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7/21 novembre 2020


Quindicinale
Anno 171

Le emozioni e gli affetti di Gesù


Il Concilio Vaticano II a Cuba dopo
la Rivoluzione
La scomparsa del «papà» di Mafalda
La scuola e la Chiesa nella pandemia
La «Rivoluzione» bianco-rossa della
Bielorussia
Charles de Foucauld in «Fratelli
tutti»
Dante e i gesuiti
In ricordo di p. Bartolomeo Sorge S.I.
Scautismo e Resistenza
RIV ISTA INTERNAZIONALE DEI GESUITI

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Progetto grafico: Turi Distefano
Unione Stampa Periodica Italiana - ISSN 0009-8167 Impaginazione: Antonella Fedele

B E AT U S P OPU LU S , C U I U S D O M I N U S DE U S E I U S
SOMMARIO 4089

7/21 novembre 2020


Quindicinale
Anno 171

219 LE EMOZIONI E GLI AFFETTI DI GESÙ


Una analisi dei Vangeli sinottici
Vincenzo Anselmo S.I.

230 RECEZIONE DEL CONCILIO VATICANO II A CUBA NEI PRIMI 25 ANNI


DOPO LA RIVOLUZIONE
Raúl José Arderí García S.I.

243 «FERMATE IL MONDO, VOGLIO SCENDERE!»


La scomparsa di Quino, il «papà» di Mafalda
Giancarlo Pani S.I.

255 LA SCUOLA E LA CHIESA NELLA PANDEMIA


Appunti dal Rapporto Censis «Stress test Italia»
Antonio Spadaro S.I. - Andrea Casavecchia

265 LA «RIVOLUZIONE» BIANCO-ROSSA DELLA BIELORUSSIA


Giovanni Sale S.I.

278 LA FIGURA DI CHARLES DE FOUCAULD IN «FRATELLI TUTTI»


Reagire nella speranza
Diego Fares S.I.

291 DANTE E I GESUITI


Giandomenico Mucci S.I.

297 IN RICORDO DI P. BARTOLOMEO SORGE S.I. (1929-2020)


***

301 «AQUILE RANDAGIE»


Scautismo e Resistenza
Giovanni Arledler S.I. - Federico Lombardi S.I.

308 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA


NELLA COLLANA «ACCÈNTI» LE PAGINE DELLA CIVILTÀ CATTOLICA
CHE AIUTANO A CAPIRE IL PRESENTE

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SOMMARIO 4089

ARTICOLI
219 LE EMOZIONI E GLI AFFETTI DI GESÙ
Una analisi dei Vangeli sinottici
Vincenzo Anselmo S.I.

I Vangeli ci presentano un ritratto molto umano di Gesù, capace di gioire e di piangere,


di commuoversi e di arrabbiarsi, di indignarsi e di amare, di stupirsi e di provare an-
goscia. Egli si definisce «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), ma è anche ardente di zelo
quando scaccia con veemenza i venditori dal tempio. In questo articolo si cerca di aprire
una finestra sull’interiorità di Gesù così come ci è stata trasmessa nei racconti dei Vangeli
sinottici. L’Autore è professore di Sacra Scrittura alla Pontificia Facoltà Teologica, sezione
San Luigi, di Napoli.

230 RECEZIONE DEL CONCILIO VATICANO II A CUBA


NEI PRIMI 25 ANNI DOPO LA RIVOLUZIONE
Raúl José Arderí García S.I.

L’articolo si propone di esplorare i tratti fondamentali della recezione del Concilio Vaticano II
a Cuba, tentando di superare la consueta descrizione che presenta la comunità cattolica dell’i-
sola come una «Chiesa del silenzio», concentrata sulla sopravvivenza cultuale e avulsa da ogni
interesse per l’evangelizzazione. Intende mostrare come la comunità cattolica cubana – laici e
pastori – sia passata dallo scontro alla collaborazione critica con il nuovo sistema sociopolitico,
senza lasciarsene condizionare, né identificarsi in un’organizzazione religiosa subordinata allo
Stato. L’Autore è laureato in Scienze informatiche all’Università dell’Avana e in Teologia al
Boston College.

243 «FERMATE IL MONDO, VOGLIO SCENDERE!»


La scomparsa di Quino, il «papà» di Mafalda
Giancarlo Pani S.I.

La scomparsa di Quino, il «papà» di Mafalda, ha riportato alla luce l’immenso mondo delle sue
strisce. Tra queste è emersa una famosa battuta attribuita a Mafalda: «Fermate il mondo, voglio
scendere!». Ebbene, la battuta non è sua! Lo ha rivelato lo stesso Quino, non solo negandone la
paternità, ma aggiungendo che Mafalda vuole bene al mondo, lo vuole migliorare, non inten-
de affatto abbandonarlo. La storia del personaggio è complessa e se ne ripercorrono le tappe
principali. Mafalda e i suoi amici sono conosciuti in Europa, soprattutto per merito dell’Italia.
Benché Quino dopo il 1977 non abbia più disegnato la bambina contestataria e mordace, il
successo dell’enfant terrible, che «fa le bucce» anche ai genitori, è tuttora straordinario.
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SOMMARIO 4089

FOCUS
255 LA SCUOLA E LA CHIESA NELLA PANDEMIA
Appunti dal Rapporto Censis «Stress test Italia»
Antonio Spadaro S.I. - Andrea Casavecchia

La pandemia che ha colpito anche l’Italia sta mettendo a dura prova tutto il sistema-Paese.
Recentemente il Governo si è trovato costretto a promulgare nuove misure emergenziali nel
tentativo di contenere la diffusione del contagio. Intanto, nel corso della cosiddetta «fase 2», il
Censis aveva dedicato un breve report ai comportamenti assunti da varie realtà essenziali nei
mesi del lockdown di marzo e aprile. In particolare, l’articolo si sofferma sulle analisi proposte
sulla scuola e sulla Chiesa, per trarne indicazioni utili anche nel prosieguo dell’emergenza.
L’articolo è co-firmato dal direttore de La Civiltà Cattolica e dal dott. Andrea Casavecchia,
che insegna Sociologia dei processi culturali e della religione presso l’Università Roma Tre.

265 LA «RIVOLUZIONE» BIANCO-ROSSA DELLA BIELORUSSIA


Giovanni Sale S.I.

In Bielorussia è in corso da quasi due mesi una contestazione popolare pacifica, capeggiata da tre
donne coraggiose. La «rivoluzione» bianco-rossa è iniziata subito dopo che il presidente Lukashenko,
al potere da 26 anni, ha comunicato i risultati delle elezioni presidenziali del 9 agosto 2020, attri-
buendosi l’80,23% dei suffragi popolari. Svetlana Tikhanovskaja, capo della nuova opposizione,
avrebbe avuto soltanto il 10% dei suffragi, mentre diversi sondaggi la davano vincitrice. Le proteste,
che si ripetono ogni domenica, hanno coinvolto ormai milioni di persone. Una composizione ne-
goziale della crisi in corso sembra essere l’unica via percorribile per evitare spargimenti di sangue.

PROFILO
278 LA FIGURA DI CHARLES DE FOUCAULD IN «FRATELLI TUTTI»
Reagire nella speranza
Diego Fares S.I.

La figura di Charles de Foucauld ha nell’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti una grande
forza testimoniale: raccoglie e attualizza l’eredità di Francesco d’Assisi, sintetizza e incarna
il contenuto evangelico che il Papa espone nell’enciclica, e ci interpella in modo concreto là
dove è in atto la più grande sfida del nostro tempo. Come afferma Madeleine Delbrêl, il beato
Charles «è, da solo, la coincidenza di molti opposti […] e ci appare radicato nel crocicchio
della carità. […] Egli fa coincidere i due estremi dell’amore: il prossimo immediato e il mondo
intero». De Foucauld viene presentato da Francesco come colui che ha incarnato nel nostro
tempo la verità evangelica del lievito che fa fermentare l’impasto.
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SOMMARIO 4089

NOTE E COMMENTI
291 DANTE E I GESUITI
Giandomenico Mucci S.I.

Poiché nell’inconscio collettivo italiano resta l’effetto di un’antica calunnia, secondo la quale
i gesuiti italiani come tali sono sempre stati nemici dell’arte di Dante, l’articolo riprende l’o-
rigine di tale diceria e la sfata, offrendo sinteticamente la storia dei principali commenti della
Commedia scritti dai gesuiti in Italia lungo il corso di tre secoli.

NECROLOGIO
297 IN RICORDO DI P. BARTOLOMEO SORGE S.I. (1929-2020)
***

Il 2 novembre scorso è mancato p. Bartolomeo Sorge, già direttore de La Civiltà Cattolica. Si


ripercorre il suo lungo cammino di intenso servizio a Dio e alla Chiesa. Dopo gli anni della for-
mazione religiosa, specializzato in scienze politiche e sociali, p. Bartolomeo nel 1966 è inviato a La
Civiltà Cattolica. Momento culminante di quegli anni è il Convegno ecclesiale «Evangelizzazione
e promozione umana». Inviato a Palermo nel 1985 per fondarvi l’«Istituto di formazione politica
Pedro Arrupe», vive anni intensi sulla frontiera della lotta alla mafia. Nel 1986 passa a Milano,
dove dirige per 13 anni Aggiornamenti Sociali. Dopo aver compiuto gli 80 anni, continua il suo
servizio, prima a Milano poi a Gallarate, in piena presenza di spirito fino al giorno della morte.

ARTE MUSICA SPETTACOLO


301 «AQUILE RANDAGIE»
Scautismo e Resistenza
Giovanni Arledler S.I. - Federico Lombardi S.I.

Un recente film del regista esordiente Gianni Aureli è dedicato a una vicenda significativa degli
anni Trenta e Quaranta del secolo scorso: un gruppo di scout di Milano resiste all’ordine fascista di
scioglimento delle associazioni scautistiche italiane, assume il nome di «Aquile randagie» e conti-
nua le sue attività. Dal 1943 il gruppo partecipa attivamente all’opera clandestina dell’OSCAR, per
l’assistenza e la messa in salvo oltre confine di numerosi ricercati, ex prigionieri, ebrei, disertori…

308 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Capussela A. 314 - Cattaneo E. 310 - Iacona R. 311 - La Bella G. 308 - Lambiase E. 318 - Lameri
A. 316 - Nardin R. 316 - Natali E. 319 - Pozza M. 315 - Riccardo Lombardi 308 - Santangelo D. 312
LE EMOZIONI E GLI AFFETTI DI GESÙ
Una analisi dei Vangeli sinottici

Vincenzo Anselmo S.I.

