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LA FEDE
DEI DEMONI
ovvero
IL SUPERAMENTO
DELL’ATEISMO
MARIETTI 1820
Indice
Introduzione
Ringraziamenti
Introduzione
3 Ivi, § 178.
16 LA FEDE DEI DEMONI
lui che, con gli occhi fissi su una cartina, finisce col cadere
in un fosso!
Ma la cosa più inquietante è altrove: anche qualora l’au
tore di queste righe volesse soltanto profondersi in azioni di
Grazia, potrebbe ancora domandarsi se non è indemoniato.
Basti ricordare a tal proposito la preghiera del fariseo: «Il fa
riseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, io ti offro
l’eucaristia*, io che non sono come gli altri uomini, ladri, in
giusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno
due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nem
meno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo:
“O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi tor
nò a casa giustificato, a differenza dell’altro». (Le 18,11-14).
Ahi! Ecco che ci sbatto ancora la faccia! Giacché, che signi
fica mai non essere giustificato, se non essere come il diavo
lo? Sarebbe dunque come il diavolo colui che offre l’eucari
stia? Ma vi è una cosa ancora più assurda: il giusto non è co
lui che occupa il primo posto, in piedi, accanto all’altare, ma
è il povero che si tiene a distanza, e addirittura - dice mi
steriosamente il testo - non osava nemmeno alzare gli occhi
al cielo...
Satana biblista...
. . . e pedagogo
Falso dialogo
- «Se sei Figlio di Dio, di’ che questi sassi diventino pa
n e...». La Chiesa non predica l’«opzione preferenziale per i
poveri»? Il grido degli affamati non deve penetrare nelle sue
orecchie e fin nella sua anima? Che il clero si organizzi dun
que, per far arrivare sacchi di riso e di grano a tutte le na
zioni! Che importa che l’ostia sia consacrata, basta che sia
ben spessa! Che diventi un vero sandwich e che sazi l’uomo!
L’ultima Cena non fu una cena in tutto e per tutto, nella qua
le si servì dell’agnello vero? Che si lasci perdere allora la
transustanziazione! Che il vescovo baratti la mitra con il toc
co! Che al posto del Crocifisso si innalzi uno spiedo! Che si
collochi un frigorifero pieno al posto del tabernacolo, e sul
l’altare coperti per tredici persone e più: felici i poveri, siete
invitati al pasto del Capo! Prima la pancia, in seguito i pen
sieri! Non è scandaloso offrire all’affamato sassi invece di of
frirgli una buona pagnotta commestibile, che si tratti delle
Tavole della Legge o della vostra Pietra sulla quale è fonda
ta la Chiesa?
- Questo scandalo è quello di Giuda in occasione del
l’unzione di Betania: «Perché quest’olio profumato non si è
venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?» (Gv
12,5). Perché dunque non vendere la Parola stessa per soli
trenta denari? Del resto questo primato del pane non era es
so stesso parte integrante della politica degli imperatori, in
sieme ai giochi, per fiaccare qualsiasi contestazione? Si può
ben capire come, nel gergo di un tempo, il diavolo potesse
chiamarsi il «Panificatore». Se la Chiesa si occupasse solo del
pane, si identificherebbe col potere temporale, farebbe con
correnza allo Stato, in modo tale che questa sua apparente
umiliazione costituisca altresì la sua estensione totalitaria. E
42 LA FEDE DEI DEMONI
Ed egli stava
nel deserto quaranta giorni
tentato da Satana.
Ed egli stava
con le fiere
e gli angeli lo servivano.
46 LA FEDE DEI DEMONI
Miracolo a Cafarnao
dare: “Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a ro
vinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio”. E Gesù lo sgridò
dicendo: “Taci! Esci da quell’uomo!”. E lo spirito immondo,
straziandolo e gridando forte, uscì da lui. E tutti furono pre
si da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: “Chi è mai
costui?”» (Me 1,23-27).
