltre la morte per continuare le sue esperienze (1,8; 3,22) (p. 78). No, le leggi della natura non sono cicliche: immutabili s, perch Dio fedele a se stesso nel governo
del mondo; inoltre luomo non solo non pu percepire ci che oltre la morte, ma neppure
ci di cui fa esperienza con i sensi; infatti non pu e non potr mai capire pienamente lopera di Dio, il senso ultimo della creazione, che la sapienza del Dio creatore: convinzione,

QOHELET

51

ideale di Qohelet, dobbiamo abituarci a convivere con le verit contrapposte,


anche con le contraddizioni: da una parte lesperienza negativa, dallaltra la
fede positiva. Poich proprio dallo sforzo di tenere insieme le verit contrapposte dellesistenza umana nasce la soluzione che Qohelet propone (vedi in
particolare 2.4).
1.4. Vita sulla terra e nelloltretomba
opportuno accennare a questo argomento per il fatto che in 9,7-10 esso
connesso con linvito alla gioia46. La riflessione parte dalla constatazione che giusti e stolti hanno lo stesso destino sulla terra (9,1-3). Da ci il
saggio trae una riflessione amara: il cuore dei figli delluomo pieno
di male / e la pazzia nel loro cuore durante la loro vita; / e dopo di ci
(vanno) ai morti (9,3). Si pu discutere se i termini or // twlElwh male //
pazzia siano da intendere nel senso di cose moralmente deplorevoli o nel
senso che sembra pi congeniale alla riflessione di Qohelet. Seguendo il
suo ragionamento risulta infatti che, senza escludere evidentemente il risvolto morale, il male anzitutto provare una pena esistenziale di fronte
agli inesplicabili misteri della vita, e pazzia godere delle cose in modo
sconsiderato, senza interrogarsi sul senso della realt47.
Qohelet afferma poi che meglio per i figli delluomo essere scelti per
essere insieme ai vivi48 piuttosto che andare dai morti, poich va meglio a
un cane vivo che al leone morto, / poich i vivi sanno che moriranno / menanche questa, che egli condivide con tutti i saggi di Israele. Ci non significa per che luomo
non possa comprendere: Qohelet non scettico, come non lo sono i saggi di Israele; ha piuttosto un senso profondo dei limiti delluomo di fronte al Creatore provvidente che ha creato ed
presente nel mondo. Questo senso del limite crea, certo, disagio, ma alla fine, se ben gestito
con il timore di Dio, permette di godere dei veri beni della vita (cf. infra, 2.8).
46. Sulla prospettiva della sapienza in generale mi sia permesso di citare miei articoli di
anni fa: Sulla vita futura nei Proverbi, ED 34 (1981) 381-391; La foi eschatologique
dIsral la lumire de quelques conceptions gyptiennes, LA 33 (1983) 7-14; La teologia
sapienziale nel quadro dellAntico Testamento. A proposito di alcuni studi recenti, LA 34
(1984) 7-24.
47. Il significato moralmente neutro preferibile anche per il fatto che Qohelet parla di
figli delluomo (9,3) in generale, non specificamente di peccatori, anche se in questo caso
non nomina laspetto positivo accanto alla pazzia (ricordiamo che il suo programma tenere
insieme sapienza e pazzia/stoltezza, cf. 1.1).
48. Il testo consonantico (ketiv) ha: MyyAjAh_lD;k lRa rEjD;by rRvSa yIm chiunque sia scelto per
(essere con) tutti i viventi, ma i Masoreti registrano una lettura diversa (qere): rA;bUjy sia
unito (a tutti i viventi); cf. LXX o koinwnei pro\ panta tou\ zwnta colui che ha
parte con tutti i viventi.

52

A. NICCACCI

tre i morti non sanno nulla / e non hanno alcuna ricompensa / poich il loro
ricordo stato dimenticato (9,4-5). Il senso dovrebbe essere: il fatto che i
vivi sanno che moriranno li sprona ad approfittare del tempo concesso per
godere delle cose che Dio d, secondo la proposta usuale di Qohelet. I morti
invece non sanno nulla: di che cosa? Forse: i morti, come tutti gli uomini,
non sanno nulla del futuro e inoltre non hanno pi la possibilit di godere dei
beni della vita, e persino il loro ricordo stato dimenticato. Il che significa
che i morti non hanno pi neppure il bene che consiste nellessere presenti
presso le generazioni future attraverso la memoria. Di tutti infatti si perde
il ricordo, dei giusti come dei malvagi, persino di un benemerito della citt
(9,1549; cf. 4,16).
Il confronto tra morti e vivi prosegue: Sia il loro amore che il loro odio
/ e anche la loro invidia gi perita, / e non hanno pi una parte in eterno / in
tutto quello che stato fatto sotto il sole (9,6). Il senso : lamore e lodio,
cio quello che si desidera o si detesta, cose che sfuggono al vivente stesso
perch sono nelle mani di Dio come le opere dei giusti e dei saggi (9,1: n
amore n odio luomo conosce), dopo morte sono definitivamente perduti;
tutto quanto i morti hanno amato o odiato (= tutta la loro attivit) finito. In
altre parole, i morti non hanno pi alcuna possibilit di avere la loro parte,
cio di godere del frutto del loro lavoro, cosa che invece i vivi hanno (se Dio
vuole!).
A questo proposito alcuni dettagli richiamano lattenzione. Leggiamo
anzitutto alcuni accenni a un giudizio divino50:

Il giusto e il malvagio giudicher (fOpVvy) Dio,


poich c un tempo per ogni affare
e (giudizio) su ogni opera l (3,17; cf. 2.2);
(5) Chi osserva il comando non conoscer (ody al) niente di cattivo (or rDb;d),
e tempo e giudizio (fDpVvImw tEow = un giudizio a suo tempo) un cuore saggio conoscer
(ody),

49. A motivo della serie di weqatal che vi si trovano, 9,14-15 pu riferirsi a un caso futuro

o descrivere dei casi passati. In effetti uno dei problemi che si incontrano con weqatal che
esso si trova utilizzato sia in riferimento al futuro, nel qual caso si rende con il tempo futuro
e indica uninformazione singola, sia in riferimento al passato, nel qual caso si rende con
limperfetto e indica uninformazione ripetuta o descrittiva. Poich in 9,15 compare un qatal
negato, la seconda possibilit da preferire. Perci: (9,14) Una citt piccola, nella quale
erano pochi uomini, / se veniva (aDbw) contro di loro un grande re e la assediava (bAbDsw) / e
costruiva (hnDbw) contro di essa grandi fortificazioni, / (15) se si trovava (aDxDmw) in essa un
uomo povero saggio, / salvava (fA;lImw) lui la citt con la sua sapienza, / ma nessuno alla fine
ricord (rAkz al) quelluomo povero. Su questo passo difficile e anche su 4,16 cf. Gordis,
235-236 (4,16) e 301-302 (9,15).
50. I testi relativi sono stati esaminati recentemente da M. Maussion, Le mal, le bien et le
jugement de Dieu dans le livre di Qohlet, Fribourg - Gttingen 2003, 151-173.

QOHELET

53

(6) poich (yI;k) per ogni affare c un tempo e un giudizio,

poich (yI;k) la cattiveria delluomo (MdDaDh tAor) molta su di lui (= luomo dal cuore saggio),
(7) poich (yI;k) egli non conosce (AodOy wnnyEa) cosa avverr,
poich (yI;k) come avverr chi glielo annuncer (wl dygy yIm)? (8,5-7)51;
Sii nella gioia, o giovane nella tua adolescenza
E sappi che su tutto questo
Dio ti condurr in giudizio (11,9; cf. 2.7);
Infatti ogni opera Dio
condurr in giudizio,
(giudizio) su tutto quello che nascosto
sia buono che cattivo (12,14; cf. supra, nota 33).

Ci sono poi affermazioni contrastanti riguardo allo spirito delluomo:

(19) Poich un caso sono i figli delluomo

e un caso la bestia,
e un caso unico li attende ( per essi);
come muore luno cos muore laltro
e un unico spirito (dDjRa Ajwrw) per tutti
e vantaggio delluomo sulla bestia non c,
poich tutto vanit.
(20) Il tutto va a un luogo unico;
il tutto venne dalla polvere
e il tutto ritorna alla polvere.

51. Questi difficili versetti sono tra loro collegati: or

rDb;d del primo stico richiama MdDaDh tAor


del quarto, ody al del primo stico contrasta ody del secondo, odOy wnnyEa del quinto e wl dygy yIm
del sesto. Il problema maggiore come intendere i quattro yI;k. Il senso della traduzione data sopra il seguente: Chi osserva il comando del re (di questi infatti si parla nei versetti precedenti,
8,2-4, pace Maussion, Le mal, le bien et le jugement de Dieu dans le livre di Qohlet, 60.164166) non sperimenter niente di cattivo (il che significa che c giustizia per chi leale);
anzi il saggio sa (per la fede ricevuta) che esiste un tempo per il giudizio di ogni atto; questa
convinzione sostiene il saggio quando pesante per lui la vista del male che si fa nel mondo,
e tuttavia egli non conosce i tempi n i modi del giudizio (che restano sotto il controllo di
Dio). Unidea in parte simile compare in 5,7: Qualora oppressione del povero / e privazione
di diritto e di giustizia / tu veda nello stato, / non ti meravigliare della cosa, / poich uno che
alto pi di un alto veglia / e lAltissimo (MyIhObgw) (veglia) su ambedue. Per linterpretazione di
MyIhObg come plurale maiestatis, riferito cio a Dio, si veda Delitzsch, 292-293, il quale giustamente confronta un caso analogo di plurale: KyRarw;b il tuo Creatore (cf. infra, nota 118). Pace
Delitzsch, linterpretazione che Dio sia al di sopra degli amministratori (dellimpero persiano,
come intendono alcuni) non contrasta con il contesto, almeno dal punto di vista di Qohelet e
della sapienza biblica in generale, per la quale il re e il suo governo, chiunque essi siano, sono
i tutori dellordine voluto da Dio (cf. von Rad, La sapienza in Israele, cap. V Significato
delle regole per un comportamento sociale giusto, 75-93; A. Niccacci, Sfondo sapienziale
delletica dei codici domestici neotestamentari, in: L. Padovese [ed.], Atti del Simposio di
Tarso su S. Paolo Apostolo, Roma 1994, 45-72, spec. 50-51).

54

A. NICCACCI
(21) Chi sa, riguardo allo spirito dei figli delluomo (MdDaDh

ynV;b Ajwr),
se esso sale in alto,
e riguardo allo spirito della bestia (hDmEhV;bAh Ajwrw),
se esso scende in basso alla terra? (3,19-21)52;
Affinch la polvere (rDpDoRh bOvyw) ritorni alla terra comera (prima),
lo spirito invece ritorni (bwvD;t AjwrDhw) a Dio che lha dato (12,7)53.

Riguardo al giudizio di Dio, il saggio crede fermamente che esso avverr


sia per i giusti che per i malvagi; il tempo e il modo gli sfuggono, ma egli sa
che tutto fissato dal Creatore e Signore della storia54. Noi lettori vorremmo
sapere se il giudizio immaginato avvenire durante o dopo la vita sulla terra.
Qohelet non d una risposta su questo; dice soltanto che il giudizio avverr
nel futuro, per il motivo appunto che nessuno conosce i tempi di Dio durante
la vita sulla terra, meno ancora quelli dopo la morte. Per Qohelet lunico
ambito di cui si pu avere conoscenza, pur nei limiti che si sperimentano,
quello sulla terra. Un altro motivo, pi generale, della mancata risposta circa
52. La traduzione se esso sale se esso scende suppone che il

h di hDlOoDh e di tdrOyAh
sia la particella interrogativa, mentre i Masoreti lo hanno vocalizzato come articolo (cf.
Delitzsch, 270-271; contrario Gordis, 228). Come articolo intese Ibn Ezra, il quale spiega:
quin es el que conoce entre los hombres la diferencia que existe entre el espritu del
hombre y el espritu del animal? Quiere decir que se da uno entre mil (Gmez Aranda
[ed.], El comentario de Abraham Ibn Ezra, 59), in accordo con lesegesi giudaica tradizionale (cf. Rosenberg, The Five Megilloth, 42). Ma piuttosto chiaro che il contesto
richiede la particella interrogativa. Non se ne pu concludere per che Qohelet neghi o
dubiti della differenza tra luomo e la bestia, e che perci questo passo contraddica 12,7
(cf. infra, nota 56). Il passo significa semplicemente che il dato della fede non controllabile dalluomo. Unespressione simile, in forma esplicita di fede, si trova in Pro 15,
24: hDfDm lwaVvIm rws NAoAmVl lyI;kVcAmVl hDlVoAmVl MyyAj jrOa Un sentiero di vita verso lalto per il
prudente, / al fine di allontanarsi dallo sheol in basso.
53. Il weyiqtol bOvyw (12,7a) ha valore volitivo e indica scopo: affinch (la polvere) ritorni.
In questo weyiqtol si differenzia da weqatal che indica invece una conseguenza non volitiva: e cos, e perci; cf. Syntax of the Verb, 61-65. Si noti il cambio di ordine
delle parole nei due stichi di 12,7, da verbo finito-soggetto (rDpDoRh bOvyw) a soggetto-verbo
finito (bwvD;t AjwrDhw) che segnala una transizione temporale dal primo piano allo sfondo
per contrapporre la seconda affermazione alla prima: affinch la polvere ritorni alla
terra / lo spirito invece ritorni a Dio. In genere per i commentatori non fanno
alcuna distinzione tra le forme weqatal e weyiqtol che compaiono nel brano a partire da
12,3. Unidea simile a 12,7 si legge in Sal 104,29, Gb 34,14-15 e soprattutto in Sir 40,11:
Mwrm la Mwrm rvaw / bwvy Xra la Xram lk tutto quello che dalla terra, alla terra torner,
/ e quello che dallalto, allalto.
54. A.A. Fischer, Kohelet und die frhe Apokalyptik. Eine Auslegung von Koh 3,16-21,
in: Schoors (ed.), Qohelet in the Context of Wisdom, 339-356, ritiene che la fede nel giudizio
sia da attribuire al secondo epiloghista del libro di Qohelet e che perci sia improbabile
lopinione di quelli che vedono nel passo indicato una polemica contro un contemporaneo
gruppo apocalittico. Invece Maussion, Le mal, le bien et le jugement de Dieu dans le livre
di Qohlet, 160-161, attribuisce tutto a Qohelet e ne mostra la coerenza.

QOHELET

55

i tempi del giudizio che nella visione della Bibbia ebraica la sfera mondana
non nettamente distinta da quella ultramondana, anche per quanto riguarda
la vita e la morte. A ci si aggiunge il dato che la fede di Israele, non solo
nella sua componente sapienziale ma anche in quella yahvistica o della
storia della salvezza, presenta una concezione sommaria e poco sviluppata
dellaldil55.
Un altro problema riguarda lo spirito, cio il respiro che Dio soffi nel
naso di Adamo dopo averlo modellato con la polvere della terra, per cui egli
divenne un essere vivente (Gen 2,7). Come interpretare le formulazioni, che
suonano contraddittorie, di 3,19-21 e di 12,7? Direi che, qui come altrove,
Qohelet presenta risposte doppie contrastanti (cf. 1.3), in questo caso la risposta positiva della fede (12,7) e quella negativa dellesperienza (3,19-21):
negativa almeno nel senso che luomo non ha la possibilit di controllare
direttamente il dato della fede56.
Tutto il ragionamento si sviluppa cos nellambito della realt presente, che
straordinariamente rilevante, per il fatto che opera di Dio, ma anche fondamentalmente incomprensibile, ugualmente perch opera di Dio. Non credo si
55. Il motivo essenziale della mancata riflessione sullaldil lopposizione polemica al-

lambiente vicino-orientale antico che concepiva la risurrezione come una partecipazione


del defunto alla sorte del dio che muore e risorge (Baal in ambiente cananeo, Osiride in
ambiente egiziano). La riflessione si concentr invece sul rapporto con Dio in questa vita,
in particolare nello splendore del culto del Tempio. La vita oltre la morte rest piuttosto in
ombra ma non si pu dire che fu negata. Non mancano infatti, sia nella corrente yahvistica
che in quella sapienziale, accenni alla convinzione che il rapporto con Dio Signore della
vita e della morte non poteva finire con la morte, anche se mancavano categorie per concepirlo e linguaggio adatto per esprimerlo. Daltra parte, in Egitto la fede sicura nella vita
oltre la morte non escludeva, anzi conviveva, con espressioni di lamento sui defunti e sulla
loro condizione. Ho discusso questi problemi in due saggi gi citati, Sulla vita futura nei
Proverbi e La foi eschatologique dIsral. Nel secondo (pp. 13-14) ho sintetizzato un
studio sui passi interessati di Proverbi che poi stato pubblicato: V. Cottini, La vita futura
nel libro dei Proverbi, Jerusalem 1984. Il problema della mancanza di categorie adatte per
concepire ed esprimere la vita oltre la morte viene trattato in U. Kellermann, berwindung des Todesgeschicks in der alttestamentlichen Frmmigkeit vor und neben dem Auferstehungsglauben, ZThK 73 (1976) 259-282, un articolo che non ho citato nei due saggi
nominati sopra: Die dreifache Bildvariation [in Sal 73,23-26] fr die gleiche Hoffnung
der postmortalen Jahwegemeinschaft zeigt, wie dem Beter deren Ende nach seinem Sterben
undenkbar erscheint. Dabei fehlen ihm noch Vorstellungen und Sprache, das Abstraktum der
postmortalem Jahwegemeinschaft konkret zu machen (p. 277).
56. Diversamente, Lohfink ritiene che il punto di vista di 3,21 sia no doubt polemical
rispetto alla fede espressa in 12,7 (p. 141), mentre per Murphy, 37, Qohelet risponde a
unimprecisata opinione contemporanea che affermava una certa differenza tra uomo e animale quanto al destino finale. Daltra parte per Krger, 356, il fatto che la polvere torni
alla terra e lo spirito torni a Dio comporta che la morte segna la fine definitiva delluomo;
per altri significa invece che egli inizia la sua esistenza ombratile nello sheol. Ora per il
fatto stesso che Qohelet ponga il problema se lo spirito delluomo va in alto e quello della

56

A. NICCACCI

possa dire che Qohelet sia un materialista che nega quello che noi chiamiamo
la vita futura, n un filosofo empirico o un saggio immanentista critico
della tradizione israelitica57. Semplicemente egli si limita alla vita sulla terra,
perch questo lunico oggetto possibile della sua riflessione. Oltre non va.
Non nega quello che oltre; dice che nessuno sa e perci la riflessione non ne
pu trarre nulla di valido per luomo. Questo credo si possa dire: saldamente
fondato com in Dio che tutto pu e tutto sa, luomo deve essere aperto, pronto
a guardare/osservare (7,14) tutto ci che Dio voglia fargli sperimentare (cf.
2.4). Convinto sempre che Dio ha fatto una cosa e il suo opposto, il bene e il
male, uno di fronte allaltro, e che tutto bello a suo tempo (3,11).
notevole infine che a questa riflessione sui morti e sui vivi si agganci
un invito a godere (9,9-10; cf. 2.6). Il legame non casuale, dato che alla
fine viene richiamata la riflessione di partenza: infatti lespressione poich
non c opera n calcolo n conoscenza nello sheol dove tu stai per andare
(9,10b) si richiama a e dopo di ci (vanno) verso i morti (9,3).
2. Proclamazioni e inviti alla gioia
Ci che maggiormente continua a richiamare lattenzione degli studiosi
sono forse i passi sul godere in Qohelet. Colpisce il fatto che un saggio
che suona cos pessimista abbia ben sette inviti alla gioia (2,24-26; 3,12-13;
5,17-19; 7,13-14; 8,15; 9,7-10; 11,7-12,7). In realt non sono tutti inviti in
senso proprio: sono tali i passi con appello diretto e forme verbali volitibestia va in basso vuol dire che il tornare a Dio non significa la fine di tutto, altrimenti
quel problema non avrebbe senso. Come non avrebbe senso ci che precede: come muore
luno cos muore laltro / e un unico spirito per tutti / e vantaggio delluomo sulla bestia
non c (3,19). Alla luce di 12,7 (lo spirito ritorna a Dio) si deve dire che, almeno per la
fede, luomo non muore come la bestia, che non ha un unico spirito con essa e perci ha un
vantaggio. E comunque non sottoscriverei quello che afferma Lohfink, 15-16, che cio lidea
di immortalit fu introdotta in Israele dalla Grecia (Platone) e che Qohelet reagisce contro
certe attese escatologiche che erano sorte a seguito di questa introduzione (cf. al riguardo
supra, nota 54), attese che mettevano in discussione la seriet della morte.
57. Cf. D. Michel, Unter der Sonne. Zur Immanenz bei Qohelet, in: Schoors (ed.), Qohelet
in the Context of Wisdom, 93-111. Uninterpretazione diversa della formula sotto il sole
stata data sopra, 1.2-1.3. Drastico M.A. Shields, Ecclesiastes and the End of Wisdom,
TynBul 50 (1999) 117-139: it is clear that the wisdom of Qohelet has gone astray and is
ultimately incompatible with the message of the remainder of the canon (p. 139) (!). Per
parte mia non vedo alcun motivo valido per ritenere che Qohelet sia critico della sapienza
tradizionale, dato che le sue idee di base (onnipotenza di Dio creatore, limiti della creatura,
dovere di ricercare la sapienza come compito primario dellesistenza, ruolo del timore di
Dio in questa ricerca, vantaggi della sapienza ecc.) sono comuni al movimento sapienziale
in s (cf. supra, nota 21).

QOHELET

57

ve (imperativo, yiqtol iussivo), e cio 7,13-14; 9,7-10; 11,7-12,7; gli altri


sono riflessioni o proclamazioni di gioia dato che utilizzano forme verbali
indicative58.
I passi saranno studiati nel contesto e interpretati di conseguenza. consigliabile infatti non prendere frasi singole, staccate dal contesto. Bisogner
anche evitare di interpretare frettolosamente affermazioni, sia positive che
negative, come enunciati di fede dogmatica. Il libro di Qohelet anzitutto il
risultato di una riflessione coscientemente contenuta entro i limiti della capacit umana, anche se lautore si presenta come il massimo saggio di Israele,
sempre e comunque alla luce della fede.
2.1. Qo 2,24-26 (1 passo)
La prima proclamazione di gioia arriva piuttosto improvvisa in 2,24 senza
una propria introduzione grammaticale, cio senza alcuna particella, congiunzione o simile che la governi:
2,24

hDtDvw lAkayRv MdDaD;b bwf_NyEa


wlDmSoA;b bwf wvVpn_tRa hDarRhw
ynDa yItyIar hOz_Mg
ayIh MyIhlTaDh dyIm yI;k

Non c meglio per luomo che egli mangi e beva59


e faccia godere alla sua anima il bene nella sua fatica.
Anche questo ho visto io:
che dalla mano di Dio viene ci.

In base al contesto, la proclamazione di 2,24 retta dal yI;k del versetto


precedente. Infatti lespressione di 2,20, ynSa yItw;bAsw e mi rivolgevo io, regge
una sequenza di tre yI;k poich, infatti (2,21.22.23) che motivano il proposi58. Alcuni studi recenti sullargomento sono: Whybray, Qoheleth, Preacher of Joy; N.

Lohfink, Freu dich, Jngling doch nicht, weil du jung bist: Zum Formproblem im Schlussgedicht Kohelets (Koh 11,9-12,8), BibInt 3 (1995) 158-189; Fischer, Die Aufforderung zur
Lebensfreude, e Qohelet and Heretic Harpers Songs; Pahk, Il canto della gioia in Dio;
Anderson, A Critique of the Standard Interpretations of the Joy Statements in Qoheleth.
59. MdDaD;b bwf_NyEa, letteralmente: non c bene nelluomo/tra gli uomini, con bet della
persona, come in MD;b bwf NyEa non c bene in/tra essi (3,12), cio i figli delluomo (3,10).
Lespressione si trova anche con lamed della persona: MdDaDl bwf_NyEa non c bene per luomo (8,15). Nonostante una lieve differenza (cf. Delitzsch, 251-252.351: There is nothing
better among men, 2,24; there is nothing better for a man, 8,15), le due preposizioni
sono equivalenti (pace Schoors, Lambiguit della gioia in Qohelet, 277). Lazione che ,
o che non , bene/meglio viene espressa in 2,24 con Rv + yiqtol (continuato da due weqatal).
Il parallelismo con MdDaDh jAmVcy rRvSaEm bwf NyEa non c meglio che luomo si rallegri (3,22)
suggerisce che anche qui dovrebbe esserci un NIm: forse la mem finale di MdDaDl scritta una
volta per due, oppure si dir, con Delitzsch, 251-252, che la mem finale caduta. In due
passi paralleli si trova una costruzione equivalente: non c bene MIa yI;k + lamed e infinito
se non che, pi che (3,22; 8,15).

58

A. NICCACCI

to di far perdere ogni speranza al mio cuore60 / circa tutta la fatica / che avevo faticato sotto il sole, un proposito negativo che rovescia quello positivo
che ha messo in moto la grande impresa del saggio descritta in 1,12-2,1061,
e cio: Dissi io nel mio cuore: / Su vieni, voglio farti sperimentare la gioia /
perch tu goda il bene! (2,1; cf. 1.1).
Le tre considerazioni, ognuna introdotta da yI;k, che Qohelet enuncia allo
scopo di scoraggiare il proprio cuore cos da interrompere la (o piuttosto,
porre un limite alla) ricerca, sono: poich il saggio dovr dare il frutto della
sua fatica a un altro che non vi ha faticato (2,21); per cui il saggio si chiede
quale sia il vantaggio delluomo in tutta la sua fatica (2,22), dato che la sua
vita stata tutta unoccupazione dolorosa (2,23). La terza considerazione si
conclude con il motto anche questo nientaltro che vanit (2,23)62, come
la prima: anche questo vanit e male grande (2,21).
Il fatto che la proclamazione di gioia faccia seguito alla terza motivazione di non senso senza unintroduzione propria e quindi in semplice coordinazione, produce un forte contrasto: Anche questo nientaltro che vanit
Non c meglio per luomo che egli mangi e beva / e faccia godere alla sua
anima il bene nella sua fatica (2,23b 2,24).
come se il saggio dicesse al suo proprio cuore: Non possiamo tirare
la corda oltre misura dato che tutta la vita delluomo sulla terra dolore e
fatica; alla fine lunico bene godere. Non si tratta per di un godere pagano,
di un carpe diem, dato che il saggio osserva: Anche questo ho visto io: /
che dalla mano di Dio viene ci (2,24). perci un godere che viene dalla
mano di Dio, suo dono, non strappato con violenza o con inganno a un dio
invidioso approfittando delloccasione o della buona stella63. In che senso
questo avvenga sar spiegato in 5,17-19 (cf. 2.3).
yI;bIl_tRa vEayVl: dalla radice vay, solo qui al piel far perdere la speranza; negli altri 5 casi la radice appare al nifal vDawn essere senza speranza, desistere (1 Sam 27,1;
Is 57,10; Ger 2,25; 18,12; Gb 6,26). In Sir 47,23 la radice viene detta di Salomone:
vawym hmlv bkvyw Poi Salomone si addorment deluso. Si veda al riguardo il mio articolo La Lode dei Padri. Ben Sira tra passato e futuro, in Fabris (ed.), Initium sapientiae,
199-225, spec. 212. Altre coincidenze tra Qohelet e Salomone vengono segnalate nelle
note 61 e 107.
61. La descrizione si ispira chiaramente alle opere di Salomone: costruzioni (1 Re 7,1-12;
9,15-22 = 2 Cr 8,3-6), luoghi di divertimento (1 Re 9,19; 1 Cr 27,27; cf. Ct 6,2.11-12) e
harem (1 Re 11,1-8); cf., ad es., Delitzsch, 235-237. Su 1,12-2,10 e sui versetti precedenti
si pu consultare il mio saggio La casa della Sapienza, 86-91.
62. 2,23b: awh lRbRh hz_Mg, letteralmente: anche questo, vanit esso; cio hz casus
pendens (cf. nota 69).
63. Non parlerei perci di vanit ontologica della fatica, n direi che luomo deve contentarsi di ogni gioia che la vita possa offrirgli (Sacchi, 134). Da un lato, non vedo nulla di
60.

QOHELET

59

Ci che segue piuttosto misterioso sia per il senso che per il collegamento logico. Nonostante lopinione prevalente, io manterrei il suffisso di
prima persona di ynR;mIm e tradurrei: Infatti chi potrebbe affrettarsi a mangiare64 fuori di me?65 / Poich alluomo che buono davanti a lui / (Dio)
ha dato sapienza e conoscenza e gioia, / mentre al peccatore ha dato loccupazione di adunare e di raccogliere / (ma solo) per dare al buono davanti
a Dio (2,26). Si potrebbe intendere: Godere della propria fatica dono di
Dio (2,24); e chi potrebbe attestarlo meglio di me? Infatti Dio ha concesso
a un giusto come me sapienza e ogni gioia, a differenza del peccatore a cui
ha concesso di accumulare ma solo perch il frutto del suo lavoro passi a
ontologico nella riflessione di Qohelet; dallaltro Dio, piuttosto che la vita, che concede
di godere. Per Qohelet il risultato della fatica incerto, in quanto dipende da Dio e non dalluomo; sempre limitato nel tempo, come la vita umana, per cui non saggio prolungare
lo sforzo oltre il limite giusto, quello cio che lascia il tempo necessario per godere di ci
che Dio concede giorno per giorno.
64. 2,25: ynR;mIm Xwj vwjy yImw lAkay yIm yI;k. Un problema di 2,25 il senso della radice vwj.
Secondo L. Koehler - W. Baumgartner, Hebrisches und aramisches Lexikon zum Alten
Testament, vol. I, Leiden 1967, 287-288, sono attestate due radici vwj: I affrettarsi, II (ritenuto della lingua tardiva) provare una sensazione. Ora la sensazione pu essere felice, nel
qual caso il senso del verbo godere, come qui, dove esso collegato a mangiare: e
chi potrebbe mangiare e chi potrebbe godere?; ma la sensazione pu anche essere dolorosa,
come in Gb 20,2: yApIoVc miei pensieri // yIvwj mia preoccupazione. Unaltra possibilit
si presenta sulla base di Ab 1,8, in cui compaiono insieme gli stessi due verbi: lwkTaRl vDj
(come unaquila) veloce a mangiare. Alla luce di questo testo, Qo 2,25a potrebbe essere
analizzato come unendiadi: vwjy yImw lAkay yIm chi manger e chi si affretter?, cio: chi si
affretter a mangiare? chi correr veloce (e sicuro) a mangiare? Cos infatti intende Rashi
(citato nella nota 65).
65. Lavverbio Xwj si costruisce di solito con lamed: fuori di (un luogo, uno spazio);
con NIm solo qui e Ne 13,8 (un po diverso in 2 Re 4,3). Delitzsch, 252, come molti interpreti, legge un suffisso di terza persona, invece che di prima, riferito a Dio: we have
to read wnmm Xwj, after the LXX (which Jerome follows in his Comm.) and the Syr.;
e traduce: For who can eat, and who can have enjoyment, without [= except from]
Him?. Conservando invece il suffisso di prima persona si ha, secondo linterpretazione
di Rashi: Who is fit to eat what I toiled for, and who will hasten to swallow it, except
me? [ydolbm holwbl rhmy ymw] (Rosenberg, The Five Megilloth, 27-28). Murphy, 24, e
Maussion, Le mal, le bien et le jugement de Dieu dans le livre de Qohlet, 123, sono tra i
pochi interpreti che conservano il pronome di prima persona, traducendo, rispettivamente,
For who can eat or rejoice, if not I?, e Car qui mange et qui se rjouit hors de moi?.
Murphy annota giustamente: This verse is to be understood in the light of the king fiction
It reinforces the recommendation made about accepting the pleasures of life. The man who
surpassed all before him in Jerusalem can speak with authority about pleasures (p. 26).
Da parte, sua Maussion interpreta il v. 26 non come glossa ma nel contesto e conclude: Il
convient alors se rjouir dans linstant des joies simples que Dieu donne; cependant, cette
relation de dpendance de lhomme par rapport son Crateur nest pas vcue comme un
enfermement par Qohlet, mais comme la source dune reconnaissance gratifiante envers
Dieu dispensateur de tout bien (p. 129).

60

A. NICCACCI

chi giusto davanti a lui66. Il suffisso di prima persona suggerisce allora di


identificare Qohelet stesso con il giusto davanti a Dio. Daltra parte egli, in
quanto figlio di David, re di Gerusalemme, o Salomone redivivo, ha la
capacit massima di raccogliere ogni genere di beni e di goderne (cf. 1.1).
La sua esperienza dunque massimamente esemplare sia per vastit che per
autenticit, in quanto lesperienza di un re non solo ricchissimo ma anche
giusto e saggio davanti a Dio. Questo suggerisce, tra laltro, che la finzione regale, per cui Qohelet si presenta come Salomone, funzionale: ha
lo scopo di avanzare la propria esperienza come sommamente esemplare,
ineguagliabile, e quindi da prendere estremamente sul serio.
2.2. Qo 3,12-13 + 22 (2 passo)
Dopo il catalogo dei tempi (3,1-8; cf. 1.3) risuona la domanda angosciante del saggio: Qual lutilit di colui che fa / in quello che egli fatica?
(3,9). Seguono, in risposta, due constatazioni introdotte rispettivamente da
yItyIar (3,10) e da yItyIar dwow (3,16).
La prima constatazione (3,10-15, con due parti parallele, 3,10-13 //
3,14-15, cf. supra, 1.2) riguarda il compito affidato da Dio alluomo: Vidi
loccupazione / che Dio ha dato ai figli delluomo / per occuparsi di essa
(3,10). In che cosa consista tale occupazione si comprende da ci che segue:
Tutto egli ha fatto bello a suo tempo (3,11). Si tratta dunque dellopera
della creazione e dei tempi che Dio ha stabilito per il suo governo del mondo
nella fase sia positiva che negativa secondo il catalogo di 3,1-8: un tempo
per partorire/nascere e un tempo per morire.
Linizio di 3,11, citato sopra, fa sorgere un sentimento positivo di fiducia, molto diverso dalla dura formulazione di 1,13: Ponevo il mio cuore /
a ricercare e a investigare con la sapienza / su tutto quello che stato fatto
sotto il cielo: / ci unoccupazione dura (or NynIo) / che Dio ha dato ai figli
delluomo / per occuparsi di essa67. Ma ci che segue precisa che la cono66. Un pensiero analogo si trova in Pro 13,22b:

aEfwj lyEj qy;dAxAl NwpDxw ed conservata [da


Dio] per il giusto la ricchezza del peccatore; e Sal 39,7: MDpVsOa_yIm ody_alw rO;bVxy (luomo)
ammucchi pure (ricchezze), non sapr chi colui che le raccoglier. Lo sforzo di Sacchi,
135-137, di interpretare Qo 2,26 in base al contesto apprezzabile ma sembra non tener
conto di questo topos della sapienza israelitica.
67. 1,13b: w;b twnSoAl MdDaDh ynVbIl MyIhlTa NAtn or NynIo awh. Si noti il legame lessicale del sostantivo NynIo e del verbo hno. Il sostantivo compare 8 volte in Qohelet (cf. 2,23.26; 3,10; 4,8;
5,2.13; 8,16), mai altrove; legato al verbo hno (qal) + bet occuparsi di (cf. 5,19 hifil
tenere occupato; 10,19 rispondere a, soddisfare).

QOHELET

61

scenza del tempo adatto riservata a Dio e luomo non vi potr mai arrivare.
A motivo di unoscurit che Dio gli ha posto nel cuore come segno del
limite della creatura umana, luomo non riuscir mai a comprendere il senso
ultimo, completo della creazione (3,11b; cf. supra, 1.2). E la parte parallela
precisa che Dio ha agito cos affinch luomo abbia il suo timore (3,14): lo
riconosca cio come il Creatore e Signore e lo rispetti.
In questo contesto inserita la proclamazione di gioia: Ho imparato che
non c bene tra di essi / se non essere nella gioia / e fare il bene nella propria vita (3,12). Unica via di uscita dalla situazione di disagio che luomo
prova di fronte allincomprensibile opera di Dio, anzi positivamente lunico
bene per lui godere le gioie della vita. Ma Qohelet aggiunge subito una
specificazione decisiva: E anche (ho imparato che) ogni uomo che mangi
e beva / e goda il bene in tutta la sua fatica, / dono di Dio questo (3,13).
Come in 2,24 (dalla mano di Dio viene ci), lidea che il fatto stesso che
uno possa godere il frutto della propria fatica un dono di Dio, dato che tale
godimento non affatto scontato (cf. 5,17-19; 6,2-6).
Dal parallelismo con 3,14-15, la proclamazione di gioia di 3,12-13 trova
appoggio e fondamento solido nel modo costante con cui Dio governa il
mondo: Ho imparato che tutto quello che Dio far, / ci sar in eterno: / ad
esso non c da aggiungere / e da esso non c da togliere (3,14). Abbiamo
gi osservato infatti che lelenco dei tempi in 3,1-8 un tentativo di catalogare in termini umani il governo provvidente di Dio sulla storia umana ( 1.3).
Le vicende sia positive che negative hanno origine da Dio, n potrebbe essere diversamente dato che la fede non ammette un principio del male separato
dal principio del bene. Luomo pu elencare i fenomeni, catalogarli in modo
antitetico, uno positivo di fronte al negativo corrispondente, perch sa che
Dio integro nella sua condotta, non si lascia corrompere: ripaga il male con
il male e il bene con il bene, anche se alluomo appare diversamente; e perci
il suo modo di governare il mondo costante, fedele: appunto, ad esso non
c da aggiungere / e da esso non c da togliere (3,14)68.
68. A. Vonach, Gottes Souvernitt anerkennen. Zum Verstndnis der Kanonformel in

Koh 3,14, in: Schoors (ed.), Qohelet in the Context of Wisdom, 391-397, mostra bene che la
formula niente da aggiungere e niente da togliere non si riferisce al problema della canonicit di Qohelet ma piuttosto unaffermazione di fede. Proclama la perfezione dellopera
di Dio e la sovranit del Creatore, il quale offre alluomo che ha il suo timore la possibilit di una libera risposta nella vita quotidiana. In effetti lespressione non c niente da
aggiungere/togliere si dice sia dellagire di Dio che della sua Parola, allo scopo sempre di
proclamarne la perfezione; cf. Dt 4,2; 13,1; Pro 30,6; Sir 18,6 greco (oujk estin elattwsai
oujde prosqeinai, leggermente diverso dalla LXX di Qo 3,14: oujk estin prosqeinai kai ap
aujtouv oujk estin afelein); 42,21; 43,27. Una posizione per certi versi estrema sullargomento della canonicit sostenuta da N. Lohfink, Les pilogues du livre de Qohlet et les
dbuts du canon, in: R. Meynet - P. Bovati, Ouvrir les critures. Mlanges offerts Paul

62

A. NICCACCI

Diversamente dalla prima (3,10-15), la seconda constatazione fortemente negativa: E ancora vidi sotto il sole: / il luogo del giudizio, l c
la malvagit, / e il luogo della giustizia, l c la malvagit (3,16)69, cio
lingiustizia presente persino nel tribunale. Veramente la fede assicura che
Dio ristabilir la giustizia a suo tempo: Dissi io nel mio cuore: / Il giusto e il
malvagio giudicher Dio, / poich c un tempo per ogni affare (XRpEj_lDkVl tEo)
/ e (un giudizio) su ogni opera l (MDv hRcSoA;mAh_lD;k lAow) (3,17).
Questa traduzione richiede un piccolo commento. Il problema maggiore,
a parte il cambio di preposizione da Vl a lAo negli stichi (c-d)70, riguarda linterpretazione di MDv alla fine di 3,1771. Dal punto di vista letterario direi che, da
un lato MDv richiama i due hD;mDv l di 3,16, e dallaltro 3,17 parallelo a 8,6 e
a 12,14 (cf. supra, 1.4), come mostra lo schema seguente:
Qo 3,16 / 8,6 / 12,14
(3,16) (Vidi) il luogo del GIUDIZIO (fDpVvI;mAh),
l (hD;mDv) c la malvagit,
e il luogo della giustizia,
l (hD;mDv) c la malvagit .
(8,6) fDpVvImw tEo vy XRpEj_lDkVl
per ogni affare c un TEMPO e GIUDIZIO.
(12,14) fDpVvImVb aIby MyIhlTaDh hRcSoAm_lD;k_tRa yI;k
Infatti ogni opera Dio condurr in GIUDIZIO,

or_MIaw bwf_MIa MDlVon_lD;k lAo

cf. 3,17
(a) oDvrDh_tRaw qy;dAxAh_tRa
(b) MyIhlTaDh fOpVvy
Il giusto e il malvagio
GIUDICHER (fOpVvy) Dio,
(c) XRpEj_lDkVl tEo_yI;k
poich c un TEMPO per ogni affare
(d) MDv hRcSoA;mAh_lD;k lAow
e (un GIUDIZIO) su ogni opera l.

(GIUDIZIO) su tutto quello che nascosto,


sia buono che cattivo.
Beauchamp loccasion de ses soixante-dix ans, Paris 1995, 77-96, il quale non solo ritiene
che 12,9-14 non faccia parte del libro originale, ma lo interpreta essenzialmente alla luce
del problema di stabilire un elenco dei libri di testo per la scuola del Tempio.
69. Troviamo due volte la medesima costruzione, con fDpVvI;mAh MwqVm / qdRxAh MwqVmw il luogo
del giudizio / il luogo della giustizia che casus pendens (detto anche elemento in extraposizione o topicalizzato) e funge da protasi(cio da proposizione circostanziale posta
prima di quella principale), e oAvrDh hD;mDv l cera la malvagit (elemento ripetuto con
piccola variazione vocalica) che lapodosi (o proposizione principale). Delitzsch, 265,
dichiara possibile questa analisi ma preferisce, nonostante gli accenti masoretici, analizzare
fDpVvI;mAh MwqVm come oggetto del verbo vidi. Questa espressione invece accusativo avverbiale o di luogo per Seow, 166 (in the place of justice), e per Vlchez Lndez, 246 (en el
lugar del derecho), mentre per Murphy, 30, un anacoluto (il che un modo, credo, non
esatto di indicare il casus pendens; ma poi traduce anche lui in the place for judgment).
70. Per alcuni, come Delitzsch, 266, le due preposizioni sono equivalenti. Preferisco riferire
la preposizione lAo allidea espressa da giudicher Dio (3,17c; cf. Qo 12,14 e Ger 2,35 per
la costruzione fpv + lAo della cosa su cui avviene il giudizio), e lespressione con lamed
(XRpEj_lDkVl) a il giusto e il malvagio (3,17b).
71. La LXX collega MDv al versetto seguente: ekei eipa egw l ho detto io (3,18), mentre
la Vulgata lo intende come avverbio di tempo: et tempus omni rei tunc erit.

QOHELET

63

Ritengo perci che MDv di 3,17 abbia valore locale, l, e si riferisca al


luogo del giudizio presso Dio, cio al tribunale celeste, in contrasto con i
due l di 3,16 che sono connessi con il luogo dellingiustizia, il tribunale
terreno72.
Ma il saggio non nasconde la sua dura riflessione al riguardo: Dio tiene
per s i tempi del giudizio perch gli uomini comprendano che in s essi
sono come gli animali (3,18); difatti un destino unico, la morte, attende sia
gli uni che gli altri (3,19-20), e nessun uomo potr mai accertare quello che
la fede insegna: riguardo allo spirito dei figli delluomo, / se esso sale in
alto / e riguardo allo spirito della bestia, / se esso scende in basso alla terra
(3,21)73.
72. Cos Delitzsch, 266: But if

Mv is understood adverbially, it certainly has a local meaning connected with it: there, viz., with God, apud Deum; e anche Fischer, Die Aufforderung
zur Lebensfreude, 47. Una proposta differente, con semplice cambio di vocalizzazione (MEv
nome invece di MDv l), stata avanzata da B. Chiesa, Qohelet 3,17: osservazioni
sul testo, RSLR 10 (1974) 245-250: perch (c) un tempo per ogni cosa/attivit / e su
ogni azione un nome, oppure e per ogni azione (c) un nome. Lautore collega questa
lezione con 6,10: ci che , gi stato chiamato il suo nome (wmVv). Egli ritiene giustamente che linterpretazione di MDv come designazione delloltretomba sia esclusa. In effetti
linterpretazione escatologica fu sostenuta da Ibn Ezra: El significado de MDv (all) es una
alegora del mundo futuro (Gmez Aranda [ed.], El comentario de Abraham Ibn Ezra al
libro del Eclesiasts, 56), mentre Rashi interpret MDv in senso temporale come la Vulgata
(cf. supra, nota 71): and for every deed that man did, they will judge him there when the
time of the visitation arrives; there at that time [toh wtwab Mv], a time [Nmz] is given for
every deed, to be judged for it (Rosenberg, The Five Megilloth, 39; ebraico a p. 38). Si
noti che linterpretazione che ho proposto sopra non implica il giudizio escatologico ma
piuttosto il giudizio che Dio fa delle azioni di tutti gli uomini sulla terra (cf. supra, 1.4).
Cos sembra intendere anche Maussion, Le mal, le bien et le jugement de Dieu dans le livre
de Qohlet, ad es. p. 173.
73. La tensione tra il dato positivo di fede (Dio giudicher il giusto e il malvagio, 3,17) e
il dato negativo dellesperienza (Dio tiene per s i tempi del giudizio; c un destino unico
per tutti) costitutiva nella dinamica del ragionamento di Qohelet. Non credo che si renda
giustizia al testo dicendo che 3,17 citazione di unopinione di contenuto tradizionale
come fa, ad esempio, Fischer, Die Aufforderung zur Lebensfreude, 46. Fischer, da un lato,
giustamente riconosce che Qohelet non critica la sapienza antica di Israele, rappresentata da
Proverbi, ma piuttosto la traditionelle Weisheit che si esprime, ad esempio, nei discorsi
degli amici di Giobbe (ibid., 26-27); dallaltro, per, nel corso dellesposizione parla sempre e solo di traditionelle Weisheit, criticata da Qohelet, per cui si ha limpressione che
quella sia, in fondo, la sapienza israelitica tout court (cf. ad es., p. 107). Fischer inoltre non
si libera dalla concezione del cosiddetto Tun-Ergehen-Zusammenhang, cara agli esegeti
di lingua tedesca (cf. ad es., pp. 26-27; 46-47). Per parte mia direi che il legame tra atto
e conseguenza sicuro per la sapienza di Israele di ogni tempo e non viene mai messo in
discussione, dato che Dio giusto e non capriccioso. Quel legame non per in nessun caso
automatico, neppure per lottimistico libro dei Proverbi, e quindi pu non corrispondere
alle attese delluomo, poich Dio resta libero di modificarlo momentaneamente per un suo
scopo, sempre comunque per il bene ultimo delluomo, anche se questi non lo comprende.

64

A. NICCACCI

Giunge qui una nuova proclamazione di gioia, che riprende e specifica


quella di 3,1274:
3,22

bwf NyEa yI;k yItyIarw


wyDcSoAmV;b MdDaDh jAmVcy rRvSaEm
wqVlRj awh_yI;k
twarIl wnRayIby yIm yI;k
wyrSjAa hyVhyRv hRmV;b

Perci vedevo75 che non c bene


pi che luomo si rallegri delle sue opere76,
poich questa la sua parte;
poich chi lo porter a vedere
quello che sar dopo di lui?

Non credo che si debba attribuire valenza dogmatica alle riflessioni di


3,18-21, come se Qohelet negasse ogni differenza tra uomo e animale e anche la vita dopo la morte. Credo piuttosto che quelle riflessioni esplicitino, in
modo certo impietoso, la mancanza di conoscenza da parte delluomo circa
il futuro, compresa la sua condizione dopo la morte. Qohelet afferma che
le poche conoscenze che luomo pu acquisire con il suo lavoro/esperienza
sono limitate al presente e alla vita sulla terra (cf. 1.4).
Come mostra lo schema che segue, le due proclamazioni (C1 = gioia
come dono di Dio, e C2 = gioia come parte delluomo) compaiono allinterno
di uno svolgimento unitario in due parti, che comprende unosservazione di
partenza (A1 = positiva circa lopera di Dio, A2 = negativa circa lesperienza
umana) e una riflessione sullo scopo dellagire di Dio (B1 = perch non lo
conoscano / per mostrare che sono come bestie, B2 = perch lo temano)77.
In Giobbe lo scopo di Dio liberare luomo dallorgoglio (Gb 33,17; cf. infra, 2.8); in
Qohelet lo scopo che luomo non comprenda lopera di Dio e tema il suo Creatore (cf.
infra e 2.4). Per questo non ritengo accettabile lopinione comune che vede in Giobbe e
in Qohelet delle composizioni critiche della sapienza antica. Sono semplicemente composizioni diverse, da Proverbi come anche da Siracide, per il fatto che trattano argomenti e
si rivolgono a un pubblico diverso, pi maturo, e trattano argomenti specifici. Ma ci non
significa che non ne condividano la posizione di base (cf. supra, nota 21).
74. Considero 3,22 insieme a 3,12-13 perch appartengono a una sezione unitaria (vedi
infra). Invece Whybray, Qoheleth, the Preacher of Joy, tratta a parte 3,22 come terzo
passo sulla gioia, mentre tralascia 7,13-14. Anche Fischer, Die Aufforderung zur Lebensfreude, 49-50, tratta a parte 3,22 come terzo passo sulla gioia (egli lo definisce dritte
Aufforderung zur Lebensfreude, per quanto di per s il testo sia una proclamazione, non
un invito). Fischer non conta 7,13-14, che per me il terzo passo ( 2.4), ma lo commenta
brevemente allinterno della sezione 6,10-8,17, dove compare 8,15 che per lui il quinto
passo (il quarto 5,17-19).
75. Per la funzione di weqatal in riferimento allasse del passato cf. supra, nota 26.
76. Cf. 2,24 (supra, nota 59).
77. Conclude giustamente Fischer, Die Aufforderung zur Lebensfreude, 44: Aus diesen
Darlegungen ergeben sich die zwei Grundpfeiler der Lehre Kohelets: Lebensgenu (3,12,
13) und Gottesfurcht (3,14b). Particolarmente importante laffermazione che il timore di
Dio non un elemento estraneo a Qohelet, aggiunto posteriormente, come ritengono vari
autori, ma costitutivo del suo pensiero (cf. infra, 2.4).

QOHELET

65

Nella prima parte la proclamazione si trova nel mezzo dello svolgimento,


nella seconda parte si trova alla fine. Ecco lo schema:
A1) Occupazione umana tutto Dio ha fatto bello a suo tempo (3,10-11a)
B1)
Dio ha posto oscurit nel cuore degli uomini perch non conoscano (3,11b)
C1)
Non c bene se non godere = dono di Dio (3,12-13)
A1) Tutto in eterno, non c da togliere/aggiungere (3,14a)
B2)
Dio ha agito cos perch lo temano (3,14b)
A1) ci che fu = = sar (3,15)

A2) Giustizia e ingiustizia (3,16)


A1) Dio far giustizia a suo tempo (3,17)
B1)
(Dio agisce cos) per provare che gli uomini sono bestie (3,18-22)
C2)
Non c bene pi che godere = sua parte (3,22).

2.3. Qo 5,17-19 (3 passo)


Cerchiamo di comprendere la composizione di 5,12-19 in cui inserito il
terzo passo sulla gioia:
A)
B)

A1)
B1)

A2)
B2)

vRmDvAh tAjA;t yItyIar hDlwj hDor vy


wtDorVl wyDlDoVbIl rwmDv rRvOo
or NynIoV;b awhAh rRvOoDh dAbDaw
hDmwaVm wdyV;b NyEaw NE;b dyIlwhw
w;mIa NRfR;bIm aDxy rRvSaA;k
aD;bRvV;k tRkRlDl bwvy MwrDo
wlDmSoAb aDcy_al hDmwaVmw
wdyV;b JKElOyRv
hDlwj hDor hOz_Mgw
JKEly NE;k aD;bRv tA;mUo_lD;k
AjwrDl lOmSoyRv wl NwrVty_hAmw
lEkay JKRvOjA;b wyDmy_lD;k Mg
PRxqw wyVlDjw hE;brAh sAoDkw
ynDa yItyIar_rRvSa hnIh
tw;tVvIlw_lwkRaRl hRpy_rRvSa bwf
hDbwf twarIlw

78. La singolare costruzione hRpy_rRvSa

(12) C un male terribile che ho visto sotto il sole:

ricchezza conservata per il suo padrone per il suo male;


(13) se quella ricchezza si perder per un affare cattivo,
egli generer un figlio che non avr in mano nulla;
(14) come uscito dal ventre della sua madre,
nudo di nuovo se ne andr come venuto
e nulla prender della sua fatica
che possa portare via nella sua mano.
(15) E anche questo un male terribile:
esattamente come uno venuto, cos se ne andr;
e quale vantaggio avr colui che faticher per il vento?
(16) Anche se per tutti i suoi giorni manger nel buio
e si dar molta pena, (ecco viene) la sua malattia e ira!
(17) Ecco quello che ho visto io:
buono il fatto che bello che (uno) mangi e beva78
e goda il benessere

bwf ha un parallelo in Os 12,9: E Efraim disse: / Ma


sono diventato ricco, ho trovato abbondanza per me; / tutti i miei sforzi non troveranno per
(o: contro di) me / malvagit che peccato (aVfEj_rRvSa NOwDo). Delitzsch, 301-302, propone
unanalisi in parte diversa di Qo 5,17: modificando gli accenti masoretici unisce bwf a ci
che precede, per cui il secondo rRvSa risulta parallelo al primo: Behold then what I have
seen as good, what as beautiful (is this): that one eat and drink. Questa analisi stata

66

A. NICCACCI

vRmRvAh_tAjA;t lOmSoyRv wlDmSo_lDkV;b


wDyAj_yEmy rApVsIm
MyIhlTaDh wl_NAtn_rRvSa
wqVlRj awh_yI;k
wl_NAtn rRvSa MdDaDh_lD;k Mg
MyIsDknw rRvOo MyIhlTaDh
wnR;mIm lOkTaRl wfyIlVvIhw
wlDmSoA;b AjOmVcIlw wqVlRj_tRa taEcDlw
ayIh MyIhlTa tA;tAm hOz
wyyAj yEmy_tRa rO;kzy hE;brAh al yI;k
hnSoAm MyIhlTaDh yI;k
w;bIl tAjVmIcV;b

in tutta la sua fatica che faticher sotto il sole


nei pochi giorni della sua vita
che il Signore gli ha dato,
poich questa la sua parte.
(18) Pure ogni uomo a cui Dio
abbia dato ricchezza e tesori
e gli conceda di mangiarne,
di prendere la sua parte e di gioire della sua fatica:
dono di Dio questo!
(19) Infatti non ricorder molto i giorni della sua vita,
poich il Signore (lo) tiene occupato
con la gioia del suo cuore79.

adottata da esegeti recenti, tra cui Murphy, 47, e Rose, Rien de nouveau, 371. Questultimo
autore nega che lespressione hRpy_rRvSa bwf sia una specie di endiadi (nel senso di the supreme good), come ritengono alcuni. N Murphy n Rose accettano che lespressione sia
un grecismo sul modello di kalo\ kagaqo/ (cf. Braun, Kohelet und die frhhellenistische
Popularphilosophie, 54-55). In effetti non c bisogno di ricorrere alla grecit per spiegare
la coppia bwf / hRpy (cf. 1 Sam 16,12; 25,3; Ct 4,10; Est 2,7, detta per di persone); daltra
parte il costrutto ebraico non sembra avere un corrispondente esatto nel greco, mentre lo ha
in Os 12,9 (cf. supra). Tornando a Qo 5,17, lanalisi suggerita dagli accenti masoretici la
seguente: i due rRvSa rendono sostantive le proposizioni che reggono, e cio rispettivamente
ynDa yItyIar quello che ho visto io e lwkRaRl hRpy il fatto che bello che (uno) mangi; a
loro volta, le due proposizioni sostantive fungono da soggetto, rispettivamente di hnIh e di
bwf che fungono da predicato. Si hanno cos due affermazioni, la seconda delle quali specifica la prima. Il senso che la bellezza del mangiare, bere e godere il frutto della propria
fatica uno dei beni, cio dei valori positivi, che il saggio scopre nella vita (cf. 2.4).
Una costruzione analoga, con verbo finito invece di lamed + infinito, si trova in 5,4, in cui
rRvSa regge uno yiqtol negato: rO;dIt_al rRvSa bwf bene/meglio che tu non faccia voti, e in
7,18, in cui regge uno yiqtol positivo: hzD;b zOjTaR;t rRvSa bwf bene che tu tenga questo. In
ambedue i casi rRvSa + verbo finito fungono da soggetto di bwf: buono il fatto che.
79. Oppure: (gli) risponde con la gioia del suo cuore (cf. nota 67). A motivo dellassenza
del pronome personale suffisso in hnSoAm, Delitzsch, 304, preferisce intendere: God answers
to the joy of his heart, i.e. He assents to it, or He corresponds to it. Similmente Gordis,
246, il quale rifiuta la traduzione God occupies him with the joy of his heart con la motivazione: Koheleth regards joy not as a narcotic but as the fulfillment of the will of God.
Ora giustissimo che la gioia per Qohelet non un narcotico, poich la vita non affatto
un male ma un bene positivo anche se limitato (cf. 1.1, nota 14); ci non toglie per che
attraverso la gioia Dio ricompensi la fatica delluomo facendogli appunto godere il frutto
del suo lavoro. In questo senso la gioia lo accompagner (wnwVly) nella sua fatica / nei giorni
della sua vita che il Signore gli ha dato / sotto il sole (8,15). Giustamente poi Gordis, ibid.,
giudica far-fetched la traduzione di hnSoAm come reveals himself, traduzione risalente a L.
Levy e ripresa da alcuni autori contemporanei, per ultima da Maussion, Le mal, le bien et
le jugement de Dieu dans le livre de Qohlet, 137-140. da notare, comunque, che le varie
interpretazioni di hnSoAm hanno in comune il fatto che Dio ne risulta tuttaltro che lontano.
Come nota giustamente Maussion, comment un Dieu qui sait donner lhomme tout ce
quil lui faut pour tre heureux, et de surcrot lincite ltre, pourrait-il rester lointain et
inaccessible? (ibid., 140).

QOHELET

67

La considerazione positiva di 5,17 (A2): buono il fatto che bello,


contrasta la duplice considerazione negativa di 5,12 (A) e 5,15 (A1): C
un male terribile che ho visto sotto il sole / E anche questo un male terribile. Dopo queste enunciazioni generali segue la descrizione di due casi
penosi:
B) La ricchezza di un uomo viene conservata (da Dio, si intende) ma
solo per la sua disgrazia, in quanto improvvisamente svanisce per un qualche
incidente crudele: ricordiamo la storia emblematica di Giobbe. A quel punto,
se quelluomo generer un figlio, questi si trover senza nulla; oppure, dato
che il soggetto ambiguo: quelluomo non avr nulla da dargli in eredit
(hDlSjn, cf. 7,11). La riflessione collegata, che cio come uscito dal ventre
della madre, / nudo (MwrDo) di nuovo se ne andr come venuto, non suona
pacificata come quella di Giobbe (Gb 1,21: Nudo [MOrDo] sono uscito dal
ventre di mia madre / e nudo torner l. / Il Signore ha dato e il Signore ha
preso; / sia benedetto il nome del Signore!) ma del tutto amara, dato che alla
fine quelluomo nulla prender della sua fatica / che possa portare via nella
sua mano (5,14).
B1) Una frase simile a 5,14 risuona in 5,15: esattamente come uno
venuto, cos se ne andr. Si tratta per di un uomo e di un caso diverso
dal precedente. Non si dice infatti che quelluomo abbia perso la sua ricchezza accumulata durante la vita; eppure anche il suo caso penoso, in
quanto anchegli se ne andr nudo come venuto, anche se per tutta la vita
non faccia altro che faticare o, come dice il testo: anche se per tutti i suoi
giorni manger nel buio (5,16), cio, sembra, la sera tardi, dopo una giornata tutta dedita al lavoro, non a suo tempo, cio a tempo debito, come
le persone perbene (10,17), e al contrario dei buontemponi che banchettano
di mattina (10,16). Si pone allora la domanda: e quale vantaggio avr
colui che faticher per il vento? (5,15); cio, alla fine tutta la sua fatica
vana come andare dietro a vento (secondo la formula frequente in Qohelet;
cf. 1.1).
B2) La proclamazione della gioia viene in risposta ai due casi penosi
appena delineati. Essa infatti presenta al positivo motivi che essi presentano al negativo: goda il benessere / in tutta la sua fatica che faticher
(lOmSoyRv wlDmSo_lDkV;b) sotto il sole (5,17) e (Dio) gli conceda di mangiarne, di
prendere la sua parte (wqVlRj) e di gioire della sua fatica (wlDmSoA;b) (5,18), in
risposta a: nulla prender della sua fatica (wlDmSoAb) / che possa portare via
nella sua mano (5,14), e quale vantaggio avr lui che faticher (lOmSoyRv)
per il vento? (5,15). Il vantaggio che luomo pu ricavare dalla sua fatica
godere dei beni della vita, beni che non sono soltanto il frutto della sua
fatica ma anche e soprattutto dono di Dio, in quanto sia i beni stessi che la

68

A. NICCACCI

possibilit di goderne vengono da lui. Sono nello stesso tempo parte (qRlEj)
delluomo (5,17) e dono di Dio (MyIhlTa tA;tAm) (5,18)80.
Questa proclamazione della gioia si chiude con una considerazione che
suona dura, al punto che sembra vanificare la proclamazione stessa (5,19). In
realt per il senso che ricordare i giorni della propria vita, che sono pochi
(5,17; cf. 2,3; 6,12), recherebbe afflizione alluomo; da questo pensiero Dio
lo libera tenendolo occupato con la gioia che gli concede giorno per giorno.
Quella frase dunque non vanifica la proclamazione della gioia ma riflette
il procedimento abituale di Qohelet. Mentre elenca le pene della vita, egli
evidenzia ci che vale realmente in quanto ricompensa di Dio alla fatica
umana. Lo fa per senza mai dimenticare che tutto ha termine, che la vita
fragile e va incontro alla morte.
2.4. Qo 7,13-14 (4 passo)
il primo invito alla gioia, con imperativi, dato che finora abbiamo trovato
proclamazioni di gioia, con forme verbali indicative. Linvito preparato
da una serie di considerazioni su ci che bene per luomo nella sua vita
sulla terra. La riflessione inizia in 6,10 con unaffermazione: Quello che
fu, / gi stato pronunciato il suo nome / ed noto cosa un uomo; /
perci egli non potr mai disputare / con Colui che pi potente di lui
(6,10). Ritorna una riflessione tipica di Qohelet, secondo cui tutto ci che
accaduto (come anche ci che accade e ci che accadr, cf. 1,9; 3,15)
non lasciato al caso ma fa parte di un piano di Dio ben determinato che
si dispiega lungo la storia dellumanit ripetendosi senza sosta (cf. 1.2).
Di fronte a questa realt si comprende che luomo non potr mai disputare
con Colui che pi potente di lui. Non potr mai comprendere il piano
di Dio nella sua completezza, per quanto sia suo compito investigarlo allo
80. molto diverso il carpe diem dellempio che si legge in Sap 2,6-9: (6) Venite, dunque,

e godiamo dei beni presenti, / e usiamo delle creature con passione, come si fa in giovent. /
(7) Saziamoci di vino prezioso e di profumi, / e non ci sfugga alcun fiore di primavera. / (8)
Coroniamoci di boccioli di rose, prima che appassiscano, / non vi sia prato che si salvi dalla
nostra dissolutezza. / (9) Dappertutto abbandoniamo i segni del nostro godimento, / poich
tale la nostra parte e tale la nostra eredit (oti auth hJ meri hJmwn kai oJ klhvro outo):
G. Scarpat, Libro della Sapienza. Testo, traduzione, introduzione e commento, Brescia 1989,
169. Chiaramente meri e klhvro traducono la coppia qRlEj e hDlSjn che compare soprattutto nel
linguaggio del Deuteronomio (Dt 10,9; 12,12; 14,27.29; 18,1). Il termine hDlSjn compare in Qo
7,11, dove per viene tradotto dalla LXX klhrodosia. Gli empi affermano che godere loro
parte e loro eredit, ma non pensano affatto che sia dono di Dio! Come nota Scarpat, i termini
rimandano ai testi sacri, volutamente richiamati e derisi dagli empi rinnegati (ibid., 184).

QOHELET

69

scopo di trovare la via buona, veramente vantaggiosa, da percorrere in accordo con ci che il Creatore gli concede momento per momento.
Di fronte alle parole/cose in quantit che moltiplicano la vanit il saggio si chiede: qual il vantaggio per luomo? (6,11). Questa riflessione
richiama il detto iniziale: nella molta sapienza c molta pena / e se uno
vorr aggiungere conoscenza, aggiunger dolore (1,18). Il che, come abbiamo detto sopra ( 1.1), vuole inculcare non pessimismo n rassegnazione
ma una sana moderazione anche nellesperienza del saggio: non bene porsi
domande senza fine, dato che lopera di Dio non sar mai completamente
comprensibile alluomo, per cui la moderazione nella ricerca assicura tempo
e attenzione di spirito per discernere ci che davvero ha valore per luomo
nella sua vita, sempre alla luce dellagire di Dio.
La domanda sul vantaggio per luomo (6,11) viene riformulata subito
dopo: Infatti chi sa / cosa bene (bwf) per luomo nella vita, / nei brevi giorni della sua vita di vanit, / affinch egli li trascorra (faccia) come unombra (lExA;k MEcSoyw)? (6,12). Tale formulazione aggiunge almeno un elemento
nuovo: lExA;k MEcSoyw. Essendo un weyiqtol, la forma verbale ha valore volitivo,
indica cio lo scopo collegato a ci che precede: cosa bene / affinch
egli trascorra (i pochi anni della sua vita) come unombra81.
A prima vista limmagine come unombra suggerisce lidea di unesistenza evanescente, inconsistente, insignificante (cos, ad es., in 1 Cr 29,15).
Ma il senso di lEx che troviamo pi avanti suggerisce uninterpretazione
diversa: Buona la sapienza con leredit / e un vantaggio per quelli che
vedono il sole, / poich vera ombra (lExV;b) la sapienza / e vera ombra (lExV;b)
largento82, / ma il vantaggio della conoscenza / ( che) la sapienza far
vivere i suoi padroni (7,11-12).
Anche altrove nella Bibbia ombra non evoca unidea negativa, di debolezza o vuoto, ma al contrario positiva, di rifugio e conforto nella vita sotto
il sole impietoso dOriente, come nel caso di Giona che, preso da angoscia
81. Sul valore volitivo di weyiqtol cf. supra, nota 53.
82. Nei due casi di lExV;b presente il cosiddetto bet essentiae che introduce il predicato e che

possiamo rendere con in quanto, come (cf. Gesenius-Kautzsch-Cowley, 119i; Joon-Muraoka, 133c). Esso ha perci valore rafforzativo: PRsD;kAh lExV;b hDmVkDjAh lExV;b come ombra la
sapienza, come ombra largento, e quindi, in ambedue i casi, vera ombra . Unespressione analoga attestata in ugaritico nel mito del palazzo di Baal (KTU 1.4 II 26-27, cf. G.
Del Olmo Lete, Mitos y leyendas de Canaan, Madrid 1981, 196), quando Baal e la sorellamoglie Anat si recano da Ashera moglie di El per pregarla di intercedere presso il dio supremo affinch permetta la costruzione di un palazzo per Baal, il dio giovane. I due portarono
regali ad Ashera, la quale appena vide lombra dellargento (l ksp) si rallegr e si dispose
ad ascoltare la richiesta dei due visitatori. Per le diverse opinioni su Qo 7,11-12 si possono
consultare Delitzsch, 320-321; Gordis, 263-264; e pi recentemente Seow, 249-250.

70

A. NICCACCI

mortale, si sedette allombra della pianta che Dio stesso gli aveva provveduto e se ne rallegr molto (Gio 4,6), o come nel Sal 121,5 in cui si legge: il
Signore il tuo custode, / il Signore la tua ombra (KV;lIx).
In Qo 6,12 il senso allora: chi sa cosa bene per luomo perch egli
possa trascorrere la sua vita al riparo da tutto ci che viene detto vanit /
e andare dietro a vento (cf. supra, 1.1, nota 31), o faticare per il vento
(5,15). Cos si comprende meglio la funzione finale del weyiqtol, normalmente ignorata dagli interpreti, che traducono invece con una proposizione
relativa come se si trattasse di un weqatal (non volitivo): che egli trascorre
come unombra83.
Il senso positivo di trascorrere (la vita) come lombra (= come allombra, al riparo) sembra confermato da unespressione simile in 8,13:
Poich io so pure / che i timorati di Dio avranno il bene / per il fatto che lo
temeranno, / mentre bene non avr il malvagio / e non prolungher i giorni
come lombra (lExA;k MyImy JKyrSay_alw), / per il fatto che non teme il Signore
(8,12b-13)84.
La domanda qual il vantaggio? // chi sa cosa bene? (6,11-12) riceve sei risposte, ognuna introdotta da bwf, in un caso da hDbwf, al femminile
(7,1.2.3.5.8.11)85. Le prime cinque risposte elencano i beni della vita mediante la formula meglio x di y, cio con bwf e la preposizione NIm, mentre
la sesta usa una formula diversa, buona x con y, cio con hDbwf + la preposizione MIo. Identificare in modo preciso i beni che vengono proposti non
facile, anche perch talvolta sono nominati diversi soggetti che dovrebbero
avere un qualche denominatore comune.
La prima risposta suona (7,1): Meglio un nome di un olio buono,
con gioco di parole e assonanza in ebraico: bwf NRmRvIm MEv bwf. Linnamorata
83. Ad es. Lohfink, 89: which one carries out like a shadow.
84. M. Sneed, A Note on Qoh 8,12b-13, Bib 84 (2003) 412-416, rappresenta un lodevole

tentativo di spiegare il passo nel contesto della pericope e del libro senza ricorrere allipotesi
di una citazione implicita. Egli per non vede il senso positivo dellespressione come lombra e inoltre stabilisce una distinzione impropria fra timore di Dio, da un lato, e giustizia
e sapienza, dallaltro: God-fearing, then, according to Qohelet, is a superior alternative to
the traditional notions of righteousness and wisdom (p. 415), distinzione che egli ritiene
di aver dimostrato nel suo articolo (Dis)closure in Qohelet: Qohelet Deconstructed, JSOT
27 (2002) 115-126.
85. Unanalisi dettagliata della pericope 7,1-14, staccata per da 6,10-12 che sarebbe una
unit di transizione, si trova in F. Bianchi, Un fantasma al banchetto della sapienza?
Qohelet e il libro dei Proverbi a confronto, in: Bellia - Passaro (edd.), Il libro del Qohelet,
40-68. Giustamente lautore d una risposta negativa alla domanda provocatoria del titolo.
Non condivido per lidea che Qohelet intenda reagire contro la teologizzazione della sapienza presente in Pro 1-9 e contro lottimismo della sapienza pi antica (cf. supra, 1.1,
nota 21).

QOHELET

71

del Cantico dei cantici usa una fraseologia simile nei confronti del suo
innamorato:

MyIbwf KynDmVv AjyrVl


KRmVv qrw;t NRmRv

Quanto al profumo, i tuoi oli sono buoni,


olio di Turak il tuo nome (Ct 1,3).

Inebriata dal desiderio, la ragazza proclama che il nome stesso di lui


come un profumo della migliore marca. Da parte sua, Qohelet afferma che
un buon nome migliore del migliore dei profumi, perch il buon nome dura
e costituisce la memoria della persona (per quanto il saggio lamenti che il
ricordo dura poco: 9,5.15; cf. 1.4).
Al buon nome viene associato un soggetto quantomeno inatteso: e il
giorno della morte ( meglio) del giorno di quando uno generato (Qo 7,1).
Laffermazione sulla preferenza da accordare al giorno della morte rispetto
al giorno della nascita viene seguito da una serie di segno analogo. Ne risulta
una lista di affermazioni che necessario interpretare: meglio andare in una
casa dove si fa lutto che in una in cui si banchetta (7,2); meglio la preoccupazione per qualche problema del riso spensierato (7,3); meglio il rimprovero
del saggio del canto frivolo degli stolti (7,5); meglio la fine di una cosa del
suo principio, anche perch il portare a termine unimpresa richiede pazienza
e calma (7,8).
Alcune di queste affermazioni suonano paradossali e il saggio le spiega.
Una delle sue preoccupazioni maggiori inculcare la seriet della vita, la
riflessione ed evitare la superficialit del comportamento, il darsi alla pazza
gioia. E infatti il comune denominatore dei vari argomenti ci che bene,
anzi meglio, per luomo sulla terra. Si comprende cos che il buon nome sia
detto preferibile al miglior profumo, cio che lasciare un buon ricordo dopo
una vita utile agli altri sia meglio di vivere in continua festa. Si comprende
anche lassociazione del buon nome con il giorno della morte. La morte
rappresenta la fine della vanit della vita, della fatica stressante, mentre
la nascita ne costituisce linizio (7,1); partecipare al lutto unoccasione
per riflettere su quella che la fine di ogni uomo / e il vivo la porr nel
suo cuore (7,2), e cos unopportunit per diventare saggio (7,4); in altre
parole, la tristezza del volto di fronte alla morte porta, alla fine, la gioia
del cuore, perch invita a scegliere i veri valori della vita (7,3); parimenti
pi utile il rimprovero del saggio del riso degli stolti, il quale pu essere
accompagnato da regali allo scopo di far commettere uningiustizia contro
linnocente (7,7).
A differenza delle precedenti lultima affermazione: meglio la fine di
una cosa del suo principio (7,8), sembra ovvia; ma il saggio collega ad essa
due piccole ammonizioni che mettono in guardia, la prima dallimpazienza

72

A. NICCACCI

e dallira: Non essere veloce nel tuo spirito ad adirarti, / poich lira nel
seno degli stolti albergher (7,9), la seconda, dallinutile lode del passato,
dallessere un laudator temporis acti: Non dire: Com stato / che i giorni
precedenti / furono migliori di questi?, / poich non con sapienza che hai
posto questa domanda (7,10). Dire meglio la fine di una cosa del suo principio perci un invito a guardare in avanti piuttosto che indietro e a vivere
con pazienza e mitezza.
Come indicato sopra, la sesta affermazione di valore diversa dalle altre
in quanto non segue, almeno allinizio, uno schema che esclude: meglio
x di y, ma piuttosto uno che include: buono x con y. Essa rappresenta
cos il culmine della riflessione: Buona la sapienza con leredit86 / e un
vantaggio per quelli che vedono il sole, / poich vera ombra la sapienza
/ e vera ombra largento, / ma il vantaggio della conoscenza / ( che) la
sapienza far vivere i suoi padroni (7,11-12; cf. supra). In fondo, dunque,
Qohelet stabilisce anche qui un confronto: buona la sapienza con leredit,
ma comunque migliore la sapienza.
Che la sapienza sia buona, cio che sia un bene reale nella vita e porti
vantaggio vero alluomo, insegnamento tradizionale che Qohelet condivide
e riafferma pi volte: La sapienza dar forza al saggio (MDkDjRl zOoD;t hDmVkDjAh) /
pi di dieci uomini forti (MyIfyI;lAv) / che siano stati nella citt (7,19); Chi
come il saggio / e chi conosce linterpretazione delle cose? (8,1).
Sapienza con eredit un vantaggio (rEtOyw) per quelli che vedono il sole
(7,11), cio che godono il sole secondo il senso positivo del verbo har (con o
senza la preposizione bet) frequente in Qohelet87; ma forse anche che soffrono
nella loro fatica sotto il sole impietoso dOriente. In questo modo si apprezza
meglio il contrasto con ombra che segue: nellombra, o vera ombra,
cio riparo, rifugio sicuro nelle difficolt sono sia la sapienza che il denaro.
Ma il vantaggio (NwrVtyw) della conoscenza / ( che) la sapienza far vivere (hyAjV;t) i suoi padroni (7,12), cio quelli che la possiedono, la coltivano
(cf. laffermazione riguardante il malvagio in 8,13, supra). Il verbo hyj al
piel significa ridare la vita o conservare in vita. Tale ambiguit di senso
frequente, ad es. in Sal 119,25 (cf. 71,20), a proposito di cui gli autori di86. Il termine eredit (hDlSjn) non si riferisce qui alla Terra promessa ai Padri. Del resto

non si parla mai di Israele popolo eletto, della liberazione dallEgitto, del dono della Legge
e della storia della salvezza n in Qohelet n in alcuno dei saggi fino a Ben Sira (III-II sec.
a.C.). Il nostro passo si riferisce alleredit familiare: quella di cui si legge altrove che il
padre che abbia perso i beni accumulati durante la vita non potr dare nulla a suo figlio
(5,13; cf. 2.3).
87. Cf. 11,7: Dolce la luce / ed bene per gli occhi vedere il sole (vRmDvAh_tRa twarIl),
e supra, nota 24.

73

QOHELET

scutono se si affermi la vita dopo la morte o semplicemente il mantenere in


vita fino al termine stabilito da Dio e non morire anzitempo (Qo 7,17). In
Pro 3,18 si afferma che la sapienza lalbero della vita (MyyAj_XEo) per quelli
che labbracciano, / e quelli che la tengono sono beati. Considerato linsieme della visione di Qohelet non mi sembra che egli affermi che la sapienza
conceda vita eterna; penso che affermi pi semplicemente che essa concede
una vita serena e feconda per tutto il tempo che Dio dona a ciascuno, mentre
della stoltezza si dice che fa morire anzitempo (Qo 7,17). Non mi sembra
neppure che Qohelet neghi la vita oltre la morte; piuttosto, la sua riflessione
si concentra, come al solito ( 1.4), sulla vita sulla terra, sul modo di viverla
con frutto alla luce di Dio.
Linvito vero e proprio alla gioia si trova in 7,14:

bwfVb hyTh hDbwf MwyV;b


hEar hDor MwyVbw
MyIhlTaDh hDcDo hz_tA;mUoVl hz_tRa Mg
MdDaDh aDxVmy a;lRv trVb;d_lAo
hDmwaVm wyrSjAa

Nel giorno del benessere sii nel bene


e nel giorno della sventura osserva.
Sia questa che quello ha fatto Dio
allo scopo che luomo non comprenda (trovi)
niente dopo di s (= del suo futuro).

Notiamo che qui gli inviti sono due: uno per il tempo della gioia, laltro
per il tempo del dolore. Linvito a godere non dato cio in modo assoluto,
come ad es. in 9,7-10 ( 2.6), ma legato al tempo adatto. una particolarit
di questo passo che non compare altrove in Qohelet.
Un simile invito a vivere in accordo con i tempi e le occasioni si legge
in Sir 14:
(11) Figlio mio, se hai la possibilit, servi la tua anima (Kvpn

e se hai la possibilit, fa il bene a te stesso (Kl byfyh),


e per quanto puoi, diventa grasso
(greco: e presenta al Signore le offerte in modo degno).
(12) Ricordati che nello sheol non c godimento
(manca nel greco)
e la morte non tarder
e il decreto degli inferi non ti stato rivelato
(14) Non privarti di un giorno felice (Mwy tbwfm)
(17) Ogni carne invecchier come un abito,
infatti la legge da sempre: Certo si morir!

twErv),

Questa somiglianza di Siracide, un saggio considerato ottimista, con Qohelet sorprender chi ritiene questultimo un saggio pessimista88. Effettivamente
88. In ci che segue riprendo in parte quello che ho scritto nel mio saggio Siracide o

Ecclesiastico, 33-34. Da parte sua, M. Gilbert, Qohelet et Ben Sira, in: Schoors (ed.),

74

A. NICCACCI

Ben Sira il saggio della gioia, gioia che godimento delle opere di Dio vivendo alla luce del suo sguardo, in rendimento di grazie a lui e in piena armonia
con il creato e con la societ. Ci che Siracide, non diversamente da Qohelet,
vuol far comprendere la straordinaria ricchezza, bellezza e bont della vita: di
questa vita nel mondo, dono di Dio, con tutto ci che essa comporta, famiglia,
onore nella societ, lunga vita, prosperit, benevolenza del Signore.
Per comprendere la portata di questa concezione dobbiamo liberarci della nostra mentalit un po dualista, che distingue nettamente lo spirituale dal
materiale, questa vita da quella futura, lanima dal corpo e cos via. In buona
parte questa mentalit ci deriva dalla filosofia greca piuttosto che dallAT.
LAT non conosce distinzioni nette; ci che materiale non negativo ma
dono di Dio come ci che spirituale; e la benevolenza di Dio si manifesta
concretamente nei beni della vita. Ecco da dove proviene il grande valore
della vita sulla terra; per questo motivo la morte, soprattutto quando avviene
anzi tempo, ritenuta una sciagura da Siracide come da Qohelet.
Non possiamo chiamare materialistica questa concezione della vita e
della morte, tutta centrata com in Dio. N dovremmo concludere frettolosamente che neghi la dimensione escatologica. Come abbiamo gi mostrato
( 1.4), soprattutto una questione di linguaggio. Il problema deriva dalla visione globale dellessere umano e della vita, a cui abbiamo accennato sopra, e
anche dalloggettiva difficolt di riflettere su uno stadio dellesistenza, quello
ultra mondano, che sorpassava lesperienza del pio e del saggio di Israele. Per
lisraelita la vita era vita e basta; le specificazioni terrena e ultraterrena
non si distinguevano nettamente; la vita sulla terra era gi vita con Dio, quasi
unanticipazione della vita beata; cos come la malattia era come unanticipazione della morte (cf. i Salmi detti di lamentazione, ad es. 18,6; 88,4; 116,3).
Anche da questo punto di vista, non possiamo ritenere Qohelet tout court
un epicureo o un nichilista a motivo del suo invito ripetuto a godere la vita
prima che venga la vecchiaia e la morte. La somiglianza con Ben Sira non
consente di ritenerlo a cuor leggero. Anche per lui, come per Qohelet, la
gioia una componente essenziale, quasi un sinonimo della vita, al punto che
preferibile la morte a una vita amara (Sir 30,17).
Qohelet in the Context of Wisdom, 161-179, ha inteso mostrare che Qohelet non ha influito su Ben Sira negli inviti a godere le gioie della vita, in particolare in Sir 14,11-19. Ho
qualche riserva sulla sua conclusione che linvito di Qohelet derivi de lobservation des
absurdits de lexistence et de la socit mentre in Ben Sira ne porte pas sur le monde
et lexistence humaine un regard critique et dsabus. Son message positif en tout cas nen
est pas la consquence comme chez Qohelet (p. 176). Il motivo che in ognuno dei passi
sulla gioia di Qohelet le riflessioni negative non compaiono da sole ma sono accompagnate
da riflessioni positive (cf. 2.8).

QOHELET

75

Sia questa che quello ha fatto Dio (Qo 7,14b): lidea che Dio ha creato
sia il bene che il male, uno di fronte allaltro, si ritrova Sir 33,14-1589:

bwf [or jkwn]


twm Myyj jkwnw
ovr bwf vya jkwn
[Kv]j rwah jkwnw
la hcom lk la fbh
[hz] tmwol hz Mynv Mynv Mlwk

(14) Di fronte al male c il bene,

di fronte alla morte la vita;


cos di fronte al pio il peccatore
e di fronte alla luce [le te]nebre. (manca nel greco)
(15) Considera perci tutta lopera dellAltissimo:
(greco: E cos ho considerato tutte le opere dellAltissimo)
tutte sono a due a due, luna di fronte allaltra.

C dunque un tempo per la gioia e un tempo per il dolore; bisogna


accogliere il primo e godere, come Qohelet ha gi proclamato nei tre passi
esaminati in precedenza. Ma cosa bisogna fare nel tempo del dolore? Questo
non detto altrove. Il testo dice solo hEar vedi!, un verbo che assume
sensi differenti nei vari contesti: dal semplice vedere al guardare con
soddisfazione qualcosa di bello e quindi godere (cf. supra, nota 24). Qui
loggetto del vedere non nominato ma nel versetto precedente si legge:
MyIhlTaDh hEcSoAm_tRa hEar osserva lopera di Dio!, con la motivazione: poich
chi potr mai raddrizzare / quello che egli ha fatto storto? (7,13).
Questo passo richiama una frase programmatica dellinizio (1,14-15):
7,13

1,14-15

Osserva lopera di Dio,

(14) Vidi tutte le cose che sono state fatte sotto il sole,

poich chi potr raddrizzare

ed ecco, il tutto vanit e andare dietro a vento.

quello che egli ha fatto storto?

(15) Ci che storto non potr mai diventare diritto.

MyIhlTaDh hEcSoAm_tRa hEar


N;qAtVl lAkwy yIm yI;k
wtwIo rRvSa tEa

vRmDvAh tAjA;t wcSonRv MyIcSoA;mAh_lD;k_tRa yItyIar


Ajwr tworw lRbRh lO;kAh hnIhw
NOqVtIl lAkwy_al twUoVm

89. Si veda, ad esempio, lanalisi di Marbck, Kohelet und Sirach, 279-281. Maussion,

Le mal, le bien et le jugement de Dieu dans le livre de Qohlet, imposta giustamente la sua
ricerca delineando i due poli del ragionamento di Qohelet: il bene e il male. Afferma, ancora
giustamente, che nella sua riflessione sui mali delluomo il saggio non giudica mai lagire di
Dio, anzi lo considera bello (pp. 69-70). Ho per qualche riserva circa la sua conclusione:
Dieu nest donc pas, pour Qohlet, le crateur du mal, pas plus quil nen est le donateur.
Ce constat entre alors en opposition avec la pense de Job ou du Deutro-Isae, pour qui Dieu
est le crateur de toute chose (la lumire / les tnbres, Is 45,7), et donc lauteur du bien mais
aussi du mal (Jb 2,10; 42,11) (p. 70). Maussion non si domanda da dove venga allora il male,
n sembra tener conto dellaffermazione di 7,14 che Dio ha fatto sia il bene che il male nella
sua analisi del passo (pp. 51-53). Bene e male non si riferiscono al comportamento delluomo,
del quale egli responsabile, ma agli eventi della vita, di cui Dio controlla i tempi (3,1-8;
cf. 1.3). Di essi Qohelet afferma che tutto (Dio) ha fatto bello a suo tempo (3,11), anche
quello che alluomo sembra storto e cattivo. Perci dire che Dio allorigine sia del bene
che del male non significa che Dio sia immorale, ma semplicemente che lunico Creatore e
Signore della storia. Anche in questo Qohelet perfettamente in linea con il resto dellAT.

76

A. NICCACCI

In 7,13 Qohelet invita il lettore a ripetere la sua esperienza. Si notano infatti importanti elementi comuni con 1,14-15: vedi/osserva lopera di Dio //
vidi tutte le cose che sono state fatte (da Dio) sotto il sole; e nessuno potr
mai raddrizzare (Nqt al piel) ci che (Dio) ha fatto storto (two al piel) // ci
che storto (two al pual, con agente implicito Dio) non potr mai diventare
diritto (Nqt al qal). Tuttavia la conclusione che il saggio trae nei due passi
molto diversa: in 1,14 il tutto vanit e andare dietro a vento; in 7,14: Nel
giorno del benessere sii nel bene / e nel giorno della sventura osserva.
Non necessario vedere in questo una contraddizione o diversit di autore. piuttosto il solito pensiero ambivalente di Qohelet, qui come in altri
passi. In 1,14 limpegno di riflettere sullopera di Dio visto come una fatica
per il fatto che luomo non in grado di correggere quello che storto; in
7,14 questa incapacit non eliminata, n potrebbe esserlo perch fa parte
della realt umana, ma viene in qualche modo assorbita: luomo invitato a
convivere con essa in un modo non rassegnato ma positivo.
La soluzione proposta in accordo con il catalogo dei tempi (3,1-8): c
un tempo per il bene e c un tempo per il male nel governo divino del mondo e perci quello che o appare storto non deve diventare diritto, perch
c un tempo e uno scopo sia per luno che per laltro. Il saggio invita ad
accogliere i tempi di Dio90: godere quando egli manda la gioia, osservare
quando manda il dolore.
Vedere/osservare in questo contesto indica dunque una riflessione
silenziosa sullopera di Dio, pi esattamente sulla parte storta di essa, rinunciando a volerla raddrizzare, anzi accettandola cos com, convinti che
anchessa ha uno scopo nel piano divino. Quello che viene raccomandato
appunto lo sforzo di comprendere lo scopo di Dio nel mandare il giorno
della sventura.
Quale sar secondo Qohelet il messaggio che Dio manda nel giorno della
sventura? Possiamo farcene unidea raccogliendo i vari scopi che vengono
nominati quando si parla dellopera di Dio nei confronti delluomo, in particolare quando si dice che luomo non in grado di comprenderla completamente.
Un passo importante al riguardo 3,11-14, che abbiamo gi esaminato ( 2.2),
il quale presenta una sequenza logica simile a quella di 7,13-14:
A)

[Lopera della creazione perfetta, anche se luomo non la comprende:]


Tutto egli ha fatto bello a suo tempo; / pure loscurit ha posto nei loro cuori,

90. Il tema del tempo adatto fu cara ai saggi di Israele fino a Ges; cf. E. Bosetti - A. Nic-

cacci, Lindemoniato e il festaiolo. Lc 7,34-35 (Mt 11,18-19) sullo sfondo della tradizione
sapienziale biblico-giudaica, in: F. Manns - E. Alliata (edd.), Early Christianity in Context.
Monuments and Documents, Jerusalem 1993, 381-394.

QOHELET

B)
C)

77

di modo che luomo non comprenda (trovi) / lopera che Dio ha fatto
dallinizio alla fine (3,11);
[Proclamazione della gioia, frutto del lavoro umano e dono di Dio: 3,12-13]
[Il governo divino del mondo costante e perfetto:]
ad esso non c da aggiungere / e da esso non c da togliere, / e Dio ha agito (cos)
perch abbiano timore di fronte a lui (wynDpV;lIm waryRv hDcDo MyIhlTaDhw) (3,14).

Similmente in 7,13-14, A) linvito a osservare/contemplare lopera di


Dio avviene nella convinzione che nessuno potr mai raddrizzare ci che
storto, che anzi tutto deve essere come , perch la creazione frutto del
piano di Dio; B) linvito alla gioia che laccompagna tiene conto del fatto
che lopera di Dio comprende sia la gioia che il dolore: godi nel tempo
della gioia, osserva/rifletti nel tempo del dolore; C) infatti luno e laltro
Dio ha fatto affinch possiamo aggiungere sulla base di 3,14 tu abbia
il suo timore.
Questo legame con il timore di Dio importante per comprendere la
mente di Qohelet, per quanto la radice ary non sia molto frequente nel libro
(9x). Il timore di Dio la guida delluomo nella sua esperienza sulla terra;
gli permette di intraprendere ogni tipo di esperienza mantenendo lequilibrio
necessario tra saggezza e stoltezza.
Consideriamo ancora 7,16-18: Non essere giusto troppo / e non comportarti da saggio oltremodo: / perch vorresti rovinarti? / Non essere malvagio troppo / e non essere stolto (troppo): / perch vorresti morire prima
del tuo tempo? / bene che tu tenga luno / e anche dallaltro non ritirare la
tua mano, / poich il timorato di Dio uscir (bene) con tutti (e due). In base
allinterpretazione data sopra ( 1.1), il timore di Dio permette al saggio di
mantenere il giusto equilibrio tra la sapienza e la stoltezza91: tra la sapienza
che lo spinge a ricercare il senso della realt senza per arrivare allestremo
di autodistruggersi sotto il peso della frustrazione che quellimpegno comporta se non bilanciato con la capacit di godere delle gioie che la vita,
cio Dio, concede e la stoltezza che lo spinge a godere di tutto senza porsi
domande di senso92. In effetti solo il timorato di Dio potr vivere in pienez91. Il ruolo del timore di Dio nel quadro della proposta di Qohelet viene bene espresso da

Whybray, Qoheleth the Immoralist? (Qoh 7:16-17), 208: The supporters of the golden
mean theory are obliged, unless they regard vs. 18b [= 7,18b] as a gloss, to hold that
Qoheleths concept of the fear of God is entirely different from its meaning elsewhere in
the OT: that for him it expresses the entirely immoral doctrine of the golden mean applied
in the ethical spherethe demoralization of righteousness.
92. Ha ragione L. Schwienhorst-Schnberger, Via media: Koh 7,15-18 und die griechischhellenistische Philosophie, in: Schoors (ed.), Qohelet in the Context of Wisdom, 181-203,
che sapienza e stoltezza non sono da intendere in senso specificamente etico e che Qohelet

78

A. NICCACCI

za la sua vita grazie a questa capacit di adattarsi ai tempi di Dio; appunto:


Nel giorno del benessere sii nel bene / e nel giorno della sventura osserva!
(7,14). Possiamo dire che questo costituisce lombra, cio il riparo che
Dio stesso concede alluomo nella sua fatica sotto il sole. In questo senso si
comprende 8,12-13, come indicato sopra ( 2.4): (12) Poich io so pure che
i timorati di Dio avranno il bene, / per il fatto che lo temeranno, / (13) mentre
bene non avr il malvagio e non prolungher i giorni come lombra, / per il
fatto che non teme il Signore.
Possiamo aggiungere che nella quantit di sogni e di vane parole di cui
rischia di essere piena (o piuttosto vuota!) la vita umana, lunica cosa che
conta temere il Signore, come si legge in 5,6: Poich nei molti sogni ci
sono vanit / e molte parole93. / Piuttosto, Dio temi!. Questa idea ritorna in
forma lapidaria alla fine del libro (12,13-14)94:
non inculca immoralit. Non penso per che questo comporti una differenza rispetto alla
sapienza pi antica, tanto meno che la contrapposizione sapienza-stoltezza abbia a che fare
con la Torah. Il parallelo con lEtica Nicomachea di Aristotele non mi sembra perci necessario per capire la logica del testo. Condivido, e persino renderei pi decisa, la conclusione
di J.L. Crenshaw, Qoheleths Understanding of Intellectual Activity, in: Schoors, Qohelet
in the Context of Wisdom, 205-224: Perhaps Qoheleth was epistemologically less revolutionary than some critics have imagined (p. 224).
93. Analizzo il waw di MyIlDbShw come waw di apodosi, tale cio che introduce la proposizione principale. Simile Delitzsch, 287: For in many dreams and words there are also
many vanities, il quale per inverte lordine di MyrDbdw MyIlDbShw (cf. pp. 290-291). anche
possibile tradurre come Gordis, 154: With all the dreams, follies and idle chatter, this remainsfear God, intendendo cio che la preposizione bet regga anche la coppia che segue
(MyrDbdw MyIlDbShw) e che la proposizione principale sia quella introdotta da yI;k nella seconda
parte del versetto (yI;k asseverativo: Gordis, ibid., 239).
94. Gilbert, Qohelet et Ben Sira, in: Schoors, Qohelet in the Context of Wisdom, 162-171,
critica giustamente lopinione di G.T. Sheppard e N. Lohfink che Qo 12,13-14 alluda al
Siracide. Da parte sua, E. Puech, Qohelet a Qumran, in: Bellia - Passaro (edd.), Il libro
del Qohelet, 144-170, segnala la somiglianza di 12,13-14 con 1 Re 2,2-3 e anche il parallelismo con Qo 1,1-2 e si chiede se quei versetti finali non possano appartenere, in forma
di inclusione, al libro stesso nella sua prima forma redazionale e, di conseguenza, che siano
anteriori a Ben Sira (p. 160). Daltra parte, dare informazioni sul saggio che allorigine di
un insegnamento un elemento costante dei componimenti didattici vicino-orientali antichi,
e questo avviene usando la terza persona esattamente come in Qo 12,8-10. Si veda al riguardo la mia recensione di M.L. Barr (ed.), Wisdom, You Are My Sister. Studies in Honor of
Roland E. Murphy, O.Carm., on the Occasion of His Eightieth Birthday, Washington 1997,
in LA 48 (1998) 577-586, spec. 583, e quella di Fox in LA 50 (2000) 523. Infine, dato che
la conclusione di Qohelet non contraddice affatto il resto del libro, come cerco di mostrare
nel testo qui sopra, non vedo alcun motivo per ipotizzare uno o pi epiloghisti, nonostante
lopinione comune degli interpreti. La trattazione migliore del problema mi sembra quella
di A.G. Shead, Reading Ecclesiastes Epilogically, TynBul 48 (1997) 67-91. Dopo aver
confrontato lepilogo, lessico e idee, con il resto del libro, lautore conclude che lepilogo,
insieme alla cornice del libro (1,1 + 1,2 // 12,8 + 12,9-14), condensa lessenza delle parole

QOHELET

rDb;d Pws
oDmVvn lO;kAh
ary MyIhlTaDh_tRa
rwmVv wyDtOwVxIm_tRaw
MdDaDh_lD;k hz_yI;k

79

(13) Fine della cosa,

il tutto stato sentito:


Dio temi
e i suoi comandamenti custodisci95,
poich questo il tutto delluomo96.
(14) Infatti ogni opera / Dio condurr in giudizio, / (giudizio) su tutto quello che nascosto, /
sia buono che cattivo.

Molti autori sono delusi di questa conclusione di Qohelet, un libro che suona pessimistico, persino distruttivo nei confronti della sapienza tradizionale,
di Qohelet, fornendo cos una guida per la lettura. Shead sottolinea in particolare la connessione, sia nellepilogo che nel resto del libro, dellelemento lRbRh vanit con lelemento
ary temere, cio the dynamic which exists between 12:8-12 (the pain of the search for
wisdom is not resolved by understanding life under the sun, since this is something we fail
to do [= elemento vanit] and 12:13-14 (the wise way to live is in obedient fear of the one
who knows and judges all [= elemento temere]) (p. 91).
95. Nonostante le somiglianze con il linguaggio del Deuteronomio (cf. ad es. Dt 4,6-8), non
necessario n consigliabile intendere i comandamenti di Dio come la Legge di Mos
(si veda al riguardo la discussione di Krger, 372-375). In effetti lespressione rmv + hwVxIm
osservare + comando compare abbastanza di frequente nelle istruzioni sapienziali. Spesso
il comando di cui si parla non di Dio ma del maestro (Pro 2,1), o del padre (6,20) o non
specificato. In Qo 8,5 hwVxIm rEmwv chi osserva il comando si riferisce probabilmente al
comando del capo (cf. supra, nota 51). In Pro 19,16 non si specifica di quale comando si
tratti, mentre in Gb 23,12 la hwVxIm quella di Dio. Questa variet di riferimenti riflette una
caratteristica della mentalit sapienziale. Per i saggi non c differenza sostanziale tra un
comando che viene da un agente umano e uno che viene da Dio. Infatti essi credono fermamente che Dio comunica il suo volere in vario modo: attraverso leducazione dei genitori,
dei maestri, e attraverso lesperienza personale delle opere della creazione. La Legge non
mai nominata esplicitamente, n necessaria per intendere il mondo ideale dei saggi di
Israele che si basa sulla rivelazione della creazione piuttosto che su quella del Sinai (cf.
supra, nota 45). Daltra parte il timore di Dio compare, anzi fondamentale per i saggi,
senza che questo comporti alcun riferimento alla Legge di Mos (cf. infra, 2.8). vano
perci e fuorviante rifarsi alla Legge-Torah (cf. ad es. la Tora-Frmmigkeit, o Gesetzesfrmmigkei di Zimmer, Zwischen Tod und Lebensglck, 206.212) e chiamare in causa un
epiloghista ortodosso (cf. nota 94).
96. Nella recensione al commentario di Fox in LA 40 (2000) 525, ho sostenuto che qui
MdDaDh_lD;k non significa, come al solito, ogni uomo ma il tutto delluomo. A conferma
si pu osservare, primo, che in ogni costruzione di questo tipo lD;k un sostantivo in stato
costrutto (nomen regens); secondo, Qohelet presenta molti esempi delluso assoluto di lO;kAh
nel senso di il tutto (fuori di Qohelet, cf. Es 29,24; Lv 1,9.13; 8,27, ecc.): per il tutto
c un momento (Qo 3,1); il tutto vanit (1,2.14; 2,11.17, ecc.); il tutto va verso un
luogo unico; / il tutto venne dalla polvere / e il tutto ritorna alla polvere (3,20); il tutto
ho visto (7,15), il tutto sta davanti agli uomini (9,1); Dio ha fatto il tutto bello a suo
tempo (3,11), e anche lo far: come non conoscerai mai lopera di Dio / che far il tutto
(11,5). Unanalisi diversa si trova in Gordis, 345, anche se il senso che ne deriva in fondo
equivalente. Viene in mente Sir 43,27: lkh awh rbd Xqw Pswn al hlak dwo Altre (parole)
come queste non aggiungeremo, / e termine della cosa : (Dio) il tutto (to\ pan estin
aujto/).

80

A. NICCACCI

o postmoderno, come si dice in linguaggio corrente97. In realt, se ben interpretata, la conclusione di Qohelet tuttaltro che in contraddizione con il resto
del libro, che pure contiene espressioni molto dure. Anzi, il legame che stiamo
delineando tra il doppio invito di 7,13-14 e il timore di Dio permette di cogliere
la coerenza del pensiero di Qohelet. In effetti la vita sulla terra mette luomo di
fronte a verit contrapposte: da un lato il dato spesso negativo dellesperienza
(incapacit umana di capire fino in fondo la realt, di controllare il futuro, di
prevedere i tempi adatti, di correggere lingiustizia, ecc.), dallaltro il dato rassicurante della fede e dellantica sapienza di Israele. il timore di Dio, cio la
capacit di riconoscere lui come Creatore e Signore provvidente che non solo ha
creato ma anche governa il mondo e la storia, che permette di vivere in pienezza,
sapendo godere della gioia quando Dio la concede e riflettendo per capire il suo
scopo quando manda il dolore. Applicando il linguaggio di 7,18, il timorato di
Dio uscir (bene) con tutti (e due), si direbbe: il timorato sapr fare buon uso
sia della gioia che del dolore, ambedue messaggio di Dio per la sua vita.
Lespressione il timore del Signore inizio della sapienza, che
compare in forme leggermente diverse soprattutto in due passi (Pro 1,7:
tAo;d tyIvar hwhy tAary; Sal 111,10: hwhy tAary hDmVkDj tyIvar), viene considerata,
e a ragione, il motto del movimento sapienziale. La traduzione migliore di
tyIvar inizio, non parte migliore n compendio come preferiscono
alcuni esegeti. Afferma giustamente von Rad98:
La formula significher quindi che il timore di Dio conduce alla sapienza.
Esso dispone ad acquistarla e la insegna.

bene ribadire il fatto che Qohelet non nega questo principio; esso anzi
costituisce il criterio che guida la sua esperienza e la base su cui poggia la
sua proposta (cf. 2.8)99.
97. Cf. ad es. W.H.U. Anderson, Historical Criticism and the Value of Qohelets Pessimis-

tic Theology for Postmodern Christianity through a Canonical Approach, OTE 13 (2000)
143-155; Sneed, (Dis)closure in Qohelet; H. Madsen, Dekonstruktion im Kohelet-Buch
Anregungen zu einem interdisziplinren Dialog, BZ 47 (2003) 281-286. Una buona
sintesi della teologia di Qohelet si trova in Whybray, Qoheleth as a Theologian.
98. Von Rad, La sapienza in Israele, 68.
99. A distanza di oltre venti anni mi ritrovo a trattare un problema analogo. La conclusione
di Qohelet, che tutto condensa nel timore di Dio (e nellosservanza dei comandamenti; cf.
supra, nota 95), incorre nella stessa sorte di Gb 28,28, un passo che la quasi totalit degli
interpreti ritiene incompatibile con lo scritto originario e quindi glossa di un pio redattore. Si
pu vedere il mio saggio Giobbe 28, LA 31 (1981) 29-58, spec. 47-53 (si veda anche infra,
2.8). Da parte sua Maussion, Le mal, le bien et le jugement de Dieu dans le livre di Qohlet,
172-173, dopo aver accordato il dovuto rilievo al tema del giudizio divino in Qohelet, segue
la tendenza praticamente unanime degli interpreti: attribuisce 12,13-14 a un epiloghista e vi
scopre, rispetto al resto del libro, delle differenze che francamente non vedo.

QOHELET

81

2.5. Qo 8,15 (5 passo)


Una nuova proclamazione di gioia viene dopo la descrizione di una situazione di disagio al constatare che il principio della retribuzione (chi fa il
bene avr il bene, chi fa il male il male) non sempre rispettato: C una
vanit (lRbRh_vy) che stata fatta sulla terra, / (cio) che ci sono giusti / a cui
tocca secondo lopera dei malvagi; / e ci sono malvagi / a cui tocca secondo
lopera dei giusti. / Dissi che anche questo vanit (8,14). Tale situazione
simile a quella delineata in 5,12 ( 2.3): ricchezza perduta, nulla si porta via
con s; e anche la proclamazione di gioia simile:
8,15

5,17.19

Perci lodavo io la gioia,

Ecco quello che ho visto io:

hDjVmIcAh_tRa ynSa yI;tVjA;bIvw


vRmRvAh tAjA;t MdDaDl bwf_NyEa rRvSa

ynDa yItyIar_rRvSa hnIh (17)


hRpy_rRvSa bwf

per il fatto che non c bene per luomo


sotto il sole

buono il fatto che bello

AjwmVcIlw tw;tVvIlw lwkTaRl_MIa yI;k

hDbwf twarIlw tw;tVvIlw_lwkRaRl

se non mangiare e bere e gioire,

che (uno) mangi e beva e goda il benessere

vRmRvAh_tAjA;t lOmSoyRv wlDmSo_lDkV;b

in tutta la sua fatica che faticher sotto il sole

MyIhlTaDh wl_NAtn_rRvSa wDyAj_yEmy rApVsIm


wlDmSoAb wnwVly awhw
poich questo lo accompagner
nella sua fatica

vRmDvAh tAjA;t MyIhlTaDh wl_NAtn_rRvSa wyyAj yEmy


nei giorni della sua vita
che il Signore gli ha dato sotto il sole.

nei pochi giorni della sua vita che il Signore


gli ha dato,
wqVlRj awh_yI;k
poich questa la sua parte

w;bIl tAjVmIcV;b hnSoAm MyIhlTaDh yI;k (19)

poich il Signore (lo) tiene occupato


(o: [gli] risponde) con la gioia del suo cuore.

A parte i termini comuni mangiare, bere, godere/gioia e sotto il


sole nella sua fatica, si nota anche lequivalenza delle frasi che specificano il bene: accompagner luomo, Dio lo tiene occupato con esso.
Ambedue queste frasi specificano il fatto che Dio concede la gioia per accompagnare e dare sollievo alluomo nella sua dura fatica sulla terra (cf.
7,13-14; 2.4)100.
100. Murphy, 86, afferma che giustamente che Qohelet mostra an appreciation of the lim-

ited, day-to-day pleasure (hjmc) that can be ones accompaniment in a God-given life
span. The conclusion is in line with 2:24-25; 3:12-13; 5:17-19. Ora per egli ritiene che i
passi appena citati facciano parte delle many resigned conclusions found in the work
(p. 26), il che mi sembra proprio fuori luogo.

82

A. NICCACCI

2.6. Qo 9,7-10 (6 passo)


il secondo invito alla gioia dopo 7,13-14 ( 2.4). Viene a conclusione di
un complesso ragionamento che inizia in 8,16. Tento di delinearne il filo
logico:
A) 8,16-17 [Luomo non potr mai comprendere lopera di Dio]
B)

9,1 I giusti e i saggi e le loro opere sono nella mano di Dio;

n amore n odio luomo conosce; / tutto sta davanti a loro.


9,2 [Anzi il giusto come il malvagio]
c un caso unico per il giusto e per il malvagio
9,3 c un caso unico per tutti
e (di conseguenza) anche il cuore dei figli delluomo pieno di male
e la pazzia nel loro cuore durante la loro vita
e dopo di ci (vanno) ai morti.
C)
9,4 [Meglio comunque i vivi che i morti]
Infatti chiunque sia scelto per (essere con) tutti i viventi,
c speranza (per lui),
poich va meglio a un cane vivo che al leone morto;
9,5 poich i vivi sanno che moriranno / mentre i morti non sanno nulla
e non hanno alcuna ricompensa
poich il loro ricordo stato dimenticato.
B)
9,6 Sia il loro amore che il loro odio / e anche la loro invidia gi perita,
e non hanno pi una parte in eterno
in tutto quello che stato fatto sotto il sole.
A) 9,7-10 [Invito alla gioia].
C)

A) A conclusione del suo lungo processo di riflessione, Qohelet riafferma che nessun uomo, nonostante il suo sforzo incessante giorno e notte, sar
mai in grado di comprendere pienamente lopera di Dio. E aggiunge con una
punta polemica: anche qualora il saggio dica di conoscerla, / non potr mai
comprenderla (8,17); ma questo, sia detto per inciso, non giustifica affatto
lopinione comune che Qohelet rifiuti la sapienza tradizionale101.
B) Non solo, ma le opere dei giusti e saggi sono nelle mani di Dio; tutto
sta davanti a loro e perci essi possono scegliere liberamente, e tuttavia non
conoscono n amore n odio, cio ambedue sfuggono al loro controllo (cf.
1.4). Il fatto di enunciare queste due affermazioni che suonano contraddit101. Una buona presentazione del rapporto di Qohelet con la sapienza antica e la fede di

Israele si trova in Murphy, lvi-lxix; si veda anche Fischer, Skepsis oder Furcht Gottes?,
238-250. Sulle varie opinioni in proposito si pu consultare Bianchi, Un fantasma al
banchetto della sapienza?, in: Bellia - Passaro (edd.), Il libro del Qohelet, 40-68, spec.
40-48.

QOHELET

83

torie una accanto allaltra (entrambe valide, ma come conciliarle?) sembra il


tentativo di tenere insieme i due poli umanamente inconciliabili dellesistenza: lonnipotenza divina e la libert umana. Agli occhi del saggio, questo fa
emergere ancora una volta i limiti delluomo.
C) A ci si aggiunge un fatto ancora pi sconcertante, gi enunciato in
2,14-15 e 3,19: la morte la sorte comune che attende sia il giusto che il
malvagio, con la conseguenza che, tardando il giudizio (8,11), gli uomini si
sentono sicuri e fanno il male e poi vanno alla dimora dei morti.
C) La riflessione continua paragonando i vivi e i morti. Al riguardo
Qohelet si muove in due direzioni contrapposte. Da un lato, la durezza dellimpegno che Dio ha assegnato alluomo sulla terra gli fa preferire la morte
alla vita (cf. 4,2; 7,1); dallaltro, sceglie la vita per i vantaggi che offre: i
vivi sanno che moriranno e perci sono stimolati a vivere in pienezza il
tempo loro concesso (cf. 1.4), mentre i morti non sanno nulla, almeno
dal punto di vista delluomo che riflette, dato che riguardo al futuro in genere
e alla vita dopo la morte in particolare lignoranza umana totale: nessuno
sa se lo spirito umano andr in alto, a differenza di quello animale (3,21);
nessuno conosce il suo futuro (3,22; 6,12; 7,14; 8,7; 10,14; 11,2) n il suo
tempo (9,12) n ci che Dio far (11,5); nessuno ha potere sul giorno della
morte (8,8). Lunica cosa che luomo sa che i morti non hanno pi parte ai
beni della vita sulla terra: non hanno alcuna ricompensa (rDkDc) / perch il
loro ricordo stato dimenticato (9,5)102.
B) Qohelet conclude la sua riflessione sui morti aggiungendo che essi
non hanno pi una parte (qRlEj) in eterno / in tutto quello che stato fatto
sotto il sole (9,6). Comprendiamo cos cosa intenda con la frase precedente,
che i morti non hanno alcun vantaggio: da un lato, il loro ricordo svanisce
presto dalla mente dei vivi (cf. 1,11; 2,16; 9,15), dallaltro, essi non potranno
pi godere dei beni che sono la parte dei viventi. Prima di questa riflessione Qohelet afferma che sia il loro amore che il loro odio / e anche la
loro invidia gi perita. Cos estende a tutti i morti, sia giusti che malvagi,

102. Il punto che i morti, non essendo pi sotto il sole a contatto con lopera di Dio della

creazione, non hanno pi la possibilit di scoprire, attraverso lesperienza, ci che bene n


di godere della parte che Dio concede alluomo (cf. 1.3). Tale concezione non diversa
da quella di Sal 6,6; 30,10; 88,11-13; 115,17-18; Is 38,18-19. differente solo il punto di
riferimento: in Qohelet, come nella sapienza antica, lopera della creazione, nei Salmi e
nel resto della Bibbia lopera della salvezza. In ogni caso in primo piano la straordinaria preziosit della vita sulla terra a contatto con lopera di Dio, sia essa la creazione o la
storia della salvezza, mentre la riflessione sul dopo la vita sulla terra resta in ombra per il
mancato sviluppo di una base ideale che permettesse di concepirla e anche di un linguaggio
che consentisse di esprimerla. Sullargomento cf. supra, note 46 e 55.

84

A. NICCACCI

quello che in (B) ha detto dei giusti e saggi, aggiungendo che la loro invidia
(MDtDanIq) gi perita, cio che nulla resta di tutto lo sforzo che i malvagi hanno fatto durante la loro vita per sopraffare il prossimo (cf. 4,4).
A) In questo contesto giunge il secondo invito alla gioia, pi ampio del
precedente (7,13-14) e simile a quello successivo (11,7-12,1). Esso presenta
tre unit, che dal punto di vista del genere letterario sono istruzioni con invito (imperativo o iussivo = a) + motivazione (yI;k = b). La seconda unit pi
ampia in quanto amplifica linvito (c). Schematicamente abbiamo:
1a)
1b)
2a)

2c)

2b)

3a)
3b)

KRmVjAl hDjVmIcV;b lOkTa JKEl


Knyy bwf_bRlVb hEtSvw
KyRcSoAm_tRa MyIhlTaDh hDxr rDbVk yI;k
MynDbVl KydgVb wyVhy tEo_lDkV;b
rDsVjy_lAa KVvar_lAo NRmRvw
D;tVbAhDa_rRvSa hDvIa_MIo MyyAj hEar
KRlVbRh yyAj yEmy_lD;k
vRmRvAh tAjA;t KVl_NAtn rRvSa
KRlVbRh yEmy lO;k
MyyAjA;b KVqVlRj awh yI;k
lEmDo hD;tAa_rRvSa KVlDmSoAbw
vRmDvAh tAjA;t
twcSoAl Kdy aDxVmI;t rRvSa lO;k
hEcSo KSjOkV;b
Nw;bVvRjw hRcSoAm NyEa yI;k
hDmVkDjw tAodw
hD;mDv JKElOh hD;tAa rRvSa lwaVvI;b

(9,7) Va, mangia con gioia il tuo pane

e bevi con cuore allegro il tuo vino,


poich Dio ha gi gradito le tue opere!
(9,8) In ogni tempo le tue vesti siano bianche
e olio non manchi sulla tua testa!
(9,9) Godi la vita con la donna che ami
per tutti i giorni della tua vita di vanit
che (Dio) ti ha dato sotto il sole,
per tutti i giorni della tua vanit,
poich questo la tua parte nella vita
e nella tua fatica che tu fatichi
sotto il sole.
(9,10) Tutto quello che la tua mano potr fare
con la tua forza, fallo,
poich non c opera n calcolo
n conoscenza n sapienza
nello sheol dove tu stai per andare.

Linvito (1) a mangiare e a bere (cf. 8,15) seguito dallinvito (2)


che raccomanda di indossare in ogni tempo vesti bianche e ungere il
capo con olio e di godere insieme alla donna della propria vita. Si capisce
che le vesti bianche sono segno di festa (anche se non sono nominate
altrove nellAT), come pure lolio profumato sul capo (cf. Sal 133,2),
usuale soprattutto nei banchetti (cf. Sal 23,5). Anche il vino che rallegra
il cuore e il profumo che fa brillare il volto sono elementi della festa (Sal
104,15; cf. 45,9; Pro 27,9; Is 61,3); infatti non ci si profuma in tempo di
lutto (2 Sam 14,2)103.
Almeno in apparenza, la presentazione positiva della donna come partner
della gioia (9,9) contrasta con 7,26-29:
103. Il linguaggio di Qo 9,7-9 usuale nelle letterature del Vicino Oriente Antico per indica-

re la festa. Basti citare un articolo di sintesi: J.Y.-S. Pahk, Qohelet e le tradizioni sapienziali
del Vicino Oriente Antico, in: Bellia - Passaro (edd.), Il libro del Qohelet, 117-143.

QOHELET

85

(26) Stavo trovando io (ynSa

aRxwmw) amara pi della morte


/ la donna che (rRvSa hDvIaDh) trappole104
/ e il cui cuore reti / e lacci le sue mani.
Il buono davanti a Dio si salver da lei / mentre il peccatore verr preso in lei.
(27) Vedi questo che ho trovato (yItaDxDm hz), / disse la Qohelet105,
(ponendo) una cosa su unaltra per trovare un calcolo (Nw;bVvRj).
(28) Quanto a quello che (rRvSa) ancora la mia anima ha cercato
ma non ho trovato (yItaDxDm alw):
un uomo tra mille ho trovato (yItaDxDm),
ma una donna fra tutti questi (= mille) non ho trovato (yItaDxDm al).
(29) Soltanto vedi questo che ho trovato (yItaDxDm hz):
che (rRvSa)106 Dio ha fatto lessere umano retto,
/ ma essi hanno cercato molti artifici (twnObVvIj).
Dobbiamo fermarci un momento su questo testo difficile. Sembra trattarsi
di una riflessione sullessere umano alla luce di Gen 2-3: essere umano che
insieme unit (MdaD hD ) e distinzione (MdaD uomo e hDv
aI donna). Utilizzando
il verbo trovare, sia al positivo che al negativo, il saggio presenta due esperienze personali: prima un dato che ha trovato/acquisito valutando una serie
di casi (vv. 26-27), poi un dato che non riuscito ad acquisire (vv. 27-28). La
prima esperienza riguarda la donna e luomo (vv. 26-27), la seconda, in ordine
104. Non necessario supporre che

rRvSa abbia il valore di se, come sostiene J.Y.S. Pahk,


The Significance of rva in Qoh 7,26: More Bitter than Death is the Woman, if She Is a Snare, in: Schoors (ed.), Qohelet in the Context of Wisdom, 373-383. Infatti larticolo di hDvIaDh,
specificato dal relativo rRvSa, indica gi una restrizione: non ogni donna ma la donna che
trappole. Per cui non sembra appropriata una traduzione del tipo: And I found woman
more bitter than death (Delitzsch, 331; cos anche Gordis, 170); meno ancora: I find that
womankind is stronger than death. Because: She is a ring of siege towers (Lohfink, 101102, il quale collega questo passo con Ct 8,6). Pahk, ibid., nomina linterpretazione restrittiva
sul tipo di quella da me proposta, ma per parte sua ritiene che Qohelet citi un detto della sapienza tradizionale che poi respinge. A parte il fatto che largomento delle citazioni implicite
rischia di essere aleatorio, direi che, da un lato la traduzione che ho dato sopra si accorda
bene con largomentazione di Qohelet; dallaltro, non credo sia giusto attribuire una visione
antifemminile alla sapienza tradizionale e neppure a Qohelet n a Ben Sira (vedi infra).
105. In 7,27 il TM legge tRlRhOq hrVmDa, che regolarmente viene corretto in tRlRhw;qAh rAmDa come
in 12,8. Ma tale correzione rischia di essere troppo semplice: come i Masoreti non si sarebbero accorti dello sbaglio? Dal momento che si parla di donne, non si potrebbe pensare che
Qohelet sfrutti per loccasione il suo nome/appellativo che ha desinenza femminile? Non
potrebbe cio trattarsi di una nuova finzione letteraria, accanto a quella regale (cf. 2.1),
per cui lautore riveste panni differenti per messaggi differenti? Tentativi di interpretare
questo cambio di genere si trovano gi nei commentatori giudaici tradizionali (cf. Delitzsch,
333-334; Rosenberg, The Five Megilloth, 97).
106. Diversamente da Pahk, The Significance of rva in Qoh 7,26, 375, non penso che i
tre rva (vv. 26.28.29) siano paragonabili: non hanno la medesima funzione, come appare
dalla traduzione data sopra.

86

A. NICCACCI

inverso, luomo e la donna (v. 27), e infine lessere umano in s, uomo e donna
(v. 28). Il senso della prima esperienza chiaro: la prostituta peggiore della
morte e solo chi buono davanti a Dio potr evitarla; la seconda invece misteriosa, in quanto il saggio non specifica come ha trovato un uomo su mille, mentre allo stesso modo non ha trovato una donna su mille107. Comunque si intenda
questo elemento, il punto principale espresso nella conclusione, che utilizza
ancora il verbo trovare al positivo: Soltanto vedi questo che ho trovato: / Dio
ha fatto lessere umano retto, / ma essi hanno cercato molti artifici (twnbO v
V jI )108.
Luomo e la donna, cio, hanno utilizzato in modo negativo le capacit che
hanno ricevuto da Dio. Ma mentre gli artifici della prostituta sono specificati
( trappole / e il suo cuore reti: 7,26), quelli delluomo non lo sono. Uomo e
donna, suggerisce comunque un gioco di parole nel testo, invece di comportarsi
come il saggio che ha trovato (conoscenza/sapienza) / (ponendo) una cosa su
unaltra per trovare un calcolo (Nwb; v
V jR ) (7,27), hanno cercato artifici (twnbO vV jI )
(7,29) contrari al volere di Dio. Qo 7,26-29 dunque una riflessione sulla degenerazione dellessere umano. Usciti retti dalla mano di Dio, uomo e donna si
sono corrotti utilizzando in modo negativo le risorse che hanno ricevuto; resta
comunque aperta per entrambi la possibilit di comportarsi da persone sagge.
chiaro perci che le cose negative non sono dette della donna in s
ma appunto di quella che trappole / e il cui cuore reti / e lacci le sue
107. Il come pu essere dedotto da ci che segue: Dio ha fatto lessere umano retto (v. 29),

e quindi: un uomo tra mille ho trovato (retto), / ma una donna fra tutti questi (= mille) non ho
trovato (retta), e cos intendono vari interpreti. Ma si pu anche intendere in base a ci che
precede: un uomo tra mille ho trovato (buono, che potr evitare il pericolo della prostituta),
/ ma una donna fra tutti questi (= mille) non ho trovato (buona, che potr evitare il pericolo
delluomo malvagio). Credo che ambedue le soluzioni siano possibili; del resto non sono
molto diverse e ambedue vengono riassunte nella frase conclusiva (v. 29). antifemminile
questo passo? A parte il fatto che una percentuale di uno su mille non confortante neppure
per luomo, pesano su questaffermazione sia il ricordo delle donne straniere (settecento mogli
+ trecento concubine = mille!) che pervertirono il cuore di Salomone-Qohelet (1 Re 11; cf.
G.M. Schwab, Woman as the Object of Qohelets Search, AUSS 39 [2001] 73-84), sia il
racconto della Genesi sul peccato originale. Questo racconto richiamato esplicitamente in
Sir 25,23/24: Dalla donna viene linizio del peccato / e a causa di lei siamo morti tutti, e
ispira a Ben Sira una serie di affermazioni contrapposte (cf. Sir 25,12-26,18), dalle quali alla
fine emerge, nonostante tutto, un apprezzamento molto alto della donna (cf. il mio saggio
Siracide o Ecclesiastico, 38-39). Mi sembra infine che la soluzione proposta da V.P. Long,
One Man among Thousand, but not a Woman among Them All: A Note on the Use of m
in Ecclesiastes vii 28, in: K.-D. Schunck - M. Augustin (edd.), Lasset uns Brcken bauen...
Collected Communications to the XVth Congress of the International Organization for the
Study of the Old Testament, Cambridge 1995, Frankfurt am Main 1998, 101-109, che cio
7,28b could be taken as an aside, mentioned by Qohelet to emphasize how little in fact his
search for understanding has yielded (p. 108), non risolva il problema.
108. In 2 Cr 26,15 lespressione bEvwj tRbRvSjAm twnObVvIj artifici, opera di artificieri designa
delle macchine militari.

QOHELET

87

mani, cio della prostituta (hnwz, Pro 6,26; 7,10; 23,27; Sir 9,3.6), detta
anche straniera (cio estranea alle tradizioni di Israele, hyrVkn, Pro 2,16;
5,20; 6,24; 7,5; 27,13), quella che per i saggi costituisce uno dei pericoli
maggiori nella vita delluomo, in particolare del giovane, accanto alle cattive
compagnie e allalcool. Non per niente Pro 5,15-19 con un linguaggio molto
seducente invita il giovane a godere della propria moglie per evitare le insidie della straniera (5,3-6 // 5,20); cf. in particolare 5,18-19:
(18)
(19)

JKwrDb KrwqVm_yIhy
Krwon tRvEaEm jAmVcw
NEj_tAlSoyw MyIbDhSa tRlyAa
tEo_lDkVb Kwry Dhy;d;d
dyImDt hgVvI;t ;hDtDbShAaV;b

Sia la tua fonte benedetta


e abbi gioia dalla moglie della tua giovent!
Cerva amabile e gazzella graziosa,
i suoi seni ti inebrino in ogni tempo;
del suo amore possa tu ubriacarti sempre!

In Qo 9,8 richiama lattenzione lespressione in ogni tempo (tEo_lDkV;b,


come in Pro 5,19!) che specifica linvito a indossare vesti bianche e profumare
il capo. Se infatti ricordiamo il catalogo dei tempi (Qo 3,1-8) e lossessione,
direi quasi, dei saggi per il tempo adatto, viene da chiedersi: come pu Qohelet
invitare qui a fare festa in ogni tempo? Osserviamo per che subito dopo,
in 9,9, linvito a godere insieme alla propria donna viene specificato mediante
unespressione molto ampia109: per tutti i giorni della tua vita di vanit / che
(Dio) ti ha dato sotto il sole, / nei giorni della tua vanit. Alla luce della constatazione che la vita normalmente faticosa e stressante, lespressione in ogni
tempo viene perci ridimensionata: in ogni tempo possibile, sfruttando ogni
occasione che si presenta nella costante fatica che accompagna lesistenza.
Che Qohelet non inviti qui a darsi al godimento sfrenato lo conferma anche
linvito (3), che raccomanda di fare tutto quello che risulta possibile (9,10):
un fare da intendere nel senso pregnante con cui viene usato nel libro, cio
come fare esperienza delle cose per comprendere i valori della vita alla luce
di Dio (cf. 1.3).
Le motivazioni degli inviti (1) e (2) sono tra loro collegate: (1b) poich
Dio ha gi gradito le tue opere (9,7), cio se riesci a mangiare e bere, Dio
che te lo concede, dato che potrebbe rovinare lopera delle tue mani (5,5);
(2b) poich questo la tua parte nella vita (9,9), cio il fatto di poter fare
festa e godere con la tua donna il frutto della tua fatica e insieme dono di
Dio (cf. 3,12-13 // 3,22, 2.2).
La motivazione dellinvito (3) nomina quattro termini, uniti due a due:
opera e calcolo (Nwb
; vV jR w hRcoS mA ) e conoscenza e sapienza (hDmkV jD w tAod w ) (9,10).
109. Gli autori spesso eliminano uno stico per dittografia sulla base di alcuni manoscritti,

alcune versioni e il Targum; cf. Seow, 302.

88

A. NICCACCI

Mentre la seconda coppia piuttosto usuale (1,16.18; 2,21.26; 7,12), la prima richiede una spiegazione. Direi che opera designa lesperienza, lattivit umana
che si esercita sulla creazione opera di Dio (cf. 1.3), e calcolo indica il porre una
cosa su unaltra, appunto per trovare un calcolo (Nwb; v
V jR ) (7,27), cio annotare e
classificare le varie esperienze per giungere a una conclusione basata su di esse.
Le due coppie designano perci lopera delluomo sulla terra come stata fatta e
descritta da Qohelet (cf. 1.1). La motivazione si adatta dunque bene allinvito (3)
a fare tutte le esperienze possibili finch dura la vita (9,10), poich dopo la morte
non sar pi possibile godere i beni che Dio concede sulla terra (cf. 1.4).
2.7. Qo 11,7-12,7 (7 passo)
il terzo e ultimo invito alla gioia, complesso almeno quanto quello di 9,710. Viene preceduto da un lungo brano che si compone di tre suddivisioni
(9,11-10,4; 10,5-19; 10,20-11,6) nelle quali non si trovano n proclamazioni
n inviti alla gioia. Nella prima suddivisione (9,11-10,4) continua la riflessione del brano precedente (8,16-9,10). Qohelet riflette sulle ambiguit della
realt: il successo non assicurato nella vita per nessuna delle categorie nominate (i veloci, gli eroi, i saggi, i prudenti e i sapienti), ma per ognuno c
un tempo e un destino (ogRpw tEo = un destino a suo tempo) (9,11); e mai
luomo conoscer il suo tempo (w;tIo); / come i pesci che vengono presi nella
rete cattiva / e come gli uccelli che vengono presi nella trappola, / cos i figli
delluomo vengono catturati in un tempo cattivo (hDor tEoVl), / quando cadr
su di essi allimprovviso (9,12). Ritorna cio la dura riflessione che luomo
sa che il suo tempo fissato ma non ne conosce il quando.
Al solito, questa riflessione che suona devastante viene seguita da unaltra che proclama fiducia. Lespressione anche questo ho visto (che ) sapienza sotto il sole / ed essa grande per me (9,13) introduce il caso di una
citt assediata che pu essere salvata da un uomo povero saggio, anche se
poi di lui si perde memoria (9,14-15; cf. 1.4). Seguono altre considerazioni
sui vantaggi della sapienza (9,16-18a; 10,2-4), ma non mancano considerazioni che ne mostrano i limiti: le parole del saggio non vengono ascoltate
(9,16b-17) e basta poca stoltezza per rovinare tutto (9,18b; 10,1).
La seconda suddivisione (10,5-19) riflette su una serie di mali,
disordini e ambiguit dellesistenza che provengono dal capo, letteralmente da davanti al capo (fyI;lAvAh ynVpI;lIm)110, cio probabilmente da
110. La formulazione di 10,5 singolare: C un male che ho visto sotto il sole, / come

un errore che proviene dal capo. Invece di come un errore (hggVvI;k) potrebbe intendersi
proprio un errore, con kaf asseverativo attestato in ugaritico e anche in ebraico (kaph
veritatis secondo Gesenius-Kautzsch-Cowley, 118x); cos Gordis, 309.

89

QOHELET

Dio111: stolti e servi esaltati, ricchi e ministri umiliati (10,5-8); vantaggi della
sapienza che d abilit, non disgiunti per dallignoranza sul futuro (10,9-15);
sfortuna della nazione governata da un re giovane e ministri stolti, fortuna
della nazione governata da un re nobile e ministri assennati (10,16-19).
La terza suddivisione (10,20-11,6) contiene istruzioni e detti che riguardano il comportamento saggio in diverse occasioni: verso il re (10,20),
sulla carit o commercio (11,1)112, sulla prudenza nelle attivit (11,1-6).
Comprende anche una suggestiva formulazione dellignoranza umana dellopera di Dio: Come tu non conosci quale sia la via del vento / e neppure
(la via/formazione del)le ossa nel seno della donna incinta, / cos non conoscerai mai lopera di Dio / che far il tutto (11,5).
Dal punto di vista grammaticale il passo sulla gioia appare collegato a
ci che precede, dato che inizia con un waw:
11,6
Al mattino semina il tuo seme
e alla sera non dare riposo alla tua mano,
poich tu non sai quale riuscir,
se questo o quello,
e se ambedue sono ugualmente buoni (MyIbwf)

111. La possibilit che

11,7-8

(7) E dolce la luce ed bene (bwfw)

per gli occhi vedere il sole,


(8) poich anche se luomo vivr anni
in quantit,
in tutti sia nella gioia
e ricordi i giorni delle tenebre,
che saranno in quantit:
tutto ci che verr vanit.

fyI;lAv designi Dio (come in Dn 5,21) viene considerata da Delitzsch,


376, il quale per interpreta il testo nel senso che lerrore proviene dal governatore umano, anche se poi pu essere visto come proveniente da Dio. Per lo pi i commentatori
intendono il termine in senso di capo politico. Per parte mia, ho creduto di vedere un
riferimento a Dio anche in 5,7, dove si parla di un Altissimo (MyIhObg) che veglia sopra gli
alti (A;hObg lAoEm A;hObg) poteri dellamministrazione statale (cf. supra, nota 51). tipico della
sapienza biblica vedere una stretta relazione tra il re o i capi umani e Dio, nel senso che i
primi amministrano il potere a nome e per incarico del secondo. Il movimento stesso dei
saggi sorto probabilmente per dare giustificazione ideologico-religiosa alla monarchia. Sui
passi di Proverbi sul re e sui paralleli egiziani si possono consultare i miei saggi Proverbi
23,26-24,22, LA 48 (1998) 49-104, spec. 79.98-99, e Proverbi 22,17-23,11 tra Egitto,
Mesopotamia e Canaan, in: S. Graziani (ed.), Studi sul Vicino Oriente Antico dedicati alla
memoria di Luigi Cagni, Napoli 2000, 1859-1891, spec. 1874-1877.
112. Secondo due modi diversi di interpretare linvito spedisci/manda il tuo pane sulla
superficie delle acque. Per M.M. Homan, Beer Production by Throwing Bread into
Water: A New Interpretation of Qoh. xi 1-2, VT 52 (2002) 275-278, il testo raccomanda la
produzione di birra, gettando appunto il pane nellacqua.

90

A. NICCACCI

Come in 2,24 ( 2.1), il passo sulla gioia grammaticalmente legato a ci


che precede. Il waw di 11,7 introduce per un argomento nuovo, collegato
comunque a 11,6 per quanto riguarda la ricerca di ci che buono nella vita,
come suggerisce la connessione lessicale MyIbwf / bwfw. Si tratta di una breve
proclamazione di gioia (11,7) a cui viene agganciato un invito alla gioia, prima indiretto (in terza persona: sia nella gioia / e ricordi), poi diretto (con
appello diretto e in seconda persona: 11,9-12,1). Cos i due generi letterari,
proclamazione e invito, che finora sono comparsi separati (proclamazione in
2,24-26; 3,12-13.21-22; 5,17-19; 8,15; invito in 7,13-14; 9,7-10) vengono
collegati luno allaltro.
Dal punto di vista sintattico, il fatto che jDmVcy sia seguito da rO;kzyw, che
una forma verbale volitiva, suggerisce che anche jDmVcy sia volitivo113, per cui
si tradurr appunto: sia nella gioia / e ricordi. Ma allora il modo come la
proclamazione (con costrutto indicativo) e linvito (con forme verbali volitive, imperativo o iussivo) sono collegati singolare, dato che di solito la forma volitiva, con cui si enuncia linvito (positivo) o la proibizione (negativa),
precede quella indicativa, la quale viene introdotta da yI;k e ne rappresenta la
motivazione (cf. ad es. 9,7-9: Va, mangia / e bevi / poich Dio ha gi
gradito). Qui invece avviene il contrario, per cui i commentatori avvertono il problema di come tradurre il primo yI;k di 11,8. Con lacutezza che lo
distingue, Delitzsch rifiuta linterpretazione di yI;k asseverativo, nel senso di
s, certo, e commenta:
If it had been said: man must enjoy himself as long as he lives, for the light is sweet,
etc., then the joy would have its reason in the opportunity given for it. Instead of this, the
occasion given for joy has its reason in this, that a man ought to rejoice, viz., according to
Gods arrangement and ordinance: the light is sweet, and it is pleasant for the eyes to see
the sun; for it ought thus to be, that a man, however long he may live, should continue to
enjoy his fair life, especially in view of the night which awaits him (p. 398).

La luce del sole dunque cosa buona perch volere di Dio che luomo
ne goda. volere di Dio anche che luomo, per contrasto, ricordi i giorni
delle tenebre, / che saranno in quantit: / tutto ci che verr vanit (11,8;
cf. 1.1).
Mentre lespressione sia nella gioia (radice jmc) comune in Qohelet,
quella successiva e ricordi i giorni delle tenebre (JKRvOjAh yEmy_tRa rO;kzyw) unica; dal parallelismo antitetico con nei giorni della tua giovent (11,9), si
comprende che essa allude alla vecchiaia. Lespressione comunque suona
contraddittoria rispetto a 5,19: Infatti non ricorder molto (rO;kzy hE;brAh al)
113. Cf. il mio articolo A Neglected Point of Hebrew Syntax: Yiqtol and Position in the

Sentence, LA 37 [1987] 7-19, 1.3.2.

91

QOHELET

i giorni della sua vita, / poich il Signore lo tiene occupato con la gioia del
suo cuore. Ma la contraddizione solo apparente. Infatti in 5,19 si dice che
Dio, per sua grazia, libera luomo dal penoso ricordo della brevit della vita,
mentre in 11,8 questo stesso ricordo viene presentato come uno stimolo a
sfruttare al meglio il tempo concesso per godere.
Linvito diretto alla gioia comprende due unit parallele:
11,9
a)

(9) KyRtwdVlyV;b

rwjD;b jAmVc

// 11,10-12,1-2.6

Sii nella gioia, o giovane,


nella tua adolescenza

a) (10) KR;bI;lIm

sAoA;k rEsDhw

E rimuovi la preoccupazione dal tuo cuore

KV;bIl KVbyIfyw

KrDcV;bIm hDor rEbSoAhw

e il tuo cuore ti renda felice

e allontana la tristezza dalla tua carne,

nei giorni della tua giovent,

poich ladolescenza e i capelli neri sono vanit!

KRtwrwjVb yEmyI;b

KV;bIl yEkrdV;b JKE;lAhw

lRbDh twrSjAvAhw twdVlyAh_yI;k

e cammina nelle vie del tuo cuore

KynyEo yEarAmVbw

e nelle visioni dei tuoi occhi!


b)

hR;lEa_lD;k_lAo yI;k odw

E sappi che su tutto questo

fDpVvI;mA;b MyIhlTaDh KSayIby


Dio ti condurr in giudizio!

b) (1) KyRarw;b_tRa

rOkzw

E ricorda il tuo Creatore

KyRtOrwjV;b yEmyI;b

nei giorni della tua giovent,

hDorDh yEmy waby_al rRvSa dAo


prima che vengano i giorni tristi

rAma;t rRvSa MynDv woygIhw

e giungano anni in cui dirai:

XRpEj MRhDb yIl_NyEa

Non ne provo alcun piacere.


(2) rwaDhw

vRmRvAh JKAvVjRt_al rRvSa dAo

Prima che si oscuri il sole e la luce


() MyIbDkw;kAhw AjryAhw
e la luna e le stelle
(6) () PRsR;kAh lRbRj qEjry_al rRvSa dAo
Prima che si allontani la corda di argento

Richiama lattenzione anzitutto il fatto che gli inviti (che in questo


brano sono sette: sei diretti, allimperativo, e uno indiretto, allo iussivo:
ti renda felice) siano rivolti al giovane (rwjD;b), non pi alluomo in
generale (MdDaDh) come in 11,8 e in tutti gli altri casi nel libro. la prima
volta che il destinatario dellinsegnamento viene chiamato cos. naturale riferire al giovane anche lappellativo ynV;b figlio mio di 12,12; del
resto lammonizione, fa attenzione! / Fare libri in quantit non ha fine

92

A. NICCACCI

/ e lo studio in quantit stanchezza della carne (12,12), si comprende


bene rivolta a un giovane. Leggendo il libro, egli potrebbe venir preso
dallentusiasmo di gettarsi nella logorante impresa di seguire le orme di
Qohelet, il quale non solo fu saggio per se stesso ma anche ponderando
e ricercando114, / formul detti in quantit / cerc di trovare pregevoli
parole / e uno scritto con rettitudine, parole di verit115 (12,9-10).
Ricordiamo che ynV;b figlio mio lappellativo usuale con cui il libro
dei Proverbi apre le istruzioni (soprattutto in Pro 1-9), mentre Qohelet lo usa
solo in questo caso (12,12). Ora secondo la tradizione ebraica, da giovane
Salomone scrisse il Cantico dei cantici, da uomo maturo Proverbi e da vecchio Qohelet. E in effetti le devastanti riflessioni di questultimo si direbbero
rivolte alluomo vecchio, o almeno maturo, che si immagina meglio equipaggiato del giovane a reggerne lurto. Ma il saggio non dimentica il giovane;
anzi, giunto al termine e al culmine della sua opera, si rivolge direttamente a
114. Rendo cos, con il gerundio, la funzione dei due weqatal che precedono il qatal:

hE;brAh MyIlDvVm N;qI;t r;qIjw NzIaw, letteralmente: mentre/poich ponderava e ricercava, formul

molti detti (cf. supra, note 26 e 49). Secondo la regola, quando si riferisce al passato,
weqatal forma verbale descrittiva, indica abitudine, ripetizione, continuit. In questo
caso legata al qatal successivo come precisazione (sfondo) dellinformazione principale (N;qI;t, qatal di primo piano). Una sequenza analoga si trova nella prima parte di 12,9:
MDoDh_tRa tAo;d_dA;mIl dwo MDkDj tRlRhOq hyDhRv rEtOyw E oltre che Qohelet fu un saggio, / insegn
anche conoscenza al popolo, dove la specificazione espressa mediante un qatal (hyDhRv,
sfondo) che, a differenza del weqatal, comunica una precisazione unica, puntuale rispetto
allinformazione principale che segue (dA;mIl, primo piano). Unaltra sequenza analoga, per
con wayyiqtol al posto di qatal nella seconda proposizione (principale), si trova in 4,1, ripetuta in 4,7: hRarRaw ynSa yI;tVbAvw continuando io (letteralmente: mentre/poich tornavo io)
vidi. La struttura sintattica di queste sequenze proposizione circostanziale/subordinata +
proposizione principale, o protasi + apodosi, che la struttura dello schema sintattico a due
membri, o proposizione duplice (cf. Syntax of the Verb, cap. VIII nelle varie edizioni).
In questo costrutto, la seconda proposizione, quella principale, quando si riferisce allasse
del passato, pu essere espressa sia con qatal (come in 12,9) che con wayyiqtol (come in
4,7); cf. ibid., 113-114.
115. 12,10 tRmTa yrVb;d rRvOy bwtDkw: il participio bwtDkw viene in genere rivocalizzato come
infinito assoluto di continuazione: cerc e scrisse, ma il TM comprensibile com.
La soluzione migliore sembra quella della LXX che lha interpretato come un participio
sostantivato: ezh/thsen Ekklhsiasth\ touv euJrein lo/gou qelh/mato kai gegrammenon
eujqu/thto Qohelet cerc di trovare di trovare parole piacevoli e uno scritto di rettitudine. Invece Delitzsch preferisce intenderlo come participio neutro (senza concordanza),
accompagnato da un accusativo di modo, riferito a un secondo oggetto posposto: Koheleth
strove to find words of pleasantness, and, written in sincerity, words of truth (p. 432).
Curiosamente, Ibn Ezra intende il costrutto sul modello di rDvyAh rRpEs_lAo hDbwtVk hnIh Ecco
(questo lamento) sta scritto nel Libro del Giusto (2 Sam 1,18) e ipotizza che lespressione
designi unaltra opera dellautore perduta: Y lo escrito correctamente (rRvOy) se interpreta
como [lo escrito] en el Libro del Justo (rDvyAh), pero no lo tenemos (Gmez Aranda
[ed.], El comentario de Abraham Ibn Ezra al libro del Eclesiasts, 189).

QOHELET

93

lui, convinto certo che egli si trova nelle condizioni ideali per sperimentare e
apprezzare al meglio il suo impegnativo programma di vita116.
Alcuni inviti rivolti al giovane, soprattutto cammina nelle vie del tuo
cuore / e nelle visioni dei tuoi occhi (11,9), suonarono spinti agli orecchi
dei rabbini, alcuni dei quali vollero escludere dal canone il libro di Qohelet
perch contraddiceva la Legge di Mos, specificamente in questo caso Nm
15,39, che prescriveva agli Israeliti di fare dei fiocchi alle estremit del vestito (tIxyIx), e cos dice il Signore ricorderete tutti i comandamenti del
Signore e li eseguirete e non andrete vagando dietro al vostro cuore e dietro
ai vostri occhi (MRkynyEo yrSjAaw MRkVbAbVl yrSjAa wrUtDt_alw), dietro ai quali voi commettete prostituzione. Si legge che per il libro di Qohelet non fu escluso
grazie a ci che segue: E sappi che su tutto questo / Dio ti condurr in giudizio117. In realt ritroviamo qui ancora un elemento tipico della ricerca di
Qohelet, il quale vuole tenere insieme sia la saggezza che la stoltezza in un
equilibrio che assicurato dal timore di Dio ( 1.1; cf. 7,13-14, 2.4).
Secondo il suo modo usuale di procedere, Qohelet invita il giovane per due
volte a tenere insieme i due poli del suo insegnamento: a) linvito a godere e b)
il ricordo di Dio creatore e giudice, il che poi non altro che il timore di Dio. La
prima volta con le parole: a) sii nella gioia / e il tuo cuore ti renda felice
/ e cammina nelle vie del tuo cuore, e b) e sappi che su tutto questo / Dio ti
condurr in giudizio; la seconda volta con: a) E rimuovi la preoccupazione
/ e allontana la tristezza, e b) e ricorda il tuo Creatore118. Alla luce di
116. Diversamente, per Lohfink, Freu dich, Jngling, linvito di 11,9 non si accorda con il

messaggio di Qohelet, anche perch altrove il saggio non si rivolge mai al giovane. Per lui,
Was in 11,9 anhebt, ist nicht seine eigene Stimme [di Qohelet]. Er singt zwar selbst. Aber
er nimmt eine fremde Stimme auf (p. 184). Lohfink afferma anche che linvito a godere
la giovent perch presto viene la vecchiaia (freut euch der Jugend, denn bald kommt das
Alter, p. 183) sia una distorsione del pensiero di Qohelet derivata dalla cultura ellenistica
che ammetteva una deificazione della giovent. Osserverei per che il testo dice esattamente
prima che vengano i giorni tristi (hDorDh yEmy waby_al rRvSa dAo) della vecchia (12,2), non
poich. Se, come credo, il punto anche qui vivere secondo il tempo concesso da
Dio (cf. 3,1-8), quel giudizio va rivisto.
117. Cf. Rosenberg, The Five Megilloth, 152. Si vedano anche i testi giudaici riportati nel
mio saggio La casa della Sapienza, 27.90.135. Per unesegesi di 11,9 contraria allopinione
di quelli che lo attribuiscono a un pio glossatore o epiloghista si veda Maussion, Le mal, le
bien et le jugement de Dieu dans le livre di Qohlet, 167-170.
118. A.J.O. van der Wal, Qohelet 12,1a: A Relatively Unique Statement in Israels Wisdom
Tradition, in: Schoors (ed.), Qohelet in the Context of Wisdom, 413-418, difende giustamente
la lezione del TM KyRarw;b_tRa il tuo Creatore in 12,1 (cf. LXX: kai mnh/sqhti touv ktisanto/
se; Volgata: memento creatoris tui) contro alcune proposte di cambiarla (p. 417), compresa
quella di A. Rof, La formulazione sapienziale Non dire e langelo di Qo 5,5, in: Bellia
- Passaro (edd.), Il libro del Qohelet, 217-226, spec. 226, nota 20. In effetti, bench il termine
in s sia unico, la fede in Dio creatore la base della sapienza biblica.

94

A. NICCACCI

questo modo di procedere, che tiene insieme, uno di fronte allaltro, i due aspetti
contrastanti dellesperienza (sapienza e stoltezza, ricerca di senso e godimento,
ecc.), preferibile tradurre e sappi / e ricorda piuttosto che ma sappi / ma
ricorda. La differenza piccola, ma questione di mentalit e di stile.
2.8. Valutazione
La prima impressione che si prova leggendo questi testi che le proclamazioni (con forme verbali indicative) come anche gli inviti alla gioia
(con forme verbali volitive) giungono a conclusione di riflessioni negative
di Qohelet. Questo laspetto che gli interpreti sottolineano e spesso ne
traggono conclusioni che rischiano di essere parziali. In effetti questa impressione va controllata.
In tre casi le riflessioni negative iniziano con la domanda cosa viene alluomo? (2,22 = 1 passo) / qual lutilit di colui che fa? (3,9 = 2 passo) / qual
il vantaggio cosa bene per luomo? (6,11-12 = 4 passo); in due casi con
la negazione esplicita c un male terribile (5,12.15 = 3 passo) / c una vanit
(8,14 = 5 passo; cf. 10,5 = 7 passo); e in due casi con la formula che introduce
il risultato della ricerca: Quando posi il mio cuore vedevo (8,16-17 = 6
passo) / di nuovo vidi anche questo ho visto (9,11.13 = 7 passo).
importante notare che le riflessioni e/o esperienze di segno negativo
non compaiono mai da sole; sono sempre accompagnate da riflessioni e/o
esperienze di segno positivo. Il fatto che vengano enunciate in coppia suggerisce che non sono assolute n le prime n le seconde. Il male non assoluto
perch di fronte ad esso compare il bene; il bene non assoluto perch in
ogni caso limitato, ha fine. Qohelet pessimista? No. Qohelet ottimista? No.
Qohelet che valuta ogni aspetto dellesperienza? S.
Non esatto dire perci che le proclamazioni o inviti alla gioia vengano
al termine di riflessioni negative soltanto; vengono dopo la constatazione
che lesperienza ambivalente, nel senso che d sempre risposte doppie: una
positiva e una negativa.
Per una valutazione completa della proposta del saggio occorre notare
il ruolo di Dio e quello delluomo nelle vicende del mondo (cf. 1.3). La
vita sulla terra un incontro delluomo con Dio, dellattivit delluomo con
quella di Dio; e questultima comprende la creazione e la provvidenza, cio
la guida divina degli eventi. Compito delluomo investigare lopera di Dio
facendo esperienza di essa. Il fare esperienza (come il mangiare nel racconto di Gen 3) produce conoscenza e potere. Luomo si rende conto per
che non riesce a comprendere lopera di Dio dallinizio alla fine.

QOHELET

95

Il mistero di Dio il vero problema di Qohelet. Chi si lascia guidare dal


timore di Dio impara dallesperienza che Dio segue delle regole ben precise
nel governo del mondo; regole immutabili, a cui non c nulla da aggiungere
n da togliere. Comprende che da Dio provengono il bene e il male, il premio
e il castigo, la vita e la morte, dato che non esiste altro principio accanto a lui;
e perci sia la realt positiva che quella negativa buona a suo tempo, dato
che il Dio giusto e retto fa accadere entrambe nella vita, ma nessun uomo,
neppure il saggio, pu prevedere i tempi adatti (3,1-11).
La vita delluomo sulla terra produce fatica e frustrazione. Lesperienza
contraddice o non consente di provare ci che la fede e la sapienza tradizionale di Israele affermano. Ad esempio, per quanto riguarda la retribuzione
del giusto e del malvagio, uno fatica, accumula beni ma non gli concesso
di goderne (8,14); lingiustizia presente nel luogo stesso dove dovrebbe
regnare il diritto, il tribunale (3,16); ununica sorte, la morte, attende giusti
e malvagi (9,2); il successo non assicurato per chi lo merita (9,11); talvolta
il mondo va al rovescio di come dovrebbe andare (10,5-8), e chi potr raddrizzare ci che storto? (1,15; 7,13). Quanto alla distinzione tra uomini e
bestie, chi sa se lo spirito umano va in alto e quello animale in basso? (3,21);
nessuno conosce cosa avverr dopo la morte (7,14).
Nel dichiarare lo scopo dellagire spesso indecifrabile di Dio Qohelet
utilizza talvolta parole dure: affinch luomo comprenda che in se stesso
come lanimale, cio creatura mortale come tutte le altre (3,18-20); affinch
non comprenda il suo futuro dopo la morte (7,14); affinch non comprenda
tutta lopera di Dio (3,11), neppure il sapiente (8,17); affinch abbia il timore
di Dio (3,14).
Emerge comunque il legame del pensiero di Qohelet con il timore di Dio
che per i saggi israeliti principio della sapienza. Lagire di Dio ha lo scopo di mostrare alluomo che una creatura, che non in grado di comprendere la creazione n di manipolarla a suo piacimento, e perci deve temere
Dio che lha fatta e la governa, riconoscerlo, sottomettersi a lui e comportarsi
di conseguenza.
Questa idea non lontana da ci che si legge nel libro di Giobbe, in
particolare negli interventi di un personaggio spesso frainteso come Elihu
(Gb 32-37)119. Elihu ha un ruolo importante nella conversione di Giobbe:
conversione dalla pretesa di esigere da Dio una risposta al suo problema, alla
119. In La casa della Sapienza, 68-84 ho presentato una lettura popolare di questo impor-

tante complesso di capitoli che, lungi dallessere interpolazione tardiva, costituisce una
svolta nella trama del libro in quanto prepara la risoluzione del dramma che rappresentata
dalla teofania.

96

A. NICCACCI

cordiale sottomissione a lui senza bisogno di alcuna risposta. Con la saggezza


che gli viene non dallet ma dallo spirito del Signore (32,7-9), il giovane
interlocutore mostra che latteggiamento della creatura verso il Creatore non
pu essere quello di Giobbe, il quale sa di essere giusto e perci pretende
di mettere Dio sotto accusa. Infatti, argomenta Elihu, lordine che regola
gli uomini e il mondo sfugge totalmente al controllo della creatura. Il Dio
trascendente, bench sia luce suprema (37,21), tenebra assoluta per luomo
(37,19b), il quale non pu giungere a lui (37,23a), n vederlo (33,14b; 37,21),
n disputare con lui (33,13a; 37,19), n rispondergli (33,13b; 37,23b). Eppure
Dio parla alluomo, sia attraverso la sofferenza che attraverso le opere della
creazione. Latteggiamento corretto pu essere perci solo quello del timore di Dio, lunico che pone luomo nella condizione di capire il messaggio
divino. Infatti il timore di Dio, cio il riconoscimento che egli il Creatore
sovrano e che la creatura in tutto dipendente da lui, d alluomo la possibilit di comprendere le cose nella loro giusta realt e se stesso nel quadro
dellordine cosmico120.
Ci non significa affatto che luomo debba abdicare alla sua dignit; al
contrario solo in questa visione di fede egli pu trovare il suo posto come re
della creazione per volont del Creatore, affinch viva in essa in modo ordinato e lo lodi incessantemente. Il motivo dellagire di Dio non dunque n
la crudelt: umiliare luomo, n la gelosia: impedire che egli si appropri di
prerogative divine. piuttosto, secondo il libro di Giobbe, liberare luomo
dal suo peccato pi grande, la hwg, cio lorgoglio, che poi la ridicola
pretesa, la hybris della creatura che vuole prendere il posto del Creatore (Gb
33,17). Questo il peccato delluomo.
Vale la pena ribadire che il timore di Dio in Qohelet non diverso da
quello di Proverbi e di Giobbe, anche se il nome divino usato MyIhlTa, non
hwhy, che non compare mai in Qohelet. Ma non c motivo per dubitare che
sia lo stesso Dio, cio il Dio dei saggi, creatore e Signore provvidente.
Abbiamo accennato sopra che nella tradizione dei saggi il timore del
Signore linizio della sapienza, nel senso che dispone ad acquistarla e la
insegna ( 2.4). Mette cio luomo nella giusta disposizione per riconoscere
il mondo come opera di Dio, che lo ha creato e lo governa secondo un piano
ben preciso che la sua sapienza, e per acquistare conoscenza facendo esperienza del mondo, quasi estraendo dalle creature la sapienza di Dio che in
120. Del tutto fuorviante mi sembra perci laffermazione di R. Braun, Kohelet und die

frhhellenistische Popularphilosophie, Berlin - New York 1973, 127: Demnach ist festzustellen, da fr die Griechen wie fr Kohelet religise Bettigung nur aus Furcht vor einem
negativen Eingreifen der Gottheit geschieht.

QOHELET

97

esse, o mangiandole secondo il linguaggio di Gen 3. questo il principio


biblico della conoscenza, molto diverso da quello dei filosofi, un principio
secondo cui il conoscere uninterazione tra lautorivelarsi della creazione
e la ricerca delluomo121.
Questa concezione non esclusiva della sapienza ottimistica; caratteristica della sapienza tout court, anche di Giobbe:
(25)
(26)
(27)
(28)

Quando (Dio) stabil per il vento un peso / e lacqua ponder con la misura,
quando stabil per la pioggia una legge / e una via per il fulmine dei tuoni,
allora la vide [= la sapienza] e la enumer, / la stabil e anche la scrut
e disse alluomo: / Ecco, il timore del Signore sapienza /
e allontanarsi dal male, intelligenza! (Gb 28,25-28).

A Gb 28 (e a Pro 8) fa eco Sir 1122:


(1)
(2)
(3)
(4)
(6)
(8)
(9)
(10)

Ogni sapienza da presso il Signore / ed con lui per sempre.


La sabbia del mare, le gocce della pioggia / e i giorni del mondo, chi potr contarli?
Laltezza del cielo, lestensione della terra, / labisso e la sapienza, chi potr esplorarle?
Prima fra tutte le cose fu creata la sapienza / e la saggia prudenza da sempre.
La radice della sapienza a chi stata rivelata / e i suoi segreti chi li ha conosciuti?
Uno solo saggio, molto terribile, / seduto sul suo trono.
Il Signore stesso la cre, / la vide e la cont, / e la vers su tutte le sue opere,
con ogni carne secondo il suo dono, / e lha concessa a quelli che lo amano (Sir 1,1-10).

Non c alcuna dissonanza tra questi testi, diversi per autore e per tempo
di composizione ma uniti nella medesima prospettiva di fondo. Per tutti, il
timore di Dio la chiave che d accesso a una conoscenza del mondo che
insieme frutto di rivelazione divina e di ricerca umana123.
Tornando a Qohelet, notiamo che i dati fortemente negativi, le espressioni dure, devastanti, non sono lultima parola del saggio. Infatti il suo sforzo si
121. Von Rad, La sapienza in Israele, illustra questo argomento in un magnifico capitolo,

il cap. IX, intitolato appunto lautorivelarsi della creazione. Sul problema dei rapporti
tra la sapienza immanente al mondo e luomo egli scrive: Questo mistero dellordine del
mondo [che la sapienza] non si limita a interpellare luomo, lo ama! (p. 153).
122. Per linterpretazione di Gb 28, la sua funzione nellinsieme del libro e in rapporto a Pro
8 e Sir 1, e per una visione complessiva della sapienza biblica, mi permetto di rimandare
ai miei saggi Giobbe 28; La teologia sapienziale nel quadro dellAntico Testamento; e
La casa della sapienza, 53-84; 137-182. Si possono consultare anche tre miei contributi in
versione elettronica (dicembre 2003): An Overview of the Wisdom Books and Theology,
The Meaning of the Book of Job, e An Alternative Way to Redemption Nature and
Man in Wisdom Literature in http://198.62.75.1/www1/ofm/sbf/SBFessay.html.
123. Una visione molto diversa presenta T. Frydrych, Living under the Sun. Examination of
Proverbs and Qohelet, Leiden - Boston - Kln 2002, il quale crede di scoprire una serie di
contrapposizioni tra Qohelet, pessimista, e the proverbial sages pi antichi, ottimisti.

98

A. NICCACCI

indirizza costantemente a ricercare ci che bene per luomo nella sua esperienza faticosa e stressante; pi esattamente, a riconoscere ci che Dio gli
concede come unombra che d conforto e sostegno nella sua vita sotto il
sole. Mediante una serie di affermazioni paradossali, 7,1-12 mostra come il
saggio vada ben oltre le apparenze fino al cuore della realt. Non proclama la
gioia del carpe diem, spensierata o rassegnata che sia, ma mostra lutilit di
varie situazioni, anche dure, della vita, come la riflessione di fronte al lutto e
alla morte, la seriet e limpegno che sanno accettare anche il rimprovero del
saggio, la calma e la pazienza per portare a termine unattivit, lutilit della
ricchezza che per non assoluta ma subordinata a quella della sapienza, la
quale sola permette di giungere alla pienezza della vita.
In questo contesto si comprendono correttamente le asserzioni e gli inviti
alla gioia. Nellambiguit, stress, fatica incessante delluomo nella sua vita
sotto il sole, Dio va incontro alla sua creatura, gli offre riparo e conforto; cos
luomo non ricorder molto i giorni della sua vita (che sono brevi e pieni di
fatica), / poich il Signore (lo) tiene occupato (o: [gli] risponde) con la gioia
del suo cuore (5,19), e la gioia lo accompagner nella sua fatica / nei giorni
della sua vita che il Signore gli ha dato / sotto il sole (8,15). In effetti una costante delle dichiarazioni e degli inviti alla gioia il riferimento a Dio: poter
mangiare e bere viene dalla mano di Dio (2,24 = 1 passo); godere dono di
Dio (3,13 = 2 passo); bello godere nella vita che Dio ha dato (5,17-18 = 3
passo); sia il bene da godere che il male in cui bisogna riflettere sono opera
di Dio (7,13-14 = 4 passo); la gioia una compagna della vita data da Dio
(8,15 = 5 passo); mangiare e bere nella gioia significa che Dio ha gradito le
opere delluomo (9,7 = 6 passo); il giovane deve godere e ricordarsi del suo
Creatore (11,19-12,1 = 7 passo).
Godere quando Dio concede la gioia e riflettere quando manda il dolore
(7,14) per comprendere il suo messaggio possibile a colui che ha il timore
di Dio. Solo il timorato in grado di vivere in armonia con i tempi di Dio,
sia con il tempo del bene che con quello del male124. Solo lui in grado
di investigare il senso della realt senza giungere al punto in cui questo
124. Non posso perci condividere unidea ricorrente di Sacchi, secondo cui in Qohelet

bisogna distinguere il bene-per-luomo dal bene-per-Dio. Egli scrive: Secondo una terminologia moderna, si pu dire che per Qohelet non esiste il problema che cosa sia il bene,
cio il bene-per-Dio. Questo non riguarda luomo. Il problema di Qohelet molto concreto,
egli vuol sapere che cosa il bene-per-luomo, senza nessuna costruzione intellettualistica
(p. 39). Qohelet cerca il bene per luomo alla luce della fede. Non si sognerebbe mai di
cercare il bene fuori di Dio, come non si sognerebbe di dichiarare assurda lopera della
creazione e il governo divino del mondo, nonostante lincapacit umana di comprendere
fino in fondo (cf. nota 29).

QOHELET

99

sforzo, che faticoso e stressante, gli distrugga la vita (7,16-18; 12,12);


daltra parte, solo lui in grado di godere dei beni della vita conservando
la saggezza e la misura e senza dimenticare che di tutto Dio gli chieder
conto (11,9)125.
Un aspetto da sottolineare che il godere insieme dono di Dio e opera
delluomo: nel linguaggio di Qohelet, la sua parte, la ricompensa della
sua fatica. Onnipotenza e bont di Dio, da un lato, sottomissione e dignit
delluomo, dallaltro, sono i poli della riflessione di Qohelet come anche
degli altri saggi israeliti. Ne consegue un ordine, unarmonia che riscatta
ogni fatica e ogni stress. Per cui la conclusione del libro (12,13-14), dopo
tutte le dure espressioni che vi compaiono, non stonata n sdolcinata n accomodante. vera e piena conclusione, succo nutriente che sostiene la dura
esistenza delluomo credente sulla terra.
Se queste conclusioni sono giuste, varie opinioni correnti su Qohelet
dovranno essere profondamente riviste. Si dovr convenire, ad esempio, che
lo scetticismo non si applica a Qohelet, perch secondo lui non che luomo
non possa conoscere, ma piuttosto che non pu conoscere completamente,
fino in fondo: non pu conoscere il senso ultimo della realt, i tempi del
governo del mondo, il futuro, ecc. Il saggio infatti riflette, dolorosamente
anche, sui limiti delluomo, ma non nega le sue capacit; anzi, i limiti sono
per il timorato di Dio uno stimolo ad accogliere il positivo che Dio concede
nella vita e a non voler rovinarsi lesistenza volendo oltrepassare le colonne
dErcole!
Scopo di Qohelet portare luomo a riconoscere, accettare e convivere
con i propri limiti attraverso unanalisi rigorosa delle contraddizioni dellesistenza, contraddizioni che derivano dal fatto che esperienza e fede appaiono
spesso in contrasto luna con laltra. Questa constatazione non nuova n
esclusiva di Qohelet: si pensi ai testi sul problema della prosperit dei malva125. Maussion, Le mal, le bien et le jugement de Dieu dans le livre di Qohlet, presenta una

lettura del libro di Qohelet basata sul rapporto dinamico che lega male, bene e giudizio di
Dio. In linea generale, questa impostazione interpretativa non molto diversa dalla mia che
comprende: dato negativo, dato positivo e invito alla gioia reso possibile dal timore di Dio;
timore di Dio che consente non solo di convivere con i dati negativi dellesperienza ma anche di godere positivamente delle gioie che Dio concede. Dice bene Maussion: En rsum,
le livre de Qohlet, loin dtre pessimiste, laisse au contraire percevoir une perspective trs
positive, puisquil offre une thique de vie raisonnable et pratique: car sil est ncessaire de
savoir accueillir la joie donne par Dieu lorsquelle se prsente, il est toujours indispensable
de la mettre en pratique dans un agir quotidien sens et juste. La prsence incontournable du
mal, au lieu de susciter le dcouragement, doit inciter lhomme rflchir et le dpasser.
Au demeurant, lthique de Qohlet se rsume admirablement dans ces trois mots: ainsi,
crains Dieu (Qo 5,6) (p. 177).

100

A. NICCACCI

gi, ad es. Sal 37,2-3; Pro 23,17; 24,1.19; Mal 3,13-18126. Nuovo il fatto che
quella constatazione diventata un argomento primario del libro di Qohelet.
Il modo in cui le contraddizioni si configurano (dato di esperienza contro
dato di fede) esclude ogni interpretazione di Qohelet come critico della sapienza o della fede tradizionale, come pessimista, materialista, immorale,
scettico, ironico, e cose del genere127.
Stando cos le cose, si comprende che non vedo alcun motivo per invocare un pio glossatore e/o uno o due epiloghisti. Le contraddizioni, dato negativo contro dato positivo, fanno parte del modo di ragionare e di esporre di
Qohelet, e prima ancora della sua esperienza di saggio impegnato allinterno
di una comunit credente: ne sono costitutive. Diversamente non possibile
intenderlo per quello che e vuole comunicare, ma lo si riduce, appunto, a un
nichilista, a uno scettico, a un critico, o a un ironico pi o meno amaro128.
Quella di Qohelet , al contrario, una riflessione ed esposizione estremamente seria, che certo non fa sconti ma che mira a creare pi che a distruggere. A creare fiducia, nonostante tutto, nella fedelt del Creatore provvidente,
il quale d alluomo che ha il suo timore modo e tempo per discernere ci
che davvero bene per lui nella sua dura fatica sotto il sole e per godere del
frutto del proprio lavoro come sua parte e insieme come dono dallalto.
126. Al riguardo si possono consultare i miei saggi Proverbi 23,12-25, LA 47 (1997)

33-56, spec. 49-50; Proverbi 23,26-24,22, LA 48 (1998) 49-104, spec. 76.90-91.97-98; e


Poetic Syntax and Interpretation of Malachi, LA 51 (2001) 55-107, spec. 97-99.
127. L. Mazzinghi, Gioisci, giovane, nella tua giovinezza!. Il libro del Qohelet e la gioia
del vivere, PSV 45 (2002) 41-54, vede bene la gioia come parte delluomo e dono di Dio.
Tuttavia non direi, per quello che le espressioni evocano, che la gioia la parte che spetta
alluomo (p. 50), n tradurrei goditi la vita, passarsela bene (pp. 51-52). Non direi
neppure che il progetto del Qohelet non certamente esaltante; la gioia di cui egli parla
senzaltro molto limitata e per noi fin troppo concreta. Come afferma E. Bons, Das Buch
Kohelet in jdischer und christlicher Interpretation, in: Schwienhorst-Schnberger (ed.),
Das Buch Kohelet, 327-361, Ein Gefhl der berlegenheit gegenber Kohelet ist nicht
angebracht (p. 355).
128. Non credo che lumorismo sia in grado di consentire un passaggio tranquillo dalle affermazioni di assurdit a quelle di gioia come propone E. Levin, The Humor in Qohelet,
ZAW 109 (1997) 71-83. Curiosamente uninterpretazione abbastanza simile alla mia si legge
in F. Kutschera, Kohelet: Leben im Angesicht des Todes, in: Schwienhorst-Schnberger
(ed.), Das Buch Kohelet, 363-376, un filosofo che si definisce un profano (Laie) e che
confessa di non conoscere lebraico. Diversamente da quelli che vedono in Qohelet un
annunciatore della nullit della vita (come D. Michel e A. Lauha) o un annunciatore della
gioia (come N. Lohfink e L. Schwienhorst-Schnberger), Kutschera ritiene che entrambi
gli aspetti vadano tenuti insieme e siano necessari per linterpretazione (p. 363); per cui:
Das Buch verbreitet keinen Pessimismus oder dsteren Fatalismus, sondern endet mit einer
Aufforderung zu tatkrftigen Handeln und zum Lebensgenu (11,4ff). Die Freude ist zwar
der bescheidene und flchtige Anteil des Menschen am Glanz der Wirklichkeit, aber in ihr
erreicht uns doch fr einen kurzen Moment ein Strahl ewigen Lichts (p. 374).

QOHELET

101

una riflessione che, in caso, mira a distruggere la pretesa delluomo di essere


lui il creatore, di voler raddrizzare ci che storto, di vivere secondo una
stoltezza estrema, cio come se Dio non esistesse, godendo della vita senza
considerare il Creatore, facendo ingiustizia e violenza contro il prossimo; o
allopposto, di vivere secondo una sapienza estrema, prolungando lo sforzo
di comprendere la realt fino a un punto che supera le possibilit della creatura, volendo in qualche modo oltrepassare il limite che Dio gli ha posto non
per invidia ma perch corrisponde alla sua natura: questo sarebbe uno sforzo
che, paradossalmente, toglierebbe alluomo tempo e possibilit di accogliere
le gioie che Dio gli d, quando glie le d e di goderne con gratitudine.
La via indicata da Qohelet singolare in quanto muove dai misteri della
vita, originati dal fatto che la sapienza di Dio, pur presente nel mondo resta
nascosta, pur accessibile alluomo timorato resta anche inaccessibile a motivo dei suoi limiti di creatura. Qohelet propone dunque di tenere insieme
i poli opposti: da un lato i dati positivi della fede e della conoscenza che
luomo timorato pu raggiungere, e dallaltro i dati negativi che lesperienza
della vita gli presenta. Il suo messaggio che il timore di Dio consente di
trovare una buona uscita dalle contraddizioni, anzi un modo significativo di
convivere con esse, godendo delle gioie che il Signore concede come frutto
della propria fatica e riflettendo sul messaggio che egli comunica quando
manda la sofferenza.
Gli interpreti che privilegiano il polo negativo della riflessione fanno
torto a Qohelet. Ritenendo che egli sia critico della sapienza tradizionale e
della fede di Israele, intendono lRbRh come assurdo e a queste affermazioni
legano le proclamazioni e gli inviti alla gioia, come se il saggio proclamasse
un carpe diem spensierato, unaurea mediocritas o un ne quid nimis del buon
senso e della saggezza umana senza riferimento alla fede.
Unultima considerazione sui paralleli proposti per Qohelet129. Ho detto
allinizio che i passi non devono essere staccati dal loro contesto. Direi, alla
129. Trattando dei paralleli, spec. vicino-orientali antichi, S. Burkes, Death in Qoheleth

and Egyptian Biographies of the Late Period, Atlanta 1999, afferma giustamente che a
parallel and an influence are two different creatures. The tendency, however, is to make a
leap from one to the other as if they were interchangeable (p. 106). Lesposizione forse pi
completa ed equilibrata sui paralleli extrabiblici di Qohelet quella di Uehlinger, Qohelet
im Horizont mesopotamischer, levantinischer und gyptischer Weisheitsliteratur. Lautore
sostiene che bisogna andare oltre il dualismo giudaismo-ellenismo e considerare un terzo
orizzonte: eine gypto-orientalische Koin mit hellenistischer Koloration (p. 206), una
filosofia legata allambiente aristocratico dei banchetti che si caratterizza per linvito a godere le gioie della vita come antidoto alla morte. Uehlinger ritiene che Qohelet rispecchi lo
stesso ambiente (Sitz im Leben) e che per questo, oltre che per il contenuto, si differenzi
dal libro dei Proverbi, che sarebbe invece legato allambiente della scuola. Per parte mia,

102

A. NICCACCI

fine dellesame, che i paralleli di ogni tipo che sono stati segnalati, sia ellenistici che vicino-orientali antichi, anche se molto simili, forse non presentano
unanaloga contrapposizione positivo-negativo risolta nel timore di Dio, dalla quale emergono le affermazioni e gli inviti di Qohelet, e perci possono
essere, in fondo, molto diversi. E comunque ogni testo, sia dei paralleli che
di Qohelet, va prima interpretato nel proprio contesto e mondo ideale perch
il confronto sia significativo.
Alviero Niccacci, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem

non credo che lambiente di Qohelet sia quello conviviale aristocratico. Da un lato, ho
cercato di mostrare che la finzione regale (Knigstravestie) ha lo scopo di presentare
lesperienza di Qohelet come sommamente esemplare ( 2.1); dallaltro, le proclamazioni
e gli inviti alla gioia sono legati a una serie cos diversa di situazioni e di esperienze che
non mi sembrano collocabili nellambiente conviviale (pace Uehlinger, p. 234). Inoltre
vero che caratteristica di Qohelet, rispetto ai paralleli, laffermazione ripetuta che la gioia
dono di Dio; ma se la gioia , come afferma Uehlinger, un antidoto alla morte (p. 234),
il fatto che venga dalla mano di Dio o che luomo se la prenda da s cambia poco: resta
comunque un rimedio a un dato assolutamente negativo (anche se non proprio un narcotico, cf. 1.1, nota 14). Ci che caratterizza Qohelet piuttosto il fatto che la gioia non
solo dono di Dio ma anche parte delluomo, frutto della sua fatica, per cui la vita un
bene in s anche se limitato nel tempo. la dinamica positivo-negativo guidata dal timore
di Dio la vera caratteristica di Qohelet. E questo lo pone sulla linea di Proverbi e di Siracide
non meno che su quella di Giobbe, come ho cercato di mostrare sopra.

LA MASSORAH DEL LIBRO DI GIONA (BHS)

M. Pazzini

Come abbiamo fatto con il contributo sulla Massorah di Rut pubblicato in


Liber Annuus 2001 (pp. 31-53) ci proponiamo di offrire al lettore alcuni
elementi per un facile approccio alla lettura e comprensione delle note
della Massorah parva (Mp) e della Massorah magna (Mm) del Libro di
Giona, cos come compaiono nella Biblia Hebraica Stuttgartensia (BHS).
Confidiamo che il presente saggio sia utile non solo a chi ha gi una discreta familiarit con la Biblia Hebraica Stuttgartensia, ma anche ad altri
volenterosi che vogliano accostarsi a questa tematica.
La principale novit nella pagina della Biblia Hebraica Quinta (BHQ),
che sostituir la BHS, riguarder proprio la Mp e la Mm. In margine al testo biblico verr riportata solo la Mp del Codex Leningrad B 19A (L) e non
quella desunta da altri manoscritti; scomparir lapparato critico che rimanda alle liste della Mm (edita da G. Weil), mentre le note della Mm verranno
impresse in ogni pagina accanto al testo biblico (la loro traduzione apparir
nel II volume della BHQ). Questa novit sar dunque ben visibile nella
pagina nella nuova edizione. Dato che, presumibilmente, occorrer ancora
diverso tempo per terminare questa nuova opera, vale la pena proporre
questa breve esercitazione, basata sul testo della BHS, che ha lo scopo di
familiarizzare lo studente con il linguaggio dei massoreti.
Useremo una bibliografia essenziale e sufficiente allo scopo che ci
siamo prefissi (cfr. Bibliografia). Partendo dal testo biblico stampato
(BHS) spiegheremo prima le note marginali della Mp, poi esamineremo i
rimandi alle liste della Mm pubblicate nella monografia di G. Weil (le note
dedicate specificamente al libro di Giona vanno dal n. 3083 al n. 3086)
aiutandoci, in entrambi i casi, con le concordanze di A. Even Shoshan e di
S. Mandelkern per individuare i passi biblici ai quali non viene fatto uno
specifico rimando dalle note della Mm. Alloccorrenza consulteremo anche
ledizione facsimile del codice di Leningrado (vedi Bibliografia) sul quale
basata ledizione della BHS.