Nel romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa il monaco cieco


Jorge di Burgos, citando Giovanni Crisostomo, sostiene che «Cri-
sto non ha mai riso». Un’affermazione così perentoria non solo sem-
bra escludere categoricamente che Gesù di Nazaret possa ridere, ma
219
mette in discussione la sua stessa umanità, che implica la capacità di
partecipare alla totalità dell’esperienza umana, inclusa la possibilità
di sperimentare tutta la gamma degli affetti e delle emozioni. Al
contrario, come ricorda la Costituzione pastorale Gaudium et spes
(GS), «il Figlio di Dio […] ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato
con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato
con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto vera-
mente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato» (GS 22).
In effetti i Vangeli ci presentano un ritratto molto umano di
Gesù, capace di gioire e di piangere, di commuoversi e di arrab-
biarsi, di indignarsi e di amare, di stupirsi e di sentire angoscia. Egli
si definisce «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), ma è anche ardente
di zelo quando scaccia con veemenza i venditori dal tempio.
In questo articolo proveremo, dunque, ad aprire una finestra
sull’interiorità di Gesù così come ci è stata trasmessa dai Vangeli
sinottici1. La descrizione più vivida e più ricca di sfumature del-
le emozioni e degli affetti di Gesù si trova nel Vangelo di Marco,
mentre Matteo e Luca sono più sobri, ma non meno significativi,
nell’esprimere l’interiorità del Figlio di Dio2.

1. Una trattazione a parte meriterebbe il Vangelo di Giovanni, a causa delle


sue peculiarità che lo differenziano dai Sinottici.
2. Su questo tema, si vedano i seguenti contributi: G. Barbaglio, Emozioni
e sentimenti di Gesù, Bologna, EDB, 2009; S. Voorwinde, Jesus’ Emotions in the
Gospels, London - New York, Bloomsbury, 2011.

© La Civiltà Cattolica 2020 IV 219-229 | 4089 (7/21 novembre 2020)


ARTICOLI

In psicologia, per «emozione» si intende un processo rapido, una


risposta intensa a uno stimolo o a una situazione, mentre gli «affet-
ti» fanno riferimento a un complesso di sentimenti e passioni che
sono più prolungati e costanti nel tempo, configurandosi, in taluni
casi, come veri e propri tratti stabili, che delineano la personalità
in maniera definita e peculiare3. Vedremo che in alcuni momenti
l’affettività di Gesù emerge come reazione a una situazione specifica
che lo interpella, mentre altre volte si caratterizza come un tratto
più costante della sua umanità.

La compassione di Gesù

Un verbo che ricorre con una certa frequenza nel Vangelo di


220
Marco e che ha come soggetto Gesù è splanchnizomai, che viene
tradotto con «avere compassione», «muoversi a compassione». L’im-
magine veicolata da tale verbo è molto forte: infatti, esso sta a indi-
care il movimento delle viscere che sono scosse da qualcosa o qual-
cuno. Nel mondo semitico le interiora dell’essere umano, le viscere
e l’utero, sono considerate la sede dei sentimenti più profondi come
la compassione e la misericordia4.
La prima ricorrenza di questo verbo è all’inizio del Vange-
lo, nell’incontro tra Gesù e il lebbroso. Davanti alle suppliche di
quest’ultimo, «[Gesù] ne ebbe compassione5, tese la mano, lo toccò e
gli disse: “Lo voglio, sii purificato!”» (Mc 1,41). Il moto interiore che
parte dalle viscere conduce Gesù non soltanto a guarire per mezzo
della sua parola, ma anche a toccare il lebbroso, superando il di-
stanziamento sociale prescritto dal libro del Levitico (cfr Lv 13–14),

3. Cfr P. Bonaiuto - V. Biasi, «Emozione», in Enciclopedia filosofica, Mila-


no, Bompiani, 2006, vol. IV, 3331.
4. Cfr H. Köster, «σπλάγχνον, σπλαγχνίζομαι, εὔσπλαγχνος,
πολύσπλαγχνος, ἄσπλαγχνος», in Grande Lessico del Nuovo Testamento, Brescia,
Paideia, 1979, vol. XII, 903-934.
5. Una variante di questo testo in alcuni manoscritti riporta «preso d’ira» in-
vece che «ebbe compassione». Pur essendo questa la lectio difficilior, va preso atto che
il riferimento all’ira potrebbe essere un’inserzione tesa ad armonizzare maggior-
mente il testo, dando coerenza al tono affettivo di Gesù, il quale in seguito si mo-
strerà severo verso il lebbroso (cfr Mc 1,43). Cfr G. Perego, Vangelo secondo Marco.
Introduzione, traduzione e commento, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2011, 67.
EMOZIONI E AFFETTI DI GESÙ NEI VANGELI SINOTTICI

che imponeva una netta separazione tra la comunità e il malato, per


evitare di essere contaminati dall’impurità. Eppure, questa volta è la
santità di Gesù a rivelarsi contagiosa, guarendo il lebbroso6.
Quello che accade subito dopo tra Gesù e il lebbroso rivela
come il mondo delle emozioni sia complesso anche nei Vange-
li: «Ammonendolo severamente, lo cacciò via subito» (Mc 1,43).
Perché l’atteggiamento di Gesù cambia in maniera così repenti-
na? Cosa spinge il Signore a una reazione così brusca, che stride
con la compassione appena manifestata? Il verbo utilizzato as-
sume la connotazione negativa di «minacciare, sbuffare, trattare
duramente»7. Forse il comportamento di Gesù dev’essere inteso in
relazione al comando rivolto all’uomo di non dire nulla a nessuno,
offrendo a esso una sfumatura di perentorietà e tassatività (cfr Mc
221
1,44). Gesù vorrebbe che questa sua richiesta fosse rispettata, ma il
lebbroso guarito disattende il comando, e questo ha conseguenze
serie sull’azione di Gesù, che non può più entrare pubblicamente
in una città dopo che si è diffusa la notizia della guarigione da lui
operata (cfr Mc 1,45).
Nel Vangelo di Marco il verbo «avere compassione» ricorre di
nuovo prima dei due episodi della moltiplicazione dei pani, ma in
due modi differenti. Nel primo racconto è il narratore che presenta
la reazione di Gesù alla vista della folla che si era radunata per in-
contrarlo: «Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe com-
passione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore,
e si mise a insegnare loro molte cose» (Mc 6,34). Le viscere di Gesù
sono sconvolte a causa della folla, che ai suoi occhi appare disorien-
tata e smarrita, senza guide che se ne prendano cura (cfr Ez 34). La
compassione spinge Gesù a donare la propria parola, mettendosi a
insegnare molte cose e spendendo tempo ed energie a servizio della
folla. Questo atteggiamento risalta ancora di più, perché a esso fa
da contrappunto quello dei discepoli, i quali vorrebbero liberarsi
dell’incomodo di avere gente tra i piedi e dicono a Gesù: «Il luogo
è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le
campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangia-

6. Cfr ivi.
7. Cfr ivi, 68.
ARTICOLI

re» (Mc 6,35-36). A questa richiesta Gesù risponde compiendo la


prima moltiplicazione dei pani riferita dal Vangelo di Marco.
Nel secondo episodio è Gesù stesso a esprimere i propri sen-
timenti interiori, dicendo ai discepoli: «Sento compassione per
la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da
mangiare» (Mc 8,2). Questa volta sono la stanchezza e la fame
delle persone che toccano le viscere di Gesù, assieme alla preoc-
cupazione che senza cibo esse non potranno farcela nel viaggio
di ritorno (cfr Mc 8,3). Il risultato di questo moto interiore di
Gesù è la seconda moltiplicazione dei pani.
In Marco, una nuova ricorrenza del verbo «avere compassio-
ne» la troviamo in un altro discorso diretto. Questa volta non è
Gesù a prendere l’iniziativa, ma il padre di un ragazzo posseduto
222
da uno spirito muto fa appello alla compassione del Signore per
ottenere un aiuto, dopo che il tentativo messo in atto dai disce-
poli è fallito: «Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci»
(Mc 9,22).
Negli altri Vangeli sinottici il verbo splanchnizomai, che ha
come soggetto Gesù, appare in alcuni contesti significativi8. In
Matteo, oltre che nei racconti della moltiplicazione dei pani, vie-
ne riferito al Signore in un momento cruciale della sua missione:
«Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e
sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi
discepoli: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pre-
gate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua
messe!”. Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere
sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni
infermità» (Mt 9,36–10,1). La compassione di Gesù a causa della
sofferenza e dello smarrimento delle folle lo porta, da un lato, a
chiedere ai discepoli di pregare Dio affinché invii lavoratori per il
suo raccolto e, dall’altro, a costituire lui stesso i Dodici, dando loro
l’autorità di compiere le sue stesse opere.

8. Il verbo «avere compassione» è presente anche in alcune parabole: «Il pa-


drone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito» (Mt
18,27); «Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne
ebbe compassione» (Lc 10,33); «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe
compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Lc 15,20).
EMOZIONI E AFFETTI DI GESÙ NEI VANGELI SINOTTICI

In seguito, le viscere di Gesù si scuotono davanti alla richie-


sta di due ciechi di essere guariti: «Gesù ebbe compassione, toccò
loro gli occhi ed essi all’istante ricuperarono la vista e lo seguirono»
(Mt 20,34). Ancora una volta la guarigione implica un contatto tra
Gesù e coloro che gli chiedono aiuto.
In Luca, invece, in una sola occasione viene detto che Gesù ha
compassione. È quando egli incontra la vedova che accompagna il
suo unico figlio verso il sepolcro: «Vedendola, il Signore fu preso da
grande compassione per lei e le disse: “Non piangere!”» (Lc 7,13).
Da questo sconvolgimento interiore nasce il miracolo della risurre-
zione del fanciullo.
Secondo il Grande Lessico del Nuovo Testamento, «questi testi
non descrivono un moto affettivo, ma caratterizzano la figura mes-
223
sianica di Gesù»9. Questa affermazione però rischia di essere ridutti-
va, perché, se da un lato è vero che nei Vangeli il soggetto del verbo
«avere compassione» è quasi sempre Gesù Messia, dall’altro la ca-
ratterizzazione di questo personaggio non esclude il suo essere pie-
namente uomo, capace di sentire quello che ogni uomo sente, e il
suo agire in quanto «sconvolto internamente», mosso nella propria
interiorità. Dalle occorrenze considerate possiamo notare come la
compassione di Gesù non sia soltanto un’emozione momentanea,
ma un tratto stabile, che caratterizza la sua affettività e il suo modo
di accostarsi e interagire con le persone.

Gesù ama?