Interroghiamoci dunque a nostra volta (consapevoli, in ogni
caso che se non andassimo al di là del semplice interrogati
vo: «Chi è m ai?» non saremmo migliori degli abitanti di Ca
farnao). Prima di ogni altra cosa notiamo questo fatto stra
no, che lo spirito immondo non impedisce al nostro uomo di
recarsi alla sinagoga, vale a dire - se trasponiamo la situa
zione ai nostri giorni - di andare in chiesa, o quanto meno
di prendere parte a un gruppo di preghiera. Il demonio non
è contrario al fatto di aprire il libro alla pagina 131 per can
tare il cantico 669, può anche accadere - addirittura - che
egli applauda all’omelia di alcuni celebranti. Colui che egli
tormenta, perché dovrebbe allontanarlo dal luogo di culto
con il corpo? L’essenziale è che allontani dal culto il medesi
mo, ma con il cuore.
Successivamente, questo demonio riconosce immediata
mente l’identità di Cristo. Afferma infatti, senza tentennare
un solo istante: «Io so chi tu sei, il santo di Dio». Alcuni tra
ducono perfino «Io so molto bene», affinché da questa espres
sione traspaia tutta quella sicumera che non si troverebbe in
alcun modo nei dottori in teologia. Nessun altro nella sina
goga ne sa come e più di lui. Neppure i primi discepoli che
sono entrati in sinagoga con Gesù. E questa la prima volta
che una creatura riecheggia la voce che scende dall’alto dei
cieli in occasione del Battesimo al Giordano: «Tu sei il Fi
glio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Me 1,11).
Come se lo spirito immondo facesse da riscontro alla colomba
bianca...
Per di più, il diavolo obbedisce a Gesù. Quando que
st’ultimo gli ordina: «T aci!» (tradotto ai nostri giorni con l’e
loquente corrispondente di «Chiudi il becco!») ed «Esci da
quell’uomo», egli obbedisce, senza indugio. Ovviamente, ub
50 LA FEDE DEI DEMONI
Satanismo pontificale
Vero monologo
Dammi quello che spetta alla mia natura e per il resto sia
mo a posto così. Non voglio questa grazia che esige in ri
sposta la nostra Alleanza. Voglio essere l’unico a fare la mia
felicità, e incoraggiare gli altri a fare la loro felicità con i lo
ro stessi mezzi, o quanto meno a rifiutare questa felicità av
velenata che tu proponi, questo dono che, per quanto gra
tuito esso sia, ci impone un’imposizione, ci rende debitori in
eterno, richiede chissà quale morte da parte di noi stessi nel
l’offerta della nostra vita a Te, come la vergine offre le cosce
aperte alla penetrazione dello sposo. Voglio essere io, proprio
io, la Vergine non sposata, non salvata da nessuno. Voglio es
sere io, proprio io, il Figlio senza padre, che si allontana dal
le proprie origini e si trova bene soltanto in ciò che inventa
a partire da niente. Voglio essere io, proprio io, il servitore
assoluto, che sa insegnare a tutti a non dipendere da nessu
no. Voglio essere io, proprio io, il Verbo che non è stato pro
ferito, la Parola che non procede da alcun ascolto, il puro
Monologos... E poi quest’ordine della grazia altera troppo l’or
LA LUCIDITÀ DELLE TENEBRE 73
corse allora che quello non l'aveva mai cercato. Questo lo fe
ce piangere, piangendo corse nella stanza del nonno e si la
mentò del cattivo compagno di gioco. Gli occhi di Rabbi Ba
ruch si empirono allora di lacrime ed egli disse: “Così dice
anche Dio: ‘Io mi nascondo, ma nessuno mi vuole cercare’”»25.
A che cosa gioca Dio? Gioca a nascondino. Forse questo
è uno dei significati della frase fondamentale: «In verità vi di
co: chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non
entrerà in esso!» (Me 10,15). Dio ci dà appena ciò che è suf
ficiente, dei semplici segni, affinché noi possiamo vedere che
è invisibile. Così potremo giocare con lui a questo nascondi
no a uno stesso tempo tragico e rivelatore come la musica
ebraica: il suo spirito infantile ci preserva dallo spirito im
mondo.
La santerellina protopeccatrice
do di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle re
gioni celesti» (Ef 6,12). Per inciso, l’apostolo Paolo fa a pez
zi uno stereotipo non da poco: non si combatte contro la
carne, ma contro gli spiriti. Da questo punto di vista, il cri
stianesimo è un anti-spiritualismo. Che cosa possono conse
guire gli uomini contro gli angeli? Questi ultimi, tanto i buo
ni quanto i malvagi, hanno potere su tutto ciò che è loro in
feriore per natura, ovvero non tanto il nostro spirito, ma pro
prio la nostra carne: possono infatti agire sui corpi, fino a
farli attorcigliarli in improbabili contorsioni; possono agire sul
l’immaginazione, componendovi immagini fallaci o problemi,
in grado di rendere parassita la ragione o intenerire la vo
lontà.