LA 52 (2002) 103-116

104

M. PAZZINI

Capitolo primo
Giona 1,1 (nessuna nota)
Giona 1,2 (2 note)
1) Wq : 9 volte allinizio del versetto (qWsP; vaOr o aq;WsP] vyrE). Il n.
1 in esponente rimanda alla lista 1995 della Mm dove vengono elencati i
9 passi biblici.
2) ar:q]W : 4 volte (ricorre anche in 3,2; Rut 4,11 e Gb 13,22). Il n. 2
in esponente rimanda alla lista 3086 della Mm che riporta le quattro citazioni.
Giona 1,3 (5 note)
1) hv;yvi+rT' : 4 volte. Il n. 3 in esponente rimanda alla lista 2288 della
Mm che elenca le 4 occorrenze; ne viene aggiunta una simile (dj'w) nella
quale la parola munita di w: hv;yvirt'w (1Cr 1,7; cfr. anche nota 4 e Giona
4,2).
2) hw:hy ynEp]Limi : 8 volte (il n. 4 in esponente rimanda alla lista 3083
della Mm) e in tutta la Legge/Pentateuco (at;yr"/a) cos allinfuori di (mi
rB') 2 casi. La suddetta lista elenca gli 8 casi, ai quali vengono aggiunte le
2 eccezioni nelle quali ricorre hw:hy ynEP]mi (Gen 3,8; Es 9,30).
3) haB; : 11 volte (il n. 5 in esponente rimanda alla lista 279 della Mm)
con questo accento biblico (['F'B') e nei libri dei Re (ykil;m]) e Ezechiele
(laqezj,y) cos allinfuori di (mi rB') 2 casi. La lista 279 elenca gli 11 casi
nei quali la parola accentata sullultima sillaba. Vengono elencate anche
le 2 eccezioni accentate sulla penultima (1Re 2,28; Ez 7,7).
4) hv;yvi+rT' : 4 volte. Il n. 3 in esponente rimanda alla lista 2288 della
Mm (cfr. nota 1).
5) hw:hy ynEp]Limi : 8 volte (il n. 4 in esponente rimanda alla lista 3083
della Mm) e in tutta la Legge/Pentateuco (at;yr"/a) cos allinfuori di
(mi rB') 2 casi. Cfr. nota 2.
Giona 1,4 (2 note)
1) hw:hyw" : 6 volte (il n. 6 in esponente rimanda alla lista 3567 della
Mm) con questo accento biblico (['F'B') allinizio del v.; una delle 5 oc-

LA MASSORAH DEL LIBRO DI GIONA

105

correnze allinizio del v. nel libro (di Giona). La lista 3567 elenca le 6
occorrenze di hw:hyw" accentate con Rebha. La seconda parte della nota non
corrisponde a quanto si trova nel testo di Giona; infatti la medesima parola
non ricorre altrove nel corpo del libro.
2) r['s : 2 volte. Manca la Mm, ma con la concordanza troviamo la
seconda occorrenza della medesima forma in Ger 30,23.
Giona 1,5 (3 note)
1) WlfiY:w" : non c altrove (tyle / at;yle). Il riferimento allimperf.
inverso senza suffisso.
2) hn:ypiS]h' : non c altrove (tyle / at;yle). La parola compare solo qui
in tutta la Bibbia ebraica.
3) d"r:YEw" : 5 volte. Cos in L. Il verbo compare 7 volte nella Bibbia
ebraica, due delle quali in Giona, ma solo qui in questa forma. La nota
sembra fuori luogo (cfr. 1,6, nota 2).
Giona 1,6 (3 note)
1) br"q]YIw" : 5 volte con vocale Pata (w"). Il n. 7 in esponente rimanda
alla lista 710 della Mm dove sono elencati i 5 casi di imperfetto inverso 3
m. s. (Lv 9,8; 1Sam 17,48; 2Sam 20,17; 2Re 16,12; Giona 1,6).
2) D:rnI : 5 volte. La nota si riferisce alla forma D:rnI che compare 5
volte; 4 volte si tratta di part. m. s. (Giona 1,6; Sal 76,7; Prv 10,5; Dn 10,9)
e una volta di perf. 3 m. s. (forma pausale per D"rnI).
3) tV['t]yI : non c altrove (tyle / at;yle).
Giona 1,7 (4 note)
1) Wr|m]aYow" : 6 volte con questo accento biblico (['F'B') allinizio del v.
(qWsP; vaOr o aq;WsP] vyrE). Il n. 8 in esponente rimanda alla lista 76 della
Mm nella quale compaiono le 6 occorrenze della parola allinizio del v. e
accentata con Garayim.
2) h[;+d nEw : 6 volte. Manca la Mm. La forma facilmente rintracciabile
in Even Shoshan al lemma [d"y: (nn. 727-732).
3) WlPi~Y"w" : 6 volte (il n. 9 in esponente rimanda alla lista 1317 della
Mm) defective scriptum nella lingua (V'yliB]) e uno di quattro nella lingua

106

M. PAZZINI

(V'yliB]). Nella lista 1317 sono riportati i 6 casi nei quali il verbo lp'n: (questo il senso della prima lingua) scritto defective. La seconda parte
della nota si riferisce ai 4 casi in cui la scriptio defectiva ricorre alla coniugazione Hifil (in questo caso la parola lingua indica la coniugazione:
Ez 47,22; Giona 1,7; Sal 140,11; Est 9,24).
4) hn:/yAl[' : non ricorre altrove (tyle / at;yle); da non confondere con
hn:/yAla, di 1,1; 3,1 o con espressioni simili.
Giona 1,8 (3 note)
1) rva}B' : 15 volte (si noti yh per hy al fine di non creare confusione
col nome divino hwhy). Il n. 10 in esponente rimanda alla lista 2386 della
Mm dove vengono segnalate le 15 occorrenze.
2) yIameW : 5 volte. Il n. 11 in esponente rimanda alla lista 1292 della
Mm nella quale compaiono le 5 citazioni.
3) yaw : 31 volte (si riferisce alla particella yae che ricorre 31 volte in
diverse combinazioni; cfr. Even Shoshan, p. 44).
Giona 1,9 (2 note)
1) hw:hyAta,w : 6 volte. Il n. 12 in esponente rimanda alla lista 2323 della
Mm che elenca le 6 occorrenze dellespressione.
2) ~yIm'~V;h' yhla hw:hy : 6 volte. Il n. 13 in esponente rimanda alla lista
3880 della Mm che elenca le 6 occorrenze dellespressione.
Giona 1,10 (1 nota)

h~w:hy ynEp]Limi : 8 volte (il n. 4 in esponente rimanda alla lista 3083 della
Mm) e in tutta la Legge/Pentateuco (at;yr"/a) cos allinfuori di (mi rB')
2 casi (cfr. 1,3, nota 2).
Giona 1,11 (3 note)
1) qTov]yIw : 2 volte. Il n. 14 in esponente rimanda alla Mp sub loco
(cfr. 1,12, nota 2). Limperf. 3 m. s., non preceduto da w, ricorre anche in
Prv 26,20.
2) l/h : 27 volte (il n. 15 in esponente rimanda alla lista 1788 della Mm) plene scriptum, 2 delle quali nello (stesso) argomento (y:n[i, cio
seguito dallo stesso verbo; cfr. 1,13, nota 3) e tutto il libro dei Proverbi

LA MASSORAH DEL LIBRO DI GIONA

107

(ylev]mi) e Qohelet (tl,h,qo) cos allinfuori di (mi rB') 5 casi. La lista 1788
elenca i 27 casi in cui, come qui, le/h plene scriptum.
3) r[sow : 2 volte. Manca la Mm, ma cfr. 1,13, nota 4.
Giona 1,12 (3 note)
1) ynIWa~c; : 2 volte e plene scriptum (W). Il n. 16 in esponente rimanda
alla lista 3500 della Mm, dove viene fornito anche il secondo caso (Gb
21,3).
2) qTov]yIw : 2 volte (cfr. 1,11, nota 1).
3) yLi+v,b] : non ricorre altrove nella Bibbia ebraica.
Giona 1,13 (4 note)
1) WrT]j]Y"w" : non ricorre altrove nella Bibbia ebraica (tyle / at;yle).
2) Wlkoy: alw : 3 volte. Il n. 17 in esponente rimanda alla lista 423 della
Mm, dove vengono forniti anche i due restanti casi (Es 8,14; 2Re 3,26).
3) l/h : 27 volte (il n. 15 in esponente rimanda alla lista 1788 della Mm) plene scriptum, 2 delle quali nello (stesso) argomento (y:n[i, cio
seguito dallo stesso verbo) e tutto il libro dei Proverbi (ylev]mi) e Qohelet
(tl,h,qo) cos allinfuori di (mi rB') 5 casi (cfr. 1,11, nota 2).
4) r[`sow : 2 volte. Manca la Mm, ma cfr. 1,11, nota 3.
Giona 1,14 (3 note)
1)

hN:a; : 6 volte scritto con h e ogni volta (che occorre) allinizio del
v. (qWsP; vaOr o aq;WsP] vyrE) e in tutta la lingua aramaica (biblica) cos.

Il n. 18 in esponente rimanda alla lista 2169 della Mm. Cfr. 4,2, nota 2.
La lista 2169, che riguarda le consonanti della parola in questione, riporta
i 6 casi, ai quali aggiunge hn:a; allinizio di v. e hn:a} (pron. pers. 1 s. io)
dellaramaico biblico.
2) TTiAla'w : 3 volte. Manca la Mm. Consultando la concordanza si
evince che il riferimento allespressione preceduta da w (che ricorre in
Dt 21,8; Gl 2,17; Giona 1,14), da non confondersi con la pi frequente
TeTiAla'.
3) ayqi-n: : 12 volte (il n. 19 in esponente rimanda alla lista 907 della
Mm) con a superflua (a ryTiy") in fine di parola (at;WbyTe /s), 2 delle quali

108

M. PAZZINI

nella lingua. La lista 907 elenca 12 forme di differenti parole con a superflua. La forma ayqin: occorre due volte (la parola lingua si riferisce a
questa parola che presente anche in Gl 4,19).
Giona 1,15 (3 note)
1) Wac]YIw" : 43 volte (forma particolare perch mancante di Dage). In
effetti, cercando nella concordanza, si noter che in tutte queste forme (imperf. inverso Qal 3 m. pl. di ac;n:) manca il Dage nella c.
2) Whl`fiyw" : la forma (imperf. inverso 3 m. pl. con suff. 3 m. s.) non
attestata altrove (tyle / at;yle).
3) /P[]Z"mi : la parola non compare altrove in questa forma (tyle /
at;yle).
Giona 1,16 (nessuna nota)

Capitolo secondo
Giona 2,1 (1 nota)

ymi`y: hvlv] : 4 volte. Il n. 1 in esponente rimanda alla lista 1952 della


Mm, nella quale vengono elencati anche i restanti 3 passi nei quali ricorre
lespressione (1Sam 30,12; 1Re 12,5; 2Re 2,17).
Giona 2,2 (nessuna nota)
Giona 2,3 (1 nota)

hr:Xmi : non c altrove (tyle / at;yle) con questo accento biblico


(['F'B'). La forma hr:X;mi ricorre in totale 4 volte, ma solo qui con questo
accento.

LA MASSORAH DEL LIBRO DI GIONA

109

Giona 2,4 (3 note)


1) ynIkyliv]T'w" : 2 volte. Il n. 2 in esponente rimanda alla lista 3084
della Mm, dove troviamo il rimando anche alla seconda occorrenza (Sal
102,11).
2) rh`n:w : 4 volte. Il n. 3 in esponente rimanda alla lista 2273 della Mm,
dalla quale desumiamo i restanti casi (Gn 2,10; Is 19,5; Gb 14,11).
3) ynIb-b]soy : 2 volte e defective scriptum (so). Manca la Mm, ma cfr.
2,6, nota 2.
Giona 2,5 (3 note)
1) ynIa}w" : 67 volte allinizio del versetto (qWsP; vaOr o aq;WsP] vyrE). Cfr.
4,11.
2) yTiv]r"gnI : la forma non attestata altrove (tyle / at;yle).
3) ysi/a : questa forma compare 19 volte. Manca la Mm. Con lausilio della concordanza facile individuare tutte le occorrenze (cfr. Even
Shoshan, voce s'y:, nn. 50-68).
Giona 2,6 (3 note)
1) ynIWpp;a} : 4 volte, 3 volte plene scriptum e (Wp) e 1 volta defective
scriptum (pu). Il n. 4 in esponente rimanda alla lista 1838 della Mm, nella
quale viene elencato prima il caso di scriptio defectiva (2Sam 22,5), poi i
tre casi di scriptio plena (Giona 2,6; Sal 18,5; 116,3).
2) ynIb-b]soy : 2 volte e defective scriptum (so). Manca la Mm, ma cfr.
2,4, nota 3.
3) yviarol] : 4 volte. Il n. 5 in esponente rimanda alla lista 3085 della
Mm, dove vengono elencate anche le restanti 3 occorrenze dellespressione
(1Sam 28,2; Sal 140,8; Ct 2,6).
Giona 2,7 (1 nota)

h;yjrIB] : 4 volte e non c altrove scritto cos (cio senza Yod dopo
la Re). Manca la Mm. Con le concordanze si trovano le 4 occorrenze (Is
15,5; Ger 51,30; Giona 2,7; Lam 2,9); cfr. Mandelkern alla voce j'yrIB] e
Even Shoshan alle voci 1j'yrIB; (Is 15,5) e j'yrIB].

110

M. PAZZINI

Giona 2,8 (2 note)


1) F['t]hiB] : 2 volte. Manca la Mm. La seconda occorrenza si trova
in Sal 142,4.
2) a/bT;w" : 10 volte plene scriptum (/) nei Profeti (yaiybin).
Giona 2,9 (1 nota)
1) awv-Ayleb]h' : 2 volte. Il n. 6 in esponente rimanda alla lista 3248 della
Mm. Qui viene fornita anche la seconda occorrenza (Sal 31,7).
Giona 2,10 (3 note)
1) ynIa}w" : 67 volte allinizio di versetto (qWsP; vaOr o aq;WsP] vyrE). Cfr.
2,5 e 4,11.
2) hm;L-v'a} : 2 volte. Manca riferimento alla Mm. Con la concordanza
troviamo il secondo caso in Prv 20,22 (forma non pausale).
3) ht;[`Wvy : 2 volte. Il n. 7 in esponente rimanda alla Mp sub loco.
Con lausilio della concordanza individuiamo la seconda occorrenza in Sal
3,3.
Alla fine del v. c la lettera s che significa chiusa (hm;Wts] o am;Wts]).
Si riferisce allo spazio che deve intercorrere fra la fine di un paragrafo
(hv;r:P); e linizio del successivo. Il nuovo paragrafo inizier, di solito, nella
medesima riga, oppure nella nuova riga ma leggermente rientrato. Queste
indicazioni sono valide per i Mss e non per le edizioni a stampa.
Giona 2,11 (1 nota)
1) aq Y:w" : non c altrove (tyle / at;yle). Il n. 8 in esponente rimanda a
Prv 30,1 dove ricorre una forma simile (dj'w): hq,y: che un nome proprio
m. di persona.
Alla fine del v. c la lettera p che significa aperta (hj;WtP] o aj;WtP]).
Si riferisce allo spazio che deve intercorrere fra la fine di un paragrafo
(hv;r:P;) e linizio del successivo. Il nuovo paragrafo che segue la lettera p
dovr iniziare su una nuova riga. Queste indicazioni sono valide per i Mss
e non per le edizioni a stampa.

LA MASSORAH DEL LIBRO DI GIONA

111

Capitolo terzo
Giona 3,1 (nessuna nota)
Giona 3,2 (3 note)
1) Wq : 9 volte allinizio del v. (qWsP; vaOr o aq;WsP] vyrE). Il n. 1 in
esponente rimanda alla lista 1995 della Mm, dove vengono elencati i 9
passi biblici. Cfr. 1,2, nota 1.
2) ar:q]WI : 4 volte (si noti la doppia vocalizzazione della Waw iniziale!
Il riferimento a ar:q]W che ricorre anche in 1,2; Rut 4,11 e Gb 13,22). Il n.
2 in esponente rimanda alla lista 3086 della Mm. Cfr. 1,2, nota 2.
3) ha;+yrIQ]h' : non ricorre altrove (tyle / at;yle). Il riferimento alla
parola ha;yrIq] che compare solo qui nel testo biblico.

Giona 3,3 (nessuna nota)


Giona 3,4 (5 note)
1) lj,Y:w" : 9 volte. Il n. 3 in esponente rimanda alla lista 4056 della Mm
che riporta le 9 citazioni. Vi vengono aggiunte due forme simili: lj'Y:w" (2Re
1,2) e lj,Y:YIw" (Gn 8,12).
2) dj-a, /y : 10 volte. Il n. 4 in esponente rimanda alla Mp sub loco.
3) rm'+aYow" a~r:q]YIw" : 10 volte. Il n. 4 in esponente rimanda alla Mp sub
loco.
4) rm'+aYow" : 91 volte. Manca la Mm. Non chiaro a cosa si riferisca
la nota. In effetti la forma pausale in questione attestata pi di 91 volte
(Even Shoshan, a pagina 89, la segnala con i numeri 4435-4557).
5) tk,Ph]n< hwEnynIw : lespressione non ricorre altrove (tyle / at;yle).
Giona 3,5 (1 nota)

Wnymia}Y"w" : 3 volte. Il n. 5 in esponente rimanda alla lista 3376 della Mm,


nella quale troviamo le restanti citazioni (Es 14,31; Sal 106,12).

112

M. PAZZINI

Giona 3,6 (1 nota)

rb[}Y"w" : 9 volte. Il n. 6 in esponente rimanda alla lista 57 della Mm,


dove sono elencate le nove occorrenze.
Giona 3,7 (2 note)
1) q[e%zY"w" : 4 volte. Manca la Mm. Con la concordanza troviamo i quattro passi (Even Shoshan, voce q['z:, nn. 66-69).
2) wyl`dogW : non ricorre altrove (tyle / at;yle). Da non confondersi con
wyl;doG, senza Waw iniziale, che ricorre in 2Re 10,11.
Giona 3,8 (3 note)
1) WSK't]yIw : non ricorre altrove (tyle / at;yle). Da non confondersi con
WSK't]yI, senza Waw iniziale, che ricorre in Is 59,6.
2) hq -zj;B] : 4 volte. Il n. 7 in esponente rimanda alla lista 1439 della
Mm, dove troviamo i quattro casi ai quali ne viene aggiunto un quinto
simile (dj'w) preceduto da Waw: hq;zj;b]W (Ez 34,4).
3) Wbvu%y:w : 8 volte. Il n. 8 in esponente rimanda alla lista 2668 della
Mm. Qui sono elencate le otto occorrenze di Wbvuy:w (scritte tutte defective;
cfr. Even Shoshan, voce bWv, nn. 524-531), da non confondersi con WbvuY:w"
/ WbWvY:w" (con Waw inversivo; cfr. Even Shoshan, nn. 532-584).
Giona 3,9 (1 nota)

j`nIw : 6 volte con Pata (j') e in tutto Isaia (Why:[]'y) come lui
(Hytew:K]). Il n. 9 in esponente rimanda alla lista 1775 della Mm, dove
compaiono le 6 citazioni.
Giona 3,10 (2 note)
1) yhi%lah; j,N:YIw" : non compare altrove (tyle / at;yle). Da non confondere con hwhy j,N:YIw" che, invece, compare diverse volte.
2) hc[; alw : 5 volte. Il n. 10 in esponente rimanda alla lista 1821 della
Mm, dove vengono elencate le 5 occorrenze dellespressione.

LA MASSORAH DEL LIBRO DI GIONA

113

Capitolo quarto

Giona 4,1 (nessuna nota)


Giona 4,2 (6 note)
1)
2)

rm'%aYow" : 91 volte. Cfr. Giona 3,4, nota 4.


hN:a; : 6 volte scritto con h, e ogni volta (che occorre) allinizio del
v. (qWsP; vaOr o aq;WsP] vyrE) e in tutta la lingua aramaica cos. Il n. 1 in

esponente rimanda alla lista 2169 della Mm. Cfr. 1,14, nota 1.
3) yrI%b;d : 13 volte. Il n. 2 in esponente rimanda alla lista 902 della Mm,
dove vengono elencate le 13 citazioni di yrIb;D.
4) yti+m;da' : 3 volte. Manca la Mm. Con la concordanza troviamo i
restanti due passi (Gb 31,38; 2Cr 7,20).
5) yTim]D"qi : 2 volte. Manca la Mm. Con la concordanza possiamo individuare il secondo caso in Sal 119,147.
6) hv;yvi-rT' : 4 volte. Il n. 3 in esponente rimanda alla lista 2288 della
Mm. Cfr. 1,3 (2 volte) e Is 23,6.
Giona 4,3 (1 nota)

yNIM-mi : 57 volte, e tutto il libro dei Salmi (yLiTi da yLihiT]) come lui
(Hytew:K]) allinfuori di 11 volte.
Alla fine del v. c la lettera s che significa chiusa (hm;Wts] o am;Wts]).
Cfr. 2,10.

Giona 4,4 (2 note)


1) bf`yheh' : 2 volte. Manca la Mm, ma cfr. 4,9, nota 2.
2) l : 2 volte. Manca la Mm. Il riferimento , con ogni probabilit,
a Gen 4,6 dove ricorre l;Ahr:j; (forma pausale l; per l] a differenza di
l]Ahr:j; di Giona 4,9).
Giona 4,5 (nessuna nota)

114

M. PAZZINI

Giona 4,6 (2 note)


1)
2)

yhilaAhw:hy : 5 volte scritto nei Profeti (yaiybin). Manca la Mm.


/v+aro : 32 volte nei Profeti (yaiybin). Manca la Mm.

Giona 4,7 (4 note)


1) ~yhilah myw" : non c altrove (tyle / at;yle). La nota invita a
non confondere lespressione con espressioni simili presenti in Giona:
yhila myw" (4,8) e hwhy myw" (2,1; 4,6).
2) t/l[}B' : 5 volte. Il n. 4 in esponente rimanda alla lista 1943 della
Mm, che elenca i 5 casi.
3) tr:jM;l : non ricorre altrove (tyle / at;yle). Da non confondersi con
Atr"jm;l] di 1Cr 29,21.
4) vbyYIw" : 3 volte, 2 plene scriptum e 1 defective scriptum. Il n. 5 in
esponente rimanda alla lista 1993 della Mm. Questa lista riporta anche i
restanti due casi (1Re 17,7; Sal 102,5).
Giona 4,8 (3 note)
1) j"rozKi : 2 volte e (entrambe) defective scriptum (ro). Il n. 6 in esponente rimanda alla lista 1456 della Mm, dove troviamo il secondo caso
(Gdc 9,33).
2) tyvi+yrIj} : non c altrove (tyle / at;yle). Laggettivo compare solo
qui in tutta la Bibbia ebraica.
3) L-['t]YIw" : la forma non ricorre altrove (tyle / at;yle).
Giona 4,9 (3 note)
1) ~yhila rm,aYow" : 25 volte. Il n. 7 in esponente rimanda alla lista 5
della Mm, dove sono elencate le 25 citazioni.
2) bfyheh' : 2 volte. Manca la Mm, ma cfr. 4,4, nota 1.
3) `l]Ahr:j; : 2 volte. Manca la Mm. Il riferimento , con ogni probabilit, a 2Sam 19,43 dove ricorre la medesima forma. Cfr. anche 4,4,
nota 2.

LA MASSORAH DEL LIBRO DI GIONA

115

Giona 4,10 (3 note)


1) /Tl]D"gI : la forma non compare altrove (tyle / at;yle).
2) Biv, : non c altrove (tyle / at;yle). Lo stato costrutto Bi preceduto
da v, non compare altrove nella Bibbia.
3) hl;ylAbiW : non c altrove (tyle / at;yle). Lo stato costrutto Bi preceduto da W non compare altrove nella Bibbia.
Giona 4,11 (4 note)
1) ynIa}w" : 67 volte allinizio del v. (qWsP; vaOr o aq;WsP] vyrE; cfr. 2,5).
2) hwEnynIAl[' : non c altrove (tyle / at;yle). Da non confondersi con la
forma hwEnynIAla, attestata altre volte nel libro di Giona (1,2; 3,2 e 3,3).
3) /BrI : 4 volte mancante di a (per a/BrI). Il n. 8 in esponente rimanda
alla lista 3847 della Mm. La forma attestata, senza a, 3 volte in ebraico
(Giona 4,11, 1Cr 29,7[2 volte]) e 1 volta in aramaico (Dan 7,10).
4) [~d"y:Aal rva} : 5 volte. Manca la Mm. Con la concordanza di Even
Shoshan (alla voce [d"y:) possiamo individuare solo 3 passi biblici (Es 1,8;
Is 29,12; Giona 4,11). Le restanti due occorrenze si potranno trovare ricercando nella concordanza di Mandelkern (Qoh 4,13; 10,15) in questo caso
pi utile al nostro scopo.
Il totale dei versetti - yqiWsP]h' Wks]
quarantotto - hn</mv]W y[iB;ra'
* * *
Come abbiamo visto, le note dei massoreti sono piuttosto ripetitive,
ma stimolanti se vengono lette con il giusto spirito; il loro scopo precipuo
quello di preservare lintegrit del testo biblico dellAT (consonanti, vocali, accenti, ecc) segnalando, in particolare, forme non comuni, oppure
forme che potrebbero facilmente confondersi con altre simili. Le moderne
concordanze possono coprire lambito di molte note; il loro svantaggio,
rispetto alle note della Massorah, consiste nel fatto che il loro testo, per
motivi di spazio, non pu essere scritto accanto al testo biblico. Verr il
giorno in cui, grazie alle moderne tecniche, potremo avere a diposizione il

116

M. PAZZINI

testo biblico accompagnato dalle note dei massoreti. Anche allora dovremo
essere grati alla loro acribia che ha permesso al testo sacro di giungere a
noi in maniera integrale e fedele.
Massimo Pazzini, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
Bibliografia
Elliger K. - Rudolph W. (edd.), Biblia Hebraica Stuttgartensia (BHS), Stuttgart 1967-77
(quinta edizione, a cura di A. Schenker, 1997).
Even Shoshan A., A New Concordance of the Bible. Thesaurus of the Bible Hebrew and
Aramaic Roots, Words, Proper Names Phrases and Synonyms, Jerusalem 19813 (in
ebraico).
Kelley P.H. - Mynatt D.S. - Crawford T.G., The Masorah of Biblia Hebraica Stuttgartensia. Introduction and Annotated Glossary, Grand Rapids, Michigan - Cambridge U.K.
1998.
Loewinger D.S. (ed.), Pentateuch, Prophets and Hagiographa. Codex Leningrad B 19A the
Earliest Complete Bible Manuscript (facsimile edition), Jerusalem 1970.
Mandelkern S., Veteris Testamenti concordantiae hebraicae atque caldaicae, 2 voll., Berlin
1925 (II ed.); editio nona aucta atque emendata, Tel-Aviv 1971.
Weil G.E., Massorah Gedolah iuxta codicem leningradensem B 19 a, Roma - Stuttgart
20012.

DIO PADRE NEI SINOTTICI

G. Bissoli
I dati letterari
I vangeli sinottici, collegandosi alla tradizione biblica, parlano del Dio di
Israele (Mt 15,31; Lc 1,68; cf. 1,16), del Dio di Abramo, di Isacco e di
Giacobbe (Mt 22,32; Mc 12,26; Lc 20,37), del nostro Dio (Mc 12,29;
Lc 1,78) e in forma pi personale del mio Dio (Lc 1,47) e del tuo Dio
(Mt 4,7; 22,37; Mc 12,30; Lc 4,8; 10,27). Pi spesso ricorre la denominazione padre, che si distingue come forma assoluta il Padre, oppure con
laggiunta pronominale il Padre vostro e il Padre mio1.
In Matteo lappellativo di Dio come padre appare molto pi frequente
che negli altri sinottici. La proporzione di 31 contro 12/13. Inoltre Matteo aggiunge la designazione di Dio come Padre in testi dove Marco ne
privo: Mt 12,50/Mc 3,35; Mt 26,29/Mc 14,25; Mt 20,23/Mc 10,40. Dove
Luca usa altre forme per designare Dio, Matteo preferisce la frase il Padre vostro che nei cieli: Mt 5,45/Lc 6,35; Mt 5,48/Lc 6,36; Mt 6,32/Lc
12,30; Mt 7,11/Lc 11,13; Mt 10,20/Lc 12,12; Mt 10,29/Lc 12,6. Per Matteo
la paternit di Dio arrivata ad essere professione di fede. La sua formula
non un equivalente o una perifrasi del nome di Dio, ma approfondisce la
denominazione personale. Continua s ad essere sentita la distanza di colui
che assolutamente superiore e domina sovrano, ma viene messa in rilievo
la vicinanza [] insistendo sulla [] condizione di figli2.
In Matteo padre mio parola chiave di una cristologia del Rivelatore.
In comune con il terzo evangelista (Lc 10,21-22) Matteo ha il grido di
giubilo:
Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perch hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai
piccoli. S, o Padre, perch cos piaciuto a te. Tutto mi stato dato dal
Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce
il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare (Mt
11,25-27).

il Padre che si rivela nel Figlio. Esplicito il passo della confessione di Pietro: Beato te, Simone figlio di Giona, perch n la carne n il
1. G. Schrenk, pathr, GLNT IX, 1227-1239.
2. GLNT IX, 1225.

LA 52 (2002) 117-124

118

G. BISSOLI

sangue te lhanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli (Mt 16,17;
cf. 15,13). Tale la dignit di Ges, che la decisione pro o contro di lui
decide il destino eterno degli uomini (Mt 10,32-33/Lc 9,26; cf. Mc 8,38).
Nella passione Ges totalmente radicato nella volont del Padre suo. In
questo passo Marco usa lespressione aramaica Abba, Padre (Mc 14,36).
In quanto unito al Padre, Ges accorda ai suoi la salvezza e assicura loro
lesaudimento della preghiera (Mt 18,10.19). Infine la formula il Padre
mio ricorre in sentenze che garantiscono nellal di l la salvezza. Facile a
ricordarsi la promessa contenuta nella parabola del giudizio finale: Venite, benedetti del Padre mio (Mt 25,34; cf. 20,23; 26,29)3.
Joachim Jeremias, che cerc di identificare le ipsissima verba Jesu nei
vangeli, ha dedicato una monografia allo studio della parola Abba. Egli
computa non meno di centosettanta volte la ricorrenza della voce padre
in riferimento a Dio nei vangeli: Marco 4, Luca 15, Matteo 42 e Giovanni
109. Egli spiega laumento progressivo nella statistica non con la differente lunghezza dei libri, ma con la preferenza dovuta agli autori. Matteo
predilige lespressione Padre vostro che nei cieli, ma gi la tradizione
a lui precedente, specialmente nella catechesi e nelle formule di preghiera,
aveva moltiplicato luso di indicare Dio con la designazione di padre.
Il fenomeno arriva al massimo nel quarto vangelo, dove la definizione
abituale di Dio in bocca a Ges.
Applicando ai testi i principi della critica storica, Jeremias ritiene autentici i detti contenenti:
a) Il Padre in assoluto: Mc 13,32 (= mio Padre); Lc 11,13/Mt 7,11.
b) Il Padre vostro: Mc 11,15/Mt 6,14 (cf. Mt 18,35); Lc 12,30/Mt 6,32
(cf. Mt 6,8); Lc 6,36/Mt 5,48; Lc 12,32; Mt 23,9.
c) Il Padre mio: Mc 13,32; Lc 10,32/Mt 11,27; Mt 16,17; Lc 22,29.
Lappellativo inoltre ricorre nelle preghiere: Mc 14,36; Lc 10,21/Mt
11,25-26; Lc 11,2/Mt 6,9.
Siccome i vangeli sono anzitutto di carattere kerigmatico, anche se
interessati al fatto e al modo in cui apparve la predicazione di Ges, lesegesi posteriore a Jeremias ha messo alla prova anche le sue posizioni. Le
espressioni cristologiche chiare, esplicite sono da rimandarsi al periodo
postpasquale. Alla vita terrena di Ges risalgono espressioni di una cristologia o secondo i casi una ecclesiologia soltanto implicita. Quindi anche per
quanto riguarda la relazione di Ges con il Padre noi cerchiamo di provarne
lesistenza ricorrendo a questa cristologia implicita.
3. GLNT IX, 1232.

DIO PADRE NEI SINOTTICI

119

La cristologia implicita
Il Nuovo Testamento lega linizio della vita pubblica di Ges a Giovanni
Battista. Di lui Giuseppe Flavio riporta una breve notizia. Dopo aver ricordato il contenuto della sua predicazione e il successo sulle folle, lo storico
scrive: Poteva portare a qualche forma di sedizione, poich pareva che [i
seguaci] volessero essere guidati da Giovanni in qualunque cosa facessero4. Erode pens bene di prevenire ogni possibile sollevazione, mettendolo
in carcere e infine facendolo morire. Possiamo ritenere storicamente autentico il nucleo della predicazione del Battista come riportato nel Nuovo
Testamento. Egli si rivolge a tutto Israele, apostrofandolo: Razza di vipere! Chi vi ha insegnato come sottrarvi allira imminente? Fate dunque
opere degne di penitenza! (Lc 3,7b-8). una predicazione che pu stare
nella tradizione deuteronomistica, radicalizzata in senso apocalittico. Se nel
tempo passato Dio era intervenuto a favore di Israele che si convertiva, ora
il popolo sta sotto la minaccia di un incombente e definitivo giudizio. A
niente vale appellarsi alla discendenza da Abramo, per reclamare il diritto
alla salvezza. Questa viene accordata solo a gente che, nei confronti di Dio,
si riconosciuta peccatrice e si sottomessa al battesimo impartito dallo
stesso Giovanni.
Ges si fa battezzare da Giovanni. Una volta che Giovanni incarcerato, Ges inizia la sua predicazione, il cui contenuto si riassume nel detto:
Il tempo compiuto e il regno di Dio vicino, convertitevi (Mc 1,15).
Il regno o la sovranit di Dio vuol dire salvezza per Israele, salvezza
che non legata ad alcuna previa condizione, come era per i farisei losservanza scrupolosa della Legge e per gli zeloti lintervento su piano politico
e militare. Le beatitudini, frasi brevi e apodittiche che dichiarano felici i
poveri, gli affamati, gli afflitti sono rivolte a tutti e aprono al futuro di Dio.
Ci non esclude che la situazione di fatto sia caratterizzata da ristrettezze
socioeconomiche. Ges ha di fronte non una parte di Israele, ma lintera
comunit. Il popolo peccatore, ma Dio ora apre una nuova e definitiva
elezione escatologica, e lo fa prima ancora che Israele intraprenda il cammino della conversione5.
Il regno di Dio, o meglio nella forma semitica il regno dei cieli come
preferisce Matteo, ci che Israele sogna da sempre, ma soprattutto nei
4. Ant. 18,117 in: L. Moraldi (a cura di), Antichit Giudaiche (Classici della Religione: La

religione ebraica), Torino 1998, II, 1126.


5. H. Merklein, La signoria di Dio nellannuncio di Ges (Studi biblici 107), Brescia
1994, 57.

120

G. BISSOLI

secoli pi recenti (cf. Tob 13,2-18; Sir 36,1-17; Sal 17,3.44-46). Nulla pu
entusiasmare di pi la gente.
Ci che irrita gli avversari non il fatto che Ges accolga i peccatori
convertiti. Il giudaismo di allora e quello attuale accoglie e rispetta il
peccatore pentito. Ma Ges sta a mensa con peccatori notori e impenitenti.
Egli parte dal presupposto che ora Dio, di sua iniziativa ha fatto verso i
peccatori un passo nuovo e inatteso6.
Ges inculca la fede in Dio: Abbiate fede in Dio (Mc 11,22); ne proclama la bont: Nessuno buono, se non Dio solo (Mc 10,18) e lonnipotenza: Tutto possibile presso Dio (Mc 10,27). Decisiva per Ges la
promessa della salvezza della signoria di Dio, che ora vien fatta a Israele7.
Il discorso sulla provvidenza di Dio, che cura gli uccelli del cielo e i gigli
del campo, non che una premessa per esortare tutti a non affannarsi per
cibo e vestito, dato che il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno.
Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia (Mt 6,32-33). Partendo
dallesperienza propria degli ascoltatori continua: Se voi sapete dare
cose buone ai vostri figli, quanto pi il Padre vostro che nei cieli dar
cose buone a quelli che gliele domandano! (Mt 7,11). Le cose buone sono
quelle in serbo per il futuro di Dio.
Di solito il discorso della montagna preso come la magna carta della
comunit cristiana. Matteo, allinizio (5,1) e al termine del discorso (7,28),
ricorda la presenza della folla e non dei soli discepoli (cf. 5,1). Anche il
precetto del perdono, di per s, non primariamente rivolto alla comunit
cristiana, ma a tutti gli ascoltatori, alla folla. Di fatto la formulazione che
ce ne tramanda Luca siate misericordiosi come misericordioso il Padre
vostro (6,36) trova il suo parallelo nel TgJ1 a Lv 22,28, che dice: Popolo
mio, figli di Israele, come il nostro Padre misericordioso in cielo, cos
voi siate misericordiosi sulla terra8. Lespressione nostro Padre in cielo
propria della liturgia sinagogale e questo linguaggio usa Ges per i suoi
uditori. Anche un detto attribuito a R. Eliezer il Vecchio (90 circa d.C.) in
risposta ai discepoli che dopo la distruzione del Tempio gli chiedevano su
che cosa dovevano appoggiarsi, dice: Sul nostro Padre, che nei cieli
(Soa 9,15). Matteo, nel vangelo destinato alla sua comunit di ambiente
giudeocristiano, non ha fatto che abbondare nelluso di una espressione

6. Merklein, La signoria di Dio, 95.


7. Merklein, La signoria di Dio, 63.
8. M. McNamara, The New Testament and the Palestinian Targum to the Pentateuch (AB

27), Roma 1966, 135.

DIO PADRE NEI SINOTTICI

121

corrente nel mondo ebraico di Palestina. Nulla impedisce che anche Ges
labbia usata.
Ci che dopo gli studi di Dalman e Jeremias tutti riconoscono proprio
di Ges lappellativo di Dio come Abba, padre. La prima ricorrenza labbiamo nelle lettere paoline a proposito della preghiera che il cristiano fa
nello Spirito, invocando Dio con Abba, Padre! (Gal 4,6; Rm 8,15). Nelle
comunit di lingua greca si mantiene il termine aramaico, evidentemente
per luso che ne aveva fatto Ges. Marco il secondo autore che riporta
la parola in questa lingua, riferendolo sulle labbra di Ges nella preghiera
del Getsemani: Abba, Padre! Tutto possibile a te (Mc 14,36). Marco
ne d subito la traduzione col greco oJ pathr, articolo e nominativo con
valore di vocativo. Cos fa anche Paolo. Nei passi paralleli Mt 26,39.42
usa il vocativo con il pronome pater mou e Lc 22,42 soltanto il vocativo.
Sembra comunque che la voce aramaica non corrisponda ad una forma
enfatica o a un pronome suffisso contratto. Come la voce corrispondente
imm, mamma, rende il movimento delle labbra proprio del bambino.
linguaggio infantile9. Perci nella preghiera indirizzata a Dio doveva essere qualcosa di semplicemente inaudito che Ges si servisse di un termine
aramaico, privo di ogni solennit, come quello di abb 10.
Alcuni esegeti ritengono che Ges abbia avuto coscienza della sua relazione filiale con Dio al momento del battesimo11, oppure per lesperienza
di una visione12. Luca, che non teme di affermare cresceva in sapienza,
et e grazia davanti a Dio e agli uomini (2,52), garantisce che Ges aveva
tale coscienza fin dai suoi primi anni (2,49).
Noi possiamo trovarne nei sinottici solo prove indirette. Ges sicuro
che con la sua attivit iniziato il tempo definitivo delladempimento:
Beati gli occhi che vedono ci che voi vedete. Vi dico che molti profeti
e re hanno desiderato vedere ci che voi vedete, ma non lo videro, e udire
ci che voi udite, ma non ludirono (Lc 10,23-24; cf. 16,16; Mc 1,14-15).
Alle folle pu affermare: Ben pi di Salomone ben pi di Giona c
qui (Lc 11,31-32; Mt 12,41-42). Compie guarigioni ed esorcismi, non
tanto per legittimare la sua persona, quanto per convincere che giunto il
tempo della salvezza: Se io scaccio i demoni con il dito di Dio, giunto a
voi il regno di Dio (Lc 11,20; Mt 12,28 per virt dello Spirito di Dio).
9. J. Jeremias, Abba (GLNT Suppl 1), Brescia 1968, 61.
10. DCBNT, 1128.
11. Jeremias, Abba, 54.
12. Merklein, La signoria di Dio, 108.173.

122

G. BISSOLI

Se la popolazione finora non gode della liberazione dal Maligno, ora


arrivato uno pi forte di lui e lo vince, gli strappa via larmatura nella
quale confidava e ne distribuisce il bottino (Lc 11,22). Ges si collega con
lattivit del Battista: Dai giorni di Giovanni il Battezzatore fino ad ora
il regno dei cieli patisce violenza e i violenti lo rapiscono (Mt 11,12; Lc
16,16). Per violenti si intendono quanti della gente comune hanno accolto
il messaggio del Battista e quello di Ges.
Ges esige adesione alla sua persona e alla sua opera. Rassicura i
seguaci dicendo: Chi mi riconosce davanti agli uomini, anche il Figlio
delluomo lo riconoscer davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnega
davanti agli uomini, sar rinnegato davanti agli angeli di Dio (Lc 12,8-9;
Mt 10,32-33; Mc 8,38).
La proclamazione del regno di Dio incontra opposizione. Ma lanelito
della preghiera di Ges resta uno solo: Abba, venga il tuo regno!
(Lc 11,2; cf. Mt 6,9-10). C pure un parallelo nella preghiera giudaica del Qaddish, che dopo linvocazione per la santificazione del Nome
(Sia benedetto il suo Nome grande per sempre, per i secoli dei secoli,
che egli ha creato secondo la sua volont), invoca: Venga il suo regno
nei nostri giorni, durante la nostra vita e durante la vita di tutta la casa
di Israele, presto e nel prossimo futuro13. Sembra una contraddizione:
con linsegnamento e lopera di Ges il regno di Dio presente e nello
stesso tempo una realt da venire. Non pu essere altrimenti, perch
ci che di Dio trascende il livello storico. Ges unisce il suo destino
alla realizzazione del regno di Dio tra gli uomini. Per questo si mostra
profeta credibile e messia.
Lidentit di Ges Figlio di Dio correlata a quella di Dio Padre
NellAntico Testamento lincontro con Dio avviene sul piano della storia
e attraverso gli uomini da lui inviati. quanto dice il profeta Amos:
Preparati a incontrare il tuo Dio, o Israele! (Am 4,2). Questo avviene
nellesperienza matrimoniale di Osea, nella vocazione tormentata di Geremia e nella vicenda personale di Ges. Sia pure per ingannarlo, i suoi
avversari confessano: Maestro, sappiamo che sei veritiero e non ti curi
di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verit

13. F. Manns, La preghiera dIsraele al tempo di Ges (Studi biblici), Bologna 1996,

170-176.

DIO PADRE NEI SINOTTICI

123

insegni la via di Dio (Mc 12,14). Nel momento della passione sempre
gli avversari riconoscono: Ha salvato gli altri, non pu salvare se stesso! (Mc 15,31).
Ges sente compassione delle folle che accorrono a lui, perch sono
pecore senza pastore (Mc 6,34; cf. Nm 27,17); per questo insegna,
guarisce i malati, e soprattutto avvicina i peccatori. Su questultimo punto
deve prendere le difese del suo comportamento: Non sono venuto per
chiamare i giusti, ma i peccatori (Mc 2,17). Niente lo ferma: lebbrosi,
donne, bambini, pubblicani e prostitute: ogni categoria viene avvicinata
e portata a godere della misericordia divina. Questi diventano la sua famiglia, quando di essi pu dire: Chi compie la volont di Dio, costui
mio fratello, sorella e madre (Mc 3,35). Ges interpreta la volont di Dio
con sicurezza (cf. Mc 10,5-6.14-15; Mt 5,17ss); sulle sue labbra ricorrono
espressioni come: il Padre vostro celeste non vuole (Mt 18,14), cos
piaciuto davanti a te (Mt 11,26; cf. Lc 12,32: non temere, piccolo
gregge, perch al Padre vostro piaciuto di darvi il suo regno). Ges
riconosce di avere dei limiti riguardo alle decisioni ultime sul regno di
Dio (Mc 10,40) o la sua venuta (Mc 13,32): ogni decisione prerogativa
del Padre.
Ges mostra unit con la volont di Dio, anzitutto nel destino che lo
riguarda. Concepisce la sua attivit come missione: Per questo sono venuto (Mc 1,38; 2,17; 10,45; cf. Lc 22,27). Gli esegeti discutono sulla
forma redazionale delle tre predizioni di morte e risurrezione, ma la morte
violenta del Battista, lopposizione crescente contro di lui e, nonostante
ci, la sua risoluta decisione di andare a Gerusalemme (cf. Mc 10,32; Lc
9,51) non lasciano dubbi sulle previsioni che Ges sentiva. Soprattutto il
significato che personalmente d ai gesti dellultima cena un profezia
degli avvenimenti che affronta: il suo sangue sparso volontariamente
per la remissione dei peccati. Tanto era richiesto dalla volont di Dio nei
suoi riguardi, tanto costava porre un fondamento stabile al regno di Dio
(cf. Mc 14,24-25).
Per finire propongo una suggestione. Matteo racconta la parabola dei
due figli: il primo dice di s al padre, ma poi non fa; laltro dapprima
si rifiuta, poi cambia idea e fa la volont del padre (21,28-31). Sembra
rappresenti la situazione dellumanit davanti a Dio: ebrei e pagani.
Nel materiale a lui proprio, Luca ha la parabola del prodigo. In realt
meglio chiamarla parabola del padre misericordioso. Questi aveva
due figli: uno giovane e dalla vita dissoluta, laltro maggiore e geloso
del perdono accordato al fratello. Il padre gode del figlio ritrovato, ma
neppure vuole perdere il maggiore. una parabola. Qualcuno vorrebbe

124

G. BISSOLI

riconoscervi unallegoria. Il Figlio di Dio abbandona la casa paterna e


viene a perdersi per dare a tutti, pagani ed ebrei, la sua stessa condizione di figlio. Dallidentit di Ges noi veniamo a conoscere lidentit
di Dio Padre.
Giovanni Bissoli, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE
IN ATTI DEGLI APOSTOLI
Note di lettura

G.C. Bottini N. Casalini


Premessa
Queste Note di lettura sul libro degli Atti degli Apostoli sono state effettuate nel corso di una lettura continua, da noi intrapresa per verificare
una ipotesi storico-letteraria.
Occupandoci delle fonti che lAutore (= A.) avrebbe usato per la
composizione della sua opera, ci parve che i due modelli proposti per risolvere il problema non fossero sufficienti: quello delle fonti scritte (in
particolare la fonte antiochena per i cc. 6-15 e il diario di viaggio per
i cc. 16-28) e quello delle tradizioni, per lo pi orali, tramandate dalle
Chiese e dalle comunit locali1.
Il dubbio ci nacque, quando notammo che il narratore, in alcuni episodi
del suo racconto, inserisce il nome di personaggi di ruolo secondario, ma
con particolari cos precisi e circostanziati, da far supporre che egli avesse
avuto contatti diretti, se non con loro, per lo meno con loro conoscenti, da
cui aveva ricevuto tali informazioni, da lui ritenute importanti per la sua
composizione.
Questo fatto ci spinse a formulare una semplice ipotesi di lavoro: lA.
ha ricostruito la sua storia raccogliendo informazioni, dirette o indirette, sui
personaggi della sua narrazione e, tra questi, erano da annoverare non solo
protagonisti o spettatori oculari dei fatti, ma anche i loro amici e parenti,
discepoli e collaboratori Questi in qualche modo avevano preservato il ricordo degli eventi accaduti, in particolare quelli narrati nella seconda parte
1. Cf. le due sintesi pi recenti sulle fonti in Atti che rappresentano le due tendenze indicate:

C.K. Barrett, The Acts of the Apostles. Vol. I (Acts I-XIV), Vol. II (Acts XV-XXVIII) (ICC),
Edinburgh 1994, 1998: I, 49-56; II, xxiv-xxviii; J. Jervell, Die Apostelgeschichte (KEK 3),
Gttingen 1998, 71-72. Per il dibattito pi antico: J. Dupont, Les sources du Livre des Actes.
tat de la qustion, Brgge - Paris 1960; su di lui fonda la sua sintesi J.A. Fitzmyer, The Acts
of the Apostles (AB 31), New York etc. 1998, 80-89; sulla stessa linea si colloca G. Ross, Atti
degli Apostoli, Roma 1998, 16-21; per quello pi attuale cf. C.J. Hemer, The Book of Acts in
the Setting of Hellenistic History (WUNT 49), Tbingen 1989 e C.-J. Thornton, Der Zeuge
des Zeugen. Lukas als Historiker der Paulusreisen (WUNT 56), Tbingen 1991. noto che
lipotesi di un itinerario di viaggio soggiacente ai cc. 13-28 era stata riproposta da E. Norden,
Agnostos Theos, Leipzig 1913, ristampa: Darmstadt 1956, 313-327.
LA 52 (2002) 125-174

126

G.C. BOTTINI N. CASALINI

del libro, che per lo pi riguardano Paolo e il suo annuncio tra i Giudei e
le genti del mondo greco-romano2.
Quindi le note che seguono attestano il nostro sforzo di reperire le informazioni effettive da lui ricevute, per distinguerle dalla ricostruzione
storica o narrativa che egli ha effettuato servendosi di esse come elementi
del suo progetto storico-teologico3. I problemi che abbiamo incontrato
leggendo sono molti, perch un tale lavoro arduo e non sempre facile
distinguere il fatto realmente accaduto dallopera dello storico che lo ha
narrato ricostruendolo. Dove stato possibile, li abbiamo risolti tenendo
conto delle opinioni esposte nei commentari pi noti di Atti4. Altri problemi, sia storici che teologici, li abbiamo lasciati irrisolti, dove non ci parve
possibile conseguire risultati soddisfacenti.
I. At 1,18,1a

Vita e formazione della Chiesa in Gerusalemme

1. Dopo At 1,1-2 il lettore attende che lA. enunci il tema del secondo
discorso. Poich scrive: Ho (gi) fatto il primo discorso (to\n me\n prwton
lo/gon ejpoihsamen), o Teofilo, su tutto ci che Ges incominci a fare e
insegnare fino al giorno in cui fu elevato, avrebbe dovuto continuare
dicendo ci che consegue secondo la logica del discorso: ora, far il secondo su tutto ci che egli ha compiuto (o su tutto ci che accaduto)
dopo che egli stato elevato. Anche concedendo che il de antitetico al men
possa mancare, una qualche forma di antitesi logicamente richiesta. Ma
qui manca e il discorso resta incompleto per la sua stessa logica5.
2. Questa ipotesi, genericamente presente gi nel commento di E. Hnchen (vedi nota 4)

92-99 stata in qualche modo ripresa e perfezionata da Barrett, The Acts of the Apostles, I,
55-56. Ma suggerita anche da Jervell, Die Apostelgeschichte, 64, che parla di una ricca
fonte orale, con cui indica le tradizioni tramandate a voce nelle singole comunit, e tuttavia
gi dovunque diffuse tra i credenti, cosa questa che a noi sembra meno probabile.
3. Per il rapporto tra fact e fiction narrativa in Atti cf. L. Alexander, Fact, Fiction and
the Genre of Acts, NTS 44 (1998) 380-399.
4. Oltre ai tre gi citati nella nota 1, cf. H. Conzelmann, Die Apostelgeschichte (HNT 7), Tbingen 19722; E. Hnchen, Die Apostelgeschichte (KEK), Gttingen 19777; G. Ldemann,
Das frhe Christentum nach den Traditionen der Apostelgeschichte. Ein Kommentar, Gttingen 1987; R. Pesch, Die Apostelgeschichte (EKK 5/1-2), Neukirchen 1986; J. Roloff, Die
Apostelgeschichte (NTD 5), Gttingen 19882; G. Schille, Die Apostelgeschichte (ThHK 5),
Berlin 19842; G. Schneider, Die Apostelgeschichte (HThK 5/1-2) Freiburg etc. 1980, 1982;
G. Sthlin, Die Apostelgeschichte (NTD 5), Gttingen 19704; A. Weiser, Apostelgeschichte
(TK 5/1-2), Gtersloh 1981, 1985.
5. Il problema rilevato anche da Barrett I, 65, ma lasciato irrisolto.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

127

2. In At 1,4 lA. attribuisce la promessa (dello Spirito) a Ges, ma le


parole che seguono in 1,5 sono una eco di quelle pronunciate da Giovanni
in Lc 3,16. In realt la contraddizione potrebbe essere solo apparente. La
promessa stata fatta da lui, Ges, in Lc 24,49 e la frase costruita in
modo parallelo a quella che si legge in Lc 3,16, anche se la logica non la
stessa. In Lc 3,16 Giovanni annuncia il battesimo che dar Ges dicendo:
Egli vi battezzer con Spirito Santo, distinguendolo dal proprio con le
parole: Io vi battezzo con acqua. In At 1,5 Ges ricorda la sua promessa
(cf. Lc 24,49) dicendo: Poich Giovanni ha battezzato con acqua, voi
invece sarete battezzati con Spirito Santo.
Quindi, opponendo il battesimo da lui promesso a quello che Giovanni
ha dato, lascerebbe capire che questo il battesimo da lui concesso, anche
se non dice Io vi battezzer con Spirito Santo. Questo fatto produce
una certa disarmonia nella logica del discorso, perch chi legge attende
che dica: Poich Giovanni ha battezzato con acqua, io vi battezzer con
Spirito Santo, oppure voi battezzerete in Spirito Santo. Invece scrive:
Ma voi sarete battezzati in Spirito Santo. Ci attesta che il narratore ha
mutato il logion di Giovanni, preso dalla tradizione evangelica (cf. Mc 1,8),
per adeguarlo al sistema simbolico del suo discorso teologico. In questo
lo Spirito promesso mandato dallalto (cf. Lc 24,49), dal cielo, da Ges
insediato Signore e Cristo alla destra di Dio, il Padre, da cui lo riceve e
riversa sui discepoli riuniti nel giorno della Pentecoste, o cinquantesimo,
dopo la sua risurrezione (cf. At 2,32-33)6.
3. In At 1,3 lA. riferisce che Ges parl a loro del regno di Dio, ma
neppure una parola del discorso riportata nel testo. evidente che si tratta
di un elemento scenico. Chi scrive interessato a far rilevare il fatto che
si present a loro vivo dopo aver sofferto, rendendosi a loro visibile per
quaranta giorni. Ma il particolare narrativo potrebbe avere anche un valore
teologico e significare che linsegnamento di Ges risorto continua quello
dato nellannuncio del Vangelo, quando era ancora tra loro 7. Tuttavia la
reazione degli Apostoli in At 1,6 attesta che parlare del regno di Dio
significa rinnovare lattesa del suo avvento (cf. Lc 11,2; 23,51; ma anche
13,28.29) per ridestare speranza in loro, che lo ascoltano e dare consolazione prima delladdio.
6. Conzelmann 72 spiega le somiglianze tra At 1,5 e Lc 3,16 dicendo che una parola di

Giovanni stata trasferita a Ges. In realt non c trasferimento, perch il contenuto


diverso. Ma una somiglianza formale, probabilmente deliberata e in funzione antitetica,
innegabile.
7. Cos Barrett I, 71.

128

G.C. BOTTINI N. CASALINI

4. Lepisodio della elevazione di Ges al cielo, narrato in At 1,9-11 (1214), la ricostruzione narrativa di un evento reale della fede, conosciuto
solo per esperienza teologale. La forma espressiva e la rappresentazione
della salita al cielo (At 1,9) non ha un parallelo diretto nella Scrittura8. Ma
lelemento descrittivo della nube che da sotto lo trasporta sollevandolo
in alto (uJpelaben) indica che il testo di ispirazione potrebbe essere stato
LXX Dn 7,139. Ci potrebbe significare che levento narrato sia da considerare come il compimento di quel testo profetico.
5. La notizia sul Monte dellOliveto (apo\ orou touv kaloumenou
Elaiwno) in At 1,12a strana e rara, perch in Lc 22,39 lA. dice
Monte degli Ulivi (ei to\ oro twn ejlaiwn) come nella tradizione
evangelica (cf. Mc 14,26). Il fatto che scriva detto dellOliveto e che
dista da Gerusalemme un tratto di strada percorribile di sabato, attesta
luso di una informazione diversa, nuova per lo stesso narratore e ignorata dal supposto lettore (nel caso specifico, Teofilo: At 1,1)10, come
se la designazione tradizionale non fosse pi in vigore. forse questo
particolare un indizio che egli ha visitato Gerusalemme dopo la distruzione, quando ormai era quasi del tutto svanita la toponomastica della
generazione passata?
6. La descrizione della comunit primitiva in At 1,12-14 costituisce
il primo dei sommari (cf. 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16) in cui il narratore presenta in forma ideale la vita della Chiesa allo stato nascente 11.
Quindi ci che egli dice opera di genuina ricostruzione, come attesta
la ricorrenza in At 1,14 di un lessico tipico del suo stile narrativo inteso
a mostrare lunit e lunanimit dei credenti: outoi pante (cf. pante
oi pisteuonte in At 2,44a e apante in At 5,12); la forma perifrastica
hsan proskarterouvnte (cf. At 2,42); omoqumadon (cf. 2,46; 4,24; 5,12);
ejpi to auto (cf. At 2,44)12.
8. Ma ha paralleli nel Nuovo Testamento: cf. 1Ts 4,17; Ap 11,12; Mc 14,62. Sullepisodio

dellAscensione cf. J.P. Maile, The Ascension in Luke-Acts, TynBull 37 (1986) 29-59;
M.C. Parsons, The Departure of Jesus in Luke-Acts. The Ascension Narratives in Context
(JSNT SS 21), Sheffield 1987, 117-186.
9. Cf. Barrett I, 82.
10. La differenza della formula tra At 1,12 e Lc 22,39 notata anche da Barrett I, 85, ma
non spiegata. Lo stesso in Fitzmyer 213 che rimanda alla formula analoga to\ oro to\
kalou/menon Elaiwn, di Lc 19,29.
11. Su questi sommari cf. U. Wendel, Gemeinde in Kraft. Das Gemeindeverstndnis in den
Summarien der Apostelgeschichte (Neukirchner Theol. Dissertationen und Habilitationen
20), Neukirchen - Vluyn 1998.
12. Conzelmann 28.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

129

difficile stabilire che cosa sia da attribuire a informazione reale. Ma


la lista degli apostoli (cf. At 1,2) data in At 1,13 corrisponde a quella che
si legge in Lc 6,14-16 e risale alla tradizione evangelica (cf. Mc 3,16-19).
Tuttavia stata modificata secondo la nuova prospettiva narrativa. Pietro
indicato solo con questo nome, come un personaggio gi noto ed seguito
subito dai nomi di Giacomo e Giovanni, gli unici tre apostoli nominati nel
seguito del racconto (cf. At 2,14: Pietro; 3,1: Pietro e Giovanni; 12,2-3:
Giacomo, fratello di Giovanni, fatto uccidere di spada da Erode, e Pietro).
Gli altri apostoli compaiono solo come personaggio collettivo rappresentato
da Pietro (cf. 5,12.18.29).
Le donne sono un personaggio gi noto della tradizione evangelica
(cf. Mc 15,40-41 e Lc 8,2-3). Quindi la loro presenza nella comunit primitiva cosa probabile. Ma la presenza tra loro di Maria, la madre di
Ges, e dei suoi fratelli pare dovuta alla ricostruzione del narratore, che
gi nel Vangelo aveva presentato la figura di Maria nella sua funzione di
madre del Signore (Lc 1,43), anche se non si pu escludere che egli segua
una tradizione difficile da precisare13.
Tuttavia corrisponde a tradizione storica genuina il fatto che i fratelli
di Ges appartennero al gruppo primitivo dei credenti di Gerusalemme,
come attesta il ruolo direttivo di Giacomo in At 12,17; 15,13-21; 21,18-25
che corrisponde a ci che dice Paolo di Giacomo, fratello del Signore in
Gal 1,19 e 2,9.12. Ma questo stato di cose databile a qualche anno dopo
lapparizione del Risorto a Cefa (cf. Gal 1,18 e 1Cor 15,5a; Lc 24,34 dove
chiamato Simone). evidente pertanto che lA. narra le vicende della
comunit primitiva al di fuori del tempo, e in semplice successione. Ci attesterebbe in modo inequivocabile che per quel periodo egli non possedeva
pi informazioni dirette, di prima mano e che egli ha supplito alla mancanza di notizie reali con la sua capacit di ricostruzione storica riproiettando
alle origini eventi e fatti in analogia a ci che accadde realmente in seguito
e di cui possedeva una informazione attendibile.
In ogni caso, secondo la tradizione pi antica, i discepoli (e di conseguenza anche gli altri seguaci) non restarono in Gerusalemme dopo lesecuzione di Ges come suggerisce idealisticamente il narratore (At 1,12),
ma tornarono in Galilea, dove egli si mostr loro vivente (cf. Mc 16,7 e
Mt 28,16). Quindi non possibile trarre dalla descrizione di At 1,12-14
un rapporto fedele sulla costituzione della comunit delle origini, perch

13. Cos A. George, La mre de Jsus, in Idem, tudes sur loeuvre de Luc, Paris 1986,

429-464, specialmente 459; Jervell 118; Ross 108.

130

G.C. BOTTINI N. CASALINI

una ipotesi di ricostruzione del narratore, conforme al punto di vista ideale


perseguito nella sua narrazione.
Per questo non ci pare sostenibile lopinione di J. Taylor che la Chiesa
primitiva fosse una organizzazione di vita in comune, come a Qumran e
secondo il modello dei Terapeuti in Egitto, a cui partecipavano anche le
donne (vergini!), dedite a questo ideale14.
Ci che egli propone, corrisponde certamente allo stile di vita in comune di molte associazioni sorte di recente nella Chiesa. Ma dubitiamo che
cos fosse anche allorigine, perch nel seguito della narrazione non c
traccia di questa istituzione di vita comune. I credenti si trovavano insieme
per listruzione apostolica, per la fractio panis (cf. At 2,42.46) e per la preghiera liturgica (cf. At 2,42.46a; 4,23-35; 5,12). Ma non vivevano insieme,
anche se condividevano tra loro ogni bene per aiutarsi reciprocamente (cf.
At 2,44-45; 4,32.34-35). La conferma data dal fatto che Pietro, liberato
da prigione, non va in una casa comune, ma alla casa di Maria, madre
di Giovanni detto Marco (cf. At 12,12-16) e da l manda ad informare
Giacomo (At 12,17c), che evidentemente viveva altrove, in casa propria
(cf. Gal 1,18.19).
7. In At 1,15-20 lA. rievoca la vicenda della morte di Giuda (in particolare 1,18-19), nota anche da Mt 27,3-10. Ma le differenze sono notevoli, bench il racconto di Atti potrebbe essere dipendente da quello del
Vangelo15. Lo chiama solo con il nome Giuda, supponendo una conoscenza
evidente nel suo lettore che egli sia lIscariota che divenne traditore (cf.
Lc 6,16). LA. informa che Giuda compr un podere con il prezzo dellingiustizia (ejk misqouv thv adikia). L invece restituisce con disdegno
la somma, che i sacerdoti considerano prezzo di sangue (timh\ aimato),
con cui comprano il campo del ceramaio per la sepoltura degli stranieri,
detto per questo campo di sangue (agro aimato) con riferimento evidente al sangue di Cristo. LA. lo chiama in aramaico (o ebraico) Akeldam (Akeldamac) e traduce con cwrion aimato, podere del sangue,
facendolo derivare dalla morte di Giuda in quel luogo. Mor squarciato
cadendo (o gettandosi dallalto con il capo in basso). L invece si dice che
si impiccato da solo.
14. J. Taylor, Les Actes des deux Aptres. IV: Commentaire historique (Act. 1,1-8,40)

(EB.NS 41), Paris 2000, 33-44 dove cita Filone, Vita contempl., 32 s., 68 s., 83-87 (p. 42).
Ma alcune delle donne di cui si legge in Lc 8,2-3 e Lc 24,10 erano sposate (cf. Giovanna,
moglie di Cusa, economo di Erode e Maria di Giacomo).
15. Jervell 125, preferisce parlare di tradizioni diverse. Su questo cf. anche F. Manns, Un
midrash chrtien: le rcit de la mort de Judas, RSR 54 (1980) 197-203.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

131

8. In At 1,20 cita LXX Sal 68,26 e Sal 108,8 per mostrare che ci che
accaduto a Giuda conforme alle Scritture. In realt le parole citate non
corrispondono alla lettera alle vicende narrate e quindi potrebbero sembrare
inappropriate. Ma al narratore serve solo un senso analogico generico per
significare che ci che accaduto conforme al disegno di Dio.
9. In At 1,21-26 narra la ricostituzione dei Dodici. Mattia scelto a
sorte e prende il posto lasciato vuoto da Giuda per essere testimone della
risurrezione. Il criterio adottato per la scelta la testimonianza diretta e
oculare (cf. Lc 1,2: oi aparchv aujto/ptai). Ci indicherebbe che il narratore non pensa ai Dodici come organo stabile16. Tuttavia la loro funzione,
detta servizio apostolico (hJ diakoni/a kai apostolh/: At 1,25; cf. 1,17),
pare persistere ed conferibile ad altri dalla Chiesa, come attesta il caso di
Barnaba e Paolo, scelti per la missione in At 13,1-3 e chiamati apostoli
in 14,4.1417.
10. La scena della cooptazione di Mattia al gruppo degli undici apostoli (At 1,21-26) costruita in modo simile alla scelta dei Sette (At
6,1-6), con tratti tipici, che indicano lopera di ricostruzione del narratore.
Alla proposta di Pietro di scegliere uno che sia insieme a loro testimone
della risurrezione (At 1,21-22), segue lintervento del gruppo comunitario
che propone due candidati per il posto (At 1,23) e la scelta di colui che
lo doveva occupare per il servizio apostolico, effettuata per estrazione a
sorte (At 1,24-26). Quindi, eccetto i nomi dei due candidati che risalgono
probabilmente alle informazioni ricevute, il resto una ricostruzione ideale per dare un esempio costituzionale di come procedere per la scelta dei
candidati al servizio apostolico.
Anche la funzione primaziale attribuita a Pietro e che egli esercita naturalmente dallinizio del racconto (cf. At 2,14; 3,1; 4,8; 5,29; 8,14; 9,32;
11,2; 12,3; 15,7-11) denota uno sviluppo della teologia del suo primato,
quale si legge nella successiva tradizione evangelica (cf. Mc 16,7; Mt
16,16-19; Lc 22,31-32; Gv 21,15-19)18 e presuppone che ci fosse una conoscenza reale ed evidente tra i credenti a cui destina la sua opera19. Quindi
16. Cos anche Taylor IV, 47-48, il quale tuttavia non nota che tale conclusione esegetica

dipende dal motivo addotto.


17. Ma cf. Conzelmann 29. Egli nega che lapostolato sia previsto come istituzione stabile
e permanente, bench lelezione di Mattia attesti con chiarezza lintenzione di mostrare
il permanere della funzione apostolica. Essa conferibile ad altri da coloro che gi la
detengono.
18. Barrett I, 95.
19. Jervell 123.

132

G.C. BOTTINI N. CASALINI

bisogna ritenere il racconto dellelezione di Mattia al collegio apostolico in


At 1,21-26 una ricostruzione del narratore e una anticipazione istituzionalizzante, fondata per su un dato genuino della tradizione, da cui ha tratto
linformazione. Cefa, Pietro, realmente il primo a cui fa visita Paolo
dopo la sua conversione (Gal 1,18: tre anni dopo!) ed una delle colonne
della Chiesa in Gerusalemme (insieme a Giacomo e Giovanni), quando vi
torna per la seconda volta (insieme a Barnaba) dopo quattordici anni dalla
prima visita (Gal 2,1.9).
11. Il fatto che in At 1,23 uno dei due candidati al posto lasciato vacante
da Giuda si chiami Giuseppe, soprannominato Barsabba, detto Giusto
e in At 4,36 si parli di un Giuseppe soprannominato Barnaba, tradotto
figlio della consolazione e considerato come uno degli Apostoli, rende
legittima lipotesi che si tratti della stessa persona, nominata due volte in
forma diversa20.
12. At 2,1-4.5-13, che narra lepisodio della venuta dello Spirito, si
presenta come una ricostruzione narrativa, in forma simbolica, di una
esperienza teologale reale. At 2,1-4 certamente una rappresentazione nel
simbolo narrativo di un evento creduto e nella fede sperimentato. Ma non si
pu escludere che lA. si sia potuto servire di una tradizione che trasmetteva il ricordo di un evento straordinario, forse la glossolalia o unesperienza
particolare dello Spirito21. At 2,5-13 invece un preannuncio allegorico del
suo effetto attuale e futuro, che anche il suo significato.
13. La folla che assiste alla venuta dello Spirito chiamata in At 2,5
Ioudaioi, andre eujlabei apo\ panto\ eqnou twn uJpo\ to\n oujrano/n,

Giudei, uomini pii di ogni popolo che (sta) sotto il cielo. Ma in At 2,11
dice Ioudaioi/ te kai prosh/lutoi. Ma opinione comune che i proseliti
siano da distinguere dagli uomini pii (o religiosi). probabile quindi che
sia solo una specificazione di oi epidhmounte Rwmaioi di At 2,10, i.e.
Romani residenti, Giudei e proseliti22.
Ma potrebbe essere una formula riassuntiva, in cui riprende At 2,523.
Ci pi difficile da accettare, perch si dovrebbe supporre che la locu20. La confusione tra i due attestata da D, che legge Barnaba. Ma cf. Taylor IV, 49

che ipotizza una identificazione con Giuda Barsabba di At 15,22.27.32, compagno di Sila,
legati della Chiesa di Gerusalemme ad Antiochia. Sulla figura di Barnaba cf. M. hler,
Barnabas. Die historische Person und ihre Rezeption in der Apostelgeschichte (WNT 156),
Tbingen 2003.
21. Cos Ross 126 con altri commentatori cui rinvia: G. Schneider, R. Pesch, J. Roloff.
22. Cf. Barrett I, 123-124 per il quale sarebbero Romani giudei e proseliti residenti a Gerusalemme; per Taylor IV, 73 invece sarebbero residenti a Roma, quindi venuti da Roma.
23. Cos Jervell 136.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

133

zione uomini pii di ogni popolo che (sta) sotto il cielo sia una semplice
qualifica di Giudei, abitanti in Gerusalemme24, cosa che sarebbe da
escludere, perch la lista che segue indica uomini provenienti da popoli
con lingue diverse (At 2,8.11)25. Dobbiamo quindi supporre due categorie
distinte in At 2,5: Giudei e uomini religiosi, non Giudei, provenienti da
tutti i popoli indicati.
14. La citazione di LXX Gl 3,1-5 in At 2,17-21 eccedente per il
contesto. Solo Gl 3,1-3 (At 2,17-18) corrisponde al dono dello Spirito. At
2,19 un preannuncio di potenze, prodigi e segni, di cui uno solo di
fatto narrato in At 3,1-11, la guarigione delluomo paralitico alla porta del
Tempio, detta Bella, anche se molti prodigi sono enunciati in At 5,12.
Quindi, questo un elemento descrittivo con valore teologico, che amplifica limportanza dellevento.
Di ci che dice in At 2,20 non c corrispondenza. Quindi lo dobbiamo
ritenere solo una minaccia cosmica con funzione persuasiva per chi legge
la storia narrata. Dovrebbe incutere timore e spingere alla conversione.
15. In At 2,29 ricorda la tomba di Davide in loco. Ci presupporrebbe
una conoscenza diretta e una visita sul posto dove un luogo era indicato.
Se poi questo fosse quello vero, dubbio26.
16. In At 2,30 ricorda la promessa di Dio a Davide di far sedere sul
suo trono dal frutto dei suoi lombi, che letteralmente si dovrebbe riferire
a un suo discendente reale, secondo la carne, ma che il narratore interpreta
con fede e la riferisce al Cristo risorto, che siede sul trono di Dio, come
Pietro afferma in At 2,32-33. Quindi, se si segue la lettera della Scrittura,
bisogna riconoscere che non c pi corrispondenza tra la promessa e il
compimento, che la realt creduta e narrata. Questa cosa totalmente
diversa. A meno che non si supponga che gi la promessa a Davide, quale
si legge in LXX 2Re 7,12 (2 Sam 7,12) (kai anasth/sw to sperma sou
meta se, e risusciter il tuo discendente dopo di te), fosse considerata
un preannuncio della risurrezione del Cristo27.
17. In At 2,34 contesta che Davide sia salito al cielo citando LXX Sal
109,1 in cui sembra parlare di un altro, che egli chiama Signore. In Mc
24. Cos Jervell 135
25. Cf. Barrett I, 118 e Fitzmyer 239, che tuttavia non esclude il significato precedente.
26. Cf. Taylor IV, 78. Notizie sulla tomba di Davide in Giuseppe Flavio, Ant 7,392-394 e

Bell I,61.
27. Cf. J. Dupont, Assis la droite de Dieu. Linterprtation du Ps 110,1 dans le Nouveau Testament, in Idem, Nouvelles tudes sur les Actes des Aptres (LD 118), Paris 1984,
210-295.

134

G.C. BOTTINI N. CASALINI

12,35-37 lo stesso salmo usato per contestare la figliolanza davidica del


Cristo, qui la salita al cielo di Davide stesso. Ci si potrebbe domandare, se
intendeva contestare una opinione del suo tempo che faceva di Davide il
Cristo. O dobbiamo pensare che sia solo un argomento a favore del suo
discorso?
18. Da At 2,36 risulta che per colui che scrive Ges diventato Signore e Cristo (Kurion kai Criston) dopo la sua risurrezione ed elevazione al cielo. Dio lo ha costituito in tale funzione dopo aver risuscitato
ed esaltato (At 2,32-33) colui che essi avevano crocifisso (At 2,36c).
questo forse un antico schema di cristologia per adozione, quale si legge
gi in Rm 1,4 e in Fil 2,6-11? Qualcuno lo pensa28, anche se per Fil 2,611 la definizione non pi adeguata, perch presuppone una preesistenza
in condizione divina. In questo caso dovremmo supporre che egli usi una
tradizione cristologica gi diffusa29. Ma questa ipotesi ha valore solo se si
ritiene che lA. di Atti sia lo stesso del Vangelo di Luca, perch per lA.
di questo Ges era dallorigine il Signore, Figlio dellAltissimo, salvatore
(cf. Lc 1,32-35; 2,11).
19. In At 2,38 Pietro invita al pentimento e al battesimo nel nome di
Ges Cristo per il perdono dei peccati. In At 2,21 nella citazione di LXX
Gl 3,5 si dice che chiunque invocher il nome del Signore sar salvato.
In At 15,17 nella citazione di LXX Am 9,12 si afferma di tutti i popoli, su
cui invocato il nome del Signore. Indicano forse la stessa cosa?
Nel primo caso evidente il riferimento al battesimo. Nel secondo da
escludere, perch sono loro che invocano il nome del Signore, secondo la
citazione di LXX Gl 3,5. probabile quindi che si riferisca principalmente
alla loro adesione alla fede (cf. Rm 10,14)30. Nel terzo dubbio. Il senso
originario di LXX Am 9,12 potrebbe indicare solo lestensione del dominio
o possesso di Dio su di loro31. Ma nel contesto attuale del racconto, dopo
il discorso di Pietro (At 15,7-11), non si pu escludere un riferimento al
battesimo dei credenti provenienti dai popoli, come nel caso di Cornelio
(At 10,48), in cui ritorna la formula battesimale di At 2,38.
20. In At 2,43 il narratore parla di molti prodigi e segni (polla de
terata kai shmeia) che avvenivano per mezzo degli Apostoli (cf. At 2,37)
e che ognuno aveva timore. Ma neppure uno narrato. Quindi la frase, che
28. Per es. R. Bultmann, Theologie des Neuen Testaments, Tbingen 19777, 28; O. Cull-

mann, Christologie des Neuen Testaments, Tbingen 19755, 222-223.


29. Cos Roloff 60; Hnchen 189. Ma anche Barrett I, 150.
30. Cos Barrett I, 139.
31. Cf. Barrett II, 727-728.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

135

riprende LXX Gl 3,3 citato in At 2,19 e ripetuta in At 5,12, serve solo da


amplificazione narrativa, che tuttavia corrisponde a un dato di fatto della
tradizione primitiva: la predicazione degli Apostoli era effettivamente accompagnata da prodigi, per lo pi guarigioni da malattie e liberazioni da
demoni (cf. At 14,8-10; 16,16-18; ma anche 1Ts 1,5; 2Cor 12,12 e forse
1Cor 2,4; Eb 2,4)32.
21. La descrizione di At 2,44-45, la vita della comunit dellorigine,
ideale. Tremila persone non potevano stare sempre insieme nello stesso
luogo, ogni giorno. Pertanto la descrizione simbolica, per significare
lunit dei credenti. In At 2,46 lA. pi realistico e la descrizione pi simile al vero: insieme pregavano nel Tempio33 e in ogni famiglia (o casa)
spezzando il pane prendevano il cibo con gioia. evidente che il narratore
riprende la notizia generica di At 2,42 e la specifica in At 2,46-47 per descrivere il loro stile di vita religioso e pio.
Tuttavia tra le due descrizioni persiste una evidente differenza. In At
2,42 egli indica quattro caratteristiche della vita della comunit primitiva
che potremmo definire istituzionali: istruzione degli Apostoli (didach\ twvn
apostolwn), la condivisione dei beni (koinwnia) (cf. At 4,32.34-35), la
fractio panis (klasi touv artou) (cf. At 20,7-12), le preghiere (cf. At
4,23-30; 12,5b; ma anche 2,46)34. In At 2,46-47 invece descrive il modo
in cui alcune di queste attivit accadevano quotidianamente (kaq hJmeran).
Ma luna e laltra descrizione sono una evidente ricostruzione ideale della
comunit delle origini, che lA. propone come modello alle comunit dei
suoi lettori35.
22. In At 2,47b chiama i credenti salvati. Quindi la conversione alla
fede, con il battesimo nel nome di Ges Cristo e il dono dello Spirito, sono
considerati dal narratore un evento salvifico. Dio raccoglie i salvati con
la predicazione degli Apostoli. Ci confermato dallesortazione di Pietro
in At 2,40b: Salvatevi (swqhte) da questa generazione perversa.
32. Cf. tuttavia E. Plmacher, Terateia. Fiktion und Wunder in der hellenistisch-rmischen

Geschichtsschreibung und in der Apostelgeschichte, ZNW 89 (1998) 66-90, il quale fa rilevare che un lettore greco-romano avrebbe classificato il libro degli Atti nel genere sensationalistische Geschichtsschreibung. Ci probabilmente vero. Ma avrebbe anche percepito
la distinzione: i prodigi narrati in Atti sono subordinati al messaggio teologico annunciato.
La sensazione quindi riguarda lintervento diretto di Dio, percepito solo dalla fede.
33. Sul Tempio nella vita della comunit primitiva cf. N.H. Taylor Jerusalem and the Temple in Early Christian Life and Teaching, Neotest 33 (1999) 445-461.
34. Jervell 155.
35. Su questo giudizio concordano tutti i commentatori: cf. per es. Barrett I, 162; Taylor IV
84; Fitzmyer 268; Ben Witherington III, The Acts of the Apostles, Cambridge U.K. - Carlisle
1998, 156-157.

136

G.C. BOTTINI N. CASALINI

23. Lepisodio della guarigione del paralitico in At 3,1-10 attribuita


ad una tradizione antecedente, probabilmente scritta, che narrava solo di
Pietro e che il narratore avrebbe ampliato inserendo anche Giovanni come
personaggio principale36.
Lipotesi non dimostrabile e a noi non pare sostenibile per questi
motivi. (1) Il fatto strettamente connesso con il discordo testimoniale di
Pietro e Giovanni (At 3,11-26) per mezzo di una transizione narrativa che
suppone come essenziali i due personaggi, nonostante che sia solo Pietro
ad agire nel prodigio (cf. At 3,4): Afferrando lui Pietro e Giovanni, tutto
il popolo fuori di s corse verso di loro al portico detto di Salomone (At
3,11). (2) Nel discorso di Pietro c un riferimento esplicito al guarito (At
3,16). (3) Il discorso unito strettamente allarresto dei due (At 4,1-4) e
al processo che segue (At 4,5-22) per mezzo di una frase di transito che
indica la simultaneit degli eventi: Mentre loro parlavano al popolo, si
presentarono a loro i sacerdoti, il custode del tempio e i Sadducei (At
4,1). (4) Nel suo discorso di difesa (At 4,8-12) Pietro richiama lattenzione sulluomo guarito (At 4,9), che evidentemente presente quale
testimone al dibattito (At 4,14 e 4,22). (5) Il fatto stesso presentato dai
loro accusatori come noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme e quindi
come innegabile (At 4,16).
Questa fitta tessitura di richiami narrativi attesta che lopera di ricostruzione storica del narratore prevalente. Potremmo dire anche determinante, tenendo conto che la conclusione teologica dellepisodio (At
4,23-31), con la preghiera della comunit che d un senso degli eventi
citando Sal 2,1-2 (LXX) (At 4,25-26), interpretato come compiuto in
ci che accaduto a Ges, scritta con un linguaggio tipico del narratore: oJmoqumadon (At 4,24; cf. 1,14; 2,46; 5,12); Ges chiamato
ton agion paivda sou (At 4,27.30; cf. 3,14 ton agion kai dikaion;
3,26 ton paivda autouv); lidea che Erode e Ponzio Pilato con le genti
e i popoli di Israele hanno compiuto quanto la decisione di Dio aveva
stabilito (At 4,27; cf. 3,18 e 2,23); il riferimento al complotto di Erode
e Pilato quale si legge in Lc 23,12; levento che rinnova il dono dello
Spirito (At 4,31b e 2,1-4)37.
36. Conzelmann 38; Barrett I, 175; Fitzmyer 276.
37. Nonostante questa evidenza lessicale e teologica che rivela inequivocabilmente lopera

di scrittura del narratore, opinione diffusa che Luca abbia rielaborato un testo tradizionale
(cf. Conzelmann 43; Roloff 85; Jervell 185), composto sul modello della preghiera di Ezechia (Is 37,16-20). Barrett I, 241 concede solo la notizia di una preghiera nota al narratore.
Il resto sua composizione.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

137

Tuttavia fuori dubbio che lambientazione scenica dellepisodio della


guarigione (At 3,1-11) costruita con informazioni reali prese dal narratore
sul luogo: la porta del tempio detta Bella in At 3,2 e il portico detto di
Salomone in At 3,11 sono notizie prese direttamente dalla tradizione locale, probabilmente popolare, come attesta il fatto che la qualifica della porta
sconosciuta altrove38; ma del portico di Salomone d notizia Giuseppe
Flavio (Bell. 5,184 s.; Ant. 15, 396-401; 20,220 s.).
Quanto allepisodio stesso, difficile determinare la fonte di informazione. Ma la guarigione di un uomo paralitico nota dalla tradizione
evangelica (cf. Mc 2,1-12; Gv 5,8). Quindi la vicenda ricostruita per
analogia. Ma la forma del miracolo (i.e. il modo in cui eseguito) lucana
(cf. At 14,8-10). E ci in conformit a quanto annunciava la Scrittura per
il tempo della salvezza, come mostra il particolare narrativo che luomo
guarito entr con loro nel tempio, camminando e saltando (peripatwvn
kai aJllomeno), in cui il participio aJllomeno certamente una eco di
aJleitai detta dello zoppo in LXX Is 35,6, che salter per la gioia della
salvezza operata da Dio.
24. Nel discorso di Pietro (At 3,11-26) Ges chiamato con diversi titoli: pai autou, ton agion kai dikaion, archgon thv zwhv (At
3,13.14.15).
Il primo titolo, pai, servo (At 3,13.26) potrebbe essere un riferimento al Servo del Signore in LXX Is 52,13 (cf. LXX Is 53,11), come
suggerisce la somiglianza tra edoxasen ton paida aujtou e sunhsei oJ
pai mou kai uJywqhsetai kai doxasqhsetai sfodra39.
Il secondo, ton agion kai dikaion di At 3,14 difficile da determinare.
Ma il primo elemento, oJ agio, potrebbe essere lequivalente di oJ osio,

pio, fedele, riferito a Cristo con la citazione di LXX Sal 15,10 in At


2,27, il cui senso potrebbe essere dato dal secondo, o dikaio, che lA.
attribuisce esplicitamente a Ges risorto ed esaltato in At 7,52 e 22,14, la
cui origine non facile da determinare. Ma potrebbe essere una qualifica
del Servo, che cos chiamato da Dio in LXX Is 53,1140.
Il terzo titolo, archgon th zwhv, iniziatore della vita (At 3,15),
senza corrispondente nella Scrittura. Poich ritorna in At 5,31 come sem38. Su questa famosa porta cf. il saggio di J. Taylor, The Gate of the Temple called Beau-

tiful(Acts 3,2.10), RB 106 (1999) 549-562.


39. Cos anche Barrett I, 194 e Fitzmyer 284-285. Ma negato da Jervell 94 con losservazione, certamente giusta, che lo stesso titolo dato a Davide in At 4,25. Ma gli sfugge il
fatto che edoxasen non detto di lui e il verbo una evidente allusione al profeta citato.
40. Barrett I, 196.

138

G.C. BOTTINI N. CASALINI

plice archgon (unito a swthr), si potrebbe pensare che la loro unione sia
un conio dellA. per significare colui che conduce alla vita41.
In At 3,20 Pietro sostiene che il Cristo Ges sar inviato opw
aposteilh, (lett. affinch mandi) nei tempi della consolazione (kairoi
anayuxew), quando saranno ristabilite tutte le cose che Dio ha detto per
mezzo dei profeti. Con ci afferma che il Cristo non stato ancora mandato
a loro. Ma in At 3,26 dice che Dio ha mandato per primo a loro il suo Servo
che ha risuscitato dai morti, affinch benedica mentre si convertono dalle
loro malvagit. evidente che qui ha mandato (apesteilen) ha un altro
senso, perch il Risorto non venuto. Ha appena detto che deve essere
trattenuto nel cielo. O si deve pensare che in realt stato gi mandato a
loro per mezzo dellannuncio apostolico, che testimonia lui come risorto
(cf. At 1,8 e 1,22)? Ci probabile perch lA. dice: A voi per primo,
avendo Dio risuscitato il suo Servo, lo ha mandato per benedirvi, mentre
ciascuno si converte dalle sue malvagit (At 2,26).
25. In At 4,1 il narratore nomina oi ierei e oJ strathgo tou ierou
kai oi Saddoukaioi. In At 4,5 nomina tou arconta, tou presbvutero,
tou grammatei. In At 4,6 nomina Anna, oJ arciereu, Caifa, Giovanni e
Alessandro della famiglia dei sommi sacerdoti (ejk genou arcierhticouv).
Quindi la notizia di At 4,1 unica. Ma potrebbe essere genericamente corretta, perch si potrebbe spiegare con un richiamo alla tradizione
evangelica, dove i Sadducei fungono come gruppo religioso che nega la
risurrezione (Lc 21,27). Qui infatti sembrano assolvere lo stesso ruolo
di avversari della predicazione apostolica che annuncia la risurrezione di
Ges (At 3,15.26). Il rapporto tra At 4,1 e At 4,5-6 si potrebbe risolvere
facendo notare che in At 4,1 sono nominati per primi i sacerdoti (oi
ierei) e che in At 4,6 il processo contro gli apostoli Pietro e Giovanni
presieduto dal sommo sacerdote Anna, insieme a Caifa, Giovanni e
Alessandro e quanti appartenevano a famiglie di sommi sacerdoti, che
probabilmente erano aderenti al gruppo dei Sadducei, di cui condividevano le idee42.
26. In At 4,5 nomina una nuova categoria, gli arconte [tou laou],
che in At 4,8 sono distinti dagli anziani (kai presbuteroi). Ma potrebbe
essere una semplice designazione tecnica del ruolo che assolvevano di
fatto i sommi sacerdoti, che presiedono alla riunione degli anziani e dei
41. Cos Barrett I, 198. Ma cf. Conzelmann 39 che lo considera equivalente di prwto ex
anastasew (cf. At 3,26), come pure Fitzmyer 286. Cf. anche P.-G. Mller, CRISTOS
ARCHGOS (EH XXIII/28), Bern - Frankfurt 1973, 255-258.
42. Cf. Barrett I, 219.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

139

dottori della legge (tou presbuterou kai tou grammatei) (At 4,5)43.
Con questo titolo infatti (arconte tou laou) li designa Pietro in At 4,8
rispondendo al loro interrogatorio.
27. In At 4,30 nomina guarigione (iasi), poi shmeia kai terata, di
cui nessuno narrato. evidente di nuovo che il narratore eccede in modo
deliberato nella descrizione sintetica per mostrare la forza della nuova dottrina e la sua validit, confermata da opere operate con potenza dalla mano
di Dio nel nome di Ges (cf. At 3,6.16; 4,7.10).
28. In At 4,32 ritorna laffermazione apanta koina che si legge in
At 2,44b, una notizia ardua da verificare, perch non trova conferma nelle
istruzioni di Paolo. Ma potrebbe trovare una conferma nella tradizione
evangelica, in cui allinvito di abbandonare tutti gli averi, corrisponde una
garanzia di beni comuni (cf. Mc 10,17-22 e 10,28-31).
Tuttavia nelle altre comunit e Chiese fondate con la predicazione apostolica non documentato questo stile di vita. Dobbiamo forse supporre
che Luca idealizzi secondo la tradizione giudaica, che non ignorava forme
di vita comune (per es. Qumran)44? Ma lipotesi di una qualche forma reale
di condivisione dei beni pi probabile che non quella di una completa
idealizzazione45.
29. In At 3,14,31 protagonista Pietro con Giovanni. In At 4,325,42
protagonisti sono gli Apostoli in generale (cf. At 4,33.35.36.37; 5,18.29).
Il narratore li tratta come se fossero un personaggio collettivo, che agisce e
parla come se fosse un solo uomo, come risulta da At 5,29 in cui risponde
Pietro e gli Apostoli. Il lettore comprende che egli ricostruisce il passato
in modo tipico, su informazioni generiche che ha avuto, di cui egli si serve
per immaginare ci che stato, procedendo con il metodo del verosimile e
secondo il suo giudizio ideale.
30. In At 4,36-37 lA. presenta per la prima volta il personaggio Giuseppe, chiamato / soprannominato Barnaba, che egli classifica tra gli
Apostoli (apo twn apostolwn), bench non sia in alcuna lista apostolica
tramandata dalla tradizione evangelica. Lo definisce anche come levita e
specifica che era originario di Cipro. Dunque, un giudeo di lingua greca!
43. Jervell 176.
44. Cf. Giuseppe Flavio, Bell 2,122, sugli Esseni di cui dice che avevano i beni in comu-

ne; notizia confermata dalle disposizioni della Regola di Qumran che si leggono in 1QS
1,11-12 e 1QS 5,2 citati da Barrett I, 167-168. Su questa consuetudine cf. H.-J. Klauck,
Gtergemeinschaft in der klassischen Antike, in Qumran und im Neuen Testament, RQ
11 (1982) 47-79.
45. Cos Taylor IV, 127; pi prudente Barrett I, 168.

140

G.C. BOTTINI N. CASALINI

Questo fatto attesta che il narratore ha avuto notizia specifica su di lui,


a cui assegna un ruolo importante nella Chiesa delle origini, confermato
dallepistolario paolino (cf. 1Cor 9,6 e Gal 2,1.9.13). Degli altri Apostoli
non sa pi niente! Dobbiamo forse supporre che il loro ricordo fosse gi
perduto, quando egli ha scritto il suo discorso? Linformazione precisa che
Barnaba vendette un podere (At 4,37) pu derivare solo dallinteressato,
o da chi era a lui molto vicino, per es. Giovanni detto Marco, che lA.
ricorda spesso in questa parte del racconto (cf. At 12,12.25 e 15,36-39).
31. Lepisodio di Anania e Saffira in At 5,1-11 sorprendente: ha la
funzione di ammonire. una reale minaccia per chi legge! Vuole forse
insegnare ad agire correttamente? Vuole forse proporre un modello da non
imitare? E per quale ragione?
Il peccato, che qui punito con la morte immediata, la doppiezza di
cuore, perch i due sono accusati da Pietro di mentire allo Spirito Santo
(cf. At 5,3.9). Essi lo hanno ingannato volendo far credere che il denaro
consegnato corrispondesse effettivamente a quello guadagnato dalla vendita
del campo, bench fosse solo una parte del guadagno effettivo (cf. At 5,2b).
Quindi il fatto terrificante non vuole inculcare con il terrore lespropriazione dei beni in favore della comunit46, ma la sincerit del cuore nelle cose
fatte per Dio47. Ci confermato dalle parole di Pietro in At 5,4: Non
restava forse a te non venduto? E venduto non era forse in tuo possesso?
Perch hai posto una tale azione sul cuore? Non agli uomini hai mentito,
ma a Dio (oujk eyeusw anqrwpoi alla tw qew)48.
32. In At 5,17 lA. parla del sommo sacerdote, oJ arciereu, in modo
generico e della setta dei Sadducei airesi twn Saddoukaiwn. In At
4,1.6 ne parlava in modo specifico. Il sommo sacerdote e tutti quelli con
lui sembrano costituire la setta dei Sadducei, in quanto lespressione hJ
ousa airesi twn Saddoukaiwn posta come evidente specificazione
(i.e. apposizione) di tutti quelli con lui (pante oi sun autw)49.
Il modo diverso con cui lA. introduce i Sadducei in At 5,17 chiamandoli tecnicamente setta (airesi), che era il termine tecnico per designare
46. Questa la conclusione a cui potrebbe giungere un lettore del commento di Jervell

195.198-199. Ma lipotesi esplicita in Taylor IV, 143-144 che vede il peccato nel fatto di
aver distornato denaro che era dovuto alla comunit, a cui era destinato.
47. Cf. Barrett I, 262 che vede nellinganno il peccato punito e Fitzmyer 316.320 che non
esclude laltra.
48. Allo stesso modo interpreta H. Havelaar, Hellenistic Parallels to Acts 5,1-11 and the
Problem of Conflicting Interpretations, JSNT 67 (1997) 63-82.
49. Barrett I, 282 conferma la notizia citando Giuseppe Flavio, Ant 20,199 dove il sommo
sacerdote Anna (cf. At 4,6a) presentato come seguace della setta dei Sadducei.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

141

una scuola o tendenza di pensiero, potrebbe attestare che egli si ispiri ad


una fonte di informazione diversa da quella evangelica usata in At 4,1 dove
essi sono presentati genericamente, senza questa denominazione (come in
At 23,6).
33. In At 5,21 introduce una nuova denominazione politica: oJ ajrciereu,
quelli con lui (oi sun autw), to sunedrion da lui convocato e pasan
thn gerousian dei figli di Israele. evidente che la mutazione vuole nobilitare e rendere solenne la narrazione adottando la terminologia politica
greca. Ci rivelerebbe lintenzione del narratore di rivolgersi a lettori di
cultura greca. In At 4,5 ne usa unaltra: autwn tou ajrconta, anziani
e scribi (o dottori della legge). Gli ultimi due sono noti dalla tradizione
evangelica. Si potrebbe quindi supporre che pasan thn gerousian sia
solo una esplicazione di to sunedrion50. Ma forse bene mantenere la
distinzione e supporre che indichi quei membri del sinedrio che altrove
sono definiti come oi presbuteroi e oiJ grammatei, distinti dai sommi
sacerdoti, o capi del popolo (cf. At 4,5-6)51.
34. In At 5,30-31 c una nuova sintesi cristologica. (1) Dio ha risuscitato Ges che essi hanno crocifisso appendendolo al legno, una espressione
che si ritrova solo in Paolo (Gal 3,13; LXX Dt 21,22). (2) Lo ha innalzato
o elevato alla sua destra quale ajrchgon kai swthvra. (3) Il fine di questa
opera di Dio di concedere a Israele pentimento e perdono dei peccati,
come si legge anche in At 3,18-19.26. (4) Lannuncio della conversione
per il perdono dei peccati consegue alla sua esaltazione, come in Lc 24,4647.
Dei due titoli cristologici in At 5,31, che insieme designano la funzione
del Cristo che Dio ha esaltato alla sua destra, il primo ajrchgo era gi noto
da At 3,15, dove accompagnato dalla specificazione thv zwhv, colui che
guida alla vita. Qui manca e quindi potrebbe avere il semplice significato
di capo o guida. Il secondo, swthr, salvatore, specificato dal fatto
che in lui Dio concede il perdono dei peccati (dounai metanoian tw
Israhl kai afesin aJmartiwn: At 5,31b)52.
35. Le notizie storiche del discorso di Gamaliele in At 5,34-40 sono
forse imprecise e gli eventi databili diversamente. Secondo Giuseppe
Flavio, Ant. 20,97.98, le vicende di Teuda accaddero sotto il governatore

50. Barrett I 285 che cita Dionigi di Alicarnasso, Ant 2,12: touto to sunedrion Ellhnisti
ermhneuo/menon Gerousian (cf. anche CIG 2.3417).
51. G. Schneider I, 390.
52. Cullmann, Christologie 250.

142

G.C. BOTTINI N. CASALINI

Fadus, nel 44. Quindi dopo il supposto discorso di Gamaliele! Quelle di


Giuda il Galileo accaddero nellanno 6, al tempo del censimento secondo
Giuseppe Flavio, Ant. 18,4.10.23 e Bell. 2,11853. Dobbiamo forse supporre
che lA. abbia riferito in modo libero la sua fonte54?
36. In At 6,2 compare une diversa designazione. Gli Apostoli sono
chiamati semplicemente i Dodici (cf. At 6,6). La designazione compare
solo qui e si potrebbe spiegare con luso di informazioni di diversa provenienza. Se poi questa fonte volesse mettere in rilievo i Dodici (Apostoli)
e il loro rapporto con i Sette da loro nominati per il servizio delle mense
(At 6,5)55, problematico, perch i Sette sono distinti in questo modo
come gruppo solo in At 21,8 dove si ricorda che levangelista Filippo era
uno dei Sette (ovnto ek twn epta).
37. I sommari sulla crescita del numero dei credenti si leggono in At
2,41: tremila anime; At 4,4: cinquemila uomini; At 5,14: una quantit di
uomini e donne; At 6,7: un numero di discepoli grande e una moltitudine di sacerdoti. Da dove ha preso questa notizia cos circostanziata? Ma
la sua validit non si pu negare, perch Barnaba chiamato un levita
di Cipro in At 4,36. Tuttavia sarebbe eccessivo supporre che fossero sacerdoti membri della setta di Qumran, aderenti al Cristo56, bench ci non
sia impossibile.
38. Il discorso di Stefano in At 7,2-53 arduo da valutare57. Ma
evidente che la storia di Mos in At 7,20-43 narrata per mostrare la disobbedienza dei padri.
Laggiunta sulla skhnh tou marturiou e sul Tempio in At 7,44-50
serve a mostrare linutilit di questo58. Quindi, anche tale costruzione
considerata un atto di disobbedienza a Dio, che non ha bisogno di nulla (cf.
Is 66,1-2 in At 7,49-50). La sua stessa funzione pertanto dovrebbe essere
di denunciare un rifiuto opposto a Dio. Conclusione dellargomento: quello
che accadde allora, accade anche ora (At 7,51-53).
53. Per lesame dei dati cf. Barett I, 293-296 e Fitzmyer 333-334.
54. Cf. Barrett I, 296 che non esclude una possibilit di errore, a cui poteva condurre la

poca chiarezza espressiva della stessa fonte.


55. Cos Barrett I, 311.
56. Cos suppone O. Cullmann, Secte de Qumran, Hellnistes des Actes et Quatrime
vangile, in Les Manuscrits de la Mer Morte. Colloque de Strasbourg 25-27 mai 1955,
Paris 1957, 61-74: qui 72-73; e con prudenza anche Fitzmyer 351.
57. Cf. J.J. Kilgallen, The function of Stephens Speech (Acts 7,2-53), Bib 70 (1989)
173-193.
58. D.D. Sylva, Meaning and Function of Acts 7,46-50, JBL 106 (1987) 261-275.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

143

Il problema che si pone al lettore se tale condanna storica, quale si


trova nel discorso, rappresenti una tendenza teologica del cristianesimo
primitivo, o se sia solo un regolamento di conti con la tradizione giudaica
reale del tempo dellA., scritta dopo la separazione dal Giudaismo, ma
anticipata con probabilit storica agli inizi della persecuzione fomentata dai
Giudei nella prima generazione apostolica, che doveva poi condurre alla
separazione effettiva nella seconda59.
39. In At 7,58-60 lA. unisce la vicenda di Stefano con il giovane Saulo.
Ma costui, Paolo, ignora tale vicenda nelle sue lettere, bench riconosca di
essere stato un persecutore della Chiesa (cf. Gal 1,13.23). Quindi la connessione potrebbe essere una ricostruzione simbolica per dare unit narrativa
e di senso a notizie sparse, che egli aveva ricevuto, senza specificazione di
luogo e di tempo. Ma il fondamento storico certo. Paolo stato realmente
un grande persecutore della Chiesa di Dio, come attestano i due riferimenti
in Gal 1,13 e 1,23. Il narratore non potrebbe essere accusato di falso, se egli
ha ricostruito in forma verosimile informazioni generiche su un dato di fatto
reale riguardanti sia la morte di Stefano sia lattivit persecutoria di Saulo.
Sintesi su At 17. Le tradizioni e le informazioni dei capp. 1-7 di
Atti sono difficili da individuare e da distinguere dalla ricostruzione del
narratore.
(a) Le apparizioni del risorto agli Apostoli sono note anche da 1Cor
15,5-7. La durata di quaranta giorni una evidente ricostruzione simbolica, come lelevazione al cielo e la discesa dello Spirito a Pentecoste (At
1,9-11 e 2,1-4). Ci confermato dalla differenza con la tradizione evangelica, riportata dallo stesso Luca: tutto accadde in una giornata, conclusa
con lelevazione al cielo (Lc 24,51-53).
Ma gi la tradizione pi antica, raccolta da Paolo, attesta una pi lunga
durata nellesperienza del Risorto, che appare a persone o a gruppi in tempi
diversi. Proprio del narratore di Atti laver dato a quel periodo indefinito
un limite sicuro di quaranta giorni (At 1,3) per elevare il fatto a simbolo
teologico, che indicava il tempo della rivelazione di Dio60.
59. Cf. N.H. Taylor, Stephen, the Temple, and Early Christian Eschatology, RB 110 (2003)

62-85, per il quale tale denuncia sarebbe in continuit con linsegnamento di Ges; e H.W. Neudorfer, Bemerkungen zur Theologie der Stephanusrede JETh 12 (1998) 37-75,
per il quale il discorso sarebbe costituito su informazioni attendibili e risalirebbe di fatto a
Stefano. Noi siamo pi prudenti. Riconosciamo come probabile la prima ipotesi, ma come
impossibile la seconda. Il linguaggio e lo stile del discorso sono del narratore!
60. Ph. Menoud, Pendant Quarante Jours (Actes 1,3), in W.C. van Unnik et alii (ed.),
Neotestamentica et Patristica. Eine Freundesgabe, Herrn Professor Dr. Oscar Cullmann zu
seinem 60. Geburtstag berreicht (NovT SS 6), Leiden 1962, 148-156.

144

G.C. BOTTINI N. CASALINI

(b) La notizia della morte violenta di Giuda (At 1,15-20) nota dalla
tradizione evangelica (Mt 27,3-10). Ma diversa la ricostruzione della
vicenda. Il narratore di Atti razionalizza e abbandona ogni significazione
cristologica. Non chiaro se il nome del campo di sangue, Akeldamac,
sia da tradizione o ricostruzione da Mt 27,8 agro aimato. In questo
caso avremmo un primo esempio di ritraduzione operata dal narratore, con
qualche elemento di conoscenza della lingua locale.
(c) La scelta di Mattia al posto di Giuda potrebbe essere da antica tradizione, soprattutto perch nominato anche il candidato escluso: Giuseppe,
Barsabba, il Giusto (At 1,23). Il fatto lascia supporre che chi scrive pensasse ai Dodici come a un organo costituzionale stabile. Ma il criterio di scelta lo
esclude categoricamente. Bisognava aver conosciuto il Signore Ges. Quindi
equivarrebbe a un organo di fondazione, che cessa nella funzione, quando
cessano i testimoni diretti delle vicende. Come Dodici gli Apostoli sono nominati solo in At 6,2, in un atto costitutivo della Chiesa per il suo servizio.
(d) La notizia che i credenti fossero assidui frequentatori del Tempio (At
2,46a) degna di attenzione. Che avessero consuetudine di riunirsi nel Portico di Salomone (At 3,11 e 5,12) non inverosimile, perch tale costruzione
nota da Giuseppe Flavio, Bell. 5,184-185 e Ant. 15,396-401; 20,220-221.
Ma potrebbe essere una effettiva ambientazione ricostruita dal narratore.
(e) La notizia sui Sette del gruppo degli Ellenisti in At 6,1-6 potrebbe essere antica, perch ripetuta in modo specifico in At 21,8: Filippo
era uno dei Sette. Poich le notizie che d su questo evangelista paiono
veraci e di prima mano (At 21,8-9), si dovrebbe supporre che lo sia anche
quella sui Sette. Ma anche in questo caso non si pu escludere del tutto
che sia una ricostruzione tipica del narratore, desunta dallelenco dei nomi
tramandati61. In questo caso i Sette non sarebbero da ritenere un organo
istituzionale stabile della comunit di lingua greca di Gerusalemme, ma una
ipotesi istituzionalizzante del narratore.
(f) da considerare come probabile la tradizione sulla lapidazione di
Stefano: il suo nome, che fosse un giudeo di lingua greca verosimile,
bench non riporti largomento effettivo della disputa.
Ugualmente degna di nota potrebbe essere la notizia sulla Sinagoga
dei Liberti (Cirenaici e Alessandrini, della Cilicia e dellAsia). Ma denominata in modo generico. Tuttavia il fatto che lA. nomini alcuni di quelli
della Sinagoga dei Liberti (At 6,9) attesta che egli vuole che si prenda
61. Cf. M. Bodinger, Les Hbreux et les Hellnistes dans le livre des Actes des

Aptres, Hen 19 (1997) 39-58. Sul problema M. Livingston, The Seven: Hebrews, Hellenists, and Heptines, JournalHighCrit 6 (1999) 32-63.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

145

nota di questo fatto, che lascerebbe supporre lesistenza di informatori tra


il gruppo di quelli indicati per luogo di provenienza.
(g) Il motivo della disputa di costoro con Stefano (suzhtouvnte tw
Stefanw) (At 6,9) indicato in due modi diversi e generici. (1) In At 6,11
si legge che dice parole blasfeme contro Mos e contro Dio. (2) In At 6,13
si legge che falsi testimoni dicono che proferisce parole contro il Tempio
(questo luogo santo) e contro la Legge.
Il discordo di Stefano (At 7,2-53) non permette di discernere, perch
non unapologia (o difesa) ma una invettiva (o atto di accusa) contro
i Giudei, rappresentati dal sinedrio (At 6,12)62. In ogni caso, ci che lui
dice confermerebbe solo il secondo motivo di accusa: egli parla contro il
Tempio in At 7,44-50. Tuttavia, con sorpresa del lettore, il motivo effettivo
della lapidazione non questo, ma dato dalla professione di fede in Ges,
Figlio dellUomo, esaltato alla destra di Dio (At 7,55-56)63.
II At 8,1b11,35 Persecuzione dai Giudei e annuncio della parola ai
Greci
40. In At 8,4-25 lA. riporta lannuncio della parola nella citt della Samaria (eij [thn] polin th Samareia) (At 8,5). Non precisa il nome,
come attesta At 8,8 dove riferisce che ci fu grande gioia in quella citt.
Ci rivela che la storia narrata una ricostruzione generica effettuata dal
narratore sulla base di qualche notizia indefinita64.
Per la tradizione evangelica, lannuncio in Samaria risalirebbe a Ges stesso
(Gv 4), cosa che esplicitamente negata dalle parole di Ges in Mt 10,5b: Nella citt dei Samaritani non entrate (ei polin Samaritwn mh eiselqhte).
62. Stesso giudizio in H.A. Brehm, Vindicating the Rejected One: Stephens Speech as a

Critique of the Jewish Leaders, in C.A. Evans et alii (ed.), Early Christian Interpretation
of the Scriptures of Israel (JSNT SS 148), Sheffield 1997, 266-299.
63. Ci stato correttamente percepito anche da K. Finsterbush, Christologie und Blasphemie: Das Haupthema der Stephanusperikope in lukanischer Perpektive, BiblNot 92
(1998) 38-54.
64. Barrett I, 402; Taylor IV, 215. Sulle fonti di informazione di At 8,5-25 cf. P.L. Dickerson, The Sources of the Account of the Mission to Samaria in Acts 8,5-25, NT 39 (1997)
210-234, il quale ne suppone tre: una per At 8,5-13 su Filippo in Samaria; una per At
8,14-17 su Pietro e Giovanni in Samaria; una terza per At 8,18-24 sulla storia di Simone, il
mago. Per noi sono eccessive, perch la seconda notizia tipica della ricostruzione storica
del narratore che presenta Gerusalemme come il centro di propulsione e di legittimazione
della missione: cf. lo stesso schema narrativo in At 11,19-24 per la formazione della Chiesa
in Antiochia e linvio di Barnaba da Gerusalemme per legittimarla.

146

G.C. BOTTINI N. CASALINI

La difficolt si potrebbe evitare supponendo un genitivo di apposizione.


Quindi la formula generica sarebbe in realt specifica, perch indicherebbe
Samaria, la citt capo della regione Samaria, che era detta anche Sichem, e
che al tempo del narratore era denominata Sebaste65.
Il fatto stesso per che non usi il nome attuale, attesta che la sua intenzione di adoperare una pi antica denominazione, in sintonia con il programma
di annuncio delineato da Ges per i discepoli in At 1,8 dove tuttavia Samaria
indica chiaramente la regione come in At 8,14 ed posta dopo la Giudea.
Ma la notizia riportata potrebbe avere un fondamento storico, perch
lannuncio in quel territorio attribuito a Filippo, a cui ascrive anche la
diffusione della parola nella zona costiera, da Gaza fino ad Azoto e Cesarea
(At 8,26-40). La probabilit storica di questa tradizione deriva dalla notizia
specifica su di lui e le sue figlie data in At 21,8-9 e dal fatto che Paolo
ospite in casa sua.
41. Lepisodio su Simone, il mago (At 8,9-13.18-25) potrebbe avere un
reale valore storico66. Ma il suo rapporto con Filippo e Pietro da esaminare con cura. Il primo potrebbe essere reale, il secondo una ricostruzione
verosimile in conformit con lintenzione del narratore, che fa degli Apostoli in Gerusalemme gli effettivi direttori della missione.
La tradizione su di lui solo cristiana67. Quindi Luca ne lorigine.
Ma lui, da dove ha preso il materiale informativo per la sua narrazione?
Dal romanzo popolare? probabile, ma solo per gli elementi della descrizione, appartenenti al genere della diffamazione68. Da una notizia reale? E
in questo caso, da chi lha ricevuta? Dalla tradizione di Filippo preservata
in Cesarea? Il problema non pu essere facilmente risolto.
42. Il racconto sulla chiamata (o conversione) di Saulo in At 9,1-19 (o
29) da ritenere una ricostruzione simbolizzante del narratore, tenendo conto
della sobriet effettiva di Paolo in Gal 1,15-20. Poich ci che costui dice
posto come vero sotto giuramento (a de grafw uJmin, idou enwpion tou
qeou oti ouj yeudomai) (Gal 1,20), bisogna ritenere la narrazione di Atti
una narrazione letteraria libera, con qualche informazione autentica: (1) che
Paolo ader a Ges in Damasco (Gal 1,17c); (2) che trascorse l il suo primo
65. Jervell 259.
66. Cf. Taylor IV, 218.
67. Le fonti sono elencate da Taylor IV, 218 ed esaminate con cura, almeno le fondamentali,

da Barrett I, 405-406.
68. Ci risulta dallo studio di F. Heintz, Simon le magicien. Actes 8,5-25 et laccusation
de magie contre les prophtes thaumaturges dans lAntiquit (Cahiers de la RB 39), Paris
1997. Cf. la recensione critica di C. and A. Faivre, Rhtorique, histoire et dbats thologiques. A propos dun ouvrage sur Simon le magicien, RevSR 73 (1999) 293-313.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

147

tempo quale discepolo; (3) che l testimoni e diede inizio al suo annuncio,
proclamando Ges come Figlio di Dio (Gal 1,16); (4) che da l fece visita a
Gerusalemme (Gal 1,18: a Cefa, dopo tre anni dalla conversione); (5) che fu
costretto a lasciare Damasco, in fuga, perch lEtnarca del re Areta lo voleva
catturare (cf. 2Cor 11,32, senza dire la ragione). Ma nomina lostilit dei
Giudei, di cui in At 9,23 e giura di dire la verit (2Cor 11,31)69.
Quindi Luca era informato in modo generico e la notizia della fuga
potrebbe averla desunta da Paolo stesso70. Ma evidente che egli ha cercato
di coordinare i pochi dati forniti da costui con altre informazioni date dal
gruppo di Cipro intorno a Barnaba, con cui svolse allinizio il suo ministero
in Antiochia (cf. Gal 2,1.9 e 2,11-14). Tuttavia lesito ammirevole della
sua coordinazione storica non sempre concorda con ci che sappiamo dalla
cronologia paolina71.
43. Le tre versioni del racconto della conversione di Paolo sono diverse: At 9,1-30; 22,1-21; 26,1-2372. La prima del narratore, la seconda e la
terza sono apologie o difese di Paolo, davanti al popolo la seconda (22,121); davanti al re Agrippa e al governatore Festo la terza (26,1-23)73.
Le differenze sono cos marcate che bisogna supporre che egli abbia
volutamente o spontaneamente adottato la tecnica dellamplificazione e
della variazione narrativa. Gli elementi comuni non sono dovuti a tradizioni simili, ma alla logica narrativa o intratestuale: li ripete con qualche
variante, per ricollegarsi allepisodio precedente.
Le novit pi evidenti del secondo racconto (At 22,1-21) sono diverse.
(a) Paolo parla ebraico. (b) di Tarso, in Cilicia. (c) stato educato in
Gerusalemme dal maestro Gamaliele (At 22,3; cf. 5,34). (d) Le lettere per
perseguitare gli aderenti alla via gli sono state date dal sommo sacerdote e
da tutto il presbiterio. (e) Anania era un uomo pio secondo la Legge, non
discepolo. (f) Ges lo ha scelto per vedere il Giusto (At 22,14) ed essere
testimone di lui davanti a tutti gli uomini. (g) Egli torna a Gerusalemme e lo
69. Un confronto tra i due racconti in J. Taylor, Les Actes des deux Aptres. V: Commentaire

historique (Act. 9,1-18,22) (EB.NS 23), Paris 1994, 5: somiglianza e divergenze.


70. Che Paolo stesso possa essere stato con le sue lettere fonte della ricostruzione del narratore, data come cosa ovvia da Barrett I, 443. Cf. anche C. Masson, propos de Actes
9,19-25. Note sur lutilisation de Gal et de 2Cor par lauteur des Actes, ThZ 18 (1982)
161-166.
71. Un tentativo di armonizzazione in M. Hengel - A.M. Schwemer, Paulus zwischen Damaskus und Antiochien (WUNT 108), Tbingen 1998, 214-236
72. Cf. C.W. Hendrich, Pauls Conversion/Call: a Comparative Analysis of the Three Reports in Acts, JBL 100 (1981) 415-432.
73. Poste in sinossi con discussione critica in Barrett I, 439-445.

148

G.C. BOTTINI N. CASALINI

vede nel Tempio dove gli ordina di lasciare subito la citt e andare tra i popoli
(At 22,17-18.21). Nessuna di queste notizie confermata da Paolo.
Le novit del terzo racconto (At 26,1-23) sono queste. (a) La sua giovinezza egli lha vissuta tra il suo popolo, in Gerusalemme e ci noto a tutti
i Giudei (At 26,4). Egli era farisaivo, aderente ad una setta o gruppo pi
rigoroso della sua religione (At 26,5). (c) Egli ha avuto potest dai sommi
sacerdoti di imprigionare i santi in Gerusalemme e di perseguitarli fino
alle citt straniere (At 26,10-11). (d) Il Signore, nella visione, gli parla in
ebraico (thv Ebraidi dialektw: At 26,14). (e) Lo sceglie, affinch sia testimone di ci che vede e che gli mostrer (At 26,16). (f) inviato ad aprire
gli occhi del popolo e dei popoli, per farli volgere dal potere di Satana a
Dio, affinch ottengano il perdono dei peccati e la sorte tra i santi per la
fede in lui (At 26,18). (g) Egli stato testimone in Damasco, a Gerusalemme e in tutta la regione della Giudea e ai popoli (At 26,19-20).
Di tutte queste notizie, Paolo conferma solo che egli era Ebreo e Fariseo e persecutore della Chiesa (Gal 1,13.23 e Fil 3,5.6), senza specificazione. Lannuncio in Damasco verosimile, quello in Gerusalemme o in
Giudea molto improbabile, bench Paolo in Rm 15,19 ne scriva. In ogni
caso la sua testimonianza col (in Gerusalemme), rievocata in Gal 2,1-10,
evidente, anche se indiretta.
44. Continua in At 9,31-43 il ciclo di Pietro, che poi prosegue in At
10,111,18 con lepisodio della conversione di Cornelio. Con ci lA. riprende il racconto che lo riguarda, sospeso in At 5,41. In realt la serie di
vicende narrate in At 6,1-9.30 senza rapporto narrativo con At 9,3111,18
e continua con At 11,19 che si ricollega esplicitamente ad At 8,4 e 8,1: i
dispersi dalla persecuzione contro la Chiesa, seguita alla morte di Stefano
(At 8,4), portano lannuncio in Fenicia, Cipro e Antiochia (At 11,19).
probabile quindi che At 8,4-40 e 9,1-30 siano stati inseriti per esigenze narrative e non strettamente cronologiche, anticipando il motivo fondamentale dellannuncio dato ai popoli, prima da Pietro e poi da Paolo74.
45. difficile reperire le tradizioni in At 9,3211,18. Il narratore pare
familiare con questa zona del mare: Lidda, Ioppe, Cesarea e sa anche che la
distanza tra Ioppe e Cesarea pu essere compiuta in un giorno di cammino
(circa 30/45 km!) (At 10,23b-24).
Alcuni nomi sono specifici: Enea, il paralitico; Tabita e soprattutto
Simone, il conciatore di pelle, introdotto come un certo in At 10,6a.
Ci attesterebbe la notizia che ha ricevuto di seconda mano. Il centurione
74. Cos suppone anche Barrett I, 52 e J.T. Squires, The Function of Acts 8,4-12,25, NTS

44 (1998) 608-617.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

149

Cornelio, della Legione Italica pu essere verace. Ma la ricostruzione


narrativa totalmente dellA.75. Quindi si pu supporre che la notizia fosse
stata tramandata nella Chiesa di Cesarea76.
46. Le notizie date in At 11,19-30 sono molte e nessuna verificabile. Hanno in comune il riferimento a Barnaba e agli uomini di Cipro, da
cui anche lui proveniva. Quindi il narratore ha avuto contatto con questo
gruppo, perch attribuisce a uomini di Cipro e di Cirene la predicazione ai
Greci (At 11,20-21) e la formazione della Chiesa di Antiochia, consolidata
da Barnaba, anche lui di Cipro (At 4,36).
Ugualmente a costoro si deve linformazione che costui and a Tarso
per cercare Saulo e lo port ad Antiochia. Queste tre citt o localit (Cipro,
Antiochia, Tarso) erano vicine per contatto commerciale e marittimo.
probabile quindi che le informazioni su Barnaba e il suo ciclo risalgano alla
tradizione di quella Chiesa e sono in parte confermate indirettamente da
Paolo (cf. Gal 2,1-10.11-14)77. Ma non si pu escludere che linformazione
su Paolo possa provenire da lui stesso o da qualcuno a lui molto vicino,
bench ci sia meno probabile. Essa data evidentemente per far risaltare
il ruolo di Barnaba, determinante per la vita stessa di Paolo. Quindi solo il
gruppo di Cipro, a lui legato, poteva avere un interesse a diffondere questo
particolare che torna a onore del loro uomo principale.
Anche la notizia sul profeta Agabo in At 11,28 specifica, perch costui riappare in At 21,10 in casa di Filippo. Ma molto indeterminata e
potrebbe risalire alla tradizione di Cesarea.
47. Lordine cronologico dei fatti narrati in At 11,19-30 non indicato. Lunico evento databile la carestia (At 11,27-29), che ci fu sotto
Claudio, secondo un computo generalmente ammesso (46-48)78. Ma la sua
75. Cos giudica anche A. Barbi, Cornelio (At 10,1-11,18): percorsi per una piena integra-

zione dei pagani nella Chiesa, RStB 8 (1996) 277-295, che definisce la storia tipica, pi
che individuale. Analoga valutazione, ma con diversa metodologia, in W.T. Wilson, Urban
Legends: Acts 10,1-11,18 and the Strategies of Greco-Roman Foundation Narratives, JBL
120 (2001) 77-99.
76. Cf. Barrett I, 51 e II, xxiv. Su At 10,111,18 cf. lantica monografia di F. Bovon, De Vocatione
Gentium. Histoire de linterpretation dActes 10,1-11,18 dans les six premieres sicles, Tbingen
1967 e Idem, Tradition et rdaction en Actes 10,1-11,18, ThZ 26 (1970) 22-45.
77. Per questo sarebbe pi corretto parlare di una tradizione antiochena, come suggerisce
Barrett II, 24, piuttosto che di una fonte antiochena, supposta da A. von Harnack, Die Apostelgeschichte, Leipzig 1908, 131-158.169-173 e da altri dopo di lui. Ma per noi, queste due
designazioni sono ancora troppo generiche, data la specificit delle notizie indicate.
78. La datazione orientativa, anche se data per certa: Barrett I, 563; Conzelmann 76; ma
cf. Hemer, The Book of Acts 164-165, che preferisce la data 45/46. Si fa tuttavia notare che
sotto il governo di Claudio (41-54) ci furono diverse carestie locali, ma non una generale:
cf. Suetonius, Claudius 18 (assiduae sterilitates).

150

G.C. BOTTINI N. CASALINI

connessione con la colletta, o raccolta di denaro, portata da Barnaba e Saulo a Gerusalemme (At 11,30 e 12,25) probabilmente del narratore. Paolo
infatti ignora questo particolare e parla solo di un secondo viaggio a Gerusalemme per dibattere il problema della circoncisione (Gal 2,1-10), in cui
riceve linvito di raccogliere offerte (Gal 2,10), che quindi posteriore.
La colletta occasione del terzo e ultimo viaggio. Di altri non parla affatto. Ma Luca conosce per lo meno cinque viaggi di Paolo a Gerusalemme:
At 9,26; 11,30 (andata) (cf. 12,25 ritorno); 15,1; 18,22; 19,21 (cf. 20,16;
21,15-17). probabile quindi che il narratore abbia computato due volte
il secondo viaggio di Paolo (Gal 2,1-10): At 11,30 con Gal 2,1 e le offerte;
At 15,1-2 in rapporto a Gal 2,11-14: la disputa specifica ed egli suppone
una soluzione adeguata79. Il motivo trattato in At 15,1-5 identico a quello
dibattuto nella lettera ai Galati: qual la via della salvezza? La circoncisione
con losservanza della Legge o la fede per la grazia di Cristo?
48. At 12,1-25 narra fatti eccezionali, ma le tradizioni paiono veraci. (a)
Luccisione di Giacomo, fratello di Giovanni, ordinata da Erode Agrippa I
(At 12,1-2), ha una conferma indiretta nella tradizione evangelica raccolta
in Mc 10,39: Ges sembra preannunciare in forma metaforica la morte
dei due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni (Mc 10,35) 80. (b) Pietro
riesce a sfuggire lesecuzione e ad andare altrove (At 12,6-10.17). Il fatto
rievocato dal narratore in forma volutamente simbolica per esprimere
unidea teologica: la morte da lui scampata opera divina. (c) La notizia
sulla casa di Maria, madre di Giovanni, detto Marco, sulla serva Rode, sul
fatto che l si radunassero in molti a pregare (At 12,12-17), cos precisa e
circostanziata che solo Giovanni Marco poteva darla81. A lui forse risalgono
anche le notizie su Barnaba, a cui era legato (At 12,12.25; 13,5.13; 15,3739). Prova il fatto che il narratore insiste sul suo soprannome Marco (At
12,12.25; 13,37.39), perch probabile che questo fosse il nome con cui
era noto. Egli era un uomo legato a Barnaba e a Pietro, e per poco tempo
anche a Paolo.
79. Lipotesi che lunico viaggio, di cui in Gal 2,1-10, sia stato computato due volte dal

narratore di Atti (cf. At 11,29-30 con At 12,25 e At 15,3-4) comune ed spiegata con laltra ipotesi che lo stesso evento sia stato tramandato in due tradizioni diverse: C.K. Barrett
I, 559-560; Conzelmann 77. Ma cf. anche le obiezioni, non sempre opportune, di Hengel
- Schwemer, Paulus 367-368 che optano per due eventi distinti, con confusione sul nome
degli inviati (sic!). Sulla discussione critica di questo problema cf. Taylor V, 85-108.
80. Cf. Taylor V, 115-120.
81. Ma cf. J.A. Harrill, The Dramatic Function of the Running Slave Rhoda (Acts 12,1316): A Piece of Greco-Roman Comedy, NTS 46 (2002) 150-157: un particolare di pura
ricostruzione letteraria, fondata sul verosimile, come nel genere della commedia.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

151

(d) La morte di Erode Agrippa (At 12,20-23) un evento datato al 4482.


Ma il modo in cui descritta, la rapidit con cui avvenuta, il fatto che sia
considerata come una punizione divina della superbia per non aver impedito la folla che riteneva la sua parola voce di un dio (qeouv fwnh/) e non
di un uomo (At 12,22), ha molte analogie con lo stesso evento narrato da
Giuseppe Flavio, Ant. XIX 8,2,343-350 che potrebbe essere stato una delle
sue fonti di informazione83. Il particolare che mor divorato dai vermi
(skwlhkobrwto ejxeyuxen) (At 12,23) per un topos letterario tipico
nel racconto di morte dei persecutori, che si ritrova in 2Mac 9,9 (detto
di Antioco IV, Epifane) e in altri testi letterari analoghi84. (e) La visita di
Barnaba e Saulo a Gerusalemme posteriore (cf. Gal 2,1-10), bench sia
narrata antecedentemente (At 11,30 e 12,25). Ci attesta che il narratore
non segue lordine cronologico, ma procede per storie parallele.
49. Secondo lordine narrativo, lacclamazione dei presenti al racconto
di Pietro sulla conversione di Cornelio (Dio ha dato ai popoli la conversione e la vita), quale si legge in At 11,18 avrebbe dovuto continuare con
At 12,1-23 (la persecuzione del re Erode contro la Chiesa, luccisione di
Giacomo, larresto di Pietro e la sua liberazione divina, la morte di Erode)
e poi procedere con At 11,19-30 (la fondazione della Chiesa di Antiochia)
e At 12,25-14,28 (linvio della colletta di questa Chiesa e la prima missione
ai popoli di Barnaba e Paolo, patrocinata da questa stessa Chiesa).
Il narratore invece intercala At 11,19-30 prima di At 12,1-23 interrompendo levidente sequenza logica. Infatti, la ripresa della notizia dei
dispersi dopo la persecuzione di Stefano (At 11,19-30) e la fondazione
della Chiesa di Antiochia poteva andare anche dopo At 12,1-23. Con
questo ordine narrativo, egli sembra suggerire una diversa cronologia. La
formazione di questa Chiesa sarebbe anteriore alla fuga segreta di Pietro
da Gerusalemme, enunciata come un congedo in At 12,1185. Laltrove di
At 12,17 o un altro luogo (ei eteron topon) potrebbe lasciare supporre
che Antiochia sia stato il rifugio, secondo ci che si desume da Paolo, in
Gal 2,11-14: Pietro visse di fatto in quel luogo86.
82. Barrett I, 592.
83. Taylor V, 120-126, il quale fa giustamente notare che il particolare preciso che il re si

rec a Cesarea per regolare gli affari dei Tiri e Sidonii con la mediazione di Blastus (At
12,20) manca in Giuseppe Flavio e presuppone una diversa fonte di informazione, probabilmente autentica e verace.
84. Riportati da Barrett I, 591-592. Cf. su questo O.W. Allen, The Death of Herod. The
Narrative Theological Function of Retribution in Luke-Acts (SBL DS 158), Atlanta 1997.
85. Che alcuni, erroneamente interpretano come morte: cf. la critica in Taylor V, 112, nota 1.
86. Cos Sthlin 170. Altre ipotesi in Taylor V, 113-114, nota 1, il quale suppone un viaggio

152

G.C. BOTTINI N. CASALINI

Ma le vicende narrate in At 13,114,28 non permettevano di dirlo,


perch forse accaddero prima che egli giungesse in quel luogo. Tuttavia da
Gal 12 si dovrebbe desumere che tale evangelizzazione delle Chiese della
Galazia sia posteriore alla seconda visita a Gerusalemme (Gal 2,1-10) e alla
visita di Pietro ad Antiochia (Gal 2,11-14), anche se non necessariamente.
Potrebbero essere accadute anche antecedentemente.
50. Nelle tradizioni raccolte in At 112 una emerge in modo speciale:
quella su Barnaba, levita di Cipro e, in genere, su uomini di quel luogo e
di Cirene (cf. At 4,36; 9,27; 11,20.22-26; 13,1 (Lucio di Cirene). Barnaba scompare dal racconto definitivamente in At 15,39, quando torna per
missione a Cipro con Giovanni Marco (cf. 15,1-5.12.22-29.30-35). Ma in
At 21,16 riappare un Mnasone di Cipro, un antico discepolo (arcaiw
maqhth), che ospita Paolo nel suo ultimo soggiorno in Gerusalemme.
A questa tradizione unita quella di Giovanni Marco, che appare in At
12,12.24; 13,5.13; 15,37-39.
Le notizie sono cos precise e specifiche che la fonte di informazione
da ricercare nel cerchio di Barnaba, in quelli di Cipro e di Cesarea; e
forse, nella comunit di Antiochia per ci che riguarda la sua costituzione,
bench ci sia meno sicuro. Sono quelli di Cipro che ne rivendicavano la
fondazione!
51. In At 13,1-52 che narra lannuncio della parola a Cipro, in Panfilia, Pisidia e Licaonia, si nota un fenomeno narrativo sorprendente. LA.
inizia narrando della destinazione di Barnaba e Saulo per lopera a cui
sono designati dallo Spirito Santo (At 13,1-3). Ma in At 13,13 dice solo
quelli intorno a Paolo. Barnaba scomparso e riappare in At 13,46-50
nella formula Paolo e Barnaba. Poi in At 14,12.14 riappare la formula
Barnaba e Paolo. La mutazione del punto di vista del narratore sembra
mutare con il progredire della narrazione. Ma il cambio potrebbe dipendere
dalla fonte di informazione diversa che ha a disposizione, in cui evidente
che Barnaba al primo posto, bench il narratore sia interessato di fatto a
ci che dice di Paolo.
52. difficile individuare informazioni precise o notizie determinate
in At 13,13-14,28. Eccetto lordine del percorso di viaggio (Pafo, Perge di
Panfilia, Antiochia di Pisidia e Iconio, Listra e Derbe in Licaonia), il resto
non si lascia determinare in modo alcuno. Poich alla fine del racconto lA.
riferisce che narrarono tutto alla Chiesa (At 14,27), potremmo supporre
di Pietro a Cesarea, di fatto narrato prima, in At 9,3211,18. Per Hemer, The Book of Acts
207-208, nota 90 lespressione ei eteron topon significa went into hiding; cos anche in
Barrett I, 587 got clear away e Conzelmann 79 er begab sich in Sicherheit.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

153

che l il narratore ricevette informazioni generiche: in Antiochia!87. Ma


la ricostruzione probabilmente opera integrale del narratore, secondo il
principio storico-letterario di ci che a lui pareva ragionevole che dovesse
accadere88.
53. In Antiochia sono uomini Israeliti e timorati di Dio (avdre
Israhlitai kai oi foboumenoi ton qeon) gli uditori di Paolo (At 13,16).
In At 13,43 sono molti dei Giudei e timorati, proseliti che seguono Paolo
e Barnaba (polloi twn Ioudaiwn kai sebomenwn proshlutwn). In At
13,45 sono Giudei (oi Ioudaioi) che si oppongono ed essi si rivolgono
ai popoli (ei ta eqnh: At 13,46c; cf. 13,48). In At 13,50 i Giudei (oi
de Ioudaioi) sobillano donne pie e benestanti e i primi della citt e
suscitano una persecuzione contro Paolo e Barnaba, cacciandoli dai loro
monti.
A Iconio una moltitudine di Giudei e Greci credono (At 14,1). I
Giudei non credenti (oi de apeiqhsante Ioudaioi) aizzano lanima
dei popoli (ta yuca twn eqnwn: At 14,2). C un sollevamento dei
popoli e dei Giudei con i loro capi (ormh twn eqnwn te kai Ioudaiwn
sun toi arcousin autwn) per lapidarli (At 14,5). Essi fuggono a Listra
e Derbe.
A Listra non si parla di sinagoga e gli abitanti parlano licaonio (At
14,11: Lukaonisti). Non si comprende quindi in che lingua Barnaba e
Paolo abbiano fatto il discorso (At 14,14-18), dopo che Paolo ha guarito
il paralitico89. Giungono Giudei ( Ioudaioi) da Antiochia e Iconio. Paolo
preso a sassate dalla folla di Listra (At 14,19). Vanno a Derbe (At
14,20). Non si parla di sinagoga. Ma fanno molti discepoli (At 14,21:
maqhteusante ikanou). Poi ritornano a Listra, Iconio e Antiochia
designando loro presbiteri per ogni Chiesa (ceirotonhsante de
autoi katekklhsian presbuterou: At 14,23a). Al narratore preme
questa costituzione apostolica (At 14,21-23). La missione termina con
lannuncio della parola a Perge di Panfilia (At 14,25: lalhsante
ton logon).
Questo, in sintesi, lessenziale del racconto di At 13-14. Ma Paolo nelle sue lettere non nomina mai queste localit, eccetto in 2Tim 3,11 che
ritenuto un testo tardivo e deuteropaolino o pseudonimo.
87. Barrett I, 599-600 e II, xxiv, ma anche R. Bultmann, Zur Frage nach den Quellen der

Apostelgeschichte, in Idem, Exegetica, Tbingen 1967, 421-423; Dupont, Sources 61-70.


88. Ldemann 171.
89. Sulla funzione dellepisodio di Listra cf. D.P. Bchard, Paul among the Rustics: The
Lystran Episode (Acts 14,8-20) and Lucan Apologetic, CBQ 63 (2001) 84-101.

154

G.C. BOTTINI N. CASALINI

Ci si potrebbe domandare, se siano queste le Chiese della Galazia, a


cui egli manda la sua lettera (Gal 1,1-2)90. Ma la regione Galatica nominata solo in At 16,6 e 18,23 e in questo testo parla di tutti i discepoli che
Paolo rafforza. Ci lascerebbe supporre che li abbia formati nel viaggio
di andata (At 16,6). Ma nessuna comunit nominata. Tuttavia fuori dubbio che il narratore distingue le comunit di Derbe, Listra e Iconio di cui
parla in At 16,1-5 e le regioni della Frigia e della Galazia che attraversano
per giungere alla Misia e a Troas (At 16,6-8).
Non facile armonizzare i dati a disposizione. Ci che il narratore
rievoca con tanto colorito locale in At 13,114,28, per Paolo deve essere
stato un episodio di quei quattordici anni di attivit, di cui parla in Gal 2,1.
Solo le vicende delle Chiese della Galazia segnano un momento capitale
della sua vita, che evidentemente paiono accadute dopo quelle rievocate
in Gal 2,1-14.
54. La tradizione che soggiace al racconto dellincontro apostolico,
narrato in At 15,1-35 non facile da reperire91. Il testo una evidente
ricostruzione ideale del narratore, perfettamente inserito nellordine della
narrazione, quale centro o climax narrativo, in cui convergono i fatti che
precedono e prendono lavvio quelli che seguono.
Il discorso di Pietro infatti (At 15,6-11) richiama deliberatamente le
vicende narrate in At 10,111,18. Le disposizioni della lettera degli Apostoli (At 15,20.23-29) sono richiamate con coerenza narrativa in At 16,4
e 21,25. Tuttavia il dibattito sulla circoncisione, quale via di salvezza (At
15,4) il problema reale dibattuto da Paolo nella lettera ai Galati (Gal 3,3;
5,2; 6,12), ma non esplicito nella visita a Gerusalemme da lui ricordata
in Gal 2,1-10, n nella controversia di Antiochia in Gal 2,11-14, bench
il problema sia chiaramente indicato nella notizia da lui data che non fu

90. Cos paiono suggerire Hengel - Schwemer, Paulus 403, che definiscono le localit come

appartenenti al sud della Galazia, con riferimento a J.M. Scott, Paulus and the Nations
(WUNT 84), Tbingen 1995, 185-215. Ma cf. anche C. Breytenbach, Paulus und Barnabas
in der Provinz Galatien. Studien zu Apostelgeschichte 13f; 16,6; 18,23 und den Adressaten
des Galaterbriefes (AGAJC 38), Leiden 1996.
91. Cf. Taylor V, 197-221, ma anche A. Weiser, Das Apostelkonzil (Apg 15,1-35). Ereignis, berlieferung, lukanische Deutung, BZ 28 (1984) 145-167.178-195. Pi preciso D.R.
Schwartz, God, Gentile, and Jewish Law: On Acts 15 and JosephusAdiabene Narrative,
in H. Cancik (ed.), Geschichte Tradition Reflexion. FS M. Hengel, Tbingen 1996, 263282, che propone Josephus, Ant 20 come modello e fonte narrativa di At 15: il problema
riguarda la circoncisione e le leggi giudaiche. Ma il valore della sua ipotesi dipende dalla
soluzione dellannoso problema del rapporto tra lautore di Atti e gli scritti di Giuseppe
Flavio, che non ancora risolto.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

155

costretto a far circoncidere Tito (Gal 2,3-5). Ma questa testimonianza paolina sicura e la frase di Pietro in At 15,9-11 (Ma per grazia del Signore
Ges noi crediamo che siano salvati allo stesso modo anche quelli), una
eco effettiva della dottrina della giustificazione per fede enunciata in Gal
2,15-16 (cf. 2,21).
molto probabile quindi che il narratore abbia costruito una scena
unica, unificando le due vicende ricordate in Gal 2,1-10 e 2,11-14. Ha considerato il fatto di Gal 2,1-10 come un dibattito effettivo sulla circoncisione, di cui tratta esplicitamente la lettera ai Galati. Altra informazione non
aveva a disposizione! Inoltre, poich la disputa di Antiochia (Gal 2,11-14)
riguarda il cibo, a questo si riferisce essenzialmente il decreto apostolico
che conclude lincontro (At 15,19-21.23-29)92.
evidente che il narratore ha risolto a posteriori e con ragionevolezza
teologica un problema, secondo la prassi che di fatto era seguita nella
consuetudine a lui nota, forse nella stessa Antiochia, ma da Paolo non
direttamente favorita. Costui ignora le disposizioni di quel decreto, come
attesta 1Cor 10,23-30 che riassume la sua catechesi autentica sulle carni
sacrificate agli idoli, che tutti potevano comprare al macello, o mercato
delle carni93.

92. Lipotesi che At 15 si ispiri direttamente a Gal 2,1-10.11-14 sostenuta anche da

Taylor V, 198, ma con altra ricostruzione storica, che a noi pare molto ipotetica e, forse,
inverosimile. Cf. anche Idem, The Jerusalem Decrees (Acts 15,20.29 and 21,25) and
the Incident at Antioch (Gal 2,11-14), NTS 47 (2001) 372-380. Analoga la soluzione
proposta da M. Conti, Il Concilio Apostolico e la Lettera ai Galati (At 15,1-29; Gal
2,1-21), Ant 77 (2002) 235-256. Per D. Trobisch, The Council of Jerusalem in Acts
15 and Pauls Letter to the Galatians, in C. Seitz et alii (ed.), Theological Exegesis,
Grand Rapids 1999, 331-338 Luca descriverebbe gli eventi che sono presupposti dalla lettera ai Galati e in questo modo porrebbe la stesura di tale lettera a prima della
riunione apostolica. Ci probabile, anche se la sua ipotesi storica non migliore di
quella attuale, che preferisce datare la lettera dopo la riunione di Gerusalemme: cf. U.
Schnelle, Einleitung in das Neue Testament, Tbingen 19993, 108, che pone Gal dopo 1
e 2 Cor e con ragione: la colletta o raccolta di denaro di cui queste due lettere parlano
fatta sul modello di quella gi effettuata in Galazia (1Cor 16,1), che in Gal 2,10
data per conclusa.
93. Cf. H. Lhr, Speisefrage und Tora in Judentum des zweiten Tempels und entstehenden
Christentum, ZNW 94 (2002) 17-37: qui 28-30 e C. Heil, Die Ablehnung der Speisegebote
durch Paulus (BBB 96), Weinheim 1994, 154-159. Cf. anche Barrett II, xxxvi-xlii sul
valore storico di At 15, sul rapporto con le lettere di Paolo e sullopera di ricostruzione
effettuata dal narratore secondo la sua prassi ecclesiale. Sul decreto apostolico cf. A.J.M.
Wedderburn, The Apostolic Decree: Tradition and Redaction, NT 34 (1993) 362-389; F.
Manns, Remarques sur Actes 15,20.29, Ant 53 (1978) 441-443.

156

G.C. BOTTINI N. CASALINI

III At 15,3619,40 Paolo annuncia la parola in Macedonia, in Acaia e


nellAttica
55. Notare che da At 16,10 compare per la prima volta il noi: subito
cercammo di passare in Macedonia94. Chi legge non ha molto da scegliere
per individuare questo testimone. Se si attiene allordine della narrazione,
egli ha a disposizione solo unipotesi reale: o Sila (Silvano) (At 15,40) o
Timoteo (At 16,1) e ci dovrebbe restare valido fino alla fine del racconto95.
Luno o laltro ha steso un rapporto di ci che narrato; o, come soluzione
possibile, qualcuno molto vicino a loro, a cui essi hanno narrato96; forse,
lautore stesso97. Ma non si pu escludere che egli usi un espediente letterario per segnalare al suo lettore un informatore diretto delle cose da lui
narrate per dare credibilit alla sua ricostruzione98.
56. Le informazioni date in At 16,11-40 sono cos precise che necessario supporre testimonianze dirette. La ricostruzione vivace fatta da
vicende realmente accadute. I colloqui con il noi usato da Paolo in At
16,37 orientano verso Sila. Di Timoteo non si fa parola. Ma potrebbe aver
riportato ci che i due gli hanno narrato dellaccaduto.
57. I dati pi precisi di Paolo a Filippi nel racconto di At 16,11-40
riguardano Lidia: At 16,1415,40. Ma la vicenda del carceriere (At 16,2734) non solida. Manca il nome, cosa piuttosto insolita, bench sia stato
battezzato con tutta la sua famiglia in casa sua.

94. Sul fenomeno del noi in Atti cf. J. Wehnert, Die Wir-Passage der Apostelgeschichte

(GTA 40), Gttingen 1989.


95. Per Sila (Silvano) opta Wehnert , Die Wir-Passage 130-136; per Timoteo Schneider II,
204 e Pesch II, 100; per luno e per laltro Hnchen 472.
96. Altre ipotesi di interpretazione, ormai tradizionali, in Barrett II, xxvii.
97. Secondo lipotesi tradizionale, che risale al Muratorianum, linee 35-37: Lucas optimo
Theophilo comprendit quae sub presentia eius singula gerebatur, riproposta con vigore da
C.-J. Thornton, Der Zeuge des Zeugen (WUNT 56), Tbingen 1991. Ma allo stesso modo
pensa Jervell 417-418 per il quale lA. si unirebbe agli altri a Troade, dove compare per
la prima volta il noi; e Barrett II, xxx che non esita a riproporre con cautela il nome di
Luca; o, in ogni caso, un membro del gruppo paolino, testimone oculare e quindi lA.
principale di ci che narrato in At 1628. Anche per S.M. Sheeley, Getting into Act(s):
Narrative Presence in the We Sections, PerspRelStud 26 (1999) 203-220, il noi designerebbe presenza del narratore. La stessa ipotesi in Fitzmyer 580: Luca. Sulla stessa linea
V. Fusco, Le sezioni-noi degli Atti nella discussione recente, in Idem, Da Paolo a Luca.
Studi su Luca-Atti (SB 124), Brescia 2000, 57-71; Ancora sulle sezioni-noi degli Atti, ivi,
73-84 (recensione della monografia di J. Wehnert).
98. A.J. Wedderburn, The We-Passages in Acts: on the Horn of the Dilemma, ZNW 93
(2002) 78-98.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

157

Si potrebbe anche pensare che il testimone lo abbia dimenticato, cosa


inverosimile se si pensa che Paolo ha mantenuto rapporti epistolari con la comunit che si formata in quella citt in seguito al suo annuncio, anche se non
rivendica mai di essere stato il padre della loro fede. Questa constatazione e il
silenzio dello stesso Paolo sulle vicende drammaticamente rievocate nel racconto potrebbero autorizzare a considerare il fatto simbolico e soprannaturale,
per la non verosimiglianza dei dati: immediatamente si aprono tutte le porte del
carcere e si sciolgono tutti i legami dei prigionieri per un forte terremoto99!
58. Le vicende di Tessalonica in At 17,1-9 sembrano veraci e determinate:
la casa di Giasone (At 17,5.6.7) e laccusa che potrebbe essere determinante
per la datazione: Coloro che sollevano il mondo sono qui, che presuppone
le disposizioni pubbliche contro i Giudei seguaci del Cristo.
Tuttavia la notizia dei tre sabati pare in contrasto con Fil 4,16 (cf.
4,9) che lascia intuire un soggiorno pi lungo in quella citt: il prestito di
denaro per sostenerlo nella sua attivit diventa difficile da spiegare, se si
mantiene il periodo breve indicato dallA.
Anche in At 17,3 la ricostruzione del narratore evidente da tre particolari, di cui due tipicamente lucani. (a) Linsegnamento di Paolo fatto
dalle Scritture (apo twn grafwn), come in Lc 24,27. (b) La tecnica dellinsegnamento che consiste nellinterpretare aprendo (dianoigwn) il loro
significato, come in Lc 24,32 (dihnoigen), o la mente alla comprensione
del loro senso, come in Lc 24,45 (dihnoixen). (c) Il contenuto del Vangelo
annunciato: che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti (oti to\n
Criston edei paqein kai anasthnai ek nekrwn), come in Lc 24,25: oujci
tauta edei paqein ton Criston; o Lc 24,46: oti paqein ton Criston
edei kai anasthnai ek nekrwn100.

59. Luso delle Scritture in Tessalonica e Berea come strumento fondamentale per lannuncio del Vangelo, se il particolare da ritenere verace,
potrebbe attestare un ambiente giudaico culturalmente pi evoluto. La
distinzione di atteggiamento di quelli di Berea, ritenuti pi ben disposti
di quelli di Tessalonica (At 17,11a), attesterebbe un testimone diretto e
una conoscenza di fatto. Sila e Timoteo sono espressamente indicati in At
99. Stessa valutazione in Barrett II, 794 che non esclude la possibilit di un influsso let-

terario di opere della letteratura greca (per es. Euripide, Baccanti 447-448.489: il secondo
riferimento era gi stato rilevato da Celso e Origene, in c. Celsum 2,34).
100. Il parallelo di At 17,3 con Lc 24,45-46 rilevato da Taylor V, 269; quello con Lc
24,32.45 (aprire la Scrittura o la mente alla comprensione della Scrittura) rilevato anche
da Jervell 433. Ma cf. Barrett II, 810: fa notare che era comune prassi giudaica e il verbo
dianoigein potrebbe essere lequivalente greco di un termine tecnico ebraico (qyr bdb tgwb)
che si trova nel Talmud Babilonese, Shekalim 5,1.

158

G.C. BOTTINI N. CASALINI

17,14. Essi sono gli unici protagonisti diretti degli eventi narrati: Paolo
condotto ad Atene, dove attende Sila e Timoteo.
60. Le notizie di At 17,1-15 trovano una conferma indiretta in 1Ts 3,1-3.
Paolo manda da Atene a Tessalonica Timoteo e resta solo (monon). Ci lascerebbe supporre uno svolgimento dei fatti diverso da quello narrato in Atti.
Solo Timoteo lo ha raggiunto ad Atene. E Sila? Era forse restato a Berea? Ci
in ogni caso basta per trarre una conclusione: delle vicende accadute in Atene
non c alcun testimone se non il solo Paolo (cf. At 17,16-34).
61. Le vicende di Atene (At 17,16-34) sono generiche e tipiche, senza
informazioni precise. Il narratore ha ricostruito tutta la scena, che Paolo
ignora, eccetto il soggiorno effettivo in citt (1Ts 3,1).
Dubbio il fatto che ci fosse una sinagoga, con Giudei e devoti (At
17,17), che tuttavia dobbiamo supporre per la presenza di Giudei nota da
altra fonte101. Ma, cosa sorprendente, il testo non parla di annuncio del
vangelo, ma solo di colloquio (dielegeto), di cui gi stata notata da
tempo levidente forza allusiva a Socrate e alla sua attivit dialogica sulla
piazza del mercato (Plato, Apol. 19d), che servito al narratore come modello ispiratore per la descrizione del comportamento di Paolo e per la sua
attivit veramente eccezionale e inconsueta in quel luogo102.
Quindi il ricordo di quel soggiorno reale era gi perso totalmente, eccetto la notizia finale, che Dionigi, membro dellAeropago, una donna di
nome Damaris e altri con loro credettero (At 17,34). Dunque, non Giudei!
Ma lA. non parla di battesimo e di contatti con costoro non ne parla mai
neppure Paolo in seguito. Una comunit cristiana non pare che sia sorta in
quel luogo come effetto del suo dialogo. Le sue lettere non ne parlano e
quindi non ci fu rapporto effettivo.
Se cos, occorre domandarsi seriamente da dove sia giunta al narratore la notizia dei due nomi ricordati103. Un testimone diretto da escludere,
perch non dice neppure la durata del tempo che Paolo si trattenne ad
Atene, che forse fu solo di transito e molto breve: era diretto a Corinto (At
18,1). probabile quindi che la rievocazione sia da considerare una messa
101. Cf. Barrett II, 829 che ricorda le iscrizioni giudaiche trovate in citt (CIJ 712-715).
102. In Plato, Apol 19d si legge sul dialogare: emouv ajkhkoate dialegomenou; in Apol
29d dice: otw an ajei entugcanw uJmwn, sulla sua disponibilit a parlare con chiunque

incontrasse. Sulla analogia narrativa tra Paolo e Socrate creata deliberatamente dal narratore cf. M.D. Given The Unknown Paul: Philosophers and Sophists in Acts 17, SBLSP
35 (1996) 343-351.
103. Ma cf. D. Gill, Dionysios and Damaris: A Note on Acts 17,34, CBQ 61 (1999) 483490, per il quale i due nomi sarebbero invenzione del narratore per dare colorito locale
alla narrazione.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

159

in scena letteraria dellA. basata su un dato di fatto: Paolo fu realmente ad


Atene!104 Ci basta per la rievocazione e il grande significato simbolico che
egli attribuisce alla sua ricostruzione: lannuncio del vangelo portato nel
cuore della citt che rappresentava il culmine della devozione e del culto
agli di seguiti dai popoli105.
Che lo stesso A. sia stato ad Atene non ci sono elementi per poterlo
affermare. Le sue notizie sulla citt paiono precise, ma sono ritenute generiche, quali poteva avere ogni uomo dotato di una buona informazione
culturale106.
La capacit ricostruttiva del narratore si rileva in due particolari, degni
di nota. (a) In At 17,16 egli descrive lo sdegno di Paolo di fronte alla citt
idolatra (parwxuneto to pneuvma aujtou ejn aujtwv) e ci potrebbe corrispondere allatteggiamento tipico di ogni Giudeo di fronte agli idoli. Ma
di questo sdegno spirituale non c traccia nel discorso (At 17,22-31), che
esalta la naturale tendenza delluomo alla ricerca di Dio, voluta e disposta
da Dio stesso (At 17,27), confermata dalla citazione di uno dei principi
fondamentali della teologia naturale: noi siamo suoi discendenti (i.e. di
Dio), desunto dal poeta greco Arato, Fenomeni 5107. Tuttavia una sintesi
cos positiva e fascinosa della rivelazione naturale espressamente rifiutata come impossibile da Paolo in 1Cor 1,21: Il mondo per mezzo della
sapienza non ha conosciuto Dio (oujk egnw o kosmo dia th sofia
ton qeon) e in Rm 1,18-32 condannata come conoscenza perversa di Dio
e fonte di ogni perversione morale.
(b) Il secondo elemento il famoso riferimento che si legge in At 17,23
ad un altare dedicato Al Dio ignoto (Agnwstw qew) che in questa forma
non attestato e forse non mai esistito, ma che il risultato di una deliberata trasformazione letteraria e teologica di altari dedicati a di sconosciuti,

104. Conzelmann 104.


105. Schille 354. Cf. anche L. Legrand, The Unknown God of Athens. Acts 17 and the

Religions of the Gentiles, IJT 30 (1981) 158-167; Idem, The Areopagus Speech: its Theological Kerygma and Missionary Significance, in J. Coppens (ed.), La notion biblique de
Dieu (BETL 41), Gembloux 1976, 337-350. Ma S. Hagene, Fremde Gtter und neue Lehre.
Apg. 16,16-34 kein Propdeutikum fr gebildete Heiden, in A. Leinhupl-Wilke - S.
Lcking (ed.), Fremde Zeichen, Mnster 1998, 99-114, che fa notare che il passato pagano
di coloro a cui diretto il discorso spiegato come gi predisposto nella creaturalit rivolta
a Dio. Quindi gli uditori reali, a cui si rivolge il narratore, sarebbero i gi credenti! Per loro
scritto quel testo.
106. Conzelmann 104; Barrett II, 834.
107. Cf. M. Gourgues, La littrature prophane dans le discours dAthnes (Ac 17,16-31):
un dossier ferm?, RB 109 (2002) 241-269.

160

G.C. BOTTINI N. CASALINI

effettivamente esistenti ad Atene108. Quindi il narratore ha mutato il dato di


fatto secondo il suo principio monoteistico per preparare la scena adeguata
al discorso di annuncio di Paolo.
62. Le vicende di Paolo a Corinto (At 18,1-17) sono narrate con particolari confermati dalle lettere paoline109: il ritorno di Timoteo insieme a
Sila (non nominato da Paolo) dalla Macedonia (Tessalonica) (1Ts 3,6, cf.
3,1); il battesimo di Crispo, capo della sinagoga (At 18,8 e 1Cor 1,14). Altri
particolari attestano informazioni veraci, ma per lui non pi verificabili: il
nome di un certo Tizio, Giusto che lo accoglie in casa, quando lascia la
sinagoga separandosi dai Giudei, che definito come un timorato di Dio
(At 18,7); la durata del soggiorno di Paolo a Corinto, computata in un anno
e sei mesi (At 18,11).
A questi si deve aggiungere la notizia storica sulleditto di Claudio
contro i Giudei in At 18,2 che giustifica lemigrazione di Aquila e Priscilla sua moglie dallItalia e che troverebbe conferma in rapporti storici110.
Ugualmente veritiera la notizia che si legge in At 18,3 che Paolo vivesse
presso di loro lavorando come facitore di tende o conciatore di pelli, che
era il mestiere comune tra loro (cf. 1Cor 4,17: ci affaticammo lavorando
con le nostre mani).
In questo ultimo caso, i due coniugi potrebbero essere stati la fonte di
informazioni passate al narratore da altri a loro vicini. Essi sono ricordati
da Paolo anche in 1Cor 16,19 e Rm 16,3-5 e ci confermerebbe che egli
mantenne la familiarit e i contatti con loro fino al termine della sua attivit
missionaria nella regione della Grecia, se si accetta lipotesi comunemente
sostenuta che la lettera ai Romani sia stata scritta durante il soggiorno invernale, il suo ultimo, in quelle regioni, attestato anche in At 20,1-3.
Il processo davanti al governatore dellAcaia (At 18,12-17) invece
problematico. La presenza del proconsole Lucius Annaeus Gallio in Acaia
108. Cf. Pausania I,1.4: bomoi de qewn te onomazomenwn agnwstwn (posti nel porto di
Atene); Filostrato, Apollonius 6,3: Aqhnesin, ou kai ajgnwstwn daimonwn bwmoi idruntai;

confermati da Tertullianus, Ad Nationes 2,9: nam et Athenis ara est inscripta: ignotis deis;
e Jeronimus, Ad Titum I,12 scrive in modo pi chiaro: Inscriptio autem arae non ita erat,
ut Paulus asseruit, ignoto deo, sed ita: diis Asiae et Europae et Africae, diis ignotis et
peregrinis.
109. Cf. Taylor V, 307-331.
110. J. Murphy-OConnor, St. Pauls Corinth. Texts and Archaeology (Good News Studies
6), Collegeville MN 19902, 138-148. La pi nota Suetonius, Claudius 25: Judeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expellit; il pi preciso, ma anche pi dubbio,
Orosius (del V sec.), Hist. VII 6,15-16: Anno eiusdem nono expulsos per Claudium Urbe
Judeos Josephus refert. Ci corrisponderebbe allanno 49, ma non trova conferma nelle
opere di Giuseppe Flavio a noi note.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

161

confermata da uniscrizione ritrovata a Delfi e datata con una certa approssimazione tra il 25 gennaio e lagosto del 52, corrispondente allanno
undicesimo dellimperatore Claudio e alla sua 26ma acclamazione come
imperator111.
Il processo davanti a lui ignorato da Paolo e mai menzionato nelle
sue lettere dirette a quelli di Corinto. Per i pi, il fatto sarebbe veritiero112.
Ma la tipicit dellevento (Paolo davanti al procuratore romano!) attesta la
forza ricostruttiva del narratore e il messaggio che vuole comunicare con
il suo stesso modo di narrare. Un tale giudice, per le sue stesse parole, non
si ritiene competente a giudicare le cose della Legge e della loro religione
(cf. At 18,15: Se si tratta di dispute su parole e nomi e la vostra legge,
vedete[vela] voi! Giudice di queste cose io non voglio essere). Quindi il
fatto legale, o la fattispecie, rimane molto problematico113.
Verace invece potrebbe essere la notizia che Sostene, capo della sinagoga (At 18,17 un secondo, insieme a Crispo?) (cf. At 18,8) fu picchiato,
lo stesso personaggio ricordato da Paolo in 1Cor 1,1. Ugualmente fondata
su un dato storico pare laltra notizia che Paolo si era fatto rasare il capo
per un voto a Cencre, porto di Corinto. Il modo sintetico in cui ci detto
presuppone un informatore familiare con lambiente e lapostolo.
63. Ci che resta problematico in At 16,118,22 sono le scene di confronto di Paolo con le autorit pubbliche (At 16,35-39 a Filippi con gli
strateghi; 17,18-31 con i politarchi di Tessalonica; 17,18-31 con i membri
dellAeropago; 18,12-17 con il proconsole Gallione). Non si comprende,
se siano una ricostruzione ideale, con messa in scena del narratore, o autentiche vicende, realmente accadute, perch Paolo non ne fa mai menzione. Il suo silenzio quindi potrebbe favorire la prima delle due alternative
indicate come ipotesi di soluzione, bench dal silenzio non si possa trarre
un argomento storico.
64. La notizia di At 18,22 Sbarcato a Cesarea, salito (anaba) e
salutata la Chiesa, scese ad Antiochia, suppone una salita di Paolo a
Gerusalemme, che non corrisponde a ci che di lui sappiamo, ma che
coerente con lo schema narrativo dellA. che presenta Gerusalemme come
111. Il testo, con commento, in Conzelmann 115-116.
112. Cf. per es. il commento accurato, sia topografico che legale, di Barrett II, 871-876.
113. Conzelmann 116; Jervell 461-462; Ross 653 e nota 4. Di opinione diversa, per noi

senza fondamento, Hemer, The Book of Acts 378 che vede nellatteggiamento indifferente di
Gallione una effettiva legittimazione dellinsegnamento cristiano, trattato come religio licita
alla pari del Giudaismo, che gi godeva di questo statuto giuridico. Della stessa opinione
W. Winter, Gallios Ruling on the Legal Status of Early Christianity (Acts 18,14-15),
TynBull 50 (1999) 213-224.

162

G.C. BOTTINI N. CASALINI

il centro di diffusione della (nuova) fede (cf. At 1,8 e Lc 24,47: arxamenoi


apo Ierousalhm), anche se di fatto Antiochia la Chiesa madre, da cui
stata propagata la nuova religione nella zona di cultura greca, secondo le
vicende narrate (cf. At 13,1-3; 14,26-28; 15,30.36).
65. La notizia di At 18,23 secondo cui Paolo attraversa per ordine la
regione Galatica e la Frigia si ricollega a At 16,6 dove ne d notizia la
prima volta. Secondo Gal 4,13-14 levangelizzazione dei Galati fu casuale,
a causa di una malattia. Quindi qui (At 18,23) si potrebbe trovare un possibile contatto tra i due. Le informazioni delluno si potrebbero integrare con
quelle dellaltro, anche se per il primo (Luca) non ha rilievo lannuncio del
vangelo in Galazia, che per il secondo (Paolo) stato di capitale importanza. Esso costituisce una vera svolta nella sua attivit di predicazione, come
attesta la lettera ai Galati e il suo deciso rifiuto di ogni forma di giudaismo
legale a favore della sola fede nella verit del Vangelo del Cristo crocifisso
(Gal 12).
66. La breve notizia su Apollo in At 18,24-28 senza effettiva incidenza nel racconto, ma confermata da Paolo, che in 1Cor 1,12; 3,4-6.22
mostra di conoscere personalmente luomo. Da 1Cor 16,12 risulterebbe che
ritorn a Efeso e poi fu esortato da Paolo ad andare di nuovo a Corinto. A
lui e alla sua opera Paolo riconosce il merito di aver irrigato (epotisen)
e quindi proseguito lopera che egli aveva iniziato piantando (efuteusa)
il Vangelo (1Cor 3,5-6).
Ci confermato dal narratore che in At 18,27b-28 descrive lattivit
di Apollo a Corinto in questo modo: Quello, giunto, diede sostegno ai credenti per mezzo della grazia. Vigorosamente infatti confutava in pubblico
i Giudei, dimostrando attraverso le Scritture che Ges il Cristo. Poich
questa frase (epideiknu dia twn grafwn einai ton Criston Ihsoun)
il modo tipico con cui lA. indica lannuncio del Vangelo dato da Paolo
(cf. At 9,22: sumbibazwn oti outo [i.e. ton Ihsoun: At 9,20] estin
o Cristo/; At 17,3: paratiqemeno... oti outo estin o Cristo [o]
Ihsou; cf. anche At 18,5), possiamo ritenere la descrizione dellopera di
Apollo in Corinto una sua ricostruzione, effettuata con le notizie desunte
dalle lettere paoline114.
Ma linformatore delle altre notizie non evidente. Da At 18,26 risulta
che Priscilla e Aquila trattano con lui esponendogli in modo pi preciso
(akribesteron) la via [di Dio]. Quindi da loro, o da gente vicina a loro,
potrebbe aver saputo ci che solo loro sapevano.
114. Cf. J. Taylor, Les Actes des deux Apotres. VI: Commentaire historique (Act. 18,23-

28,31) (EB.NS 30), Paris 1996, 14.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

163

Tuttavia le notizie sulla sua origine (Alexandreu tw genei) e la sua


capacit nellinterpretazione della Scrittura (dunato wn en tai grafai),
come pure la sua abilit nel parlare (anhr logio) (At 18,24), dovevano
essere cosa a tutti nota, perlomeno a quelli di Corinto, che si mostrano
suoi ammiratori (1Cor 1,12 e 3,4) e in Efeso dove era ritornato a stare con
Paolo. In ogni caso, la notizia che a Efeso cerano dei fratelli, quando egli
vi giunse (At 18,27), attesterebbe che gi esisteva una comunit di fede.
Non fu Paolo il fondatore di quella Chiesa.
67. Il fatto narrato in At 19,1-7, il battesimo di discepoli di Giovanni
(?), sembrerebbe attestare una fondazione di Chiesa115. Dodici uomini (At
19,7), che egli chiama discepoli (maqhta) (At 19,1b), dunque credenti
in Cristo116, avevano ricevuto solo il battesimo di Giovanni (come Apollo?) (At 18,25). Per questo sono battezzati di nuovo da Paolo nel nome
del Signore Ges e ricevono lo Spirito Santo per imposizione delle mani
dellapostolo (At 19,5-6). Anche questo fatto non pare pertinente con il
racconto.
68. Il caso di Apollo (At 18,24-28) e il caso dei dodici discepoli trovati
in Efeso (At 19,1-7) sono simili per un elemento in comune: sono gi istruiti sulla via del Signore Ges, ma conoscono solo il battesimo di Giovanni.
Ci si potrebbe domandare, perch il narratore li abbia riportati, se appaiono
cos estranei al suo programma narrativo. Da dove ha preso la notizia? Voleva forse mostrare Paolo nelle sue funzioni apostoliche? O solo suggerire
lesistenza di discepoli di Giovanni accolti nella comunit cristiana con un
approfondimento della fede e una regolare prassi battesimale117?
69. In At 19,8 lA. indica il tema dellinsegnamento che Paolo fece per
tre mesi nella sinagoga: disputando e convincendo circa il regno di Dio.
Perch qui non dice che predicava con le Scritture per mostrare che Ges
il Cristo come in At 9,20-22; 17,2-3? Perch linsegnamento in Efeso
indicato in modo diverso? Tuttavia il suo annuncio chiamato la via (At
19,9), come in At 9,2. forse cambiata la fonte di informazione? Ma gi in
At 18,26 annota che Priscilla e Aquila esposero con pi precisione la via
[di Dio] a Apollo. Dunque questo il linguaggio tipico del narratore e la
scena potrebbe essere valutata come una ricostruzione verosimile, su qualche notizia reale, ma con tratti tipici della sua narrazione, che si trovano in
scene analoghe: lopposizione dei Giudei, la separazione dalla sinagoga, il
ritiro del gruppo dei discepoli che seguono la via (cf. At 18,5-7).
115. Cf. J. Kremer, Pfingstbericht und Pfingstgeschehen (SBS 63/64), Stuttgart 1973, 200.
116. Cos anche Barrett II, 885 e Jervell 475; ma cf. la discussione in Taylor VI, 27-28.
117. Sui problemi suscitati dai due episodi cf. Barrett II, 884-886.

164

G.C. BOTTINI N. CASALINI

70. Il fenomeno descritto in At 19,9 degno di attenzione. Scrive che,


poich alcuni in sinagoga si indurirono (esklhrunonto) e non credevano denigrando pubblicamente la via (hjpeiqoun kakologouvnte thn odon
ejnwpion touv plhqou), Paolo allontanatosi da loro (ajposta ap aujtwvn)
separ i discepoli, insegnando ogni giorno nella scuola di Tiranno. Questo
un fenomeno tipico del modo in cui nel racconto i discepoli della via si
separano dai Giudei: At 18,5-7 in Corinto, che il caso pi simile; 13,4548 in Antiochia di Pisidia, che il caso pi tipico, che funge da manifesto
teologico anche per il seguito della narrazione, ripreso nella conclusione,
in 28,23-28118.
71. La notizia sulla scuola di Tiranno data in modo cos determinato,
da permettere lipotesi di un informatore sicuro119. Anche la durata del periodo dellinsegnamento di Paolo a due anni (At 19,10a), confermerebbe
la veracit dellepisodio120.
72. La vicenda del tumulto degli argentieri di Efeso, narrata con particolari vivi e precisi in At 19,23-40 ha una conferma indiretta, ma sicura,
nella breve informazione di Paolo in 2Cor 1,8. Linformatore sapeva bene le
vicende e le ha ricordate da testimone oculare. La fonte difficile da individuare: Timoteo (2Cor 1,1)? Aristarco? Gaio? (At 19,29). La scena del teatro
non solo verosimile, ma reale per i nomi dei protagonisti delle vicende:
Demetrio argentiere (At 19,24), Alessandro, il Giudeo (At 19,33-34)121.
Ma ci che ne dice Paolo potrebbe suggerire che anche in questo caso
il narratore intervenuto con il suo genio ricostruendo una scena storica di
sommossa popolare, con i pochi elementi di informazione a disposizione122.
Scrive Paolo: Infatti non vogliamo, fratelli, che ignoriate la tribolazione che
ci accaduta in Asia, che fummo provati oltre misura, sopra le nostre forze,
da dubitare anche della vita. Ma noi stessi abbiamo accolto in noi la condanna
di morte, affinch non confidassimo in noi stessi, ma in Dio che risuscita i
morti. Il quale da tale morte ci ha liberato e ci liberer (2Cor 1,8-10).
118. Cf. Taylor VI, 30-31.
119. Il nome Turanno (Tyrannus) attestato a Efeso per il I-II sec., forse come cognomen

per membri dello stesso gruppo familiare: cf. Hemer, The Book of Acts 234. Cf. su questa
scuola le riflessioni di K. Bauckham, Im Hrsaal des Tyrannus (Apg 19,9). Von der Langlebiegkeit des Evangeliums in kurzatmiger Zeit, ThGl 91 (2001) 4-23.
120. Messo in dubbio da Taylor VI, 32-34 che suppone pi di un soggiorno di Paolo a Efeso,
che il narratore avrebbe semplificato unificando dati diversi, secondo il suo metodo.
121. Hnchen 512-514.
122. Cf. R. Selinger, Die Demetriusunruhen (Apg 19,23-40). Eine Fallstudie aus rechthistorischer Perspektive, ZNW 88 (1997) 242-259: la ricostruzione rivelerebbe precise informazioni sulle cariche e leffettivo funzionamento dellamministrazione locale.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

165

Se linterpretazione corrente corretta, Paolo parla di una sentenza


di morte reale, da cui stato liberato inaspettatamente, quindi per opera
del Dio liberatore, in cui aveva posto la sua fede. Ci sarebbe confermato
da una notizia sconvolgente che si legge in 1Cor 15,32a in cui Paolo,
per mostrare lassurdit di chi nega la risurrezione, dice: Se secondo
luomo ho combattuto contro le belve (ejqhriomachsa) in Efeso, quale il
mio vantaggio?.
Queste affermazioni lascerebbero supporre che egli ha subito di fatto una condanna ad beluas, con rischio di morte reale, che invece in At
19,30 gli risparmiato dai discepoli. Quindi in questo caso il racconto del
tumulto di Efeso potrebbe essere una ricostruzione del narratore, che ha
depotenziato la gravit dei fatti allusi da Paolo in favore di un episodio di
stile popolare123. Il suo scopo sembra evidente: mostrare a posteriori, ma in
modo verace, leffetto che ha avuto la sua predicazione in quel luogo, in cui
sorgeva il pi venerato santuario della dea Artemide (At 19,26-27.34)124.
IV At 20,128,31 Arresto e processi di Paolo a Gerusalemme e a Cesarea;
sua testimonianza a Roma
73. In At 20,5(-8) ritorna il noi (cf. At 16,10-17), dove chi narra si distingue da coloro che precedono Paolo e attendono a Troade, nel viaggio
verso Gerusalemme125. In questo caso egli viaggerebbe con Paolo. Timoteo
invece appartiene allaltro gruppo. Dunque linformatore sarebbe un altro,
un collaboratore diretto di Paolo. Forse Tito? Non nominato (mai!). Forse
Silvano? Non nominato in questo contesto. Ma da 2Cor 2,13; 7,5 costui
(i.e. Tito) indicato come il compagno pi stretto di Paolo in tale viaggio,
nellandata. Ma, come gi detto, il narratore non lo nomina mai! Questo
uno degli enigmi non risolti di Atti.
La composizione della delegazione che accompagna Paolo nel viaggio
(Sopatro di Pirro, di Berea; Aristarco e Secondo di Tessalonica; Gaio di
Derbe e Timoteo; Tichico e Trofimo asiatici) potrebbe essere una ricostruzione con informazioni pi recenti, perch i nomi indicati, eccetto quello
di Timoteo, non compaiono nelle lettere paoline che si riferiscono a questo
viaggio.
123. Cf. Taylor VI, 57-59.
124. Conzelmann 121.
125. Cf. Taylor VI, 74-76 che lo attribuisce alla fonte utilizzata, il noto Diario di viaggio,

a cui lA. avrebbe effettuato le sue aggiunte.

166

G.C. BOTTINI N. CASALINI

Secondo 2Cor 2,13; 7,6, durante il viaggio di andata per raccogliere


la colletta, Paolo con Tito, accompagnato da altri due fratelli, di cui non
dice il nome. Di uno elogia la stima di cui gode presso tutte le Chiese che
lo hanno nominato o designato come supervisore di una tale quantit di
offerte, come si legge in 2Cor 8,16-20. Dellaltro esalta lo zelo per tale
opera di carit, in 2Cor 8,22. Da 2Cor 9,4 tuttavia prevede che sar accompagnato da alcuni Macedoni che potrebbero essere fratelli di Tessalonica
e Berea. Ci potrebbe in qualche modo corrispondere a tre dei nomi della
lista riportati in At 20,4: Sopatro di Pirro di Berea; Aristarco e Secondo
di Tessalonica. Ma in questo caso dovremmo anche supporre che siano
restati con lui i tre mesi che egli trascorse in Grecia, come si legge in At
20,2b-3a.
Ma questa ipotesi potrebbe essere invalidata dal biglietto di saluti che si
legge in Rm 16,21-23 (una lettera che per consenso comune sarebbe stata
composta a quel tempo e in quel luogo), da cui risulta che con lui erano
Timoteo, Lucio, Giasone, Sosipatro, suoi parenti, Gaio che lo ospita in casa
ed Erasto, il tesoriere della citt.
Quindi nessuno dei nomi della lista di At 20,4 presente, eccetto Timoteo! A meno che non si accetti come probabile lipotesi che Sopatros sia
una abbreviazione di Sosipatros e che il Gaio di Derbe possa essere in realt il Gaio macedone nominato con Aristarco in At 19,29126. In questo caso
la corrispondenza tra informazione e ricostruzione sarebbe pi grande.
74. Le notizie date in At 20,7-16 sul viaggio da Filippi a Troade fino
a Mileto sono cos precise da presupporre un informatore diretto, che si
presenta di nuovo con il noi in At 20,13. Si pu anche supporre che sia
diverso da quello che si presenta come tale in At 20,5. Ma pi probabile
che sia unico e che questa volta non viaggia a piedi insieme a Paolo, ma lo
precede con il gruppo in nave fino ad Asso. In At 20,5 abbiamo gi escluso
Timoteo e abbiamo fatto notare che il cerchio si stringe intorno a Tito, che
non mai nominato nel testo. Quindi probabile che il noi indichi un
personaggio diverso, secondo il contesto. Nel secondo viaggio (At 16,1017) Sila; nel terzo (da At 20,5) potrebbe essere Tito compagno a lui pi
caro nellultimo periodo.
75. Alcune informazioni sul viaggio da Mileto a Gerusalemme, date in
At 21,1-17 paiono molto precise: litinerario e le operazioni della nave fino
a Tiro (21,3), Tolemaide (21,7), Cesarea (21,8); lesistenza di discepoli
(tou maqhta: 21,4) a Tiro; lesistenza di fratelli (tou ajdelfou) a
Tolemaide; la lunga ospitalit in casa di Filippo, levangelista, a Cesarea.
126. Cf. Hemer, The Book of Acts 124 e Barrett II, 942-948.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

167

Ma la notizia che era uno dei Sette (onto ejk twvn epta: At 21,8c) potrebbe essere dettata da coerenza intratestuale con At 6,5 dove nominato
per la prima volta e sarebbe da ritenere una designazione del narratore. Ma
non si pu escludere che sia un dato tradizionale, che egli ha usato per la
ricostruzione di At 6,1-6 in cui narra la costituzione dei Sette127.
A queste notizie da aggiungere linformazione che Filippo aveva
quattro figlie, vergini e profetesse (At 21,9) e la notizia di Agabo, definito
un profeta dalla Giudea (ti ajpo thv jIoudaia profhth: At 21,10),
come se lo presentasse la prima volta e avesse dimenticato di averlo gi
nominato in At 11,28. Ci permetterebbe di supporre che questo episodio,
narrato prima, possa essere una ricostruzione del narratore per giustificare
ragionevolmente la colletta portata da Barnaba e Saulo a Gerusalemme,
che altrimenti non avrebbe giustificazione. Ma come aiuto offerto a causa
di una carestia annunciata dal profeta comprensibile.
Anche il fatto che sono accompagnati da discepoli di Cesarea fino a Gerusalemme per farlo ospitare presso un certo Mnasone di Cipro (At 21,16),
potrebbe essere genuina informazione. Ma se si accetta come valida questa
notizia, dovremmo concludere che Paolo non aveva parenti in Gerusalemme
e che quindi la sorella e il nipote di cui scrive in At 23,16 lo accompagnassero
e viaggiassero con lui. Ci dubbio, ma non impossibile se in Rm 16,21
manda i saluti di tre suoi parenti: Lucio, Giasone, Sosipatro.
76. Il noi con cui Paolo fa visita a Giacomo in At 21,18 potrebbe indicare tutta la delegazione nominata in At 20,4: Sopatro di Berea; Aristarco
e Secondo di Tessalonica; Gaio di Derbe e Timoteo; Tichico e Trofimo,
asiatici. Quindi tra costoro sarebbe da reperire linformatore dellincontro
descritto in At 21,18-25.
Il fatto stesso tuttavia potrebbe essere una riscostruzione del narratore, come attestano frasi tipiche del suo modo di narrare (cf. At 21,19
ejxhgeivto kaq en ekaston, wn ejpoihsen o qeo en toi eqnesin e At
15,4 ajnhggeilan te osa oJ qeo ejpoihsen metaujtwn), e la coerenza
dellargomento trattato con ci che ha gi narrato, soprattutto nelle parole degli anziani, che sembrano parlare insieme, come gruppo, come se
fossero un solo personaggio.
Parlano di migliaia di Giudei credenti (At 21,20b), con riferimento evidente a At 2,41 dove lA. nomina tremila anime e a At 4,4 dove computa
127. Sul problema dei Sette cf. Barrett I, 305-307, la cui argomentazione presuppone che

sia realmente esistito un gruppo istituzionale di Sette, quale organo direttivo degli Ellenisti di Gerusalemme; e G. Theissen, Hellenisten und Hebrer (Apg. 6,1-6). Gab es eine
Spaltung der Urgemeinde?, in H. Cancik (ed.), Geschichte Tradition Reflexion. FS M.
Hengel, Tbingen 1996, 323-343.