Un altro verbo molto importante, che ricorre una sola volta


riferito a Gesù, è agapaō, «amare»: «Allora Gesù fissò lo sguardo
su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi
quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni!
Seguimi!”» (Mc 10,21). Tra i Sinottici, solo Marco mette in risalto
questa annotazione affettiva, facendo accedere il lettore al più in-
timo sguardo di Gesù.
A colui che vuole sapere da Gesù che cosa deve fare per avere
la vita eterna, perché gli sembra che non basti la dedizione alla

9. H. Köster, «σπλάγχνον, σπλαγχνίζομαι…», cit., 922.


ARTICOLI

legge coltivata fin dalla giovinezza, Gesù offre una nuova pro-
spettiva. Tuttavia, per quanto esigenti, le sue parole sono dettate
da uno sguardo di predilezione. Il suo comando, dunque, non va
interpretato secondo la categoria del dovere, ma piuttosto nell’ot-
tica dell’amore. Egli invita quest’uomo alla radicalità della sequela,
perché lo ama profondamente e in un certo senso vuole liberarlo
dalle inquietudini che lo attanagliano e dalle catene del possesso
dei beni materiali. Al lettore è dato il privilegio di conoscere i
sentimenti di Gesù che si celano dietro le sue parole, mentre non
sappiamo se colui al quale Gesù ha rivolto questo sguardo d’amore
abbia percepito di essere amato. Tuttavia egli non corrisponde a
quanto gli viene chiesto e preferisce andarsene triste e scuro in
volto, piuttosto che lasciare tutte le sue ricchezze.
224

Alcune emozioni di segno negativo

Nei Vangeli la persona di Gesù si caratterizza anche per alcune


reazioni emotive, che forse a torto potremmo considerare eccessive.
Il Vangelo di Marco ci offre alcuni esempi che contribuiscono a
dare spessore al complesso ritratto di Gesù di Nazaret. Di fronte al
silenzio di chi vorrebbe coglierlo in fallo e accusarlo per aver com-
piuto la guarigione di un uomo dalla mano inaridita nel giorno di
sabato, la reazione di Gesù è vigorosa e complessa al tempo stesso:
«E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la du-
rezza dei loro cuori, disse all’uomo: “Tendi la mano!”. Egli la tese e
la sua mano fu guarita» (Mc 3,5). In questo atteggiamento di Gesù
si uniscono ira e tristezza verso i farisei per la loro durezza e il loro
silenzio, dietro i quali si nasconde l’avversione verso di lui. È inte-
ressante notare come Gesù entri in contrasto con i suoi oppositori
non soltanto adirandosi con loro, ma anche rattristandosi per la loro
ostinazione e irremovibilità.
Nel seguito del Vangelo di Marco appare anche il verbo
thaumazō, «stupirsi». A Nazaret Gesù è oggetto di emozioni con-
trastanti: in un primo tempo i suoi concittadini sono sbalorditi per
il suo insegnamento nella sinagoga (cfr Mc 6,2), poi si scandalizza-
no di lui; e Gesù, come afferma l’evangelista, «si meravigliava della
loro incredulità» (Mc 6,6). A motivo della loro mancanza di fede
EMOZIONI E AFFETTI DI GESÙ NEI VANGELI SINOTTICI

egli non può compiere prodigi nella sua terra natale, e la sua azione
viene limitata (cfr Mc 6,5). Il suo essere Figlio di Dio, che conosce
quello che gli altri pensano (cfr Mc 2,8), non gli impedisce di stu-
pirsi davanti a chi si oppone alla sua missione10.
Un discorso a parte merita il verbo «sospirare» (stenazō), che,
a seconda del contesto in cui compare, può essere inteso in modo
differente: «[Gesù] guardando quindi verso il cielo, emise un so-
spiro (stenazō) e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”» (Mc 7,34). «Ma
[Gesù] sospirò profondamente (anastenazō) e disse: “Perché que-
sta generazione chiede un segno? In verità io vi dico: a questa ge-
nerazione non sarà dato alcun segno”» (Mc 8,12). Nel primo caso
il sospiro di Gesù è legato alla preghiera che porta alla guarigione
del sordomuto; nel secondo caso, invece, Gesù sospira perché è
225
infastidito dall’incredulità dei farisei, che gli chiedono un segno
per metterlo alla prova.
In un altro episodio Gesù si irrita con i suoi discepoli, perché
respingono coloro che gli presentano i bambini affinché li possa
toccare: «Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate
che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro
infatti appartiene il regno di Dio”» (Mc 10,14).
In altre occasioni non compare un’indicazione esplicita dell’e-
mozione che caratterizza l’azione di Gesù, ma è facilmente intui-
bile dal contesto. Un esempio fra tutti: la purificazione del tempio.
Scrive Marco: «Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si
mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel
tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei vendito-
ri di colombe» (Mc 11,15). Gesù scaccia i venditori con veemenza
e ardore, sdegno e collera, rovesciando i tavoli dei cambiavalute.
Il suo stato d’animo traspare dalle azioni irruenti che compie nel
tempio di Gerusalemme, tanto che nel Vangelo di Giovanni questo
segno ricorderà ai discepoli il Sal 69,10: «Lo zelo per la tua casa mi
divorerà» (Gv 2,17).

10. Negli altri Vangeli sinottici Gesù si meraviglia anche per qualcosa di po-
sitivo come la fede del centurione: «Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli
che lo seguivano: “In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una
fede così grande!”» (Mt 8,10 e Lc 7,9).
ARTICOLI

Altre volte sono le parole severe pronunciate da Gesù che fanno


pensare che dietro ci sia una partecipazione emotiva molto forte:
«Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me,
è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da
mulino e sia gettato nel mare» (Mc 9,42).

LE SUE REAZIONI EMOTIVE CONTRIBUISCONO A


DARCI UN’IMMAGINE REALISTICA DI GESÙ.

Gesù sa essere duro non soltanto con gli scribi e i farisei, ma


anche con i suoi concittadini e con i suoi stessi discepoli, che sem-
brano non capire fino in fondo la missione del loro maestro. Que-
226
ste reazioni emotive contribuiscono a darci un’immagine realisti-
ca di Gesù.

Nel Getsemani

Nei Vangeli sinottici (Mt 26,36-46; Mc 14,32-42; Lc 22,40-


46) c’è un episodio che offre al lettore un accesso privilegiato
all’interiorità di Gesù, alla sua comunicazione intima con il Padre
nel momento drammatico e cruciale della sua passione. È l’episo-
dio del Getsemani: «Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e
cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: “La mia anima è
triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”. Poi, andato un po’
innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse
via da lui quell’ora. E diceva: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te:
allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò
che vuoi tu”» (Mc 14,33-36).
All’inizio Gesù desidera la compagnia di Pietro, Giacomo e
Giovanni; poi è solo, e il lettore viene reso partecipe del dram-
ma interiore che si va consumando11. Per prima cosa, l’evange-
lista comunica che Gesù sente paura e angoscia. Agli occhi del

11. In proposito, si veda il contributo dello psicanalista lacaniano M. Recal-


cati, La notte del Getsemani, Torino, Einaudi, 2019.
EMOZIONI E AFFETTI DI GESÙ NEI VANGELI SINOTTICI

lettore, il Maestro appare atterrito12 e turbato. Questa doppia


osservazione rende la situazione pesante e cupa; e, in un certo
senso, il buio che Gesù sente proietta un cono d’ombra anche
all’esterno, sul lettore. Gesù però non ha paura di esprimere il
proprio turbamento davanti ai suoi discepoli attraverso un’im-
magine forte: la tristezza fino alla morte, che indica l’intensità
della sua afflizione13.
Poi il racconto ci presenta Gesù che è solo, mentre si rivolge
a Dio. Il cadere a terra è segno visibile dello stato di prostrazio-
ne anche psicologica in cui egli si trova. La richiesta indirizzata
a Dio è sincera, così come l’appellativo confidenziale e intimo
«Abbà», Padre. Gesù chiede di essere liberato dall’angoscia della
passione e della morte che lo attendono, e tuttavia va al di là delle
227
proprie emozioni e si dichiara disponibile ad accogliere ciò che il
Padre vorrà per lui. Come sottolinea il card. Gianfranco Ravasi:
«È interessante notare in questa invocazione la dialettica tra l’an-
goscia che conduce alla tristezza amara e la volontà che sovrasta
l’emozione, con la decisione di seguire la via dolorosa che salirà
fino alla vetta del Calvario»14.
Mentre Pietro, Giovanni e Giacomo dormono – e non solo
non accolgono la richiesta di vegliare, ma non percepiscono nep-
pure la carica emotiva di quell’invito rivolto loro dal maestro che
confessa la propria debolezza –, la preghiera di Gesù continua
nella notte e il lettore ha il privilegio di parteciparvi – stando
come in un cantuccio – e di poter osservare. Luca impreziosisce
la descrizione del dolore di Gesù con un dettaglio significativo:
la sofferenza di quella notte lo conduce fino all’ematidrosi, cioè al
sudare sangue (cfr Lc 22,44).

12. Soltanto Marco utilizza questo verbo che indica una paura forte e intensa
(cfr Mc 9,15; 14,33; 16,5; 16,6), mentre Matteo adopera il verbo «rattristarsi, provare
tristezza» (Mt 26,37).
13. Cfr G. Perego, Vangelo secondo Marco…, cit., 294.
14. G. Ravasi, Piccolo dizionario dei sentimenti: Amore, nostalgia e altre emozio-
ni, Milano, il Saggiatore, 2019.
ARTICOLI

Le lacrime e la gioia di Gesù

Il Gesù di Luca non teme di esprimere le proprie emozioni


davanti a Pietro e ai suoi discepoli, sia che si tratti dell’angoscia
nella prospettiva del compimento del battesimo della croce (cfr Lc
12,50), sia che si tratti del forte e intenso desiderio di mangiare la
Pasqua con loro (cfr Lc 22,15).
Tra i Sinottici, soltanto Luca ci presenta Gesù che scoppia
in pianto quando vede Gerusalemme15: «Quando fu vicino, alla
vista della città pianse su di essa» (Lc 19,41). Gesù fa il suo lamen-
to per il dramma che attende la città santa, che verrà assediata e
distrutta. Il suo dolore contrasta con l’accoglienza gioiosa a lui
riservata (cfr Lc 19,35-40), ma prelude al controverso segno della
228 purificazione del tempio e al rifiuto dei capi del popolo, che lo
porterà alla croce.
E come Gesù piange, non può egli anche ridere? La domanda
da cui siamo partiti, ricordando Il nome della rosa di Eco, trova una
possibile risposta proprio nel Vangelo di Luca, dove sin dalle prime
pagine risuonano l’esultanza e la gioia. Queste vengono promesse
innanzitutto a Zaccaria, e poi si manifestano in Giovanni il Batti-
sta, che sussulta di gioia nel grembo della madre (cfr Lc 1,44), e sulle
labbra di Maria, che canta il Magnificat (cfr Lc 1,47).
Così pure alcune delle parabole lucane sono un invito, rivol-
to ai farisei e agli scribi, a rallegrarsi, partecipando alla gioia di
Dio per ogni peccatore ritrovato: «Io vi dico: così vi sarà gioia
nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per no-
vantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc
15,7). E in un’occasione è Gesù stesso a esultare: «In quella stessa
ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo» (Lc 10,21). Se non
il suo riso, possiamo certamente immaginare il suo sorriso pieno
di letizia nello Spirito, mentre loda il Padre per essersi rivelato
ai piccoli. Come ricorda Stephen Voorwinde, questa è una gioia
trinitaria: «La gioia esultante di Gesù in Lc 10,21 è quindi la
gioia del Messia, l’unico sommamente unto dallo Spirito Santo.