E così è di un nemico che avrebbe agenti del servizio se
greto all’interno della città che ha messo sotto assedio. I suoi
attacchi sono tanto più ingannevoli quanto più provengono
dal nostro stesso intimo. Talvolta sembrano addirittura esse
re tutt’uno con il nostro stesso essere, al punto che si finisce
con l’ignorarne la provenienza esterna, e ci trafigge come una
lancia che squarcia e ferisce la nostra stessa carne. Lo spiri
to malvagio usa la nostra carne, buona per sua natura ma fe
rita in origine, e per questo più arrendevole alle sue mani
polazioni. Per questo motivo colui che si lancia in questo
conflitto spirituale può arrivare a commettere l’errore di lot
tare contro la sua stessa carne senza vedere la mano che ha
impugnato e diretto le cose; o pensare di essere spacciato,
cattivo, irrecuperabile, a causa delle passioni che lo soggio
gano o delle immagini che l’accusano.
Massimo il Confessore insisteva sulla difficoltà di una si
mile lotta: «G iacché peccare nei pensieri è più facile che
peccare in azioni, la battaglia contro i ricordi è più dura del
la battaglia contro le cose»9. Gli psicanalisti riconosceranno
la pertinenza clinica di queste parole. L’area interessata dal
10 Ivi, § 91.
11 TOMMASO D’A q u in o , La Somma Teologica, cit., voi. VII, I, qu. 114,
art. 1, 2-3, p. 216.
AMPLIAMENTO DELL’AMBITO DELLA LOTTA 113
martirio di San Pietro che, per umiltà, non volle essere cro
cifisso come il suo Maestro con la testa in su ...!
- Allora il pentacolo, quella stella a cinque punte che si
contrappone alla stella di David...
- Su alcune chiese si possono ammirare pentacoli. Cin
que, del resto, è il numero dei pani che Gesù moltiplica per
ottenerne cinquemila (Mt 16,9). Ma è altresì il numero che
corrisponde alla ricompensa del popolo che segue i coman
damenti di Dio: «Voi inseguirete i vostri nemici ed essi ca
dranno dinanzi a voi colpiti di spada. Cinque di voi ne inse
guiranno cento...» (Lv 26,7-8).
- E le corna? Insomma, almeno le corna...
- Quelle dell’ariete, inviato da Dio per salvare Isacco dal
sommo sacrificio (Gn 22,13).
- E la coda, che «trascinava giù un terzo delle stelle del
cielo?» (Ap 12,4).
- È quella dell’ariete sacrificato: Mosé offre all’Eterno an
che la coda (Lv 8,25).
- E la puzza di zolfo?
- «Come torrente di zolfo, il soffio del Signore...» (Is 30,33).
Il teorema è dunque il seguente: nessuna cosa appartiene
di per sé al maligno. Ciò implica anche un corollario: qual
siasi cosa, indifferentemente, fuorché Dio e i santi, può esse
re radicalmente mutata di significato. La sciabola, l’asperso
rio, un’icona della Santa Vergine, un tabernacolo trasforma
to in cassaforte, il retablo dell’Agnello mistico diventato at
trazione turistica... Principe di questo mondo, malgrado tut
to. Che il rituale preveda un esorcismo perfino per l’acqua
dimostra che finanche l’elemento che tutto lava e monda può
servire a sporcare.
Tutto ciò che è stato capovolto, il giusto deve ri-capovol-
gerlo. Ancora una volta: il male morale non è una cosa, ma-
lurn non est aliquid, come dicono gli studiosi, ma è un certo
uso sconvolto delle cose. L’abbiamo osservato nel racconto
della cacciata dal Giardino dell’Eden: laddove le cose sono
belle a vedersi, poi buone da mangiare, lo sguardo si con
fonde, il frutto diventa prima buono da mangiare (proprio
118 LA FEDE DEI DEMONI
quello che, unico tra tutti, era bello a vedersi, e senza alcun
dubbio gradevole a toccarsi). La colpa non produce niente
di reale. Solo che non ubbidisce all’ordine richiesto. Essa
non appartiene alla creazione, ma alla de-creazione. Questa
insistenza è necessaria. Ci evita infatti quel difetto comune
che consiste nel rendere diabolica questa o quella realtà di
per sé.