168

G.C. BOTTINI N. CASALINI

cinquemila uomini credenti. Riportano laccusa diffusa tra loro, che Paolo
insegna tra i popoli il distacco o defezione (apostasia) dalla Legge di
Mos e di non far circoncidere i figli (At 21,2), che corrisponde perfettamente allinsegnamento di Paolo nella lettera ai Galati. Ma evidente che il
narratore vuole farla apparire come falsa testimonianza, descrivendo Paolo
come un fedele Giudeo128. Gli ricordano anche le disposizioni gi date per i
credenti provenienti dai popoli, elencando, pi o meno con le stesse parole,
le quattro clausole del decreto apostolico (At 21,25), che corrispondono
alla decisione presa durante lincontro di Gerusalemme (At 15,20.29), ma
che Paolo ignora totalmente in Gal 2,1-10 e rifiuta categoricamente in Gal
2,11-14129.
77. Nellincontro con Giacomo (At 21,18-25) lA. non narra della colletta o raccolta di denaro di cui si legge in 2Cor 8,9 e in Rm 15,25-26. Ci
lascia supporre che linformatore di ci che narrato in At 21,18-26 non
Tito che era responsabile diretto per la raccolta in Acaia (2Cor 8,6.16-24)
e che il narratore ignora130. Ma il suo silenzio su un motivo fondamentale
di quel viaggio, permette di supporre che lattivit di ricostruzione del
narratore sia pi forte della testimonianza reale sulle cose effettivamente
accadute.
78. Altro fatto degno di nota. In At 20,1-2 si narra del viaggio in Grecia
(ei th\n Ellada), che un hapax (At 20,2). Non nomina lAcaia. Ma in
2Cor 12,14 si annuncia un terzo viaggio a Corinto. Da questa disarmonia
risulta evidente che il narratore di Atti ha semplificato il racconto unificando diversi viaggi di Paolo. Daltra parte, se la figura di Tito appare per la
prima volta in Gal 2,1 per il viaggio (il secondo) a Gerusalemme, si deve

128. Questa anche limpressione di Barrett II, 1009, il quale tuttavia riconosce che ci

che si legge in Gal 2,12-14 e 1Cor 10,25.27 sui cibi e le carni confermerebbe la verit
dellaccusa che il narratore vorrebbe far apparire come falsa. Meno chiaro sulla circoncisione, su cui adduce 1Cor 7,18-19 e Gal 6,15 per dire che per Paolo era indifferente,
dimenticando Gal 5,2-6 dove presentata come incompatibile con la cari del Cristo, e
ad essa alternativa.
129. A proposito di At 21,18-23, Conzelmann 131 preferisce parlare di redazione dellA.,
supponendo che il rapporto scritto corrisponda a qualche dato di fatto reale, per es. lassenza dei Dodici e leffettivo governo di Giacomo, noto gi da At 12,17 e da Gal 2,9 (cf.
Gal 1,19).
130. Sul problema di questo silenzio dellA. sulla colletta che fu il motivo reale dellultimo
viaggio di Paolo a Gerusalemme, che tuttavia non ignora come attesta At 24,17 cf. Taylor
VI, 107-109 il quale lo risolve riferendo dia th diakonia autou di At 21,19 alla colletta,
chiamata diakonia in At 11,29 (cf. At 12,25). Per noi poco probabile, perch il narratore
usa la stessa parola diakonia in At 1,25 per indicare il servizio apostolico, che il senso
pi adatto per At 21,19.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

169

supporre che fosse gi noto alle Chiese della Galazia. Ma di lui non dice
nulla in At 15,1-5 che lunico viaggio a Gerusalemme con Barnaba, da
lui narrato.
79. Le vicende narrate in At 21,1823,11 (lincontro con Giacomo e gli
anziani: 21,18-25; larresto nel Tempio: 21,26-36; il discorso al popolo di
Paolo: 21,3722,21; il confronto con lautorit militare romana sullo stato
giuridico di Paolo: 22,22-29; il dibattito nel sinedrio per verificare laccusa: 22,3023,11) sono narrate con molta verosimiglianza, ma per coerenza
intratestuale, come attesta il richiamo di At 21,25 al decreto apostolico di
At 15,29. E ci favorirebbe lipotesi di una ricostruzione del narratore.
Ma il noi di At 21,18 presuppone un informatore. In At 21,29 si parla di
Trofimo di Efeso, che con Paolo a Gerusalemme in quella occasione. Ci
dovrebbe conferire valore a tutta la testimonianza, perch costui nominato
in 2Tm 4,20 e potrebbe servire da garanzia della genuinit della tradizione
paolina che soggiace alla vicenda narrata.
La scena tuttavia ricostruita: il colloquio con il chiliarco, Claudio Lisia (At 23,26) (At 21,37-40 e 22,22-29) e il discorso al pubblico (At 22,121) sono opera di autentica ricostruzione storica, non sempre precisa131. Ma
la notizia dellarresto nel Tempio, fomentata dai Giudei di Asia, potrebbe
avere un fondamento. Il processo davanti al sinedrio in At 22,3023,11
non pi documentabile, perch solo Paolo fu testimone. La notizia che
il sommo sacerdote fosse Anania/Anano probabile. Cess dalla funzione
nel 56132.
Tuttavia evidente che lincontro nel sinedrio (At 23,1-11) non un
protocollo oggettivo della seduta, ma opera di ricostruzione efficace e
aneddotica, per le sue evidenti disarmonie narrative: Paolo non riconosce
il sommo sacerdote! (At 23,2-5). Ma il suo scopo narrativo evidente:
presentare Paolo come Giudeo fedele, aderente alla tradizione della fede
giudaica nella risurrezione133.
80. La notizia del complotto dei Giudei contro Paolo, riportata in At
23,12-22 non pi documentabile. Ma linformazione sul figlio della sorella di Paolo (At 23,16-18), che lo informa del proposito, unica. Non
si pu quindi escludere che sia da fonte diretta, o da tradizione sicura134.

131. Conzelmann 133.137; Weiser II, 607-608; ma non improbabile per Barrett II,

1018.1032-1033.
132. Cf. i dati storici in Barrett II, 1058.
133. Conzelmann 137; Jervell 553.
134. Cos anche Barrett II, 1070-1071; Roloff 330-331; Pesch II, 247.

170

G.C. BOTTINI N. CASALINI

In qualche modo qualcuno, che aveva contatti con la sua famiglia, deve
aver informato chi ha scritto. Ma la scena fuori dubbio una ricostruzione narrativa, quasi in forma di novella (At 23,19-21)135. Tuttavia il nome
del chiliarco Claudio Lisia (At 23,26) e quello del governatore Felice (At
23,24.26) sono indice di una indagine reale136. Il primo non si poteva sapere
senza diretta informazione137.
81. Leggendo le storie di At 23,124,27 uno si domanda, se Paolo
stesso non abbia testimoniato, o raccontato di s a qualcuno, cose che
lui solo poteva sapere. Alcuni dati attestano una informazione diretta: (a)
la seduta del sinedrio in At 23,6-9 e il dibattito sulla risurrezione come
argomento fondamentale; (b) la visione del Signore in At 23,11 e la sua
parola che deve testimoniare anche in Roma. Ma il primo fatto (la seduta
del sinedrio) ricordato in At 24,21 e ci attesterebbe lopera del narratore; il secondo potrebbe essere una evidente interpretazione teologica
delle vicende accadute per farle apparire come deliberato disegno della
guida divina. (c) Sul figlio della sorella di Paolo (At 23,16), abbiamo
gi detto. (d) Su Claudio Lisia, il tribuno, e su Felice, governatore (At
23,24.25) abbiamo gi detto e siamo convinti che il narratore abbia riportato un sicuro dato storico. (e) Sul palazzo di Erode a Cesarea, usato
come pretorio o sede del governatore o come luogo dellamministrazione
romana (At 23,35), presuppone una conoscenza diretta138, ma non stata
confermata dallarcheologia: non stato ancora trovato139. (f) Lepisodio
con lavvocato Tertullo e il processo davanti a Felice, patrocinato dal sommo sacerdote Anania/Anano (At 24,1.23), potrebbe essere stato ricostruito
su pochi elementi, data la tipicit con cui tratteggiato il personaggio e
il suo discorso140. (g) Il fatto che Felice fosse informato bene sulla via
(At 24,22) e che da anni era giudice del popolo potrebbe corrispondere
ad un dato di fatto storico141, come pure storico da ritenere il particolare che sua moglie fosse giudea (Drusilla, probabilmente sorella del re
135. Jervell 561.
136. Barrett II, 1080-1081.
137. Ma per Roloff 332 pura invenzione.
138. Barrett II, 1088.
139. Per una ipotesi cf. J. Patrich, The Martyrs of Caesarea: the Urban Context, nota 32

nel presente volume del LA.


140. Cos anche H.S. Brown, Pauls Hearing at Caesarea. A Preliminary Comparison with
Legal Literature of the Roman Period, SBLSP 35 (1996) 319-332. Ma il suo giudizio che At
24,1-23 non corrisponda alla procedura giudiziale romana dubbio: cf. Barrett II, 1092.
141. Cf. la probabilit storica indicata da Barrett II, 1101.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

171

Erode Agrippa) (At 24,24)142. (h) Ugualmente veraci potrebbero essere le


notizie sulla prigionia vigilata di Paolo a Cesarea, servito dai suoi, come
pure i colloqui frequenti di Felice con lui e il sospetto sorprendente, e
infamante, che sperasse che Paolo gli desse denaro per la sua liberazione
(At 24,24-26). Queste sono notizie troppo precise e circostanziate per non
essere vere. Esse presuppongono un informatore reale, o una informazione
accurata sulle cose accadute. In ogni caso, una ricostruzione narrativa
molto verosimile, corrispondente al reale.
82. Alcuni particolari del racconto da At 25,1 a At 26,32 (il processo
davanti a Festo e al re Agrippa accompagnato da Berenice) sono cos vivi
e precisi che non possibile distinguere il vero dalla ricostruzione verosimile effettuata dal narratore143: a) i tre giorni di At 25,1 che intercorrono
dal suo ingresso nellamministrazione e la sua salita a Gerusalemme; (b)
la sua permanenza a Gerusalemme per otto o dieci giorni in At 25,6.
Tuttavia chiaro che il suo colloquio con i sommi sacerdoti e i primi
dei Giudei ricostruito (At 25,2.5). Non ha testimoni! (c) Il processo
davanti a Festo (At 25,6-12), che si conclude con un appello a Cesare,
una ricostruzione coerente con lordine della narrazione. Lo attesta il
fatto che le accuse non sono nominate, ma genericamente supposte. La
difesa di Paolo infatti si richiama indirettamente a quelle di Tertullo nel
processo davanti a Felice in At 24,5-6 (cf. 25,8), ma lappello in quanto
tale deve essere stato un atto reale, bench manchino testimonianze indipendenti. Lunica possibile allusione ad un processo di Paolo a Roma
sarebbe in 2Tm 4,16. (d) Tutta la scena dellincontro processuale con
Festo, il re Agrippa e Berenice con il discorso pubblico nellauditorium
di Cesarea (da At 25,13 a At 26,32) ricostruzione narrativa, che ha
come effetto il sublime ed effettuata secondo il principio storico del
verosimile. Non ci potevano essere testimoni dei colloqui privati tra i
tre personaggi illustri, che fungono da giudici. Ma la veracit della narrazione tale da far apparire reale la stessa ricostruzione. Il lettore non
sa e non pu pi distinguere tra ci che realmente accaduto e ci che
142. Fatto attestato da fonti storiche: cf. Tacitus, Hist. 5,9; Josephus, Ant. 20, 141-144,

anche se c confusione sullindividuazione esatta di Drusilla, come suppone Barrett II,


1080 e 1113. Cf. su questo problema F.E. Brenk - F. Canali de Rossi, The Notorius Felix,
Procurator of Judaea, and His Many Wives (Acts 23-24), Bib 82 (2001) 410-417.
143. Ma che il narratore usi informazioni oggettive, probabile: Jervell 586, che indica i
personaggi (il procuratore Porcio Festo, il re Erode Agrippa e sua sorella Berenice) e la
prigionia di Paolo a Cesarea, che sono dati storici. Tuttavia leffetto retorico della narrazione
prevalente, come ha mostrato F. Crouch, The Persuasive Moment: Rethorical Resolutions
in Pauls Defence Before Agrippa, SBLSP 35 (1996) 333-342.

172

G.C. BOTTINI N. CASALINI

descritto come reale nel suo accadere. La scena un vero capolavoro


di narrazione144!
83. La descrizione del viaggio verso Roma in nave (At 27,128,16)
presuppone un testimone oculare, o almeno questa limpressione che
vuole dare il narratore a chi legge. In At 27,1 riappare il noi (cf. 27,18a.15.16.18.22.27.29.37; 28,1.2.7.10-16). Ma lunico che viaggia insieme
nominato: Aristarco, Macedone, di Tessalonica (At 27,1). Dunque in quel
viaggio non sono molti ad accompagnarlo e il noi potrebbe riferirsi a
Paolo e ai suoi, tra i quali potrebbe essere il testimone delle informazioni
riportate.
Il racconto del viaggio cos particolareggiato, e tecnicamente preciso,
che ragionevole supporre una ricostruzione dal vero o sul vero145. E tuttavia questa prevale decisamente sul dato di fatto, trasformando il rapporto
di viaggio in un testo letterario, che in alcuni momenti raggiunge la vetta
del sublime, propria del romanzo storico146. In realt langelo che appare e
le parole che dice (At 27,23-24) non trovano conferma nella narrazione che
segue. Non c testimonianza di Paolo davanti a Cesare e neppure davanti
al suo tribunale (cf. At 25,11-12 e At 28,19). La sospensione narrativa, non
risolta, tale che la stessa fine del racconto potrebbe sembrare provvisoria.
Il narratore non ha saputo, o forse non ha voluto, completare. La testimonianza data ai Giudei in Roma (At 28,23-28.30-31) coerente con le parole
del Signore a Paolo in At 23,11 che avrebbe dovuto testimoniare anche a
Roma. Ma le parole dellangelo di Dio in At 27,23-24 sono restate senza
realizzazione narrativa: non c scena davanti a Cesare!
evidente che una apparizione di Paolo davanti allimperatore romano
non realmente avvenuta e quindi non si poteva facilmente ricostruire n
immaginare solo per esigenze della testimonianza di fede. Se invece si
suppone che sia realmente avvenuta, bisogna concludere che il narratore ha
deliberatamente lasciato e taciuto lepisodio, perch limperatore in carica
144. Di ci sono convinti tutti i commentatori. opinio communis che lA. abbia ricostruito

levento, quale vertice narrativo del suo racconto, ma con sfumature diverse: cf. Conzelmann 143.145, Ldemann 264, Roloff 348, Schille 440, Schneider II, 356, Weiser II, 638;
ma Pesch II, 273 suppone una fonte utilizzata dal narratore.
145. Cf. Barrett II, 1178.
146. M. Dibelius, Aufstze zur Apostelgeschichte (FRLANT 60), Gttingen 19532, 154;
Conzelmann 156-157; Ldemann 169; e pi di recente H. Hmmel, Factum und fictum.
Literarische und theologische Erwgungen zur Romareise des Paulus in der Apostelgeschichte (Apg 27,1-28,16), BiblNot 105 (2000) 39-53. Per le evidenti analogie con il naufragio
di Ulisse in Odissea 5 e 12 cf. D.R. MacDonald, The Shipwrech of Odysseus and Paul,
NTS 41 (1999) 88-107.

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE IN ATTI DEGLI APOSTOLI

173

a quel tempo avrebbe dovuto essere Nerone, che era ricordato come un
abominio nella tradizione cristiana (cf. Ap 13,17-18: il nome della bestia
il cui numero 666 corrisponderebbe al suo nome), bench nei primi anni
di governo fosse stato un uomo rispettoso della religione, per influsso di
Agrippina, sua madre, simpatizzante della nuova fede.
84. Sorprende che nella narrazione da At 28,1 a At 28,16 non nomina
pi i soldati n gli altri prigionieri (cf. At 27,1). Tutto accade come se fosse un viaggio privato e Paolo un uomo libero147. Per questo chi legge non
comprende pi il limite tra la veracit e la libera ricostruzione narrativa.
Alcuni elementi per denotano accurata informazione, come le tappe del
viaggio lungo la costa italica, da Siracusa, a Reggio, a Pozzuoli (At 28,1113) e da Pozzuoli a Roma: il Foro di Appio e le Tre Taverne in At 28,14-15.
probabile quindi che in questo sia un resto autentico del testimone del
racconto, o ricostruzione su un reale itinerario di viaggio148.
Il problema che si pone se Paolo sia andato a visitare Roma da prigioniero o da uomo libero. La narrazione lo descrive come prigioniero (At 17),
in libert vigilata: affitto privato, ma con un soldato (At 28,16). Tuttavia
linformazione mancante. Il noi scompare in At 28,16. Nessuna autorit
reale nominata: n prefetto, n imperatore. Ci veramente inconsueto. Il
narratore non sa cosa narrare sulle autorit romane. Ma anche dei cristiani
di Roma non sa cosa dire. Nomina genericamente fratelli che lo vanno ad
incontrare fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne, bench da Rm 16,1316 risulti che Paolo avesse in citt molti conoscenti, e tra questi Priscilla e
Aquila (Rm 16,3), che sono i protagonisti in At 18,2.26; e poi i suoi parenti
(Rm 16,11). Dunque Atti una storia completa, ma non finita!
Conclusione
Queste Note di lettura, certamente non esaustive, attestano che la storia
narrata nel libro degli Atti degli Apostoli costruita su una quantit considerevole di informazioni che il narratore ha potuto raccogliere con la sua
indagine, probabilmente accurata, anche se non precisa.
Ci conferma lipotesi che ci ha spinto ad effettuare la lettura. La sua
opera di ricostruzione narrativa non si pu spiegare con la supposizione,
storicamente corretta ma letterariamente non provata, che egli abbia usato
fonti scritte per la sua composizione.
147. La stessa impressione ha Taylor VI, 208.
148 . Barrett II, 1218; Taylor VI, 262-263.

174

G.C. BOTTINI N. CASALINI

Alcuni particolari infatti sono cos circostanziali, che solo testimoni


diretti, o oculari, degli eventi, potevano aver dato allo stesso narratore, o
conoscenti a loro vicini da lui conosciuti. Una informazione diretta, data
dallo stesso Paolo, non si pu escludere, ma meno probabile. Tuttavia
luso delle sue lettere (almeno di alcune) come fonte di informazione e di
notizie ci pare che si debba ammettere senza esitazione.
Questo stesso fatto ci autorizza a concludere che anche la supposizione
di tradizioni, genericamente ecclesiali, a cui il narratore avrebbe attinto
per la ricostruzione degli eventi pi antichi (per es. dei capp. 1-8 e 9-15)
ci pare meno valida di quella da noi ipotizzata, di informatori individuali,
o anche su tradizioni locali (per es. Giovanni, detto Marco; Sila e Timoteo;
Aquila e Priscilla; Trofimo e Aristarco e Gaio), conosciuti da lui tramite
informatori a loro legati, con cui il narratore ha avuto contatti diretti e
personali.
Se poi le informazioni da lui raccolte fossero veritiere e corrispondenti
ai fatti, difficile da verificare, tenendo conto del fatto che anche gli informatori potevano avere gi effettuato una loro ricostruzione degli eventi
testimoniati.
Dove questo stato possibile (come nel caso dellincontro di Gerusalemme narrato in At 15) apparso evidente che lo scopo del narratore
non era di riferire i fatti come sono realmente accaduti, ma di ricostruirli
in forma ideale, in modo da presentarli come modello ai lettori credenti
e non credenti del suo libro.
G. Claudio Bottini, ofm
Nello Casalini, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI


Saggio bibliografico

N. Casalini
Premessa
Nellultimo decennio sono usciti diversi commenti agli Atti degli Apostoli.
Alcuni nelle serie gi diffuse (J.D.G. Dunn per NC 1996; H.C. Kee per
NTC 1997; J. Jervell per KEK 1998; C.K. Barrett per ICC 1994 e 1998;
J.A. Fitzmyer per AB 1998), altri in serie libere (R.C. Tannehill 1990; C.H.
Talbert 1997; J. Taylor I-III 1994, 1996, 2000; Ben Witherington III 1998).
Questa presentazione limitata ad alcuni di loro, senza pregiudizio per il
valore degli altri.
Se dovessi riassumere la tendenza prevalente, dovrei dire che tutti sono
caratterizzati da una riabilitazione di Atti come documento storico, utile per
la ricostruzione della storia del Cristianesimo primitivo. Anche se i suoi
limiti effettivi (e anche possibili errori) sono da tutti riconosciuti, il giudizio
positivo prevale, e la stima per lAutore del testo quale storico domina in
tutti i commenti che presentiamo.
Ci nuovo, se si considera che la tendenza prevalente in alcune opere
influenti del passato era il dubbio se un tale racconto potesse essere trattato
come storico, tali e tanti sono gli elementi in cui il narratore si mostra come
ricostruttore libero di eventi, di cui probabilmente si era perso il ricordo
preciso. Quindi il sospetto che egli avesse inventato tutto rendeva la sua
testimonianza del tutto inutile per il metodo storico.
Questa riabilitazione ha il suo vertice nel commento di C.K. Barrett, il
quale, nonostante le molte riserve, dedica ad essa un capitolo introduttivo
positivo con il titolo Acts as Historical Document (II, pp. xxxiii-lxi). Ma
il maggior sostenitore di questo aspetto fuori dubbio Ben Witherington
che senza esitare colloca il narratore di Atti accanto a Tucidite, Polibio e
Eforo, qualificati come i migliori e pi seri degli storici greci (1998, pp.
24-39).
Altra novit degna di nota il riconoscimento della tendenza giudaizzante del racconto, messa in rilievo quasi ad ogni pagina nel commento
di J. Jervell che, in questo modo, pone se stesso e la sua opera esegetica
in perfetta antitesi alla tendenza ellenizzante, rappresentata dal prestigioso
commento di E. Hnchen (1956, 19777), sostituito dal suo nella serie di
Gttingen (KEK) (1998, pp. 42-52).
LA 52 (2002) 175-216

176

N. CASALINI

Se questo sia stato un bene per una comprensione pi oggettiva del


testo di Atti, lo giudichi il lettore, perch la cosa potrebbe apparire come
una semplice questione di gusto storico-critico. La supposta tendenza giudaizzante direttamente proporzionale ad una seconda tendenza universalizzante.
LAutore del racconto pare accentuare deliberatamente la derivazione
giudaica del Cristianesimo, nelle sue forme e nella stessa fede, per far
apparire in modo pi chiaro la necessit del suo superamento e della separazione da esso, secondo un prestabilito disegno di Dio (cf. At 13,45-48 e
28,23-28), anticipato in modo inequivocabilmente simbolico nellepisodio
di Pentecoste in At 2,1-11.
La terza novit degna di nota la scoperta della qualit retorica della
storia raccontata da Luca. In questo il commento di Ben Witherington si
distingue da tutti quelli qui presentati. Egli ha analizzato con cura non solo
leffetto che il racconto intende suscitare in coloro da cui udito, ma ha
cercato anche di classificare ogni discorso in esso inserito secondo la teoria
retorica del tempo in cui fu scritto, che prevedeva tre generi fondamentali
di questo tipo: deliberativo, giudiziario (o forense), dimostrativo.
probabile che non tutti i lettori siano daccordo con questo procedimento esegetico e qualcuno lo potrebbe anche ritenere inadeguato, data
la natura teologica del contenuto dei discorsi, che per lo pi riguardano il
disegno storico-salvifico di Dio. Ma, in rapporto al contesto narrativo, quel
tentativo di classificazione pu essere utile per mettere in risalto la natura
fondamentalmente apologetica o giustificativa di tutto il testo. Colui che
lo ha scritto ha voluto giustificare per il suo lettore (il supposto Teofilo: At
1,1-4) la verit degli eventi rievocati con il racconto dei fatti accaduti.
Irrisolto il problema delle fonti, di cui si sarebbe servito il narratore,
che sembra procedere ancora con lipotesi tradizionale: un itinerario di
viaggio opera del narratore stesso per Atti 1628 e fonti o tradizioni
locali diverse, per lo pi orali (ma anche scritte) per Atti 114 preservate
nelle localit in cui le vicende sarebbero accadute (p. es. Gerusalemme,
Cesarea, Antiochia). Per Atti 15, che fa da cerniera, non si esclude una
diretta informazione dalla tradizione paolina, anche scritta (p. es. Gal),
bench non sempre compresa.
Ma una novit metodologica costituita dalla proposta di Ben Witherington di cercare una soluzione nella pratica dellospitalit, molto diffusa nel
Cristianesimo primitivo, e di cui il narratore d notizie accurate, indicando
nomi di persone e delle famiglie (e spesso anche la via!). Anche se sono
del tutto marginali per la storia narrata, potrebbero essere stati importanti
per la trasmissione delle notizie riportate nella vicenda.

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

177

Una tendenza a se stante rappresentata dal commento storico di J.


Taylor che di fatto ha sostituito il problema delle fonti con una ipotesi
sulla progressiva formazione letteraria del testo di Atti, da un documento
pre-lucano (Atti I), al testo lucano (Atti II), a una revisione del testo lucano (Atti III), di cui i primi due attestati nel testo occidentale, il terzo in
quello alessandrino.
Ma anche questa nuova teoria, desunta dallopera di M.-. Boismard
- A. Lamouille, Les Actes des deux Aptres (EB.NS 12-14), tre tomi, Paris 1990, non rinuncia del tutto alla vecchia ipotesi delle fonti, ponendo
accanto al gi noto Itinerario di viaggio un Documento Petrino (DocP)
e un Documento Giovanneo (DocJ ?), la cui esistenza resta senza prova
(V, pp. xi-xii).
Poich il suo commento si basa essenzialmente sul Testo Occidentale
(TO) di Atti ricostruito da M.-. Boismard, si aggiunto anche una recensione critica sul saggio che lo stesso ha dedicato a questo problema, per
mostrare che lipotesi di un testo occidentale allo stato puro non confermata n dai Papiri, n dai Codici antichi, n dalle Versioni pi antiche,
n dagli archetipi da lui ricostruiti su queste.
Queste le novit pi importanti rilevate nei commenti qui recensiti.
Per il passato e le tendenze che hanno caratterizzato negli ultimi secoli
lesegesi di Atti in generale, il lettore pu trovare una sintesi pregevole in
E. Rasco, Le tappe fondamentali della ricerca sugli Atti degli Apostoli,
Greg 78 (1997) 5-32; a cui pu aggiungere W.W. Gasque, A Fruitful Field.
Recent Study of the Acts of the Apostles, Interpr 42 (1988) e Idem, A History of the Interpretation of the Acts of the Apostles, Peabody 19892; J.B.
Green - M.C. Keever, Luke-Acts and New Testament Historiography, Grand
Rapids 1994; H.I. MacAdam, The True and Lively Word: The Acts at
the End of the Twentieth Century, ThRev 21 (2000) 170-216.
I. J. Jervell: la tendenza giudaizzante di Atti
Jacob Jervell, Die Apostelgeschichte (Kritisch-Exegetischer Kommentar 3),
Vandenhoeck und Ruprecht Verlag, Gttingen 1998.
Il commento agli Atti degli Apostoli di Jervell succede a quello ormai
noto di E. Hnchen nella serie del Kritisch-Exegetischer Kommentar di
Gttingen, la cui ultima edizione uscita postuma nel 1987. Questo fatto e
la indiscussa autorit esegetica di cui godeva il commento sostituito hanno
costretto il Commentatore (= C.) ad adottare un procedimento insolito per

178

N. CASALINI

questo tipo di pubblicazione. La Einleitung (pp. 49-105) inizia con una dichiarazione ermeneutica, che egli presenta con il titolo Zur Stellung dieses
Kommentars innerhalb der neueren Forschungssituation (pp. 49-52), in cui
giustifica la sua tesi esegetica fondamentale, antitetica a quella di Hnchen
che egli stesso riassume.
Come noto, costui sosteneva che lAutore degli Atti (= A.) fosse uno
non giudeo diventato credente (Heidenchrist) che scrive per credenti non
giudei, provenienti da altre religioni del mondo greco-romano (Heidenchristen), collettivamente definite paganesimo (p. 49). Per il C. invece lA.
uno profondamente radicato nella tradizione giudaica e rappresentante
qualificato di quel cristianesimo giudaico (Judenchristentum) che costituiva
una tendenza fondamentale del cristianesimo primitivo anche dopo lanno
70 d.C. (p. 50; cf. anche p. 84).
Questa impostazione ermeneutica, che in qualche modo capovolge la
lettura tradizionale comune, corrisponde di fatto alle attuali tendenze critiche (cf. J. Jervell, Retrospect and Prospect in Luke-Acts Interpretation,
SBLSP 1991, 283-304) e condiziona tutte le sue scelte esegetiche facendo
apparire in una nuova luce la stessa configurazione del cristianesimo delle
origini, ancora legato al giudaismo, in cui losservanza della Legge di Mos
nella sua integrit (rituale e sacrificale) non era in contraddizione con la
fede in Cristo, perch equivaleva a un segno di distinzione e appartenenza
al popolo di Israele, senza effettiva rilevanza per la salvezza che si consegue per la fede (p. 51).
Il C. convinto che questa sua impostazione sia affine a quella proposta
nel XIX sec. da F.C. Baur che riteneva gli Atti degli Apostoli una sintesi tra
cristianesimo di derivazione giudaica (Judenchristentum) e cristianesimo
di derivazione pagana (Heidenchristentum) (pp. 51-52). Ma chi legge non
tarder a comprendere che la supposta sintesi in realt mancata per una
decisa accentuazione della tendenza giudaica (o giudaizzante?) dellopera,
che spinge il C. a qualche giudizio esegetico problematico e non sempre
conforme alle affermazioni esplicite del testo.
Per esempio, egli adduce come prova della sua ipotesi interpretativa il
fatto che lA. di Atti narri conversioni in massa di Giudei in Gerusalemme
(cf. At 2,41; 4,4; 5,14) e poi di Giudei e di simpatizzanti dei Giudei (cf. At
13,43), ma mai di conversioni in massa di pagani (pp. 51, 53-54). Non solo,
ma i pagani sono semplicemente identificati ai timorati di Dio (sebomenoi)
(p. 89 nota 228), che poi sono gli stessi che in At 13,43 sono definiti proseliti del giudaismo.
Questa drastica riduzione della categoria dei popoli che accedono alla
fede a vantaggio dei Giudei e dei simpatizzanti non giudei dei Giudei

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

179

troppo distante dai dati del testo che invece assegna a loro una funzione
determinante nel disegno storico-salvifico dellA.: il rifiuto dei Giudei costringe gli apostoli a dare lannuncio ai Greci e ai popoli.
In At 11,20 informa che tra coloro che erano stati dispersi con la
persecuzione in Gerusalemme (At 11,19 e 8,4) cerano uomini di Cipro e
di Cirene che annunciarono il Signore Ges agli Ellenisti (secondo BD2)
o ai Greci, come pi probabile (secondo P74 a2 AD*). In At 13,46
pi preciso. Scrive che Paolo e Barnaba, osteggiati dai Giudei per il loro
successo nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, dissero: Poich non ritenete voi stessi degni della vita eterna, ecco che ci rivolgiamo ai popoli
(strefo/meqa ei ta eqnh), che sono distinti dai Giudei e dai proseliti,
della cui adesione alla fede aveva gi parlato in At 13,46.
Il passaggio dellannuncio dai Giudei ai popoli giustificato dai due
apostoli con la citazione capitale desunta da LXX Is 49,6: Ti ho posto a
luce per i popoli, per essere te a salvezza fino alla estremit della terra.
Dunque in ci che accade un disegno di Dio che si compie e che si attua
per mezzo dello stesso rifiuto dei Giudei, una idea questa fondamentale
nella teologia della storia della salvezza di Paolo, quale si legge in Rm
11,13-16.30-31.
Un altro esempio di questa teologia storico-salvifica si trova nel racconto dellincontro di Paolo con la comunit giudaica di Roma (At 28,23-28).
Poich il gruppo degli uditori in disaccordo sul suo annuncio, alcuni credono e altri lo rifiutano, Paolo cita LXX Is 6,9-10, altro testo capitale nella
tradizione evangelica che parla dellindurimento del popolo (At 28,26-27;
cf. Mc 4,11-12; Gv 12,39-40), a cui segue lannuncio decisivo: Sia dunque
noto a voi che ai popoli inviata questa salvezza. Ed essi lascolteranno
(At 28,28).
Questi esempi fondamentali attestano che il punto di vista del narratore
teologo degli Atti un altro: lannuncio dato ai popoli per il rifiuto dei
Giudei. Quindi il popolo che si costituisce non una semplice continuazione del popolo di Israele, ma un altro, costituito da Giudei convertiti alla
fede in Cristo e dal popolo (lao/) che Dio ha preso dai popoli (ejx eqnwn)
per il suo nome (At 15,4 e 18,6-7.8-9).
Con questa precisazione si giunge al primo punto fondamentale della tesi del C., quale si legge in sintesi nellesposizione del contenuto di
Atti (pp. 52-55). Egli convinto che il racconto narri la ricostruzione o
restaurazione di Israele popolo di Dio, nella forma di Giudei penitenti che
accedono alla fede in Ges-Messia (p. 53). A questo scopo servirebbe la ricomposizione del numero dodici nel gruppo apostolico, corrispondente alle
dodici trib di Israele (At 1,15-26). Ugualmente la missione di Filippo tra

180

N. CASALINI

i Samaritani (At 8,4-40) interpretata come recupero dei Giudei perduti,


che vengono ricondotti nel popolo di Dio (p. 54).
Questa interpretazione, per quanto coerente con le premesse, non concorda con ci che si legge nella storia raccontata. Proprio allinizio (At
1,6-7), alla domanda dei discepoli se ricostituisce in questo tempo il regno
per Israele, Ges risponde: Non riguarda voi conoscere i tempi e i periodi
che il Padre ha posto in suo potere.
Ci non favorisce lipotesi del C., perch la risposta di Ges lo esclude
esplicitamente. Alla possibilit di una ricostituzione del regno per Israele
sostituisce il mandato universale di essere testimoni di lui in Gerusalemme,
in Giudea, in Samaria e fino al confine della terra (At 1,8). Questo il tema
della narrazione e la novit enunciata costituita proprio dalla universalit
del mandato, che non si lascia in modo alcuno restringere allipotesi di
una lettura teologica giudaica, che il C. persegue con la sua interpretazione
esegetica.
Quindi la sua ipotesi che considera la testimonianza narrata da At 9,1
e 15,36 un effetto del rinnovamento del popolo di Dio in Gerusalemme
(p. 56) non sostenibile, perch il racconto la presenta come un effetto
del rifiuto dei Giudei (At 8,1.3-4), anche se dallo stesso racconto evidente che allinizio i Giudei hanno aderito in massa al Cristo (At 2,41;
4,4; 5,14), restando nello stesso tempo fedeli osservanti delle prescrizioni
della Legge di Mos, sia quelle rituali che quelle sacrificali, come fa
giustamente rilevare lo stesso Jervell rinviando ad At 17; 10,13-16.28;
11,3 (p. 100).
Con ci si giunge al secondo punto capitale dellipotesi del C. che
riguarda la funzione della legge di Mos (Tora), perch da questa valutazione dipende la corretta interpretazione della supposta tendenza giudaica
dellopera.
Secondo Jervell, questa Legge, in tutti i suoi aspetti rituali e cerimoniali
(o cultuali e sacrificali), presentata come una disposizione in vigore per
i Giudeo-cristiani e in modo limitato per i non giudei convertiti al Cristo
(cf. il decreto apostolico in At 15,23-29) (p. 51). E ci corrisponde effettivamente ai fatti rievocati dal testo. Ma egli riconosce anche che lA. non
attribuisce ad essa un valore salvifico. Quindi non serve come mezzo per
conseguire il perdono dei peccati e la salvezza (p. 51). Anche ci corrrisponde effettivamente alla teologia del testo che nega alla circoncisione
e allosservanza della Legge ogni funzione in vista della salvezza, che si
consegue per la fede e il dono dello Spirito (At 15,1.5.8-9.10-11).
Pi problematica invece la sua osservazione che secondo lA. di Atti
la Legge non solo pu essere osservata, ma deve essere osservata, perch

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

181

il carattere distintivo di appartenenza al popolo di Dio. Quindi, anche la


Chiesa la deve osservare per mostrare di essere il popolo di Dio, lIsraele
ricostituito e ristabilito, perch solo in questo modo diventa partecipe delle
promesse di Dio (p. 101; cf. anche p. 51).
Ci pare un eccesso interpretativo che non corrisponde alla teologia di
chi ha scritto il testo. Infatti in tutti i discorsi di Atti, in particolare in quelli di missione (At 2,14-41; 3,11-26; 4,8-12; 5,29-33; 10,34-43; 13,13-41)
non si legge mai un invito allosservanza della Legge di Mos, ma solo un
appello accorato a credere in Ges Cristo, perch in lui Dio ha compiuto la
promessa che aveva fatto al popolo (At 2,29-36; 4,10-12; 13,32-39.40-41).
Quindi la partecipazione a questa promessa non dipende dallappartenenza
al popolo a cui era stata fatta, ma solo dalla conversione e dalla fede in
Cristo (At 3,19-26; cf. 2,38-39).
Fatte queste precisazioni, si deve dire che il C. ha ragione di rilevare
che la Legge di Mos presentata in Atti con molto onore: chiamata
Legge dei Padri (At 22,3), definita parole di vita (lo/gia zwnta), date
da un angelo a Mos per il popolo (At 7,38), o semplicemente indicata
come Mos (At 6,11; 13,14; 15,21; 21,21.28; 25,8; 28,17).
Se questo modo di presentazione sia giudaico piuttosto che cristiano,
come sostiene Jervell (p. 101), non molto evidente, perch una simile
terminologia si pu trovare in parte nella tradizione evangelica (cf. Mc
7,1-13 e parr.; Mc 10,3-4 e parr.; Gv 5,45-46 e di nuovo Mc 1,45). Ma
che da tale nobile presentazione si debba trarre la conclusione apodittica
che per lA. di Atti tutti nella Chiesa sono tenuti ad osservare la Legge,
compresi i non Giudei secondo le norme del decreto apostolico (At 15,1921.28; 21,25) (pp. 101-102), ci pare eccessivo, tenendo conto delle parole
che lA. lascia dire a Pietro in At 15,10: Ora perch dunque tentate Dio
per imporre un giogo sul collo dei discepoli che n i padri n noi siamo
stati capaci di portare?.
Ci rende il problema pi complesso e meno lineare di quanto il C.
voglia far credere. Quindi non si pu escludere che lA. di Atti fosse un
giudeo che ha aderito a Cristo o un giudeo-cristiano cresciuto nel giudaismo ellenistico in ambiente greco, o un greco che ha aderito a Cristo dopo
essere stato un timorato di Dio e proselito del giudaismo (p. 84). Ma non
si pu non rilevare che la sua opera quella di un cristiano che narrando ha voluto rievocare gli inizi del cristianesimo, non per nostalgia delle
origini giudaiche, ma per informare Teofilo sulle cose accadute (At 1,1 e
Lc 1,1-4), anche se la sua narrazione delle origini non senza nostalgia,
come attestano i sommari idealizzanti della vita della comunit primitiva
(At 1,12-14; 2,42-47; 4,23-31.32-36; 5,12-13; 6,1-6).

182

N. CASALINI

Per le altre scelte storiche, Jervell propende per una soluzione in qualche modo tradizionale. convinto che il titolo dellopera praxei (twn)
aposto/lwn sia dovuto allA. (p. 56), bench una tale ipotesi non sia favorita da un dato di fatto che pare attestare il contrario: Ireneo lo chiama Lucae
de apostolis testificatio (Ad. Haer. III 31,3) e Tertulliano commentarius
Lucae (De jejunio 10).
Ci proverebbe che lopera non avesse quel titolo (Atti degli Apostoli)
nella seconda met del II secolo. Daltra parte lo stesso C. nota una certa
discordanza tra il titolo attuale e il contenuto reale che non corrisponde ad
esso. Il racconto narra solo di Pietro (At 112) e poi quasi esclusivamente di
Paolo (At 9; 1314; 1528). Ma risolve la contraddizione affermando che il
titolo inclusivo, inteso a comprendere anche Paolo, chiamato apostolo solo
in At 14,4.14 insieme a Barnaba, ma che di fatto descritto come guida e
capo di tutta la Chiesa (Leiter und Oberhaupt der gesamten Kirche).
Ci un altro degli eccessi interpretativi di Jervell. Infatti, bench
Paolo sia la figura realmente dominante del racconto, lA. pone al centro
il cap. 15 con lincontro apostolico di Gerusalemme per mostrare che era
subordinato ad un governo pi ampio della Chiesa, cosa che anche lui deve
riconoscere notando che in questo evento Paolo svolge un ruolo secondario
rispetto a Pietro (At 15,6-11) e a Giacomo (At 15,13-21), che determinano
la decisione della Chiesa riunita per discutere largomento (p. 405).
probabile quindi che il titolo originario inteso fosse A Teofilo, che
quello che pare suggerire lo stesso A. che indirizza a lui i due logoi (Vg
e At) (cf. Lc 1,1-4 e At 1,1) e che era il modo corrente con cui in genere
erano denominati i discorsi rivolti a qualche destinatario specifico.
Per il problema delle fonti degli Atti (pp. 61-72) il C. molto pi critico, ma non sempre equilibrato nel suo giudizio storico. Ci dipende dal
fatto che egli attribuisce lopera a Luca, collaboratore di Paolo (Fm 24; Col
4,14; 2Tim 4,11) (pp. 63 e 79-86). Di conseguenza convinto che per At
1320 e At 2128 lA. disponesse di note e appunti personali, di cui si
servito per la ricostruzione degli eventi (pp. 62-63). A lui quindi si riferisce
il famoso noi di alcuni racconti di viaggio in cui si fa presente come testimone oculare (At 16,10-17; 20,5-15; 21,1-18; 27,128,16) (pp. 66-67).
In questo modo egli recupera la tesi della tradizione antica, anche se per
la composizione di At 112 deve ricorrere allipotesi di molteplici tradizioni orali che lA. avrebbe trovato gi diffuse dovunque presso le comunit
primitive (pp. 64, 66).
Ci semplifica molto larduo problema delle fonti adoperate dallA.
di Atti per la composizione della sua narrazione. Ma sorge il dubbio che
tale semplificazione contribuisca alla nostra conoscenza della storia reale.

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

183

Il materiale raccolto da Luca tanto e tale, che di necessit dobbiamo


supporre lesistenza di pi testimoni oculari intermedi (familiari e collaboratori) affidabili, per il semplice fatto che lA. non poteva essere sempre e
in ogni luogo con Paolo (qualora fosse veramente lui il Luca collaboratore
nominato dallapostolo).
Il C. lo riconosce senza difficolt (p. 66). Ma su questo preferisce tacere del tutto, forse per il timore di fare ipotesi a vuoto. E tuttavia Paolo
ha effettivamente avuto qualche collaboratore a lui vicino: per esempio
Silvano (Sila) e Timoteo (At 15,40; 16,1-3; cf. Fil 1,1; 2Cor 1,1.19) e Tito
(Gal 2,1.3; 2Cor 2,13; 7,6.13; 8,6.16), con i quali ha spesso viaggiato in
quei luoghi ricordati in At 1620.
Per quanto riguarda le fonti dei discorsi di Atti (pp. 67-72), Jervell
riconosce il contributo diretto dellA. alla loro composizione e non escude
che abbia raccolto tradizioni antecedenti, come ammettono molti esegeti.
Ma disposto a concedere di pi: che abbia usato discorsi o frammenti
di discorsi tramandati, che ha rielaborato e anche abbreviato, quando non
erano gi stati ridotti in sintesi dalla tradizione (p. 71).
Ci difficile da provare e soprattutto difficile da concordare con
lipotesi che il C. accetta come evidente: che i discorsi dipendano luno
dallaltro e abbiano un senso teologico compiuto solo se letti nel loro insieme (p. 70).
Quindi lipotesi meno contraddittoria sarebbe di riconoscere che i
discorsi di Atti sono tutti opera di Luca secondo la prassi vigente nella
storiografia antica, come conferma la loro indubitabile unit stilistica da
tutti riconosciuta, senza escludere che abbia operato una sintesi di motivi
teologici diversi, tramandati nella tradizione comune della fede, una ipotesi
che anche Jervell ritiene probabile (p. 68).
Sul problema della lingua (pp. 72-76) Jervell non ha conseguito la
chiarezza che un lettore desidera e la sua esposizione di una ambiguit
sorprendente. Riconosce che non un greco letterario classico (eccetto Lc
1,1-4), ma quello della prosa coltivata della koine. Ma poi precisa che
quello di un giudeo, plasmata dalla lingua della sinagoga ellenistica (p. 73),
quindi caratterizzata da semitismi (stilistici e sintattici) e da septuagintismi
per influsso diretto dei LXX.
Tuttavia esclude categoricamente che si tratti di un greco giudaico (p.
73 nota 123) e nega che si tratti di un dialetto greco speciale. Preferisce
invece parlare di una lingua plasmata dallambiente giudaico che per lui
il giudaismo greco o ellenistico (p. 75). Di conseguenza ritiene che lA.
non abbia imparato il greco da adulto, ma che sia per cos dire a lui connaturale (p. 75 nota 136).

184

N. CASALINI

Ma nella nota 123 di p. 73 il lettore legge con sorpresa che tale greco
sarebbe quello di un giudeo bilingue. Con ci sembra suggerire una ipotesi che non formula in modo esplicito, ma che appare evidente da tutto
ci che stato riassunto: che Luca fosse un giudeo, discendente di giudei
di lingua aramaica, ma cresciuto in ambiente greco.
Se questo il pensiero che vuole suggerire, evidente che lesame
della lingua di Atti, da solo, non basta per trarre questa conclusione e bisognerebbe addurre altri elementi probanti, cosa che egli non fa trattando
dellautore (pp. 79-84).
In questo paragrafo egli si limita a rilevare il carattere giudaico dellopera
per affermare categoricamente che era un giudeo-cristiano (p. 84), bench i
cosiddetti elementi giudaici (la cristologia prepaolina, lecclesiologia radicata nellidea di Israele popolo di Dio, la supposta validit intangibile della
Legge mosaica anche per la Chiesa, la presentazione di Paolo come fariseo
e missionario dei Giudei) (p. 84) possono essere spiegati diversamente e di
fatto sono sempre stati spiegati in altro modo. Ma alcuni non sono affatto
giudaici (come la cristologia) e altri non sono consistenti (come la supposta
ecclesiologia giudaica e la validit permanente della Legge mosaica).
Con ci siamo giunti alla teologia di Atti a cui il C. dedica molta cura
(pp. 90-105), anche se lesposizione sintetica e contratta non giova alla
chiarezza e qualche tesi teologica molto problematica, anche se giustificabile per la effettiva eterogeneit dellopera. Ci limitiamo solo a qualche
punto essenziale.
Trattando della ecclesiologia nega che sia indicata con la parola
ekklhsia (p. 50) e sostiene con convinzione che lA. preferisce la parola
lao/ che indica lunico popolo di Dio e questo solo Israele. La Chiesa
quindi non altro che una sua continuazione (pp. 92-93).
Ci contrario alle affermazioni esplicite del testo. LA. distingue con
cura la Chiesa (hJ ekklhsia) formata dai credenti in Ges Cristo e il popolo
di Israele formato da Ebrei ed Ellenisti, come appare evidente dalla persecuzione contro la Chiesa in Gerusalemme, scatenata dagli uni e dagli altri
(At 8,1.3) e lepisodio della uccisione di Stefano (At 6,87,59).
Quindi, alla Chiesa e non al popolo di Israele si riferisce il sommario
che si legge in At 9,31 e la frase tragica che Dio lha acquistata con il suo
sangue in At 20,28. Ugualmente in At 15 la parola Chiesa indica solo i
credenti che accompagnano Paolo e Barnaba nel loro viaggio verso Gerusalemme (At 15,3), dove sono accolti dalla Chiesa e dagli apostoli e dagli
anziani (At 15,4), i quali si riuniscono con tutta la Chiesa (su\n olh
thv ekklhsia) per deliberare sulla circoncisione per i non giudei diventati
credenti (At 15,22).

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

185

Questa rigorosa designazione della Chiesa con una terminologia quasi


tecnica non favorisce lipotesi di una ecclesiologia giudaica fondata sullidea del popolo di Israele che in essa continua. La Chiesa altra cosa, una
entit nuova, costituita dallattivit divina per mezzo della testimonianza
apostolica.
Quindi Jervell ha ragione di affermare che la parola lao/ indica per lo
pi il popolo di Israele. Ma anche lui deve riconoscere che questo stesso
titolo dato alla Chiesa con un altro significato (pp. 92-93 nota 253).
In At 15,14 i credenti provenienti dai popoli sono chiamati ejx ejqvnwvn
lao\n e in At 18,9-10 i credenti in Cristo che si trovano in Corinto (sia
giudei che greci) sono designati da Ges come lao/ polu/ nella visione
notturna a Paolo (At 18,7-8.9-10). Ci attesta che il titolo popolo preservato, ma ha assunto un altro significato: non pi il popolo di Israele,
ma la Chiesa formata da coloro che credono in Ges Cristo, sia provenienti
dal giudaismo sia credenti che giungono a lui dai popoli che costituiscono
il mondo ellenico.
Quanto alla cristologia, ritiene che lA. di Atti abbia una idea messianica giudaica (p. 50), una concezione cristologica prepaolina (p. 84), espressa
con titoli arcaici (p. 94). Quanto a questi, si fa notare che oJ osio (At 2,27;
13,35), che egli interpreta come fedele alla legge, deriva direttamente da
LXX Sal 15,10 interpretato in senso cristiano come un preannuncio della
risurrezione di Cristo (At 2,15-34). Quindi un titolo dato al Cristo in
quanto colui che confida in Dio e appartiene a lui, esprimendo la stessa
idea che la tradizione evangelica esprime con il titolo oJ agio touv qeouv
(cf. Mc 1,24 e Lc 4,14).
Il titolo oJ dikaio che ricorre in At 3,14; 7,52; 22,24 e che il C. interpreta come il vero inviato di Dio a Israele, una qualifica data al servo
del Signore in LXX Is 53,11 a cui si riferisce in At 3,13.26; 4,25.27.30 con
il titolo oJ pai ripreso da LXX Is 52,13 (cf. LXX Is 50,10 e 42,1), cosa
che Jervell nega categoricamente (p. 94 nota 262) interpretandolo nel senso
generico di uomo di Dio, bench LXX Is 53,7-8 sia citato per esteso in
At 8,32-33 e riferito a Ges e alle sue vicende (At 8,35).
Ci attesta che la cristologia di Atti non favorisce lipotesi di una tendenza giudaica dellopera, perch una tale interpretazione cristologica della
Scrittura era patrimonio comune alla tradizione cristiana primitiva (cf. Mc
10,45 parr. e Lc 22,37).
Quanto allo Spirito il lettore si imbatte nella curiosa affermazione che
esso dato per condurre allobbedienza verso la Legge (p. 101 nota 321),
una idea che si trova solo nella sintesi dellultimo Paolo (Rm 8,4), ma che
non si legge in nessuna parte del testo di Atti, dove lo Spirito dato per la

186

N. CASALINI

fede in Ges (At 2,38; cf. 8,14-17; 19,2-7) e come segno della accettazione presso Dio e testimonianza di Dio stesso in favore di coloro che hanno
aderito a Ges Cristo (At 10,44-47; 11,15-17; 15,8-9).
Tenendo conto di questo, mi sembra di dover concludere che lesame
della lingua e della teologia del testo non siano prove sufficenti per fare
del libro degli Atti degli Apostoli unopera giudaica. Ma non si pu negare
che lA. rievochi con fascino, e forse anche con nostalgia, le origini della
Chiesa in Gerusalemme (At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16; 6,1-6), la fedelt
dei credenti al Tempio (At 2,46a; 5,12), lo zelo legale di Pietro (At 10,916) e di Paolo (At 18,18; 21,20-26). Ma la descrizione del superamento
del Giudaismo, sia etnico che legale, talmente evidente ed narrato con
tale vigore da non lasciare alcun dubbio: per la fede in Ges Cristo, Dio ha
costituito una nuova entit salvifica, la Chiesa, formata dai credenti provenienti dal giudaismo e dai popoli non giudei che hanno accolto il messaggio
che i Giudei hanno respinto (At 8,1; 13,46-47; 18,6; 28,25-28).
Perch lA. ha scritto questo testo? Forse per assicurare i credenti non
giudei provenienti dai popoli, che la Chiesa a cui appartenevano costituiva realmente Israele, il popolo di Dio e quindi erede delle promesse di
salvezza compiute da Dio in Cristo? Cos propone Jervell (pp. 88-89) con
riferimento a Lc 1,4. Ma chi legge con attenzione questo passo e poi tutto
il racconto nota che lo scopo per cui stato scritto altro: mostrare il modo
in cui la parola di Dio si diffusa ed cresciuta (At 6,7; 12,24; 19,20) per
mezzo della testimonianza resa a Ges dagli Apostoli, che lhanno portata fino al confine della terra, giungendo con Paolo a Roma, secondo il
mandato di Ges Cristo risorto e con la guida dello Spirito, quale si legge
in At 1,8 che funge da programma narrativo e teologico. Quindi, se questo
lo scopo evidente del libro, perch sovrapporre ad esso un altro che gli
estraneo?
Fatte queste riserve sulla scelta ermeneutica fondamentale, bisogna riconoscere che il commento di Jervell agli Atti degli Apostoli pregevole,
corredato di una consistente bibliografia generale (pp. 9-48) e di dossier
bibliografici speciali per ogni pericope, che attestano lalto valore critico
dellopera, che appare con chiarezza nella sintesi (Zusammenfassung) con
cui conclude ogni punto del testo commentato, indicando le tradizioni e le
fonti supposte nel racconto e valutandole con il metodo storico.
Quindi il commento merita di essere consultato da coloro che si dedicano allo studio di questo libro del Nuovo Testamento, se non altro per
il diverso punto di vista con cui effettuata la lettura che qualche volta
preferibile a quella pi diffusa, anche se il C. in molte scelte esegetiche
marcatamente tradizionale, e spesso concede alle notizie dellA. una sicu-

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

187

ra validit storica, anche l dove altre fonti costringerebbero a mettere in


dubbio lesattezza della notizia (cf. il caso del decreto apostolico che per il
C. effettivo, ma che Paolo in Gal 2; 1Cor 810; Rm 14 ignora del tutto)
(pp. 403-407).
C. K. Barrett: gli Atti come opera storica
Charles Kingsley Barrett, A Critical and Exegetical Commentary on the
Acts of the Apostles. In Two Volumes (The International Critical Commentary). Volume I: Preliminary Introduction and Commentary on Acts I-XIV,
Edinburgh 1994, latest impression 1998; Volume II: Introduction and Commentary on Acts XV-XXVIII, T. & T. Clark, Edinburgh 1998.
Il commento di Barrett agli Atti degli Apostoli composto di due
volumi. Il primo, pubblicato nel 1994, comprende una Bibliografia scelta
(pp. xiii-xxiii) con commenti e opere interessate allargomento; una cartina
geografica delle regioni e territori ricordati nella storia commentata; una
Preliminary Introduction (pp. 1-58) con i dati essenziali (per lo pi realia)
riguardanti il testo (I, pp. 2-29), lautore (II, pp. 30-48), le fonti di Atti 1-14
(III, pp. 49-56), il contenuto in sintesi secondo pericopi di Atti 114 (IV,
pp. 57-58), il commento effettivo a Atti 114 che procede secondo versetti
(pp. 59-693). Il secondo volume, pubblicato nel 1998, comprende aggiunte
bibliografiche (pp. xi-xv), una riproduzione della stessa carta geografica
con le localit connesse con la vicenda narrata (pp. xvi-xvii), una Introduction molto estesa (pp. xix-cxx) in cui tratta di nuovo e brevemente del
testo (I, pp. xix-xxii, con bibl.); ancora, ma in sintesi, delle fonti (II, pp.
xxiv-xxxii, con bibl.); del valore di Atti come documento storico (III, pp.
xxiii-lxii, con bibl.); di Atti nella storia o sulla sua incidenza nella storia
della Chiesa e dellesegesi (IV, pp. lxiii-lxxxi, con bibl.); della teologia di
Atti (V, pp. lxxxii-cx, con bibl.) e di una Conclusion (pp. cxi-cxviii), in
cui il C. riassume la sua valutazione storica e teologica del testo e del suo
A. Segue una breve sintesi per pericope del contenuto di Atti 1528 (pp.
cxix-cxx), il commento effettivo a Atti 1528 (pp. 695-1253), un indice
generale (pp. 1255-1272).
Nelle due cartine geografiche manca il nome di Antiochia di Pisidia,
anche se la localit segnata con un punto oscuro a sud della Licaonia e a
nord nel tracciato di confine della Pisidia.
Il motivo della prassi inconsueta di fare due Introduzioni, una preliminare nel primo volume e una effettiva nel secondo, indicato dal C. in

188

N. CASALINI

I, pp. 1-2: trattandosi di un commento in divenire, pi ragionevole fare la


sintesi dei diversi problemi solo alla fine, quando tutti i dati del testo sono
stati singolarmente esaminati.
In effetti, lintroduzione preliminare al primo volume contiene per lo
pi i dati effettivi e reali sulla tradizione del testo e le opinioni antiche
sullA. di Atti. La seconda invece affronta per esteso tutti i problemi pi
dibattuti sul testo stesso, sulle fonti (ricapitolando e completando ci che
aveva detto nel primo volume), sullA., il valore storico dellopera e la sua
teologia.
Il commento procede per pericopi. data una tradizione, seguita da
bibliografia esaustiva ma indicata in forma sintetica e abbreviata (nome
dellautore, sigla e numero della rivista, anno e pagina), un sistema questo
che non a tutti potrebbe piacere e che forse non editorialmente conveniente, ma che il lettore interessato sapr come apprezzare. Segue il commento
preceduto da un inquadramento della sezione di testo esaminata versetto
per versetto.
Il commento effettivo di una ricchezza esegetica incomparabile. Per
chiarire il senso delle parole, di locuzioni specifiche e di forme sintattiche,
il C. cita abbondantemente, con competenza e precisione da antichi autori
classici (greci e latini) e da testi giudaici (greci ed ebraici, in particolare
dalla letteratura intertestamentaria e Qumran, ma con costante attenzione
alla tradizione rabbinica).
Solo dopo accurata ponderazione delle diverse testimonianze, propone
la sua interpretazione, ma con prudenza e in colloquio effettivo con altre
ipotesi gi diffuse nella letteratura esegetica, in particolare quelle di lingua
tedesca, con cui si mostra familiare come se fosse la propria.
Questo procedimento pone il commento di Barrett nella grande tradizione filologica che ha reso dovunque celebre The International Critical
Commentary (ICC) di Edinburgh e lo rende uno strumento indispensabile
per ogni studioso del testo di Atti, difficilmente eguagliato da altri usciti
nello stesso periodo, e probabilmente insostituibile per molto altro tempo.
Fatto questo atto di riconoscimento scientifico, bene indicare i tratti
pi notevoli della sua interpretazione, dedicando attenzione alle questioni
generali e discutendo criticamente alcune delle sue ipotesi fondamentali.
Anche se queste sono formulate con la prudenza indicata, qualche volta
possono stupire per il loro carattere minimalista: il C. pare dire sempre
di meno di ci che il testo effettivamente dice o invita a ipotizzare con
ragione.
La trattazione sulla tradizione del testo esaustiva e assume una consistenza degna di nota (I, pp. 2-29; II, pp. xix-xxii), come si addice ad ogni

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

189

opera veramente filologica. I testimoni pi importanti (Papiri, Codici Unciali, Minuscoli, Versioni: latina, antica e vulgata; siriaca: antica, peshitta,
filoxeniana, harclensis; copta: sahidica, boharica, medio-egiziana) sono descritti con cura e precisione analitica, insieme alle testimonianze dei Padri
greci e latini dei secoli II, III, IV. Seguendo lopinione oggi prevalente, il
C. non ha dubbio che il testo pi vicino alloriginale sia quello preservato
nei Codici unciali antici (a ABC) e dai papiri P45 e P74 (I, p. 21).
Ma la sua attenzione critica dedicata in modo particolare, e direi preponderante, al tipo di testo di Atti detto occidentale, attestato come noto
dal Codex Bezae Cantabrigensis (D), ma ugualmente antico come testimoniano i papiri (P38 e P48), le antiche versioni (latina, siriaca , medio-egizia),
lapparato della siriaca harclensis, il testo citato da Ireneo e Cipriano, e il
minuscolo 614.
Su questo problema, oggi tanto dibattuto, egli ha unopinione speciale
che merita di essere presa in seria considerazione, anche se non pu giustificare tutti i dati di fatto reali. Barrett esclude con decisione lipotesi di
due edizioni di Atti fatte dallo stesso A. (Luca), come proposto da F. Class
e Th. Zahn, e in tempi pi recenti da M.-. Boismard - A. Lamouille (Le
texte occidental des Acts des Aptres, 2 voll., Paris 1984).
A costoro e alla loro ricostruzione dedica molta cura (I, pp. 24-25), ma
corregge la loro tesi fondamentale. Piuttosto che parlare di due sole forme
di testo occidentale, di cui la seconda (TO2) sarebbe la corruzione di una
prima (TO) fatta dallA., preferisce parlare di molteplici tradizioni del testo
occidentale (TO1 TO2 TOn) (I, pp. 25-27) e in modo pi preciso di tipi
diversi del testo occidentale, che non si lasciano ricondurre a un solo archetipo principale. Essi sarebbero sorti indipendentemente luno dallaltro,
in luoghi diversi, e in un tempo in cui il libro degli Atti non godeva ancora
uno statuto canonico (II, pp. xx-xxii).
Ci potrebbe apparire ragionevole e problematico nello stesso tempo.
Che una tendenza alla parafrasi si noti anche nel testo cosiddetto occidentale
del Vangelo potrebbe dargli ragione. Tuttavia alcune aggiunte e mutazioni
del testo occidentale di Atti sono cos determinate, specifiche ed estese, che
non si pu escludere lipotesi di una recensione locale molto antica, dovuta allopera di un editore, secondo lipotesi qualificata di J.H. Ropes (cf.
F.J. Foakes Jackson - K. Lake, The Beginnings of Christianity, Part I vol. 3,
ccxxvii-ccxxix) che il C. riporta in I, p. 23, soprattutto se anche lui ritiene
che il tipo pi qualificato di questa tendenza occidentale sia attestato inequivocabilmente nel codice bilingue (latino e greco) detto di Beza (D).
Forse al lettore italiano potrebbe interessare il fatto che laltra opera di
M.-. Boismard e di A. Lamouille (Les Actes des deux Aptres, voll. 1-3,

190

N. CASALINI

Paris 1990), in cui propongono lipotesi di un testo di Atti pre-lucano (At


I), costruito su un documento originario petrino (DocP), da cui deriverebbe quello di Luca (At II), che quello occidentale e una revisione non
lucana di questo (At III) che quello dei codici unciali (a A B C), cordialmente ma decisamente lasciata da parte come ipotesi possibile ma al di
l di ogni seria discussione, per mancanza di prove (II, pp. xxx-xxxi).
Sul problema delle fonti di Atti 114(15), Barrett recupera in parte le
ricerche precedenti di A. von Harnack, M. Dibelius e J. Dupont, ma le
ripropone con modifiche radicali. Per At 25 parla di storie che Luca ha
raccolto in Gerusalemme, in cui ha inserito i discorsi di cui aveva trovato
qualche esemplare tipico nelle sue fonti (I, p. 54), che potevano essere orali
o scritte (II, p. xxiv).
Ci non si pu escludere. Ma data la tendenza idealizzante e teologizzante di questi capitoli, riconosciuta da tutti i commentatori, che appare
evidente non solo nella descrizione ideale della vita della comunit primitiva quale si legge nei sommari (At 2,42-47; 4,32-35; 4,365,11; 5,12-16),
ma anche nella trasformazione simbolica di realt della fede (ascensione e
discesa dello Spirito a Gerusalemme) (At 12), molto pi prudente parlare di ricostruzione effettuata dallA. sulla base di qualche tradizione o
esperienza teologica verosimile e reale.
Ci sarebbe confermato dal procedimento narrativo parallelo da lui
adoperato in At 3,14,31 e At 5,12-42 in cui A. von Harnack vedeva un
doppione o una ripetizione dello stesso evento (At 3,1-10.11-26; 4,1-4.522.23-30.31-33; 4,345,11.12-16 e At 2,1-13.14-36.37-41; 5,17-21a.21b41.42), ma che probabilmente solo uno schema narrativo, usato dal
narratore per far procedere il racconto secondo un ordine verosimile da lui
supposto, sulla base di qualche elemento effettivo e di qualche informazione del luogo.
La prova pi evidente di questa ipotesi letteraria nel fatto che Luca
in At 15 e poi in At 612 riassume in modo contratto e sintetico, spesso
tipico, eventi differenti come se fossero accaduti in poco tempo, ma che
di fatto riguardano pi di un decennio, e lunico riferimento storico da lui
fornito la notizia della morte di Erode Agrippa I (At 12,20-32), accaduta
con ogni probabilit nellagosto del 44.
Per le fonti di Atti 614 (o 15) preferisce parlare di tradizioni locali diverse e di tradizioni raccolte dallA. Accetta quindi come probabile
lipotesi di una fonte antiochena, le cui tracce sono individuabili in At 6,5
(Nicola, proselito di Antiochia), At 11,19-29 (la fondazione della comunit), At 13 e 14 (la missione della Chiesa di Antiochia in Cilicia, Pisidia e
Licaonia) e in parte di At 15. Ma suppone che in questa fonte fondamentale

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

191

lA. abbia inserito materiali provenienti da unaltra fonte che riguarda per
lo pi Cesarea. Tuttavia, in questa fonte di Cesarea, distingue chiaramente
un ciclo di storie su Filippo (At 8,513,26-40) e un ciclo di storie su Pietro
(At 10,1-11,18; 12,8-17 e forse anche At 3,1-10 e 9,32-43) (II, p. lxxiv).
Sulla natura di queste fonti diverse, in particolare se fossero fonti
scritte, preferisce essere prudente (I, pp. 56-57). Ma le indicazioni generiche attestano che egli opera con il principio metodologico delle tradizioni
legate ai luoghi e tramandate dalle comunit locali (Gerusalemme: At 25,
con il ciclo di Stefano At 67 e forse parte di At 12; Cesarea: At 8 e 1011
in parte; Antiochia At 13 e 14), dove lA. ha assunto informazioni, forse
anche dirette: per es. da Filippo evangelista, che ha ospitato Paolo nella
sua casa (At 21,8), e naturalmente su Paolo stesso e la sua conversione (At
9,1-9) (II, p. xxiv).
Ma nellapplicazione di questo criterio metodologico, Barrett non
sempre coerente. Per es., non pensa che si possa supporre la stessa cosa
per le notizie su Barnaba (At 4,36; 11,22; 13,1) e Giovanni detto Marco
che lA. cita spesso con questo soprannome (At 12,12-17.25; 13,5), che
sono gli unici da cui poteva sapere alcune notizie delle storie narrate in At
615. In questo caso infatti potremmo supporre con ragionevolezza che le
informazioni da lui ricevute risalissero direttamente a loro.
Con ci si vuole dire che se il C. accetta lipotesi verosimile di un
contatto diretto del narratore con levangelista Filippo per le informazioni
su Cesarea (At 21,8), dovrebbe supporre la stessa cosa per Barnaba o per
Giovanni Marco per notizie che solo costoro potevano dare (At 4,36 e At
12,12-17) e che difficile attribuire a una generica tradizione locale.
La stessa metodologia applica nel discorso sulle fonti di Atti 1528 (II,
pp. xxv-xxx). Ma lanalisi che propone non molto chiara e in qualche
asserzione potrebbe sembrare anche contraddittoria. Il problema in questo
caso sorge dalle pericopi con il noi che compare per la prima volta in At
16,10 e lultima in At 28,10-16 (cf. At 16,10-[14]-17; 20,5-8.13-15; 21,18.11.12.14-18; 27,1-8.15.16.18.20.27.29.37; 28,1.2.7.10-16).
Data la loro evidente disseminazione in tutta questa parte del racconto
(At 1628, eccetto un vuoto da At 21,19 a At 26,32 che riguarda il processo
di Paolo a Gerusalemme e Cesarea) e la loro presenza preponderante nei
rapporti di viaggio (per terra e mare), il C. accetta lipotesi di un Itinerario di viaggio (gi fatta da M. Dibelius), ma la integra con una ipotesi
di E. Hnchen: lA. di Atti avrebbe usato una fonte scritta che potrebbe
essere stata composta direttamente da Luca, il collaboratore di Paolo (cf.
Fm 24; Col 4,14; 2Tim 4,11), ma lavrebbe completata da At 16,20 a At
21,18 aggiungendo alle brevi notizie di viaggio storie costruite su infor-

192

N. CASALINI

mazioni dirette da lui prese o visitando i luoghi indicati da tale percorso o


integrando tradizioni tramandate in altro modo, in particolare per lultimo
viaggio (At 27,128,16).
In questo modo Luca e lA. di Atti sarebbero due persone distinte: il
primo avrebbe scritto quasi tutto il testo base di At 1628 che il secondo
avrebbe integrato per comporre il libro. Quindi lA. di Atti non sarebbe
uno solo e il collaboratore di Paolo (Luca) non avrebbe composto tutto,
ma solo quella parte in cui compare il noi (da At 16 a At 28), integrata
dallA. che ha dato forma al tutto (II, pp. xxix-xxx).
Se questa sia la soluzione migliore del problema, giudichi il lettore.
Lunica obiezione fondamentale nasce dallunit di stile che lo stesso in
tutta la narrazione, nonostante che colui che ha scritto il testo faccia uso
deliberato della variatio retorica per differenziare i personaggi, mutando lo
stile dei loro discorsi.
Dato che questa distinzione tra Luca e lA. di Atti difficile da provare e da giustificare, anche le ipotesi che Barrett fa sullautore non sono
univoche e chi legge non sa a chi le deve applicare, se a Luca o allA.,
perch lo stesso C. non sempre coerente, per levidente difficolt di conciliare lautore della fonte e quello della narrazione generale.
Spesso ne parla come se in realt non ci fosse tra loro distinzione.
Nella raccolta delle opinioni della tradizione antica opera con lipotesi
che unico sia lA. del Vangelo e di Atti attribuiti a Luca (I, p. 30). Nella discussione sulle fonti di At 1628 distingue tra Luca, autore della
fonte, e lA. della narrazione (II, pp. xxv-xxx). Nella trattazione su Atti
come documento storico (II, pp. xlii-xlv) riafferma la distinzione tra lA.
di Atti e Luca, autore della fonte con il noi (At 1628), ma esclude
categoricamente che lA. di Atti fosse un compagno di Paolo, perch il
ritratto che fa di lui e delle sue vicende reali troppo diverso da quello
che emerge dalle sue lettere (II, pp. xliv-xlv). In questo modo, senza
rendersene conto, il C. mette in dubbio la sua ipotesi. Se colui che ha
scritto la fonte base di At 1628 (il supposto Luca), ignora realmente
Paolo, come possibile sostenere ancora che tale fonte con il noi sia
da attribuire a un compagno di viaggio di Paolo?
Questa aporia non risolta e nel seguito dellesposizione egli parla
genericamente di Luca come se fosse lo stesso autore del testo. Quindi
il problema cruciale del rapporto tra lA. di Atti e la fonte del noi resta
senza soluzione. Per chi cerca di uscire dal dilemma, forse utile la lettura del saggio recente di A.J.M. Wedderburn, The We-Passages in Acts:
On the Horns of the Dilemma (ZNW 93 [2002] 78-98), che mantenendo
lunit di autore del testo, ritiene che il noi sia un mezzo stilistico da lui

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

193

adoperato per riferirsi al testimone diretto che lo ha informato sui viaggi e


le vicende dellultimo Paolo.
Per il resto, il C. non mostra eccessivo interesse per lorigine dellA.,
probabilmente perch non la ritiene essenziale per la comprensione. Suppone infatti che non fosse giudeo o ebreo e sembra aderire allipotesi corrente
che fosse un greco che aveva aderito al cristianesimo (II, p. xlviii). Ma
nella sua valutazione conclusiva (II, pp. cxi-cxviii) lo lascia apparire come
ellenista o sostenitore della tendenza ellenista nella comunit primitiva,
che potrebbe suggerire una diversa origine: che fosse un greco convertito al
Cristo, dopo essere stato un simpatizzante o proselito del giudaismo.
Ci determina in modo indiretto la valutazione di Barrettt sul suo atteggiamento verso i giudei e verso la legge. Ritiene infatti che lA. non sia ben
informato sugli affari giudaici, come invece lo su quelli greco-romani (II,
p. cxiv). Ma fuori dubbio che descrive la maggioranza dei giudei come
ostili alla fede di Ges Cristo (II, p. xcviii) e tende al compromesso sul
problema dellosservanza della Legge: non tutto di questa, ma alcune norme devono essere osservate dai popoli che vogliono accedere alla salvezza
e alla fede (II, pp. xcix-ci).
Questo un giudizio molto grave, che riguarda la comprensione che
Barrett ha della teologia di Atti, a cui si dedica ora lattenzione. Egli la
esamina con molta cura e spirito critico (II, pp. lxxxii-cx), non risparmiando lA. dal suo severo giudizio (II, pp. cxi-cxviii): Luca come teologo
semplicemente declassato. Non solo dice che non era abile in teologia (II,
p. cxvi) e che non ha compreso la profondit teologica di Paolo. Ma afferma anche che probabilmente lo ha confuso, facendo di lui un ellenista,
rappresentante del giudaismo greco, bench egli si dicesse con orgoglio
ebreo (2Cor 11,22; Fil 3,5) (II, p. cxiii) e presentandolo come sostenitore
di un decreto apostolico, che imponeva agli altri popoli alcune condizioni
legali per accedere alla salvezza (At 15,29), che Paolo ignora (Gal 2,1116). Il Vangelo senza legge annunciato da Paolo ignorato da Luca (II,
p. cxvi).
Sarebbe troppo lungo affrontare in questa sede un problema cos annoso
e grave, quale il rapporto tra il teologo autore di Atti e lepistolario di
Paolo. Una sola cosa basta rivelare, che pu rendere problematica largomentazione critica di Barrett, totalmente sfavorevole allA.
Il cosiddetto decreto apostolico (At 15,20.29), a cui egli dedica
unattenzione eccezionale (II, pp. xxxvi-xli; II, pp. 695-746), non indica
condizioni per accedere alla salvezza, ma solo norme o disposizioni per
preservare la fede acquisita e la condotta richiesta dalla nuova condizione
salvifica conseguita per grazia, come attestano senza equivoco le parole

194

N. CASALINI

di Pietro in At 15,11: Noi crediamo che per la grazia di Cristo Ges sono
salvati allo stesso modo anche quelli.
Su questa esegesi potrebbe concordare anche il C. che nellinterpretazione del decreto fa rilevare che quelle norme sono affini alle tre regole
inalienabili per preservare la fede giudaica: astenersi dallidolatria (alisgh/
mata twn eidwlwn), dal disordine sessuale che riguarda anche lincesto
(porneia) e probabilmente dallomicidio (aima) (II, pp. 734-735).
Se anche questo ultimo divieto fosse incerto e solo cultuale, gli altri due
sono solo regole per non ricadere nel culto degli idoli e nellimmoralit del
passato. probabile quindi che su questo punto il suo giudizio esegetico e
teologico debba essere sottoposto al vaglio critico, perch il senso esplicito
del testo non favorevole al modo in cui da lui interpretato.
Ma questo non lunico soggetto teologico in cui il suo giudizio risulta
problematico. Ci si limita qui a quelli in cui la sensibilit di un lettore cattolico pi affinata di ogni altro, non in quanto cattolico ma come uomo
educato al rispetto della tradizione tramandata nel testo, in particolare sui
cosiddetti sacramenti delliniziazione (battesimo e eucarestia) e sui ministeri (apostoli e ministri).
Quanto al battesimo (II, pp. cxi-xcii), Barrett ha ragione, quando fa
rilevare che il narratore non chiaro sui rapporti tra battesimo con acqua
e battesimo nello Spirito. Da At 2,38 si potrebbe desumere che lo Spirito
dato dopo il battesimo per il perdono dei peccati. Cos infatti descritto
il loro rapporto anche in At 8,14-17 (il battesimo dei Samaritani) e in At
19,1-7 (il battesimo dei discepoli di Giovanni effettuato da Paolo). Nei due
casi lo Spirito scende su di loro dopo e per imposizione delle mani di un
apostolo. Ma in At 10,44-48 lo Spirito scende su Cornelio e la sua famiglia in modo libero e prima del battesimo in acqua, che Pietro costretto
a dare, perch lo Spirito lo ha preceduto per indicare il volere di Dio da
compiere.
Ritengo tuttavia che egli abbia torto, quando suppone che esso (il
battesimo) fosse probabilmente inessenziale e che si poteva accedere alla
fede solo con il pentimento per il perdono dei peccati, traendo conferma
di questo dal fatto che nel discorso di Pietro nel tempio (At 3,11-26) non
c un invito al battesimo; nel fatto che non si parla mai di questo rito nel
primo viaggio missionario di Barnaba e Saulo (At 13 e 14) e nel fatto che
nominato raramente nel secondo: At 16,15.33 (Lidia e il carceriere di
Paolo a Filippi); At 18,8 (Crispo, capo della sinagoga, la sua famiglia e
molti altri in Corinto).
Come noto, dal silenzio non si pu trarre un argomento storico decisivo. Ma il C. interpreta lomissione del riferimento a tale rito come cosa non

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

195

senza importanza per lesistenza o non esistenza del fatto esaminato (II,
p. xcvi). Tuttavia lobiezione pi grave sta nel fatto che non verosimile
supporre che Luca, scrivendo per confermare Teofilo nelle cose accadute in
passato e su cui era stato informato (Lc 1,1-4; At 1,1), voglia mostrare che
allora si potesse accedere alla fede e alla Chiesa senza battesimo, se questa
era la prassi normale seguita alla fine del I secolo, in cui egli suppone che
il testo sia stato scritto (II, pp. xlii-xliii). Non si d conferma a nessuno su
ci in cui stato istruito mostrando che accadeva in altro modo!
Quanto al problema del rapporto tra il dono dello Spirito e limposizione delle mani, il C. si mostra incerto: noi non sappiamo (II, p. xcii).
Ma il narratore sicuro. In At 8,14-17 e At 19,1-7 gli unici episodi dove
descritto il rito, lo Spirito dato solo con limposizione delle mani di un
apostolo. Pietro e Giovanni sono inviati a Samaria a questo scopo, bench
il gruppo fosse gi stato battezzato per aver aderito allannuncio di Ges
Cristo portato da Filippo.
Quindi, perch dire che non sappiamo, se il narratore non lascia dubbi
sulla prassi seguita nel testo? Anche se lo Spirito libero e precede lapostolo, come nel caso di Cornelio (At 10,44-48), solo lapostolo deputato
a concederlo con limposizione delle mani, dopo che il credente ha ricevuto il battesimo. Un duplice atto rituale descritto per significare un solo
evento salvifico costituito dal perdono dei peccati e dal dono dello Spirito
(cf. At 2,38).
Sulla eucarestia il dubbio del C. anche pi grave (II, pp. xcii-xciii).
Non solo pensa che la Chiesa di Luca non avesse una eucarestia, ma interpreta lespressione spezzamento del pane (hJ klasi touv artou) (At
2,42) o spezzare il pane (klasai arton) (At 2,46 e 20,7.11; 27,35)
come indicazione sintetica di un pasto normale completo, secondo lantica ipotesi di J. Jeremias, con cui i cristiani indicavano la loro comunione
(koinwni/a), mangiando insieme per condividere i loro beni a vantaggio dei
poveri. Ma non esclude che in questi pasti in comune essi ricordassero la
morte del loro Signore che aveva dato se stesso per loro (II, p. xciii). Nega
categoricamente che qualcuno fosse deputato al ricordo delle parole che
egli disse nellultimo pasto, bench deve rilevare che nellunico pasto ricordato in modo effettivo, lo spezzare del pane sia fatto da Paolo, che guida
lincontro nel giorno primo della settimana (At 20,7.11) (II, p. xcvii).
Ci molto poco e forse anche di meno di ci che offre il testo. Da
questo evidente che almeno in due casi citati (At 2,42 e 20,7.11) lo spezzamento del pane (hJ klasi touv artou) (At 2,42) e spezzare il pane
(klasai arton) (At 20,7.11) non indicano un pasto normale e in comune,
ma quello specifico, che noi diciamo cultuale.

196

N. CASALINI

Infatti, in At 2,42 indicato insieme alle altre caratteristiche istituzionali della comunit primitiva (linsegnamento degli apostoli e le preghiere) ed distinto dalla comunione (dei beni) (koinwni/a). In At 20,7 dice
espressamente che essi si radunano nel primo giorno della settimana (ejn
de\ thv mia twn sabba/twn) per spezzare il pane, che come noto era il
giorno della riunione della comunit, come attestato da 1Cor 16,21 che
anche il giorno in cui risorto il Signore secondo Mc 16,2 e che in Ap
1,10 (un testo contemporaneo di Atti!) chiamato il giorno del Signore
(en th kuriakhv hJmera).
Degli altri due testi non si pu affermare la stessa cosa con certezza.
In At 27,37 un pasto normale. Paolo spezza il suo pane ringraziando per
mangiare ed esortare i marinai a prendere cibo (metalabein trofhv),
perch da molti giorni non mangiano (At 27,33-34). Dunque non un invito a un pasto eucaristico o di tipo eucaristico, come sembra suggerire il
Barrett, quasi fosse un mezzo per ottenere la salvezza dal naufragio (II, p.
xcii), ma per riprendere forza e affrontare il pericolo.
Dubbio resta il caso di At 2,46 dove lo spezzare il pane in casa unito alla
espressione prendere cibo (metelambanon trofhv) e ci favorisce linterpretazione che si tratti del pasto familiare e non di quello in comune, cultuale.
Quindi se il testo indica delle differenze effettive, non conviene supporre una mancanza di distinzione tra eucarestia e pasto comune. E il C.,
anche in questo caso, non sembra adempiere bene la sua funzione, lasciando intendere che forse leucarestia era inesistente nella Chiesa di Luca e
che il pasto in comune dei credenti serviva solo alla condivisione dei beni
(koinwni/a) con i pi poveri.
Contro questa interpretazione sociologica, oggi molto comune, c la
notizia evidente che i beni messi in comune (hn aujtoi apanta koina/: At
4,32), erano distribuiti a ciascuno secondo la necessit (At 4,35b) e che al
bisogno dei poveri (in particolare delle vedove) provvedevano con mense
collettive quotidiane (At 6,1-2), servite e amministrate dagli apostoli, a cui
i beni erano consegnati per amministrazione di tutti (At 4,35a.37).
Con ci sono giunto al punctum dolens dellinterpretazione di Barrett:
il modo in cui egli tratta degli apostoli e ministri in Atti (II, pp. lxxxviiilxxxix), che poi fondamentale per la collocazione del testo nella storia
della teologia del cristianesimo primitivo.
Per liberare il libro degli Atti dallaccusa infamante di essere un testimone del Protocattolicesimo (Frhkatholizismus) con cui era stato
squalificato dalla tradizione esegetica di lingua tedesca (II, pp. xciii-xcvii),
per lo pi protestante, attenua ogni riferimento esplicito ai ministeri e alle
funzioni degli apostoli nella chiesa primitiva, come se essa fosse stata una

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

197

entit sociale senza istituzione, governata direttamente dallo Spirito e


mantenuta unita e viva dalla parola dellannuncio (II, p. xcvi).
Ci teologicamente corretto. Ma nella descrizione di Atti la parola
cresceva e aumentava, perch trasmessa dalla testimonianza degli apostoli, a cui era stato affidato il mandato esplicito di testimoniare dovunque
Ges Cristo (At 1,8) e da coloro che essi hanno associati al loro servizio
(diakoni/a) (At 6,1.4); e lo Spirito, che libero nel suo operato (At 2,14; 4,31; 10,44), si serve della voce dei profeti o comune (At 13,1-3) per
designare coloro che sono destinati a un compito apostolico (Barnaba e
Saulo: At 13,3 e 14,4.14), che a loro volta designano anziani o presbiteri
(presbu/terou) per ogni Chiesa (kat ekklhsi/an), imponendo ad essi le
mani (ceirotonh/sante de\ aujtoi) (At 14,23), con la funzione di essere
sorveglianti (ejpi/skopou) del gregge loro affidato per ispirazione dello
Spirito, come risulta da At 20,28.
Dunque, un minimo di organizzazione istituzionale della chiesa non
pu essere negato e non deve esserlo per non dire di meno di ci che lA.
di Atti descrive nel suo racconto, perch questo quadro generale potrebbe
diventare pi preciso, se io volessi procedere con pi rigore esegetico nel
descrivere il modo in cui presentata la funzione degli apostoli o inviati
(apo/stoloi) e il loro mandato.
fuori dubbio, come dice Barrett, che nel racconto essi sono identificati narrativamente con i dodici (II, p. lxxxix): in At 1,26 Mattia, scelto
al posto di Giuda, associato agli undici; in At 2,14 Pietro si alza con
gli undici per parlare al popolo. Essi, gli apostoli (oi apo/stoloi) sono il
protagonista collettivo delle vicende narrate in At 5,12-24 e la loro funzione
non solo di dare lannuncio, ma anche di amministrare con autorit i beni
della Chiesa, regolando con disciplina la stessa vita della Chiesa.
Ci appare chiaro da At 4,32-37 e soprattutto dallepisodio sconvolgente della punizione mortale di Anania e di Saffira sua moglie per insincerit
nelluso del denaro che avevano destinato al bene comunitario (At 5,1-11).
Quindi, se anche Barrett riconosce la gravit di questo fatto, non pi possibile sostenere che gli apostoli non godessero di autorit amministrativa(II,
p. xcv). Il testo descrive la prassi contraria.
Pi grave il problema della successione apostolica che egli nega categoricamente dicendo che la funzione degli apostoli non trasmissibile (II,
pp. xcv.xcvi), anche se il loro mandato (task) pu essere eseguito da altri
senza altra condizione se non lessere cristiani, come nel caso del gruppo
dei Sette da loro designati (At 6,1-6).
Ma basterebbe solo questo fatto per mostrare che non chiunque pu
assumersi davanti alla Chiesa il mandato apostolico, senza autorizzazione

198

N. CASALINI

di coloro che lo detengono. Anche se il testo non chiaro sulle funzioni che
essi demandano, non si pu dubitare che essi sono associati al loro servizio
(diakoni/a) e che questa associazione li abilita non solo al servizio delle
mense, ma anche alla testimonianza per Ges Cristo, come attesta il racconto che segue su Stefano (At 6,77,59) e su Filippo (At 8,4-13.26-40).
Quindi anche se in At 6,1-6 manca la parola dia/kono, come giustamente Barrett fa rilevare (II, p. xc), la parola diakoni/a usata due volte (At
6,1.4) e il verbo diakonein usato una volta per indicare la sua attuazione
(At 6,2). Quindi ogni lettore cristiano, anche il pi incompetente, non pu
non notare che lA. di Atti, senza usare quel titolo, gli indica lorigine di
quella funzione gi chiaramente definita nelle Chiese fondate da Paolo (cf.
Fil 1,1: su\n ejpisko/poi kai\ diako/noi), poi codificata nelle lettere pastorali (cf. 1Tim 3,8-13).
Pi difficile risolvere il problema del successore di un apostolo,
per il quale sembra mancare ogni testimonianza nel racconto di Atti. Dovremmo quindi dare ragione a Barrett che afferma decisamente che degli
apostoli non c successione (II, p. xcvi). Ma opportuno riesaminare pi
attentamente il testo.
Anche lui riconosce che Barnaba e Saulo ricevono espressamente il
titolo di inviati (apo/stoloi) nellesercizio del loro mandato (At 14,4.14).
Ma lo spiega dicendo che Luca non ha saputo armonizzare la fonte antiochena a sua disposizione, che discorda con il criterio da lui stesso indicato
per lassunzione nella funzione apostolica in At 1,21.22 nellinvestitura di
Mattia (II, p. lxxxix).
Viene da domandarsi se una spiegazione diversa non sia narrativamente
pi valida. Il narratore infatti ha descritto con tale solennit lassegnazione del loro mandato (At 13,1-3) per suggerire in questo modo un evento
unico e degno di rilievo: linvestitura al servizio apostolico (diakoni/a kai
apostolh/) (cf. At 1,25), per mezzo della Chiesa, riunita sotto la guida
dello Spirito. Per questo attribuisce a loro il titolo di apostoli o inviati, mentre assolvono il compito che stato loro affidato per mezzo della
imposizione delle mani dei profeti e dei dottori che costituivano il corpo
dirigenziale della comunit.
Anche in questo caso (At 13,1-3), come in At 6,1-6, non c il titolo
apo/stoloi nellatto di assegnazione del mandato o del compito. Ma a
differenza dellaltro, questa designazione loro attribuita esplicitamente
in modo effettivo mentre lo eseguono (At 14,4.14).
Ci dovrebbe bastare a chi legge per acuire lo sguardo e comprendere
ci che lA. di Atti vuole comunicare con il suo stesso modo di narrare,
anche se la mancanza di affermazioni esplicite potrebbe far dubitare sulla

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

199

giustezza di tale percezione. Ma ogni genere letterario ha le sue regole e


il suo racconto afferma la verit delle cose narrando gli eventi che lo vogliono significare. Quindi chi ha orecchi per intendere, comprende ci che
vuole suggerire.
Era necessario che richiamassi lattenzione del lettore su queste cose,
perch attestano che il problema delle fonti, dellorigine dellautore e
della valutazione teologica di Atti richiedono ulteriore riflessione. Le
ipotesi proposte dal C. con vigilanza critica non risolvono la complessa
problematica.
Ma anche nella valutazione storica dobbiamo fare qualche osservazione critica. Questa infatti ammirevole nellesame filologico dellopera e
della sua validit come fonte storica per la ricostruzione delle origini della
religione cristiana e della Chiesa (II, pp. xliv-lxi), ma risulta mancante
nella sintesi che riguarda il suo effetto nella storia successiva (la cosiddetta
Wirkungsgeschichte nelle aree di lingua germanica) (II, pp. lxiii-lxxxi).
In questo capitolo, denso di informazioni, egli fa notare che per un
millennio il testo di Atti passato per lo pi ignorato, come attesta in modo
eloquente il fatto che su di esso ci restano solo le omelie di Giovanni Crisostomo e il commento di Beda. Per il resto, il silenzio.
Barrett ha ragione, perch questo un dato di fatto. Ma la sua analisi
storica appare insufficiente, perch ignora lincalcolabile effetto pratico
che gli Atti hanno esercitato in tutti quei secoli sulla vita reale della Chiesa
e la sua organizzazione ecclesiastica.
La costituzione della sua gerarchia, lo sviluppo delle regole per la
sua prassi sacramentale, e tutto il movimento monastico in Oriente e Occidente, fino agli ordini canonicali e mendicanti dei secoli XI e XII, non si
possono spiegare senza un tale libro che ha ispirato il loro modo di vivere
e la pratica organizzazione.
Quindi la sua apparente assenza nello sviluppo della dottrina non deve
trarre in inganno nessuno, perch la sua influenza pratica sulla vita della
Chiesa stata pi efficace e profonda di ogni altro libro della rivelazione
cristiana.
Ma in questo il C. potrebbe essere scusato, perch la sua Chiesa non
percepisce questo aspetto della storia che invece fondamentale per la
Chiesa cattolica. Tuttavia, come storico, doveva sapere che senza il movimento monastico di tipo apostolico, ispirato a quel libro, non si potrebbe
spiegare la diffusione del cristianesimo in tutte le regioni del continente
europeo. Quindi in una seconda edizione, qualora ci fosse, questo aspetto
deve essere segnalato, perch documenta il successo effettivo di tale libro,
che non poteva non essere letto.

200

N. CASALINI

La descrizione della vita della comunit cristiana delle origini emana


una tale forza spirituale, che ogni volta che i cristiani si lasciano ispirare
da quel modello teologico ne consegue un rinnovamento effettivo nelle
strutture e nella vita della Chiesa in cui vivono, nel loro tempo.
Per il resto lopera magistrale e chiunque si dedica allo studio di Atti
non pu ignorare la fatica scientifica di Barrett senza squalificare la sua
stessa ricerca. Anche se il suo minimalismo esegetico pu apparire un
limite operativo, il suo giudizio prudente sempre illuminante e conduce
a interpretazioni sicure.
C. B. Talbert: gli Atti nel loro contesto culturale
Charles B. Talbert, Reading Acts. A Literary and Theological Commentary
on the Acts of the Apostles (Reading the New Testament Series), Crossroad,
New York 1997.
Il commento di Talbert agli Atti degli Apostoli appartiene alla collezione Reading the New Testament Series, di cui egli stesso era General
Editor al momento della pubblicazione
bene quindi che, per orientare il lettore, citiamo integralmente una
frase scritta da lui nella Editors Preface e premessa ad ogni volume della
stessa collana: Reading the New Testament is a commentary series that
aims to present cutting-edge research in popular form that is accessible
to upper-level undergraduates, seminars, seminary-educated pastors, and
educated lay-people, as well as to graduated students and professors. The
volumes in this series do not follow the word-by-word, phrase-by-phrase,
verse-by-verse method of traditional commentaries. Rather they are concerned to understand large thought units and their relationship to an authors
thougt as a whole. The focus is to make one feel at home in the biblical
text itself. The approach to these volumes involves a concern both for how
an author communicates and what the religious point of the text is. Care is
taken to relate both the how and the what of the text to its milieu: Christian
(New Testament and non-canonical), Jewish (scriptural and postbiblical),
and Greco-Roman. This enable both the communication strategies and the
religious message of the text to be clarified over against a range of historical and cultural possibilities.
Queste sono le direttive metodologiche della serie da lui stesso scritte e queste il lettore trova rigorosamente ed esemplarmente applicate nel
commento di Atti che lui ha preparato, prestando attenzione alla sua qualit

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

201

letteraria (how) e al suo messaggio teologico (what), recuperando in parte i


risultati della sua opera precedente che lo aveva reso noto in questo campo
di ricerca: Literary Patterns, Theological Themes and the Genre of LukeActs (Missoula 1974).
Il testo quindi si legge in modo piacevole e istruttivo, perch il procedimento espositivo da lui adottato chiaramente didattico: procede per punti,
coadiuvato da schemi riassuntivi che indicano in breve e in modo chiaro
lo sviluppo dei fatti (nel caso degli eventi narrati) o dei pensieri (nel caso
dei discorsi pronunciati).
Data questa impostazione letteraria, assunta come norma metodologica, il lettore trova che le relazioni intertestuali sono molto sviluppate: in
particolare, quelle con la letteratura greco-romana per mostrare il modo in
cui poteva essere recepito il testo da un profano colto, appartenente a quel
mondo; e quelle con la letteratura giudaica, biblica e postbiblica (molto
sviluppata anche quella con la tradizione rabbinica!) per indicare leffetto
che una tale opera poteva avere in lettori di provenienza giudaica, ma non
aderenti alla fede messianica testimoniata nella storia raccontata.
Devo dire che la prima forma di lettura, che egli chiama pre-canonica (p. 2), chiaramente predominante e di questa Talbert si serve per la
presentazione del testo nella Introduction (pp. 1-17), dedicata per lo pi a
chiarire il modo in cui poteva essere percepita la forma letteraria (o genere)
di Luca-Atti, che egli classifica senza esitazione nella categoria delle vite
(bioi) o biografie di fondatori di scuole filosofiche e dei loro successori
(cf. anche Appendice B, dedicata alla questione del genere letterario: pp.
255-258).
Quindi, secondo questa classificazione, a un primo tomo dellopera (il
Vangelo di Luca) che narra la vita del fondatore Ges di Nazareth, segue
un secondo tomo (gli Atti degli Apostoli) che narra le vicende dei suoi
successori.
Non ignora tuttavia che questa seconda parte molto pi sviluppata in
confronto alle succinte liste aneddotiche del modello letterario supposto.
Ma non ha dubbi che questo fosse il modo con cui il testo poteva essere
recepito da un lettore comune del tempo.
probabile che il suo giudizio letterario sia corretto. Il Vangelo di Luca
si presenta realmente come una vita di Ges Nazareno, fondatore della via
(hJ oJdo/) da lui predicata (At 9,2; 19,9.23; 22,4; 24,14.22).
Ma il parallelismo letterario di Atti con le storie dei successori del
fondatore non cos convincente come il C. schematicamente vuole fare
apparire (pp. 11-12), sia perch il modello letterario profano costituito
per lo pi da elenchi di nomi con qualche aneddoto per i rappresentanti

202

N. CASALINI

pi tipici, sia perch il narratore di Atti pone la sua opera nello schema
del compimento delle Scritture (At 1,4.8; 2,14-36; 13,16-47; 15,13-18;
28,23-28; cf. Lc 1,1-4 e 24,44-49).
Ci non corrisponde pi allo schema letterario proposto ed comprensibile solo in una lettura canonica del testo, secondo la prassi esegetica
giudaica e la teologia del cristianesimo primitivo. Quindi, nonostante la
supposta analogia con opere della letteratura classica greco-romana o ellenistica, il libro degli Atti resta un unicum e rappresenta una vera novit
letteraria che non ha parallelo nella letteratura antica, per levidente novit
della cosa e della materia trattata.
probabile che non tutti i lettori siano daccordo con ci che Talbert
afferma per presentare gli Atti come storia degli apostoli, quali successori
della scuola religiosa fondata da Ges, perch lidea di successione che
lui adopera per classificare lopera in quel modello problematica, anche
se lui la ripete alla lettera due volte per inculcarla bene nella mente di chi
legge (pp. 8-13 nella Introduction e pp. 35-36 nel commento allelezione
di Mattia nel collegio apostolico).
Per giustificare la funzione degli apostoli come successori nella via
con potest e funzione giudiziale, interpreta in senso attuale il logion con la
promessa escatologica che si legge in Lc 22,28-30: Voi siete restati con me
in tutte le mie prove. E io stabilisco per voi un regno (diatiqemai uJmin
basileian), come il Padre stabil per me, affinch mangiate e beviate alla
mia mensa nel mio regno (en thv basileia mou) e sediate sopra troni per
giudicare le dodici trib di Israele.
Poich il regno di Cristo sarebbe gi iniziato con la sessione alla destra
di Dio (At 2,29-36), la promessa avrebbe gi avuto compimento e i discepoli sono di fatto gi insediati con funzioni di giudici nel regno di Dio,
che Israele ricostituito (pp. 9 e 35, 37).
Ci molto problematico e non penso che una tale interpretazione
attualizzante di quel detto, da tutti ritenuto escatologico, possa convincere
un lettore competente, a cui potrebbe non piacere un tale fraintendimento
esegetico del testo lucano (Lc 22,28-30).
Se il C. voleva assicurare testualmente e teologicamente la legittimit della funzione e della successione apostolica, forse doveva prestare
attenzione a At 1,2 dove si legge che Ges fu elevato dopo avere dato
mandato agli apostoli per mezzo dello Spirito Santo, che egli aveva scelto
(enteilameno toi aposto/loi dia pneu/mato aJgiou ou exelexato)
(cf. Barrett I, p. 69).
Quindi la loro investitura data con la scelta e confermata con il dono
dello Spirito Santo, che li abilita ad assolvere il compito apostolico, di cui

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

203

in At 1,8: essere testimoni di Ges fino al confine del mondo. Questo


anche il motivo con cui il servizio apostolico (diakonia kai apostolh/)
conferito a Mattia in At 1,21-25.
A parte questa riserva sul principio ermeneutico fondamentale, devo
dire che lopera piacevole, istruttiva e soprattutto si legge bene. Il
costante riferimento, spesso letterale, alla letteratura greco-romana
illuminante. Leco che le idee dominanti nel mondo ellenistico trovano
nel testo cos evidente, che lo stesso A. di Atti appare in altra luce:
un uomo colto e intelligente, capace di comunicare ad altri con convinzione il messaggio della nuova forma di religione a cui aveva aderito
con fede. Mi domando se questa ricostruzione cos pertinente non sia
anche uno specchio per conoscere meglio lo stesso C. Egli merita un
simile onore.
B. Witherington: gli Atti come opera retorica e storiografica
Ben Witherington, III, The Acts of the Apostles. A Socio-Rhetorical Commentary, W.B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids, MI / Cambridge, U.K. - The Paternoster Press, Carlisle 1998.
Il commento sugli Atti degli Apostoli di Witherington impressionante.
Per mole effettiva occupa 874 pagine di testo stampato in modo compatto,
di cui 816 di commento, seguito da due Appendici (1. Internal Clues of the
Earliness of Galatians, pp. 827-820; 2. Salvation and Health in Christian
Antiquity: The Soteriology of Luke-Acts in Its First-Century Setting, pp.
821-843); da un Index of Modern Authors (pp. 844-855) e un Index of
Scripture and Other Ancient Literature (pp. 856-874), concluso da una
carta geografica sui viaggi di Paolo. A sua volta il commento preceduto
da unampia bibliografia specifica, divisa in articoli e opere monografiche
sullargomento (pp. xiii-xlviii).
Ma il genere dellesposizione non quello tipico di un commentario.
Manca una traduzione del testo. Quindi ci che il C. offre pi simile a
una lettura continua che presuppone nel lettore una reale familiarit con
la materia. Quindi il destinatario a cui si rivolge, per espressa dichiarazione
del C., non colui che inizia ma colui che studia (professori e studenti) o
predica, o anche chi gi colto per educazione ricevuta (p. 97).
Questo fatto potrebbe spiegare il procedimento espositivo da lui adottato, di citare spesso parole o espressioni fondamentali in greco, bench
il lettore cerchi invano di sapere quale sia ledizione critica a cui attinge.

204

N. CASALINI

Non indicata nessuna edizione dei testi attualmente in diffusione, n il


Nestle-Aland n il The Greek New Testament.
Ci potrebbe essere una pura disattenzione, che si pu giustificare, tenendo
conto che il pubblico a cui si rivolge dovrebbe essere gi familiare con largomento dellesposizione. Meno comprensibile il fatto che tutte le parole in
greco sono date senza accento e senza spiegazione per tale procedimento.
Se il C. avesse usato solo fotocopie di Papiri antichi del testo, la cosa
sarebbe giustificabile. Ma poich non dice mai perch procede in questo
modo nella citazione del testo originale, il fatto potrebbe risultare un errore di metodo, perch ci non corrisponde al testo effettivamente usato.
Tuttavia essendo un puro dato tecnico, non toglie nulla al valore effettivo
del Commento e alla novit del suo intento.
Questa indicata subito, in una brevissima premessa, da cui citiamo
una frase che indica la nuova metodologia adottata. Facendo notare che il
P50 (o P Yale3) munito di accenti, con segni di interpunzione e respirazione
che indicano un uso nella lettura pubblica a voce alta, trae questa conclusione: The Rhetorical dimension of Acts has not been much explored in
recent commentaries on the book, in part because of the waning influence
of classical studies in this century. Nor for that matter has sufficient attention been paid in commentaries to how similar Acts is to other ancient
Hellenistic historiographic works. It is perhaps the main overall goal of this
commentary to try to reintroduce the reader to those neglected dimensions
of the text wich immerging oneself in ancient historiography and ancient
rhetoric can bring to light (p. x).
Coerente con questo intento, dedica una parte considerevole, e direi
preponderante (pp. 2-51) dellampia Introduction (pp. 1-102) a due argomenti, a cui in genere si dedica poca attenzione: I Acts and the Question
of Genre (pp. 2-39), II Luke-Acts and Rhetoric (pp. 39-51).
Nel primo punto riesce a mostrare con prove convincenti, dedotte dai
due prefazi (Lc 1,1-4 e At 1,1-4) che Luca ha deliberatamente usato il
genere storico, con una esplicita dichiarazione di metodo, simile a quella
che si legge in antichi storici greci (per esempio in Tucidite e in Polibio)
che probabilmente lA. di Atti ha letto (pp. 4-14).
Quindi lopera in due tomi (Lc - At) pu essere classificata come
monografia storica sulla formazione e diffusione di un nuovo movimento
religioso (p. 18), che contiene anche tratti biografici nel primo (Lc), ma che
non appartiene in modo alcuno al genere biografico, che nellantichit era
chiaramente distinto da quello storico.
Con ci Witherington contesta e critica apertamente lopinione di Talbert, secondo cui le due opere potevano essere considerate dal pubblico

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

205

colto antico come biografia del fondatore di una scuola filosofica e dei
suoi seguaci. Questo modello in realt inadeguato a spiegare il genere e
la natura letteraria della materia trattata da Luca, che una evidente esposizione della storia della salvezza ma effettuata con rigorosa metodologia
storica (pp. 15-21).
Sono convinto che, dopo questa dimostrazione convincente, il lettore
del commento legger con molto interesse ci che il C. dice per collocare Luca tra gli storici antichi (pp. 24-39). Il parallelismo con Polibio in
particolare, non solo affascinante, ma anche illuminante sul modello che
potrebbe aver ispirato lA. e sulla sua intenzione.
Nel secondo punto (pp. 39-51) discute per prima cosa il rapporto tra
storia e retorica, mostrando che nellantichit la seconda era al servizio
della prima, affinch la lettura fosse istruttiva. Il lettore doveva trarre
un effetto benefico per il suo modo di pensare le cose umane e per la sua
condotta nellagire (pp. 39, 46).
Poi affronta il delicato problema dei discorsi esponendo di nuovo la
teoria di Tucidite (I, 22,1-2.3-4) e interpretando diversamente il famoso
edokoun: lo storico tenuto a riferire non ci che in tale occasione doveva
essere detto, ma ci che sembra probabile che abbiano detto (p. 47).
Lo scopo di questa nuova interpretazione di edokoun evidente: serve
al C. per contestare lipotesi che lA. di Atti abbia di fatto inventato tutti i
discorsi riportati nel testo. Se il C. sia riuscito nel suo intento, lascio giudicare al lettore del suo commento. Io resto nel dubbio, perch nellexcursus
dedicato a questo argomento (A Closer Look The Speeches of Acts, pp.
116-120) egli riconosce che il loro stile unitario lucano e non permette
di individuare le fonti di cui si servito. LA. non solo le ha riportate con
le proprie parole (p. 117 nota 8), ma abbondano di temi tipicamente lucani
(p. 117 nota 10).
Tuttavia egli convinto che per comporli abbia usato sommari di discorsi effettivamente pronunciati, come attesta la loro brevit: letti ad alta
voce, non durano pi di pochi minuti (p. 118). evidente che Witherington
ignora la categoria di discorso narrato, a cui appartengono le 23 unit
discorsive inserite perfettamente nel racconto.
I discorsi di Atti sono logicamente completi in se stessi. Quindi non
sono sommari di discorsi effettivamente pronunciati, ma discorsi raccontati, che il narratore ha ricostruito servendosi dei temi e del metodo
effettivamente adottato dagli apostoli e dai primi annunciatori delle origini
cristiane. Basta leggere la Lettera ai Galati per comprendere come fosse
possibile annunciare il Cristo seguendo la storia salvifica dellAT che in lui
ha trovato il suo compimento.

206

N. CASALINI

Quindi probabile che la categoria letteraria delle fonti non sia del
tutto adeguata a spiegare la composizione dei discorsi di Atti e probabilmente non lo neppure per spiegare la composizione delle parti narrative,
come appare evidente nel lungo excursus che il C. dedica ad esse (A Closer Look Lukes Use of Sources in Acts, pp. 165-173).
In confronto con lipotesi di altri (p. es. J. Jervell), la sua teoria delle
fonti ci sembra pi moderna e anche pi adeguata a spiegare il fenomeno
per cui proposta. Egli attribuisce allA. un effettivo lavoro di storico,
effettuato con la ricerca di notizie sui luoghi dove i fatti sono accaduti e
presso persone o individui che potevano aver conservato il ricordo degli
eventi, come attesta il costante riferimento a persone che offrono ospitalit o alloggio e che sono del tutto marginali per il racconto: per es., Maria,
madre di Giovanni Marco, At 12,12; Simone, il conciatore di pelli, At 9,43;
Giasone a Tessalonica, At 17,5-9; Filippo e le sue figlie a Cesarea, At 21,89; Mnasone di Cipro a Gerusalemme, At 21,16; Publio a Malta, At 28,7. A
questi si potrebbe aggiungere Lidia a Filippi, At 16,14; Priscilla e Aquila e
poi Tizio, il Giusto, a Corinto, At 18,3.7.
Se poi questo A. misterioso di Atti sia Luca, il compagno di Paolo
(cf. Fm 24; Col 1,14; 2Tim 4,11) (pp. 51-60), che sarebbe un testimone
oculare degli eventi narrati in Atti 2028 e che appare per la prima volta
nel noi di At 16,10-16 (cf. Of We Passages and Sea Passages, pp. 480486), pu essere oggetto di discussione, perch potrebbe essere spiegato
diversamente.
Per esempio, si potrebbe pensare che il noi sia un mezzo letterario
usato dallA. per riferirsi a testimoni oculari effettivi, da cui ha avuto le
informazioni sui fatti riportati, come afferma espressamente in Lc 1,1-4.
In questo famoso prologo, il narratore non si pone nella categoria di coloro che li hanno tramandati, ma di coloro che li hanno ricevuti (kaqw
paredosan hJmin) (Lc 1,2a). E ci non favorisce la riproposizione dellipotesi sullA. quale diretto testimone (pp. 52-53).
Ma fuori dubbio che il C. ha individuato una possibilit di soluzione
nella stessa tecnica compositiva della narrazione. LA. di Atti procede per
blocchi narrativi in Atti 114: (1) At 1,125,42 un blocco di Pietro (e gli
Apostoli) in Gerusalemme; (2) At 67 un blocco su Stefano, con prologo;
(3) At 8,8-40 un blocco su Filippo; (4) At 9,3212,23 di nuovo un blocco
su Pietro, ma fuori di Gerusalemme, unito a un blocco su Antiochia in At
11,19-30; (5) At 1314 un blocco su Barnaba e Paolo nel primo viaggio di
missione (pp. 169-170).
Questo procedimento compositivo attesta senza dubbio una raccolta di
informazioni su personaggi specifici, a cui lA. era interessato, probabil-

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

207

mente effettuata nei luoghi dove erano ricordati: per es. Cesarea, Antiochia,
Gerusalemme. Dubbia, a nostro avviso, la conclusione che a tali blocchi
narrativi corrispondano fonti reali, che lA. avrebbe usato per comporre
la sua narrazione, come ha fatto con Marco che ha usato a blocchi nella
narrazione del suo Vangelo (p. 165, in cui Witherington rimanda al suo
saggio Editing the Good News: Some Synoptic Lessons for the Study
of Acts, in History, Literature and Society in the Book of Acts, ed. Ben
Witherington, Cambridge 1996, 324-342).
A me sembra che sia pi semplice attribuirne la composizione allo stesso narratore sulla base delle notizie ricevute, piuttosto che alle fonti da lui
usate. Lunit di stile e la dislocazione strategica dei sommari e dei prologhi anticipativi che uniscono la narrazione (At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16;
6,1-7; 8,1b-3; 9,31; 11,19-26.27-29; At 12,24-25; 13,1-3), manifestano la
capacit di ricostruzione storica dellA. che anche lunica voce narrante
delle vicende raccontate.
probabile che anche la cronologia che egli suggerisce possa suscitare qualche perplessit in pi di un lettore competente. Che la cosa sia di
capitale importanze per la valutazione della attendibilit storica dallA.
fuori dubbio e lo attesta lampio spazio ad essa dedicato nella Introduction
(VI Acts Chronology, pp. 77-97).
In questo paragrafo, Witherington espone prima una cronologia generale (pp. 81-82), stabilita con le date della storia profana da tutti ammesse
(p. es. la morte di Erode Agrippa nel 44; il governo di Gallione in Acaia
nel 51/52; lespulsione dei Giudei da Roma sotto limperatore Claudio nel
49; e linizio del governatorato di Festo nel 59). Ma poi aggiunge una
cronologia della vita e delle opere di Paolo (pp. 82-86), ricostruita quasi
esclusivamente sui dati di Atti.
Ci legittimo, ma lesito conseguito molto problematico. Per
esempio, potrebbe stupire non pochi lipotesi che gli eventi narrati in
Gal 2,1-10 siano gli stessi narrati in At 11,27-30 (cf. At 12,25). Quindi
la seconda visita di Paolo a Gerusalemme di cui in Gal 2,1 coinciderebbe
con quella con cui Paolo e Barnaba portano la colletta della Chiesa di
Antiochia (At 11,27-30), ma sarebbe diversa dalla visita narrata in At
15 che accaduta dopo. Per questo Paolo non ne parla nella Lettera
ai Galati, perch questa sarebbe stata scritta prima di tale riunione
apostolica (pp. 83-84). Il C. talmente convinto della validit di questa
soluzione, che dedica al problema non solo una parte non secondaria
della Introduction (pp. 86-97 VII Pauline Chronology: The Galatian
Date), ma anche lAppendix 1 (Internal Clues of the Earliness of Galatians, pp. 817-820).

208

N. CASALINI

Ma resta il dubbio che esprimiamo in questo modo. Se Galati la prima delle lettere scritte da Paolo (p. 83), come spiegare che la sua tematica
sulla giustificazione totalmente assente dalle grandi lettere scritte dopo,
secondo il computo dello stesso C. (1-2Ts e 1-2Cor) (p. 84), ma si trova
in Rm, scritta probabilmente a Corinto prima dellultimo viaggio verso
Gerusalemme (p. 85)?
molto pi verosimile, e anche molto pi semplice, supporre che tale
problema sia diventato acuto negli ultimi tempi del suo ministero, piuttosto
che allinizio, secondo lopinione esegetica dominante. probabile quindi
che bisogner ripensare con pi rigore il rapporto tra At 11,27-30 e 12,25
con At 15 e Gal 2,1-10.11-14.
Se il tentativo di armonizzazione di Witherington non convince (pp. 9097), pi convincente spiegare le cose ammettendo una certa indeterminazione nelle informazioni avute dal narratore che lo ha costretto a supporre
due diverse andate di Paolo a Gerusalemme (At 11,27-30 e At 15,1-2),
mentre costui sembra conoscerne solo una, la seconda, a quattordici anni
dalla prima e a diciassette anni dalla sua conversione (cf. Gal 1,18 e 2,1)
(pp. 88-90).
Questa discussione sulle fonti e la cronologia attesta che il commento
di Witherington raccomandabile e utile, perch stimola la riflessione nel
lettore competente. Ma anche istruttivo per ogni studente di tali cose.
Egli ha disseminato il testo con ventisette excursus, introdotti dalla
formula A Closer Look, che affrontano temi e problemi non trattati nella
Introduction e che quindi la completano in modo effettivo: sulluso dellAT (pp. 123-124); sulla salvezza (pp. 143-144), sulla cristologia (pp. 147153), sullescatologia (pp. 184-186); ma anche sui sommari (pp. 157-159),
sugli Ellenisti (pp. 240-247), sulle donne e il ministero (pp. 334-339), di
cui il C. si era gi rivelato un obiettivo sostenitore (cf. Idem, Women in the
Earliest Churches, Cambridge 1988).
J. Taylor: il divenire di Atti
Justin Taylor, Les Actes des deux Aptres.V: Commentaire historique (Act.
9,1-18,22) (EB.NS 23), Gabalda et Cie Editeurs, Paris 1994; VI: (Act. 18,2328,31) (EB.NS 30), Gabalda et Cie Editeurs, Paris 1996; IV: (Act. 1,1-8,40)
(EB.NS 41), Gabalda et Cie diteurs, Paris 2000.
Considerando il titolo, la serie dei volumi (IV, V, VI) e le date diverse
di pubblicazione (V: 1994; VI: 1996; IV: 2000), il lettore comprende subito

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

209

che lopera che intendiamo presentare non autonoma, ma si inserisce in


una serie pi vasta e ha avuto una complessa genesi nella stesura.
LA. Justin Taylor, professore presso lEcole Biblique et Archologique Franaise de Jrusalem, lo spiega lui stesso negli Avant-Propos dei
singoli tomi. In quello uscito per primo (vol. V, commento a At 9,1-18,22)
(pp. vii-ix) fa sapere che il suo commentario storico si fonda sullipotesi
letteraria dellorigine e formazione del Libro degli Atti elaborata da M.-.
Boismard e A. Lamouille nei tre tomi (I, II, III) pubblicati nel 1990 con il
titolo Les Actes des deux Aptres (EB.NS 12-14); ipotesi a sua volta basata
sulla riabilitazione del Testo Occidentale (= TO) di Atti effettuata dai due
autori nel 1984 con la pubblicazione dellopera Le texte occidental des
Actes des Aptres. Reconstitution et rhabilitation. Tome I: Introduction
et textes; Tome II: Apparat critique, Index des carateristiques stylistiques,
Index des citations patristiques (Synthses n. 17), Paris.
Tuttavia M.-. Boismard ha rivisto la sua teoria sul testo occidentale
pubblicando nel 2000 il volume Le texte occidental des Actes des Aptres,
Edition nouvelle, entierement rfondue (EB.NS 40). Quindi anche lA. del
commento nellAvant-Propos del volume uscito per ultimo (IV At 1.1-8,40)
(pp. vii-viii) avverte il lettore che egli ha dovuto tenere conto di questa nuova
presentazione, assicurando che le mutazioni sono minime e tuttavia riconoscendo con franchezza che, se dovesse tenere conto della nuova costituzione
del TO, probabilmente anche il suo commento precedente (vol. V At 9,118,22 e VI At 18,23-28,31) muterebbe in modo considerevole (IV, p. vii).
Ci mette in luce il problema pi grave che suscita in chi legge il metodo adottato dallA. nella sua esposizione. Nonostante la sua assicurazione
che il valore storico degli eventi riportati dal racconto del testo deve essere
verificato con procedimento storico (vol. V, p. xii), tutta la sua ricostruzione
storica si fonda su una ipotesi della tradizione letteraria di Atti proposta da
Boismard - Lamouille nei tre tomi indicati, che a sua volta dipende dalla
loro teoria sul TO, da loro stessi ricostruito sulla base del Codice di Beza
(D) e di altri testimoni e da loro preferiti al Testo Alessandrino (= TA),
attestato dai grandi unciali, il Codex Sinaiticus (S), il Codex Alexandrinus
(A), il Codex Vaticanus (B), da loro ritenuto una revisione del TO.
Ci per uno storico costituisce un circolo vizioso intollerabile e un reale
difetto di metodo, di cui lA. cosciente (vol. IV, p. viii), ma da cui egli
ritiene che non era possibile uscire. Se voleva verificare la teoria letteraria
sulla formazione di Atti proposta da Boismard - Lamouille, a lui non restava altro che farne lapplicazione sistematica a tutto il testo per mostrarne
la validit, anche se spesso costretto a mutarla in favore di una propria
ipotesi che gli sembra pi adeguata a spiegare la storia narrata.

210

N. CASALINI

Questo fa certamente onore alla sua capacit critica e alla sua autonomia intellettuale, ma non libera il suo commento storico del difetto denunciato. Il suo giudizio storico dipende molto spesso dal modo in cui il fatto
ricostruito sulla base di una tradizione del TO che, come tutti sanno, non
uniforme ma varia e molteplice.
Quindi lo stesso evento storico che deve commentare diventa evanescente o inconsistente, perch il suo accadere pu essere immaginato in
modo diverso secondo lipotesi letteraria assunta sul tipo di testo ricostruito
e seguito per il commento.
Contrariamente alla sua asserzione, mi sembra che una teoria possa
essere verificata applicandola a casi specifici come prova della sua effettiva
capacit esplicativa. Cos infatti procede ogni scienza per la verifica di una
ipotesi scientifica.
Per esempio, se si sostiene che nel racconto pre-lucano (Atti I) mancasse lelezione di Mattia (At 1,12-26) e si crede di trovare conferma in At
2,14 dove il TO ricostituito dice: Alzatosi Pietro con i dieci [apostoli: D]
(dove il TA ha undici) (vol. IV, p. 44), non pi possibile affermare che lo
stesso TO ricostituito parli dei Dodici in At 6,2a (vol. IV, p. 179). Non lo
permette la coerenza della logica testuale, che dobbiamo presupporre anche
per la trasmissione del supposto TO. In questo caso, lipotesi letteraria non
confermata, ma smentita.
Questo non che un esempio per mostrare che la teoria letteraria di
Boismard - Lamouille fondata sulla tradizione del TO da loro ricostituito poteva essere verificata con il principio della coerenza interna. Ci
avrebbe risparmiato allA. lenorme fatica di ricostruire per via ipotetica
lopera originaria (Atti I) usata da Luca (Atti II) (= TO) e mutata da un
revisore (Atti III) (= TA), e avrebbero reso la sua opera pi valida per la
ricostruzione storica.
Nonostante questo grave limite, il materiale storico raccolto per spiegare gli eventi narrati o supposti dal racconto del testo molto utile per
chiunque desidera conoscere le reali condizioni sociali, politiche, religiose
del tempo, nonch le consuetudini giuridiche presupposte dai diversi processi narrati con particolare meticolosit da colui che lo ha composto.
In questo, bisogna riconoscerlo, lA. restato fedele al suo intento di
raccogliere i realia messi a disposizione dalle varie scienze di cui si serve
la metodologia storica (vol. VI, p. vii). Ci appare evidente a chiunque
legge i tomi V e VI del suo commento storico.
Pi difficile la valutazione della ricostruzione della vita e delle istituzioni della comunit primitiva, effettuata dallA. nel tomo IV (At 1,18,40),
pubblicato per ultimo, mettendo a frutto metodologia e risultati della sua

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

211

opera Essai sur les origines du Christianisme. Une secte eclate, pubblicato
insieme a E. Nodet nel 1998.
Egli sa che in questo caso non pu pi mettere a disposizione del suo
lettore dei realia, perch ci che sappiamo noto solo dal testo di Luca che
in At 1,18,40 descrive la vita e lattivit della comunit cristiana nascente,
a Gerusalemme, in Giudea e Samaria.
Anche se egli professa di nuovo questo intento (vol. IV, p. vii), il senso
che acquista diverso. I realia che egli offre sono solo ipotesi storiche, il
cui valore dubbio e spesso non verificabile, bench il costante riferimento
a supposte o reali somiglianze con le consuetudini di Qumran (Documento
di Damasco, Regola della Comunit) e con quelle dei Terapeuti, noti da
Filone (de vita contemplativa) voglia convincere chi legge sulla probabilit
storica di ogni asserzione sulla costituzione della comunit delle origini.
Ma il risultato, bench rispettabile, non sempre soddisfacente, perch
lA. tende a istituzionalizzare anche l dove non possibile reperire una
istituzione. Per esempio, la sua ipotesi che il sostantivo plh/qo (At 4,32)
possa indicare non una quantit non definita e amorfa, ma una comunit o
gruppo organizzato (vol. IV, pp. 29-33) difficile da accettare, tenendo conto
del fatto che il narratore usa anche il sostantivo oclo (At 1,15) per indicare
il gruppo dei credenti, di cui indica il numero specifico: centoventi.
Quindi laffermazione che la parola plh/qo abbia valore qualitativo
e non quantitativo non sostenibile, soprattutto se dal racconto risulta
evidente che chi ha scritto il testo insiste sullaumento quantitativo del
numero degli uomini che aderiscono alla fede (At 2,14: tremila anime; At
4,4: cinquemila il numero degli uomini; At 5,14b: una quantit [plh/qh] di
uomini e donne credenti nel Signore aggiunto a loro; At 6,7b: il numero
dei discepoli si moltiplic molto [eplhqu/neto sfo/dra] e molta folla
[polu/ te oclo] di sacerdoti obbedivano alla fede).
Ugualmente difficile da accettare lipotesi che la fractio panis (hJ
klasi touv artou) (At 2,42a) non fosse distinta da un pasto comune (vol.
IV, pp. 89-93), che consisteva nel prendere cibo insieme (At 2,46b), nello
stesso luogo, a cui alluderebbe lespressione generica kat oikon (vol. IV,
pp. 96-98) e che aveva un valore rituale, come i pasti in comune a Qumran
e presso i Terapeuti di Egitto.
Di conseguenza molto problematica anche linterpretazione che il
servire alle mense (diakonein trapezai) (At 6,2) sia da riferire alla fractio panis in comune e non allassistenza ai poveri (vol. IV, pp. 179-181),
a cui invece si riferisce con chiarezza il narratore parlando delle vedove
degli Ellenisti che erano trascurate dagli Ebrei nel servizio quotidiano
(At 6,1b).

212

N. CASALINI

Da rifiutare invece senza esitazione lipotesi, insinuata di traverso in


At 6,6, in cui limposizione delle mani ai Sette sarebbe fatta dai membri
della comunit e dagli apostoli, adducendo come motivo che il soggetto
del verbo epeqhkan, imposero (i.e. le mani) indeterminato (vol. IV, pp.
185-186). Il soggetto logico non il gruppo, ma gli apostoli, davanti a cui
i nominati stanno in piedi (At 6,6a). Di conseguenza difficile negare che
siano loro che, dopo aver pregato, imposero ad essi le mani.
Difficolt pi gravi per lo storico presenta la ricostruzione dellA.
sulla vita in comune e la comunione dei beni (vol. IV, pp. 123-139). Egli
convinto che i Dodici, i primi discepoli di Ges, conducevano allinizio
vita in comune, con effettiva spogliazione di tutti i beni, che erano dati
ai poveri, come sarebbe confermato da At 2,44-45 (vol. IV, pp. 126-129).
Ma per tutti gli altri credenti era adottata una forma di comunione di beni
pi mitigata, che consisteva nel mettere in comune ci che era necessario
per provvedere alle necessit dei pi bisognosi, come sarebbe attestato da
At 4,32.34-35 (vol. IV, pp. 129-137).
A me sembra che non ci fosse questa differenza, perch anche in At
2,45 si legge che tutto era in comune, nel senso che mettevano insieme il
ricavato della vendita dei beni e lo distribuivano a tutti secondo il bisogno
di ciascuno (At 2,45b, come in At 4,35). Dunque non vita in comune,
ma beni in comune per provvedere alle necessit di ognuno, cosa che non
sarebbe stata necessaria se vivevano e mangiavano insieme!
Paolo conferma questa ricostruzione, diversa da quella ipotizzata dallA. Quando egli and a Gerusalemme la prima volta per informarsi da
Cefa, tre anni dopo la conversione e quindi allinizio del movimento cristiano, vide lui solo e nessun altro degli apostoli (Gal 1,18-19a) e poi Giacomo
il fratello del Signore (Gal 1,19b), cosa che sarebbe inspiegabile se i Dodici
vivevano insieme come lA. ama supporre nella sua ricostruzione ideale.
Queste sono solo alcune riserve alla sua ipotesi sulla costituzione delle
origini cristiane e crediamo che ogni lettore ne possa fare altre, perch il
suo lavoro abbonda in ogni capitolo di ipotesi storiche e letterarie. Ma la
lettura dellopera pu essere utile, sia per come procedere sia per i difetti
da evitare in opere future su Atti e la ricostruzione della comunit cristiana
di Gerusalemme.
Quindi lo raccomando a ogni studioso o lettore interessato a queste cose,
perch il saggio desta interesse, non ultimo per il fatto che il testo francese
traduzione e quindi riscrittura personale di M.-. Boismard, la cui competenza una solida garanzia per la seriet scientifica dello stesso A.
A lui, Boismard, si deve un excursus del tomo V (pp. 339-379) su Le
martyre de Jean lApotre, che si conclude (pp. 378-379) raccomandando

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

213

per At 12,2 una lettura rara, marginale e senza effettivo valore, in cui al
posto del testo tradizionale (TA) (Egli [i.e. Erode] fece morire di spada
Giacomo, fratello di Giovanni), si legge: Egli [i.e Erode] fece morire di
spada Giovanni, fratello di Giacomo, che lo stesso Taylor sembra preferire
dandone una dimostrazione (vol. V., pp. 115-118).
Ritengo la cosa senza fondamento storico. Anche se potrebbe essere
leco di una antica tradizione sul martirio di Giovanni, non favorita da
ci che si legge in Paolo, Gal 2,9 in cui presenta Giovanni come una delle
colonne insieme a Giacomo, fratello del Signore, nominato per primo (cf.
Gal 1,19b) e a Cefa nominato per secondo (cf. Gal 1,18). E ci quattordici
anni dopo la prima visita o dalla sua conversione. Quindi verso il 48/49
(cf. Gal 1,18 e 2,1).
M.-. Boismard: il Testo Occidentale di Atti
Marie-Emile Boismard, Le texte occidental des Acts des Aptres, Edition
nouvelle entirement refondue (Etudes Bibliques Nouvelle Srie 40),
Paris 2000.
Il saggio di Boismard sul testo occidentale (= TO) di Atti degli Apostoli
una nuova edizione di unopera in due tomi pubblicata nel 1984 insieme
a A. Lamouille con un titolo identico, ma con sottotitolo ambizioso Reconstitution et rhabilitation, che ora scomparso. Ci indica in che cosa
consiste la novit del nuovo studio in rapporto al precedente, espressa anche dalla specificazione che tale edizione nuova entirement refondue.
Dunque non una riedizione dellantica. Anche se molti paragrafi di quella
sono sintetizzati in questa, ci che lA. presenta in realt nuovo.
Il testo proposto infatti non pi quello che lui aveva ricostituito usando senza reale discernimento tutti i manoscritti in cui quel tipo di testo
era in qualche modo attestato, ma quello effettivamente tramandato dai
testimoni maggiori: (a) il Codex Bezae (D), bilingue (greco-latino), del
V sec.; (b) il Codex Floriacensis, detto anche Fleury (h), che rappresenta
unantica versione latina, detta anche africana e datato al V e VI sec.,
attestato anche in Cipriano, Tertulliano e Agostino; (c) le note marginali
e le frasi tra virgolette (o tra obelus e metobelus) della versione siriaca di
Tommaso di Heraclea, detta anche Harclensis (syrHmg e syrH*), datata al
VII sec., basata sulla versione di Filoxenos di Mabbug del VI sec., che a
sua volta sostituiva lantica versione siriaca, le cui tracce evidentemente si
sono salvate nelle note interne e marginali dellHarclensis; (d) il codice

214

N. CASALINI

copto, con il numero 67 della collezione Glazier (G67), che contiene la


traduzione in medio-egizio di At 1,115,3.
In questo modo ha eliminato lobiezione fondamentale dei suoi critici
alla precedente ricostruzione, i quali avevano fatto notare che un testo cos
ricostituito non era mai esistito ma semplicemente da loro inventato usando frammenti testuali di ogni tipo.
Ma superata la critica con luso di una metodologia scientifica pi
appropriata, resta il reale problema, a cui la nuova opera tenta di dare una
risposta. realmente esistito un testo di Atti, diverso dal testo alessandrino (= TA), attestato dai grandi Codici (in particolare da S e B), e che per
convenzione stato chiamato testo occidentale (TO)?
Boismard convinto che sia esistito e lopera che presenta il suo tentativo, oggettivo e convincente, di mostrare che questo testo altro era gi
in uso dalla seconda met del II secolo, come attestano le antiche versioni
latina, siriaca e copta, che hanno notevoli somiglianze tra loro e con il Codice di Beza (D), bench effettuate in aree geografiche e culturali diverse.
Ma non tutti pensano allo stesso modo. Per esempio, C.K. Barrett (The
Acts of the Apostles, vol. I Acts I-XIV, ICC, Edinburgh 1994 e The Acts of
the Apostles, vol. II Acts XV-XXVIII, ICC, Edinburgh 1998) (I, pp. 24-25
e II, pp. xix-xxii), dedica molta attenzione alla ricostruzione precedente del
TO fatta da Boismard - Lamouille, ma ne contesta lipotesi fondamentale.
Per lui un TO non mai esistito, ma ci sono molti tipi di testo occidentale
o molti TO (TO1 TO2 TO3 TOn), che non sono altro che una revisione in
forma di parafrasi narrativa, pi o meno libera, del testo alessandrino (TA)
(II, p. xx), che si sono formati quando lopera non aveva ancora conseguito
uno statuto canonico (II, p. xxi).
Tuttavia Barrett fa una concessione che annulla la sua ipotesi e torna a
favore dellipotesi contraria che vuole contestare: il supposto TO, nei vari
tipi in cui attestato, potrebbe aver preservato qualche lettura (lectio) pi
antica e quindi un testo probabilmente originale, quando in disaccordo
con il TA (II, p. xxii).
Questa inattesa ammissione gravida di conseguenze scientifiche, perch permette di supporre lesistenza di un archetipo originale, da cui deriverebbero in forma autonoma sia il TA che il TO. In questo modo, senza
volerlo, favorisce la tesi di Boismard, dando a lui un sostegno inatteso e
quindi doppiamente gradito. Costui infatti convinto che il TA sia solo una
revisione di un TO originale, di cui il TO attestato da D e altri testimoni
una corruzione o un imbastardimento.
Questo presupposto metodologico merita di essere verificato in breve,
perch dalla sua validit dipende anche la valutazione scientifica del TO

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

215

che egli propone nel saggio di ricostruzione. Per farmi comprendere dal lettore, indico il problema in questo modo: il TO (testo occidentale), ricostruito da Boismard sulla base di D, h, syrHmg, syrH*, G67 (Cipriano, Tertulliano,
Agostino), ecc., un testo derivato e secondario o un testo primario da
cui deriverebbe il TA (testo alessandrino), che quello pi diffuso?
Se si applica con rigore un principio di critica testuale (lectio brevis
potior), la risposta negativa. Il TO confrontato con il TA risulta senza
equivoco un testo enflatus, quindi unamplificazione narrativa in forma
di parafrasi del TA. Ci era gi stato notato da molti studiosi, in particolare
da B. Aland, Entstehung und Herkunft des sogenannten westlichen Textes,
untersucht an der Apostelgechichte, ETL 62 (1986) 5-65.
Questa ipotesi confermata dallo stesso M.-. Boismard, il quale,
senza volerlo, ipotizza lesistenza di un archetipo X del TO armonizzato
sul TA (p. 8). Quindi un archetipo puro del TO non attestato in alcun
testimone, perch tutti i manoscritti maggiori da lui usati per ricostruirlo
suppongono una mescolanza di TO e TA.
Parlando del Codex Bezae (D) e del Glazier (G67) copto, afferma che
suppongono una sintesi del TO e del TA (p. 16). Esaminando At 1,2 in D
dice che simile a syrHmg e G67, dipendente da un archetipo che aveva unito
il TO e il TA (p. 18), che egli chiama archetipo X (p. 19).
Ma valutando il vecchio testo africano (latino), attestato dal Codex
Fleury (h), afferma che simile al testo (latino) usato da Cipriano, e suppone che luno e laltro dipendano da un solo capostipite, che egli chiama
archetipo C.
Questo testo, a sua volta, identico a quello usato da Agostino in At
1,12,11 citato per esteso in De Actis cum Felice Manichaeo, in cui la
citazione di At 1,14-15 molto simile a quella di Cipriano, al cui testo
somigliano anche le due citazioni At 1,1-8 e At 2,1-13 che Agostino riporta
per esteso nellopera contra epistulam manichaei quam vocant Fundamentum (p. 21).
Poich Boismard ha gi mostrato che in At 1,2 il TO dipende da un
archetipo X, che era una sintesi di TO e TA, ne consegue che il supposto
archetipo C, che soggiace alle citazioni di At 1,1-8 e At 1,12,11 di Agostino non diverso dallarchetipo X. Ci risulta evidente dal fatto che lo
stesso Boismard afferma che larchetipo C dipenderebbe da un archetipo
T, attestato per At 2,9-11 in Tertulliano, e il cui testo seguiva sia il TO
che il TA (p. 23).
Se il lettore di queste speculazioni non privo di intelligenza, comprende subito che in realt non c alcuna differenza tra archetipo X,
archetipo C e archetipo T, perch questi tre archetipi da lui supposti

216

N. CASALINI

rappresentano un solo tipo di testo greco di Atti, che una sintesi di TO


e TA (p. 18).
Quindi il cosiddetto TO allo stato puro, a cui Boismard aspira (p.
23), non esiste in modo alcuno, perch tutti gli archetipi da lui ricostituiti
hanno un testo che non di tipo occidentale puro, ma una sintesi di TO
e TA. Ci appare evidente nelle citazioni di Cipriano e Agostino, che ora
seguono il supposto TO ora il TA noto (p. 23).
In considerazione di questo fatto e del principio di critica testuale
indicato, ritengo che lipotesi dellA. che il TO sarebbe una redazione
anterioredi Atti, di cui il TA sarebbe la forma definitiva, non sostenibile.
Il TO appare senza possibilit di dubbio una derivazione secondaria del
TA, come attesta la sua natura mista (sintesi di TO e TA) e amplificata
(parafrasi narrativa del TA).
Quindi lopera di Boismard fondamentale non per la storia della formazione letteraria di Atti, ma per la storia della trasmissione del testo di
Atti e il suo risultato da tenere in seria considerazione. Egli ha dimostrato
con un alto grado di probabilit storica che dalla fine del II secolo dopo
Cristo circolava un tipo di testo greco di Atti, che era una sintesi di TO e
TA, come attestato da D, h, syrHmg, syrH*, G67. Questo tipo di testo greco
non scomparso del tutto. attestato da P38 P45 P48 datati al III sec. ed
stato probabilmente preservato nel testo di tipo antiocheno (rappresentato
nei Codici di Efrem e Alessandrino) e da cui deriva quello detto bizantino
o koin (rappresentato dal Codex Laudanus, E).
Nello Casalini, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE


FOR THE STUDY OF THE GOSPELS BACKGROUND

F. Manns

Biblical scholars know P. Billerbecks Commentary of the New Testament


in the light of Rabbinic Literature, published in 1936. Since this commentary contains still valid information, but is outdated, a new edition is being
prepared. New Testament scholars are familiar with the book of J. Jeremias,
Jerusalem in the time of Jesus, which quotes the Talmud as its main source.
But very few scholars know the books of S. Krauss, Talmudische Archologie1, where they could find a lot of historical information.
Even in the past a lot has been done to underline the importance of
rabbinic Literature as a historical source to scrutinize the background of
the New Testament, many exegetes remain skeptical: they consider rabbinic
traditions as late and polemical. Lack of methodology makes it difficult for
many to prove which traditions have early roots. Uncritical searching for
parallels marred many works of the History of Religions school.
Recently, serious criticism against scholars who use the rabbinic sources came from D. Neuhaus in his article Lidologie judo-chrtienne et le
dialogue juifs-chrtiens2. According to Neuhaus, rabbinic Judaism cannot
explain Jesus Judaism which is close to Old Testament Judaism. Christianity marks a total break with Judaism and represents something new3.
This position, shared with A. Paul4, ignores that oral Law is known in
1. I-III, Hildesheim 1966.
2. RSR 85 (1997) 249-276.
3. La comprhension chrtienne du judasme actuelle ne peut tre fonde sur la judait

prsuppose de Jsus de Nazareth parce que le judasme de ce Jsus est antrieure au


tmoignage juif des deux Toroth. Il faut noter quil y a eu depuis le dbut de lexgse
moderne des tentatives de comprendre Jsus et ses disciples comme des juifs rabbiniques
en utilisant les crits rabbiniques pour reconstituer le quotidien du premier sicle. Cette reconstruction est le rsultat dune projection errone du judasme rabbinique daprs 70 sur le
judasme du Temple davant 70 La question que Jsus et ses disciples posent par rapport
la loi, la rvlation de Dieu et llection dIsral sont formules dans un contexte juif du
premier sicle. Les questions des rabbins sont dune autre poque. Il faut donc situer le Jsus de lhistoire dans sa propre poque pour saisir la nouveaut que cela reprsente lorsque
les disciples le reconnaissent comme le Christ. Dans cette reconnaissance le christianisme
reprsente une rupture avec la religion qui lui est antrieure (p. 254-255).
4. A. Paul, Les faux jumeaux, Esprit 162 (1990) 125.
LA 52 (2002) 217-246

218

F. MANNS

some Books of the Bible and in Josephus books. The last document of the
Biblical Commission5 admits that in the New Testament Jewish methods
of interpretation are used.
Before tackling our subject, we must start with a short definition of the
words we use. Rabbinic Literature is composed of the Mishna, Tosephta
and the two Gemara, of the Midrashim halaka and aggada of the Tannaitic
and Amoraim Periods. It includes halakic (legal) and aggadic (ethical and
narrative) texts that use different literary forms: homilies, parables, poetic
fragments, fiction, folk sayings and direct sayings.
Speaking of History or of a historical source, it is not easy to find
a definition in the first centuries6. Modern historians belong to a tradition.
One scholar will emphasize the spiritual sources of a period, while another
will put stress on the description of the society or the economy. For Flavius Josephus, who is considered the historian par excellence of the 1st
century, history means an interpretation of the facts, rather than the facts
themselves7. Even in the Bible history means story of salvation. Rabbinic
literature did not intend to relate the history of the Jews in an orderly manner. Many events of Jewish history appear in homilies with their interpretation, such as the destruction of the Temple and the Bar Kokba revolt. If the
rabbis saw a need for relating to history, they did so within the context of
discussing Scripture. When they wanted to tell stories about martyrs, they
included them in their exegesis. Historical descriptions by the Tannaim and
Amoraim are interspersed between halakot and midrashim. Rabbis saw no
need for writing a whole book about the life of a great scholar or a nasi.
Only bits and pieces of such stories have remained, the classic one of which
is the story of R. Eleazar ben Shimon, preserved in the midrash Pesiqta de
Rav Kahana, Piska 2. Palestinian sages tried to restrict their creativity to
the confines of the oral Law. Writing itself was limited, if not forbidden,
and an effort was made to channel creativity into permitted forms only.
Halakic decisions of different periods or from conflicting schools are also
known. Rabbinic tradition relates material from different levels and from
many generations. It does not include political or geographical history of
the kinds found in Greco-Roman histories or in the Books of Maccabees.
5. Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, Citt del Vaticano

2001.
6. The Qumran community, the author of the Liber Antiquitatum biblicarum and the apocalyptic movement have each one its one definition of history.
7. C. Saulnier, Flavius Josphe: Apologiste de Rome pour servir lhistoire juive, in
A. Kasher - U Rappaport - G. Fuks, Greece and Rome in Eretz Israel, Jerusalem 1990,
84-91.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

219

But it contains a wealth of information about the Temple, the synagogue,


the beth midrash, the life of the sages and relations between Israel and the
Diaspora.
The failure to study the rabbinic sources has resulted in casting Jewish
and New Testament realities in a Hellenistic mold. Recently there has been
a reaction. It will be enough to remember that the new trend in exegesis
called the Third Quest admits as a principle that every bit of information
in the Gospel which goes back to Judaism provides a criterion of historicity8. We must keep in mind that historia in Greek has the same meaning as
Midrash in Hebrew, that is to say inquiry, research.
We are not going to study here the texts about Jesus and the Minim in
rabbinic literature, since we studied them in another article9. It is only the
historical milieu of the New Testament that we are considering at present.
I. Methodology
The main problem, when tackling Rabbinic Literature as a historical source,
is methodology. How do we proceed to avoid apologetics or disbelief? First
of all, rabbinic Literature must be treated as Literature tout court, which
means that the historico-critical method must be applied to the rabbinic
texts. Literary criticism must precede historical criticism. Critica textus
remains a serious problem in rabbinic Literature. Rabbinic research is in
great need of critical editions of the texts. Only a part of rabbinic texts has
appeared in critical editions10. Secondly, a Synoptic problem exists also
in rabbinic Literature, since we have different versions of the same event.
Thirdly, when trying to date the texts, different possibilities are offered
to the scholars, especially the comparison with the apocryphal books and
8. G. Segalla, Alla luce della Third Quest, Nunzium 4 (nov. 2000) 84; D. Marguerat,

La troisime qute du Jsus de lhistoire, RSR 87 (1999) 397-421.


9. Les sources rabbiniques sur le judo-christianisme, to be published.
10. Mekilta de R. Ismael, and of R. Simon, Sifra, Sifre, GenR and LevR, Pesiqta de
Rav Kahana, Pesiqta rabbati, Tanhuma have critical editions. The critical edition of the
Tosephta published by Lieberman is a great contribution to science. The manuscript of
Mnchen of the Talmud Babli has been published in Germany. For other tractates the
best manuscripts must be quoted. For the Mishna the Kaufman manuscript is considered
as the best. There is also the famous problem of the italian Geniza to be taken into
consideration. See the study of M. Perani, I manoscritti ebraici della Genza italiana:
Frammenti di una tradizione sconosciuta del Sefer ha-Sorasm di Yn ibn Ganah, Sefarad 53 (1993) 103-142.

220

F. MANNS

with the New Testament traditions11. Last, but not least, archaeology can
in some cases confirm the historical dimension of information given by
rabbinic literature.
Comparison with the Church Fathers can be interesting, especially
between the Mekilta and Justins Dialogue, or between Origen and R. Yo11. R. Bloch, Note mthodologique pour ltude de la littrature rabbinique, RSR 43

(1955) 194-227; B. Gerhardsson, Memory and Manuscript. Oral Tradition and Written
Transmission in Rabbinic Judaism and Early Christianity, Uppsala 1961, 85; R. Mayer,
Zum sachgemssen Verstehen talmudischer Texte, in Abraham unser Vater. Fest. O.
Michel, Leiden 1963, 346-355; J. Jeremias, Paulus als Hillelit, in E.E. Ellis - M. Wilcox
(ed.), Neotestamentica et Semitica, Edinburgh 1969; A. Goldberg, Die funktionale Form
Midrasch, FJB 2 (1974) 1-38; Entwurf einer formanalytischen Methode fr die Exegese
der rabbinischen Traditionsliteratur, FJB 5 (1977) 1-41; Das schriftauslegende Gleichnis
im Midrasch, FJB 9 (1981) 1-90; Distributive und Kompositive Formen. Vorschlge fr
die Descriptive Terminologie der Formanalyse rabbinischen Texte, FJB 12 (1984) 147153; Form-Analysis of Midrashic Literature as Method of Description, JJS 36 (1985)
159-174; D.W. Halivni, Contemporary Methods of the Study of Talmud, JJS 30 (1979)
192-201; K.H. Regenstorf, Grundstzliche und methodische berlegungen zur Bearbeitung
von rabbinischen, insbesondere tannatischen Texten, Theo 1 (1967) 76-87; M. Smith, On
the Problem of Method in the Study of Rabbinic Literature, JBL 92 (1973) 112-113; W.S.
Towner, Form Criticism of Rabbinic Literature, JJS 24 (1973) 101-118; E. Wiesenberg,
Observations on Method in Talmudic Studies, JSS 11 (1966) 16-36. H.L. Strack - G.
Stemberger, Introduccin a la literatura talmdica y midrsica. Miguel Prez Fernndez
(ed.), Valencia 1988; A.J. Saldarini, Form Criticism of Rabbinic Literature, JBL 96 (1977)
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G. Vermes, The Impact of the Dead Sea Scrolls on the Study of the New Testament, JJS
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Midrash and the Use of the Old Testament in the New Testament, JSJ 2 (1971) 29-82;
J.M. Baumgarten, The Unwritten Law in the Pre-Rabbinic Period, JSJ 3 (1972) 7-29;
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dans le Judasme. Aperus sur lorigine du midrash, CS 8 (1954) 9-34; R. Brown, Midrashim as Oral Traditions, HUCA 47 (1976) 181-189; H.M. Chadwick - N.H. Chadwick,
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Problem of Oral Tradition, VT 13 (1963) 113-125; L. Finkelstein, The Transmission of
the Early Rabbinic Tradition, HUCA 16 (1941) 115-135; I. Heinemann, Die Lehre vom
ungeschriebenen Gesetz im jdischen Schriftum, HUCA 4 (1927) 149-171; S. Lieberman,
Hellenism in Jewish Palestine: Studies in the Literary Transmission, Beliefs and Manners
of Palestine in the I Century B.C.E.-V Century C.E., New York 1950, 83-99; B.O. Long,
Recent Field Studies in Oral Literature and the Bearing on Old Testament Criticism, VT
26 (1976) 187-198; A.B. Lord, The Singer of Tales, Cambridge (Massachussets) 1960; H.
Mantel, The Antiquity of the Oral Law, ASTI 12 (1983) 93-112; J. Neusner, The Rabbinic
Traditions, III, Leiden 143-179; The Written Tradition in the Pre-Rabbinic Period, JSJ
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Safrai, The Literature of the Sages, I, Van Gorcum - Minneapolis 1987, 35-119.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

221

hanan. But it means that rabbinic texts, especially tannaitic texts, and the
literature of the Church Fathers must first be studied, each one separately,
in a critical way12.
Recently A. Goshen-Gottstein13 claimed that rabbinic literature is not
an historical, but an ideological source. There is no doubt that rabbinic
literature was redacted lately and is a theological construction. Rabbinic
culture has a collective nature and was redacted only in the 5th century
A.D. But it doesnt preclude the possibility of arriving at historical facts.
First of all, a main distinction must be made between Tannaitic and Amoraim productions. We must then locate the particular world-view and ideals
that find expression in rabbinic Literature. If the stories are true narrations
of historical events, they may express the complexity of the stature of the
sages within society. To the extent the stories reflect real historical situations, the values and tensions they express may come from a wide circle
that extends well beyond the limits of the beth midrash.
One must admit that rabbinic literature contains many opposing traditions. A few examples will show this. R. Meir says that a goy who studies
the Torah deserves to be a High Priest (Sanh 59a). He quotes Lev 18:5 where
the text says that not the priests, nor the levites, nor the Israelites, but men
who live the Torah will have life through it. Mekilta de R. Ismal, Ex 20:2
adds that the Torah was given at Sinai, in an open space, in order that even
strangers would feel that it concerned them. Sab 88b adds that the Torah was
given in 70 languages, so that all the peoples should understand it.
On the other side, R. Yohanan, living one century after R. Meir, holds
that a goy who studies the Torah must be killed (Sanh 59a). R. Yohanan
adds that the covenant of God with Israel was concluded for the merits of
the oral Law (ExR 47). There is no salvation for pagans (T. Sanh 13:2). It
is clear that we are confronted with two different traditions.
R. Meirs opinion seems to be the oldest. The second is polemical
against Paul who accepted pagans as students of the Law. The reaction of
R. Yohanan could also be caused by Marcion who rejected the value of the
Old Testament.
In Mekilta, Ex 14:5 we find very harsh texts against the fearers of the
Lord.
12. F. Bergamelli, Il metodo nello studio dei Padri: Problemi, orientamenti e prospettive,

in E. Dal Covolo - A.M. Triacca (ed.), Lo studio dei Padri della Chiesta oggi (Biblioteca
di Scienze Religiose 96), Roma 1991, 19-43.
13. The Sinner and the Amnesiac. The Rabbinic Invention of Elisha ben Abuya and Eleazar
ben Arach, Standford 2000, 14-15.

222

F. MANNS

And he took 600 chosen chariots. Whose were the beasts that drew the
chariots? Should we say they belonged to the Egyptians, has it not already
been said: And all the cattle of Egypt died (Ex 9:6)? Should you say they
belonged to Pharaoh, has it not already been told: Behold the land of the
Lord is upon thy cattle (Ex 9:3). Should you say they belonged to the Israelites, has it not already been said: Our cattle also shall go with us; there
shall not a hoof be left behind (Ex 10:26)? To whom then did they belong?
To those who feared the Lord among the servants of Pharaoh. We thus learn
that even those who feared the Lord among the servants of Pharaoh became
a snare for Israel. In this connection R. Simon ben Yochai said: The nicest
among the idolaters, kill. The best of serpents, smash its brain.
Another contradictory tradition comes from BB 21a where the Amora
Rav relates that Joshua ben Gamla, the High Priest in 63-65 A.D. established a decision that they should set up teachers for children in every city
and bring them in at the age of six. In the Talmud Jerushalmi Ketoubot 8
(end) one of the regulations of Simon ben Shetah, a contemporary of Alexander Yannai in the first half of the 1st century BC, decided that the children should go to school. These apparently contradictory tradition can be
explained. The decision of Simon ben Shetah established the duty to go to
school and the decision of Joshua ben Gamla reinforced the establishment
of schools in every city. Josephus in his Contra Apionem 2,18 emphasizes
that study of Torah was widespread and that children received education.
Besides that there are many polemical traditions in the Talmud14. I shall
quote only one from Abodah Zarah 8a (see also ARN 8):
Our rabbis taught: When primitive Adam saw the day getting gradually shorter, he said: Woe is me, perhaps because I have sinned, the world
around me is being darkened and returning to its state of chaos and confusion, this then is the kind of death to which I have been sentenced from
Heaven. So he began keeping an eight days fast. But as he observed the
winter equinox and noted the day getting increasing longer he said: This
is the worlds course and he set forth to keep an eight days festivity. In
the following year he appointed both as festivals. Now he fixed them
for the sake of Heaven, but the heathens appointed them for the sake of
idolatry.
Pagans here are the Christian coming from the Gentiles who fixed the
feast of Christmas on December 25, the feast of the sol invictus, the winter
equinox. Jews decided to celebrate on the same date the feat of Hanukah.
14. J.Z. Abram, Recognizing and Repudiating anti-christian Polemic in Classic Jewish

Sources, CCAR Journal 41 (1994) 37-43.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

223

Finally, rabbinic texts have to be put in their historical context, as all


other texts. For example Abot 1:2 gives the three pillars of Judaism according to Simon the Just: The world stands upon three pillars: Torah, cult
(abodah) and deeds of loving kindness (gemilout hasidim). Abot 1:2 presents a new version of 2Ch 31:21 a text which contains the three pillars of
King Ezekias: the cult of the Temple, the Torah and the commandments15.
The small change of order introduced by Abot is meaningful. Abot was
written after the destruction of the Temple. Torah became therefore the first
pillar. Many other rabbinic texts, contrary to tractate Middot, do not put the
Temple in the first place. Reading of the Torah replaced the cult16.
Mishna Hagiga 2:2 contains a famous controversy: May one lay hands
on sacrifices on festival days? The Mishna relates that the pairs (zugot)17
disagreed on this question generation after generation and adds: The first
were Patriarchs (Nesiim) and the second were heads of the Court (abot
beth din). Most scholars agree that in the time of the zugot and the period
of the second temple the titles Nasi and Ab beth din were not in use. They
do not appear before the time of R. Simon ben Gamaliel II in the generation
of Bar Kokba. The Mishna describes the reality of the zugot in the light of
the reality of the second half of the 2nd century A.D.
1. Comparison with Flavius Josephus
Josephus, the well-known historian of the first century, was a Jewish priest
who opted for the Pharisees style of life. Among the many examples 18
of contact between Josephus and rabbinic literature, two will be studied.
Another case where Josephus seems to contradict the rabbinic sources will
also be mentioned.
15. Abot 1:18 gives the list of the three pillars according to R. Simon ben Gamaliel: truth

(emet), judgment (din) and peace (shalom). The order changes in some manuscripts. Tora is
presented as truth, the temple service is replaced by justice and the deeds of lovingkindness
are replaced by peace. Many other changes occurred in halakah because of the destruction
of the Temple.
16. Menahot 110a; ARN (A) 4; ARN (B) 5; Midrash Tehilim 134,1.
17. The zugot (duumviri) designate the teachers from Jose ben Joezer till Hillel. Always two
stood at the head of the Sanhedrin, one as president (nasi) and the other as vice-president
(Ab beth din).
18. Revelation to Hyrcanus that his sons had obtained the victory: T. Sota 13:5; Josephus,
Ant 13,282-283. Salome Alexandra takes power: Qid 66a et Josephus, War 1,110-112;
Ant 13,400-408. The war between Aristobulus II and Hyrcanus II: Sota 49b; Josephus,

224

F. MANNS

a) The Miracle of the Temple doors


The Temple doors swung open by themselves every night for forty years, beginning in 30 CE. The leading Jewish authority, R. Yohanan ben Zakkai, declared
that this was a sign of imminent ruin, that the Temple itself would be destroyed.
The Jerusalem Talmud, quoting Scripture to explain the fact, states:
Rabban Yohanan ben Zakkai said to the Temple: O Temple, why do
you frighten us? We know that you will end up destroyed. For it has been
said, Open your doors, O Lebanon, that the fire may devour your cedars
(Zechariah 11:1) (J. Yoma 6:3,43c).
The Talmud Babli Yoma 39b, insisting also upon Scripture, quotes:
Our masters taught: Forty years before the destruction of the Sanctuary its doors opened of themselves, and remained open until Yohanan
ben Zakkai rebuked them saying: O Temple, Temple why are you afraid?
I know that finally you will be destroyed. Zechariah son of Iddo has prophesied concerning you: Open, O Lebanon, your doors, and let the fire devour
your cedars.
This tradition is quoted in a baraita, which means that is dates from the
tannaitic period. Flavius Josephus mentions this mysterious opening of the
gates of the Temple as having occurred in 70 A.D., a few months before
its final destruction (War 6,5,3 293).
R. Yohanan ben Zakkai was the leader of the Jewish community during
the period following the destruction of the Temple in 70 A.D., when the
Jewish government left Jerusalem for Jabne. The Talmud Babli adds the
theme of the forty years, which probably has a theological meaning19 and
he quotes the Scripture which transforms the account in a midrash. The
term Lebanon signifies here the Temple as often in the Targumim20.
Ant 14,25-28. Destruction of the Temple: Git 55b-56a; Josephus, War 2,409. Foundation
of schools for boys: BB 21a: Joshua ben Gamla in 63 BC: communities must have their
schools: J. Ketoubot 8, end: Shimon ben Shetah: obligation to go to school. Josephus, Contra Apionem 2,18 et 1,12: Every body knows the laws. Administration of the temple is lead
by Sadducees: Yoma 1:5-6; T. Suc 5:1; T. Para 3:8. Confirmed by Josephus, Ant 18,15. T.
Yoma 1:4 the night before Kippur a high Priest had a pollution. He had to be substituted
by Joseph, son of Halim from Sepphoris. Josephus, Ant 17,165 knows the story and adds
the name of the High Priest: it was Matthatias, son of Theophilus High Priest in the year 4
BC. Abot 1: The men of the Great assembly said: Be deliberate in judgement. Josephus, Ant
13,299, says that the Pharisees by nature are lenient regarding capital crimes. In Ant 20,199
he admits that the Sadducees are the most severe of all the Jews.
19. The other traditions concerning the Temple mentioned in the same baraita will be
studied later.
20. G. Vermes, Scripture and Tradition in Judaism, Leiden 1973, 27.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

225

On the miraculous opening of locked doors, Acts 5:19,23 gives a


New Testament reference. In Jewish sources the same phenomenon is
known21. It doesnt mean that we are dealing with a literary genre. The
doors might have opened to signify that all may now enter the Temple,
even to its innermost holy part. The evidence supported by the miracles
described suggests the Lords presence had departed from the Temple 22.
This was no longer just a place for High Priests alone, but the doors
swung open for all to enter the Lords house for worship. The Synoptic Gospels express the same idea with the image of the veil of the
Temple being rent. We have here an historical fact and its theological
interpretation.
b) Magic Practices
Jewish Magic is well known23 since the discovery in the Geniza of Cairo
of the Sefer ha-Razim (Book of Secrets), a magic book of a Palestinian
Jew24. Even in the Old Testament an exorcism is described in the Book of
Tobias25.
Josephus Flavius reports on a Jew named Eleazar26 who performed
exorcisms a number of times in the presence of Vespasian and the Roman
military commanders. He used special herbs to draw the devil out of the
nostrils of the possessed (Jewish Antiquities 8, 2, 5, 45-48). Similarly, the
Qumran community used poems intended to drive out evil spirits and to
21. L. Ginzberg, Geonica, I, New York 1929, 28; II, 331. See midrash of Proverbs 9:2.
22. See Testament of Benjamin 9:4 and Testament of Levi 10:3.
23. L. Blau, Das Altjuedische Zauberwesen, Budapest 1898.
24. M. Margalioth (ed.), Sefer Ha-Razim, Tel Aviv 1967 (Hebrew); J. Naveh - S. Shaked,

Amulets and Magic Bowls, Jerusalem - Leiden 1985; P. Schaefer, Jewish Magic Literature
in Late Antiquity and Early Middle Ages, JJS 41 (1990) 75-91; L.H. Schiffman - M.D.
Swartz, Hebrew and Aramaic Incantation Texts from the Cairo Geniza, Sheffield 1992.
Christian magic is unlike Jewish magic: the investigation of magic among the early Christians, that is, magic believed in by the (mostly) Jewish Palestinians, has received considerable attention. D.E. Aune, Magic in Early Christianity, in Aufstieg und Niedergang der
Rmischen Welt, Berlin - New York 1980, II,23.2, pp. 1507-1557.
25. I. Gafni, Yehudei Babel bi-Tequfat ha-Talmud, Jerusalem 1991, 54-61 (Hebrew). It is
surmised that the women described by Ezekiel (13:17-23), were practicing exorcism. See:
W.H. Brownlee, Exorcising the Souls from Ezekiel 13:17-23, JBL 69 (1950) 367-373.
26. D.C. Duling, The Eleazar Miracle and Solomons Magical Wisdom in Flavius Josephuss Antiquitates Judaicae 8:42-49, HTR 78 (1985) 1-25.

226

F. MANNS

frighten and scare all the spirits of the angels of destruction27. Exorcisms
were also attributed to Jesus and his disciples28. Thus, exorcism was an accepted practice. Unanimity regarding exorcism was recognized in various
circles in the Jewish people in the 1st century A.D.
Similarly in Hellenistic culture holy men dealt with miracles and
exorcisms. The sages of Israel were bound to conclude that these deeds
curing people by exorcism were an accepted social and religious phenomenon29.
Often we read in rabbinic literature that the sages practiced magic30.
It can be admitted that in ancient times no distinction was made between
religious life and magic, but magic was an integral part of religion. Indeed,
among the various matters of magic mentioned in the Talmudic literature,
many incidents of exorcism by rabbis are noted explicitly31. We illustrate
only one case. The following is told about Rabbi Hanina ben Dosa, a Galilean Hasid, who lived in the first century:
Once Rabbi Hanina ben Dosa went to immerse himself in (the water of)
a cave. Kuthim (Samaritans) came and placed a large rock over the mouth
27. E. Puech, 11QPsApa: Un Ritual dexorcismes. Essai de Reconstruction, RQ 14 (1990)

377-408; R.H. Eisenman - M. Owen Wise, The Dead Sea Scrolls Uncovered, Shaftesbury,
Dorset - Rockport, Massachusetts - Brisbane, Queensland: Element, 1992, 265-267.
28. Mt 12:22-24; Mk 5:2-20; 6:13; Lk 8:2; 8:26-33; Acts 19:13.
29. D.L. Thiede, The Charismatic Figure as Miracle Worker (SBL Dissertations 1), Missoula, Montana 1973; P. Brown, Society and the Holy in Late Antiquity, Berkeley - Los
Angeles 1982, 103-152; W.S. Green, Palestinian Holy Men: Charismatic Leadership and
Rabbinic Tradition, in Aufstieg und Niedergang der Rmischen Welt, Berlin - New York
1979, II,19.2, pp. 619-647.
30. E.E. Urbach, The Sages. The World and Wisdom of the Rabbis of the Talmud, Jerusalem
1979. On related issues, the Sages and magic, see: J. Goldin, The Magic of Magic and
Superstition, in E. Schssler Fiorenza (ed.), Aspects of Religious Propaganda in Judaism
and Early Christianity, Notre Dame - London 1976, 115-147; J. Goldin, Studies in Midrash
and Related Literature, Philadelphia - New York - Jerusalem 1988, 337-357.
31. J.N. Lightstone, The Commerce of the Sacred, Chico, California 1984, 17ff. It must be
mentioned that exorcism in spite of its magic character for modern eyes was in actually a therapeutic operation. The ancient world believed that sickness is caused by spirits
that entered the body, hence removal of the spirits will effect his a cure. Thus, medicine
and ancient folk wisdom recognized exorcism not necessarily as a magic operation but as
a matter of therapy (similar to the war against microbes that invade the body of modern
man). See: W. Ebstein, Die Medizin im Neuen Testament und im Talmud, Mnchen 1975; J.
Preuss, Biblisch-talmudische Medizin. Beitrge zur Geschichte der Heikunde und der Kultur
berhaupt, Berlin 1921; S.S. Kottek, A Renewed Study of Several Medical Terms in the
Talmud, in Proceedings of the Tenth World Congress of Jewish Studies, Jerusalem, August
16-24, 1989. Division D, Volume 1: The Hebrew Language - Jewish Languages (World
Union of Jewish Studies), Jerusalem 1990, 45-52.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

227

of the cave. The spirits came and removed it. Subsequently, an evil spirit
haunted a poor woman in Rabbi Haninas neighborhood. His students said
to him: Rabbi, see how this poor woman suffers grief from the evil spirit.
Rabbi Hanina addressed the spirit: Why do you cause grief to the daughter
of Abraham? The spirit responded: Are you not the one who went down to
dip in the cave, and so on, ... till I came with my brothers and my fathers
household and removed the rock. Is this how you pay me for the favor I
did you? He answered her: I decree
In spite of the shortened form of the story32, it probably ended with
Rabbi Hanina ordering the spirit to leave the poor woman, notwithstanding
that previously the spirit had done him a favor. Indeed the spirit fled and
the woman was cured, revealing the power of Rabbi Hanina.
The text itself shows signs of shortening by the copyist (and so on,
till I came) and the end is missing. It is possible that it was intentionally censored from a Talmudic text because of its magical character. The
fact that the Jerusalem Talmud, and also various midrashic texts, have not
been preserved intact shows that this text is authentic and was written in
the Talmudic period.
The words of Rabbi Hanina to the spirit Why do you cause grief to
the daughter of Abraham? are similar in content to the words of Jesus
who cured a woman on the Sabbath (Lk 13:16). Both incidents refer to a
daughter of Abraham. This parallelism strengthens the conjecture that
this text, known from a later source, is authentic33.
However, we have to clarify whether the source of this text is an authentic tradition and whether Rabbi Hanina accomplished the exorcism
attributed to him. The answer is that in this matter there is correspondence
between this external tradition about Rabbi Hanina and the other Talmudic traditions dealing with his personality34.
32. This story is not known from Talmudic literature itself but from the writing of a twelfth-

century Ashkenazi sage. The question arises: is this a rabbinic text from the Talmudic period that for some reason, intentional or not, is unknown from Talmudic literature or a
pseudoepigraphic text. First it has to be noted that the fact that the cited text is known only
from medieval times does not necessarily show that it is fabricated. This phenomenon an
ancient original text preserved only in the manuscript from a later corpus is also known
from other examples, such as the preservation of Sifre Zuta in Yalkut Shimoni and remnants
of sermons of the Tannaim in the Great Midrash.
33. H.D. Betz, The Greek Magical Papyri in Translation, Chicago - London 1986, 62. On
another text with a similar nature (PGM IV.3007-86), see there p. 96; W.L. Knox, Jewish
Liturgical Exorcism, HTR 31 (1938) 191-203.
34. On R. Hanina ben Dosa, see: G. Vermes, Post-Biblical Jewish Studies, Leiden 1975,
178-214; S. Freyne, The Charismatic, in G.W.E. Nickelsburg - J.J. Collins (ed.), Ideal

228

F. MANNS

c) Sanhedrin
Sometimes the information given by Josephus and that of the Rabbinic
Literature do not fit together. The earliest sources (Josephus, Philo, and the
New Testament) depict the Great Sanhedrin as controlled by the Sadducees
and ruled by the High Priest. The later rabbinic sources portray the Sanhedrin as dominated by the Pharisees and headed by the Nasi.
Gedaliah Alon35, a Jewish scholar who studied the problem, writes:
The Tannaitic tradition, it was claimed, gives us a picture of the Sanhedrin as an entirely Pharisaic institution, composed exclusively of learned
Sages. But the external sources show us the priests particularly the upper
priesthood cast in an important role. Still more glaring is the difference
between the two types of sources when it comes to the Presidency of the
Sanhedrin. The rabbinic tradition calls this office the Nasi, and makes him
out to have been a learned judge a Pharisee. It is in accordance with this
tradition that Hillel the Elder, and Rabban Gamaliel the First, and Rabban
Simeon his son are said to have been each in turn Nasi of the Sanhedrin.
By contrast, the Greek-language sources always have the High Priest
presiding at sessions of the Great Sanhedrin. That is the situation in the
Gospels and in the Acts of the Apostles, at the trials of Jesus, of Stephen,
of the Apostles, and of Paul. So too in Josephus, as at the trial of James,
brother of Jesus, or the appearance of Herod before Hyrcanus II.
The problems caused by our multiple and contradictory sources remain
Alon then goes on to show from rabbinical literature that the first century Sanhedrin had powerful non-Pharisaic elements in it. Some of the data
he brings up are:
- The example of the struggle (in Megilat Taanit) between Simeon
ben Shetah and the Sadducees over a matter of the law, which led to the
Figures in Ancient Judaism - Profiles and Paradigms, Ann Arbor, Michigan 1980, 223-258;
B.M. Boxer, Wonder-Working and the Rabbinic Tradition: The Case of Hanina ben Dosa,
JSJ 16 (1985) 42-92. Rabbi Hanina is famous for curing the sick with his prayer, including
among others the son of Rabbi Yohanan ben Zakkai; he lived for a week on a measure of
carobs and a heavenly voice announced this and also that the world is sustained because of
his merit; angels appeared to him in the form of humans; he denied that he was a prophet.
As a consequence of his prayer the rain stopped and after a second prayer it began raining
again; a miracle occurred to his wife and her oven filled with bread; a snake that bit him
died; a miracle happened to him and vinegar burned as if it were oil; and so did various
other miracles happened to him. As a charismatic (Hasid) his piety and righteousness exceeded his learning.
35. The Jews in Their Land in the Talmudic Age, translated from the Hebrew by Gershon
Levi, Jerusalem 1984, 188.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

229

Pharisees gaining control of the Great Sanhedrin (this was during the times
of the last of the Hasmonean kings, pre-63). To gain control implies that
the Sadducees had control before. The portraits in Acts fit into this understanding.
- There is the pre-70 incident about the execution of the priests daughter who was found guilty and burned to death. In the discussion, this is
deemed a mistake, because it was made by a court that did not know the
law correctly (Sanh 7:2), but Rab Yoseph in the Gemara explains that it
was a court of Sadducees (Sanh 52b). That this was being judged in Jerusalem a generation before 70 by a court of Sadducees indicates that they
were in control during the time in question.
- The Tosephta Sanh 4:7 refers to the Sanhedrin, in its role of inspecting
the Kings Torah Scroll, as being the court of priests and Levites and of
Israelites from families eligible to intermarry with the priesthood.
- The New Testament descriptions of the Court are historically certain.
- Philo understands that the Great Sanhedrin was in the control of the
priests (De Spec. Leg. IV).
Alon concludes that the pre-70 court was a mixture of groups, each
with their own power. As to the issue of Presidency or of the Nasi, Alon
resolves it thus:
We have already suggested that it is unlikely that any one of the elements composing the Sanhedrin had control of it. This very fact may explain why the sources contradict one another. It would allow us to view the
high priest as one leader of the Sanhedrin, and the head of the Pharisaic
party as another. If this be granted, then it is logical to suppose that the
high priest took over when the agenda dealt with matters of state and public
policy, while the Nasi or the Ab Bet Din took the chair when the discussion
concerned religious affairs, matters of substantive law, and whatever else
was internally Jewish. All the sessions that show the high priest presiding
were cases with a political aspect, even though they seem on the surface to
have been the trials of individuals. But when the subject before the house
was purely halakic, then Hillel and Rabban Gamaliel the Elder and Rabban
Simeon ben Gamaliel might well have presided.
We have no real proof that the Nasi had any official constitutional status in the Sanhedrin during the Second Commonwealth. On the contrary,
it is much more likely that he was simply the de facto leader of his party,
occupying no legally recognized office. Consequently, Rabban Gamaliel
can be described in Acts of the Apostles (5:34) simply as one highly respected member of the Sanhedrin, much as Josephus describes Shemaya
(or Shammai) (p. 194).

230

F. MANNS

Some evidence from Josephus must be quoted:


Accordingly, the number of the high priests, from the days of Herod
until the day when Titus took the temple and the city, and burnt them,
were in all twenty-eight; and the time also that belonged to them was a
hundred and seven years. Some of these were the political governors of the
people under the reign of Herod, and under the reign of Archelaus his son,
although, after their death, the government became an aristocracy, and the
high priests were entrusted with a dominion over the nations (Ant 20.10).
If a dispute could not be settled locally, let them send the causes undetermined to the holy city, and there let the high priest, the prophet, and the
Sanhedrin, determine as it shall seem good to them (Ant 4.8.14).
The High Priest Hyrcanus II was presiding over the Sanhedrin in 47 BC
(Ant 14.9.3-5) and Ananos the younger in 62 A.D. (Ant 20.9.1).
What this means is that the picture in Acts is in accordance with all
we know about the Sanhedrin in this time period from all sources. Source
criticism is necessary nevertheless.
2. Comparison with Apocryphal Books and Qumran texts
Two examples are chosen from the Jewish Apocrypha and two from Qumran.
The feast of Hanukah celebrated on Kislev 25 in memory of the dedication of the Temple is described in the first Book of Maccabees 4:59. The
tractate Sabbat 21b refers a baraita which gives an interesting account on
the Feast:
Our rabbis taught: On the 25 of Kislev commence the days of Hanukah
which are eight on which a lamentation for a dead and fasting are forbidden. For when the Greek entered the Temple, they defiled the oils therein,
and when the Hasmonean dynasty prevailed against and defeated them,
they made search and found only one cruse of oil which lay with the seal
of the High Priest but which contained sufficient for one days lighting
only; yet a miracle was wrought therein and they lit the lamp therewith for
eight days. The following year these days were appointed a Festival with
the recital of Hallel and thanksgiving.
The Mishna Succa 5:4 provides a second example:
When they arrived at the gate that led forth to the East they turned their
faces to the West and said: Our ancestors when they were in this place
turned with their backs unto the Temple and their faces towards the East
and they prostrated themselves eastward towards the sun (Ez 8:16), but for
us our eyes are turned towards Yah.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

231

The Book of Judith 8:18 makes the same confession: all the tribes, all
the families, all the cities adored gods made by men.
Qumran literature can give an important contribution to our research.
Ex 22:15-16 requires from the one who violated a virgin to marry her.
Mekilta, Ex 22:15-16 and Ketoubot 3:6 comment this text and add: If she
fits him. The Temple Scroll 66:8-11, which comments the book of Exodus,
knows the same addition.
One feature of the organization of the second Temple was the collection
of the half sheqel donation for the maintenance of the Temple. Making the
donation an annual obligation was a Pharisaic innovation. The biblical text
(Ex 30:12-16) prescribes a one-time donation for the erection of the tabernacle and not an annual donation. The Sadducees objected to this innovation and insisted that the public sacrifices should be financed by private
donations36. From the Qumran texts it is clear that the Essenes taught that
the Half-Sheqel should be given once, and not annually37.
Apocryphal Literature contains sometimes information confirmed by
the Talmud. According to the Protevangelium Jacobi 10:1 there were young
girls in the Temple adorning the veil of the Temple. Between them was
Mary, the mother of Jesus. The Mishna Sheqalim 8:5 and baraitot from
Tamid 29b; Hullin 90a; J. Sheqalim 8:4,51b confirm the information that
82 young girls adorned the veil of the Temple. 2Baruch 10:19 and Pesiqta
Rabbati, Piska 26:6 are external confirmations of this old custom.
3. Contribution of archaeology
According to Mishna Kelim 10:1 stone vessels offer protection against the
entry of uncleanness. Excavations made by Y. Magen in Tibeon discovered
a cave where stone vessels were prepared38. The Gospel of John 2 while
describing the marriage at Cana mentions stone vessels used for the purification of the Jews39.
36. See the beginning of the Megilat Taanit.
37. DJD, 5, p. 7. Josephus, Ant 18,312 affirms that the cities of Nahardea and Nisibis served

as centres to collect the half Sheqel. Philo of Alexandria, Embassy to Gaius, 33 et 42 speaks
of this collect in Egypt.
38. Y. Magen - O. Rimon, Purity Broke Out in Israel. Stone Vessels in the Late Second
Temple Period, Haifa 1994.
39. See other examples: Individual persons make donations to the Temple. Yoma 3,6: Nicanor pays the doors of the Temple. Tomb of Nicanor who payed the doors of the Temple is
known (Corpus Inscript. Judaicarum 1256). Halla: 3 persons bring offerings to the Temple

232

F. MANNS

The Mishna Ketoubot asks from the man who marries a wife to write
her a ketouba. Very old ketoubot have been found in Qumran and in the
Cairo Geniza40.
Mishna Miqwaot, describing the ritual bath, has been confirmed by
archaeology diggings41. The excavations of Caesarea Maritima permitted
to discover the praetorium where Paul has to appear42.
In the Qazrin Museum many archaeological remains are presented in a
pedagogic way for tourists. Some hellenistic cities of Palestine have been
excavated: Caesarea, Beth Shean, Caesarea Philippi and Hippos. With the
texts of Flavius Josephus they confirm what the Mishna Abodah Zarah has
to say about idolatric cults43. Even the coins of Aelia Capitolina show the
pagan Temple Hadrianus built on the Temples place. Coins of Samaria
present the Temple of Mount Garizim.
4. Comparison with the Gospels considered as Jewish Literature
We have already mentioned the commentary on the Gospels with rabbinic literature of Billerbeck. This mine of information lacks methodology.
C.G. Montefiore44, a liberal Jew who wrote many books on the Gospels,
contended that when Talmud and Gospels are compared, the originality
is almost always on the side of the Gospels. His statement is supported
sometimes by evidence:
Blessed are the merciful, for they shall obtain mercy (Mt 5:7).
which cause halakah problems. Ariston brings fruit from Apamea. An Inscription mentions Ariston in Hebrew and Greek: Scripta classica israelitica 11 (1991) 150.
40. M. Geller, New Sources for the Origins of the Rabbinic Ketubah, HUCA 49 (1978)
227-245; M. Friedman, Jewish Marriage in Palestine. Volume I: The Ketubba Traditions
of Eretz Israel (A Cairo Geniza Study, Chaim Rosenberg School of Jewish Studies - The
Jewish Theological Seminary of America), New York 1980.
41. R. Reich, The Hot Bath-House (balneum), the Miqweh and the Jewish Community
in the Second Temple Period, JJS 39 (1988) 102-107; R. Reich, The Synagogue and
the Miqweh in Eretz-Israel in the Second-Temple, Mishnaic, and Talmudic Periods, in D.
Urman - P. Flesher (ed.), Ancient Synagogues. I: Historical Analysis and Archaeological
Discovery (StPB 47,1), Leiden 1995, 289-297.
42. L. Di Segni, A Chapel of St. Paul at Caesarea maritima?. The Inscriptions, LA 50
(2000) 383-400.
43. N. Belayche, Iudaea-Palaestina. The Pagan Cults in Roman Palestine (Second to
Fourth Century), Tbingen 2001; S. Dar, Settlements and cult sites on Mount Hermon,
Oxford 1993; E. Alliata (ed.), Memoriam sanctorum venerantes. Miscellanea in onore di
Mgr Victor Saxer (Studi di Antichit Cristiana 48), Citt del Vaticano 1992.
44. C.G. Montefiore - E. Mihaly, Rabbinic Literature and Gospel Teachings (The Library
of Biblical Studies), New Jersey 1970.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

233

He who is merciful to others, shall receive mercy from Heaven (R.