15. Nel Vangelo di Giovanni Gesù scoppia in pianto per la morte dell’amico
Lazzaro (cfr Gv 11,35).
EMOZIONI E AFFETTI DI GESÙ NEI VANGELI SINOTTICI

Ma è anche la gioia del Figlio dell’Altissimo, colui che ha una


relazione unica con il Padre»16.
Nel corso degli Esercizi spirituali (ES), nella quarta settimana,
sant’Ignazio di Loyola rivolge all’esercitante un invito pressante
a chiedere a Dio una grazia nella preghiera: «Il terzo preludio
consiste nel domandare quello che voglio: qui sarà chiedere la
grazia di allietarmi e gioire intensamente per la grande gloria e
gioia di Cristo nostro Signore» (ES 221).
Colui che prega chiede al Signore il dono di esultare per la
gioia di Cristo risorto dai morti. Pertanto, non chiede semplice-
mente di rallegrarsi perché Gesù è risorto, ma di essere partecipe
degli stessi sentimenti di colui che è vivo, rallegrandosi insieme
con lui. L’orante, dunque, può aderire alle emozioni e agli affetti
229
di Gesù imparando dalla sua umanità, che abbiamo visto essere
sfaccettata e variegata, dal suo essere compassionevole con i po-
veri e i malati, ma anche duro con chi si irrigidisce e si oppone
alla missione che il Padre gli ha affidato. Come ricorda la Gau-
dium et spes, «chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa
anch’egli più uomo» (GS 41). Seguire Cristo, vero Dio e vero
uomo, vuol dire conformarsi a lui, diventandogli simili anche
nel sentire interiore, nelle emozioni e negli affetti che interpre-
tano quanto accade nel mondo.

16. S. Voorwinde, Jesus’ Emotions in the Gospels, cit., 132.


ARTICOLI

RECEZIONE DEL CONCILIO VATICANO II


A CUBA NEI PRIMI 25 ANNI
DOPO LA RIVOLUZIONE
Raúl José Arderí García S.I.

Le visite a Cuba degli ultimi tre papi – Giovanni Paolo II (1998),


Benedetto XVI (2012) e Francesco (2015 e la sosta del 2016) – han-
no avuto il merito di mostrare all’opinione pubblica internazionale
la realtà della comunità cattolica dell’isola. Restano però assai meno
230
noti la storia della Chiesa cubana nei primi 25 anni dalla Rivoluzione
e il processo di riflessione che ha coinvolto tutti i suoi membri negli
anni Ottanta1. Nel corso di quel periodo due avvenimenti hanno
segnato la fisionomia della Chiesa universale e continentale: il Con-
cilio Vaticano II (1962-65) e la II Conferenza generale dell’episco-
pato latinoamericano a Medellín (1968). Entrambi sono stati eventi
di rilievo anche per la Chiesa cubana, intenta a definire la propria
missione nel contesto inedito di un sistema politico socialista.
Questo articolo si propone di esplorare i tratti fondamentali della
recezione del Concilio a Cuba che hanno posto le condizioni affin-
ché avvenisse il suddetto processo sinodale; al tempo stesso, tenta di
superare la consueta descrizione che presenta la comunità cattolica
dell’isola come una «Chiesa del silenzio», concentrata sulla sopravvi-
venza cultuale e avulsa da ogni interesse per l’evangelizzazione. La
prima parte di questo articolo cerca di contestualizzare storicamen-
te la Chiesa cubana fra il 1959 e il 1985, suddividendo il periodo in
quattro tappe. Nella seconda parte si esamina l’influsso del Vaticano II
a Cuba secondo le categorie di partecipazione e di testimonianza.
Questo scritto si inscrive nelle analisi della recezione del Concilio
in America Latina e nel recupero di esperienze sinodali che possano

1. Questo cammino sinodale è noto come Reflexión Eclesial Cubana (Rec),


culminato nell’Encuentro nacional eclesial cubano (Enec) del febbraio 1986.

© La Civiltà Cattolica 2020 IV 230-242 | 4089 (7/21 novembre 2020)


RECEZIONE DEL CONCILIO VATICANO II A CUBA FRA IL 1959 E IL 1985

risultare esemplari per l’attuale processo di rinnovamento ecclesiale


promosso da papa Francesco.

Ottimismo (1959)

La vittoria dei castristi del gennaio 1959 venne accolta con gioia
dalla maggior parte della popolazione e anche dalla Chiesa cubana.
Molti scorgevano nella Rivoluzione il contesto appropriato per re-
cuperare l’ordine costituzionale, infranto dal colpo di Stato di Ful-
gencio Batista nel 1952, e per costruire una nazione secondo i pre-
supposti della dottrina sociale della Chiesa. Questi desideri vennero
rafforzati dalla designazione di alcuni laici impegnati nella nuova
compagine governativa rivoluzionaria. L’appoggio episcopale a una
231
delle prime misure del governo – la legge di riforma agraria – è un
esempio di quel clima ottimistico che riconosceva anche il diritto
dei vecchi proprietari a essere indennizzati e metteva in guardia dal
pericolo di un eccessivo controllo statale sulla proprietà2.
La gerarchia ecclesiale si considerava rappresentante della mag-
gioranza del popolo e pertanto respingeva qualsiasi progetto politico
che non riconoscesse il cattolicesimo come sinonimo di «cubanità»3.
Il I Congresso nazionale cattolico di Cuba, svoltosi nel dicembre
1959, fu l’emblema di questo atteggiamento, che non teneva conto
a sufficienza dell’anticlericalismo creolo, frutto dell’alleanza fra il
trono e l’altare, e della posizione ecclesiale ostile ai movimenti indi-
pendentisti del XIX secolo. Tutti i cattolici furono invitati a parte-
cipare a tale Congresso, inteso come una dimostrazione di vitalità
religiosa e di rigetto dell’influenza comunista. I numerosi contatti
tra la gerarchia e il governo nella fase preparatoria di tale evento

2. Cfr A. M. Villaverde, «La Reforma Agraria Cubana y la Iglesia Católica


(3 de julio de 1959)», in La voz de la Iglesia en Cuba: 100 documentos episcopales,
México, D.F., Obra Nacional de la Buena Prensa, 1995, 80-83.
3. Questa opinione però contrasta con un’inchiesta del 1954 che mostrava
come la popolazione cubana, pur professandosi credente, non potesse considerarsi
praticante. Il 72,5% dei cittadini si dichiarava cattolico, ma il 27% di essi affermava
di non aver mai visto un sacerdote. Soltanto il 24% (ossia il 17,4% dell’intera popo-
lazione) partecipava abitualmente alla Messa domenicale. Cfr M. J. Marimón, «The
Church», in C. Mesa-Lago (ed.), Revolutionary Change in Cuba, Pittsburgh (PA),
University of Pittsburgh Press, 1974, 400 s.
ARTICOLI

mostrano che alla fine del 1959 i vescovi si auguravano ancora di


poter esercitare un influsso sul processo rivoluzionario tramite la
dottrina sociale della Chiesa4. Questo desiderio venne rapidamente
cancellato nei primi mesi dell’anno successivo.

Rottura (1960-61)

Dalla seconda metà del 1959 divenne evidente un avvicinamen-


to del nuovo governo all’Unione Sovietica, come dimostrò la vi-
sita del vicepremier russo Anastas Ivanovič Mikoyan nel febbraio
1960. La presenza maggioritaria nell’isola di clero spagnolo, che
aveva sofferto le conseguenze della Guerra civile, segnò fortemente
la lettura di tale evento.
232
Nel corso di quell’anno si succedettero vari pronunciamenti
episcopali che affermavano l’incompatibilità tra il comunismo e
la fede cristiana. La tensione allora giunse fino all’aggressione
fisica e indusse i vescovi a scrivere una lettera pubblica a Fidel
Castro, nella quale essi denunciavano una campagna antireligiosa
a livello nazionale e gli chiedevano di prendere posizione in tale
frangente5. In risposta, Castro enunciò l’identità tra anticomuni-
smo, controrivoluzione e un atteggiamento anticattolico. Tutta-
via, la presenza di tre sacerdoti e di numerosi dirigenti laici fra
le truppe d’invasione della Baia dei Porci (aprile 1961) fornì al
governo la prova dell’opposizione attiva della Chiesa alla svolta
marxista della Rivoluzione.
Nel giugno 1961 venne nazionalizzato l’intero insegnamento
privato, comprese due università e 324 scuole cattoliche. Il gover-
no intervenne anche nei confronti dei mezzi di comunicazione, e
nel settembre di quell’anno più di 100 operatori pastorali vennero
espulsi da Cuba. Molti altri sacerdoti, religiosi e religiose abban-
donarono il Paese per timore di rappresaglie e/o per aver perduto
le istituzioni di riferimento. Alla fine di quel periodo, in pratica,

4. Cfr P. Kuivala, Never a Church of Silence: the Catholic Church in Revolu-


tionary Cuba, 1959-1986, Helsinki, University of Helsinki, 2019, 90.
5. Cfr Conferencia de Obispos Católicos de Cuba, «Carta abierta del
Episcopado al Primer Ministro Dr. Fidel Castro (4 de diciembre de 1960)», in La voz
de la Iglesia en Cuba: 100 documentos episcopales, cit., 146-150.
RECEZIONE DEL CONCILIO VATICANO II A CUBA FRA IL 1959 E IL 1985

l’intera infrastruttura non parrocchiale era passata nelle mani dello


Stato, e la Chiesa aveva perso la possibilità di mobilitare l’opinione
pubblica6. Sebbene una minoranza di laici continuasse a ricono-
scere la propria identità cattolica, molti abbandonarono il Paese, in
risposta alle misure del governo rivoluzionario, e altri si allontana-
rono dalla Chiesa per le loro idee politiche o in seguito a pressioni
esterne7.