Ciò che il magistero definisce «cultura della morte» non
è un insieme di oggetti malvagi. E un uso scellerato degli
stessi oggetti di cui la «cultura della vita» fa buon uso. Un
dvd di bassa pornografia può tornare utile per rimettere in
giusto equilibrio un cassettone (al pari di un film sdolcinato
e sentimentale). Una grossa bibbia liturgica può essere utiliz
zata come arma contundente per picchiare a morte il proprio
nemico. Indubbiamente un tale dvd funge mediocremente da
zeppa, così come una bibbia sarebbe meglio utilizzarla come
strumento di conoscenza: l’uno e l’altra sono stati progettati
per un uso diverso da quello che tendenzialmente ne viene
fatto e che ci stimola a farne uso. Nulla tuttavia impedisce,
una volta che essi esistono, di cambiare l’uno con la forza o
ribaltare l’altro con la dolcezza. Prendiamo altri due esempi,
forse più neutri e più illuminanti. La diagnosi prenatale fu
inventata dal professor Lejeune per curare il neonato porta
tore di handicap quanto prima possibile, ma in realtà ci si è
serviti di essa per eliminarlo in utero, perché a questo punto
si è diventati troppo sensibili per soffocarlo una volta nato,
guardandolo in faccia. La Ricerca di Proust è un florilegio di
gay and lesbian studies, ma si può toglierlo da questa visione
ristretta e segregata, e sfogliare la pagine del libro alla luce
tragica di un tempo ritrovato, per riperdersi ancora una vol
ta. Mille autodafé non farebbero un unico atto di fede. Me
glio allora una rilettura critica. Un fuoco che purifica, piut
tosto che un fuoco che consuma. Tanto più che vi sono opi
fici sulfurei che nascondono diamanti sotto la loro ganga, e
officine che profumano di incenso e sfornano soltanto pac
cottiglia. «Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1 Ts
5,21). Considerando questa prova del fuoco, l’Anticristo di
AMPLIAMENTO DELL’AMBITO DELLA LOTTA 119
rito del demonio, perché per quanto riguarda ciò che è de
moniaco tutte queste cose sono ancora nulla, quasi bazzeco
le. Il povero diavolo altro non è che un burattino. I diavoli
10 cavalcano al punto che è fuori di sé, e quasi non è pre
sente alle turpitudini che si compiono con il suo corpo. Egli
non è che una vittima di uno stupro angelico. Il meglio, il
peggio, sarebbe per lui diventare carnefice.
In questa prospettiva, la possessione è una via meno idea
le rispetto a una certa filantropia. Dostoevskij fa dire al dia
volo che appare a Ivan Karamazov sotto le spoglie di un
gentleman «parassita»: «Satana sum et nihil humani a me
alienum puto»19. Si tratta del celebre motto dell’umanesimo,
che non ci si deve stupire di trovare qui così trasformato. Sa
tana non è immune da generosità: egli vuole così che seguendo
11 suo esempio ogni uomo sia non tanto posseduto, bensì uni
co maestro di sé, che non debba render conto o grazie a nes
suno. Egli non è più artefice allora di quelle terribili convul
sioni che si vedono nell 'Esorcista, ma - cosa di gran lunga peg
giore - è ideatore di veri e propri corsi di sviluppo persona
le, di autostima e di acquisizione di fiducia in sé, di facilità
di dialogo e di parola, a patto di non lasciarsi prendere da
essa. Diventa meno possessore e più difensore dei proprieta
ri. Ci invita a un peccato lucido e quindi luciferino: piutto
sto che regnare sull’universo obbedendo a Dio, meglio ob
bedire a se stessi, servirsi delle cose di Dio per il proprio tor
naconto, e di conseguenza trasformarsi e incoronarsi satrapi
schizofrenici di un mondo di strass e di stress, fantomatico e
autosufficiente. Jules Michelet ha avvertito bene questa veri
tà, proprio lui che nelle tenebre del suo Medio Evo vede il
principe delle tenebre come un precursore dell’illuminismo:
«Satana è il grande proscritto, e dà ai suoi la gioia delle li
bertà della natura, la gioia selvaggia di essere un mondo che
basta a se stesso»20. Essere un mondo che basta a se stesso:
L'eresiarca dogmatico
4 René G irakd, ]e vois Satan tomber comme l’éclair, Grasset, Paris 199
p. 66 (Vedo Satana cadere come la folgore, a cura di Giuseppe Fornari,
Adelphi, Milano 2001).