Gamaliel Beribbi, 3rd century A.D., Sabbat 151b).
Freely you received, freely give (Mt 10:8).
Just as I teach gratuitously, so you should teach gratuitously (R. Judah,
299 A.D., Bekorot 29a).
Let what you say be simply yes or no (Mt 5:37).
Let your yes be yes, and your no be no (R. Abaye, died 338 A.D., BM
49a).
Whoever exalts himself will be humbled, and whoever humbles
himself will be exalted (Mt 23:12).
He who humbles himself for the Torah in this world is magnified in
the next; and he who makes himself a servant to the Torah in this world
becomes free in the next (R. Jeremiah, died 250 A.D., BM 85b).
Why do you see the speck that is in your brothers eye, but do not
notice the beam that is in your own eye? (Mt 7:3).
Do they say, take the splinter out of your eye, he will retort: Remove
the beam out of your own eye (R. Johanan, surnamed Bar Napha, 199-279
A.D., BB 15b).
Blessed are those who are persecuted for righteousness sake, for
theirs is the kingdom of heaven (Mt 5:10).
Be rather of the persecuted than of the persecutors (R. Abbahu, 279-310
A.D., BQ 93a).
Do not be anxious, saying What shall we eat? or What shall we
drink? (Mt 6:31).
Whoever has a piece of bread in his basket and says, What shall I eat
tomorrow? belongs only to them who are little in faith (R. Eliezer, 117
A.D, Sota 48b).
The Sabbath was made for man, and not man for the Sabbath (Mk
2:27).
It (the Sabbath) is committed to your hands, not you to its hands (R.
Jonathan ben Joseph, after the destruction of the Temple, Yoma 85a).
The harvest is plentiful, but the laborers are few (Mt 9:37).
The day is short, and the work is much; and the workmen are indolent,
but the reward is much; and the Master of the House is insistent (R. Tarfon,
120 A.D., Abot 2:15).
How may we account for the existence of parallels between the Gospels
and the Talmud? The existence of the oral Law is sufficiently proved45.
45. H. Riesenfeld, Memory and Manuscript. Oral Tradition and Written Transmission in

Rabbinic Judaism and Early Christianity, Uppsala 1961.

234

F. MANNS

Matthew relates that the fame of Jesus spread throughout the land, and
that many people listened to him. There are also a number of references
in the Talmud telling of discussions between Jewish Christians and leading rabbis, such as recorded in Sabbat 116a, Abodah Zarah 16b, 17a and
27b. Would not this indicate that the words of Jesus had become common
property, thus entering the Talmud? Finally one must remember that the
Gospels and Rabbinic Literature have been transmitted as oral tradition for
a long period of time.
II. Rabbinic Literature as a historical source
Since Paul was a disciple of R. Gamaliel and Matthew wrote his Gospel for
Jewish Christians, it would be surprising if Rabbinic Literature and Gospel
traditions would not fit together.
In the centuries following the destruction of the Temple in Jerusalem,
the Jewish people began writing two versions of Jewish thought, religious
history and commentary. One was written in Palestine and became known
as the Jerusalem Talmud. The other was written in Babylon and is called
the Babylonian Talmud.
The Jerusalem Talmud contains an interesting tradition:
Forty years before the destruction of the Temple, the western light went
out, the crimson thread remained crimson, and the lot for the Lord always
came up in the left hand. They would close the gates of the Temple by night
and get up in the morning and find them wide open (J. Yoma 6:3,43c).
The Babylonian Talmud states the same tradition as a baraita from the
period of the Tannaim:
Our rabbis taught: During the last forty years before the destruction
of the Temple the lot (For the Lord) did not come up in the right hand;
nor did the crimson-colored strap become white; nor did the western most
light shine; and the doors of the Hekal (Temple) would open by themselves
(Yoma 39b).
Since both Talmuds recount the same information, it is probable that the
knowledge of these events was accepted by all the Jewish community. One
source, even if not confirmed by external sources, may contain historical
information46.

46. The same happens in the Gospels. The Gospel of John contains historical information

which is not confirmed by the Synoptics.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

235

The Miracle of the Lot


The casting of the lot is linked to the feast of Kippur. The lot was
cast to determine which of two goats would be for the Lord and which
goat would be for Azazel or the scapegoat. During the period before
30 A.D., when the High Priest picked one of two stones, and each year
the priest would select a black stone as often as a white stone. But for
forty years, beginning in 30 A.D., the High Priest always picked the
black stone.
The lot for Azazel, the black stone, came up 40 times from 30 to
70 A.D. This was considered a dreadful sign and meant something had
changed in the Yom Kippur ritual. Impossible to see here a simple invention
of the Jewish community. We know from the Acts of the Apostles 1:26 that
the Christian community used to cast lots to solve some problems.
The Miracle of the Red Strip
The second sign concerns the crimson strip tied to the Azazel goat. Another
red cloth was tied to the Temple door. Each year the red cloth on the Temple door turned white to signify the atonement was accepted by the Lord.
This event happened until 30 A.D. when the cloth then remained crimson
each year to the period of the Temples destruction. This traditional practice
is linked to Israel confessing its sins and placing the nations sin upon the
Azazel goat. The sin was then removed by this goats death. Sin was represented by the red color of the cloth. If the cloth remained crimson, Israels
sins were not being pardoned. Isaiah the prophet said: Come, let us reason
together, saith the Lord: though your sins be as scarlet, they shall be white
as snow; though they be red like crimson, they shall be as (white) wool
(Is 1:18). The atonement achieved through the Yom Kippur observance was
not being realized as expected.
Concerning the crimson strip long before 30 A.D. during the 40 years
Simon the Righteous was High Priest, a crimson thread always turned
white when he entered the Temples innermost Holy of Holies. The people
noticed this. Also, they noted that the lot of the Lord (the white lot) came
up for 40 years during his priesthood. They noticed that the lot picked by
the priests after Simon would sometimes be black, and sometimes white,
and that the crimson thread would sometimes turn white, and sometimes
not. But after 30 A.D., the crimson thread never turned white again for 40
years, till the destruction of the Temple.

236

F. MANNS

What happened in 30 A.D. to merit such a change at Yom Kippur? On


the 14th of Nisan, the day of the Passover sacrifice Jesus offered his life as
a sacrifice for sin. To this event there is a transference of the atonement now
no longer achieved through the two goats as offered at Yom Kippur. In the
letter to the Hebrews the author affirms that Christ brings the atonement of
the sins (2:17). Christ is presented as the High Priest who entered the Holy
of Holies once for ever (chapters 7-9). Barnabas in his Letter presents Jesus
as the fulfillment of Yom Kippur. Like an innocent Passover lamb, the Messiah was put to death though no fault was found in Him. But unlike Temple
sacrifices or the Yom Kippur events where sin is only covered over for a
time, the Messianic sacrifice comes with the promise of forgiveness of sins
through grace given by God to those who accept a personal relationship with
the Messiah. This is essentially a one time event for each persons lifetime
and not a continual series of annual observances and animal sacrifices. It is
difficult to imagine that this account is a pure creation of the rabbis.
The Miracle of the Temple Menorah
Another sign was given: the Menorah in the Temple went out, and would
not shine. This western lamp was to be kept lit at all times. For that reason, the priests kept extra reservoirs of olive oil in ready supply to make
sure that the western lamp under all circumstances would be lit. But what
happened in the forty years from the year the Messiah said the Temple
would be destroyed? Every night for forty years the western lamp went
out, and this in spite of the preparations made by the priests. The symbol
of the menorah is well known47. On the arch of Titus in Rome every body
could see the Menorah brought to a foreign country after the destruction
of the Temple.
Something out of the ordinary was going on. The light of the Menorah, representing contact with God, His Spirit, and His Presence, was now
removed. This special demonstration occurred in the year 30 A.D.
There is no natural way to explain all these signs. Nevertheless we
have to remember that number 40 has a symbolic meaning in the Bible.
47. D. Barag, The Menorah in the Roman and Byzantine Periods: A Messianic Symbol,

Bulletin of the Anglo-Israel Archaeological Society 5 (1986) 44-47; L.I. Levine, The History and Significance of the Menorah in Antiquity, in L.I. Levine - Z. Weiss (ed.), From
Dura to Sepphoris. Studies in Jewish Art and Society in Late Antiquity (Journal of Roman
Archaeology. Supplements 40), Portsmouth, Rhode Island 2000, 131-153; W. Wirgin, The
Menorah as Symbol of Judaism, IEJ 12 (1962) 140-142.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

237

It is the number of the great preparations: the people of Israel sojourned


40 years in the desert before entering in the Promised Land. Even lot
casting had a symbolic meaning48. It seems that the main purpose of the
referred traditions is to oppose the period of Simon the Just with that of
his successors. The signs are linked with the Temple and the liturgy of
Kippur. Judaism couldnt ignore what happened in the year 30 since he
Talmud knows texts about Jesus and the Minim in the Mnchen manuscript. The signs mentioned are not confirmed by external sources49, not
even by the Gospels. Does it mean they have no historical value? Since
the Judaeo-Christians presented a christological reading of the feast of
Kippur in the Letter to the Hebrews, since Barnabas in his letter showed
that Christ accomplished the Jewish feasts, rabbinical literature accepted
evidence and acknowledged that the Temple was destroyed because hatred
existed in Israel.
Rabbinic literature contains also other historical information. We present our research about the rabbinic Literature as historical source according
different fields in a schematic way.
1. Linguistic Situation
The Talmud is written mainly in aramaic. A few baraitot are reproduced
in Hebrew. Palestinian Aramaic words are found also in the New Testament:
Talitha kumi (Mk 5:41), Effata (Mk 7:34), Eloi Eloi, lama sabaktani (Mk
15:34), abba (Mk 14:36). As far as aramaic is concerned, there are many
Greek words transliterated in it50. It is possible to conclude that the Talmud
reflects the linguistic situation in Palestine during the first centuries51.
We learn from the Talmud (Sota 49b) that R. Gamaliels son Simeon
had pupils who learned the wisdom of the Greeks; and it is most probable
that Simeons father had such pupils too.
48. A.M. Kitz, The Hebrew Terminology of Lot Casting and Its Ancient Near Eastern

Context, CBQ 62 (2000) 207-214; J. Lindblom, Lot-Casting in the Old Testament, VT


12 (1962) 164-178.
49. Testament of Benjamin 9:4 and Testament of Levi 10:3 provide indirect confirmations.
50. J. Geiger, Greek in the Talmud: Three Notes Pertaining to Dogs, Tarbiz 51 (1981-82)
303-305; G. Zuntz, Greek Words in the Talmud, JSS 1 (1956) 129-140; H. Birkeland, The
Language of Jesus, Oslo 1954; Z. Weiss, Hellenistic Influences on Jewish Burial Customs
in the Galilee during the Mishnaic and Talmudic Period, Eretz-Israel 25 (1996) 356-364.
51. A. Dez Macho, La lengua hablada por Jesucristo (Coleccin Santiago Apostol 3),
Madrid 1976; I. Zatelli, La situazione linguistica in terra dIsraele nel 1 secolo, in Storia
e preistoria dei Vangeli, Genova 1988, 17-24.

238

F. MANNS

Sota 49b and BQ 82b affirm that R. Judah Hanasi the Prince or the
Patriarch son of Rabban Simeon ben Gamaliel, studied also Greek and had
a preference for this language.
Even after the catastrophes of 70 and 135 A.D. the positive attitude
towards Greek education continued in the family of Jewish Patriarchs. Even
towards the end of the 4th century A.D. the sons of the Patriarch are said
to have studied with the rhetorician Libanius in Antioch52. Archaeological
evidence shows that Greek was common in Palestine; even the New Testament written by Jews was redacted in Greek.
Many Jewish expressions are common to the rabbinic Literature and to
the New Testament, such as the horn of salvation53, or the shosbin (the
groom)54. Semitic genitives are well known: son of obedience, son of light
or darkness. The same style is used in both literatures55.
2. The Liturgy of the Temple
To study the liturgy of the Feast of Pesah, Mishna Pesahim 5 and 10 is
fundamental56. Pesahim 5:1 should be compared to Josephus, War 6,423
and Antiquities 14,65. According to Josephus, the sacrifice of the feast was
presented after the offering of the afternoon Tamid. According to 11QT 17:
6-9, the sacrifice should be offered before the Tamid.
Tractate Berakot remains fundamental for the study of Jewish Liturgy
and the whole Seder of Moed gives the background of the Jewish festivals
mentioned in the Gospels.
We have studied elsewhere the situation of the Priests in the Temple
according the Gospel of John and the rabbinic Literature. Information about
52. M. Hengel, Judaism and Hellenism: Studies in Their Encounter in Palestine during the

Early Hellenistic Period, Philadelphia 1974, 77.


53. Lk 1:69 and the15 blessing of the Shemone Ezre.
54. R. Infante, La Voce dello Sposo (Giov 3,29), Vetera Christianorum 33 (1996) 301-302.
55. J. Jonsson, Humour and irony in the New Testament. Illuminated by parallels in Talmud
and Midrash, Leiden 1985.
56. M. Chaze, De la signification des ftes dans la Bible et le Talmud selon quelques
kabbalistes des XIII et XIV sicles, in P. Gignoux (ed.), La commmoration. Colloque
du centenaire de la section des sciences religieuses de lcole pratique des Hautes tudes
(Bibliothque de lcole des Hautes tudes. Section des Sciences Religieuses), Leuven
1988, 255-273; J. Tabory, On the History of the First Dipping (Karpas) on Passover Eve
during the Period of the Mishna and the Talmud, Annual of Bar-Ilan University 14-15
(1977) 70-78.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

239

corruption of the Priests is confirmed in the Rabbinic Literature57 and Josephus. The conflict between the Priestly Oligarchy and the Sages in the
Talmud Period is attested in J. Sabbat 12:3,13c = J. Horayot 3:5,48c58.
We should add here a chapter on Jewish prayer, the Shema Israel, the
Tephilim, the list of the deeds of loving kindness, even the Jewish background of Our Lords prayer. Since we have done it elsewhere59, we are
not repeating it here.
3. Sociological Situation
We must limit ourselves to the examination of one sociological situation,
that of women. J. Jeremias in his book about Jerusalem in the Times of
Jesus studied the situation of women in the oriental world. There is no
need to repeat in a synthetically way what he already said. Therefore we
shall mention only the comparison between John 4 which describes the
sociological problem of Samaritans and the rabbinic Literature.
In the Gospel of John 4:1-42 Jesus had to pass through Samaria. When
He approached the woman and talked to her, she questioned why he was
asking something from a woman of Samaria. It is well known that Jews
generally had no relation with Samaritans. Samaritan women were particularly to be avoided, for they were considered unclean while issuing blood
(during their periods) and after giving birth (see Lev 15:23-24; 20:18).
Such impure women were forbidden from associating with men or engaging in the Temple worship. Since the Jews and Samaritans had no dealings
with one another, it was impossible to know whether Samaritan women
were clean or not. So they were proclaimed menstruants from birth by
Jewish leaders. Nevertheless, Jesus spoke to a Samaritan woman60. His
disciples joined them at the end of the scene. They didnt wonder why he
was speaking to a Samaritan, but they asked him why he was talking to a
woman (Jn 4:27).
The question was due to cultural considerations. There was a law in
Rabbinic Judaism which forbade men from talking with women in the
street. He who speaks much with a woman draws down misfortune on
57. LEvangile de Jean et la Sagesse, Jerusalem 2003, 61-74.
58. Zion 48 n. 1-4 (1983) 135-148.
59. Jewish Prayer in the time of Jesus, Jerusalem 2000.
60. See Mt 9:18-26; Mk 5:24-34; Lk 8:43-48, where Jesus heals a bleeding woman and

allows her to touch him.

240

F. MANNS

himself, neglects the words of the Law, and finally earns Gehenna (Abot
1:5). Finally, in the Talmud, we have a further commentary: One is not so
much as to greet a woman (Berakot 43b).
This was so strict in the time of Jesus as to not allow a man to speak to
his own wife, daughter, or sister in the street. But Jesus violates the social
order to teach this woman spiritual truths on the real worship in Spirit and
truth. It is also important to notice that she is the first person to whom Jesus
reveals that he is the Messiah, which he tells her plainly (v. 26). Furthermore, she evangelized the message of Jesus to her entire city, leading them
to listen to Jesus (vv. 39-42).
Interestingly enough, both the Greeks and Jews had in their cultures a
prayer which expressed thanks for not being a woman. Both prayers were
similar in form, became popular at almost the same time, and may have
originated from a 6th century BC saying.
The Jewish prayer appears three times in rabbinic teachings, among
those Tosephta Berakot 7:8 where it is said:
Blessed be God that He has not created me a Gentile!
Blessed be God that He has not created me a woman!
Blessed be God that He has not created me a slave!
Ignorant person was sometimes spoken for slave in this daily prayer
of thanks for all Jewish males. The resemblance to Galatians is striking:
There is neither Jew nor Greek.
There is neither slave nor free.
There is no male and female.
We are all one in Christ Jesus.
With regard to the wording of Gal 3:28, Bruce61 says,
The reason for the change (of neither nor to male and female) is
probably the influence of Gen 1:27: He made them male and female.
In Christ, on the contrary, there is no male and female. Paul states the
basic principle here; if restrictions on it are found elsewhere in the Pauline
corpus they are to be understood in relation to Gal 3:28 and not vice
versa.
We could add here a chapter on the situation of the children. Since it
has been done by R. de Vaux in his Institutions de lancien Testament, there
is no need to return to it.

61. F.F. Bruce, The Epistles to the Colossians, to Philemon, and to the Ephesians (New

International Commentary on the New Testament), Grand Rapids 1984, 189.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

241

4. Economic Situation
All the Mishna tractates of the Seder Zeraim are useful to study the economic situation in Palestine during the first centuries62. The Jubilee year, if
observed, had a lot of economic consequences63. The situation of the pagan
slaves was difficult64. Steinsalzs edition of the Talmud gives in the margin
all the realia the text speaks about.
5. Geographic Situation
Situations in Galilee and in Judaea were different65. Samaria had its own
laws66. The Tractate Kuthim is dedicated to them. Herod the Great and
his immediate successors built a number of towns, which were inhabited
chiefly by Gentiles, and had independent constitutions, like those of the
Hellenic cities. Thus, Herod himself built Sebaste (Samaria), in the center
of the country; Caesarea in the west, commanding the sea-coast; Gaba in
Galilee, close to the great plain of Esdraelon; and Esbonitis in Pera67.
Similarly, Philip the Tetrarch built Caesarea Philippi and Julias (BethsaidaJulias, on the western shore of the lake); and Herod Antipas another Julias, and Tiberias68. The object of these cities was twofold. As Herod, well
knowing his unpopularity, surrounded himself by foreign mercenaries, and
62. A. Ben-David, Talmudische konomie. I: Die Wirtschaft des jdischen Palstina zur

Zeit der Mischna und des Talmud, Hildesheim - New York 1974; Z. Safrai, The Economic
Implication of Olive Oil Production in the Mishnah and Talmud Periods, in M.L. Heltzer
- D. Eitam (ed.), Olive Oil in Antiquity. Israel and Neighbouring Countries from Neolith to
Early Arab Period [sic], Haifa 1987, 176-182; A. Ben-David, Jewish and Roman Bronze
and Copper Coins: Their Reciprocal Relations on Mishnah and Talmud from Herod the
Great to Trajan and Hadrian, PEQ 103 (1971) 109-129.
63. R. North, The Biblical Jubilee after fifty years (Analecta Biblica 145), Roma 2000.
64. E.E. Urbach, The Laws Regarding Slavery as a Source for Social History of the Period
of the Second Temple, the Mishnah and Talmud, in J.G. Weiss (ed.), Papers of the Institute
of Jewish Studies, Jerusalem 1964, 1-94.
65. Z. Safrai, Shechem in the Days of Mishna and Talmud 63 B.C. - 637 C.E., in S. Dar
- Z. Safrai (ed.), Shomron Studies, Tel Aviv 1986, 83-126.
66. A. Neubauer, La gographie du Talmud. Mmoire couronn par l'Acadmie des Inscriptions et Belles-Lettres, Michel Lvy Frres, 1868.
67. Herod rebuilt or built other cities, such as Antipatris, Cypros, Phasaelis, Anthedon.
Schrer describes the two first as built, but they were only rebuilt or fortified (cf. Ant.
xiii.15.1; War i.21.8.) by Herod.
68. He also rebuilt Sepphoris.

242

F. MANNS

reared fortresses around his palace and the Temple which he built, so he
erected these fortified posts, which he populated with strangers, to surround
and command Jerusalem and the Jews on all sides. Again as, despite his
profession of Judaism, he reared magnificent heathen temples in honor of
Augustus at Sebaste and Caesarea, so those cities were really intended to
form centers of Hellenistic influence within the sacred territory itself. At
the same time, the Herodian cities enjoyed not the same amount of liberty
as the Hellenic, which, with the exception of certain imposts, were entirely self-governed, while in the former there were representatives of the
Herodian rulers69.
The views of the Rabbis in regard to pictorial representations are still
more interesting, as illustrating their abhorrence of all contact with idolatry. We mark here differences at two periods, according to the outward
circumstances of the people. The earliest and strictest opinions70 absolutely
forbade any representation of things in heaven, on earth, or in the waters.
But the Mishna71 seems to relax these prohibitions by subtle distinctions,
which are still further carried out in the Talmud.
Archaeology confirms the information given by Rabbinic Literature
and Josephus concerning the confrontation between Roman and Jewish
cultures.
6. Theological Situation
Among the many contacts72 on the theological level between the Gospel
and the rabbinic Literature we shall consider only the idea of the resurrection73 on the third day.
The third day is a theologoumenon indicating Gods salvation, deliverance and manifestation. This understanding is the only serious alternative regarding the third day motif as based on the historical events of the

69. Compare on the subject of the civic institutions of the Roman Empire, A. Kuhn, Die

Stdt. und brgerl. Verf. des Rmischen Reichs, New York 1909, 2 vols.; and for this part
vol. II, 336-354, and 370-372.
70. Mekilta, Ex. 20:4, ed. Weiss, p. 75 a.
71. AZ. 3.
72. On the theology of the Merits of the Fathers, see A. Marmorstein, The Doctrine of Merits in Old Rabbinical Literature (Jews College Publications 7), London 1920; J. Abelson,
The Immanence of God in Rabbinical Literature, New York 1969.
73. Resurrection is proofed in Sanh 90b with the gift of the Land (Act 13:32). For Jesus the
land is the symbol of the Kingdom, of eternal life.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

243

resurrection. It has been studied by Lehmann and by McArthur. There are


nearly 30 passages in the LXX that use the phrase te hemera te trite to
describe important events that happened on the third day74. On the third
day Abraham offered Isaac (Gen 22:4; cf. Gen 34:25; 40:20). On the third
day Joseph released his brothers from prison (Gen 42:18). After three days
God made a covenant with his people and gave the law (Ex 19:11,16; cf.
Lev 8:18; Num 7:24; 19:12,19; Judg 19:8; 20:30). On the third day David came to Ziklag to fight the Amalekites (1Sam 30:1). On the third day
thereafter he heard the news of Saul and Jonathans death (2Sam 1:2). On
the third day the kingdom was divided (1Kings 12:24; cf. 2Ch 10:12). On
the third day King Hezekiah went to the House of the Lord after which he
was miraculously healed (2Kings 20:5,8). On the third day Esther began
her plan to save her people (Esther 5:1; cf. 2Mac 2:18). The only passage
in the prophets mentioning the third day is Hos 6:2. Thus, the third day
is a theologically time at which God acts to bring about the new and the
better, a time of life, salvation, and victory. On the third day God acts to
bring resolution of a difficulty.
Jewish interpretation of these texts is instructive75. The third day was
the moment when God delivered the righteous from distress or when events
reached their climax. It is also clear that Hos 6:2 was interpreted in terms
of resurrection, even if only at the end of history. The theology of the offering of Isaac (Aqedah) on the third day had a special influence on Christian
thought76.
An important step is comparison of Rabbinical Literature concerning
the third day with regard to the resurrection77. These passages make it clear
that the rabbis were explaining Hos 6:2 in the sense of an eschatological
resurrection.
According to Lehmann, the testimonies of the Midrash Rabbah, the
rabbinic writings, and the passages from the LXX, can illuminate 1Cor 15:
4. Of particular importance is the sacrifice of Isaac, the Aqedah, which was
central in Jewish theology. The sacrifice of Isaac was already brought into
74. K. Lehmann, Auferweckt am dritten Tag nach der Schrift (QD 38), Freiburg 1968, 68-

157; K.H. McArthur, On the Third Day, NTS 18 (1971) 81-6, holds a related view, but
still casts his lot with Hos 6:2.
75. GenR 91:7; EstR 9:2; DtR 7:6; Midrash on Psalms 22:5.
76. J. Swetnam, Jesus and Isaac. A Study of the Epistle to the Hebrews in the Light of the
Aqedah (Analecta Biblica 94), Roma 1981.
77. Targum Hosea 6:2; Sanh 97a; Rosh ha Shana 31a; J. Sanh 11:6; Pirqe de Rabbi Eliezer
51; Tanna de be Eliyyahu, p. 29.

244

F. MANNS

connection with the Passover in early Judaism and became a symbol of


submission and self-sacrifice to God. The offering of Isaac was presented
as having a salvific value. In the blood of the sacrifices, God saw and remembered the sacrifice of Isaac and so continued His blessing of Israel.
This exegesis of Gen 22 was known in Rom 4:17, 25; 8:32 and Heb 11:
17-19. This last text links the resurrection of Jesus to the sacrifice of Isaac.
When we consider the formula in 1Cor 15 with its Semitic background,
then it is more probable that the expression on the third day reflects the
influence of Jewish traditions that later came to be written in the Talmud
and Midrash. It refers to Hos 6:2 alone as a proof text. Thus, the expression on the third day is not it a time indicator, but rather it hints to the
day of Gods deliverance and victory. It tells us that God did not leave the
Righteous One in distress, but raised him up.
7. Rabbinic and Christian Hermeneutics
Since both rabbinic Literature and the New Testament had a long period
of oral tradition they follow the same rules of redaction78. The Middot of
Hillel are common to both. Exegetical methods of the Haraz is also known
in both literatures79.
Coming from Babylon, Hillel studied under Shemaiah and Abtalion,
whom posterity remembered as great in exegetical ability, and of whom
we are told that they were proselytes80.
Hillels seven rules of interpretation are found earlier in Cicero81. Philo
of Alexandria, known for his allegorical reading of the Scripture, confirms
that Rabbinic Literature used allegory as a mean to better understand the
text82. He accepted the inspiration of the LXX version. In his interpretation
78. B. Gerhardsson, Memory and Manuscript. Oral Tradition and Written Transmission in

Rabbinic Judaism and Early Christianity, Uppsala 1961; B. Gerhardsson - A. Liefooght,


Prhistoire des vangiles, Paris 1978.
79. Lc 24:27.44. God is absent and present: qedushah (Is 6:4) was followed by Ez 3:12:
Blessed be the Glory of the Lord from his place (Temple). Idem in the Apostolic Constitutions 7,35,3. Mekilta, Ex 20:24: the Shekinah was present in Egypt, in the meeting tent and
in the Temple.
80. Pes 70b, cited by R.N. Longenecker, Biblical Exegesis in the Apostolic Period, Grand
Rapids MI - Cambridge U.K. 1975, 34.
81. On Invention 2.40.116.
82. See the midrash of the Dorshey Reshumot. F. Manns, Le midrash, approche et commentaire de l'Ecriture, Jerusalem 2001, 92-95.

RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE

245

of Scripture, in accordance with the school of R. Aqiba83, any repetition of


what had been already stated would point to something new. These were
sober rules of exegesis. Not so the license he claimed of freely altering the
punctuation84 of sentences, and his notion that, if one from among several
synonymous words was chosen in a passage, this pointed to some special
meaning. Even more extreme was the idea, that a word which occurred in
the LXX might be interpreted according to every shade of meaning which
it had in the Greek, and that even another meaning might be given it by
changing the letters. However, like other of Philos allegorical canons,
these were also adopted by the Rabbis, and Haggadic interpretations were
frequently introduced by: al tiqre: read not thus but thus. Other interpretations are based on a play upon words, or upon parts of a word. All seemingly strange modes of expression must have their special meaning, and so
also every particle, adverb, or preposition. Again, the position of a verse,
its succession by another, the presence or absence of a word, might provide
hints for some deeper meaning, and so would an unexpected singular for
a plural, or vice versa, the use of a tense, even the gender of a word. Most
serious of all, an allegorical interpretation might be again employed as the
basis of another85.
The allegorical principles of Philo are the same as those used in Jewish tradition in the Haggadah86, only the latter were not rationalizing87.
In another respect also the Palestinian exegesis had the advantage of the
Alexandrian one. Cautiously it indicated what might be omitted in public
reading, and why; what expressions of the original could be modified by the
Meturgeman, and how; so as to avoid alike one danger by giving a passage
in its literality, and another by adding to the sacred text. Jewish tradition
83. Baba Qama 64a.
84. To illustrate what use might be made of such alterations, the Midrash GenR 65 would

have us punctuate Gen 27:19, as follows: And Jacob said unto his father, I ( am he who
will receive the ten commandments) (but) Esau (is) thy firstborn. In Yalkut there is the
still more curious explanation that in heaven the soul of Jacob was the firstborn!
85. Each of these positions is capable of ample proof from Philos writings.
86. Compare our outline with the XXV theses de modis et formulis quibus pr. Hebr. doctores SS.
interpretari etc. soliti fuerunt, in G. Surenhusius, Mishn, Amstelaedami 1697, pp. 57-88.
87. For a comparison between Philo and Rabbinic theology, see I. Freudenthal (Philo and
Rabbinic Theology, Hellenistische Studien, Breslau 1886, p. 67) aptly designates this mixture of the two as Hellenistic Midrash, it being difficult sometimes to distinguish whether
it originated in Palestine or in Egypt, or else in both independently. Freudenthal gives a
number of curious instances in which Hellenism and Rabbinism agree in their interpretations. For other interesting comparisons between Haggadic interpretations and those of
Philo, see M. Joel, Blick in der Religionsgeschichte, Breslau 1880, p. 38.

246

F. MANNS

lays down some principles which would be of great use. Scripture uses
the common modes of expression among men88. This would also include
anthropomorphisms. Sometimes a suggestion is taken from a word, such as
that Moses knew the Serpent was to be made of brass from the similarity
of the two words (nahash, a serpent, and nehosheth, brass)89.
In his symbolical interpretations Philo took the same method as the
Rabbis. The symbolism of numbers, names and, so far as the Sanctuary
was concerned, that of colors, and materials, may have its foundation in the
Bible itself90. The Rabbis interpreted them in the same way91. Philo confirms partially the historicity of the Rabbinic approach to the Scripture.
Conclusion
If talmudic literature is important to study the linguistic, the economic,
the geographic, the sociological, the liturgical, the hermeneutical and theological background of the New Testament92, it has a historical value and
there is no reason to exclude it from the ratio studiorum of the Christian
Faculties of theology and Scripture.
Frdric Manns, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem

88. Ber. 31b.


89. BerR 31.
90. E. Starobinski-Safran, Philon dAlexandrie. Signification des noms divins daprs

Exode 3 dans la tradition rabbinique et chez Philon dAlexandrie, Revue de thologie et


de philosophie 23 (1973) 426-435.
91. Thus, to give only a few out of many examples, Ruth is derived from ravah, to satiate
to give to drink, because David, her descendant, satiated God with his Psalms of praise
(Ber. 7b). Here the principle of the significance of Bible names is deduced from Ps. xlvi. 8
(9 in the Hebrew): Come, behold the works of the Lord, who hath made names on earth,
the word desolations, shamoth, being altered to shemoth, names. In general, that section, from Ber. 3b, to the end of 8a, is full of Haggadic Scripture interpretations. On fol. 4
a there is the curious symbolical derivation of Mephibosheth, who is supposed to have set
David right on halakhic questions, as Mippi bosheth: from my mouth shaming, because
he put to shame the face of David in the Halakhah. Similarly in Siphre Nb (Behaalothekha,
ed. Friedmann, p. 20a) we have very beautiful and ingenious interpretations of the names
Reuel, Hobab and Jethro.
92. It is even more important to study the background of the Patristic Literature, as Ginzberg
and Urbach have demonstrated.

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD


Reassessing the Archaeological Evidence

Y. Hirschfeld

Khirbet Qumran (hereafter Qumran) is a controversial site. Current theory


regards it as a communal center of one of the Essene groups, a monastery
of sorts, in which the members of the sect assembled for joint meals, immersion in ritual baths and the copying of the scrolls that were found in the
nearby caves. Qumran is described as a cult site, the center of a sect whose
members had moved to the desert in their quest for a remote and isolated
place in which to worship their God.
Few sites have been given as many and as diverse appellations of
religious significance as Qumran. For example, M. Broshi and H. Eshel
dubbed it the first monastery in the western world.1 On the other hand,
H. Stegemann describes Qumran as a sort of production center for holy
scripts.2 A. Lemaire regards it as a house of study (bet midrash)3. Even the
term a communal building (un difice communautaire), used first by R. de
Vaux, the sites excavator, to describe the remains there, actually refers to
the religious character of the site.4 The Essene-Qumran hypothesis, as it is
termed in the research literature, maintains that most, if not all, of the scrolls
originated from Qumran and that they had belonged to a local library of the
Essene sect. This interpretation, first propounded by de Vaux, is presently
accepted by most scholars and serves as the cornerstone of numerous studies
dealing with the scrolls and their contents.
On the other hand, there is growing support for the theory maintaining that the scrolls originated in Jerusalem, i.e., they were brought from the
capital on the eve of the destruction and were hidden in caves adjacent to
the site. This theory was initially put forward in the 1960s by the German
scholar K.H. Rengstorf,5 and later, in the 1990s, was given definitive form
by the American researcher N. Golb. In his book Who Wrote the Dead Sea
1. Broshi and Eshel 1999: 267
2. Stegemann 1998: 51-53.
3. Lemaire 2000:40.
4. De Vaux 1954: 210.
5. Rengstorf (1960) suggested that the scrolls originated from the Temple library in Jeru-

salem.

LA 52 (2002) 247-296; Pls. 1-8

248

Y. HIRSCHFELD

Scrolls?, Golb suggested that the scrolls did not come from a single library in
Jerusalem but from a few different ones.6 In her important book on Qumran
and the Essenes, the Australian scholar L. Cansdale proposed that some of
the scrolls came from Jerusalem and others from Jericho.7 These and other
scholars have called for a complete severance of any connection between
Qumran and the Essenes.8
The hypothesis regarding Jerusalem as the source of the scrolls has
freed the Qumran site from the burden of religious significance that has
clung to it. Its supporters tend to give Qumran a secular interpretation
not as a supposed monastery, but as a complex of utility buildings that
was constructed for some commercial, military or administrative purpose.
In this spirit, the remains at Qumran have been variously interpreted as a
fort,9 a road station10 or the industrial center of an agricultural estate that
included within its area the nearby oasis of Ein Feshkha.11 These interpretations, which do not necessarily contradict one another, will be discussed
below.
Few other sites in this country have generated research literature as
ramified and extensive as that relating to Qumran, mainly on account of the
treasure of scrolls found in the caves near the site. At this stage, I seek to reexamine the remains at Qumran as they are, outside of the cultic context imparted to them by the excavator and disregarding the contents of the scrolls
that were indeed found in the vicinity of the site but not among the remains
themselves. I have divided this article into four parts. In the first one, I will
examine de Vauxs interpretation and his excavation methods at Qumran.
6. Golb summarized the Jerusalem hypothesis about the source of the scrolls (1995: 147-

149; 1999).
7. Cansdale (1997: 96-97).
8. Golb (1999: 828-829); Cansdale (1997: 192). Roth (1959: 417-422) rejected the connection between the owners of the scrolls at Qumran and the Essenes. Davies (1988: 507-508)
and Goodman (1995: 161) have also expressed similar doubts.
9 Golb (1994: 55-56) proposed interpreting the archaeological remains at Qumran as a
fort.
10. On Qumrans function as a fortified road-station on the main road between En-Gedi and
Jerusalem, see Cansdale (1997: 123-124).
11. The interpretation of Qumran as the center of an agricultural estate is now accepted
by a number of scholars dealing with the site. Davies first put this argument forward in a
revolutionary paper (1988: 206). The Belgian scholars Donceel and Donceel-Vote (1994:
26-27) have proved the validity of this assumption in their study of the Qumran finds. See
also the Polish scholar Z.V. Kapera (1996) and the German scholar J. Zangenberg (2000a)
and Hirschfeld (1998). On the other hand, the suggestion made by Sapiro (1997), who regards Qumran as a production center for papyri, lacks any supporters.

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

249

The second and third parts will deal with the archaeological remains at
Qumran dating from the second half of the 2nd century B.C. until the second
half of the 1st century A.D. In the fourth one, I will try to summarize the finds
in light of the literary sources.
1. De Vauxs Excavations at Qumran
In 1973, S. Yeivin published a Hebrew paper entited Temples That
Were Not, in which he pointed out the deterioration of Biblical archaeology of the Land of Israel the tendency of scholars to regard
every more or less unusual find as something connected with ritual
and holy places, whether it was the remains of a building or vessels
or their sherds.12 It seems to me that these words are also applicable
to the archaeology of Qumran. In his writings, de Vaux refrained from
terming the site a monastery, but took care to emphasize the cultic
significance of its various parts. For example, the large hall (Locus
77) on the southern side of the complex was not interpreted as a dining room exclusively (as one indeed learns from the numerous items
of tableware found in the adjacent storeroom), but as a refectorium
in which members of the sect assembled and partook of meals of
a cultic character.13 In the same spirit, another hall in the center of
the complex (Locus 30) was interpreted as a scriptorium, i.e., a
place where the scrolls were copied; animal bones found in various
places at the site were interpreted as part of the ritual of offering
sacrifices, and the water system and ritual baths were presented as
an expression of the excessive religious piety of the inhabitants of
the site.14
In her paper published in 1998, E. Ullmann-Margalit pointed to the
vicious circle characterizing de Vauxs interpretation: on the one hand,
conferring cultic significance on the excavation finds in accordance with
the spirit of the scrolls and the description of the Essenes in the writings
12. Yeivin (1973: 163).
13. In the preliminary report, de Vaux (1956: 542) described not only the remains of the hall

but also the place reserved for the head of the sect (at its western end) and for the members
who set facing Jerusalem.
14. On the scriptorium (Locus 30), see de Vaux (1973: 29-33). On the animal bones, see
ibid., p. 14, and on the water systems, see ibid., p. 10.
15. Ullmann-Margalit (1998).

250

Y. HIRSCHFELD

of Josephus Flavius and Philo and, on the other, presenting the same
finds as archaeological evidence of the identification of the scribes of
the scrolls as inhabitants of Qumran.15
The methodological error inherent in de Vauxs Essene-Qumran hypothesis did not prevent most scholars from supporting it enthusiastically.
From the 1950s onward, several books were published in succession whose
authors adopted de Vauxs conclusions. Among them one may mention the
works of A. Dupont-Sommer,16 J.M. Allegro,17 G. Vermes,18 F.M. Cross,19
J.T. Milik20 and E.F. Sutcliffe,21 most of them scholars with a historical,
paleographical or theological background. An exception in this regard was
the Israeli archaeologist Y. Yadin, whose book The Message of the Scrolls
was published in Hebrew and English in 1957.22 In this work Yadin adopted
de Vauxs conclusions in their entirety, despite the fact that, at that time, he
was unable to visit the site of Qumran and closely examine the excavation
finds.23 Yadins influence on the study of Qumran and the scrolls has been
great and long lasting: he was involved in the translation and deciphering of
some of the scrolls and, on his initiative, the Shrine of the Book was built in
Jerusalem, in which parts of the scrolls and some of the excavation finds are
exhibited to the general public. For several years the Shrine of the Book was
headed by M. Broshi, an ardent advocate of the Essene-Qumran hypothesis.24 Since Yadin and Broshi had accepted de Vauxs conclusions, there was
consensus among most of the scholars dealing with Qumran historians,
paleographers and archaeologists. It was only in the 1980s and 1990s that
other voices were first heard seeking the total rejection of Essene-Qumran
hypothesis.
16. Dupont-Sommer (1954).
17. Allegro (1950).
18. Vermes (1956).
19. Cross (1958).
20. Milik (1959).
21. Sutcliffe (1960).
22. Yadin (1957).
23. Yadin wrote the books archaeological chapter (pp. 59-86) without visiting the site of

Qumran, which was then within the territories of the West Bank of the Jordanian kingdom,
and without viewing the excavation finds.
24. A. Roitman, Broshis successor as director of the Shrine of the Book, edited the exhibition catalogue entitled A Day at Qumran: The Dead Sea Sect and Its Scrolls, Jerusalem
1997, in the spirit of Yadins legacy. On p. 7 of this catalogue he wrote: The basic assumption underlying the exhibition is that Khirbet Qumran and its surroundings were home to a
Jewish sect of Essenes.

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

251

In 1994 the first volume in a series intended to contain the Qumran excavation reports was published.25 The editors, J.B. Humbert and A. Chambon
from the cole Biblique et Archologique Francaise de Jrusalem, chose to
present in this volume the raw materials of the excavation: plans, photographs of the area and texts, including de Vauxs summary on each of the 144
loci that he had excavated at the site.26
The publication of the report makes possible, for the first time, an analysis of de Vauxs work method at Qumran. A careful examination reveals that
the excavation was not conducted according to the customary stratigraphic
rules. De Vaux gave each architectural space (room, hall, courtyard, or water installation) a separate locus number that in most cases remained permanent even when two or even three floors were revealed, one above the other,
in the same space. For example, in the two rooms (Loci 1 and 2) south of
the tower, two floors were found one above the other 0.5-0.6 m apart, and
above them another level 1.3 m higher. Despite this, the locus numbers of
these rooms remained unchanged.27 Other spaces in which successive floors
were revealed and whose numbers were not changed are Loci 4, 22, 33 and
35 (various rooms in the central building), Loci 28 and 29 (two rooms at
the bottom of the tower), and Loci 38, 39, 41 and 47 (rooms to the east of
the tower).28 Even in a place where a clear ash layer was found, such as in
Locus 27, de Vaux left the same locus number above and below it, without
any change.29
On the few occasions when de Vaux did change the locus numbers, it appears that this was not done on account of the appearance of new habitation
25. Humbert and Chambon (1994). The volume contains an impressive quantity of data:

48 line drawings (maps and plans of the area) and 538 black-and-white photographs of the
remains at Qumran at the time of their exposure.
26. The last eight loci (nos. 145-152) were added by the editors in 1992. See Humbert and
Chambon (1994: 338-339).
27. In the description of Loci 1 and 2, de Vaux lists the two floors from bottom to top; see
Humbert and Chambon (1994: 291-292). The lower two floors are close to one another
while the highest floor is a level of habitation above a layer of destruction caused to the
site in 68 C.E.
28. In Locus 4, de Vaux describes two plastered floors located 0.5 m apart; see Humbert and
Chambon (1994: 293). In two rooms of the tower (Loci 28 and 29), de Vaux records two
floors that are 0.4 m apart (ibid.: 301-302). Two levels of paving were also found in the four
rooms east of the tower (Loci 38-41; ibid.: 305-306). Donceel and Donceel-Vote (1994:
22, n. 10) cite the story of Locus 52 as a test case representing de Vauxs faulty excavation
methods at Qumran. They state that the excavation of the locus continued even when new
levels of paving were encountered.
29. It can reasonably be assumed that the ash layer of Locus 27 was caused by a conflagration at the site during the destruction of 68 C.E. See Humbert and Chambon (1994: 301).

252

Y. HIRSCHFELD

levels but because of the great thickness of the debris he sought to remove.
For example, the description of the remains in Locus 30 (the hall termed
the scriptorium) begins with the same debris that was attributed to the
loci above it (nos. 15,16 and 20); from this it follows that the changing of
the locus took place during the removal of the layer of debris. In the further
excavation of Locus 30, de Vaux reached a plaster floor, dug beneath it and
reached another floor with various installations, all listed under the same
locus number.30 Even the changing of the loci in the tower rooms was not
motivated by a significant stratigraphic change but by a change in the thickness of the walls; therefore when de Vaux reached the bottom of the tower
rooms, the locus numbers (28 and 29) were left unchanged even when two
successive floors were uncovered.31
The conclusion to be drawn from this is that the excavation at Qumran
was not stratigraphic.32 The basic principle of chronological distinction
between archaeological strata according to dated finds (ceramic vessels,
coins, etc.) above and below floors is not expressed in the Qumran excavations. As a result of this, elevation numbers do not appear in the plans of
the area of Qumran (since there was obviously no separation of levels),
and the walls of the buildings are not numbered (since no attempt was
made to identify their stratigraphic contexts). It thus emerges that the locus
numbers allocated by de Vaux at Qumran are merely inventory numbers
for the various architectural spaces and installations that were excavated
at the site.33
The fact that the Qumran excavation was not conducted according to
the usual stratigraphic methods removes the foundation from beneath most
of the stratigraphic proposals that de Vaux repeated in various publications.
The only points which may be made with certainty are: (1) most of the sites
construction existed for about 200 consecutive years, from the second half
30. Ibid., p. 298 (Locus 16), 300 (Locus 22) and 302 (Locus 30). The plastered elements

interpreted as tables by de Vaux were found in the debris of two loci: 16 and 30. From this
it follows that the changing of the locus numbers in this case was arbitrary.
31. The changing of the locus numbers within the tower from 8 to 8A and from 9 to 9A
was carried out, according to de Vaux, at a level at which the walls became thicker; see
Humbert and Chambon (1994: 294-295). At the bottom of the tower rooms (Loci 28 and
29), two levels of paving were found (ibid.: 302), but this did not lead to a change in the
locus numbers.
32. A similar conclusion was reached by Humbert (1994: 109) and Magness (2002: 7).
33. One learns of de Vauxs unprofessional excavation methods from photographs of the
dig, in which laborers are visible working freely without any division into squares as is customary in orderly archaeological excavations. See, for example, the photograph published
by Roitman (1997: 17, Hebrew section) and also Mebarki (2000: 135).

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

253

of the second century B.C.E. until the Great Revolt in 68 C.E., and (2) some
time in the first century B.C.E. the structure underwent modification and
expansion. The modifications occurred some time during Herods reign, in a
period of prosperity and economic boom in Judea.
One learns of the existence of two stages at the site of Qumran not only
from the discovery of the two floors, one above the other, at various places
on the site, but also from an analysis of this plan. At the center of the site
stands a square, right-angled precinct, with a corner tower. This precinct,
which de Vaux called the central building, probably belongs to the first
building stage during the Hasmonean period, while the constructed additions
within this building and beyond it belong to the second building stage during
the Herodian period. What are the characteristics of each of the two building
stages at the site? The following two parts are devoted to this question and
its implications.
2. Qumran during the Hasmonean Period A Fortified Road-Station
The most prominent component of the first stage at Qumran is the central
building. This building is notable for its straight walls: they form a square
built around an internal courtyard, which is equipped with a corner tower
surrounded by a massive stone glacis. This is the best preserved part of
the site: the walls of the tower soar to a height of 4.5 m above the floor,
and the walls of the rooms to its east and south attain a height of 2-3.5 m
(Phot. 1). The front wall of the building faces west. At its center a double
doorway was installed, the jambs of which are built of ashlars with dressed
margins, in contrast to the other parts that are built of fieldstones (Phot. 2).
The combination of fieldstones and ashlars in certain parts of the building
was a method of construction characteristic of many structures in Judea
during the Second Temple period.
The exterior walls of the building on the north and west emerge from
the northwestern corner of the tower. The northern wall is 37 m long and
preserved to a height of 2.1 m. Close to its eastern end, one can discern a
seam line separating it from a building addition from the late, Herodian
phase. The corner itself is notable for its relatively large building stones,
which are laid on top of one another as headers and stretchers. The eastern
wall extends from this corner for 37 m. According to these data, one can
reconstruct the building as a square structure, each side of which measured
37 m (Fig. 1). The area of the building, including the tower whose walls
project outward slightly, is ca. 1,400 m2. On the basis of this datum, one

254

Y. HIRSCHFELD

may estimate that some 20 people lived permanently at Qumran in the early,
Hasmonean stage.34
The dominant component of the building is the tower located in its
northwestern corner. This is a large tower (measuring approximately 15x11
m), surrounded on all sides by a sloping stone glacis. From the considerable thickness of the walls (1.3-1.4 m), it can be assumed that the original
tower was built to a height of three or four stories. If the height of a story is
taken to be 4 m, the height of the tower may be estimated at 12-16 m. The
incorporation of towers in fortified buildings characterized construction in
the Hellenistic-Roman world and is known from the military architecture of
Judea in the period under discussion.35
The interior of the tower was divided into five rooms of equal size, aside
from a smaller corner room that served as a stairwell (according to the pillar
located at its center).36 No doorway was found in the exterior walls of the
ground floor, and so it follows that access to the tower was through the doorway in the second story, by means of a wooden gallery (see below). Remains
of stucco plaster are preserved in the rooms on the second story of the tower;
from this it follows that these rooms served as living quarters, probably for
the owner of the site.
An important component of the tower is the glacis surrounding it on all
sides (Phot. 3). It is built of a mass of medium-size and large fieldstones,
held together by means of lime mortar. In a few places, the glacis is fully preserved to a height of 4 m above ground level. The thickness at the base of the
glacis at Qumran reaches ca. 4 m on the northern and western sides, which is
double that on the inner sides facing the courtyard. Similar glacis are known
from various sites in Judea, one of the best examples of which was exposed
in front of the northern palace at Masada.37
34. At settlement sites it is customary to calculate the population according to a factor of

15-25 people per dunam; see Finkelstein (1990: 49). At Qumran we are dealing with a
complex, and therefore it is preferable to employ the lower factor of 15 people per dunam;
see Sumner (1979: 165).
35. On the incorporation of towers in the fortifications of the classic period, see McNicoll
1997: 171-180. In the Ramat Hanadiv excavation report, I presented examples of towers at
various sites in the beyond Judea that attained a height of ca. 20 m or more; see Hirschfeld
(2000a: 692-697).
36. On stairwells in Hellenistic and Early Roman architecture in Judea, see Kloner (1996:
484-489).
37. On the glacis in front of the northern palace at Masada, see Netzer (1991: 106, Photo
174). Glacis similar to the one at Qumran were found at other sites from the Second Temple
period in Judea, e.g., Rujum el-Hamiri, Horvat Salit, Khirbet el-Muraq (Hilkiyas palace),
etc. See Hirschfeld (1998).

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

255

Fig. 1 Plan of the site in the Hasmonean building stage.

De Vaux proposed fixing a later date for the construction of the glacis,
i.e., that the tower was originally built as an independent structure, and the
glacis was added on for reinforcement after the earthquake of 31 B.C.E.38
If we are to accept this theory, then the front of the tower at ground level
should have been straight and upright, in a finished state similar to that of
the other walls of the structure. However, in a probe excavation performed
on the western side of the tower, it became clear that this was not the case.39
Removal of a section of the glacis exposed the exterior of the tower wall that
had been hidden behind it (Phot. 4). Examination of the wall face demonstrated that it was built without a finish in a crude fashion and inclined
38. De Vaux (1954: 210-211; 1973: 25).
39. Two other excavations were conducted at Qumran after de Vaux: one under the direction

of R.W. Dajjani and the other, by S.H. Steckoll. For further details, see Donceel and Donceel-Vote (1994: 20-21, n. 73). It may be assumed that the probe in the glacis was carried
out during one of these digs.

256

Y. HIRSCHFELD

outward. This indicates that the builders of the tower knew that the glacis
would be built and therefore did not give the tower wall behind it the necessary finish; thus it was designed and built as an integral part of the tower. As
we shall see below, this conclusion is of importance, since such a glacis is a
characteristic feature of fortified building in and beyond Judea.
In the early stage, the buildings courtyard was probably large and spacious. Its area was surrounded by residential wings with a uniform width of
ca. 10 m. If this assumption is correct, the courtyard measured 17x17 m and
its overall area was approximately 290 m2.
The best-preserved wing is that on the west of the courtyard (Phot. 5).
Three rooms were revealed there: a vestibule (Locus 4) and two smaller
rooms (Loci 1 and 2) behind it. In the vestibule front wall, close to its entrance, a flight of stairs (1 m wide) has been preserved. These stair led up to
the tower through a wooden gallery that was not preserved, and to the second
story around the main building. It may be assumed that these rooms served
as living quarters, while those on the ground floor were used for service purposes and for storing produce.40
Inside the walls of the vestibule (Locus 4) were low, bench-like surfaces
at a height of 20 cm above the floor. De Vaux suggested that these surfaces
functioned as benches and therefore that this room had served as the meeting room of the communitys leaders.41 Stegemann has offered a different
suggestion. In his opinion, Loci 1,2 and 4 served as the rooms of a library:
the vestibule (Locus 4) was used as a reading room, and the other two rooms
(Loci 1 and 2) served for the storage of scrolls.42 However, he overlooks the
absence of two elements that are indispensable in any library: large wall
niches for storing scrolls and a peristyle courtyard or colonnade in which one
could peruse them, as in a reading room.43
40. On the functional separation between the upper residential story and the ground floor

used for services, see Hirschfeld (1995: 264) and Ellis (2000: 17).
41. De Vaux (1973: 10-11). Recently, Rapuano (2001) has suggested that Loci 1, 2 and 4 at
Qumran be compared with similar rooms in the synagogue from the Second Temple period
that was discovered in Jericho. This suggestion does not stand up to critical examination
for two reasons: a) the identification of the structure in Jericho as a synagogue is not definitive; b) in Jericho the rooms are far from the entrance doorway, while those at Qumran
are adjacent to it. It may be assumed that the similarity stemmed from the use of date palm
beams which were of the same length in both sites.
42. Stegemann (1998: 39-40).
43. On the characteristics of public and private libraries in antiquity, see Casson (2001: 7475, 80-82). A beautiful example of a library with a set of five large niches and a colonnaded
building has been preserved in the northern palace at Masada, see: Foerster (1995: 179). I
wish to thank Gideon Foerster for drawing my attention to this important find.

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

257

In my opinion, because the bench-like surfaces in Locus 4 were so low,


one should not assume that they were used for seating purposes, but rather
for the placement of vessels whose contents were intended for storage or for
sale. The surfaces built along both the walls and the floor of the room were
coated with a thick layer of plaster that was impervious to liquids. This datum lends support to the assumption that the room, at least in the Herodian
stage, was used for the storage of valuable liquids such as fragrant oils and
perfume that may have been produced at the site .
Water Supply
The water supply during the early building stage at Qumran was probably
based on a rectangular reservoirs (Loci 56 and 58) built below the southern
wing of the main building, and a round cistern (Locus 110) located ca. 15
m west of the main building.
The reservoir was incorporated into the water system of the Herodian period (see below), but its origins could date back to the Hasmonean building
period (Phot. 6). In support of this assumption, one can point to the correlation between the sides of the reservoir and the walls of the building above
it. This is a long and narrow reservoir, 18 m long and 4.5 m wide (Fig. 2).
Its interior was divided in two by means of a wall that was probably built

Fig. 2 Plan and cross-section along the reservoir and ritual bath below the main
building.

258

Y. HIRSCHFELD

to serve as the foundation of the wall above it. The relatively narrow width
of the reservoir is not fortuitous, but was intended to make possible roofing
with beams from the date palms that grew in the vicinity and were available
for building purposes. In this way, the builders were able to erect, above the
reservoir, a large two-storied hall whose shape matched that of the underlying reservoir. The area of the building intended for use as living quarters was
thus enlarged on the one hand, and the precious water was isolated from the
suns rays and the heat of the desert on the other.
The reservoir received runoff from the roofs of the structure and its
courtyard via ceramic gutters and pipes. (Later, in the Herodian stage, a
conduit channeled flood water from nearby Wadi Qumran.) The water filled
the two parts of the reservoir by means of a narrow passage (now missing)
in the upper part of the dividing wall. The combined volume of both parts of
the reservoir is ca. 173 m3.44 A broad stairway descending to the bottom was
installed in its western half. The purpose of these stairs was to afford easy
access to the water even when its level dropped during the dry months. It is
possible that the local inhabitants used this part of the reservoir as a ritual
bath (miqveh).
The round cistern located to the west of the central building is well preserved; it has a diameter of 5.2 m and a depth of 6.3 m. According to these
data, its volume can be estimated at ca. 120 m3.45 The walls of the cistern are
coated with white hydraulic plaster containing fine stone grits, which is typical of the Late Hellenistic period. Similar cistern plaster was found at sites
such as Hyrcania and Khirbet Mazin (Qasr el-Yahud), which are dated to the
time of the Hasmoneans.46 The cistern lacks steps and from this it follows
that the water was drawn by means of a bucket and rope. In order to prevent
evaporation of the water, it is possible that the opening of the cistern was
covered with perishable materials such as mats and ropes. The cistern was
probably fed by one or more channels that drained runoff to it from the surface of the nearby area. From the location of the cistern outside the building,
44. The data relating to Qumrans water reservoirs and ritual baths are based on measure-

ments that we took at the site in 1999. In his paper devoted to the water system at the site,
Wood (1984: 57) mentions that, together, the reservoirs (Loci 56 and 58) could hold 193
m3 of water, i.e. ca. 20 m3 in excess of the volume we measured.
45. According to Wood (ibid), the round cistern (Locus 110) could hold 125 m3, i.e. ca. 22
m3 in excess of the volume we measured.
46. Bar-Adon (1989: 18-19) dates the site of Kh. Mazin to Iron Age II, but it seems that its
main construction took place during the reign of Alexander Jannaeus (103-76 B.C.E.). In
a section of the shore opposite the site, I recently found more than two thousands coins of
the anchor-and-star type, which were minted during the reign of Jannaeus, see Hirschfeld
2000 d. On the hydraulic plaster at Hyrcania, see Patrich (2002: 351).

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

259

Fig. 3 Proposed reconstruction of Qumran during the Hasmonean period.

we learn that the complex was not used for military purposes only. As one
might surmise from its fortifications, but also to meet the needs of passersby
and caravans that halted there.
The proposal to link the round cistern with the early stage at Qumran is
based on two considerations: its round shape, which differs from that of the
reservoirs and ritual baths built during the late stage and its location directly
opposite entrance doorways of the central building.
The architectural data at our disposal make it possible to reconstruct
Qumran during the Hasmonean period as a fortified, right-angled building
equipped with a large, impressive corner tower (Fig. 3). Analysis of the architectural remains permits the assumption that the building was erected as a fortress and not as a villa (as was suggested by J.B. Humbert).47 On the basis of the
excavation finds, it is customary to assign the construction of the main building
at Qumran to the days of John Hyrcanus I (135-104 B.C.E.). For support for
this assumption, one can point to the architectural similarity between Qumran
in its first stage and the palace build by John Hyrcanus to the west of Jericho.
47. Humbert (1994: 169-170; 1989). Humberts proposed plan disregards the corner tower

of the central building and thus neglects its fortified character.

260

The palace building has a


square shape and is built
around a courtyard surrounded by rooms with a
corner tower built of ashlars.48 The elevated status
of the palaces builder
and owner allows the assumption that its structure
served as a model not
only for the building at
Qumran, but also for a
group of similar fortified
structures elsewhere in
Judea.49
The question of
Qumrans function is related, to some extent, to
its location within the
road system of Judea in
the Second Temple period and to its proximity to the eastern boundary line of the kingdom
of Judea, bordering on
the Nabatean kingdom
(Fig. 4). Scholars supporting the Essene-Qumran
hypothesis generally point
out the isolated location of
the site.50 However, a row

Y. HIRSCHFELD

Fig. 4 Road system around the Dead Sea during


the Second Temple period.

48. On the fortified palace of John Hyrcanus I (the Buried Palace) in Jericho, see Netzer

(2001a: 2-3; 2001b: 13-70) and Nielsen (1994: 155-156). On the central role of John Hyrcanus I and the building projects he initiated in the area of Jericho and the Dead Sea, see
Bar-Adon (1981: 351-352).
49. Some ten other sites of the Qumran type in the Hebron Hills alone are listed in Baruch
(1996). For a review of other parallels, see Hirschfeld (1998: 162-171).
50. Magness (1994a: 416-418) and Broshi (1999) claim that Qumran is situated in an isolated place lacking any strategic value.

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

261

of sites along the western shore of the Dead Sea, indicates that Qumran
is located at a central crossroads. The main road to Qumran ran from the
direction of Jericho in the north; another road reached the site from the direction of Hyrcania to the west. The two roads continued southward from
Qumran, along the shore to En-Gedi, Masada and En Boqeq. During the
Early Roman period, the plain area between the fault scarp and the Dead
Sea was not covered with water, as it was, for example, at the beginning
of the 20th century.51 Two important sites are located along the section of
the road between Qumran and En-Gedi: Khirbet Mazin (Qasr el-Yahud)
and Qasr et-Turabeh. The former served as an anchorage for boats transporting goods from the area of Qumran to Callirrhoe (Ein ez-Zara) on
the eastern side of the Dead Sea, and the latter, as a road-station and
fort for the protection of the desert oases of Ein et-Turabeh and Ein elGhuweir.52 It thus emerges that Qumran is located at a central crossroads
that bustled with activity during the Second Temple period. According to
these data, Cansdales interpretation of Hasmonean Qumran as a combined complex consisting of a field fort and road-station seems to be the
closest to reality.53 The location of the site on the summit of a hill ensured
control over the road leading from Jerusalem to the southeastern part of
the kingdom of Judea. Its fortified building offered the inhabitants the possibility of defending themselves when the need arose. The lengthy wars
of John Hyrcanus I and his son Alexander against the Nabateans dictated
the fortified, military form of the complex.54 Later on, during the reign

51. Frumkin (1997: 243-44) has shown that the sea level during the Second Temple period,

was approximately 395-400 m. below sea level. The conclusion reached by Broshi (1999:
273) that The level has to recede well below 400 m to enable any traffic along the Feshkha cliffs is simply incorrect.
52. On the remains at Khirbet Mazin (Qasr el-Yahud), see above note 46. On Qasr etTurabeh, see Bar-Adon (1989: 41-48); Bar-Adon dates Qasr et-Turabeh to the end of the
Iron Age on the basis of sherds he found in one locus Locus 8. However, sherds from
the Second Temple period were also revealed in this locus. According to the rule that the
dating of a locus is determined according to the latest finds, one can suggest that the dating
of the locus, together with the entire building, is from the Second Temple period and not
the Iron Age.
53. Cansdale (1997: 123). On the forts of the Second Temple period in Judea, see Shatzman
(1991: 266-267). Shatzman distinguishes between three types of fortification in Hasmonean
and Herodian Judea: city fortresses in which most of the military force was stationed; fortified palaces that were built by the kings for their private needs; and field forts erected close
to the borders of the kingdom and along the main roads.
54. On the conquests of John Hyrcanus in Transjordan, see Foerster (1981). On Alexander
Jannaeus and his wars against the Nabateans, see Kasher (1993).

262

Y. HIRSCHFELD

of Herod the Great, the kingdom attained stability and a long period of
economic prosperity ensued, from which the inhabitants of Qumran also
benefited.
3. Qumran during the Herodian Period: A Rural Estate Complex
What I consider to be the main, second stage in the history of Qumran lasted from Herods reign (37-4 B.C.E.) until its destruction at the time of the
Great Revolt in 68 C.E. During the course of its destruction, the building
was buried beneath the debris of its upper parts. Thanks to the latter fact, the
dry desert climate and de Vauxs comprehensive excavations, we have better
knowledge of Qumran in its final form than of other sites of this type.
The plan of the site has been revealed in its entirety. During the excavation a great wealth of finds including architectural elements came to
light that may help to identify the sites function and clarify the nature of its
inhabitants. Most of the finds in the nearby caves, including the treasure of
scrolls hidden on the eve of the destruction of the site, can be attributed to
the late period at Qumran.
The second building stage at Qumran is characterized by extension in almost every direction (Fig. 5). The main constructed additions are noted on the
west of the central building (hereafter: the western wing), but others are discernible to the southeast and north of this structure and also within it. This stage
of construction is characterized by less rigid planning than that of the early
stage. This is notable both in the orientation of the walls, which are not exactly
parallel or at right-angles to one another, and in the adaptation of the constructed additions to the sites topographical infrastructure (e.g., on the southwestern
side which is bounded by the ravine that descends steeply to the channel of
Wadi Qumran). Due to de Vauxs defective methods of excavation, it is unclear
whether these additions were executed simultaneously or in stages.
The late-stage construction greatly enlarged the area of the site. Its maximum length in an east-west direction reaches ca. 80 m; its width in a northsouth direction is ca. 60 m and its overall built-up area can be estimated at
4,800 m2, i.e. 3-4 times that of the building from the early stage. Despite the
extension of the area of the living quarters, one should not overestimate the
number of the sites inhabitants. It should be recalled that a large part of the
ground-floor area was reserved for various installations and large halls used
for public purposes (such as the dining room). From the stairways found at
three places of the site, it seems that the main living quarters were in the
upper stories of the main building and the western wing. For this reason,

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

263

Fig. 5 Plan of the site in the Herodian building stage. The walls of the main
building (in black) are from the Hasmonean period.

264

Y. HIRSCHFELD

Patrichs estimate of 50 to 70 permanent residents at Qumran seems both


logical and reasonable.55 De Vaux, and many scholars after him, assessed that
Qumran served as a center for a large population of cave and tent dwellers who lived in the vicinity of the site, but no proof of this has been found
to date neither permanent living quarters in the caves nor the existence of
encampments. Living quarters in caves are by no means convenient and tentdwellers usually belong to nomadic populations whose way of life does not
accord with the character of the group of people who built the site of Qumran
and used it for their purposes. The only place in which an actual complex of
living quarters was found, aside from the one in Qumran, was at nearby Ein
Feshkha (see below).
The building additions within and beyond the main building greatly
enlarged the area of the site. Figure 16 presents a proposed reconstruction
of the appearance of the complex during the Herodian period. At its center
stood the central building with its tower rising to a height of 3-4 stories, and
around it were various wings that served for residential and farming purposes. From an analysis of the remains, we learn that the construction was
of a non-military character, and hence it follows that the complex served as
the center of a rural estate like similar sites in Judea during the period under
discussion. The assumption that the complex in Herodian Qumran served
as a manor house is confirmed by the industrial installations revealed by de
Vauxs excavations at the site.
Water Supply System
The water supply system of Herodian Qumran consists of a series of ritual
baths and water reservoirs, connected to one another by a central channel
that drained winter floodwater by means of a conduit that started nearby

55. Patrichs assessment (1994: 93-94) is based, inter alia, on a comparison of the

Qumran complex with the monastic complexes of the Judean Desert in the Byzantine
period. According to a factor of 15 people per dunam (see above, n. 34), we arrive at
an assessment of ca. 72 people (15 people x 4.8 dunams) who lived permanently at
Qumran. Scholars assessments of the number of inhabitants at Qumran differ very
markedly from one another. Milik (1959: 97) suggested that 150-200 people lived there,
while Broshi (1992: 114) sets their number at ca. 120-150. On the other hand, Humbert (1994: 175) is of the opinion that the group who resided permanently at Qumran
numbered only 10-15 people, while Patrich (2000: 724) has suggested in a later paper
its permanent population numbered 30-50 people. Stegemann (1998: 38) has proposed
a similar assessment.

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

265

Fig. 6 Proposed reconstruction of Qumran during the Herodian period.

in Wadi Qumran.56 A calculation of the volume of all the ritual baths and
reservoirs (including the round cistern) shows that it was possible to store
ca. 1,200 m3 of water a considerable quantity at Qumran, but it was
certainly not exceptional when compared to the quantities of water stored
in the other fortresses of the Judean Desert.57
56. For a description of Qumrans water conduit, see Humbert and Chambon (1994: 342)

and Ilan and Amit (2002). Ilan and Amit date the beginning of the conduits installation to
the Iron Age and the Hasmonean period (ibid: 385), but in my view, Humberts (1994: 182183) dating of the conduit to the sites Herodian stage (Stratum III) is preferable.
57. Hidiroglou (2000) points out that the volume of stored water at Qumran was a modest
one when compared to the quantities of water stores in the fortresses of the Judean Desert
during the period under discussion. On the water system of the Judean Desert fortresses, see
Garbrecht and Peleg (1994). According to Wood (1984: 57, Table 1), the volume of water
at Qumran reached 1,127 m3 (including also small pools and settling tanks whose volume
was only 3-5 m3).

266

Y. HIRSCHFELD

In the water system at Qumran a distinction should be made between reservoirs intended for the supply of water for drinking and irrigation, and ritual
baths intended for immersion purposes. Various scholars, such as B.G. Wood
and R. Reich, interpret all the water installations of Qumran as ritual baths.58
However, in view of Qumrans desert location and size that is indicative of
a large permanent population, it is difficult to accept this interpretation. The
round cistern, whose volume is ca. 120 m3, could not have met the drinking
water needs of 50-70 people for a whole year.
On the assumption that the inhabitants of the site did not to drink water
from the ritual baths, it seems that Herodian Qumran had two large reservoirs
that served, together with the round cistern, for the storage of drinking water
for human beings and livestock, and perhaps also for irrigation (Fig. 7). One
of them (Locus 58) is the reservoir that was installed below the southern
wing of the central building during the Hasmonean period.59 Its volume was
123 m3. The second reservoir (Locus 91) was exposed at the southern end
of the site (Phot. 7). This is the largest reservoir at Qumran with a volume
of 345 m3. The combined volume of these two reservoirs, together with that
of the round cistern, reached ca. 588 m3, i.e., 49% of the overall volume of
water that could be stored at Qumran.
Next to the three reservoirs that met the drinking water needs of the
inhabitants of Qumran, seven ritual baths for immersion purposes were installed. Four of them are incorporated in the residential areas of the complex:
two (Loci 117 and 118) in the western wing and two (Locus 48/49 and Locus
56) in the main building (Fig. 8). Using the miqveh was an intimate activity:
these bathing installations were built in closed architectural spaces, roofed
with wooden beams and without windows. In some of these, a low parapet
was built along the staircase, separating the entrance to and the exit from the
miqveh.
The ritual baths in the western wing are well preserved. They are located
close together and, from their physical similarity to one another, it is evident
that they were built at the same time (their respective volume measures 56
m3 and 50m3). The ritual bath in the main building (Locus 48/49) was damaged by a geological fault line that cuts the site from north to south. The
fault line was probably formed after the final abandonment of the site (and
58. Reich (2000) enumerates ten ritual baths for immersion purposes at Qumran, six for

human beings and four for vessels, and leaves only the round cistern as a source of drinking
water. See also Reich (1990: 306-318).
59. According to Wood (1984: 52), water installation 56/58 was originally built as a ritual
bath and only later on was it decided to reduce its volume by constructing a breadthwise
partition wall.

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

267

not during the earthquake


of 31 B.C.E. as de Vaux
suggested). This ritual bath
(the volume of which is 47
m3) in similar in size and
shape to the pair of ritual
baths in the western wing.
The fourth miqveh was
the one under the southern
wing of the main building,
constructed probably during the Hasmonean period.
Three other ritual baths
are located on the periphery of the site. One of them
(Locus 138) was revealed
close to the western gate of
the site. It is relatively large
(its volume is estimated at
ca. 48 m3) and well preserved (Phot. 8). Its stairway is split in two. From
the location of this miqveh,
close to the entrance gate, it
seems that its main purpose
was to allow people coming from the outside and
in need of purification to
immerse themselves prior
to entering the site.
Another ritual bath
(Locus 68) was installed at
the southeastern end of the
site. This is fairly small (with
a volume of 8.4 m3) and has
two stairways descending
Fig. 7 Comparative chart
of the water reservoirs at
Qumran, and the largest
ritual bath (Locus 71).

268

Y. HIRSCHFELD

Fig. 8 Comparative chart of four ritual baths at the Qumrans living quarters.

opposite one another (Phot. 9). It is located close to the area in which agricultural activity took place. A winepress installation (Locus 75) was found next to
it, from which it follows that the purpose of the ritual bath was to enable those
engaged in this occupation to purify themselves before they started work.60 The
largest ritual bath at Qumran (Locus 71) is located at the southeastern end of the
site. From its large size (283 m3), one can assume that it served, inter alia, for the
immersion of large vessels used daily by the sites inhabitants.
60. On the connection between ritual baths and installations of agricultural industry (wine-

presses, oil presses, etc.), see Reich (1990: 52; 1988).

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

269

Scholars supporting the Essene-Qumran hypothesis frequently point to


the numerous ritual baths at Qumran as indicative of the exceptional piety
of the inhabitants. At the time of de Vauxs excavation, the number of ritual
baths at Qumran was indeed considered exceptional, but today, after numerous excavations and studies have been carried out at various Second Temple
period sites in the country, it seems that their number is large but not exceptional. For example, a complex from the Early Roman period was exposed
near Shoham on the coastal plain. Smaller than the one at Qumran, with an
area of 2,800 m3, it contains four ritual baths of various sizes.61 During his
studies in the Hebron Hills, D. Amit discovered a few sites with two or three
ritual baths, as well as huge public ritual baths which he claims were intended
for pilgrims journeying to Jerusalem.62 During the Late Hellenistic and Early
Roman periods, Hyrcania had three ritual baths, Masada at least 15, and the
palace complex at Jericho, more than 30.63 It thus emerges that the number
of ritual baths at Qumran is not exceptional but close to the customary norm
in the houses owned by affluent Judean Jews at that time.
Industrial Installations
The numerous industrial installations found in various places at the site are
the most striking phenomenon in Herodian Qumran. 64 The large number of
these installations is particularly notable in the western wing. For example,
61. Dahari and Ad (1998: 80). A small settlement (with an area of four dunams) from the

Second Temple period, featuring four rock-cut ritual baths, was found at the site of Nahal
Yarmuth in the south of the coastal plain; see Eisenberg (2001: 92). A building from the
Second Temple period with three ritual baths was discovered at Khirbet Kakul northeast
of Jerusalem; see Seligman (1995: 69). These are only some of the examples of buildings
from the Second Temple period containing a group of ritual baths.
62. Amit (1993: 185).
63. At Hyrcania, Patrich (2002) surveyed three stepped water installations that he proposes
to interpret as ritual baths. This is in addition to some 15 cisterns and two large pools that
were installed on the saddle to the west of the site. In the final report on Masada (Netzer
1991), the remains of at least 15 different ritual baths are described. Among them one can
mention the ritual bath in building 7 (ibid: 13-14); the two in the large bathhouse (ibid: 8186); the three at the entrance to the northern palace and in the palace itself (ibid: 127-129,
158-167); the one to the south of the storeroom complex (ibid: 183); the two in building 9
(ibid: 221-227); the three in the western palace (ibid: 259) and the small palaces next to it
(ibid: 320); the large ritual bath (that perhaps served as a public one) to the west of the small
palaces (ibid: 329-331) and another three in the southern part of the site (ibid: 449, 507-510,
513). On the ritual baths at Jericho, see Netzer (1978) and Reich (1990: 270-275).
64. On the industrial installations at Qumran, see Donceel and Donceel-Vote (1994: 25-27).

270

Y. HIRSCHFELD

Fig. 9 Proposed reconstruction of the oven.

a large, well-preserved oven (Phot. 10) was uncovered in the area transitional between this wing and the main building (Locus 125). Still visible on
the ovens plastered rim at the time of the excavation was the imprint of a
large vessel, possibly made of bronze, that once stood there (Fig. 9). Next
to it (in Locus 105) an oven was found containing metal slag, from which
one concludes that it was used for blacksmithing purposes.
In addition to the ovens, three shallow pools adjacent to one another
(Phot. 11) were revealed in a room to the west of the round cistern (Locus
121). The pools are of uniform size (ca. 4x2 m) and their relatively thin walls
(20 cm) lead to the assumption that they served as soaking pools, an important component in the process of producing balsam perfume.65
Two other installations were found southeast of the main building.
One of these (Locus 64) is a large pottery kiln (Phot. 12) that was used by
the local potter at Qumran.66 The other installation (Locus 75) is a small
65. On the balsam perfume industry in the Dead Sea area, see Donceel-Vote (1998) and

Gichon (2000: 94-100).


66. For a detailed description of the pottery kiln (in Locus 64) and other smaller kilns that
were found next to it (e.g., in Locus 66), see Humbert and Chambon (1994: 313-314). On
the local pottery industry of Qumran, see Magness (1994b: 40-41).

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

271

winepress consisting of a treading surface and a collecting vat (Phot. 13).67


A large stone surface with an estimated area of at least 200 m2, sloping
slightly in a general east-west direction, was recently exposed in the area
to the south of Qumran. Hundreds of date pits were found during the excavations which Y. Magen and Y. Peleg carried out in the vicinity of this
surface, leading to the conclusion that it may have served for the drying
of dates and the removal of their pits.68 For the purpose of marketing their
produce, the inhabitants of Qumran installed what was probably a stable
in a long, narrow building (Locus 97) on the southwestern side of the site.
According to one assessment, some twelve donkeys were kept permanently
in the stable.69
One learns from the numerous industrial installations at Qumran that, in
the Herodian stage of its existence, its inhabitants main occupation was agriculture. Lending support to this assumption are various agricultural implements, such as a hoe, sickles and sheep shears, which were uncovered during
the excavation.70 Remains of irrigation systems and cultivated plots were
found in the area to the south of Wadi Qumran, in addition to the estate of
Ein Feshkha located ca. 2 km to the south.71 Besides growing field crops, the
inhabitants of Qumran probably also kept a flock of sheep. One learns of this
from the discovery of buried ceramic vessels containing the ashes and bones
of animals, mainly sheep, in various places at the site.72 In his usual way, de
Vaux assumed that he had encountered the remains of sacrificial offerings,
but it can more reasonably be assumed that the bones had some economic
67. On the winepress in Locus 75, see Pfann (1994: 212-214).
68. I wish to thank Dr Yitzhak Magen, who provided me with details concerning the finds

of his excavations at Qumran. A photograph of date pits from Qumran appears on p. 33 of


Roitmans catalogue (see above, n. 24) in the English section and on p. 32 in the Hebrew
section.
69. Wood (1984: 54-55) estimates, on the basis of the stables internal measurements
(18x2.8 m) and the distance between the pillars supporting the ceiling (1.5 m), that some
twelve donkeys were kept there.
70. Photographs of these tools appear in Roitmans catalogue (see above, n. 24), p. 33 in
the Hebrew section and p. 34 in the English section.
71. On the agricultural remains to the south of Qumran, see Porath (1998); Konik and
Kisielewicz (1998). On the remains of Ein Feshkha, see de Vaux (1973: 60-90); Humbert
and Chambon (1994: 232-272).
72. Animal bones from Qumran were generally identified as those of sheep and goats; see
Zeuner (1960: 28). Zeuner was of the opinion that the animal bones were remains of meals
from the tables of Qumrans inhabitants. De Vaux (1973: 14) held the view that the animal
bones and ashes were part of a local ritual that included the offering of sacrifices. This
subject was extensively discussed by Humbert (1994: 187-188).

272

Y. HIRSCHFELD

use, either as fertilizer for the trees grown in the garden or, as P. DonceelVote suggests, as a basis for the preparation of fragrant unguents that were
part of Qumrans perfume industry.73
The Excavation Finds Evidence of Wealth
Perhaps unconsciously, de Vaux disregarded various finds attesting to the
wealth of the inhabitants of Qumran. For example, decorated architectural elements, such as capitals, bases, part of columns and remains of
molded stucco, were uncovered at the site but are given scant mention
in his publications.74 Two Attic column bases are still located within the
limits of the site and next to them is a Doric capital (Phot. 14a-b). 75
Similar column bases and capitals have been found at various sites in
Herodian Judea, such as the governors house at Tel Judeideh (northeast
of Bet Guvrin) and in Herods palace complex in Jericho.76 One can reasonably assume that the stone elements at Qumran were incorporated in
the faade of the building or in its upper parts. These finds are of great
importance as they express the considerable economic capability of
the builder of the complex and his up-to-date taste in keeping with the
fashions of the time.
Many other finds indicate the wealth of the estate owner at Qumran. For
example, a hoard of 561 silver shekels was found under the floor in the western wing (Locus 120) which was probably hidden during the riots that broke
out in Judea after the death of Herod the Great. B. Kenael suggested that the
73. Donceel-Vote (1998: 115-116).
74. In the Qumran field logs, de Vaux mentions architectural elements that he found during

the excavation; see Humbert and Chambon [1994: 300 (parts of columns and an arch in
Locus 23), 306 (a cornice stone in Locus 42)]. However, in the preliminary reports of the
excavation and in the summarizing volumes, there is hardly any mention of their existence.
Magness (1994a: 112-113; 1997: 122) disregards these elements, her aim being similar to
that of de Vaux to clean the site of any signs of wealth and luxury.
75. On the architectural details at Qumran, see: Humbert (1999: 192-193). One of the capitals is visible in a photograph taken at Qumran prior to the excavation; see Humbert and
Chambon (1994: 22, Photo 15). Yet another base, which according to the workers was
taken from the site, is located in the souvenir store at Qumran.
76. In the governors house of Tel Goded, the column bases and capitals were found in
situ, as part of the peristyle courtyard that was added to the building during Herods reign;
see Gibson (1994: 214-216, Figs 13-14). Column bases similar to the one located at Qumran
were incorporated in the Herodian palace complex in Jericho; see Netzer (2001a: 176-177,
IIIs. 251, 252).

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

273

hoard originated from the monetary grants which, according to Josephus,


Herod gave to the members of his family when he was on his sickbed.77 If
this assumption is correct, it bears testimony to a certain close relationship
between the owner of Qumran and Herod. In any event, it is clear that the
concealer of the hoard hoped to return some day and retrieve it, but for some
reason was unable to do so.
A rich collection of stone vessels originating from Jerusalem was found
during the Qumran excavations. In addition to the stone vessels of the simple
type (measuring mugs), there are also large and splendid chalk urns called
kallal that were very expensive and available only to people of means.78
Moreover, oil lamps of various types were found at Qumran, as well as an
abundance of glass vessels, including some imported from the Phoenician
coast and others that were produced in Italy.79 From the presence of these
vessels, we learn not only of the affluence of the estate owner at Qumran,
but also about his commercial connections with distant places in and beyond
Judea.
The picture of the ceramic finds at Qumran corresponds to that of the other types of finds at the site. In addition to local pottery vessels of the common
and simple type, there are types of typical Nabatean vessels (termed Cream
Ware) as well as a small number of vessels termed pseudo-Nabatean, of a
type the likes of which were also found in Jerusalem. In addition to these,
imported ceramic vessels were also uncovered at Qumran, such as Eastern
Terra Sigillata and molded oil lamps.80
Upon comparison, the ceramic vessels of Qumran show great similarity to ceramic assemblages found at nearby sites such as Jericho, Herodium
and Masada. Even the famous scroll jars which de Vaux considered an
exceptional type, unique to Qumran, have parallels at Jericho, Herodium

77. Kenael (1958: 167-168). Herod gave monetary gifts to his favorites when he was laying

on his sickbed in Jericho; see War I, 658; Antiquities XVII, 173-174. On the hoard of silver
shekels from Qumran, see Ariel (1993).
78. On the stone vessels found at Qumran, see Donceel and Donceel-Vote (1994: 10-11)
and Sussmann and Peled (1993: 106-109).
79. On the glass vessels found at Qumran, see Donceel and Donceel-Vote (1994: 7-9) and
R. Donceel (1999/2000). De Vaux almost totally disregarded the glass finds revealed in the
excavation; see Cansdale (1997: 158).
80. On the ceramic finds at Qumran, see Donceel and Donceel-Vote (1994: 9-10). The
richness of Qumrans pottery is demonastrated by Sussmann and Peled (1993: 90-105).
Magness (1994:43) mentions that copies of Eastern Terra Sigillata A ware were found at
Qumran, from which it follows that Qumrans inhabitants were not cut off from the ceramic
industry of the Roman East.

274

Y. HIRSCHFELD

and Masada.81 From this it follows that Qumrans ceramic collection is not
unusual, as Magness asserts, but is typical of a site of the Second Temple
period, consisting as it does of simple, crude local vessel types alongside
refined imported vessels. From the type of vessels found at Qumran we learn
of the commercial links between its inhabitants and various sites in the area,
including Nabatean ones on the eastern side of the Dead Sea.
Among the metal objects found at Qumran are tools and bronze fibulae
used by the sites inhabitants for pinning their togas. The toga was a prestigious robe, and the discovery of fibulae at Qumran could indicate that among
the visitors to the site were people of high social class.82 The various other
finds include objects such as cosmetics vessels, spindle whorls and combs,
indicating the presence of women at the site.83 These finds fall into line with
those revealed by the excavations in the nearby cemetery, in which the skeletons of women were found (see below). In addition to this, stone weights
were found at Qumran, from which we learn of the lively economic and commercial activity at the site.84
The only written finds at Qumran are ostraca bearing Jewish names such
as Yohanan, Elazar, Pinhas and Shimon, proving that the site was inhabited
by Jews.85 Not only are Jewish names mentioned on an ostracon found in
1996 in dumps beyond the site but also items of real estate such as a house, a
fig orchard and an olive grove. F.M. Cross and E. Eshel, who published this
ostracon, suggested reading the word YHD on it, and concluded from this
that it is epigraphic evidence of the existence of the sect mentioned in the
scrolls; other scholars, however, have shown that such a reading is difficult
and by no means certain.86
81. Magness (1998: 61) points to the parallels between the scroll jars at Qumran and Jeri-

cho. On the presence of scroll jars, i.e., cylindrical jars characteristic of sites in Judea at
the end of the Second Temple period, at Herodium, see Bar-Nathan (1981: 56-57, Pl. 3).
According to R. Bar-Nathan and M. Hershkovitz, jars of the cylindrical type are to be found
at Jericho and Masada (personal communication).
82. I wish to thank J.B. Humbert for the information he gave me about the fibulae that were
found at Qumran. On the togae as the official robe of a Roman citizen, see Adkins (1994:
344-345).
83. On finds indicative of the presence of women at Qumran, see Taylor (1999: 318-323).
On bone and ivory objects, millstones, and bronze objects at Qumran, see Donceel and
Donceel-Vote (1994: 13-14).
84. On the stone weights found at Qumran and their economic significance, see Cansdale
(1997: 158).
85. On the ostraca of Qumran, see de Vaux (1973: 103; 1956: 564-565).
86. On the so-called Yahad ostracon, see Cross and Eshel (1997), Golb (1999: 825-826)
and Yardeni (1997: 233-235).

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

275

Scrolls or parts thereof made of parchment or papyrus were not brought


to light at Qumran, despite the fact that much organic material of various
kinds, such as beams and fibers of date palms, mats, wickerwork baskets,
date pits and animal bones, was uncovered.87 The absence of scrolls from
the site of Qumran is especially notable in light of the discovery of scrolls
and various documents at neighboring sites such as Masada and Hyrcania.88
As we shall see below, the Dead Sea Scrolls were found only in the nearby
caves.
The Cemetery of Qumran
Qumrans cemetery is located ca. 30 m to the east of the wall bounding the
site on the east (Fig. 10). It thus seems that the inhabitants of the site were
meticulous in their observance of the law calling for the separation of an
inhabited area from an area reserved for the dead.89 This is a large cemetery
that extends over an area of at least 20 dunams (Phot. 15). Because of the
sites isolated location and its difficult climate, the stone heaps marking the
grave sites were not put to secondary use. As a result, most of the graves
are fully preserved and readily visible on the surface.90
The exceptional preservation of the Qumran cemetery enables one to
trace the processes of its development. It stands to reason that the first
graves were dug parallel and fairly close to the wall separating the site
from the burial place; from there, the cemetery began to expand eastward,
initially on the elevated, flat part, and later on, along four extensions that
spread eastward from it. The graves are distributed in accordance with the
surface of the area. For this reason, the supposed distinction between the

87. On the organic finds at Qumran, see Zeuner (1960: 30-37) and also photographs of

organic material such as ropes, a basket, a wickerwork mat, date pits and wooden combs
that were published in Roitmans catalogue (see above, n. 24). For the wooden artifacts and
leather objects from Qumran, see Sussmann and Peled (1993: 110-113).
88. On the documents from Masada, see Cotton and Geiger (1989). In the 1952 excavations at Hyrcania, papyri from the seventh-eighth centuries C.E. were discovered; see Milik
(1959: 15-16).
89. On the maintenance of a distance between the graves and the site, see Steckoll (1968:
327-328) and Hachlili (2000: 661).
90. Most of the dug graves from the Second Temple period were found either at a site like
Beit Safafa near Jerusalem, which was discovered incidentally, see Zissu (1998), or at remote desert sites such as Ein el-Ghuweir south of Qumran, see Bar-Adon (1977: 16-17),
or at Khirbet Qazone, east of the Dead Sea, see Politis (1998).

276

Y. HIRSCHFELD

Fig. 10 Plan of the Qumran complex and the cemetery to its east.

central part of the cemetery and the side extensions, as de Vaux suggested,
is unacceptable.91
The number of graves preserved at Qumran is a controversial subject.
C. Clermont-Ganneau, who visited Qumran in 1874, assessed the number of
graves at roughly one thousand.92 On the other hand, C.R. Conder and H.H.
Kitchener, who reached the site a year earlier, put the number at only 700750.93 On the basis of Clermont-Ganneaus estimate, de Vaux proposed that
91. De Vaux (1973: 45-47). The derogatory term that de Vaux used to describe Steckolls

work (This Sherlock Holmes, p. 48) is unjustified, since Steckoll (1968) is the only one
who took the trouble to publish the data on the graves he excavated at Qumran; see: Haas
and Nathan (1968).
92. Clermont-Ganneau (1899: 15-16).
93. Conder and Kitchener (1883: 183). See also Drake (1874: 74).

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

277

there were 1,100-1,200 graves at Qumran.94 According to the measurements


that Z.J. Kapera recently took with the aid of aerial photographs, the number
of graves at Qumran has been assessed at only 711.95
In order to clarify the question of the grave count at Qumran, I carried
out a survey at the site of the cemetery, during which all the heaps of stones
in the cemetery were marked on a map (Fig. 11).96 The number of graves
surveyed is 823, of which 596 are in the elevated area and 227 are located in
the four eastern extensions. Remains of a rectangular building (exterior measurements: 6.5x5 m) were found at the eastern end of the second extension
from the south. To the best of my knowledge, the function of this building
remains unexplained.97
The internal organization of the cemetery shows several notable features. In the flat part there are two passage strips, 3-5 m wide, which probably made movement possible within the cemetery. Almost all the graves in
this area have a north-south orientation. On the other hand, the graves are
more freely arranged in the eastern extensions, and some have a different
orientation. For example, only 33 of the 69 graves in the southernmost extension have a north-south orientation, while the other 36 have an east-west
orientation.98
The graves at Qumran exhibit six characteristics: 1) individual and
not familial burial; 2) the marking of each grave by means of a heap of
stones; 3) the north-south orientation of most of the graves; 4) the laying
of the corpse supine at the bottom of the grave, sometimes within a crypt
with the head generally facing south; 5) few grave goods, mainly in the
graves of women and children; 6) use of the cemetery at the end of the
94. Initially, de Vaux (1973: 43) estimated the number of graves at 1,100, and further

on (in the same publication) he increased it to 1,200 (ibid.: 128). Many scholars, such
as Broshi (1992: 111) and Hachlili (1993: 247; 2000: 661), simply adapted de Vauxs
estimation.
95. Kapera (2000: 143).
96. A team of surveyors, led by I. Vatkin of the Israel Antiquities Authority, carried out
the survey.
97. In a recent lecture on the Qumran cemetery, Hanan Eshel conjectured that the building
at the end of the extension served as a funeral parlor. He also estimates the number of
graves at Qumran (according to his survey) at ca. 1,130. The gap between the results of the
two surveys (1,130 versus 823) can only be explained as being due to an error on the part
of one of the two teams. It is thus desirable that an objective team of surveyors carry out
new measurements.
98. Zias (2000) claims that the graves in the southernmost extension that have an eastwest orientation are recent Bedouin graves. Zangenberg (2000b) refutes his claims one
by one.

278

Y. HIRSCHFELD

Fig. 11 Detailed plan of the Qumran cemetery (surveyor: I. Vatkin).

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

279

Late Hellenistic and Early Roman period (end of the second century B.C.E.
to first century C.E.).99 To date, only 53 of the hundreds of the graves at
Qumran have been excavated, from which the bones of 42 deceased have
been clearly identified: 26 men and 16 Women. This ratio largely refutes
identification of the inhabitants of Qumran as Essenes, since, according to
Pliny, the latter shunned the company of women.100 It should be mentioned
that a similar male: female ratio was also noted in the cemetery that P. BarAdon excavated at Ein el-Ghuweir and in the one that B. Zissu excavated
at Beit Safafa.101
From the simplicity of the Qumran graves it can be assumed that those
buried in them were simple folk. From the absence of remains of mausoleums, one learns that the owner of the Qumran estate, who was a wealthy man
(according to the excavation finds), did not reside at the site but at one of the
settlement centers in Judea, such as Jericho or Jerusalem. The large number
of graves at Qumran teaches us that the cemetery served a population far
greater than that living at the site.102 It can be conjectured that those buried
there also include hired daily laborers who worked on the estate or pilgrims
who died at the site on their way to or from Jerusalem.
The Caves of Qumran
Most of the scrolls found in the caves close to Qumran belong to the last stage
of the sites existence in the first century C.E. Eleven of the caves yielded the
treasure known as the Dead Sea Scrolls. Some of these caves, such as 4 and 5,
99. Based on Kaperas papers dealing with the Qumran cemetery (1994; 1995). The pheno-

menon of individual shaft graves at Qumran falls into line with the phenomenon of ossuaries
that also served for individual burials; see Regev (2001).
100. On the ratio between the graves of women and those of men, see Elder (1994: 224).
From the data yielded by the excavation in the Qumran cemetery, it is evident that womens
graves were found not only in the side extensions but also in the flat, elevated area of the
site; see: Taylor (1999: 303); Kapera (2000: 144-147); Zangenberg (2000b: 74-75).
101. Kapera (1995: 130). According to Bar-Adon (1977: 16), the ratio of men to women in
the Ein el-Ghuweir cemetery is 2:1. In the Beit Safafa cemetery, the ratio is 3:2; see Zissu
(1998: 160). From these data and Z. Weisss study of Jewish burial practices in the Galilee
in the period of the Talmud and the Mishna, it seems that the dug graves at Qumran represent the common method of burial among simple folk; see Weiss (1989: 64-66).
102. It seems that the Qumran cemetery served for the burial not only of the permanent
inhabitants but also of temporary residents or people who happened to reach the site by
chance. It is also possible that the Qumran cemetery served as a central burial place for
similar sites in the region, as Bar-Adon suggested (1981: 351).

280

Y. HIRSCHFELD

Fig. 12 Map showing the location of the eleven caves in which the Dead Sea
scrolls were found.

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

281

are located ca. 150 m from the site, while others, such as 1, 2, 3 and 11, are
at a distance of 1-2 km to its north (Fig. 12). The scrolls include hundreds of
copies of most of the books of the Old Testament as well as compositions from
the Apocrypha and communal texts. A paleographic examination of the texts
has shown that they were written by ca. 500 different copyists over a period
of close to 300 years.103 From this it can be inferred that we are speaking of a
large, diversified public library. According to two late historical testimonies
that are independent of one another (one from the third century and the other
from the end of the eighth century C.E.), hundreds of ancient manuscripts were
discovered in caves close to Jericho. In the third century C.E., Origen tells of
the discovery of ancient manuscripts in jars near Jericho, while an epistle of
Timothy I, Patriarch of Seleucia, from ca. 800 C.E. relates that hundreds of
Hebrew manuscripts were found by chance in caves near Jericho.104 It is thus
possible that the Qumran library was actually part of a much larger library
that was hidden in caves of the Judean Desert on the eve of the destruction.
In a 1994 paper, Y. Shavit showed that public libraries were by-products
of the Hellenistic period and they were located in large cities. The largest and
best known one was in Alexandria, but there were also libraries in Rome,
Athens, Pergamon, Antioch, Caesarea and elsewhere.105 In his book on libraries in the ancient world, L. Casson enumerates two architectural elements
that characterized library buildings: storage rooms with large wall niches
and reading halls or colonnades.106 Not a trace of any of these elements was
found at Qumran, and as mentioned above, no remains whatsoever of scrolls
came to light during the excavations. In view of this, it is difficult to accept
the assumption that the library found in the caves near Qumran indeed came
from the rural estate complex. It stands to reason that such a large library
could only have been brought from one place in Judea-Jerusalem.107
103. On the number of scroll copyists and the time devoted to writing, see Golb (1999: 827).

For an up-to-date review of the scroll finds, see Dimant (2000).


104. For a discussion of this evidence and its significance, see Cansdale (1997: 83-84),
Milik (1959: 19, n. 2) and Yadin (1957: 74-77). Documents from the Hellenistic period
that were found in the cliffs west of Jericho (see Eshel 1988) help to confirm the abovementioned historical information.
105. Shavit (1994: 302-303).
106. On the characteristics of libraries in the Early Roman period, see Casson (2001: 4952, 81-83).
107. Rabbi Elazar, son of Zadoq, who lived in Jerusalem before 70 C.E., mentions copyists
of books in the city; see: B. Bava Batra 14a. On R. Elazar, see Oppenheimer (1980: 180).
There is no doubt that Jerusalem was a place of book production and a center of intellectual
activity; see Roller (1998: 54-56).

282

Y. HIRSCHFELD

Most of the scrolls were hastily concealed, wrapped in cloth, but some
were found inside cylindrical jars, the liked of which were uncovered at
the site. De Vaux claimed that these jars were produced expressly for the
storage and concealment of the scrolls, but the excavation finds have revealed a different picture. Storage jars (including some of the cylindrical
type), intentionally buried in the floors with only their mouths protruding, were found in a few of the rooms exposed at Qumran. This phenomenon, known from many other sites, is connected with the need to store
food under difficult climatic conditions.108 From this it follows that the
scroll jars were not produced solely for the hiding of scrolls but were
used by the hiders of the scrolls because they were of a type common at
Qumran.109 Since some of the scrolls were found in storage jars that were
probably produced at Qumran, and because the caves in which the scrolls
were hidden are located in the vicinity of the site, one can concluded that
there was a close connection between the hiders of the scrolls and the
inhabitants of Qumran, at least at the time of concealment. One can reasonable assume that, as Jews, the inhabitants of Qumran had an interest in
helping to hide the scrolls and offered their aid. Any assumption beyond
this is strictly conjectural.
In addition to scrolls, various manmade objects, such as ceramic
vessels, stone vessels and organic materials of various sorts (mats,
cloth and wooden poles), were found in some caves near Qumran.110
On the basis of these finds, de Vaux suggested that the caves served
as the living quarters of the inhabitants of Qumran, while the complex
itself served as a communal center. The wooden poles found in some
of the caves led him to assume that their living quarters were not confined to caves and that they also pitched tents on the surface close to
the site. In order to substantiate de Vauxs claims, in 1996-1997 M.
Broshi and H. Eshel conducted excavations in six caves located on
the terrace of the Lissan marl north of Qumran; however, their efforts
108. A cylindrical jar, of the scroll jar type, buried in the floor of the Qumran complex is

mentioned by Harding (1952: 105). During my excavations at En-Gedi, jars and cooking
pots have been found buried in the floors of dwellings from the Late Roman and Byzantine
periods, with their mouths facing upward (in some cases, the mouths of the vessels were still
covered by lids). In the excavations of Roman-period Aqaba (Eilat), jars containing remains
of fish bones were found buried in the floor; see Parker (2000: 379-380).
109. On the scroll jars and the frequency of their occurrence at Qumran and other sites in
Judea, see above, notes 80-81.
110. On the excavation finds in the Qumran caves, see Harding (1955) and de Vaux (1962;
1977). On the scroll wrappers, see Schick (1993: 118-123).

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

283

like those of de Vaux were in vain.111 As J. Patrich shows, none


of the caves yielded remains such as cooking installations, places for
storage, sleeping couches, doorways, windows, etc., as evidence of
permanent residence in them.112 One learns from the finds in the caves
that they served only as temporary living quarters. One can reasonably
assume that, as an economic center, Qumran drew to its vicinity quite
a few people who were employed as daily workers on the estate. These
people, shepherds, hermits and mere passersby, could have found temporary refuge in the caves or may have resided in tents, the meager
remains of which were found by Broshi and Eshel, north of the site.113
Any attempt to comprehend the nature of the inhabitants of Qumran
thus must be based on an analysis of the finds at the site and not on
those in the caves next to it.
Qumran and Ein Feshkha
It is difficult to understand Qumran during the Early Roman period
without mentioning the remains at the oasis of Ein Feshkha. The two
sites were contemporaneous and were linked to one another by a long
boundary wall whose remains are still preserved on the plateau of Qumran

111. Broshi and Eshel (1999: 330) mention that in most of the caves that they excavated,

they failed to reveal the floor, and only in two of them were found sherds showing that these
caves served as living quarters at the end of the Second Temple period.
112. Patrich (1994). In order to illustrate this, one can point to caves that served as the
permanent living quarters of monks from the Byzantine period. At the site of Ein Abu
Mahmud, located ca. 5 km north of Qumran, Patrich (1995: 128-132) discovered caves of
a hermitage containing cooking installations, storage niches, benches, a place for prayers,
doorways, windows, and crosses and inscriptions engraved on the walls; see also Patrich,
Arubas and Agur (1993). Similar complexes of monks caves were found in the area of the
Laura of Gerasimus (Deir Hajla) north of the Dead Sea; see Hirschfeld (1991).
113. Broshi and Eshel (1999: 339-340) present a system of ancient paths that supposedly
linked the caves with the site; however, a careful examination shows we are not dealing here
with paved paths with revetment walls, but with dirt tracks that were trodden by chance by
animals and passersby (including the team of laborers who worked in the caves during the
excavation). Along the main path leading to Qumran, Broshi and Eshel found 60 bronze
sandal nails, but it can be conjectured that these belonged to sandals worn by soldiers of the
Roman legions and not necessarily by inhabitants of Qumran, who probably wore simple
leather sandals without nails of the type found at Masada. Two sandals of the simple type
were found at Qumran, see: Sussmann and Peled (1993: 112-113). On the other hand, the
presence of the bronze sandal nails of the Roman legionnaires lends support to the surmise
that the course of the road to En-Gedi and Masada passed through Qumran.

284

Y. HIRSCHFELD

(Fig. 13).114 This wall


bounded the area of the
large agricultural estate
continuing two water
sources: Ein Ghazal and
Ein et-Tannur. Presently,
both of these sources
have run dry, but in the
Second Temple period,
when the level of the
Dead Sea was higher,
these two water sources
and apparently others
also had copious flows of
fresh water suitable for
agriculture.115
Within the estate, in
the area to the north of
Ein Ghazal, were found
remains of irrigation
channels and cultivated
plots from the Early
Roman period (first century B.C.E. first century
C.E.).116 In addition to
them, de Vaux exposed Fig. 13 Map of the area between Qumran and
a square building (12x12 Ein Feshkha (Enot Tzuqim).
m) whose plan is reminiscent of the numerous columbarium towers from
the same period.117 Columbarium towers were intended for the production
114. De Vaux (1973: 59) termed the boundary wall the long wall or the big wall (le

grand mur); see Humbert and Chambon (1994: 367).


115. The drop in the levels of the Dead Sea has led to two phenomena at Ein Feshkha: a
notable salination of the springs and a southward shift (of up to 2.5 km) of their points of
issue; see Raz (1993: 68, 160). On the salination of the Ein Feshkha springs, see Mazor
and Molcho (1972) and Mazor (1997: 271-273).
116. On the finds of the survey in the area of the Ein Feshkha springs, see Porath (1998).
117. De Vaux (1973: 60). The plan of the building was published by Humbert and Chambon
(1994: 268, Pl. XLVIII). A similar columbarium with a square structure was revealed in the
palace complex at Jericho; see Netzer (2001a: 90-91). On columbarium towers and their
function at sites from the Early Roman period, see Zissu (2000).

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

285

Fig. 14 Plan of the Herodians remains to the north of Ein Feshkha.

of pigeon dropping for the amelioration of irrigated soil, and hence the
discovery of such remains in the area of the estate lends support to the assumption that the area was intensively cultivated during the period under
consideration.
Some 100 m to the north of Ein Feshkha de Vaux in 1958 revealed the
remains of a fairly large farmhouse (430 m2) and next to it a pool and an industrial installation (Fig. 14).118 In new excavations that I conducted at the site, it
became evident that the complex to the north of Ein Feshkha was erected at the
beginning of Herods reign and was operative until its destruction during the

118. The preliminary excavation report was published a year after the completion of the

excavation; see de Vaux (1959).

286

Y. HIRSCHFELD

Great Revolt.119 The fully preserved industrial installation (Phot. 16) is reminiscent of similar ones that were found in the royal estate in Jericho. According
to E. Netzer, these installations served for the production of date wine, but I believe that they were intended also for the production of perfume essences from
the balsam grown in plantations in the area. De Vaux correctly interpreted the
remains to the north of Ein Feshkah as part of the agricultural estate of Qumran.
This conclusion has important implications when we attempt to understand
who the inhabitants of Qumran were during the period under discussion.
4. Who Were the People Who Dwelled in Qumran?
According to the widely held view, Qumran served as a cult center for
members of the Essene sect. Is this true? The description of the Essenes as
those who, of their own free will, chose poverty and a simple life is in clear
contradiction to the nature of the remains and finds at the site. Josephus comments that the Essenes despise wealth, while Philo the Alexandrian explicitly
states that they do not store up treasures of silver and of gold, nor do they
acquire vast sections of the earth out of a desire for ample revenues.120 The
group of Essenes that lived, according to Pliny the Elder, above En-Gedi was
especially stringent with regard to its ascetic way of life. In his words: The
solitary tribe of the Essenes has no women and has renounced all sexual
desire, has no money and has only palm-trees for company.121
The archaeological picture that emerges from the Qumran excavations
does not accord with these descriptions. The Herodian complex revealed at the
site is a large, well-built structure extending over an area of 4,800 m2. Column
bases, capitals and stucco plaster indicating its splendor were found among the
remains. At the center of the complex stood a massive tower surrounded by a
massive stone glacis, from which we learn that the local inhabitants took care
to fortify the place and were prepared to fight for its defense, if the need arose.
This datum contradicts the description of the Essenes as a sect of pacifists.
The various excavation finds are indicative of the wealth of the owners
of Qumran. The complex water system, which includes a conduit, large res119. The excavation was conducted in April 2001; see Hirschfeld (in press).
120. Philos comments about the Essenes are cited from his essay: Every Good Man Is

Free, translated by Yonge (1993: 689). For Josephuss description of the Essenes, see War
II, 122.
121. Pliny, Historia Naturalis, 5, 73. On the Essenes ascetic way of life and their pacifist
concept see Theissen 1978: 61-82 and Boccaccini 1998: 32-34.

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

287

ervoirs and ritual baths, called for a large financial investment and hydraulic
knowledge, both for its installation and for its maintenance. On the floors
a rich and diversified assemblage of ceramic and glass vessels was found,
including imported items and decorated oil lamps. In addition to these, a rich
selection of expensive glass vessels, Jerusalem stone vessels of various
types, and several hundred coins (including a hoard of 561 silver pieces),
were uncovered. From the finds, it seems that the owner of Qumran was not
only affluent, but also had social and economic ties with the centers of administration in and beyond Judea.
As an explanation for the contradiction between the wealth of finds at
Qumran and descriptions of the Essenes as an ascetic sect following an austere way of life, it has been customary to compare the community that lived
at the site with monks of the Byzantine period, since, as is well known, the
latter lived a life of abstinence and penury but their monasteries were large
and rather splendid.122 However, this comparison is erroneous. The monastic
movement in the Byzantine period, especially the one that developed in the
Judean Desert, was an integral part of the Church establishment in Jerusalem
and benefited from connections with the sources of government and power.
Many of the monks were appointed to high offices in the Church, and some
of them even became Patriarchs.123 On the other hand, the Essenes are described as a small sect living on the periphery of Jewish society, without
access to the administrative establishment in Jerusalem.
It thus seems that a complete distinction should be made between the
Essenes and the permanent inhabitants of the site of Qumran. The Essenes
who lived, according to Pliny, on the western shore of the Dead Sea should
be regarded as part of a broad popular movement whose members took up
residence in the Judean Desert for religious reasons. Josephus mentions large
groups of people who descended to the desert in their search for messianic
redemption, relating that even he himself lived in the company of a hermitmonk for three continuous years in the desert.124 The New Testament narratives about the hermit-monk John the Baptist, who lived close to the Jordan
122. Safrai (2000: 42), for example, while writing about a rich sect with poor members,

mentions groups of Christian monks. In his paper he reaches the absurd conclusion that the
Essenes who lived at Qumran enjoyed a high standard living that included, inter alia, long
banquets and the eating of several meat courses (ibid: 47).
123. On the involvement of the Judean Desert monks in Church affairs, see Hirschfeld
(1992: 12-13).
124. Josephus, The Life II, 11-12. On ascetic hermits and messianic movements that emerged in the Judean Desert in the first century C.E., see Goodman (1987: 79-80), Schwartz
(1992: 29-31) and Hirschfeld (2000b).

288

Y. HIRSCHFELD

north of the Dead Sea, should be comprehended as part of this phenomenon.


However, there is no reason to assume that these hermits, who lived a life
of asceticism and abstinence, were able to acquire or maintain a site as large
and rich as Qumran.
Who, then, did live at Qumran?
The Qumran complex is well built and fortified, but on account of the
numerous doorways located in it, it does not have the appearance of a fort.
From the various industrial installations found at the site, such as ovens and
soaking pools, and the columbarium and processing installations revealed at
nearby Ein Feshkha, we learn that the main occupation of the inhabitants
of Qumran was agriculture and the processing of agricultural produce. The
combination of all these elements the fortified tower, residential wings and
industrial installations indicates that, in the Herodian stage of its existence,
Qumran functioned and served as the center of a rural estate. It is possible
that previously, during the Hasmonean period, it had served as a fort and
road-station and a central of economic activity stimulated by the kings of the
Hasmonean dynasty.
The location of Qumran on crossroads descending from Jerusalem and
Jericho to En-Gedi is recognized as an important asset. From this one may
correctly conjecture that the site was initially established as a fort by the
kings of the Hasmonean dynasty. According to the sources, the Hasmoneans
had already begun to fortify Judea in the days of Jonathan in the middle of
the second century B.C.E. This activity was carried out under the personal
supervision of his brother Simon.125 From 129 B.C.E. onwards, the great
Hasmonean kings, John Hyrcanus I and his son Alexander Jannaeus, developed the eastern front, i.e., there were campaigns of conquest and expansion
to Transjordan and the Dead Sea. In this context, Qumran and other fortified
sites along the Dead Sea (including En-Gedi and Masada) played a key role.
The Hasmonean fortifications were multipurpose structures. They served
simultaneously as forts to protect the boundaries and ensure safe travel on
the roads, and as administrative centers and places for safeguarding the royal
treasury. In the Greek sources, such structures were termed baris (or birah in
Hebrew).126 It seems that Hasmonean Qumran was built as a baris and that
its inhabitants ranked among the kings trustees.
125. I Maccabees 13: 33. The Hasmonean fortifications in Judea are also mentioned by

Josephus, Antiquities XIII, 183. On the Hasmonean fortifications along the Dead Sea, see:
Bar-Adon 1981.
126. On the term baris, see Will (1987). On the functioning of the Hasmonean fortifications, see Shatzman (1991).

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

289

When Herod ascended to the Judean throne, he inherited the Hasmonean


fortifications and added some of his own. From Josephus descriptions, it
seems that the method of controlling the fortresses was different in Herods
day. The king would grant estates to his favorites throughout his kingdom.127
In this way he maintained the system characteristic of the Hellenistic kings
the building of an army of reservists by granting estates and plots of land
in return for military service when it was required. An example of this is the
estate of Ptolemy, one of Herods senior ministers and a closed friend. The
estate, the remains of which S. Dar located in the center of Samaria, included
large tracts of land and a fortified manor house at its center.128
On the basis of this evidence, one can reasonably assume that the complex at Qumran, which was constructed as a road-station and fort during the
Hasmonean period, was handed over to one of the kings favorites in Herods
day. From that time onwards, until its destruction during the Great Revolt, I
consider that Qumran functioned as fortified manor house, a sort of castle (a
birah in the nomenclature of the Sages), in which resided the owner of the
estate (during his visits to the site) and his farm manager, servants and slaves.
The living quarters for the owner, his family and guests were in the central
building (pars urbana), while the staff of servants and slaves occupied the
sings around it (pars rustica).129
The Herodian aristocracy who benefited from close ties with the king
included members of his family, army veterans, his friends and families
of notables. Among these were priestly families who were brought from
Alexandria and Babylon, or veteran priestly families in Jerusalem such as
that of Josephus Flavius.130 Such families, as Josephus testifies with regard
to his own, were granted estates in various places in the kingdom.131 Against
this background, it can be conjectured that Qumran and its estate were
owned by one of the affluent priestly families in Jerusalem. This surmise
127. On the allotment of land in Herods day, see Jones (1938: 77-83), Goodman (1987:

38-42) and Pastor (1997: 99-102).


128. On the identification of Ptolemys estate in the hert of the Samarian Hills, see Dar
(1993). For more details on Ptolemy, see Roller (1998: 63-64).
129. On the separation of the residential area intended for the owner of the house and his
guests (pars urbana in Latin) from the service area of farm buildings (pars rustica), see
Percival (1996: 68-69).
130. On the priestly families in Herods day, see Stern (1976: 600-612), Schrer (1979: 227236) and Goodman (1987: 60).
131. According to Josephus independent testimony, his family had estates in the vicinity of Jerusalem; see Josephus, The Life LXXN, 422-323. After the suppression of the revolt, Titus granted
Josephus an estate on the coastal plain instead of the ones that he had lost in the Jerusalem area.

290

Y. HIRSCHFELD

could explain the adherence to the laws of ritual purity by the inhabitants of
Qumran (as find expression in the ritual baths and the stone vessels found at
the site) and their mobilization, when the time came, to help the concealers
of the scrolls who had come, as conjectured, from Jerusalem.
The annexation of Judea to the Roman empire in 6 C.E. did not change
the status of landowners such as the family owning the Qumran estate. In
the remains at the site, there are no notable signs of change or the cessation
of its inhabitants routine activity. Indeed, Josephus mentions various estates
and towers owned by the Jewish aristocracy in first century C.E.132 The fact
that Jews lived in Qumran up to the Great Revolt explains the collaboration
between the concealers of the scrolls and the inhabitants of the site. This collaboration is expressed in the preparation of the caves in which the scrolls
were hidden and in the concealment of some of them in storage jars that were
probably produced at Qumran.
The Great Revolt brought about the absolute end of Qumran. The
Romans methodically destroyed the foci of power in which the Jews fortified themselves, including the fortified manor houses. The suppression of
the Great Revolt brought about the complete elimination of the settlement
pattern that had characterized Herodian Judea, i.e., choice tracts of land that
were under the ownership of aristocratic families close to the king, on which
leaseholders and hired laborers were employed.133 The social structure of the
Jewish populace in Judea was completely different after the Great Revolt.
In summary, I have attempted in this article to demonstrate that excavation finds at Qumran prove that the site was owned by an affluent family,
apparently living in Jerusalem, and that its tenants were not Essenes or members of another sect, but the servants and slaves of the self-same family. The
scrolls found in the caves close to Qumran did not originate from the site
but from elsewhere, probably Jerusalem. This conclusion does not detract
from their importance; on the contrary, according to their context, the scrolls
and their contents should be comprehended against the background of the
turbulent intellectual activity and numerous social trends that characterized
Jerusalem at the end of the Second Temple period.
Yizhar Hirschfeld
Hebrew University of Jerusalem

132. On the continuity of the land regime of Judea after 6 C.E., see Goodman (1978: 59-60).
133. On the changes that took place in Judea following the Great Revolt, see Hirschfeld (1997).

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LAS GRUTAS DEL PARQUE DE LA INDEPENDENCIA


DE JERUSALN, UN MITHRAEUM?

A. Cabezn Martn

Hace unos aos, pasando por la calle Menashe Ben Israel, entre el Parque
de la Independencia y el cementerio musulmn, vi una piedrecita en el
suelo y la di una patada, lanzndola a unos diez metros. Me llam la atencin en su manera de rodar y la recog del suelo. Cul no sera mi sorpresa
cuando me di cuenta que all estaba grabada la figura de un animalito parecido a un perro, con las orejitas, los ojos y la boca bien sealados. De
momento no di importancia al caso. Entonces estaban arreglando el Parque
que dicho sea de paso estaba bastante descuidado.
Unos tres aos estuvieron trabajando para adecentarlo como est en
la actualidad, con caminos asfaltados para pasear. Desde entonces cambi
mi ruta y en vez de venir por abajo, lo haca por el centro del parque. A
mi derecha encontr unas vallas que protegan algo y a la izquierda, unas
grutas, pero tampoco las di mucha importancia. En estos lugares hay varios
letreros en hebreo que dicen: peligro, pozos.
Al principio, todo estaba cerrado con vallas y no se poda entrar. Un
buen da, al ver que la valla estaba rota se me ocurri entrar en la gruta
que ha resultado ser la mayor y de ms importancia. Hablando con el P.
I. Pea del caso y con los detalles que le iba dando, inmediatamente me
dijo que se poda tratar de un mithraeum (lugar del culto al dios Mitra),
puesto que l haba publicado precisamente un artculo sobre un posible
mithraeum en Liber Annuus el ao 1996, encontrado en las grutas de ElMagara, en Siria.
Una vez visitadas las grutas los dos juntos, me confirm que aquello
haba sido un lugar de culto, pagano. Esto me anim para seguir con mi
deseo de llegar hasta el fin, fotografiando y midiendo el complejo y escribir
este artculo.
Descartada la posibilidad de que se trate de tumbas, hay que pensar en un
lugar sagrado de culto. Pero a quin? Por lo que hemos indicado parece ser un
mithraeum y las razones que me inducen a esto, adems de las coincidencias
con los lugares dedicados a Mithra, es que estaba cerca del lugar que ocup
una Legin Romana, ya que precisamente, los legionarios y militares e incluso
algunos emperadores eran los que practicaban este culto normalmente.
LA 52 (2002) 297-306; Ll. 9-10

298

A. CABEZN MARTN

El mithrasmo
Mitra era una divinidad persa, cuyo nombre aparece por primera vez bajo
Daro I (500 a. C.). Puede estar relacionado con el Mitra indio, venerado en
el s. XIV a. C. por los hurritas del Mitanni, que lo tenan como un genio de
los elementos, segn el Avesta. El Dios que vea y oa y pesaba las almas
de los muertos en el ms all.
De los estudios referentes a los tiempos remotsimos en que los antepasados de los persas y de los indios vivan todava reunidos, resulta de
una manera incontestable que se adoraba al dios Mitra. Tanto lo himnos
de los Vedas como los del Avesta celebran su nombre y a pesar de algunas
diferencias, el Mitra vdico y el iraniano conservan tantos rasgos comunes
que es imposible dudar de la comunidad de su origen.
Por todas partes se ve el dios que se considera una divinidad de la luz invocada junto con el cielo, que se llama Varuna o Ahura y considerndolo bajo
el punto de vista moral, sus adoradores vean en l al protector de la verdad
y de los contratos. Su nombre significa en persa y en snscrito el amigo y
en efecto, Mitra era, por excelencia, el amigo y el protector de los hombres.
En la coleccin sagrada de los persas, en el Zend-Avesta, se nos muestra a
Mitra tendiendo las manos al dios Ahura-Mazda, dicindole: Yo soy el buen
protector de todas las criaturas y el conservador de todo lo existente.
Su carcter guerrero que predomina a partir de los tiempos de los
aquemnidas (s. VIII a. C.) es, por tanto, lgico y natural. En otro himno
del Zend-Avesta se lee: Mitra est siempre preparado, despierto y observa
con ojo cuidadoso todas las cosas. Es fuerte y acude en todo momento al
llamamiento de los dbiles. A Mitra nadie le engaa y su temible poder es
empleado siempre a favor de los hombres. La luz que todo lo penetra se
convirti para sus adoradores en el emblema de la verdad. Mitra es la encarnacin celeste de la conciencia. Era tambin un mediador. Descendiendo
del cielo y de los astros, la luz (la verdad moral en su imagen) va de casa en
casa repartiendo la alegra, luchando por la noche con las sombras y la oscuridad y durante el da con las nubes y las borrascas henchidas de terrores
y de tinieblas. Mitra, el mediador entre los hombres y los dioses (el mesites
de los griegos) era ms querido de los hombres que otras divinidades ms
poderosas, pero ms lejanas.
Este dios, desconocido de los pueblos europeos, no perteneca al
panten de las antiguas comunidades arias. Los documentos cuneiformes
de Capadocia han demostrado que los dioses indoiranios: Mitra, Varuna
e Indra, eran ya adorados en el s. XIV a. C. por un pueblo vecino de los
hititas, los mitanos, establecidos al norte de la Mesopotamia. A partir de la

LAS GRUTAS DEL PARQUE DE LA INDEPENDENCIA

299

primera aparicin de los arios en la historia, adoran ya a Mitra, pudindose afirmar que las tribus que conquistaron el Irn no cesaron de adorarlo
hasta su conversin al Islam. Mitra es omnisciente y sin ser el sol, la luna,
ni las estrellas, se vale de todos ellos para vigilar al mundo. Es tambin
el seor de los campos y concede a los suyos la paz, la abundancia y la
prosperidad.
Como protector de los guerreros recibi por compaera a Verethraghua, la Victoria. Los reyes persas consideraban a Mitra como protector
especial y le tenan una gran devocin, invocndolo al prestar juramento y
al entrar en la batalla. La nobleza sigui el ejemplo, como demuestran el
gran nmero de nombres teforos, compuestos con el de Mitra, que desde
la antigedad llevaron sus miembros. Al pasar el culto de Mitra de oriente
a occidente se contagi con varias impurezas que cambiaron el carcter
primitivo de la divinidad. Mitra ya no era entonces la luz, mediadora entre
el cielo y los hombres, sino que convertido en el dios por excelencia, fue
asimilado al mismo sol. Los griegos de Asia le dieron en la poca helenstica una representacin figurada. Llegado a ser el centro de una religin
de misterios, fue adoptado rpidamente en el mundo romano. Su culto se
difundi en el s. II d. C. en los puertos, las grandes ciudades y los lugares
de guarnicin de occidente, sobre todo, el Rin, el Danubio e Italia1.

Plutarco dice que el culto mitriaco penetr en Roma gracias a


los cilicianos vencidos por Pompeyo. Pero la causa ms importante
fue el reclutamiento de auxiliares para las legiones en las regiones
montaosas y pobres de Asia Menor, que el mithrasmo haba conquistado desde mucho tiempo atrs, siguiendo despus los esclavos
procedentes de las campaas de Anatolia y de Persia. En tiempos de
Trajano (100 d. C.) la religin de Mitra se convirti ya en una verdadera potencia espiritual, sobre todo, en aquella parte del imperio,
donde a consecuencia de las guerras contra los dacios, era ms considerable la afluencia de tropas de todas las procedencias. Durante los
Antoninos, los literatos y los filsofos comenzaron a interesarse por
la religin de Mitra, practicada en los primeros momentos, slo por
los asiticos y por las clases inferiores de la sociedad romana.
Luciano parodia espiritualmente sus ritos. En el 177, Celso opone sus doctrinas a las del cristianismo. Lampridio nos informa que
Cmodo se hizo iniciar en los misterios de Mitra y que tom parte
en las ceremonias de la liturgia. En su tiempo aparece por primera
1. F. Cumont, Las Religiones orientales y el paganismo romano, Madrid 1987, 132.

300

A. CABEZN MARTN

vez, la dedicacin al dios sol en el reverso de las monedas con la


siguiente inscripcin: Soli Deo Comiti (al dios Sol, compaero).
Desde entonces, se ve tambin esta inscripcin en las monedas de
sus sucesores. En el 247, Aureliano fund, al lado de los misterios
del dios taurctono, un culto pblico, muy bien dotado en honor del
Sol Invictus. Diocleciano, cuya corte tena tantos puntos de contacto
con la de los sasnidas, en unin con sus colegas Galerio y Licinio,
restaur en el 307 en Carnutum un templo del protector celeste de
su imperio.
La feliz conversin de Constantino al cristianismo, detuvo la
fuerza ascendente de las doctrinas mitriacas, las cuales recuperaron,
por un momento el terreno perdido, durante el reinado de Juliano el
Apstata. Este emperador, que haba rendido desde nio una supersticiosa devocin a Helios (Sol), al que consideraba como verdadero
libertador en los das azarosos de su juventud, le dedic un fogoso
discurso y se mantuvo fiel a su culto hasta los ltimos momentos de
su vida.
El joven prncipe, iniciado durante su juventud en un conventculo mitriaco por el filsofo Mximo de Efeso, se crey colocado,
en esta y en la otra vida, bajo el patronato del dios solar y en el momento de llegar al trono imperial, se declar sin ambages pagano y
procur extender por todas partes la religin mitraica. A partir de la
muerte del Apstata, el culto de Mitra fue decayendo. Los emperadores dictaron una serie de leyes contra la secta reprobada y el populacho se encarg de ejecutar de una manera violenta las disposiciones
superiores, saqueando los templos y las grutas donde se celebraban
las ceremonias del culto.
La religin de Mitra ha dejado recuerdos ms abundantes en las
provincias donde la ocupacin militar fue ms importante. Bajo Cmodo, M. Valerius Maximianus, legado de Dacia, consagr un exvoto al Sol Invictus Mithra. En un exvoto dedicado por un gobernador
de la Numidia, M. Aurelius Decimus, el Sol Mithra es nombrado
inmediatamente despus de la trada capitolina y antes que Hrcules, Marte y Mercurio. En otros monumentos mitriacos se leen los
nombres de varios prefectos de legiones, de dos tribunos legionarios,
suboficiales, soldados, veteranos, etc. Los representantes del gobierno y de la administracin figuran tambin, en gran nmero, entre los
fieles de esta religin.
El mitrasmo busc rivalidar con el cristianismo. El sentido moral que daba a su culto la esperanza de una redencin, permitiendo

LAS GRUTAS DEL PARQUE DE LA INDEPENDENCIA

301

adquirir en el ms all una vida puramente espiritual, contribuy a


su xito. Las muchas analogas o paralelismos que presenta con l
fueron observadas ya por Justino, Tertuliano y otros padres, lo cual
fue objeto de las polmicas entre los cristianos en la antigedad y
an hoy ocupa a muchos curiosos investigadores en el campo de
la historia de las religiones. Aquellos combatieron a la secta, ms
temible que las dems por sus burdas imitaciones de la verdadera
religin2.
El concepto de la luz del mundo con el que se caracterizaba
a Mitra, los siete seudo sacramentos que formaban parte del culto
(entre ellos el bautismo y la comunin) son otros tantos puntos de
contacto entre ambos cultos. El hecho de que el apogeo del mitrasmo fue en el s. III de la era cristiana, hace ms que probable la afirmacin de que tom prestadas del cristianismo algunas prcticas y
ritos, adulterndolos.
Los misterios de Mitra se celebraban en grutas, criptas, o salas
subterrneas abovedadas, simbolizando el cielo, a las que se bajaba
por una escalera precedida de un patio o antesala. A ambos lados
de la cella haba unos podiums, probablemente para arrodillarse los
concurrentes. En la parte posterior haba un nicho u hornacina, con
una estatua de Mitra en actitud de dar muerte al toro mtico. De la pequea capacidad de estos templos se deduce que las congregaciones
de sus adoradores no excedan mucho el nmero de cien, por esto,
quiz nunca lleg a ser religin oficial, conservando siempre sus
misterios el carcter privado. Este culto iniciativo comportaba siete
grados: cuervo, perro, soldado, len, persa, helicodromo (correo del
sol) y padre. Aqu podramos poner la relacin del dolo encontrado
en las cercanas de la entrada a la gruta por la calle (Fig. 1). Un padre de padres, era el jefe supremo de esta religin. Para pasar de un
grado al siguiente, haba que sufrir pruebas. En ciertas ceremonias
llevaban mscaras. Se purificaban con el agua lustral, el ayuno y la
flagelacin. Practicaban banquetes sagrados y sacrificios de animales.
El culto de Mitra ha dejado numerosos monumentos simblicos. El
principal es el sacrificio del toro.

2. Sobre la influencia cristiana en el desarrollo de los misterios de Mitra, vease E. Testa,

Le grotte dei misteri giudeo-cristiane, LA 14 (1964) 56-143.

302

A. CABEZN MARTN

Ubicacin de las grutas del Parque de la Independencia


Este complejo de grutas est situado en el Parque de la Independencia y le
separa del cementerio musulmn la calle Menashe Ben Istarel, muy cerca
de la piscina Mamila. Enfrente, a la izquierda, se puede ver el Consulado
Americano de la calle Agrom. Consta de las siguientes grutas, indicadas en
el grabado con una letra. Podemos distinguir dos partes.
1. En primer lugar est la sala abovedada (A), de forma circular, pero
irregular. Es la mayor y donde tendran lugar los actos de culto, por ser
la ms apta para las reuniones, en la que los adoradores de la divinidad
participaban en banquetes de comunin y donde compartan las carnes de
los sacrificios junto con el pan y el vino. Tiene 18,20 m de larga por 12
de ancha y 8,20 de alta. Se accede a ella mediante una escalera de 7 peldaos de 0,70 m de ancho, a los que preceden varios restos de puertas o
construcciones posteriores. La puerta de entrada mide 2,10 ms. de alta por
1,03 ms. de ancha.
Entrando, a la izquierda, hay una desviacin, con escaleras de un metro
de ancho, aunque casi han desaparecido. En el fondo, tambin a la izquierda, existe un pasadizo de 6,15 ms. de largo por 2,20 de ancho y otros tantos
de alto, que comunica con una pequea entrada, muy estrecha. Este pasadizo est tapiado al final a cal y canto, excepto en la parte superior, que es
la que da en la actualidad a la calle. En la parte exterior, junto a la pequea
entrada, hay una construccin que consta de dos arcos y es posterior, quiz
del tiempo de los cruzados, lo mismo que la piedra horizontal, o arquitrabe,
que se encuentra a la entrada, anterior a la puerta principal superior.
Al fondo, y a la altura de 2,20 ms. podemos ver tres cavidades o cellas,
de 2,10 m la de la izquierda, 2 m la del centro y 4 m la de la derecha, que
serviran para oracin y meditacin. Siguiendo ms a la derecha y a 2,60
m de altura hay un nicho donde estara la imagen de Mitra. A la altura de
4,50 m, existen dos ventanas excavadas en la roca que comunican con la
primera cisterna (B), por donde entra la luz del patio interior. Estas dos
ventanas y la claraboya son la nica iluminacin de la sala. En lo alto, en
el centro, est la claraboya por donde entraba el sol, momento en que empezaban las ceremonias. Las claraboyas tuvieron una funcin cultual, ms
que prctica: el saludo en algn momento crucial de la liturgia tenebrosa
al Sol Invictus, cuyos rayos se proyectaban sobre el altar, como se puede
ver en el mithraeum de Cesarea3. Este elemento de la claraboya en el
3. K.G. Holum - R.J. Bull, Cesare Maritime, la cit du roi Hrode, Le Monde de la Bible

(Nov. 1988) 15-22.

LAS GRUTAS DEL PARQUE DE LA INDEPENDENCIA

303

Fig. 1 Las grutas del Parque de la Independencia.

centro de la bveda, se repite en las restantes grutas y cisternas, pero


ahora estn cerradas en todas ellas.
La gruta era conocida en el s. XII como el osario del len o
caverna del len4, porque segn una leyenda fue un len el que recogi en dicha caverna los cuerpos de los mrtires, sacrificados por
los persas en la toma de Jerusaln (614) y acumulados en la piscina
Mamila5. Lo cierto es que esta gruta ha sido manipulada y adaptada,
a medida que ha sido ocupada sucesivamente a travs del tiempo,
como lo pueden comprobar, sobre todo, la cantidad de grafitos en la
pared de la izquierda, donde aparecen entre otros signos gran variedad de cruces. Incluso parece que hubo aqu, encima, antao un monasterio convertido en mezquita6. A principios de siglo los beduinos
habitaban en este complejo de grutas.
Pero la situacin actual es la peor, por lo descuidada y sucia en que
se encuentra, ya que all echan toda clase de inmundicias, restos de
construcciones y escombros del adecentamiento del Parque, seales de
4. P. Meisterman, Nueva Gua de Tierra Santa, Barcelona - Vich, T.F. 1908.
5. A. Couret, Prise de Jrusalem par les Perses (614), Orlans, 1896, 34-39; Eutiquio, P.G.

CXI: 1083 y 1089.


6. F.M. Abel - L.H. Vincent, Jerusalem Nouvelle, Paris 1926, 870-71.

304

A. CABEZN MARTN

trfico y bolsas de basura, colchones, etc., cosa que hacen incluso los
mismos encargados de la limpieza, como he podido comprobar ms
de una vez una de ellas estando dentro sacando las fotografas que
arrojaron cuatro bolsas. Todo esto lo podemos observar en las fotos,
a pesar de haber retirado parte de los escombros para poder hacerlas.
Dentro, al final de las escaleras, hay tambin una cornisa de columna,
igual que la que aparece encima de la segunda cisterna.
2. El segundo complejo lo forman dos cisternas y dos grutas. Una
tercera gruta est empezada, pero sin acabar, todas cavadas en la
roca alrededor de un patio interior (C) de 11 m de largo por 6,50 de
ancho y a una profundidad irregular de 1,80 m a 2,23 m bajo el nivel
circundante. No hemos encontrado comunicacin entre este complejo
con la sala grande. La primera de las cisternas (B) circular, de 5 m de
larga por 3,60 m de ancha y cuya altura no se puede averiguar por la
cantidad de escombros que hay dentro, pero que sera alrededor de
los 3,50 m, tiene dos ventanas que se comunican con la sala A. La de
la derecha, de 1,10 m de alta, por 0,70 m de ancha presenta una vista
semejante a la del coro de una iglesia, y desde all se podan seguir
las ceremonias perfectamente. La ventana de la izquierda, tiene 0,80
m de alta, por 1,30 m de ancha. Los misterios mitraicos, buscaban
liberar al hombre del pecado mediante una especie de bautismo. Con
este fin los mithraeums solan estar junto a un manantial, o provistos de una piscina y en su ausencia de cisternas como sta, donde
se sumergan sus adeptos para la expiacin de los pecados. En este
caso desde la misma cisterna (B) podan asistir a las ceremonias. De
todos modos, a pocos metros al otro lado de la calle, se encuentra
la piscina Mamila, de 90 m de largo, por 60 m de ancho y 6 m de
profundidad, y al noroeste, un manantial a unos 60 ms, que surte
ahora de agua al Parque.
La segunda cisterna (D), tambin de forma circular, tiene 4 m de
larga por 4 m de ancha y la altura, como la anterior, sera de unos
3,50 m al menos, pues la verdadera es imposible saberla por estar
asimismo llena de escombros. Al fondo, enfrente de la entrada, hay
un nicho de 1,60 m de alto por 0,90 m de ancho y 1 m de profundidad. Est completamente revocada y de mitad para abajo con un
revoque ms fino para que no se filtrase el agua, cuyos niveles se
ven perfectamente en las paredes. La entrada, tiene 0,90 m de alto,
con un marco redondo tallado en la piedra. En la bveda, como la
anterior, pero ms grande, hay una claraboya ahora cerrada. A ambos lados de esta cisterna existen dos nichos. El de la derecha tiene

LAS GRUTAS DEL PARQUE DE LA INDEPENDENCIA

305

0,90 m de alto por 0,60 de ancho y 0,40 m de profundidad. El de la


izquierda, es menor de 0,62 m de alto, por 0,47 m de ancho y 12 de
profundidad. Es de suponer que en ambos habra alguna estatua o
indicacin dedicada al dios que adoraban. Encima de la cisterna se
aprecia una cornisa de columna.
Sigue despus la gruta mayor del patio (E), bastante irregular,
con 8,20 m de largo por 8 m de ancho y 2,30 m de alto. La entrada,
donde se nota haber habido una puerta, tiene 2,31 m de alto por 2,85
de ancho. La claraboya, como las anteriores cisternas, en la bveda,
est cerrada. A la izquierda hay un pasadizo de 1,10 m de alto por
1 m de ancho y 2,60 de profundidad, que comunica con el patio exterior (F), de 12,50 m de largo por 9,50 de ancho. En l hay restos
de columnas. A 3 m a la izquierda hay una ventana, que comunica
tambin con el patio, de 1,10 m de alto por 0,50 m de ancho y 0,90
m de profundidad.
A continuacin, sigue la segunda gruta del patio (G), ms pequea, de 6,80 m de largo por 4,20 m de ancho y 2 m de alto. Siguiendo,
a la izquierda existe un entrante (H) empezado a excavar, pero que
no se acab, de 1,85 m de alto por 2,80 m de profundidad y 3 m de
ancho.
Unos 4 m al sur de este complejo se aprecia un rectngulo (I),
cercado por una verja, de 2 m de largo, por 1,60 de ancho, pero que
no tiene comunicacin con ninguna de las grutas, ni con el patio.
Dentro, hay dos rboles.
La Legin X Fretense
La razn que ms nos ha inclinado a creer que se trata de un mitrhraeum es
la presencia de una Legin Romana, La Legio X Fretensis, bastante cerca,
en la colina suroeste de la ciudad, desde la Puerta de Jafa hasta la de Sin,
es decir el barrio de los armenios poco ms o menos.Ya hemos indicado
que eran precisamente los legionarios los ms fervientes seguidores del
dios Mitra. Son muchos los hallazgos que indican la presencia de esta Legin, como trozos de cermica, ladrillos, y tubos en los que se aprecian sellos rectangulares con varias combinaciones del nombre abreviado LEG(io)
FRE(tensis). Ha aparecido tambin un sello circular con la abreviacin:
L. X. F. junto con su insignia (una galera y un jabal).
C.N. Johns, excavando cerca de la Torre de David (1934-47), encontr
una porcin de tubos de agua, de arcilla, al sur de la puerta de Jafa, entre

306

A. CABEZN MARTN

sta y la muralla de la ciudad. La Legin X, es mencionada en algunas


inscripciones del tiempo de los romanos descubiertas en Jerusaln. Una de
las ms conocidas es una hallada al norte de la Ciudadela a finales del s.
XIX. Es una dedicatoria en honor de Marcus Junius Maximus, un legado
de la X Legin, que probablemente data de principios del s. III. Otra inscripcin fragmentaria fue encontrada en una piedra, en la Ciudad Vieja, al
norte de la puerta de Jafa.
Entre la puerta de Damasco y la de Herodes, fue descubierta en 1930
una tumba de piedra, que se refiere a Tiberius Claudius Fatalis, un soldado
de la Legin X, de finales del s. I. Otra inscripcin fragmentaria fue descubierta por J.B. Hennessy (1964-66), frente a la puerta de Damasco. Otra
ms, dndonos la supuesta localizacin de la Legin en la colina del suroeste, fue descubierta a finales del s. XIX en la puerta de Sin. La inscripcin
menciona tambin la III Legin Cirenaica y data del 116-117.
Sin embargo, aunque estuviera extendida sobre toda la colina, sus
principales cuarteles estuvieron localizados en la parte noroeste, cerca de
las tres torres: de Phasael, Hippicus y Mariamme. Estas torres, construidas
por Herodes, fueron abandonadas por Tito cuando el resto de la ciudad fue
destruido7. La Legin fue estacionada all por largo tiempo, probablemente
en los edificios esparcidos por la colina en las ruinas en que hanba estado
la ciudad alta en el perodo del Segundo Templo.Unidades adicionales de
la X Legin fueron estacionadas en otras partes alrededor de Jerusaln, en
Ramat Rahel, sur de la ciudad y en Givat Ram, al oeste. Parece que subsisti hasta finales del s. III, cuando fue trasladada a Eilat, probablemente
en tiempo de Diocleciano y creemos que este sera el fin del culto a Mitra
en esta gruta.
Agripino Cabezn Martn, ofm
Custodia de Tierra Santa, Jerusaln

7. F. Josefo, Guerra VII,1-2.

IL MONTE DEGLI ULIVI


NELLA DEMONSTRATIO EVANGELICA
DI EUSEBIO DI CESAREA

E. Alliata R. Pierri

La Demonstratio Evangelica di Eusebio di Cesarea (265-340) contiene una


singolare testimonianza sul Monte degli Ulivi come luogo santo cristiano
che si pu sintetizzare in questa frase: (Il monte degli ulivi) fu stabilito
da Dio in luogo della vecchia e terrena Gerusalemme e del suo culto, dopo
la distruzione di Gerusalemme (Dem. Evang. VI,18,20). Un po insolitamente il Monte degli Ulivi viene qui presentato quasi come il luogo santo
cristiano per eccellenza, in opposizione a ci che era il Tempio per gli
antichi Ebrei. Lopposizione appare non solamente di natura retorica, ma
sostanziata da un comportamento nuovo: Certo possibile vedere che
ci si compiuto alla lettera, dato che ancora oggi tutti coloro che hanno
creduto in Cristo vi concorrono da tutte le parti della terra. Il fatto
legato a un luogo concreto in particolare, cio a una grotta: che proprio
l vi mostrata dove stettero i piedi del Signore e salvatore nostro, e
dove dopo aver pregato, consegna ai suoi discepoli, sulla cima del monte
degli ulivi, i misteri della fine (del mondo), compiendo da l lascensione
al cielo (Dem. Evang. VI,18,23).
Nellambito dello sviluppo del pensiero eusebiano la primaria importanza data a questo luogo ci riporta necessariamente a prima della
riscoperta e della restaurazione del culto cristiano nel luogo del Golgota
o Sepolcro (335 d.C.). noto che prima di Costantino non sono molti
i luoghi santi evangelici a godere di qualche attestazione sia per quanto
riguarda il significato spirituale sia soprattutto in relazione alla presenza
di segni concreti (azioni, oggetti o edifici) ai quali si fissa il ricordo religioso. A partire dal quarto secolo invece si verifica uno sviluppo immediato e crescente del fenomeno indicato dallespressione luoghi santi.
Non solo assistiamo al moltiplicarsi dei pellegrini provenienti da paesi
lontani ma pi ancora ad una evoluzione teologica e liturgica del tutto
integrata nellambiente ecclesiastico locale. La Demonstratio Evangelica,
con la sua evidente ignoranza delle novit introdotte dalle iniziative
imperiali nel campo delle costruzioni ecclesiastiche sui luoghi santi, costituisce un perfetto testimone della situazione anteriore allepoca pre- o
proto-costantiniana.
LA 52 (2002) 307-320

308

E. ALLIATA R. PIERRI

Eusebio di Cesarea appare tra i primi ad affrontare esplicitamente il


tema dei Luoghi Santi, della loro autenticit e della loro funzione. In parte
lo fa attraverso la sua opera di storico, raccogliendo documenti recuperati
principalmente nelle biblioteche ecclesiastiche di Cesarea e di Gerusalemme. Ci si riferisce qui naturalmente alla Storia Ecclesiastica, lopera per
la quale Eusebio va giustamente pi famoso. Qualche accenno appare attraverso lanalisi delle sante scritture e principalmente nellinterpretazione in
senso cristologico delle profezie come prova dellautenticit del messaggio
cristiano. Come oratore si interessa particolarmente di quei luoghi che per
interesse dellimperatore furono edificati tra i primi (Betlemme, Ascensione
e Risurrezione). In maniera pi sistematica i luoghi santi sono presentati
nellOnomasticon che la raccolta dei principali nomi biblici con la loro
ambientazione nel testo e nella geografia contemporanea del paese.
Nella Demonstratio Evangelica Eusebio intende: presentare la prova
(dellautenticit) del Vangelo, a partire dalle profezie esistenti dallantichit
presso gli Ebrei. Mi propongo di usare come testimoni questi uomini, amici
di Dio Mos e i suoi successori i profeti benedetti e i sacri scrittori. Mi
propongo di mostrare, usando le loro stesse parole, come essi presagirono
fatti avvenuti molto dopo i loro tempi, le circostanze in cui il Salvatore ha
presentato il Vangelo e le cose che vengono compiute dallo Spirito Santo
sotto i nostri occhi. in questa ottica che dobbiamo leggere tutto il passo
eusebiano sul monte degli ulivi, a partire dalla citazione del profeta Zaccaria
(14,1-10a), fino ai numerosi richiami ad eventi compiutisi durante la vita ed
in particolare la passione di Ges e alle indicazioni relative alla situazione
presente. Per Eusebio i tre momenti non sono fra loro staccati ma piuttosto
fanno parte di un unico piano divino che governa la storia umana.
Nella medesima opera eusebiana sono contenuti pochi, sparsi riferimenti ad altri luoghi santi. Della grotta di Betlemme si parla pi di una
volta, precisando che fino ad oggi, gli abitanti del luogo, attestano questo
fatto, come di una tradizione ricevuta dai loro padri, a coloro che si recano
a Betlemme per ricercare, confermando la verit mediante lindicazione
della grotta in cui la Vergine dopo aver partorito depose il bambino (Dem.
Evang. VII,2,15; cf. III,2,47). Del luogo del Battesimo di Ges si dice:
poich non pi in Gerusalemme si rifugiano coloro che hanno bisogno di
medicina per la loro anima, ma a quello che si chiama il deserto, a causa della remissione dei peccati ivi annunziata; e credo che sia questo un
riferimento alla presenza del nostro salvatore in occasione del battesimo
(Dem. Evang. IX,6,6). Gerusalemme, e il monte Sion, chiamato il luogo
dove il nostro Signore e salvatore visse e insegn per la maggior parte e
da dove la legge della nuova alleanza incominci e da dove usc a brillare

IL MONTE DEGLI OLIVI NELLA DEMONSTRATIO EVANGELICA

309

su tutti, secondo il comando che egli diede ai suoi discepoli: Andate e fate
discepoli di tutte le nazioni (Dem. Evang. I,4,8). Il riferimento alle parole
dellUltima Cena e a quelle pronunciate nelle apparizioni dopo la risurrezione aiuta ad identificare nel Sion cristiano lespressione apparentemente
generica di Gerusalemme e il monte Sion. In tutti questi casi si tratta
notoriamente di memorie precostantiniane.
Del medesimo autore si possono ricordare le testimonianze contenute
nellOnomasticon sugli stessi luoghi, cio su Bethabara presso il Giordano (58,18-20): dove era Giovanni a battezzare. E si mostra il luogo nel
quale fino ad oggi molti fratelli scelgono di ricevere il lavacro, Betlemme
(82,10-11) e il Sion (162,12). Notevole analogia con i testi della Demonstratio si evidenzia inoltre in questo testo sul Getsemani, un luogo che per
di pi si trova in prossimit del Monte degli Olivi dove, si precisa, fino
adesso i fedeli accorrono a fare preghiere (Onomasticon 74).
Ma lasciamo parlare ora Eusebio con le sue stesse parole. Il testo che
segue contiene tutto il capitolo diciottesimo del libro sesto della Demonstratio evangelica, offerto ora per la prima volta in traduzione italiana.
***
Per seguire meglio lo sviluppo dellargomentazione di Eusebio dividiamo il
testo in parti seguendo lo schema indicato dallautore medesimo nel primo
dei paragrafi conclusivi [52]:
Dal Profeta Zaccaria (Zc 14,1-10a) [VI,18,1-3]
La Parusia del Signore [VI,18,4-26]
Distruzione di Gerusalemme [9-19]
Il monte degli ulivi, di fronte a Gerusalemme [20-26]
Il terremoto al tempo del re Ozia e la spaccatura della montagna
(2Cr 26; 2Re 15,1-6) [VI,18,27-42]
La testimonianza di Giuseppe Flavio (Ant. Jud. 9,11) [36-37]
La testimonianza del profeta Amos (Am 1,1) [38-42]
Il Simbolo e la realt [VI,18,43-51]
Luce e tenebre [43-47]
Lacqua viva [8-50]
Il dominio universale di Cristo [51]
Conclusione [52-53]

310

E. ALLIATA R. PIERRI

DEMONSTRATIO EVANGELICA VI,18,1-53 *


Dal profeta Zaccaria (Zc 14,1-10a)
[1] Dal medesimo (profeta Zaccaria). 1Ecco, verranno giorni del Signore e saranno spartite le tue spoglie in te; 2raduner tutte le genti contro
Gerusalemme per la guerra e sar presa la citt e saranno spogliate le case
e le donne violentate, e se ne andr la met della citt in prigionia. Ma i
superstiti (= il resto) del mio popolo non saranno certo distrutti. 3Uscir il
Signore e combatter contro quelle genti, come quando si schiera a battaglia in un giorno di guerra. 4Staranno i suoi piedi, in quel giorno, sul monte
degli ulivi, che di fronte a Gerusalemme ad oriente. Si fender il monte
degli ulivi: una sua met verso oriente e laltra sua met verso (il) mare.
(Ci sar) una grandissima voragine. Sincliner una met del monte verso
il nord e laltra sua met verso il sud.
[2] 5Sar sbarrata la valle dei miei monti, e si congiunger la gola dei
monti fino ad Asael: sar sbarrata come fu sbarrata dal terremoto nei giorni
di Ozia, re di Giuda. Ci sar il Signore Dio mio e con lui tutti i santi. 6E avverr in quei giorni che non ci sar luce ma freddo e gelo 7per un giorno.
[3] Quel giorno () conosciuto dal Signore: non (sar) giorno e neppure notte, ci sar luce a sera. 8E avverr in quel giorno che fluir unacqua
vivente da Gerusalemme: la met di essa nel primo mare, la met di essa
nel mare estremo. In estate e in primavera sar cos. 9Il Signore sar re su
tutta la terra, in quel giorno. Ci sar un unico Signore, il suo nome (sar)
unico 10e avvolger tutta la terra e il deserto (Zc 14,1-10a).
La Parusia del Signore
[4] Dopo il primo assedio di Gerusalemme, la sua completa distruzione,
la devastazione da parte dei Babilonesi e dopo il ritorno dalla terra nemica
alla propria, che avvenne al tempo di Ciro, re dei Persiani, poco prima che
Gerusalemme fosse restaurata, il santuario e laltare presso di esso fossero
rinnovati al tempo di Dario il Persiano, il profeta, che era presente, fa una
profezia indicando il posteriore secondo assedio di Gerusalemme, che (le)
* La traduzione stata condotta sul testo della seguente edizione: Demonstratio evangelica,

ed. I.A. Heikel, Eusebius Werke, Band 6: Die Demonstratio evangelica [Die griechischen
christlichen Schriftsteller 23. Leipzig: Hinrichs, 1913]: 1-492.

IL MONTE DEGLI OLIVI NELLA DEMONSTRATIO EVANGELICA

311

fu inferto dai Romani non in un altro tempo se non dopo le azioni osate
dai suoi abitanti contro il Salvatore nostro, Ges Cristo.
[5] In maniera evidentissima perci anche in questa profezia sono simboleggiate la parusia del Signore nostro, il Verbo di Dio, e le conseguenze
(rovinose) su di essa (= Gerusalemme). Queste cose, poi, avvennero nello
stesso luogo dei fatti relativi alloccasione della sua passione: e lassedio
che segu immediatamente ai danni del popolo degli Ebrei e la presa di
Gerusalemme e, oltre a ci, la chiamata dei popoli e la conoscenza delluno
e unico Dio presso ogni stirpe di uomini.
[6] Senza dubbio il profeta ispirato, con grande turbamento, come se facesse un lamento su consanguinei (provenienti) dalla circoncisione, ha fatto
dellesclamazione contro di loro linizio della profezia. Parla di giorni del
Signore (v.1) come in altri luoghi anche qui, indicando cos il tempo della parusia di Cristo agli uomini; mostrando chiaramente come, dunque, il
Signore stesso, quale appunto luce vera (Gv 1,9), allora diventer autore
dei propri giorni e risplender sulla terra a tutti gli uomini, quando tutti i
popoli avranno accolto lui e i raggi della sua luce, quando tutti e popoli saranno illuminati secondo il detto: Ti ho posto come luce delle genti, come
patto della stirpe (Is 49,6), e il popolo dei Giudei, a causa dellincredulit
verso di lui, cadr negli estremi pericoli.
[7] Tale il senso del detto: Ecco, verranno giorni del Signore e saranno spartite le tue spoglie in te; raduner tutte le genti contro Gerusalemme
per la guerra e sar presa la citt, le case saranno spogliate, le donne violentate e se ne andr la met della citt in prigionia (vv.1-2).
[8] Poi, dopo lassedio contro Gerusalemme e la successiva prigionia
del popolo dei Giudei, aggiunge di seguito per tutti buone notizie profetando: E il Signore sar re su tutta la terra (v.9), e ancora: Ci sar un unico
Signore, il suo nome (sar) unico avvolgendo tutta la terra e il deserto
(v.10).
Distruzione di Gerusalemme
[9] Tuttavia, siccome la profezia ha dichiarato che il popolo dei Giudei
avrebbe sofferto tali cose, nei giorni del Signore, chi non ne ammirerebbe il compimento? Non appena (che) Ges, Salvatore e Signore nostro,
giunse, quelli (provenienti) dalla circoncisione cominciarono a commettere
empiet contro di lui, e tutte le cose preannunciate a loro copiosamente,
dopo cinquantanni dalla predizione, giungevano a compimento: da Pilato
stesso fino allassedio sotto il regno di Nerone, di Tito e di Vespasiano, non

312

E. ALLIATA R. PIERRI

mancando a loro una dopo laltra ogni genere di sciagura, come possibile
ricavare dalla storia scritta da Giuseppe Flavio.
[10] Allora, dunque, () verosimile che la met della citt (v.2) sia
perita per lassedio, come dice la profezia. Dopo non molto, al tempo dellimperatore Adriano, verificatasi di nuovo una sollevazione dei Giudei,
la restante met parte della citt, dopo essere stata assediata, di nuovo
esiliata, tanto che da allora fino ad oggi quel luogo diventato del tutto
inaccessibile a loro.
[11] Se, poi, qualcuno dicesse che questi avvenimenti si sono compiuti
al tempo di Antioco Epifane, rifletta se in grado di spiegare anche gli
eventi futuri della profezia durante il tempo di Antioco. E possibile che
il popolo abbia subito la prigionia e che i piedi del Signore siano stati sul
monte degli ulivi anche se (il) Signore divenuto re su tutta la terra in
quel giorno (v.9), anche se il nome del Signore circond la terra intera
e il deserto (v.10), quando Antioco governava sulla Siria. E in che modo si
(potr) esporre quale esito ebbero le restanti cose della predizione, mentre
Antioco regnava?
[12] Secondo noi i fatti stanno cos, e sono stati espressi con riguardo
alla lettera e secondo un altro senso. In effetti, dopo la parusia del Salvatore
nostro Ges Cristo, la loro citt, Gerusalemme appunto, e tutto il sistema e
la pratica del culto secondo la legge di Mos, venivano / furono eliminati.
Nello stesso tempo hanno patito la prigionia mentale, oltre quella corporale,
perch non accettarono il Salvatore e Redentore delle anime degli uomini,
che era venuto ad annunciare la liberazione a coloro che si trovavano
imprigionati da demoni cattivi, e ai ciechi di mente, il recupero della
vista (Lc 4,18; Is 61,1).
[13] Mentre quelli hanno sofferto queste cose per la loro incredulit, i
discepoli, gli apostoli e gli evangelisti che hanno riconosciuto il loro redentore e sono diventati suoi familiari e moltissimi altri di coloro che hanno
creduto dalla circoncisione in lui, riguardo ai quali dice lApostolo: Cos
ancora ora esiste un resto secondo lelezione della grazia (Rm 11,5),
[14] ed ancora: Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato una
discendenza, saremmo diventati come Sodoma e saremmo diventati simili
a Gomorra (Rm 9,29): furono custoditi immuni dallassedio che noi (abbiamo riferito) al senso, non solo, ma anche da quello riferito alla lettera.
In ogni caso gli apostoli e i discepoli del nostro Salvatore, e tutti i credenti
in lui provenienti dai Giudei, trovandosi allora lontani dalla Giudea e disseminati tra i restanti popoli, poterono scampare la distruzione ai danni
degli abitanti della citt.
[15] Ci la profezia (lo) vaticin in anticipo per mezzo delle parole che

IL MONTE DEGLI OLIVI NELLA DEMONSTRATIO EVANGELICA

313

disse: Ma gli scampati del mio popolo certamente non saranno sterminati
(v.2), a cui di seguito aggiunge: Uscir il Signore e combatter contro quelle
genti, come quando si schiera a battaglia in un giorno di guerra (v.3).
[16] Contro quali genti il Signore si schierer o contro quali assedianti
di Gerusalemme? La parola mostra che il Signore stesso sar alleato degli
assedianti, stando tra loro e schierandosi con loro come un generale e loro
protettore contro i combattenti di Gerusalemme.
[17] La parola, in effetti, non dice che il Signore si schierer contro i
popoli. A favore di chi, dunque, e contro chi, se non contro Gerusalemme
e i suoi abitanti riguardo ai quali si riferiva la parola? E, poi, il detto: Staranno i suoi piedi, in quel giorno, sul monte degli ulivi, che di fronte a
Gerusalemme, ad oriente (v.4) cosaltro mostra del Signore Dio, anzi del
Dio Verbo stesso, se non la stabilit e la perpetuit sulla sua chiesa, che ora
chiama monte degli ulivi secondo la maniera dellallegoria?
[18] Come infatti lamato ebbe un vigneto (Is 5,1), e la casa dIsraele era allegoricamente un vigneto del Signore degli eserciti e la vite
di Giuda era un virgulto amato (Is 5,7), cos, da dal medesimo punto di
vista, si potrebbe dire che certamente anche il padrone ebbe un uliveto1,
la sua chiesa (proveniente) dalle genti, che un tempo, quandera un olivo selvatico trapiant innestandolo sulle radici apostoliche dellolivo
coltivato, dopo il taglio dei rami precedenti, come, dunque, lApostolo
insegna (Rm 11,17). Invero il Signore lha trapiantata per s, quasi dicendo
per mezzo della profezia: Il Signore ti diede il nome di olivo grazioso,
ombroso (Ger 11,16).
[19] Dal momento che il primo vigneto, pur dovendo produrre uva,
produsse rovi e non giustizia ma clamore, a buon diritto, perch era
infruttuoso, Dio distruggendo il suo steccato e il suo muro, e consegnandolo ai nemici in bottino e come roba da calpestare, secondo la
profezia di Isaia (Is 5,2-7), si costitu un altro campo che ora chiamato
uliveto2, perch ha conseguito la misericordia di Dio e fu trapiantato da
1. LApocalisse di Pietro (II sec. d.C.), evidentemente tributaria di un contesto cronologico,

religioso e culturale differente, sviluppa (sempre nel contesto dellinsegnamento particolare di Cristo ai discepoli sul Monte degli Olivi) il tema del rigetto-pentimento dIsraele
sfruttando piuttosto la parabola evangelica del fico (Lc 13 6-9) che il Signore spera possa
germogliare ancora (M. Erbetta, Gli Apocrifi del Nuovo Testamento. III: Lettere e Apocalissi,
Casale Monferrato 1969, 214 e 219).
2. Il nome di Elaiwna, uliveto, appare semplicememte il corrispettivo di oro twn
elaiwn e corrisponde esattamente a quello di Eleona di egeriana memoria (E. Bermejo Cabrera, La proclamacin de la Escritura en la liturgia de Jerusaln. Estudio terminologico
del Itinerarium Egeriae, Jerusalem, 1993, 362-364).

314

E. ALLIATA R. PIERRI

Cristo con piante sempre verdi, ossia con anime sante capaci di nutrire di
luce e in grado di dire: Ed io come olivo ricco di frutti nella casa di Dio
(Sal 51,10).
Il Monte degli Ulivi, di fronte a Gerusalemme
[20] E stato detto poi che questo il monte degli ulivi di fronte a
Gerusalemme, perch invero fu stabilito da Dio in luogo della vecchia e
terrena Gerusalemme e del suo culto, dopo la distruzione di Gerusalemme.
La parola, avendo detto in precedenza, riguardo a Gerusalemme, che: Sar
presa la citt (v.2), e genti ostili e nemiche si raduneranno contro di essa
e saranno spartite le tue spoglie, a ragione non dice che i piedi (v.4)
del Signore si poseranno su Gerusalemme.
[21] Infatti, come sarebbe stato possibile una volta che era stata distrutta? Ma, visto che (i piedi) son passati da lei sul monte di fronte a Gerusalemme, chiamato degli ulivi, insegna che si poseranno l. Anche il profeta
Ezechiele contempla ci anticipando(lo) grazie allo Spirito di Dio.
[22] Dunque dice: E si levarono i cherubini e le ruote con loro. La
gloria del Dio dIsraele era su di loro, al di sopra di loro. Si sollev la
gloria di Dio di mezzo alla citt e si pose sul monte che era di fronte alla
citt (Ez 11,22-23).
[23] Certo possibile vedere che ci si compiuto alla lettera, dato che
ancora oggi tutti coloro che hanno creduto in Cristo vi concorrono da tutte
le parti della terra, non come un tempo per la festa solenne di Gerusalemme
/ per lo splendore di Gerusalemme, n per ladorazione nel santuario che un
tempo vi sorgeva, ma per sostarvi e a causa della narrazione della presa e
della desolazione di Gerusalemme, secondo la profezia, e delladorazione
sul monte degli ulivi che di fronte a Gerusalemme (v.4), dove la gloria
del Signore si trasfer dopo aver abbandonato la precedente citt.
Davvero, e secondo la ben nota narrazione, i piedi del Signore e salvatore nostro, cio del Dio Verbo stesso, per mezzo della tenda umana che
ha assunto, stettero sul monte degli ulivi presso la grotta che proprio l vi
mostrata. Dopo aver pregato, consegna ai suoi discepoli, sulla cima del
monte degli ulivi, i misteri della fine (del mondo), compiendo da l lascensione al cielo, come Luca insegna negli Atti degli Apostoli, dicendo che
proprio sul monte degli ulivi, mentre stavano con lui gli apostoli, mentre
essi lo guardavano, fu elevato e una nube lo sottrasse ai loro occhi;
[24] e, mentre egli se nandava, dal momento che fissavano il cielo,
ecco, due uomini in bianche vesti si trovarono vicini a loro e dissero: Ga-

IL MONTE DEGLI OLIVI NELLA DEMONSTRATIO EVANGELICA

315

lilei, perch state guardando in cielo? Questo Ges, assunto tra voi in cielo,
verr cos come lo avete visto andare in cielo (At 1,9-11),
[25] a cui aggiunge: Allora tornarono a Gerusalemme dal monte detto
degli ulivi, che di fronte a Gerusalemme (At 9,12).
[26] Si dimostrato, dunque, stando alla lettera, che il monte degli ulivi
si trova di fronte a Gerusalemme e ad oriente di essa. Tuttavia, secondo il senso, la santa chiesa di Cristo e il monte sul quale fondata, del
quale il Salvatore insegna dicendo: Non pu rimanere nascosta una citt
posta sopra un monte (Mt 5,14) invece della Gerusalemme caduta e non
rialzata, risorta e resa degna dei piedi del Signore: essa non soltanto si
trova di fronte a Gerusalemme, ma anche ad oriente di essa,3 dopo aver
che ricevuto i raggi della luce del (vero) culto del Signore, essere esistita
molto prima della precedente Gerusalemme ed essersi avvicinata al sole
stesso delle giustizia del quale stato detto: Un sole di giustizia sorger
per quelli che mi temono (Ml 3,20).
Il terremoto al tempo del re Ozia e la spaccatura della montagna
(2Re 15,1-6; 2Cr 26)
[27] Se dice di seguito: Si fender il monte degli ulivi: una sua met
verso oriente e il mare. (Ci sar) una grandissima voragine. Sincliner
una met del monte verso il nord e laltra sua met verso il sud (v.4), pu
indicare lespansione della chiesa nellintera terra abitata dagli uomini,
dato che ha riempito e le terre orientali e le popolazioni stesse dellaurora
e delloriente, e si estende anche sul mare occidentale e sulle isole che vi
si trovano, e non di meno ha raggiunto il vento del sud e il meridione, il
vento del nord e il settentrione.
[28] Infatti in ogni modo e in ogni luogo si trova piantato luliveto del
Signore che indicato figuratamente, la sua chiesa. Secondo il senso, poi,
gli scismi che sono avvenuti e tuttora avvengono nella chiesa di Cristo,
possono alludere e alle eresie e alle cadute morali nel corso della vita una
volta lacerata. (Il profeta) dice infatti che il monte sar diviso una sua
met verso loriente e una sua met verso il mare. (Ci sar) una grandissima
voragine. Sincliner una met del monte verso il nord e laltra sua met
3. Nel commento allo stesso passo di Zc 14 di Didimo il Cieco si d ugualmente grande

importanza allaffermazione che il Monte degli Ulivi si trova verso oriente, termine con
evidenti caratteristiche messianiche (Commentarii in Zacchariam, V,49 dove cita Zc 6,12
LXX: Ecco un uomo di nome Oriente - si ha Germoglio nel testo masoretico).

316

E. ALLIATA R. PIERRI

verso il sud (v.4). Cosicch si divider in quattro parti, due pi imponenti


e grandi, due opposte.
[29] E bada che, per mezzo di queste parole, lespressione verso oriente e verso sud non indichi due categorie di coloro che sono progrediti
secondo Dio: una di coloro che si perfezionano nella conoscenza, nella parola e negli altri doni del divino Spirito, laltra, di coloro che si comportano
bene nel corso della vita, impegnandosi in particolare nelle scelte.
[30] Le restanti due parti sarebbero distinte dalle precedenti, luna in
direzione del mare, laltra verso nord, in quanto entrambe sono segno del
male: Dal versante nord dice infatti divamper la sventura contro tutti
gli abitanti della terra (Ger 1,14). E si dice che il dragone passi il tempo
in mare.
[31] Cosicch a buon diritto anche qui sono indicati ancora due atteggiamenti di coloro che si allontanano dalla chiesa: quello di chi pecca
moralmente e quello di chi sfugge alla sana e retta conoscenza, come sono
queste parti separate alluse dalla profezia, del monte che indicato (come)
monte delluliveto.
[32] A queste cose di seguito si aggiunge: Sar sbarrata la valle dei
miei monti, e si congiunger la gola dei monti fino ad Asael: sar sbarrata
come fu sbarrata dal terremoto nei tempi di Ozia, re di Giuda (v.5). Quale
valle dei monti di Dio potrebbe essere indicata in queste parole, se non
il culto divino materiale e giudaico un tempo celebrato a Gerusalemme
secondo la legge di Mos? La presente parola predice che sar rinchiuso
come ostruito quando afferma: Sar sbarrata la valle dei miei monti, e si
congiunger la gola dei monti fino ad Asael: sar sbarrata.
[33] In luogo di ci Simmaco ha tradotto: E sar sbarrata la gola dei
miei monti e ancora si accoster una sponda della gola alla parte opposta
e sar sbarrata, per cui mostra perch la gola sbarrata. Cosera questo se
non che essa (= la sponda) si avvicin e approssim alla parte antistante?
Questo era il monte del Signore nominato in precedenza degli ulivi, che
nei Settanta chiamato Asael.
[34] Ci mostra, secondo lidioma ebraico, opera di Dio. Cos dice
che lantica gola, approssimandosi al monte e alla chiesa di Cristo e allopera di Dio, sar sbarrata e rinchiusa come fu sbarrata dal terremoto
nei giorni di Ozia, re di Giuda.
[35] Cercando da me e percorrendo le divine scritture (per vedere) se
una volta nei giorni di Ozia la gola che qui si indica fu sbarrata dal
terremoto, nei racconti dei Re non riuscii a trovare nulla: n vi stato
registrato un terremoto avvenuto realmente, secondo lui, n qualcosa del
genere detto circa una gola.

IL MONTE DEGLI OLIVI NELLA DEMONSTRATIO EVANGELICA

317

La testimonianza di Giuseppe Flavio (Ant. Jud. 9,11)


[36] Si narra che Ozia allinizio fosse giusto, ma poi si screditato
perch si mont la testa ed os sacrificare a Dio da s, e che perci gli
fior la lebbra sul volto. Il libro dei Re riporta queste notizie (2Cr 26; 2Re
15,1-6)4. Fa attenzione, per, a come Giuseppe (Flavio), in quanto ebreo
proveniente da ebrei, riportando pi dettagliatamente le tradizioni giudaiche non inclusevi, narra lo svolgimento dei fatti ai tempi del re, dicendo
dunque che, dopo lesortazione dei sacerdoti a Ozia ad uscire dal tempio e
a non trasgredire la legge nei confronti di Dio, (il re), adiratosi, li minacci
di morte se non fossero rimasti tranquilli.
[37] Frattanto un terremoto sconvolse la terra e, crepatosi il tempio,
un fulgore luminoso risplendette e cadde sul volto del re, sicch la lebbra
immediatamente vi si diffuse. Prima della citt presso il luogo chiamato
Erg, la met del monte verso occidente si separ e rotol quattro stadi
per fermarsi sul monte orientale, di modo che furono sbarrate le vie e i
giardini reali (Ant. Jud., 9,11).
La testimonianza del profeta Amos
[38] Queste notizie da me prese dallopera Antichit Giudaiche di
Giuseppe, teniamole da parte. Anche nel profeta Amos, poi, ho trovato
allinizio della sua profezia che incominci a profetare nei giorni di Ozia,
re di Giuda, due anni prima del terremoto (Am 1,1). Ma non aggiunge pi
in modo chiaro di quale terremoto si tratta.
[39] Credo per che il medesimo profeta procedendo descriva il terremoto quando dice: Vidi che il Signore stava sullaltare e disse: Scaglia
colpi sullaltare e saranno scossi gli atri (del tempio). Taglia in due le teste
di tutti, uccider con la spada i suoi superstiti (Am 9,1).
[40] Per mezzo di queste indicazioni ritengo che venga vaticinato il
terremoto, leliminazione della nazione degli antichi Giudei e del culto celebrato da loro in Gerusalemme e la distruzione che li incalzer insieme alla
parusia di nostro Signore, quando, dopo aver essi rifiutato il Cristo di Dio,
il vero sommo sacerdote, la lebbra eromper sulle anime, proprio come sul
volto di Ozia, quando, con uninvisibile forza, il Signore stesso, stando sul
loro altare, diede il potere a colui che doveva colpire, proclamando: Scaglia colpi sullaltare (9,1).
4. Lepisodio del sacrificio si trova in 2Cr e non in 2Re.