Resistenza (1962-68)

Molti autori etichettano questo periodo come «Chiesa del silen-


zio»: con ciò intendono descrivere la strategia seguita dalla Chiesa
per sopravvivere ed evitare ulteriori scontri con il regime sociali-
233
sta. Secondo questi autori, la Chiesa venne praticamente confinata
alla dimensione cultuale, senza poter svolgere impegni sociali e di
evangelizzazione8.
L’assenza di documenti magisteriali risalenti a quel periodo nella
raccolta ufficiale La voz de la Iglesia en Cuba sembrerebbe avallare
tale considerazione. Ciò nonostante, la categoria di «Chiesa del si-
lenzio» è stata importata dall’esperienza dell’Europa dell’Est e non
corrisponde appieno alla realtà storica cubana. Nel corso di quegli
anni la comunicazione tra i parroci e i vescovi non venne meno, e
perlomeno uno di loro fu in corrispondenza con dirigenti rivolu-
zionari per risolvere questioni particolari9.
Sia pure con discrezione, la Chiesa non fu mai assente dalla di-
mensione pubblica, come mostrano i frequenti articoli su temi reli-
giosi di p. Ignacio Biaín Moyúa e di Carlos Manuel de Céspedes sul

6. Dei 723 sacerdoti e 2.225 religiose presenti a Cuba nel 1960, cinque
anni dopo restavano soltanto 225 sacerdoti e 191 suore. Cfr M. J. Marimón, «The
Church», cit., 402.
7. Tra il 1960 e il 1962 abbandonarono l’isola circa 200.000 cubani, su una
popolazione di poco inferiore a sette milioni di persone.
8. Cfr E. Dussel, Historia de la Iglesia en América Latina: medio milenio de
coloniaje y liberación (1492-1992), Madrid - México, D. F., Mundo Negro - Esquilla
Misional, 1992, 259.
9. Cfr I. Uría, Iglesia y Revolución en Cuba: Enrique Pérez Serantes (1883-
1968), el obispo que salvó a Fidel Castro, Madrid, Encuentro, 2011, 527-530.
ARTICOLI

quotidiano El Mundo10. Nel 1962 nacque il bollettino Vida cristiana,


che dal gennaio 1963 ebbe una tiratura nazionale e divenne l’orga-
no ufficioso della Chiesa. Mentre si svolgeva il Concilio Vaticano II,
questi media diffusero informazioni sui dibattiti e sulle conclusio-
ni dell’assemblea. In quegli anni non si interruppero neppure gli
incontri della Conferenza episcopale e dei suoi gruppi di lavoro.
Sebbene la frequentazione delle Messe da parte dei fedeli si fosse
ridotta drasticamente, i vescovi continuarono a far visita alle loro
comunità, soprattutto nelle feste patronali, e a loro volta le comuni-
tà continuarono a celebrare i sacramenti e a offrire spazi di forma-
zione. Ciò dimostra come l’apparente silenzio non abbia significato
l’assenza della Chiesa dallo spazio pubblico, ma piuttosto una resi-
stenza attiva tra forti pressioni esercitate sui suoi membri affinché
234
abbandonassero la pratica religiosa.
Due protagonisti di questo periodo furono mons. Cesare Zac-
chi, incaricato d’affari vaticano a Cuba dal 1962 al 1974, e l’am-
basciatore cubano presso la Santa Sede, Luis Amado Blanco, che
svolse quel ruolo dal 1961 fino alla sua morte, avvenuta nel 1975.
Questi due personaggi si adoperarono per mantenere aperto un ca-
nale di comunicazione tra la Chiesa e il governo cubano anche nei
momenti di massima difficoltà.

Distensione e collaborazione critica (1968-85)

Come è avvenuto nelle altre regioni dell’America Latina, la


Conferenza di Medellín (1968) ebbe un impatto fondamentale sulla
Chiesa cubana, contribuendo a un ripensamento della sua missione
nel contesto socialista. L’influsso di tale assemblea si associò a un
cambiamento generazionale delle autorità ecclesiali, che portò a una
configurazione totalmente autoctona della Conferenza episcopale.
Nell’aprile 1969, in coincidenza con l’anniversario dell’invasione
della Baia dei Porci, venne divulgato il primo pronunciamento col-
lettivo dell’episcopato cubano dopo il 1960. Il comunicato sottoli-
neava la dimensione spirituale del lavoro e la testimonianza che i

10. M. F. Trujillo Lemes, El pensamiento social católico en Cuba en la década


de los 60, Santiago de Cuba, Editorial Oriente, 2011, 128 s.
RECEZIONE DEL CONCILIO VATICANO II A CUBA FRA IL 1959 E IL 1985

cristiani attraverso di esso erano chiamati a offrire come sale della


terra e luce del mondo. Con ciò si cercava una base comune per
il dialogo tra cristiani e rivoluzionari riguardo all’importanza del
lavoro per lo sviluppo del Paese. Particolare risonanza ebbe la parte
del comunicato in cui si affermava il legame tra l’opzione per i pove-
ri e la condanna dell’embargo economico imposto dagli Stati Uniti.

LA CHIESA RICONOSCEVA CHE IL PROCESSO


RIVOLUZIONARIO NON ERA PASSEGGERO, E CHE
ESSA DOVEVA CERCARE POSSIBILI VIE DI DIALOGO.

Sul documento, la comunità cattolica cubana si mostrò divisa:


235
mentre alcuni elogiavano il nuovo atteggiamento delle autorità ec-
clesiali, altri lo consideravano un tradimento dell’antica politica di
resistenza e di denuncia. Questo comunicato ebbe il merito di pri-
vilegiare i problemi dei fedeli nell’isola rispetto agli interessi di un
settore maggioritario del cattolicesimo cubano in esilio. Il dibattito
interno che ne scaturì costrinse i vescovi a pubblicare un secon-
do comunicato, per spiegare in maniera più approfondita le idee di
Medellín e del Concilio Vaticano II. La Chiesa cubana riconosceva
che il processo rivoluzionario non era un fenomeno passeggero, e
che pertanto essa doveva cercare possibili vie di dialogo con quella
realtà. Un simile atteggiamento significava una crisi di maturazio-
ne e di crescita che comportava «morire a qualcosa per acquisire
elementi nuovi»11.
A partire da quel momento, nelle relazioni tra la Chiesa e lo Stato
si fece strada una nuova alternativa, caratterizzata dalla collaborazione
pragmatica su valori condivisi, sebbene permanesse un atteggiamen-
to critico verso certi aspetti dell’ideologia socialista12. Come fa notare
lo storiografo gesuita Manuel Maza Miquel, «se la Spagna liberale
tra il 1830 e il 1840 chiuse i noviziati, espulse i religiosi e confiscò le

11. Conferencia de Obispos Católicos de Cuba, «Comunicado de la


Conferencia episcopal de Cuba “A nuestros sacerdotes y fieles” (3 de septiembre de
1969)», in La voz de la Iglesia en Cuba: 100 documentos episcopales, cit., 185.
12. Su questo punto concordiamo con le conclusioni di M. J. Marimón, «The
Church…», cit., 406 s.
ARTICOLI

proprietà della Chiesa, [e ciò non impedì] il Concordato del 1851»13,


perché le cose nel 1969 avrebbero dovuto andare diversamente?
Dopo la pubblicazione dei comunicati del 1969 si registrarono
sporadici segnali di miglioramento nelle relazioni tra la Chiesa e il
governo. Nel corso della sua visita in Cile nel 1971, Fidel Castro
si intrattenne con un gruppo di sacerdoti e con il card. Raúl Silva
Henríquez, e quell’incontro, anche se scatenò molte critiche, venne
appoggiato dall’arcivescovo dell’Avana Francisco Oves. Nel 1974
fu il Segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, card. Agostino
Casaroli, a visitare Cuba, ricevuto da Castro. D’altra parte, nel 1976
venne approvata la nuova Costituzione, che consacrava il carattere
ateo dello Stato e concepiva la religione come un pregiudizio anti-
scientifico da eliminare. L’anno prima si era celebrato il I Congresso
236
del Partito comunista cubano (Pcc), che escludeva i credenti dalle
proprie file. Nell’estate 1985 venne celebrato all’Avana l’Incontro
sul debito estero, al quale parteciparono il presidente e il segretario
della Conferenza episcopale. In un messaggio ai cattolici dell’isola, i
vescovi sottolinearono che era la prima volta che la gerarchia veniva
invitata a un evento organizzato dal governo socialista14.
All’inizio del 1985 venne pubblicato a Cuba il libro Fidel y la
religión, un avvenimento decisivo riguardo alla percezione del feno-
meno religioso15. L’opera ebbe un grande successo editoriale nell’i-
sola e, sorprendentemente, segnò il ritorno della religione nel dibat-
tito pubblico. Per gli ideologi del marxismo-leninismo, il fatto che
proprio Castro rompesse il silenzio ufficiale su un tema considerato
tabù era un evento davvero inaudito. Molti lettori, e la popolazione
in generale, cominciarono a chiedersi se anche loro avrebbero potu-
to parlare apertamente delle proprie convinzioni religiose e tornare
a frequentare le chiese senza dover temere rappresaglie16.

13. Cfr M. Maza Miquel, «Perderse en Cuba. Apuntes sobre la Iglesia en la


Revolución cubana (1959-1992)», in Sal Terrae, ottobre 1992, 561.
14. Cfr Id., Esclavos, patriotas y poetas a la sombra de la cruz: cinco ensayos sobre
catolicismo e historia cubana, Santo Domingo, RD, Centro de Estudios Sociales Pa-
dre Juan Montalvo, 1999, 66.
15. Cfr F. Castro - F. Betto, Fidel y la religión: conversaciones con Frei Betto,
La Habana, Oficina de Publicaciones del Consejo de Estado, 1985.
16. Cfr P. Kuivala, Never a Church of Silence…, cit., 279 s.
RECEZIONE DEL CONCILIO VATICANO II A CUBA FRA IL 1959 E IL 1985

La recezione del Concilio nella Cuba socialista

Un’altra fama che accompagna la Cuba degli anni Sessanta e


Settanta del secolo scorso, accanto a quella di essere stata una «Chie-
sa del silenzio», è di aver accolto scarsamente o per nulla il Concilio
Vaticano II. Secondo coloro che sostengono tale opinione, la Chiesa
di Cuba sarebbe stata così concentrata sulla propria sopravvivenza
da non riuscire ad assimilare il rinnovamento conciliare17. Tuttavia,
dal punto di vista storico, si può comprovare l’esistenza, a Cuba, di
gruppi di studio composti da clero e laicato per analizzare i docu-
menti del Concilio18. Allo stesso modo, c’è il riscontro di uno scam-
bio epistolare tra i vescovi cubani a Roma e alcuni laici dell’isola,
in cui si informava sui lavori del Concilio19. Lo stesso arcivescovo
di Santiago, Enrique Pérez Serantes, di formazione marcatamente 237
preconciliare, al punto da addurre problemi di salute per evitare il
viaggio a Roma, seppe poi accogliere la novità del Vaticano II, di-
vulgarla nella sua diocesi e organizzare una giornata di riflessione
ecumenica nella cattedrale della sua città20.
Dal punto di vista teologico, non è corretto generalizzare
il fenomeno della scarsa recezione conciliare senza tener conto
delle particolarità delle Chiese locali. Così facendo, si neghereb-
be il principio conciliare che riconosce il valore della diversità
nelle varie comunità e la nascita di una Chiesa universale non
uniforme21. Certo, se come parametri della recezione concilia-
re nell’America Latina ci valiamo esclusivamente dell’affermarsi
della teologia della liberazione, della creazione delle Comunità