134 LA FEDE DEI DEMONI
6 Ibidem .
136 LA FEDE DEI DEMONI
10 Ibidem .
UN ORCHESTRATOKE DI DISCUSSIONI 141
Il principio di Calcedonia
sestuplicità dell’errore e altro...
stizia e della pace, e così via. Potrà così fabbricare il suo pic
colo esagono di errori contrari e rendersi conto di come -
quando abbandona le nozze della verità - essi si interpellino
l’un l’altro, come su un marciapiedi dove si adescano clienti.
Questi errori, ripetiamolo, sono in un rapporto di istiga
zione reciproca. Opponendoci e contrastandone uno rischia
mo sempre di cadere nell’altro. Nella prefazione di un’opera
polemica, Gustave Thibon precisa in modo molto opportu
no: «La salute biologica, morale o sociale non è che una li
nea di spartiacque spesso molto sottile tra due versanti ugual
mente pericolosi. Nulla sarebbe dunque più contrario al no
stro pensiero che considerare come prese di posizione asso
lute e incondizionate la maggior parte degli attacchi o degli
ammonimenti che si troveranno in queste pagine. Quando
noi critichiamo un eccesso, lo facciamo per ristabilire l’ar
monia e non per amore dell’eccesso contrario. Il medico che
lotta con tutte le sue forze contro l’insonnia o la febbre non
per questo è sostenitore della letargia o dell’algidità»12. Il che
non impedì per altro che la sua opera - ahimè - fosse ripre
sa dagli ideologi di Vichy...
Ma a questo rischio polemico se ne aggiunge un altro, pe
dagogico (non abbiamo del resto già visto quanto Satana sia
pedagogo?): il desiderio di semplificare la verità, di renderla
più umanamente accessibile, di accalappiare meglio la clien
tela dei cercatori di significato. Adattare dogmi accettabili
per l’intelligenza media degli uomini. Favorire un abbinamento
naturale, come una lettera alla posta. Ma come potrebbe an
cora essere divino il messaggio? Così quel bon Sabellius cre
de di rendere un servizio ai suoi parrocchiani spiegando che
la Trinità è una maniera di dire, che in realtà non ci sono tre
persone distinte la cui comunione forma un solo Dio-Amo-
re, ma vi è un unico Dio che si chiama Padre allorché crea
il mondo, Figlio quando salva il mondo, Spirito quando glo
13 Ivi, p. 73.
14 Vedi S 0REN KIERKEGAARD, Vingt et un article, in CEuvres complètes,
voi. 19, trad. Tisseau, Editions de l’Orante, Paris 1982, p. 44.
IL GRANDE INTRALLAZZO: ATEISMO E FARISEISMO 173
24 Ivi, p. 101.
IL GRANDE INTRALLAZZO: ATEISMO E FARISEISMO 181
2 Sant ’A gostino , La città di Dio, cit., 1. XIV, 2-3, pp. 754, 756.
3 Ivi, pp. 763, 771, 772.
188 LA FEDE DEI DEMONI
Demonio e procreazione
Corpo e offerta
tratto agli ebrei dal Signore per evitare l’idolatria, il corpo vi
vente del quale fu portato via su un carro di fuoco, per esor
tare alla speranza. Siamo qui nel pieno della questione del
corpo nella salvezza. E la domanda «Elia non deve venire?»