318

E. ALLIATA R. PIERRI

[41] In effetti con forza mostrava ci dicendo: La vostra casa vi lasciata deserta (Mt 23,38 // Lc 13,35). Proprio nel momento della sua passione
il velo del tempio si lacer dallalto in basso, come appunto Giuseppe
(Flavio) racconta che avvenne ai tempi di Ozia. Poi, dapprima furono
scossi i vestiboli (del tempio), quando la terra fu scossa in coincidenza
con la sua passione; ma non molto tempo dopo sub anche lestrema rovina
e, colui che colpisce ricevuto il potere, spezz le teste di tutti.
[42] Stando agli avvenimenti di quel tempo, anche la valle dei monti di Dio fu sbarrata, proprio come avvenne ai tempi di Ozia secondo
testo e lettera, durante lassedio dei Romani, quando penso alcune cose
del genere siano avvenute ma secondo il senso, quando il culto materiale
e piuttosto modesto della legge di Mos fu interrotto per non essere pi
ripreso a causa del terremoto che sopraggiunse alla nazione dei Giudei,
secondo la sua (Amos) profezia alla nazione dei Giudei, e a causa delle
restanti cose narrate.
Il simbolo e la realt
Luce e tenebre
Dopo questi avvenimenti, la parola, riprendendo il tema della parusia
del Signore, annuncia pi apertamente dicendo: Verr il Signore mio Dio
e tutti i suoi santi con lui (v.5),
[43] chiamando santi di lui sia i suoi apostoli e discepoli, sia delle
potenze invisibili e degli spiriti del culto, riguardo ai quali detto: Vennero gli angeli e incominciarono a servirlo (Mt 4,11). Poi al tempo della
parusia del Signore: Ci sar dice - un giorno in cui non ci sar luce, ma
ci sar freddo e ghiaccio per un giorno (vv.6-7).
[44] Invece Simmaco interpret: In quel giorno non ci sar luce, ma
freddo e ghiaccio ci sar per un giorno che conosciuto dal Signore, non
giorno n notte, e ci sar luce a sera. E osserva se non mostra per mezzo
di queste cose in maniera evidentissima il giorno della passione del nostro
Salvatore: nel giorno in cui si compiva il detto non ci sar luce, quando,
dallora sesta ci fu tenebra su tutta la terra fino allora nona, invece il
detto ma freddo e ghiaccio, quando, secondo Luca (Lc 22,54-55), preso
Ges lo condussero nella casa del sommo sacerdote e Pietro seguiva da
lontano.
[45] Dopo che ebbero acceso il fuoco in mezzo al cortile, si sedette,
secondo Marco (Mc 24,66), con gli altri, per riscaldarsi. Giovanni ricord

IL MONTE DEGLI OLIVI NELLA DEMONSTRATIO EVANGELICA

319

palesemente il freddo dicendo: Stavano i servi e gli aiutanti a ravvivare i


tizzoni, perch faceva freddo e si riscaldavano (Gv 18,18).
[46] Questo giorno, dice (v.7), era noto al Signore, e non era giorno
e non era notte: non giorno, per ci che stato detto prima, non ci sar
luce, cosa che si compiva quando dallora sesta ci fu tenebra su tutta la
terra; ma neppure notte, per ci che segue, ci sar luce a sera, quello che
appunto si adempiva, quando, dopo lora nona, di nuovo il giorno riprendeva la luce consueta.
[47] Ma anche secondo il senso queste cose si compivano del tutto
contro la nazione dei Giudei, dopo latto malvagio contro Cristo, quando si fece tenebra, ghiaccio e freddo, quando si ottenebr la loro mente,
perch non risplendesse il lume del Vangelo (2Cor 4,4) nei loro cuori, e
si raffredd lamore verso Dio; invece, a sera, sorta la luce della conoscenza di Cristo, sicch coloro che una volta sedevano nella tenebra e
nellombra di morte (Lc 1,79), videro una grande luce, secondo quanto
proclama Isaia (9,1).
Lacqua viva
[48] Proprio in questo dato giorno del Signore uscir dice acqua
viva da Gerusalemme (v.8). Questa era la bevanda spirituale, gradevole,
vitale e salutare dellinsegnamento di Cristo, della quale anche lui nel Vangelo secondo Giovanni (Gv 4,10) insegnando alla Samaritana diceva: Se
sapessi chi colui che ti sta dicendo Dammi da bere, tu gliene chiederesti, ed egli ti darebbe acqua viva. Dunque, precisamente questa bevanda
salutare usc da Gerusalemme stessa.
[49] Da qui ebbe origine il suo Vangelo e i suoi annunciatori riempirono tutta la terra abitata, cosa che appunto mostrata per mezzo delle
parole verso il primo mare e verso lultimo mare (v.8) fluir lacqua
viva. Tramite queste indicazioni sono mostrate le estremit di tutta quanta
la terra, quelle verso loceano orientale, chiamate primo mare, e quelle
verso il tramonto del sole, che sono designate per mezzo di ultimo mare,
che certo lacqua vivente del Salvatore e dellinsegnamento evangelico
ha riempito, e della quale continuava ad insegnare dicendo: Chiunque
beva lacqua che io gli dar, non avr sete in eterno (Gv 14,13) e dice di
nuovo: Scorreranno dal suo seno fiumi dacqua viva che zampilla verso
la vita eterna (Gv 7,38),
[50] e ancora: Se uno ha sete, venga a me e beva (Gv 7,37). Dopo
essere sgorgato un ruscello salutare e spirituale da Gerusalemme su ogni

320

E. ALLIATA R. PIERRI

stirpe di uomini, che si mostra pi chiaramente in un altro luogo mediante


le parole: da Sion infatti uscir una legge e una parola del Signore da
Gerusalemme e giudicher tra le nazioni (Is 2,3), il Signore dice diventer re (v.9).
Il dominio universale di Cristo
[51] Non lo sar per in Gerusalemme n sulla nazione dei Giudei ma
su tutta la terra in quel giorno e sar il Signore unico e il suo nome
unico, quando avr avvolto tutta la terra (vv.9-10). Cose che appunto concordano con quelle offerte dai Salmi per mezzo dei quali si diceva: Regn
Dio sulle nazioni (Sal 46,9) e ancora Dite tra le nazioni: Il Signore regn (Sal 95,10). E profetato che tutte queste cose insieme ci saranno nei
giorni del Signore.
Conclusione
[52] In principio dellintera profezia dice: Ecco, verranno i giorni del
Signore e ci saranno queste cose. Quali appunto se non lassedio di Gerusalemme e il passaggio del Signore sul monte degli ulivi e il riferimento al
sar presente il Signore; se non gli avvenimenti circa il giorno della sua
passione, e lacqua viva che scorsa su tutta la terra abitata e, soprattutto,
il regno del Signore, in quanto domina su tutte le nazioni, e il suo nome
unico, perch riempie tutta la terra, cose che, quale compimento abbiano
avuto, abbiamo spiegato sinteticamente?
[53] E noto, poi, anche come dalla denominazione di Cristo Dio il
nome dei cristiani riemp tutta la terra abitata, cosa che appunto indica la
parola che dichiara: E il suo nome unico, avvolgendo tutta la terra e il
deserto. E a te, durante lo studio, sar possibile, osservando a fondo ciascun passo, osservare ampiamente le cose considerate.
Eugenio Alliata, ofm Rosario Pierri, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem

THE MARTYRS OF CAESAREA: THE URBAN CONTEXT

J. Patrich

The archaeological excavations conducted in Caesarea over the last 30


years enable us to conceive better the Acts of the Martyrs of Caesarea in
the urban context, and to examine several issues pertaining to the urban
topography. Much of the new material so far has been published only in
preliminary reports;1 several of the large urban complexes were excavated
by more than a single expedition, and the interpretation and chronology of
some structures are therefore debated issues. But in spite of these difficulties, pertaining to the availability and interpretation of the archaeological
data, there is room for the examination of the topographical details incorporated in these Acts in light of the new archaeological finds, even if not
all may share my conclusions.
The Acts of the Martyrs of Caesarea are given by Eusebius, the future
bishop of the city, in the Ecclesiastical History (=HE) and in much more
detail in the Martyrs of Palestine (=MP),2 recording the persecution in his
1. For an updated archaeological survey of the Late Roman/Byzantine city, with further

references see: J. Patrich, Urban Space in Caesarea Maritima, Israel, in: J. W. Eadie and T.
Burns (eds.), Urban Centers and Rural Contexts, Michigan State University Press 2001: 77
- 110.
2. Eusbe de Csare, Histoire Ecclsiastique [text Grec, traduction et notes, ed. G. Bardy,
Sources Chrtiennes 41, 55, 73 (Paris 1952-1967)]; Eusebius, The Ecclesiastical History
(Gr. text and Eng. tr. by J. E. L. Oulton and H. J. Lawlor, Loeb Classical Library, London
1973). The Greek texts of The Martyrs of Palestine are given in Vol. III of Bardy's edition:
Histoire Ecclsiastique, Livres VIII-X et Les Martyrs en Palestine - Sources Chrtiennes
55, (Paris 1967)]. The Syriac: Eusebius, History of The Martyrs in Palestine (Syriac text
and English translation and notes by W. Cureton) (London and Paris 1861). Also consulted
was the English translation: Eusebius Pamphilus, The Ecclesiastical History (English tr. Ch.
F. Cruse) (London 1850, rprt. 1991): 349-78: The Book of Martyrs. The references below
to the Greek text of MP indicate paragraph and page in Bardys edition. The references to
the Syriac text indicate page number of the Syriac text. I am indebted to Ofer Livneh for
assistance in reading the Syriac. On Christian martyrdom see: H. Gregoire, Les perscutions dans lempire Romain, Brussels 1950; G. E. M. de Ste. Croix, Aspects of the Great
Persecution, Harward Theological Review 47 (1954): 75-109; W. H. C. Frend, Martyrdom and Persecution in the Early Church: A Study of a Conflict from the Maccabees to
Donatus, Oxford 1965; H. Musurillo, The Acts of the Christian Martyrs, Oxford 1972; R.
L. Fox , Pagans and Christians, Cambridge 1986: 419-492; P. S. Davies, The Origin and
Purpose of the Persecution of AD 303, Journal of Theological Studies 40 (1989): 66-94;
G. W. Bowersock, Martyrdom and Rome, Cambridge 1995; B. D. Shaw, Body/Power/
Identity: Passions of the Martyrs, Journalof Early Christian Studies 4/3 (1996): 269-312;
LA 52 (2002) 321-346

322

J. PATRICH

own days, to which he was an eye witness.3 The work has reached us in
two recensions, of which only the shorter is extant in Greek. The longer
recension is extant only in a Syriac translation, the vernacular of Palestine,
dated to 411 CE, and in some Greek fragments.4 Both recensions were the
work of Eusebius.5 The long one, a separate treatise, was intended for the
instruction of the people of Caesarea, who were eye witnesses to the events.6 Therefore, although preserved only in a redaction made about a century
after the events, it is of the utmost interest, especially with regard to the
urban topography. The shorter recension, intended for wider circulation,
was incorporated by Eusebius in his Ecclesiastical History. Eusebius must
have also published a collection of more ancient Acts, pertaining to the persecutions of earlier days, to which he refers repeatedly in his Ecclesiastical
History.7 But this composition has perished, and thus there are only brief
allusions to these events in the Ecclesiastical History.
The first martyrs of Caesarea were Ambrose, the patron and associate
of Origen, and Protoctetus, a presbyter. Both became martyrs in 235 CE,
D. Mendels, The Media Revolution of Early Christianity. An Essay on Eusebiuss Ecclesiastical History, Grand Rapids, MI 1999: 51-109. On the persecutions at Caesarea see also:
T.D. Barnes, Constantine and Eusebius (Cambridge, Mass., 1981): 148-163.
Another contemporary Latin source for the persecutions of Diocletian and his co-rulers
is Lactantiuss The Death of the Persecutors (De mortibus persecutorum, ed. S. Brandt,
Vienna 1897; Eng. tr. W. Fletcher, The Works of Lactantius, Vol. II, 1871; Latin text with
Fr. tr. - Sources Chrtiennes 39). Lactantius was an eyewitness of the events; living at the
court of Diocletian in Nicomedia he had a first-hand information.
3. See explicitly his words in HE VIII.13.7.
4. The Greek fragments of the long recension were published by H. Delehaye, Analecta
Bollandiana 16 (1897): 113-38. The fragments are also found in Bardys edition. On Syriac
/ Palestinian Aramaic being a vernacular of Palestine see: grie, Journal de Voyage 47.3-4
(ed. P. Maraval, SCh 296): 314-315 - in the Church of the Holy Sepulchre there was a priest
whose task was to translate for the neophytes the Mystagogical Cathecheseis of the bishop
from Greek to Syriac; Procopius was an interpreter from Greek to Aramaic / Syriac - MP
Syr.4, p. 4; Cyril of Scythopolis, Vita Euthymii 18, 38 (ed. Schwartz, Leipzig, 1939: 28, 56).
See also Vita Hilarionis 22, 23, 25 and the discussion on these passages in S. Weingarten,
Jeromes World: The Evidence of Saints' Lives, Ph.D. Dissertation, Tel Aviv University Nov.
2000: 81-82, 104-107
5. Bardy, op. cit.: 35-36; Cureton, op. cit.: i-xi: preface; J. Quasten, Patrology III, Westminster, MD 1990: 317-19.
6. J. B. Lightfoot, Dictionary of Christian Biography, Vol. II: 320-21; H. J. Lawlor, The
Chronology of Eusebius Martyrs of Palestine, Eusebiana. Essays on The Ecclesiastical
History of Eusebius Pamphili, ca. 264-349 A.D., Bishop of Caesarea, Oxford 1912 (reprt.
Amsterdam 1973): 179-80; idem, The Earlier Forms of The Ecclesiastical History, ibid.:
279-83.
7. HE IV.15.47; V. Pref.2; 4.3; 21.5.

THE MARTYRS OF CAESAREA

323

in the persecutions under Maximin.8 Origens treatise On Martyrdom was


dedicated to their memory. Origen, who made Caesarea his residence after
leaving Alexandria, found refuge in Cappadocia during this period. But 15
years later, in the persecution under Decius, he was imprisoned and tortured
severely on the rack in Caesarea.9 A short while later he died. Under Valerian, in the persecution of 258, three martyrs of the countryside, Priscus,
Malchus, and Alexander, and a woman of the sect of Marcion, were cast to
the wild beasts.10 Under Gallienus, in the persecution of 260 CE, Marinus
was beheaded by the governor Achaeus. His act was not a typical one, but
it illustrates the role of the governor as a judge. Marinus, distinguished by
birth and wealth, was an officer in the army. He wished to be promoted and
become a centurion. During the process, before the tribunal (bema) presided over by the judge-governor, who was also the commander-in-chief of
the army, he was accused by another officer of being a Christian who did
not sacrifice to the emperors. After an interrogation the hearing was postponed, and Marinus was given three hours to reflect. After the appointed
time was over he was summoned again by the herald (kerux) to the court
of justice (dikasterion). Refusing to repudiate his faith, he was beheaded
straightaway.11 In the same dikasterion the later martyrs were sentenced
after being imprisoned in the same compound where Origen (and earlier
St. Paul12) were.
Persecutions were resumed in 303-311 CE under Diocletian and his
successors - Galerius and Constantius as Augusti and Maximinus Daia and
Severus as Caesars - who assumed the government on May 1st 305, upon
the abdication of Diocletian and his co-ruler Maximian. Maximinus ruled
the prefecture of Oriens, in which the province Syria Palaestina was in8. HE VI.28, LCL p. 81. No martyrs are recorded for the persecutions under Septimius

Severus in 203 CE. A few years earlier, ca. 190, the Quatrodeciman synod was convened
in Caesarea, at which bishop Theophilus was the leading personality. There are only few
details about the local Church from year 60, when St. Paul was dispatched in a ship from
Caesarea to Rome, to the convening of the Quatrodeciman synod. See I. L. Levine, Caesarea under Roman Rule: 127-34. Only 9 bishops are recorded up to the episcopate of
Eusebius (315/16 - 339). See: Fedalto, Hierarchia Ecclesiastica Orientalis, Padova 1988,
p. 1014. To his list should perhaps be added as Eusebiuss immediate predecessor Agricola,
who subscribed to the synod of Ancyra in 314 CE, according to the Latin minutes of that
synod (Bardy, op. cit., p. 34; Valesius, in: Cruse, op. cit., p. x).
9. HE VI.39, LCL p. 95.
10. Ibid. VII.12: 167-69.
11. Ibid. VII.15: 171-73.
12. Acts 21:15-27:1; see also: J. Patrich, A Chapel of St. Paul at Caesarea Maritima? Liber
Annuus 50 (2000): 363-382 and Pls. 27-30.

324

J. PATRICH

cluded. The number of martyrs in Palestine during this period was 83. Far
more numerous was the number of confessors. There were also Christians
who had renounced their faith and apostatized, unable to bear the hardship
and torture. Eusebius was at that time already a presbyter of the church of
Caesarea. There are no clear details how he managed to escape the fate
of his confrere Pamphilus and his circle, but it is certain that he did not
renounce his faith and sacrifice.13 Sometime after 307 he escaped to Tyre,
and later to the Thebaid in Upper Egypt, and to Alexandria, becoming an
eye witness to and a reporter of the massacre of Christians there as well.
According to Lawlor, a careful examination of the chronology indicates
that at Caesarea the persecution took the form of five intermittent onslaughts on the Church, of which four were initiated by imperial edicts and
the fifth by a visit by Maximinus himself to Caesarea for the celebration
of his birthday. Each assault was followed by a period of inactivity; in all
they lasted no more than three years and a half.14 Thereafter a similar time
elapsed until the end of the persecution. But even in the intervals that were
free of martyrdoms there was persecution of a sort: the Christians were not
allowed full liberty of worship, and confessors who had been imprisoned
were not released (Pamphilus and his companions were kept in prison about
two years, as was Agapius).15
The urban context
Caesarea was the capital of the province of Syria Palaestina, the seat of
the provincial governor. Edicts issued by the tetrarchs ordered the leaders
(archontes) of each city to ensure that all Christians in each city sacrificed
and offered libations. In Caesarea, by the order of the governor, public
heralds (kerukes) called upon men, women, slaves, and even children to
assemble in the pagan temples. In addition, the tribunes (chiliarchoi) and
centurions summoned them by name, according to a list of citizens, going
13. Lightfoot, op. cit.: 311-12; Valesius, in: Cruse, op. cit.: ix-x; Bardy, op. cit.: 30-33;

Quasten, op. cit., p. 310. His accusation of apostasy occurred only at the Council of Tyre
of 335, made by his opponents.
14. Lawlor, The Chronology of Eusebius (supra, n. 6), p. 210. The first lasted about six
months, from June to November 303. The second and third seem to have been very brief,
and may be dated respectively March 305 and March-April 306. The fourth was much the
longest, continuing for about a year and eight months, from November 307 to July 309. The
last covered some five months, from November 309 to March 310.
15. Idem, ibid.

THE MARTYRS OF CAESAREA

325

from house to house in all quarters (amphoda).16 Those who violated these
orders were brought to be interrogated and sentenced before the governor
in the law court located in his praetorium. During their trial they were also
imprisoned, and tortured in the praetorium. Apart from this seat of power,
the gates, streets, porticos, and entertainment structures of Caesarea are all
mentioned in the Acts.
Walls and Gates:17
Some of the non-local martyrs and confessors were arrested by the guards
in front of the city gates (pro\ twn th polew pulwn), before entering
the city. These were Procopius of Scythopolis, Adrianus and Eubulus from
Batanea, and five Egyptians.18
Two semicircular city walls are still recognizable beyond the rectilinear
shorter line of the Arab-Crusader wall (Fig. 1). The inner line is Herodian
and the outer Byzantine. The Herodian fortification line was abandoned in
mid-4th century. The Roman city, extending beyond the Herodian wall, had
no outer wall for more than three centuries. Caesarea acquired a new wall
only in the fifth century. The road system emerging from the city suggests
the existence of four gates. The southern one was a monumental triple-entrance gate.19 A Greek inscription from a Roman monumental arch referring
to the city as metropolis, a rank granted to the city by Alexander Severus,
was uncovered near the conjectured location of the east gate,20 indicating
that as in the case of Gerasa, Jerusalem, Scythopolis, Gadara (and Athens),

16. MP Gr. IV.8 - p. 131 (the long recension is more detailed); IX.2 - p. 148. See also G.

E. M. de Ste Croix, Aspects, 99, 112-113.


17. Patrich, supra n. 1, p. 84-86, with references.
18. MP Syr. 4 - p. 4 (Procopius); MP Syr. 48 - p. 45; Gr. XI.29 - p. 168 (Adrianus and Eubulus); MP Syr. 43 - p. 40; Gr. XI.6 - pp. 157-58 (Egyptians). Three other Egyptians were
similarly arrested at the Gates of Ascalon - MP Syr. 38, Gr. X.1 - p. 151. The Syriac (4 - p.
4) renders: thraya dmdyntha and (43 - p. 40): bthra dqsrya mdyntha. Arrest and interrogation by the guards (fulake) are mentioned in the case of the Egyptians in Caesarea and
Ascalon, and of Adrianus and Eubulus.
19. Thus M. Peleg and R. Reich, Excavation of a Segment of the Byzantine City Wall of
Caesarea, Atiqot 21 (1992) 137-70, but recent IAA excavations suggest that this was the
royal entrance of a theatre stage. If so, the southern gate in the Byzantine city wall, running
more to the south, has still not been uncovered.
20. F. M. Abel and A. Barrois, Fragment de Csare la metropole, Rvue Biblique 40
(1931) 294-95.

326

J. PATRICH

the limits of the city were indicated by a monumental arch long before a
city wall was actually constructed. Procopius, Adrianus, and Eubulus were
apparently arrested at this gate, as it is located on the road from Batanea
and Scythopolis to Caesarea. The five Egyptians were presumably arrested
at the north gate, since they were on their way back home to Egypt from
Cilicia. The north Byzantine gate disappeared, being eroded by the sea. Topographically, it must had laid at a lower elevation above sea level relative
to the Herodian/Early Roman north gate, exposed by the Italian expedition.
Here, as well, like in the east, a gate without a wall might had marked the
outskirt of the expended city, although the Herodian/Early Roman north
gate might still have been in use.
The corpse of another martyr, Apphianus, cast with stones into the sea,
was vomited back by a storm (tsunami) following an earthquake, washed
ashore by the waves, and deposited before the gate of the city.21 This may
have been perhaps the northern extramural gate mentioned above, located
near the sea shore. The Herodian/Early Roman north gate is located too
high above sea level.
Eusebius defines the earthquake, that occurred on April 2, 306 as
extraordinary and severe (paradoxo seismo/, zwa qshya). It made the
entire city to tremble, and people supposed that the whole place, together
with its inhabitants, was about to be destroyed on that day. But neither
casualties, nor damages are recorded. It seems, therefore, that it was not
devastating for Caesarea.22 The effects of this earthquake have not been
recognized so far in the archaeological excavations at the site.
21. MP Syr. 18 - p. 17 (Epiphanius), Gr. IV.15 - 135-36 (Apphianus). The pro/puloi in the

long recension may suggest a more articulated and architecturally elaborate city gate, unless
it refers to a square or a piazza in front of the gate. Eusebius emphasizes that he was an
eyewitness to this prodigy. The burial of some other martyrs was forbidden by the order
of governor Urbanus, their corpses being left outside the city gates as prey for beasts and
birds (MP Gr. IX.11 - p. 151, Syr.34 - p. 33: Ennathas / Mannathus and others). For refusal
of burial by the Roman authorities cf. HE V.1.59-62 - LCL pp. 435-37, pertaining to the
devoured and charred corpses of the Martyrs of Lyons and Vienne.
22. Eusebius, Chronicon (Migne, PG 27: 664) mentions a terrible earthquake which destroyed many buildings in Tyre and Sidon and crushed innumerable people. In a marginal
note in Mignes edition the date 306 CE is given to this event. If correct, one would expect
that the earthquake at Caesarea at that same year, recorded by him in MP, will also be mentioned. K. W. Russell, The Earthquake Chronology of Palestine and Northwest Arabia from
the 2nd through the Mid-8th Century A.D. BASOR 260 (1985): 37-59, suggested on p. 42,
that a date ca. 303 may be more correct for the earthquake that had struck Tyre and Sidon.
The earthquake at Caesarea in 306 is not mentioned either by Russell, ibid., or in: Emanuela
Guidoboni, A. Comastri, and G. Traina, Catalogue of Ancient Earthquakes in the Mediterranean Area up to the 10th Century (tr. from the Italian by B. Phillips), Rome 1994.

THE MARTYRS OF CAESAREA

Fig. 1: Map of Caesarea in ca. 300 CE.

327

328

J. PATRICH

Procopius, put to death on June 7th 303, was the first martyr of Caesarea
under Diocletian . He was a lector, an interpreter from Greek into Aramaic,
and exorcist of the church of Scythopolis. His Acts are typical in their
outlines. He was first brought to be interrogated before the tribunal of the
governor. Refusing to sacrifice to the gods, or offer libations to the four
emperors, he was beheaded.23
The most renowned martyr of Caesarea was Pamphilus, a priest
and admired teacher of the local church, head of the Christian academy
founded by Origen, and friend of Eusebius, after whom he called himself
Eusebius Pamphili. Pamphilus and his household and students were put
to death in 309 CE, after a confinement of two years and many tortures
of all sorts.24
The right to inflict a death penalty - the ius gladii belonged to the
provincial governor.25 The law court was a wing of the praetorium of the
Roman governor at Caesarea. He presided over the court of justice in
such affairs, and therefore the governor (hegemon) is regularly referred
to as the judge (dikastes). The Christians were brought to his tribunal
(dikasterion), where he interrogated them about their name, place of
origin, family, and faith. But the governor held assizes in other cities, as
in the case of the martyrs and confessors sentenced in Gaza, Lud/Lydda,
and Ascalon.26
The degree of harshness with which the edicts were imposed on the
Christians in each province depended greatly on the provincial governor.
Three governors were in office in Caesarea during this period: Flaminius
23. MP Gr. I.1-2; Syr. 3-5.
24. MP. Gr. XI.1-3. Syr. 26-28, 38-42. The long recension of the martyrdom of Pamphilus,

first published in Analecta Bollandiana 16 (1897): 129ff., is reproduced by Bardy, op. cit.:
153-56. Eusebius wrote an account of his life, now lost. See: HE VI.32.3; VII.32.25; MP,
ibid.
25. P. Garnsey, The Criminal Jurisdiction of Governors, Journal of Roman Studies 58
(1968), p. 51f. See also A. Schalit, The Roman Rule in Eretz Israel, Tel Aviv 1937: 91-93,
98-99 (Hebrew).
26. MP Gr. III.1, Syr. 9-10 (Gaza); Syr. 29 (Lud/Lydda; it is said there that the Greek name
of the city is Diocaesarea, instead of Diospolis; the Gr. recension omits any city name; only
the territory of the Jews is indicated); Syr. 37-8 (Ascalon). The trials in Zauara/Zoora and
Phaeno (Syr. 49-50) was by the dux. On assizes held by the governors while on an administrative itinerary in the province, see: G. P. Burton, Proconsuls, Assizes and the Administration of Justice under the Empire JRS 65 (1975): 92 - 106; L. Di Segni, Metropolis and
Provincia in Byzantine Palestine, in: A Raban and K. G. Holum (eds.), Caesarea Maritima:
A Retrospective after Two Millennia (LeidenNew YorkKln 1996): 575-592. See also:
S. Ronchey, Les procs-verbaux des Martyres Chrtiens dans les Acta Martyrum et leur
fortune, Mlanges de lcole franaise de Rome. Antiquit 112 (2000): 723-752.

THE MARTYRS OF CAESAREA

329

(303-4), Urbanus (304-7), and Firmilianus (308-9).27 The governors had an


escort of military bodyguards (peri to\n hJgemona stratiwtiko\n stifo)28
while walking in the city. Soldiers were also on guard outside the law court,
where the prisoners sat awaiting their trial.29
The Praetorium of the governor
Herods palace, constructed on a promontory to the south of the harbour,
was enlarged and elaborated, becoming the praetorium of the Roman governors. According to the inscriptions the praetorium was still in full activity under the tetrarchy.30 It housed the hall of justice (dikasterion).31
The archaeological excavations carried out in Caesarea since the mid
1970s have brought to light the entire complex, including the law court
(dikasterion of the Acts of the Martyrs), with a permanent elevated platform (bema) at its inner end.32 A small altar (bwmo/) with a sacrificial fire

27. Urbanus and Firmilianus, each in his turn, were finally put to death at the orders of the

emperors: MP Gr. VII.7 - p. 143-44 (Urbanus), XI.31 - p. 168 (Firmilianus).


28. MP Gr. IV.8 - p. 132. See also II.4 - p. 127; IV.10 - p. 133; VII.7 - p. 143. Being a
military escort, it should be differed from the escort of civilian lictores, mentioned also
in a contemporary Rabbinic source (PT Megilla, III.2, 74a). The lictores, five in number,
were the only civilian apparitores allocated during the Principate to a legatus Augusti pro
praetore, see B. Rankov, The Governors Men: The Officium Consularis in Provincial
Administration, in: The Roman Army as a Community, [Journal of Roman Archaeology
Supplement Series 34] (1999): 15-34, p. 17). Military bodyguards serving in the officium of
a governor were the legionary protectores and the singulares, who were auxiliaries (Rankov,
ibid., p. 22). The escort under discussion seems to be composed of such soldiers, presumably the legionary protectores.
29. MP Gr. VII.2 - p. 141; XI.20 - p. 164.
30. B. Burrell, Two Inscribed Columns from Caesarea Maritima, ZPE 99 (1993),
287-95.
31. For dikasterion see: MP Gr. I.1 - p. 122; IV.11 - p. 133; VII.1 - p. 140, including the
long Gr. recension, here preserved. The Syriac (16 - Cureton, p. 15) renders byth dyna, or
dyqstryn (31 - Cureton, p. 29).
32. Roman legal institutions referred to in the Martyrs of Palestine (and the contemporary
Rabbinic literature) were discussed in great detail by Lieberman, and there is no need for
a repetition here. See: S. Lieberman, Roman Legal Institutions in Early Rabbinics and the
Acta Martyrum, The Jewish Quarterly Review 35 (1944): 1-57. The platform (bema) of
the judge is mentioned in MP Gr. VII.7 - p. 143 (the judge hands down his verdict from
the elevated platform - ejf uJyhlou bhmato dikazwn, surrounded by a guard of soldiers);
IX.8 - p. 150. See also HE VIII.9.5 - LCL, p. 276-77, refering to the persecutions in the
Thebaid. I am of the opinion that the law court of the Acts of the Martyrs is the same hall

330

J. PATRICH

(hJ pura) burning on it was also located inside.33 A large prison can also
be identified in this huge complex.34
The praetorium extended over two terraces with a difference of elevation of ca. 3.6m. The lower terrace served as the private wing. It occupied
a natural promontory, extending 100m into the Mediterranean. The upper
terrace, on an upper part of the promontory, and of a slightly different
orientation, served as the public wing. It was built around a vast courtyard
surrounded by porticoes.35 A raised square platform, for some monument,
or for the emplacement of a outdoor bema, stood in its center.
The northern wing of the upper terrace held two suites separated from
each other by a service corridor. The western suite (on the excavation area
of the Pennsylvania expedition) faced south, while the eastern one (on
the IAA excavation area) faced north. The western suite, of symmetrical
layout, had in its center a basilical audience hall. This was the law court
of the praetorium. The elevated northern part of the hall accommodated,

as the audience hall (to ajkroathrion) of Acts 25:23, were the hearing of St. Paul in front
of Festus took place. See J. Patrich, supra, n. 12. Archaeologically, only a single hall that
could fulfill these functions was uncovered in the excavations of the praetorium.
33. MP Gr. VIII.7 - p. 146; Syr. 31 - p. 29.
34. On this complex, excavated by several expeditions (Hebrew University of Jerusalem,
University of Pennsylvania, and the Israel Antiquities Authority) see: L. Levine and E.
Netzer, Excavations at Caesarea Maritima 1975, 1976, 1979 Final Report [Qedem
21], Jerusalem 1986; E. Netzer, The Palaces of the Hasmoneans and Herod the Great,
(Jerusalem 1999) 109-114 (Hebrew), E. Netzer, The Promontory Palace, in: A. Raban
and K. G. Holum, Caesarea Maritima: A Retrospective after Two Millennia (LeidenNew
YorkKln 1996), 193-207; Kathryn L. Gleason, Ruler and Spectacle: The Promontory
Palace, ibid., 208-228; Barbara Burrell, Palace to Praetorium: The Romanization of
Caesarea, ibid., 228-47. See also: B. Burrell, K. L. Gleason, and E. Netzer, Uncovering Herods Seaside Palace, Biblical Archaeology Review 19 (1993), 50-57, 76. K. L.
Gleason et al., The Promontory Palace at Caesarea Maritima: Preliminary Evidence for
Herods Praetorium, JRA 11 (1998), 23-52. During 1995-97, in the framework of Israel
Antiquities Authority excavations directed by Y. Porath, more parts of the N, S, and E
wings of the praetorium were exposed. For a short preliminary note see: B. Rochman,
Imperial Slammer Identified, Biblical Archaeology Review 24.1 (1998), 18; Y. Porath,
Caesarea 1994-1999, Hadashot Arkheologiyot: Excavations and Surveys in Israel
112 (2000):36*. See also J. Patrich, A Government Compound in Roman-Byzantine
Caesarea, in Proceedings of the Twelfth World Congress of Jewish Studies, Division B,
History of the Jewish People, Jerusalem 2000: 35*-44* (English section); idem, Urban
Space, 90.
35. The W half of the upper terrace was excavated by the University of Pennsylvania expedition, directed by Glieson and Burrell, while the E half, and areas farther to its E, belonging
to the Roman praetorium, and the entire S wing, all yet unpublished, were excavated by the
Israel Antiquities Authority expedition headed by Yosef Porath (supra, n. 34).

THE MARTYRS OF CAESAREA

331

so it seems, the dais, or the bema.36 It had a heated floor set on stone
suspensurae / hypocaust. Over this bema the Roman governor and his
concillium of friends and relations held their assizes, including trials of
martyrs.37
The entrance to Herods palace was from the east, via a square propylon
with four turrets set at its corners. Another, higher, tower, rose above this
propylon overlooking the hippodrome/stadium. Under Roman rule Herods palace was extended farther to the east, adding about 50m along the
southern curved end of the hippodrome/stadium. Four Latin inscriptions
found in this extension mention military personnel active in the governors
officium. They mention Assistants of the Office in charge of the Prisoners
or the Prison (adiutores custodiarum), imperial couriers (frumentarii), beneficiarii - soldiers who received an administrative job from the governor
(in this case Tineius Rufus, the governor of Judaea when the Bar Kokhba
revolt broke out), numbering as many as 120 in Judaea - and a Club Room
of the Centurions (schola centurionum).38
There were also women martyrs: Thecla of Gaza, who was cast to the
wild beasts; Theodosia of Tyre, who was thrown into the sea,39 and similarly Valentina of Caesarea together with Hatha, another Gazaean. All were
virgins. Valentina, protesting against the judge for the prolonged tortures
inflicted against Hatha - being first scourged, then raised on high on the
rack, lacerated and galled in the sides - was seized, and driven to the midst
of the place of judgement. They dragged her to the altar, and tried to force
her to sacrifice, but she kicked the altar and overturned the fire. The judge,

36. See plan and reconstruction in Gleason et al. JRA 11 (1998) (supra, n. 28) 33, 45-48,

Figs. 4c and 7 and 13, and discussion in Burrell, Caesarea Retrospective (supra, n. 28), p.
229.
37. The twn ajf aujton, or concilium, is mentioned in Acts 25:12, pertaining to St. Pauls
hearing before Festus in the praetorium of Caesarea. Eusebius regularly mentions the judge
(dikastes) alone. In MP Gr. X.2 - p. 152 mention is also made of those around him (twn
ajf aujton).
38. Hannah M. Cotton and Werner Eck, Governors and Their Personnel on Latin Inscriptions from Caesarea Maritima, Proceedings of the Israel Academy of Sciences and
Humanities VII.7, Jerusalem 2001: 215-240;. For governors officiales see: Rankov, The
Governor's Men, 15-34; B. Palm, Die Officia der Statthalter in der Sptantike. Forschungstand und Perspektiven, Antiquit Tardive 7 (1999): 85-133. For a frumentarius sent by
Sabinus, the prefect of Egypt, to pursue bishop Dionysius in the streets of Alexandria in
the persecution under Decius see HE VI.40.2-3 - LCL p. 97. Also, a frumentarius escorted
Cyprian, after his arrest, to face trial in Utica (Cyprian, Epistle 81.1).
39. MP Gr. III.1, VI.3, Syr. 10-11 (Thecla); Gr. VII.1-2, Syr. 23-25 (Theodosia).

332

J. PATRICH

infuriated, ordered the two young women to be bound together and hurled
into the sea.40 An altar for libation that stood in the law court was not discovered in the excavations.
The prison
The prison (to\ desmwthrion, hJ eirkth, beth asyra) is frequently mentioned. Pamphilus and his circle spent two years in the jail before being
executed.41 A Latin mosaic inscription mentioning the prison wardens was
found in a room in the southern wing of the upper terrace. It reads: Spes
bona adiutorib(us) offici custodiar(um) - Good hope to the Assistants of
the Office in charge of Prisoners (or of the Prison).42 Presumably, the
prison was located nearby, but so far it has not been identified archaeologically. However, an enormous underground water cistern, with two
compartments, T-shaped in its ground plan, constructed under the courtyard, was later converted into a vast subterranean space, and a narrow
subterranean corridor led into it. This gloomy space apparently served
as a prison, as Greek Christian inscriptions were smeared in mud on its
walls, by a certain Procopia, seeking help from the Lord (Kurie bohqi
Prokopia) - a most dramatic find pertaining, perhaps, to another woman
confessor.
The need to convert a water cistern into a jail might be reflected in Eusebiuss words that the number of prisoners increased tremendously during
this period: everywhere the prisons, that long ago had been prepared for
murderers and grave-robbers, where then filled with bishops and presbyters
and deacons, readers and exorcists, so that there was no longer any room
left there for those condemned for wrongdoing.43 This might have been the
40. MP Gr. VIII.5-8, Syr. 30-32 (Valentina and Hatha). See also: Elizabeth A. Clark,

Eusebius on Women in the Early Church History, in H. W. Attridge and G. Hata (eds.),
Eusebius, Christianity and Judaism, Detroit 1992: 256-69; S. G. Hall, Women among
the Early Martyrs, In Diana Wood (ed.), Martyrs and Martyrologies: Papers Read at the
1992 Summer Meeting and the 1993 Winter Meeting of the Ecclesiastical History Society,
Oxford 1993: 1-21.
41. Desmoterion: MP Gr. III.4 - p. 127, Syr. 12 - p. 11; IV.10 - p. 133; VII.4 - p. 142-143;
VII.6 - p. 143; XI.7 - p. 158. Eirkte: Gr. IV.10 - p. 133 (Apphianus, long recension); XI.5 - p.
157 (Pamphilius and his circle being detained for two years). Gr. I.1 - p. 122: hJ fulakh/.
42 Cotton and Eck, supra, n. 38, p. 230; B. Rochman, Imperial Slammer Identified, Biblical Archaeology Review 24.1 (1998), 18.
43. HE VIII.6.9.

THE MARTYRS OF CAESAREA

333

dungeon into which Origen was cast, or the deep dark prison into which
Apphianus was cast44 (if this is not a literary expression, of course).
The city streets
The confession and martyrdom of Ennathas in the streets of Caesarea, in
the sixth year of the persecutions (Nov. 13, 308 CE) was extraordinary
in its cruelty:45 She had been brought by force from Scythopolis. Maxys,
who was set over the streets of the city,46 stripped her naked down to her
groin, and carried her about through the whole city, being tortured with
leather straps, even without the approval of the superior authority. Then
she was taken before the tribunal of the governor. After suffering tortures
of every sort she was condemned to be burnt, together with other martyrs.
Moreover, the governor Urbanus forbade their burial, ordering that their
bodies will be guarded day and night before the gates of the city, until they
will be completely devoured by wild beasts and consumed by birds. After
this had gone on for many days, a prodigy occurred in the midst of the
city: The atmosphere was perfectly calm and clear, when, all of a sudden,
the columns supporting the public stoas of the city (th\n po/lin kio/nwn oi
ta dhmosia uJphreidon stoa) emitted spots, as it were of blood, while
the market places (agorai) and the colonnaded streets (plateiai) became
sprinkled and wet as with water, although not a single drop had fallen from
the heavens. And it was declared by the mouth of every one that the stones
shed tears, and the ground wept.47
44. For Origens dungeon (muco eiJrkth/) see supra, n. 9. For Apphianus/Epiphanius see MP
Gr. IV.10 (long recension, p. 133: eij to\n th eiJrkthv skoteino\n muco\n ajnelambaneto),

Syr. 16 - p. 15.
45. MP Gr. IX.6-8, Syr. 34 (Mannathus).
46. Thus the Syr. 35 - p. 32, while the Gr. IX.7 - p. 150 refers to him as an army tribune
(chiliarch) stationed in the vicinity of the city. The Syr. text, derived from the long Greek
recension, written for the Christians of Caesarea, seems preferable in this case; but he might
have been an officer in charge of internal security on the city streets, a post which would
meet both designations. Cf. the fate of the martyrs of Lyons and Vienne under Marcus
Aurelius, being dragged into the market-place by the tribune (chiliarch) and the chief authorities of the city, and at last being shut up in the prison until the coming of the governor
(HE V.1.7-8).
47. MP Syr. 35 - Curton: 33-34; Gr. IX.12 - Bardy, p. 151. We may have here a literary
topos, since a similar prodigy is given in the Rabbinic sources: BT Moed Katan 25b: When
R. Abbahu died the pillars of Caesarea shed tears; PT, Abodah Zarah III.1, 42c, interpreted
as an expression of mourning the death of R. Abahu. See S. Lieberman, The Martyrs of

334

J. PATRICH

The Herodian, orthogonal city-plan was maintained throughout antiquity with only minor modifications. Colonnaded streets (platea and stoai) in
Caesarea are also mentioned in other Rabbinic sources.48 The line of the
cardo maximus seems to be preserved in the line of the Crusader eastern
city wall; the decumanus maximus was seemingly parallel to the present
asphalt road. Many of the street columns were incorporated in the Muslim
and Crusader city wall and in the north quay of the Crusader harbour. Other
public structures mentioned by Eusebius are the temples and the bathing
places (ta loutra).49
Tortures
Tortures inflicted in the prison, or publicly at or near the law court, by tormentors (basanistai, qstwnra)50 on behalf of the judge/governor as a means
of coercion to renounce the Christian faith, included hunger, hanging head
down, flagellation, scourging and lacerations of the sides, and castration. The
instruments of torture included iron combs and the rack. This was a frame
on which a person was stretched by having the feet placed in holes set apart
at intervals (the fifth hole being at the largest interval), or by wheels. Sharp
reeds were also driven through the fingers, under the tips of the nails.51 TortuCaesarea, Annuaire de lInstitute de Philologie et dHisoire Orientales et Slaves 7 (193944): 400-402, who comments that Eusebiuss dating of the occurrence, between mid- November to mid-December 309, in the sixth year of the persecutions, establishes the terminus
ante quem for R. Abahus death. The city market places (agorai) are also mentioned in MP
Gr. IX.2 - p. 148, Syr. 34- p. 31 (shwqa).
48. PT, Nazir VII, 1, 56a; Tosefta, Oholot XVIII, 13.
49. MP Gr. IX.2 - p. 148 (baths; bath attendants are also mentioned); Gr. IV.8 - p. 131, Syr.
15 - p. 14, and 34 - p. 31 (temples). In autumn 308 Maximinus issued edicts ordering the
reconstruction of all temples and the revival of cult therein, with specific instructions to the
provincial governor and dux in each province, and to the city magistrates - the accountants
(logistai/), strathgoi (duumviri in case of a Roman colony) and tabularii (MP Gr. IX.2
- p. 148, Syr. 34 - p. 31. On logistai/ or curatores nominated by the central government to
control cities accounts see: J. Reynolds, Cities, in: D. Braud (ed.), The Administration of
the Roman Empire 241BC - AD 193, Exeter 1988: 41-42.
50. MP Gr. VIII.6: p. 145, XI.16: p. 162; Syr. 8: p. 7, line 27 (in Antioch), 47: p. 44, line
19 (Julianus); here the Gr. XI.26: p. 167) has oiJ twn fonwn diakonoi. Syr. 31: p. 29, and
45: p. 42 (hnwn dsrqyn). Quaestionarii, from which the Syriac qstwnra is derived, who
constituted an integral part of the governors officium, serving as judicial interrogators
(Rankov, The Governors Men, 23), are not mentioned in the corresponding passages in
the Greek recension of MP.
51. HE V.1.27, VIII.7.1-8.1, VIII.10.8, VIII.12.6-7 - LCL pp. 419 (Vol. I), 271-75, 283, 291
(Vol. II) respectively; MP Gr. VII.4 - p. 142 (castration).

THE MARTYRS OF CAESAREA

335

re in slow fire was the fate of Apphianus (Syr. Epiphanius), after suffering
various other torments: flagellation, scourges, and the rack. His feet were
wrapped in linen (Gr.; the Syr. renders cotton) dipped in oil, which was
set alight at the command of the governor. The fire, after consuming his
flesh, penetrated to the bones, so that the humours of the body, liquefied
like wax, fell in drops.52 Final execution was decapitation by sword,
burning, strangling, and casting into the sea.53 Boats could sail out to the
deep sea directly from a short jetty projecting from the south wing of the
lower terrace of the praetorium, rather than from the harbour. The site of
execution and decapitation was open to the public, which included Jews
and Samaritans, not just pagans.54
When the death penalty was annulled for a while, orders were given
that their eyes should be gouged out, and one of their legs maimed. The
right eye was first cut out with a sword and then cauterized with fire, and
the left foot rendered useless by the further application of branding irons
to the joints, and after this they were condemned to the provincial copper
mines (at Phaeno).55
Some were condemned to be left as prey for the wild beasts - lions,
leopards, bears of different kinds, wild boars, and bulls goaded with hot
iron (see below), a common form of execution for criminals under Roman
law.56 Youth of fine and bold stature were dispatched to the ludus.
52. MP Gr. IV.12 - Cruse, p. 356, Bardy, p. 133-34; Syr. 16-17 - Cureton, p. 15.
53. Martyrs thrown into the sea were Apphianus/Epiphanius, Agapius (of the stadium),

Theodosia of Tyre, Valentina, and Hatha.


54. MP Gr. VIII.11-12 - p. 147, Syr. 32 - p. 30.
55. HE VIII.12.10 - LCL p. 293. On this penalty see: F. Millar, Condemnation to hard labour in the Roman empire, from the Julio-Claudians to Constantine, Papers of the British
School in Rome 52 (1984), 124-47.
56. K. M. Coleman, Fatal Charades: Roman Executions Staged as Mythological Enactments, Journal of Roman Studies 80 (1990): 44-73; D. Potter, Martyrdom as Spectacle,
In Ruth Scodel (ed.), Theater and Society in the Classical World, Ann Arbor, MI 1993: 5588; P. Veyne, Paens et chrtiens devant la gladiature, Mlanges de lcole franaise de
Rome. Antiquit 111 (1999): 883-917. For condemnation to the wild beasts see farther below
and compare HE V.1.37-57 - LCL pp. 425-35, pertaining to Maturus, Sanctus, Blandina,
and Alexander the Phrygian, Martyrs of Lyons and Vienne in the amphitheatre of Lyons
under Marcus Aurelius in 177 CE; ibid, VIII.12 - LCL pp. 167-69, concerning the martyrs
of 258 in Caesarea under Valentinian; ibid, VIII.7.5-7 - LCL p. 273 - the martyrdom of
five Christians in Tyre during these great persecutions; and that of Perpetua and Felicitas
in Carthage in the persecution of 203 CE under Septimius Severus: Passion de Perptue et
de Flicit (ed. J. Amat, Sources Chrtiennes 417) Paris1996; B. D. Shaw, The Passion of
Perpetua, Past and Present 139 (1993): 3-45. For a Hebrew translation of the Passion see:
A. Kleinberg, Fra Ginepros Leg of Pork, Tel Aviv 2000: 70-83.

336

J. PATRICH

The ludus
In the fifth year of the persecution (307), three young Christians, Timotheus, Theophilus and Theotimus,57 were condemned by Urbanus to take
part in pugilistic combat (Gr. ei monomacian epi pugmh katadikazei
- to contest in gladiatorial fights; Syr. lwdwn/ludus).58 The next year (308),
under governor Firmilianus, they refused to be nourished from the imperial
treasury (which attests that this was an imperial ludus, see below, not a municipal or private one), or to train and obey the epitropoi and hegoumenoi.
They were summoned to Maximinus himself, but to no avail.59 Back in the
law court of the governor, his verdict was that the right eye and left leg of
each of them be mutilated, and that they are to be sent to the mines.
The fact that the final sentence of the three martyrs was before Firmilianus, the provincial governor, indicates that the ludus under discussion,
and the entire affair, were in Palestine. It is reasonable to assume that this
ludus was located in Caesarea, no doubt in conjunction with the oval amphitheatre.
The ludus was a school or caserne for training gladiators. In the Roman
world there were three types of ludus, imperial, municipal, and private. The
references by Eusebius to the imperial treasury, and to Maximinus indicate
that the ludus under discussion was an imperial one, being a component in
the framework of the imperial munera, not a municipal establishment. Each
57. Their names are given only in the Menologia; see Bardy, p. 142, n. 7.
58. MP Gr. VII.4 and VIII.2-3 - Bardy pp. 142, 145; Syr. 26 and 30 - Cureton p. 24 and 28.

In the Rabbinic sources there are references also to Jews, including the 3rd c. sage Reish
Lakish, who sold themselves to the ludus (PT Gitt. IV 46b and 47a; Ter. VIII 45d; Pesikta
de Rav Kahana 12b). See also: M. Z. Brettler and M. Poliakoff, Rabbi Simeon ben Lakish
at the Gladiators Banquet: Rabbinic Observations on the Roman Arena, Harvard Theological Review 83 (1990) 93-98. It is reasonable to assume that this was the same ludus at
Caesarea.
59. The phrasing of Eusebius with reference to Maximinus seems to indicate that the latter
was in Palestine at that time, though not in Caesarea. Otherwise, if the three had been summoned to him in another province, once outside the jurisdiction of the provincial governor
of Palestine, they would have been sentenced abroad rather than being brought back to
Palestine. Was Maximinuss stay a continuous one, since celebrating his birthday in Caesarea on Nov. 20 306 (MP VI.1 - Bardy p. 138)? A terminus ante quem for their case being
brought before Maximinus is July 15 or 25 308 - MP Gr. VIII.5 and 12 - Bardy pp. 145
and 147 respectively. Leah di Segni is of the opinion that some details in the martyrdom
of the three martyrs under discussion, especially their summons to Maximinus, are void of
any historicity, since the narrative is structured according to that of Daniel and his three
companions, refusing to eat from the meat and wine allotted to them by Nebuchadnezzar
(Dan. 1:5-16). Although I am not sure whether her conclusion in this case is correct, I am
indebted to her for many other useful comments on the present article.

THE MARTYRS OF CAESAREA

337

imperial ludus was headed by a procurator ludorum, while this imperial


system as a whole was directed (in the Early Empire) by the procurator of
the Ludus Magnus in Rome.60
Bardy renders both epitropoi and hegoumenoi as governors, and similarly Cruse (p. 362).61 But Robert, Ville (and earlier Valesius) are right in
noting that the epitropoi, the equivalent of the Latin procuratores, were
those in charge of the ludus and their assistants.62 In Rome, the Ludus Magnus, and the Ludus Matutinus, or Bestiarius (for the practice of the bestiarii
- the hunters in the venationes, held in the mornings), were each headed
by a procurator. Outside Rome a Latin inscription mentions procur(ator)
ludi famil(iae) glad(iatoriae) Caes(aris) Alexandriae ad Aegyptum. 63 A
proc(urator) Aug(usti) familiae glad(iatoriae) is mentioned in a Latin inscription from Pergamon.64 Galen served as a physician at the Pergamon
ludus. Elsewhere we hear of a proc(urator) fam(iliarum) glad(iatoriarum),
or proc(urator) Aug(ustorum) ad famil(ias) gladiator(ias) in charge of sev60. L. Robert, Les gladiateurs dans lOrient grec, Limoges 1940 (reprint Amsterdam 1971):

267-68; H. G. Pflaum, Les procurateurs questres sous le haut-empire romain, Paris 1950,
p. 51; G. Ville, La gladiature en occident des origines la mort de Domitien, Rome 1981:
277-87, 295-306; J.-C. Golvin, Lamphithtre romain, Paris 1988: 148-56. In the eastern
provinces imperial ludi are known to have existed at Pergamon, Cyzicus, Ancyra, Thessalonike, and Alexandria. Robert, Pflaum, and Ville are aware of the reference to the ludus
in the MP (but not in the Rabbinic sources). See L. Robert, Hellenica III, p. 120-21; H. G.
Pflaum, Les carrires, p. 76; Ville, op. cit., p. 287, n. 140.
61. Eusebius refers regularly to the governor as hegemon - hJgemwn (MP Gr. VII.2 - p. 141),
but at times also as hegoumenos (MP Gr. VIII.1 - p. 144). But the event under discussion
took place after the abdication of Diocletian in May 1, 305, namely, in a post-reform period, when the province was already governed by a civil governor (praeses/hegemon), and
a military governor (dux), and not in the pre-reform system of double regime of a governor
and a financial procurator (Gr. - epitropos). This is another indication that Bardys translation (if meaning provincial governors) is wrong (see below). Pflaum also interprets these
epitropoi as the regional equestrian procurator and his adjoint affrachi. See Ville, end of
previous note.
62. For Robert, and Ville see supra, end of n. 60. These are Valesiuss words: He means,
as I judge, the Procurators of the company of gladiators and of the morning exercises ..
for the gladiators .. were committed to their care, and they gave them their allowances
out of their treasury (Ecclesiastical History, Eng. tr., p. 163, note b, apud Cureton, p. 66).
According to Robert, these are sans doute, le responsible provincial, ses adjoints et le
directeur de ludus.
63. CIL, X, 1685; Robert, supra, n. 60 (1971), inscr. 70: 124-125 (from Naples).
64. Robert, op. cit., inscr. 258, p. 215. In cities, like Aphrodisias, familiae (= troupes) of
gladiators and wild beasts fighters were maintained by the high-priests of the imperial cult,
in order to mount gladiatorial contests which were characteristic elements of the civic festivals of the cult. See Robert, op. cit., 56-64; Ch. Rouech, Performers and Partisans at
Aphrodisias in the Roman and Late Roman Periods (Leeds 1993): 61-80.

338

J. PATRICH

eral provinces in Asia Minor.65 An epitropos of a ludus is mentioned in two


Greek inscriptions, one from Ancyra, the other from Thessalonike.66 The
procurator ludorum (Latin), or epitropos loudon (Greek), and their staff
were in charge of recruiting gladiators for the imperial munera, training
and feeding them, providing all their needs from the imperial treasury, and
dispatching them to the imperial spectacles in Rome or elsewhere.67
The number of known structures throughout the Roman world that
might be identified as ludi is relatively small compared with the number of
amphitheatres (or amphitheatrical theatres).68 Some were rectilinear, with
a large courtyard that served as a training ground, surrounded by porticoes, dwelling rooms for the gladiators and their trainers, and offices. Any
wealthy mansion with a fairly spacious inner courtyard could have served
this purpose. In the more elaborate structures, like the Ludus Magnus and
Ludus Matutinus in Rome, an oval or circular arena was inserted into the
courtyard.
The location and shape of the ludus in Caesarea are not known, but
these Acts of Eusebius indicate that gladiatorial combats (munera) were
still a living practice in Caesarea in the early 4th century, and its ludus
constituted an integral component of the infrastructure established for the
imperial munera.
Several martyrs were condemned to be devoured by wild beasts: Auxentius, a venerable old man (5th year, 307),69 and the two last martyrs of Caesarea, Adrianus and Eubulus. Each was thrown to a lion and then put to death
by the sword. Their executions took place on March 5 and 7 310 CE, during

65. CIL, III, 6753 (from Ancyra), 6994 (from Prousa). See Robert, op. cit., p. 267, note 1.
66. Robert, op. cit.: 267-68, note 1. Pflaum (Carrires: 698-99) had suggested to read in

a Greek honorary inscription from Prusias (IGRom III, no. 1420; SEG XXVIII, no. 1043)
procurator ludorum (epitropon epi loudon) in the provinces of Phoenicia, Arabia, and Syria
Palaestina. But I. Piso, Chiron 8 (1978), p. 517 is of the opinion that the reference might
have been to the procurator vicesimae hereditatium (epitropon eikostes kleronomon), in
charge of the 5% tax on inheritances for these provinces. I owe the references to this inscription to Dr. Leah Di Segni.
67. P. Leipzig, 57 mentions the provision of clothing for the gladiators (Robert, op. cit., p.
125).
68. Golvin, supra, n. 60: 148-56; J.-C. Golvin and C. Landes, Amphithtres et gladiateurs,
Paris 1990: 156-159. They are not aware to the existence of an imperial ludus in Palestine,
located, most probably, in Caesarea.
69. MP Gr. VII.4 - Bardy p. 142, Syr. 26 - Cureton, p. 24. The name of the old man is
given only in the Gr. recension; Eusebius does not give the date in the year. The name is
not mentioned in the menologia.

THE MARTYRS OF CAESAREA

339

the feast of the local Tyche.70 But the arena in which the events took place is
not mentioned. Far more detailed is the case of Agapius (see below).
The reference to the feast of the local Tyche is of interest. Tyche is
depicted on many of the city coins as an Amazon-like figure holding a
spear or a standard in her left hand, and the emperors bust in the right.71
Similarly she is depicted in a marble statue, where her right leg is set on
the prow of a ship, and near her right leg a smaller half figure, depicting a
sea creature holding a harness, is shown.72 She is shown in this posture also
on a bronze cup with silver and enamel decorations, now at the Louvre, in
a scene of sacrifice before her, accompanied by the Latin inscription genio
colonia(e). Three other scenes on the cup portray the mythical foundation of Straton Tower - the Hellenistic city that preceded Caesarea.73 This
depiction of Tyche indicates her close association with the foundation of
the colony. The commemoration of this event might have been the actual
celebration in the feast mentioned by Eusebius. If so, a date ca. March 5-7
would be the date of the re-foundation of Caesarea as a Roman colony by
Vespasian in about 70 CE.74 This date remained unnoticed so far.
It would be reasonable to assume that the feast of the local Tyche
was celebrated in Caesarea annually. Did this feast regularly include fatal
spectacles in the arena? One would assume that gladiatorial combats (mu-

70. MP Gr. XI.30 - Bardy p. 168, Syr. 48 - Cureton, p. 45. The wild beasts, namely lions,

and the local feast of Tyche are mentioned only in the Gr. recension.
71. L. Kadman, The Coins of Caesarea Maritima [Corpus Nummorum Palaestinensium 2],
Tel Aviv Jerusalem 1957.
72. R. Gerst, The Tyche of Caesarea Maritima, Palestine Exploration Quarterly 116
(1984): 110-114; R. Wenning, Die Stadtgttin von Caesarea Maritima, Boreas 9 (1986),
113-29; K. G. Holum et al., King Herods Dream, New York and London 1988: 10-16, and
Ann Guida description of item 1 (Tyche statue), in the Catalogue of the Exhibition appended
(without page numbering) at the end of this book.
73. E. Will, La coupe de Csare de Palestine au Muse de Louvre, Monuments et mmoires 65 (1983): 1-24. The inscription agones ieroi in Latin characters on the rim of the
cup above the Tyche scene indicates that her feast included games, as is also indicated by
Eusebius. These games must have been different than the isactian games established by
Herod (see next note).
74. The inauguration of the Herodian city was in September - a different date, with a festival in honor of Augustus, after whom the city and its harbour were called. The games,
established as isactian games celebrated every four years, were related to the victory
of Augustus in the battle of Actium. For the date see: D. R. Schwartz, Caesarea and its
Isactium: Epigraphy, Numismatics and Herodian Chronology, in idem, Studies of the
Jewish Background of Christianity, Tbingen 1992: 167-81. I intend to examine elsewhere,
in more detail, the possible association of the feast under discussion with the foundation of
the Roman colony by Vespasian.

340

J. PATRICH

nera) and hunting spectacles (venationes), including execution of criminals


(see below), were indeed an integral part of this yearly feast, although it is
only for the year 310 that we are told that Christians underwent martyrdom
in the arena at that occasion. The dies imperii, celebrated annually on Nov.
20th (see below), was another occasion when such spectacles took place.
Agapius in the stadium
Agapius75 and Thecla, citizens of Gaza, were condemned there by governor Urbanus in the second year of the persecution (304) to be devoured
by wild beasts. They were dispatched to Caesarea and imprisoned there,
waiting for their future execution. On the occasion of a pagan public feast
celebrated in all the cities,76 there were horse races in the circus, a show
was performed in the theatre, and it was also customary to give a barbarous spectacle in the stadium (Syriac recension). According to the Greek
recension, governor Urbanus staged a hunting spectacle (kunhgesion).77
The rumor was that Agapius and Thecla, together with a group of Phrygians, where to be sent to the combat, so that they might be devoured by
the wild beasts, as a gift of governor Urbanus to the spectators. Six young
Christians had voluntarily addressed the governor on his way to the theatre, asking to be thrown to the wild beasts in the theatre78 together with
75. The Agapius under discussion should not be confused with another Agapius, a Gazaean

as well, brother of one of the six youngsters who was beheaded with them in the second
year of the persecutions (see below).
76. MP Gr. III.2 - p. 126; Syr. 11 - p. 10. The feast seems to be the dies imperii of year
304, celebrated on Nov. 20. See also HE VIII.13.9 - LCL pp. 298-99. The Vicennalia of
Diocletians reign was celebrated already in Nov. 20, 303, marking the beginning of the 20th
regnal year, rather than its end. It is mentioned in a Latin inscription from the limes fortress
of Yotvata in southern Palestine. See I. Roll, A Latin Imperial Inscription from the Time
of Diocletian Found at Yotvata, Israel Exploration Journal 39 (1989): 239-60 (I owe this
reference to Dr. Leah Di Segni). Agapius was martyred only in Nov. 20 306 (see below),
without Thecla. Her feast is on August 19, as is that of Timotheus, a martyr of Gaza. See
Bardy, ibid., p. 126 note 6.
77. MP Gr. III.3 - p. 127; Syr. 11 - p. 10. The term kunhgesion may cover every kind of
show involving wild animals: combats of animals with one another, armed men (venatores)
fighting and killing animals, men performing feints and tricks with the animals, and animals
attacking and killing convicts. See Rouech, Performers, 64. From the context it is clear
that the last category was included in the show under discussion.
78. The text says that the show of persecution was to be staged in the theatre, but it is clear
from the context that the arena of the kunhgesion - presumably the amphitheatre - is meant,
since the theatre of Caesarea was never equipped with installations required to hold munera
or venationes. See Golvin, supra n. 60: 246-47.

THE MARTYRS OF CAESAREA

341

Agapius and the others. They were put in prison for many days, until being
beheaded on March 24, 305.79
Kenygion is known in the Rabbinic sources as the place for hunting
performances (venationes).80 This was the name of the great amphitheatre
of Byzantium / Constantinople, erected by Septimius Severus. Such might
have been also the name of the Roman amphitheatre of Caesarea, though
there is no explicit indication of this. It is logical to assume that the hunting spectacle given by Urbanus in 304, in which Agapius, in the end did
not take part, was staged in the oval amphitheatre of Caesarea,81 the usual
arena for such a show.
The martyrdom of Agapius finally occured only in the fourth year of
the persecution, on the occasion of Maximinuss birthday (Nov. 20, 306),
celebrated by him personally in Caesarea.82 The event took place in the
stadium of Caesarea,83 not in the amphitheatre! Was the amphitheatre one
of the structures damaged seven months earlier, during the earthquake of
April 2, 306, its vaults being disintegrated? Only when this monument is
excavated might we be able to answer this question definitively.
On the occasion of the feast, celebrated in Maximinuss presence, the
people expected, according to Eusebius, that some extraordinary spectacle

79. MP Gr. III.1-3 - pp. 126-27, Syr. 11 - pp. 10-11.


80. See, for example, BT Avodah Zarah 18b; Yalkut Shimoni, Psalms, 613, and M. Jastrow,

A Dictionary of the Targumim, Talmud Babli, Yerushalmi and Midrshic Literature [reprint
1971], 1392.
81. A. Reifenberg, Caesarea: A Study in the Decline of a Town, Israel Exploration Journal 1 (195051) 2032; D. W. Roller, The Wilfrid Laurier University Survey of Northern
Caesarea Maritima, Levant 14 (1982) 90103. In a survey and in a sounding of a limited
scale excavated by Negev, few architectural fragments were found. See: A. Negev, Caesarea in the Roman Period, Mada 11 (1966) 144 [Hebrew]. The estimated size of the arena
is: 62 x 95 m.
82. The exact date of Maximinuss birthday is not known from any other source. It could
have been ca. Nov. 20, the dies imperii, rather than exactly on this date. See The Oxford
Dictionary of Byzantium (ed. A. Kazhdan and A.M. Talbot, New York and Oxford 1991),
p. 1322, although it cannot be excluded that Eusebius have misunderstood when saying that
Maximinuss birthday rather than a dies imperii, was the reason of the feast. In any case,
the presence of the Caesar have augmented the scale and splendor of the celebration, as is
clear from Eusebiuss narrative.
83. Similarly Polycarp was threatened by a Pagan and Jewish mob to be cast to a lion in
the stadium of Smyrna, escaping this fate only because the kynegesaic show was already
concluded - HE IV.15.16 and 25 - LCL pp. 346-47 and 350-51. He was martyred ca. 155.
The stadium of Smyrna disappeared. It is conjectured to have been located in its western
part. See E. Akurgal, Ancient Civilizations and Ruins of Turkey, Istanbul 1978, p. 122;
Golvin, supra, n. 60, p. 263.

342

J. PATRICH

be given, namely a Christian be cast into the theatre84 to be devoured by


the wild beasts. It had long been the practice that on the arrival of the emperor new and foreign presentations should be given, such as recitations,
remarkable shows of acrobatics, singing and music, display of exotic beasts
from India, Ethiopia, and other places, performances with wild beasts, and
gladiatorial shows.85
Roman spectacles were generally comprised of hunting shows (venationes) in the morning, gladiatorial combats (munera gladiatorum) in the
afternoon, and various other amusements, including the execution of criminals, in between. Hence their name - meridiani. The executions constituted
a component separate from the hunting shows in the day-long program.86
Agapius was dragged round about in the midst of the stadium (astdyn),
and a placard with his accusation - his being a Christian, was carried before him. A slave who had killed his master, who was also to be executed
in a similar manner in the stadium won clemency from the emperor, to
the applause of the entire audience, but not the martyr. While being led
round about in the stadium Agapius was asked to renounce his faith, but
he replied boldly and loudly, standing in the center of the stadium, that he
adhered firmly to his beliefs. Maximinus, enraged, gave orders for the wild
beasts to be released. A fierce she-bear rushed upon him and tore him with
her teeth. Still alive he was led back to prison for another day; then stones
were tied about him, and he was thrown into the sea.87 Silvanus, a veteran
soldier, priest, and later bishop of the Church of Gaza, also underwent his
first confession in the stadium of Caesarea, before being sent to the copper
mines (8th year- 310 CE).88
In the period under discussion Caesarea had four entertainment facilities: the theatre, Herods U-shaped amphitheatre nearby on the seashore,
the Roman circus on the eastern fringes of the city, and the oval amphitheatre to its north. Which of these was the stadium mentioned in the Acts
84. Sic. But the arena of his martyrdom was actually the stadium. See also n. 78 above.
85. MP Gr. VI.1-2 - Bardy p. 138, Syr. 21 - Cureton p. 19. According to the Gr. (VI.3, p.

139) Agapius was already led to the beasts in the second year, together with Thecla, and to
the stadium, with criminals, on more than three other occasions, but each time he was sent
back to the prison, after various threats from the judge, being reserved for later combats. It
is clear that the stadium was a regular place of execution for criminals.
86. Golvin and Landes, supra, n. 68: 18992.
87. MP Gr. VI.1-7 - Bardy: 138-40; Syr. 21-23 - Cureton: 19-21. For a placard with the accusation being carried before the martyr in the arena cf. HE V.1.44 - LCL p. 427, pertaining
to Attalus in the amphitheatre of Lyons.
88. MP Syr. 51 - p. 47 (astdyn).

THE MARTYRS OF CAESAREA

343

of Agapius and Silvanus? Without doubt, it was a landmark on the urban


landscape, known to all. The theatre and the circus might be excluded,
since they are mentioned by Eusebius as the venues of other shows. The
U-shaped amphitheatre of Herod and the oval structure are left.
As mentioned, the oval amphitheatre has not yet been properly explored. It is reasonable to assume that it was constructed in the second or third
century.89 On the other hand, Herods amphitheatre (Antiquities 15.341;
War 1.415) is quite well known, having been uncovered on the seashore
during the 1992-98 excavations (mostly by the IAA expedition headed by
Yosef Porath).90 Attached to the palace of Herod, which became the praetorium of the Roman governors, it was a U-shaped structure, comprising
an arena surrounded by seats on the east, south, and west. The estimated
capacity was 10.000 spectators. A southern gate under the sphendone gave
direct access from the praetorium to the arena. In its final phase, perhaps
in the mid-third century, the arena was truncated, and the southern third
of the structure was converted into a small amphitheatre. On that occasion
the loggia or pulvinar, occupied by the dignitaries, was removed from its
original location facing the center of the arena, and placed in the new center
of the cavea. The sacellum, the tiny shrine of this arena, was underneath.
Frescoes on the podium wall, depicting hunting scenes, are attributed by
Porath to this phase. Identifiable here are the deer, fox, wild boar, tiger, and
a right leg of a hunter.91 A subterranean system of tunnels was also installed
in the reduced amphitheatre.92
In that early period the term amphitheatre as used by Josephus indicated a multifunctional arena surrounded by seats for spectacles. There
89. A. Reifenberg, Archaeological Discoveries by Air Photographs in Israel, Archaeo-

logy 3 (1950), 40-46; idem, Caesarea: A Study in the Decline of a Town. IEJ 1 (1951)
20-32.
90. Y. Porath, Herods amphitheatre at Caesarea: a multipurpose entertainment building,
in J. H. Humphrey (ed.), The Roman and Byzantine Near East: some recent archaeological
research [Journal of Roman Archaeology Supplement Series 14] (Ann Arbor, MI 1995):
15-27, 269-72 (color pls.); idem., Herods amphitheatre at Caesarea (preliminary notice),
Atiqot 25 (1994): 11*-19* (Hebrew); idem., ESI 17 (1998) 40-41; idem., Herods Amphitheatre at Caesarea, Qadmoniot XXIX, No. 112 (1996): 93-99 (Hebrew); J. Patrich, The
Carceres of the Herodian Hippodrome/Stadium at Caesarea Maritima, Israel, Journal of
Roman Archaeology 14 (2001): 269-283.
91. Y. Porath, The Wall Paintings on the Podium of Herods amphitheatron, Caesarea,
Michmanim 14 (2000) 42-48, and color pl. 7 (Hebrew with an English summary on pp. 17*18*). The suggested dark-skinned elephant is actually a boar with a typical twisted tail.
92. The tunnel was never a part of a spina, as was suggested by Porath. See Patrich, supra
n. 92.

344

J. PATRICH

are other instances where Josephus confused the terms amphitheatre and
hippodrome. It had not yet assume the definitive meaning it acquired in
the later empire, as an arena intended just for Roman spectacles.93 In the
days of Pontius Pilate it was known as the Great Stadium of the city.94 I
maintain that from those early times it was a familiar landmark in the urban landscape, known by this name - the city stadium - to all inhabitants.
These included Eusebius and his fellow Christians, the addressees of his
long recension of The Martyrs of Palestine.
Since its inauguration, the performances staged therein, being a part of
the emperors cult, included gymnastic contests, horse and chariot races,
and Roman spectacles, namely munera and venationes. These shows, celebrated every four years, were known as isactian games, following their
institution by Herod in 10 BCE. A Greek inscription from Laudicea dated
to 221 CE indicates that these games continued to be celebrated in Caesarea
at least until that time. These contests presumably continued to be held in
that same arena due to their association with the emperors cult.95
A stadium is mentioned in many Greek epigrams from the eastern provinces as the arena of gladiatorial combats. Robert recognized that this was
a result of the metric difficulty of inserting amphitheatron in pentametric or
hexametric verses, yet he noted that this fact alone does not prove that the
combats actually took place in a stadium.96 On the other hand, Golvin indicated the paucity of oval amphitheatres in the eastern provinces,97 where mu-

93. On the ambiguity in applying technical terms to spectacle structures that existed in

the Late Hellenistic / Late Republican and Early Imperial periods see: J. Jeremias, Der
Taraxippos im Hippodrom von Caesarea Palaestinae, Zeitschrift des Deutschen PalstinaVereins 54 (1931) 279-89, pls. XII-XIII; J. Humphrey, Amphitheatrical Hippo-Stadia,
in: A. Raban and K. G. Holum (edd.), Caesarea Maritima. A Retrospective after Two Millennia (LeidenNew YorkKln 1996): 121-129, and Y. Porath, Herods amphitheatre at
Caesarea: a multipurpose entertainment building, supra, n. 92: 2327.
94. War 2.9, 3, 172; in Ant. 18.3, 1, 57, simply a stadium is mentioned. The context suggests
that the event took place near the Roman praetorium at the site of Herods palace, namely
in the Herodian entertainment structure under discussion.
95. J. Patrich, Herods Hippodrome/Stadium at Caesarea and the Games Conducted Therein, in L.V. Rutgers (ed.), What has Athens to Do with Jerusalem? Essays in Honor of Gideon
Foerster, P. Peeters, Louvain.
96. Robert, op. cit.: 21, 35.
97. They are somewhat more numerous in the provinces of Syria and Palestine, yet with
comparison to the western part of the empire the numbers are very small. Oval amphitheatres existed only at Pergamon and Cysicus in Asia Minor. In Syria and Palestine such
structures were erected in Antioch, Caesarea and Bostra, all provincial capitals. The case
of Eleutheropolis is exceptional. A small amphitheatre was constructed in Dura Europos,

THE MARTYRS OF CAESAREA

345

nera and venationes were staged mainly in elongated stadiums98 with one or
two sphendone at the short ends, or in mixed edifices.99 These were former
theatres converted into amphitheatres by raising the stage and erecting a podium wall under the cavea, delineating the orchestra, or by the construction
of a low barrier wall with poles for a protective net around the orchestra.
Stadiums were used in the East also as arenas for chariot races.100
Porath dated the shortening of the arena to the second century, and
related it to the construction of the eastern circus at that time.101 But my
excavation indicated that the arena was still functioning at its full length
in the early third century, when according to Porath the shortened complex
was already out of use.102
Moreover, there are good grounds to believe that the old stadium of
Caesarea was the arena of the Acts of Agapius and Silvanus, since its sacellum was converted into a martyrs chapel; this would have been possible
only following the persecutions.103 Three foundation stones for altar legs
an important Roman garrison. Those of Scythopolis and Neapolis were truncated hippodromes. No remains of the amphitheatre erected by Herod Agrippa in Berytus (Ant. XIX.7.5,
33537) were found. This might have been a wooden structure, as was common at that early
period in Rome. See: J. Patrich, Herods Theater in Jerusalem - A New Proposal, Israel
Exploration Journal, IEJ 52 (2002), pp. 231-239.
98. J. H. Humphrey, Roman Games, in: M. Grant and R. Kitzinger (eds.), Civilization
of the Ancient Mediterranean, Greece and Rome, II, New York 1988: 1153-65; P. Aupert,
Evolution et avatars dune forme architecturale, in: C. Landes et al. (eds.), Catalogue
de l'exposition: Le stade romain et ses spectacles, Lattes, Cedex 1994: 95-105; K. Welch,
Greek stadia and Roman spectacles: Asia, Athens, and the tomb of Herodes Atticus, Journal of Roman archaeology 11 (1998): 11727; idem, The Stadium at Aphrodisias, AJA
102 (1998): 54769. The reality of hunting scenes staged in a stadium, is also familiar in
the Rabbinic sources. See: M Bava Qamma 4, 4; cf. M Avodah Zarah 1, 7.
99. These were difices mixtes, thtres transforms, according to Golvin (supra, n.
60) 23749, 317; Golvin and Landes (supra, n. 68) 810, 2046; K. Welch, Negotiating
Roman Spectacle Architecture in the Greek world: Athens and Corinth, The Art of Ancient
Spectacles, Studies in the history of art, National Gallery of Art (Washington, D.C. 1999):
125-145.
100. J. H. Humphrey, Roman Circuses: Arenas for Chariot Racing, London 1985: 438ff;
idem, supra, n. 95.
101. Porath, Herods amphitheater [Qadmoniot] (supra n. 91), p. 99; idem, Herods
amphitheatre at Caesarea: a multipurpose entertainment building, 23.
102. For a presentation of the archaeological data see Patrich, supra, n. 92. Porath seems
therefore to be wrong in the chronology he gave in his preliminary reports. We'll have to
wait for the final report to be able to evaluate his claim on the basis of the archaeological
small finds and stratigraphy, which have not been presented so far.
103. Also the sacellum in the amphitheatre of Salona was converted into a Christian chapel
in the 4th c. See: E. Dyggve, Recherches Salone, II, Beograd 1933: 1027.

346

J. PATRICH

were found in situ, a common find in chapels and churches. At least some
of the niches carved in the rock wall are apparently from this phase. In
any event, the large niche in the middle room, the aedicule of the pagan
sacellum, certainly functioned in this phase as an apsidal niche, and the
elongated niches in the side rooms to the north and to the south seem to
be loculi for the emplacement of martyrs remains, as was the case in the
Christian catacombs in Rome.104
There is no reason at all to assume that the oval amphitheatre, constructed solely for Roman spectacles, was also known locally as the city
stadium, when an earlier structure in the city, Herods amphitheatre, still
functioning simultaneously with it,105 was already known by this name.
Thus we may conclude that Eusebiuss stadium is the same structure
mentioned by Josephus by that name. This was the arena of the Acts of
Agapius, and the pulvinar exposed above the sacellum was the loggia
where Caesar Maximinus and governor Urbanus sat watching Agapius
martyrdom in the arena.
The stadium, together with the adjacent praetorium with its prison and
law court, constitute the venue where many of the Acts of the Martyrs of
Caesarea took place.106
Joseph Patrich
Hebrew University of Jerusalem, Institute of Archaeology

104. See, for example: V. F. Nicolai, F. Bisconti, and D. Mazzoleni, The Christian catacom-

bs of Rome (Regensburg 1999); L. Rutgers, Subterranean Rome. In Search of the Origins


of Christianity in the Catacombs of the Eternal City (Peeters, 2000).
105. If the Roman oval amphitheatre was constructed already in the 2nd c., as is assumed,
Porath also would agree that at least during that century both structures had functioned
simultaneously.
106. Thanks are due to Prof. I.L. Levine of the Hebrew University of Jerusalem for his
useful comments to this article.

THE MELAGRIA:
ON ANCHORITES AND EDIBLE ROOTS
IN JUDAEAN DESERT

R. Rubin

In the early monastic movement of the Pre-Byzantine and Byzantine period, different types of monastic life coexisted side by side. The main three
types were the Coenobium - the communal monastery; the Anachoresis or
hermits life; and the Laura, where the monks stayed each one in his cell in
solitude, for five days a week, and gathered for common prayer, meal and
study during Saturday and Sunday.
Anchorites used to wander out alone into the desert for varying lengths
of time. They lived out in the wilderness, independent of any form of civilized infra-structure and survived solely on the meagre plant offerings of the
desert. Historical sources, mainly hagiograpies, depicting the lives of the
Egyptian desert monks, contain numerous and extravagant descriptions of
monks living among and in a manner kindred to the desert beasts.1 Similar
accounts are found in hagiographical essays on the lives of the Sinai and
the Syrian Desert monks.2
Content to survive solely on wild flowers and plants, such Anchorites
are known in Greek literary sources as Boskos (Boskov"). The term has
a dual meaning: Boskos is the Greek word for shepherd, but, it can also
be employed as an adverb - grazer - describing one whose sole source of
nourishment is wild plants.3 The Syrian term raaia, also used in reference
to anchorite monks, has a similar dual meaning.4

1. E. A. Wallis Budge (Trans.), The Book of Paradise, Being the Histories and Sayings

of the Monks and Ascetics of the Egyptian Desert by Palladius, Hieronymus and others,
London 1904, I, 358-365.
2. About Syria see: A. Vbus, History of Asceticism in the Syrian Orient, II (Corpus
Scriptorum Christianorum Orientalium 196, 17), Louvain 1960, 22-28. About Sinai, see:
Sulpicius Severus, ed. C. Halm, Vindobonae 1866, Dialogus I, 17, pp. 169-170; Paphnutios,
Vita Onuphrii, PL 73, 211-222.
3. J. Wortley, Grazers (boskoiv) in the Judaean Desert, J. Patrich (ed.), The Sabaite Heritage in the Orthodox Church from the Fifth Century to the Present (Orientalia Lovaniensia
Analecta), Leuven 2000, 37-48.
4. See Vbus, 24-25.
LA 52 (2002) 347-352; Pls. 11-12

348

R. RUBIN

In the Judaean desert, many laurites indulged, so the sources revealed,


in anchorite practises.5 Typically, such narratives begin with the words: a
certain monk was feeding on grass by the [river] Jordan.6 Among those
laurites of Judaean Desert it was a common practise to pursue anchorite ways
for a limited period of time, often during the forty day fast period which
precedes Easter. Then, a large number of monks, singly or in small groups,
used to venture out deep into the utter desert. There they fasted and mortified
their flesh. At these periods of wanderings they lived as boskoi and their sole
source of food were the plants growing wild in the desert.
Most of the historical information on the lives of the anchorites monks
survived in hagiograpies which are tendentious in character. Their sole purpose is of-course to praise the anchorites and glorify anchorite practises.
They do so by highlighting the monks virtuous nature and holy qualities,
and portray the monks as saints. A more sober factual analysis of these documents, may discover whether their authors permitted themselves a large
measure of literary license or whether the descriptions are, to a degree,
authentic and based in reality. Comparing these descriptions to the actual
geographical and botanical reality of the Judaean desert, may help discover
the true balance between fact and fiction. In this context, questions such
as: does the desert contain edible wild plants, and in sufficient numbers, to
allow the anchorites to survive for lengthy periods of time? Can the plants
which, according to these sources, the monks ate be identified? and if so
are they as indigenous to the area? are particularly relevant, and will be
examined in the following short commentary.
The Evidence of the Documentary Sources
Cyril of Scythopolis, in his account of the life of Saint Euthymius describes the Saints first experience of retreat into the desert. Accompanied by
Theoctistus, Euthymius wandered far into the heart of the Koutila desert.
Once in the desert, the two friends came across a cave where they remained surviving on plants that grew in the area.7 Theoctistus was later
5. For a general discription and discussion of the monks daily life in Judaean Desert see

Y. Hirschfeld, The Judean Desert Monasteries in the Byzantine Period, New Haven and
London 1992. A special note about their food and diet there, pp. 82-91.
6. See for example Wallis Budge, 369.
7. Kyrillos von Skythopolis (E. Schwarz ed.), Leipzig 1939, Vita Sancti Euthymii, 8 (p.
15). Cyril of Scythopolis, The Lives of the Monks of Palestine, Translated by R. M. Price,
Kalamazoo Michigan 1991, 11.

THE MELAGRIA

349

to found a coenobium on this site, known today as Deir al-Mukalik. It


was much the same story, when some years later, Euthymius, this time
accompanied by his disciple Domitianus, ventured into the Rouba desert.
The two, according to Cyril were content to consume the plants that lay
in their path, including the Maluah plant (Malw'a).8
Some of the plants the monks ate while in the desert are identified
in the documents by their names. Saint Sabas, the documentary sources
note, ate Hearts of Reed (kardiva" kalavmwn),9 Manouthion, as well as
the aforementioned Maluah.10
Another plant - Melagria (Melavgria) - whose roots formed one of the
monks principle source of nourishment, is referred to several times,11 but
current botanical literature did not suggest any identification. However,
its descriptions offered in the sources may help identify it.
During the 5th century BC, Euthymius emerged as the leader of
Judaean desert monks. In this role, he instituted the anchorite practise
of going out into desert for the forty days period of fasting and solitude, prior to Easter. Indeed, it is in this season that Judaean Desert can
offer a fairly rich vegetation which will dry soon in April. The monks,
alone or in small groups, used to wander the desert and survive solely
on what nature had to offer. This anchorite interlude was also often used
to consolidate and deepen the ties between the Abbot and his prized
disciples.
On one of these occasions, Euthymius and his old and valued disciple
Domitianus set out into the heart of the desert. They were accompanied by
four younger monks who were eventually to become the next generations
spiritual and ecclesiastic leaders. They were Martyrius and Elias, the future patriarchs of Jerusalem, and Sabas and Gerasimos who would head
the monastic movement in the desert. At one point, young Sabas become
so overwhelmed by thirst, that he could no longer even move. Euthymius,
who always carried with him a small spade (mikro;n skalivdion) with
which he used to dig up the edible roots of the Melagria, began digging

8. Cyril, Vita Eutymii, 11 (Schwarz, pp. 21-22; Price p. 17); Vita Eutymii, 56 (Schwarz, pp.

77; Price p. 75). About the Maluah - Atriplex halimus, as an edible plant see: A. Alon (Ed.),
Plants and Animals of the Land of Israel , vol. 10, Tel Aviv 1983, 59 (Hebrew).
9. Cyril, Vita Sabas, 13 (Schwarz, p. 96, Price p. 105)
10. For possible identification of the Manouthion see Hirschfeld, The Judean Desert Monasteries, 89.
11. Cyril, Vita Sabas, 13 (Schwarz, p. 96, Price p. 105); Vita Joannes, 11, (Schwarz, p.
209, Price p. 228)

350

R. RUBIN

for water in order to quench the suffering Sabas thirst. Eventually, he


struck water and saved young Sabas life.12
Euthymius extraordinary, miraculous discovery of water in the middle
of the arid desert, is the heart of the tale. It is, in fact its principle purpose.
However, a few additional and useful facts can also be gleaned from the
narrative. First, it is apparent that the Anchorites used to dig up edible
roots. Indeed, the source specifically name the plant whose roots the monks
ate: the Melagria. Second, excavating and discovering water in the alluvium layer of desert streams is not unprecedented. Desert nomads are well
acquainted with this practise, known in Arabic as Temila.13 In any event,
miraculous or not, it is clear evidence of Euthymius expert knowledge of
desert life, concerning digging up water and obtainning edible plants.
Another interesting source describes one of the wanderings of St.
Cyriacos, in the Natoupha desert, in the company of one of his disciples.
Failing to find any Melagria, the Saint and his disciple became famished.
St. Cyriacos, instructed his disciple to gather some Skilla bulbs, boil them
for a long time and then, but only then, to eat them. Some time later, a man
hailing from the town of Tekoah called upon St. Cyriacos and his disciple.
The man brought with him as a donation a donkey laden with fresh bread,
thus providing the two with abundant food. Nonetheless, the pious disciple
naively continued to boil and eat Skilla bulbs. As a result, he fell gravely
ill and was saved solely thanks to the saints prayers.14
The above narrative contains two details which help identify the Melagria plant. First, it is clear that St. Cyriacos knew, as did Cyril of Scythopolis and his readers, that the Skilla plant is highly poisonous, and its bulbs
are inedible. The story tries to persuade the reader that it was only due to
the Saints holy powers, and only when they had nothing else to eat, that
the disciple was able, by boiling them, to transform them into something
remotely edible. Second, according to this narrative, the Skilla clearly resembles the Melgaria, and so provides a clue as to latters identity. The
question is therefore: whether there is in the Judaean desert a plant which
resembles the Skilla, whose roots are edible and nutritious and which can
be found in large numbers. The one plant which answers all three criteria
is the Asphodel.

12. Cyril, Vita Eutymii, 38 (Schwarz, pp. 56-57; Price pp. 53-54); Vita Sabas, 11 (Schwarz,

pp. 94-95; Price p. 103).


13. E. Mazor, Geology with an Israeli Hammer, Tel-Aviv 1980, 299 (Hebrew)
14. Cyril, Vita St. Cyriaci, 8-9 (ed. Schwarz, pp. 227-228; trans. Price pp. 250-251)

THE MELAGRIA

351

Both the Skilla (Ureginea Martitima) and the Asphodel (Asphodelus


Microcarpus) are members of the vast Lily family (Liliaceae).15 There are
several notable differences between the two plants. The Skilla has a bulb;
it flowers in autumn; and its leaves, which are rather wide, emerge later
in the year. The Asphodel, has no bulb, and flowers in late winter early
spring, its narrow leaves appearing at the same time. Nonetheless, to the
non-professional, i.e., the non-botanist eye, the two plants strongly resemble each other. Both sport clusters of green leaves which rise directly from
the ground; both possess a tall vertical stem which is completely bare of
leaves; and both can be found in great numbers alongside the chalk hillsides common to the Judaean desert. The names of the two plants in spoken
Arabic is also evidence of their striking, if superficial, resemblance. The
Skilla is known as Buzil or Buzil Alfar, while the Asphodel, despite
having no bulb, is called Buzil Rafia.16
The Asphodels leaves are poisonous, and so studiously avoided by
the desert animals, both domestic and wild. Graze proof, the asphodel is
particularly prevalent in areas of intensive grazing. Flowering in late winter
early spring, it dominates the desert scenery during the forty day fasting
period before Easter. The vast carpets of Asphodel which cover the hills of
the Judaean desert during this time offer an impressive sight.
The roots of the Asphodel, unlike its poisonous leaves, are edible. But
they are fairly deep and not accessible to most animals. Providing a starch
and inulin rich food, they can also be used to brew drink. The Skilla bulb,
by contrast, is not only toxic, but contains microscopic needles, which will
critically perforate the stomach of anyone trying to eat it. Hence, it seems
reasonable to conclude that the Melagria mentioned in the monastic hagiographies should be identified with the Asphodel, indigenous to the Judaean
desert, whose roots, easily available to the anchorites spades, are edible
and nutritious, but which otherwise resembles the deadly Skilla.
Other than identifying the Melagria plant the above short commentary
throws some light on a wider issue. As noted the monastic sources, especially the hagiographies, aim at glorifying monastic life. They highlight
and praise the monks willingness and desire to survive on the bare minimum, and their ability to perform miracles. Yet, these essentially morally

15. A. Alon (ed.), Plants and Animals of the Land of Israel, Vol. 11, Tel-Aviv 1983

(Hebrew). About the Asphodel see pp. 196-197, and about the Skillas pp. 215-216
16. A. Dafni, Wild Edible Plants, Tel Aviv 1984, 95 (Hebrew)

352

R. RUBIN

edifying, instructive tales are nonetheless grounded in fact. This is amply


demonstrated by their authentic descriptions of the desert scenery and plant
life. Further, the tales reveal that the desert fathers were well acquainted
with the desert. The monks had clearly adapted to the difficult arid desert
surroundings, and were familiar with the various techniques of surviving in
the desert. They knew, as every desert nomad does, how to find water and
food even in the most remote and harsh corners of the desert.
Rehav Rubin
Department of Geography, Hebrew University of Jerusalem

A MANSION HOUSE
FROM THE LATE BYZANTINE-UMAYYAD PERIOD
IN BETH SHEAN-SCYTHOPOLIS

O. Sion A. Said

This paper presents the architectural history of a peristyle type mansion


that reflects the vagaries of the fortunes of the provincial city of Scythopolis in its latest classical and immediately post-classical phases. One of only
nine buildings of this type known within the region from classical times, it
appears to be a local variation and its latest exponent. In its earlier phase
this rather opulent residence, perched atop a slope above the Jordan River
and positioned so as to face the imposing heights of Biblical Gilead to the
east mirrors the prosperity of the sixth century CE city. Located without
the city walls, the mansion notably incorporated a family tomb that allows
us to identify the owners as Christians. A later phase of this same building,
dated to the Umayyad period indicates a rather sharp decline in the citys
fortunes following the devastating earthquake of 749 CE. Much of the earlier opulent character of the building was lost and additional rooms were
built, causing a reduction in the size of the public areas of the house.
There is, in addition, the likelihood that the changes wrought upon this
structure also reflect the religious persuasion of its owners, now thought
to be Moslems.
Introduction
The site, that became a mabarah (transitional camp for new immigrants)
in the 1950s, was destroyed and covered by a heap of refuse that sealed
mansions from the late Byzantine and Umayyad period (Photos. 1-2).1

1. The excavations were conducted during June-October 1998 on behalf of the Israel Anti-

quities Authority at a site intended for the construction of a youth hostel, and were funded
by the Beit Shean municipality. They were directed by O. Sion, with the participation of
A. Said, A. Nagorski, M. Cohen, H. Barbah, D. Atrash (area management), Y. Yaakobi, and
Y. Jim (administration), V. Asman, S. Pirski, V. Shor, and M. Konen (surveying), S. and D.
Mandara (photographs), G. Bikhovsky (numismatics), D. Sredayev (metals), A. Bashlov
(sketches), T. Kornfeld (reconstruction), A. Lidski (drawings of the finds), and A. Altmark
(metal analysis).
LA 52 (2002) 353-366; Pls. 13-14

354

Fig 1 Site map.

O. SION A. SAID

A MANSION HOUSE

355

The mansion is situated to the east of the main Jericho-Tiberias road


(Fig. 1),2 topping the slope that overlooks the Jordan Valley, and at the foot
of Mount Gilead. It was built in the late Byzantine-Umayyad period and
was destroyed in an earthquake in 749, a period of some 150 years in which
Byzantine rule was replaced by that of the Umayyads.
The History of the Mansion
In the early fifth century CE Beth Shean-Scythopolis became the capital
of Palestina Secunda, and as such it was an important administrative and
economic center of the Jezreel Valley, Lower Galilee, the northern Gilead,
and the Golan.3
The citys population included Christians, Jews, and Samaritans;4 most
of the citys pagan inhabitants had adopted Christianity in the fourth-fifth
centuries. The tomb uncovered during the excavations (Figs. 2, 4 - in the
center of the burial plot)5 was built during this phase. Monogram X-P, that
was illustrated with a fresco close to the opening, attests to the Christian
identity of the owners of the cave. Monograms with the letters alpha and
omega did not come into use in the Christian world before the fourth century.6
In the sixth century CE the city extended over an area of some 370
acres, with a population of 30-50,000 residents. The 4.5 m thick city wall,
that had been built in the preceding century, clearly defined the city limits,

2. For the source of the illustration, see: D. Avshalom-Gorni, A Burial Cave of the Byzan-

tine Period at Bet Shean, Atiqot 39 (2000) 59*; the reconstruction of the southern part
of the ancient wall follows N. Zori, An Archaeological Survey of the Beth-Shean Valley,
in The Beth Shean Valley: The 17th Archaeological Convention, Jerusalem 1962, 135-90
(Hebrew).
3. Y. Dan, Social Life in Eretz Israel in Byzantine Period, Ph.D. diss., Hebrew University,
Jerusalem 1977, 144 nn. 72-74 (Hebrew).
4. L. Di Segni, Scythopolis (Bet Shean) during the Samaritan Rebellion of 529 C.E.,
in: D. Jacoby - Y. Tsafrir (eds.), Jews, Samaritans and Christians in Byzantine Palestine,
Jerusalem 1988, 217-27 (Hebrew).
5. The cave belongs to the Roman-Byzantine burial area that was identified by Zori, Archaeological Survey, p. 187, Ill. 12; a number of tombs were uncovered in this area and
were included in the plan by Avshalom-Gorni, Burial Cave, 59* and bibliography.
6. V. Tzaferis, Christian Symbols of the 4th Century and the Church Fathers, Ph.D. diss.,
Hebrew University, Jerusalem 1971, 46 (Hebrew).

356

O. SION A. SAID

and its six gates were connected by a system of Roman-period roads that
remained in use in the Byzantine period.7
The mansion that was unearthed at the site was built in the late sixth or
early seventh century CE, a few years before, or slightly after, the Persian
conquest of the Land of Israel in 614 (see below).
The Structure in the Late Byzantine-Umayyad Period
The site location was dictated by the tomb that was unearthed there. The
placement of the tomb and the ashlar structure by themselves,8 in the center of the bounded area, and the construction of an impressive gate to the
south, all attest to a family burial plot that continued to serve the builders
of the site.
The change in the plots usage, from tomb to construction, and the incorporation of the tombs between the structures is indicative of a possible
family connection between the owners of the structures and those interred
in this phase.
The excavations of the structure revealed residential rooms, storerooms,
service rooms, a triclinium, and a rectangular courtyard with a colonnade
along its length. Such structures are known as peristyle court houses.9
The structure (Figs. 2, 4) is divided into two wings: administrative and
dwelling, each with its own entrance. The former comprised a courtyard
(Fig. 2D), storerooms (B), and service rooms (C), and the latter, a tricli7. Y. Tsafrir - G. Foerster, From Byzantine Scythopolis to Arab Baysan - Changing Urban

Concepts, Cathedra 64 (1992) 3-30 (Hebrew); Idem, The Hebrew University Excavations
at Beth-Shean, 1980-1994, Qadmoniyot 107-108 (1995) 93-116 (Hebrew); G. Mazor - R.
Bar-Natan, Scythopolis - Capital of Palestina Secunda, Qadmoniyot 107-108 (1995) 11737 (Hebrew); Idem, The Bet Shean Excavation Project - 1992-1994: IAA Expedition,
Hadashot Arkheologiyot 105 (1996) 7-34 (Hebrew); Y. Tsafrir - G. Foerster, Urbanism at
Scythopolis-Bet Shean in the Fourth to Seventh Centuries, Dumbarton Oaks Papers 51
(1997) 85-146. For the system of roads that passed through the city, see B. H. Isaac - I. Roll,
Milestone of A.D. 69 from Judaea. The Elder Trajan and Vespasian, Journal of Roman
Studies 66 (1976) 15-19; B. H. Isaac, Milestones in Judea, from Vespasian to Constantine,
PEQS 110 (1978) 46-60; Y. Tsafrir - L. Di Segni - J. Green (eds.), Tabula Imperii Romani
Judaea Palastina, Jerusalem 1994, North Map.
8. The ashlar structure (2.71 X 3.34 m.) is situated approx. 2 m. to the north of the staircase
leading to the tomb. Its ashlar stones are preserved to a height of three courses. Several
possibilities have been raised regarding its function: a tombstone, a mausoleum base, or a
gate pier.
9. For an extensive discussion of the peristyle court houses, see Y. Hirschfeld, The Palestinian Dwelling, Jerusalem 1995, 85-97.

Fig. 2 Structure plan (first phase)

Fig. 3 Structure plan (first phase)

A MANSION HOUSE

359

nium and the residential quarters (E). Access to the administrative wing
was afforded by an entrance in the southern outer wall (201). The entranceway unit (A), from which passages lead to the other parts of the wing,
includes a short entry corridor and a corner room.
The storerooms unit (B), that is close to the eastern wall of the structure, contains two rooms (10, 11). The large size of between them (1.8 m),
and their location in the wall of the structure, led us to characterize this
unit as a storeroom unit.
Close to the southern wall of the structure is the service rooms unit
(C), that consists of two rooms (8 and 9), covering a total area of 30 sq. m
The unroofed courtyard (D) is rectangular in shape, 5.5 m in width, and at
least 15 m long. The row of columns, of which two are preserved in situ
and another fallen, extends the length of the center of the courtyard. The
stumps remaining from these columns apparently supported an exedra on
the second story. The mosaic pavement that was uncovered in the northwestern part of the courtyard, to the west of the row of columns, probably
extended the entire length of the courtyard. A black rope ornament provides
a decorative border along the four edges of the mosaic.
The residential wing, that is located in the western wall of the structure, contains a triclinium and living quarters. The triclinium (E) is roofed
by wooden beams supported by two piers and a traversing arch built from
wall to wall. The four residential rooms are situated in this wing, two to
the north of the triclinium and to its south. Based on the symmetric nature of the structure and the location of the entrances in the center of the
triclinium, it may be assumed that these rooms were equal in size.10 The
mosaic pavement found in the southeastern room (Fig. 2:7), that attests
to its singular nature, mosaic contains a single carpet encompassed by a
frame decorated with triangles fashioned of black dentils, in the center of
which is a palm tree whose fronds point upwards, with four clusters of
dates between them.
The Persian Conquest and Umayyad Rule
The Persian Sassanid conquest severed the city of Beth Shean from the
center of Byzantine rule for a period of fourteen years, the depletion of the
imperial treasury, and a decrease in urban supervision, but did not radically
10. Excavation restraints precluded the unearthing of the northern part of the structure.

360

O. SION A. SAID

change the urban landscape of the city, nor was there a lack of continuity
in the transition from the Byzantine period to the Umayyad period, when
the city voluntarily surrendered. The terms of the Damascus capitulation
governing the citys surrender granted the conquerors taxes and half of the
citys houses.11 During the Umayyad period the city was renamed Beisan.12
The Persian Sassanid conquest and/or the transition to the Umayyad period
may very well have been the causes of the architectural changes in the
second phase of the mansion (the Umayyad phase), that continued until
the earthquake in 749.
The Structure during the Umayyad Period
The architectural changes experienced by the burial plot attest to a change
in the attitude to the tombs: the new residents had no connection with the
interred, the graves were covered with heaps of refuse, and the tomb area
probably became a work area.
Many alterations were introduced into in the structure, parallel to the
changes in the burial plot. The main change consisted of the merging of
the courtyard and the triclinium, thereby connecting the residential wing
and the service area (Figs. 3, 5). Units A, B, and C from the previous phase
remained unchanged. The entrance in the southern wall from the Byzantine period now became the main entrance, since the western entrance was
transformed into an internal passageway. Except for minor changes, the
courtyard (D) remained the same. The construction of the eastern piers of
the triclinium reduced the area of the courtyard, and the mosaic along its
western wall was damaged. The row of columns from the first phase continued to bear the exedra on the second story. Most of the changes were
introduced in the northwestern part of the structure. The new triclinium
(E) was extended by one meter to the east, and was roofed by wooden
beams resting on a traversing system of piers and arches: three pairs of
piers bore arches with an aperture of 4.5 m. Three open cells (Fig. 3:7-9),
each measuring 1.5 X 1.5 m, that were dictated in the plan of the structure
by the roofing of the triclinium with stone arches supported by piers, were
discovered in the southern part of the triclinium. Another striking change
11. Tsafrir and Foerster, From Byzantine Scythopolis to Arab Baysan, pp. 22-26; Idem,

The Hebrew University Excavations at Beth-Shean, p. 109; Idem, Urbanism at Scythopolis-Bet Shean, p. 145.
12. Tsafrir - Foerster, The Hebrew University Excavations at Beth-Shean, p. 110.

A MANSION HOUSE

361

during this phase consisted of the construction of a semicircular room to


the west of the triclinium.
The history of the structure from its establishment in the Umayyad
period until the earthquake in 749 was characterized by the subdivision
of the existing rooms and the addition of other rooms, with most of these
changes occurring in the service and dwelling areas (C). The area of the
open courtyard (D) was halved.
The earthquake put an end to the mansion. The mounds of ruins that
were leveled in the Abbasid period became the pavements of two or three
simple courtyard houses, a description of which is not pertinent to the
current survey.
The Hoard of Gold Coins
A small pottery cruse containing 751 gold coins (Photo 3) was discovered
approx. 0.35 m below the rammed earth pavement of the northwest corner
of the southern storeroom (Fig. 3:10), that was used by the inhabitants of
the structure from its establishment until its destruction in the earthquake.
The 751 coins of the hoard13 are each in the value of a solidus, with
an average weight of 4.50 gr. The total weight of the hoard, some 3.400
kg, attests to the great wealth that was accumulated by the residents of the
house.
These coins were minted by the Byzantine emperors: Focas (603-610),
95 coins; Heraclius (610-641), 382 coins; Constans II (641-668), 216 coins;
and Constans IV (668-685), 55 coins.
The latest coins, those of Constans IV, that are dated to the years 674681, teach that the hoard was concealed not before the 680s, about a decade
before the monetary reform of Abd al-Malik in 696/697. This caliph imposed punishments for the use of Byzantine coins, and ordered that they be
returned to the central treasury to be melted down for reuse. The coins of
the hoard might have been concealed for fear of their confiscation.
The hoard indicates that Byzantine coins remained in circulation after
the Arab conquest in 640, at least until the time of Abd al-Maliks reform.

13. The numismatic report from the excavations was written by G. Bijovsky, who added the

following, for which I am grateful. Cf. G. Bijovsky, A Hoard of Byzantine Solidi from Bet
Shean in the Umayyad Period, Revue numismatique, 158 (2002) 161-227.

362

O. SION A. SAID

Discussion and Summary


The finds unearthed in the excavations conducted on the outskirts of
the city of Scythopolis included a mansion, that was built in the Byzantine- Umayyad period and destroyed in the earthquake of 749. The
following discussion focuses on two issues: (1) the general location of
the site, and especially in relation to the city wall; and (2) the structure
types.
The Site Location
The excavation site is located on the eastern outskirts of the city of Beit
Shean (Fig. 1). No archaeological remains were discovered in the surveys
and soundings that we conducted to the east of the site. The boundary of
the area in which the antiquities were found is only some 30 m to the east
of the perimeter of the excavations.
During the Byzantine period (fifth century CE),14 the city was surrounded by a wall that was 2.5 m wide, on average, with an estimated length
of 4.5 km. The general course of the wall is known (with the exception
of its southern part), since it is visible at ground level. The wall begins
at the northeast gate whose piers are incorporated in the gate, through
Tell Istaba behind the Kyria Maria monastery, and then, in its western
part, to Nahal Harod,15 before continuing southward, as it circumvents the
amphitheater and the adjoining neighborhoods. The southern part of the
wall is doubtful, except for the excavation of the possible round tower(?)
that is located in the main street, in the southern part of the modern day
Beit Shean.16
In light of the fact that the city wall was not uncovered in the excavations or to the east of them, it may be assumed that it is located under, and
along the route of, the main thoroughfare of the present day city,17 as is
attested by the artificial step to the immediate east of the road - assuming
that the wall did, in fact, continue southward.

14. Mazor - Bar-Natan, Scythopolis - Capital of Palestina Secunda, p. 119.


15. See Tsafrir - Foerster, Urbanism at Scythopolis-Bet Shean, Fig. 6.
16. Ibid., p. 102 n. 71.
17. See Fig. 1, Proposed course of the wall.

A MANSION HOUSE

363

The Structure Types


The ancient dwellings in the Land of Israel can be classified as simple houses, complex houses, and courtyard houses, all of which had a courtyard
that was built in accordance with the needs of their inhabitants.18 In the
simple house, the courtyard is alongside the house. The complex house is
an expansion of the simple type, to which additional dwelling rooms and
courtyards are attached. The courtyard houses were built, from the outset,
around an inner courtyard; they were well planned, and the resources they
required limited them to people with means.
Two types of courtyard house from the Roman-Byzantine period were
discovered in the Land of Israel, one with a simple inner courtyard, and
the other, a house with a colonnaded courtyard. The latter was also called
an atrium or peristyle house. Simple courtyard houses were common
throughout the Land of Israel,19 unlike the peristyle houses, only a few of
which have come to light.20
The structure was partly excavated, and the unearthing of its southern
corners and the western entrance in the center of the triclinium enabled
us to propose a reconstruction for its northern part (Fig. 4). The two northern rooms in the triclinium (Fig. 2:1, 2) were reconstructed in the same
dimensions as the parallel rooms to the south, while the distance between
the western entrance and the corner of the structure (13.2 m) was also
estimated in the north, due to the symmetrical plan of the structure. These
data indicate a gap of a single row of rooms that was not uncovered in the
excavations. The building covers an excavated area of 400 sq. m, and 500
sq. m according to the reconstruction.21
According to the proposed reconstruction, the building contained two
stories. The staircase that led to the upper story, that was not discovered in
the excavations, was apparently located in the north or northwestern walls,
that were not excavated.
In the Byzantine phase (Fig. 2), the reconstruction places the courtyard
in the center of the structure, connected to the storage and service wing,
and separate from the residential rooms. Its unroofed section was paved
18. Y. Tsafrir, Eretz Israel from the Destruction of the Second Temple to the Muslim Con-

quest, vol. 2: Archaeology and Art, Jerusalem 1984, 307 (Hebrew).


19. Hirschfeld, The Palestinian Dwelling, 101.
20. Ibid., 85-97.
21. The part to the west of Wall 209 (Fig. 2), for which we lack data, was not taken into
consideration.

364

O. SION A. SAID

Fig. 4 Structure reconstruction (first phase)

Fig. 5 Structure reconstruction (second phase)

A MANSION HOUSE

365

with stone slabs, while its western part boasted a mosaic pavement, and
had a wooden roof that rested on stone columns and that both afforded
protection from the rain and supported the exedra. The front exedra-porch,
that was borne by the columns of the courtyard, was located at the level of
the second story, and offered convenient passage between the rooms. Cool
breezes wafted through the second story rooms, that offered a fine vista of
the landscape.
The separation between the residential and service wings was canceled
in the Umayyad period. The construction of a new triclinium and its connection to the courtyard created an open space in the center of the structure
that comprised one third of the latters area. The centrality of the new space
was accented by an additional change, the blocking of the western entrance by the construction of the semicircular room. The magnificence of the
building was not adversely affected during this phase, and might possibly
have been enhanced.
The mansion was characterized toward the end of the Umayyad period
by the division of the teraclium, and the elimination of the courtyard by the
construction of rooms of various sizes. The expansion of the family was
seemingly the main reason for these changes.
Parallels to peristyle court houses in the Land of Israel in the Hellenistic and Roman periods were found in only seven sites: Tel Anafa
(second-third centuries CE)22 and Sepphoris (third-fourth centuries CE)23
in Galilee; Samaria (first entury CE);24 Tel Judeidah (first century BCE
and afterwards)25 and Kh. al-Murak (first century CE)26 in Judea; Aphek
(third-fourth centuries CE)27 from the coastal region; and Jerusalem (fourth
century CE).28 Some were built in cities, while others were grand estate
houses; all possessed a characteristic courtyard with columns in its center.

22. C. S. Herbert, Tel Anafa - 1980, Muse 14 (1980) 24-30; Idem, Tel Anafa 1981 Sea-

son, Muse 15 (1981) 23-29.


23. Z. Weiss, Sepphoris, in: E. Stern (ed.), New Encyclopedia of Archaeological Excavations in the Holy Land, Jerusalem 1993, vol. 4, 1326-27.
24. G. A. Reisner - C. S. Fisher - D. G. Lyon, Harvard Excavations at Samaria 1908-1910,
Cambridge (MA) 1924, 180-85.
25. F. J. Bliss and R. A. S. Macalister, Excavations in Palestine during the Years 18981900, London 1902.
26. E. Damati, The Palace of Hilkiya, Qadmoniyot 15 (1983) 117-21 (Hebrew).
27. M. Kochavi, Aphek-Antipatris: Five Thousand Years of History, Tel Aviv 1989, 109-11
(Hebrew).
28. M. Ben-Dov, The Dig at the Temple Mount, Jerusalem 1982, 214-16 (Hebrew).

366

O. SION A. SAID

Their area ranged between 400-700 sq. m, except for the mansion in Aphek,
that extended over an area of 1700 sq. m. The well-planned structures
are square in shape, and in most instances their wings are symmetrical.
Although almost all contain an atrium, a triclinium, residential chambers,
and storerooms, none of these structures meets the criteria of the classical
peristyle court house. The time span of the above examples is primarily
limited to the Roman period (first century BCE-fourth century CE).
It would therefore seem that the structure that was excavated at Beth
Shean marked a local development characteristic of the peristyle court houses from the Byzantine-Umayyad period, evidenced primarily by the reduction in the courtyard area and the conversion of the series of columns.
The soundings conducted in the excavations area did not reveal additional structures, and thus the current excavations cannot answer the question
of the scope of other examples of construction such as that unearthed by the
excavations. Was this a family initiative, that utilized private land, or was
this part of a privately built quarter that extended far beyond the excavation
area to the north and south?
Ofer Sion Abed Al Slam Said
Israel Antiquities Authority

LA CHIESA DEL VESCOVO GIOVANNI A ZIZIA

M. Piccirillo

Da secoli la localit di Zizia a 37 km a sud di Amman, era gi nota come


una stazione importante del Darb al-Hajj, la Strada del Pellegrinaggio percorsa dai pellegrini musulmani di Siria e Turchia per recarsi alla Mecca.
Nel grande serbatoio allaperto di circa 50 metri di lato, le carovane di pellegrini trovavano lacqua necessaria per s e per le bestie da soma prima di
avventurarsi verso il sud (Foto 2). Yaqut lo cita come un grosso villaggio
della Balqa dove passano i pellegrini. Per essi vi si tiene un mercato. Vi si
trova grande abbondanza. Letimologia di Zayza, nella lingua, il luogo
elevato1.
Buckingham ne raccolse il nome di Geezah2. Layard lo ricorda invece
con il nome antico di Ziza3. La prima descrizione accurata delle rovine fu
scritta nel 1872 dal Canonico Tristram che si accamp con i membri della
sua spedizione nei pressi del serbatoio, di cui ebbe modo di descrivere
la muratura e il sistema di conduzione dellacqua piovana 4. Sulle alture
nei pressi del serbatoio, not in particolare un fortino a due piani, (oggi
sostituito dalla stazione di polizia), costruito in epoca ottomana con pietre
squadrate di spoglio. Alcune recavano croci incise. Giustamente lesploratore ne ipotizz lorigine in una chiesa di epoca bizantina. Un concio che
recava due carri con cavalli in rilievo era stato riutilizzato sulla facciata. Il
fortino era stato abitato al tempo della guerra di Mehemet Ali (1832-40) da
1. A.-S. Marmadji, Textes gographiques arabes sur la Palestine, Paris 1951, p. 89 (Yaqut

II, 965). Ibi p.150: (Amman) est louest dAz-Zarq et au nord de la piscine de Ziza,
la distance dune tape. La localit il limite nord della provincia dAl-Karak (depuis
al-Ala jusqu Zizah( ibi, p. 173). Ch. Clermont-Ganneau propone di leggere il nome del
villaggio in un passo del Moshtarik di Yaqout: il grande serbatoio quadrato di Zizia nel
paese della Belqa. Io correggerei RNDI in Zize. In realt, ancora oggi a Zize c un magnifico serbatoio quadrato di 140 x 110 yards, ben descritto da Tristram (RAO 5, p. 117).
2. To the east, at a distance of about five miles [von Menja], we saw a large castle, apparently still perfect, the name of which was Geezah (Buckingham AT 89).
3. The next ruins we came to were those of Ziza. They consisted of remains of buildings
stretching far into the desert, and probably situated on the ancient highway which I had
remarked two days before (Layard 114).
4. H.B. Tristram, The Land of Moab, London 1874, 197-209s. : It must, in the later Empire, have been one of the most important places of Roman Arabia. Its name occurs in the
Notitia, immediately before that of Areopolis, as one of the chief military stations of the
Province. Equites Dalmatici Illyriciani Ziza (p. 197).
LA 52 (2002) 367-384; tavv. 15-34

368

M. PICCIRILLO

una guarnigione di soldati egiziani lasciativi da Ibrahim Pasha che a dire


dello Shaikh dei Banu Sakhr Zadam che accompagnava Tristram caus
molto danno alle rovine di Ziza. Tra laltro la guarnigione distrusse volutamente un edificio della citt molto ben costruito, e alcune chiese cristiane
ben conservate. Zadam ci assicur che prima della invasione egiziana, gli
ampi edifici dentro la citt avevano i tetti intatti, e spesso venivano usati
come un luogo di rifugio. Un secondo fortino di probabile epoca romana, successivamente cambiato in moschea, sub la stessa sorte da parte
dei soldati egiziani. Lesploratore ne vide il mihrab sul muro sud, con un
architrave finemente scolpito di epoca bizantina, e diversi wusum (marchi
tribali) incisi sulla parete.
Tra le rovine del villaggio che si estendevano a est del serbatoio, Tristram ricorda un edificio di epoca ottomana abbastanza ben conservato,
alcuni capitelli, conci con croci, frammenti di fregi architettonici, e una
macina di basalto. Ma certamente - continua il Canonico inglese- la rovina
pi interessante quella delle chiese cristiane, localizzate, come tutte le
altre che abbiamo notato, nel quartiere orientale della citt. C unampia
abside restata intera, e, sul lato sud, unabside pi piccola, di tre iarde pi
corta dellaltra. Ci sono tracce di unaltra abside a nord, ma, dal modo con
cui le rovine sono ammassate, non fu possibile accertarlo. Un colonnato
separava la navata centrale dalla laterale, e allinterno pietre scolpite con
croci e una colonna giacciono insieme con i conci caduti degli antichi archi. Potemmo scattare una buona fotografia del muro meridionale di questa
chiesa5.
Nel mese di Aprile del 1896 vi giunse Gray Hill che scrisse: I revisited Kalat Zizah (pronounced by our guides Ziziah)...The great reservoir at
Zizah struck me... Besides the Khan near the pool there are considerable
ruins at and near Zizah...6
Nel 1896, venerd 10 Aprile, vi giunsero P. Vailh e P. Germer-Durand
dei Padri Assunzionisti di Notre Dame di Gerusalemme, che notarono
liscrizione greca riutilizzata nella ricostruzione del castello nei pressi
del serbatorio (Foto 3 e 5)7. Liscrizione era stata resa quasi illegibile dai
5. Ibi, p. 205. NellAppendix B, R. C. Johnson descrive un fenomeno naturale che egli chia-

ma lunar rainbow on the ground, or, to speak more correctly, a lunar dew-bow (Account
of a Curious Physical Phenomenon Witnessed at Ziza, p. 398 s. ).
6. G. Hill, A Journey to Petra, 1896, PEQSt, 1897, p. 37.
7. S. Vailh, Dans les montagnes bleues, Echos de Notre-Dame de France Jrusalem,
IX (1896), 209- 256. Nellentusiasmo, lo studioso propose di identificare le rovine con
Mephaat: Ziza est le lieu dune station romaine, peut-tre lancienne ville de Mephaat (Jos
xiii, 18), dans la tribu de Ruben, que saint Jerme mentionne en ces termes: Mephaat trans

LA CHIESA DEL VESCOVO GIOVANNI A ZIZIA

369

Bani Sakhr che vi avevano sovrapposto il loro wasm (marchio tribale), una
chiave a tre denti incisa profondamente sulle lettere greche. Riuscirono a
leggere solo le prime parole delle prime due linee con il nome del duca Flavio Paolo8. Scrisse Padre Vailh: Les ruines de la ville sont trs tendues
et remontent pour la plupart lpoque chrtienne. On remarque un vaste
birket parfaitement conserv et une glise dont il reste une abside oriente.
Le Krak ou chteau fut bti par les Croiss, avec des matriaux anciens; les
Beni-Sakhr le relevrent la hte pour y soutenir un sige difficile contre
Ibrahim-Pacha. Plusieurs meurtrires sont encore ronges par les balles.
Paulus, qui est nomm ici, prsida, sans doute, la construction du chteau
remplac plus tard par celui des Sarrasins.
La spedizione di Brnnow-Domaszewski vi giunse il 4 aprile 1897
provenendo da Umm al-Walid. Le rovine vengono paragonate a quelle di
Umm al-Rasas. La descrizione accompagnata da due foto del vascone e
da altrettante foto del castello saracenoallinterno delle rovine, una veduta generale e un dettaglio della porta. Viene proposta anche una lettura
migliorata delliscrizione greca9.
Nelliscrizione, ripresa nel 1960 da J-T. Milik10 e ripubblicata nel 1982
da Gatier nel corpus delle iscrizioni greco latine di Amman e Madaba11,
si ricorda il dux della Provincia Flavio Paolo, il governatore Pietro e il
chiarissimo Crisogono che contribu alledificazione di un edificio pubblico non specificato nellanno 475 della Provincia (580 d.C.). Riportiamo il
testo di Gatier:

jEpi; Fl(aouivou) Pauvlou ejndoxo(tavtou)


doukov" spoudh'/ Pevtrou
to'n tovpon a[rconto" uJpo;
lampr(otavtou) Cristogovou aJnen(ewvqh)
tw uoe e[t(e)i cr(ovnwn) id ijnd(iktiw'ono") D(ivou) q
Jordanem, in qua praesidium romanorum est militum, propter vicinam solitudinem. Elle servit
au moyen ge de frontire septentrionale la puissante seigneurie du Krak. Les ruines de la
ville sont trs tendues et remontent pour la plupart lpoque chrtienne, p. 227. In una conferenza allEcole Biblique, J. Germer-Durand propose invece la identificazione delle rovine di
Umm al-Rasas con Mefaat, confermata dallo scavo del 1986 (M. Piccirillo - E. Alliata, Umm
al-Rasas - Mayfaah I. Gli scavi del complesso di Santo Stefano, Jerusalem 1994).
8. Liscrizione, (ibi, p. 227), fu ripubblicata da J. Germer-Durand in RB 1896, p. 227.
9. R. E. Brnnow - A. Domaszewski, Die Provincia Arabia, II, Strassburg 1905, 90-94,
dove riportata la maggior parte dei testi degli esploratori.
10. J.T. Milik, Notes dpigraphie et de topographie jordaniennes, LA 10, 1960, p. 163.
11. P.-L. Gatier, Inscriptions de la Jordanie, t. 2, 1986, p. 182 s.

370

M. PICCIRILLO

Al tempo di Flavio Paolo gloriosissimo


duca, per lo zelo di Pietro larchonte del luogo
da parte del chiarissimo Crisogono fu ricostruito
lanno 475 lindizione 14ma il 9 giorno del mese di Dios
Il secondo personaggio, da Brnnow identificato con il governatore civile della Provincia, dovrebbe essere pi semplicemente il capo del villaggio, tenendo presente le nuove iscrizioni di Umm al-Rasas/Kastron Mefaa,
dove nelliscrizione dedicatoria della Chiesa di Santo Stefano si ricorda il
diacono Giovanni arconte dei Mefaoniti12.
Nel 1909 i Padri Jaussen e Savignac, che sulla strada per recarsi in
Arabia, si trovavano a Madaba in attesa del permesso delle autorit turche,
ebbero modo di recarsi a Ziziah che nel frattempo era divenuto un piccolo
villaggio di contadini che coltivavano le terre circostanti a conto del governatore ottomano13. La visita era stata occasionata dalla segnalazione del
ritrovamento di una iscrizione bilingue in nabateo e in greco tra le rovine
che servivano da cava di pietre da costruzione (Foto 4). Liscrizione, a dire
di chi la present ai due studiosi, proveniva dalle rovine di una chiesa. Les
ruines, do il a t eshum seraient, au dire des gens, celles dune glise.
Un grec originaire de Jrusalem, qui prside plus au moins aux travaux (alla
costruzione di due magazzini; ndr), nous a affirm avoir vu labside dont
toutes les pierres auraient t emportes. Actuellement on ne distingue plus
le plan daucun difice ni aucune trace de mur bien suivi. Il y a seulement, au
fond dun trou et sur le bord, tout un ensemble de colonnes dont la forme et
les dimensions rappellent des milliaires romains. Plusieurs de ces colonnes
ont t stuques et sur le stuc dune dentre elles, encore moiti enfouie, on
distingue quelques lignes, trs effaces, dune criture trace au calame14.
I due testi delliscrizione bilingue si integrano a vicenda: Demas figlio
di Hillel, figlio di Demas originario di Amman aveva costruito un tempio
a Zeus di Beelfe(gor).
Il termine Beelfegor, che i due studiosi integrano nella seconda parte,
rimanda al dio moabita a cui fanno riferimento diversi testi biblici (Peor,
12. M. Piccirillo - E. Alliata, Umm al-Rasas - Kastron Mefaa I, Gli scavi del complesso

di Santo Stefano, Jerusalem 1994, p. 244 s. con rimando ai paralleli nei papiri di Nessana
(Kraemer 1958, n. 58, 1).
13. A. Jaussen et R. Savignac, Inscription Grco-nabatenne de Zizeh, RB VI, 1909, p. 587592; Ibidem, Mission archologique en Arabie, II, 650 s, (per il testo greco), 234, Pl. LXXI,
(per il testo nabateo). P.-L. Gatier, Inscriptions de la Jordanie, 2, 1986, 180-181.
14. RB, 1909, p. 588.

LA CHIESA DEL VESCOVO GIOVANNI A ZIZIA

371

Num 23, 28; Bet Peor, Deut. 3,29; 4, 46; 34, 6; Gios 13, 20; Baal Peor, Os
9,10). Nella tradizione romano bizantina il dio era stato messo in relazione
con la localit di Beit Fogor nella regione del monte Nebo, come risulta
dallOnomasticon (On. 49, 3; 168, 25; 101, 28)15 e dal commento di Girolamo ad Isaia 15, 216. Nella Souda viene identificato con Chronos17.
Lexistence dun sanctuaire de Beelfegor Zizeh - concludono i due
Padri Domenicani- ne modifie nullement ces identifications; elle prouve
seulement que le culte de Beelfegor ou des Zeus Beelfegor devenu Zeus
de Beelfegor ntait pas limit la seule montagne de Fogor et quon lui
levait des temples ailleurs dans le pays de Moab18.
Per omonimia, la localit di Zizia gi dal Canonico Tristram era stata
messa in relazione con i Castra Zizia della Notitita Dignitatum, dove stazionavano i cavalieri Dalmatici Illyriciani che pattugliavano la steppa nel
IV secolo19.
I sinassari orientali hanno conservato i nomi di due martiri soldati
cristiani della guarnigione di Zizium da Milik identificata con Zizia: lufficiale Zenone e il suo servo Zena decapitati durante la persecuzione di
Diocleziano20.
15. On. 49, 3: Bethfogor urbs filiorum Ruben trans Jordanem iuxta montem Fogor contra

Iericho sex milibus supra Liuiadem.


On. 168, 25: Fogor et Bethfogor mons Moabitarum, ad quem Balac rex adduxit Balaam
ariolum, in supercilicio Liuiadis.
On. 101, 28: Beelfegor quod interpretatur simulacrum ignominiae. Est autem idolum Moab
cognomento Baal super montem Fogor quem Latini Priapum vocant (Num. 25, 3,5).
Cf. anche Fasga (Deut 3,17): On. 169, 22.
16. Yeronimi, In Is. 15, 2: In Nabo enim erat Chamos idolum consecratum, quod alio
nomine appellatur Beelphegor.
17. In Gatier, Madaba II, p. 181.
18. Jauseen-Savignac, RB 1906, p. 591, n. 1.
19. Notitia Dignitatum, XXXVII (Ed. O. Seeck, Berolini 1876, 80: Ziza).
20. J.-T. Milik, LA 10, 1960, 162-163: La Passio, composta secondo un genere letterario
piuttosto comune, narra che lanno primo di Galerio, Massimo governatore di Arabia, fece
arrestare alcuni cristiani di Philadelphia Amman. L8 giugno del 304 furono condotti al suo
tribunale, ed egli prov a costringerli a fare atto di sottomissione alle leggi con un atto di
adorazione pubblica agli idoli. Lufficiale Zenone, che si trovava in citt, intervenne per contestare lordine, e fu perci arrestato. Alle domande di rito rispose: Sono greco di origine
ma cristiano e soldato di Cristo...Risiedo nei pressi di un villaggio di Palestina chiamato
Ziziun e sono un ufficiale dellesercito. Venne perci sottoposto a torture per due giorni. Il
secondo giorno, Zena un suo giovane servo affrancato, gli si associ volontariamente. Dopo
qualche giorno arriv in citt il capo militare che i Romani chiamano dux di nome Bogos.
Zenone e Zena insieme vennero ricondotti davanti al governatore e al dux che avevano posto
il tribunale in una piazza pubblica. I due confessori vennero torturati anche con il fuoco
per piegarli ma inutilmente. Alla fine Bogos deleg a Massimo il potere di giustiziarli con

372

M. PICCIRILLO

Nel giugno del 1978 la costruzione delle piste dellAreoporto Internazionale Queen Alia a nord di Zizia, a est del castello omayyade di Qastal
e a sud del castello omayyade di Meshatta, fu allorigine del ritrovamento
di un cimitero di epoca tardo romana21. Il cimitero con le sue 173 tombe
eplorate nelle quali furono seppelliti circa 200 individui, uomini donne e
bambini, occupa unarea di 65 mq. Sulla base principalmente dellassenza
di qualsiasi oggetto di epoca bizantina, il cimitero viene datato al II-III
secolo d.C. Si tratterebbe dei resti dei nomadi tra i quali venivano arruolati
i soldati della vicina stazione di Zizia22.
Nella storia moderna di Giordania, la resa di Zizia uno degli episodi
della prima guerra mondiale entrati a far parte dellepopea di Lawrence
dArabia che agli ordini del Generale Allemby dirigeva le operazioni di
guerriglia contro lesercito turco in territorio transgiordanico. Il 28 settembre 1918, tre treni carichi di soldati turchi giunsero alla piccola stazione di
Zizia, della linea ferroviaria del Hejaz appena inaugurata, a sud dei castelli
omayyadi di Qastal e di Meshatta, allaltezza dellattuale areoporto internazionale Queen Alia di Amman. Il comandante inglese diede lordine di
arrendersi. Passarono lunghe ore di silenzio. La resa ci fu il giorno dopo
con la fine delle operazioni in questo settore del fronte23.

la spada. Lesecuzione fu eseguita il 23 giugno. Le vergini della Chiesa ne seppellirono i


corpi che alla fine della persecuzione furono traslati nella loro patria (Testo della Passio in
Acta Sanctorum Iunii IV (Ed. Venise 1743), pp. 474-482).
21. I.M. Moawiyah - R. L. Gordon, A Cemetery at Queen Alia International Airport, Irbid
1987. Lo scavo fu condotto in quattro settimane sotto la pressione dei bulldozers dellimpresa appaltatrice.
22. Le tombe sono per lo pi a fossa rettangolare unica scavata nel suolo tufaceo e coperta
da lastre di calcare. I cadaveri prima di essere seppelliti erano stati avvolti in pelli. In un
caso fu usata una cassa di legno. In un altro caso il cadavere era stato cremato e le ossa
raccolte in un ossuario di piombo. Tra gli oggetti rinvenuti, ricordiamo oggetti di toeletta
femminile, un vaso ansato, resti di sandali, quattro sigilli tra i quali uno scarabeo del tipo
Hyksos, e una gemma con iscrizione in caratteri paleo-arabi. In superficie fu recuperata
una pietra con iscrizioni tamudee, e solo tre monete. Nellinterpretazione storica, gli autori
insistono sulla unitariet del cimitero, appartenuto secondo loro a una sola comunit e usato
per un periodo non troppo lungo. Basandosi inoltre sullubicazione del luogo di ritrovamento, nella steppa fuori da qualsiasi centro abitato, sul modo di seppellire, facendo notare
lassenza nel corredo di lucerne e vasi in ceramica, sul tipo dei sandali per lo pi caligae,
e sullesame paleopatologico dei resti ossei, identificarono questa comunit con famiglie di
tipo seminomadico nelle quali venivano arruolati gli ausiliari dellesercito romano presenti
nella regione. A proposito di questa interpretazione cf le opinioni di V. Clark e di T. Parker
in The Roman Frontier in Central Jordan, BAR 1987, p. 727 e 796.
23. Peake Pasha, A History of Jordan and Its Tribes, Miami 1958, p. 103.

LA CHIESA DEL VESCOVO GIOVANNI A ZIZIA

373

Il villaggio oggi
Zizia, oggi nota con il nome di Jiza, pi familiare ai soldati di Ibrahim
Pasha e alla comunit di origine egiziana che continua ad abitarvi, oramai
un villaggio in rapida crescita ai due lati della pista principale del Darb
al-Hajj diventata la moderna Desert Road, lautostrada a doppio senso di
marcia che unisce Amman a Aqaba.
Nellestate 2001, lo scavo occasionale di una fossa settica sul lato
orientale della strada proprio di fronte alla stazione di polizia della guardia
del deserto, la badiah che ha preso il posto dei legionari romani nel fortino
ricostruito a sud del grande vascone, stato linizio di uno scavo di salvataggio che ha riportato alla luce la navata centrale di una chiesa mosaicata
del VI secolo (Foto 1, 6).
Lo scavo condotto dal Signor Hazim Jaser Ispettore delle Antichit di
Madaba stato seguito dagli archeologi dello Studium Biblicum Franciscanum del Monte Nebo nei mesi di agosto e di settembre del 200124.
La chiesa del Vescovo Giovanni
Lo scavo ha chiarito lorientamento veramente insolito della chiesa che
risulta voltata verso nord! Lorientamento anomalo delledificio ci ha permesso di condurre a buon fine lo scavo di emergenza di gran parte della
navata centrale venutasi a trovare nello spazio libero tra due edifici moderni
costruiti parallelamente in direzione nord sud, dalla porta in facciata fino al
gradino del presbiterio rialzato di cui abbiamo potuto esporre solo langolo
di sud est (Pianta dello scavo).
La chiesa era coperta da un accumulo di terra di circa due metri di
altezza (Foto 7). Lo strato archeologico antico di circa quaranta cm di
spessore era costituito da tegole e da frammenti di zirri frammisti a terra,
cenere e resti lignei carbonizzati.
Il corpo della chiesa di 16 x 24 m fino alla linea del gradino del presbiterio. E stato esposto il muro meridionale in facciata di 1,10 m di larghezza. Tra
la navata centrale e quella orientale risulta un buon tratto di stilobate stilobate
in lastre di pietra sul quale poggiavano le colonne (Foto 10). Di queste restano
diversi rocchi isolati e alcuni fusti con la base alta presenti nellarea della chiesa, e almeno quattro riutilizzate nella moschea del villaggio, due sulla porta
e due allinterno sui lati del mihrab (Foto 8 - 9). La forma quella indicata
24. Per una prima notizia cf. LA 51, 2001, 368-372, tavv. 31-32.

374

M. PICCIRILLO

dai Padri Jaussen e Savignac come miliari intonacati (Fig. 1b-c-d)25. Resta,
probabilmente in situ, una base a cuscino sullo stilobate meridionale. La casa
sovrastante a est ha impedito di chiarire la natura del vano posticcio costruito
sul mosaico al centro della navata orientale chiuso a ovest da un settore dello
stilobate e da due muretti a sud e a nord con riutilizzo di rocchi di colonne.
Sul muro sud non siamo riusciti a vedere nessuna traccia di ingresso.
Un elemento insolito dato, subito allinterno del muro, dallinserimento in
diagonale nel pavimento mosaicato di un concio rettangolare trovato in situ
al centro del lato sud del mosaico della navata centrale, fuori della fascia di
girali di acanto, e dalle tracce di altri tre conci lavorati dello stesso spessore
tra due possibili basi di colonnine (Foto 10). Larea era stata disturbata dagli
scavatori clandestini che erano scesi in profondit, probabilmente oltre il fondo del piccolo ambiente, riportando alla luce le tracce di una possibile vasca
intonacata, o del muro intonacato di un edificio preesistente rasato allaltezza
del mosaico. Sulla parete nord dello stesso ambiente risultava che elementi
architettonici, come rocchi di colonne, erano stati utilizzati come riempimento per sostenere il pavimento delledificio sacro eretto in questarea. Ci stato
assicurato che le due basi modanate in calcare intonacato (Foto 36, fig. 1a)
erano state trovate in questa area manomessa prima dellinizio dellindagine
archeologica, insieme con la cassetta o vaschetta in pietra rettangolare senza
coperchio che rimanda alla cassa di un possibile reliquiario (fig. 2b).
Sul lato opposto della navata centrale della chiesa, nei pressi del gradino del presbiterio rialzato, restava ancora in situ la base in muratura
intonacata dellambone costruito sullangolo di nord ovest della fascia di
acanti della navata centrale (Foto 32). Sulla superficie superiore della base
poligonale restavano i quattro alloggiamenti delle colonnine anchessi eseguiti in opera cementizia26.
Il mosaico pavimentale
La navata centrale, che si sviluppa da sud a nord, circondata da una
fascia di girali di tralci di vite con partenza dagli angoli del rettangolo:
25. Basi simile si trovano utilizzate nella chiesa dei Santi Padri a Khattabiyah - Kufeir Abu

Sarbut (cf. Piccirillo, Chiese e mosaici di Madaba, Jerusalem 1989, p. 311).


26. La base, che nella forma poligonale ripete quelle delle altre chiese di Giordania (come
nel Memoriale di Mos sul monte Nebo e nella chiesa del Vescovo Sergio a Umm al-Rasas:
M. Piccirillo - E. Alliata, Umm al-Rasas - Kastron Mefaa I, p. 83, Foto 41) poggiata sul
mosaico, perci aggiunta dopo la messa in opera dello stesso, che un altro indizio per la
datazione da noi proposta per lopera in mosaico.

LA CHIESA DEL VESCOVO GIOVANNI A ZIZIA

Fig. 1 Resti di colonne e di colonnine in calcare bianco (M. Forgia).

375

376

M. PICCIRILLO

da due cespi di acanto a sud, e da due anfore a nord (Foto 17). Lo spazio
ristretto del lungo tappeto era spaziato da sette registri sovrapposti ognuno
composto da tre grandi girali formati da volute di foglie di acanto. Le scene di vita sono rivolte verso settentrione, perci con lettura da sud verso
nord. A conferma dellorientamento veramente anomalo della chiesa resta
liscrizione dedicatoria, seguita a est da una seconda iscrizione pi breve,
tra la fascia e il gradino del presbiterio (Foto 11). Il testo inserito in un
rettangolo semplice tra due motivi geometrici annodati. Una sequenza di
dischi policromi alternati e affiancati su un fondo scuro divideva le iscrizioni dalla fascia del tappeto. Una teoria di diamantini divideva liscrizione
dal gradino (Foto 31).
Nel presbiterio rialzato, che non abbiamo potuto esporre per la presenza
della strada pubblica, restava praticamente intatto solo un girale di acanto
decorato con un agnello in piedi, e parte di un secondo girale (Foto. 12).
Nella navata centrale, tra il lato meridionale del tappeto e la parete
sud della chiesa, sono inseriti due motivi geometrici: linee policrome ad
arcobaleno affiancate a ovest e linee annodate a est, con al centro il vuoto
della struttura poligonale scavata dai tombaroli. Linserimento della struttura, chiaramente una aggiunta, aveva danneggiato il reticolo di linee con
i rombi caricati di corolle di fiori che decorava lo stretto passaggio tra la
parete di fondo e il tappeto centrale (Foto 13).
Al centro della navatella orientale si sono conservati stralci di una composizione con un motivo a croci di scuta, a sua volta circondato da girali
di foglie di acanto (Foto 14-15), inserita al centro di un reticolo di fiori,
sostituito a sud da un mosaico continuo di tessere bianche. Da questa parte
un tralcio di foglie di edera rosse e nere alternate e una linea di diamanti
separano il reticolo dalla composizione a croci di scuta (Foto 16)27.
I motivi figurativi dei girali di acanto della navata centrale, come
quelli dei girali di tralci di vite della fascia perimetrale, risultavano pesantemente sfigurati durante la crisi iconofobica (Foto 18). Gli esecutori
dellordine iconofobico erano intervenuti con una accuratezza puntigliosa
che aveva privato la chiesa di unopera darte che crediamo singolare nel
contesto delle opere coeve messe in opera dai mosaicisti della Scuola di
Madaba.
Nei girali della fascia perimetrale non siamo riusciti a identificare
nessun motivo figurativo, a parte la zampa di un animale in un girale del
27. Il motivo delle croci di scuta alla base del programma decorativo del tappeto nella

cappella di San Teodoro messo in opera nel 562 al tempo del vescovo Giovanni nel cortile
occidentale del complesso della cattedrale (M. Piccirillo, The Mosaics of Jordan, Amman
1993, 108-113, 117).

LA CHIESA DEL VESCOVO GIOVANNI A ZIZIA

377

lato est, e la coda di un pavone in un girale del lato sud. A dimostrare


la bellezza del lavoro restano alberelli carichi di frutti e alcuni fiori e
frutti isolati (Foto 18). A far rimpiangere il danno arrecato al mosaico
resta nel secondo registro del tappeto centrale una scena di caccia grossa
sviluppata nei tre girali di foglie di acanto composta da un arciere in
atto di scoccare una freccia contro un leone affrontato sulla destra da un
soldato armato di spada (Foto 19-22). Il modulo maggiorato dei girali
di pi di un metro di diametro d alla scena una grandiosit unica tra i
mosaici della regione.
Nel primo registro si immagina un personaggio in piedi (Foto 25)
seguito da un cane in corsa verso destra (Foto 26), dove resta la parte posteriore di un cinghiale rivolto verso il centro (Foto 23-24). Dopo la scena
di caccia al leone del secondo registro, segue un registro completamente
obliterato. Nel quarto registro, ad un trasportatore di uva con un cesto sulle
spalle nel girale di destra (Foto 30-31), seguiva una scena di vinificazione
con due giovani nel pressoio, dei quali restano le gambe nude ai lati della

Fig. 2 Elementi dello scavo: a: laterizio, b: cassetta (di reliquiario?), c: fastigio


della facciata (M. Forgia).

378

M. PICCIRILLO

vite di un pressoio e parte della tunica (Foto 27-28). Nel quinto registro
restano solo le dita di una mano che regge una corda. Nel girale centrale del
sesto registro due buoi aggiogati tirano un carro, dirigendosi verso destra
dove resta la sagoma di una persona appoggiata con la mano destra ad un
oggetto o utensile che termina in basso con una base quadrangolare (Foto
29). Sul girale di sinistra solo in parte scavato, resta un motivo a cono di
linee cadenti in verticale eseguito con tessere longilinee, forse la coda di
un cavallo (Foto 32).
Nel settimo registro, identificabile nel girale di destra, la sagoma
di una persona in piedi forse con un cesto sulla spalla (Foto 33). In fase
di restauro del danno iconofobico fu aggiunto un motivo floreale a cuore
lanceolato tipico di questo periodo sia nella composizione originale di
epoca omayyade (VIII sec.), sia nelle aggiunte posticonofobiche 28. Nel
girale centrale, resta il dito di una mano che regge un oggetto a punta
larga (Foto 34).
Spariti i motivi figurativi, per il pesante e accurato intervento iconofobico, restano i motivi vegetali, girali di acanto, alberelli, grappoli duva e frutti
isolati, a documentare la tecnica raffinata dei mosaicisti che misero in opera la
decorazione della chiesa, quasi sicuramente provenienti dalla vicina Madaba.
Degni di nota i due cespi di acanto di base del primo girale, che il mosaicista ha reso liberamente dando loro un movimento di rotazione, a quanto mi
risulta, unico nei mosaici dellarea (Foto 18). Coloristicamente e compositivamente il mosaico, dal poco che si pu vedere, ambientabile tra i mosaici
messi in opera al tempo del vescovo Giovanni nella met del sesto secolo.
Le iscrizioni dedicatorie
A. Sul piano storico geografico, lelemento pi interessante dato dalliscrizione dedicatoria nei pressi del gradino del presbiterio (Foto 35-3637). Il testo che si sviluppa su cinque linee in un rettangolo di 2,00 x 0,50
m praticamente completo, malgrado la rottura marginale sulla destra. Le
linee di testo sono separate da tratti continui di tessere gialle. Un motivo
floreale nella quarta linea dopo lindizione, divide il testo principale dallinvocazione di chiusura a favore dei benefattori anonimi. Notare la forma
delle lettere che tendono piuttosto a slargarsi verso il basso.
28. Il motivo chiaro nel mosaico di Santo Stefano a Umm al-Rasas (cf. S. Ognibene, Umm

al-Rasas: la chiesa di Santo Stefano ed il problema iconofobico, Roma 2002, p. 185ss (per le
foglie della composizione originale), p. 325 (per un motivo rifatto in fase di sostituzione).

LA CHIESA DEL VESCOVO GIOVANNI A ZIZIA

379

1.
2.
3.
4.

Epi; tou' aJgiwtavtou Iwavnnou ejpiskovpou


jektivsqh kai; ejteliwvqh wJ a{gio" tovpo"
kovpoi" kai; ajgrupniva/ Kamavswn tou'
presbu(tevrou) ejn mhni; Mai?w/ cr(ovnoi") z ijnd(iktivono")
oJ qeo;" bohqhv-
5. sh/ tw/' kavmonti kai; karpoforhvsanti
Al tempo del santissimo Giovanni vescovo
fu costruito e fu terminato il santo luogo
con le fatiche e la insonnia di Kamason
il prete, nel mese di Maggio al tempo della settima indizione.
Iddio soccorra
chi si affaticato e ha offerto
Al normale kovpoi" che abbiamo tradotto con fatiche, abbinato il termine insolito di ajgrupniva/, insonnia. Raro il nome del prete, Kamason29.
Se, come crediamo, Giovanni il vescovo di Madaba ricordato in diversi monumenti della citt episcopale e nelle chiese di Khirbat al-Mukhayyat sul Monte Nebo, abbiamo una prova che il territorio diocesano della
citt meridionale della Provincia Arabia si estendeva in profondit nella
steppa orientale30. Questo d un punto di riferimento per fissare la messa
in opera del lavoro al maggio dellanno 560, settima indizione, avendo
come punto di partenza il mese di settembre dellanno 562 (457 dellEra
di Arabia), indizione undecima, che si legge nelliscrizione della cappella
di San Teodoro nel cortile occidentale della cattedrale di Madaba31. Al
tempo del vescovo Giovanni furono messi in opera oltre al mosaico della
29. Potrebbe riferirsi ai nomi arabi qmsh/sht, qms/st (Cf. G. Lankaster-Harding, An Index

and Concordance of Pre-Islamic Arabian Names and Inscriptions, Toronto 1971, p. 487). Cf.
inoltre Salome Komaise figlia di Levi nei papiri del deserto di Giuda (Aramaic, Hebrew and
Greek Documentary Texts from Nahal Hever and Other Sites, Oxford 1999, p. 161-163).
30. M. Piccirillo, Chiese e mosaici di Madaba, Jerusalem 1989.
31. Ibi, p. 28. Un Johannes episcopus Ziziae twn Hawarin exiit et mortuus est in exilio

380

M. PICCIRILLO

cappella di San Teodoro nella Cattedrale, quello di una delle due cappelle
settentrionali della Chiesa degli Apostoli di Madaba32, e, sul Monte Nebo,
i pavimenti della chiesa dei Santi Lot e Procopio e della cappella superiore
del Prete Giovanni a Khirbat al-Mukhayyat33.
Una seconda iscrizione fu aggiunta sulla destra fuori del riquadro delliscrizione dedicatoria (Foto 38). Le lettere scritte con tessere nere sono
di modulo minore. Resta la parte finale del testo su tre linee separate da
tessere gialle.

1. ...AMANI...
2. ...AKOU O Q(eo)S D(OULOS)
3. ...IISQONAM...
Nella seconda linea si legge linizio di una invocazione ( O Dio...) in
favore di un benefattore/i della chiesa, come nella iscrizione precedente.
Elementi architettonici e suppellettile liturgica
Con le molte tegole del tetto (con un esemplare completo, fig. 2a), si sono
recuperati anche diversi frammenti della suppellettile liturgica (Foto 40).
- Una cassetta rettangolare in pietra calcarea, identificabile con un reliquiario (fig. 2b).
- due basi e un fusto di colonna di medio diametro in pietra calcarea
recuperati nello scavo della fossa allinterno del muro sud della chiesa
(Foto 36 e fig. 1a). Sia le basi modanate sia il fusto di colonna risultavano
intonacati di bianco. Entrambe le basi hanno una scanalatura laterale che
Horlan in agro Damasceno menzionato in una cronaca siriaca analizzato da I. Shahid, Byzatium and the Arabs in the Sixth Century, Washington 1995, vol. I,1. p. 36; I, 2, p. 695.
32. Ibi, p. 106.
33. Cf. L. Di Segni in M. Piccirillo - E. Alliata, Mount Nebo New Archaeological Excavations (1967-1997), Jerusalem 1998, n. 42, p. 443s and n. 51, p. 447.

LA CHIESA DEL VESCOVO GIOVANNI A ZIZIA

381

rimanda allinnesto di una lastra di balaustra. Nellipotesi che le due colonnine fossero erette ai lati della linea di pietra esistente sul limite sud della
navata centrale, bisogna pensare alla protezione del reliquiario che, in tale
ipotesi, si trovava allinterno del muro sud.
- mezza sfera di pietra calcarea con innesto in basso e croce in rilievo
sulla parte piana con tracce di pittura rossa, con probabile provenienza dal
fastigio del timpano della facciata (fig. 2c).
- frammento di fusto di colonnina in marmo di 10 cm di diametro.
- frammento di colonnina in marmo di 5 cm di diametro con foro al
centro e di lato.
- frammenti di pluteo in marmo con sola modanatura.
- frammenti di pluteo con corona (Fig. 4).

Fig. 3 Frammenti di altare lunato in marmo (M. Forgia).

382

M. PICCIRILLO

Fig. 4 Frammenti di lastre di plutei in marmo (M. Forgia).

- frammenti di un piccolo pluteo con lentischi e corona di provenienza


probabile dal pulpito (Fig. 4).
- sei frammenti di altare lunato di marmo bianco simile a quello trovato
nella basilica del Memoriale di Mos sul Monte Nebo (Fig. 3)34.
- frammento di bordo di un vassoio piano in marmo bianco con solco
in alto forato sul margine (Foto 40).
Il cimitero
Oltre alla nuova chiesa parzialmente riportata alla luce, una vistosa testimonianza della presenza della comunit cristiana nella localit di Zizia
in epoca bizantino-omayyade, sono le decine e decine di tombe dellarea
cimiteriale ubicata a est del villaggio che da anni viene sistematicamente
saccheggiata da tombaroli senza scrupoli (fot 41-43). Le tombe per lo pi
singole a fossa chiuse da lastre di pietra vengono trovate alla profondit
media di circa un metro dalla superficie.
34. Cf. A. Acconci, Polylobed sigma altar slabs, ibi, p. 491 s.

LA CHIESA DEL VESCOVO GIOVANNI A ZIZIA

Fig. 5 Stele funerarie del cimitero orientale (M. Forgia).

383

384

M. PICCIRILLO

Tra le pietre abbandonate nella vasta area abbiamo potuto raccogliere


13 stele funerarie normalmente anepigrafe con croci incise, del tipo comune
anche in altri cimiteri della regione (Foto 41; fig. 5). Le croci incise sulle
stele sono di diversi tipi: la croce cosmica, greca, latina, e in qualche caso
un segno molto sommario35.
Sulla parte superiore di un concio di arco utilizzato come stele funeraria
(Foto 42 e fig. 5), oltre alla croce, fu inciso anche il nome della defunta
preceduto da una croce: + DWRIA. Un nome che va ad aggiungersi a
quello del prete Kamason benefattore della chiesa ricordato nelliscrizione
dedicatoria.
Abitanti del villaggio hanno assicurato che larea cimiteriale si estende
anche a nord e a sud dellabitato.
Conclusione
La chiesa riportata alla luce corrisponde alla descrizione fattane da Tristram
nel 1872 e ai dettagli topografici conservati dai Padri Jaussen e Savignac
nel 1909. I due Padri Domenicani scrivono che liscrizione bilingue da loro
pubblicata era stata ritrovata tra le rovine di un edificio antico identificato
dagli abitanti come una chiesa, a 250 metri a est del posto di polizia, del
quale facevano parte le colonne simili a miliari intonacati di bianco.
La chiesa fu costruita riutilizzando elementi architettonici di un edificio
precedente di epoca classica. Liscrizione bilingue ne suggerisce la probabile provenienza dal tempio di Zeus Beelfegor fatto costruire da Demas figlio
di Hillel di Filadelfia-Amman. La preesistenza del tempio nella stessa area
potrebbe spiegare lorientamento anomalo della chiesa, finora un unicum in
tutta la vasta documentazione riguardante la Provincia Arabia.
Michele Piccirillo, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem Monte Nebo

35. Per le tipologie di croci incise sulle stele funerarie cf. M. Piccirillo, Uniscrizione im-

periale e alcune stele funerarie di Madaba e di Kerak, LA 39, 1989, 108-118 (per la regione
di Madaba) e Khirbet es-Samra 1. Jordanie, ed. J.-B. Humbert - A. Desreumaux, Turnhout
1998, pp. 259-357 (stele del cimitero di Kh. es-Samra).

IL CORTILE A SUD DELLA CHIESA DI S. PAOLO


AD UMM AL-RASAS KASTRON MEFAA IN GIORDANIA

C. Pappalardo

Completato lo scavo della Chiesa di S. Paolo, che aveva impegnato le campagne degli anni 1995 e 96 (Piccirillo 1997; Piccirillo 2002), linteresse si
spost sul settore a Sud della chiesa. Tale settore era delimitato dalla chiesa
stessa a Nord, dalla Cappella dei Pavoni scavata durante la campagna del
1992 (Piccirillo 1998) a Sud e da due vie parallele ad Est e ad Ovest.
Lo scavo in questarea ben delimitata ha interessato le campagne degli
anni 1997, 98, 99 e 2000 (Abela - Acconci 1997; Abela - Pappalardo
1998; Abela - Pappalardo 1999, 483; Abela - Pappalardo 2000) ed ha riservato non poche sorprese. Infatti, lindagine archeologica, cominciata nel
1997 a Sud della Chiesa di S. Paolo allo scopo di verificare leventuale
presenza di ambienti annessi alledificio sacro, ha rivelato lesistenza di un
complesso di natura in prima istanza ecclesiastica, ma anche la presenza
insperata di uninstallazione per la produzione del vino. La scoperta e lo
studio di queste strutture industriali allinterno di un complesso ecclesiastico gettano nuova luce sulla vita della citt di Umm al-Rasas.
Il cortile della chiesa
Al complesso si accedeva dalla strada ad Est, da cui attraverso unampia
porta si entrava in uno spazioso corridoio largo 7-8 metri, delimitato da una
parte dagli ambienti dietro labside della Chiesa di S. Paolo, non interessati dallo scavo, dallaltra da un muro parallelo a questi e alla parete della
chiesa. A Sud di questo muro di delimitazione del corridoio dingresso si
trovano il pressoio e gli ambienti ad esso collegati.
In corrispondenza della chiesa il corridoio si allargava, dando vita ad un
portico rettangolare. Da questo si entrava nella Chiesa di S. Paolo tramite
due porte precedute da un organismo porticato formato da tre archi sorretti
al centro da due colonne in pietra e alle estremit Est ed Ovest da due pilastri
dai quali partivano due archi che si appoggiavano al muro Sud della chiesa.
Le colonne reggevano due capitelli in calcare ad abaco quadrangolare, uno
(Fig.1) ispirato al tipo ionico e di una tipologia gi segnalata tra le rovine di
Umm al-Rasas (Saller-Bagatti 1949, 246-247), laltro a cestello con decoLA 52 (2002) 385-440; tavv. 35-42

386

C. PAPPALARDO

Fig. 1 Capitello rinvenuto


nel cortile della Chiesa di S.
Paolo (M. Forgia)

razioni lineari a motivi vegetali (Fig. 2). Gli archi avevano una luce di circa
tre metri. Delle due colonne, una stata rinvenuta mutila della base e in stato
di giacitura primaria; mentre la parte inferiore di quella del lato Ovest, a
base cubica e toro rigonfio, fu inglobata nellangolo Sud-Est di un ambiente
(R0901) ricavato in un secondo momento sul lato Ovest del portico.
Questa struttura porticata, riemersa in stato di crollo, poggiava su uno
stilobate rettangolare che non presenta strutture in elevato, ma che stato
messo in luce in due trincee: una scavata in corrispondenza della porta centrale della chiesa, laltra tra il pilastro Est del portico e il muro della chiesa.
Lo stilobate appare costituito da blocchi squadrati di medie dimensioni,
impostati su una fondazione eretta con pietrame e posto ad una distanza di
2,86 metri dalle soglie della chiesa.
Al centro del cortile, ad una distanza di 3,15 metri dallo stilobate e in
linea con lasse a met tra le due porte della chiesa vi il pozzo, che ha
unimboccatura di 0,35 metri e risulta praticato mediante escavazione della
roccia per una profondit di circa 6,50 metri.
Il portico originale aveva un piano pavimentale in battuto di terra e
preparazione in calce di fattura molto accurata, spesso allincirca 40 centimetri, identificato a seguito dei due sondaggi praticati nellambiente R0901
annesso alla chiesa (Fig. 3) e allesterno della porta Ovest sulla parete Sud
della chiesa, dinanzi alla soglia (Fig. 4). Lapprofondimento di tali saggi ha

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

387

restituito svariato materiale ceramico ascrivibile ad un lasso di tempo che


va dal periodo romano alla fine del VI secolo, frammisto ad una notevole
quantit di tessere musive e scarti di lavorazione delle stesse, di piccolo
e piccolissimo modulo e diverso colore. Ci fa pensare che la messa in
opera del battuto sia avvenuta contemporaneamente alla costruzione della
chiesa. Il rinvenimento di alcune balate in prossimit del muro di chiusura
meridionale del portico ha fatto pure supporre lesistenza di un lastricato
pavimentale almeno in una parte del settore.
Tutta larea del cortile porticato sub modifiche in una fase successiva.
A questa ascrivibile la posa di un nuovo piano pavimentale nel cortile
ad unaltezza di circa 30 centimetri da quello originario. Tale modifica del
livello di calpestio testimoniata anche dal rialzo, ottenuto mediante un
circuito di pietre alquanto irregolare, dellimboccatura del pozzo, delimitata da una piattaforma irregolarmente trapezoidale eretta contro terra. A
questa seconda fase da ricondurre la creazione dellambiente R0901 di
3 x 2,60 metri. Esso addossato allestremit Ovest del muro perimetrale
Sud della chiesa e si appoggia al muro Est di R0903, ambiente di servizio
comunicante con la chiesa. I segmenti murari Sud ed Est dalla tessitura
estremamente irregolare chiudono larco posto allestremit occidentale
del portico, inglobandone il pilastro e la colonna di sostegno. A circa 30

Fig. 2 Capitello ritrovato


presso il pilastro orientale
del portico della Chiesa di
S. Paolo (M. Forgia)

388

C. PAPPALARDO

7
0

0,5

1m

Fig. 3 Facciata interna del muro Sud dellambiente R 0901 (A. Acconci). 1) Muro
Sud R 0904005; 2) Muro Est R 0904006; 3) Segmento di colonna R 0901017;
4) Stilobate R 0904053; 5) Pilastro Ovest del portico R 0901007; 6) Muro Ovest
R 0901008; 7) Piano pavimentale R 0901002.

centimetri dal battuto originario del portico anche in questambiente si


sovrapposto un battuto di terra. I reperti ceramici contenuti tra i due livelli
pavimentali sono riferibili al periodo omayade.
In questa seconda fase modifiche interessarono anche il corridoio dingresso, che venne ristretto mediante la creazione di un muretto obliquo e
diviso in due tronconi, che, partendo dallo stipite Sud della porta che dava
sulla strada orientale, arrivava fino allaltezza del pilastro orientale del
portico. Questo corridoio aveva gi subito e continu a subire rifacimenti
del manto pavimentale, testimoniati da quanto rinvenuto in un sondaggio
parziale praticato a ridosso di una bacinella di scolo, posta nellangolo tra
i due segmenti del nuovo muro meridionale e atta a convogliare lacqua
piovana, mediante una canaletta che scorreva al di sotto del battuto pavimentale, ad una cisterna la cui vera in pietra, con tanto di chiusura, stata
rinvenuta in prossimit dellangolo Nord-Est del corridoio stesso.
La piccola trincea effettuata in questo punto testimonia lesistenza di
cinque battuti sovrapposti in uno spessore di appena 48 centimetri. Di que-

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

389

sti i due superiori erano di terra e gli altri tre di calce. Questi tre, che sono
anche i pi antichi, vennero tagliati nella costruzione del muro, mentre la
vaschetta e la canaletta per la raccolta dellacqua furono costruite adagiate
sul battuto inferiore, quello pi antico.
In corrispondenza del pilastro Est del portico fu eretta una cortina muraria in direzione Nord-Sud, che ridusse lo spazio porticato ad un cortile
davanti alla facciata meridionale della chiesa.
Lungo questo muro stata praticata una trincea fino al livello della
roccia che rivela come la zona ad Est del muro, con la costruzione di esso
fu completamente rifatta, rimuovendo del tutto due livelli pavimentali pi
antichi, dei quali quello inferiore era posto su un allettamento di pietre
tondeggianti. La riempitura di terra che sostitu i due battuti conteneva
frammenti di ceramica ascrivibile al periodo omayade (Fig. 5).
Un sondaggio in profondit stato praticato tra il pilastro Est del portico e il muro della chiesa, lungo la facciata esterna del cosiddetto stilobate.

Fig. 4 Saggio presso lo stilobate davanti alla porta della chiesa in R 0904

C. PAPPALARDO

390

1 pilastri
2 arco caduto (R 0915004)
3 battuto; terra gialla compatta (R 0915003)
4 terra friabile con pietre piccole (R 0915007)
5 battuto; terra gialla e girgia
molto compatta (R 0915008-009)
6 cenere (R0915010)
7 roccia (R0915011)

Fig. 5 Sezione Nord-Sud presso il muro R 091505 a Nord del pressoio (E. Alliata)

cm

50

100

391

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

Tale trincea ha evidenziato come il muro meridionale della chiesa era stato
rifatto e che lo stilobate era in una fase antica intonacato. Inoltre, cosa
forse pi importante, al di sotto di un riempimento in calce che poggia
direttamente sul muro della chiesa vi era un battuto in terra preesistente
alledificio stesso, dal momento che fu tagliato durante la costruzione del
muro e che il riempimento di calce (12, nella sezione) conteneva numerose
scaglie di tegola, testimonianti il lavoro di preparazione per la messa in
posa del tetto della chiesa (Fig. 6).

2
3

16

17

14
4

15

9
11
13

1 arco caduto (R 0904011)


2 terra gialla fine
3 intonaci e piccole pietre
4 cenere
5 terra gialla battuta
6 piccole pietre
7 battuto marrone (R 0910022)
8 riempimento biancastro
(R 0910023)

10

12

9 battuto marrone (R 0910025)


10 stilobate (R 0904053)
11 strato rosato
12 riempimento
13 battuto
14 trincea di fondazione del muro sud
15 parete intonacata
16 capitello (R 0910007)
17 frammento architettonico decorato
cm

50

Fig. 6 Saggio presso il pilastro Est del portico in R 0910 (E. Alliata)

100

392

C. PAPPALARDO

Togliendo altro spazio al portico venne costruito anche un muro obliquo, fuori asse rispetto alla chiesa e alloriginario muro di chiusura a Sud,
sul quale si appoggiava. Questo muro aveva una soglia rialzata di tre gradini impostati sul battuto originale e aperta sul corridoio che correva ad
Ovest del pressoio. Landamento di questo muro si spiega col fatto che esso
parte costitutiva della prima rampa della scala daccesso ad un magazzino
seminterrato facente parte dellimpianto industriale.
Il pressoio
Alla seconda fase del complesso con ogni probabilit da ascrivere la costruzione del grande impianto per la produzione del vino e delle strutture
ad esso annesse: magazzino, corridoi laterali, cisterne (Pressoi per il vino
sono stati trovati sul monte Nebo [Saller 1941, 193-195; Pl. 161; Piccirillo
1996] e nella regione di Madaba; cf anche Frankel 1997; 1999).
Il pressoio risulta essere costruito addossato al grosso muro parallelo
allasse della Chiesa di S. Paolo, che doveva costituire loriginario limite
meridionale del corridoio daccesso e del porticato della chiesa. Era composto da nove vasche di pigiatura a cielo aperto, raggruppate a tre a tre sui
lati Ovest, Sud ed Est di una stanza centrale che aveva due archi paralleli
in direzione Nord-Sud a reggere le coperture del tetto. La totale assenza
di lastre di copertura registrata durante lo scavo, fa pensare che la stanza
fosse coperta con legno e terra (Fig. 7-8).
Due corridoi sopraelevati di circa 1,70 metri di larghezza con battuto di
terra fiancheggiavano ad Est e ad Ovest le vasche di pigiatura, mentre a Sud
cera un cortile solo parzialmente scavato, rialzato di circa 18 centimetri
rispetto al corridoio Est, con cui comunicava tramite un gradino di pietra
posto in asse con il muro di chiusura Sud delle tre vasche orientali.
Sei delle nove vasche sono state interamente scavate durante le nostre
campagne. Le tre rimanenti dal Dipartimento delle Antichit di Giordania
nell'estate del 2003, presentando le medesime caratteristiche. Le pareti si
sono conservate fino a 1,80-2,00 metri, mantenendo ampi stralci dello spesso intonaco di rivestimento e impermeabilizzazione; il pavimento risulta
essere mosaicato a tessere bianche di modulo 2-2,5 cm e posto in leggera
pendenza verso la stanza centrale, o meglio verso un foro praticato alla
base della parete che divide le vasche dalla stanza centrale del palmento.
Tale foro permetteva il deflusso del mosto nelle vaschette di decantazione, costituite da una vaschetta in pietra con sopra un blocco, anchesso di
pietra, lavorato a semicupola. Tali nicchiette erano anchesse intonacate.

Fig. 7 Sezione n-s del crollo dellarco Ovest del pressoio R 0909002 (C. Sanmor - M. Varvesi). 1) Crollo dellarco; 2) Terra
gialla poco compatta mista a pietre di piccole dimensioni R 0909006; 3) Cenere, forse resto della copertura lignea del tetto,
R 0909007; 4) Terra gialla compatta R 0909008; 5) Cenere e carboncini R 0909009; 6) Terra gialla molto compatta, terra di
abbandono R 0909010; 7) Mosaico pavimentale, tessere bianche di 2 cm di lato.

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

393

C. PAPPALARDO

394

Fig. 8 Sezione N-S del crollo dellarco Est del pressoio R 0909001 (C. Sanmor - M. Varvesi). 1) Crollo dellarco; 2) Terra
gialla poco compatta mista a pietre di piccole dimensioni R 0909006; 3) Cenere, forse resto della copertura lignea del tetto,
R 0909007; 4) Muro settentrionale del pressoio R 0904013; 5) Riempitura di pietre R 0909012; 6) Muretto trasversale R 0909;
7) Terra gialla sabiosa R0909008; 8) Terra gialla compatta di abbandono R 0909010; 9) Mosaico pavimentale, tessere bianche
di 2 cm di lato.

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

395

Otto vaschette di decantazione erano siffatte, la nona, quella centrale sulla


parete Sud, aveva solamente la vaschetta in pietra inserita sotto un incavo
del muro. Tutte le vasche di pigiatura erano collegate alla stanza centrale
attraverso aperture di 75-90 cm praticate sulle pareti e provviste anche di
architravi, di cui ben tre sono stati rinvenuti ancora in situ. Le pareti della
stanza centrale si sono conservate per oltre due metri di altezza, rivelandosi
rivestite da uno spesso strato di intonaco non impermealizzato(Fig. 9-10).
Il pavimento della stanza centrale, mosaicato come le vasche per la
pigiatura a tessere bianche di modulo 2-2,5 cm, risulta pi basso di 30-40
cm rispetto a quello delle vasche, con ognuna delle quali comunica mediante un gradino. Sia nella stanza centrale che in quelle laterali la trama
del mosaico pavimentale diagonale rispetto alle pareti, chiusa da due o
tre file perimetrali addossate alle pareti. Nella stanza centrale, sullo spigolo Sud-Est si trova un riquadro con bordo di chiusura e trama differente.
Lingresso alla stanza avveniva da Nord, dal cortile della chiesa. Salendo
due gradini di 15 cm ciascuno si attraversava la porta ricavata nellangolo
Nord-Ovest, smussando la parete Ovest. Un blocco monolitico intagliato con un foro centrale posto al centro della stanza serviva per fissare il
torchio. La pietra del torchio era poi bloccata da grandi pietre infisse nel
pavimento. Il bordo di chiusura del mosaico pavimentale correva attorno a
queste pietre che evidentemente furono poste in giacitura contemporaneamente alla realizzazione del pavimento musivo. Questo risulta in pendenza
verso langolo Nord-Ovest, dove si trova un foro che d in una vasca di
raccolta per il mosto, ricavata dentro la parete, tra larco Nord e la porta.
La vasca risulta per pi di met della sua lunghezza posta sotto il livello
del mosaico. Un battuto di terra, posto nel cortile della Chiesa di S. Paolo, contenente ceramica omayade, era il livello di calpestio per chi usciva
o entrava nel pressoio. Due cisterne a camera rettangolare, rivestite con
intonaco idraulico e scavate nella roccia per una profondit di due metri,
ricavate a ridosso della porta di accesso allimpianto, sono collegate tramite una vaschetta di scolo in pietra con una canaletta, che stato possibile
seguire solo nella sua porzione esterna al muro settentrionale del pressoio,
al di sotto del quale si inseriva per proseguire sotto il livello pavimentale
dello stesso. Queste strutture del palmento furono inserite nella zona Sud
orientale del porticato della Chiesa di S. Paolo e subirono alcune modifiche,
testimoniate dal fatto che la canaletta che va verso il pressoio si trova ad un
livello di circa 20 cm sotto il pavimento della stanza centrale, con la quale
non comunica pi, dal momento che venne inserita la vasca di raccolta
in pietra. Inoltre la canaletta, la vaschetta e la cisterna pi a Sud furono
ricoperte da uno strato terroso contenente materiale ceramico ascrivibile

C. PAPPALARDO

396

Fig. 9 Facciata interna del muro Ovest del pressoio R 0905005 (C. Sanmor - M. Varvesi).

0,5

1m

Fig. 10 Facciata interna del muro Est del pressoio R 0909003 (C. Sanmor - M. Varvesi).

0,5

1m

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

397

C. PAPPALARDO

398

0,5

1m

10

Fig. 11 Facciata del muro di chiusura


Sud del cortile (C. Sanmor). 1) Muro
Nord del pressoio (R 0904013);
2) Muro Est del cortile (R 0904012);
3) Originaria porta di accesso al pressoio; 4) Canaletta; 5) Riempimento (R
0904035); 6) Cisterna (R 0904036);
7) Muretto (R 0904025); 8) Muro
(R 0904022); 9) Piano pavimentale;
10) Muro (R 0904020).

9
0

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

399

al periodo omayade tardivo in una fase di risistemazione dellimpianto di


vinificazione, che vide anche la messa in disuso di tre delle vasche di pigiatura, mediante la tamponatura della rispettiva porticina di accesso alla
stanza centrale (Figg. 11-13). Lintenso utilizzo della zona del cortile di S.
Paolo a scopi industriali testimoniato anche dal rinvenimento della parte
superiore di una macina per frumento in basalto (Fig. 12, che era stata
inserita in un muretto posticcio che correva obliquamente nella zona Sud
Ovest del porticato.
Il magazzino
A completamento del complesso industriale vi era il grosso magazzino seminterrato che occupava la parte occidentale dellarea, tra la Chiesa di S.
Paolo e la Cappela dei Pavoni.
Lampio ed articolato edificio di 13x8 metri era costituito da due ambienti distinti, ma comunicanti. Al vano meridionale, costituito da un piano
a livello superficiale probabilmente in comunicazione con la Cappella
dei Pavoni mediante la porta di accesso sulla parete settentrionale della
cappella stessa e da due piani sottostanti, si accedeva tramite una scala
che, partendo dal corridoio Ovest del pressoio (R0906), arrivava al primo
piano seminterrato.
La scala era divisa in due rampe da una piattaforma, sulla quale si
aprivano due finestrelle a feritoia per assicurare lilluminazione del vano

Fig. 12 Macina da frumento


in basalto (S. Deruvo).

1997
sa di S. Paolo

a del muro est


2

C. PAPPALARDO

400

Fig. 13 Cortile della


Chiesa di S. Paolo. Facciata interna del muro Est
del cortile (C. Sanmor).
1) Pilasto Est del portico (R 0910003); 2) Arco
in giacitura primaria
(R0904002); 3) Muro Est
(R 0904012); 4 Cisterna
(R 0904026). 5) Vaschetta di decantazione (R
0904028); 6) Canaletta
(R 0904052); 7) Muro di
chisura Nord del pressoio
(R 0904013)

0,5

1m

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

401

settentrionale. Allaltezza del secondo gradino della rampa inferiore si apriva la porta di ingresso allambiente meridionale. Dopo la porta una serie di
cinque gradini, irregolari e poggianti su di un muro, scendeva negli ambienti
sottostanti, costituiti da cinque settori lunghi e stretti in direzione Nord-Sud
divisi da quattro serie di due archi. Dalla risulta di questi archi si dipartiva
una serie di cinque archetti in direzione Est-Ovest. Sugli archi poggiava il
tetto costituito da lastre di pietra delle quali solo quelle in corrispondenza
della fine della scala dingresso risultavano essere ancora in situ al momento
dello scavo. Il resto delle lastre stato rinvenuto nel crollo assieme ad un
certo numero di stipiti di porta, testimonianza certa dellesistenza di un
piano superiore. Il pavimento era costituito da lastre di pietra accostate luna
allaltra che fungevano anche da soffitto per un ulteriore piano inferiore che,
a quanto consta dalla zona che stato possibile indagare, doveva essere dal
punto di vista strutturale del tutto simile al piano superiore.
Il piano inferiore era invece completamente sotterraneo e parzialmente
scavato nella roccia naturale, che faceva anche da pavimento. Laccesso a
questo livello rimane ignoto, dal momento che a causa della precaria statica
delle strutture murarie stato possibile indagarne solo un settore ristretto.
Dal vano meridionale si accedeva a quello settentrionale attraverso
unapertura tra le ultime due campate darco ad Ovest. I settori di questo
ambiente risultano subito differenziarsi da quelli meridionali sia per struttura che per situazione stratigrafica. Di fatto lambiente risulta costituito da
un unico piano coperto da lastre di pietra tenute su da tre archi di circa 5
m di luce e avente come pavimento un battuto di terra. Gli archi risultano
essere tutti e tre crollati. Lungo la parete Ovest si aprivano quattro finestre
a feritoia e una nicchia quadrata. Al di sotto di esse correva un muretto
rialzato e colmato da una riempitura di sassi e terra gialla. Sulla parete
orientale vi erano due finestre a feritoia che davano sulla piattaforma della
scala e sotto le quali si trovava una rientranza del muro delimitata da un
muretto. I due settori centrali, solo parzialmente scavati fino allaltezza del
battuto pavimentale, si caratterizzano per la presenza di un segmento di
pilastro e di un muro in direzione Nord-Sud la cui cresta si trova al livello
del pavimento. La porzione di pilastro risulta essere appoggiata sul muro
meridionale dellambiente ed quanto resta di un pilastro che probabilmente insisteva sulla risulta tra due archi per reggere qualche struttura superiore
di cui non rimasta alcuna traccia.
I due vani presentano una situazione stratigrafica del tutto differente.
Quello meridionale, pi esteso e costituito da tre piani sovrapposti, era del
tutto colmo del crollo delle strutture murarie, in particolare degli archi e
delle lastre di copertura dei due piani. Lastre e conci darco sono stati ritro-

402

C. PAPPALARDO

vati fino al livello del pavimento in roccia del piano inferiore. In corrispondenza della scala e del primo arco ad Est, dove ancora il tetto era in situ,
da registrare la presenza di un focolare, unica testimonianza di riuso tardivo
di questa zona dellambiente. Nella cenere di tale focolare, che riempiva
abbondantemente gli strati al di sotto dellarco, sono stati ritrovati alcuni
mattoni di fango bruciati, tra cui uno ancora integro. Scendendo al di sotto
del soffitto del piano inferiore, lo scavo ha incontrato uno strato di terra
gialla soffice mista a chiazze di cenere in cui sono stati rinvenuti frammenti
ceramici e frammenti di intonaco bruciati. Degli archi che delimitavano
lunico spazio in cui si ritenuto possibile estendere lo scavo in profondit,
quelli superiori risultavano crollati uno sullaltro in direzione Est. Gli archi
inferiori risultavano integri strutturalmente, presentando sui conci sommitali una bugnatura atta ad alloggiare le lastre del soffitto (Fig. 15).
Dal punto di vista stratigrafico il vano settentrionale era differente, tutto
lambiente risultava riempito da un ampio strato di terra gialla compatta
mischiata agli elementi del crollo. Ampi frammenti di intonaco bianco e

Fig. 14 Sezione allaltezza dellingresso del


magazzino (S. Deruvo).
1) Muro di chiusura
Ovest (R 0924003);
2) Strato di crollo e abbandono (R 0924006);
3) e 4) Strati relativi
ad un riuso tardivo
(R 0924007); 5) Strato di abbandono (R
0924008); 6) Muretto
posticcio.

Fig. 15 Sezione dei due piani del


magazzino (S. Deruvo). 1) Arco del
piano inferiore (R 0932002); 2) Arco
del piano superiore (R 0932001);
3) Roccia

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

403

404

C. PAPPALARDO

malta sono stati ritrovati con abbondanti chiazze di cenere. Lo strato di


terra gialla ed il crollo si estendevano fino al battuto pavimentale messo
in luce solo allaltezza degli angoli meridionali del vano. Il battuto nei
due angoli presenta caratteristiche diverse: pi scuro e meno compatto ad
Ovest; chiaro, molto compatto e curato nella preparazione ad Est. Allaltezza dellangolo di Nord-Est stato trovato ancora in giacitura primaria il
crollo del muro di chiusura orientale al di sopra di quello dellarco.
Il corridoio in facciata alla Cappella dei Pavoni
In concomitanza con lo scavo del cortile a Sud della Chiesa di S. Paolo
stato fatto un sondaggio in corrispondenza della facciata Ovest della
Cappella dei Pavoni. Lo scavo ha messo in luce, allaltezza della porta
occidentale, un corridoio largo circa due metri, che mediante due gradini
degradava in direzione Nord fino ad una soglia che probabilmente metteva
in comunicazione con gli ambienti superiori del magazzino. In prossimit
di questa soglia stato rinvenuto anche un architrave in cui al centro vi era
scolpita una croce e ai lati da una parte una stella di Davide e dallaltra un
disegno geometrico a rombi che si intersecano (Fig. 16).
da notare come in questa zona la ceramica rinvenuta ascrivibile
alle tipologie pi tardive registrate ad Umm al-Rasas. In particolare degni
di nota sono due frammenti di ceramica invetriata del tipo Rakka, che
assieme ad altri frammenti appartenenti a tipologie tardive e gi pubblicati,
rimandano a contesti cronologici di X secolo.

Fig. 16 Larchitrave trovato nel corridoio della Cappella dei Pavoni (M. Forgia).

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

405

Il riuso tardivo
In tutta larea testimoniato un intenso riuso tardivo. Nella zona del cortile
lultimo livello di calpestio si trova immediatamente al di sotto del crollo
delle strutture del portico e testimonia lultimo utilizzo dellarea prima
del suo abbandono definitivo. A questo riuso sono da mettere in relazione
gli ambienti abitativi ricavati nella navata meridionale della Chiesa di S.
Paolo (Piccirillo 1997, 393-394; Sanmor-Pappalardo 1997, 402-405), il
banchetto ricavato a ridosso del muro della chiesa tra la porta Est e quella
centrale della chiesa, una vaschetta rettangolare in pietra collocata a breve
distanza dalla porta Ovest, un focolare rinvenuto sotto il crollo degli archi
del portico, un segmento murario dallandamento irregolare interposto tra
il crollo dellarco occidentale e il muro obliquo a Sud-Ovest.
Uno spesso strato di terra documenta labbandono definitivo del cortile
a cui fece seguito il crollo delle strutture murarie del portico.
Di questo intenso riuso delle strutture del complesso ecclesiasticoindustriale ormai in disuso vi sono tracce evidenti anche nel settore ad
Ovest del pressoio. A ridosso del muro che chiudeva ad oriente il complesso sono stati rinvenuti al di sotto dello strato di superficie abbondanti

Fig. 17 Langolo Nord-Est del magazzino interessato dal riuso (S. Deruvo).
1) Arco (R 0928008); 2-3) Arco crollato (R 0927011); 4-5) Muretti di riuso.

406

C. PAPPALARDO

accumuli di cenere con frammenti di ceramica. Cenere e ceramica da riuso tardivo sono state trovate anche scavando le vasche laterali. La stanza
centrale del pressoio fu anchessa riusata, livellando lo strato di terra di
abbandono spesso circa 20 cm a formare un battuto sul quale venne costruito anche un forno tannur presso la parete settentrionale a ridosso del
pi occidentale dei due archi che dovevano ancora essere in piedi. I resti
di un forno dello stesso tipo sono stati registrati anche nel corridoio ad
Ovest del pressoio.
Nel magazzino sotto larco a ridosso della scala di accesso stato rinvenuto un accumulo di cenere e le tracce di un focolare in cui stato trovato un mattone di fango cotto di rozza fattura, simile a quelli utilizzati per la
costruzione dei muri degli ambienti di servizio a Sud-Ovest della Chiesa di
S. Paolo. Nella sezione orientale del vano Nord del magazzino due muretti
posticci testimoniano il riuso tardivo in questa parte del complesso evidentemente ancora accessibile e fruibile a scopi abitativi (Fig. 17).
Conclusioni
Gli scavi condotti nella parte centrale dellarea compresa tra la Chiesa di
S. Paolo e la Cappella dei Pavoni hanno rivelato, oltre al monumentale
porticato dingresso alla chiesa, lesistenza di un grosso impianto per la
produzione del vino, con tanto di pressoio, cisterne di raccolta e magazzino
seminterrato a pi piani.
Lanalisi dei dati emersi durante lo scavo ha permesso di ricostruire le
varie fasi del complesso.
Verso la met del VI secolo loriginario terreno scosceso e irregolare
venne livellato mediante riempitura per permettere la costruzione della
Chiesa di S. Paolo e del suo cortile porticato, occupando lo spazio di un
edificio pi antico, la cui esistenza stata dimostrata dal rinvenimento di
una tomba nellangolo Sud-Ovest della Chiesa a circa 1 m sotto il mosaico
pavimentale (Piccirillo 1999, 485-486).
Durante il VII secolo vennero costruiti il pressoio, le strutture ad esso
connesse e il magazzino. Ci comport un restringimento e adattamento
del corridoio dingresso e del portico della chiesa, che tuttavia manteneva
ancora piena funzionalit liturgica.
Tra il VII e VIII secolo il pressoio e le sue cisterne subirono alcune modifiche probabilmente a causa della diminuzione della produzione. Quattro
delle nove vasche di pigiatura furono abbandonate, una delle due cisterne
di raccolta venne chiusa e la canaletta che permetteva il deflusso del mosto

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

407

Fig. 17a Il pressoio prima della rimozione del crollo nella stanza centrale (S. Deruvo).