17. Cfr M. E Crahan, «Cuba: Religion and Revolutionary Institutionaliza-


tion», in Journal of Latin American Studies 17 (1985) 319-340; R. Gómez Treto,
The Church and Socialism in Cuba, Maryknoll (NY), Orbis Books, 1988; F. Pérez
Valencia, «La Iglesia católica cubana: Entre el Vaticano II y la Revolución marxista
(1959-1966)», in Cultura y Religión 13 (2019) 4-23.
18. Cfr P. Kuivala, Never a Church of Silence…, cit., 127.
19. Cfr ivi, 142 s. Due vescovi cubani parteciparono al Concilio e si preoccu-
parono di diffonderne la dottrina quando tornarono a Cuba. Si trattava di Adolfo
Rodríguez de Camagüey e del gesuita Fernando Azcárate, ausiliare all’Avana.
20. Cfr I. Uría, Iglesia y Revolución en Cuba…, cit., 529 s.
21. Cfr K. Rahner, «A Basic Theological Interpretation of the Second Vati-
can Council», in Id., Theological Investigations, vol. 20, New York, Crossroad, 1981,
77-89.
ARTICOLI

ecclesiali di base (Ceb) e della radicalizzazione politica a sinistra


di una parte importante del clero e dei fedeli, allora dobbiamo
dire che l’impatto del Concilio nell’isola in quel periodo fu mol-
to ridotto22 .
Ciò nonostante, nella realtà cubana degli anni Sessanta la mag-
gior parte delle comunità ecclesiali erano così piccole che in esse
avveniva quel «vivere con gli altri in modo personale e fraterno»
che Medellín auspicava per le Ceb23. Il comunicato episcopale del
1969 costituì un esempio dell’applicazione della Gaudium et spes,
dei documenti di Medellín e della Populorum Progressio a Cuba,
mostrando che la riflessione sull’opzione per i poveri non era affatto
ignorata dalla Chiesa cubana.
D’altra parte, la recezione teologica non è mera obbedienza alle
238
decisioni prese dall’alto secondo il modello ecclesiologico pirami-
dale, che prevede una chiara distinzione tra la Chiesa che insegna
(ecclesia docens) e la Chiesa che accoglie passivamente queste formu-
lazioni (ecclesia discens). Al contrario, tale fenomeno può conside-
rarsi «il processo per cui un corpo ecclesiale fa sua nella verità una
determinazione che esso non s’è data da se stesso, riconoscendo così,
nella misura dichiarata, una regola che conviene alla sua vita»24.
Questa definizione di Yves Congar ammette che la recezione non è
una questione automatica, e che in essa non possono essere ignorate
le condizioni specifiche della Chiesa locale. L’influsso del Concilio
a Cuba si può riconoscere secondo due nozioni principali – quelle
di partecipazione e di testimonianza –, che vanno spiegate a partire
dal contesto cubano.
Diversamente da quanto affermato da López Oliva, dopo la Ri-
voluzione la Chiesa non attraversò un processo di «clericalizzazione
e delaicizzazione» che l’avrebbe orientata in una direzione opposta
a quella del resto dell’America Latina25. Lo scioglimento di storiche

22. Tesi sostenuta da F. Pérez Valencia, «La Iglesia católica cubana…», cit., 5.
23. Cfr II Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, Do-
cumento di Medellín (1968), in Enchiridion. Documenti della Chiesa latinoamericana,
Bologna, Emi, 1995, 250.
24. Y. Congar, La ricezione come realtà ecclesiologica, in Concilium 8 (1972/7) 77.
25. Cfr E. López Oliva, «La Iglesia católica y la Revolución cubana», in Temas
55 (2008) 142 s.
RECEZIONE DEL CONCILIO VATICANO II A CUBA FRA IL 1959 E IL 1985

organizzazioni laicali come Juventud obrera católica (Joc) fu dovu-


to al contesto di incertezza politica del 1961, ma non significava
che il laicato si trasformasse in una «appendice controllata dalla
gerarchia»26.
Dopo l’espatrio di numerosi operatori pastorali, i laici cubani
assunsero la responsabilità della maggior parte delle attività parroc-
chiali, compresi i ruoli amministrativi e liturgici che in precedenza
erano riservati al clero. Questa situazione non pianificata rese possi-
bile un forte senso di appartenenza e di corresponsabilità comunita-
ria. La nuova ecclesiologia del Vaticano II offrì un’argomentazione
teologica per confrontarsi con tale contesto emergenziale.
La Sacrosanctum Concilium (SC) consacrò l’idea della actuosa
participatio come leitmotiv di tutto il rinnovamento liturgico, e con
239
ciò anticipò quell’ecclesiologia del popolo di Dio e del sacerdozio
comune che successivamente sarebbe stata sviluppata dalla Lumen
gentium27. Non è un caso che proprio il culto sia stato una delle aree
in cui le idee conciliari trovarono maggiore sviluppo a Cuba, anche
perché questa dimensione fu una delle meno colpite dai conflitti con
il nuovo sistema politico. L’intenzione del Concilio era di superare
il ruolo dei fedeli come «estranei o muti spettatori» (SC 48), esatta-
mente ciò di cui i cattolici dell’isola avevano bisogno per mantenere
viva una Chiesa in cui scarseggiavano i ministri ordinati. Questo
nuovo modo di concepire il culto cristiano «implicitamente si estese
oltre la liturgia alla Chiesa in generale […]. La liturgia, per così
dire, aveva implicazioni e ramificazioni ecclesiologiche»28.
Quella della «testimonianza silenziosa», secondo la studiosa Pe-
tra Kuivala, è l’altra chiave per capire l’azione ecclesiale a partire
dagli anni Sessanta29. In un contesto in cui clero e laicato subivano
nella stessa misura lo stigma sociale e i rischi implicati dalla loro
fede, la testimonianza silenziosa costituì una modalità privilegiata

26. Ivi, 143.


27. Cfr Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Con-
cilium, nn. 11; 14; 19; 21; 27; 30; 41; 50; 79; 113; 114; 121; 124.
28. J. W. O’Malley, What happened at Vatican II, Cambridge (MA), Harvard
University Press, 2008, 141 (in it. Che cosa è successo nel Vaticano II, Milano, Vita e
Pensiero, 2010).
29. Cfr P. Kuivala, Never a Church of Silence…, cit., 161-173.
ARTICOLI

di evangelizzazione e di resistenza. Questo concetto richiedeva loro


di assumere con integrità la discriminazione religiosa e di mostrare
allo stesso tempo, con una vita esemplare, le conseguenze di quella
fede che nel discorso ufficiale veniva disprezzata. Questa testimo-
nianza, sia pure silenziosa, non significava mera passività e occul-
tamento, ma poteva essere interpretata anche come un segno di
fedeltà nel contesto di un sistema ideologicamente ostile.
Il pericolo di questo atteggiamento era che nei cattolici si creasse
una mentalità di isolamento, rendendoli incapaci di riconoscere che
proprio quel contesto poteva illuminare l’esperienza della loro fede.
Il superamento di tale tentazione, fondamentalmente nel corso del
processo della Rec e dell’Enec, non si è svolto senza tensioni inter-
generazionali in seno alla comunità cattolica.
240
Come per la nozione di partecipazione, i cattolici cubani trova-
rono appoggio nel Concilio Vaticano II riguardo allo sviluppo della
testimonianza cristiana come mezzo di «evangelizzazione». Questo
termine appare lungo tutta l’opera conciliare con diverse varian-
ti, tramite i vocaboli latini testimonium, testis e testificare30. Anche
nei passi in cui tali termini non sono esplicitati, il loro significa-
to è latente nella descrizione della missione ecclesiale. La categoria
della testimonianza ha consentito alla Chiesa di progredire nella
comprensione dell’evangelizzazione, che non va attuata imponen-
do meccanismi di controllo sulle realtà temporali, ma attraverso «la
forza [ovvero la testimonianza] che […] consiste in quella fede e
carità effettivamente vissute» (Gaudium et spes [GS], n. 42).
Una particolare attenzione merita un passo del Concilio, mol-
to utile per capire l’opera di evangelizzazione nel contesto cubano:
«Si danno a volte delle circostanze che, almeno temporaneamente,
rendono impossibile l’annuncio diretto ed immediato del messag-
gio evangelico. In questo caso i missionari possono e debbono con
pazienza e prudenza, e nello stesso tempo con grande fiducia, of-
frire almeno la testimonianza della carità e della bontà di Cristo,
preparando così le vie del Signore» (Ad gentes, n. 6).

30. Cfr O. Rush, The Vision of Vatican II: Its Fundamental Principles, College-
ville (MN), Liturgical Press, 2019, 525 s.
RECEZIONE DEL CONCILIO VATICANO II A CUBA FRA IL 1959 E IL 1985

Considerazioni finali

Diversamente da altri Paesi latinoamericani, la Chiesa cubana


del 1986 era una realtà numericamente esigua31. Benché prive di
influenza politica e con risorse materiali troppo scarse per riuscire
ad attuare la propria opzione evangelizzatrice, le comunità cristia-
ne avevano sviluppato un forte senso di «partecipazione» e di fra-
tellanza tra i loro membri. In un ambiente ideologicamente ostile,
essere cattolico era considerato una sorta di suicidio sociale, perché
significava sottostare a numerose limitazioni sul piano professio-
nale, negli studi e nella vita quotidiana. È comprensibile che in tali
circostanze la «testimonianza silenziosa» fosse il modo preferenziale
per evangelizzare la società. La coerenza tra una vita esemplare e la
fede che si professava era la risorsa principale per abbattere i pregiu- 241
dizi antireligiosi.
Questa situazione non significò necessariamente una comuni-
tà ritirata nella dimensione cultuale, ma timorosa di fronte all’idea
di annunciare esplicitamente il Vangelo: una sfiducia condivisa dai
suoi interlocutori, che consideravano qualsiasi messaggio religioso
come una minaccia al processo rivoluzionario.
I cattolici cubani probabilmente provavano una sorta di com-
plesso di inferiorità, trattati com’erano da cittadini di serie B, per
i quali era praticamente impossibile avere pieno riconoscimento
sociale. Al tempo stesso, quei credenti che avevano scelto di ade-
rire al processo rivoluzionario si sentivano emarginati dall’ambito
ecclesiale. Alcuni sporadici segnali di distensione nei rapporti tra la
Chiesa e lo Stato mostravano la possibilità di un cammino diverso.
In quel momento, quando molti pronosticavano che la Chiesa si
sarebbe estinta nel corso degli anni per l’invecchiamento dei suoi
membri, sorse l’iniziativa di un processo sinodale, che mostrò la
vitalità della Chiesa cubana.