deve dunque intendersi: «Che ne è di quel corpo che non ha
conosciuto la morte?». Ma Gesù risponde che «Elia è già ve
nuto ed essi non l’hanno riconosciuto, anzi l’hanno trattato
come hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà sof
frire per opera loro». I discepoli comprendono che egli sta
parlando di Giovanni Battista, certo, e del carattere insosti
tuibile del corpo: Elia non deve reincarnarsi, la sua venuta
come Giovanni Battista è il compimento della sua missione
tramite un altro. Ma il Cristo qui parla insistendo sul legame
nella carne tra la gloria e la croce, come se articolasse i due
episodi precedenti dell’annuncio della Passione e dell’antici
pazione della Resurrezione: colui che è atteso per fondare il
Regno dovrà soffrire come un malfattore. Sopraggiunge il pa
dre del giovane epilettico, che spesso cade nel fuoco e spesso
anche nell’acqua, e chiede a Gesù di averne pietà dicendo:
«L’ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto
guarirlo». E improvvisamente Cristo esclama rivolto a loro:
«O generazione incredula e perversa! Fino a quando starò con
voi! Fino a quando dovrò sopportarvi?». Egli poi scaccia il
demone che è nel bambino e quindi vi è questo dialogo: «I
discepoli accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: “Perché
noi non abbiamo potuto scacciarlo?”. Ed egli rispose loro:
“Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pa
ri a un granellino di senape, potrete dire a questo mondo:
spostati da qui a là, ed esso si sposterà e niente vi sarà im
possibile. [Questa razza di demoni non si scaccia se non con
la preghiera e il digiuno]”». Questo ultimo versetto è omes
so nella Bibbia di Gerusalemme, perché è assente da alcuni
manoscritti e sembra un’importazione ampliata di Marco 9,29.
E tuttavia decisivo nel contesto che abbiamo circoscritto.
Non è strabiliante che l’assenza di fede qui sia rapportata al
l’assenza della preghiera e del digiuno? Quale rapporto può
esservi tra saltare un pasto e spostare una montagna? Si ve
204 LA FEDE DEI DEMONI
fisica nell’ordine più spirituale. Il che non vuol dire che oc
corra disprezzare libri, giornali, conferenze, multimedia, su
perproduzioni, ma comprendere che questi mezzi pesanti,
superiori quando si tratta di vendere un prodotto, sono in
feriori allorché si deve testimoniare la fede. Io posso predi
care l’amore per il prossimo con un’arma di divulgazione di
massa, in mondovisione. Ma meglio sarebbe predicare questo
amore in una prossimità corporale, senza alcuno schermo di
mezzo, perché se l’arma di divulgazione di massa ha un’effi
cacia ottimale nel promuovere uno slogan dell’odio o una
console di gioco, essa si rivela impotente per incontrare una
persona nella sua interiorità, unica e non somigliante a nes-
sun’altra. Si può addirittura considerare che vi sia tanta di
stanza tra l’amore del prossimo e la Buona Novella resa vir
tuale, quanta ce n’è tra l’amplesso coniugale e la pornogra
fia: «Quei mezzi - scrive Maritain - sono i mezzi confacenti
al mondo e, dal peccato di Adamo, rientrano nell’ambito del
principe di questo mondo. Il nostro compito è strapparglie
li, tramite la virtù del sangue di Cristo. Sarebbe assurdo dis
prezzarli o respingerli: sono necessari. Sono parte del conte
sto naturale della vita umana. La religione deve acconsentire
a ricevere il loro aiuto. Ma per la salvezza del mondo è ne
cessario che la gerarchia mediatica sia salvaguardata, e così
pure le loro giuste proporzioni relative». E che il filosofo
spieghi che, nell’ambito della fede, la gerarchia è ribaltata. I
mezzi temporali ricchi e pesanti della potenza mondiale so
no subordinati ai mezzi temporali poveri e leggeri dell’apo
stolo: «Non portate borsa, né bisaccia, né sandali, e non sa
lutate nessuno lungo la strada» (Le 10,4). Questa povertà è
il mezzo più vantaggioso contro colui che offre tutti i regni
della Terra.
Dobbiamo credere, del resto, che ai fini di una comuni
cazione ottimale il Creatore ci abbia dotati - con i nostri cor
pi, i nostri occhi, le nostre mani, le nostre bocche - di tutto
ciò che è necessario per andare dritto all’essenziale. Se la te
lefonia mobile fosse stata quanto di meglio esiste in questo
campo, possiamo essere certi che saremmo stati dotati di po
208 LA FEDE DEI DEMONI
minuti! E poi non può più lasciare libero corso al nostro im
maginario su una grazia invisibile e lontana, che potrebbe ar
rogare a sé all’infinito. Non può più farci sognare una misti
ca arrogante, che disdegnerebbe di passare attraverso il no
stro prosaico prossimo.