408

C. PAPPALARDO

Fig. 17b Pianta dello scavo con i settori numerati.

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

409

direttamente dalla stanza del torchio alle cisterne venne sostituita da una
pi modesta vasca di raccolta.
Verso la fine dellVIII secolo si ebbe labbandono della chiesa e dellimpianto industriale. Una rioccupazione tardiva degli ambienti ancora
agibili si ebbe tra il IX e il X secolo, periodo dopo il quale si verific labbandono definitivo della zona come di tutta la citt di Umm al-Rasas.
La ceramica dello scavo
Nella scelta del materiale ceramico da presentare in questarticolo, tra
quello rinvenuto durante lo scavo, si dato particolare rilievo da un lato ai
frammenti provenienti dai sondaggi, col fine di meglio contestualizzare le
varie strutture e capirne levoluzione cronologica; dallaltro agli elementi
fittili ritrovati negli ultimi livelli di occupazione, nel tentativo di avere maggiori informazioni sullultimo periodo di vita della citt di Umm al-Rasas
e sulle tardive rioccupazioni della stessa.
Nel primo caso da notare come i sondaggi praticati hanno rivelato
lesistenza di una serie di battuti, testimonianza delle varie fasi di vita del
cortile, poggianti su una riempitura, ricca di frammenti ceramici ascrivibili
al periodo che va dal Tardo Romano (III sec.) al Tardo Bizantino (VI sec.),
posta a colmare le irregolarit della roccia sottostante per permettere la
costruzione della chiesa e delle strutture ad essa collegate.
Per quello che riguarda il riuso tardivo, degni di nota sono i frammenti
di coarse ware rinvenuti pressocch costantemente; e tra i contesti tardivi
bisogna rilevare che quelli relativi alla Cappella dei Pavoni hanno fatto
pure registrare, oltre al gi pubblicato esempio di ceramica tipo Mefjar
(Sanmor-Pappalardo 1997, fig. 13,5), due frammenti di invetriata monocromatica tipo Rakka, testimonianza probabilmente di una tardiva quanto
sporadica occupazione del sito.
In generale bisogna notare come le tipologie ceramiche non si discostino da quelle solitamente presenti ad Umm al-Rasas e ormai ben conosciute
(Alliata 1991).
Nel cortile della Chiesa di S. Paolo, presso le porte (Fig. 18-19).
1
2

R 10203. Anfora. Diam. cm 10. Imp. fine; col. rosa, ingobbio esterno beige;
cott. media.
R 10488. Anfora. Diam. cm 11. Imp. finemente granuloso con inclusi neri; col.
rosa, ingobbio rosso-marrone; cott. forte.

410
3
4
5
6

C. PAPPALARDO

R 10205. Anforetta. Diam. cm 14. Imp. granuloso; col. rosa, pittura rossa
allesterno; cott. media.
R 10487. Pentola. Diam. cm 12. Imp. finemente granuloso; col. grigio-marrone, ingobbio grigio scuro allesterno; cott. media.
R 10163. Tazza. Diam. cm 8?. Imp. fine, bianco-beige, pittura rosso-marrone
allesterno; cott. forte.
R 10207. Tazza. Diam. cm 14. Imp. fine; col. grigio, tracce di pittura bianca a
linee parallele allesterno; cott. forte.

4
3

5
7

10

12

R090400

13

11

R09040
cm

10

Fig. 18 Battuti davanti alla Chiesa di S. Paolo; presso la macina di basalto (11-13).

411

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

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cm

Fig. 19 Nel cortile della Chiesa di S. Paolo.

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25
26
27

C. PAPPALARDO

R 10161. Tazza. Diam. cm 10. Imp. fine; col. beige, pittura rossa allesterno;
cott. forte.
R 10493. Piatto. Diam. cm 32. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi
e neri; col. rosa, ingobbio bianco allesterno; cott. media.
R 10167 bis. Piatto. Diam. cm 14,7. Imp. fine; col. beige; cott. media.
R 10204. Mattoncino per finestra. Imp. granuloso; col. rosa; cott. media.
R 15525. Anfora. Diam. cm 8. Imp. finemente granuloso; col. rosa, ingobbio
grigio-beige allesterno; cott. forte.
R 15526 bis. Tazza. Diam. cm 5,6. Imp. fine con inclusi bianchi; col. rosa
scuro; cott. forte.
R 15528. Lucerna. infundibolo, Diam. cm 2,5. Imp. finemente granuloso con
inclusi bianchi; col. rosa scuro, ingobbio beige allesterno; cott. forte.
R 10233. Anfora. Diam. cm 12. Imp. fine; col. beige; cott. forte.
R 10308. Anforetta. Diam. cm 16. Imp. fine; col. rosa, pittura rossa allesterno;
cott. forte.
R 10393. Anfora. Diam. cm 9. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi;
col. rosa; cott. media.
R 10180-82. Anfora. Diam. cm 9. Imp. fine con inclusi bianchi e neri; col.
rosa, ingobbio beige chiaro allesterno; cott. forte.
R 10303. Brocca. Diam. cm 9. Imp. finemente granuloso; col. grigio, ingobbio
beige scuro in superficie; cott. forte.
R 10306. Brocca. Diam. cm 3 inf. Imp. fine; col. rosa, traccia di pittura rossa
allesterno; cott. metallica.
R 10229. Tegame. Diam. cm 16. Imp. granuloso; col. marrone; cott. debole,
esterno bruciato dal fuoco.
R 10314. Tegame. Diam. cm 22. Imp. finemente granuloso; col. marrone, ingobbio rosso scuro allesterno; cott. forte, segni dellattaccature dellansa del
manico.
R 10315. Tegame. Diam. cm 11,2 inf. Imp. grossolano con grossi inclusi; col.
grigio-rosso; cott. media, tracce di cenere allesterno.
R 10231. Coperchio. Diam. cm 20. Imp. granuloso; col. rosso; cott. debole.
R 10226. Tazza. Diam. cm 8. Imp. fine; col. grigio in sezione, rosso in superficie; cott. forte.
R 10394. Piatto. Diam. cm 16. Imp. fine con inclusi bianchi e neri; col. rosa
allesterno, grigio allinterno, tracce di pittura allinterno e allesterno; cott.
forte.
R 10314 bis, Peso in pietra basaltica, 200 g.
R 10313 bis, Peso in pietra silicea, 1200 g.

Nel focolare tra le due porte della chiesa (Fig. 20-21).


1

R 10240. Anfora. Diam. cm 9. Imp. fine con inclusi bianchi; col. rosa, ingobbio beige allesterno; cott. forte. Tipo a fascetta (Alliata 1991, fig. 22,2;
Alliata 1992, fig. 2,2).

413

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

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cm

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R0904031
17

Fig. 20 Nel focolare tra le due porte della chiesa.

414

C. PAPPALARDO

R 10235. Anfora. Diam. cm 7,6. Imp. fine con inclusi bianchi; col. rosa,
ingobbio beige allesterno; cott. forte. Tipo con orlo a triangolo (Alliata
1992, fig. 2,3).
3 R 10241. Anfora. Diam. cm 8 interno Imp. fine; col. rosa virante al beige
allesterno, ingobbio beige allesterno; cott. forte.
4 R 10239. Anfora. Diam. cm 8. Imp. fine; col. rosa scuro, ingobbio beige allesterno; cott. forte.
5 R 10274. Anfora. Diam. cm 9,2. Imp. finemente granuloso; col. grigio, ingobbio grigio scuro allesterno; cott. forte.
6 R 10253. Borraccia / Fiasca. Diam. cm 5,3. Imp. finemente granuloso; col.
rosa, ingobbio beige allesterno; cott. forte.
7 R 10264. Tegame. Diam. cm 16,8. Imp. finemente granuloso; col. grigio in
superficie, marrone in sezione, ingobbio grigio scuro allesterno; cott. forte.
8 R 10263. Tegame. Diam. cm 20. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi;
col. marrone, ingobbio grigio scuro allinterno; cott. media.
9 R 10272. Tegame. Diam. cm 18. Imp. finemente granuloso; col. marrone,
ingobbio nero allesterno; cott. forte.
10 R 10273. Tegame. Diam. cm 19. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi; col. grigio in superficie, grigio-marrone in sezione, ingobbio grigio scuro
allesterno; cott. forte.
11 R 10271. Tegame. Diam. cm 16,5. Imp. granuloso; col. marrone, rosa allesterno; cott. media.
12 R 10265. Tegame. Diam. cm 23. Imp. fine con inclusi bianchi; col. marrone,
ingobbio grigio scuro allesterno; cott. forte.

18

19

21

20

22
23
cm

Fig. 21 Nel focolare tra le due porte della chiesa; sul battuto (22-23).

10

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

415

13 R 10267. Coperchio. Diam. cm 17 interno. Imp. fine con inclusi bianchi; col.
grigio, ingobbio nero allesterno; cott. metallica.
14 R 10275. Coperchio. Diam. cm 20,5 interno. Imp. fine con inclusi bianchi; col.
marrone scuro, ingobbio grigio allesterno; cott. forte.
15 R 10270. Coperchio. Diam. cm 26,5 interno. Imp. finemente granuloso; col.
marrone; cott. media, tracce di combustione allesterno.
16 R 10270 bis. Coperchio. Diam. cm 19 interno. Imp. granuloso; col. marrone,
ingobbio grigio allesterno; cott. forte.
17 R 10268. Coperchio. Diam. cm 28. Imp. granuloso; col. grigio in sezione, rosso
allesterno, marrone allinterno; cott. debole, bruciature e abrasioni lungo lorlo.
18 R 10276. Coperchio. Diam. cm 36,5 interno?. Imp. finemente granuloso con
inclusi bianchi; col. marrone; cott. media, tracce di combustione allesterno.
19 R 10278. Coperchio. Diam. cm 24 interno Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi; col. marrone, ingobbio grigio scuro allesterno; cott. media.
20 R 10270 a. Coperchio. Diam. cm 24. Imp. granuloso; col. marrone scuro; cott.
media.
21 R 10236 - 55. Tazza. Diam. cm 13. Imp. fine con inclusi bianchi; col. rosa scuro, ingobbio beige chiaro allinterno e allesterno presso lorlo; cott. forte.
22 R 10221. Anforetta. Diam. cm 20. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi e neri; col. rosa, allesterno pittura rossa su ingobbio beige; cott. forte.
23 R 10223. Tegame. Diam. cm 20. Imp. granuloso; col. grigio scuro, ingobbio
nero allesterno; cott. media.

Presso le cisterne e la porta del pressoio a ridosso del muro Est (Fig. 22)
1
2
3
4
5
6
7
8

R 10280. Anfora. Diam. cm 9,5. Imp. granuloso con inclusi bianchi e neri; col.
rosa/beige, ingobbio beige in superficie; cott. media.
R 10285-94. Anfora. Diam. cm 15. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi e neri; col. rosa, tracce di pittura rossa allesterno e sullorlo; cott. forte.
R 10291. Anfora. Diam. cm 9,6. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi;
col. rosa; cott. forte.
R 10284. Anforetta (?). Diam. cm 4,2. Imp. granuloso con inclusi bianchi; col.
grigio, ingobbio rosa/beige allesterno, grigio/beige allinterno; cott. media,
tracce di cenere in prossimit del fondo.
R 10295-96. Anforetta. Diam. cm 15. Imp. finemente granuloso con inclusi
bianchi; col. rosa, ingobbio beige in superficie; tracce di pittura rossa allesterno e sullorlo; cott. forte.
R 10287. Anforetta. Diam. cm 12. Imp. fine con inclusi bianchi; col. rosa, ingobbio rosa scuro in superficie; pittura rossa allesterno e sullorlo; cott. forte,
sbavature di pittura rossa allinterno.
R 10288. Anforetta. Diam. cm 9. Imp. fine; col. rosa, ingobbio beige in superficie; pittura rossa in superficie; cott. forte.
R 10292. Pentola. Diam. cm 9. Imp. finemente granuloso con inclusi neri; col. rosa
in superficie; col. beige in sezione, ingobbio grigio scuro allesterno; cott. media.

416
9

C. PAPPALARDO

R 10293-99. Tegame. Diam. cm 18. Imp. finemente granuloso con inclusi


bianchi; col. grigio, ingobbio nero allesterno; cott. forte.

Battuti davanti alla porta b della chiesa (Fig. 23)


1
2
3
4
5
6
7
8
9

R 10322. Brocca. Diam. cm 2. Imp. fine; col. rosso, ingobbio rosso scuro in
superficie; cott. debole.
R 10321. Tazza. Diam. cm 2 inf.. Imp. fine; col. verde; cott. debole.
R 10321 bis. Gancio in rame per stoppino.
R 10475. Anfora. Diam. cm 8. Imp. fine; col. rosa, ingobbio marrone allesterno; cott. media.
R 10477. Tegame. Diam. cm 20. Imp. granuloso con inclusi calcarei; col.
marrone, ingobbio grigio allesterno; cott. media.
R 10475 bis. Gancio in rame per stoppino.
R 11001. Pentola. Diam. cm 14. Imp. fine; col. rosso, ingobbio rosso scuro
allesterno; cott. forte.
R 11000. Coperchio. Diam. cm 18. Imp. finissimo; col. rosa; cott. forte.
R 10435. Catino (?). Diam. cm 10 interno Imp. fine; col. beige-rosa, ingobbio
beige allesterno; cott. forte.

7
6

9
cm

Fig. 22 Presso le cisterne e la porta del pressoio.

10

417

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

10 R 10438. Tazza. Diam. cm 9. Imp. fine; col. rosa, ingobbio beige allesterno;
sottile incisione lungo la parete esterna. Tracce di pittura rossa allinterno; cott.
forte.
11 R 10440. Piatto. Diam. cm 20. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi;
col. rosa allesterno; col. beige in sezione, ingobbio rosso-bruno in superficie;
cott. forte.
12 R 10441. Piatto. Diam. cm 30,4. Imp. finemente granuloso; col. rosa, ingobbio
rosso-bruno in superficie; cott. forte.

Sondaggio davanti alla porta b (Figg. 24-25; cf. Sezione fig. 4)


1

R 11049. Anfora. Diam. cm 12. Imp. granuloso con inclusi bianchi e neri; col.
grigio in sezione, rosso in superficie, ingobbio grigio allesterno; cott. forte.

4
2

R0904
10
11

12
cm

10

Fig. 23 Battuti davanti alla porta b della chiesa; Terra gialla sul battuto superiore (1-3); battuto intermedio (4-6); battuto originario (7-12).

418
2
3
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5
6
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9
10
11
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18
19

C. PAPPALARDO

R 11052. Anfora. Diam. cm 9,5. Imp. granuloso con inclusi bianchi e neri;
col. grigio-nero, ingobbio grigio-verde in superficie; cott. forte, lingobbiatura
uniforme allesterno e segue le torniture allinterno.
R 11053. Anfora. Diam. cm 8. Imp. finemente granuloso; col. grigio scuro,
ingobbio grigio-marrone in superficie; cott. forte.
R 11054. Anfora. Diam. cm 10. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi;
col. grigio in sezione, rosso in superficie, ingobbio grigio in superficie; cott.
forte.
R 11075. Anfora. Diam. cm 8. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi e
neri; col. rosa, ingobbio marrone scuro in superficie; cott. forte.
R 11077. Anfora. Diam. cm 12,6. Imp. fine con inclusi bianchi; col. grigioverde, ingobbio grigio allesterno; cott. forte.
R 11108. Anfora. Diam. cm 8. Imp. fine con inclusi bianchi e neri; col. rosa,
ingobbio rosso-marrone in superficie; cott. forte.
R 11078. Anforetta (?). Diam. cm 14. Imp. granuloso con inclusi bianchi; col.
rosso, tracce di ingobbio marrone allesterno; cott. media. ( per le anfore cf Alliata 1991, fig. 6,1-2; Alliata 1988, fig. 8,1-7; fig. 15, 2-8; datati allinizio VI sec.)
R 11048. Anfora. Diam. cm 4. Imp. fine con inclusi bianchi; col. rosa-marrone,
ingobbio marrone scuro allesterno; cott. forte.
R 11047-65-66. Lechitos/Unguentario. Diam. cm 4,8. Imp. fine con inclusi
bianchi; col. rosa, ingobbio marrone chiaro allesterno; cott. forte. (Alliata
1991, fig. 27,30)
R 11051. Pentola. Diam. cm 11. Imp. fine con inclusi neri; col. beige chiaro,
ingobbio grigio scuro allesterno; cott. forte.
R 11058-72-73. Pentola. Diam. cm 12. Imp. fine con inclusi trasparenti; col.
beige, ingobbio grigio scuro allesterno; cott. metallica.
R 11059-69. Pentola. Diam. cm 11. Imp. fine; col. rosa, ingobbio beige scuro
allesterno; cott. forte.
R 11064. Pentola. Diam. cm 12. Imp. fine; col. beige, ingobbio marrone chiaro
allesterno; cott. metallica. (Alliata 1991, fig. 1,2)
R 11068. Pentola. Diam. cm 12. Imp. fine con inclusi neri; col. beige allinterno
e in sezione, rosa allesterno, ingobbio grigio scuro allesterno; cott. forte.
R 11083. Pentola. Diam. cm 8,5 interno. Imp. fine con inclusi neri; col. grigio
in sezione; beige allesterno, ingobbio grigio-cenere-marrone allesterno; cott.
metallica. Assieme al n. 21 presenta un manico con piega tipica dei contesti
pi antichi. (Alliata 1988, fig. 10,18; 15,29.32-33; Alliata 1991, fig. 6,7; 11,14;
27,23-24)
R 11089. Pentola. Diam. cm 6. Imp. fine con inclusi neri; col. marrone allesterno, nero allinterno, ingobbio marrone scuro allesterno; cott. forte,
tracce di combustione allinterno.
R 11100. Pentola. Diam. cm 9. Imp. fine con inclusi bianchi e neri; col. marrone chiaro, ingobbio grigio-marrone in superficie; cott. forte.
R 11104. Pentola. Diam. cm 8,8 interno. Imp. finemente granuloso con inclusi
bianchi e neri; col. rosa in superficie; col. beige in sezione, ingobbio marronegrigio in superficie; cott. forte.

419

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

10

12

11

R0904056

13
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20

19

21

cm

10

Fig. 24 Dal sondaggio sotto il battuto originario presso la porta della chiesa.

420

C. PAPPALARDO

20 R 11111. Pentola. Diam. cm 8. Imp. fine; col. rosa scuro, ingobbio marrone
chiaro in superficie; cott. metallica.
21 R 11101. Pentola. Diam. cm 11,4 interno. Imp. finemente granuloso con inclusi e porosit; col. beige, ingobbio marrone scuro allesterno; marrone chiaro
allinterno; cott. forte.
22 R 11062. Tazza. Diam. cm 10,2. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi;
col. rosa-beige, a pettine allesterno; cott. forte. (Alliata 1988, fig. 6,8; Alliata
1991, fig. 10,34)
23 R 11063. Tazza. Diam. cm 10,5. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi;
col. rosa allesterno, rosa-beige allinterno; cott. forte. (Alliata 1988, fig. 6,9;
Alliata 1991, fig. 19,23-25; cf riferimenti met VI sec.)
24 R 11044. Piatto. Diam. cm 26 interno 29 esterno. Imp. finemente granuloso
con inclusi bianchi e neri; col. rosa, ingobbio rosso-marrone in superficie,
lucidato allinterno; solco lievemente inciso sullorlo; cott. forte.
25 R 11061. Piatto. Diam. cm 28. Imp. granuloso con inclusi bianchi; col. marrone in sezione rosso-marrone allesterno, ingobbio rosso-marrone allinterno
con sbavature allesterno e tracce di lucidatura sullorlo; solco circolare inciso
lungo lorlo; cott. media.
26 R 11080-84. Piatto. Diam. cm 30. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi; col. rosso, ingobbio rosso-marrone lucidato allesterno. Solco circolare
inciso sullorlo; cott. forte.
27 R 11050. Lucerna. Diam. (?). Imp. fine; col. rosa, ingobbio rosso-marrone
allesterno; cott. forte, fatta a stampo.

24

22

25
23

27

26
cm

10

Fig. 25 Dal sondaggio sotto il battuto originario presso la porta della chiesa.

421

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

Battuti del corridoio dingresso ad Est del complesso (Fig. 26)


1
2
3
4

R 15136. Anfora. Diam. cm 9. Imp. fine con inclusi bianchi; col. rosa allesterno; beige in sezione, tracce di ingobbio beige allesterno; cott. forte.
R 15296. Anfora. Diam. cm 11,5. Imp. fine; col. beige, pittura rossa su ingobbio beige chiaro (latte) allesterno; cott. forte.
R 15008. Piatto. Diam. cm 32. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi,
rossi e neri; col. rosso chiaro; cott. forte.
R 15132. Pithos. Diam. cm 24. Imp. fine con inclusi bianchi; col. rosso, ingobbio beige allesterno e sullorlo; decorazione incisa con un punteruolo lungo il
collo e sullorlo; cott. forte.

Sondaggio presso langolo Sud-Est della chiesa (Fig. 27; cf Sezione fig. 6)
1

R 15393. Anfora. Diam. cm 7. Imp. fine con inclusi bianchi e trasparenti; col.
rosso-marrone in sezione marrone in superficie, ingobbio grigio in superficie;
cott. forte.

cm

Fig. 26 Dal corridoio dingresso ad Est del complesso; dalla canaletta (4).

10

422

C. PAPPALARDO

2
1

10

9
cm

10

Fig. 27 Trincea presso langolo Sud-Est della chiesa; riempitura di terra sotto il
battuto (1-3); riempitura di calce (4-6); riempitura presso le fondamenta (7-10).
2
3
4
5
6

R 15400. Anforetta. Diam. cm 15. Imp. granuloso; col. grigio scuro in sezione
marrone in superficie, tracce di ingobbio beige e nero allesterno; cott. media.
R 15390. Pentola. Diam. cm 13,5. Imp. finemente granuloso; col. rosa-marrone
in superficie, grigio scuro in sezione; cott. media.
R 15377. Tazza. Diam. cm 12. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi
e trasparenti; col. rosso, ingobbio beige allesterno; cott. forte, levigatura a
spatola.
R 15378. Tazza. Diam. cm 10,5. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi
e trasparenti; col. rosa; cott. forte, levigatura a spatola.
R 15381. Anfora / tazza (?). Diam. cm 9 Fine; col. rosso-marrone, ingobbio
grigio-marrone allesterno; cott. forte.

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

423

R 15421. Anfora. Diam. cm 11. Imp. fine con inclusi bianchi; col. grigio in
sezione rosa in superficie, ingobbio grigio chiaro in superficie decorazione a
pettine sul collo; cott. forte.
8 R 15420. Pentola. Diam. cm 15. Imp. granuloso; col. marrone; cott. forte.
9 R 15423. Tazza. Diam. cm 6 alla base. Imp. fine con inclusi bianchi e neri;
col. marrone-grigio, ingobbio beige allinterno; cott. forte.
10 R 15434. Piatto. Diam. cm 20. Imp. fine con inclusi neri; col. grigio in sezione;
col. rosso in superficie, ingobbio rosso-marrone allinterno; cott. forte.

Trincea ad Est del muro di chiusura del cortile in R0915 (Fig. 28-29; cf
Fig. 5).
1
2
3
4
5

6
7
8
9
10
11
12
13
14
15

R 15359. Anforetta. Diam. cm 14. Imp. granuloso; col. marrone-rosso in superficie; grigio in sezione, ingobbio beige allesterno; cott. forte.
R 15363. Pentola. Diam. cm 10. Imp. granuloso; col. marrone chiaro, ingobbio
marrone scuro allesterno; cott. media.
R 15364. Pentola. Diam. cm 14. Imp. finemente granuloso; col. rosso allesterno; marrone allinterno, ingobbio rosso-beige allesterno; cott. forte.
R 15365. Pentola. Diam. cm 12. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi;
col. marrone scuro; marrone chiaro allesterno; cott. forte.
R 15061. Tegame/Piatto. Diam. cm 20. Imp. granuloso con inclusi bianchi e
trasparenti; col. rosso, ingobbio rosso scuro in superficie; cott. media, tracce
di combustione in superficie, Almagro, El palacio Omeya de Amman III, 2000,
fig. 57.8, pag. 175.
R 15063. Tazza. Diam. cm 14. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi e
trasparenti; col. rosa-beige, ingobbio beige allesterno, pittura rossa; cott. forte.
R 15482. Anfora. Diam. cm 7,5. Imp. fine con inclusi trasparenti; col. rosa,
ingobbio beige in superficie; cott. forte.
R 15483. Anforetta. Diam. cm 9. Imp. fine con inclusi bianchi e trasparenti;
col. rosa-beige, ingobbio beige-verde allesterno; decorazione a pittura rossa
allesterno e sullorlo; cott. forte.
R 15461. Pentola. Diam. cm 18. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi;
col. marrone, ingobbio beige scuro allesterno; cott. media.
R 15468. Coperchio. Diam. cm 24. Imp. finemente granuloso; col. marrone,
ingobbio marrone scuro allesterno; cott. media.
R 15493. Catino. Diam. cm 36. Imp. fine con inclusi bianchi; col. beige, ingobbio beige scuro in superficie; cott. media.
R 15494. Tazza. Diam. cm 9. Imp. fine; col. rosso, ingobbio beige-rosso allesterno; decorazione ondulata praticata a stecca; cott. forte.
R 15470. Piatto. Diam. cm 21,5. Imp. granuloso; col. beige-marrone, ingobbio
beige-verde allesterno; cott. forte.
R 15496. Lucerna. Imp. fine; col. rosa; cott. media.
R 15370. Piatto. Diam. cm 12 alla base. Imp. granuloso; col. grigio-rosso,
ingobbio rosso-beige in superficie; cott. media.

424

C. PAPPALARDO

5
6

10

R 09
11

12
13
14

15

16
cm

10

Fig. 28 Trincea ad Est del muro di chiusura del cortile; sul battuto superiore (16); tra i due battuti (7-14); sul secondo battuto (15-16).

425

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

16 R 15374. Piatto (?). Imp. finissimo; col. rosso, pittura rosso-scuro allinterno;
cott. forte, ceramica nabatea.
17 R 15500. Anforetta. Diam. cm 13. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi e
trasparenti; col. rosso; grigio in sezione, ingobbio beige allesterno; cott. forte.
18 R 15324. Brocca. Diam. cm 10. Imp. fine con inclusi bianchi e rossi; col. rosso
chiaro; cott. forte.
19 R 15327. Pentola. Diam. cm 16. Imp. granuloso; col. marrone, ingobbio grigio
scuro allesterno; cott. media.
20 R 15510. Tegame. Diam. cm 11. Imp. fine con inclusi neri; col. grigio, ingobbio nero allesterno; cott. metallica.
21 R 15512. Piatto. Diam. cm 36. Imp. granuloso con inclusi bianchi; col. rosso
allesterno; col. beige-rosa in sezione; cott. media.
22 R 15314. (?). Imp. fine con inclusi bianchi; col. rosa in sezione e allesterno,
grigio scuro allinterno; cott. forte.
23 R 15514. Lucerna. Imp. fine; col. marrone; cott. forte, margini taglienti.

17

18

19

20

R 09

21

23
22

cm

10

Fig. 29 Trincea ad Est del muro di chiusura del cortile; nella riempitura sopra
la roccia (17-23).

426

C. PAPPALARDO

Strati superficiali del pressoio (Fig. 30-31)


1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20

R 10372-76. Anfora. Diam. cm 9. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi; col. rosa, ingobbio beige chiaro allesterno; cott. forte.
R 10373. Brocca. Diam. cm 3,8. Imp. finissimo; col. rosso e grigio che si
alternano in sezione e lungo le linee di tornitura interne, tracce di ingobbio e
pittura rossa allesterno; cott. metallica.
R 10479. Frammento di manico. Imp. grossolano; col. beige, ingobbio bianco
e pittura rossa; cott. debole.
R 10481. Anfora. Diam. (?). Imp. finemente granuloso; col. rosa; cott. media.
R 15000. Anforetta. Diam. cm 19. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi e neri; col. rosa, ingobbio grigio scuro in superficie; cott. forte.
R 15090. Anforetta. Diam. cm 3. Imp. finissimo con inclusi bianchi; col. rosso,
ingobbio grigio-beige allesterno; cott. metallica.
R 10337. Pithos. Diam. cm 12. Imp. finemente granuloso con inclusi trasparenti e neri; col. grigio, ingobbio grigio scuro; cott. media.
R 10338-39. Pithos. Diam. cm 26. Imp. granuloso con inclusi bianchi, neri e
rossi; col. rosa; cott. media.
R 10375. Tegame. Diam. cm 26 . Imp. granuloso con grossi inclusi di quarzite trasparenti e neri di basalto; col. rosso in sezione, grigio scuro in superficie;
cott. forte, ceramica rustica.
R 10378-80. Tegame. Diam. cm 16. Imp. granuloso con grossi inclusi trasparenti, neri e bianchi; col. rosso in sezione, grigio scuro in superficie; cott. forte,
ceramica rustica.
R 15088. Tegame. Diam. cm 9. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi,
colore marrone-beige, tracce di pittura rossa attorno al manico; cott. media,
ceramica rustica.
R 15091. Tegame. Diam. cm 10. Imp. granuloso; col. marrone-rosso allinterno, grigio in sezione e allesterno; cott. media, ceramica rustica.
R 10334. Pentola. Diam. cm 12. Imp. fine; col. grigio, ingobbio nero allesterno; cott. forte.
R 10340. Tegame. Diam. cm 24. Imp. granuloso; col. grigio, ingobbio esterno
rosso-marrone; cott. media.
R 10382. Coperchio. Diam. cm 16. Imp. granuloso con inclusi bianchi; col. grigio
allinterno, marrone allesterno, ingobbio marrone scuro allesterno; cott. media.
R 15300. Tazza. Diam. cm 10,5. Imp. granuloso con inclusi bianchi e neri,
nero-marrone in sezione; grigio in superficie, disegno geometrico a cerchi e
cerchietti incisi; cott. media.
R 10335. Lucerna. Diam. cm 3,4. Imp. fine con inclusi bianchi; col. rosa,
ingobbio beige allesterno; cott. media.
R 11035. Lucerna. Imp. granuloso; col. rosa, a girali di vite, II tipo; cott. debole, si sfalda a scaglie, Arndt
R 11037. Lucerna. Imp. granuloso, Bianco, a girali di vite; cott. media, tracce
di fuligine su tutta la superficie, Arndt 1987, fig 4.61
Anello di metallo (rame?).

427

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

6
7

11

10
12
cm

10

Fig. 30 Strati superficiali del pressoio.

R0907-0908-0909-0911-0914
Pressoio, strati superficiali

428

C. PAPPALARDO

14
13
15

16

18

17

19

20

cm

10

Fig. 31 Strati superficiali del pressoio.

Strati inferiori del pressoio (Fig. 32)


1
2
3
4
5
6
7
8
9

R 10455. Anforetta. Diam. cm 12. Imp. finemente granuloso; col. rosso, ingobbio bianco allesterno con decorazione dipinta in rosso scuro; cott. media.
R 10443. Tegame. Diam. cm 19. Imp. granuloso con inclusi bianchi; col. marrone, ingobbio marrone scuro allesterno; cott. media.
R 15027-28. Tegame. Diam. cm 22. Imp. finemente granuloso con inclusi
bianchi; col. marrone e grigio in sezione, ingobbio marrone allinterno, grigio
scuro allesterno; cott. forte.
R 10452-53. Coperchio. Diam. cm 20. Imp. granuloso con inclusi bianchi; col.
marrone, ingobbio marrone scuro allesterno; cott. media.
R 10447. Tazza. Diam. cm 14. Imp. fine; col. rosso in superficie, grigio in
sezione, Pittura rossa allesterno e decorazione a linee nere dipinte; cott. forte,
il colore (nero e rosso) ancora molto vivido.
R 10448. Tazza. Diam. cm 10. Imp. fine; col. rosso, pittura marrone sulla
superficie esterna; cott. forte.
R 15017-23. Tazza. Diam. cm 17. Imp. granuloso con molti inclusi trasparenti
(quarzite); col. rosa, ingobbio beige chiaro in superficie; pittura rosso-bruna
allesterno e sullorlo; cott. media.
R 15021. Tazza. Diam. cm 10,5. Imp. finemente granuloso con inclusi trasparenti; col. grigio scuro, ingobbio grigio allesterno e grigio beige allinterno;
cott. forte.
R 15301. Pentola o Anfora. Diam. cm 9,5. Imp. granuloso; col. marrone; cott.
media, tracce di combustione.

R0905-0907-0908-0909-0911-0914
Pressoio, strati superficiali

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

429

10 R 15124-16. Pentola. Diam. cm 16. Imp. finemente granuloso con inclusi


bianchi; col. marrone, ingobbio nero allesterno; cott. forte.
11 R 15121. Tegame. Diam. cm 20 interno. Imp. fine con inclusi bianchi; col.
grigio, ingobbio nero allesterno; cott. forte.
12 R 15238. Coperchio. Diam. cm 18 interno. Imp. fine con inclusi bianchi; col.
grigio scuro, ingobbio nero allesterno; cott. forte.
13 R 15050. Tazza. Diam. cm 11. Imp. finemente granuloso; col. rosa-grigio,
ingobbio rosa-beige allesterno; cott. forte.
14 R 10464. Frammento di marmo levigato su di una faccia.
15 R 15098. Lucerna. Imp. fine; col. rosso; cott. forte, lucerna tipo gerash
gruppo V, met VIII sec. (School 1986, fig. 1,8; gruppo V, met VIII sec.)
R 15237. Frammento di vaso in steatite.

Dal magazzino (Fig. 33)


1
2

R 16091. Anforetta. Diam. cm 13. Imp. fine con inclusi bianchi; col. rosa
allinterno; col. beige in sezione; col. beige-rosa allesterno, pittura rossa allesterno, sullorlo e sul manico; cott. forte.
R 16153-68. Tegame. Diam. cm 21,5. Imp. granuloso; col. grigio; cott. media,
presenta le tracce di una specie di coperchio attaccato allorlo, che fa pensare
ad una sorta di pentola a pressione.

Dagli ambienti a Sud-Est del complesso (Fig. 34-35)


1

R 15249. Anfora. Diam. cm 12. Imp. granuloso; col. marrone chiaro; cott.
media.
2 R 20038. Anfora. Diam. cm 10. Imp. fine; col. grigio, ingobbio grigio chiaro
in superficie; cott. forte.
3 R 15248. Anforetta. Diam. cm 11. Imp. granuloso; col. rosa, pittura rossa
allesterno; cott. forte.
4 R 20042. Brocca. Diam. cm 11. Imp. granuloso con grosse impurit; col. marrone, ingobbio grigio allinterno, marrone scuro allesterno; cott. forte.
5 R 15255. Pentola. Diam. cm 10. Imp. granuloso; col. grigio; cott. media.
6 R 20040. Pentola. Diam. cm 14. Imp. granuloso e poroso; col. marrone scuro,
ingobbio grigio scuro allesterno; cott. media.
7 R 15257. Catino. Diam. cm 20. Imp. fine; col. beige allesterno; arancione
allinterno; cott. media.
8 R 15250. Tazza. Diam. cm 8. Imp. finissimo; col. marrone; cott. forte.
9 R 15173. Anfora. Diam. cm 8. Imp. granuloso; col. beige; cott. forte.
10 R 15175. Anfora. Diam. cm 8,5. Imp. granuloso; col. beige; cott. forte.
11 R 15176. Anforetta. Diam. cm 8. Imp. granuloso; col. grigio; cott. media.
12 R 15178. Anforetta. Diam. cm 10. Imp. granuloso; col. beige; cott. media.

430

C. PAPPALARDO

10

11
12

13
14
15
cm

Fig. 32 Livelli inferiori del pressoio; terra nera (1-8); terra gialla (9-15).

10

431

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

2
cm

Fig. 33 Dal magazzino.

10

432

C. PAPPALARDO

5
4

8
cm

10

Fig. 34 Ambienti a Sud-Est; livelli di abbandono.


13 R 15171. Brocca. Diam. cm 9. Imp. granuloso, arancione, ingobbio beige
allesterno; cott. forte.
14 R 15174. Tegame. Diam. cm 16. Imp. granuloso, arancione, ingobbio marrone
scuro allesterno; cott. media.
15 R 15179. Tazza. Diam. cm 6. Imp. granuloso; col. beige; cott. media.
16 R 15181. Tazza. Diam. cm 10. Imp. granuloso; col. rosa; cott. forte.

Dai corridoi attorno al pressoio (Fig. 36)


1
2
3
4

R 10360. Anfora. Diam. cm 8. Imp. fine con rari inclusi di calcare; col. rosa;
cott. forte.
R 10364. Anforetta. Diam. cm 10. Imp. fine; col. beige; cott. media.
R 10368, Pentola???, Diam. cm 7. Imp. fine, Arancione; cott. forte.
R 10365. Pentola. Diam. cm 16. Imp. granuloso con inclusi calcarei; col. rosso
allinterno, grigio in sezione, marrone allesterno; cott. media.

Tavn

433

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

11

10

12
13
14

15

16

cm

10

Fig. 35 Ambienti a Sud-Est; nella cenere.


5
6
7
8
9
10
11
12
13
14

R 10369. Pentola. Diam. cm 16. Imp. granuloso; col. rosso, ingobbio bianco
allesterno; cott. media.
R 10367. Tegame. Diam. cm 18. Imp. granuloso; col. grigio scuro; cott. media.
R 15266. Tegame. Diam. cm 16. Imp. grossolano; col. grigio; cott. media.
R 15273. Tegame. Diam. cm 18. Imp. granuloso; col. beige-rosa; cott. forte.
R 10361. Catino. Diam. cm 30. Imp. granuloso; col. rosa, ingobbio bianco in
superficie; Decorazione incisa a pettine sullorlo; cott. media.
R 15265. Catino. Diam. cm 25. Imp. granuloso; col. grigio, ingobbio beige;
cott. forte.
R 11032. Tazza. Diam. cm 10. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi
e neri; col. grigio scuro in sezione marrone in superficie, tracce di ingobbio
grigio chiaro in superficie; cott. forte.
R 15271-76. Tazza. Diam. cm 12. Imp. fine; col. beige-arancio; cott. forte.
R 15277. Piatto. Diam. cm 32. Imp. granuloso; col. rosa; cott. media.
R 11036. Lucerna. Imp. granuloso; col. grigio; cott. media; candle stick,
manico raro.

Sotto il battuto del corridoio ad Ovest del pressoio (Fig. 37)


1
2

R 11012. Anfora. Diam. cm 10. Imp. finemente granuloso; col. rosa, ingobbio
marrone allesterno; cott. forte.
R 11008. Pentola. Diam. cm 18. Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi;
col. rosso; cott. media.
Tavn

434

C. PAPPALARDO

2
1

10

12

14

11

13
cm

Fig. 36 Corridoi attorno al pressoio.

10

435

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

5
cm

10

Fig. 37 Sotto il battuto del corridoio ad Ovest del pressoio.


3
4
5

R 11034. Tegame. Diam. cm 16. Imp. fine con inclusi bianchi; col. beige,
ingobbio arancione allesterno; cott. metallica.
R 11015. Tazza. Diam. cm 8,6. Imp. fine; col. rosa; cott. forte.
R 11038. Lucerna. Diam. cm 2,5 alla base. Imp. granuloso; col. rosa; cott.
media.

Dal corridoio ad Ovest della Cappella dei Pavoni (Fig. 38)


1
2
3
4

R 15603, Anforetta, Diam. cm 12. Imp. fine con inclusi bianchi; col. marrone
scuro allinterno, marrone chiaro allesterno, ingobbio grigiastro allesterno,
cott. forte.
R 15602, Anforetta?, Diam. cm 7, 6 inf. Imp. fine; col. rosa; cott. forte; forte
incrostazione in superficie.
R 15604, Tegame, Diam. cm 16,5, Imp. finemente granuloso con inclusi bianchi e neri, col. marrone, ingobbio nero allesterno; cott. forte; due bolle daria
nellimpasto, di cui una rotta e riparata prima della cottura.
R 15591. Lucerna. Dimensioni cm 8,6 e 7, 2. Imp. granuloso; col. grigio bianco, decorazione in rilievo; cott. media, lucerna a girali di vite Arndt II/a, Arndt
1987, fig 4.48
Tavp

436

C. PAPPALARDO

R1
dav
dei

cm

10

Fig. 38 Corridoio ad Ovest della Cappella dei Pavoni.

R 15600. Catino. Spessore cm 1,35. Imp. fine; col. grigio chiaro, invetriatura
verde-blu; cott. forte, tracce di bruciatura su una delle pareti in sezione, invetriata tipo racca
R 15599. Tazza. Imp. fine; col. rosa, ingobbio beige latte allinterno; pittura
rosso-bruno allinterno; cott. forte, solo un frammento del fondo.

Conclusione
Dopo aver preso in esame anche la ceramica dello scavo, si pu ancora
una volta concludere che larea compresa tra la Chiesa di S. Paolo e la
Cappella dei Pavoni, nel settore Nord del Castrum di Umm al-Rasas era
originariamente occupata dal porticato della chiesa che comunicava tramite
un ampio corridoio con la strada che correva ad Est del complesso. In un
secondo tempo, durante il VII secolo, sulla stessa area furono apportate
delle modifiche strutturali, in modo da poter impiantare un pressoio per
il vino e strutture annesse. Col passare del tempo lutilizzo del pressoio
divenne sempre pi rado, fino a cessare del tutto contemporaneamente
allabbandono della citt.
In conclusione anche questarea della citt di Kastron Mefaa - Umm
al-Rasas, scavata negli anni 1997-2000, presenta una storia simile a quella
degli edifici sacri scavati precedentemente. Ancor pi interessante e nuovo risulta il fatto che allinterno di uno spazio originariamente legato ad
una chiesa, come il cortile a sud della Chiesa di S. Paolo, ancora mentre
Tavz

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

437

la citt era abitata, venne adibito ad un uso del tutto diverso come quello
della produzione e conservazione del vino. Questo dato, unito a quelli fin
qui acquisiti, aiuter ancora di pi a meglio comprendere la vita, lo sviluppo e soprattutto il progressivo declino e abbandono della citt di Umm
al-Rasas.
Carmelo Pappalardo, ofm
Studium Biblicum Franciscanum Jerusalem

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C. PAPPALARDO

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THE SANCTUARY OF SHEIKH EL-QATRAWANI

H. Taha

Introduction
The site of esh-Sheikh Ahmad el-Qatrawani (map reference 16-15/85/1) is
located between Birzeit and Atara, ca. 13 kms north of Ramallah. It lies ca. 2
kms west of Kh. Tarfin and three kms. north of Birzeit (Fig. 1: General view
of the site). The site is situated on an elevated area, on the southern slope of
Dahret Hamoudah, overlooking wadi Ain Dara. It is to be found on the PEF
Sheet no. XIV. The site consists of the remains of a sanctuary maqam on the
top of the ruined church. Archeological surveys show evidences of two major architectural phases in the history of the building (Canaan 1927: 51-52,
133, de Vaux 1946: 264, Kallai 1972: 172, Araf 1993: 156, Finkelstein and
Lederman 1997: 422, Taha and Yasin 1999: 127-128, Bagatti 2002:141). The
site is surrounded by a grove of old oak and carob trees (Canaan 1927: 37),
preserved partly due to the rule that no one dares to cut any branch, however
small it may be, from any of these trees, because it is regarded as part of
the property of the saint. In 1997 and 1998, the Palestinian Department of
Antiquities carried out a series of activities in the site, including a detailed
survey of the site, clearance work of the area surrounding the maqam, landscaping work, conservation of the building and a small-scale excavation in
the eastern part of the ruined church. The work was carried out within the
framework of the Emergency Clearance Campaign of Archeological Sites in
Palestine, funded by the Dutch government. The work was directed by the
author of this report, assisted by Y. Taa. The clearance work was supervised
by I. Halayqa and W. Hamamra. The restoration work was carried out under
the supervision of architects O. Hamdan and N. Abu Jidy. The trial excavation was conducted with J. Yasin as field supervisor, and M. Siekh and S.
Tawafsheh as square supervisors. The original drawings were the work of N.
Abu Jidy and A. Najjar. I. Iqtait redrew all drawings for publication.
Ethno-History of the Site
According to the local traditions, the site was named after Sheikh Ahmed
el-Qatrawani, a holy person from the coastal village of Qatara, north of
LA 52 (2002) 441-456; Pls. 43-46

442

Fig. 1 Plan of the site.

H. TAHA

THE SANCTUARY OF SHEIKH EL-QATRAWANI

443

Gaza. Several ethno-historic accounts pertaining to the origin of the maqam


and to the holy person were reported by H. Schmidt and P. Khale (1918),T.
Canaan (1927), R. de Vaux (1946) and A. Barghouti (1979, Bagatti 2002:
141). According to the most popular story reported by Canaan from the
nearby village Atara, esh-Sheikh el-Qatrawani lived in the village of Qatarah north of Gaza. He left his village since he could not fulfill his religious
duties there and came to the lonely spot of Dahret Hamoudah, a high hill
between Birzeit and Atara. Here he lived in prayer and self-mortification.
According to another version, when his dead body was being carried out for
burial, he flew up off the shoulders of those carrying him and descended on
the hill, where his shrine stands at present (Canaan 1927: 51-52).
Schmidt and Kahle (1918: 2) report the following story told to them by
Y. Abu Jiryes, an old man from Birzeit: Between Birzeit and Atara, more
close to Atara is a prominent weli, with two-domed maqam, amidst a grove
of oak trees. Its origin is a monastery of Deir Hanna (St. John). Today, one
sees ruins, pillars and a cistern in front of it. From a point above the maqam
one can see Jebel esh-Sheikh (Mount Hermon) and Jebel Assour to the east.
Muslims visits the maqam to offer their vows, Christians visit this beautiful
place to take rest. Abu Jeryis adds: One day in the past the people of the
area found a derwish resting in this place. When asked about his origin,
he explained that he was from the village of Qatara; angels brought him to
this place, where he would die. The villagers of Atara, Ajjul, Silwad and
the nearby villages took care of him, and provided him with food for four
years. One day they found him dead and they buried him west of the monastery. His grave still stands here (Schmidt and Kahle 1918: 2, Alloush
1990: 3). Some Christians of Birzeit still keep the tradition that there was a
Christian convent bearing the name St. Catharine (Canaan 1927: 288, de
Vaux 1946: 264, Bagatti 2002: 141), arguing that the etymological origin
of Qatrawani come from Catharine.
It is amazing to note the great resemblance between the Islamic tradition about the flowing body of Sheikh Ahmad Qatrawani as it is reported
earlier and the Medieval tradition on St. Catharine of the monastery of
St. Catharine in Sinai. According to Christian sources (Tsafrir 1993: 322)
Catharine was the daughter of a noble Egyptian family in Alexandria who
converted to Christianity in the 4th century. She died after being tortured
and her body disappeared and was brought by angels to the highest peak in
Sinai, Jebel Catherina, near Jebel Musa, where later a church and a monastery have been dedicated to St. Catherine.
Sheikh Ahmed el-Qatrawani is known for his miraculous powers (Bagatti 2003:141). A man once had a dispute with his wife, so he ran away from

444

H. TAHA

the home and lived in the shrine of el-Qatrawani. The weli supplied him
with his daily food, commanding him to keep the way he was fed a secret.
As long as he kept the secret, he was never in need. But the moment he
spoke about it, the weli withdrew his help (Canaan 1927: 227). In another
story, reported by Dr. A. Barghouti (1979: 158-160), the site is haunted by
a female demon, an unusual phenomenon in Islamic holy sites.
El-Qatrawani is regarded as one of the powerful saints, and one of the
few shrines most efficacious in giving rain (Canaan 1027: 227). Canaan
reports a rain song in which the weli is asked upon for help and may be
translated as follows: Lord (send) the heavenly rain (I beg thee), by the
high rank of el-Qatrawi.
The site is still appreciated by Muslims and Christians in the nearby
villages of Atara and Birzeit as an evidence of continuity of religious traditions.
Description of the Site
The site of el-Qatrawani features the remains of an Islamic sanctuary from
the Mamluk-Ottoman period, built on the ruins of a monastery from the
Byzantine period. The main features of the site are the maqam, the remains
of the church, part of the enclosure, a cave and a cistern. Two major occupational phases can be discerned in the history of the site, the earliest phase
consisting of the remains of the church, the cistern and the cave. The second phase is represented by the building of the maqam and the courtyard.
Remains of the Byzantine Period
The Byzantine remains representing the first phase of occupation in the site
consist of a church, a cave, an enclosure, several cisterns cut in the rock
and the western complex. The remains of most likely a monastery (Tsafrir,
Di Segni and Green 1994: 229) is located in close proximity to the nearby
settled Byzantine villages of Atara, (Taha 2003), Kh. el-Mughasel, Tarfin,
Birzeit, Jifna and Burham (Bagatti 2002: 140-141). It is evident that the
monastery has no spectacular structures. The plan of the monastery is more
close to the laura type with the utilization of a natural grotto in front of the
building. The rough plan is based on the visible features on the surface of
the site since it is not completely excavated. For parallel examples see B.
Bagatti (1971: 313-328). In addition to the basic monastic installations such

THE SANCTUARY OF SHEIKH EL-QATRAWANI

445

as a cistern for collecting rainwater and a wine-press. The whole monastery


was surrounded by enclosure wall, part of it is still preserved on the western
side of the site. Here is a brief description of the main features of the site.
The Church
The church is of a basilical type, but no nave has been yet indicated and the
internal division of the main hall is not identified, due to the limited area
of excavation. The external dimensions of the church are 31m (East-West)
and 15 m (South-North). The building had two rows of pillars, running
east west (Finkelstein and Lederman 1993, Ovadiah and de Silva 1981:
254, Tsafrir, Di Segni and Green 1994:229, Taha and Yasin 1999: 127)).
Each row consists of 6 columns, with 4m intervals. In the southern row six
columns are preserved in situ. In the northern part only three columns were
preserved, due to the later masonry, which led to the distortion of this part
of the church. The columns rise above the surface of the site; they are cut
of local limestone and are about 50cm in diameter.
The church is built of rough, dressed stones. The thickness of the outer
walls of the church varies from 1.50m (southern wall) to 2.10m (eastern
wall). It consists of two faces; the outer face is built of rough-cut stones,
and the inner face of small and medium-sized stones. The inner face of the
wall is coated with a thick layer of white plaster. The floor of the church

Fig. 2 Section of square 1 showing a column and the northern wall.

446

H. TAHA

composed of a layer of plaster, and no evidence of mosaic was found in the


church. The main doorway of the church opens to the north, as indicated by
several ashlar stones, in the middle part of the northern wall.
Excavation of the Church
A brief excavation was carried out at the site on behalf of Palestinian
Department of Antiquities, between 19 and 26 of September 1999, under
the direction of H. Taha with J. Yasin as field supervisor and F. Aqel, S.
Tawafsheh and M. Siekh as square supervisors. The main objective of the
excavation was to verify the stratigraphy of the site. The excavation was
carried out within the framework of the project Protection of Ecology,
historical and Natural Landscape, funded by the Dutch government.
The excavation was limited to a small area east to the maqam. Two
squares, 4x4m were excavated in the eastern part of the church. Square 1
was plotted in the south east corner of the church, and square 2 was plotted to the north of square 1, along the eastern wall of the church, with one
metre baulk in between. Half of square 1 has been uncovered, and only a
small stripe of square 2 was excavated.
Stratigraphy
Three main homogeneous strata were distinguished in the excavated area
in squares 1 and 2. These are:
Stratum I- Recent: The first stratum is represented by the topsoil layer (Locus.1), which covers the whole area. It is ca. 30 cm. in thickness and consists of agricultural debris. It is a layer of dark brown compacted soil, and
contains roots of oak trees. Finds consist mainly of few pottery sherds and
modern stuff, including a Jordanian coin. An ashlar stone inscribed with
the Greek letter epsilon was found in this stratum. It is similar to another
stone, used secondarily in building the eastern wall of the maqam.
The finds of this stratum consist mainly of few pottery sherds. The
scanty ceramic remains of sq. 1 (L.1) includes 5 body sherds of jars, mostly
ribbed and wheel-made of the common Byzantine pottery, and a flattened
base of a jug. A glazed sherd, part of a ring base and a plain rim, represents remains of Mamluk and Ottoman period; these sherds are hand-made
and full of large grits. The same picture emerged in square 2. The pottery

THE SANCTUARY OF SHEIKH EL-QATRAWANI

447

remains of locus 2 consist of pottery sherds, including 8 body sherds of


jars and jugs, with ribbed, buff and reddish ware. Diagnostic pottery sherds
consist of a flattened loope handle and a fragment of a Byzantine lamp. A
fragment of a hand-made clay basin, bearing evidence of red paint on the
rim part, represents the Mamluk-Ottoman period.
Stratum II- Mamluk-Ottoman: This stratum is represented by a layer of
destruction, 70 cm thick (loci 3 and 5). It consists of large, medium-sized
stones, rubble, lime material and fragments of grey plaster. The main feature
of this stratum is a large amount of fallen stones, most of which are well
dressed, the rest being rough. These stones came most likely from the collapsed arches and walls of the building. Tree roots has penetrated into this
layer. Only few sherds were found in this layer; they are similar to those in
the overlying stratum. The lack of occupational debris and finds is remarkable and may indicate a short duration of occupation before the abandonment
and the final collapse of the building. It may indicate also that a substantial
part of the building was partly exposed when the maqam was built. This may
explain the lack of finds in the excavated segment of the building.
Stratum III- Byzantine: This stratum consists of the main architectural
features uncovered in this building, consisting of the southern wall (L.4)
and the eastern wall (L.6), the plastered floor (L.7), and one pillar (L.2),
uncovered in the south western corner of square 1. Wall L.4 is part of the
southern main wall of the building; it is 3.50 m long and one metre thick.
The upper face of this wall was visible above the ground level, even before
the excavation. The wall is preserved to an ultimate height of 1.10m above
the floor level of the building. It continues westward below the level of the
southern wall of the maqam. To the east, it connects with the eastern wall of
the building (L.6), forming the southeast corner of the building. Wall L. 4 is
built of two faces; the external face is built of irregularly rough-cut stones,
while the inner face of the wall is built of small to medium-sized rough
stones. The inner face of the wall is coated with a layer of grey plaster.
The well-dressed stones were used apparently for building the arches,
jambs, lintels, thresholds and columns. The general character of the masonry
of the walls is relatively poor. This stratum represents the earliest phase in
the history of the building. Pillar locus 2 is located in the southeast corner of
Square 1, attached to the southern main wall of the building. The upper part
of pillar L.2 was 48 cm above the ground level. It is part of the southern row
of pillars in the building. The cylindrical pillar is well dressed, with 1.46m
in height and 50cm in diameter. On the top part it has a widened cap, 8 cm

448

H. TAHA

in thickness and 3 cm in depth. It is apparently the place where the arch


rests. The pillar was coated with a layer of grey plaster, considerable parts
of the plaster is still evident in the lower part of the pillar. The fine plaster
floor (L.7) of the building adjoins the plaster of the internal northern wall.
The plaster of the floor is in a good state of preservation. No evidence of
flagstones or mosaic was found in this part of the building.
Pottery
The pottery sample (Fig. 3) found in the excavated area is very scanty, most
of the pottery is of the local ware. The sample consists of sherds only and
no complete objects were found. Most of the pottery is of the common
Byzantine ware, with wide ribbing, buff to reddish colour. The body sherds
belong to jars, jugs, and cooking-pots. Two fragments of oil lamps (Fig.
3, 8-9) were found. Most of the Byzantine pottery dates to the 5th and 6th
century. The Mamluk and early Ottoman periods are represented by few
glazed and hand-made sherds.

Fig. 3 Byzantine and Mamluk pottery.

THE SANCTUARY OF SHEIKH EL-QATRAWANI

449

The Western Complex


This complex consists of a series of rooms, built of ashlar stones. It is located to the west of the church. These rooms are contemporaneous to the
main building, form most probably part of the monastery installations.
The Cave
A rock-cut cave is located in front of the maqam; the cave was blocked by
the inhabitants of the village of Atara about 20 years ago, for safety reasons. I
personally saw the cave when it was open during a visit to the site in 1984.
The Enclosure
The site is surrounded from three sides, west, north and south with a perimeter wall, built of fieldstones. The western segment of the wall is built
of large slab boulders, irregular in shape and built in upright position. It is
evident that these stones were quarried from the same place.
Other Installations
A cistern, currently blocked is located in front of the maqam, outside the
walls of the church. This cistern must have served for collecting rainwater
in the monastery. The nearest spring is located in wadi es-saqi, about 2 kms
to the south. To the west of the church is a wine-press cut in the rock. The
uncovered part of the wine-press consists of a collecting basin, ca. 1.8m
deep. It was coated with a layer of white plaster.
Remains of the Mamluk-Ottoman Period
The remains of the Mamluk and Ottoman period consist mainly of the
maqam building, the tomb and other installations.
Description of the Maqam
The maqam of el-Qatrawani is built over the ruins of the Byzantine church
(Canaan 1927: 51-52, de Vaux 1946:264, Ben-Joseph 1996: 801-02, Taha

450

H. TAHA

and Yasin 1999: 127-28)). It is a common saint (weli) maqam, composed


of one room, with two semi-spherical domes, and a small courtyard in front
of it. The building is quadrangular in plan, measuring 9.80m (external)
and 7.60m (internal) east west, and 5.90m (external) and 3.85 (internal)
south north in the western part, and 5.90m external and 3.60m internal in
its eastern part, preserving the original orientation of the church, with one
door opening to the north. For close parallel examples of the maqam see
Canaan (1927) and Araf (1993). The maqam is built of rough dressed and
well-dressed stones. The well dressed stones from earlier period were used
secondarily in building the maqam, including carved lintels, door jambs
and another stone bearing the Greek letter epsilon, incorporated in the eastern wall of the building. The different building techniques are an indication
of the successive stages in the architectural history of the maqam. At least
three structural phases may be discerned in the architectural history of the
building.
The Walls
The northern wall of the maqam is 85cm thick. It consists of two faces of
stones, one inside and one outside. The wall is filled with small stones,
rubble and mortar. The northern wall consists of 12 courses, with 35 cm in
thickness in average. The facade is built of ashlar stones, mostly of secondary use. The size of stones ranges between 60 and 20 cms in length. The
secondary use is evidenced by the well-dressed stones and several carved
stones of door lintels. Some of stones are visible in the western part of the
wall, including a lintel fragment in the lower course of the building.
The southern wall consists also of 12 courses of medium-sized, roughcut stones. This wall consists of two main building phases. The earlier
phase is represented by the eastern part of the wall, ca. 5.60m long. The
western part of the wall represents the later phase of construction. The two
phases are divided by a clear line, indicating the later addition of the western part of the wall, which belongs to the later restoration of the building.
The eastern part of the wall is built on the line of the foundation wall of the
original church, it consists of two segments, and the lower segment is built
of six courses, 2m in height and 5.65m in length. The upper part consists
also of six courses, built with a recess inside the wall ca. 10 cm in depth.
The western part of the southern wall is 4.10m in length, with an extension
of 2.80m forming the base of the staircase. This segment has a different
building technique with small and medium-sized stones. It was not built

THE SANCTUARY OF SHEIKH EL-QATRAWANI

451

on the same line of the eastern segment, but rather goes inside the line of
the wall ca. 40 cm deep. The masonry of this segment suggests more likely
that it was a later addition and functioned as a retaining wall.
The western wall consists of 10 courses from the level of the raised
surface, with two lower courses being dumped with debris. The wall is built
predominantly of rough, middle-sized stones and small stones in between.
Some ashlar stones were used secondarily in building the western wall. On
the south-western corner of the building a staircase was built leading to the
roof of the maqam.
The eastern wall consist of 10 courses, the two lower courses are buried under dump accumulated against the wall. This wall is built again with
medium-sized, rough-cut stones and some ashlar stones of secondary use.
A stone bears a curved Greek letter. This stone is well dressed, 50 cm in
length and 30 cm in height.
The main door of the maqam is opening to the north. It is a relatively
low, 1.55 m in height, and 80 cm in width. The door is covered with a lintel, consisting of one dressed stone, 97 cm in length and 34 cm in height.

Fig. 4 Plan and sections of the Maqam.

452

H. TAHA

The Domes
The roof of the maqam consist of two semi-spherical domes, the eastern
dome is 3.80m in diameter, and sthe western domes 3.90m in diameter,
with a long perpendicular stone in the center. The two domes are built
on two rough circular drums, ca. 90 cm high, built of small, rough, local
stones. The construction technique of the two domes differs. The eastern
dome is built of dressed nicely cut stones, arranged in form of concentric
circles rising upward and ends with a keystone in the centre, while the
western dome is built of small rough fieldstones.
The domes rest on two drums; the square plan of the building was
changed to a circular plan by means of four small arches in the corners of
the two rooms. Two small windows (taqa) are placed on the level of the
drum. It is evident that the two domes were covered from outside with a
thick layer of white plaster.
These domes are characteristic features of the early Ottoman period,
and may be placed in the late 15th or 16th century.

Fig. 5 Elevations of the Maqam.

THE SANCTUARY OF SHEIKH EL-QATRAWANI

453

Inside the Building


The inner walls of the maqam are plastered and whitewashed. Several layers of plaster can be distinguished, indicating the successive restorations of
the building. Canaan described the existence of the imitation of palm trees
as part of the interior decoration, when the maqam was still in use. The
decoration made of hinna (lawsonia inermis) coincided with the numbers
of five and seven (Canaan 1927: 14). Some of these decorations are still
visible on the northern wall inside the building.
The prayer niche mihrab is located in the eastern room in the middle part
of the southern wall, with the usual orientation toward qibla (Mecca), in accordance with Islamic doctrine. It is 2.38 m in height, 1.40 m in width and
1m deep inside the wall. The mihrab was built of well-dressed stones. The
nature of dressing indicates they are prepared intentionally for building the
mihrab. The existence of a mihrab is a normative feature in Islamic shrines.
Two niches for lighting are found in the maqam. The eastern niche is located in the middle of the northern wall, raised 1.48m above the floor level. The
opening is squarish in shape and measures 37 cm in height, 30 cm in width and
35 cm in depth inside the wall. The western niche is triangular in shape, with a
base 80cm in length, 68 in height, and 36 cm in depth. This niche is full of ash
as an evidence of burning. Apparently, vow lamps were placed and lit here.
The Staircase
A staircase leading to the roof of the building is located in the southwestern
corner of the building. The staircase, newly reconstructed, spring from the

Fig. 6 Stones with masons marks.

454

H. TAHA

wall of the church to the height of the 6th course with eight steps. At this
point it turns toward east with another 4 steps, and toward north with another 4 steps, with a small protruding platform, triangle in form in between.
The lower part of the staircase consists of 8 steps, and it is one meter in
width. The average height of these steps is 26 cm and 30 cm in width. It
is built of rough-cut stones. The upper part of the staircase consists of 4
steps each. The north-east steps 75 cm in width are of irregular height,
ranging between 20 cm (third step) to 40 cm (4th step). The eastern steps
are generally of similar constructions.
The Courtyard
The maqam opens to a small courtyard in front of it. The courtyard occupies the northern half of the middle area of the building. The level of the
courtyard is almost the level of the main building. The northern door of
the building was reused as the door of the courtyard. A small walking path
consists of rough flattened stones is which a later addition.
The Tomb
The remains of a tomb built of well-dressed stones are located ca. 20m west
of the maqam. The tomb has been plundered in the recent past.
Dating
Two main phases were distinguished on the site, based on ceramic and
architectural remains. The first phase dating to the Byzantine period is
featured by the construction of a small monastery on the site. The major
components of the monastery are the church, the cistern, and the cave, the
wine-press and part of the enclosure. The scanty ceramic remains placed
the monastery in earlier phases of the Byzantine period, probably 5th to
early 6th century. The thin layer of occupational debris may point to a short
duration of the occupation. The second major phase is represented by the
construction of the maqam, probably toward the end of the Mamluk period
and beginning of the Ottoman period. The date is confirmed by the occurrence of glazed ware.

THE SANCTUARY OF SHEIKH EL-QATRAWANI

455

Restoration Work
A series of restorations (Taha and Yasin 1999: 127-28) were carried out in the
building of the maqam within the framework of the project Clearance Campaign of one Hundred Archeological Sites in Palestine, funded by the Dutch
government in 1997. The building was in a pitiful state of preservation, with
the south eastern corner completely demolished. The eastern and western
walls were on the verge of collapse. The two domes were in a very critical
situation with holes and cracks, especially the western dome. The building was
left abandoned and without conservation over a long period. It suffered from
serious structural damage as evident in the walls and the domes. The main
objective of the restoration work was to rescue the endangered historical building and to consolidate the walls and the domes. The work was confined to the
external part of the building. A complete documentation work was carried out
before any intervention, including drawing the plan of the building, sections,
facades and other small architectural details. The restoration work includes
rebuilding of the demolished part of the south-east corner of the building and
consolidation of the western wall; the stones of the outer face were taken off
and rebuilt again. The two domes and drums were consolidated, and the missing part of the western dome was rebuilt. It was plastered and whitewashed.
Filling the joints was carried out by the use of traditional mortar, made of lime,
ash and crushed pottery. The restoration work carried out in the building was
a combination of modern and traditional techniques.
Conclusion
The site of el-Qatrawani is a common saint tomb from the Mamluk and
Ottoman period. It is built on the ruins of a Byzantine church dating to the
5th century AD. The Byzantine remains consisting of a church, cisterns a
wine-press belongs to a monastery which was occupied apparently for a
short period. The monastery is spatially related to the Byzantine settlements
of Atara, Tarfin and Birzeit.
It is interesting to note that the Christian monastic tradition is kept alive
later in another form of Islamic monasticism. The monastery and sanctuary of
el-Qatrawani is a living example of the continuity of religious traditions.
Hamdan Taha
Palestinian Department of Antiquities

456

H. TAHA

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SINTESI DEGLI ARTICOLI


ABSTRACTS

LA 52 (2002) 457-464

ABSTRACTS

QUANDO DIO SI NASCONDE. UNA METAFORA DELLA RIVELAZIONE BIBLICA A. Mello

The focus of this inquiry is the use of the metaphor of the hiddenness of God in
the Hebrew Bible. A review of the rich Hebrew vocabulary in the semantic field
of hide leads to some very theological conclusions. The idiomatic expression,
to hide the face, basically belongs to the wisdom literature (i.e. Psalms, Proverbs, and Job) and shows to have more a mysterious significance rather than a
rebuke. In other words, the expression usually does not refer to a condemnation
or abandonment. The main point lies with reading the often misunderstood text
of Is 45:15, where the verb satar is used, not in the passive form, i.e. the hidden
God, rather in the reflexive form, i.e. a God who hides Himself. Certainly, God
is always free to hide Himself, in order eventually to reveal Himself again. If we
know that He is actually hiding, it is because of His revelation.
Pgs. 9-28

QOHELET O LA GIOIA COME FATICA E DONO DI DIO A CHI LO TEME A.

Niccacci
The author assumes that the Book of Qohelet comprises, after the superscription
1:1, two main parallel sections - 1:12-7:14 // 7:15-11:6 - with 11:7-12:7 as its
central section and 1:2-11 (prologue) // 12:8-14 (epilogue) as its frame. First,
the ideal world of the Sage in Qoh 1-3 is outlined; then, the seven proclamations
of (with indicative verb forms) and invitations to (with volitive verb forms) joy in
the Book are analyzed in their respective contexts. They are as follows: 2:24-26,
3:12-13 + 22, 5:17-19, 7:13-14, 8:15, 9:7-10, and 11:7-12:7. Human work and
experience in the world is ambivalent; it always gives double answers - negative
and positive from human perspective - both coming from the only God. The fear
of God allows human beings to live according Gods dispensation, enjoying when
God sends goods in life and reflecting on His message when He sends pain. Joy
is at the same time part of man, i.e., fruit of his effort, and a gift from God.
Pgs. 29-102

LA MASSORAH DEL LIBRO DI GIONA (BHS) M. Pazzini

A contribution dedicated to the Book of Ruth appeared in the last number of our
journal. This article offers an easy way to read and understand the notes, massorah parva (Mp) and massorah magna (Mm) of the book of Jonah. Starting with
the printed biblical text (BHS) the marginal notes of Mp are explained at first.

460

ABSTRACTS

Afterwards references in the list of Mm of the monograph published by G. Weil


are examined.
Pgs. 103-116

DIO PADRE NEI SINOTTICI G. Bissoli

It is characteristic in Mark 14:36 to invoke God as Abba, Father, but also


frequent in the Synoptic Gospels is the Father who is in heaven. Jesus proclaims the imminent sovereignty of God, which establishes itself among peoples
by means of the merciful caring of the sick, the possessed, and sinners. Added
to this is the personal fate, which occurs when He reveals His identity and in so
doing, He proves the nature of God as Father.
Pgs. 117-124

INFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE NEGLI ATTI DEGLI APOSTOLI. NOTE


DI LETTURA G.C. Bottini - N. Casalini

This paper presents some annotations on the book of the Acts of the Apostles,
carried out along a continual reading of the text, and with the aim of verifying
a historical-literary hypothesis. The problem of the sources used in the Acts of the
Apostles cannot be resolved with the two models normally proposed, i.e. that of
the written sources (particularly the Antiochian Source for chs. 6-15, and the
Diary of the Journey for chs. 16-28) and that of the tradition sources, for the
most part oral ones, handed down by the Churches and the local communities.
This fact invites us to formulate a simple hypothesis, namely, that the author of
the Acts reconstructed or restored the history by gathering direct or indirect information about the characters of his narrative. Among them are to be mentioned
not only eyewitnesses, but also their friends, relatives, disciples, and collaborators. The present annotations of reading testify an effort to retrieve the direct
information that Paul used as the basis for his historical-theological project.
The problems we met are many, because it is not always easy to distinguish an
actual event from the work of the historian who narrated it. Wherever possible,
solutions are proposed, also keeping in mind the opinions available in notable
commentaries of the Acts. In some cases, however, it is practically impossible to
reach a satisfying solution.
Pgs. 125-174

NUOVI COMMENTI AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI. SAGGIO BIBLIOGRAFICO

N. Casalini
This paper takes into consideration some comments on the Acts of the Apostles
published among the most publicized series in the last decade without prejudice to
the value of others commentaries. For each one of them, a fundamental characte-

ABSTRACTS

461

ristic is highlighted by means of a subtitle and a respective critical presentation:


J. Jervell: The Jewish Tendency of Acts; C.K. Barrett: The Acts as a Historical
Work; C.H.Talbert: The Acts in their Cultural Context; B. Witherington III: The
Acts as a Rhetorical and Historiographical work; J. Taylor: The becoming of
the Acts; M.-. Boismard: The Western Text of Acts. All these comments are
characterized by a reinstating of Acts as a historical document, useful for the
reconstruction of the history of primitive Christianity. This is a novelty, if we
consider that the prevalent tendency in some influential works of the past was to
doubt whether the accounts of Acts could be treated as historical or not.
Pgs. 175-216
RABBINIC LITERATURE AS A HISTORICAL SOURCE FOR THE STUDY OF
THE GOSPELS BACKGROUND F. Manns

Rabbinic Literature as a historical source for the background of the Gospels.


Biblical scholars know P. Billerbecks Commentary of the New Testament in the
light of Rabbinic Literature, published in 1936. Most New Testament scholars
know the book of J. Jeremias, Jerusalem in the time of Jesus, which quotes the
Talmud as its main source. But very few scholars know the books of S. Krauss,
Talmudische Archologie, where they could find a lot of historical information.
If talmudic literature is important to study the linguistic, the economic, the
geographical, the sociological, the liturgical, the hermeneutical and theological background of the New Testament, it has a historical value and should be
integrated in the ratio studiorum of the Christian Faculties of theology and
Scripture.
Pgs. 217-246
QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD. REASSESSING THE ARCHAEOLOGICAL EVIDENCE Y. Hirschfeld

This study concentrates on issues concerning the identification of Qumran and the
source of the scrolls discovered in the caves adjacent to the site. It is customary
to maintain that Qumran was the religious and ritual center of a sect which was
akin to the Essenes, whose members lived in the caves and engaged, inter alia,
in copying scrolls at the site itself. In recent years, a growing number of scholars support the thesis that the scrolls originated in Jerusalem and were hidden
in the caves near Qumran on the eve of Jerusalems destruction. A study of the
archaeological evidence lends support to this claim.
Pgs. 247-296; Pls. 1-8

LAS GRUTAS DEL PARQUE DE LA INDEPENDENCIA DE JERUSALN, UN


MITHRAEUM? A. Cabezn

Based on factual and historical elements (admittedly with some degree of hypothe-

462

ABSTRACTS

tical reconstruction) the author proposes to see traces of a Roman Mithraeum


in a cluster of grottoes laying beneath the green lawn of the Independence Park
in Jerusalem. This place was part of the Muslim cemetery of the Mamilla and
there are remains of a mosque. Throughout the centuries, these grottoes kept
some religious significance notwithstanding their being, at different times, under
the control of different religions. Countless marks of the Christian tenure in the
medieval times are still to be seen on the plaster covering their rocky walls. The
caves were then known by the name of Lions Den. However, Christians may
have inherited the religious background from the previous holders.
Pgs. 297-306; Pls. 9-10

IL MONTE DEGLI OLIVI NELLA DEMONSTRATIO EVANGELICA DI EUSEBIO


DI CESAREA E. Alliata - R. Pierri

The English reader enjoys a whole lot of translations from ancient Christian
Writers which are regrettably inaccessible to the Italian public. This is the case
also for many of Eusebius of Caesareas literary works and in particular those
written before the constantinian discoveries in the Holy Places (ca. 325 A.D.).
This article aims just to offer a glimpse on such literature by offering the Italian
translation of a chapter from the Demonstratio Evangelica (VI,18,1-53) relating
to the Mount of Olives. Before the discovery of the Holy Sepulchre, the Mount of
Olives was certainly one of the most important places where Christians kept the
sacred memories of our Lords passage through this Land: a place where his own
feet stood, as Eusebius, together with the Christian tradition, likes to say.
Pgs. 307-320

THE MARTYRS OF CAESAREA. THE URBAN CONTEXT Y. Patrich

The archaeological excavations conducted in Caesarea over the last 30 years


enable us to conceive better the Acts of the Martyrs of Caesarea in the urban
context, and to examine several issues pertaining to the urban topography. Much
of the new material so far has been published only in preliminary reports; several
of the large urban complexes were excavated by more than a single expedition, and
the interpretation and chronology of some structures are therefore debated issues.
But in spite of these difficulties, pertaining to the availability and interpretation
of the archaeological data, there is room for the examination of the topographical
details incorporated in these Acts in light of the new archaeological finds.
Pgs. 321-346

463

ABSTRACTS

THE MELAGRIA: ON ANCHORITES AND EDIBLE ROOTS IN JUDAEAN


DESERT R. Rubin

During the Byzantine period the desert of Jerusalem, known today as Judaean
Desert, was flourished with a large monastic activity. Most of the monasteries
belonged to the Laura type, in which monks live in solitude most of the time, and
get together during Saturday and Sunday. They often went during the forty days
of lent into the remote parts of the desert and lived there on the natural vegetation, eating edible plants and roots. Such events were mentioned in hagiographic
sources, describing various kinds of natural edible plants. The paper focuses on
one of these plants - The Melagria - and suggests to identify it with the Asphodel,
which is spread over most of the region in large quantities.
Pgs. 347-352; Pls. 11-12

A MANSION HOUSE FROM THE LATE BYZANTINE-UMAYYAD PERIOD IN


BETH SHEAN-SCYTHOPOLIS O. Sion - A. Said

This paper presents the architectural history of a peristyle type mansion that
reflects the vagaries of the fortunes of the provincial city of Scythopolis in its
latest classical and immediately post-classical phases. One of only nine buildings of this type known within the region from classical times, it appears to be
a local variation and its latest exponent. In its earlier phase this rather opulent
residence, perched atop a slope above the Jordan River and positioned so as to
face the imposing heights of Biblical Gilead to the east mirrors the prosperity
of the sixth century CE city. Located outside the city walls, the mansion notably
incorporated a family tomb that allows us to identify the owners as Christians. A
later phase of the same building, dated to the Umayyad period indicates a rather
sharp decline in the citys fortunes following the devastating earthquake of 749
CE. Much of the earlier opulent character of the building was lost and additional
rooms were built, causing a reduction in the size of the public areas of the
house. There is, in addition, the likelihood that the changes wrought upon this
structure also reflect the religious persuasion of its owners, now thought to be
Moslems. It would therefore seem that the structure that was excavated at Beth
Shean marked a local development characteristic of the peristyle court houses
from the Byzantine-Umayyad period, evidenced primarily by the reduction in the
courtyard area and the conversion of the series of columns.
Pgs. 353-366; Pls. 13-14

LA CHIESA DEL VESCOVO GIOVANNI A ZIZIA M. Piccirillo

The Church that was brought to light corresponds with the description made by
Tristram in 1872 and with the topographical details saved by Fathers Jaussen and
Savignac in 1909. The two Dominican Fathers write that the bilingual description
published by them was re-found among the ruins of an ancient edifice identified

464

ABSTRACTS

by the inhabitants of the area as a Church 250 meters to the east of the police
station with columns similar to milestones plastered in white. The Church was
built re-using architectonic elements of a previous building from the classic era.
The bilingual inscriptions of these elements suggest that they probably came from
the Temple of Zeus Beelfegor, which Demas, son of Hillel of FiladelfiaAmman
had built. The pre-existence of the temple in the same area could explain the
anomalous orientation of the Church, which up to now is the only one of its kind
in all the vast documentation regarding the Province of Arabia.
Pgs. 367-384; Pls. 15-34

IL CORTILE A SUD DELLA CHIESA DI S. PAOLO AD UMM AL-RASAS - KASTRON MEFAA IN GIORDANIA C. Pappalardo

The article is the result of an archeological research covering the area between
the Church of St. Paul and the Chapel of the Peacocks in the northern sector of
the Castrum of Umm al-Rasas. Originally occupied by the portico of the Church,
which was connected to a large corridor with the street running East of the complex, the area, in the VII century, witnessed some structural modifications with the
construction of a wine-press and other structures attached to it. With the passing
of time, however, the use of the wine-press became rare until becoming obsolete
along with the abandonment of the city. Also, this sector of the city of Kastron
Mefaa - Umm al-Rasas, excavated between 1997-2000, shows a similar history
with the sacred buildings unearthed previously. Even more interesting and new is
the fact that while the city remained inhabitable, the interior of a space originally
attached to the Church, such as the courtyard to the south of the Church of St.
Paul, was used for a totally different purpose like the production and preservation
of wine. This data of information together with other data acquired until now will
help further to understand the life, the development, and above all the progressive
decline and forsakenness of the city of Umm al-Rasas.
Pgs. 385-440; Pls. 35-42

THE SANCTUARY OF SHEIKH EL-QATRAWANI H. Taha

The site of el-Qatrawani is a common saint-tomb from the Mamluk and Ottoman
periods. It is built on the ruins of a Byzantine church dating to the 5th century
AD. The Byzantine remains consisting of a church, cisterns and a wine-press
belong to a monastery which was occupied apparently for a short period. The
monastery is spatially related to the Byzantine settlements of Atara, Tarfin and
Birzeit. It is interesting to note that the Christian monastic tradition is kept alive
later in another form of Islamic monasticism. The monastery and sanctuary of
el-Qatrawani is a living example of the continuity of religious traditions.
Pgs. 441-456; Pls. 43-46

RICERCA STORICO-ARCHEOLOGICA
IN GIORDANIA XXII - 2002

LA 52 (2002) 465-516; tavv. 47-63

JERASH

AMMAN

MADABA
Wadi Umm al-Rasas
Mu
jib

Rabba

Ghor al-Safy

Petra

km

Principali localit menzionate nelle relazioni.

50

RICERCA STORICO - ARCHEOLOGICA


IN GIORDANIA XXII - 2002

a cura di M. Piccirillo

I. RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE


1. The Wadi ash-Shkafiya Survey Project
The Wadi ash-Shkafiya Survey Project was established to collect archaeological data from one of the main tributary wadis of Wadi al-Mujeb east of the
Dead Sea. Wadi ash-Shkafiya is the major southern tributary that branches off
the main wadi and cuts into the central Moabite Plateau (Ard al-Kerak). The
Wadi ash-Shkafiya Survey Project developed out of the excavation project at
Khribat al-Balua which is situated at the point where one of the branches of
Wadi ash-Shkafiya reaches the plateau.
The area of the central Moabite plateau has seen a number of archaeological reconnaissance-surveys during the past decades. Among the most comprehensive was the Archaeological Survey of the Kerak Plateau in 1978-1982
under the direction of J. Maxwell Miller and Jack M. Pinkerton. This survey
focused on the plateau area from the southern rim of Wadi al-Mujeb to the
northern rim of Wadi al-Hesa, from the edge of the Dead Sea escarpment in
the west to Wadi an-Nukhayla in the eastern desert. In 1983 Udo Worschech
began a systematic survey of the Wadi Ibn Hammad and expanded the scope
of his investigations to the entire region of the escarpment between Wadi alMujeb and the Kerak region. All these investigations have been focusing on
the Moabite plateau or the slopes to the Dead Sea; the area of the wider Wadi
al-Mujeb and its tributaries have been left out of most of the archaeological
research. Only recently (in 1999), an archaeological survey has been conducted
in the area where the bridge along the Kings Highway crosses the wadi. The
Ministry of Water and Irrigation is building a new dam at this point. Thus, it
became necessary to assess all the archaeological sites which will be destroyed
due to the dam construction and the subsequent raise of the water level.
If one considers the geomorphic picture of the Wadi al-Mujeb system
and its tributaries it becomes clear that one of the major routes reaching the
Moabite plateau is leading through Wadi ash-Shkafiya, which is the main tributary wadi that leads southward onto the plateau. Adding to the importance of
this tributary wadi is the fact that this possible ascent is guarded by the major
Iron Age site of Khirbat al-Balua on the edge of the Moabite plateau. Since

468

RICERCA IN GIORDANIA

previous surveys have bypassed these wadis the Wadi ash-Shkafiya-Survey


Project has been investigating the archaeological remains of this major tributary by means of a preliminary reconnaissance survey.
This survey showed that the various wadis that lead into Wadi al-Mujeb
were widely frequented during ancient times. Especially Wadi ash-Shkafiya
shows a number of strong fortification indicating that this wadi served as one
of the major routes leading up to the Central Moabite plateau. A number of
important sites (more than 50 altogether) could be identified and studied during
this survey, among them various larger and smaller ruined sites, cairns, wall
lines, water reservoirs, towers, etc.) that could be dated to a range of periods
beginning with the Early Bronze period up to the Islamic age.
As a tributary to Wadi al-Mujeb, Wadi ash-Shkafiya seems to have been the
main route connecting the northern Dhiban plateau with the southern Moabite
plateau during the Iron age. This is attested by a number of fortifications that
follow along the wadi bed. One of the most impressive of these installations
is Qasr er-Raha. At this point Wadi ash-Shkafiya forms a natural loop creating
an almost circular plain in the middle of the wadi. The plain is used today for
agricultural purposes. At the northern edge of this loop the remains of a qasr
with massive walls rise. The structure reminds one of the qasr at Khirbat alBalua. The size of the qasr is 16 x 23 m. At some places the walls reach up
to 2 m, built of massive basalt blocks. Various rooms and wall lines can be
identified in the interior of the qasr. It appears as if this fortification had been
surrounded by a protective wall. During the course of various settlement periods the qasr had experienced a number of building and rebuilding phases and
remained in use well into the Roman period. Just north of Qasr er-Raha about
1 km down the wadi remains of a huge Nabatean-Roman fort (Khirbat Abu
Samen) are situated on the eastern slope 50 m above the wadi bed. The fort is
surrounded by a strong wall on all sides (35 x 35 m).Within the fort several
wall lines and structures can be identified. Most of the walls consist of black
basalt stones. Among the predominantly Nabatean-Roman pottery some Iron
Age sherds can be found. Nearby is a well that springs up directly within the
actual wadi bed of Wadi ash-Shkafiya. More installations are situated further
up the wadi. Those who are in the immediate vicinity of the wadi bed have
suffered quite some damage due to erosion.
During later times the Romans created a new route that run directly
through Wadi al-Mujeb; they used a more direct approach to the Central
Moabite plateau. However, the alternative access via the route through Wadi
ash-Shkafiya obviously remained an option for the Romans since the wadi
system was guarded by a chain of forts and watchtowers. Various ascents
branched off the main route through Wadi ash-Shkafiya and reached the plateau
at various points that were also protected by fortifications. From there routes
extended to the Via Trajana which intersected the Moabite plateau further to
the west. In the area where Wadi al-Balua and Wadi Abu Alkbash meet to form

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

469

Wadi ash- Shkafiya another Roman fortification can be found. From here one
has a good view over the area between Wadi al-Balua and Wadi Abu Alkbash
that leads up to Khirbat al-Balua. Thus this fortification occupies an important
strategic position in regard to the main ascent up to the Moabite plateau and
to Khirbat al-Balua in particular.
One of the most important site that were discovered during the initial
survey is Khirbat al-Mamariyah. This site is situated on a hillside that rises
from the wide bed of Wadi al-Mujeb near the point of the confluence of Wadi
ash- Shkafiya and Wadi al-Mujeb. Khirbat al-Mamariyah stretches from the
summit plateau of Gebel al-Mamariyah downward along the eastern slopes.
The massive city walls are already visible from a distance. The site has the
shape of a gigantic triangle. The top of the triangle forms a massive citadel.
The city wall consists of a casemate wall with a width of almost 5 m. The outer
wall alone has a width of 1.2 m. Whereas the southern city wall is still almost
complete, some parts of the northern wall especially in the lower part of the
city have eroded away. The northern and southern city walls have a length
of about 300 m. While the citadel and most parts of the upper city are situated
on a slightly sloping plateau, the remaining area of the city spreads out over
a steep descent. Upper city and lower city are separated by special fortifications. At both sides of the outer city walls semicircular installations extend
at that point. There was probably a clear line within the city that separated
both parts of the city. The eastern city wall has almost completely disappeared
due to erosion. The difference in elevation between the eastern city wall at
the bottom of the city and the citadel on top of the plateau amounts to ca. 80
m. The citadel dominates the highest point of Khirbat al-Mamariyah. It has a
breadth of ca. 14 m and a length of ca. 24 m. Massive walls of up to 1.6 m
underline the defensive character of this fortification. The entrance appears
to be at the northern side in the area of the casemate wall and leads into a
spacious courtyard. There are a couple of smaller rooms in the western part
of the citadel. The pottery shows that Khirbat al-Mamariyah was mainly occupied during the early phase of the Iron age. At the point where the northern
wall meets the eastern wall the remains of a massive tower could be located.
In this area predominantly Roman pottery was found. The approach to Khirbat
al-Mamariyah leads through a western pathway winding its way up the slopes
of Gebel al-Mamariyah, surrounding the site and leading up to a saddle from
which a small path leads to a gate situated in the southern city wall near the
citadel. A second ascent approaches the city from the east leading through the
steep slope directly beneath Khirbat al-Mamariyah.
The dating of the pottery of Khirbat al-Mamariyah to Iron I places the site
in the same category as a number of Iron I sites that are similarly situated at
the norther and eastern edge of the Moabite plateau (all of them with the name
al-Mudayna): al-Mudayna on the Mugeb is situated at the northern edge of
the plateau, west of the modern road as it ascends from Wadi al-Mujeb and

470

RICERCA IN GIORDANIA

continues south towards al-Qasr and ar-Rabbah. The site stretches out on a
narrow hillside that extends in east-west direction (120 x 30 m) and allowed
its inhabitants a breathtaking view into the depth of Wadi al-Mujeb, to Khirbat
Arair (just opposite on the southern edge of the Dhiban plateau), and down
towards the west to the Dead Sea. The site is covered with building remains
of a later Islamic period. The surface pottery, however, indicates that this site
had been occupied during the Iron I and II, and later periods. Further to the
east there are two other sites that show exclusively Iron I occupation: al-Mudayna North or Khirbat al-Mudayna al-Murrajeh, and al-Mudayna South
or Khirbat al-Mudayna al-Aliya. Both sites are located 5 km apart. Khirbat
al-Mudayna al-Aliya measures 275 x 110 m guarded by a substantial city
wall with a tower-gate complex, and a moat. The pottery of this site suggests
that the site experienced a single occupational phase towards the end of Iron
I. Investigation pertaining to the architecture of the site are under way under
the direction of Bruce Routledge. Khirbat al-Mudayna al-Murrajeh further to
the north on the west bank of Wadi an-Nukhayla has been excavated during
two brief seasons by E. Olvarri. This site is also heavily fortified with a huge
double wall on its western side along with a tower-gate complex. The results of
the excavation showed that this site also was essentially a one-period site and
dates to the Iron I period. Thus, Khirbat al-Mamariyah fits into this category
of sites that display a number of similarities: occupation during the latter part
of Iron I (al-Mudayna on the Mugeb is the only site that has a longer occupation history), extensive fortification systems, and similar pottery. All sites
are situated in close proximity to the border of the Central Moabite plateau.
Khirbat al-Mamariyah is the only site that did not command its surroundings
from the top/edge of the plateau, but rather controlled the wadi bed itself (i.e.,
Wadi ash- Shkafiya and part of Wadi al-Mujeb).
Two small seasons of excavation have established the basic outline of the
citadel which is situated at the upper part of Khirbat al-Mamariyah. The results
so far show, that the site was similar to Khirbat al-Mudayna al-Murrajeh and
Khirbat al-Mudayna al-Aliya essentially a one-period site and dates to the
Iron I period. Khirbat al-Mamariyah formed part of a chain of fortified sites
along the northern and eastern border of the Central Moabite plateau. Whereas
all the other Iron I sites are found in rather remote areas, Khirbat al-Mamariyah
is situated on the crossways of important routes that connected the northern
Dhiban plateau with the southern Moabite plateau. Most of the traffic had to
pass by this site. Further research has to clarify the socio-economic context
and the sites function within the concert of its neighboring sites during the
Iron I period.
This survey project also showed that although the area is very remote
various archaeological sites become more and more endangered. Due to
building and agricultural activities more and more sites are being destroyed
and virtually disappear. At the area where Wadi ash- Shkafiya enters into Wadi

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

471

al-Mujeb one site has been completely bulldozed and reused for agricultural
purposes. The whole field is covered with pottery, fragments of working stones
and other remains. A preliminary dating of the sherds concluded that this site
must have been occupied predominantly during the later phase of the Iron
age. Another site that is located just to the southwest further up the slope has
escaped the bulldozer. Various wall lines and structures stretch over a large
area. The preliminary pottery reading indicated an occupation during the Early
Bronze period.
Friedbert Ninow
2. Archaeological lnvestigations of Conders Circle at Ayn Jadidah
near Mount Nebo (Pls. 47-49)
From September 7th till October 7th 2003 archaeological investigations were
carried out at Ayn Jadidah by a small group of Danish archaeologists from
the Carsten Niebuhr Institute in Copenhagen. The work took place under the
auspices of the Franciscan Archaeological Institute at Mount Nebo and with
the valuable participation of Father Carmelo Pappalardo.
The work carried out in 2003 represents a continuation of our work in
2000-2001 and of the surveys in 1992-98. Covering approximately 35 square
kilometres, the area is very rich in archaeological sites and monuments some of
which were already known, and in some cases investigated by the Franciscan
Archaeological Institute. 747 sites and monuments - in time ranging from the
Lower Palaeolithic to the Late Ottoman periods - were located, described and
put on the map. In this context a few supplementary investigations of megalithic monuments in the area seemed to be useful.
One of these monuments is a large, roughly circular structure discovered
and first described by Colonel C. R. Conder in his Survey of Eastern Palestine (London 1889). Above the spring of Ayn Jadidah he found what he
described as a large oval platform surrounded by a rubble wall and divided into
two irregular portions by a wall running ESE-WNW. The monument is situated
between a large Late Chalcolithic/Early Bronze Age settlement northeast of the
spring and a high plateau towards south with a large number of contemporary
dolmens, menhirs and lines of stones.
In order to determine the date of the circle and possibly to get an idea about
its function, a detailed map of the monument was commenced in 2000-2001. In
this connection the stones of the walls were cleared along a 110 meter long section across the monument. The investigations showed that the central platform,
with a diameter of approximately 45 metres, was surrounded by a rampart, 25/30
metres wide, and founded on bedrock, sloping towards north and east, so that
the hight of the rampart varies from c. 3 to 8 metres above bedrock.

472

RICERCA IN GIORDANIA

The rampart seems to be roughly polygonal. It is constructed as a series of


segmented terraces apparently filled in with stones and with one or two larger
stone walls on top. Sherds of coarse pottery found on the stonewalls indicate
a Late Chalcolithic/Early Bronze Age date for the rampart.
The same age can be attributed to the large building, discovered just below
the central platform. An area of approximately 115 square metres of this building was excavated, showing the presence of a large building with rectangular
rooms, the walls of which were based on stone foundations. The function of
the building is not yet clear, but pottery of the Chalcolithic/Early Bronze Age
were found in the rooms together with flint artefacts and a few sherds of stone
vessels and larger stone tools.
Situated between a Late Chalcolithic/Early Bronze Age settlement and a
high plateau with more than a hundred dolmens overlooking the large polygonal platform with its impressive rampart and its major central building - all of
the same age - Conders Circle seems to be an extremely important monument. It is hoped that future studies of the rampart and the central building
may reveal the function of this unique structure.
Peder Mortensen
The Carsten Niehbuhr Institute, Copenhagen
3. The third archaeological investigation campaign at the site of Tell alMashhad (January February 2003) (Pls. 50-51)
The site of Tell al-Mashhad (or Khirbet Uyun Musa), lies in the Uyun Musa
valley, just at the foot of mount Nebo, between the perennial spring and the
byzantine churches of Kayanos and of the Deacon Thomas, excavated by the
Franciscan Fathers in the 80s.
It was individuated in 1932 by the American archaeologist Nelson Glueck,
the father of Jordanian archaeology, who described Tell al-Mashhad as an important site near the Uyun Musa spring, that he visited during his Transjordanian travels. The collection of many potsherds and small clay figurines enabled
him to date the main phase of occupation to the Iron Age. During the same
period, Glueck also made the first rough map of the site, which nevertheless
did not include the southern sector.
In the Fifties, a further visit of the site was carried out by the German
archaeologist O. Henke, for the purpose of collecting evidence that would
possibly allow the Tell al-Mashhad site to be identified as the ancient city of
Bet-Peor (occasionally referred to as Baal-Peor), mentioned in several Old
Testament passages (Nm. 25,3.5; Dt. 3,29; Dt. 4,3.46; Dt. 34,6; Gs. 13,20;
Psalms 106,28; Os 9,10) and in the Onomasticon of Eusebius; not far from
this city, according to the biblical account, Moses was buried when he died

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

473

after contemplating the Promised Land from the peak of Pisga (the presentday peak of Siyagha, on the nearby Mount Nebo). This identification does
not appear to be universally accepted: Van Zyl, for instance, prefers that
with Zeret Sahar.
The last systematic reconnaissance at Tell al-Mashhad was carried out
in 1995 within the framework of the Mount Nebo Survey, led by Prof. P.
Mortensen. On that occasion the presence of several outcropping masonry
structures on the hillside south of the squared fortress at the top was detected,
and the main period of occupation of the site could be identified as Iron II (ca.
between 900 and 600 B.C.).
The actual project was begun within the framework of the archaeological
activities that have been carried on for about 70 years in Jordan by the Franciscan Archaeological Institute in the Mount Nebo area, with a view to protecting the important archaeological evidence in the region. This intervention has
become all the more necessary after the widening of the modern road that, for
a number of years now, has literally cut the archaeological area in two.
The activities carried out during the third research campaign at the site of
Tell al-Mashhad in 2003 were focused on the following main objectives:
1) the realization of a preliminary, systematic sketchplan of the fortress
on the top of the hill;
2) the realization of a preliminary sketchplan of the byzantine structures,
south of the modern road;
3) preliminary study of the objects (pottery and grinding stones) collected
in the previous campaigns.
The sketchplan of the fortress. The remains of a large structure, almost
squared in shape, are visible on the top of Tell al-Mashhad. This building
should probably be extremely important in the frame of the village activities,
because of its preminent position, dominating the first sector of the Uyun
Musa valley, starting just from the perennial spring. Moreover, from its top,
its possible to have a beautiful view of the Jordan Valley.
Such a building has been object of a preliminary architectonical survey,
a very difficult work, because of the presence of a large amount of collapsed stones. The building shows an almost squared plan, whose side is
about 20 meters, and with the highly possible presence of bastions at the
corners. Its possible to recognize the remains of one of these bastions at
the south-eastern corner. On the contrary, it is not possible, until now, recognize the presence of a central courtyard, as one can expect. In any case,
the buiding shows great similarities, in the plan, with the very well known
typology of the Hofbau, with a large diffusion, for several purposes, in
the entire Palestinian region. Exemples of such a type are the famous Late
Bronze Age temple of the old Amman airport, or the residential buildings
discovered in the sites of Tell es-Saidiyeh and Tell al-Mazar, both in the
Jordan Valley, and the al-Mabrak edifice, probably connected with agricul-

474

RICERCA IN GIORDANIA

tural purposes. In the vicinity of Tell al-Mashhad, the most similar edifice
is the Rujm al-Mukhayyat fortress, dominating the Wadi al-Afrit, just in
front of Khirbet el-Mukhayyat; in this case, however, is visible the presence
of a squared courtyard and several rooms surrounding it.
The excavation of the Tell al-Mashhad edifice, planned for the next seasons will certainly clarify the exact nature of the building.
During the season 1999, the presence of a sector of the ancient site with
traces of occupation in the Byzantine period was noted. This sector is located
south of the modern road, not far from the byzantine churches excavated by
the Franciscan Fathers in the 80s. It was noteworthy the presence of at least
two big walls, preserved for about 1.201.60 meters in height, and probably
parts of different buildings, named 1 and 2, whose purpose is still unknown,
but probably related to a small cemetery. However, out of the door opened in
the southernmost wall (edifice 1), were several human bones, whose presence
let to imagine the use of that edifice for funerary purposes. Anyway, the main
walls were drawn, in their plan and prospect.
3) Study of the objects from the previous campaigns. During the campaign
of JanuaryFebruary 2003, no objects from Tell al-Mashhad were collected. It
was preferred to keep on the drawings and the study of the objects collected
during the previous campaigns of 1999 and 2000.
As for pottery, the most of the objects from rooms 1 and 2 seems to be
datable to the latest phase of Iron Age II (VIII-VI century B.C.). The best
represented types are the carinated bowls, whose diameter does not exceed
10-12 cm., the Ridged Neck Jars and kraters with a large mouth and a great
number of handles (2 up to 8). Bowls and kraters are very well represented
also in the production emerged by the Khirbet el-Mukhayyat tombs. From a
most general point of view, the pottery objects from Tell al-Mashhad can be
considered quite typical in the frame of the Iron Age II Palestinian production,
with strict similarities with the ceramic production from the northern Palestinian region, and, in Transjordan, with the pottery from the ancient kingdoms of
Ammon and Moab.
During this season was also started the study of the grinding stones,
collected in a large number on the site surface. It was possible to recognize
at least four groups: a) the upper grinding stones, usually enlongated, cigarshaped, and often with a flat side; b) the lower grinding stones, usually a
rectangular, flat stone, whose use is associated with the one of the previous
typology; c) the pestels, usually a ball-shaped, or cylindrical pebble; d) the
mortars, probably the most interesting type, due to the fact that the mortars
can be very different in size and shape, from the basalt dish with a ring base,
to the large limestone mortar with a deep hole in the centre. For all these
groups, the material used can be very different: limestone and basalt are the
most used, but it is also possible to see some flint pestel or upper grinding
stones in different materials.

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

475

The nature of the site. Tell al-Mashhad appears to have been a mainly agricultural settlement, as demonstrated by the great number of grinding stones,
mortars and pestels scattered on all the site surface. This hypothesis can also
be confirmed by the presence of the spring and by the richness and fertility of
soils in the vicinity of the site. The settlement was probably structured in terraces, realized to create a solution in the natural slope of the hill. This situation
is confirmed by the presence of a number of lines of stones, running usually in
the East-West direction. It is probably the case of the Northern wall of rooms
1, 2 and 3, excavated in 1999 and 2000.
Chronology. Until now, it seems still very difficult to establish a complete occupational sequence of the site. The main occupational phase seems to have been
the Iron Age IIc (about 720-550 B.C.), corresponding to the period of Assyrian
and Babylonian domination of Transjordan. The most of the pottery typologies
are datable to this period. The last phase of occupation was the Byzantine period,
particularly in the western sector of the site, where the remains of the structures
of a small necropolis, probably linked to the presence of the churches of Kayanos
and Deacon Thomas, are still visible.
Francesco M. Benedettucci
Fondazione Ing. C. M. Lerici Franciscan Archaeological Institute
4. Umm al-Rasas Kastron Mefaa Archaeological Campaign 2002
(Pls. 52-54)
This years archaeological campaign focused on four areas all in the vicinity
of the complex of the Church of the Tabula Ansata. One area is that comprising the zone to thewest of the same Church and delimited to the North by the
Church of Wail. The second area excavated lies to the North of the Church
of the Tabula Ansata where last year we had already performed two probes. A
probe was also performed next to the Northwest corner of the Castrum. Finally
we had to intervene in the presbytery of the Church of Wail due to a clandestine dig carried out by anonymous gravediggers which destroyed its central
mosaic panel to reach a tomb lying under the presbitery. Restoration works on
various walls in the area of the Tabula Church were also carried out.
The team directed by Fr. M. Piccirillo was composed by John Abela, Carmelo Pappalardo, Nicola Tutolo, Andrea Costa and Antonio Rojek, Samanta
Deruvo, Alessandro Ravasio and 12 local workmen.
The western courtyard
The excavation to the west of the Church of the Tabula revealed a large open
space simply delimited by an L shaped wall (23.35m the longest and 5m the

476

RICERCA IN GIORDANIA

shortest arms). The whole area had been interested by at least three different
phases witnessed by the same number of superimposed threading floors. Last
years excavation had revealed a door which led from the courtyard (R1108)
to a corridor in a Western direction. Departing from this door all the corridor
was cleared. It led on to the large open courtyard which interested this years
excavation. This courtyard was only partially excavated and only in some areas
we went down to intercept the various threading floors. Along the south wall
of the Church of the Priest Wail a large area was excavated to the threading
level which was in relation to a door leading to the above mentioned Church,
a door which was blocked in a later phase. In the corner created by the West
wall of the Church of the Tabula and the South wall of the Church of Wail
a probe was performed revealing an intermediate threading floor and a lower
one (at about 60cm deep) which is in relation to a door which led to the Tabula
Church. Both walls preserved large pieces of plaster.
The door in the western wall of the Church of the Tabula is 75cm above
the floor of the Church itself. On the southern extremity of the excavation some
walls witness to a later use of the area. A low rough wall in a East-West direction delimited this area and it had an access door inserted in it. This led to two
areas divided by a wall in the North-South direction. In the western area a deep
probe was performed revealing the foundations of the dividing and the perimeter walls. Removing the debris in the courtyard some architectural elements
came to light: a small column base found near the short arm of the L shaped
wall; two window arches: one having a semicircular frame with two incised
crosses on the sides while the other was obtained reusing a stone having an
encircled cross incised; a long stone with a hemispheric bulge on one side.
Area to the north of the Church of the Tabula Ansata
We moved our excavation to the North of the Church of the Tabula Ansata, to
the area where last year we had already dug two probes in correspondence to
the doors of the above mentioned church. Extending and deepening the probes
we encountered two independent areas but communicating with the Church. The
area to the west (R1122 already R1114) had passed through various phases of
usage. The most ancient is witnessed by an irregular stone slabs floor which had
been laid on virgin soil. In a second moment, to the West, in relation to the door
of the Church, a second stone slabs floor was laid. It was made up of regular
rectangular slabs. It was completed to the East by a pebble bed covered by a
soil threading floor in order to bring it to the same level of the new stone slabs
floor. A flight of two stone steps was laid on the new stone slabs floor in front of
the Churchs door and it led to a doorway of which the threshold and door posts
are still in situ. This door led to a corridor (R1124) lying about 60 cm higher. A
further phase of use is witnessed by the blocking of the Churchs door and by the

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

477

filling of the area to bring it to the same level of the adjacent corridor. On this
new threading floor a level of quicklime and two heaps of ashes. A large niche on
the eastern wall was also blocked, most probably, at the same time as the door.
Here too we witnessed the devastation of the gravediggers who destroyed a large
part of the north wall by their probe and upset the stratigraphy of the area.
The northern corridor (R1124) was delimited to the north by a wall having
also a door in the northern direction being at the same height of the door which
communicated with R1122. Most probably the lintel found in the fall of this
corridor belonged to this door.
The north wall was explored up to the foundations which rested on a very
compact threading floor which though had ad irregular surface, witness to an
earlier phase. On the south side of this corridor, and to the East of R1122,
another area (R1123 already R1115) is delimited by a wall which cuts through
the ancient threading floor of the corridor. This area is in communication with
the church through a door which opened on its northern wall. The presence of
the irregular stone slabs floor and the pebbled bed with its threading floor are
witness to a parallel use with the adjacent area (R1122) at least until both were
in communication with the church. The presence of two fireplaces on the silt
soil are witness to the sporadic later use of this area.
Extending the excavations of the corridor to the east, reaching the eastern
wall of the Church of the Tabula, we started uncovering another portion of the
northern wall which here is made up of regularly cut stone bringing to light
also a door and arch ashlars lying among the debris. An ancient threading floor
was found in this area (R1125). Its antiquity is witnessed by the shards and by
the fact that the perimeter wall of the Church of the Tabula cuts through the
same threading floor. This area is still to be investigated.
Probe at the Northwest corner of the Castrum
We moved also to the Northwest corner of the Castrum where a probe was dug
on the outside. The probe revealed, after removing some huge stones coming
from the fall of the walls, the presence of at least four threading levels prepared
using also a mixture of small stones and plaster. All these threading floors were
attached directly to the walls of the Castrum of which we revealed five more
rows. We halted the probe at the fourth level due to the hardness and compactness of the surface.
Intervention at the Church of the Priest Wail
Even this year we were somehow conditioned by the activity of the gravediggers. During the on site inspection before the beginning of the campaign

478

RICERCA IN GIORDANIA

we realised that the mosaic of the presbitery of the Church of the Priest
Wail was seriously damaged. The gravediggers performed a rectangular
probe mosaic floor revealing, at more than 2 meters deep, an elongated
tomb. It measured about 4 metres by 60cm and was about 40cm high. The
tomb, in an East-West direction, lied exactly at the centre of the presbitery.
The tomb resulted dug out in the very compact virgin soil of the area, a
soil we already met in the probes performed in the Church of the Tabula.
Rectangular stone slabs delimited the burial place on three sides; the tomb
and its appendix to the West were covered with the same type of stone slabs;
a strange U shaped stone most probably served to divide the tomb from the
access to the tomb. Inside the tomb we found the remains of the lower part
(from the abdomen) of two bodies, an adult and an infant, placed one on
top of the other.
The legs of both bodies were still covered by what must have been the
funerary tunics while the infant was still wearing a leather sandals. A metal
bracelet and two small rings, a small bronze cross and fragments of a necklace
made of copper and looters glass escaped the probe of the profanators of the
tomb. All these made up part of the funerary attire.
John Abela, Carmelo Pappalardo
Studium Biblicum Franciscanum
5. Petra. The Pulpit of the Blue Chapel (Pl. 55)
During ACORs excavation of the Blue Chapel in 2000, partial remains of a
pulpit dating to the late 5th or early 6th c. were found in situ. Nearby were
found fragments of the marble surround of that pulpit as well as parts of the
columns that supported the pulpits basket. The marble, which probably originated in Turkey, has a distinctive bluish color, undoubtedly chosen to go with
the chapels blue Egyptian granite columns. More fragments were found during the 2001 and 2002 seasons, as was a piece of one of the panels decorating
the steps.
In ACORs lab, Naif Zaban was able to join many of the pieces. It was
soon discovered, however, that of the original five panels of the basket, only
parts of three had been found; of the four supporting columns, only fragments
of two were found; and of the staircase panels, only one large piece and one
small piece remained. It seems that in the period after the church was abandoned, the pulpit shattered, and the remnant population scattered the fragments. However, the fact that nothing was found of two of the panels suggests
that they may have been removed intact for use elsewhere. Enough was left
of the pulpit to restore it on paper, and project architect Chrysanthos Kanellopoulos was able to do that.

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

479

Meanwhile, ACOR had been involved in the planning for an exhibit called
Petra: Lost City of Stone. Glenn Markoe of the Cincinnati Museum of Art,
on seeing the pulpit, asked if it could be in the exhibit. If it were going to be
exhibited, the paper restoration would have to become a reality. Under the
sponsorship of the Cincinnati Museum of Art, Thanassis Gritzapis and Nikolaos Kiritsis, as well as Dr. Kanellopoulos, came from Greece in Jan. 2003
to do the restoration. They first restored the only leg for which large pieces
remained. Then a latex mold was made of this and a plaster copy created.
The plaster copy was sent to a stone mason and two stone copies were made.
Meanwhile, it was decided that in reality only two of the three panels of the
basket could be restored. The missing areas of the marble of the two panels
were filled with plaster and then the motifs carved into the plaster. A replica
of one of these is the third panel in the exhibit.
The tops and bottoms of the panels are decorated in a technique called
champlev in which the marble is carved around the motif, in this case vines.
The carved area is left rough and on to it was put a mastic so that it would appear to be a different color of marble. Since the rest of the decorative program
ofthe church seems to have been limited to blue and white, it is possible that
a white mastic was used in the pulpit. It was decided, however, not to attempt
to restore that element.
In order to give the pulpit stability for exhibition, a backing of Dupont Coriang was fitted to the panels. This allowed the creation of a very simple way
to assemble and disassemble the piece for exhibit and transport. The two parts,
legs and basket, were not joined at ACOR; they will come together in the actual
exhibit. In June 2003, Hasenkamp movers, experts in the transport of works of
art, packed it up to go to New York. The exhibit, which also includes a number of
pieces found during ACORs other projects at Petra, including one of the Petra
Papyri, opens at the American Museum of Natural History in October 2003.
Patricia Maynor Bikai
ACOR Amman
6. An Naq and Tuleilat Qasr Mousa Hamid Excavations 2000
During April 2000 excavations took place at An Naq and Tuleilat Qasr Mousa
Hamid in the Ghor es-Safi. The project was funded by the Ministry of Foreign
Affairs of Greece and was conducted by a team of Greek archaeologists from
the University of Ioannina in Greece.
The main objectives of the project were to investigate the badly robbed
cemetery site of An Naq and search for the settlement which belonged to it.
One good candidate for this settlement was the recently discovered site of
Tuleilat Qasr Mousa Hamid.

480

RICERCA IN GIORDANIA

At An Naq, 17 tombs were excavated which were constructed of large


wadi pebbles. Although almost all had been recently robbed-out, important
information concerning their construction and date were gained. Some had
fragmentary and complete objects associated with the burials. On the basis
of pottery and other finds, most could be dated to the Early Bronze Age I-II
period (ca. 3100- 2600 B.C.). One tomb had Middle Bronze Age 11 B period
(ca. 1750 B.C.) pottery fragments. Similar results were also mirrored in a surface collection which was conducted to the north and south of the excavation
trench. One exceptional find was an early Byzantine tombstone (5th century
A.D.) inscribed in Greek which was recovered immediately to the west, down
slope of the Bronze Age cemetery.
Tuleilat Qasr Mousa Hamid is an extensive, low-laying tell in the Wadi
al Hasa alluvial fan surrounded by modern agricultural fields, with dozens of
large saddle quern stones and Iron Age pottery strewn on the surface. Two
small test trenches where made on the south-west to distinguish the outer limits of the site, and one 5m x 4m trench near the centre in order to determine
the depth of stratigraphy. There were two phases of Iron Age II (ca. 900 B.C.)
occupation on orange clay virgin soil. The earliest phase revealed a wall made
of adobe bricks with associated pottery, animal bones, metalwork and quern
stones. The later phase was a ca. 2 metre diametre pit cutting into the earlier
level. The finds from these excavations confirmed that the pottery and quern
stones found on the surface came from stratified contexts, and that they belonged to a substantial agricultural settlement in the later Iron Age period.
During a survey at the north-west end of Tuleilat Qasr Mousa Hamid, two
recently dug irrigation pits revealed Nabataean/Roman pottery sherds which
may have derived from a farmstead of the period.
Konstantinos D. Politis
University of Ioannina, Greece
7. Update on conservation work at the sanctuary of Lot (Pl. 56)
During 2001 and 2002, conservation work was carried out at the Sanctuary of
Lot, sponsored by the Hellenic Society for Near Eastern Studies and funded by
the European Centre of Byzantine and PostByzantine Monuments. The buildings of the complex were largely consolidated and most of the mosaic floors
were stabilised. The nave mosaic which was removed in 1994 was successfully
re-laid back on site, using modern, well-tested methods and materials. There
is now a plan by the Ministry of Tourism and Antiquities of Jordan to shelter
the mosaics.
Although the narthex on the west end of the basilica (about one quarter of
the building) had completely collapsed down slope, enough of the foundations

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

481

survived to distinguish the western extent of the church. The main entrance
of the basilica was probably located on the south western side, adjacent to the
reservoir. In the course of removing the collapsed lintel and door jamb, more
than a dozen carved wooden plank fragments of the door were discovered.
Other well-preserved organic finds were made, including leather, ropes (some
still knotted), basketry and garment fragments (among which were the oldestknown examples of ikat). Perhaps the most significant was a piece of parchment inscribed in 5/6th century AD early Christian Palestinian Aramaic.
Further south, over 900 large sections of mosaic were also recovered,
which once paved the entrance room of the church. Since most of the pieces
were relatively intact as they had collapsed, the conservators managed to piece
together much of the pavement as a giant jigsaw puzzle. They were handsomely decorated with animal and floral scenes. A large urn had a Greek inscription
naming Kosmas, the mosaicist, as well as other church officials. This discovery
was even more important because the mosaic was dated to 572/3 AD the year
the church was renewed.
Konstantinos D. Politis
Hellenistic Society for Near Eastern Studies
8. Tawahin es-Sukkar and Khirbet Sheikh Issa Excavations, 2002
Excavations were conducted in January 2002 at Tawahin es-Sukkar and
Khirbet Sheikh Issa in the Ghor es-Safi. They were sponsored by the Hellenic
Society for Near Eastern Studies and Glasgow University in collaboration with
the Department of Antiquities of Jordan.
Following the successful topographic and geophysical surveys conducted
in 1999 and 2000, trial trenches were made in both Tawahin es-Sukkar and
Khirbet Sheikh Isa in 2002. The main objective of these was to test the results
of the non-intrusive surveys which indicated interesting anomalies below the
surface. Since resources for this were limited, only seven small trenches could
be opened.
Two trenches were made at Tawahin es-Sukkar. The first trench followed
the northerly flowing chute of the eastern water channel revealing that it continued below the floor of a room with a large in situ mill stone. Two other
smaller circular stones were also found in the area. One apparently stood
upright inside the larger one and was used for crushing, and a second possibly acted as a counter-balance. Underneath the large mill stone, the top of a
silted-up vaulted chamber was discovered which was connected to the northerly-flowing water channel. This was mirrored immediately to the west by a
similar water channel and most probably by a second mill. In addition, there
is a third steeper vertical chute to the south. These three constitute one of the

482

RICERCA IN GIORDANIA

largest known early milling complexes. On the basis of pottery and other finds,
these can be dated from the Abbasid (8th-10th centuries) to the Ayyubid-Mamluk (12th-15th centuries) periods.
A second trench was opened to the north of the mills where huge heaps of
industrial waste was visible from the surface. This area was rich in carbonised
material and sugar pot fragments both apparently related to a boiling and refining process (a large copper cauldron used for boiling sugar cane which was
found at the site is now in the Kerak Museum). This evidence along with the
mills indicates that the site was indeed a major sugar factory complex as its
Arabic name suggests.
At Khirbet Sheikh Isa five trenches were made focusing on geophysical
anomalies. One trench on the western section of the fine ashlar-built perimetre
wall, revealed a bastion, perhaps part of a gateway (another bastion had been
exposed during bulldozing in 1995). The other four trenches were opened
within the perimetre wall, exposing two main phases of occupation. The
late Ottoman (18th- 19th centuries) was characterised by roughly-built stone
architecture which may have been visible in the 1970s when the modern village still occupied the site. The earlier Ayyubid-Mamluk (12th-15th centuries)
phase was strikingly different, with ashlar masonry (one wall was 1.5 m wide
and preserved over 3 m high), evidence for very active pottery kilns and imported pottery from Syria and Egypt. This reflected the bustling commercial
centre of Zughar described by medieval Arab historians. Furthermore, residual
Nabataean, Roman and Byzantine finds corroborate the site as the city of Zoara
depicted on the Madaba mosaic floor map.
Konstantinos D. Politis
Hellenistic Society for Near Eastern Studies
9. Lead sarcophagus from Jerash (Pls. 57-60)
The lead sarcophagus was found outside the Northern Gate of Jerash in the
wadi ed-Dayr in a polygonal room between the Octagonal Church and the
Birketein. The room has been excavated by Abd al-Rahim Hazim inspector of
the Department of Antiquities of the city governatorate. In the room two more
tombs were found dating to the Byzantine period.
The lead sarcophagus, which was inserted in a stone tomb and covered
with cut rectangular stones, was removed and temporarely stored in the building owned by the Department on the western hill outside the city wall. The
sarcophagus, 2.10 cm long x 0.60 large, is composed of the rectangular coffin
and of the large lead sheet which covers it.One side of the coffin is decorated
with the same rectangular figurative scene (0.20/25 cm long x 15 cm large) 5
times repeated, alternating with 4 squared crosses (0.20 by 0.20 cm) between
two lines in relief. Between two scenes the cross is missing. At the bottom,

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

483

near the line, a round strong blue object has perforated from the interior the
lead sheet, to be seen from the outsideand. The cover is decorated in relief
with two diagonal ropes which intercross in the centre passing above the same
figurative scene of the coffin. The scene and the crosses are repeated 4 times.
One of crosses is cut by a rectangular hole.
The scene represents always the same scene: a veiled full dressed woman
on the left, is accompanied to Hades (nether world represented by the door
on the left side), by a naked young man. The caduceus identifies the figure
with the god Hermes. It follows a second scene with a full dressed kneeling
woman with chiton turned backwards, carrying an upside torch (?) in the left
hand, and an unidentified object in the right hand. Behind her, a second naked
figure looking to her with an object in her hand. Probably is represented the
Alcestis myth of the classical mythology. Alcesti is accompanied to the kingdom of death by Hermes identified by the winged caduceus, and given back
to her husband Admetus by Herakles. The nearest parallel is published in the
catalogue of the sarcophagi Kock-Sichtermann.
Lead sarcophagi in Jordan and Palestine. A Note
Another lead sarcophagus plain decorated with crosses, was found not far from
the Jerash on the road to Suf. It is kept in the archaeological storage of the
city, still unpublished.
A lead sarcophagus with a Greek inscription between two crosses (The
Deaconess Elladis) was found in the Mausoleum Church of Gadara Umm-Qays
(M. Piccirillo, Chiese e mosaici della Giordania Settentrionale, Jerusalem
1981, p. 31. tav. 19, n. 24).
A sarcophagus with crosses is exposed in the Museum of the Studium
Biblicum Franciscanum in Jerusalem (B. Bagatti, Guida al Museo, Jerusalem
1939, n. 50, p. 45).
Several articles were dedicated by L.Y. Rahmani to the lead sarcofagi
found in Israel and Palestine:
-A Lead Coffin from the Hefer Valley, IEJ 24, 1974, p. 124-127,
-On Some Recently Discovered Lead Coffins from Israel, IEJ 36, 1986,
pp. 234-250.
-More Lead Coffins from Israel, IEJ 37, 1987, pp. 123-146.
-Five Lead Coffins from Israel, IEJ 42, 1992, pp. 81-102.
Ropes are found, crosses, scenes in relief, but without parallel with the scene
of the new sarcophagus of Jerash. Lead sarcophagi have been found in Lebanon
in the region of Tyr and Sidon and are kept in the Beit Din Museum (M.P.)
Abd al-Rahim Hazim
Inspector of the Department of Antiquities

484

RICERCA IN GIORDANIA

10. Il Progetto Rabbathmoba e Qasr Rabba: campagna 2002 (tavv. 61-62)


Il Progetto Rabbattmoba e Qasr Rabba dal 1996 portato avanti da una
missione dellIstituto italiano per lAfrica e lOriente (ex-Is.M.E.O.) di Roma,
dal 1997, si inserisce nel quadro di pi ampie ricerche archeologiche ed epigrafiche svolte in Giordania negli anni passati, sotto lauspicio del Dipartimento
delle Antichit di Giordania. Partecipano al progetto, studiosi e studenti delle
seguenti universit: Universit. di Firenze, con il Gruppo di Ricerca sul Restauro Archeologico presso il Dipartimento di Restauro, Prof. L. Marino, direttore
delle ricerche architettoniche e del progetto di restauro e conservazione; Universit di Perugia, Dipartimento di Studi Storico-Artistici. Le ricognizioni nel
territorio di Rabba condotte nel 1999 e nel 2000 sono servite in primo luogo
allelaborazione di una cartografia infomatizzata preliminare allindagine archeologica. In particolare sono state documentate le emergenze architettoniche
presenti nellarea archeologica situata, ad ovest della via provinciale (fig.1).
Lantica Rabba era localizzata lungo la Via Nova (Traiana) che collegava
la capitale della Provincia Arabia, Bostra al Mar Rosso. Il sito si trova dunque
a 90 km a sud di Amman, e a 13 km a nord di Kerak, nel tratto dellaltopiano
centrale compreso tra il uadi al-Mujib e il uadi al-Hasa (Palestine Grid Map,
serie K 737, foglio 3/52). Il toponimo moderno ricorda quello dellantico insediamento urbano attestato dalle fonti letterarie classiche, Rabbathmba o
Areopolis (Cfr. le fonti classiche citate in.: J. Calzini Grysens,Change and
Continuity in Urban Settlement Patterns in Palaestina Tertia: The Case of
Areopolis (Rabba, Jordan), ARAM 15 (2003), pp.1-10.). In effetti, sia per il
periodo romano che bizantino, risulta essere un importante centro regionale.
Sede amministrativa nel II sec. d.C. (cfr. lArchivio di Babatha, P. Yadin, 16) e
stazione degli Equites Mauri Illyriciani (Not.,Dig, Or. 37) nello stesso periodo
in cui la legione IV Martia era istallata a Betthora (oggi, localit al-Lejjun a
13 km a sud-est da Rabba). Nella riorganizzazione territorial/amministrativa
avvenuta nello stesso periodo (IV secolo d.C.), Rabbathmba o Aeropolis faceva parte di Palaestina Tertia (cfr. Eusebio, onom. 124, 1 5). Verso la fine del
periodo bizantino, nel 634/635, Areopolis o Maab come viene poi chiamata
nelle fonti storiche arabe, risulta essere la prima citt conquistata dallinvasore musulmano (Cfr. le fonti classiche citate in.: J. Calzini Grysens,Change
and Continuity in Urban Settlement Patterns in Palaestina Tertia: The Case of
Areopolis (Rabba, Jordan), ARAM 15 (2003), p. 5.).
Il successivo primo secolo e mezzo del governo omayyade (661-750 risulta essere stato un periodo di transizione prospero e tollerante, nuove chiese
venivano costruite o restaurate. Ritroviamo la chiesa principale di Areopolis
figurata insieme a quelle delle pi importanti localitdella regione (inizio VIII
secolo d.C.) nel mosaico pavimentale della chiesa sull'aropoli di Main e nella
chiesa di S. Stefano a Umm al-Rasas (fig-2). A Rabba stessa lultima testimonianza epigrafica ritrovata finora relativa alla costruzione di una chiesa

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

485

nel 678 d.C. Il terremoto del 749 che storicamente documentato come uno
dei pi distruttivi per linsieme del Vicino Oriente, segnava probabilmente
la fine de1loccupazione urbana a Rabbathmba / Areopolis. Notizie per in
merito alla continua occupazione del sito ci provengono dagli archivi catastali
ottomani. A una fase indeterminata di abbandono, seguono i primi segni di
sedentarizzazione a Rabba verso la fine del XIX secolo.
Come si nota nella planimetria geometrica prodotta dellarea archeologica
monumentale ovest (fig. 2), che copre 8149 mq, risultano ben individuabili
alcuni impianti architettonici dellultima fase di occupazione del sito antico
(periodo bizantino/omayyade): un tratto di via/piazza colonnata, resti di una
chiesa paleocristiana, una grande cisterna, un tempio (che un documento
epigrafico data dellimpero di Dioclezianeo, 295-305 d.C.) (fig. 3), un ampio
settore di botteghe.
Rabba, il rilievo planimetrico. Il centro monumentale. Campagna di ricerche
2002
Sulla base di operazioni di rilievo planimetrico e di alzato particolareggiato, si
sono individuati finora tre orizzonti topografici che si riferiscono a tre situazioni urbanistiche successive anteriori allabbandono finale del sito.
1. Il riferimento fondamentale quello dellimpianto urbanistico del periodo imperiale romano, ancora visibile nellorganizzazione ortogonale generale
degli impianti architettonici.
2. Il secondo orizzonte topografico, probabi1mente di et bizantina/
transizione/omayyade, corrisponde alle modifiche visibili nelloccupazione
dello spazio pubblico in, particolare, con lapparizione di nuovi allineamenti,
listallazione di pozzi, botteghe, varie dipendenze annesse nel settore della
strada/piazza con colonnato e la costruzione di una chiesa cristiana , liberata
dai detriti su iniziativa del Dipartimento delle Antichit di Giordania, negli
anni 1962/1963.
3. La terza fase dellorizzonte topografico corrisponde verosimilmente
alla modificazione della facciata di tutto il fronte ovest prospiciente la strada/
piazza con colonnato e alla rioccupazione e trasformazione/fortificazione dellimpianto della chiesa. La natura e la cronologia delle forme architettoniche
cosi assunte tuttora oggetto di studio.
Inoltre durante la medesima campagna del 2002, il rilievo stato esteso ad
altre zone limitrofe alla zona monumentale. Sono state cos documentate due
altre grandi cisterne, la prima a sud ovest del centro monumentale; la seconda,
probabilmente di et bizantina, a 1 km ca. ad est del villaggio di Rabba attuale,
sulla via che porta a Lejjun. Secondo una nostra ipotesi di lavoro, larea potrebbe corrispondere a quella definita fustt/fossatum relativa alla battaglia
decisiva per la conquista musulmana di Areopolis / Maab.

486

RICERCA IN GIORDANIA

A recinzione della zona archeologica monumentale completata, sono stati


individuati aree di primario intervento archeologico futuro.
Infine, altre ricognizioni archeologiche si sono concentrate nellarea ubicata a sud est del centro urbano antico dove nelle campagne precedenti (1999,
2000) erano state individuate le rovine, conservate, fino a 2,50m di altezza
di una torre verosimilmente dellet del Ferro finale, Sulla, terrazza ubicata
ad est di essa, e su una proiezione dellarea verso nord, sono stati scoperti
un allineamento a doppio filare di ortostati e tracce di strutture di vario tipo
probabilmente appartenente allo stesso periodo preclassico.
Il tempio nabateo di Qasr Rabba. Ricerche archeologiche. Campagna 2002.
La missione dellISIAO svolge dal 1996 (1997,1999,2000) campagne di indagini archeologiche e ricerche sullarchitettura di un monumento localizzato nella
localit Qasr Rabba a 4 km a nord di Rabba (J. Calzini Gysens and L. Marino,
The Qasr Rabba Temple Project: Preliminary Remarks on the Architecture and
State of Conservation, in Studies in the History and Archaeology of Jordan VII,
Amman 2001, pp. 493-498 con bibliografia precedente; fig . 5). Si tratta di un
tempio del periodo classico, tetrastilo, dellordine corinzio, i frammenti superstiti della decorazione di cui sembrano tipologicamente riferirsi al periodo severiano. Di pianta quasi quadrata (27 x 32 m), con cella interna tripartita, questa
composizione molto massiccia, con due torri quadrate in facciata, conservata per
pi di 6 m di altezza permette alcuni significativi confronti con architetture della
cultura nabatea come il tempio detto Qasr al-Bint di Petra, e il tempio della fase
nabatea di Dhiban. Finora gli architetti partecipi nella missione hanno realizzato
una serie di rilievi e prospetti, planimetrie, vedute ricostruttive e assonometrie,
rilievi particolareggiati diagnostici dello stato di conservazione dei singoli componenti, murari. A partire dalla campagna del 1999 sono stati. portati avanti nel
settore prospiciente la facciata principale delledificio (orientata verso 1est),
scavi strafigrafici volti ad individuare le diverse fasi di occupazione dellarea,
scoprire un eventuale altare esterno al tempio, documentare il collegamento
spaziale tra il tempio, le condotte sotterranee e la cisterna monumentale ipogea
posta nellarea antistante. nel corso della precedente campagna di scavi che,
un sondaggio eseguito lungo la parete, nord delledificio (saggio 5) ha rivelato
la presenza del podio sul quale innalzato il fabbricato, alto 1,60 m.
Il proseguimento degli scavi durante la campagna dellestate 2002, nei
settori I (podio) e II (temenos) del tempio, ha confermato la presenza del podio
anche nellangolo nord-est della torre di facciata nord (saggio 5); e nellarea
antistante il tempio (saggio 6), ha permesso di indicare una successione stratigrafica con materiali ceramici, di et tardo-antica/bizantina. Lapprofondimento, misurante 50 cm di una sezione di m 5 x 8 (40 mq), non ha permesso di
scoprire strutture architettoniche.

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

487

Una breve prospezione geofisica, con tomografia elettrica condotta nel


settore, del saggio 6, durante la prima settimana di dicembre del 2002, sembra
confermare lassenza di manufatti murari in profondit.
J. Cazini Gysens
ISIAO Roma
11. Lavori di restauro al Monte Nebo (tav. 63)
Gran parte degli sforzi della campagna estiva 2002 sul Monte Nebo sono
stati diretti al migliore svolgimento del corso di formazione per il restauro
del mosaico antico organizzato dal Franciscan Archaeological Institute in collaborazione con il Jericho Workshop for Mosaic Restoration e con la Madaba
School for Mosaic Restoration (entrambi da noi fondati con un fondo messo a
disposizione dal Ministero degli Affari Esteri dItalia). Al corso che si svolge
principalmente sul Monte Nebo, con due gruppi che operano anche sui mosaici di Umm al-Rasas e di Madaba, partecipano studenti Giordani, Palestinesi,
Siriani e Libanesi. in avanzata fase di restauro il pavimento mosaicato della
Chiesa di San Giorgio a Khirbat al-Mukhayyat-Citt di Nebo uno dei primi
mosaici riportati alla luce dalla missione francescana nel 1935. Il mosaico,
messo in opera dai mosaicisti Naum, Kiriacos e Toma, fu terminato nel 536 al
tempo del vescovo Elia di Madaba. Per la ricchezza dei motivi iconografici
uno degli esempi pi rappresentativi degli inizi della rinascita classica giustinianea del VI secolo. Il mosaico strappato e posto su nuovi letti nel 1977/78,
fu temporaneamente portato al sicuro a Siyagha dove dal 1984 stato in parte
esposto nella basilica di Mos.
Sul Nebo si anche lavorato al restauro conservativo delle lastre dellambone ritrovato nella Chiesa dei Leoni a Umm al-Rasas - Kastron Mefaa. Le
fragili lastre di calcare bituminoso finemente incise con motivi geometrici,
croci e motivi figurativi successivamente abrasi durante la crisi iconofobica,
costituiscono gli elementi meglio conservati di un ambone finora ritrovati nelle
chiese di Giordania. Il lavoro stato eseguito da fra Nicola Tutolo.
Molto tempo stato dedicato a seguire i gruppi di architetti che accogliendo il nostro invito sono stati ospiti sulla montagna per studiare un progetto di
nuova copertura per il Memoriale di Mos in occasione del 70mo dallinizio
dei lavori di scavo e di restauro.
Per raggiunti limiti di et, il signor Garbo Younes ha lasciato il servizio
attivo al santuario iniziato nel 1980. Riportiamo le parole di ringraziamento rivoltegli in una festa di commiato, dal Direttore della Missione Archeologica:
Siamo qui riuniti per festeggiare i 70 anni di Garbo compiuti il 19 aprile
scorso. La festa labbiamo rimandata per avere una rappresentanza degli Amici
del Nebo in questo giorno particolare.

488

RICERCA IN GIORDANIA

E una occasione per ringraziare il Signore che a Garbo ha dato salute e


voglia di lavorare per tutti questi anni. E una occasione per ringraziare Garbo
che per tanti anni la sua vitalit lha messa a disposizione dei frati prima nel suo
paese natale di Qnaye in Siria e poi qui nel santuario di Mos sul Monte Nebo.
Quando avr anchio 70 anni e andr in pensione e mi metter a scrivere
le mie memorie avr molto da raccontare...su come nata la nostra amicizia, su
quello che insieme siamo riusciti a fare qui al Nebo e a Madaba...Certamente
siamo riusciti a fare molto grazie alla presenza di Garbo, alle sue capacit, alla
sua amicizia e al suo amore per questo luogo...
Ne abbiamo parlato spesso e perci non faccio che ripetere la conclusione
che insieme abbiamo tirato. In questi anni di sacrificio e di entusiasmo abbiamo
voluto preparare un luogo accogliente per i membri della spedizione archeologica che lavora al Nebo ma soprattutto un conventino accogliente per i frati. Noi
abbiamo fatto la nostra parte. Toccher agli altri dare a questa realt un futuro.
A 70 anni i Professori delle Universit Pontificie vanno in pensione...devono
andare in pensione senza eccezioni...Per i pi bravi il Senato Accademico propone
il titolo di Emerito. A Garbo la Custodia di Terra Santa, su mia formale richiesta
ripetuta due volte!, aveva gi dato nel 1993, in occasione dei 60 anni dei lavori
al Nebo e suoi, un titolo di benemerenza molto raro, quello dellaffiliazione alla
Comunit dei Frati che lavorano nei Santuari di Terra Santa.
Noi, Amici del Monte Nebo presenti e assenti, con decisione unanime, lo
dichiariamo EMERITO DEL MONTE NEBO, il primo emerito di questa nostra
comunit di ricerca e di vita. Anche lattestato unico eseguito per loccasione
da Franco Sciorilli con bravura e tanto affetto a nome di noi tutti. Al centro c
lo stemma del Franciscan Archaeological Institute del Monte Nebo una realt
riconosciuta nel mondo scientifico che Garbo ha contribuito in prima persona a
creare con la sua operosit e con la sua dedizione e amicizia. Che il Signore lo
rimeriti, come abbiamo gi pregato nella celebrazione della Santa Messa.
M.P.

II. RECENSIONI
Jaakko Frsn - Zbigniew T. Fiema (edd.), Petra. A City Forgotten and Rediscovered. A Volume associated with the Exhibition Organized by Amos Anderson Art
Museum in Helsinki, Finland, Helsinki 2002, 283 pp., ills.
La presentazione che leggiamo nel titolo, sembra alludere ad una guida della citt
di Petra. Invece la raccolta contiene un serie notevole di contributi, volti a illustrare
la ricerca archeologica che ha permesso di riscoprire e valorizzare lantica capitale

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

489

dei Nabatei. Il volume nasce in concomitanza della mostra tenuta a Helisnki nel
2001 e favorito dagli scavi delle organizzazioni finlandesi in Giordania. LAmos
Anderson Museum di Helsinki ospita a partire dal 1970 mostre monotematiche
sulle antiche civilt, dallEgitto al mondo classico greco-romano. In questa occasione dedica attenzione speciale alla citt di Petra, alla cultura nabatea, e allepoca
bizantina, come indica J. Frsn nella introduzione generale (pp.15-17).
Il merito della mostra e della raccolta che qui viene presentata, v anzitutto
a J. Frsn incaricato della conservazione dei papiri trovati recentemente nella
chiesa di Petra. E poi a Z.T. Fiema che attualmente dirige lo scavo del monastero
sul Jabal Harun (FJHP). Il catalogo degli oggetti esposti nella mostra si trova al
termine dei singoli contributi alle pp. 241-249, e comprende 136 pezzi che variano
dalla ceramica ai marmi, dai frammenti epigrafici ai mosaici, dal materiale litico
della preistoria agli oggetti di vetro, dalle monete ai gioielli. Il primo contributo
(pp. 18-24) dedicato da J. Frsn alla scoperta dei papiri del 6 secolo d.C., e
al loro significato storico per la citt di Petra. Importante ad esempio vedere
come la cultura nabatea sopravvive allinterno di quella bizantina. Inoltre si nota
come i nomi arabi di persone (Flavio Dusario, Teodoro figlio di Obodiano ecc.),
di merci e di localit (Zadakhathon, Augustopolis, Berosaba e Eleuteropoli) sono
trasferiti nella lingua greca. Tra gli altri nel papiro n. 83 viene menzionato Abu
Karib ibn Jabala (reso nei testi greci con Abucherebos), il filarca della Palaestina
Tertia alleato di Bisanzio dopo il trattato con Giustiniano dellanno 528 d.C. Lo
scavo delle antichit di Jabal Harun occupa tutto il resto del volume.
Il secondo capitolo (pp. 25-31) a cura di J. Frsn e Z.T. Fiema dedicato allo
scavo in corso sul Jabal Harun. Il progetto finlandese viene esposto per esteso,
dalla sua genesi ai risultati finora raggiunti. La montagna che dista 5 km a ovest
di Petra considerata nella tradizione araba il luogo della sepoltura di Aronne, o
Monte Hor della Bibbia (cf. Num 20,22-29). La cima del monte occupata dal
weli dentro il quale si venera il cenotafio di Aronne e si nota passando per la strada dellArabah che porta a Eilat. Nel survey finlandese stata ritrovata la pista
che dallArabah sale attraverso il wadi Abu Kusheiba sul Jabal Harun e prosegue
verso Petra. Si tratta della pi importante strada antica di avvicinamento a Petra
provenendo da ovest (pp. 234-239). La presentazione dello scavo su Jabal Harun
accompagnata da alcuni saggi storici che delineano sommariamente le epoche
pi rappresentate nella regione: a) dal periodo preistorico dellAculeiano fino alla
fine del Ferro II (pp. 33-44, H. Jansson); e dallepoca nabatea fino alla annessione
romana (pp. 44-59, S.G. Schmid); Petra in epoca romana e bizantina (pp. 60-73,
Z.T. Fiema). Seguono alcuni saggi su alcuni aspetti della vita materiale e sociale
di epoca bizantina: edifici ecclesiastici in cui risplendono monumenti di marmo
(pp. 74-88, Z.T. Fiema e E. Mikkola); una relazione sulla presenza monastica nel
Medio Oriente (pp. 89-98, R.Y-lnen-Poltonen e N. Heiska); i battisteri di epoca
bizantina del Negev (pp. 111-117, A. Rajala e Z.T. Fiema) dai quali sono messi a
fuoco i legami tra la comunit cristiana di Petra con le altre regioni dellimpero
bizantino. Il capitolo principale della guida risulta quello dedicato allo scavo del

490

RICERCA IN GIORDANIA

monastero bizantino sul Jabal Harun, a cura di Z.T. Fiema e R. Holmgren, pp. 99110. Gli scavi iniziati nel 1997 e proseguiti per 4 campagne fino al 2001, hanno
messo in luce il complesso monastico formato da una chiesa mosaicata e cappelle
minori, celle, strutture per laccoglienza dei pellegrini, cortili, cisterne ecc. Le
misure sono di metri 48 per 62, che comprendono le varie componenti dellintero
complesso. La prima occupazione del sito risale al periodo nabateo (1 secolo a.C.),
del quale sono stati ritrovati la ceramica (cf. alle pp. 209-215) e alcune strutture
architettoniche. La prima fase cristiana (5 secolo d.C.) vede la costruzione di una
cappella monoabsidata di m 13,6x22,6, dotata di un battistero ottagonale scavato
nella roccia. Il pavimento della chiesa era ricoperto da marmi, probabilmente
riusati da edifici pagani di Petra. Un terremoto ha distrutto il primo edificio, che
venne in seguito ridotto nelle dimensioni mediante la trasformazione del settore
occidentale in atrio. Inoltre, allinterno del presbiterio fu inserito un sinthronon
con il trono per il vescovo. Il pavimento del presbiterio fu rinnovato con marmi,
nei quali spicca una iscrizione dedicatoria greca ad Aronne. Un nuovo sisma ha
posto fine alla seconda fase, e quindi ha reso necessari interventi per rinforzare le
strutture che hanno ridotto ulteriormente gli spazi interni con muri e barbacani. La
chiesa risulta in funzione fino a 8 secolo inoltrato. Un capitolo importante per la
storia del sito si trova alle pp. 181-187, che presenta le iscrizioni di Jabal Harun a
cura di J. Frsn. In greco si legge ARWN (Aronne) su di un frammento marmoreo
trovato vicino allaltare; una iscrizione dedicata a S. Giorgio (AGIEGE) inserita sul
cancelletto della transenna del presbiterio; una pietra che porta incise una croce
e le lettere iniziali della professione di fede in Ges Cristo Figlio di Dio (ICUQ).
Tra i frammenti di intonaco si leggono ancora Prodromos (PRODROMO), che il
titolo di S. Giovanni Battista, e una frase difficile: Giuramento divino (OQEIOCORKO). Infine sempre tra i frammenti dellintonaco si recupera una citazione dal
Sal 91,4-7: Ti coprirr con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio. Altro
aspetto notevole dello scavo di Jabal Harun il mosaico (m 2,30x10) inserito nel
nartece della chiesa (pp. 224-228). A motivo dei paralleli con i mosaici del Nebo
e di Gharandal risale al 6 secolo, e fa parte della ristrutturazione operata nella seconda fase delledificio. Per effetto della trasformazione del settore pi occidentale
della prima chiesa in cortile, il nartece ora si trova allinizio dellatrio, e non pi
allingresso della chiesa. Il motivo floreale presenta una treccia di contorno, un
medaglione riempito di motivi geometrici, e una scena di caccia espressa con una
persona a fianco di un cavallo e alcuni animali selvatici (cinghiale, due leoni, una
pantera, una gazzella, uccelli). Alcune mappe corredano il volume nella parte finale
(pp. 257-265): mappa del Medio Oriente; la Giordania meridionale; il regno dei
nabatei; mappa dettagliata della valle di Petra; la Palaestina Tertia; siti con chiese
e monasteri cristiani, da Antiochia di Siria fino ad Alessandria dEgitto; il piano
del monastero di S. Aronne sul Jabal Harun, e larea investigata dalla spedizione
finlandese. Una bibliografia selettiva e ben aggiornata sui temi trattati nel volume
chiude la guida della mostra.
Pietro Kaswalder

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

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Annual of the Department of Antiquities of Jordan 45, Department of Antiquities,


Amman 2001. 570 pp.
Il volume 45 (2001) di ADAJ riporta con puntualit e completezza una lunga serie
di articoli relativi alla ricerca storico-archeologica della Giordania. Troviamo
rapporti preliminari di scavi o studi tematici su aspetti dellarcheologia giordana.
La sezione in lingua inglese comprende le pp. 11-492; quella in lingua araba, le
pp. 5-79. La presentazione dei lavori segue lordine cronologico del materiale,
per cui riesce facile orientarsi alla ricerca dei singoli studi. Propongo una lettura
del volume secondo i temi trattati: prima i rapporti preliminari di scavo; poi la
presentazione di vari surveys che sono in atto in Giordania, alcuni gi avviati da
tempo, mentre altri sono recentissimi; poi gli articoli dedicati alle due citt pi
rinomate dellarcheologia giordana, cio Petra e Gerasa. Tra i rapporti preliminari
segnaliamo lo scavo del sito Neolitico-Bronzo Antico di Qa Abu Tulayha nel wai
Jafr (S. Fujii, pp. 19-37); il sondaggio sul Jabal Fidan (T.E. Levy, pp. 159-187);
il rapporto sulla prima campagna di scavo nella chiesa bizantina di Yamun, nel
distretto di Irbid (M. el-Najjar, pp. 413-417); un rapporto sul ritrovamento delle
tre chiese bizantine al Sito del Battesimo nel wadi Kharrar (M. Waheeb, pp.
419-425); uno studio sulla cosiddetta Porta di Tiberiade scoperta a Gadara/Umm
Qays, (S.F. Meynersen, pp. 427-432). Inoltre si fanno notare alcuni surveys di
aree che si prospettano molto interessanti: quello dei siti di epoca aculeiana
nel wadi Sirhan (N.M. Whalen, pp. 11-18); il survey dei siti preistorici (Tardo
Pleistocene) del wadi al-Hasa (D.I. Olszewski, pp. 39-60); la ricerca dei siti dal
Pleistocene fino al Calcolitico nel wadi Ziqlab (L. Maher, pp. 61-70); quello
nella regione di Azraq (G.O. Rollefson, pp. 71-81); il survey nel wadi az-Zarqa
vicino ad Amman a cura di I. Caneva (pp. 83-117); la regione di Khanasiri nella
Giordania settentrionale (K. Bartl, pp. 119-134); la ricerca epigrafica nel wadi
Iram (F. Zayadine, pp. 205-216); il survey nella regione di Moab (S.H. Savage,
pp. 217-236); la continuazione del Madaba Plains Project (L.G. Herr, pp. 237252); il survey della regione di Tafila e Busayra (B. MacDonald, pp. 395-411);
una nota sulle 317 monete di epoca tolemaica trovate a Iraq el-Amir (C. Aug, pp.
483-485). A Petra sono dedicati studi di vario genere: la ricerca concentrata nel
wadi Musa e le sue potenzialit idriche (K. Amr, pp. 253-285); lo scavo del sito
del Bronzo Antico a Umm Saysaban (M. Lindner, pp. 287-310); il rapporto sulla
undicesima campagna degli archeologi svizzeri a az-Zantur (B. Kolb, pp. 311324); il rapporto sullottava campagna della Brown University al Grande Tempio
(M.S. Joukowsky, pp. 325-342); il rapporto sulla prima campagna nel wadi Farasa
(S.G. Schmid, pp. 343-357); due studi sullo scavo finlandese sul Jabal Harun (J.
Frsen, 359-376; 377-392). Parimenti anche a Gerasa sono dedicati alcuni studi
importanti: il piano della citt romana fatto da C.S. Fisher nel 1938, rifatto da R.
Pillen nel 1983 e rivisto da J.-P. Braun (pp. 433-436); un rapporto sulla datazione
del muro romano di Gerasa, che da I. Kehrberg-J. Manley viene rilanciato alla
prima met del 2 secolo d.C. (pp. 437-446); i nuovi scavi italiani (1994-2000)

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RICERCA IN GIORDANIA

nella piazza trapezoidale situata allinterno del santuario di Artemide (M. Brizzi,
pp. 447-459); uno studio sui frammenti delle sculture marmoree ritrovate nelle
terme orientali nel 1984 (E.A. Friedland, pp. 461-477). Il volume si f apprezzare
per le novit che porta a conoscenza degli studiosi.
Pietro Kaswalder
Annual of the Department of Antiquities of Jordan 46. Juma Kareem Memorial
Volume, Department of Antiquities, Amman 2002. 639+174 pp.
La pubblicazione del Dipartimento delle Antichit di Giordania per il 2002 viene
dedicata in memoriam a due figure importanti della cultura giordana: Ali al-Jabiri, artista multiforme, pittore, e creatore del Popular Museum for Costumes and
Jewelry allestito dentro il teatro romano di Amman (pp. 11-13 a cura di F. Zayadine); e Juma Kareem, archeologo (pp. 7-10 nella sezione in arabo, a cura di Z.
Kafafi). Il volume 46 di ADAJ presenta 39 rapporti preliminari di scavo (pp. 14628 nella sezione inglese) e altri 15 nella sezione araba (pp. 11-176). Al riguardo
per si pu ricordare agli editori che un breve riassunto in lingua inglese dei lavori
pubblicati in arabo sarebbe molto utile a chi interessato agli argomenti esposti. Ci
sembra importante liniziativa di presentare anche delle segnalazioni o recensioni
a volumi riguardanti larcheologia della Giordania (pp. 629-637). Il volume preso
in considerazione : U. Worschech, Cromlechs, Dolmen und Menhire. Beitrge zur
Erforschung der Antiken Moabitis (Ard el-Kerak), Band 2. Vergleichende Studien
zu Vor- und Frehgeschichtliche Grabanlagen in Jordanien, (Peter Lang), Frankfurt
am Main, 2002, a cura di Z.A. Kafafi. Seguono alcuni appunti critici di J. Seigne
a due articoli relativi a Gerasa apparsi su ADAJ 45(2201): J-P. Braun (et alii), The
Town Plan of Gerasa in AD 2000 (pp. 433-436). A Revised Edition; e quello di I.
Kerberg-J. Manley, New Archaeological Finds for the Dating of the Gerasa Roman
City Wall (pp. 437-446). La segnalazione bibliografica data a p. 631 comunque
sbagliata, come altri errori di stampa sono riscontrabili in altre pagine del volume.
Come si deduce dal numero dei contributi, i lavori della ricerca archelogica in
Giordania proseguono con un ritmo molto elevato. I rapporti preliminari sono offerti con tempestivit agli studiosi interessati. I rapporti sono presentati seguendo
lordine cronologico, perci allinizio troviamo studi relativi al periodo Neolitico
e al Bronzo Antico (S. Fujii, pp. 15-49); alla fine studi sul periodo Ayyubide (N.D.
MacKenzie, pp. 615-620) e sui periodi islamici in generale nella regione di Umm
Qais/Gadara (D.A. Tawalbeh, pp. 621-628). In mezzo vediamo rapporti sulle
capacit ambientali della regione orientale del Mar Morto (P.C. Edwards-S.E.
Falconer, pp. 51-92); il periodo del Ferro in Moab (S. Savage, pp. 107-123); lo
scavo di S.A. Andrews-G.L. Mattingly a Khirbat al-Mudaybi vicino a Karak (pp.
125-140); un nuovo sondaggio sulla Cittadella di Amman (S. Mansour, pp. 141150); il sondaggio di Tall Zara nel wadi al-Arab in vista di uno scavo sistematico

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

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(D. Vieweger, pp. 157-177); il survey del wadi al-Kafrayn (Chang-Ho C. Ji-J.K.
Lee, pp. 179-195); due studi su Gerasa (pp. 197-213); vari studi su monumenti
di Petra (pp. 225-389); tra essi i frammenti di sculture trovati nel grande tempio
di Petra (J.J. Basile, pp. 331-346); lo scavo finnico di Jabal Harun (J. Frsen, pp.
391-407); lo scavo dei resti romani di Aila (T. Parker, pp. 409-428); lo scavo di
Rujm Taba nel sud della Valle dellArabah (J. McKenzie, pp. 429-450); uno studio
sulla ricostruzione del tempio nabateo a Khirbat at-Tannur (J. McKenzie, pp. 451476); lo scavo del 1997 a Pella (K. da Costa, pp. 503-533); lo scavo del complesso
ecclesiastico di S. Paolo a Umm ar-Rasas (M. Piccirillo, pp. 535-559); uno studio
sulla ceramica romana, bizantina e araba del Sito del Battesimo nel wadi Kharrar
(A. Abu Shmeis-M. Waheeb, pp. 561-581); gli impianti industriali medievali nella
Valle del Giordano per la produzione dello zucchero (K. Politis et alii, pp. 591614). Importanti mi sembrano poi le presentazioni di materiale epigrafico. Tra
gli altri il ritrovamento di un testo thamudico a Madaba (P. Bikai, pp. 215-224);
la rilettura delliscrizione di epoca traianea proveniente dal mercato superiore
di Petra a suo tempo scoperta da D. Kirkbride nel 1960 (Ch. Kanellopoulos, pp.
295-308); liscrizione cristiana di epoca bizantina da Qasr ar-Rabba (T. Gnoli, pp.
499-502). La mole del volume fin troppo abbondante, e crea qualche difficolt
nel maneggiarlo per la consultazione. Si potrebbe pensare ad una doppia pubblicazione annuale, visto che i progetti di ricerca storico-archeologica in Giordania
sono destinati a crescere nel tempo.
Pietro Kaswalder
Maysoun al-Khoury (a cura di), Il Limes Arabicus (Manuali e Saggi per i Beni
Culturali, Collana diretta da Giuseppe Claudio Infranca), I.S.A.D. (Istituto Superiore per le tecniche di conservazione dei beni culturali e dellambiente Antonino
De Stefano), Centro dInformazione e Stampa Universitaria, Roma 2003, 261
pp., ills.
Una nuova pubblicazione su un tema diventato di attualit dopo la ripresa della ricerca ad opera degli archeologi americani negli anni settanta a cominciare dallarticolo di G.W. Bowersock in JRS 61, 1971, 219-42, seguito dagli scavi e studi di S.T.
Parker e degli altri allora giovani studiosi che si avventurarono in terra giordana.
Benvenuto anche il gruppo dellUniversit di Roma guidato dalla Professoressa
Letizia Ermini Pani dellUniversit La Sapienza e dallArchitetto Giuseppe Claudio Infranca che in collaborazione con il Dipartimento delle Antichit di Giordania
hanno iniziato nellinverno del 2000 lo studio di Qasr Aseikhim nella zona di alAzraq. Il volume il primo risultato delle prime due campagne di questa missione
a cominciare dalla ricognizione di superficie seguita da un saggio di scavo.
Maysoun al-Khoury firma il primo studio generale di sintesi dedicato alla
chiarificazione e definizione del limes arabicus con particolare insistenza sui siti

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RICERCA IN GIORDANIA

archeologici interessati finora scoperti in territorio giordano (pp. 1-104). Larchitetto Infranca traccia una tipologia dei monumenti: i grandi castelli, i castelli,
quelli a corte, i fortini, i borghi o torri (pp. 124-131), con laggiunta di un secondo saggio finale dedicato allintervento conservativo proposto per le rovine del
Qasr, dopo averne studiato e analizzato i materiali e le tecniche di costruzione
(pp. 211-255).
Il rapporto tecnico del saggio di scavo come delle tipologie ceramiche
dellepoca del Ferro e di epoca romano-bizantina raccolte nella prospezione di
superficie o venute alla luce nello scavo sono studiate da Lucilla Medori e Olga
di Cagno (pp. 146-149; 173-198). Federica Sabatini firma lo studio dedicato ai
manufatti litici raccolti nellarea (pp. 154-166) con laggiunta di unanalisi petrografica della selce eseguita da Beatrice Moroni (pp. 151- 168). A Duccio Bacci
affidata lanalisi vegetazionale dellarea di Qasr Aseikhim (201-210).
In chiusura si auspica la continuazione della ricerca e la realizzazione di
un progetto ambizioso di salvaguardia e valorizzazione di questo importante
patrimonio culturale.
M. P.
Robert G. Hoyland, Arabia and the Arabs from the Bronze Age to the Coming
Islam, Routledge - London - New York 2001, 324 pp., ills.
Un libro di sintesi dedicato alla Penisola arabica e alle sue popolazioni pre-islamiche nellArabia orientale, nellArabia del Sud, del Centro e del Nord con la
sua estensione fisica e sociale nella steppa siriana, di cui la Provincia Arabia romano-bizantina e le popolazioni della stessa etnia che abitavano il Vicino Oriente
romanizzato sono solo un aspetto meglio noto allo studioso della regione, grazie
agli storici greci, romani e bizantini. Dalle relativamente poche opere dedicate
a questo aspetto della regione nevralgica tra il Mediterraneo e lOceano Indiano, lautore sceglie ci che ha pensato possa dare una idea di base riguardante
leconomia, la societ, la religione, larte, larchitettura, la lingua e la letteratura
che ne scaturita. Il compito svolto con chiarezza e acribia prima di giungere
ad affrontare uno dei problemi chiave riguardante larabicit e larabizzazione
delle popolazioni che abitavano la Penisola: chi da considerare arabo prima
che lIslam le unificasse in una ummah?
Perch lArabia non stato sempre lIslam, il volto con il quale il mondo
arabo si affacciato sulla sponda del Mediterraneo dal VII secolo in poi. La
rilettura delle fonti storiche, a cominciare dal III Millennio sumerico, e lindagine archeologica danno sufficienti elementi per una conoscenza, prima di quella
data, di popolazioni arabe che abitavano nella penisola per i contatti, proprio
per il loro stare in mezzo, avuti con i diversi imperi che nei millenni si sono
succeduti nel Vicino Oriente, come truppe alleate specializzate nellattraversa-

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

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mento di zone aride e nello stazionamento nel deserto a difesa del confine, come
agricoltori sedentari e mercanti esportatori di prodotti rari e sempre pi ricercati,
sviluppando una propria identit che sar compito della ricerca archeologica
approfondire.
Per ogni settore (Est, Sud, Centro e Nord) e per ogni argomento trattato,
lautore sceglie e riporta i passi pi significativi delle fonti scritte dando pi spazio ai regni formatisi durante lepoca del Ferro e nel periodo romano-bizantino
nel Sud e nel Centro-Nord fino al regno Nabateo con la menzione dei Madianiti,
dei Minei, della confederazione Thamud, dei Palmireni, con un cenno anche agli
Arabi di Hatra sulla sponda orientale dellEufrate, quando in periodo bizantino
emergono le due confederazioni dei Bani Ghassan a ovest, in territorio romano,
e dei Bani Lakhm a est, in territorio persiano.
Un libro ricco di contenuto e di piacevole lettura che consigliamo anche a
chi si interessa di studi biblici per una informazione seria e documentata su un
mondo sociale che resta sullo sfondo del racconto biblico, dove le popolazioni
arabe confinanti sono spesso presenti, a cominciare dalla saga di Mos fuggitivo
in Madian.
M. P.
Basema Hamarneh, Topografia cristiana ed insediamenti rurali nel territorio
dellodierna Giordania nelle epoche bizantina ed islamica V-IX sec. (Studi di
Antichit Cristiana. Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana 42), Citt del
Vaticano 2003, 346 pp., ills.
Nellabbondante produzione scientifica riguardante il territorio di Giordania
che caratterizza gli ultimi due decenni, questo lavoro affronta un aspetto solo
parzialmente studiato in precedenza. Dallesplorazione archeologica della prima
met del XX secolo, e dai pi accurati surveys condotti a cominciare dagli anni
settanta della seconda met del secolo, risulta chiaro che il territorio dellattuale
Giordania nel periodo che chiamiamo tardo romano-bizantino raggiunse un grado di occupazione sedentaria che non ha paralleli nella sua storia, comparabile
soltanto con il fenomeno al quale stiamo assistendo in anni recenti. Un fenomeno
questultimo, malgovernato, che se da una parte ha danneggiato in modo determinante levidenza archeologica nel territorio, positivamente ha permesso e in
diversi casi provocato lindagine archeologica approfondita che ha chiarito la
natura e le cause di quella sedenterazzazione estensiva.
Il lavoro della Hamarneh parte da questo dato di fatto e prova a sistematizzare una quantit di materiale veramente notevole proveniente dal mondo rurale
e dalla steppa, lasciando sullo sfondo i centri urbani dai quali questi villaggi dipendevano amministrativamente allinterno dellorganizzazione provinciale che,
per quanto riguarda la Giordania, interessava la provincia di Arabia e parte del

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RICERCA IN GIORDANIA

territorio delle tre Palestine. La ricerca a seguire, che per il momento soltanto
accennata, chiarir il grado di autonomia amministrativa raggiunto dai centri pi
importanti presi in esame.
Metodologicamente, lAutore, per meglio organizzare il materiale, parte da
alcuni villaggi guida meglio conosciuti per poi interessarsi soltanto dei siti rurali
che sono stati oggetto di indagine archeologica: 55 villaggi, 12 localit note dalla
ricerca epigrafica, 6 monasteri, e 3 fattorie o microfundia.
Un posto a parte, oggetto del primo capitolo, sono i villaggi sorti e sviluppatisi presso i castra romani, meglio noti perch oggetto di indagine archeologica
approfondita: Umm al-Rasas - Kastron Mefaa, Khirbet es-Samra, Umm al-Jimal,
Rihab, Humaimah, Umm al-Dharih...Lo scavo ha permesso di ipotizzarne cronologicamente la formazione a cominciare dal V secolo parallela alla sedenterizzazione
in massa delle trib seminomadiche che progressivamente occuparono i campi
abbandonati dallesercito imperiale, nei cui dintorni stazionavano, anche perch,
a partire da Anastasio e poi da Giustiniano la difesa del limes venne affidata in
gran parte alla confederazione emergente dei Bani Ghassan federati dellimpero.
La continuazione dellindagine archeologica, precisando la distinzione tra edifici di epoca bizantina e quelli di epoca omayyade, chiarir lo sviluppo interno
di questi abitati, allinterno e allesterno dei castra, secondo una logica che a
noi appare di assembramento urbano per nulla programmato ma che va definito
cronologicamente.
La costruzione degli edifici di culto, normalmente in gran numero e per lo
pi datati dalla met del VI secolo in poi, viene studiato da un doppio punto di
vista: come affermazione di autonomia cultuale della popolazione guidata da
un arcipresbitero (come a Umm al-Rasas - Kastron Mefaa), e come sviluppo
parallelo dellevergetismo laico. Un doppio aspetto, in particolare il primo, che
andr approfondito, in concomitanza con il persistere o meno nella regione dei
corepiscopi che ogni tanto compaiono nelle iscrizioni di questo periodo.
Gli edifici di culto servono da riferimento per una sottodivisione tipologica
degli altri insediamenti rurali di carattere agricolo proposta dallAutore, avendo
presenti anche i dati delle fonti storiche contemporanee e della ricerca epigrafica:
villaggi grandi con tre o quattro chiese, villaggi con due edifici di culto, e villaggi
piccoli con un solo edificio sacro. Una sottodivisione di comodo necessariamente
soggetta a cambiamenti con il procedere degli scavi (le tre chiese di Hayyan alMushrif, un piccolo agglomerato, oggi sono gi diventate sei!). Aiutandosi con
le iscrizioni degli edifici ecclesiastici che numerose accompagnano i mosaici
pavimentali, possibile anche suggerire, accanto alle cause per lo pi di sfruttamento agricolo, il processo di formazione e poi di abbandono. Giustamente si fa
notare una certa superficialit negli scavi (con relativa povera documentazione)
condotti negli ultimi anni in localit della Giordania settentrionale, in particolare
nel territorio di Irbid, dove scavare una chiesa isolata dal contesto abitativo, senza
arrivare a comprendere se si tratta di un monastero o della chiesa di un villaggio,
sembra diventato il primo scopo della ricerca sul campo. Data la ricchezza del

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

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suolo agricolo, proprio da quella regione che lo storico del periodo attende nuovi
dati per il progresso delle ricerche in questo campo specifico, parallelo alle novit
che provengono dal sud moabita ed edomita, finora negletto dagli archeologi per
motivi logistici.
Allinterno del capitolo dedicato ai villaggi piccoli, si tratta dei monasteri
agricoli nati ai margini dellabitato normalmente in terreni coltivabili suddivisi
in tre tipologie: monasteri grandi come quello sviluppatosi sul Monte Nebo intorno al Memoriale di Mos, i dayr nei pressi di un villaggio, e gli eremitaggi
rupestri nei wadi costruiti vicino a sorgenti di acqua. Un aspetto monastico dello
sfruttamento agricolo del suolo giustamente tenuto presente che, a giudicare dai
risultati della ricerca in corso e dallesame delle fonti antiche, ha avuto un ruolo
importante anche nella conversione delle popolazioni rurali e seminomadiche al
Cristianesimo.
Delle 66 localit prese in esame si d, in chiusura, una scheda compilata secondo un criterio topografico (provincia, diocesi, polis) e cronologico (con rimando
alle fonti) dal periodo di formazione a quello dellabbandono, con laggiunta di
una bibliografia specifica al survey e allindagine di scavo.
Nelle conclusioni si sottolinea con la prosperit raggiunta nel V-VI secolo
dalle localit prese in esame, limpostazione di tipo urbano di questi villaggi
ravvisabile nelle chiese, nelluso del greco e nelle pratiche funerarie, dovute
allinfluenza esercitata dalla polis/citt divenuta centro diocesano delle comunit
cristiane, per lo pi popolazioni di etnia araba, a cui si deve la mancanza di un
impianto programmato per lassetto urbano che nasce e cresce per esigenze di
raggruppamenti familiari.
LAutore ha potuto far tesoro dei primi risultati della lettura dei papiri di
Petra che per il VI secolo danno preziosi elenchi di terreni agricoli, vigneti,
pascoli e diritto alluso delle sorgenti, con riferimenti diretti alle abitazioni di
questi centri agricoli di cui si danno i termini arabi di Allia per gli ambienti al
piano superiore e di Beit al-Manam per la camera da letto, Beit al-Akbar per un
edificio pubblico?, Beit al-Kellar per i magazzini (cellarium), Dar al-Ebada o
casa della preghiera, Haram per sacro con allusioni alla propriet della chiesa?,
e il termine greco purgeskion per le case torri...Preziosi sono anche i riferimenti
alla popolazione, come il curialis Flavio Leonzio che registra una propriet in
localit Beit Tel el-Kab, il notaio Alfio figlio di Valente residente a Petra in nome
del quale Flavio Dusario residente a Kastron Ammatha trasferisce la propriet di
un vigneto e di un terreno, i tre fratelli Basso, Epifanio e Sabino ricchi proprietari
terrieri residenti a Petra con fondi di propriet altrove. Dati che integrano i pochi
riferimenti alla composizione della popolazione finora letti nelle iscrizioni dei
mosaici che vengono riportate nel testo per comodit del lettore.
Lo studio, molto curato e frutto di un attento esame di quanto finora pubblicato sullargomento, costituisce certamente un chiaro contributo di sintesi che,
opportunamente fatto proprio, pu diventare un sussidio guida importante nella
continuazione della ricerca per gli studiosi e per i giovani ricercatori delle uni-

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RICERCA IN GIORDANIA

versit giordane impegnati sul campo. Con una auspicabile traduzione in arabo
dellopera, lAutore, nativa di Madaba, potrebbe incidere profondamente sul futuro
della ricerca nel suo paese di origine.
M. P.
Zbigniew T. Fiema - Chrysanthos Kanellopoulos - Tomasz Waliszewski - Robert
Schick, The Petra Church, ACOR, Amman 2001, 446 pp., ills.
Lindagine archeologica avviata nel 1992 nellarea ubicata nel centro-nord della
valle di Petra port alla luce una basilica monumentale meglio nota come Petra
Church (o Chiesa di Petra) facente parte di un complesso pi ampio delimitato
da un recinto (individuabile nelle foto aeree) ancora non scavato. La scoperta
di eccezionale importanza in quanto ha permesso di individuare - oltre al menzionato edificio di culto e il suo battistero un archivio costituito da numerosi
rotoli di papiri rinvenuti carbonizzati ma fortunatamente leggibili. Questo insieme
di elementi permette di tracciare in maniera pi accurata la topografia cristiana
della citt di Petra nel V -VI secolo altrimenti poco nota, mentre la ricercatezza
decorativa e la ricchezza dei materiali impiegati dimostrano la prosperit nonch
limportante status assunto da Petra in quanto sede metropolitana della provincia
di Palaestina Tertia in epoca bizantina (si veda Schick R., Ecclesiastical History
of Petra, pp. 1-5 ).
Ledificio di culto si trova a poca distanza dalla via colonnata, ad ovest del
tempio nabateo dei Leoni Alati ed al centro di unarea che sembrerebbe fittamente
occupata da edifici abitativi - a partire dal periodo tardo ellenistico - anche se
solo parzialmente indagata in sede di scavo. La fabbrica risulta essere edificata
su alcuni segmenti murari preesistenti e mostra il ricorso a materiale di spoglio
nella realizzazione degli alzati; non mancano inoltre elementi scultorei di epoca
nabatea raccolti dai templi vicini probabilmente allora abbandonati.
Lo scavo ha permesso di ricostruire una complessa trama stratigrafica divisa
grosso modo in 13 fasi principali di cui le prime due rimandano alle epoche nabatea
e romana. Nella prima met del V secolo la superficie venne occupata da alcune
insulae inglobate nel corso del secolo stesso nella prima basilica. Contestualmente, secondo Fiema, in un vano comunicante e separato dalledificio ecclesiale da
un Atrium, venne collocato un battistero, il cui fonte cruciforme coperto da un
ciborium. Nella prima met del VI secolo (V fase), ledificio venne sottoposto
a numerose modifiche che lo resero monumentale: sul piano strutturale vennero
aggiunte le absidiole in testa alle navate laterali, sul piano liturgico venne collocato
un ambone nella navata centrale, mentre sul piano decorativo si pu registrare il
ricorso sia ad una ricca pavimentazione (con luso dellopus sectile per il presbiterio e la navate centrale e il mosaico per le navate laterali) che parietale (mosaico
in pasta vitrea) a questa fase si associano anche i rivestimenti marmorei e larredo

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

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liturgico per un risultato decisamente fastoso. Ulteriori aggiunte si verificarono


nel corso del VI secolo con linserimento del Synthronon. Altri interventi, forse
meno incisivi dal punto di vista architettonico, si susseguirono segnando la continuit di frequentazione e linteresse della committenza sino alla distruzione del
complesso in un incendio avvenuto dopo il 593/4 d.C. termine ante quem suggerito sulla base dellultima data registrata nei papiri rinvenuti, alterati dal fuoco,
in un vano attiguo allabside. Il complesso venne sporadicamente frequentato ed
occupato nellVIII secolo (parimenti a quanto stato osservato in altri siti della
adiacente provincia Arabia) sino al crollo delle strutture che segn il definitivo
abbandono della fabbrica (si veda Z.T.Fiema, Riconstructing the History of the
Petra Church. Data and phasing, pp. 7-137, vedasi anche ibidem, Appendix I.
Summary of the Phasing, pp. 437; ibidem, Appendix II. Designation of Walls,
Rooms and Soundings, p. 438).
Particolarmente rilevante risulta essere la scoperta dei Papiri, contenuti
negli accumuli carbonizzati nel vano ovest, adibito probabilmente a deposito
o archivio in quanto nulla rimanda a funzioni di scriptorium. I rotoli venivano
custoditi, come si evince dai materiali associati individuati in corso di prelievo
e recupero, in ceste di vimini, in scatole lignee o su scaffali in legno fissati alle
pareti. Al momento dellincendio che devast il complesso il tetto del vano croll
sigillando linsieme e permettendo la conservazione del preziosissimo materiale
(si rimanda allexcursus stratigrafico in Z.T. Fiema, The Archeologica Context
of the Petra Papyri, pp. 139- 150). Si tratta di documenti redatti nel corso del
VI secolo per gli interessi di una famiglia abbiente ed influente della metropoli
(per lo studio dei papiri si rimanda allapposito volume pubblicato dallACOR
recensito pi avanti).
Allesame della struttura architettonica delledificio di culto e dagli elementi
ad essa associati (colonne, capitelli, elementi in ferro ecc.) nonch alle numerose ed
utili proposte ricostruttive dedicato lintervento di C. Kanellopoulos, Architecture
of the Complex, pp. 152-191. Lautore evidenzia, attraverso assonometrie e disegni
appositamente redatti, la probabile esistenza di un secondo piano, il ricorso ad
una copertura a capriate ottenuta mediante lutilizzo di travi lignei analogamente
alle chiese del Negev nonch il reimpiego di materiale architettonico di spoglio
(colonne e capitelli di epoca nabatea).
Lo scavo ha permesso di individuare altres numerosi manufatti liturgici in
marmo la cui maggioranza risulta essere fabbricata utilizzando materiale di spoglio. I manufatti vennero messi in opera nella prima met del VI secolo (ovvero
in quella pi articolata): si tratta di frammenti di opus sectile pavimentale, lastre,
pilastrini, pannelli del bema, tavole per le offerte, cimase, basamenti e capitelli
di varie fogge e misure (si veda C. Kanellopoulos, R. Schick, Marble Furnishing
of the Apses and the Bema Phase V, pp. 192-213).
La complessa decorazione dellarea presbiteriale, della navata centrale e dellatrium stata effettuata con limpiego di opus sectile ottenuto sia con lastre di
marmo sia con materiale calcareo locale, probabilmente per aggiungere tonalit

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RICERCA IN GIORDANIA

cromatiche in contrasto non reperibili nel marmo. Per quanto riguarda invece gli
schemi decorativi sono stati individuati nove varianti simmetricamente disposte
sino ad ottenere dei pannelli rettangolari spezzati da lastre monocrome in marmo
o, come nel caso del presbiterio, in pietra calcarea che imita il porfido (vedasi
P. Maynor Bikai, Appendix: Opus Sectile Pavement of the Nave, Chancel and
Atrium, pp. 214-217).
Le navate laterali sono invece campite da mosaico perfettamente conservato
raffigurante nella navata settentrionale motivi zoomorfi ed antropomorfi organizzati allinterno di tralci di vite. Lo schema base prevede una distribuzione
per ordini orizzontali che si sviluppano per tutta la lunghezza della navatella;
ciascun ordine mostra la presenza di due elementi posti simmetricamente ai lati
di uno centrale fitomorfo o decorativo (piante, cesti, cantari, palme, candelabri,
volatili ecc.), fanno eccezione due registri - con un unico filone narrativo - il cui
primo mostra una scena di pastorizia (pannello A4) con due pastori affrontati ad
un cane seduto e il secondo che tratta una scena di trasporto con un cammello
carico di un tronco affiancato da due cammellieri (A 14). Il pavimento, in assenza
di iscrizioni datanti, viene attribuito in base ai confronti con altri datati al secondo
quarto del VI secolo.
Decisamente pi articolata la decorazione del secondo mosaico della navatella sud: esso preceduto da un pannello rettangolare campito da tre coppie
di animali affrontati, a questo fa seguito un secondo pannello, decisamente pi
esteso, organizzato in una maniera analoga a quello della navata nord. Vi si articolano altres tre elementi per registro posti allinterno di una complessa griglia
geometrica; i pannelli rettangolari centrali sono invece decorati da personificazioni
delle stagioni, della terra, del oceano, della saggezza, elementi singoli quali: aquila,
cantaro, pescatore e contadino linsieme degli emblemata dimostra il ritorno in
auge del repertorio greco-romano secondo una tendenza registrata in numerosi
pavimenti mediorientali del VI secolo, datazione proposta anche per questo
pannello. Da ultimo, due piccoli mosaici con decorazione geometrica si trovano
invece nelle due absidiole (si rimanda ai contributi di T. Waliszewski, Mosaics,
pp. 218-270; J. Studer, Appendix A: les mosaques animalires, pp. 271-293; Z.
Friedman, Appendix B: The Votive Ship of Mosaic III, pp. 294-297; T.R. Paradise,
Lithologic Composition of the Mosaic Tesserae, pp. 298-299).
La basilica aveva inoltre una decorazione parietale in pasta vitrea (policroma o ricoperta da lamine doro), che per tematiche non si discosta dalla trama
generale del pavimento come si pu dedurre dai frammenti decorati con elementi
fitomorfi, antropomorfi ed ornamentali rinvenuti nello scavo. I frammenti di iscrizioni recuperati possono forse suggerire la collocazione del brano dedicatorio in
altra sede e non sul pavimento (si veda T. Waliszewski, Appendix D: The Wall
Mosaics, pp. 300-302; C. Fiori, Appendix E: The Composition of the Glass Wall
Mosaic Tesserae, pp. 303-305).
Tra i materiali dello scavo spiccano alcuni manufatti pregiati come il Cantaro
con manici zoomorfi di pantere rampanti ottenuto in marmo della Frigia fabbricato

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

501

probabilmente nel II-III secolo e collocato in altra sede poi riutilizzato nella chiesa
per contenere lacqua e poteva essere posizionato, secondo Herrmann, nellAtrium
della chiesa dove stato rinvenuta una piccola pedana (J.J. Herrmann, Crater
With Panther Handles, pp. 336-339). Un bacino di fontana abbinato al piedistallo
fabbricato in pietra calcarea stato trovato altres nel comprensorio della chiesa,
datato al II-III secolo d.C., recuperato e riutilizzato verosimilmente nella basilica
(J.J. Herrmann, Basin and Pedestal, pp. 340-341). Al II secolo rimanda una gemma
ad intaglio in ametista raffigurante Giove Serapio scoperta in una delle trincee di
fondazione (M.Henig, Amethyst Intaglio, p. 342).
Lapparato epigrafico rinvenuto nello scavo assai lacunoso: si tratta di numerosi frammenti di marmo riutilizzati nella pavimentazione in sectile nonch
da pietre calcaree iscritte impiegate, come spoglia, negli alzati delledificio. I
frammenti di testo in greco o latino rimandano alle epoche precedenti alla costruzione della chiesa (Vedasi J. Vihonen, Z.T. Fiema, Greek and Latin Inscriptions,
pp. 342-345).
Una porzione di iscrizione nabatea stata individuata negli accumuli relativi
al primo crollo strutturale delledificio: il testo della stessa menziona lofferta di
un evergeta della citt al dio Dusares probabilmente al tempo del re Areta IV 9/8
a.C.-39/40 d.C. (R.N. Jones, Nabatean Inscriptiones, pp. 346-349).
Altri manufatti come figurine in terracotta e bronzo risultano appartenere alle
epoche nabateo e romana, mentre elementi scultorei come frammenti di statue,
blocchi di fregi sono decorati nel tipico stile nabateo. Tali elementi, rinvenuti in
stato di riuso nella muratura della chiesa, erano stati messi in opera avendo cura
di non occultare le facciate interessate dalla decorazione anzi mantenendole in
vista (M.J.Roche, Figurines, Sculture and Reliefs, pp. 350-358).
Il materiale ceramico scoperto si divide tra materiale preesistente nabateo e
romano, mentre allepoca bizantina rimandano le anfore datate alla seconda met
del VI secolo ed utilizzate nella chiesa cos come le lucerne che sembrano essere
state fabbricate a Petra. Per quanto attiene al materiale vitreo - rappresentato per
lo pi da lampade di illuminazione associate talvolta a frammenti di polycandela,
ganci nonch bicchieri e coppe (una con decorazione incisa) - si evidenzia che
alcune fanno parte probabilmente dellarredo della chiesa e sono datate complessivamente dal IV al VI secolo (si veda Y. Gerber, Selected Ceramic Deposits,
pp. 359-366; Kh. Amr, Storage Jars Phase VII, p. 366; N. Khairy, Lamps, pp.
368-369; M. OHea, Glass From the 1992-93 Excavations, pp. 370-376; F. Mari,
Typological and Chemical Analysis of the Glass, pp. 377-382).
I reperti numismatici rinvenuti nello scavo rappresentano un campionario
tipico delle unit monetarie in circolazione a Petra e si tratta di monete delle
epoche: nabatea, tardo romana, bizantina e mamelucca del XIII secolo d.C. (J.
Wilson Betlyon, Coins from the 1992-93 Excavations, pp. 384-390; H. Sokolov,
Coins from the 1996 Excavations, pp. 391-394).
Interessante risulta invece la scoperta di un gruppo di punte di freccia in
ferro distribuiti in due gruppi di 4 punte saldate insieme per corrosione . La

502

RICERCA IN GIORDANIA

sezione delle punte risulta di forma triangolare e sembra essere analoga a quelle
rappresentate nelle consuete iconografie della venatio nei mosaici della Giordania
(J.C.N. Coulston, Arrow Heads, pp. 395-397).
Sono particolarmente utili le informazioni derivate dallesame dei frammenti
lignei rinvenuti nello scavo, soprattutto nel vano adibito ad archivio, si tratta,
come abbiamo accennato, di manufatti adoperati per arredare lambiente (scaffali, contenitori) o facenti parte della copertura (travi del tetto). Lesame di tali
frammenti ha mostrato il ricorso in prevalenza a legno dimportazione come il
ginepro della Fenicia (Juniperus phoenicia), il pino di Aleppo (Pinus halipensis),
il pioppo dellEufrate (Populus euphratica) e la Palma della Fenicia (P. Warnock,
Wood Remains, 398-408).
Un breve catalogo di scavo contiene un elenco di manufatti scoperti nei
vari settori nel corso dellindagine (a cura di P. Maynor Bikai, The Excavation
Catalogne, pp. 409-423).
Le informazioni raccolte nel corso dellindagine abbinate a quelli desunte dalla lettura dei papiri hanno permesso di tracciare un primo quadro circa
lo status politico ed amministrativo della Petra bizantina nella sua qualit di
metropoli e capitale della provincia di Palaestina Tertia. Petra ebbe infatti una
notevole crescita nel VI secolo, segno inconfondibile della rinascita e benessere
generale di tutta la regione. Tuttavia sul piano urbanistico a fianco delle nuove
edificazioni di chiese e della loro esuberanza decorativa, i templi di epoca nabatea versavano in stato di degrado causato dallabbandono del culto pagano e
dal terremoto che colp la citt nel IV secolo: essi venivano de facto frequentati
solo come cave di materiali. La mancanza di attestazioni circa lesistenza di
unamministrazione provinciale potrebbe suggerire che la societ era guidata
dal vescovo al quale venivano affidati anche compiti civici; viene ricordata una
locale nobilt o ricchi proprietari terrieri e da personale addetto alla raccolta
delle tasse. Il declino di Petra poteva invece essere stato avviato da due eventi
alquanto rilevanti di cui il primo rappresentato dal terremoto del 551 d.C. e
il secondo dalla conquista islamica della regione, anche se, a favore di queste
ipotesi, non si dispone di sufficienti dati (si rimanda a Z.T. Fiema, Historical
Conclutions, pp. 424-436).
Il volume si chiude con una breve descrizione delle opere di restauro effettuate
nella chiesa per consentirne la conservazione e la fruizione museale (si rimanda a
S.B. Tillak, P. Maynor Bikai, Appendix III. After the Excavation, pp. 439-446).
Lindagine archeologica condotta nella Chiesa di Petra, illustrata dettagliatamente in questo ricco volume, segna una fortunata svolta nello studio dellassetto
della citt in epoca bizantina altrimenti poco noto, dellaspetto architettonico
delledificio che ben si inserisce nel contesto delle coeve chiese del Negev, dellintegrit dellapparato decorativo, dellarredo liturgico nonch della conservazione
del materiale ligneo carbonizzato; la rilevante scoperta dei papiri conferiscono
altres al monumento una singolare ed eccezionale importanza. Lo scavo pone al
tempo stesso numerosi quesiti quali il rapporto tra la chiesa e il tessuto urbano,

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

503

lassenza di ceramica omayyade nei depositi superiori relativi allabbandono nonch le condizioni della citt nel periodo islamico, risposte che possono giungere
solo attraverso lauspicabile continuit della ricerca archeologica a Petra. Infine la
mancanza di tracce del fenomeno iconofobico altrimenti registrato nel complesso
monastico di Jabal Haroun (Frsn J., Fiema Z.T., Finish Jabal Haroun Project
2000 Preliminary Report, in Piccirillo M. (a cura di), Ricerca storico archeologicain Giordania 2000, Liber Annuus L, pp. 486 - 492) offre un ulteriore indizio
per poter collocare lobliterazione delle immagini nel VIII secolo.
Basema Hamarneh
Jaakko Frsn, Antti Arjava, Mario Lehtinen (a cura di), The Petra Papyri I, con
contributi di Z.T. Fiema, C.A. Kuehn, T. Parola, T. Rankinen, M, Vesterinen, M.
Vierros, ACOR, Amman 2002; pp. 142, tavv. XXVI in b/n.
Il volume, promosso dallAmerican Center for Oriental Research di Amman,
dedicato alledizione critica di un primo nucleo di documenti (facenti parte di un
gruppo di 140 papiri) - il pi cospicuo numero di manoscritti mai rinvenuto nel
territorio dellattuale Giordania - venuti casualmente alla luce nel 1993, durante
lo scavo della chiesa di Petra, sede metropolitana della Palaestina Tertia.
Il corpus epigrafico di Petra, validissimo supporto alla parallela indagine
archeologica, si distingue per la sua grande importanza storica essendo, insieme
ai Papyri di Nessana, lunico mezzo a nostra disposizione per poter apprendere
in modo diretto le condizioni nelle quali versava la citt, la sua choria nonch
lintera provincia di Palaestina Tertia nel momento antecedente la conquista
islamica della regione.
Il volume, diviso in due settori, si apre con un capitolo introduttivo articolato
in pi voci che permette di inquadrare la scoperta sotto i profili storico, archeologico e conservativo per passare poi nella seconda parte allesame ed analisi
dei singoli documenti. Un primo riassunto riguarda la complessa storia della
citt divenuta, sin dal II secolo a.C., capitale del regno nabateo trasformata poi
in centro importante in epoca romana sviluppandosi sino a raggiungere lapice
di importanza in epoca bizantina nella sua veste di centro amministrativo e sede
del metropolita (Fiema Z.T., Historical Context, pp, 1-4).
Particolarmente interessante la presentazione del contesto archeologico
delleccezionale scoperta restituita attraverso un minuzioso esame stratigrafico.
I rotoli, alterati dal fuoco, furono scoperti sul livello pavimentale di una stanza
laterale alledificio ecclesiale di Petra (vano I). Il vano, preesistente alla chiesa,
venne inglobato dal complesso ecclesiale sorto successivamente e fu destinato
alla custodia di documenti in quanto non vennero trovati manufatti che possono
suggerire la funzione di scriptorium. I documenti venivano custoditi con cura in
quanto la stanza era dotata di scaffali atti a raccogliere gruppi di rotoli, mentre

504

RICERCA IN GIORDANIA

altri, forse di contenuto pi importante erano deposti in scrigni o in cesti di vimini.