31. Questa considerazione tiene conto soltanto dei membri che partecipavano
attivamente alla vita ecclesiale; molti altri cubani conservavano le proprie creden-
ze religiose su un piano strettamente privato e familiare. L’ Annuario pontificio di
quell’anno riportava, come cifra di cattolici (battezzati), quella di 3.973.000 cubani
su un totale di 10.484.000 abitanti. La Conferenza episcopale stimava in 150.000
(1%) i credenti attivi nella Chiesa. Cfr E. Crahan, «Cuba…», cit., 335, nota 58.
ARTICOLI

Conclusioni

Piuttosto che cercare colpevoli e innocenti, responsabili e


vittime nei complessi rapporti tra la Chiesa e il governo rivo-
luzionario cubano dal 1959 in poi, in questo articolo abbiamo
preferito domandarci come la Chiesa abbia progressivamente
scoperto la propria missione in un nuovo contesto socialista a
cui non era preparata.
La comunità cattolica cubana – laici e pastori – passò dallo
scontro alla collaborazione critica con il nuovo sistema sociopo-
litico, senza lasciarsene assimilare del tutto, né identificarsi in
un’organizzazione religiosa subordinata allo Stato. Questa evolu-
zione si può spiegare come un semplice adattamento per garantire
242 la sopravvivenza della Chiesa, ma, pur senza negare tale legittima
preoc­cupazione, può essere anche interpretata come un approfon-
dimento della dinamica dell’incarnazione e una maturazione della
propria coscienza ecclesiale in un contesto inedito.
In effetti, non c’è realtà in cui si possa dichiarare l’assenza dello
Spirito di Dio e dove la Chiesa non possa apprendere dai segni dei
tempi, approfondire la propria comprensione del Vangelo e appor-
tarne i valori per collaborare al progresso della società. È proprio il
Concilio a riconoscerlo: «È dovere di tutto il popolo di Dio, soprat-
tutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, ascol-
tare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del no-
stro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché
la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa
e possa venir presentata in forma più adatta» (GS 44).
«FERMATE IL MONDO, VOGLIO SCENDERE!»
La scomparsa di Quino, il «papà» di Mafalda

Giancarlo Pani S.I.

La scomparsa di Quino, il «papà» di Mafalda, ha portato alla


luce un po’ ovunque l’immenso mondo delle strisce disegnate
lungo cinquant’anni dall’artista argentino. Tra queste è emersa
una famosa vignetta, correntemente attribuita a Mafalda: «Fer-
243
mate il mondo, voglio scendere!». Ebbene, la battuta non è sua!
Lo ha rivelato lo stesso Quino, in un’intervista del 2012 alla Bbc,
non solo negando la paternità della frase, ma aggiungendo che
Mafalda vuole bene al mondo, lo vuole migliorare, non inten-
de affatto abbandonarlo… Il suo affetto sincero è indiscutibile1.
Numerose strisce la mostrano intenta a curare il mappamondo:
lo mette in un lettino, gli parla, lo accarezza, lo consola, chiama
perfino l’ambulanza2; soprattutto, vuole la pace per il mondo. E
quando si accorge che sta male, perché Pechino, il Pentagono e il
Cremlino sono in conflitto, li cancella dal mappamondo, perché
così si potrà vivere in pace3.
Oggi Mafalda è in lutto per la perdita del papà: Joaquín Salvador
Lavado Tejón, noto come Quino, il soprannome ricevuto da pic-
colo per distinguersi dallo zio disegnatore per la pubblicità, che lo
avviò al disegno all’età di tre anni. Il celebre fumettista argentino,

1. Cfr A. Llorente, «Muere Quino, creador de Mafalda» (www.bbc.com/


mundo/noticias-54381038), 1 ottobre 2020.
2. Cfr Quino, Tutta Mafalda, Milano, Fabbri - Bompiani, 1978, 75 (il Medio
Oriente è cancellato dal mappamondo perché ci sia pace); 77 (il mondo ha l’Asia ma-
lata); 87; 163 (il mondo dimagrisce, perché sta male per i tanti dispiaceri); 194; 200;
240 (stufi di vedere che il mondo è governato con i piedi); 333 (la preoccupazione
per il mondo); 343; 355 (quando un Paese del mondo si rompe, dove lo buttano?);
371; 401 (e non sarà che a questo mondo c’è sempre più gente e sempre meno per-
sone?); 410; 420 ecc.
3. Ivi, 75.

© La Civiltà Cattolica 2020 IV 243-254 | 4089 (7/21 novembre 2020)


ARTICOLI

nato a Mendoza nel 1932 da immigrati andalusi, è morto nella sua


città, colpito da un ictus.
Quino è associato indelebilmente a Mafalda, la sua creatura,
l’enfant terrible, divenuta in brevissimo tempo simbolo di un mon-
do critico e pessimista, contestatario e mordace, sempre sovver-
sivo, ma intimamente sincero e buono, soprattutto intelligente e
saggio, colmo di buon senso. Le sue battute più sarcastiche sono
contro «i grandi», che non fanno molto per risolvere i drammatici
problemi che attanagliano gli Stati: la fame, l’ingiustizia sociale,
la guerra, la stupidità umana. Odia il comunismo, ama la demo-
crazia ed è appassionata dei Beatles.
Mafalda può anche risultare antipatica, perché sempre pronta
a «fare le bucce» ai discorsi degli adulti, alla cosiddetta «saggezza
244
dei grandi», alla cultura dominante, eppure ha sempre ragione,
e soprattutto fa sorridere, è spassosa e diverte. La sua critica non
risparmia nessuno: né la società, né la scuola, né la famiglia, e
nemmeno le istituzioni, la polizia, l’economia monetaria e per-
fino la motorizzazione; eppure il bello è che vede giusto, non si
può fare a meno di condividere ciò che pensa.

La nascita di Mafalda

Mafalda nasce in Argentina, a Buenos Aires, nel 1963, per


la pubblicità della ditta di elettrodomestici «Mansfield». Quino,
il padre e inventore, ha 31 anni e un discreto successo come vi-
gnettista. Nelle vignette andava raffigurata una famiglia tipica
del ceto medio, e nel nome di un personaggio doveva apparire il
marchio della ditta «MA». Quino crea una striscia comica – una
novità anche per lui – in cui spunta il personaggio «Mafalda».
Purtroppo la Mansfield non apprezza i suoi disegni, che vanno a
finire in un cassetto, ma non vengono dimenticati.
Nel 1964 la piccola Mafalda appare per la prima volta nel
settimanale Primera Plana di Buenos Aires e poi nel quotidiano
El Mundo. Nel 1966, Quino pubblica un albo con la prima rac-
colta delle strisce, a cura di un piccolo editore di Buenos Aires:
la prima edizione, di 5.000 copie, si esaurisce in due giorni.
MAFALDA LA CONTESTATARIA

Inizia «il fenomeno Mafalda»: in 12 anni si arriva a cinque mi-


lioni di copie4.
Il personaggio inizia a varcare le frontiere nazionali e si diffon-
de in Sudamerica. In Europa appare per la prima volta in Italia nel
1968, con la traduzione pubblicata da Feltrinelli, in un’antologia
narrativa – Il libro dei bambini terribili5 – e poi in una serie di strisce
sul Corriere della Sera. L’anno seguente Bompiani pubblica Mafalda
la contestataria, il primo libro di Quino che compare in Europa.
Le strips sono precedute da un’introduzione redazionale non firma-
ta, «Mafalda o del rifiuto», scritta da Umberto Eco, direttore della
collana e grande ammiratore del personaggio6. Dall’Italia inizia la
diffusione in tutta Europa e nel 1970 il personaggio è conosciuto
ovunque, con uno strepitoso successo in Spagna e Portogallo. Il
245
quotidiano romano Paese Sera pubblica quotidianamente una stri-
scia di Quino. Dal 1972 iniziano anche i cartoni animati e nel 1977
sono in circolazione 52 film di cinque minuti ciascuno. Oggi Ma-
falda è tradotta in più di 30 lingue.
Il momento del maggior successo delle strisce è proprio il 1968:
Quino è presente a Parigi nel Maggio francese. I giovani che fanno
il tifo per i Peanuts – per Charlie Brown e per Linus, il marmocchio
che era felice per una coperta che lo proteggeva da tutto – si entu-
siasmano per Mafalda e vedono in lei un’amica che pensa come loro
e usa lo stesso linguaggio contestatario.
Qualche anno dopo, Quino si trasferisce con la moglie a Mi-
lano, dove rimane sei anni, e conosce l’argentino Marcelo Ravoni,
che ormai è il suo traduttore specializzato in Italia e rappresentan-
te. Il fumetto quindi attraversa il Sessantotto, assiste al movimento
dei guerriglieri in Argentina e arriva fino alla dittatura, la «guerra
sporca» che avrebbe lasciato nel Paese 30.000 vittime, tra omicidi
e desaparecidos. Ma nel 1973 per Mafalda c’è una svolta cruciale:
anche lei è una desaparecida, forse per la sua continua indignazione,
come ha confessato il suo papà.

4. Per le notizie, cfr www.quino.com.ar/, e l’introduzione a Quino, Tutta


Mafalda, cit., VII-XV.
5. Quino, Il libro dei bambini terribili per adulti masochisti, Milano, Feltrinelli,
1968.
6. Id., Mafalda la contestataria, Milano, Bompiani, 1969.
ARTICOLI

La genialità di Quino

Nel 1973 accade l’imprevedibile: Quino è stato geniale non solo


nell’inventare Mafalda, ma anche nel saper chiudere una storia di
enorme successo giunta all’apice. Da quell’anno non disegna più le
strips, che pure continuano ad avere un’eccezionale affermazione in
tutto il mondo. Il «padre» di Mafalda si rifiuta di sfruttare le proprie
creature e non imita quei genitori che vivono largamente a spese
del successo del loro enfant prodige: tutto quello che aveva da dire
lo ha detto, e continuare non sarebbe servito a nulla; o forse il lin-
guaggio critico e mordace di una bambina di sei anni non era più
gradito al mondo?
C’è stata tuttavia un’eccezione. Quino torna a disegnare Mafal-
246 da nel 1977, quando l’Unicef gli chiede di illustrare i dieci princìpi
della Dichiarazione dei Diritti del Bambino7. Così Mafalda è «risorta»,
scelta per le campagne promozionali, e l’autore disegna per l’orga-
nismo mondiale 10 vignette e un poster, cedendo gratuitamente
i diritti. La contestataria Mafalda vive per proclamare i diritti dei
piccoli che nel mondo ancora non sono da molti osservati; e nell’ul-
tima vignetta punta il dito contro il mappamondo, ammonendo: «E
questi diritti… rispettiamoli sul serio, eh? Che non accada come per
i dieci comandamenti!»8.