Eccoci dunque ad affrontare il mistero del pontificato. Mol
ti vi videro un’istanza diabolica, che pervertiva lo spirito del
Vangelo: il cesaropapismo denunciato dagli ortodossi, il pa-
pa-anticristo incriminato da Lutero... Certo, il primato di
Pietro dichiarato da Gesù è immediatamente seguito da quel
la frase, «Lungi da me, Satana!». Se il demonio è umiliato
dal sacerdozio, non può che prendersela ancor più con i pre
ti, farne il bersaglio privilegiato del suo amore e delle sue at
tenzioni, e non appena uno sale nella gerarchia apostolica,
egli si lancia a testa bassa e voluttuosamente su di lui: con
quale accanimento non si scaglierà quindi sul Sovrano Pon
tefice, per infondergli il desiderio di potenza e del lusso! Tut
tavia, ritenere impossibile un simile abuso significherebbe igno
rare ciò che Dio ha voluto, perché l’istituzione del pontifica
to indispettisce come non mai e completamente lo spirituali
smo demoniaco, in quanto esso è una conseguenza estrema
dell’incarnazione. Piacerebbe assai a questo puro spirito co
sì impuro che il cristianesimo non fosse altro che una serie
di dogmi ideali, un corpus dottrinale senza alcun corpo ma
teriale. Indubbiamente, il corpo gli fornisce un terreno di
gioco per le sue suggestioni, ma nulla potrebbe seccarlo più
di quel corpo che è il luogo dell’irraggiamento divino. Ed è
proprio ciò che accade al pontefice come al martire: egli è il
vicario di Cristo, così che il cristianesimo non è solo un’i
deologia, bensì un magistero vivente. I suoi fedeli non si riu
niscono soltanto intorno a un insieme coeso di idee di gene
rosità, ma intorno all’unicità di questo prossimo in carne e
ossa, con la sua voce particolare, la sua origine polacca o ba
varese o perfino di colore, che assume su di sé le vicende do
lorose della storia, con i suoi tic che forse ce lo rendono un
po’ antipatico e così facilmente caricaturabile, ma che in ogni
caso impediscono di scivolare nella vaghezza dell’astrazione,
210 LA FEDE DEI DEMONI
atei di questi presunti dèi, ma noi crediamo nel Dio vero, pa
dre della giustizia, della saggezza e di altre virtù, nei quali
non vi è nulla di m ale»7. A sua volta, Tertulliano intona la
propria arringa: «I vostri dèi noi abbiamo smesso di onorar
li, dal momento che abbiamo capito che non sono divinità.
Ciò che voi dovete dunque esigere da noi è che noi dimo
striamo che quelli non sono dèi e, di conseguenza, che non
si deve rendere loro culto»8. Questa è dunque la conseguen
za del primo comandamento nella sua formulazione negativa:
dimostrare che gli dèi non sono dèi. La fede implica così la
ragione, e la ragione critica. Il dialogo con il Dio vivente esi
ge che non si sbagli interlocutore e, di conseguenza, che si
sia atei per tutti gli dèi morti.
L’ateismo moderno è in questo un’eresia cristiana. Deriva
da questo ateismo giudaico e cristiano. Sostiene di prolunga
re la loro distruzione degli idoli, ma fa un idolo del proprio
martello. La genialità di Feuerbach consiste nel collocarlo mol
to esattamente, non contro le religioni, ma nell’ambito del lo
ro progresso storico: «La religione è l’essere dell’umanità nel
la sua infanzia; ma il bambino vede la propria natura fuori
di sé, nell’uomo: nell’infanzia l’uomo è oggetto per se stesso
sotto l’aspetto di un altro uomo. E per questo che il pro
gresso storico delle religioni consiste nel fatto che considera
ora come soggettivo ciò che le religioni primitive ritenevano
oggettivo, in altri termini, in quello che si riconosce oggi co
me umano ciò che era un tempo contemplato e adorato sot
to le specie divine. Ogni religione è idolatria, per quella che
subentra dopo.
La confessione è adatta: è nello slancio della lotta di Mo-
sè contro l’idolatria che l’ateismo intende iscriversi come nel
19 Id., La Somma Teologica, cit., voi. X, I-II, qu. 66, art. 6, p. 308.
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un conflitto dei più intimi; così colei che fuori vedevamo sor
ridente, dentro era afflitta: « “Sorride tutto il tempo”. Le so
relle e le altre persone fanno tali osservazioni... Pensano che
la mia fede, la fiducia e l’amore riempiano tutto il mio esse
re, e che l ’intimità con Dio e l’unione con la Sua volontà as-
sorbano il mio cuore. Se solo sapessero... E come la mia
gioia è il mantello con cui nascondo il vuoto e la miseria»26.