Nel VII secolo lambiente prese fuoco causando la carbonizzazione dei materiali
infiammabili ivi custoditi; londa di calore scaturita dallincendio caus la caduta
dellintonaco, del materiale argilloso dal tetto portando alla formazione di una
sorta di involucro che a sua volta serv da naturale protezione ai documenti contro
unulteriore deterioramento; lincendio si concluse con il crollo della copertura che
sigill linsieme sino allo scavo compiuto nel 1993 (Fiema Z.T., Archaeological
Context of the Petra Papyri, pp. 5-8).
Non meno interessante il resoconto riguardante lo scavo e la conservazione
del materiale: a seguito dellindividuazione degli accumuli carbonizzati, venne
eseguito in situ un primo lavoro di prelievo togliendo dai depositi di cenere interi
gruppi di documenti; lesame del materiale e la sua successiva conservazione vennero effettuati in laboratorio agendo in base ai livelli di degrado (carbonizzazione
delle facciate, umidit, vegetazione, o altro). Lestrema fragilit dei rotoli imped
la loro apertura mediante spiegamento, perci essi dovettero essere socchiusi
prelevando strisce orizzontali di papiri seguendo lordine dallalto verso il basso. I frammenti numerati progressivamente furono applicati su carta giapponese
non acida, asciugati e posizionati sotto vetro. La tavole cos composte vennero
fotografate per facilitare la lettura senza ricorrere ad un eccessivo spostamento e
contatto diretto con i frammenti. Una laboriosa opera di catalogazione e studio
ha permesso infine di raggiungere un posizionamento soddisfacente delle strisce
permettendo la loro ricostruzione, lettura ed esame.
Sin dal primo esame stato possibile accertare che i documenti furono scritti
completamente in lingua greca ad eccezione di tre righe in latino scoperte in uno
dei rotoli, tutti furono redatti a Petra salvo un caso in cui viene specificatamente
menzionata la citt di Gaza come sede di compilazione. I papiri testimoniano
attraverso la terminologia e lonomastica ricorrente la sopravivenza della tradizione nabatea nel VI secolo e la sua completa assimilazione nella successiva
tradizione latina e greca (vedasi Lehtinen M., Conservation and Reconstruction,
pp.11-16).
Non meno intrigante la ricostruzione storica del materiale la cui lettura ha
permesso di riconoscere le vicende di un benestante nucleo famigliare di Petra
il cui esponente pi attestato risulta essere un certo Flavio Teodoro, figlio di
Obodiano, nato verosimilmente nel 512/14 d.C. e ricordato vivente nel corso del
regno dellimperatore Maurizio (582-602 d.C.). Teodoro divenne diacono nel
544 d.C. circa ed arcidiacono nel 559 d.C. prestando servizio nella chiesa della
Vergine Maria di Petra. Gli studiosi hanno potuto restituire il complesso albero
genealogico della sua famiglia e delle loro vicende con specifico riguardo ai loro
affari e possedimenti. Accanto alla famiglia di Teodoro, protagonista principale,
emergono altri 350 individui di spicco della citt, alcuni ricordati ex officio ovvero
impegnati in mansioni civiche o raccolta di tasse.
Lesame dei documenti ha permesso di effettuare una divisione seguendo il
genere delle questioni trattate, perci ricorrono contratti nuziali, distribuzione di

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

505

eredit, vendite, prestiti e regolamentazione di dispute nonch ricevute di versamento di tasse (Lehtinen M., Family of Theodoros, pp. 9-10).
Limportanza dellarchivio di Petra dovuta anche alla rigorosa puntualit
della documentazione ravvisabile nel ricorso al sistema cronologico in uso nella
regione, come documentato nelle coeve fondazioni ecclesiali nelladiacente
Provincia Arabia, ciascun documento si apre di norma con un riferimento: allanno
imperiale di regno, allanno consolare o post consolare, allera (sia Arabica o di
Gaza), allanno indizionale, non manca luso dei mesi del calendario macedone
e romano. Il breve capitolo dedicato al problema della datazione si conclude con
delle tavole sinoptiche (vedi nello specifico Arjava A., Fiema Z.T., Chronological
Systems Used in the Petra Papyri, pp. 16-21).
Nella seconda parte del volume si passa allesame dei singoli documenti
seguendo uno schema che vede posta in primo piano la presentazione del documento seguita dal testo greco e la traduzione integrale dello stesso ed un articolato
commento che riprende in esame loriginale in greco e le eventuali letture dei
brani, sistema di abbreviazioni e le proposte di integrazione delle lacune dovute
alla scrittura corsiva infine segue una scheda numerica a colonne che mostra
lesatto posizionamento dei frammenti.
Il primo documento numero dinventario 68 ovvero Papyrus Petra Thomas
and Francesca Bennett (vedasi pp. 23-33) risulta datato al 537 d.C. ed stilato
tra Teodoro e suo zio materno Patrofilo per appianare alcune questioni finanziarie
riguardanti la divisione delleredit (o della dote) lasciata dalla madre di Teodoro
ed amministrata per conto suo da Patrofilo. Lo zio passava o restituiva al legittimo
erede Teodoro tale eredit, come registrato nel contratto, forse al momento del
compimento della maggiore et o in occasione del suo matrimonio.
Il secondo papiro n. 4 ovvero Papyrus Petra P.E. MacAllister (vedasi pp.
35-71) venne compilato nel 538 d.C. in Colonia Gaza e riguarda la divisione di
uneredit costituita per lo pi da appezzamenti di terreni situati nei villaggi a
nord-ovest di Petra e nella provincia di Palaestina Prima (forse amministrati da
Gaza stessa). Il testo menziona altres propriet mobili e denaro in solidi aurei.
Le numerose lacune nel documento tuttavia impediscono di stabilire con certezza
quante persone furono chiamate in causa; alcuni nomi appaiono pi volte citati
come quello di Teodoro Obodiano che insieme alla controparte rappresentata
verosimilmente da Dusario figlio di Valente sembrano fungere da protagonisti
principali regolando una controversia riguardante delle propriet passate al nostro
Teodoro da suo padre nei luoghi indicati dal papiro. E interessante sottolineare
che il nostro Teodoro ha dovuto risiedere addirittura a Gaza per regolare probabilmente tale contenzioso.
I tre seguenti papiri (pp. 73-93): 3 Papyrus Petra Zbigniew T. Fiema and
Deborah Kooring inv. n. 13; 4 Papyrus Petra Robert Johnston inv. n. 14 e 5
Papyrus Petra inv. n. 17 hanno tutti come oggetto la richiesta di trasferimento
dellammonto annuale di tasse da un certo Panolbio a Eutenio figlio di Dusario
(come nei documenti 3 e 4) mentre il documento 5 vede come secondo prota-

506

RICERCA IN GIORDANIA

gonista Patrikio. Si tratta di tasse su appezzamenti di terreno situati a Petra ed


Augustopoli (odierna Udruh) anche se laccordo effettivo riguardava solo le terre
site ad Augustopoli forse perch i terreni siti a Petra non venivano assoggettati a
tale genere di accordi. Il complesso resoconto della modalit di trasferimento e
dellammontare delle tasse sulla propriet di Panolbio risulta assai prezioso per
la restituzione del complesso quadro economico della provincia.
Assai pi curioso il contenuto del documento numero 6 (Papyrus Petra
Lou Gonda) che tratta una lista di oggetti smarriti o rubati che appartenevano al
presbitero Epifanio figlio di Damiano che, pare, affitt a Heirio figlio di Patrofilo
(anchegli forse membro del clero) un appartamento con dei beni mobili che,
sembra, laltro gli port via (vedasi pp. 94-99).
Altri tre documenti 7-10 rappresentano invece ricevute per il pagamento
di tasse nel corso di diversi anni di Patrofilo figlio di Basso, dallanno 568 d.C.
sino allanno 575 d.C., indicati in ordine di indizioni. Si tratta di versamenti che
ammontano forse ad un decimo del valore di ciascuna delle propriet terriere site
a Petra ed Augustopolis pagate sia in denaro che in grano secondo una plausibile
interpretazione della terminologia ricorrente. Stando ai calcoli approssimativi
della cifra versata da Patrofilo si potrebbe indicare unestensione complessiva di
1.2 ettari dei suoi possedimenti (vedasi pp. 100-115).
Il documento numerato col progressivo 11 risulta essere molto frammentario,
al di fuori di alcune righe iniziali dai quali risulta la datazione del 569 d.C. esso
rimanda ad un accordo svolto tra Patrofilo e Valente per il pagamento delle tasse
(pp. 117-118). Dal progressivo 12 al 16 sono stati collocati i documenti datati dopo
lanno 544 d.C. e ritenuti minori in quanto hanno come tema principale scambi,
pagamenti o atti notarili la cui vera entit risulta difficili da stabilire stante la
frammentariet dei papiri pervenuti (vedasi pp. 119-131).
Il volume concluso da un indice greco diviso in due - ragionato ed alfabetico
seguito da ultimo dalle tavole in bianco e nero.
Le informazioni contenute nei papiri risultano estremamente importanti come
lo si poteva dedurre gi dai brevi resoconti apparsi sulle varie News Letter dellACOR, sullADAJ, SHAI ed in altre prestigiose pubblicazioni di cui il nostro
volume solo un anticipazione. Particolarmente utile loccasione di scorgere
i tratti salienti della vita pubblica di un nucleo famigliare di Petra estremamente
benestante ed influente i cui poderi si estendevano nelle campagne limitrofe della
citt sino a Wadi Araba e nella provincia di Palaestina Prima, permettendoci di
effettuare un vero monitoraggio delle localit rurali menzionate nellorbita di
Petra nel VI secolo. Altri documenti ci mostrano indirettamente le modalit di
gestione dei possedimenti di terra che potevano anche essere amministrati per
conto di terzi (ad esempio per la Chiesa), nonch la registrazione dei passaggi di
propriet e la gestione del versamento di tasse da parte dei singoli proprietari e il
controllo esercitato dallufficium competente sito verosimilmente a Petra stessa,
notizie fondamentali per lo studio del mondo rurale bizantino della provincia
interessata. Sono interessanti altres le notizie circa le abitazioni che si deducono

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

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dal resoconto degli oggetti smarriti dove si parla della chiave del secondo piano
e dellaustero arredamento del locale.
Indubbiamente il merito di questa prima pubblicazione va agli studiosi
dellUniversit di Helsinki guidati da Jaakko Frsn e a quelli dellUniversit
di Michigan con Ludwig Koenen, che hanno prestato la loro opera al non facile
compito di lettura e decodificazione dei manoscritti. Ci auguriamo di poter presto disporre del completamento delledizione di tutto il materiale, per applicare
finalmente le conoscenze documentarie a quelle archeologiche al fine di giungere
ad una migliore conoscenza del territorio di Petra in epoca bizantina.
Basema Hamarneh
Estelle Villeneuve - Pamela M.Watson (ds), La cramique byzantine et protoislamique en Syrie-Jordanie (IVe-VIIIe sicles apr. J.-C.). Actes du colloque tenu
Amman les 3, 4 et 5 dcembre 1994 (Bibliothque archologique et historique 159),
Institut Franais darchologie du Proche-Orient, Beyrouth 2001, 232 pp., ills.
Il volume, pubblicato dallInstitut Franais darchologie du Proche-Orient, raccoglie gli atti del colloquio internazionale tenuto ad Amman nel 1994 e dedicato
interamente allo studio delle tipologie di ceramica prodotta e diffusa nel vicino
oriente dal IV allVIII secolo d.C. ovvero dallepoca tardo romana sino allepoca
abbaside.
Si tratta dunque di unoccasione unica in quanto per la prima volta viene
destinato un apposito spazio al solo esame della cultura materiale e della sua
circolazione in tutta larea mediorientale. Il numero elevato di scavi condotti
nella regione alla vigilia del colloquio ha permesso di individuare nuove classi
di materiali permettendo di collegare gli stessi a fasce cronologiche che ben si
inseriscono nellambito delle varie produzioni regionali conosciute. I puntuali
contributi degli studiosi affrontano infatti una vasta gamma di argomenti e permettono di ancorare i materiali ceramici ai dati di scavo per un migliore collocamento
cronologico (non sempre contemplato negli scavi e pubblicazioni del passato),
procedimento che risulta particolarmente importante per i manufatti pertinenti
a periodi di transizione come ad esempio quelli del primo periodo omayyade
spesso ispirati alle forme tardo bizantine in circolazione ma distinti per qualche
nota di rinnovamento.
Il contributo introduttivo di J.P. Sodini Les cramiques byzantines et protoislamiques du Proche-Orient: quelques remarques introductives (pp.3-5) analizza
complessivamente lo stato delle conoscenze della produzione ceramica dellarea
mediorientale e della sua evoluzione cronologica dallepoca romana sino al periodo omayyade e sassanide. Lo studioso ripercorre brevemente le tipologie dei
manufatti e le tecniche di produzione e di decorazione offrendoci un contributo
puntuale ed importantissimo di sintesi sul tema del Colloquio.

508

RICERCA IN GIORDANIA

Y. Gerber con il suo A Glimpse of the Recent Excavations on ez-Zantur/Petra:


The late Roman Pottery and its Prototypes in the 2nd and 3rd Centuries AD (pp.
7-12) presenta i dati e il materiale di scavo di alcuni edifici abitativi di Khirbet
ez-Zantur presso Petra. La studiosa mostra attraverso le tavole linconfondibile
trasformazione delle forme ceramiche dei recipienti chiusi dallepoca nabatea
sino a quella tardo romana.
Allo studio della ceramica di Nisibi dedicato la presentazione di F. DornaMetzger Cramique bizantino-sassanide de Nisibe: tude prliminaire ( pp.
13-22). Si tratta del materiale proveniente dalla raccolta di superficie effettuata
dalla studiosa nellambito della campagna di scavo svolta nellAlto Khabour. La
ceramica divisa tra forme aperte e chiuse ed datata al periodo bizantino e sassanide con alcuni frammenti di produzione di tipo occidentale come il frammento
della Phocean Ware. La Dorna-Metzger sottolinea la mancanza di frammenti di
ceramica invetriata analogamente ad altri siti della Mesopotamia occidentale.
Il contributo di B. Lyonnet dedicato alle Prospection archologique du HautKhabour (Syrie du Nord-Est). Problmatique, mthodologie et application la
priode byzantino-sassanide (pp. 22-32) si allaccia a quello della Dorna-Metzger
e mostra i risultati della ricognizione svolta nellarea dellAlto Khabour con una
particolare attenzione alla circolazione di forme ceramiche in epoca abbaside.
B. Bavant con Stratigraphie et typologie. Problmes poss par lutilisation
de la cramique comme critre de datation: lexemple de la fouille de Dhes
(pp. 33-48), ci riporta a problematiche decisamente pi attinenti alla questione
della datazione del materiale nel corso dello scavo e dimostra come pu essere
migliorata laffidabilit cronologica nel caso dello scavo stratigrafico con lesempio della sua indagine svolta a Dhes.
M. Touma con il suo Quelques tmoignages de la cramique sur les changes
syro-chypriotes la priode byzantine pp. 49-58 ci mostra mediante lesempio
di due scavi di Ras Ibn-Hani in Syria ed Amathonte a Cipro la circolazione del
medesimo materiale ceramico segno di stretti scambi culturali intercorsi tra la
fine del III secolo d.C. sino al 565 d.C. circa.
Allo scavo dellarea del macellum di Gerasa (odierna Jerash) dedicato lo
studio di A. Uscatescu Lapport des fouilles du macellum (Jrash, Jordanie) la
connaissance des cramiques byzantines tardives de Grasa (pp. 59-76). Il macellum, edificato nel II secolo d.C. ed utilizzato sino allVIII secolo, permette alla studiosa di esplorare una gamma assai variegata di materiali (si tratta di tre depositi) a
partire dalla ceramica dimportazione caratterizzata dalla terra sigillata tarda, dalle
anfore ed unguentari sino alle ceramiche di locale fabbricazione tra cui spicca per
raffinatezza la produzione delle forme aperte e decorate note come Jerash bowls.
Alla presentazione della ceramica dello scavo condotto a Khirbet Nakhil
(localit ubicata a sud/est di Kerak) riservato larticolo di J. Kareem The
Pottery from the First Season of Excavations at Khirbet Nakhil( pp. 77-93).
Si tratta di manufatti ben attestati nella zona dallepoca nabatea sino allepoca
ayyubide-mamelucca.

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

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Il contributo di T. Waliszewski, Cramique bizantine et proto-islamique de


Khirbet adh-Dharih (Jordanie du Sud), pp. 95-106 prende in esame il materiale
ceramico rinvenuto nel corso dellindagine archeologica condotta a Khirbet
adh-Dharih dal 1984 al 1993 mostrando, attraverso un puntuale annovero delle
tipologie, la complessa occupazione del sito del tempio nabateo dalla costruzione,
al riuso in epoca bizantina sino allabbandono collocato nel periodo abbaside.
Kh. Amr e R. Schick nellarticolo The Pottery from Humeima: The Closed
Corpus from the Lower Church (pp. 107-127) presentano la ceramica dello scavo
della chiesa inferiore di Humeima scoperta in un contesto stratigrafico sigillato.
Il corpus costituito per lo pi da forme chiuse e rappresenta delle variet ben
datate cronologicamente e pertinenti a tipologie diffuse solo nellarea meridionale
di Giordania e della Palestina; tra i vari materiali spicca unanfora datata al VII
secolo e prodotta ad Aqaba a sud di Humeima.
Di diverso tenore lindagine petrografica condotta per la prima volta sulle
argille che compongono una selezione di manufatti della tipologia di Jarash Bowls
rinvenuti nello scavo dellarea dellippodromo di Gerasa in E.C. Lapp A Comparative Clay Fabric Analysis of Fired and Unfired Jerash Bowl Fragments by Means
of Petrography and Direct Current Plasma (DCP) Spectrometry (pp. 128-137).
Lesame chimico ha permesso di effettuare altres uno studio comparativo delle
materie prime tra un esemplare non sottoposto a cottura ed altri provenienti dalle
fornaci per verificare le eventuali modifiche nelle composizioni.
J.Bujard e M. Joguin con La cramique dUmm el-Rasas/Kastron Mefaa
et dUmm al-Walid( pp. 138-147) presentano i manufatti ceramici di epoca
omayyade rinvenuti nello scavo dei siti di Umm el-Rasas ed Umm al-Walid. Si
tratta, nel caso di Umm el-Rasas, dello scavo di un varco del muro del Kastron
romano riutilizzato come bagno in epoca omayyade mentre nel caso di Umm alWalid si tratta di numerosi manufatti, datati allVIII e al IX secolo, rinvenuti in
un contesto stratigrafico sigillato dal crollo delle strutture. In entrambi i casi si
tratta di recipienti aperti e chiusi di cui numerosi risultano dipinti e non mancano
esempi di ceramica invetriata che potrebbe essere di importazione.
Il materiale di scavo rinvenuto nella localit di Khirbet es-Samra e di Mafraq
stato sottoposto ad una attenta riflessione da parte di J.B. Humbert Arguments
chronologiques pour expliquer le dclin de Khirbet es-Samra et de Mafraq: des
jarres, du vin et des images (pp. 149-161). La ceramica scoperta a Khirbet esSamra risulta essere in fase con le chiese del villaggio datate, come si evince dalle
iscrizioni musive allepoca omayyade, le medesime tipologie si riscontrano anche
nel palazzo omayyade di el-Fedein (Mafraq). Lautore suggerisce infine che la
scomparsa della ceramica dipinta nel IX secolo dovuta alla sua destinazione per
la conservazione del vino il cui consumo venne vietato da parte degli abbaside
proprio in quel periodo come sanzione ristrettiva per i cristiani.
Lo scavo di Qseir as-Seileh, situato a nord di Rasafa presentato da M. Konrad
Umayyad Pottery from Tetrapyrgium (Qseir as-Seileh, North Syria. Tradition
and Innovations (pp. 163-191). Il sito venne occupato da un fortilizio romano

510

RICERCA IN GIORDANIA

divenuto monastero nel 580 d.C. e venne frequentato sino al 750 d.C. I manufatti
ceramici scoperti, datati per lo pi al periodo omayyade, risultano simili per fattura
a quelli di epoca bizantina scoperti a Rasafa, la differenza si ravvisa nelluso dellingobbio e della decorazione esterna. La conseguente evoluzione delle forme
determinata, secondo lA., dalle nuove destinazioni duso dei recipienti argomento
che indubbiamente necessita di unulteriore indagine riflessiva.
Quattro lucerne iscritte in arabo scoperte nei pressi di Damasco sono presentate da M. al-Khouly, Nouvelles lamps inscrites de la priod omeyyade, pp.
193-196. Si tratta di manufatti che trovano confronto con una tipologia fabbricata
a Gerasa Jerash nel 94 higri.
Numerosi frammenti di ceramica bizantina invetriata sono stati scoperti nel
corso dello scavo di Deir Ain Abata in Giordania, la tipologia tuttavia non risulta
attestata nella zona anche se due frammenti di analoga fattura furono scoperti sul
Monte Nebo e a Humeima. Secondo gli autori I.C. Freestone, K.D. Politis e C.P.
Stapleton, la ceramica venne prodotta ad Ain Abata stessa con un procedimento
verosimilmente casuale dovuto ad applicazione di temperature molto alte nella
cottura delle argille che a sua volta consent la formazione della vetrina (si veda
The Bizantine Glazed Pottery From Deir Ain Abata, Jordan pp. 197-205).
Lintroduzione dellinvetriata policroma nel Vicino Oriente oggetto della
riflessione proposta da A. Northedge Thoughts on the Introduction of Polychrome
Glazed Pottery in the Middle East (pp. 207-214). I primi esempi di invetriata
monocroma furono fabbricati in Irak nel 750 circa, grazie anche ai contatti con la
Cina. La ricca tradizione port forse, nel 800, allimpiego dellinvetriata bianca
con decorazione azzurra, seguita dallintroduzione del verde e il marrone in aggiunta al bianco. Non mancano esempi di decorazione applicata o incisa nonch
linvetriata a lustro metallico. La ceramica con una manto invetriato appare nellarea Siro Giordana solo nel IX secolo come riflesso immediato della tradizione
mesopotamica.
Sulla stessa scia si inserisce il contributo di D. Orssaud: Les cramiques
glaure monocrome de Qalat Seman (VIIIe IXe sicles )(pp. 215-220).
Lo scavo del battistero di Qalat Seman ha restituito alcuni manufatti ceramici
invetriati simili a quelli scoperti ad Antiochia, Raqqa, Samara, Susa ed Egitto; i
frammenti sono datati allVIII o al IX secolo e la loro provenienza o fabbricazione
locale risulta ancora incerta.
La ceramica prodotta a Hira in Iraq, raccolta in una ricognizione di superficie, ha permesso di individuare diverse tipologie fabbricate dalla fine dellVIII
secolo sino a met del IX secolo. I manufatti ritenuti di pregio venivano esportati
a Susa e Samarra e alcuni recipienti avevano una decorazione incisa o applicata
a motivi geometrici o ornamenti fitomorfi (si veda M.O.Rousset, La cramique
de Hira dcor moul, incis ou appliqu. Techniques de fabrication et apreu
de la diffusion, pp. 221-230).
Lippodromo di Cerasa, edificato nel III secolo, venne destinato ad area
industriale nel VII secolo per la produzione di ceramica come si evince dalla

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

511

scoperta di numerose fornaci. I manufatti ivi scoperti, principalmente lucerne e


gli stampi in gesso per la loro produzione, rimandano al periodo tardo romano
bizantino IV e V secolo - (si rimanda a I. Kehrberg, Ceramic Lamp Production
in the 4th and Early 5th Centuries AD at the Hippodrome of Cerasa: an Empirical
Study, 231-239 ).
Lo studio presentato da Da Kosta affronta la questione relativa alla produzione
di lucerne nelle epoche bizantina ed islamica ponendo in primo piano limportanza
dello studio delle stesse essendo un fondamentale strumento per la datazione. LA.
presenta infatti una classificazione tipologica dei manufatti segnando anche la
loro distribuzione in Giordania (K. Da Kosta, Bizantine and Early islamic Lamps:
Typology and Distribution, pp. 240-257).
I manufatti ceramici scoperti nello scavo di Tell Jawa costituiti in prevalenza
da ceramica dipinta omayyade e lucerne sono stati oggetto dello studio presentato
da M. Daviau e M. Beckmann Umayyad Painted Pottery and Abbasid Period
Lamps at Tell Jawa: A Cronological Dilemma. I due studiosi presentano una
periodizazione delle tipologie in base ai contesti stratigrafici dello scavo e suggeriscono come data ultima il 750 d.C. suggerita in base allutilizzo della lingua
greca e non araba e la distruzione degli ambienti da un terremoto ascrivibile a
quellarco cronologico.
La ceramica da mensa fabbricata nellarea del Mediterraneo e rinvenuta
in varie localit nelle epoche bizantina ed islamica si divide in tre tipologie
principali: African Red Slip, Phocean Red Slip e Cypriot Red Slip. Si tratta di
tre varianti di terra sigillata che con le loro imitazioni locali circolano nellarea
siro-palestinese nel IV e nel V secolo ed offrono un utile elemento datante per i
depositi stratigrafici tardo antichi (si veda J.W. Hayes, Late Roman Fine Wares
and Their Successors: A Mediterranean Bizantine Perspective. With Reference
to the Syro-Jordanian Situation, pp. 275-287).
Lo scavo di una fornace di anfore del tipo Late Roman 1 a Pafos a Cipro
particolarmente interessante in quanto si tratta di una tipologia molto diffusa nel
Mediterraneo di cui per non era conosciuto il luogo di produzione (si rimanda
a S. Demesticha, D. Michaelides, The Excavations of a Late Roman 1 Amphora
Kiln in Paphos, pp. 290-296).
Lindagine archeologica svolta nel 1993 ad Aqaba Aila in Giordania ha portato alla luce una serie di fornaci collocate nellattuale centro abitativo adibite nel
VII secolo alla produzione di anfore. Tali anfore venivano utilizzate localmente
(nella Giordania meridionale) come si evince dai manufatti rinvenuti nei contesti
coevi nei siti di Humaima e Petra. Alla scoperta si associano altri materiali datati allepoca abbaside (D. Witcomb, Ceramic Production at Aqaba in the Early
Islamic Period, pp. 297-303).
La presenza della ceramica ad impasto chiaro detto anche Cream Ware (con
le sue tre varianti), ebbe una grande fortuna in epoca islamica: essa si riscontra
nellarea giordana, come da dati di scavo, a partire dalla fine del VII secolo e
venne prodotta sino allepoca Fatimida (Si veda A. Walmsley, Turning East.

512

RICERCA IN GIORDANIA

The Appearence of Islamic Cream Ware in Jordan: The End of Antiquity?,


pp. 305-313).
Da questa complessa e variegata panoramica si conferma la vitalit dei centri
di produzione di manufatti ceramici del Medio-Oriente in epoca islamica ed il
ruolo fondamentale assunto dalla cultura materiale nel quotidiano. Particolarmente interessante risultano essere le nuove tipologie e le tavole con le classifiche
tipologiche proposte in questa sede indubbiamente utili strumenti di lavoro. La
continuit di produzione e circolazione di materiale in epoca abbaside si conferma,
almeno nel caso della Giordania, per i soli centri urbani mentre risulta confermato
dai depositi stratigrafici scavati nei centri minori labbandono avvenuto proprio
nel IX secolo.
Basema Hamarneh
Antonio Almagro - Pedro Jimnez - Julio Navarro, El palacio omeya de Amman
III. Investigacin arqueolgica y restauracin 1989-1997, Escuela de estudios
rabes, CSIC Real Academia de Bellas Artes de Granada, Granada 2000, 366
pp., CD-ROM, El Alczar Omeya de Amman.
Quello preso in esame il terzo volume di una serie che raccoglie i risultati
dellattivit scientifica della Misin Arqueolgica Espaola sulla Cittadella di
Amman, condotta in due periodi: dal 1974 al 1981 da cui sono scaturiti i primi
due volumi de El Palacio Omeya de Amman: quello del 1983 sullo studio
architettonico e quello del 1985 sugli scavi archeologici e dal 1989 al 1997. Il
presente volume riguarda proprio lindagine archeologica e il restauro effettuati
in questo secondo periodo.
Dopo un primo breve capitolo di introduzione in cui si fa la cronistoria dellattivit svolta dalla MAE ad Amman e si ringraziano persone e istituzioni, si
passa ad una descrizione sintetica del piano urbanistico della cittadella in epoca
omayyade. La descrizione delle mura, della piazza delle strade e delle varie parti
corroborata da una serie di piante e sezioni ben dettagliate. Linteresse si concentra sulla piazza che viene descritta come uno spazio multifunzionale religioso,
politico ed economico, dal momento che si trova in mezzo ai due punti focali
della cittadella: la moschea e il palazzo (p. 24-25).
Per questo motivo il terzo capitolo si occupa proprio della grande piazza
trapezoidale che costituisce il centro dellimpianto urbano della cittadella. Ad una
descrizione dettagliata delle strutture murarie segue lanalisi dei dati archeologici
e la ricostruzione delle fasi che la riguardarono nel tempo. Una serie di sondaggi
interessarono il settore orientale della piazza e al termine di essi gli archeologi della
MAE poterono concludere che la piazza ebbe quattro diverse fasi di occupazione. La prima la fase di fondazione di grande splendore, quella ommayade, alla
quale segue un periodo di decadimento, coincidente con il terremoto del 749 e il

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

513

passaggio di potere dalla dinastia omayyade a quella abbaside. In questa seconda


fase la piazza viene invasa da una serie di strutture a carattere probabilmente di
fortificazione legate al vestibolo a nord. Una ulteriore fase coincide col periodo di
dominazione ayyubide e mamelucca tra il XIII e il XVI sec. Il carattere di fortificazione dato precedentemente a tutta la cittadella viene mantenuto e ulteriormente
accentuato. Nella zona est della piazza si costruisce una moschea e alcune stanze
legate ad essa. Una quarta fase viene indicata negli anni recenti. Infatti a partire
dagli anni 70 del secolo scorso lo spazio fu occupato dallesercito giordano, cosa
che comport la distruzione o contaminazione soprattutto delle fasi tardive delle
strutture pertinenti alla piazza (p. 37-38).
Il capitolo quarto riguarda la moschea omayyade, della quale viene data una
descrizione sommaria e proposta unipotesi ricostruttiva dellalzato. A questo proposito gli autori tengono a precisare che los restos de este edificio que han llegado
hasta nosotros son realmente escasos para poder establecer una reconstruccin
fidedigna del mismo, sobre todo porque el lugar ha sido notablemente alterado
tanto desde antiguo como en poca reciente, lo que ha supuesto la desaparicin
de elementos importantes de la mezquita e incluso de los proprios escombros,
cuyo volumen nos podra haber suministrado tambin datos respecto a las zonas
destruidas. Pese a todo, creemos necesario establecer unas hiptesis respecto a
la forma y disposicin de la cubricin del edificio que pueda as servir de base
a futuras discusiones (p. 45). La ricostruzione delle varie parti delledificio
viene presentata e analizzata nei suoi aspetti problematici mediante il confronto
con edifici simili dello stesso periodo e delle regioni vicine. Ledificio doveva
essere una sala ipostila quasi quadrata, di 33,60 m di lato, con la parte centrale
a cielo aperto avente al centro una cisterna, due file di colonne nei lati est, ovest
e nord, e tre file nel lato meridionale. A questo proposito non si capisce come
una moschea di questo tipo possa venire assimilata ad un modello a tre navate.
Ci viene espressamente fatto quando si tenta di trovare paralleli nelle moschee
contemporanee sostenendo che esta disposicin es la habitual en las mezquitas
tanto de Siria como del Iraq, contravvenendo quanto poco prima sostenuto,
cio che La sola contemplacin de la planta de la mezquita pone en evidencia
su clara diferenciacin con la mayora de las mezquitas que hoy conocemos del
perodo omeya en el rea de Siria, Jordania y Palestina (p. 57). Infine, per la
datazione della costruzione, viene proposto come per il palazzo un periodo che
va dal 709 al 730.
Dopo il quinto capitolo, che si sofferma sui dati archeologici dello scavo della
moschea, nel sesto si passa in rassegna il cosiddetto vestibolo, ledificio a cui
maggiormente si rivolto lintervento di restauro e consolidamento e che pi di
ogni altro colpisce e attira lattenzione del visitatore. Gli autori dopo aver spiegato
che quanto esposto non fa altro che integrare quanto gi detto e proposto nello
studio precedente pubblicato nel 1984, precisando che proprio grazie ai nuovi
dati di scavo si potuta meglio elaborare lipotesi ricostruttiva delledificio in
modo da programmare fattivamente lintervento strutturale, elencano e spiegano

514

RICERCA IN GIORDANIA

le scelte fatte. Riguardo agli elementi architettonici ricostruiti, tengono a precisare


che en general se han repuesto todos los elementos con forma conocida... en
ningn momento se han realizado nuevos relieves decorativos cuya disposicin
original era, por otro lado, totalmente aleatoria (p. 75). La scelta di costruire la
cupola centrale fu dovuta al desiderio di rendere lo spazio fruibile non solo per la
visita, ma anche per altri fini culturali. Bench si dia per certa lesistenza di una
cupola centrale a copertura del vestibolo, la cpula proyectada y construida no
ha pretendido ser ni lo ser en ningn momento, una rplica o copia de la original,
puesto que carecemos prcticamente de informacin sobre ella. Es una estructura
nueva, perfectamente diferenciada, que simplemente cumplir la funcin de cubrir
el espacio central... y de recrear, no en los detalles pero s en su idea general, lo
que fue el espacio interno de este edificio, integrndose adecuadamente desde
el punto de vista visual y estetico (p. 76). Il capitolo si conclude con lenumerazione dei motivi che hanno portato alla decisione di costruire la cupola e alla
descrizione della soluzione adottata in pratica.
Il settimo capitolo riguarda il bagno (hammam), rinvenuto nellarea a nord
est del vestibolo, le strutture ad esso annesse, in particolare la grande cisterna col
suo sistema di raccolta delle acque.
Lottavo e il nono sono dedicati ad un altro dei punti focali dellintervento
della MAE, cio al cosiddetto edificio f, lala del palazzo che si estendeva a nord
ovest del vestibolo. Questo edificio, scavato negli anni dall89 al 95 e composto da
una serie di spazi abitativi disposti attorno ad un cortile interno porticato, doveva
avere una funzione importante nella struttura del palazzo, composto da una serie
di nove edifici autonomi collegati tra loro mediante cortili e strade.
Tutto il decimo capitolo riguarda le novit apportate alla conoscenza dellarea
nord del palazzo, dove doveva trovarsi la residenza vera e propria dellemiro. I
nuovi dati archeologici hanno permesso di ricostruire con buona approssimazione
la pianta degli edifici.
Una trattazione dettagliata e a parte dellimpianto di raccolta e deposito delle
acque viene fatta nel capitolo undici.
Il capitolo dodici contiene una lunga analisi del materiale ceramico rinvenuto nel corso degli scavi. Dopo una divisione tipologica sono presentati, anche
mediante tavole grafiche, alcuni campioni ceramici divisi cronologicamente e
descritti in maniera sommaria. I periodi pi caratteristici sono sicuramente quelli
omayyade e abbaside, ma giusta attenzione prestata anche alla ceramica dei periodi successivi; infatti, dopo la ceramica fatimida, particolare rilievo viene dato
a quella del periodo ayyubide-mamelucco che viene definita pseudo-preistorica
o a mano con decoracin geomtrica pintada. Per questa ceramica si riconosce
come finora la bibliografia es an escasa e imprecisa, seguramente porque en
la mayor parte de los casos, los conjuntos publicados proceden de excavaciones
cuyos objetivos son casi siempre niveles ms antiguos. Dopo aver lamentato la
scarsa attenzione da parte degli archeologi nel classificare cronologicamente il
materiale di questi periodi e prima di tracciarne alcune caratteristiche comuni,

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

515

si ammette che resulta actualmente imposible diferenciar las producciones a


mano de uno y otro periodo en funcin de las caractersticas intrnsecas de las
cermicas, y que slo por el contexto somos capaces de definir los horizontes
ayyubis, mamelucos e incluso otomanos (p. 210).
Apprezzabile il tentativo da parte degli studiosi della MAE di evidenziare
la sutura tra i periodi omayyade e abbaside identificandola con il terremoto del
749, di cui hanno rinvenuto chiare evidenze stratigrafiche durante lo scavo della
cittadella. Tuttavia viene messo in rilievo anche il fatto che dal punto di vista
tipologico il passaggio risulta tuttaltro che immediato, in accordo con quanto
registrato negli altri scavi della regione. Su queste classi ceramiche viene fatta,
alla fine del capitolo, una analisi statistica da cui si evince come, nonostante il
catastrofico sisma del 749 a cui segu il passaggio di potere dalla dinastia omayyade
a quella abbaside, non vi sia soluzione di continuit nelle tipologie ceramiche che
continuarono ad essere praticamente le stesse per tutto lVIII secolo e solo nel
IX si cominciarono progressivamente ad imporre tipologie e motivi decorativi
provenienti dallarea mesopotamica.
Nel tredicesimo capitolo gli autori cercano di trarre le conclusioni generali
di quanto esposto fino a questo punto. Alla luce dei dati acquisiti con gli scavi
condotti dalla MAE sulla cittadella di Amman stato possibile non semplicemente
rivedere le conclusioni precedenti, quanto piuttosto avere una lettura complessiva
del piano urbanistico della cittadella in epoca omayyade. Mettendo assieme i dati
degli scavi degli anni 1989-97 con quelli di Almagro del 1985, e i pi antichi di
Lankaster Harding e Bennet, sabemos que la construccin del palacio omeya
sobre el solar romano y bizantino formaba parte de un proyeto urbanstico muy
amplio que comprenda, adems, una mezquita, espacios pblicos como la plaza
del zoco y la explanada oriental, la reestructuracin del callejero y la habilitacin
de reas residenciales (p. 219).
Volendo riassumere dal punto di vista cronologico, linizio della costruzione
del palazzo viene posto nella prima met dellVIII sec. e ledificio doveva essere
gi in uso nel 743-744, bench alcune parti dellimpianto urbano non vennero
mai completate, avendo subito la distruzione del terremoto del 749. Dopo il sisma e con lavvento della dinastia abbaside il palazzo, pur continuando ad essere
abitato, perdette la sua funzione amministrativa. Lo que era una construccin
ulica, destinada a actividades protocolarias y administrativas fue ocupada y
someramente reacondicionada por gentes humildes que construyeron sus modestas viviendas en el interior de la antigua sede del gobierno (p. 231). Nei secoli
successivi si ebbero dei restauri sporadici delle strutture abitative fino ad arrivare
al XII-XIII sec., quando vi fu labbandono definitivo della cittadella di Amman.
Gli autori vengono cos a trovarsi daccordo con quelli che sono i risultati degli
scavi archeologici pi recenti, compresi i nostri ad Umm al-Rasas e nella regione
del Nebo, che non vedono soluzione di continuit nel passaggio dalla dinastia
omayyade a quella abasside. Tale passaggio non signific una repentina crisi
dellarea siro-palestinese, come dimostrano anche gli scavi della cittadella di

516

RICERCA IN GIORDANIA

Amman; dove nonostante il devastante terremoto del 749 si continu ad abitare


ancora per molti anni, anche se il palazzo aveva perso la funzione amministrativa
per cui era stato originariamente concepito.
A complemento del volume viene fornito un cd-rom contenente la documentazione digitale e la ricostruzione tridimensionale degli edifici studiati e ricostruiti
dal MAE. Il materiale elaborato con AutoCAD e 3DStudio purtroppo fruibile
in buona parte solo su piattaforma Wintel.
Oltre a questa limitazione, imperfezioni da notare nelledizione del volume
sono quelle riguardanti la resa grafica delle parole in arabo traslitterate e lassenza
di una descrizione dei singoli elementi ceramici presentati nelle tavole.
Per il resto il volume rappresenta uneccellente opera di sintesi del lavoro di
scavo e restauro condotto per decenni dalla MAE e una esauriente spiegazione
dei criteri di conservazione e restauro adottati sul campo, i cui risultati sono apprezzabili da chiunque oggi si reca in visita sulla cittadella di Amman.
Carmelo Pappalardo

RECENSIONI E LIBRI RICEVUTI

LA 52 (2002) 517-606

RECENSIONI

Munro I. Das Totenbuch des Bak-su (pKM 1970.


37/pBrocklehurst) aus der Zeit Amenophis II
(A. Niccacci)

521

Lscher B. Das Totenbuch pBerlin P. 10477 aus Achmim


(mit Photographien des verwandten pHidelsheim
5248) (A. Niccacci)
521
Munro I. Das Totenbuch des Pa-en-nesti-taui aus der
Regierungszeit des Amenemope (pLondon
BM 10064) (A. Niccacci)
Beinlich H. Das Buch vom Ba (A. Niccacci)
Shimasaki K. Focus Structure in Biblical Hebrew. A Study of
Word Order and Information Structure
(A. Niccacci)
Del Barco
del Barco F. J. Profeca y sintaxis. El uso de las formas
verbales en los Profetas Menores preexlicos
(A. Niccacci)

521
521

523

534

Calduch-Benages N.
Ferrer J.
Liesen J. La Sabidura del escriba/Wisdom of the Scribe
(M. Pazzini)

540

Jobes K. H.
Silva M. Invitation to the Septuagint (R. Pierri)

542

Auwers J.-M.
Wnin A. (ed.) Lectures et rlectures de la Bible. Festschrift
P.-M. Bogaert (N. Casalini)

556

Adinolfi M. A tavola con Ges di Nazaret (G. C. Bottini)

559

Adinolfi M. A tavola. Venti donne della Bibbia raccontano


(G. C. Bottini)

559

520

RECENSIONI

Donahue J.R.
Harrington D.J. The Gospel of Mark (N. Casalini)
France R. T. The Gospel of Mark. A Commentary
on the Greek Text (N. Casalini)

561
564

Black C.C. Mark. Images of an Apostolic Interpreter


(N. Casalini)

567

Testa E.N. Ges vero uomo figlio di Maria (A. Niccacci)

571

Porter S.E.
Cross A.R. (ed.) Baptism, the New Testament and Church.
Historical and Contemporary Studies in Honour
of R.E.O. White (N. Casalini)

575

Baumert N. Charisma - Taufe - Geisttaufe (N. Casalini)

579

Boismard M.-. Le baptme chrtien selon le Nouveau


Testament (N. Casalini)
Tezel A. Comparative Etymological Studies in the Western
Neo-Syriac (Tury) Lexicon (M. Pazzini)
Vergani E.
Chial S. (ed.) Le ricchezze spirituali delle Chiese sire.
(M. Pazzini)

585
587

589

Grontius La Vie latine de sainte Mlanie (G.A. Guazzelli) 591


Dauphin C. La Palestine byzantine. Peuplement et Population
(M. Piccirillo)
595
Strus A. (ed.) Khirbet Fattir - Bet Jemal. Two Ancient Jewish
and Christian Sites in Israel (M. Piccirillo)

598

MUNRO I.

DAS TOTENBUCH DES BAK-SU

521

Munro Irmtraut, Das Totenbuch des Bak-su (pKM 1970.37/pBrocklehurst)


aus der Zeit Amenophis II. (Handschriften des Altgyptischen Totenbuches,
Band 2), Harrassowitz Verlag, Wiesbaden 1995, VII-28 pp., 8 Photo-Tafeln,
13 Umschrift-Tafeln, 39.00.
Lscher Barbara, Das Totenbuch pBerlin P. 10477 aus Achmim (mit Photographien des verwandten pHidelsheim 5248). Mit Beitrgen von Ursula
Rler-Khler und Maria-Theresia Derchain-Urtel (Handschriften des
Altgyptischen Totenbuches, Band 6), Harrassowitz Verlag, Wiesbaden 2000,
IX-50 pp., 39 Photo-Tafeln, 33 Synopse Tb 1 der Achmimer Gruppe-Tafeln,
29 Umschrift-Tafeln, 114.00.
Munro Irmtraut, Das Totenbuch des Pa-en-nesti-taui aus der Regierungszeit
des Amenemope (pLondon BM 10064) (Handschriften des Altgyptischen
Totenbuches, Band 7), Harrassowitz Verlag, Wiesbaden IX-71 pp., 69
Umschrift-Tafeln, CD-ROM s/w-Photos, 108.00.
Beinlich Horst, Das Buch vom Ba (Studien zum Altgyptischen Totenbuch,
hrsg. U. Rler-Khler - H.-J. Thissen, Band 4), Harrassowitz Verlag,
Wiesbaden 2000, 77 pp., 14 tavole non numerate in bianco e nero e a colori,
DM 128.
Ho il piacere di presentare tre volumi della serie Handschriften des Altgyptischen Totenbuches, dopo averne presentato altri tre nella presente rivista, vol.
48 (1998) 566-567. Va avanti cos il progetto delle universit di Bonn e di Kln
di curare una nuova pubblicazione del testo Libro dei Morti (LdM) dal Nuovo
Impero al Periodo Romano. Come i precedenti volumi, la nuova edizione accorda la precedenza ai manoscritti datati o databili con buona sicurezza, soprattutto
posteriori al Nuovo Impero. Lintenzione che questi manoscritti costituiscano
la griglia entro la quale poi potranno venire collocati i testi non datati.
Come nei casi precedenti, non si tratta di unedizione completa dei testi,
con traduzione e commento, ma di una descrizione dellordine e della disposizione del materiale, con annotazioni al testo e generali sui vari papiri: misure,
materiale, stato di conservazione, descrizione, disposizione dello scritto, vignette, colore utilizzato, titoli e nome dei possessori, carattere della scrittura.
Bak-su era sacerdote per il culto di Amenofi I (XVIII din.) in un tempio di
Tebe. Il suo papiro ha 253 righe, con 25 detti o capitoli, scritti in geroglifico
corsivo con qualche segno ieratico. Nelledizione di questo papiro, cos anche
degli altri della serie, le annotazioni al testo sono contrassegnate con delle
lettere che rimandano alle tavole di trascrizione. Vengono indicati i paralleli
da altri papiri della XVIII din. (siglati in base alla lista stabilita da I. Munro,
Untersuchungen zu ben Totenbuch-Papyri der 18. Dynastie. Kriterien ihrer
Datierung, London - New York 1987). La provenienza del papiro da Tebe si

522

RECENSIONI

deduce dai titoli del proprietario, che era addetto al culto funerario nel tempio
di Amenofi I in quella citt, e dalle somiglianze con papiri tebani. Dato che a
volte si trova dello spazio vuoto destinato a inserire titolo e nome del proprietario, si capisce che il papiro non fu prodotto su commissione diretta.
Lscher pubblica, insieme al pBerlin P. 10477, anche la fotografia di un
esemplare molto simile, il pHidelsheim 5248. Il pBerlin fa parte di un gruppo
speciale composto di sei papiri provenienti da Achmim. Due di essi sono stati gi
pubblicati e altri due sono in corso di pubblicazione a cura di M. Mosher Jr.
Prima del LdM nel pBerlin si trovano dei testi chiamati Libro del Ba,
testi che non appartengono al LdM, ma costituiscono un gruppo ancora ignoto
che ha paralleli solo nel molto simile pMacGregor. Questi testi sono pubblicati
in foto soltanto (tavv. 1-3) nel volume di Lscher, mentre la pubblicazione
completa affidata a Horst Beinlich (vedi infra).
Delle grandi vignette dividono il testo del pBerlin in 9 sezioni che pi o
meno si corrispondono nei 6 manoscritti del gruppo di Achmim. Il pBerlin,
appartenente ad una donna di nome Nfr-jj-n<j>, di cui non si d alcun titolo,
risulta scritto almeno da due mani diverse. Lo studio di Lscher, oltre la solita
descrizione del papiro, aggiunge una concordanza tra il pBerlin e il pTurin
(p. 30). Seguono altri indici, in particolare quello delle sequenze dei detti e
delle sezioni nel gruppo di Achmim (pp. 32-34). Il volume comprende, oltre la
trascrizione del pBerlin, anche una sinossi del LdM 17 del gruppo di Achmim
(33 fogli).
Il volume di Lscher include anche un contributo di Rler-Khler sulla
storia della trasmissione del LdM 17 (pp. 35-43) e uno di Derchain-Urtel sulla
datazione (pp. 44-45). Rler-Khler traccia la storia della trasmissione del
cap. 17 del LdM dalla XXI-XXII din. fino allepoca tolemaica, a cui appartiene
il prototipo (Vorlage) del gruppo di Achmim, il quale per ha anche dei legami
con testimoni pi antichi di area tebana. I due papiri pBerlin e pMacGregor,
in particolare, risalgono indipendentemente ad una comune Vorlage. Secondo
Derchain-Urtel, il pBerlin databile con ogni probabilit per motivi di grafia
(forma dei segni e scritture) nel periodo romano, verso la fine del I sec. d.C.,
che il periodo pi tardivo della tradizione del LdM, mentre prima lo stesso
papiro veniva datato fra il III e il I sec. a.C. Il confronto con altri papiri rivela
nel gruppo di Achmim una serie di caratteristiche omogenee: varianti di grafia,
scambio di geroglifici simili, corruzioni di diversi modi, omissioni e inversioni,
fenomeni che forse erano gi presenti nella Vorlage.
Il papiro pi consistente (oltre 14 metri, 51 colonne) quello di Pa-ennesti-taui, pubblicato da Munro, che presenta un LdM completo, precisamente
datato nel regno di Amenemope, con indicazione di anno, mese e persino
giorno, anche se la curatrice si contenta di darne la trascrizione senza altra
precisazione (p. 68). Purtroppo la prima parte del LdM (coll. 1-30) rovinata
e in genere il papiro di difficile lettura essendo molto annerito. scritto in
geroglifico ieratico eccetto un passo in geroglifico vero e proprio (nella vignet-

SHIMASAKI K.

FOCUS STRUCTURE IN BIBLICAL HEBREW

523

ta del LdM 125 B, discorso di Thot). Il colore rosso usato in abbondanza


nei titoli, formule di saluto, di introduzione, osservazioni per la recitazione,
ecc. Dal punto di vista della grafia, il papiro risulta scritto direttamente per il
proprietario da un solo scriba.
Diversamente dagli altri, il volume sul papiro di Pa-en-nesti-taui non ha le
tavole delle foto, che sono per contenute nel CD accluso.
Il titolo Libro del Ba (LdB) stato attribuito dalleditore Beinlich, dato
che il testo non ha un titolo nelloriginale. Il LdB si trova allinizio del pBerlin
10477 ma non fa parte del LdM. Per Beinlich non si tratta di una raccolta di
detti riguardanti il Ba, cio lanima del defunto rappresentata sotto forma di un
uccello, ma appunto di un libro che sviluppa un concetto unitario.
Un testo quasi identico del LdB si trova nel papiro del LdM 525 della
collezione MacGregor. Ambedue le versioni provengono probabilmente da
Achmim e sembrano contemporanee. Il testo praticamente uguale nei due
papiri, ma nella versione MacGregor mancano delle parti abbastanza lunghe.
Dal confronto e anche dal fatto che il LdM 17 del pBerlin contiene un testo
che sembra appartenere al LdB, Beinlich conclude che questultimo libro non
ci pervenuto per intero. C la possibilit che altri passi vengano alla luce
nel futuro.
Beinlich ritiene che il LdB abbia avuto una lunga storia di trasmissione, il
che ha dato origine ad una serie di sbagli e omissioni. A questo si aggiungono
difficolt pratiche di rendere con il font elettronico Glyph la forma e la disposizione dei segni delloriginale.
La traduzione , a detta dellautore, problematica. stata offerta comunque
al mondo degli specialisti in vista di migliori proposte.
Alviero Niccacci, ofm
Shimasaki Katsuomi, Focus Structure in Biblical Hebrew. A Study of Word
Order and Information Structure, Bethesda, Maryland CDL 2002, XVI + 314
pp., $ 35.
The word order in Biblical Hebrew has not been one of the central issues of
grammarians in the past. However, the picture has started to change in the past
two decades. The achievements of text linguistics, functional grammar, and information-structure analysis have brought this issue to the forefront of arguments on
syntax. Discussion and research have demonstrated significant advances in the study of word order. Nonetheless, the problem is controversial. This is partly because
the variety of linguistic models and methodologies that have been adapted have
not always produced agreement. This work attempts to shed light on this issue
by propounding a new theory of focus structure to answer some of the questions
raised by past studies of word order.

524

RECENSIONI

This statement quoted from the inside cover of the book (partly also found
in the Preface, p. v) clearly asserts the main issue of Shimasakis study. The
author begins by surveying earlier studies: before the 1970s (esp. Gesenius
- Kautzsch - Cowleys grammar), in the 1970s and 1980s (Joon - Muraoka,
F.I. Andersen, J. Hoftijzer, and T. Muraoka), in the early 1990s (E.J. Revell,
A. Niccacci), and towards the close of the 1990s (esp. C.L. Miller, and C.H.J.
van der Merwe). From these studies, the author retains some positive points: a
single approach to the analysis of both nominal and verbal clauses, instead of
analyzing them as separate structures as is mostly done; the primary focus
or significance belonging to the clause-initial position as a writers strategy
of drawing the readers attention; a third type of clause, besides those of classification and identification, called presentative.
Shimasaki further notes an increasing interest in discourse functions,
functional grammar (W. Gross, C.H.J. van der Merwe) and macro-structural
grammar (R.E. Longacre). Concerning the last approach, Shimasaki remarks:
It appears at first glance that the gap between traditional bottom-up grammar
and this new type of top-down discourse grammar is unreconcilably large.
Nevertheless, we may observe some changes among Hebraists since then (p.
25). Among the most recent research attempts to bridge the gap between the
two (the traditional bottom-up approaches and the macrostructure/foregroundbackground theory), Shimasaki mentions those of Y. Endo, The Verbal System
of Classical Hebrew in the Joseph Story, Assen 1996 (on this one may consult
my book review in LA 46, 1996, 434-441), and of R. Buth in: W.R. Bodine
(ed.), Discourse Analysis of Biblical Literature, Atlanta GA 1995, 77-102.
Later, I will return to the problem of the bottom-up vs. top-down approach.
Shimasaki clearly states the purpose, methodology, data, limitations and
plan of his study (pp. 30-36). The purpose is to discover 1) the underlying
principle of word order in both nominal and verbal clauses, 2) the role of the
clause-initial position, and 3) the functional difference of the various word
orders (SP/PS, where S = subject, and P = predicate; and XV/VX, where XV
= verb in the second position of the sentence, VX = verb in initial position,
and X = argument, a term that covers subject, object, and any complement,
adverbs and adverbial phrases). Methodologically, Shimasaki 1) analyzes the
functional difference between the so-called allo-clauses, viz. clauses with the
same components but in a different word order; 2) he adopts the triadic model
of sentence analysis, viz. classificational (type PX), identificational (type XP),
and presentative clauses (type XP); 3) he analyzes both nominal and verbal
clauses together, as well as 4) inter-clausal and text-unit level phenomena; 5)
he employs an information-structure analysis; 6) he takes into account previous
studies on verbal clause. Further, (a) Shimasakis method is cross-discourse
type, in the sense that he analyzes all kinds of literary genres and text-units,
viz. narratives, songs, commands, instructions for building, reported speeches,
and legal texts (p. 32). Finally, (b) Our approach is synchronic (c) We
presuppose that a language is polysystemic (d) A linguistic theory is pro-

SHIMASAKI K.

FOCUS STRUCTURE IN BIBLICAL HEBREW

525

visional (e) A language theory is probabilistic, viz. stating what is usually


the case but not always (pp. 32-33).
Shimasaki also defines the amount of data to analyze. For the nominal
clause he uses examples from Andersens Verbless Clause, but limits himself to
the two-member cases (with subject and predicate) as listed in the Appendix A
at the end of the volume. For the verbal clauses, he treats the examples quoted
by the main grammarians; see Appendix B. A special treatment, with an analysis of each clause, is devoted to Deut 4:4411:32 in Appendix C with the intention of testing his own theory in one continuous corpus. The appendixes are
preceded by an Excursus on extraposition or casus pendens (pp. 245-249).
In chapter III, Shimasaki presents his hypothesis. He combines the theory
of the three focus structure posited by K. Lambrecht, Information Structure
and Sentence Form, Cambridge 1994, with the already-mentioned triadic
model of clause structure that he adopts, with modifications (see pp. 17-20),
from my paper Types and Functions of the Nominal Sentence, in: C.L.
Miller (ed.), The Verbless Clause in Biblical Hebrew. Linguistics Approaches,
Winona Lake IN 1999, 215-248. The three types are as follows: 1) predicatefocus structure or predicative clause, equivalent to what I called unmarked
or plain predicative sentence; 2) argument-focus structure or identificational
clause, equivalent to marked predicative sentence; and 3) clause-focus
structure or presentative clause, equivalent to marked nonpredicative sentence. In type 1 only the predicate is focused, in type 2 only the argument,
and in type 3 both the predicate and the argument are focused. Shimasaki
illustrates the three types with examples from modern languages (English,
Japanese, German, French, Korean, Italian, and others) as well as from the
Akkadian from Byblos.
An example for each type may help understand what is meant. For 1)
predicate-focus structure Shimasaki quotes, among other examples, Exod 33:
3, for 2) argument-focus structure, Judg 1:1 (actually 1:1-2), and for 3) clausefocus structure, Exod 6:6 (p. 59):
1) hD;tAa PrOo_hEvVq_MAo
2) (wnD;l_hRlSoy yIm)

hRlSoy hdwhy

3) hwhy ynSa

You are an obstinate people.


(Who will be the first to go up?)
Judah is to go.
I am YHWH.

Shimasaki schematizes the three structures as follows (p. 60; note: capital
letters represent focused elements; P = predicate; X = argument):
FOCUS STRUCTURE
Predicate Focus
Argument Focus
Clause Focus

WORD ORDER
Px
Xp
XP

FUNCTION
Commenting
Identification
other pragmatic functions.

526

RECENSIONI

The situation is rather complex because only in the first type, according to
Shimasaki, one finds the relationship topic-comment or argument-predicate. To
overcome this difficulty and to adopt a unified terminology, the author introduces
the category of pragmatic predicate and pragmatic subject (pp. 60-62). Unfortunately, the exact meaning and purpose of this category is rather obscure to me.
Just as obscure, and possibly somehow arbitrary, at least in my view, is the
relationship established by Shimasaki between contrast, emphasis, and focus,
to which the whole of chapter IV is devoted. Briefly,
Emphasis, which is stress or emotional outflow, can be expressed by various means,
such as intensification and contrast (p. 82); Only the focused element may be
contrasted or intensified (loud voice). Focus is a prerequisite for both contrast and
intensification. Contrast is made possible not by fronting but only by the presence
of contrastive members. Contrast does not belong to syntax but to contextual implicatures. Intensification does not belong to syntax but to prosody. Therefore, in
the written form, detection of intensification is highly subjective, unless explicitly
specified (p. 83).

It is not clear to me, among other things, how to interpret the assertion that,
on the one hand, focus is a prerequisite for contrast and, on the other, contrast
is not made possible by fronting, because, as we read elsewhere, Biblical
Hebrew uses word order for focus and the clause-initial position is marked
for focus (p. 42). In my view there is a need for some reference to grammar
and syntax in order to test the validity of this kind of analysis.
The three types of focus structures are dealt with one after the other in
chapters V-VII. However, from this reading I did not learn much more than
what had been concisely outlined in chapter III. The same can be said of
chapters VIII on Parallel Construction and List Structure, IX on Some
Problems for the Theory of Focus Structure, and X on Exceptions. I will
only mention a couple of points. Shimasaki questions, rightly in my view, R.
Buths opinion that the normal or underlying order in nominal clauses is
Subject-Predicate, just as he understands VSO [viz. Verb-Subject-Object] as
normal (p. 121), although Shimasakis five reasons for his critique may not
all have the same weight (pp. 122-130).
Another more complex point concerns what Shimasaki calls argument-focus structure (chapter V). The author rightly observes that the clause sequence
XP, viz. a sentence with the predicate in the second position, is more complicated than the sequence PX, viz. a sentence with the predicate in first position.
The reason is that the XP sequence is common to two different types of clause,
viz. the argument-focus structure and the clause-focus structure.
As already mentioned, this triadic model corresponds to my classification
in Types and Functions of the Nominal Sentence, 245-248 (see Shimasakis
discussion in p. 134, note 1). In that paper I qualified the argument-focus

SHIMASAKI K.

FOCUS STRUCTURE IN BIBLICAL HEBREW

527

structure as marked predicative sentence, and the clause-focus structure as


marked nonpredicative sentence. I called them both marked, because they
differ from the grammatically unmarked or plain word order in the predicative sentence, both verbal and nonverbal, which is predicate-subject. Instead,
in the marked types the order is reversed, in the sense that the element that
is expected to function as the predicate, viz. the finite verb in a verbal sentence
and the (in Aristotelian terms) universal term in a nonverbal sentence, comes
in second position, while the first position is filled by a term that is expected to
function as subject or object or complement (see my paper Simple Nominal
Clause [SNC] or Verbless Clause in Biblical Hebrew Prose, ZAH 6, 1993,
216-227).
The two marked patterns differ in one decisive point, viz. one is predicative while the other is nonpredicative. This means that in the former case
the non-verbal element that precedes the natural predicate (verb or universal
term) is the new information in the sentence; therefore, it is syntactically promoted to the role of predicate, while the natural predicate is syntactically
demoted to the role of support of the new information, and actually functions as the sub-ject. Differently, in the marked nonpredicative sentence
the non-verbal element that precedes the finite verb does not become the
predicate because it does not represent the new information, but the verb is
simply demoted and the sentence as a whole becomes syntactically dependent
on another main sentence even though no grammatical subordinating particle
(like yI;k, AoAmVl, rRvSa, etc.) is present.
This exchange of roles between subject and predicate is difficult to
accept (see Shimasakis note 21, p. 18) only if one remains tied to the
idea that the verb is always and necessarily the predicate and a nonverbal
element is always and necessarily the subject or object or complement. But
this is not the case. Actually a similar exchange of roles occurs in every
language, and each language has it own means to express it. A well-known
syntactical means of this kind is the so-called cleft sentence; e.g., using an
example given by Shimasaki (p. 42), the unmarked, plain sentence John
[grammatical subject] broke [grammatical predicate] the window [grammatical direct object] can become a marked, cleft sentence: It is John
[proper name promoted to the function of new information, or syntactical
predicate] who broke the window [nominalized verb functioning as the
support of the new information, or syntactical subject]; or else, It is
the window [object promoted to the function of syntactical predicate] that
John broke (nominalized subject + verb clause functioning as syntactical
subject).
An example for each of the three types of sentence outlined above may
help understand an otherwise cryptic exposition and test Shimasakis approach.
The first and the second types of sentence occur together in Gen 1:27 while
the first and the third occur in Gen 1:5:

528

RECENSIONI

(a) wmVlAxV;b MdDaDh_tRa MyIhlTa arVbyw So God created man in His image
(b) wtOa arD;b MyIhlTa MRlRxV;b
It is in the image of God that He created him;
(c) MDtOa arD;b hDbqnw rDkz
it is male and female that He created them
(a) Mwy rwaDl MyIhlTa arVqyw
(b) hDlyDl arq JKRvOjAlw

(Gen 1:27).
And God called the light day
while the darkness he called night (Gen 1:5).

Unit (a) of Gen 1:27 is an unmarked predicative sentence. Every constituent plays its expected role and the word order is plain or normal, viz.
predicate-subject-complement. The sentence communicates a piece of information on the narrative main line represented by wayyiqtol as is usual in historical
narrative. On the other hand, units (b-c) show similar constituents (to create,
God, man in His image = man and female) but in a different word order, viz.
complement (MyIhlTa MRlRxV;b and hDbqnw rDkz, respectively) - predicate-object. Units
(b-c) are marked sentences because the verb does not occur in the first place
as expected; further, they are predicative sentences because they highlight
and explain the meaning of in His image, viz. even in the image of God //
male and female. Therefore, the non verbal elements that occur in the first
place of sentences (b-c) are promoted to the role of new information or the
syntactical predicate.
Unit (a) of Gen 1:5 is also an unmarked predicative sentence, while unit
(b) is a marked sentence because the verb does not occur in the first place
as expected. However, differently from Gen 1:27, the fronted complement in
(b) does not receive any special emphasis or prominence; in other words,
the pair darkness-light does not become the new information or the predicate
but simply contrasts the pair light-day present in unit (a). Therefore, unit (b)
is a nonpredicative sentence. From the point of view of communication, unit
(a) represents a main-line piece of information while unit (b) a secondary-line
or off-line piece of information. This can be confirmed negatively. If unit (b)
were *hDlyDl JKRvOjAl arVqyw like unit (a), the translation would be: (a) And God
called the light day, (b) and then he called the darkness night. In that case,
both pieces of information would be communicated on the main line; they
would be syntactically coordinate one to the other and semantically sequential. The change from (a) wayyiqtol-x to (b) waw-x-qatal signals a change
from main-line verb form to secondary-line verb form or from foreground to
background information. This means that unit (b) cannot stand alone in a text
just as its English translation while the darkness he called night cannot; it
is syntactically dependent on unit (a) although no grammatical subordinating
particle is present.
It is crucial to note that the marked or nonmarked character of the sentence depends on the position of the finite verb in the sentence, first or second,
respectively. Basically this fact is accepted by Shimasaki. What he does not
accept is the assumption that this change in the position of the finite verb con-

SHIMASAKI K.

FOCUS STRUCTURE IN BIBLICAL HEBREW

529

stitutes a different type of sentence. According to him the fronting only gives
some kind of prominence to the constituent involved but it does not change the
syntactical status of the sentence. Indeed, syntactical analysis is almost absent
from Shimasakis study.
The third type of sentence, viz. Shimasakis clause-focus structure,
and my marked nonpredicative sentence, comprises, besides off-line
constructions similar to unit (b) in Gen 1:5 above, also the presentative
sentence such as hwhy ynSa I am the Lord. Actually, Shimasaki qualifies his
clause-focus structure as presentative although in his view it also includes
background or off-line information [with] connotations of anteriority,
simultaneity, and so on depending upon its context (contents and grammar),
just as a circumstantial clause may (p. 175). A divergence between us is
that Shimasaki posits no difference between presentative and circumstantial
clause, while for me they are syntactically different although they exhibit the
same grammatical structure (subject-predicate), in the sense that the former
is an independent sentence while the second, with all its semantic specifications, is dependent.
This divergence is visible throughout Shimasakis exposition and basically goes back to a different methodological approach that the author himself
qualifies as traditional bottom-up grammar and new type of top-down discourse grammar (p. 25). I have already expressed my reservations regarding
R.E. Longacres top-down approach; see my paper On the Hebrew Verbal
System, in: R.D. Bergen (ed.), Biblical Hebrew and Discourse Linguistics,
Dallas 1994, 117-137, esp. 117-118. I think that similar reservations are also
valid for Shimasakis approach, which, on the one hand, is based in previous
syntactic studies but, on the other, almost exclusively proceeds according to
general-linguistic and literary criteria.
It may be useful to briefly outline what I believe to be the correct procedure. The first step is to identify the different grammatical structures attested in the texts, e.g. the structure verb-x (viz. verb in initial position) and
x-verb (viz. verb in the second position). The second step is to determine the
syntactic function of each structure in relationship to other structures and its
respective role on the level of communication main line or off line. The
third step is to check how the different types of sentence shape a text its
beginning, its development through an interaction of main-line and off-line
constructions, until its end. It is important to note that the grammatical level
is the basis and that the syntactical and the textual levels need to be based on
it, one after the other.
What has been said of sentences with a finite verb also applies to sentences without a finite verb by substituting predicate (or universal term)
for verb and subject/any complement (or particular term) for x, as
explained in my paper mentioned above, Simple Nominal Clause [SNC] or
Verbless Clause in Biblical Hebrew Prose.

530

RECENSIONI

The approach outlined here is thus bottom-up but it is not limited to the
sentence level as traditional grammars are. Actually, a top-down approach is
appropriate for languages of which we are competent speakers. Since this is not
the case with Biblical Hebrew, we need to adopt the approach described above:
first to identify the different basic structures by grammatical analysis (subject,
predicate, and various complements), then try to understand their individual syntactic function(s) in relation to other structures in different contexts, and finally
to see how they interrelate in a coherent unit called text. Otherwise we run the
risk of disregarding the actual structures of the language and superimposing an
analysis based on general linguistics, which can help but can also mislead, or one
based on translation into modern languages and personal interpretation.
A certain mistrust in grammatical analysis is patent in the following remark by Shimasaki: Another obstacle [for the argument-focus structure to
be considered as an independent clause type] has been the tendency among
scholars to define this clause type using grammatical terms, such as SV [viz.
subject-verb]. A functional approach from an integrated information structure
perspective that considers given-new, the scale of definiteness, and focus
is needed to analyze properly this particular type (p. 134). Indeed, it is hardly
understandable how the use of grammatical terms could possibly be an obstacle
to proper analysis, unless of course they are used in an inappropriate way; but,
I suppose, this can be the case with every kind of terminology.
Shimasaki shows a similar mistrust in his treatment of argument and
predicate (pp. 44-46). He avoids the term subject and uses argument
instead and observes:
Our definition of argument and predicate is not grammatical, but pragmatic
Subject and object, on the other hand, are not pragmatic, but grammatical terms
that are determined usually by grammatical construction, such as active and passivebut both are arguments in our pragmatic definition. It should be noted that
we have made a distinction between pragmatic and grammatical term. Lambrechts
pragmatic definition of argument, is controversial and may be too broad. However, its advantage for understanding pragmatic aspects of Hebrew sentence structure cannot be denied. For example, Deut 6:4 ( omv) has been problematic because
its analysis has been dependent on grammatical terms: subject and predicate.
The use of pragmatic terminology seems to contribute to a better understanding
of this passage (p. 46).

Encouraged by this observation, I jumped to the analysis of Deut 6:4 in


pp. 196-197 but what I found did not meet my expectations. Shimasaki simply adopts one of the five possible interpretations of the text that have been
proposed, viz. YHWH is our God, YHWH is one, and analyzes each of the
two sentences as Clause-Focus Parallel Construction. However, the same
interpretation is achieved with the analysis of the two sentences as presenta-

SHIMASAKI K.

FOCUS STRUCTURE IN BIBLICAL HEBREW

531

tive, showing the pattern subject-predicate exactly like hwhy ynSa I am the Lord
mentioned above.
In the course of the exposition, the gap between Shimasakis pragmatic
analysis, on the one hand, and grammatical and syntactical analysis, on the
other, seems to become increasingly wider. A few examples may suffice to illustrate this gap. To demonstrate his idea of focus by word order, an idea that
I agree with, he gives a couple of good examples of a fronted predicate (pp.
56-57):

MR;tAa NyAaEm yAjAa


wnVjnSa NrDjEm
hD;tDa_yIm
yIkOnDa yIqElDmSo

My brothers, where are you from?


We are from Haran (Gen 29:4);
Who are you?
I am an Amalekite (2Sam 1:8).

Then Shimasaki gives two examples of fronted argument. One is Judg 1:1
(actually 1:1-2), already mentioned above:

wnD;l_hRlSoy yIm
hRlSoy hdwhy

Who will be the first to go up?


Judah is to go.

The other is Judg 6:29:

hzAh rDb;dAh hDcDo yIm


Who did this?
hzAh rDb;dAh hDcDo vDawy_NR;b Nwodg Gideon, son of Joash, did it.
One may ask a question at this point: Why are the elements underlined in
Gen 29:4 and 2Sam 1:8 predicates whereas the elements underlined in Judg 1:
1 and 6:29 are arguments? The four examples are all specific x-questions and
replies to specific x-questions; as such, in all of them the fronted underlined
element is the new information and the syntactic predicate, although grammatically it is a complement or a subject (or else an object). The only reason
that one can imagine for Shimasakis analysis is interpretation: the former two
underlined elements are qualified as predicates because the following sentence
(viz. the answer) provides a comment to them; on the contrary, the latter two
underlined elements are qualified as arguments because the second sentence
identifies them. But, even in this semantic perspective, why can it not be said
that the second sentence in Gen 29:4 and in 2Sam 1:8 identifies the argument
of the first?
The correspondence between question and answer in specific x-questions
is one of the most instructive settings to learn about word order and syntactic
analysis of the sentence. To the examples mentioned above, one can add Judg
15:10 (analyzed by Shimasaki on p. 135: Why have you come up against us?
We have come up to bind Samson) and also Judg 20:18, similar to Judg 1:1,

532

RECENSIONI

and Judg 15:6, similar to Judg 6:29 (see my Syntax of the Verb 6, p. 27).
Here is the list of examples showing how question (a) and answer (b) follow
the same pattern:
1) Gen 24: 9
2) 2Sam 1:8
3) Judg 1:1-2
4) Judg 20:18
5) Judg 6:29
6) Judg 15:6
7) Judg 15:10

(2) SUBJECT
(a)
(b)
(a)
(b)
(a)
(b)
(a)
(b)
(a)
(b)
(a)
(b)
(a)
(b)

MR;tAa
wnVjnSa
hD;tDa
yIkOnDa
wnD;l_hRlSoy
hRlSoy
wnD;l_hRlSoy

hzAh rDb;dAh hDcDo


hzAh rDb;dAh hDcDo
taz hDcDo

wnyElDo MRtyIlSo
wnyIlDo

(1) PREDICATE

NyAaEm
NrDjEm
_yIm
yIqElDmSo
yIm
hdwhy
yIm
hdwhy
yIm
vDawy_NR;b Nwodg
yIm
ynVmI;tAh NAtSj NwvVmIv
hDmDl
NwvVmIv_tRa rwsTaRl

From this list we learn that there are two basic slots in a sentence (actually
in any sentence, not only in the interrogative type), traditionally (and accurately) called subject and predicate. In order to arrive at a correct analysis, we need
to consider, first, the already-mentioned distinction between grammatical and
syntactical levels and, second, the principle of paradigmatic substitution. On
the grammatical level, the components occupying the first slot in the examples
above are indirect complements or adverbs (## 1, 7), one is a gentilic functioning as predicate (# 2b), while the rest are personal pronoun subjects. One
could also find a direct object as in Deut 10:12: JKD;mIoEm lEav KyRhlTa hwhy (2) hDm (1)
What does the Lord your God require of you?). As for the components
occupying the second slot, in two cases they are personal pronoun subjects
(## 1, 2) and the rest are finite verbs (one could also find a noun as in Gen
29:15: KR;trU;kVcA;m (2) _hAm (1) What are your wages?). In two cases (## 4, 6) the
second slot is empty.
As already mentioned, these sentences are x-questions on the syntactic
level. This means that the interrogative pronoun or phrase of the first slot (1) is
the new information and the syntactic subject, while what comes in the second
slot (2) supports it and is the syntactic predicate. For the principle of paradigmatic substitution, the grammatically different components of the first slot are
syntactically equivalent; the same applies to the components of the second slot.
The main consequence is evident in the second slot, where we find pronouns
and nouns as well as finite verbs. This means that in the pattern of an x-question a finite verb fulfils a nominal function; indeed, it is the syntactic subject

SHIMASAKI K.

FOCUS STRUCTURE IN BIBLICAL HEBREW

533

exactly like a pronoun and a noun. This analysis is confirmed by the fact that
the finite verb can be omitted when it is recoverable from the context, as in ##
4 and 6 above, exactly as is the case with any subject.
This conclusion is inescapable if it is true that the reply to the question
Who will go up can be both Judah will go up (Judg 1:2) and simply Judah (Judg 20:18), and the reply to the question Who did this can be both
Gideon did it (Judg 6:29) and simply Samson (Judg 15:6). I think that this
is not playing with words but simply recognizing syntactic functions. This, I
trust, will clarify a terminology which, taken out of context, is not understandable, for example, a predicate not belonging to the class of the predicate
(see Shimasakis remark on p. 18, note 21). It means that a noun or a pronoun
which is used as subject or object or complement in a plain, unmarked sentence, becomes the predicate in a cleft sentence, and vice versa, a verb which is
used as predicate in a plain, unmarked sentence becomes the subject in a cleft
sentence. And indeed, an x-question is a type of cleft sentence.
One should note that the term cleft sentence literally applies to modern
languages rather than to Biblical Hebrew. In fact, in modern languages this
kind of sentence is actually clefted into two sentences, the first being it
is and the second that in English, cest que in French, and
che in Italian. In Biblical Hebrew, instead, there is only one sentence. The
reversal of roles from subject to predicate and vice versa that is typical of the
cleft sentence is achieved in Biblical Hebrew by word order, viz. by simply
putting the verb in second position in the sentence. This x-verb pattern is a
marked type of sentence in Biblical Hebrew while the verb-x pattern is the
unmarked, plain type of sentence.
A final remark concerns Shimasakis use of topic. Although he prefers
pragmatic subject/predicate, he does use topic/comment from time to time.
For example, he states that YHWH, a vocative phrase, is the topic of sentences (2), (3) and (4) in 2Chr 20:6 (p. 61):
(1)
(2)
(3)
(4)

rAmayw
wnyEtObSa yEhlTa hwhy
MyAmDvA;b MyIhlTa awh_hD;tAa alSh
MywgAh twkVlVmAm lOkV;b lEvwm hD;tAaw

(5) hrwbgw AjO;k KdyVbw

bExyVtIhVl KV;mIo NyEaw

and he said,
O YHWH, God of our fathers,
are you not God in the heavens?
And are you not ruler over all the kingdoms
of the nations?
Power and might are in your hands
so that no one can stand against you.

Further, in Judg 3:16 brRj sword, a direct object, is said to be the topic
(p. 62, where the quoted text is incomplete) and in Lev 21:21 the prepositional
phrase among the descendants of Aaron (p. 101). The reason for this analysis
is apparently semantic: a term is called topic because it is referred to or is
specified in the following context, irrespective of its grammatical or syntactical

534

RECENSIONI

function in the sentence. This trend comes to a climax, so to speak, when the
notions of independence and dependence are defined from the point of view
of contextual information (pp. 147-148).
In conclusion, I confirm what I wrote in my short presentation of the
book (see back cover): Dr. Shimasakis book provides thorough, wellinformed, and clearly written research on one of the most important and
disputed issues of Biblical Hebrew syntax. It represents a welcome contribution toward a single approach to both nominal and verbal clauses, which are
usually treated as independent structures. I only wished that it contained
perhaps less general linguistics and more grammatical and syntactical analysis
of Biblical Hebrew.
Alviero Niccacci, ofm
Del Barco del Barco Francisco Javier, Profeca y sintaxis. El uso de las formas verbales en los Profetas Menores preexlicos (Textos y Estudios Cardenal
Cisneros de la Biblia Polglota Matritense 69), Consejo Superior de Investigaciones Cientficas, Instituto de Filologa, Departamento de Filologa Bblica
y de Oriente Antiguo, Madrid 2003, XIV-260 pp., 22.91.
Il volume pubblica una tesi dottorale presentata allUniversit Complutense
di Madrid nel 2001 sotto la direzione del Prof. Luis Vegas Montaner. uno
studio dei Profeti Minori preesilici (Osea, Amos, Michea, Nahum, Abacuc e
Sofonia), basato quindi su testi che si collocano in un periodo relativamente
ridotto (circa 150 anni), ben determinato (760/750-597 a.C.) e presumibilmente
uniforme quanto alla lingua. Linteresse della ricerca si concentra sulla sintassi,
cio sulla funzione delle proposizioni in un contesto ampio chiamato testo, e in
particolare sul verbo. Circa le caratteristiche del presente studio si legge:
La principal es que se ha realizado un anlisis de un texto determinado los Profetas Menores preexlicos para poder estudiar el comportamiento de las formas
verbales en su contexto, sin adjudicarles a priori ningn valor o funcin determinados. Se ha ido del texto a la funcin, y no al contrario. Para ello, era necesario
acotar un corpus textual que permitiera tal anlisis, aun si ello restringiera el
alcance de las conclusiones obtenidas (p. xii).

Lanalisi dunque non parte da alcuna precomprensione ma intende derivare


la funzione delle forme verbali dal testo. Questo procedimento ha reso necessario un restringimento del campo di esame e inoltre le conclusioni raggiunte
non vengono considerate valide per tutta la Bibbia ebraica. Lautore infatti
convinto che lebraico biblico and soggetto a unevoluzione e per il momento
non intende avventurarsi in unanalisi storica della sintassi verbale.

DEL BARCO F. J.

PROFECA Y SINTAXIS

535

Del Barco presenta la sua ricerca come un primo tentativo e come tale va
considerata. Essa fa parte di un progetto pi ambizioso, a cui partecipano altri
colleghi, in particolare G. Seijas e C. Herranz, sotto la guida del Prof. Luis
Vegas Montaner, denominato Anlisis unificado de textos hebreos por ordenador (AUTHOR), progetto che intende delineare levoluzione della sintassi
dellebraico biblico.
Il volume comprende otto capitoli che illustrano, rispettivamente, il problema del sistema verbale ebraico, la sintassi della proposizione, il weqatal, il
wayyiqtol, il qatal, lo yiqtol, la sintassi testuale e infine presentano le conclusioni. Allinizio Del Barco traccia una panoramica degli studi recenti di tipo
testuale ispirati alla Textlinguistik secondo il modello di H. Weinrich e alla Discourse Analysis di ambito anglosassone. Delinea poi il problema della distinzione tra prosa e poesia (secondo W.T.W. Cloete, Verse is language in lines, p.
9), la funzione semantica/pragmatica dellordine delle parole (lordine normale
verbo-soggetto-oggetto, in sigla VSO, ma in poesia le cose possono essere
diverse, p. 12), e le pi recenti tendenze nello studio della sintassi verbale (in
particolare di E. Talstra, R. Longacre, A. Niccacci, R. Buth, T. Goldfajn, Y.
Endo, A.C. Bowling, B.K. Waltke - M.P. OConnor, C.H.J. van der Merwe
- J.A. Naud - J.H. Kroeze).
Nel cap. 2, sintaxis de la oracin, pi che una presa di posizione in
merito alla sintassi, troviamo una panoramica metodologica in cinque punti:
1) lA. tratter separatamente i tipi sintattici della poesia e quelli della prosa;
2) partir dalla distinzione di fondo tra proposizione nominale (ON) e
proposizione verbale (OV), distinzione spiegata nella nota 115 nel modo
seguente: En este trabajo se entiende como OV la que contiene alguna forma verbal finita y por ON la que no contiene ninguna forma verbal, senza
entrare nella discussione circa il valore del verbo HYH e circa la funzione
sintattica della proposizione ma limitandosi al livello formale (p. 34); 3) terr
conto delle particelle di coordinazione e subordinazione allinizio del discorso
e della posizione, prima o seconda, del verbo nella proposizione, e nei casi in
cui la delimitazione delle proposizioni sia problematica, seguir le indicazioni
degli accenti masoretici; 4) presenter un elenco delle diverse forme verbali,
tenendo conto della posizione del verbo; 5) far attenzione alla struttura delle
proposizioni in base allordine dei costituenti.
Nel seguito del cap. 2 si danno le statistiche della frequenza delle varie
costruzioni su un totale di 2335 proposizioni in cui stato diviso il testo dei sei
Profeti Minori: proposizioni con verbo sottinteso, varie forme verbali (qatal,
weqatal, yiqtol, wayyiqtol, imperativo, iussivo, coortativo, infinito assoluto,
infinito costrutto, participio), tipi di proposizione (nominale, nominale con
pronome copula, nominale con un solo membro, nominale con il verbo HYH
copulativo-attributivo; verbale; con infinito; con participio). Seguono altre
statistiche circa il modo come la proposizione inizia: nominale con o senza
waw, con infinito/participio con o senza waw; verbale senza waw, con waw

536

RECENSIONI

copulativo, con waw consecutivo, ecc. Le statistiche circa la struttura delle


varie proposizioni ( 2.6-2.8) utilizzano delle sigle schematiche, adatte per
lanalisi al computer, che poi vengono richiamate nel corso dellanalisi.
Nella discussione riservata al waw ( 2.6.1) Del Barco espone per contrasto
lopinione di B.L. Bandstra, che sottolinea limportanza semantica e tematica
della congiunzione, e quella dello scrivente, che ne nega la rilevanza sintattica
quando essa non sia a diretto contatto con il verbo finito. Per il momento lA.
non spiega con quali criteri si distingua il waw copulativo (davanti a qatal e a
yiqtol), che secondo la lista di p. 53 compare 47 volte nelle parti poetiche del
corpus esaminato, dal waw consecutivo, che vi compare 314 volte. Per quanto
tale distinzione sia usuale tra i grammatici, non mi sembra evidente, dato che
si fonda sullinterpretazione e quindi rischia di essere soggettiva.
Nellanalisi del cap. 3 Del Barco discute lopinione di Z. Zevit e di
Y. Endo circa il criterio dellaccento per distinguere il qatal con waw copulativo (w-qatal) da quello con waw consecutivo (weqatal), ma conclude
che non un criterio sufficiente, per cui invoca il contesto. Distingue perci il
weqatal che compare in catena da quello isolato e afferma che en el caso de
las cadenas de weqatal es fcil inclinarse por una interpretacin que abogue por
la forma consecutiva, pero en el caso de que la forma no se encuentre en una
cadena de weqatal deben tomarse en consideracin otros criterios, tales como
el tipo de discurso en el que dicha forma est inserta, el uso de otras formas en
el contexto, la secuencia del los acentos de la masora con respecto a la forma
anterior y la orientacin temporal del segmento textual (p. 68). Questa predominanza dei tipi di discorso nel determinare la funzione delle forme verbali
si mostra in modo speciale nel cap. 7 sulla sintassi testuale.
Il problema del waw davanti a qatal ritorna nel corso del cap. 5, dove si
espone la posizione di R. Meyer (pp. 130-132). Lesame dei passi in cui secondo lautore compare il waw copulativo (w-qatal) si trova pi avanti (pp.
144-146). Da parte mia ho presentato unanalisi differente, in conformit alle
funzioni del weqatal nellasse del passato, nella recensione di W. Gro - H. Irsigler - Th. Seidl (edd.), Text, Methode und Grammatik. Wolfgang Richter zum
65. Geburtstag, St. Ottilien 1991, in LA 44 (1994) 667-689, spec. 687-689.
Nel corso dellanalisi del weqatal (cap. 3) Del Barco accoglie lopinione di
R.E. Longacre secondo cui questa forma verbale tipica del discorso di predizione e di quello di istruzione. Aggiunge che il weqatal attestato anche nella
catena esplicativa ( 3.3.2) e in quella risultativa ( 3.3.3). Il criterio semantico
decisivo nellanalisi delle forme verbali; ad esempio, si identificano quattro
catene di wayyiqtol que no presentan una clara orientacin temporal pasada
(Mic 2,13; Ab 1,10; 2,5; 3,6) (p. 114; 4.3.2) e passi in cui compaiono sequenze problematiche yiqtol wayyiqtol (Os 8,10.13; 11,4; 13,2; Mic 6,16;
4.4.3). In casi del genere gli studiosi propongono di cambiare la vocalizzazione
oppure ipotizzano delle glosse. Pur senza prendere posizione al riguardo, Del
Barco nella traduzione uniforma i riferimenti temporali contrastanti.

DEL BARCO F. J.

PROFECA Y SINTAXIS

537

Mi sia consentita una piccola riflessione su queste soluzioni cambio di


vocalizzazione, magari sulla scorta della LXX, e glosse a cui gli studiosi
spesso fanno ricorso, quando affrontano testi problematici. Il fatto che, ad
esempio, la LXX supponga una vocalizzazione differente delle medesime
consonanti ebraiche si comprende, dato che i traduttori lavorarono su un testo
non vocalizzato e/o sulla base di una tradizione di lettura che poteva essere
differente da quella adottata dai Masoreti. Ma cambiare la vocalizzazione non
risolve del tutto il problema. Resta comunque da spiegare il senso della tradizione masoretica, dato che non pensabile che i Masoreti non si accorgessero di eventuali sbagli di lettura e delle incongruit che la loro vocalizzazione
provocava nel contesto. Un discorso analogo vale per le glosse: non pensabile
che i glossatori fossero degli incapaci o dei distratti, per cui ipotizzare glosse
non risolve affatto il problema. Anche nel caso che si possa dimostrare con
buoni argomenti, e non per semplice congettura, lesistenza di una glossa posteriore, bisogner supporre che il glossatore conoscesse la lingua e sapesse
inserirsi nella dinamica di un testo in modo non incoerente.
Laccuratezza della descrizione formale dei costrutti ricordata sopra si nota
bene nellanalisi del qatal (cap. 5) e dello yiqtol (cap. 6). Si classificano i casi
secondo che le forme verbali siano iniziali (0-qatal/yiqtol) o non iniziali (xqatal/yiqtol) ma anche se siano o no precedute da waw, da una particella o da
ambedue (cf. ad esempio p. 129 per qatal). Riguardo alla posizione del verbo
del Barco afferma: La posicin del verbo dentro de su oracin vuelve a ser
un elemento fundamental para una primera divisin formal de los diferentes
casos de yiqtol (p. 161). In pratica per la posizione del verbo importante
in funzione della classificazione formale, alla pari del waw e delle varie particelle, non della sintassi.
Qualcosa di pi preciso si legge nel capitolo conclusivo a proposito di
x-yiqtol.
En otros casos, el esquema (w-)x-yiqtol, en lugar de la cadena de weqatal, es el
que desarrolla el discurso predictivo, manteniendo el modo indicativo pero no la
secuencialidad de weqatal, e introduciendo en cada oracin un elemento nominal
nuevo (normalmente el sujeto) con respecto a la oracin anterior (Am 2,14-16)
(p. 238).

Non nascondo qualche perplessit al riguardo. Da un lato, evidente che


elementi nuovi (soggetto o altro) vengono presentati anche da proposizioni con
verbo in prima posizione, e quindi questo aspetto non costituisce la funzione
(primaria) della proposizione con verbo in seconda posizione. Daltro lato, in
base alla sua analisi di Os 2,8-9 (p. 74), sembra di capire che per Del Barco
la sequenzialit della catena di weqatal viene interrotta non solo da x-yiqtol e
dal suo corrispondente negativo waw-x + lo-yiqtol, ma anche da welo-yiqtol,
bench questo sia il corrispondente negativo di weqatal e perci non dovrebbe

538

RECENSIONI

interrompere la catena. chiaro infatti che la negazione di weqatal appunto welo-yiqtol, mentre la negazione di waw-x-yiqtol waw-x + lo-yiqtol,
come welo-qatal negazione di wayyiqtol e waw-x + lo-qatal negazione di
waw-x-qatal, dato che la particella negativa non separata dal verbo.
Lanalisi dello yiqtol comporta il problema di distinguere la forma iussiva
da quella indicativa. Al riguardo Del Barco, come in genere i grammatici,
adotta il criterio morfologico.
Siguiendo el criterio formal por el que se gua este trabajo e independientemente
de que se atribuya a una forma determinada una u otra funcin, se han considerado
come yusivos aquellas formas que presentan una forma diferenciada de yiqtol, as
como contados casos en los que el contexto pareca indicar claramente el matiz
modal de la forma (p. 178).

Ma poi nellanalisi di Sof 2,12-13 annota:


Las dos formas de yusivo (imperfectos apocopados) non parecen expresar ningn
modo volitivo, por lo que su funcin debe ser, como en casos vistos en anterioridad,
textual: se expresa el deseo de que los hechos referidos se cumplan (p. 183).

Il che significa, mi pare, che il criterio testuale, inteso come interpretazione, prevale sulla forma verbale. Unopinione differente circa la distinzione
tra yiqtol iussivo e yiqtol indicativo, basata sulla posizione del verbo nella
proposizione, ho espresso in A Neglected Point of Hebrew Syntax: Yiqtol and
Position in the Sentence, LA 37 (1987) 7-19.
Un altro punto di differenza riguarda i casi in cui yiqtol preceduto da
waw (weyiqtol, non wayyiqtol). Per Del Barco si tratta di waw copulativo
( 6.3); per me weyiqtol una forma verbale autonoma, anche se non viene
riconosciuta come tale dai grammatici, perch presenta una morfologia propria
e una funzione sintattica distintiva (cf. Sintassi del verbo 159-160, meglio
nelledizione corretta e aumentata inglese e ora anche in quella spagnola). Di
fatto il weyiqtol compare non solo in catena con un precedente yiqtol ma anche senza, sia in prosa che in poesia; non solo nel discorso diretto ma anche
nella narrazione storica, anche se meno frequentemente. E si delinea anche
una catena iussiva con yiqtol iniziale proseguito da weyiqtol (spesso in serie)
e il corrispondente negativo weal-yiqtol chiaramente distinta da una catena indicativa con x-yiqtol proseguito da weqatal (spesso in serie) e il corrispondente
negativo welo-yiqtol.
Il cap. 7 presenta la sintassi testuale come viene intesa dallA. e il procedimento di analisi che egli segue.
En este capitulo se va a presentar el anlisis de diferentes secciones textuales,
partiendo de una perspectiva general del texto hasta llegar al uso particular de las

DEL BARCO F. J.

PROFECA Y SINTAXIS

539

secuencias verbales, cadenas o formas aisladas que aparezcan en cada seccin.


Esto quiere decir que se va a proceder de manera inversa a como se ha hecho en
los captulos precedentes, pues en ellos se parta de una forma concreta, a partir
de la cual se estudiaban los contextos en que sta apareca.
Este proceder se ha dejado intencionalmente para el final del trabajo. Sin un
estudio previo de cada forma en sus contextos, el anlisis de un segmento textual
puede convertirse en un anlisis ad hoc, es decir, en la explicacin del uso particular
de cada forma en ese segmento preciso, sin el contraste y la comparacin con otros
textos o secuencias paralelos (p. 197).

Questa dichiarazione molto apprezzabile. Del Barco esamina per intero Am 6, Na 2 e Sof 1, tre capitoli che, egli dice, ofrecen un panorama
representativo del material textual y tipos de discurso ms recurrentes en los
Profeta Menores preexlicos (p. 199). Adottando lapproccio testuale di R.E.
Longacre, non quello di H. Weinrich, egli elenca i costrutti verbali e non verbali che compongono i vari tipi di discorso (predittivo, esortativo, descrittivoespositivo, di lamento, narrativo e interrogativo-retorico, e quindi in numero
maggiore rispetto ai tipi di discorso stabiliti di Longacre). Come in altri casi,
il tipo di discorso prevale sulle singole forme verbali, nel senso che se una
forma verbale non corrisponde al genere dominante viene adattata ad esso.
Ad esempio, in Am 1,3-6, che un discorso descrittivo con participi, le forme
diverse vengono rese in modo conforme allinterpretazione: un wayyiqtol con
para e infinito (v. 3), due qatal con il presente (vv. 5.6). Riguardo allultimo
qatal (v. 6) Del Barco annota:
En cuanto a su funcin en este [i.e. discurso] puede entenderse como una oracin
exclamativa que aade un matiz de fuerte contraste con todo lo que el profeta ha
referido anteriormente (p. 203).

In un saggio di qualche anno fa, in: R.D. Bergen (ed.), Biblical Hebrew
and Discourse Linguistics, Dallas 1994, 117-137, ho segnalato i rischi di una
metodologia di tipo top-down secondo lapproccio di Longacre e della sua
scuola, e ho delineato una metodologia inversa bottom-up che non si ferma
al livello grammaticale-morfologico ma procede a quello sintattico e a quello
testuale, fondando saldamente luno sullaltro nellordine indicato.
Le conclusioni (cap. 8) riassumono la trattazione sulla linguistica testuale
e il metodo adottato nella ricerca ed elencano i dati e le funzioni delle singole
forme verbali esaminate e infine i sei tipi testuali che lA. definisce (elencati
qui sopra). Allinizio del capitolo Del Barco valuta la propria ricerca nel modo
seguente:
El hecho de que an no se haya enunciado una teora general satisfactoria sobre el
funcionamiento del sistema verbal hebreo no slo justifica, sino que motiva y hace

540

RECENSIONI

necesarios trabajos sectoriales como ste, cuyo ltimo fin tiene una doble vertiente:
por un lato, intentar desmontar la teora de la supuesta dificultad del verbo hebreo
bblico; por otro, y en relacin con lo anterior, acercarse a los textos desde una
perspectiva de lingstica textual para contribuir al esclarecimiento de numerosos
pasajes oscuros y proponer nuevas interpretaciones basadas en la consideracin de
las formas verbales en relacin con su contexto (pp. 219-220).

un progetto lodevole che merita considerazione e appoggio. Si potr


forse suggerire una revisione del metodo di lavoro in base ai risultati ottenuti
sia da Del Barco che dagli altri studiosi impegnati nel progetto delluniversit
Complutense ricordato allinizio. Infatti una descrizione puramente formale
dei testi, se necessaria per costituire una banca dati, potrebbe non essere
sufficiente per unanalisi sintattica del verbo ebraico che intenda definire le
funzioni delle forme verbali e dei costrutti non verbali in se stessi e in rapporto
tra loro.
Il problema di fondo mi sembra il seguente: possibile affrontare lanalisi
di una banca dati, anche ridotta come quella dei Profeti Minori preesilici,
senza una teoria verbale, affidandosi al contesto e allinterpretazione? La
prudenza insegna di imparare a nuotare in acqua bassa prima di avventurarsi
in mare aperto. Forse, cio, sarebbe preferibile partire dai casi pi chiari,
enunciare una teoria provvisoria delle singole forme verbali secondo un approccio linguistico testuale appropriato (per me meglio quello di Weinrich,
che accorda la preminenza al verbo nel testo, di quello di Longacre, che
privilegia i tipi di discorso sul verbo) e quindi allargare la lettura dei testi
e man mano verificare, correggere, bilanciare la teoria fino a delineare un
sistema coerente. La possibilit di unevoluzione nella lingua ebraica biblica, accennata da Del Barco allinizio del volume, da tener presente ma
non pu condizionare la ricerca in via pregiudiziale: da dimostrare, non
assumibile per giustificare soluzioni di comodo. Certo, non consigliabile
adottare soluzioni ad hoc per i singoli passi; ma la stessa cosa vale per i
singoli tipi di discorso. Per arrivare a risultati accettabili sar utile partire
da testi di prosa, pi facili da collocare in assi temporali precisi, per passare
poi alla poesia.
auspicabile che altre ricerche come questa di Del Barco vedano la luce
in vista di un migliore confronto e interazione di metodi e risultati.
Alviero Niccacci, ofm
Calduch-Benages Nuria Ferrer Joan Liesen Jan, La Sabidura del
escriba/Wisdom of the Scribe. Edicin diplomatica de la versin siriaca
del libro de Ben Sira segn el Cdice Ambrosiano, con traduccin espaola e inglesa / Diplomatic Edition of the Syriac Version of the Book of Ben

CALDUCH-BENAGES N. - FERRER J. - LIESEN J. LA SABIDURA DEL ESCRIBA

541

Sira according to Codex Ambrosianus in Spanish and English (Biblioteca


Midrsica), Editorial Verbo Divino, Estella (Navarra) 2003, 271 pp.
Sono lieto di presentare questopera, frutto della collaborazione di tre giovani
docenti di differenti universit, accomunati dalla passione per la lingua siriaca
e per il libro del Siracide.
Il presente lavoro basato sulledizione fotolitografica (ora fruibile anche
in internet) del codice della Peshitta curata dal noto orientalista e prefetto della
Biblioteca Ambrosiana Antonio M. Ceriani, Translatio Syra Pescitto Veteris
Testamenti ex codice Ambrosiano sec. fere VI photolithographice edita, Milano
1883, da non confondersi con ledizione fotolitografica del codice siroesaplare
curata dallo stesso Ceriani nel 1874.
Il libro oggetto della nostra presentazione unopera bilingue (spagnolo e
inglese) dove il materiale viene presentato due volte, in particolare le pagine
introduttive, con le relative note, e la traduzione del testo biblico. La parte pi
importante del lavoro e la pi impegnativa dal punto di vista tecnico , senza
dubbio, ledizione del testo siriaco di Ben Sira. Cos come pensata, ledizione
accessibile ad un numero relativamente ampio di persone (sia studenti di
siriaco che biblisti).
Lopera inizia con la Prefazione e lIntroduzione prima in castigliano (pp.
11-36), poi in inglese (pp. 37-58). Alle pp. 59-64 viene data una bibliografia
divisa nelle seguenti sezioni: a) manoscritti; b) edizioni del testo siriaco di Ben
Sira (in ordine cronologico); c) commentari siriaci di Ben Sira (autori occidentali e orientali); d) studi sul testo siriaco di Ben Sira (di carattere generale e
specifico); e) concordanze e indici. In questa sintesi bibliografica troviamo una
chiave di lettura delle problematiche inerenti lapproccio a questo problematico
libro biblico in siriaco.
Il corpo del volume si trova alle pp. 65-271 dove viene riportato su due
colonne per pagina il testo siriaco del codice Ambrosiano di Ben Sira, con la
traduzione spagnola e inglese. Il testo siriaco disposto nella parte superiore
di ogni pagina, da destra a sinistra; bisogna considerare due pagine del libro
come se fossero una pagina del manoscritto. Cos i vv. 1-9 del primo capitolo
saranno a p. 67 e il testo continuer a p. 66 (vv. 10-17). La parte inferiore
di ogni pagina dispari contiene la traduzione spagnola del testo siriaco disposto nelle pp. 67-66, mentre la parte bassa di ogni pagina pari contiene la
traduzione inglese delle medesime pagine. Le note testuali che riguardano
loriginale vengono poste sotto ogni porzione del testo siriaco, mentre le note
dei traduttori vengono poste dopo le rispettive traduzioni e ripetute nelle due
lingue moderne.
Fra i pregi del volume menzioniamo: il testo siriaco riprodotto in forma
bella e chiara; la traduzione in due lingue moderne, con annotazioni per spiegare forme o passi difficili; la forma editoriale elegante della serie Biblioteca
Midrsica.

542

RECENSIONI

Abbiamo confrontato il testo siriaco stampato nelle pp. 66-271 con loriginale siriaco del codice Ambrosiano per verificare laffidabilit della trascrizione. Abbiamo riscontrato diversi errori (perlopi singole lettere o segni
diacritici). Queste incongruenze, insieme ad altri refusi rinvenuti nei dati bibliografici, sono state segnalate agli AA. in vista di una eventuale riedizione.
Siamo certi che questopera, pur non essendo unedizione critica, incontrer il favore dei biblisti e degli appassionati della lingua siriaca. Auspichiamo
che questo volume sia il primo di una lunga serie.
Massimo Pazzini, ofm
Jobes Karen H. - Silva Moiss, Invitation to the Septuagint, Baker Academic
- Paternoster Press, Grand Rapids - Carlisle 2001, 351 pp., $ 20.99.
Il volume si compone principalmente di una Introduction (pp. 19-26) e di tre
parti: The History of the Septuagint (pp. 27-102), The Septuagint in Biblical
Studies (pp. 103-236), The Current State of Septuagint Studies (pp. 237-307), a
loro volta suddivise in diversi capitoli. A conclusione si trovano quattro appendici: Major Organizations and Research Projects; Reference Works; Glossary;
Differences in Versification between English Versions and the Septuagint (pp.
309-331) e gli Indexes (pp. 334-351).
Di seguito si offre una sintesi del contenuto e la discussione di qualche
punto.
I Lxx rappresentano una testimonianza indiretta della loro Vorlage e il
testo di riferimento per gli autori del NT che, oltre ad imitarne lo stile, vi
attingono e sviluppano diversi temi teologici. Se poi i Lxx e il testo ebraico
sono intimamente connessi, i rapporti tra Lxx e NT non presentano legami
meno stretti. Interessante la discussione dellinterpretazione di LxxPr 8,22-31
in chiave trinitaria nella Chiesa nei primi tre secoli (pp. 21-25). Un fattore da
non trascurare la eterogeneit dei Lxx, in quanto traduzione, rispetto alla
Vulgata di Girolamo: la prima frutto del lavoro di diverse persone che hanno
operato in periodi e luoghi differenti, la seconda della diuturna attivit di un
solo traduttore. Laccorpamento di testi certamente autonomi fu favorito con
il passaggio dal rotolo al codice. In questultimo (contenitore), dunque, sono
confluiti libri tradotti in epoche diverse. Pertanto, in linea generale, ci che
valido per un libro pu non esserlo per un altro (pp. 30-31). Gli studiosi
sono convinti che la traduzione porti i segni del greco parlato in Egitto e che
difficilmente la traduzione del Pentateuco (250 a.C.) sia da attribuire a esperti
palestinesi. Nellinterpretazione di P. Kahle, lautore della Lettera ad Aristea
difende la versione alessandrina da altre versioni. Si deve a P. de Lagarde
la teoria che vede allinizio della trasmissione testuale lesistenza di una versione proto-settanta. Gli studi successivi hanno confermato questa tesi (pp.

JOBES K. H. - SILVA M.

INVITATION TO THE SEPTUAGINT

543

35-36). Lorigine delle nuove versioni greche da far risalire alla cristianit
del I secolo? Le scoperte dei rotoli del Mar Morto hanno dimostrato che, nel
I sec. a.C., circolavano testi della Bibbia in ebraico in diverse forme. Una situazione del genere pot far sorgere nella comunit ebraica la determinazione
a produrre una nuova traduzione greca che fosse (pi) fedele al testo ebraico
standardizzato. A tale riguardo non emergono precisi indizi che dimostrino
lesistenza, allinterno della comunit ebraica, di idee diverse su come dovesse
essere la traduzione. Il rotolo dei Dodici Profeti Minori rappresenta una chiara
prova che, prima del dibattito tra ebrei e cristiani del II sec., doveva circolare
pi duna versione greca della Bibbia (p. 38). Ad ogni modo, a cavallo tra il
I sec. a.C. e il I sec. d.C., tra gli ebrei parlanti greco circolava almeno una
traduzione greca di ogni libro della Bibbia. In passato gli studiosi giunsero a
distinguere fra traduzione (Aquila, Simmaco e Teodozione per intenderci) e
recensione, che non consiste in una nuova versione, ma nel modificarne una
precedente. Tuttavia Jobes e Silva avvertono che la discriminante tra una revisione e una nuova traduzione sottile e tuttaltro che agevole da individuare.
Partendo dal testo ebraico lecito, stando agli AA., tracciare due stemmi. Il
primo, rispondente allopinione tradizionale, considera i Lxx e i Tre traduzioni, e recensioni lopera di Esichio, di Luciano e lesaplare. Nel secondo, i
Tre rappresentano recensioni ebraiche, mentre Esichio, Luciano e lesaplare
recensioni cristiane. Della recensione di Esichio (egizia) non si sono trovate
tracce nei manoscritti (pp. 46-47).
un fatto condiviso, anche secondo lopinione degli AA., che Origene non
si sia reso conto che il testo ebraico di cui disponeva non corrispondesse del
tutto alla Vorlage su cui era stata condotta la traduzione greca. Indipendentemente dalle finalit del lavoro di Origene, sul piano della critica testuale il suo
metodo di procedere fu errato (p. 52).
Su come intendere il greco dei libri compresi nei Lxx si discusso e si
continuer a discutere. Jobes e Silva osservano che nel complesso il greco dei
Lxx ellenistico. I biblisti tendono a ricondurlo, pur riconoscendone alcune
particolarit, nellalveo della koin. Se si vuol parlare di greco ellenistico giudaico, continuano i due AA., lo si pu fare nello stesso modo con cui si parla
di greco stoico e di inglese giornalistico, che non implicano lesistenza di
una struttura grammaticale a s stante che permetta di isolarli dalle lingue di
appartenenza. In altri termini si pu riconoscere che un dato gruppo (etnico)
formi una comunit i cui membri condividono interessi propri che si riflettono
talvolta nel vocabolario o in forme idiomatiche e nello stile. Nello stesso tempo
il greco biblico giudeo ellenistico per la semplice ragione che fu scritto da
giudei che vissero nel periodo ellenistico (p. 107).
Nel paragrafo Should the Autograph Receive Priority? si affronta una
questione delicata: il rapporto tra autografo ispirato, portatore del pensiero
dellAutore, e la trasmissione testuale con i suoi risvolti interpretativi e le sue
inevitabili modifiche. Jobes e Silva, a ragione, non hanno alcun dubbio nel-

544

RECENSIONI

laffermare che la critica testuale dei testi biblici, con le sue peculiarit, debba
seguire la procedura applicata ad un qualsiasi altro testo dellantichit. Perci
bisogna distinguere tra ci che un Autore biblico scrisse e volle dire e quanto
pi tardi scribi e lettori gli hanno fatto dire (pp. 120-122).
Ma se di un libro esistono due edizioni, una breve e una lunga, quale
delle due si qualifica come il testo originale?. bene tener presente che, per
i Lxx, lattivit recensionale incominci non molto dopo la traduzione stessa.
Per cui i manoscritti in gran parte non contengono una forma del testo ma
una complessa miscela testuale (a complex textual mixture). Per gli AA.
dovette esserci una traduzione originale (cf. n. 9 p. 124; dunque sulla scia di
Lagarde). Pur isolando le recensioni, del resto, osservano che la distanza dalla
forma originale della traduzione rimarrebbe. In questo senso certamente condivisibile quanto dicono circa il fatto che il progetto condotto dalla Septuaginta
Unternehmen rappresenti, nonostante i limiti, una base sicura per la futura
ricerca (pp. 123-124).
Mettono in guardia, come altri studiosi, dallapplicare meccanicamente
le regole tradizionali della critica testuale. Si trovano in disaccordo, tuttavia,
con chi, portando a pretesto labuso che se n fatto, tende a farne a meno: le
obiettive difficolt a spiegare una determinata tendenza che poi altrove non si
riscontra non esime dal prendere una decisione. La stessa regola aurea non va
intesa come ultima risorsa, ma alla base di ogni altra regola che, a sua volta,
in pratica lapplicazione nei casi specifici della regola aurea. Lalternativa
alle regole tradizionali la cosiddetta probabilit intrinseca (della lezione).
Ma questo principio conduce a scelte diametralmente opposte e a un grado di
soggettivit pi accentuato rispetto alle regole classiche.
Rifacendosi a Fenton J.A. Hort, Jobes e Silva ribadiscono lutilit di distinguere le varianti realmente eccellenti da quelle che non lo sono. Lunica via per
raggiungere tale scopo per di sviluppare confidenza con lattivit scribale
per valutare quanto sia appropriata una lezione e come spieghi lesistenza delle altre. Nel caso vengano ad opporsi i risultati della probabilit intrinseca
e della probabilit di trascrizione (transcriptional probability) necessario
guardare alla qualit dei manoscritti. In linea di principio, suggeriscono gli
AA., sarebbe auspicabile che i dati sulla reale attendibilit riguardassero ogni
singolo manoscritto. Nondimeno il procedimento di raggruppare i manoscritti
per affinit convincente. Permette di stabilire let e la qualit di ogni gruppo
rispetto agli altri gruppi (pp. 128-131).
Dopo aver osservato, sulla scorta di prove evidenti, che ci che vale per
un libro o un gruppo di libri dei Lxx non necessariamente valido per altri
libri, i due studiosi, a scanso di equivoci, ricordano che, a differenza di gran
parte degli scritti antichi, i testimoni dei Lxx sono numerosi e, alcuni, di
eccellente qualit. Una condizione quindi che favorisce la sopravvivenza
della lezione originale in qualche testimone, bench non lo si possa garantire
con assoluta certezza. Il caso di LxxIs 53,2 (confusione molto probabile tra

JOBES K. H. - SILVA M.

INVITATION TO THE SEPTUAGINT

545

ANETEILEMEN e ANHGGEILAMEN) suggerisce di procedere con cautela

nella scelta della lezione proposta come originale (pp. 135-136).


Tirando le somme, se si escludono i testi di Qumran e del Deserto di
Giuda, le varianti sostanziali dei manoscritti della Bibbia ebraica sono rare.
Ci d la misura dellimportanza dei Lxx, lunica intera versione precedente
alla standardizzazione del testo pre-masoretico. Ne consegue una presa datto
immediata: il traduttore di LxxIs (II sec. a.C.), per fare un esempio, adoper
manoscritti di almeno un millennio precedenti alla standardizzazione operata
dai Rabbini. Un fattore di certo non trascurabile (pp. 147-148). Come spiegare, stando cos le cose, le variazioni tra TM e i Lxx? Gli AA. riportano le
conclusioni del commento di Wevers e Aejmelaeus sul versetto LxxEs 2,22
pi lungo rispetto al corrispondente versetto del TM (ejn gastri\ de\ labouvsa
hJ gunh\ eteken uiJo/n vs NE;b dRlE;tw). Per il primo unaggiunta del traduttore
in base a una fine biological logic per partorire, una donna deve essere
prima incinta! per la seconda i Lxx conservano il testo della Vorlage corrispondente e le parti in pi di questa sarebbero cadute nel TM. Cos Jobes
e Silva affermano che, nella spiegazione di una variazione (tra TM e i Lxx),
preferibile dare la priorit ai fattori legati alla copiatura dei testi. Qualora
una variazione risulti compatibile con il metodo di lavoro del traduttore,
necessario addurre argomenti consistenti per presupporre che si tratta di un
testo imparentato. La ricostruzione del testo ebraico dunque va realizzata
tenendo conto dei tipi di errori degli scribi sia sul versante ebraico sia su
quello dei testi greci. E fondamentale tener distinti due fattori: una cosa
un errore meccanico di uno scriba, unaltra una differenza della Vorlage che
pu riflettere uno stadio diverso di sviluppo testuale. A complicare la ricerca
si aggiungono gli elementi concernenti le revisioni. Gli AA. concludono: Se
una variante dovuta ad un errore dello scriba, la lezione corretta precede,
naturalmente, lerrore, e lerrore pu essere spiegato in diretta relazione
con la lezione originale. Gli interventi di un revisore (parafrasi, aggiunte,
omissioni), poi, non si distinguono tanto agevolmente dalle lezioni originali.
I Lxx, a detta degli AA., godono di un ruolo centrale anche come fonte di
varianti ebraiche (pp. 150-151).
Nel tentativo di ristabilire il testo della Bibbia ebraica, gli studiosi muovono dal TM. Jobes e Silva sono dellopinione che unedizione diplomatica sollevi seri problemi. Nella nota 11 di p. 151 scartano lidea che un testo eclettico
di un classico sia pi sicuro del testo eclettico della Bibbia ebraica.
Certamente alcuni libri del TM hanno conservato un testo affidabile. Gli
studiosi oscillano tra posizioni alternative: taluni cercano di difendere il TM
fin quando possibile, altri ricorrono ai Lxx o ad unaltra traduzione appena
sorge qualche increspatura. In mezzo si pongono altri critici che assegnano lo
stesso peso al TM e ai Lxx (pp. 151-152).
Ma quali sono le condizioni perch una lezione dei Lxx si possa ritenere
sicura? Gli AA. suggeriscono le seguenti norme: (la lezione) non deve essere

546

RECENSIONI

frutto di interpretazione o di trascuratezza nella traduzione; la retroversione


deve obbedire a criteri rigorosi; la presunta lezione ebraico-aramaica deve essere esistita in un manoscritto e non nella mente del traduttore; se si convinti
della genuinit di una variante, si deve valutare la qualit testuale del TM e
della Vorlage dei Lxx circa quel particolare libro. In genere il TM riflette un
testo superiore al testo ebraico sottostante i Lxx. chiaro che la genuinit di
una lezione dei Lxx tanto pi certa quando la differenza attestata in un
manoscritto ebraico. Dopo tutto le retroversioni rimangono sempre ipotetiche,
con Margolis: non scientifiche. I passaggi metodologici da compiere consistono nellaccertare: 1) la solidit del testo greco stesso; 2) se il modo di procedere del traduttore pu aver contribuito a determinare un cambiamento; 3)
se lequivalenza, con lausilio di concordanze, risulta possibile o probabile. Si
passa poi alla valutazione delle probabilit intrinseche (al testo greco): 1) Una
lezione o una sequenza in cui inserita la lezione occorre altrove? 2) Accertare, tra due lezioni, da quale di esse pi facile passare allaltra. 3) La scelta
delle lezioni va fatta anche avvalendosi di criteri esterni (p. e. Lxx e Qumran
vs TM). Se i criteri interni ed esterni vengono a coincidere, una variante ha
buone probabilit di essere originale.
Un esempio offerto dalla coincidenza di 4Qsamc con LxxSam 14,30 che
ha un testo pi lungo rispetto al luogo del TM corrispondente. Ma, precisano
gli AA., una lezione non originale del TM pu anche essere posteriore alla
traduzione dei Lxx, e si tratta pur sempre di una lezione ebraica.
Dopo unaccurata presentazione dello stretto rapporto tra i frammenti
(ebraici) di Ger scoperti a Qumran e la corrispettiva Vorlage dei Lxx e il rilievo che anche con altri libri il confronto tra Lxx e TM palesa incongruenze di
lunghezza e di disposizione di parti, si afferma che i testi di Qumran provano
lantichit dei testi conservati nel TM ma anche che quei testi non erano i soli a
circolare a quellaltezza cronologica. I testi greci di alcuni libri tradotti dallAT
si basano su unedizione di un testo ebraico differente in maniera consistente
dal TM. I complessi rapporti tra i testi di Qumran, la versione dei Lxx e il TM
pongono allattenzione la necessit di mantenere distinti i due campi della critica testuale e della critica letteraria. Ci comporta unaccorta riflessione che
a tuttoggi non ha raggiunto tra gli studiosi una formulazione definitiva capace
di evitare slittamenti da un campo allaltro (pp. 177-182).
Uno dei capitoli su cui la ricerca si soffermata pi a lungo stato quello
relativo alla lingua. Jobes e Silva, dopo aver chiarito i termini dello stretto rapporto tra i Lxx e il NT sul piano linguistico, ritengono inappropriato parlare di
greco biblico per i testi dei Lxx e del NT, bench a questa letteratura vadano
riconosciuti tratti linguistici particolari. Ad ogni modo la relazione tra i Lxx
e il NT considerevole anche sul versante del pensiero. Nelle pagine successive sono riportate le opinioni di insigni studiosi sul carattere della lingua dei
Lxx. Per E. Hatch il greco biblico una lingua a s: certe parole greche
veicolano (o rimandano a) una mente semitica. Ci che distingue il greco

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INVITATION TO THE SEPTUAGINT

547

classico da quello del NT che il secondo fu scritto da uomini il cui pensiero


fu forgiato in uno stampo semitico. T.K. Abbott impugna la tendenza semitizzante. Non sono pochi i cosiddetti ebraismi, osserva, con paralleli nei classici.
A fare la differenza la frequenza. Riferendosi al significato delle parole, poi,
dal confronto tra i Lxx e il NT, appaiono pochi casi di significati biblici in
comune. In questa prospettiva, a suo avviso, linflusso dei Lxx sul vocabolario
del NT non un dato predominante. Dal canto suo H.A.A. Kennedy, basandosi
su un approfondito studio dei termini comuni ai Lxx e al NT, rileva un influsso
diretto dei primi sul secondo, notando, per, che lentit di tale influsso non
va esagerato. Jobes e Silva puntualizzano che gli studi dei papiri hanno ricondotto la lingua del NT nellalveo della koin. A. Deissman accetta lesistenza
di semitismi nel NT, ma la loro natura va intesa come marchio di nascita,
pertanto non sufficiente a fare della lingua del NT una lingua a s. Secondo gli
AA. sono necessarie alcune precisazioni sotto questo riguardo: una cosa linflusso esercitato dai Lxx sul pensiero del NT, unaltra linflusso sulla lingua,
e nellambito della lingua va distinta la materia concernente la struttura della
lingua da altri aspetti. Limitazione della fraseologia non interessa la sintassi.
J.H. Moulton definisce il semitismo come il largo uso di termini o idiomatismi
presenti anche in greco, ma che sarebbero rimasti rari senza una corrispondenza ebraica o aramaica. Jobes e Silva ritengono un fattore da non sottovalutare
quello della frequenza, perch tocca anche la struttura linguistica. Sul versante
semantico, dopo aver osservato lestensione duso, nei Lxx e nel NT rispetto
agli autori del periodo ellenistico e romano, dei verbi di/dwmi e poie/w a spese
di ti/qhmi, e di kardi/a nel significato di facolt mentale, i due studiosi affermano che linflusso del greco dellAT sulla lingua della prima cristianit si
limit alluso di termini tecnici o semitecnici propri della teologia ebraica o
dei costumi giudei (pp. 183-189).
Lo studio delle citazioni dei Lxx nel NT ha applicazioni anche nel campo
della critica testuale. Come esempio si pu riprendere la discussione relativa
alla citazione di LxxOs 2,1 in Rm 9,26. Il passaggio principale vagliare le
varianti dei testimoni del testo dei Lxx, per individuare a quale di esse attinge
la citazione. Ed bene osservare se il testo dei Lxx non abbia subito un adattamento di ritorno al NT per mano di uno scriba (pp. 190-192).
Il rapporto tra lAT greco e il NT stretto. Alcuni si sono chiesti se Ges
stesso e i capi della chiesa primitiva non usassero la Bibbia greca. Nei Vangeli,
secondo Jobes e Silva, sono di particolare interesse le citazioni dei Lxx che
differiscono sostanzialmente dalloriginale ebraico. I due studiosi continuano
affermando che per gli Evangelisti doveva risultare pi adatta la forma dei
Lxx che una traduzione dellebraico. Nelle pagine successive discutono passi
scelti del NT (Vangeli, Atti, Lettere) dove si citano i Lxx (pp. 193-198).
Alle allusioni a passi dei Lxx presenti nel NT sono riservate le pp. 201204. Lapplicazione dei principi dibattuti e messi a fuoco nei capitoli precedenti viene esaminata in Gen 4,1-8; Is 52,1353,12; Est 5,1-2, brani che, a causa

548

RECENSIONI

del diverso rapporto che li lega alla loro Vorlage, presentano ciascuno propri
nodi interpretativi (pp. 206-236).
Jobes e Silva hanno voluto dedicare delle pagine alla memoria di alcuni
tra i pi illustri studiosi (F.C. von Tischendorf; E. Hatch; P.A. de Lagarde; A.
Rahlfs; H. Barclay Swete; A.E. Brooke; N. McLean; H.St. John Thackery;
M.L. Margolis; J.A. Montgomery) a cui si deve lo sviluppo metodologico e
laffermazione degli studi sui Lxx (pp. 239-257).
Sul versante lessicografico lo scopo pi immediato determinare il significato delle parole dei Lxx. Il fatto per che i Lxx siano (per lo pi) testi di
traduzione, solleva particolari problemi teorici e pratici. Ci si chiede se necessario determinare il significato di una parola greca come fu intesa dal traduttore o ci che poteva intendere un lettore greco che non conoscesse lebraico.
La percezione delle parole greche per un lettore o parlante greco (per forza di
cose) era mediata dal contesto linguistico della koin. Ma la domanda pu riguardare un altro aspetto. Nel redigere un lessico dei Lxx bisogna determinare
il significato di una parola greca in riferimento alla parola ebraica (corrispondente) o in base alluso che se ne fa nel contesto pi ampio ellenistico? I due
AA. (a ragione) mettono in guardia dal consultare senza le dovute precauzioni
lessici come LSJ o BAGD redatti senza la dovuta attenzione alle peculiarit
(genetiche) dei Lxx. Ci che si detto circa le due possibili impostazioni nella
stesura di un lessico dei Lxx trova lapplicazione nei lavori di T. Muraoka,
A Greek-English Lexicon of the Septuagint: Twelve Prophets e di J. Lust, K.
Hauspie, E. Eynikel, A Greek-English Lexicon of the Septuagint. Nella prima
opera si d la priorit alla percezione del lettore (greco che non conosceva
lebraico), nella seconda alla percezione che il traduttore aveva dellebraico
e alle parole scelte per rendere lebraico. Entrambe le posizioni sono ribadite
nelle edizioni pi recenti dei due lessici; cf. VIII-IX per Muraoka e XXI-XXII
per Lust, Hauspie, Eynikel. Qui Jobes e Silva ricordano che i traduttori hanno
attualizzato la loro traduzione per ascoltatori greci, fornendo (spesso) unequivalenza dinamica. In questo caso lebraico sottostante non necessariamente
offre elementi determinanti per individuare il significato delle parole greche.
In conclusione, un lessico dei Lxx deve tener conto sia del significato della
parola ebraica sia delluso della parola greca (scelta dal traduttore) nel mondo
ellenistico (pp. 259-262).
In questo campo un contributo di notevole importanza viene dallo studio
dei papiri documentari e dalle iscrizioni del periodo ellenistico. A ci si aggiunge che talvolta i traduttori caricavano i termini di valore teologico-religioso. Pertanto per orientarsi in modo pi sicuro necessario capire in quale
contesto una data parola fu adoperata nella cultura ellenistica (pp. 263-265).
Gli studi lessicali hanno una ricaduta concreta anche nellesercizio della
critica testuale e sono un valido ausilio per evitare anacronismi semantici, ossia di ravvisare in termini delle versioni greche usi teologici che si affermano
posteriormente (pp. 265-266).

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549

Nella ricerca sulla sintassi il primo passo determinare la tecnica di


traduzione, secondo la programmatica esposizione di I. Soisalon-Soininen:
Nessuna sintassi di una traduzione senza serie ricerche sulla tecnica di traduzione, nessuna ricerca esclusivamente sulla sola tecnica di traduzione.
Definire i caratteri di questultima offre informazioni sul testo originale greco
e sulla Vorlage ebraica, e rende possibile distinguere i fenomeni testuali dagli
interessi esegetici e interpretativi dei traduttori. Anche i metodi quantitativi
di analisi sintattica consentono di riconoscere le preferenze di un traduttore.
In questo settore di studi si segnalano i lavori di E. Tov e K. Jobes (pp. 267270). Questultima ha condotto studi in una nuova prospettiva, elaborando
una metodologia che permette di confrontare le due versioni greche di quei
libri che ci sono giunti in due tradizioni testuali. Lo scopo di tale ricerca
di notare quale testo pi vicino alla Vorlage ed insieme di porre in luce i
rapporti tra i testi (greci) e di questi con il testo ebraico (di riferimento). In
questo senso, seguendo la logica, ci si potrebbe aspettare che una revisione
(della traduzione, perci a questa successiva) eseguita senza il raffronto con il
testo ebraico debba avere come risultato una traduzione pi vicina allidioma
greco e che si allontani dallimpronta semitizzante della prima versione. Ma in
genere avvenuto linverso: i revisori hanno tradotto (o se si vuole, adattato)
il testo greco nel modo pi aderente possibile al testo ebraico contemporaneo
(pp. 271-272).
Jobes e Silva, nellintroduzione al capitolo sulla storia del testo, in una
succinta ma significativa nota, fanno intendere che solo a fatica il testo dei
Lxx si affrancato dal mero uso accessorio di fonte per emendare il testo
ebraico. La teoria di Kahle circa lesistenza di una pluralit testuale a monte
delle versioni greche non si mai affermata. In concreto si dipende da Lagarde
per il quale le versioni (circolanti) risalgono ad ununica traduzione originale.
Ma con lattenzione a non trascurare, suggeriscono gli AA., il dato offerto
dallesistenza, per taluni libri, di due versioni, segno che lattivit di revisione
si ebbe gi ad uno stadio primitivo (pp. 275-276). Tra i contributi pi recenti
in questo campo, i due studiosi riportano una riflessione di Pietersma, secondo cui il compito di scrivere la storia del testo dei Lxx correlato a quello di
ricostruirne il testo originale (Old Greek). La validit dellaffermazione, osservano, per limitata ai testi scritti originariamente in greco. In una parola va
considerato anche quale testo ebraico stato tradotto, senza dire che questo ha
subito cambiamenti anche dopo la traduzione. Il risultato della ricerca condotta
da Pietersma sul rapporto tra i plurali neutri e i verbi nel libro dei Salmi (Lxx)
che non esiste pieno accordo tra testo greco e testo ebraico. Precedentemente
si era chiesto - cf. p. 277 - su quali elementi, nella critica testuale, preferibile scegliere tra un verbo al plurale o al singolare: se in base al numero delle
occorrenze (count noses), allantichit dei testimoni, alle preferenze del traduttore, o se non in base allaffermarsi, nel periodo ellenistico, della costruzione
del neutro plurale con il verbo al plurale (pp. 276-278).

550

RECENSIONI

Alla rilevante funzione delle recensioni per la ricostruzione del testo proto-settanta sono dedicati i tre ultimi paragrafi del capitolo XIII. In particolare
si parla della recensione lucianea (pp. 281-283) e della cosiddetta recensione
kaige (pp. 284-287). A p. 281 gli AA. fanno notare che nella ricerca contemporanea, grazie allapporto dei testi di Qumran, taluni elementi una volta attribuiti
alla tecnica di traduzione o allattivit recensionale, oggi sono riconosciuti
come appartenenti ad una Vorlage ebraica differente dal TM.
I dati teologici vanno vagliati con cura. Possono appartenere infatti alla
traduzione originale. In questo caso, allora, si impone lesigenza di discernere se furono introdotti dal traduttore o se appartenevano alla Vorlage. Non
escluso che scribi cristiani abbiano potuto armonizzare passi dei Lxx con il NT
o vi abbiano introdotto elementi di esegesi cristiana. Tuttavia studi specifici su
questo aspetto hanno dimostrato che interventi del genere sono davvero molto
ridotti (pp. 288-290).
Nella scelta di un equivalente nella traduzione, stato osservato, il criterio
obbedisce essenzialmente ad una opzione linguistica pi che ad una tendenza
teologica. Questo livello non va confuso con variazioni appartenenti a un ordine diverso quali sono aggiunte o omissioni intenzionali. Unintenzione teologica si riconosce agevolmente quando in luogo dellequivalente atteso ci si trova
di fronte ad un altro termine (AjE;bzIm vs qusiasth/rion per altare di Israele, vs
bwmo/ per altare pagano). La riflessione teologica pu celarsi anche nella
riscrittura rielaborazione di un verso, nel tentativo di attualizzare il testo
biblico. Ad una tale rilettura si presta per sua natura la profezia, soprattutto
se, nella conoscenza che ne ha il traduttore, essa si realizzata tra il tempo
del testo originale ebraico e quello della traduzione (pp. 291-292).
Prendendo spunto da uno studio su LxxIs 23, Jobes e Silva si soffermano
nel notare come il traduttore ebreo si senta libero di modificare il testo biblico
al fine di attualizzarlo, e che gli scribi cristiani trascrissero il testo cos come
lo ricevettero, limitandosi a comporre i loro commenti in relazione al testo in
scritti separati. Il costume di introdurre commenti midrashici (direttamente) nel
testo biblico da far risalire a commentatori ebrei pi che cristiani. Pertanto
elementi in pi o in meno presenti nel testo greco si devono a revisori ebrei.
Ma rimane difficoltoso stabilire se il materiale midrashico si trovasse gi nelle
Vorlage o se non sia stato inserito dal traduttore o da revisori ebrei. In genere,
nei Lxx, lesegesi midrashica discreta (pp. 293-295).
Alcuni testi furono interpretati in chiave messianica prima dellavvento
del cristianesimo (cf. LxxAm 4,13). Altri hanno ricevuto uninterpretazione
simile dagli autori del NT e dalla chiesa primitiva in riferimento a Ges. Per
porre una distinzione, si parlato (Lust) in questo secondo caso di applicazioni cristologiche. Ci motiva, a detta degli AA., unattenta analisi dei passi
interessati dal fenomeno. Di fronte ad una resa interpretabile come messianica
ma in contrasto con il testo ebraico, bene chiarire se linterpretazione risale al
traduttore o se non si deve a un revisore pre-cristiano o a uno scriba cristiano.

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INVITATION TO THE SEPTUAGINT

551

Senza dimenticare che talora, come dimostra la discussione di LxxNm 24,17,


le conclusioni approdano a esiti opposti (pp. 297-299).
Il messianismo solo un aspetto dellescatologia ebraica. Precisato ci, i
nostri AA. mostrano (a ragione) perplessit nei confronti di chi vede tracce di
evoluzione teologica basandosi (soprattutto o esclusivamente) su sottigliezze
linguistiche: certamente non la sola traduzione di Mwq con ajni/sthmi un elemento probativo dellesistenza di escatologia in un dato luogo; bisogna indagare, se c, quanto sia ampio il tema teologico in questione. Di messianismo
e resurrezione senza dubbio si dibatteva nel periodo ellenistico, ma i Lxx, sotto
questo aspetto, offrono pochi lumi sul pensiero ebraico di quel tempo. Dopo
tutto i traduttori non si prefiggevano di scrivere un trattato di escatologia dei
loro giorni. Su questi temi si trovano maggiori spunti nei commentari e nei
midrashim sulla Scrittura in greco (Greek Scriptures). Ma questa documentazione rara (pp. 300-302).
noto che la sapienza, intesa come sommo bene da raggiungere nel
corso della vita, assunse nel pensiero ellenistico una posizione centrale. Per gli
ebrei questo fine consisteva nel vivere secondo i precetti della Torah. Figura
emblematica di tale indirizzo Salomone con la sua leggendaria sapienza.
Nulla di pi naturale che la letteratura sapienziale ebraica divenisse punto di
contatto con la cultura pagana (cf. il libro della Sapienza di Salomone). Nel
libro dei Proverbi il ricorso a lessico attinto da autori pagani (cf. ejrga/ti,
hapax legomenon nei Lxx, preso in prestito da Aristotele) si spiega fondamentalmente con lo sforzo di rendere chiari i tratti religiosi del testo di partenza
(pp. 300-304).
Le revisioni dei Tre, con le loro peculiarit, offrono, in generale, dati di
tendenza pi che apporti per la ricostruzione del testo originale (greco) (pp.
304-306).
Unopera cos articolata offre diversi spunti di discussione. Uno di essi lo
si potrebbe chiamare la nostalgia delloriginale. Mi riferisco a quanto i nostri
AA. dicono della distanza incolmabile che in ogni caso rimarrebbe tra un testo
epurato dagli interventi recensionali e la traduzione originale (p. 124). Qualsiasi disciplina non pu che procedere per approssimazione. Paradossalmente ci
la garanzia contro ogni tipo di assolutizzazione, ottimistica o pessimistica che
sia, ed pure la condizione per individuare metodi e linee di ricerca capaci di
evitare errori di impostazione. pi che probabile che ricostruire un autografo
indiscusso nella sua interezza resti unutopia, ma altrettanto probabile, se
non pi vero, che la grande quantit di testimoni, variabile certamente da libro
a libro, assicuri al critico testuale di avere a che fare soprattutto con materiale
autentico.
Si pu convenire, con qualche riserva, che in genere il TM abbia un testo
superiore rispetto alla Vorlage dei Lxx (pp. 153-154). Il fatto che ci, lo si
voglia o no, subordina in origine i Lxx al TM, mentre ormai comprovata
lesistenza di una pluralit testuale anche grazie ai testi del Mar Morto. Di

552

RECENSIONI

fronte alla concordanza di 4Qsamc con LxxSam 14,30 contro il TM, gli AA.
avvertono che una lezione non originale del TM ha la possibilit di essere
posteriore ai Lxx, sottolineando che, nonostante ci, essa rimane una lezione
ebraica (p. 157). Ma considerazioni del genere aprono la discussione sulla
questione del testo ebraico di riferimento (pre-masoretico, masoretico) e sui
criteri che rendono un testo pi originale di un altro. Che non si debba poi
passare senza una giusta ponderazione in casi particolari alla retroversione o
alla ricostruzione della Vorlage un dato piuttosto ovvio. E in fondo una ricostruzione non pu rimanere che un tentativo. Rimane, per cos dire, sul piano
della congettura. Per gli AA. si rimane nel campo delle ipotesi. Definirle, con
Margolis, non scientifiche, tuttavia, sembra privare anche proposte ragionevoli di un qualsiasi fondamento razionale (p. 154).
Se non sul piano strettamente lessicale ma di certo su quello del pensiero,
accanto allo studio della lingua dei papiri e delle iscrizioni ellenistiche (p.
264), un contributo significativo potrebbe arrivare anche dalla letteratura intertestamentaria greca, per lo pi letta in modo univoco in funzione del NT.
Non vi sono dubbi sullopportunit di evitare anacronismi semantici (p.
266). K.H. Jobes e M. Silva riprendono uno studio di Ronald L. Troxel sul
significato del termine escato in LxxIs. Questultimo arriva alla conclusione
che nellespressione ejn taiv ejsca/tai hJme/rai (Is 2,2) il termine ejsca/tai
non ha il valore tecnico di escatologia. Pertanto il significato dellespressione (semplicemente) nei giorni a venire. Troxel, tuttavia, afferma che
ci non esclude che nel libro di Isaia sia presente il tema dellescatologia.
Approfondimenti del genere non possono che giovare alla ricerca. Nello stesso
tempo credo conveniente qualche precisazione. Innanzitutto se da una parte
doveroso stabilire (per quanto possibile) il vero significato di una parola,
andando anche contro una tradizione interpretativa, similmente deve essere
evitata qualsiasi tendenza (chiamiamola cos) anti-dogmatica. Per chiarire. Non
sto attribuendo nulla del genere n a Ronald L. Troxel, del quale non ho letto
il lavoro, n tanto meno a K.H. Jobes e M. Silva che affrontano largomento
con il dovuto distacco. Perch a ci si ricollega un altro aspetto tuttaltro che
aleatorio. Restiamo sulle generali. Poniamo che un autore del NT abbia interpretato unespressione dei Lxx in un dato modo e che uno studioso dimostri
che, in realt, quella interpretazione non corrisponde al senso voluto dal traduttore. Continuando, poi, potrebbe emergere che il traduttore abbia interpretato
la Vorlage non secondo il significato espresso da questultima. Qualcuno, seguendo un criterio cronologico, potrebbe sostenere che la Vorlage smentisca
le interpretazioni successive. Le cose stanno proprio cos? un argomento
delicato, se Lust parla con acume di applicazioni cristologiche a Ges di
passi in origine non messianici (p. 297).
Su come inquadrare il greco dei Lxx si gi accennato. Qui mi preme
ritornare brevemente sulla ricordata affermazione di I. Soisalon-Soininen del
modo di affrontare lo studio della sintassi dei Lxx (p. 268). La posizione del-

JOBES K. H. - SILVA M.

INVITATION TO THE SEPTUAGINT

553

leminente studioso finlandese condivisibile, ma bisogna riconoscere che, se


non ben intesa (e pu darsi che a me sfuggano alcuni elementi o sfumature del
dettato), finisce per relegare il greco dei Lxx in una posizione subordinata
allebraico: la tecnica di traduzione rimanda anche, se non soprattutto, alla
Vorlage.
Ammettiamo che ci fosse giunto un testo del quale ignoriamo lo statuto
di traduzione. Probabilmente ci sforzeremmo di indagarne lo stile, le particolari costruzioni, per arrivare casomai a scoprire che si tratta di una traduzione
con chiari tratti semitizzanti. Ma non possedendo un testo di partenza non ci
preoccuperemmo della tecnica di traduzione. Con ci voglio dire che la sintassi di un testo, bench possa riflettere limpronta di un altro testo tradotto,
va studiata e analizzata nella lingua darrivo. La tecnica di traduzione, che si
muove tra i due poli, letterale e libera (con diverse gradazioni), riguarda in
primo luogo lapproccio del traduttore al testo da tradurre e poi la sintassi.
Del resto nessuno vuole ignorare la realt: il confronto di una traduzione con
il testo di partenza non pu che giovare, purch si riconosca al testo tradotto
una sua identit anche in termini di autonomia rispetto a quello tradotto, non
solo nellambito lessicale: la scelta di uno o un altro termine pu riflettere una
opzione o un indirizzo di pensiero. Se si studia un testo tradotto dallinglese
in italiano, si pu notare, tra le altre cose, la competenza del traduttore nel
compiere il suo lavoro. Ora chiaro che il risultato sintattico dipender dalle
sue capacit e da come intende condurre la traduzione. Ma questa sintassi non
va forse compresa in quella pi generale della lingua di traduzione? Se le cose
non stanno cos, per assurdo, di ogni libro dei Lxx bisognerebbe stabilire quanti traduttori vi hanno lavorato e la sua (se uno) o la loro tecnica di traduzione,
per poi studiarne la sintassi. Pi avanti (p. 277) il quesito di Pietersma che
rimane (in fondo) senza risposta tocca anche questo aspetto, ma lo riconduce
al suo ambito principale.
Unultima ma necessaria annotazione. Forse sarebbe stato opportuno non
perpetuare la leggenda secondo cui Tischendorf avrebbe salvato il codice
Sinaitico (da un tragico o assurdo destino) (p. 240). Ma per il carattere del
volume, Jobes e Silva non potevano soffermarsi su questa enigmatica vicenda.
Visto che anche recentemente se ne discusso e che ancora oggi si continua
a scrivere che a Tischendorf capit di vedere alcuni fogli destinati ad accendere il forno del monastero (di Santa Caterina) (tralascio la fonte), colgo
loccasione per dar voce ad un altro punto di vista, che ai pi sfugge. Mi
sempre apparso poco convincente che quel magnifico codice stesse per ricevere una sorte cos triste: si fosse trattato di un rogo accidentale, la leggenda
sarebbe risultata pi credibile. Ma come spesso accade difficile scalfire i
luoghi comuni, soprattutto quando poggiano su opinioni consolidate, come
quella non dichiarata, ma allusa, dellignoranza dei monaci. Da quanto risulta,
al monastero di S. Caterina al Sinai esposta una lettera di Tischendorf in
cui lo studioso tedesco prometteva ai monaci di restituire il codice. Dunque

554

RECENSIONI

lebbe semplicemente in prestito. Per avere unidea di come stanno le cose o


almeno per dar voce anche ai monaci del monastero di S. Caterina che dalla
vicenda non uscirono proprio bene, si pu leggere quanto scritto al riguardo
nellarticolo di James H. Charlesworth, St Catherines Monastery. Myths &
Mysteries, BA 42 (1979) 174-179. A p. 178 si legge: In the library on a pillar
close to the door is framed Tischendorfs letter and his word: to\ ceiro/grafon
touvto uJpo/scomai ajpodouvnai swvon this manuscript I promise to return
safely (Cairo, Sept. 1859; la lettera pubblicata per intero in I. Sevcenko,
New Documents, 60, v. sotto). Charlesworth nella relativa nota 1 a p. 179
aggiunge: According to Tischendorf, the manuscript was returned; subsequently he served as an intermediary so that the monks could sell it to the Czar of
Russia. In 1933 the British Museum purchased it. The monks at the monastery tell an appreciabily different story. Tischendorf visited the monastery and
found a manuscript that was recognized by the monks as being very precious.
He asked for permission to borrow the manuscript and retained his letter with
the promise to return it soon. Tischendorf then left with the manuscript for a
vast sum and became a rather wealthy individual. Una conferma pi documentata si ha in The New Discoveries in St. Catherines Monastery. A Preliminary Report on the Manuscript (ASOR Monograph Series 3), 1981 dello
stesso Charlesworth. Nella nota 4 di p. 13 riprende un articolo di I. Sevcenko
pubblicato nel 1981 su Scriptorium 18 (pp. 55-80) dal titolo New Documents
on Constantine Tischendorf and Codex Sinaiticus. A conclusione della nota
Charlesworth trascrive una eloquente affermazione dello studioso: (a) full
and fair account of the Sinaiticus story is yet to be written (cf. I. Sevcenko,
New Documents, 75).
La lettura del ben documentato articolo di Ihor Sevcenko infatti ricostruisce un quadro per buona parte diverso rispetto alla vulgate version (New
Documents, 57) sugli intricati avvenimenti che condussero alla definitiva
pubblicazione del codice (1911 per il NT, 1922 per lAT). Qui mi limito alle
domande che lo studioso pone a p. 58: 1) What were the exact conditions
under which Tischendorf received the Sinaiticus on September 28, 1859? 2)
By what authority did Tischendorf offer the Sinaiticus to the Tsar in 1862, if
the official donation of the manuscript occurred only in 1869? 3) Why did this
act of donation require a whole decade to be delivered by the monks? 4) How
is one to explain the circumstance that Cyril, the Archbishop of Sinai, who let
Tischendorf have the manuscript in 1859, did not issue the act of donation,
while Callistratus, his successor and enemy, who had nothing to do with the
negotiations of 1859, did? Sevcenko, documenti alla mano (soprattutto corrispondenza), viene a capo di una rete di rapporti sorprendente tra gli attori
dellaffare. Del resto ammette che il lavish baksheesh elargito ai monaci
abbia potuto stuzzicare il loro appetito (p. 75). Tuttavia, osserva che, seppure
dovesse esserci stato un unambiguous entente (sulla donazione), esso non
fu mai messo per iscritto (p. 76). Per cui the offering of the Sinaiticus to the

JOBES K. H. - SILVA M.

INVITATION TO THE SEPTUAGINT

555

Tsar in 1862 by Tischendorf was an illegal act. Ad ogni modo Sevcenko


pronto a riconosce a Tischendorf le qualit di grande e brillante studioso a
cui va il merito di aver intuito leccezionale valore del codice. Peccato che
lillustre cattedratico non sia stato altrettanto rigoroso nel raccontare alcuni
aspetti della vicenda che gli permise di entrare in possesso del manoscritto
(pp. 78-79)! Come si vede, siamo ben lontani dalla storiella del combustibile
per il forno. Una posizione pi equa, che assegna ai monaci di S. Caterina e
a Tischendorf, ciascuno per la sua parte, il merito della conservazione e della
scoperta scientifica del codice, la si trova in T.C. Skeat, The Last Chapter in
the History of the Codex Sinaiticus, NT 42/4 (2000) 315.
Bench esuli dal merito della discussione, mette conto riportare alcune
ulteriori annotazioni. Quanto ai fogli (12) e ai frammenti (14) appartenenti
al Sinaitico, venuti alla luce nel monastero nel 1975, si pu consultare il bel
volume Holy Monastery and Archdiocese of Sinai, The New Finds of Sinai,
Athens 1999 (la precedente edizione in lingua greca Ta\ Ne/a EuJre/mata touv
Sinav del 1998), soprattutto alle pagine 18.21.23.116-119.141. Qui riporto
alcune notizie che ho potuto ricevere grazie allinteressamento di padre G.C.
Bottini (Decano dello SBF), dal Dott. Basile J. Peltikoglou, ex Direttore del
Dipartimento di Conservazione, Restauro e Foto-riproduzione della Biblioteca
Nazionale di Grecia, che ha fatto parte del gruppo di esperti incaricato della
conservazione e del restauro dei manoscritti. suo il saggio The Conservation and Restoration Work of the New Manuscript-finds of Sinai, in The New
Finds of Sinai, 53-67. Peltikoglou in una lettera indirizzata a Bottini datata
1/3/2004 scrive tra laltro: 1) la pergamena (sc. dei fogli del Sinaiticus)
molto sottile e secca; 2) ha un colore biancastro, verso il colore dello zucchero e di grigio molto attenuato; altre pagine hanno un colore giallo attenuato;
3) quando il foglio sistemato su un supporto non trasparente sospeso
contro una fonte di luce trasparente, ma le lettere di entrambi i lati non
sono trasparenti: non si pu leggere la scrittura del lato opposto; 4) i fogli
sono scritti su entrambi i lati; 5) in alcune pagine c una rudimentale rigatura
perpendicolare e orizzontale; 6) le pagine I, IB sono il primo foglio del quaterno del libro dei Numeri, D il quarto foglio del quaterno del Pastore;
7) la pergamena di pelle di antilope non nata, per questo la sua qualit
ottima; 8) non stato agevole identificare con precisione a quali libri appartengono i frammenti (biblici); sono di diversa misura; lintervento sul codice
consistito essenzialmente di una spolveratura e pulitura prima di passare alla
sistemazione definitiva.
Il volume di K.H. Jobes e M. Silva, in conclusione, documenta il crescente
interesse rivolto dagli studiosi al testo dei Lxx. Questo ambito di ricerca, nel
vastissimo dominio degli studi biblici vetero e neotestamentari, a confronto di
altri settori, pu apparire di nicchia, quasi di supporto. Ma non possono sfuggire la variet e il valore dei contributi prodotti da tanti studiosi per chiarire i
termini delle relazioni esistenti tra i Lxx, la loro Vorlage e il TM, e tra i Lxx e

556

RECENSIONI

il NT, con una gamma di lavori che spaziano dallambito testuale a quello del
pensiero. Invitation to the Septuagint oltre a guidare con mano sicura il lettore
nel variegato mondo degli studi dei Lxx e a metterne in luce tutta la complessit, di questi studi rappresenta nello stesso tempo una sintesi ben riuscita sia
sul versante storico che metodologico. Gli AA. infatti nella loro rigorosa ed
equilibrata trattazione non hanno evitato di rilevare la necessit di fissare una
terminologia e una metodologia che evitino fraintendimenti e ambiguit. A partire da propri studi e da quelli di tanti altri hanno ordinato la materia in rami
ben definiti, apportando costantemente il personale contributo di riflessione.
Per comporre unopera del genere sono richieste due condizioni: la passione
per questo particolare tipo di studi e una solida competenza. K.H. Jobes e M.
Silva posseggono sia luna che laltra.
Rosario Pierri, ofm
Auwers Jean-Marie - Wnin Andr (ed.), Lectures et rlectures de la Bible.
Festschrift P.-M. Bogaert (BETL 144), University Press - Peeters, Leuven
1999, xlii-482 pp., FB 3000.
Il volume raccoglie studi in onore di P.-M. Bogaert, monaco a Maredsous e
professore alla Facult de Thologie di Louvain, offerti a lui per il suo sessantacinquesimo anno e per lo stato di professore emerito da lui raggiunto. Luomo
a tutti noto per la sua competenza nella letteratura giudaica post-biblica e per
la conoscenza specialistica nelle lingue antiche, in particolare lebraico, laramaico, laccadico, il siriaco e il greco. A lui infatti si deve la prima edizione
critica de LApocalypse syriaque de Baruch (SC 144-145), la sua tesi dottorale
allUniversit di Strasbourg, sotto la guida di J. Schmitt nel 1969. Nota anche
la sua collaborazione con D.J. Harrington, C. Perrot, J. Cazeau per ledizione
dello Pseudo-Filone, Les Antiquites Bibliques (SC 229-230), Paris 1976. Data
la sua competenza nelle varie versioni della Bibbia e nelle mutazioni ermeneutiche subite dal testo sacro nel passaggio da una lingua allaltra, non ci si
stupir che la maggior parte degli studi raccolti riguardino questo argomento:
il testo della Bibbia ebraica e il suo rapporto con la traduzione greca dei LXX,
latina, siriaca, che giustifica il titolo. Si tratta di letture e riletture del testo
biblico, quale attestato nelle traduzioni che ha subito e nella storia letteraria
in esse documentata.
I saggi sono distribuiti in quattro parti. La prima raccoglie studi su Ancien
Testament: Bible Hbraique!: M. Vervenne, Exodus 14,20 MT-LXX. Textual
or Literary Variation? (pp. 3-25); F. Gonalves, 2 Rois 18,13-20,19 par. Isae
36-39. Encore une fois, lequel des deux livres fut le premier? (pp. 27-55); J.
Vermeylen, Alliance renouvele (Jr 31,31-34). Lhistoire littraire dun texte
clbre (pp. 57-83); B. Renaud, Loracle de la nouvelle alliance. propos

AUWERS J.-M. - WNIN A.

LECTURES ET RLECTURES DE LA BIBLE

557

des divergences entre le texte hbreux (Jr 31,31-34) et le texte grec (Jr 38,3134) (pp. 85-98); J. Lust, Exile and Diaspora. Gathering from Dispersion in
Ezekiel (pp. 99-122).
Interessante il confronto tra lipotesi di J. Vermeylen e di B. Renaud
sul testo pi originario delloracolo sulla nuova alleanza (Ger 31,31-34). Il
primo segue lipotesi di P.-M. Bogaert (pp. 57-59), ritenendo che la LXX sia
traduzione di una Vorlage ebraica breve, che egli chiama seconda edizione
di un testo precedente, di cui il TM sarebbe la terza edizione, con un testo
lungo, parafrasato. Il secondo invece rifiuta con molta cordialit la lettura
proposta da Bogaert e mostra con convincente perizia critica che il testo della
LXX una effettiva traduzione che ha rielaborato il TM in senso benevolo:
essi non hanno rotto (TM) lalleanza, ma non sono restati in essa (LXX).
Per questo Dio non ha mostrato la sua signoria castigandoli (TM), ma si
disinteressato di loro (LXX).
Nella seconda parte, che la pi consistente, sono uniti saggi dedicati a
Ancien Testament: Bible Grecque (LXX) et Latine: A. Schenker, Diaqh/kh
pour berith. Loption de traduction de la LXX la double lumire du droit
successoral de lEgypte ptolmaique et du Livre de la Gense (pp. 125131); J.W. Wewers, The Balaam Narrative according to the Septuagint (pp.
133-144); R. Hahnhart, Zur griechischen und altlateinischen Textgeschichte
des 1. und 2. Esrabuches in ihrem Verhltnis zueinander (pp. 145-164);
J.-Cl. Haelewyck, La version latine du livre dEsther dans la premire Bible
dAlcal. Avec une appendice sur les citations patristiques vieilles latines (pp.
165-193); M. Gilbert, Les additions grecques et latines Siracide 24 (pp.
195-207); M. Harl, Sophonie 3,7b-13 selon la Septante et dans la tradition
chrtienne ancienne (pp. 209-229); A. Wnin, Y a-t-il un livre de Baruch?
A propos du livre rcent dAndr Kabasele Mukenge (pp. 231-243). Lo
studio di A. Schenker su diathk merita attenzione anche per gli studiosi del
NT, perch lipotesi che sia una traduzione interpretativa di berith alla luce
del diritto testamentario dellEgitto tolemaico (i.e. III sec. a.C.), ha buona
probabilit di essere valida, se integrata con opportuna modifica.
Luso della parola berith in Gen 69 implica il dono della terra che Dio
fa a tutti i viventi (Gen 8,17) e alla nuova umanit discesa da No dopo il diluvio (Gen 9,1.7). Lo stesso accadeva, quando un testatore faceva un lascito
di una propriet terriera o di un latifondo in favore del figlio o di terzi, mentre
era ancora in vita, preservandone lusufrutto fino alla morte. La stessa cosa si
dovrebbe dire per Gen 15,18 e Gen 17,1-8, dove la berith di Dio con Abramo
comporta essenzialmente il lascito della terra promessa (pp. 127-128, 128129). Ma credo che anche lA. convenga che il dono della terra, da solo, non
basta a trasformare il concetto di berith in quello di diaqh/kh, testamento.
necessario che intervengano i concetti concomitanti di discendenza e di eredit. Ora i due concetti mancano in Gen 8,17 e Gen 9,1.7. Ma quello di dare
alla discendenza esplicito in Gen 15,18 e in Gen 17,8. Quello di eredit

558

RECENSIONI

solo implicito. Quindi, per giustificare tale traduzione bisogner trovare altri
testi della Bibbia ebraica, dove la berith comporta la promessa delleredit
della terra, perch solo questi possono giustificare il passaggio semantico a
diaqh/kh della LXX.
Nella parte terza sono riuniti i saggi su Intertestament et Nouveau Testament: E. Tov, The Papyrus Fragments Found in the Judean Desert (pp. 247255); J.-M. van Cangh, Lvolution de la tradition de la Cne (Mc 14,22-26 et
par.) (pp. 257-285); C. Focant, Lultime prire du pourquoi. Relecture du Ps
22 (21) dans le rcit de la Passion de Marc (pp. 287-305); J.-M. Sevrin, Ce
que loeuil na pas vu. 1Cor 2,9 comme parole de Jsus (pp. 307-324).
Nel suo saggio van Cangh ribadisce la tesi gi nota da altri suoi studi che
il testo primitivo della Cena stato preservato in Mc 14,22 per le parole sul
pane (Questo il mio corpo) e Mc 14,25 per la coppa sul banchetto escatologico (pp. 283-285). Mc 14,24 che riporta le parole sul bicchiere del vino
equiparato al suo sangue versato per molti sarebbe posteriore, dovuto alla
comunit palestinese, con allusione al quarto canto del Servo (cf. LXX Is
53,11-12: uJper pollwn) (pp. 279-281). Alla stessa comunit palestinese si
deve la formula questo il mio sangue, dellalleanza, versato per molti, che
poi stata inserita nella liturgia della comunit ellenistica (p. 280). Questa
duplice concessione sullorigine palestinese di Mc 14,24 (le parole sul vino
come sangue dellalleanza, versato per molti) e la grande antichit della tradizione ricevuta da Paolo in 1Cor 11,25 (Questo bicchiere la nuova alleanza
nel mio sangue, con riferimento a Ger 31,31: kainh\ diaqh/kh), non favoriscono lipotesi che le parole sul bicchiere mancassero allorigine ed difficile da
accettare la supposizione che la parola aima sia stata aggiunta dopo per fare
un parallelismo con swma (p. 281). Se il sangue indica il sacrifico di espiazione effettuato per lalleanza come da LXX Es 24,8 rievocato in Mc 14,24,
bisogna dire che aima non unaggiunta casuale, ma un elemento essenziale
e costitutivo di tale evento, gi implicito nelle parole del famoso logion sulla
vita data in riscatto per molti (Mc 10,45: lu/tron anti pollwn), con evidente
allusione a LXX Is 53,11-12. Quindi, se questo logion ritenuto autentico,
non possibile ipotizzare che Ges non potesse pronunciare quelle parole
sul vino (Mc 14,24), adducendo come motivo che linvito a bere sarebbe stato
un sacrilegio per un giudeo cristiano e una diretta violazione dellinterdetto a
bere sangue, che si legge in Gen 9,4-6 e Lev 17,10-14 (p. 282). A questa ipotesi si oppone la dichiarazione esplicita di Paolo che afferma di avere ricevuto
quelle parole dal Signore (apo\ touv kuriou). Per questo ritengo pi ragionevole e conforme alla tradizione storica una ipotesi che ritiene le parole sul
vino (Questo il mio sangue, dellalleanza, versato per voi) come elemento
essenziale della Cena primitiva, ricordata da Mc 14,22-24 piuttosto che lipotesi di van Cangh che lo nega, senza prova storica. La klasi touv artou di
At 2,42 non esclude il vino, come appare evidente nel parallelismo tra mio
corpo dato per voi e mio sangue, versato per voi che si legge in Lc 22,19-

ADINOLFI M. A TAVOLA CON GES DI NAZARET

559

20 che il narratore ha preservato e stilisticamente perfezionato nonostante la


sua evidente preferenza, che pone laccento sullo spezzamento del pane (Lc
22,19a e At 2,46; 20,7.11).
Degno di nota anche il saggio di C. Focant sulla lettura di Sal 22(21)
nella storia della passione in Mc 15,24.29.34 in cui il grido di desolato abbandono di Ges sulla croce non attenuato, ma correttamente interpretato: Et
pourtant, au coeur mme de cette souffrance, le cri, tout en restant un pourquoi,
prend la forme dune prire. A partir de l, le lecteur apprend que mme cette
drliction peut tre soupporte dans la confiance sans consolation (p. 305).
Nella parte quarta sono riuniti saggi su La rception du texte biblique: S.
Brock, The Ruah Elohim of Gen 1,2 and its Reception History in the Syriac
Tradition (pp. 327-349); G. Dorival, Origne, tmoin des textes de lAncien
Testament (pp. 351-366); F. Dolbeau, Un pome mdiolatin sur lAncien
Testament dans la Vita de Julienne de Cornillon (pp. 393-419); A. Kabasele
Mukenge, Relecture de Gen 4,1-16 dans le contexte africain (pp. 421-441).
Questi, in breve, i contributi riuniti nel volume. Sono convinto che potrebbe
essere un ottimo strumento di lavoro per tutti coloro che oggi applicano il metodo della relecture per lesegesi del NT, perch la storia del testo della Bibbia
ebraica, quale qui adombrata nelle mutazioni semantiche che ha subito nel processo di traduzione da un idioma allaltro (ebraico, greco, latino, siriaco, copto)
insegna che una rilettura non mai una ripetizione, ma anche una trasformazione delle idee che nel testo sono espresse, le quali vengono approfondite, riviste,
rettificate e completate. In questo modo procede non solo la comprensione, ma
la stessa rivelazione, come attestato nel passaggio dal TM alla LXX e nelle
riletture dei discorsi di addio del Vangelo di Giovanni, e soprattutto nella
riletturadella tradizione evangelica da Marco, a Matteo e Luca.
Nello Casalini, ofm
Adinolfi Marco, A tavola con Ges di Nazaret, Portalupi Editore, Casal Monferrato 2001, 140 pp., Euro 7.23
Adinolfi Marco, A tavola. Venti donne della Bibbia raccontano, Portalupi
Editore, Casal Monferrato 2003, 160 pp., Euro 7.30
A distanza di poco tempo il biblista padre Marco Adinolfi, autore di numerosi
libri e articoli di carettere scientifico, ha offerto ai lettori due pubblicazioni
affini per la tematica. Si tratta del tema conviviale cos sentito nel mondo
orientale antico. Le differenze sono tante per.
Nel primo, protagonista Ges Cristo, nel secondo, diciannove personaggi
dellAntico Testamento e Salome la figlia di Erodiade del Nuovo. Nel primo,
chi parla Ges che prende lo spunto dalla mensa a cui stato invitato o ha

560

RECENSIONI

invitato per annunciare il regno di Dio. Nel secondo, si fanno parlare mogli,
vedovi, madri, figlie e sorelle di personaggi pi o meno famosi della storia
dIsraele da Abramo a Giuseppe, da Gedeone a Samuele, da Salomone a Tobia. Molte delle donne narranti hanno aiutato a preparare un banchetto, o vi
hanno preso parte, o ne sono state informate dal marito, per esempio, o dai
figli. La prima pubblicazione insiste soprattutto sulla dottrina di Ges proposta
nei banchetti. Nel secondo invece il discorso pi narrativo. Nel primo lA. si
diffonde a parlare di Ges in rapporto al cibo e alle bevande. Il secondo invece
intende ricostruire gli usi alimentari in Canaan, in Egitto, a Babilonia, in Persia
e nel mondo ellenistico.
Sia luna che laltra pubblicazione impreziosita da testi patristici scelti
in relazione ai singoli capitoli.
Il lettore del primo libro invitato a diventare commensale di Ges al
pranzo nuziale di Cana, a Cafarnao in casa del neo-discepolo Levi, a mensa del
fariseo Simone o di un anonimo capo dei Farisei, a Betania con il risuscitato
Lazzaro, a Emmaus presso i due discepoli, a casa di Marta e Maria, a Gerico
presso Zaccheo, sulle rive del Lago e al Cenacolo che vede listituzione dellEucaristia.
Oltre a unanalisi esegetica secondo i canoni moderni proposta dallA., chi
scorre queste pagine assaporer anche linsegnamento di Padri e scrittori della
Chiesa antica che attualizzano il messaggio di Cristo. Solo qualche esempio. A
proposito del pranzo a Betania, dove Maria cosparge I piedi di Ges con olio
profumato di vero nardo S. Cirillo di Alessandria commenta: La conoscenza
di Cristo doveva riempire di profumo il mondo. La casa riempita di profumo
dellunguento veniva mostrata quasi simbolicamente come quella che doveva
fra breve essere costruita spiritualmente. Subito, infatti, dopo la passione di
Cristo, tutta la terra come una grande casa fu riempita del soave odore di
Cristo.
A proposito delle parole di Ges che rimprovera Marta di preoccuparsi
e di agitarsi per molte cose lei che ha preparato loccorrente per la mensa
S. Agostino osserva: Lass che cosa ci sar? Ci che ha scelto Maria: l
saremo nutriti, non nutriremo. Perci sar completo e perfetto ci che qui
Maria ha scelto: da quella ricca mensa raccoglieva le briciole della parola del
Signore.
Zaccheo nota S. Massimo di Torino dun tratto si mut e ricerc la
grazia spirituale con unavidit maggiore di quella impiegata nella ricerca del
denaro terreno.
Il lettore del secondo libro viene reso testimone di banchetti infausti come
quelli che preludiano allaggressione degli abitanti di Sodoma, alluccisione
del soldato Uria, alla condanna a morte del visir Aman, alla decapitazionedel
genrale Oloferne e del profeta Giovanni Battista. Far festa ai banchetti preparati per lo svezzamento di Isacco, per la riconciliazione di Giuseppe con i
fratelli, per lunzione regale di Saul, per le nozze di Sara e Tobia.

DONAHUE J. R. - HARRINGTON D. J.

THE GOSPEL OF MARK

561

Delle bevande menzionato soprattutto il vino come quello bevuto dal


re Baltassar nei vasi sacri del Tempio di Gerusalemme, o quello tracannato
dal generale Oloferne e che gli costa a vita; oppure quello di cui abusa il re
Assuero e che costa la corona di regina a Vasti.
Quanto alle carni, sono menzionati cervi e gazzelle, antilopi e volativi da
stia presenti ogni giorno sulla mensa di Salomone; il vitello offerto ai tre di
Mambre da Abramo o dalla negromante a Saul; il brodo di capretto versato in
onore dellangelo del Signore da Gedeone; di quattro montoni che con i due
vitelli allietano il festino di nozze di Sara e Tobia.
Anche in questo secondo volume sono citati brani patristici a commento
esistenziale di questo o quellepisodio. Cos a proposito del banchetto nuziale
di Sansone, S. Paolino di Nola cantava: Voglio che il nostro fanciullo (figlio di
Citerio) non sia come Sansone, perch non ricerchi I piaceri della carne, a cui
presto tien dietro la schiavit, la debolezza e la cecit Voglio che non renda
il suo spirito schiavo dei piaceri carnali, quasi sottomesso dagli inganni di una
donna cattiva, e poi diventi possesso dei nemici, privo della forza della grazia.
Circa il banchetto insanguinato di Macheronte, S. Massimo scrive: Perch stupirsi se una danzatrice uccide il profeta? Sappiamo bene che la lussuria sempre
nemica della giustizia e che liniquit perseguita senza sosta la verit.
Ci congratuliamo con lEditore Portalupi per le copertine dei due volumi che
riproducono il primo la Cena mistica, un affresco del secolo XII che si ammira
nella Karanik Kilise di Greme in Cappadocia, e il secondo il famoso mosaico
del Duomo di Monreale con Abramo che serve a tavola i tre ospiti.
Laddetto ai lavori si accorge che non c nei due libri, anche senza un evidente apparato scientifico, unaffermazione che non abbia il suo serio fondamento
nel testo e nella storia universale. Sono di esempio per i biblisti: evitano elucubrazioni sottili e propongono in linguaggio chiaro e accessibile a tutti leterno
messaggio della Bibbia. Si potrebbe applicare allA. ci che Filone afferma del
Logos. Padre Adinolfi con questi due volumi si fatto davvero coppiere di Dio
e simposiarca. Siano molti a prendere parte al suo simposio.
G. Claudio Bottini, ofm
Donahue John R. - Harrington Daniel J., The Gospel of Mark (Sacra Pagina
Series 2), The Liturgical Press, Collegeville 2002, xv-488 pp.
Come indicato nel titolo, il commento a Marco di J.R. Donahue e D.J. Herrington appartiene alla serie Sacra Pagina, le cui caratteristiche sono ricordate
dallEditore (lo stesso Herrington) (p. xi), dove mette in evidenza la sua funzione eminentemente didattica: it is intended for biblical professionals, graduate
students, theologians, clergy, and religious educators. Quindi in coerenza con
questa funzione introduttiva alla lettura, essi danno una traduzione del testo

562

RECENSIONI

fedele, ma non pedante: il senso dato rispettando le regole della grammatica e


della sintassi della lingua inglese in cui tradotto. Seguono intense e cospicue
note esegetiche che procedono verso per verso, offrendo al lettore tutte le
informazioni indispensabili per capirlo: letterarie (i.d. grammaticali, sintattiche, stilistiche, narrative, ecc.), storiche e teologiche; ma anche sulle relazioni
intratestuali con riferimento ad altre pericopi di Marco e intertestuali con
particolare riferimento alle allusioni o citazioni dellAT, e altri testi giudaici o
greco-romani, su cui danno chiarimenti nel punto 1 (pp. 1-3).
A ci si aggiunge una effettiva interpretazione generale della pericope
esaminata, che gli AA. consigliano di leggere subito dopo la traduzione per
avere una visione comprensiva del testo prima di leggere le note di chiarimento sui problemi che si pongono leggendo. Queste note costituiscono la parte
pi importante dellesposizione (p. 3). Questa stata accuratamente divisa tra
i due commentatori. J.R. Donahue autore del commento a Mc 1,18,21+Mc
14,1-31; D.J. Harrington di Mc 8,2213,37+Mc 14,3216,20 (p. 3). Quindi,
anche se uno ha letto la parte dellaltro, lo stile espositivo distinto e riflette
un diverso punto di vista e una diversa competenza, secondo la diversa specializzazione e il diverso interesse di coloro che lo hanno scritto.
Il commento preceduto da una Introduction (pp. 1-57) che degna di
attenzione per lo stile e la funzione. costituita da sedici punti, che corrispondono a effettive schede informative, bibliograficamente aggiornate fino
alle pubblicazioni pi recenti (il 2002 lanno estremo indicato anche nella
Bibliografia Generale, che occupa il punto sedici, pp. 50-57). La successione
delle tematiche, trattate in forma autonoma e per se stesse, indica che gli AA.
hanno voluto fornire unastoria dello sviluppo dellesegesi di Marco dal sec.
XIX al sec. XX: quindi dal problema sinottico (2. Mark among the Gospels,
pp. 3-6), alla Formgeschichte (3. Mark before the Gospels, pp. 6-8), alla
Redaktionsgeschichte (4. Redaction Criticism: Mark as Author and Theologian, pp. 8-12), al Literary Criticism (5. Mark as Literature, pp. 12-13; 6.
The Genre of Mark, pp. 13-16; 7. The Literary Artistry of Mark, pp. 1619), al Narrative Criticism (8. Narrative Criticism and the Gospel of Mark,
pp. 22-27; 9. Marks Picture of Jesus, pp. 23-29, che di fatto comprende: A.
Marks Narrative Christology, pp. 23-25; B. The Names and Titles of Jesus,
pp. 25-27; C. The Messianic Secret, pp. 27-29; 10. Discipleship in Mark,
pp. 29-34). A queste schede sullo sviluppo storico della esegesi di Marco, ne
seguono due dedicate a soggetti diversi: 11. Mark and the Old Testament and
Judaism, pp. 34-37; 12. The Eschatology of Mark, pp. 37-38; a cui si aggiungono tre punti su problemi tipicamente introduttivi: 13. Mark in relation
to Paul and to Peter, pp. 38-41; 14 The Date and Audience of Mark, pp.
41-46; 15. The Outline of Marks Gospel, pp. 46-50.
Questa breve sintesi attesta che i problemi riguardanti la storia e la
composizione del testo occupano una parte fondamentale dellintroduzione
(pp. 6-22), bench gli AA. dichiarino nel punto 1 la loro intenzione di spiegare

DONAHUE J. R. - HARRINGTON D. J.