Davanti a questa confessione, coloro che credono profon
damente restano costernati, coloro che sono molto cinici si
rallegrano. Gli uni e gli altri, o con rimpianto o con arro
ganza, si mettono d’accordo per ripetere, in fondo, il pro
verbio: «Medico, cura te stesso». Ignorano il nucleo del mi
stero cristiano. Non comprendono che questa maschera di
cui parla la santa non è quella dell’ipocrisia. Al contrario: è
la maschera della sincerità più abissale, una sincerità che fa
affidamento - più che su uno stato psicologico passeggero -
su questa gioia divina nella quale ella crede e che, in questo
mondo, passa attraverso la Croce.
Da una Teresa a un’altra, pare che la vita mistica si sia
semplificata, ma anche che la «notte della fede» si sia fatta
di volta in volta un po’ più prosaicamente oscura. Teresa
d’Avila traccia con forza il passaggio che si dipana nelle set
te camere interne successive. Teresa di Lisieux apre la «pic
cola via», ma precipita anche in asperità spaventose. Teresa
Benedetta della Croce, passando per un porta più piccola e
più ordinaria ancora, muore ad Auschwitz: entra nella came
ra a gas come Elia sul Monte Oreb, prostrandosi davanti al
silenzio di Dio. Teresa di Calcutta pare seguire un sentiero
ancora più ordinario e nondimeno precipita in tenebre che
non comprende affatto. Non è che le manchi la scienza car
melitana, è che questa scienza non riesce più a raggiungerla
in quella notte nella quale ella è ormai discesa: «Il posto di
Dio nella mia anima è vuoto. Vuoto. Non c’è Dio in me. [...]
La mia anima è come di ghiaccio, non ho niente da dire. Lei
mi dice che Dio “è così vicino che non si può né vederLo né
dere molto bene con YEt incarnatus est della sua Grande Mes
sa in do minore-, i vocalizzi della soprano, che prolungano il
mistero della «A » di «factus» ci fanno dimenticare il conte
nuto dell’articolo. Di che cosa si trattava, esattamente? Non
si sa più molto bene, ma si sa che vi era un desiderio incon
tenibile. La perdita dell’articolazione tende a cancellare le pa
role, ma la grazia delle modulazioni ci fa percepire meglio il
suo significato: entrare nella gioia di Colui che è amore, met
tersi in contatto diretto con la fonte del canto.
E tuttavia, tra coloro che cantano il Credo, alcuni e forse
noi stessi, non hanno la carità e coloro che l’hanno non ne
possiedono la piena garanzia. Come si può imporre un «C re
do in un solo Dio», che pare così difficile da pronunciare
senza una certa presunzione? Indubbiamente, quando la ca
rità ci manca a livello individuale, è la carità collettiva della
Chiesa che rende autentica la nostra professione di fede mal
grado tutto e, tramite ciò, supplisce alla nostra ipocrisia per
sonale: noi crediamo allora in Dio nella misura in cui noi
crediamo al petto del Corpo di Cristo. Non guardare ai no
stri peccati, invoca il sacerdote, ma alla fede della tua Chie
sa. Anche qui il Credo appare come un canto corale, ma è
per meglio dire una fuga corale: la fede del devoto suppli
sce a quella del peccatore e gli uni riprendono il canto lad
dove gli altri lo fuorviano. E chissà se qualcuno, le cui lab
bra stiano bestemmiando in quello stesso istante, non si tro
vi nel segreto del suo cuore, al di là della sua ignoranza, in
procinto di avvicinarsi a Dio? Chissà se non è proprio lui
che supplisce alle mancanze del mio stesso cuore, a prescin
dere dal fatto che siano le mie labbra ad esprimere quella
Verità che egli, confusamente, segue? Credo in Deum: l’ac
cusativo latino si può tradurre verso, ma anche contro, e sap
piamo che alcuni si credono contro coloro che sono contra
ri a tutto, e che altri si credono andare verso coloro che van
no al contrario. I primi, quindi, portano i secondi, anche se
sono i secondi a predicare la Salvezza. Ciò che questi arti
colano con la loro stessa bocca, quelli lo modulano con la
loro anima.
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V ie n i!
Apocalisse, passim