THE GOSPEL OF MARK

563

Mark as Mark and by Mark e di essere interessati solo alla forma finale del
testo e non alle fonti o alla storia letteraria che lo precedono (p. 1). Lapparente contraddizione tra intenzione ed esecuzione dovuta al fatto che a questo
principio di metodo che privilegia una lettura sincronica, essi hanno aggiunto
un secondo che pare in contrasto, perch li costringe a praticare una lettura
diacronica. Avendo deciso di ricostruire the setting in life (i.d. Sitz im Leben!)
del Vangelo (p. 2) per comprendere la condizione della comunit per cui
stato scritto usano con disinvoltura la window-reading (o mirror-reading), che,
come noto, lapplicazione di una metodologia storica a unopera letteraria
per scoprire la situazione in cui fu scritta (cf. J.R. Donahue, Windows and
Mirrors: The Setting of Marks Gospel, CBQ 57 [1995] 1-26).
evidente che ci serve a loro per procedere alla attualizzazione del
testo, che laltro scopo da essi deliberatamente perseguito (p. 3). Sapendo
per chi fu scritto, possibile indicare un modo di leggerlo adesso, adattandolo
alla condizione in cui viviamo. Ci appare chiaro nel trattamento del ritratto
negativo dei discepoli in Marco (pp. 32-34), i quali tradiscono Ges (Mc
14,10.42: Giuda), lo abbandonano (Mc 14,50: tutti!), lo rinnegano e disconoscono (Mc 14,66-72: Pietro!), che rifletterebbero nel loro comportamento la
condotta debole e vile di molti cristiani durante la persecuzione (diwgmo/) (cf.
pp. 42-43; Mc 4,5.16 petrwde su cui cade il seme che cresce e secca subito
a causa di diwgmo/ e qliyi). Questa persecuzione feroce accadde a Roma
dopo lincendio della citt provocato da Nerone, che rivers su di loro la colpa
del misfatto per scagionare se stesso e li fece punire con un metodo crudele:
avvolgerli in pelli di bestie feroci per farli divorare da cani famelici o bruciare
vivi affinch fungessero da torce per illuminare lo stadio nello spettacolo serale
(Tacito, Annales 15,44, citato a p. 43). Quindi il Vangelo di Marco sarebbe
stato scritto per dare speranza a coloro che avevano tradito o disertato la fede,
in quanto termina con un messaggio di fiducia: il Risorto invita i discepoli che
lo avevano abbandonato a un incontro in Galilea, insieme a Pietro (Mc 16,7-8).
Per questo il fallimento dei discepoli presentato dagli AA. come una buona
notizia, certamente paradossale, per la comunit che lotta per superare il fallimento e lapostasia dei suoi membri, invitando al pentimento, al perdono e
alla riconciliazione (p. 34). Intenda, chi ha orecchi per intendere!
Lascio al lettore giudicare sulla convenienza o meno di questo procedimento. Ma bene che egli lo tenga presente dallinizio, leggendo con cura la
dichiarazione di intenti nel punto 1 (An Intratextual and Intertextual Commentary) (pp. 1-3). Anche se tratta in modo specifico delle due procedure
esegetiche indicate nel titolo (Intratextual = Mark by Mark; Intertextual = link
to other texts, especially OT) (p. 1), indica anche gli scopi storici e attualizzanti che essi si prefiggono e che richiedono altri procedimenti metodologici:
la window-reading (p. 42) e il reader-responce criticism (p. 21).
probabile che alcune scelte metodologiche risultino problematiche a chi
legge. Per esempio, la descrizione della qualit artistica di Marco (pp. 16-19),

564

RECENSIONI

le cui tecniche narrative sono descritte in modo preciso e competente, ma restano senza giustificazione. Ci potrebbe dare origine a una lettura puramente
formalista del Vangelo, che sarebbe unaltra aberrazione, dopo quella esasperante dello smembramento verso per verso, quale fu praticata dalla critica
della redazione.
Ugualmente problematica la cristologia narrativa (pp. 23-35), che si
limita ad una descrizione della storia narrata. Anche se distinta dalla trama
(p. 27), non pare che ci sia distinzione tra le due, bench sia evidente che la
trama del racconto proceda con la tecnica del conflitto, mentre lo sviluppo
della cristologia narrativa affidata alla tecnica della domanda retorica Chi
costui?, costantemente ripetuta (Mc 1,27; 2,7; 4,41; 6,2.14; 8,27; 11,27; 14,6162; 15,2; 15,31.32) e alla incomprensione dei discepoli che laccompagna.
Ma il problema storico pi grave riguarda la data e i destinatari del Vangelo, che gli AA. trattano per esteso (pp. 41-46) e in cui presentano la loro ipotesi
fondamentale sul setting in life del racconto, e che ho gi in precedenza indicato. Essi attribuiscono grande importanza alla tradizione che lega Marco con
Pietro e, per mezzo di questi, il Vangelo di Marco con Roma (pp. 40-41), che
per loro senza dubbio lambiente a cui rivolto. Il testo sarebbe stato scritto
per aiutare la comunit divisa dopo la persecuzione di Nerone (dal 64 al 68) e
che si rifletterebbe nei moniti apocalittici di Mc 13,9-13 (pp. 42-44).
Ma io domando: se la persecuzione avviene con la consegna (paradwsousin)
ai sinedri, con frustate (darh/sesqe) nelle sinagoghe, e con processi davanti
a governatori e re (epi hJgemo/nwn kai basilewn), ancora possibile parlare
di persecuzione davanti alle autorit amministrative della citt di Roma, dove
noto che i cristiani avevano a che fare solo con magistrati secondari, addetti
allesecuzione degli ordini imperiali? probabile quindi che sinedri e sinagoghe indichino persecuzioni giudaiche e i governatori e i re gli amministratori
delle Province romane o dei territori sotto la tutela di Roma, a cui i cristiani
erano deferiti dai Giudei (cf. Atti!). Quindi il setting in life supposto da Mc 13,913 altro e differente da quello da loro suggerito. Se a ci si aggiunge che Mc
13,14-17 descrive con toni altamente drammatici la distruzione di Gerusalemme,
che presentata come tribolazione (qliyi) quale mai ci fu dal principio della
creazione e che Dio ha abbreviato quei giorni per favorire gli eletti (Mc 13,1920), allora lipotesi di Roma diventa insostenibile e un setting orientale (siriaco
o palestinese) pi probabile; cf. J.R. Donahue, The Quest for the Community
of Marks Gospel, in F. van Segbroeck (ed.), The Four Gospels 1992, FS F.
Neirynck (BETL 100), Leuven 1992, II, 819-834.
Nello Casalini, ofm
France Richard T., The Gospel of Mark. A Commentary on the Greek Text (The
New International Greek Testament Commentary), W.B. Eerdmans Publishing

FRANCE R. T.

THE GOSPEL OF MARK

565

Company, Grand Rapids, MI / Cambridge, U.K. - The Paternoster Press, Carlisle 2002, xxxvii-719 pp., US $ 55.00.
cosa molto rara leggere un commento moderno ai Vangeli e concludere la
lettura con un giudizio spontaneo, dicendo Questo un classico!. Ma ci
accaduto a me leggendo il commentario di France a Marco, che qui presento
e sono convinto che anche altri lettori competenti possano provare la stessa
impressione. Ci che conduce a tale giudizio un dato di fatto molto semplice,
ma fondamentale. Le sue soluzioni esegetiche non sono le pi nuove o le pi
rare, ma quelle pi valide, consolidate da tempo dalla tradizione interpretativa
per il loro intrinseco valore e la loro capacit di dare ragione e spiegare il
testo in esame. Questo risultato eccezionale dovuto, a mio parere, ad alcuni
principi ermeneutici affermati nella Introduction (pp. 1-45). Anche se non c
un paragrafo esplicito su questo, si possono reperire l dove France li afferma
trattando di qualche argomento che richiede di necessit un tale riferimento.
Definendo la natura del suo commento (pp. 1-3) afferma di attenersi ad
una considerazione sincronica, che privilegia il testo per se stesso, come noi
lo abbiamo e come ci tramandato. Quindi il suo procedimento non tende a
recuperare la storia in cui si formato, ma a spiegare il suo sviluppo narrativo,
con il presupposto letterario, oggi da tutti accettato, che il Vangelo di Marco sia
un racconto e come tale debba essere letto e spiegato (p. 2). Di conseguenza
una parte consistente della breve e scarna introduzione (pp. 4-20) dedicata
alla presentazione letteraria e narrativa del Vangelo stesso, da lui classificato
nel genere di racconto biografico (pp. 4-6), di cui mette in evidenza la natura
intensamente drammatica (pp. 11-13), che si riflette anche nella divisione in
tre atti dellopera stessa (I Mc 1,18,21; II Mc 8,2210,52: le due guarigioni di ciechi, di Betsaida e di Gerico, aprono e chiudono questo atto; III Mc
11,116,8) (pp. 13-15).
Anche se lo schema proposto non nuovo ma gi diffuso, merita attenzione per il fatto che usato non come indizio della struttura, ma in funzione
dello sviluppo drammatico della trama, che vuole mettere in evidenza. Il valore
narrativo del racconto indicato nella descrizione delle tecniche narrative, in
parte gi note, che il narratore ha usato nel suo modo di narrare: vivacit di
descrizione; amore del dettaglio e dei particolari; rilievo dato alla descrizione
dei sentimenti dei personaggi; luso di ripetizioni e ridondanze, che generano il
grave problema dei doppi; e le famose inclusioni narrative (cf. Mc 3,21-35;
5,21-43; 11,11-27 etc.), di cui si serve per inserire in un episodio il racconto di
un altro, creando scene parallele per affinit tematiche (pp. 15-20). Bisogner
quindi indagare con pi cura se questa tecnica di narrazione sia usata per se
stessa, o se piuttosto non sia una forma raffinata di elaborare una teologia narrativa, in cui il messaggio teologico non trasmesso con un concetto ma con
un modo descrittivo dellevento narrato. Ci non espressamente elaborato nel
commento e probabilmente merita un pi accurato trattamento.

566

RECENSIONI

In coerenza con questa scelta, egli non attribuisce molto valore alla pratica
della mirror reading, perch convinto che tale Vangelo non sia stato scritto
per una comunit definita, di cui sarebbe il riflesso. Preferisce invece lipotesi di una sua destinazione generale, gi proposta da Richard Bauckham (R.
Bauckham [ed.], Gospels for All Christians, 1998).
Per questo i problemi riguardanti lautore e lorigine del testo sono appena indicati (pp. 35-41), perch ritiene che non abbiano alcuna rilevanza per
il commento, che procede quindi senza questo presupposto (pp. 35-36). Le
pericopi non sono spiegate in funzione di una supposta situazione comunitaria come faceva la vecchia scuola storico-critica, ma solo in rapporto alla
funzione che assolvono nella trama della storia narrata, anche se R.T. France
non rinuncia del tutto allipotesi della tradizione ecclesiastica che stabilisce un
rapporto diretto di Marco con Pietro, che per lui significa un accesso diretto
del narratore alla tradizione apostolica, che Pietro rappresenta (pp. 17, 18, 38,
39). Questa presupposizione, ripetuta con insistenza, potrebbe trarre in inganno
e far credere che il commento sia tradizionalista. In realt non lo e tale
convinzione non ha incidenza nella spiegazione, per esplicita ammissione del
commentatore (p. 41). Ma assolve una funzione fondamentale, perch serve ad
equilibrare il principio narrativo, mostrando che il racconto non solo opera di
costruzione letteraria, ma affonda le sue radici nella tradizione apostolica, che
risale probabilmente allesperienza personale e diretta di coloro che ne hanno
dato testimonianza e che Pietro rappresenta (pp. 8-9).
A questo principio di lettura sincronica e narrativa, France ne aggiunge
un secondo, desunto direttamente dalla natura evangelica del testo, che non
la semplice storia della vita di Ges Nazareno, ma lannuncio che costui
il Cristo, Figlio di Dio, secondo lattesa dellAT, di cui il racconto su Ges
Cristo si presenta, in modo diretto (cf. Mc 1,2-3) o implicito (cf. Mc 1,9-11 e Is
42,1; Sal 2,7; Mc 15,16-39 e Sal 22; 2; 69) il compimento. Ci esplicitamente
detto dal commentatore (pp. 22-23) con riferimento alla sua opera passata (cf.
R.T. France, Jesus and the Old Testament. His Application of the Old Testament Passages to Himself and His Mission, London 1971) e alle opere pi
recenti che applicano lo stesso principio ermeneutico alla lettura del testo: cf.
D. Juel, Messianic Exegesis. Christological Interpretation of the OT in Early
Christianity, Philadelphia 1988 e R.E. Watts, Isaiahs New Exodus and Mark,
Tbingen 1997. Questa scelta ermeneutica serve a dare il senso teologico della
storia narrata che, in questo modo, inquadrata nel disegno di Dio per lattuazione del suo regno (pp. 29-30), a cui France aveva gi dedicato un saggio, di
cui riassume il risultato nel commento (Divine Governement. Gods Kingship
in the Gospel of Mark, London 1990). Quindi il riferimento allAT non stata
una scelta arbitraria, operata dal commentatore, ma stata suggerita a lui dallo
stesso narratore che si serve di costanti allusioni narrative alle Scritture gi
note per fornire a chi legge una chiave di lettura per linterpretazione della
cristologia narrativa, sviluppata nelle diverse fasi della trama (pp. 23-27),

BLACK C. C.

MARK. IMAGES OF AN APOSTOLIC INTEPRETER

567

e per inculcare nella sua mente il pensiero di Dio, cos diverso dal modo
di pensare umano, che trova arduo accettare la storia di un Cristo, Figlio di
Dio, rifiutato e crocifisso (Mc 8,32-33) (p. 25).
In conformit con questo principio, chi legge il commento nota con soddisfazione che alcuni episodi cruciali del racconto sono spiegati con il riferimento alle Scritture dellAT. In particolare gli annunci della passione (Mc 8,31;
9,31; 10,33-34) (pp. 334-335), il logion sullofferta della vita del Figlio dellUomo come lu/tron anti pollwn in Mc 10,45 (pp. 419-421) e le parole sul
vino della Cena presentato come il suo sangue ekcunno/menon uJper pollwn in
Mc 14,24 (pp. 569-571) sono interpretate con rigore critico alla luce di LXX Is
53,10-12 per mettere in evidenza il valore sostitutivo ed espiatorio della morte
del Cristo, cosa che nei commenti del passato o era negata o concessa con
molta riserva in mancanza di ogni diretta ripresa lessicale. Ma il commentatore
mostra con analisi convincente che i concetti sono presenti, anche se espressi
con verbi e vocaboli diversi o sinonimi (cf. pp. 419-421 e 570-571).
Con questa breve presentazione raccomando la lettura dellopera. La fatica
di France lo merita ed facilitata dalla forma espositiva adottata, pi conforme
alla disposizione mentale di chi si dedica ad essa. Ogni pericope commentata
per se stessa e, solo dopo una sua interpretazione generale, offre il commento
esegetico di ogni verso, tenendo conto del testo greco, e relegando nelle note
il confronto con le opinioni di altri commentatori o studiosi dellargomento.
Quindi lopera per coloro che seriamente studiano, ricercano o insegnano in
questo campo e che sono addetti ai lavori per la funzione che assolvono. A loro
vivamente lo raccomando. un bel libro!
Nello Casalini, ofm
Black C. Clifton, Mark. Images of an Apostolic Interpreter (Studies on Personality of the New Testament), Augsburg Fortress Publishers, Minneapolis
2001, xxii-327 pp., US $ 20.00
Il libro su Marco di Black una ristampa del volume pubblicato nel 1994,
con Preface datato aprile 1993. Quindi una ricerca nota da un decennio e
la ristampa nella serie Studies on Personality of the New Testament attesta il
successo che ha riscosso. Il suo contributo fondamentale consiste nel riesame
critico delle tradizioni letterarie su Marco, presunto autore del secondo Vangelo, detto kata Markon: nel NT e nei primi quattro secoli del Cristianesimo, in
occidente e in oriente. Questo intento d ragione del procedimento espositivo
(pp. 13-15) e della composizione del libro. Ad una Introduction problematica
su The Quest for the Historical Mark? (pp. 1-27), segue una Parte I su Glimpses on Mark in the New Testament (pp. 25-73); una Parte II su Portraits of
Mark in Patristic Christianity (pp. 77-191) che la pi estesa; e una Parte III

568

RECENSIONI

su The Second Gospel and Its Evangelist (pp. 195-259). Conclude con una
Select Bibliography (261-288). Dato lo scopo indicato e data limpossibilit
storica di raggiungere la persona reale nota col nome Marco, impossibilit
che C.C. Black accetta come base della sua ricerca (pp. 4-7), nonostante il suo
scetticismo anche di fronte a una ricostruzione minimalista, egli offre con il
suo studio non un ritratto, pi o meno storico, ma immagini di Marco, quali si
lasciano ricostruire dalle tradizioni letterarie esaminate. Questo quindi lunico
argomento del saggio, da collocare nella scienza introduttiva al NT.
Il metodo adottato rigorosamente storico e ci conferisce al suo esame
critico dei testi un grande valore per lobiettivit del giudizio e del procedimento, anche se pi di un risultato resta nel dubbio, data levanescenza del personaggio cercato. Black sembra procedere con lipotesi, oggi abbastanza diffusa
tra gli esegeti, che la stessa attribuzione kata Markon possa essere posteriore
e casuale, senza alcuna relazione con il vero autore del testo, ma aggiunta ad
esso come elemento editoriale per distinguerlo dagli altri (p. 4). Quindi ritiene
quasi del tutto impossibile verificare la storicit di tale attribuzione (p. 198),
impossibilit resa pi grave dallipotesi che in realt lautore di tale Vangelo
possa essere pi di uno (p. 239), anche se riconosce che nel discorso sul
Monte degli Ulivi (Mc 13) il narratore fa udire in modo distinto la sua voce
dicendo al suo lettore: Chi legge, comprenda (Mc 13,14) (p. 200).
Di fronte a questo dato di fatto narrativo e data lunit di stile da tutti riconosciuta al testo, mi domando se sia ancora possibile sostenere che lautore
del racconto potrebbe essere pi di uno. Se la tradizione pi antica, attestata
da Papia e risalente allanziano (presbu/tero) Giovanni, attribuiva quel testo a un personaggio sconosciuto, di nome Marco (pp. 82-94), bench fosse
possibile attribuirlo direttamente ad un apostolo, ancora possibile negare alla
notizia una reale probabilit di essere storica?
Lanalisi delle tradizioni su Marco nel NT oggettiva e completa. Egli osserva che il ritratto di Marco in Atti negativo: presentato come un giudeocristiano, probabilmente originario di Gerusalemme, solo con il nome giudaico
Giovanni (At 13,5b.13b), che si dissocia dalla missione di Paolo ai popoli e
Paolo rifiuta in tono spregiativo di portarlo con s (cf. At 13,13b e 15,38: to\n
apostanta touvton). Ci causa un grave disaccordo (paroxusmo/) che ha
come conseguenza la separazione definitiva di Barnaba da Paolo (pp. 26-42).
Qui il lettore trova lipotesi letteraria pi interessante del saggio: At 15,3540 potrebbe essere la versione lucana della famosa disputa di Antiochia che
coinvolse anche Barnaba ed rievocata da Paolo in Gal 2,11-14 (pp. 41-42).
Contraria a questa tendenza la tradizione paolina che tramanda un ritratto
positivo di Marco, chiamato sunergo/, collaboratore di Paolo (Fm 24; cf. Col
4,10 e 2Tim 4,11) (pp. 50-60). In questo esame, Black riconosce la dipendenza
letteraria dei due testi deuteropaolini da Fm 24 (p. 60). Ma nega ogni contatto
letterario con la tradizione lucana di Atti (p. 55), operando con lipotesi che
potrebbero essere due personaggi diversi, con lo stesso nome (p. 50).

BLACK C. C.

MARK. IMAGES OF AN APOSTOLIC INTEPRETER

569

Ci mi pare dubbio, perch questa ipotesi non riesce a spiegare come


mai tra i collaboratori nominati da Paolo in Fm 24 (Marco, Aristarco, Dema
e Luca), solo Marco sia precisamente individuato. In Col 4,10 presentato
come cugino (oJ aneyio/) (?) di Barnaba, il personaggio che in At 15,37-39
si separa da Paolo, perch costui rifiuta di prendere con s Marco per lopera
di evangelizzazione. In 2Tim 4,11 con un procedimento letterario che pare una
vera riabilitazione, Paolo chiede a Timoteo di portare con s Marco, che gli
utile nel servizio (i.e. apostolico) (estin gar moi eucrhsto ei diakonian).
Questa individuazione e il modo in cui qualificato, attestano che la tradizione deuteropaolina (per lo meno Col 4,10!) si riferisce alla figura di Marco in
Atti. Ma riconosco che, in mancanza di indizi, il Marco nominato da Paolo
in Fm 24 potrebbe essere un altro.
Tuttavia, come storico, mi domando: se la tradizione antica raccolta da Luca
in Atti conosce Giovanni detto Marco, collaboratore di Paolo (cf. At 13,5b),
mai possibile che Paolo (Fm 24) parli di un Marco diverso? E se il narratore
di Atti, pur chiamandolo con il nome ebraico Giovanni (At 13,5b.13b) ricorda
con insistenza che era chiamato Marco (touv epikaloumenou Markou: At
12,12; to\n epiklhqenta Markon: At 12,25; to\n kalou/menon Markon: At
15,37,b), ed egli stesso lo chiama semplicemente Marco (At 15,39c), ancora
possibile che fosse un personaggio diverso? Mi sembra che sia pi semplice
per il metodo storico supporre che linsistenza sul soprannome (Marco) serva
ad individuarlo, perch questo era il nome con cui era noto nellambiente e ai
destinatari del racconto. Di conseguenza non era sconosciuto, anche se Luca
descrive il suo comportamento come esitante e incerto sullopera di Paolo al
suo inizio. probabile quindi che la tradizione paolina si ricongiunga con
quella lucana, congiunte luna e laltra nella tradizione petrina (1Pt 5,13), dove
Marco chiamato mo figlio (oJ uio/ mou) e posto accanto a Silvano, il Sila
che in At 15,40 lo aveva sostituito come compagno di Paolo, quando costui
aveva rifiutato di prenderlo con s.
Black riconosce una dipendenza di questa tradizione da quella paolina, ma
nega una connessione con la tradizione lucana (p. 65). Ma io domando: se Giovanni Marco nominato per la prima volta in At 12,12 in rapporto a Pietro,
che era familiare in casa di sua madre Maria, ancora possibile sostenere che
il legame tra Pietro e Marco appare per la prima volta nel NT in 1Pt 5,13 (p.
65)? probabile quindi che questo Marco, cos tenacemente ricordato nelle
diverse tradizioni del NT, sia qualche cosa di pi di un personaggio secondario
del Cristianesimo primitivo. Per questo necessario domandarsi con seriet
storica se tale fama, per quanto controversa, non sia da attribuire alla sua opera catechetica, che stata fondamentale per la diffusione della fede cristiana:
egli ha scritto il primo racconto del vangelo di Ges Cristo, Figlio di Dio (Mc
1,1). Il suo testo aveva assunto una tale autorit testimoniale nella Chiesa,
da servire da modello quasi intoccabile a quelli venuti dopo (Matteo, Luca e
probabilmente anche Giovanni). Ma su questo Black preferisce attenersi agli

570

RECENSIONI

antichi risultati della passata scuola esegetica, che non considera il racconto di
Marco un novum, n opera di un genio teologico, ma solo la rielaborazione
in una sintesi frammentaria (Papia!) di raccolte minori precedenti costituite
da detti (Mc 9,42-50), parabole (Mc 4,3-32; 12,1-12), racconto di miracoli
(Mc 4,355,43), controversie (Mc 3,22-30; 12,13-27), discorso apocalittico
(Mc 13,1-37), gli ultimi giorni a Gerusalemme (Mc 14,115,39) (cf. H.-W.
Kuhn).
Questa ipotesi storico-critica, bench legittima, storicamente gratuita e
oggi non pi condivisa. noto infatti che era possibile conoscere in modo
preciso la storia di Ges Cristo senza averlo mai conosciuto e solo sulla base
delle Scritture, come attesta il caso di Apollo di Alessandria (At 18,24-28)
e soprattutto il caso eccezionale di Paolo, che probabilmente non ha mai conosciuto Ges Nazareno (cf. laffermazione dubbia e volutamente equivoca in
2Cor 5,16). Ci significa che era possibile scrivere un Vangelo di Ges Cristo,
Figlio di Dio, seguendo il suo destino quale anticipato nellAT per narrare
la storia di Ges Nazareno, completando il poco noto dalla tradizione storica
con il molto preannunciato dalla parola profetica, con la certezza di fede che
ci che del Cristo era scritto corrispondesse in modo perfetto a ci che di fatto
gli accaduto. E questa opera poteva comporla solo un uomo dotato di genio
teologico, quale colui che ha composto il Vangelo, che gli antichi dissero
di Marco (kata Markon). Solo questo, a mio giudizio, potrebbe giustificare
la reminiscenza persistente dellantica tradizione cristiana (lucana, paolina e
petrina) di un protagonista letterario, detto Marco, a cui nega dignit apostolica, e che tuttavia ricorda come servo (uJphreth) (At 13,5b) o come
collaboratore (sunergo/) di Paolo (Fm 24; cf. Col 4,10).
Per il resto, fuori dubbio che il Vangelo di Marco rappresenti lo stadio
primitivo del passaggio dalla tradizione (catechetica!) orale alla tradizione
scritta su Ges Cristo (p. 200); e ritengo corretta lipotesi che lattribuzione di
tale Vangelo a un certo Marco, discepolo e interprete di Pietro (Papia!), sia
servita ai Padri per stabilire un legame (link) tra loro e la tradizione apostolica su Ges, che ne d testimonianza (p. 240). Ma ritengo che sarebbe stato
opportuno distinguere con pi rigore tra tradizione ecclesiastica posteriore,
rappresentata dai Padri e la tradizione apostolica anteriore, rappresentata
dalle Lettere e dai Vangeli, perch anche se presso i primi Marco gode di poca
attenzione di fronte a Matteo (o a Luca), nella seconda godeva di una autorit
incontestata, come attesta la tradizione sinottica (e giovannea!).
Black ha percepito bene la tendenza riduttiva della tradizione patristica
su Marco (pp. 213-214). Ma probabilmente non ha compreso con la stessa
finezza critica la funzione essenziale assolta dal racconto di Marco nella tradizione apostolica. Il Vangelo di Marco costituisce latto di fondazione della
tradizione evangelica, che senza di lui sarebbe andata perduta, come attesta
il fatto che Paolo la ignora e, se la conosce, non la ricorda se non nella forma
kerygmatica (1Cor 15,3-5 e 1Cor 11,23-25). Quindi la dimenticanza e trascu-

TESTA E. N.

GES VERO UOMO FIGLIO DI MARIA

571

ratezza posteriore non diminuisce in nulla il merito e la grandezza precedente.


Marco il primo testimone dellannuncio evangelico (del kerygma!) su Ges
Cristo. Da lui dipendono infatti i Vangeli scritti dopo. Non sarebbe perci errato per il metodo storico porre questo Marco, autore del Vangelo in relazione
con il Marco della tradizione paolina (Fm 24; cf. 2Tim 4,11), anche se resta
problematico il suo rapporto con la tradizione lucana (At 12,12.25; 13,5b.13b;
15,37-39; cf. Col 4,10). Ma la differenza totale del giudizio su Marco nelle due
tradizioni (positivo in Fm 24, negativo in At 15,38) non esclude la possibilit
di un giudizio storico obiettivo. Tale differenza infatti potrebbe favorire lipotesi di una distinzione tra il Giovanni Marco di Atti e il Marco collaboratore
di Paolo. Ma linsistenza di Luca sul fatto che tale Giovanni era chiamato
Marco potrebbe essere un indizio letterario per favorire la sua identificazione
con un personaggio gi noto. E questo, nellambiente cristiano, era solo il collaboratore di Paolo, che il testimone pi antico su Marco (Fm 24), bench
il nome Marco fosse comune nellambiente romano.
Nello Casalini, ofm
Testa Emmanuele Nazareno, Ges vero uomo figlio di Maria, Edizioni Porziuncola, S. Maria degli Angeli (PG) 2003, XXIX-575 pp., 17 figg., 98.
Non semplice fare il resoconto di un libro che si presenta come la summa
esegetico-teologica di una vita di ricerca sulla figura di Ges. Giunto al traguardo degli 80 anni proprio nel 2003, p. Testa, per decenni professore allo SBF di
Gerusalemme oltre che allUniversit Urbaniana di Roma, offre il suo tributo
damore al Signore che fin dallinfanzia ha seguito e il cui Volto ha ricercato
nelle Scritture dellAntico e del Nuovo Testamento, nei Luoghi della Terra
Santa, nelle preziose tracce venute alla luce attraverso gli scavi archeologici,
nella letteratura apocrifa della Chiesa Madre e nella Patristica antica. Date le
condizioni di infermit degli ultimi anni, lopera ha richiesto lopera generosa di
varie persone che p. Testa nomina e ringrazia allinizio del volume (p. VI).
Lo stato danimo dellA. e insieme il piglio della sua esposizione si manifestano gi nelle pagine della presentazione e ambientazione.
In polemica con i vecchi rabbini e con lesagerazioni di vari Padri Antiocheni e
specialmente con i critici dei sec. XIX-XX, ci siamo avvicinati a Ges storico, vero
uomo, figlio di Maria Noi invece abbiamo accettato il Vangelo di Ges Cristo,
Figlio di Dio (Mc 1,1), che ci ha presentato come suo manifesto, in questi ultimi
anni che stiamo partecipando alla sua croce, attuando i discorsi matteani e degli altri
sinottici, delle Beatitudini, delle Parabole e delle missioni come prima sezione
Nella seconda [sezione] siamo associati ai suoi scongiuri, per liberarci dallimpero
demoniaco e ci ha associati al mistero della sua Passione redentiva, perch possiamo

572

RECENSIONI

completare nella nostra carne quello che mancato ai suoi patimenti a favore del suo
Corpo che la Chiesa (Col 1,24) da Lui fondata come unica e pluralistica.
Fra i tanti studiosi che hanno preteso di costruire sullunico fondamento/
Cristo, secondo la grazia data a ciascuno da Dio anche noi, con mano incerta e
tremante, nella vecchiaia abbiamo preteso di ricostruire non la divinit, ma lumanit di Ges, figlio di Maria (pp. 3-4).

La parte iniziale traccia lambiente dei Vangeli con attenzione ai dati


concreti dei luoghi. Tra questi spicca Nazaret, il cui scavo eseguito insieme al
compianto e venerato p. Bagatti, occup un posto importante nella vita di p.
Testa ed vivo nei suoi ricordi.
Con gli scavi che vi abbiamo fatto, Nazaret non pi una citt fantastica disprezzata (Gv 1,46), ma un reale centro agricolo, abitato da contadini solerti fin
dal tempo del ferro, e in seguito, dal I sec. in poi, dai numerosi parenti di Ges
(Mc 6,3; 1 Cor 9,5) Negli scavi vi abbiamo trovato la domus/ecclesia di Maria,
ricordata nelle iscrizioni (XE Maria, e Luogo sacro di M[aria?]), trasformata in
zona battesimale, in Sinagoga e in basilica bizantina e crociata, luoghi sacri visitati da Egeria, Paola, Girolamo Una simile evoluzione labbiamo nella casa di
Giuseppe dove Ges fu nutrito (Lc 4,16) (p. 4).

Lopera si sviluppa in 8 sezioni che delineano un itinerario vario, ampio e


originale. Inizia con una sezione sullambientazione del vangelo dellinfanzia e
del ministero con il discorso del lago, le parabole, i discorsi di missione, il libro degli esorcismi (Mt 89) e i 7 segni di Giovanni (Gv 2,111,44), per giungere agli annunci della passione e alla Pasqua. Gi dalle prime pagine si scopre
che la lettura riserver delle sorprese, come la trattazione delle tre Cene di
Pasqua (pp. 26-29) o del Deus absconditus del Ges storico (pp. 31-36), e
che non sar noiosa, anche per la verve polemica che caratterizza lA.
Le sezioni 2-8 analizzano, nellordine, i vangeli dellinfanzia, le beatitudini, le
parabole, Ges esorcista, il mistero della passione di Ges e il discorso escatologico. Lesposizione vivace senza essere superficiale o di semplice divulgazione
e si avvale di frequenti riferimenti alle lingue originali, ebraico e greco. Delle
Beatitudini e di altri detti di Ges lA. presenta, oltre il testo greco originale, anche
retroversioni in ebraico e in aramaico. Richiama lattenzione lampia analisi del
Padre Nostro (pp. 149-182), che cerca di ricostruire le varie fasi dello sviluppo
e le adattazioni della preghiera, dalle fonti arcaiche in aramaico, alla redazione
matteana preferita dai fedeli della Chiesa Madre giudeo-cristiana, a quella lucana
della Grande Chiesa gentile greco-latina, senza trascurare le armonizzazioni e le
aggiunte legate a una certa ideologia (Marcione) o liturgia (Didach).
Lattenzione speciale di p. Testa per la Chiesa fondata come unica e pluralistica si nota di frequente, ad esempio nellanalisi dei discorsi di missione, in
cui distingue accuratamente la missione prepasquale da quella postpasquale.

TESTA E. N.

GES VERO UOMO FIGLIO DI MARIA

573

La missione prepasquale fu diretta esclusivamente ad Hebraeos. Di questa missione purtroppo, oggi, non possediamo loriginale, ma quattro recensioni, da cui possiamo per riscoprire il nucleo originale con un buon margine di sicurezza Si ha
limpressione che mentre Matteo ha conservato il carattere ebraico di tale missione,
Luca labbia indirizzata piuttosto ai Samaritani, mezzo pagani e mezzo ebrei.

La missione postpasquale, invece, frutto della fede della comunit nel


Cristo risuscitato, diretta ai Gentili. Ma anche questa non una creazione
della comunit, essendo legata allesempio di Ges storico, il quale, anche se
personalmente si limit allapostolato ad Hebraeos, aveva preparato la missione universale della sua Chiesa (p. 339).
Un rilievo importante riservato allattivit taumaturgica, alla fase esorcistica che costitu la prima attivit del Signore, mentre la seconda fu quella
dei segni. Secondo p. Testa, la prima attivit ebbe per oggetto la lotta del
Messia il pi forte e il Demonio, il forte la ritroviamo nel Libro degli
esorcismi o le 10 opere di Matteo (Mt 8,19,34) Le 10 opere di Matteo
sembra ricordino le 10 piaghe dellEgitto (p. 408).
La sezione riguardante il mistero della passione di Ges analizza le varie
tematiche evocate dagli evangelisti, dai tre annunci della passione, al discorso
ecclesiale di Matteo (cc. 18-19), o regola della comunit, ai problemi dibattuti
nellebraismo con i quali Ges venne a contatto durante il suo viaggio dalla Galilea verso Gerusalemme passando per la Perea, in particolare lindissolubilit del
matrimonio con i detti collegati riguardanti il celibato volontario per il Regno,
la benedizione dei bambini e lincontro con il giovane ricco. Una parte notevole
della trattazione dedicata alle controversie con gli ebrei nel Tempio (lautorit di
Ges, il tributo, la legge del levirato, i 613 precetti e il pi grande comandamento
dellamore, la controversia sul Messia figlio di David o figlio di Dio) concluse
con linvettiva dei 7 guai contro gli scribi e i farisei; alle tre cene nella settimana
di pasqua (la cena dei preti, la mistica cena dellAgnello dal gioved al venerd,
la cena del Signore), con alla fine un dettagliato quadro sinottico della settimana
santa secondo la Chiesa Madre di Gerusalemme (pp. 487-490).
Lultima sezione dedicata al discorso escatologico, alle parabole della parusia, al triduo pasquale del Re della gloria e al millenarismo dello Spirito Santo. Particolarmente in questa parte p. Testa fa abbondanti riferimenti agli scritti
apocrifi e patristici, alle liturgie orientali antiche, ad esempio in riferimento alla
discesa agli inferi, alla predicazione della salvezza ai morti nello sheol, alla risalita
attraverso le varie tappe della scala cosmica dalla terra alla destra del Padre. E
naturalmente mette in rapporto queste credenze con la vasca di Nazaret.
Nella Vasca dellAnnunziata a Nazareth, nella Fascia dei segni, in modo molto
primitivo, uno dei neofiti ha graffito una scala cosmica che, sotto la guida di Michele,
dovr salire per raggiungere il giardino del Paradiso. Seguono poi 4 barche per il
buon viaggio intonachi pitturati tra cui possiamo leggere K(u/rie) C(ri/ste)

574

RECENSIONI

un monogramma un complesso di lettere da leggersi MARIA scritto sotto una


grossa C, una croce, oppure un chi, Cristo. Seguono le due lettere giudeo-cristiane
IH, iniziali del Nome IH(souv) la Croce cosmica quattro nomi di persona
Nella seconda tappa della scala cosmica ci troviamo nella grotta di Conone abbiamo il vecchio Martyrium, con i resti del banco roccioso creduto in antico una
tomba funebre dei parenti di S. Giuseppe. Fu invece un reliquiario che conservava
ossa di santi, bagnati da olio, che si faceva scorrere nel pavimento, per raccoglierlo
in boccettine che si davano ai pellegrini inginocchiati devotamente (pp. 529-531).

Vinta la morte, spalancato lo sheol e incatenato Satana per 1000 anni, la


tappa finale la salita alle tre zone della felicit attraversando i vari cieli fino
al trono di Dio e alla sede di Cristo e sede dei Santi. Giungiamo cos allultimo
capitolo del volume sul millenarismo dello Spirito Santo che conclude il regno
millenaristico iniziato con la glorificazione del Cristo. Gli eventi di questa tappa finale sono illustrati sulla base dei testi apocalittici (soprattutto lApocalisse
ma anche lAT, la letteratura giudaica e cristiana apocrifa). Sulla terra rinnovata
e pacificata scender la Gerusalemme di lass. In essa abiteranno i giusti della
prima risurrezione, preludio dellincorruttibilit e della pneumatizzazione
fino al Giudizio universale a opera del Figlio dellUomo.
La conclusione generale presenta una sorpresa, qualcosa che fu tale anche
per lA.
Nei primi di giugno del 2001, con grossa fatica della destra fisicamente impedita,
ho terminato il manoscritto del volume Ges vero uomo figlio di Maria e mi
trovai in difficolt nello scegliere il tema della conclusione generale, senza ripetere
la Presentazione assai analitica fatta allinizio del volume. Quando il 3 dello stesso
mese mi arriv da Fr. Romualdo Fernandez, superiore del Memorial Saint Paul,
Tabale, Damasco, una fotocopia duna iscrizione di una tomba del villaggio siro
di Shnn, situato nellApamene del Nord nella regione di Jebel Zawiyeh, a 10 km
a sud di Ariha e a 80 km ad ovest di Aleppo (p. 557).

Fu loccasione che riaccese in p. Testa il fervore del simbolico che in giovent


aveva prodotto lopera monumentale Il simbolismo dei giudeo-cristiani (Jerusalem
1961, successivamente ristampato nel 1982 e nel 2004). Il santuario di Shnn,
gi studiato dal punto di vista archeologico e storico dallo stesso Fernndez e dal
confratello I. Pea, fu un centro di pellegrinaggio. Comprendeva una cappella
martyrium con monogrammi di Cristo e graffiti di pellegrini, un sepolcro scavato
nella roccia con tre tombe doppie ad arcosolio con disegni di croci, monogrammi
di Cristo e iscrizioni, e un paio di edifici in pietra, forse per ospitare i pellegrini.
La cosa che attir linteresse di p. Testa fu soprattutto un inno a Cristo, il quale
essendo immortale, ha sofferto numerosi tormenti.
Alla prima lettura risentii i temi che avevo svolto nel mio libro e pensai di usarlo
come conclusione del medesimo: Ges Cristo, pur essendo immortale, ha sofferto

PORTER S. E. - CROSS A. R. BAPTISM, THE NEW TESTAMENT AND CHURCH

575

numerosi tormenti; della razza di David appartenne al ramoscello celeste dellalbero tagliato di Jesse, dello scettro messianico del David redivivo, agitato dai supplicanti intorno allaltare. Glorificato sulla terra come unigenito immortale. Disceso
dal cielo su tutta la terra. Maestro della vita vera da tutta leternit. Come figlio di
Dio, nato tra noi da Maria sua madre, soccorritore di ogni bisognoso (= legato al
numero isopsefico del ritornello Ges il Cristo con il n. 2443 del monogramma
BUMG che ripetuto nella seconda colonna ad ogni suo titolo) (p. 557).

In conclusione, p. Testa ci offre una summa esegetico-teologica che testimonia lamore di una vita e pu illuminare e nutrire la vita del lettore.
Alviero Niccacci, ofm
Porter Stanley E. - Cross Anthony R. (ed.), Baptism, the New Testament and
Church. Historical and Contemporary Studies in Honour of R.E.O. White
(JSNT SS 171), Sheffield Academic Press, Sheffield 1999, 497 pp., 55.00.
La raccolta di studi in onore di R.E.O. White ha come motivo dominante il
battesimo e si inserisce nella storia del dibattito su questo rito nella tradizione
della Chiesa e la sua attestazione nel NT. Ci indicato nella breve sintesi
dello status quaestionis premesso al volume da Porter e Cross, Introduction:
Baptism in Recent Debate (pp. 33-39). Ma il lettore comprende subito che
la parola recente si riferisce a un periodo di tempo che abbraccia per lo pi
settanta anni di ricerca e discussione, dalle conferenze accademiche di E.
Brunner (1938: Wahrheit un Begegnung, tenute presso lUniversit di Upsala,
Olaus Petri Lectures), alla lezione di K. Barth (1943: Die kirchliche Lehre von
der Taufe), fino alle monografie pi recenti di A.J. Wedderburn, Baptism and
Resurrection. Studies in Pauline Theology against the Graeco-Roman Background (WUNT 44), Tbingen 1987, di L. Hartman, Into the Name of the Lord
Jesus. Baptism in the Early Church (SNTW), Edinburgh 1997, e di E. Nodet
- J. Taylor, Les origines du Christianisme, Paris 1998, passando attraverso The
Biblical Doctrine of Initiation (1960) dello stesso R.E.O. White, e le monografie
di G.R. Beasley-Murray, Baptism in the New Testament (London 1962) e J.D.G.
Dunn, Baptism in the Holy Spirit (London 1970). Tuttavia il dibattito non
effettivamente riassunto ma solo indicato, anche se presente in quasi ogni
contributo del testo, i cui autori si riferiscono in qualche modo alle opere che
ho brevemente elencato, alcuni dei quali appaiono anche come contributori del
volume che presento (per es. J.D.G. Dunn). Ma i pi moderni sono assenti.
La silloge composta di due parti. La prima comprende studi dedicati al
battesimo nel Nuovo Testamento: J. Nolland, In Such a Manner it is Fitting
for Us to Fulfil all Righteousness: Reflections on the Place of Baptism in
the Gospel of Matthew (pp. 63-80); S.E. Porter, Mark 1,4. Baptism and

576

RECENSIONI

Translation (pp. 81-98); E.W. Burrows, Baptism in Mark and Luke (pp.
99-115); J.E. Morgan-Wynne, References to Baptism in the Fourth Gospel
(pp. 116-135); J. Ramsey Michaels, Baptism and Conversion in John: A Particular Baptist Reading (pp. 136-156); J.B. Green, From Johns Baptism
to Baptism in the Name of the Lord Jesus: The Significance of Baptism in
Luke-Acts (pp. 157-172); A.R. Cross, One Baptism (Ephesians 4,5): A
Challenge to the Church (pp. 173-209); J.E. Colwell, Baptism, Conscience
and Resurrection: A Reappraisal of 1 Peter 3,21 (pp. 210-227); A. Campbell,
Dying with Christ: The Origin of a Metaphor (pp. 273-293); J.D.G. Dunn,
Baptized as Metaphor (pp. 294-310); M.B. ODonnell, Two Opposing
Views on Baptism with/by the Holy Spirit and of 1 Corinthians 12,13: Can
Grammatical Investigation bring Clarity? (pp. 311-336); N. Clark, Initiation
and Escatology (pp. 337-349). Da questa semplice indicazione di titoli, il
lettore comprende subito che il volume ha un carattere quasi monografico,
perch sono dibattuti, in modo diretto o indiretto, i testi pi importanti del NT
sul battesimo.
Anche se la problematica dipende spesso dalla discussione nella stessa
denominazione cristiana Battista, a cui R.E.O. White appartiene, lesame
condotto con la metodologia scientifica, che una garanzia per loggettivit
della ricerca, come attestano alcuni dei nomi dei contribuenti, la cui fama
solidamente attestata nella scienza esegetica neotestamentaria. Ma due dei
contributi di questa parte, tra i pi consistenti anche se problematici, riguardano possibili rapporti interculturali tra la prassi battesimale cristiana e i riti
misterici della tradizione religiosa greco-romana: B.W.R. Pearson, Baptism
and Initiation in the Cult of Isis and Serapis (pp. 42-62); L.J. Kreitzer, On
Board the Eschatological Ark of God: Noah-Deucalion and the Phrygian
Connection in 1Peter 3,19-22 (pp. 228-271).
Se volessi essere pi preciso e dare a chi legge questa recensione qualche
orientamento sul contenuto dei contributi pi importanti, potrei fare rilevare
il tentativo di J. Nolland di spiegare Mt 3,15 Lascia ora. Cos infatti conveniente per noi compiere ogni giustizia (plhrwsai pasan dikaiosu/nhn),
come giustizia del Regno di Dio che Giovanni e Ges devono attuare, con
un riferimento al compimento del Regno di Dio preannunciato nelle Scritture:
cf. luso di Mt 5,17: Non sono venuto per abolire la Legge e i Profeti ma
per compiere (alla plhrwsai) (pp. 72-75). Mi sembra che il riferimento
al Regno non sia esplicito nelle parole che ho citato (Mt 3,17). Ma un riferimento alla necessit di compiere la volont di Dio espressa nella Legge
e nei Profeti (Mt 5,17) fuori dubbio, anche se non chiaro in che modo la
sottomissione di Ges al battesimo di Giovanni possa essere un tale compimento. Questo nodo del testo resta irrisolto. Per linterpretazione di Mt 28,19
(pp. 76-80) J. Nolland si trova in difficolt. Il battesimo nel nome del Padre e
del Figlio e dello Spirito Santo interpretato come un mezzo con cui coloro
che lo ricevono si identificano con il Dio cos indicato e diventano solidali

PORTER S. E. - CROSS A. R. BAPTISM, THE NEW TESTAMENT AND CHURCH

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con lui (p. 78). Ci non potrebbe soddisfare chi sa che la pronuncia del nome
di Dio su qualcuno non indica lattivit di colui su cui invocato, ma di Dio
stesso che prende possesso di colui che aderisce al Vangelo e si sottomette al
suo comando (Mt 28,20).
La precisazione sintattica di S.E. Porter su Mc 1,4 non di poca importanza, se la formula baptisma metanoia da tradurre battesimo di conversione (pp. 97-98), in cui il secondo sostantivo delimita il senso del primo,
e non predicava che il popolo doveva pentirsi ed essere battezzato, affinch
i suoi peccati siano perdonati, come proposto da E. Nida (Gods Word in
Mans Language, 1952, 33-34). evidente che nel secondo caso la conversione (metanoia) precede il battesimo (baptisma), nel primo invece un atto
concomitante: nel battesimo si effettua la mutazione per cui effettuato. Ci
permetterebbe una interpretazione sacramentale di Mc 1,4, attribuendo alla
grazia efficace del battesimo lopera della conversione a cui tende colui che
lo riceve. Ma non sono certo che questo sia ci che intende levangelista che
lo ha scritto.
Nel saggio di J.E. Morgan-Wynne potrebbe interessare linterpretazione
di Gv 3,5 se uno non nasce da acqua e da Spirito, in cui lespressione ex
udato kai pneu/mato non interpretata come endyadon (in cui il primo
elemento udwr sarebbe un simbolo del secondo, pneuvma), ma riferita al
processo di conversione che culmina nel battesimo (pp. 126-127) e nel dono
gratuito dello Spirito.
Il saggio di J.B. Green rivendica linterpretazione rigorosamente numerale
di en baptisma in Ef 4,5 (p. 185), in polemica evidente con una prassi ecclesiale dove si pratica pi di un battesimo (p. 198). Ma non so, se questo sia il
testo pi adatto, perch il numero en, in questo contesto, significa uno solo
per indicare lidentit del battesimo che ricevono tutti coloro che credono,
come gli altri due elementi della triade che precedono: Un solo Signore, una
sola fede. Quindi non esclude una diversa teologia dello stesso battesimo
come suppone lA. (p. 181), ma afferma solo lunicit del rito che accomuna
coloro che credono, senza pregiudicare la pluralit delle forme di attuazione e
senza specificare in cosa consiste. Perci non mi pare opportuno interpretare la
locuzione en baptisma in modo metonimico, per affermare che indica lintero
processo di conversione (p. 186). Ci non riguarda il contesto presente (Ef
4,3-6), in cui indica solo ci che unisce chi crede.
Interessante, ma problematica, linterpretazione di 1Pt 3,21 proposta
da J.E. Colwell. La definizione del battesimo come richiesta a Dio di una
buona coscienza per mezzo della risurrezione di Cristo interpretata dando
a suneidh/sew agaqhv il valore di oggetto (gen. ogg.) richiesto dalla invocazione indicata dal sostantivo eperwthma, in cui egli suppone implicito
anche il senso di promessa (p. 224). Ci dubbio, e probabilmente non corretto. Il confronto con la salvezza di No per mezzo dellacqua che precede
in 1Pt 3,20 lascia supporre che anche in 1Pt 3,21 linvocazione o richiesta

578

RECENSIONI

(eperwthma) sia da riferire alla salvezza invocata nel rito con buona coscienza, in quanto anche No stato salvato per lacqua perch agiva con giustizia.
Quindi la buona coscienza non ottenuta in modo quasi sacramentale nel
battesimo perch invocata, ma presupposta in colui che si accosta al battesimo per invocare la salvezza per mezzo della resurrezione di Cristo.
Nel contributo di A. Campbell si pu essere daccordo che lespressione
morire con Cristo in Gal 2,19 (sono stato crocifisso con Cristo) abbia avuto
origine nella esperienza personale di Paolo e dalla sua identificazione con il
destino del Cristo, che lo ha amato e ha dato se stesso per lui (pp. 278-284). Ma
dubito che si possa dare una interpretazione realistica e sociologica per Rm 6,111 (pp. 284-289) e Col 2,11-12 (pp. 289-291), perch in questi due testi prevale
la simbologia battesimale applicata alla condotta morale (Rm 6,1-2.4.6-7.11 e
Col 2,13). Quindi non si vede come il morire con Cristo (Rm 6,4.5; Col 2,12)
o essere crocifisso con Cristo (Rm 6,4.6) possa indicare la morte e la perdita
dellidentit sociale precedente. Che chi aderiva alla fede dovesse soffrire e
perdere ogni sicurezza sociale, cosa attestata nella tradizione evangelica (cf.
Mc 13,9-11.12-13) e dalla tradizione deuteropaolina (cf. Eb 10,32-34). Ma non
convalida lipotesi che tale esperienza di emarginazione sociale sia allorigine
della formula morire con Cristo, anche se questa poteva essere interpretata in
quel modo. Trattandosi di linguaggio rituale, pi conveniente cercare analogie con le religioni misteriche greco-romane, anche se Campbell lo esclude
categoricamente (p. 273; ma cf. il saggio citato di B.W.R. Pearson che lo rende
probabile). Mi sembra che questo non escluda che i credenti, soffrendo realmente per la loro fede, interpretassero tale linguaggio misterico realisticamente.
Quanto al saggio di J.D.G. Dunn credo che si debba dargli ragione, quando
sostiene che la formula essere battezzati in Cristo (Gal 3,27) sia una metafora
(pp. 298-300), che significa essere battezzati nella morte di Cristo (cf. Rm
6,3-4), che a sua volta un modo metaforico per significare essere associati
alla sua morte per mezzo del battesimo (pp. 306-307), come confermerebbe
Mc 10,38. Quindi, da distinguere dalla formula propriamente battesimale
essere battezzati nel nome di Cristo (cf. 1Cor 1,13). Tenendo conto di questo
probabile che abbia ragione di affermare che anche in 1Cor 12,13 la formula
siamo stati tutti battezzati in un solo Spirito per un solo corpo sia di natura
metaforica e non abbia una immediata referenza battesimale, come conferma
la seconda metafora che, spiegando la prima, aggiunge abbiamo bevuto un
medesimo Spirito (pp. 308-310). Ci evidentemente non favorisce linterpretazione di M.B. O Donnell che propone per lespressione en pneu/mati di
1Cor 12,13 il senso di complemento di agente (pp. 335-336). Ma il saggio
utile per le tabelle sulluso di baptizw (pp. 326-330 con preposizioni, 332-334
passivo) e en pneu/mati (pp. 330-331).
La seconda parte del volume riguarda La Chiesa, perch raccoglie alcuni saggi sulla prassi battesimale nella chiesa antica: D.F. Wright, Infant
Dedication in Early Church (pp. 352-378); R.F.G. Burnish, Baptismal Pre-

BAUMERT N.

CHARISMA - TAUFE - GEISTTAUFE

579

paration under the Ministry of St. John Chrysostom in the Fourth-Century


Antioch (pp. 379-401), di cui raccomando la lettura per il rapporto tra battesimo e novit della condotta di vita; e altri sulla funzione del battesimo nei
testi delle Confessioni delle Chiese Riformate; G.W. Bromiley, Baptism
in the Reformed Confessions and Catechisms (pp. 402-418); nelle controversie sul battesimo in Scozia nel secolo diciottesimo: D.B. Murray, An
Eighteen-Century Baptismal Controversy in Scotland (pp. 419-429); uno di
K. Roxburgh su Open and Closed Membership among Scottisch Baptists
(pp. 430-466) sulla funzione della dignit conferita dal battesimo nel dibattito sullaccesso di omosessuali agli ordini ecclesiastici esplosa nella Chiesa
Episcopale degli USA (1997) e nella Conferenza Lambeth della Chiesa anglicana (1998). Il volume si conclude con un saggio di P. Beasley-Murray,
Baptism for the Initiated (pp. 467-476) a favore del battesimo degli adulti,
che sono gi stati battezzati da bambini.
Nello Casalini, ofm
Baumert Norbert, Charisma - Taufe - Geisttaufe. Band 1: Entflechung einer
semantischen Verwirrung; Band 2: Normativitt und persnliche Berufung,
Echter Verlag, Wrzburg 2000.
Lopera di Baumert si presenta nella forma di una trattazione sistematica su
carisma, battesimo e battesimo nello/dello Spirito. In realt si tratta di una
raccolta di saggi gi pubblicati su tali argomenti e problemi affini, a cui egli ha
dedicato quaranta anni di studi e su cui ha diretto diverse tesi dottorali presso la
Philosophisch-Theologische Hochschule St. Georgen dei Gesuiti a Frankfurt,
in cui professore di Teologia del NT (cf. I, 8 nota 1). Quindi la sistematicit
nellintenzione editoriale e nello schema dispositivo del materiale, ma non nella
effettiva composizione, in cui evidente la frammentariet e la eterogeneit dei
saggi uniti insieme intorno ai soggetti indicati, dei quali il primo carisma occupa il primo volume, gli altri due, battesimo e battesimo nello/dello Spirito
il secondo. Ma tra loro sono perfettamente autonomi, con bibliografia e indici di
autori e di citazioni alla fine. Se questa soluzione sia stata una scelta felice, lascio
giudicare al lettore, perch al titolo unitario corrispondono trattazioni separate
dellargomento. Anche se alcuni motivi tematici ricorrono da un tomo allaltro,
di fatto non c sviluppo argomentativo, quale si ha nel genere monografico. E
non ci poteva essere, data la natura del materiale confluito in tale silloge.
A ci si deve aggiungere il fatto che il metodo adottato quello semantico. Per questo la preoccupazione costante di Baumert quella di mostrare
che le parole carisma e baptizein / baptizomai (ma anche baptismo/ e
ba/ptisma) che sono alla base dei due tomi hanno preservato il loro significato
originario, profano. Quindi non possibile parlare di un loro uso tecnico e

580

RECENSIONI

specializzato. Ci ha una conseguenza evidente nello stesso modo dellesposizione. Egli tende a mostrare dovunque che quel senso primo delle parole
stato per lo pi mantenuto in tutti i contesti in cui le traduzioni ufficiali o pi
note (sia moderne che antiche) hanno inserito un senso tecnico: per es. facolt, capacit, grazia per il primo e battesimo per il secondo.
Quindi gli argomenti indicati nel titolo della raccolta di fatto non sono
trattati n esegeticamente sviluppati, perch lindagine riguarda quasi esclusivamente il senso proprio delle parole, da cui sono indicati. Tenendo conto di
questo, il lettore non deve cercare in queste ricerche una trattazione sistematica
sui carismi o sul rapporto tra carisma e funzione o istituzione ecclesiale,
o sul battesimo e il suo rapporto con il battesimo in Spirito. Ma trover
indicazioni e distinzioni semantiche utili per evitare di commettere errori nellinterpretazione dei testi del NT dove tali parole ricorrono.
Detto questo come premessa orientativa, bene che il lettore di questa
recensione sappia che cosa trova nei due tomi dellopera qui presentata. Nel
primo trova i seguenti argomenti: Cap. 1 Charisma im Neuen Testament
(pp. 9-116), che comprende due sezioni: A Charisma bei Paulus (elaborato
da W.K. Delaney e da N. Baumert) (pp. 9-82); B Zwei Einzelstudien zum
Neuen Testament (pp. 83-116), dedicati uno a Rm 12,3-8 sul discernimento
degli spiriti (pp. 83-97), e laltro a 1Pt 4,7-11 sulla accoglienza spirituale (pp.
97-116). Segue il Cap. 2 Geschichte des Wortes Charisma in der Theologie
(pp. 117-220), diviso in tre sezioni: A Semantic von charisma bei frhen
Vtern (pp. 117-148); B Begriffsgeschichte von charisma im griechischen
Sprachraum (pp. 149-184); C Das Fremdwort Charisma in der westlichen
Theologie (pp. 185-220). Il Cap. 3 porta il titolo Charismen Gottes und
Heiliger Geist. Theologische Reflexion und Pragmatik (pp. 221-296), che
di fatto comprende tre sezioni con tre studi diversi e autonomi: A Charisma
- Schlsselwort einer geistlichen Dynamik (pp. 221-252); B Leben im Geist
im paulinischer Sicht (pp. 253-275); C Vom Umgang mit dem Charisma in
der Kirche (pp. 276-296). I tre capitoli sono redazionalmente inquadrati da
una Einleitung (pp. 7-8) che introduce genericamente la tematica e da un Ergebnis (p. 297), che di fatto serve di passaggio redazionale al secondo tomo,
riassumendo in pochissime righe (una pagina!) il senso di tutto ci che precede: la parola greca ca/risma, nel linguaggio comune, significa semplicemente
dono e questo il significato adeguato per ogni contesto del NT da lui esaminato, che esclude ogni senso tecnico e specializzato. Il complesso discorso del
rapporto tra funzione (Amt, ministero) e charisma liquidato dicendo che
anche quella un dono, ma non un carisma in senso moderno. Ma di questo,
come ho gi detto, non c trattazione e di conseguenza solo espressione di
una intenzione non realizzata, di cui non data prova esegetica.
Devo far notare che il Cap. 1 che tratta di ca/risma nel NT quello fondamentale. Ma anche il pi problematico per il lettore competente. Gli autori
(Delaney e Baumert) presi dalla furia di fare una pulizia semantica per elimi-

BAUMERT N.

CHARISMA - TAUFE - GEISTTAUFE

581

nare dalla parola ogni significato improprio, hanno gettato via alcune referenze
che erano essenziali alla sua comprensione. Ci, a mio parere, dovuto a un
grave errore di metodo. Essi hanno compreso bene che il significato (meaning)
fondamentale di ca/risma dono, come attesta la sinonimia con ca/ri, dwrea/,
dwrhma in Rm 5,15-17. Ma hanno dimenticato che, usato nel discorso religioso, il vocabolo acquista un senso (reference) metaforico, perch indica realt
spirituali, teologiche, ecclesiali, comunitarie, diverse da quelle a cui la parola
si riferisce nel linguaggio del discorso profano. Quindi essi hanno ragione di
insistere dicendo che il senso tecnico non necessario, perch basta il significato
dono in ogni contesto. Ma hanno torto perch non hanno compreso che il senso
tecnico per necessit semantica presupposto nel linguaggio del discorso religioso del NT, che per sua stessa natura specializzato. Il credente, a cui Paolo
parla di ca/risma / carismata non pensa al dono o ai doni profani (quali profumi, denaro, vino, frutta o formaggio, gioielli in oro e argento, codici in papiro o
pergamena), ma solo a quelle realt specifiche indicate con quel nome dallapostolo e da coloro a cui egli si rivolge su tale argomento: per es. in 1Cor 12,7-9
e in 1Cor 12,28-30. Tutte queste realt spirituali, teologiche e ecclesiali sono
chiamate con il termine generico carismata e ognuna di esse un ca/risma, un
dono; e tuttavia non si equivalgono, perch tra loro divergono e alcune sono
doni pi grandi (ta carismata ta meizona) (1Cor 12,31).
Tuttavia tutti i doni, anche i pi grandi, non hanno valore e non servono
allo scopo per cui sono dati se manca agaph, come insegna in 1Cor 13,1-13.
Per questo conclude invitando a perseguire questa. Ma esorta subito ad aspirare
anche ai doni spirituali (ta pneumatika) che ha nominato, e in particolare la
profezia, che evidentemente occupa per lui un posto di onore tra quelli maggiori (cf. 1Cor 14,1 a e b).
Come noto, 1Cor 12,28-30 un testo capitale per la comprensione del
rapporto tra charisma e funzione (o ministeri) nella Chiesa. Ma lA. non
dedica alla pericope alcuna attenzione. Ci non stato un bene, perch se
voleva portare un contributo reale alla discussione, avrebbe compreso che non
sufficiente dire che anche la funzione o il ministero (Amt) un dono di
Dio. Nel testo si legge molto di pi di quanto egli fa credere a chi legge la sua
trattazione. Lapostolo afferma che una istituzione di Dio e possiede un ordine gerarchico (ou men eqeto oJ qeo\ en thv ekklhsia prwton aposto/lou,
deu/teron profh/ta, triton didaskalou) (1Cor 12,28). Quindi un carisma
e una fanerwsi, manifestazione, dello Spirito (1Cor 12,7), come gli altri
doni particolari elencati in seguito (epeita dunamei, epeita carismata
iamatwn, antilh/myei, kubernh/sei, genh glwsswn) (1Cor 12,28). Per questo coloro (ou) che assolvono un ministero sono dotati di quello stesso Spirito
che si manifesta in tale funzione per lutile (pro\ to\ sumferon).
Una conferma a questa dottrina dei ministeri o funzioni ecclesiali come
carismata, o doni dello Spirito e sue manifestazioni, si legge in Ef 4,7-16,
un altro testo fondamentale per il problema del rapporto tra charisma e fun-

582

RECENSIONI

zione, a cui Baumert non dedica la minima attenzione, bench in questo tali
ministeri siano chiamati do/mata, doni, che un sinonimo di carismata e
ciascuno di essi chiamato cari thv dwrea touv Cristouv, grazia del
dono di Cristo (Ef 4,7). Lelenco che segue in Ef 4,11 comprende tou\ men

aposto/lou, tou\ de profh/ta, tou\ de eujaggelista, tou\ de poimena


kai didaskalou e si legge che queste funzioni sono date a coloro che le ricevono come equipaggiamento (pro\ to\n katartismo/n) e il fine lopera del
servizio per ledificazione del corpo di Cristo (ei oikodomh\n touv swmato
touv Cristouv) (Ef 4,12). Non avendo detto questo, bisogna riconoscere che

lenorme e pluriennale fatica dellA. non ha portato molto frutto. Non era
necessario spendere tanti anni di ricerca per concludere semplicemente che
il ministero certamente un dono di Dio, ma non un carisma come noi lo
intendiamo (p. 297).
Il secondo tomo comprende i seguenti capitoli, che continuano la numerazione del primo, disposti nello stesso ordine sistematico, con qualche
mutazione nel modo espositivo. Il Cap. 4 porta il titolo Unser Sprechen von
Heiligen Geist (pp. 11-42), che N. Baumert presenta come riflessioni sullo
Spirito (II, 8), in cui espone una dottrina sullo Spirito, ma descrive la sua
attivit, secondo il linguaggio della Scrittura, da cui dipende anche il nostro
(II, 11). Il Cap. 5 Taufe Das Werden eines Begriffes (pp. 43-96), tratta per
lo pi del significato del verbo baptizein con una indagine semantica del modo
in cui usato nel NT. A ci segue il Cap. 6 Geisttaufe in der Bibel? (pp.
97-140), e il Cap. 7 Geisttaufe bei den Kirchenvtern (pp. 141-252), in
cui affronta tale problema in un confronto critico con le tesi di G.T. Montague
e K. McDonnel esposte nel libro Christian Initiation and Baptism in the Holy
Spirit. Evidence from the First Eight Centuries (Collegeville 19942), di cui
N. Baumert ha curato la traduzione tedesca insieme a Veronika Ruf. Il Cap.
8 Systematische Klrung (pp. 253-306), in cui contesta la normativit del
presunto battesimo nello Spirito. Il Cap. 9 un confronto critico con alcuni
autori sullo stesso argomento (pp. 307-361). Il risultato riassunto quale conclusione (pp. 362-368). Anche in questo tomo, lindagine fondamentale nel
Cap. 5 sulluso del verbo baptizein nel NT. I dati sono per lo pi desunti da
ThWNT (A. Oepke).
Il metodo di nuovo quello semantico e lo scopo identico. Mostrare che il
verbo ha preservato per lo pi il senso fondamentale di immergere (o lavare
o sommergere) allattivo e essere immerso (o lavato, o sommerso) al mediopassivo (baptizomai). Quindi egli ha ragione di dire che non si pu parlare di un
senso tecnico nella maggior parte dei contesti. Di conseguenza non opportuno
tradurre il verbo baptizein / baptizomai con battezzare/essere battezzati, anche se in alcuni casi in cui usato in assoluto, si preannuncia gi un uso specializzato, quale si svilupper in seguito (cf. p. es. Mt 3,23.24 / Lc 3,7.12.21a; Gv
1,28; 3,23; 10,40; ma anche Gv 3,22.24; 4,1.2). superfluo dire che anche in
questo capitolo la furia di pulizia semantica suscita qualche problema, perch

BAUMERT N.

CHARISMA - TAUFE - GEISTTAUFE

583

la metodologia non sempre corretta. Egli riconosce con chiarezza che il senso comune del verbo baptizein / baptizomai, immergere/essere sommerso,
quando usato nel contesto del discorso religioso del NT acquista un significato
specialistico e quindi tecnico, perch non si tratta di un bagno profano o di una
immersione comune per lavarsi, ma di quella specifica, religiosa e cultuale, nota
a coloro che condividono la stessa fede e la sua consuetudine rituale (p. 71). Ma
non mi sembra ragionevole quando sostituisce lespressione metaforica, in cui
il verbo baptizw usato, con il significato suggerito dalla immagine del testo.
Per es. in LXX Is 21,4 si legge ajnomi/a me bapti/zei, che tradotto letteralmente
significa il peccato mi sommerge, dove chiaro che limmagine (mi sommerge), significa mi opprime, mi travolge, mi rovina. Ma non corretto
trasferire il senso suggerito dallimmagine tra i significati del verbo e dire che qui
baptizein significa opprimere (p. 66). Ci equivale a un errore semantico. Il
verbo significa ancora sommerge, ma il senso suggerito dal suo uso metaforico
mi travolge, mi opprime o mi distrugge.
Ugualmente in Mc 10,38.39 Ges dice: Potete bere il bicchiere che io
devo bere ed essere sommersi (o immersi) nella immersione in cui io devo
essere sommerso? (h to\ baptisma o egw baptizomai baptisqhvnai). noto
che la metafora della immersione, che Ges deve subire, si riferisce alla sua
passione e alla sua morte. Ma il verbo baptizomai / baptisqhvnai non significa
morire o rovinare, ma essere immerso. Quindi non corretta la traduzione
che N. Baumert propone dicendo che significa Ruin, den ich ruiniert werde
(p. 67), perch anche in questo caso egli trasforma indebitamente il senso suggerito dalluso metaforico di baptizw / baptizomai in un suo significato.
Problematica anche la trattazione delluso di baptizein con ei to\ onoma,
en tw ojno/mati, epi tw ojno/mati (pp. 73-82). Baumert cerca di mostrare che
le tre espressioni hanno tre significati distinti, dipendenti da quello delle tre
preposizioni ei, en, epi/, bench dai contesti esaminati appaia chiaro che sono
tre forme grammaticali diverse, interscambiabili, per indicare la stessa realt
rituale o cultuale, o la stessa consuetudine. In questo caso lerrore semantico da
lui commesso consiste nel credere che il significato diverso delle tre preposizioni che ho indicato alluda ad una realt teologica differente. Di conseguenza
epi tw ojno/mati in At 2,38 indicherebbe il motivo o la giustificazione per
cui uno si fa immergere (sulla base della persona di Cristo; i.e. a causa o
sulla base dellevento salvifico in Cristo); en tw ojno/mati in At 10,48 significherebbe nellautorit o nella forza o per mandato di Ges Cristo, in cui
immerso; ei to\ onoma in Mt 28,19 indicherebbe il fine e significherebbe
per il nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, i.e. in relazione a o
come impegno verso (p. 77 e 81). Tuttavia la mancanza pi grave in questo
procedimento di trasferimento semantico del significato della proposizione nel
concetto indicato dal verbo di considerare ei to\ onoma come equivalente
della preposizione ebraica leshem, per (pp. 74-75, 78), e poi interpretare i
diversi contesti come se to\ onoma fosse indipendente da eis e tradurlo in modo

584

RECENSIONI

diverso, secondo i significati supposti: o come persona, o come autorit,


forza, o come relazione (p. 81).
Mi sembra che tutto questo discorso si poteva evitare, notando che lo
stesso autore che usa baptizein con epi/ in At 2,38 e baptizein con ei in At
8,16; 19,5 e baptizein con en in At 10,48. Quindi, per chi ha scritto quel testo, le supposte differenze semantiche, suggerite da Baumert, non sussistono,
perch sono solo formule grammaticali diverse con una sola significazione
o riferimento reale. Per questo difficile da accettare anche lipotesi che tra
baptizein ei e baptizein en ci sia una differenza reale (pp. 49-59, 59-62).
Essa non appare a chi osserva che le due formule sono usate in Mc 1,5: en tw
Iordanh potamw e Mc 1,9: ei to\n Iordanhn. Quindi supporre che nel primo
caso il verbo ebaptizonto significhi erano lavati o purificati nel Giordano
con un bagno di conversione per il perdono dei peccati, mentre nel secondo
caso significherebbe solo fu immerso nel Giordano da Giovanni, perch a
lui non si addiceva un tale scopo (p. 62). Ci non corretto n sostenibile.
Se il battesimo o il lavaggio praticato da Giovanni detto di conversione
(metanoia) per il perdono dei peccati (ei afesin aJmartiwn) in Mc 1,5, non
si pu affermare che limmersione subita da Ges in Mc 1,9 sia diversa da
quella in cui Giovanni immergeva gli altri. Di conseguenza se costoro, immersi nel Giordano, proclamavano i loro peccati (Mc 1,5b e Mt 3,5b), bisogna
riconoscere che il battesimo di Giovanni avesse la funzione di purificare dai
peccati. Per questo lipotesi che tale battesimo non concedesse la purificazione, ma fosse solo per la conversione, il cui fine era il perdono dei peccati
che non poteva concedere (pp. 50-51), mi pare poco probabile, tenendo conto
che la tradizione evangelica gli assegna questa funzione (cf. Lc 1,77; 3,3; Mt
21,31-32 e Lc 7,29). Se Mt 21,32 lascia che entrino nel regno dei cieli esattori
e prostitute che si sono sottomesse al lavacro di Giovanni, ancora possibile
sostenere che non servisse per il perdono dei peccati? E se questi non erano
perdonati, perch tutti si affrettavano a confessarli?
Sul cosiddetto battesimo nello Spirito, penso che N. Baumert abbia visto
giusto. Lorigine dellespressione certamente da ricercare nella tradizione
evangelica (pp. 82-89). In Mc 1,8 Giovanni dice: Io vi battezzo con acqua,
egli invece vi battezzer con Spirito Santo (egw ebaptisa uJma udati, aujto\
de baptisei uJma en pneu/mati aJgiw) (cf. anche At 1,5 11,6). Ma evidente
che luso del verbo baptizein nel secondo caso metaforico, perch si riferisce
al dono dello Spirito (At 1,8), che non un evento unico ma ripetibile (cf. At
2,1-4 e 4,31). Questo dono tuttavia non regolato da un rito speciale, perch
lo Spirito libero (cf. At 10,44 e 11,16). Anche se connesso con la immersione di purificazione con acqua (cf. At 2,38 e 10,47), distinto e non confuso
con esso (cf. At 8,15-17 lepisodio dei Samaritani), ed conferito con il gesto
rituale dellimposizione delle mani di un apostolo (cf. At 8,17; 9,17.18; 19,5-6)
(pp. 82-89). In questo modo Baumert non nega il dono libero dello Spirito, ma
contesta a ragione che tale evento sia unico, irrepetibile e per tutti normativo.

BOISMARD M.-. LE BAPTME CHRTIEN SELON LE NOUVEAU TESTAMENT

585

La normativit appartiene solo al caso in cui conferito a chi riceve il battesimo o in rapporto ad esso, come evidente dai testi che ho indicato.
Queste brevi osservazioni critiche attestano che i saggi di N. Baumert per
risolvere alcuni problemi semantici ne creano altri pi gravi. Quindi devono essere letti con costante vigilanza critica e accuratamente vagliati. Ma ritengo che
siano utili per tutti coloro che si dedicano ad essi per ricerca o per studio.
Nello Casalini, ofm
Boismard Marie-mile, Le baptme chrtien selon le Nouveau Testament
(Thologies), Les ditions du Cerf, Paris 2001, 143 pp., 13,72.
Il saggio di Boismard sul battesimo cristiano appartiene alla serie Thologies. Questa collocazione, che potrebbe apparire casuale, determina di fatto
la trattazione. Egli procede alla ricostruzione del rito (o dei riti) del battesimo
iniziando dalle fonti antiche: in particolare Le catechesi mistagogiche di
Cirillo di Gerusalemme, Le catechesi battesimali di Giovanni Crisostomo,
Le omelie catechetiche di Teodoro di Mopsuestia, il De sacramentis e il De
mysteriis di Ambrogio, La tradizione apostolica di Ippolito di Roma; e poi
cerca di giustificare i singoli momenti del rito ritrovando le presunte tracce
primitive nei testi del NT: in particolare, le lettere di Paolo (Rm, Gal, 1-2Cor,
1Ts); a cui aggiunge la controversa Lettera ai Laodicesi, da lui estratta dallattuale lettera ai Colossesi e la presunta lettera originaria agli Efesini, da lui
scoperta in quella attuale (pp. 10-16 e il riassunto alle pp. 113-120). Questo
procedimento, che potrebbe essere giustificato per il metodo teologico antico,
molto problematico per il metodo esegetico moderno, perch non pu sfuggire
alla critica di aver usato i testi del NT non per se stessi ma come prove per
giustificare la prassi battesimale della Chiesa in oriente e in occidente nei primi
secoli, non molto diversa da quella attuale. Egli ha voluto ritrovare nei testi
del NT tutti gli elementi del rito (o riti) del battesimo, anche quando questi
non ne parlano in modo esplicito.
In questo modo chi legge non trova una ricostruzione scientifica obiettiva
della dottrina e della prassi del battesimo alle origini cristiane, ma solo una
dimostrazione di come quei testi del NT possono essere usati per giustificare la
prassi battesimale della Chiesa nei primi secoli in modo da farli apparire come
testimoni della pratica attestata e diffusa successivamente. Quindi il risultato
conseguito molto problematico per il metodo esegetico, e probabilmente
inopportuno anche per il metodo teologico, perch egli adduce come prove
della liturgia e della teologia del battesimo testi che di questo non parlano,
n in modo esplicito n in modo indiretto. Sarebbe stato meglio procedere in
modo diverso per conseguire un risultato pi sicuro, come sembrava suggerire
il sottotitolo del libro: analizzare prima i pochi testi esplicitamente battesimali

586

RECENSIONI

nel NT (per es. Rm 6,1-11; Gal 3,27-28; 1Cor 6,11; Col 2,11-12; Tt 3,4-7; Mc
1,9-11 e parr.; Mt 28,19; At 3,28; 8,16-17; 9,17-18; 10,44.47; 11,15-16; 19,17; 22,16) e poi trarre da questi la descrizione della prassi e della teologia
del battesimo cristiano alle origini. Non avendo proceduto in questo modo, il
risultato esegetico conseguito non regge al giudizio critico, anche se il libro
utile come meditazione teologica sulliniziazione cristiana alla luce dei testi nel
NT, quale appare con chiarezza dalla divisione sistematica dellopera in questi
punti essenziali: Des tnbres la lumire (2, pp. 17-39); Le changements
des vtements (3, pp. 41-46); La remise des pechs (4, pp. 45-51); La
confession de foi et le Credo baptismal (5, pp. 53-66); Le don de lEsprit
(6, pp. 67-97); Le baptme proprement dit: sa signification symbolique (7,
pp. 99-120).
Lesposizione piana e ci facilita la lettura. Ma non di natura argomentativa, perch Boismard procede in ogni punto per associazione di testi
affini o tra loro connessi per un semplice richiamo di parole, secondo il metodo di lettura dei testi dei rabbini, ma anche cristiani dallinizio fino ai secoli
del medioevo. Ci spiritualmente edificante, ma laccostamento associativo
non sempre pertinente e suscita molte domande. Non facile accettare che
il verbo epistrefein in 1Ts 1,9 (epestreyate), At 14,15 (epistrefein) e At
15,19 (epistrefousin) si riferisca al rito battesimale di volgersi da occidente
(le tenebre) a oriente (la luce) (pp. 24-25), quando dal contesto evidente che
una metafora che indica semplicemente la conversione. Difficile credere
che lantitesi verbale apoqwmeqa / enduswmeqa (deponiamo/indossiamo) in
Rm 13,12 si riferisca alla prassi battesimale del deporre/indossare i vestiti per
il rito (p. 42), se evidente che sono due immagini che indicano il mutamento
del comportamento morale, un significato che ha anche in Col 3,8 (apo/qesqe)
con riferimeto ai vizi. Mentre in Gal 3,27 enedu/sasqe, avete indossato, si
riferisce direttamente al Cristo, di cui ci rivestiamo, e non allabito pulito
messo dopo il battesimo (p. 43).
Molto problematica lipotesi che Rm 10,9 (Se tu confessi, ean oJmologh/
sh, che Ges [] Signore, ku/rion Ihsouvn) e 1Cor 12,3 (Nessuno pu dire
Ges [] Signore, Ku/rio Ihsouv, se non nello Spirito) siano la formula di
professione di fede battesimale, recitata durante limmersione (pp. 53-55);
e dubbia lasserzione che, in questo contesto, il verbo oJmologein, confessare, indichi la stessa cosa che il verbo invocare il nome del Signore che
si legge in Rm 10,13 (epikaleshtai, invocher), (cf. Gioele 3,3), At 22,16
(epikalesameno, invocando) e in Gc 2,7 (epiklhqen, invocato) (p. 56). A
ci si aggiunge una differenza non trascurabile. In Gc 2,7 il nome invocato
su di loro, negli altri due sono loro che invocano. Ci potrebbe attestare un
rito diverso: non sono i battezzati che invocano, ma il nome invocato su di
loro da coloro che battezzano (cf. At 2,38; 19,5 e Mt 28,19).
Boismard certo che 1Pt 3,18-22 contenga due documenti paralleli di
un Credo battesimale, recitato prima del rito (pp. 61-64). Ci non pu

TEZEL A.

COMPARATIVE ETYMOLOGICAL STUDIES

587

essere provato, perch colui che scrive non dice che devono professare ci
che rievoca del Cristo in 1Pt 3,18-19. Anzi, il testo lo esclude del tutto.
Nel battesimo, ricordato esplicitamente in 1Pt 3,20-21, dice che invocazione (eperwthma) a Dio di una buona coscienza, dove linvocazione non
significa richiesta di purificazione della coscienza (pp. 58-59), ma domanda
di salvezza per mezzo dellacqua rivolta a Dio in buona coscienza, come
indica lesempio di No e le poche anime che furono salvate per mezzo
dellacqua.
Resta il dubbio su 1Cor 12,13 (Per un solo Spirito noi tutti siamo stati
battezzati per un solo corpo), che egli interpreta senza incertezza come
il dono dello Spirito ricevuto nella immersione durante il battesimo. Ma
nellesegesi pi recente lespressione siamo stati battezzati in un solo Spirito ritenuta una metafora che indica il dono dello Spirito, senza diretto
riferimento al battesimo. In ogni caso, da escludere come esegeticamente
improbabile che Rm 8,1-11 si riferisca al dono dello Spirito ricevuto dopo
il battesimo di cui ha trattato in Rm 6,1-11 (pp. 81-82; cf. p. 14 e 117-118),
perch qui non parla di Spirito e l manca ogni riferimento esplicito o implicito al battesimo.
A queste brevi osservazioni, se ne possono aggiungere altre su ipotesi
pi generali, che il lettore competente non tarder a rilevare. Per esempio,
potrebbe destare sorpresa leggere che la lettera ai Romani abbia una struttura dettata dalla liturgia battesimale (p. 117); che non Ges che rimette i
peccati ma Dio in Mc 2,5 (p. 47), mentre Ges afferma esplicitamente che il
Figlio dellUomo ha il potere di rimettere i peccati sulla terra (Mc 2,10-11);
che la teologia del battesimo in At 2,38; 10,43; 22,16 riflette il pensiero
di Pietro quale si legge in 1Pt 3,21 (pp. 57-58), quando noto che 1Pt
probabilmente uno scritto pseudonimo; che la parola Cristo/ sia equivalente
a Ku/rio (p. 55), mentre evidente da Fil 2,11 che i due titoli sono distinti
e che il secondo pi elevato del primo, perch dice che Ges Cristo
Signore (cf. anche At 2,36 dove i due titoli sono distinti). Con queste riserve
voglio dire che il libro utile.
Nello Casalini, ofm
Tezel Aziz, Comparative Etymological Studies in the Western Neo-Syriac
(Tury) Lexicon. With Special Reference to Homonyms, Related Words and
Borrowings with Cultural Signification (Acta Universitatis Upsaliensis. Studia
Semitica Upsaliensia 18), Uppsala 2003, 295 pp.
Si tratta di una dissertazione dottorale in lingue semitiche presentata allUniversit di Uppsala nel 2003. Il volume composto di otto capitoli di carattere
analitico e di un nono capitolo di carattere sintetico-conclusivo. , in pratica,

588

RECENSIONI

un Lessico per radici del dialetto neo-siriaco di Tr Abdn, la lingua materna


dellA. Scopo precipuo del lavoro lo studio di parole con problemi etimologici
nel tentativo di fornire nuovi modelli di interpretazione e nuove soluzioni.
Il primo capitolo ha carattere introduttivo allintero lavoro. Al n. 1.5,
dopo una breve introduzione che delimita esattamente lambito linguistico
della ricerca, vengono abbozzati elementi di grammatica: fonologia (vocali,
consonanti, geminazione, dittonghi: pp. 23-28) e morfologia (pronomi, stati
del nome, numerali, verbi: pp. 28-38).
Il secondo capitolo (pp. 39-90) studia un gruppo di radici verbali perlopi
omonime. Cos alle pp. 75-76 viene studiata la radice QR la quale esprime
tre diverse radici: (1)q-r- essere freddo, diventare freddo; (2)q-r- raccogliere,
riunire; (3)q-r- interferire. Mentre le prime due sono attestate nel siriaco
classico, (3)q-r- un prestito tardivo motivato dal turco.
Il terzo capitolo studia un gruppo di nomi omonimi ed altre parole composte con le medesime radicali. In questo contesto il termine omonimo indica
parole che hanno la stessa pronuncia, ma diverso significato. Es. 1farmo e
2
farmo, 1qo e 2qo. Alle pp. 106-107 vengono date le etimologie dei primi
due omonimi: 1farmo incensiere, parola ben conosciuta nel siriaco classico
(attestata anche nel NT), deriva dal greco pu/rwma, mentre 2farmo forno, attestata anchessa nel siriaco classico, motivata dal greco fouvrno e dal latino
furnus. Tezel spiega i cambiamenti di ordine fonologico che hanno condotto
allodierna pronuncia e gli sviluppi di ordine semantico che hanno portato ai
significati attestati oggi. Lo stesso procedimento viene usato per 1qo strada,
luogo di mercato e 2qo tessuto di lino (pp. 120-122). Nel primo caso si
tratterebbe di un prestito dalla lingua accadica, mentre nel secondo caso sarebbe da individuare una mediazione del turco e dellarabo.
La stessa metodologia comparativa viene usata nei restanti capitoli: il
quarto, dedicato allo studio di parole con le medesime radicali per lo pi di
differente origine; il quinto che studia una serie di termini in reciproca relazione (uno dei quali ha subito cambiamenti dovuti allaccostamento con laltro)
composti perlopi da radicali diverse; il sesto che affronta il tema dei composti
che hanno subito determinati cambiamenti (in origine si trattava di composti
con la prima parte in stato costrutto e la seconda in stato enfatico); il settimo
capitolo che studia un gruppo misto di parole e il capitolo ottavo che studia
quattro gruppi di formazioni avverbiali (i primi tre facilmente riconoscibili
grazie a prefissi e suffissi).
Il nono capitolo, di carattere fonologico e lessicografico, ha funzione di
sommario e conclusione allintero lavoro. Vi vengono sintetizzate alcune delle questioni affrontate nel corso del lavoro, ad es. omonimia (nomi e radici),
dissimilazione e assimilazione, metatesi, epentesi e prstesi, struttura sillabica,
analogia, incompetenza linguistica, cambi semantici.
Seguono alcuni indici di parole e forme (pp. 260-289) in diverse lingue:
Tury (pp. 260-271); siriaco (pp. 271-278); neo-siriaco orientale (pp. 278-

VERGANI E. - CHIAL S.

LE RICCHEZZE SPIRITUALI DELLE CHIESE SIRE

589

279); mandaico (p. 279); arabo (pp. 279-284); curdo (pp. 286-288), e altre.
Un foglio inserito fra lultima pagina e la copertina fornisce una dettagliata lista di errata corrige atta ad emendare le piccole imperfezioni tipiche di
questo genere letterario.
Nel suo complesso il lavoro, a nostro avviso solido e ben curato, ha raggiunto lo scopo che si era prefisso: abbiamo ora a disposizione uno studio
esauriente sugli omonimi in Tury con particolare riguardo alla loro etimologia e al loro uso. anche grazie ai pochi dialetti neo-siriaci e neo-aramaici
superstiti che possiamo seguire, senza soluzione di continuit, la trimillenaria
storia della lingua aramaica.
Massimo Pazzini, ofm
Vergani E. - Chial S. (ed.), Le ricchezze spirituali delle Chiese sire. Atti
del 1 Incontro sullOriente Cristiano di tradizione siriaca (Milano, Biblioteca Ambrosiana, 1 marzo 2002), Centro Ambrosiano, Milano 2003, 181 pp.,
11.
Sono lieto di presentare questopera che raccoglie gli interventi dei relatori ad
una giornata di studio sullOriente Cristiano di tradizione siriaca tenuta alla
Biblioteca Ambrosiana e promossa da diverse associazioni ed enti operanti a
Milano in collaborazione con Syriaca (siriacisti italiani).
Il libro contiene interventi su diversi argomenti che spaziano dal patrimonio della Biblioteca Ambrosiana (Ravasi), alla storia della Chiesa antica
(Bettiolo) e moderna (Ibrahim), alla lingua (Lenzi), alla teologia e spiritualit
patristica (Vergani e Chial), alla liturgia (Nin e Navoni). Vediamo brevemente
il contenuto dei singoli contributi.
In un interessante articolo introduttivo (pp. 15-22) G. Ravasi illustra il
patrimonio siriaco della Biblioteca Ambrosiana e presenta alcune figure significative che hanno caratterizzato questa istituzione, in particolare per quanto
concerne lacquisizione del patrimonio siriaco. In questo settore si distinguono
i manoscritti b21 inf: due codici che contengono il testo della Peshitta dellAT
(usato come base per ledizione critica dellAT siriaco) e c313 inf: lAT nella
versione siroesaplare. Fra i prefetti della summenzionata biblioteca merita di
essere ricordato Antonio Maria Ceriani il quale, durante il suo lungo incarico
(1870-1907), realizz alcune delle opere pi importanti nella storia dello studio
delle Sacre Scritture siriache.
G.Y. Ibrahim presenta la situazione attuale della Chiesa Siro-Ortodossa
(pp. 23-32). LArcivescovo di Aleppo, dopo aver ricordato le tappe principali
della storia della sua Chiesa, delinea un quadro delle comunit presenti in
Medio Oriente e di quelle della diaspora. Presenta, inoltre, la struttura odierna
del clero e dei religiosi e i libri liturgici utilizzati. Si sofferma, infine, sullim-

590

RECENSIONI

pegno ecumenico di questi ultimi decenni che ha visto la realizzazione di passi


importanti verso la desiderata unit.
P. Bettiolo ci introduce alla complessit della tradizione cristiana siriaca
dei primi tre secoli (pp. 37-50). LA. individua alcune linee del quadro delle
origini avanzando ipotesi sulle origini del cristianesimo di Edessa. La prima
comunit cristiana di lingua e cultura semitica deriverebbe da una preesistente
comunit ebraica non rabbinica. La complessit dellaffermazione meriterebbe,
comunque - e questo a detta dello stesso Bettiolo - ulteriori approfondimenti.
G. Lenzi si immerge (e ci immerge) nel quanto mai intricato problema delle diverse versioni siriache (in particolare la tradizione comunemente chiamata
Vetus Syra) e della loro importanza nella Chiesa primeva. Dopo una introduzione generale, riguardante le origini delle versioni siriache della Bibbia, si
sofferma sui collegamenti esistenti tra la Peshitta dellAntico Testamento e le
tradizioni giudaiche, come pure sugli elementi aramaico-palestinesi e su quelli
giudeo-aramaici presenti nei Vangeli. Basandosi su elementi grammaticali e filologici, lA. sottolinea il sostrato giudaico-aramaico dellevangelizzazione. Si
pu certamente parlare di comunit cristiane nate da un annuncio aramaico del
vangelo (le prove di carattere filologico vengono riportate alle pp. 64-68).
E. Vergani ha offerto interessanti stralci della squisita opera poetica e allo
stesso tempo teologica di Efrem (pp. 71-104). Oltre ad esporre alcuni temi cari
al Nisibeno, presenta brani tratti dagli Inni sul Paradiso, nei quali la Chiesa
viene intesa come il luogo sacramentale del paradiso restaurato.
S. Chial mette in luce linsegnamento di Isacco di Ninive relativo al tema
dellumilt (pp. 105-120) come una via di umanizzazione e di divinizzazione
allo stesso tempo. C unumilt - afferma Isacco - che viene dal timore
di Dio, e ce n una che viene dallamore di Dio Alluna si accompagna
la compostezza delle membra, lordine nei sensi e un cuore sempre contrito;
allaltra invece una grande dilatazione e un cuore che fiorisce e non pu essere
contenuto. Nel giudizio di Chial: ambedue queste umilt sono autentiche e
portano il loro frutto (pp. 119-120).
M. Nin propone un lungo (pp. 123-172) e dettagliato articolo sul culto
comparando in maniera sistematica e ordinata la liturgia siro-orientale e quella
siro-occidentale: libri liturgici, anno liturgico, liturgia eucaristica e ufficiatura.
Segue un commento su alcuni tempi liturgici in entrambe le tradizioni che
ne rileva punti comuni e peculiarit: 1) dedicazione della chiesa, 2) subbara
(annunciazione), 3) settimana santa e Pasqua. LA. fa notare come in alcune
scelte liturgiche traspaia la teologia propria di ciascuna Chiesa.
M. Navoni analizza alcuni elementi di probabile origine siriaca presenti
nella liturgia ambrosiana (pp. 173-180), ad es. la recita del salmo 116 come
conclusione dossologica dopo la recita dei salmi 148-150 alle lodi.
Nel suo complesso il volume getta luce sulla vitalit (nonostante le difficolt) e sullattualit della tradizione siriaca; testimonianza dellinteresse per
questo mondo che negli ultimi decenni si manifestato con una forza dattra-

GRONTIUS

LA VIE LATINE DE SAINTE MLANIE

591

zione che travalica il mondo degli esperti. Il patrimonio culturale e spirituale


delle Chiese sire rimane una fonte viva di intuizioni e di esperienze valide
ancora per gli uomini e, in specie, per i credenti doggi (dallIntroduzione).
Massimo Pazzini, ofm
Grontius, La Vie latine de sainte Mlanie, dition critique, traduction et commentaire par Patrick Laurence (Studium Biblicum Franciscanum. Collectio Minor 41), Franciscan Printing Press, Jerusalem 2002, 352 pp., ills. US $ 30.00
Le notizie biografiche su Melania la Giovane (cos denominata per distinguerla dallava paterna, Melania Seniore), appartenente allaristocrazia romana e
vissuta fra la fine del IV secolo e la prima met del successivo, sono restituite
da un discreto numero di testi antichi impegnati a sottolinearne lesemplarit
nellaccettare e promuovere il modello di vita ascetico che, ispirato al monachesimo orientale e divulgato a Roma da personaggi quali Atanasio e Girolamo,
era stato accolto, dalla met del IV secolo, da pi donne di rango senatorio.
Incidentalmente presente negli scritti di importanti autori a lei contemporanei, quali Paolino di Nola ed Agostino dIppona, alle linee essenziali della
vita di Melania la Giovane, congiuntamente a quella della madre, Albina, e del
marito, Piniano, che la seguono sulla via dellascesi monastica, dedicato un
medaglione nellHistoria Lausiaca di Palladio, mentre la sua vicenda biografica , in modo pi esteso e sistematico, oggetto di una Vita, redatta con chiaro
intento agiografico, pervenutaci sia in lingua latina che greca. Da questultima
versione dipende, infine, una redazione metafrastica della Vita di Melania.
Allinterno di questo corpus di documenti particolari problemi critici sono
stati suscitati dalla Vita latina e da quella greca, entrambe scoperte e studiate
fra la fine del XIX e linizio del XX secolo. Queste, sostanzialmente sovrapponibili, si differenziano in alcuni particolari. Ci ha imposto di indagare i rapporti cronologici e contenutistici fra i due testi, di verificare la loro eventuale
dipendenza da una redazione originaria, di individuare la lingua di questultima
e lidentit del suo autore. Tali linee di ricerca sono state percorse in parallelo
allo studio delle problematiche connesse alla tradizione di ciascuna delle due
versioni, cio la latina, restituita da pi testimoni, e la greca, pervenutaci grazie
ad un solo codice.
Linsieme di questi nodi critici stato ampiamente discusso allinizio del
XX secolo dal cardinale Mariano Rampolla del Tindaro a corredo della sua
edizione dei testi relativi a Melania la Giovane (M. Card. Rampolla del Tindaro, Santa Melania Giuniore, Senatrice romana. Documenti contemporanei
e Note, Roma MDCCCCV), nella quale, in particolare, la Vita latina era pubblicata muovendo per la prima volta da un codice che la riportava per intero,
laddove i precedenti editori (A. Molinier - C. Kohler, Itinera Hierosolymitana

592

RECENSIONI

latina lingua exarata, Genve 1885, 133-142; Ch. de Smedt, Vita S. Melaniae
Junioris auctore coevo et sanctae familiari, Analecta Bollandiana 8 [1889]
16-63) si erano basati solo su testimoni incompleti della stessa.
Lo studio di Patrick Laurence, che qui si presenta, ripercorre, con lintento di specificarle, molte delle tematiche inerenti sia la vicenda biografica e
spirituale di Melania, sia i testi che ci documentano su di essa. A tal fine, ad
una breve nota introduttiva (Introduction, pp. 5-7), seguono un primo capitolo
(Recherches chronologiques, pp. 30-76) mirato a sistematizzare la cronologia
della biografia di Melania, ed un secondo (Mlanie, Monacha christiana, pp.
77-141), dove sono analizzati alcuni aspetti caratterizzanti questo personaggio,
come, ad esempio, la sua formazione culturale e le modalit grazie alle quali
attua lideale di vita ascetico. Ai primi due capitoli, sostanzialmente dedicati
alla ricostruzione critica della biografia e della personalit di Melania, ne
seguono tre impegnati a presentare il principale documento che la riguarda,
ossia la Vita, giuntaci, come accennato, sia in lingua greca che latina. Il terzo capitolo (Les Vies grecque et latine, pp. 109-141) dello studio di Patrick
Laurence , appunto, dedicato ad illustrare il rapporto fra queste due versioni,
mentre i due successivi si incentrano sulla Vita latina: il primo (tablissement
du texte, pp. 143-150) indicando i criteri usati da Laurence nel costituirne il
testo; il secondo (Vita Sanctae Melaniae senatricis Romae. Textus latinus cum
apparatu critico, citationibus biblicis et testimoniis, pp. 151-299) fornendone
una nuova edizione corredata da apparato critico, indicazione delle citazioni
bibliche, traduzione in lingua francese e note di commento. Il sesto capitolo
(Appendices, pp. 301-339) contiene, infine, alcuni elementi complementari ai
capitoli precedenti.
Analizzando lo studio di Patrick Laurence emerge con chiarezza (ma, del
resto, lo stesso autore a specificarlo) la volont di completare e riesaminare
quanto tracciato da Mariano Rampolla del Tindaro, ponendo come momento
essenziale di tale lavoro la nuova edizione critica della Vita latina di Melania la
Giovane. Il testo latino stabilito da Rampolla del Tindaro, come P. Laurence ha
cura di sottolineare, necessitava di essere riconsiderato alla luce di un ulteriore
testimone della medesima Vita, rinvenuto pochi anni dopo ledizione curata
dal dotto cardinale e, attualmente, il pi antico ad essere noto. A tale compito
assolve P. Laurence che, come abbiamo visto, dedica il quinto capitolo del suo
libro ad una nuova edizione critica della Vita latina di Melania la Giovane. Tale
sezione del lavoro di Laurence, in particolare grazie allapparato critico, dove
sono attentamente riportate le varianti presenti nei codici o quelle preferite dai
precedenti editori, un utile strumento per discutere su un testo centrale non
solo per indagare la biografia di Melania la Giovane, ma che, per il rilievo della
sua protagonista, lampio spazio geografico attraverso il quale si svolgono gli
eventi della sua vita e per il loro intrecciarsi con momenti significativi della
storia militare e politica del V secolo, un documento assai utile per comprendere diversi aspetti del mondo tardoantico.

GRONTIUS

LA VIE LATINE DE SAINTE MLANIE

593

La Vita latina, per essere pienamente collocata cronologicamente e capita


nelle sue peculiarit contenutistiche, deve, tuttavia, essere considerata in relazione agli altri documenti che costituiscono il corpus di fonti su Melania e, in modo
specifico, nei suoi rapporti con lomologa Vita greca. A tale ambito di riflessione
Laurence dedica il terzo dei capitoli del suo libro, dove, dopo aver presentato
i testimoni manoscritti delle due Vite e la bibliografia che le interessa, procede
al loro studio comparato, muovendo dalla verifica delle posizioni gi espresse
al riguardo da Rampolla del Tindaro. Concordemente a questi Laurence accetta
che la Vita latina e quella greca siano dipendenti da un testo originale redatto da
Geronzio, sacerdote al seguito di Melania. Il giudizio qualitativo e la datazione
che Laurence propone per le due Vite si distanziano, tuttavia, dalle posizioni di
Rampolla del Tindaro: contrariamente al cardinale, che riconosceva alla latina
una maggiore vicinanza, sia cronologica, sia contenutistica, al testo originale,
Laurence pone la versione greca e la latina come contemporanee, ma individua
in quella greca il testo maggiormente attendibile dal punto di vista contenutistico
e, quindi, pi vicino allopera di Geronzio. Le posizioni di Rampolla del Tindaro
sono modificate anche per quel che concerne la questione della lingua utilizzata
da Geronzio per redigere la Vita di Melania: per il primo si sarebbe trattato di
un testo latino, secondo Laurence di un testo greco.
Le conclusioni di Laurence sono di notevole peso in quanto propongono
per le molte problematiche inerenti la Vita latina e quella greca un quadro interpretativo sostanzialmente diverso e non conciliabile con quello tracciato da
Rampolla del Tindaro, il lavoro del quale stato per tutto il XX secolo di riferimento negli studi su Melania la Giovane. In considerazione della potenziale
portata delle conclusioni alle quali giunge il suo studio, P. Laurence avrebbe,
forse, dovuto avere maggiore cura nellesporre i propri argomenti, fornendo in
modo completo, allinterno del volume, gli strumenti utili a seguire i molti nodi
tematici affrontati nella propria analisi. Le problematiche inerenti le diverse
redazioni della Vita di Melania sono, infatti, percorse da Laurence, come egli
stesso sottolinea pi volte, grazie ad una comparazione della Vita latina con
quella greca, ma ci avviene, quasi paradossalmente, allinterno di un volume
dove la Vita greca non pubblicata. Da tale stato di cose consegue limpossibilit
di verificare in modo diretto molte delle argomentazioni di carattere filologico,
linguistico e contenutistico che Laurence utilizza nello studio comparato dei
due testi. Lassenza della versione greca tanto pi grave laddove si consideri
che la Vita latina edita da Laurence ha delle sostanziali novit rispetto a quella
stabilita da Rampolla del Tindaro: considerato ci sarebbe stato utile poterla
confrontare in modo compiuto con il testo greco, al quale, peraltro, Laurence,
nel ricostruire i rapporti fra i diversi testimoni della Vita di Melania, accorda un
ruolo preminente rispetto alla Vita latina. Tale studio comparato sicuramente
stato effettuato da Laurence il quale ne presenta, per cos dire, le conclusioni,
ma, paradossalmente, lunica sede dove poter agevolmente leggere in parallelo i
due testi rimane il volume di Rampolla del Tindaro. Alla non pubblicazione della

594

RECENSIONI

Vita greca non credo, infatti, possano supplire i brani, citati da Laurence ora in
nota ora nel corpo del testo, i quali, peraltro, sono riportati solo in minima parte
in lingua originale, preferendo pi di frequente la loro traduzione in francese.
Allo stesso modo non credo sia molto utile a rilevare punti di contatto e/o di
divergenza fra la Vita latina e quella greca la tavola sinottica dei due testi proposta da Laurence in appendice al suo volume (Tableau synoptique, pp. 301-315),
dove, senza particolare unit dal punto di vista grafico, essi sono comparati, ma
solo tramite un sunto tematico, senza riportarne, anche dove sarebbe stato assai
utile, alcun brano in modo integrale ed in lingua originale.
La mancata pubblicazione del testo greco limita fortemente anche altri
aspetti non secondari del lavoro di Laurence che, come visto, dedica i capitoli iniziali del proprio libro a ricostruire in senso critico la vicenda storica
di Melania. I due capitoli, che ancora una volta ripercorrono linee tematiche
gi indagate da Rampolla del Tindaro, si basano, come pi volte sottolinea
Laurence, su una stretta comparazione della Vita latina con la greca, la quale,
come gi rilevato, fornita nel volume in modo molto poco omogeneo. A ci
si aggiunga che nei primi due capitoli sono costantemente utilizzati, sia in nota,
sia nel corpo del testo, dei rimandi ad una V(ie) di Melania o, in modo ancor
pi dettagliato, ad una V(ie) L(atine), ad una V(ie) G(recque), cos come
Laurence, non di rado, si riferisce alla fonte biografica antica indicandone
lautore, cio Geronzio. Tenendo conto che le molte problematiche, storiche
e filologiche, relative alla Vita di Melania sono affrontate da Laurence solo
nel terzo capitolo del suo studio, ne consegue che nei primi due capitoli dello
stesso fatto rimando a documenti dei quali non sono ancora stati indicati n
gli elementi di datazione, n le peculiarit linguistiche, n quelle di contenuto.
questa una carenza tanto pi grave se si considera che ci che Laurence
intende per V(ie) L(atine), V(ie) G(recque) e vita di Melania scritta da
Geronzio, sono testi che, per datazione, lingua, contenuto, nonch per rapporti
reciproci, risultano diversi da quelli denominati allo stesso modo da Rampolla
del Tindaro, il cui quadro interpretativo dei documenti su Melania non pu, di
conseguenza, essere adottato come riferimento nella lettura di questi due capitoli. Tale limite non pu, evidentemente, ricondursi ad una semplice assenza
del testo greco dalledizione curata da P. Laurence ma, piuttosto, deve imputarsi ad un errore di fondo nella strutturazione del volume. Questo suddiviso
in sei capitoli numerati progressivamente, cos che chi lo scorre per la prima
volta suppone si tratti di un tema unico sviluppato gradualmente. Non , evidentemente, cos: mentre i capitoli iniziali sono una sintesi costruita sulle fonti
riguardanti Melania, quelli centrali, sono dedicati alledizione della Vita latina
di Melania ed alla discussione di problemi testuali e filologici, mentre il capitolo conclusivo, in modo alquanto originale posto sotto il titolo di Appendices,
contiene una serie di elementi di corredo a tutti gli altri capitoli. Considerato
ci sarebbe, forse, stato opportuno ordinare il testo non per capitoli numerati
progressivamente, ma per sezioni parallele da consultare in modo sinottico.

DAUPHIN C.

LA PALESTINE BYZANTINE. PEUPLEMENT ET POPULATION

595

I primi due capitoli, ma pi in generale tutte le parti del volume nelle


quali si affrontano le diverse problematiche inerenti la vicenda biografica di
Melania o la storia redazionale della sua Vita, presentano un ulteriore limite.
Nellaccostarsi a queste tematiche Laurence utilizza, non a torto, tutte le fonti
disponibili su Melania, sia che si tratti dellHistoria Lausiaca o della Vita metafrastica, testi fortemente complementari alla biografia redatta da Geronzio,
sia ricorrendo alle fonti contemporanee a Melania, allinterno delle quali la nobile romana compare in modo marginale. Questi documenti non sono, tuttavia,
presentati allinterno del volume in modo organico, cos che si ha la pretesa di
delineare sistematicamente la figura storica di Melania, omettendo di indicare
con completezza il corpus documentario che la riguarda.
A ci sono da aggiungere alcune carenze nellediting. I capitoli di commento, cos come le note mancano di unit nel modo di citare i testi in lingua
greca o latina, dato che questi, senza alcun criterio individuabile, sono riportati
ora in lingua originale, ora in traduzione francese. Personalmente penso si sarebbe dovuto, in ogni caso, fornire il testo in lingua originale e, possibilmente,
corredarlo di traduzione. Le citazioni testuali sono, poi, poco caratterizzate dal
punto di vista grafico, in quanto, sono isolate ora ponendole fra virgolette a sergente ( ), ora fra virgolette alte doppie ( ). La poca cura di questi aspetti
grafici, rendendo poco agevole individuare la base documentale utilizzata da
Laurence per la propria analisi, appesantisce la leggibilit del testo.
Considerato nel suo complesso il lavoro di Patrick Laurence ha sicuramente il merito di indirizzare nuovamente lattenzione su un corpus di documenti,
quello su Melania la Giovane, assai importante per comprendere molti aspetti
della religiosit e, pi in generale, del mondo tardoantico. Laurence, in particolare, nel proporre una nuova edizione critica della Vita latina di Melania, si
interessa al documento sul quale, dopo la fondamentale edizione di Rampolla
del Tindaro, era apparso maggiormente necessario tornare a riflettere. A partire
da tale momento filologico, centrale nel lavoro di Laurence, si pu procedere
ora con profitto ad un riesame completo del corpus documentario su Melania
la Giovane e, quindi, alla ricostruzione critica della sua vicenda storica e spirituale. Nel compiere ci si potr, peraltro, tenere conto delle linee tematiche di
commento alle fonti su Melania gi percorse da Laurence nel suo studio.
Giuseppe Antonio Guazzelli
Dauphin Claudine, La Palestine byzantine. Peuplement et Population. Vol.
I: Texte; Vol. II: Text et illustrations; Vol. III: Catalogue (BAR International
Series 726) Oxford 1998, 1042 pp.
Una impresa per lA. scrivere questo libro di demografia storica, frutto di
anni e anni di lavoro sul campo e in biblioteca, facendo tesoro, esaminando e

596

RECENSIONI

assimilando i risultati degli ultimi cento anni di ricerca, una impresa anche
per chi vuole dare unidea del contenuto dellopera veramente enciclopedica
riguardante la Palestina romano-bizantina e la sua popolazione, mosaico di
etnie, di lingue, di credi e di culture che coabitano, si integrano, si scontrano
per una supremazia che alla lunga diventa effimera precipitando in una crisi
economica e demografica senza ritorno che diventa debolezza di tutti davanti
ad una nuova forza che li trova impotenti a reagire.
Della tesi di dottorato il libro conserva la struttura e una certa rigidit
formale. Esame critico dei risultati dellesplorazione a cominciare dalla Carta
Jacotin fino ai risultati degli esami di laboratorio, e delle fonti storiche dellepoca.
Definizione dei limiti geografici della ricerca riguardante il territorio della
Provincia Palaestinae per limpero romano-bizantino, dellEretz Israel per la
comunit ebraica, della Terra Santa per i cristiani (perci frontiere politico
amministrative, frontiere ecclesiastiche per le comunit cristiane, e limiti dellEretz Israel secondo la Mishna e il Talmud) con le zone limitrofe per tutti e
tre i campi di ricerca (limes e saltus, Souriya e villaggi interdetti nel territorio
di Tiro e sul Golan per gli Ebrei).
Lo studio dellespansione demografica come risultato del survey moderno
condotto nel territorio suddiviso secondo regioni, tenendo presente la cartografia israeliana.
Il mosaico delle etnie, delle religioni e delle lingue usate dai cristiani
(greco, aramaico cristo-palestinese, siriaco, e solo marginalmente latino), dagli ebrei (ebraico e aramaico), e dai Samaritani, con linflusso esercitato sulle
popolazioni dai centri urbani di antica origine ellenistico-romana, dai porti
della costa dove giungeva gente da ogni parte del Mediterraneo, dalle scuole
rabbiniche e, preponderante in questepoca, dai monaci cristiani provenienti
da tutto limpero bizantino.
Nel IV secolo si assiste alla lotta per la supremazia che conduce la comunit minoritaria cristiana rispetto a quella ebraica, a quella samaritana e
a quella pagana, diventare progressivamente preponderante nel V-VI secolo
con lappoggio dellautorit politica, non senza prevedibili reazioni degli uni
e degli altri. Molto spazio viene dato alla reazione pagana lenta a morire e
sempre agguerrita nel sud palestinese.
Allinterno della comunit cristiana, allemarginazione e alleliminazione
dei gruppuscoli marginali eretici, come il giudeo-cristianesimo, segue la lotta
per lortodossia provocata dal movimento ariano, dallorigenismo, dal pelagianesimo, dal nestorianesimo, dal monofisismo, con un ritorno delloriginismo
nel VI secolo e del monotelismo del VII.
Nel periodo di supremazia cristiana le parti si invertono: da persecutori, Giudei e Samaritani diventano oppressi e legalmente emarginati da parte
dellautorit bizantina. Vittime ne diventano specialmente i Samaritani che in
diversi occasioni si ribellarono provocando lintervento armato dellimpero.

DAUPHIN C.

LA PALESTINE BYZANTINE. PEUPLEMENT ET POPULATION

597

Il declino e lo spopolamento del territorio che molto spesso vengono messi


storicamente in relazione con la doppia invasione, prima persiana nel 614 e poi
arabo-musulmana nel 634-638, vengono spiegati come il punto di arrivo di un
processo demografico molto pi complesso con il ricorso anche ad altri fenomeni di indebolimento progressivo della popolazione, come povert e malattie,
allorigine della denatalit dopo un periodo di boom economico e di crescita
demografica. Per le cause naturali, un grosso contributo offerto dai risultati
dellesame antropologico dei resti umani riportati alla luce dagli archeologi
che hanno diagnosticato ogni genere di malattia e particolarmente la morte
per peste che dalle fonti sappiamo fece vittime nel corso del VI secolo. Quali
furono allora le vere cause del declino demografico in Palestina nel VII secolo?
Malgrado un allungamento della speranza di vita da 30 anni allepoca romana
a 40 anni nel VI secolo bizantino, i tassi di mortalit generale (30 decessi su
1000) e di natalit erano equivalenti Accellerando e superando lo sviluppo
economico, la crescita demografica genera inevitabilmente un problema grave,
quello della trappola della povert. Essendosi sviluppata al di l delle sue
potenzialit agricole, il suo tessuto sociale dilaniato dalle lotte religiose e intercomunitarie in gran parte dovute allirresponsabilit di Costantinopoli, diminuita dalle malattie infettive - tubercolosi, bjel sifilitico, parassitosi e malaria
- indebolita dalle grandi carestie del VI secolo, la popolazione della Palestina
gi molto sfrondata, fu incapace di resistere alle epidemie successive di peste
bubbonica. La Palestina croll, rigettando linnesto dellellenismo ortodosso
per ritrovare infine le sue radici semitiche, dopo sei secoli di dominio straniero
romano e bizantino. Che, francamente semplificare, sposando metodi demografici di ricerca probabilmente accettabili, con la poesia, che non guasta
anche se lascia un problema, come quello posto con la domanda iniziale, senza
soluzione e risposta adeguata. La stessa domanda ce la siamo posta nella vicina
Provincia Arabia e finora, dopo pi di venti anni di ricerca sul terreno, debbo
candidamente confessare che, con i dati a disposizione, non so dare una risposta, ma solo ipotesi pi o meno adeguate alla complessit del problema.
Solo una sintesi del ponderoso lavoro che presentato al lettore come un
omaggio di chi nato in questa terra se ne considera cittadino, maturato con un
interesse coltivato e approfondito in anni di ricerca in archivio e di cantiere e
di vita vissuta giorno dopo giorno nello scontro incontro delle contraddizioni di
oggi che sono le stesse di tanti anni fa, con le parti invertite. LA. non lesina le
critiche al governo imperiale bizantino: Da questa analisi, il potere bizantino
a Costantinopoli risulta implacabile e vile, e la politica inetta che persegu in
Palestina, inescusabile per la sua intolleranza e la sua mancanza di perspicacia.
Perdendo non soltanto la Palestina ma lEgitto e tutto il Levante finito in mano
degli Arabi - checch ne dica loggettivit storica - Bisanzio non ebbe che
quello che si meritava. Un giudizio eccessivo? Con qualche sfumatura, certamente! Infatti non si spiega in modo adeguato quello che dal prof. Lee Levine
dellHebrew University stato chiamato il diluvio di scoperte archeologiche

598

RECENSIONI

dellultimo mezzo secolo che ha portato gli edifici sinagogali a pi di 100 (su
260 chiese) in territorio palestinese, sinagoghe nella stragrande maggioranza
costruite e decorate in epoca bizantina! Miopia persecutoria o lettura sbagliata
da parte dello storico che si basa soltanto sulla legislazione dimenticando la
prassi conciliatoria?
Come ogni enciclopedia, e vuole essere questo giudizio un doveroso e
onesto complimento di chi scrive allopera e al suo A. (ci che gli era gi stato
fatto notare in corso dopera!), unopera di consultazione utilissima seria e
affidabile che sostituisce diverse opere redatte in precedentenza.
Amichevolmente, un consiglio vorrei aggiungerlo, che lo stesso di
quando anni fa, ebbi il privilegio di leggere il manoscritto: un ulteriore lavoro di scrematura e di sintesi per ridurre i tre volumi in una pi maneggevole
pubblicazione, potrebbe cambiare la tesi dottorale, meritatamente presentata e
accettata dal giur della Sorbonne, in un libro sulla Palestina da affiancare alle
grandi opere che lhanno preceduto.
Michele Piccirillo, ofm
Strus Andrzej (ed.), Khirbet Fattir - Bet Jemal. Two Ancient Jewish and
Christian Sites in Israel, with Contributions by E.A. Arslan, A. Chambon, G.
Finkielsztejn, T. Leszczyc, A. De Vincenz and P. Agostino - E. Angelini - G.M.
Ingo - M. Martini - E. Sibilia, Libreria Ateneo Salesiano, Roma 2003, 553 pp.,
ills., 40.00
Dopo diversi articoli e rapporti di scavo che hanno permesso di seguire lo
svolgimento della ricerca archeologica in corso a Khirbet Fattir in localit Beit
Jimal, santuario e azienda agricola affidata ai Padri Salesiani, la presente pubblicazione conclude i dieci anni di lavoro (1989-1998) dedicati dalla missione
della Pontificia Universit Salesiana ai resti del villaggio romano-bizantino
nella Shefela nei pressi del tell di Beit Shemesh, allinterno della propriet di
cui fanno parte con la chiesa bizantina scoperta nel 1916 ricostruita e dedicata
negli anni venti alla memoria di Santo Stefano Protodiacono e Protomartire, le
rovine di Khirbet el-Jiljil (gi oggetto di una recente campagna archeologica
con il ritrovamento di una villa con ambiente mosaicato), di Khirbet al Bedawiyeh, Deir el-Asfura e Deir en-Nebi Bulos (cf. il Capitolo II: The Survey,
con pubblicazione di A. de Vincenz anche delle tipologie ceramiche recuperate,
pp. 31-60).
Segue la pubblicazione di risultati dello studio delle grotte di cui il terreno
disseminato sulle pendici della montagna che mostrano una frequentazione e
uso in periodo ellenistico-romano da parte di una popolazione giudaica, come
dimostrano la scoperta di un miqweh o bagno rituale e le tombe tipiche del
periodo (pp. 61-96).

STRUS A.

KHIRBET FATTIR - BET JEMAL

599

In quella che viene chiamata la zona industriale (Area C) oggetto di indagine sono stati un pressoio per il vino e un frantoio per olio in uso dal periodo
bizantino a quello omayyade nei pressi di edifici per abitazione (pp. 99-133).
Un secondo frantoio per lolio dello stesso periodo stato scavato anche nellArea A, nei pressi del complesso ecclesiastico, al quale rimandava la base
ottogonale dellambone riutilizzata allinterno della pietra per lo schiacciamento delle ulive (Area B).
La chiesa a tre navate con piccolo nartece in facciata ha in gran parte monopolizzato la ricerca con lapprofondimento del mosaico pavimentale provvisto di iscrizione dedicatoria che menziona il nome del vescovo Anastasio,
identificato dal curatore del volume con larcivescovo di Gerusalemme successore di Giovenale dal 458 al 478, escludendo trattarsi di Anastasio il vescovo
di Eleutheropolis che nel 536, al tempo dellarcivescovo Pietro, partecip al
concilio di Gerusalemme che condann i nestoriani e i monofisiti e quanti non
accettavano il concilio di Calcedonia.
Le tipologie ceramiche dello scavo sono studiate da T. Leszczyc e in gran
parte da A. de Vincenz (pp. 217- 381), le monete da E. Arslan (383-402). Il
volume anche corredato dei risultati delle analisi chimiche degli intonaci
e quella spettroscopica dei minerali e termoluminescente della ceramica (pp.
435-451).
Nel capitolo decimo il curatore tenta una interpretazione storica del sito dal
periodo romano al primo periodo islamico tenendo presente le fonti storiche
dellepoca (pp. 407-432).
Nella Parte III si pubblicano i risultati di alcuni interventi nei pressi del
monastero di Beit Jimal: un mikweh e una tomba a kokhim a nord e a sud
della chiesa di Santo Stefano. Questo d loccasione al curatore per ripresentare in due capitoli (pp. 481-492 e, a modo di conlusione per tutto il volume,
pp. 535-553), intervallati dalla pubblicazione di diversi materiali di scavo tra
i quali gli stampi su manici di anfore (per lo pi rodiani) ritrovati nello scavo
(G. Finkielsztejn, pp. 525-533), lo status quaestionis riguardante il santuario e
la discussione della sua possibile relazione con il ritrovamento della tomba di
Stefano, di Nicodemo e di Gamaliele come raccontato nella Lettera di Luciano di Cafargamala al tempo del patriarca Giovanni (una traduzione italiana del
testo in G. Fergnani, Cafargamala. Monografia e prove dellautenticit della
scoperta del sepolcro di S. Stefano, Torino 1923).
In generale, la documentazione sia della prospezione di superficie di tutta
larea di Beit Jemal con i diversi siti archeologici, sia dello scavo a Kh. Fattir
data con molta cura e precisione. Lopera carente quando leditore-autore
affronta la problematica dellinterpretazione e esprime una propria opinione
ben definita ma non documentata. Mi riferisco in particolare allinterpretazione
degli ambienti e dellarredo liturgico della chiesa di Khirbet Fattir che resta
carente, perch non aggiornata alla discussione in corso, e il rinvio alle pubblicazioni di archeologi israeliani non aiuta molto. Non esprimo opinioni sulla

600

RECENSIONI

lettura sibillina delle tre lettere greche in chiusura delliscrizione dedicatoria.


Dal mio punto di vista si tirano troppe conclusioni storiche da un mero tentativo di spiegazione di un piccolo mistero epigrafico.
Da rapporto di scavo di una zona agricola della Shefela abitata e coltivata dallepoca romano-bizantina fino al primo periodo islamico dagli abitanti
di uno o pi villaggi ancora da esplorare, la pubblicazione diventa, a causa
di questi sconfinamenti, a mio avviso inopportuni e fuorvianti, un ulteriore
documento delle dispute di altri tempi, di cui, francamente, forse non cera
bisogno. La ricerca, condotta con entusiasmo e non senza difficolt durante
gli ultimi dieci anni dal gruppo di volontari e professionisti guidati da Don
Andrzej Strus, aveva ed ha una sua giustificazione scientifica corroborata, a
scavo concluso, da risultati notevoli per la conoscenza dellarea, anche senza
aggangiarla ad un apologetismo che ha fatto il suo tempo e che purtroppo
spunta nei punti pi impensati anche nello studio dei reperti, per poi sfociare
nellintervento in chiusura del volume.
Con la presenza continua da pi di cento anni di un nutrito gruppo di giovani e di professori in Terra Santa con sede finora a Cremisan tra Betlemme e
Gerusalemme, mi auguro di cuore che la Pontificia Universit Salesiana resti in
futuro tra le istituzioni impegnate nella ricerca archeologica, di cui la missione
di p. Strus stato un promettente inizio. I risultati dello scavo di Khirbet Fattir dimostrano che quella archeologica una ricerca e un impegno che danno
spessore documentario concreto e nuova linfa a discipline complementari e
importanti come la liturgia e la storia.
Michele Piccirillo, ofm

LIBRI RICEVUTI
Adinolfi Marco, A tavola con Ges di Nazaret, Portalupi Editore, Casale Monferrato 2001, 139 pp., 7.23.
Adinolfi Marco, A tavola. Venti donne della Bibbia raccontano, Portalupi
Editore, Casale Monferrato 2003, 160 pp., 7.30.
al-Khoury Maysoun (a cura di), Il Limes Arabicus (Manuali e Saggi per i
Beni Culturali, Collana diretta da Giuseppe Claudio Infranca), I.S.A.D. (Istituto Superiore per le tecniche di conservazione dei beni culturali e dellambiente
Antonino De Stefano), Centro dInformazione e Stampa Universitaria, Roma
2003, 261 pp., ills.
Almagro Antonio - Jimnez Pedro - Navarro Julio, El palacio omeya de
Amman III. Investigacin arqueolgica y restauracin 1989-1997, Escuela de
estudios rabes, CSIC Real Academia de Bellas Artes de Granada, Granada
2000, 366 pp., CD-ROM, El Alczar Omeya de Amman.
Auwers Jean-Marie - Wnin Andr (eds.), Lectures et relectures de la Bible.
Festschrift P.-M. Bogaert (Bibliotheca Ephmeridum Theologicarum Lovaniensium CXLIV), Leuven University Press-Uitgeverij Peeters, Leuven 1999,
XLII-482 pp., 75.00.
Balmelle Catherine - Blanchard-Leme Michle - Darmon Jean-Pierre Gozlan Suzanne - Raynaud Marie-Pat (eds.), Le dcor gomtrique de la
Mosaque romaine, ditions Picard, Paris 2002, 271 pp., $ 76.00.
Barrett Charles Kingsley, A Critical and Exegetical Commentary on the Acts
of the Apostles. In Two Volumes (The International Critical Commentary).
Volume I Preliminary Introduction and Commentary on Acts I-XIV, Edinburg
1994, latest impression 1998. Volume II Introduction and Commentary on Acts
XV-XXVIII, T. & T. Clark, Edinburgh 1998, CXVIII-1272 pp.
Bauckham, Richard, Gospel Women. Studies of the Named Women in the Gospel, Eerdmans, Edinburgh 2002, XXI-343 pp., $ 22.00.
Baumert Norbert, Charisma - Taufe - Geisttaufe. Band 1: Entflechung einer
semantischen Verwirrung; Band 2; Normativitt und persnliche Berufung,
Ehcter Verlag, Wrzburg 2001, 320 pp., 339 pp. 39.90.
Belayche Nichole, Iudea-Palaestina. The Pagan Cults in Roman Palestine

602

LIBRI RICEVUTI

(Second to Fourth Century) (Religion der Rmischen Provinzen 1), Mohr


Siebeck, Tbingen 2001, XXIV-386 pp., 10.33.
Bennett Harold V., Injustice made legal. Deuteronomic Law and the Pflight of
Widows, Strangers, and Orphans in Ancient Israel, Eerdmans, Grand Rapids
2002, XIII-209 pp., $ 28.00.
Black C. Clifton, Mark. Images of an Apostolic Intepreter (Studies on Personality of the New Testament), Augsburg Fortress Publishers, Minneapolis 2001,
XXII-327 pp., $ 20.00.
Boismard Marie-Emile, Le baptme chrtien selon le Nouveau Testament
(Thologies), Les Editions du Cerf, Paris 2001, 143 pp., 13.72.
Boismard Marie-Emile, Le texte occidental des Acts des Aptres. Edition nouvelle entirement refondue (Etudes Bibliques Nouvelle Srie), Gabalda et Cie
Editeurs Paris 2000, 432 pp, 260, FF 260.
Borowski Oded, Agriculture in Iron Age Israel, American Schools of Oriental
Research, Boston 2002, 245 pp., $ 32.50.
Braun Joachim, Music in Ancient Israel/Palestine. Archaeological, Written, and
Comparative Sources, Eerdmans, Grand Rapids 2002, XXXVI-368 pp., $ 30.00.
Bulgarelli Valentino, Limmagine della rugiada nel libro di Osea. Uso molteplice di una figura nella Bibbia ebraica e nella Settanta (Supplementi alla
Rivista Biblica), EDB, Bologna 2002,196 pp., 15.00.
Calduch-Benages Nuria - Ferrer Joan - Liesen Jan, La sabidura del escriba
Wisdom of the scribe. Edicin diplomtica de la versin siriaca del libro de
Ben Sira segn el Cdice Ambrosiano, con traduccin espaola e inglesa (Biblioteca Midrsica 26), Editorial Verbo Divino, Estella 2003, 271 pp.
Corsini Eugenio, Apocalisse di Ges Cristo. Secondo Giovanni (Sestante),
Societ Editrice Internazionale, Torino 2002, XXI-454 pp., 19.50.
Davis Stephan K., The Antithesis of the Ages. Pauls Reconfiguration of Torah
(The Catholic Biblical Quarterly - Monograph Series 33), The Catholic Biblical Association of America, Washington 2002, X-259 pp., $ 11.00.
Delamarter Steve, A Scripture Index to Charlesworths The Old Testament
Pseudepigrapha, Sheffield Academic Press, London - New York 2002, VIII-99
pp., 15.99.

LIBRI RICEVUTI

603

del Ro Snchez Francisco (ed.), Los Cinco Tratados sobre la Quietud (Selya)
de Dadiso Qatraya, Editorial Ausa, Barcelona 2000, 174 pp.
De Mattei Roberto, Guerra Santa Guerra Giusta, Editrice Piemme, Casale
Monferrato 2002, 118 pp., 7.90.
Donahue John R - Harrington Daniel J, The Gospel of Mark (Sacra Pagina
Series 2), The Liturgical Press, Collegeville 2002, XV-488 pp.
Fiema Zbigniew T. - Kanellopoulos Chrysanthos - Waliszewski Tomasz Schick Robert, The Petra Church, ACOR, Amman 2001, 446 pp., ills.
France Richard T., The Gospel of Mark. A Commentary on the Greek Text (The
New International Greek Testament Commentary), W. B. Eerdmans Publishing
Company, Grand Rapids, Michigan / Cambridge, U.K. - The Paternoster Press,
Carlisle 2002, XXXVII-719 pp., $ 55.00.
Frsen Jaakko - Arjava Antti - Lehtinen Marjo (eds.), The Petra Papyri
I, (American Center of Oriental Research Publications), American Center of
Oriental Research, Amman 2002, XXVI-142 pp., 75.00.
Frsn Jaakko - Fiema Zbigniew T. (edd.), Petra. A City Forgotten and Rediscovered. A Volume associated with the Exhibition Organized by Amos Anderson Art Museum in Helsinki, Finland, Helsinki 2002, 283 pp., ills.
Genz Hermann, Die frhbronzezeitliche Keramik von Hirbet ez-Zeraqon. Mit
Studien zur Chronologie und funktionalen Deutung frhbronzezeitlicher Keramik
in der sdlichen Levante (Abhandlungen des deutschen Palstina-Vereins 27,2),
Harassowitz Verlag, Wiesbaden 2002, VI-166 pp., 159 tavv., 76.00.
Hamarneh Basema, Topografia cristiana ed insediamenti rurali nel territorio
dellodierna Giordania nelle epoche bizantina ed islamica V-IX sec. (Studi di
Antichit Cristiana. Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana 42), Citt del
Vaticano 2003, 346 pp., ills.
Hanna Kamal Fahim Awad, La passione di Cristo nellApocalisse (Tesi gregoriana Serie Teologica 77), Editrice Pontificia Universit Gregoriana, Roma
2001, 473 pp.
Hoyland Robert G., Arabia and the Arabs from the Bronze Age to the Coming
Islam, Routledge - London - New York 2001, 324 pp., ills.
Instone-Brewer David, Divorce and Remarriage in the Bible, Eerdmans,
Edinburgh 2002, XI-355 pp., $ 26.00.

604

LIBRI RICEVUTI

Jervell Jacob, Die Apostelgeschichte (Kritisch-Exegetischer Kommentar 3),


Vandenhoeck und Ruprecht Verlag, Gttingen 1998, 635 pp.
Kim Seyoon, Paul and the new Perspective. Second Thoughts on the Origin of
Pauls Gospel, Eerdmans, Grand Rapids 2001, XV-336 pp., $ 25.00.
Klauck Hans-Joseph, Apokryphe Evangelien. Eine Einfhrung, Katholisches
Bibelwerk, Stuttgart 2002, 297 pp., 23.90.
Leonardi Giovanni - Trolese Francesco G.B. (eds.), San Luca evangelista testimone della fede che unisce. Atti del congresso internazionale, Padova, 16-21
ottobre 2000. I: Lunit letteraria e teologica dellopera di Luca (Vangelo e
Atti degli apostoli) (Fonti e Ricerche di storia ecclesiastica Padovana XXVIII),
Istituto per la Storia Ecclesiastica Padovana, Padova 2002, 640 pp., 50.00.
Long V. Philips - Baker David W. - Wenham Gordon J. (eds.), Windows into
Old Testament History. Evidence, Argument, and the Crisis of Biblical History, Eerdmans, Edinburgh 2002, VIII-204 pp., $ 22.00.
Lopasso Vincenzo - Parisi S. (eds.), Liber Scripturae. Miscellanea in onore
del Prof. P. Francesco Tudda ofm, Rubbettino, Saveria Mannelli 2002, 217
pp., 13.00.
Magnani, Giovanni, Religione e religioni. Il monoteismo, Edizioni P.U.G.,
Roma 2001, 573 pp., 31.00.
Magness Jodi, The Archaeology of Qumran and the Dead Sea Scrolls, Eerdmans, Grand Rapids 2002, XLVI-238 pp., $ 26.00.
Mazar Amihai - Panitz-Cohen Nava, Timnah (Tel Batash). II: The Finds from
the first Millennium BCE. Plates (QEDEM Monographs of the Institute of
Archaeology 42), The Hebrew University, Jerusalem 2001, 306 pp.
Mazzeo Michele, Lettere di Pietro, Lettera di Giuda. Nuova versione, introduzione e commento (I Libri Biblici. Nuovo Testamento 18), San Paolo, Milano
2002, 494 pp., 29.95.
Moran William L., The most magic Word. Essays on Babilonian and Biblical
Literature (The Catholic Biblical Quarterly. Monograph series 35), The Catholic
Biblical Association of America, Washington DC 2002, X-212 pp., 11.50.
Prez Herrero Francisco, Pasin y Pascua de Jess segn San Marcos. Del
texto a la vida (Publicaciones de la Facultad de Teologa del norte de Espaa
67), Imprenta Santos S.L., Burgos 2001, 445 pp., $ 39.95

LIBRI RICEVUTI

605

Poffet Jean-Michel (ed.), Lautorit de lcriture (Hors srie. Lectio divina),


Les ditions du Cerf, Paris 2002, 302 pp., 28.00.
Porter Stanley E. - Cross Anthony R. (eds.), Baptism, the New Testament
and Church. Historical and Contemporary Studies in Honour of R.E.O. White
(Journal for the Study of the New Testament. Supplement Series 171), Sheffield Academic Press, Sheffield 1999, 497 pp.
Runesson Anders, The Origins of the Synagogue. A Socio-Historical Study
(Coniectanea Biblica New Testament Series 37), Almqvist & Wiksell International, Stockholm 2001, 573 pp.
Schnackenburg Rudolf, The Gospel of Matthew, Eerdmans, Grand Rapids
2002, VII-329 pp., $ 24.00.
Schneider Aquinas - McCloskey Pat (eds.), The Lord Is the Spirit. Essays
honoring Bernardin Schneider, Studium Biblicum Franciscanum, Tokyo 2002,
VII-188 pp.
Seetzen Ulrich Jasper, Unter Mnchen und Beduinen. Reisen in Palstina und
angrenzenden Lndern 1805-1807, Edition Erdmann, Stuttgart 2002, 320 pp.,
22.00.
Shimasaki Katsuomi, Focus Structure in biblical hebrew. A Study of Word
Order and Information Structure, Bethesda 2002, XVI-314 pp., $ 35.00.
Sicre Jos Luis, Josu (Nueva Biblia Espaola), Editorial Verbo Divino,
Estella (Navarra), 520 pp.
Strus Andrzej, Khirbet Fattir - Bet Gemal. Two ancient Jewish and Christian
Sites in Israel, LAS, Roma 2003, 553 pp., 40.00.
Talbert Charles B., Reading Acts. A Literary and Theological Commentary on
the Acts of the Apostles (Reading the New Testament Series), Crossroad, New
York 1997, XIII-269 pp., $ 24.95.
Taylor Justin, Les Actes des deux Aptres.V Commentaire historique (Act. 9,118,22) (Etudes Bibliques Nouvelle Srie 23), Gabalda et Cie Editeurs, Paris
1994; IV (Act. 1,1-8,40) (Etudes Bibliques Nouvelle Srie 41), Gabalda et Cie
Editeurs, Paris 2000, xxii-399 pp., FF 210, XXXII-247 pp. FF 190.
Tezel Aziz, Comparative Etymological Studies in the western Neo-Syriac

606

RECENSIONI

(Turoyo) Lexicon. With Special Reference to Hononyms, Related Words and


Borrowings with Cultural Signification (Acta Universitatis Upsaliensis. Studia
Semitica Upsaliensia 18) Uppsala Universitet, Uppsala 2003, 295 pp.
Testa Emmanuele Nazareno, Ges vero uomo figlio di Maria, Edizioni Porziuncola, Santa Maria degli Angeli 2003, XV-575 pp., 98.00.
Tiwald Markus, Wanderradikalismus. Jesu erste Jnger-ein Anfang und was
davon bleibt, (sterreichische Biblische Studien 20), Peter Lang, Frankfurt am
Main 2002, XVIII-331 pp.
Villeneuve Estelle - Watson Pamela M. (eds.), La cramique byzantine et
proto-islamique en Syrie-Jordanie (IVe-VIIIe sicles apr. J.-C.). Actes du colloque tenu Amman les 3, 4 et 5 dcembre 1994 (Bibliothque archologique
et historique 159), Institut Franais darchologie du Proche-Orient, Beyrouth
2001, VI-340 pp.
Wilkinson John, Jerusalem Pilgrims. Before the Crusades (Middle East Studies and the Holy Land), Aris & Phillips, Warminster 2002, XII-420 pp.
Winter Bruce W., Philo and Paul among the Sophists. Alexandrian and Corinthian Responses to a Julio-Claudian Movement. Second Edition, Eerdmans,
Grand Rapids 2002, XIX-302 pp., $ 32.00.
Witherington Ben, III, The Acts of the Apostles. A Socio-Rhetorical Commentary, W. B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids, Michigan / Cambridge, U.K. - The Paternoster Press, Carlisle 1998, V-XLVIII. 1-874 pp.

Studium Biblicum Franciscanum


Anno Accademico 2001-2002

LA 52 (2002) 607-618

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM


ANNO ACCADEMICO 2001-2002

I. STUDENTI
Nellanno accademico 2001-2002 hanno frequentato lo Studium Biblicum
Franciscanum 62 studenti cos suddivisi: 29 alla Licenza, 12 alla Laurea, 5 al
Diploma di Formazione biblica, 5 straordinari e 11 uditori. Uno studente ha
difeso la tesi di laurea, uno ha conseguito la licenza in teologia con specializzazione biblica e 5 la licenza in scienze bibliche e archeologia.
Licenza in Teologia con specializzazione biblica
O. Tapia, Reconocer al Resucitado en el camino de la vida. Lc 24,13-35: Ensayo de exgesis, teologa, actualizacin, 159 pp. (moderatore: G.C. Bottini).
Licenza in Scienze Bibliche e Archeologia
E.-N. Bassoumboul, Pr 3,1-35: Etude du style, de la construction et de la
cohrence, 95 pp. (moderatore: A. Niccacci).
P. Farinella, TM e LXX due lingue, una sintassi? Saggio sperimentale di lettura
bifronte, 127 pp. (moderatore: A. Niccacci).
M. Kuren, The Golden Calf and the History of its Interpretation, 119 pp. (moderatore: G. Bissoli).
D. Tepert, Il Pentateuco nel Vangelo dellInfanzia di Luca, 88 pp. (moderatore:
R. Pierri).
A. Tharekadavil, Man, the Image of God in Gen 1.1-6.8, 160 pp. (moderatore:
A. Niccacci).
Tesi di Laurea
Collu Mario, Il discorso della croce lo/go staurouv. Analisi esegeticoteologica di 1Cor 1,18-31, Gerusalemme 2002, 302 pp. (moderatore: A.M.
Buscemi; correlatore: L. Cignelli; censore: B. Rossi).

610

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

Il lavoro prende avvio dallintenzione di verificare la centralit del

lo/go staurouv nel kh/rugma cristiano. Il vocabolario della croce in tutto il

Nuovo Testamento, come si cerca di rilevare nellIntroduzione, abbastanza ampio. Solo Paolo, per, parla di lo/go staurouv, ci implica una prima riflessione teologica esplicita sullevento del Calvario. Il testo di 1Cor
1,18-31, che al centro dello studio, non esaurisce certamente la teologia
della croce, nemmeno quella paolina, ma appare fondamentale sia per la
sua prospettiva teologica e cristologica sia per quella ecclesiale. Il lo/go
della croce, a partire dallaffermazione paolina, stato da sempre motivo di
riflessione teologica e di alimento spirituale per la Chiesa. Con la riforma
luterana la teologia della croce in campo protestante divenuta espressione della teologia della giustificazione; in ambiente cattolico, invece, si
mantenuta nellambito, pi ampio, di tutta la tradizione biblico-patristica,
come si pu osservare nellesposizione di alcune teologie moderne della
croce.
La ricerca esegetico-teologica pi recente sulla 1Cor, poi, mentre
unanime nel riconoscere lautenticit paolina della lettera, non sempre si
trova daccordo sulla sua unit letteraria e sul contesto culturale-teologico
soggiacente alle problematiche scaturite nella chiesa di Corinto. Per quanto
riguarda, in particolare, la prima parte della lettera (cc. 1-4), lanalisi morfologico-sintattica e quella retorica evidenziano sia lunit della sezione,
sia la centralit tematica del lo/go staurouv introdotto in 1,18 come risposta teologica per ristabilire lunione in una chiesa divisa.
Lanalisi letteraria di 1,18-31 cerca poi di stabilire la compattezza del
brano con una lieve cesura solo in 1,26, mentre il genere letterario, al
quale la pericope rinvia, sembra essere quello del discorso missionario
kerygmatico. Largomentazione paolina parte da un presupposto di fede
nel lo/go e ha una finalit non teorica, ma pratica: ricondurre i Corinzi a
ispirare il proprio comportamento sul fondamento di quella qeouv du/nami
kai qeouv sofia del lo/go staurouv, che, con le divisioni, stato messo in
discussione. Lanalisi strutturale inoltre evidenzia lo stile dellargomentazione fatta prevalentemente di stutture parallele, antitetiche, sinonimiche e
progressive. Nellanalisi esegetica si cerca di discorrere in maniera filologica, senza trascurare il contesto storico-culturale, dei termini usati da Paolo. Nellultima parte, infine, viene studiata lambientazione letteraria dei
concetti pi importanti usati da Paolo nella pericope per esprimere il suo
pensiero: quelli di lo/go e di sofia. Pur essendo essi mutuati formalmente
dallambiente ellenistico, il loro contenuto religioso , per, profondamente
radicato nella tradizione veterotestamentaria. Vengono presentate, in conclusione, tre linee teologiche considerate essenziali nella pericope: (a) il
lo/go staurouv contiene la du/nami e la sofia che sono proprie di Dio e
per questo assume una dimensione centrale e fondante nella proclamazione
delleujaggelion; (b) il lo/go staurouv ha inoltre una funzione escatologi-

ANNO ACCADEMICO 2001-2002

611

ca discriminante, perch determina la salvezza o la perdizione secondo la


risposta di fede di ciascuno; (c) il del lo/go staurouv condiziona, infine,
anche le scelte di Dio e la forma dellekklhsia: attraverso la proclamazione
del vangelo della croce, Dio distrugge i potenti del mondo e chiama gli
humiliores ad essere in Cristo Ges sapienti, giusti santi e redenti.
La paradossale forza e sapienza del lo/go staurouv , quindi, per
Paolo la chiave teologica fondamentale per rispondere alle problematiche
interne della chiesa di Corinto (cc. 1-4; 11-16) e alle difficolt esterne che
essa incontra nel testimoniare la fede in una societ incredula (cc. 5-10).
Cristo crocifisso , infatti, collocato al centro dellopera di Dio in favore
delluomo ed , insieme, il cuore della vita ecclesiale e della predicazione
cristiana. Le conseguenze di questa centralit del lo/go staurouv sono
evidenti.
Prima di tutto a livello teologico: non , infatti, possibile alluomo
unautentica conoscenza di Dio senza la croce di Cristo (1Cor 1,17), separandola dal Cristo e abrogandone lo scandalo (1,23). La croce, infatti, oltre
ad accentuare il carattere storico della fede, si contrappone ad una sapienza
puramente carnale che rivendica orgogliosamente la sua autosufficienza anche nei confronti di Dio e assume, nello stesso tempo, unumanit povera,
debole, priva di dignit (1Cor 1,26-29) per farne la primizia di una nuova
creazione. Il cristianesimo non , dunque, n una filosofia, n una morale,
ma una nuova vita in Cristo Ges (1Cor 1,30-31).
A livello ecclesiale, infine, il lo/go staurouv non un optional, ma
quella du/nami e quella sofia di Dio che permette al singolo credente e
alla comunit di entrare nella salvezza (1,18.24). La Chiesa, infatti, senza
il fondamento di Cristo crocifisso, non solo non avrebbe pi nulla da dire
al mondo, ma sarebbe impossibile la sua stessa esistenza. La croce necessaria sia alla Chiesa sia al mondo. Il Cristo crocifisso, infatti, giudica, in
primo luogo, la sua Chiesa e, per mezzo della testimonianza della Chiesa,
il mondo (1,26-29). Giudica la sua Chiesa, perch la potenza e la sapienza
concesse da Dio ai credenti, per essere da lui riconosciute e approvate,
devono assolutamente scaturire ed essere segnate dalla croce di Cristo. I
valori, pertanto, che guidano il comportamento dei singoli cristiani e della
comunit ecclesiale non possono ispirarsi alla potenza e alla sapienza del
mondo, ma hanno lobbligo di esprimere la stoltezza, la debolezza e lignominia del Crocifisso. Il Cristo crocifisso, poi, attraverso la Chiesa giudica
il mondo, perch la testimonianza del lo/go staurouv costringe il mondo a
rivedere le categorie sapienziali e le strutture di potenza sulle quali fonda
la sua gloria. Lunica vera potenza, sapienza, giustizia, santit, redenzione/
liberazione, sia per i singoli credenti sia per la comunit ecclesiale, sia per
il mondo, Cristo crocifisso. In lui luomo reso alla sua verit di creatura debole, bisognosa di misericordia e di salvezza. Solo in lui riceve la
du/nami e la sofia necessarie per costruire nellagaph una nuova umanit

612

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

in cui la misericordia e la verit si sono abbracciate, la giustizia e la pace


si sono baciate (Sal 84/85,11). Tutto ci nel Cristo crocifisso gi iniziato.
La Chiesa e i singoli credenti hanno il compito di testimoniarlo fino al suo
ritorno escatologico (1Cor 16,22).
Le conseguenze della centralit del lo/go staurouv dovrebbero estendersi, poi, a tutti gli altri aspetti della vita cristiana ed ecclesiale. Pensiamo alle problematiche ecumeniche e al dialogo interreligioso, al rapporto
con la cultura scientifica moderna, in gran parte laica e antireligiosa, alla
pastorale, alla vita spirituale e comunitaria, allazione sociale. Sono tutti
problemi che potrebbero trovare una soluzione solo se si riflettesse e si
applicassero maggiormente quei principi di discernimento, di verit e di
vita che la qeouv du/nami kai qeouv sofia del lo/go staurouv contengono
(M. C.).
II. NUOVI VOLUMI NELLE SERIE DELLO SBF
B. Bagatti (with the collaboration of E. Alliata), Excavations in Nazareth. Vol
II: From the 12th Century until Today (SBF Collectio Maior 17), Jerusalem
2002.
V.C. Corbo, Gli scavi di Kh. Siyar el-Ghanam (Campo dei pastori) e i monasteri
dei dintorni (SBF Collectio Maior 11), Jerusalem 2002 (ristampa).
B. Bagatti, Ancient Christian Villages of Samaria (SBF Collectio Minor 39),
Jerusalem 2002.
P.A. Kaswalder, Onomastica Biblica. Fonti scritte e ricerca archeologica (SBF
Collectio minor 40), Jerusalem 2002.
F. Manns, Le Judasme. Milieu et Mmoire du Nouveau Testament Nouvelle
dition (SBF Analecta 36), Jerusalem 2001.
A. Niccacci (ed.), Jerusalem. House of Prayer for All Peoples in the Three
Monotheistic Religions (SBF Analecta 52), Jerusalem 2001.
N. Casalini, Teologia dei Vangeli (SBF Analecta 57), Jerusalem 2002.
N. Casalini, Lettere Cattoliche e Apocalisse di Giovanni. Introduzione storica,
letteraria e teologica (SBF Analecta 58), Jerusalem 2002.
R. Pierri, Parole del Profeta Amos. Il libro di Amos secondo i LXX (SBF Analecta 59), Jerusalem 2002.

ANNO ACCADEMICO 2001-2002

613

P. Garuti, Alle origini dellomiletica cristiana: la lettera agli Ebrei. Note di


analisi retorica (SBF Analecta 38), Jerusalem 2002 (ristampa).
Liber Annuus 50 (2000) 630 pp.; 64 tavv.
III. ATTIVIT ARCHEOLOGICA
Scavi a Cafarnao
La ventiduesima campagna di scavi a Cafarnao si svolta dal 27 maggio al 22
giugno e dal 5 agosto al 5 ottobre 2002. Il direttore dello scavo, S. Loffreda,
stato coadiuvato da M. Arndt ofm, G. Loche ofm, S. De Luca ofm, I. Sweetser ofm e Luana Spadano. Lo scavo stato concentrato nellarea 3 a oriente
dellInsula Sacra. Una vasta rete di strutture medievali permette di studiare
specialmente la fase finale dellinsediamento nel periodo crociato/mamelucco
(XII e XIII secolo). Sotto questo strato, in parte rimosso, sono stati tracciati
vari ambienti del periodo bizantino. In un punto lo scavo ha raggiunto resti del
primo secolo dell'era cristiana.
Larea 3 delimitata a nord dalla strada L207 sulla quale si affaccia lo
spazioso complesso pubblico L270 per frantoi e pressoi di olive. La vastit delledificio, gi individuato lo scorso anno, richieder altro paziente scavo nelle
prossime campagne. Sono stati trovati unaltra mola e una serie di fossette che
con buona probabilit servivano per disporre con ordine i sacchi di olive dei
diversi proprietari che si servivano di questo frantoio pubblico.
Fra gli oggetti di particolare interesse si segnala una lastra basaltica con
la raffigurazione della menorah, due cornici della monumentale sinagoga, un
amuleto con iscrizione in greco e una matrice di lucerna. Sia la menorah che
le cornici della sinagoga furono riusate per la pavimentazione di strutture
medievali.
Scavi e restauri in Giordania
Come ogni anno riportiamo la relazione del direttore della missione archeologica dello SBF al Monte Nebo, P. Michele Piccirillo.
Campagna archeologica 2002. Alla campagna hanno partecipato: J. Abela ofm,
C. Pappalardo ofm, A. Farrugia, S. Deruvo, N. Tutolo ofm, M. Morati, G. Younes, A. Rojek ofm, A. Costa, A. Ravasio. I partecipanti sono stati impegnati sul
Monte Nebo e a Umm al-Rasas durante tutto il mese di agosto.

614

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

Umm al-Rasas. Grazie anche al contributo annuale della Direzione Generale


per la Promozione Culturale del Ministero degli Esteri dItalia, lo scavo si
concentrato sul complesso della Tabula Ansata nei pressi dello spigolo di nordovest del castrum. Gli edifici a sud del complesso lasciavano aperto un varco
nei pressi del castrum. A ovest degli stessi edifici esistevano dei cortili protetti
da muri a secco. A nord, in continuazione della 'torre' costruita a nord-ovest
della chiesa della Tabula, lo scavo ha raggiunto il pavimento nei due ambienti
addossati alla parete della chiesa in relazione con due porte. I rilievi sono stati
eseguiti dallarch. Samanta Deruvo che ha completato anche gli altri disegni
del complesso di San Paolo.
Monte Nebo. Con un contributo messo a disposizone dalla Direzione Generale
per la Promozione Culturale del Ministero degli Affari Esteri dItalia, si potuto
continuare lo studio di progettazione per una nuova copertura pi adeguata del
Memoriale di Mos. Nel conventino del Nebo si sono succeduti in tempi diversi larch. Italo Insolera e il suo gruppo (Universit di Roma), larch. Daniele
Vitale e il suo gruppo (Politecnico di Milano), larch. Thierry Bogaert (Atelier
dArchitecture, Paris), ling. Piergiorgio Malesani e il suo gruppo (Universit di
Firenze), P. Costantino Ruggeri ofm e il suo collaboratore Luigi Leoni (Pavia),
larch. Luisa Fontana e il suo gruppo (Schio), larch. Markus Scherer e il suo
gruppo (Bolzano). A est del santuario, in continuazione del viale proveniente
da est, stato terminato il lastricato in basalto e pietra bianca del piazzale. A
Khirbat al-Mukhayyat si tenuto lo stage annuale per il restauro del mosaico degli studenti della Jericho School e degli studenti della Madaba Mosaic
School. Questanno vi hanno partecipato anche giovani siriani e libanesi. Si
continuato il restauro del mosaico pavimentale della chiesa di San Giorgio. La
restauratrice Marina Morati ha consolidato il monolito del fonte battesimale
della cappella meridionale del Memoriale di Mos.
Il Signor Garbo Younes lascia il servizio attivo al santuario per raggiunti
limiti di et. In una festa di commiato, i membri della missione archeologica
lo hanno dichiarato Emerito del Monte Nebo.

Scavi e restauri nel Vicino Oriente


continuato limpegno per il restauro di Qasr Hisham a Gerico in collaborazione con lUNESCO e il CISS (Collaborazione Italiana Sud Sud). Il progetto
triennale finanziato dalla Cooperazione Italiana del Ministero degli Affari
Esteri. Come pure continuato limpegno per lo scavo e il restauro del santuario
di Amwas-Nicopolis condotto da Miko, Luisa e Karl-Heinz Fleckenstein.

ANNO ACCADEMICO 2001-2002

615

IV. CONVEGNI E SIMPOSI


Organizzata dalla Custodia di Terra Santa e dallo SBF l8 aprile 2002 ha avuto
luogo una giornata di studio sul documento Il popolo ebraico e le sue sacre
Scritture nella Bibbia cristiana pubblicato dalla Pontificia Commissione Biblica. Il programma prevedeva due relazioni principali e tre comunicazioni. Il
professore Mons. Giuseppe Ghiberti, docente alla Facolt teologica dellItalia
settentrionale e allUniversit Cattolica di Milano e membro della PCB, ha
svolto il tema Un nuovo documento: contenuto e problemi. Jos Loza OP, docente allEcole Biblique e memebro della PCB, ha presentato Linterprtation
chrtienne de lAncien Testament. Sono intervenuti anche i docenti di Sacra
Scrittura Jean Michel Poffet OP, Direttore dellEBAF, e don Giorgio Zevini
SDB, Direttore dello Studio Teologico Salesiano, soffermandosi su particolari
aspetti del documento. Rav Jacquot Grnewald, noto scrittore israeliano, ha
presentato in maniera semplice e originale il punto di vista di un lettore ebreo
sul documento.
Professori e studenti di tutta la Facolt e un pubblico numeroso hanno
seguito con interesse il programma, ritrovandosi nellaccogliente salone di S.
Salvatore che ha ospitato degnamente la manifestazione. Coordinatore della
giornata stato F. Manns, il Decano G.C. Bottini ha rivolto un saluto. Le relazioni di Ghiberti e di Loza e la comunicazione di Poffet sono state pubblicate
nel Liber Annuus 51.

V. BIBLIOTECA
proseguito il lavoro ordinario (controlli dei libri, registrazione dei dati,
preparazione del materiale librario per linserimento in biblioteca) e si proceduto alla revisione dei due cataloghi di EndNote della Biblioteca. E. Alliata,
oltre a collaborare volta per volta nella soluzione dei problemi informatici, ha
continuato ad aggiornare il programma Liber, che si va arricchendo di dati e
che risulta molto utile. Anche i cataloghi elettronici sono stati regolarmente
aggiornati nei computer a disposizione degli utenti e in quelli degli uffici, tra
loro collegati mediante la rete. Nel periodo settembre 2001giugno 2002 sono
entrati in biblioteca 1374 volumi: 663 allinterno delle collane, 337 volumi
monografici, 374 in dono o in recensione.

VI. MUSEO
Al centro della sala riservata alla ceramica del tempo di Cristo stata allestita
una nuova bacheca per esporre gli oggetti liturgici in bronzo, tra i quali

616

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

spiccano alcuni policandila, due incensieri e un policandilon istoriato con


incensiere (cf. M. Piccirillo, Alcuni oggetti liturgici inediti del Museo della
Flagellazione a Gerusalemme, in Historiam pictura refert, Miscellanea in
onore di A. Recio Veganzones, Roma 1994, pp. 451-470).

VII. AVVENIMENTI DI RILIEVO


5 ottobre 2001. Apertura dellanno accademico a S. Salvatore con la Concelebrazione eucaristica cui hanno preso parte docenti e studenti dellintera
Facolt.
7 ottobre 2001. Arriva allo SBF Rosario Pierri neolaureato in lettere
classiche allUniversit Cattolica di Milano per assumere linsegnamento del
greco.
15 ottobre 2001. Ci giunge la notizia della morte di P. Benjamin Leong,
Direttore dello SBF di Hong Kong e nostro ex alunno. Era nato a Macao il
4 novembre 1930. Dopo la formazione francescana ricevuta nella Provincia
marchigiana di S. Giacomo, era stato ordinato sacerdote l11 novembre 1956.
Conseguita la Licenza in Sacra Scrittura presso il PIB, si trasfer a Gerusalemme nello SBF dove consegu la laurea in teologia biblica nel 1962 con la
tesi De retributione in libris historicis Veteris Testamenti. Nel 1963 fece ritorno
a Hong Kong e divenne membro dello Studium Biblicum diretto dal Venerabile Gabriele Allegra. P. Benjamin collabor alla traduzione in cinese di parte
del Libro dei Salmi e alla compilazione del Dizionario biblico e scrisse vari
commentari. Insegn presso vari istituti in Hong Kong e Macao. I suoi numerosi studenti lo ricordano per il suo modo di insegnare la Sacra Scrittura con
competenza e semplicit. Molti lo ricorderanno anche per le conferenze tenute
al clero diocesano e ai laici. Sempre fedele allinsegnamento della Chiesa, P.
Benjamin predicava su temi riguardanti la vita pratica, avendo come punto di
riferimento la Scrittura e i Padri della Chiesa. Fu anche Direttore dellHong
Kong Catholic Bible Institute e si deve a lui lintensa collaborazione instauratasi negli ultimi anni tra lo SBF di Hong Kong e il nostro Studium.
17 ottobre 2001. Il Consiglio della Facolt approva le norme transitorie
richieste dagli statuti della Facolt e dal nuovo ordinamento degli studi.
25 novembre 2001. Arriva il prof. Bruno Chiesa che si fermer allo SBF
per tre settimane durante le quali terr un seminario di Critica testuale e la
Prolusione dellanno accademico.
8 dicembre 2001. Inaugurazione della Facolt di Scienze Bibliche e di
Archeologia con lintervento di S. E. Rev.ma Mons. Giuseppe Pittau SJ, Segretario della Congregazione per lEducazione Cattolica appositamente venuto
da Roma, e alla presenza del Ministro Generale dei Frati Minori, P. Giacomo
Bini, del Definitore Generale e Segretario per la Formazione e gli Studi, P.

ANNO ACCADEMICO 2001-2002

617

Jos Carballo, del Definitore Generale, P. Peter Williams, e del Rettore Magnifico dellAntonianum, P. Marco Nobile. Dellavvenimento stata pubblicata
unampia cronaca nel Notiziario dello SBF 2001-2002, 4-7.
19 dicembre 2001. Il Consiglio di Facolt approva le nuove Norme generali riviste sulla base degli Statuti approvati dalla Congregazione per lEducazione Cattolica.
21 dicembre 2001. S. Loffreda commemora ad Avigliano Virgilio Corbo
nel decimo anniversario della sua morte. Il suo intervento Padre Virgilio Corbo a dieci anni dalla morte. Testimonianza di unamicizia stato pubblicato
per iniziativa di Incontri Lucani Associazione Culturale ONLUS di Milano
a cura di V. Fiorellini.
Gennaio 2002. P. Jean-Michel Poffet, direttore e professore dellEBAF,
tiene un corso intensivo di ermeneutica e storia dellesegesi cristiana ai nostri
studenti.
7-11 gennaio 2002. tra noi come Visitatore del PAA Jean-Marie Sevrin
ofm, professore a Louvain-la-Neuve.
4-17 febbraio 2002. Escursione in Egitto dello SBF sotto la guida di A.
Niccacci. Gli studenti vi si sono preparati con un apposito seminario.
20 febbraio 2002. Sono con noi i professori invitati don Benedetto Rossi
e Ludovico Garmus ofm che daranno corsi nel II semestre.
21 marzo 2002. Il Consiglio di Facolt, presieduto da P. Marco Nobile,
Rettore Magnifico del PAA, elegge per il triennio 2002-2005 Decano dello
SBF G.C. Bottini e Moderatore dello STJ L.D. Chrupcaa.
9 aprile. Il Decano con il Consiglio dei Docenti provvede al rinnovo delle
cariche a scadenza triennale: R. Pierri (Segretario); A. Niccacci (Bibliotecario,
rieletto); G. Bissoli (Economo, rieletto); E. Alliata (Segretario di redazione); C.
Pappalardo (Vice-Segretario di redazione); Direttore del Museo (M. Piccirillo,
rieletto); Responsabili Ufficio informatico (T. Vuk e E. Alliata, rieletti).
4 maggio 2002. Lo studente Mario Collu cp tiene la lectio magistralis sul
tema Lc 6,36 (Mt 5,48) nella sua preparazione giudaica e nel contesto del
terzo Vangelo.
6 maggio 2002. Alle ore 16, nellAula Magna, P. Mario Collu cp difende
la tesi di laurea Il discorso della croce. Analisi esegetico-teologica di 1Cor
1,18-31.
18 maggio 2002. Il prof. Jan Joosten (Facult de Thologie Protestante
- Strasbourg) tiene una lezione sul tema Influsso dellaramaico occidentale
sul testo biblico siriaco. Giunge il decreto di nomina a professore aggiunto
di Rosario Pierri.
25 giugno 2002. Il Segretario presenta il nuovo Libellus studiorum rinnovato nel formato e nella grafica con laiuto di E. Alliata.
Settembre 2002. E. Alliata e P. Kaswalder tengono il consueto Corso di
archeologia e geografia di Terra Santa per un gruppo di studenti del PIB di
Roma.

618

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

Ricordiamo come graditi ospiti e visitatori, alcuni anche a pi riprese:


professori J. Schlosser e C. Coulot ofm, della Facolt teologica di Strasburgo;
R. OToole SJ Rettore del PIB di Roma; prof. Tamila Mgalobishvili con un
gruppo di studiosi dalla Georgia; Commissari di Terra Santa di Spagna e Portogallo; Ministro provinciale di Granada, M. Vallecillo nostro ex alunno; prof.
M. Cimosa SDB; M. Adinolfi ofm; G. Vigna ofm Presidente dei Commissari
di Terra Santa in Italia; Mons. Rodolfo Cetoloni ofm, Vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza nostro ex alunno e benefattore; don Antonio Canestri che
sostiene una borsa di studio presso di noi; P. J.-M. Poffet, Direttore dellEBAF,
don Francesco Mosetto, Preside dello Studio Teologico Salesiano e don Pedro
Fraile, Direttore della Casa Santiago; U. Steiner ofm, Segretario Generale PAA;
prof. G. Ligato; Ph. Yates ofm del Franciscan Studies Centre di Canterbury; F.
Cavallini ofm, nostro ex studente e attuale Ministro provinciale dAlbania.

TAVOLE

Y. Hirschfeld
A. Cabezn
R. Rubin
O. Sion
A. Said
M. Piccirillo
C. Pappalardo
H. Taha
M. Piccirillo

Qumran in the Second Temple Period


Las grutas del Parque de la Independencia
The Melagria
A Mansion House from the Late ByzantineUmayyad Period
La Chiesa del vescovo Giovanni a Zizia
Il cortile a Sud della Chiesa di S. Paolo
ad Umm al-Rasas
The Sanctuary of Sheikh el-Qatrawani
Ricerca in Giordania XXII 2002

1-8
9-10
11-12
13-14
15-34
35-42
43-46
47-63

Y. HIRSCHFELD

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

Phot. 1 Aerial view of the


central building at Qumran,
looking southeast.

Phot. 2 Entrance doorways


of the central building,
looking north-east. Note
marginal dressing of the
doorway stones.

Y. HIRSCHFELD

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

Phot. 3 The stone glacis


surrounding the tower, looking
south.

Phot. 4 Foundations of
the tower behind the glacis,
looking east.

Y. HIRSCHFELD

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

Phot. 5 The western


wing of the main building,
looking south. Note the
built stairway to the right of
the entrance doorway.

Phot. 6 The reservoir and


ritual bath in the central
building, looking west. Note
breadthwise partition wall.

Y. HIRSCHFELD

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

Phot. 7 Reservoir for drinking water


(Locus 91) at Qumran, looking west.
Note the column drum located at the
bottom of the debris.

Phot. 8 The ritual bath in the area


of the entrance to the site (Locus
138), looking southeast.

Phot. 9 The ritual bath at the sites southeastern end (Locus 68), view from
the northeast.

Y. HIRSCHFELD

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

Phot. 10 Large oven in the western wing of Qumran, looking south.

Phot. 11 Shallow pools in the western wing of Qumran, looking north.

Y. HIRSCHFELD

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

Phot. 12 Pottery kiln in the southeastern wing of Qumran, looking south.

Phot. 13 Winepress to the south of the site, looking south.

Y. HIRSCHFELD

Phot. 14a-b Two


bases (top) and a
Doric capital (on
right) found at
Qumran.

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

Y. HIRSCHFELD

QUMRAN IN THE SECOND TEMPLE PERIOD

Phot. 15 Aerial view of the cemetery at Qumran, looking south.

Phot. 16 The industrial installation in the complex of Ein Feshkha, looking


east.

A. CABEZN MARTN LAS GRUTAS DEL PARQUE DE LA INDEPENDENCIA

Foto 1. Gruta mayor del patio (E).

Foto 2. Vista de la sala desde la entrada. Al fondo, las tres cellas. A la


derecha, arriba, la ventana izquierda de la cisterna B.

10

A. CABEZN MARTN LAS GRUTAS DEL PARQUE DE LA INDEPENDENCIA

Foto 3. Entrada principal a la gruta (A)


desde el Parque.

Foto 4. Vista de la entrada desde el


fondo. A la derecha, la pared de los
grafitos.

Foto 5. Foto del dolo encontrado junto


al lugar de la gruta. Vista de perfil. En
ella se pueden apreciar las orejas, los
ojos y la boca.

Foto 6. Entrada desde


la calle Menashe Ben
Israel. A la derecha, se
puede ver la reja que
impide el acceso.

R. RUBIN

THE MELAGRIA

11

Phot. 1 Skilla
(foreground) and
Asphodelus (Melagria)
(background) in their
natural desert habitat.

Phot. 2 Left. Leaves and flowers of


Asphodelus Microcarpus (Melagria).

Phot. 3 Right. Bulb, leaves and


flowers of Ureginea Maritima or
Skilla.

12

R. RUBIN

THE MELAGRIA

Phot. 4
Asphodelus
photographed
in Beit Gemal
(Shephelah March 2003).

Phot. 5 Skilla
photographed
at Mount Nebo
(Jordan December 2002).

13
A MANSION HOUSE
O. SION A. SAID

Phot. 1 General view of the excavations from the east.

14

O. SION A. SAID

A MANSION HOUSE

Phot. 2 View of the excavations. Structure I, looking south.

Phot. 3 Hoard of gold coins.

M. PICCIRILLO

Foto 1 Zizia. Scavo di salvataggio.

ZIZIA

15

16

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 2 Vascone della stazione della Strada del Pellegrinaggio (Darb alHajj). Foto Arch. R. Canova.

Foto 3 Liscrizione dedicatoria bizantina riutilizzata nel muro del fortino


della Legione Araba.

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 4 Liscrizione bilingue (nabateo e greco) (da Mission en Arabie, II, 650).

Foto 5 Il vascone di Zizia oggi.

17

18

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 6 Lo scavo clandestino al momento dellarresto (zona sud della chiesa).

Foto 7 Taglio stratigrafico nei pressi della base dellambone con frammenti
di tegole in loco.

M. PICCIRILLO

Foto 8 Le colonne della chiesa


sulla porta della moschea.

ZIZIA

19

Foto 9 La navata centrale della


chiesa vista da nord.

Foto 10 La navata centrale vista da sud con in primo piano il pozzetto scavato dai
tombaroli.

20

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 11 Il settore nord della navata centrale nei pressi del gradino del presbiterio.

Foto 12 Agnello. Dettaglio del presbiterio.

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 13 Il reticolo del tappeto allinterno della parete sud.

Foto 14 Base a cuscino e frammenti di colonne.

21

22

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 15 Dettaglio della navata orientale nel settore sud.

Foto 16 Dettaglio della navata orientale allinterno del vano posticcio.

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 17 Un angolo della fascia della navata centrale.

Foto 18 Il settore meridionale della navata centrale.

23

24

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 19 Un leone attaccato da un arciere e da un soldato con la spada.

Foto 20 Dettaglio dellarciere.

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 21 Dettaglio del leone.

Foto 22 Dettaglio del soldato con la spada.

25

26

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 23 Dettaglio della caccia al cinghiale nellantico diaconicon del


Memoriale di Mos.

Foto 24 Un cinghiale sfigurato in parte.

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 25 Un personaggio in piedi sfigurato.

Foto 26 Cane in corsa tra due foglie di acanto.

27

28

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 27 Due giovani in un pressoio a vite.

Foto 28 Vinificazione. Dettaglio del mosaico nella chiesa dei Santi Martiri
Lot e Procopio a Kh. al-Mukhayyat.

M. PICCIRILLO

ZIZIA

29

Foto 29 Buoi aggiogati ad un carro


e personaggio sfigurato.
Foto 30 Dettaglio della chiesa dei
Santi Martiri Lot e Procopio a Kh.
al-Mukhayyat.
Foto 31 Trasportatore di uva.

30

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 32 Dettaglio della coda


a sinistra e dei buoi aggiogati
ad un carro.

Foto 33 Personaggio in
piedi sostituito con una foglia
bilobata.

M. PICCIRILLO

Foto 34 Il settore nord


della navata centrale.
Foto 35 Dettaglio di un
attrezzo.
Foto 36 Lambone visto
da nord est.

ZIZIA

31

32

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 37 Liscrizione
dedicatoria del Vescovo
Giovanni.

Foto 38 La seconda
iscrizione.

M. PICCIRILLO

ZIZIA

Foto 39 Le due colonnine in calcare ricoperto di intonaco.

Foto 40 Elementi superstiti della suppellettile liturgica.

33

34

M. PICCIRILLO

Foto 41 Stele funerarie del


cimitero orientale.
Foto 42 Iscrizione sulla parte alta
di una stele.
Foto 43 Una tomba appena
violata.

ZIZIA

C. PAPPALARDO

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

35

Foto 1 Larea del cortile di S. Paolo prima dello scavo.

Foto 2 La Chiesa di S. Paolo, il cortile porticato e il pressoio visti dallalto.

36

C. PAPPALARDO

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

Foto 3 Il corridoio dingresso ad est. Foto 4 Sezione allaltezza del muro


orientale della chiesa in R0910.

Foto 5 Parete nord del pressoio e sondaggio in R0915.

C. PAPPALARDO

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

Foto 6 Il pressoio dopo lo scavo visto dallalto.

Foto 7 Il pressoio visto da sud.

37

38

C. PAPPALARDO

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

Foto 8 La stanza centrale del pressoio vista da sud.

Foto 9 La stanza centrale del pressoio vista da ovest.

C. PAPPALARDO

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

39

Foto 10 Lo scavo del magazzino visto dallalto.

Foto 11 Gli archi che reggevano i due piani del magazzino semi-interrato.

40

C. PAPPALARDO

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

Foto 12 Ceramica dal sondaggio dello stilobate.

Foto 13 Pesi dal cortile della Chiesa di S. Paolo.

C. PAPPALARDO

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

Foto 14 Lucerna a girali di vite e frammenti di lucerne dello scavo.

Foto 15 Lucerna bizantina.

Foto 16 Vaso in steatite.

41

42

C. PAPPALARDO

IL CORTILE DELLA CHIESA DI S. PAOLO

Foto 17 Anforetta proveniente dal magazzino.

Foto 18 Tegame proveniente dal magazzino.

TAHA SHEIKH EL-QATRAWANI

Phot. 1 Ruins of a maqam similar to el-Qatrawani (SBF Archive).

Phot. 2 General view of the site after restoration.

43

44

TAHA SHEIKH EL-QATRAWANI

Phot. 3 The maqam under restoration.

Phot. 4 The maqam at the end of the restoration work.

TAHA SHEIKH EL-QATRAWANI

Phot. 5 The pillars scattered on the site.

Phot. 6 The eastern dome.

Phot. 7 The western dome.

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TAHA SHEIKH EL-QATRAWANI

Phot. 8 South-East corner before restoration.

Phot. 9 Western faade before restoration.

P. MORTENSEN

AYN JADIDAH

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Phot. 1 Mount Nebo, Ayn Jadidah. Peder and Inge Mortensen surveying the
structures of the Conders Circle.

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RICERCA IN GIORDANIA

Phot. 2 Mount Nebo, Ayn Jadidah. The Conders Circle in the centre of the
Wadi.

Phot. 3 Mount Nebo, Ayn Jadidah. Map of the Conders Circle (by Peder
and Inge Mortensen).

P. MORTENSEN

AYN JADIDAH

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Phot. 4 Mount Nebo, Ayn Jadidah. Excavating the Conders Circle.

Phot. 5 Mount Nebo, Ayn Jadidah. The Late Chalcolithic/Early Bronze Age
structures.

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RICERCA IN GIORDANIA

Fig. 1. Mount Nebo. Uyun Musa. The al-Mashhad Iron Age fortress near the
springs.

Phot. 1 Mount
Nebo. Uyun Musa.
The north wall
of the Iron Age
fortress.

F. BENEDETTUCCI

UYUN MUSA

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Fig. 2. Mount Nebo. Uyun Musa. Plan of the tower on the top of al-Mashhad.

Phot. 2 Mount Nebo. Uyun Musa. The northern wall of the above structure.

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RICERCA IN GIORDANIA

Foto 1. Umm al-Rasas - Kastron Mefaa. Il presbiterio sfondato della Chiesa del
Prete Wail.

Foto 2. Interno della tomba.

J. ABELA - C. PAPPALARDO

Foto 3. Gli ambienti a


nord della Chiesa della
Tabula visti da est.

Foto 4. Gli ambienti a


nord della Chiesa della
Tabula visti da ovest.

UMM AL-RASAS

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RICERCA IN GIORDANIA

Fig. 1. Pianta degli ambienti a sud della Chiesa della Tabula (Arch. Samanta
Deruvo).

P. MAYNOR BIKAI

PETRA

Phot. 1 Petra. The Blue Chapel.


Phot. 2 A restored slab of the
Remains of the pulpits base and steps. platform.

Fig. 1.
The pulpit
reconstruction (Arch.
Chr. Kanellopoulos).

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RICERCA IN GIORDANIA

Phot. 1 Ghor al-Safy. Ayn Abbata. The Phot. 2 The large watern cistern on
restored mosaic floor of the Church.
the south.

Phot. 3 The name of Kosmas the Mosaicist.

A. HAZIM

JERASH

Fig. 1. Jerash. Wadi al-Dayr. Plan of the Tomb (by M. Forgia).

Phot. 1 Jerash. Wadi al-Dayr. The tomb during the excavation.

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RICERCA IN GIORDANIA

Phot. 2 The sarcophagus in situ.

Phot. 3 Detail of the cover: the mythological scene and the crosses.

A. HAZIM

JERASH

Fig. 2. The full cover of the sarcophagus (by M. Forgia).

Fig. 3. Side and cover of the sarcophagus (by M. Forgia).

Fig. 4. The full cover of the sarcophagus (by M. Forgia).

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RICERCA IN GIORDANIA

Phot. 4 The mythological scene decorating the sarcophagus.

Fig. 5. The mythological scene (by M. Forgia).

J. CAZINI GYSENS

RABBA

Foto 1 Foto aerea di Rabba.

Fig. 1 Rabba. Pianta topografica del settore del tempio e della chiesa.

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RICERCA IN GIORDANIA

Fig. 2 Qasr Rabba. Veduta assonometrica del tempio.

Fig. 3 Rabba. Facciata del tempio.

M. PICCIRILLO

NEBO

Foto 1 Monte Nebo - Umm al-Rasas. La missione archeologica 2002.

Foto 2 Il Sig. Garbo Younes (a


destra) nel Parco Archeologico di
Madaba.
Foto 3 Sopra. Il diploma di Emerito
del Monte Nebo (F. Sciorilli).

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I. Disegno del mosaico della chiesa del vescovo Giovanni a Zizia (M. Arndt, M. Forgia)

II. Umm al-Rasas. Cortile della Chiesa di S. Paolo. Pianta generale dello scavo (B. Steri, P. Pizzi, M. Sherer, S. Deruvo, A. Roncalli)

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