«Mafalda la contestataria»

Come si è detto, in Italia è stato l’editore Bompiani a presentare


per primo Mafalda nel 1969, con un titolo di per sé significativo:
Mafalda la contestataria. Umberto Eco, nella prefazione, definisce
la bambina dai capelli corvini «un eroe del nostro tempo»; e prose-
gue: «Mafalda non è soltanto un nuovo personaggio del fumetto: è
forse il personaggio degli anni Settanta. Se si è usato, per definir-
lo, l’aggettivo di “contestataria”, non è per uniformarsi alla moda
dell’anticonformismo a tutti i costi: Mafalda è veramente un’eroina

7. Dichiarazione dei Diritti del Bambino. Commentata da Mafalda e i suoi amici


per l’Unicef (Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia), 1979: cfr Quino, Tutta Mafal-
da, cit., 415-420.
8. Ivi, 420. Cfr G. Pani, «I diritti dell’infanzia», in Civ. Catt. 2019 II 444-455.
MAFALDA LA CONTESTATARIA

arrabbiata che rifiuta il mondo così com’è. […] Una sola cosa sa con
chiarezza: non è contenta. […] In Mafalda si riflettono le tendenze
di una gioventù irrequieta, che qui assumono l’aspetto paradossale
di un dissenso infantile, di un eczema psicologico da reazione ai
mass media, di un’orticaria morale da logica dei blocchi, di un’asma
intellettuale da fungo atomico»9.

MAFALDA, L’ENFANT TERRIBLE, IMPERTINENTE,


TESTARDA, CONTESTATARIA, EPPURE SINCERA E
BUONA: VEDE GIUSTO E HA SEMPRE RAGIONE.

«Mafalda e la zoocietà»
247
I titoli di successo delle sue strips sono numerosissimi. Mafalda
e la zoocietà è una delle tante indimenticabili serie10. La zoocietà
prende il nome da un dialogo tra Mafalda e il padre, a proposito
del fatto che si vive in una «società moderna». Lei chiede: «Sudicità
moderna?». Il padre: «SOCIETÀ moderna!». Mafalda: «ZOOCIE-
TÀ moderna!». I grandi non sempre si comportano come tali…11.
Ovviamente si parla del mondo fatto di adulti e bambini: i pro-
tagonisti sono sei bimbi e una coppia di genitori. Anche i bambini
sono divisi in coppie: Mafalda e Felipe, tutti e due vivaci e interes-
santi; Susanita e Manolito, limitati nell’intelligenza e negli ideali; e
poi Miguelito, il bimbo più piccolo e perfettamente innocente, e
infine il fratellino Nando, che è il più curioso di tutti. Al centro c’è
Mafalda, che ha intorno a sé, visibili, padre e madre; ma anche gli
altri hanno una parte notevolmente creativa.
Tuttavia i piccoli stanno in primo piano e si limitano a dire la
verità nel mondo umano di oggi, con l’immediatezza di chi non è
ancora abituato al gioco: una verità che i grandi conoscono perché

9. U. Eco, «Introduzione» a Mafalda la contestataria, in Quino, Tutta Mafal-


da, cit., XIX.
10. Quino, Mafalda e la zoocietà, Milano, Bompiani, 1973. Il titolo originale è
Mafalda 9; ha una dedica singolare di Quino: «Ai lettori caduti nel compimento del
loro dovere».
11. Ivi. Questa e le strisce seguenti non sono paginate.
ARTICOLI

la vivono, ma che non sanno più guardare distaccatamente, la so-


stituiscono con il mugugno informe e non osano più esprimerla;
la dicono invece chiaramente i bambini, appunto perché stanno ai
margini, e non sono penalmente perseguibili. Ma il discorso ri-
guarda il mondo dei grandi: i bambini sono soltanto un osservato-
rio privilegiato che gli adulti non possono ancora controllare fino
in fondo.
In una vignetta, Mafalda confida una sua scoperta al fratellino:
«Le formiche vivono nella stessa identica maniera in cui vivevano
migliaia di anni fa, e sono felici. Invece l’umanità, molta evoluzio-
ne, molta tecnica, molta scienza, e sempre più pasticci». Dopo un
po’ di silenzio meravigliato, il piccolo – che ancora non va a scuola –
osserva: «Quello che dici è tanto vero che non serve assolutamente
248
a niente».
Certo, Nando deve ancora crescere, ma è sempre pronto a cu-
riosare. Un giorno l’amico Felipe, tutto sudato, protesta per l’ecces-
sivo caldo. «Coppa del governo, velo?», interviene il piccolo. «No
– risponde subito Mafalda –, è colpa dell’estate». Poi, rivolgendosi a
Felipe: «Poverino, non sa ancora distribuire bene le colpe».
Gli emarginati vedono chiaro; e vedono soprattutto la propria
impotenza. Chi vede chiaro non conta nulla, adulto o bambino che
sia, e non può arrivare a tanto senza un esercizio progressivo; questa
graduale scoperta basta abbondantemente a rivelare la sua presenza,
ma anche a metterlo fuori gioco. È la condizione di una bambina,
Mafalda appunto, che dice e fa cose indiscrete.
I suoi genitori sono ovviamente «speciali»: non le impediscono
di protestare, urlare e dire la sua, di solito acuta e lungimirante.
Il padre le chiede: «Che cosa guardi in Tv, Mafalda?». «La lotta».
«Ma… se è un teleromanzo! Che lotta?». «Quella dello sceneggia-
tore; è appassionante vedere come ha lottato per non cadere nelle
grinfie dell’intelligenza».
Non manca la politica. «Gli uomini politici passano la vita a
dipendere gli uni dagli altri. Si uniscono, litigano, si separano, si
riuniscono…». Infine una faccia luminosa di Mafalda: «Se questo
non è AMORE, non so cosa sia».
Interessante la protesta «sindacale». Fa il comizio Miguelito: «Le
fiabe per i bambini non sono scritte dai bambini, ma dai grandi!».
MAFALDA LA CONTESTATARIA

Tutti: «È una vergogna!!!». «E neppure i giocattoli, né i dolci, né i


vestiti, niente di tutto quello che riguarda noi viene fatto da noi, ma
dai grandi! Perché dobbiamo sopportare questa situazione?». «Già!
Perché?». «Semplicemente perché neanche noi ci siamo fatti da noi;
ci hanno fatto i grandi!». Commento finale del popolo: «Troppo
sincero per essere un leader».
Ma per il comportamento irriverente di Mafalda c’è una puni-
zione in agguato: la minestra, che lei non sopporta. Guardando la
madre che sta ritagliando un pezzo di giornale, le chiede che cosa
fa. «Ritaglio una ricetta». «Roba buona?». «Una bella minestra!». Lei
guarda stizzita il resto del giornale ancora per terra e urla: «MALE-
DETTA LA LIBERTÀ DI STAMPA!»12.
In un’altra striscia, l’immagine di un piatto di minestra fumante,
249
e Mafalda con una faccia dolorosamente sconsolata: «La minestra
sta all’infanzia come il comunismo alla democrazia!»13.
A Manolito Mafalda confida che «minestra» è «una parolaccia»,
anzi «un’immonda schifezza». Ma il bambino fa presente che il di-
zionario non dice che la minestra è una «parolaccia», bensì «piatto
a base di pasta, riso, verdure, variamente cucinata e condita…»14.
Un giorno a tavola le viene servita l’ennesima minestra, e lei subito
borbotta: «Anche oggi è san Stomaco martire?»15.

«TuttaMafalda 2. Il denaro non è tutto»

Il volume appare in Italia nel 1978 e raggiunge nel 1991 sette


edizioni. Le strips danno un’idea più completa di questa singolaris-
sima vicenda, della storia quotidiana che essa implica e dei perso-
naggi che la definiscono16.
Il sottotitolo riprende una serie di strisce sul denaro, dove la vit-
tima di turno è Manolito, insieme alla drogheria del padre. Nelle
relazioni con gli amici egli ha sempre presente il commercio e il

12. La striscia ritorna in Quino, Mafalda 1. Le strisce dalla 1 alla 384, Milano,
Salani, 2020, 68.
13. Ivi, 76.
14. Ivi, 52.
15. Id., Mafalda e la zoocietà, cit. (testo non paginato).
16. Cfr Quino, TuttaMafalda 2. Il denaro non è tutto, Milano, Bompiani, 1978.
ARTICOLI

guadagno, che lo portano immancabilmente a fare propaganda per


il negozio e le più meschine figure. In una striscia Manolito legge
un libro a voce alta: «Nessuno vale per quello che ha ma per quello
che è». Con una faccia stralunata dice: «Ma va là! Se uno non ha,
nemmeno è»17.
Mafalda contempla una colomba e pensa: quella colomba non sa
cosa sia il denaro; e ciò nonostante è felice. Allora si rivolge a Ma-
nolito: «Tu credi che il denaro sia tutto nella vita?». «No. Certo che
il denaro non è tutto… Ci sono anche gli assegni». Segue la faccia
esterrefatta di lei...18.
Una domanda alla mamma, dopo aver visto una donna pove-
ra nella strada: «Perché ci sono i poveri?». Imbarazzo della madre:
«Beh… Dunque… Allora… Insomma…». Finale di Mafalda, dopo
250
aver preso una seggiolina ed essersi messa a sedere davanti a lei:
«Non pensavo di aver fatto una domanda così interessante»19. In
un’altra striscia lei parla a Susanita, dopo l’incontro con un men-
dicante: «Mi fa una pena enorme vedere i poveri». «Anche a me».
«Bisognerebbe dare pane, alloggio, protezione e benessere ai pove-
ri». Ribatte Susanita: «Perché tante cose? Basterebbe nasconderli».
Faccia ingrugnita di lei…20.
Susanita chiede a Mafalda, mentre scartoccia una caramella e
getta a terra la carta: «Pensi che il problema della fame nel mondo si
potrebbe risolvere dando ad ogni affamato una caramella?». «Non
mi pare proprio, perché?», risponde. Susanita, indicando le carte
delle caramelle che hanno quasi ricoperto il pavimento della stanza,
riprende: «Altrimenti dovremmo essere pieni di rimorso, vero?»21.
Il padre di Mafalda sdegnato sbatte a terra il giornale, perché
l’arbitro non ha visto un fallo durante una partita, e grida: «Una
cosa simile è intollerabile!». Lei, incuriosita, legge nel giornale:
«Aumenta sempre il numero di bambini abbandonati e denutriti». E

17. Id., Mafalda, Roma, «I classici del fumetto di Repubblica», 2003, 186.
18. Anche questo volume non ha paginazione; nell’ultima edizione: Id., Ma-
falda 2. Le strisce dalla 386 alla 708, Milano, Salani, 2020, 19.
19. Id., Tutto Mafalda. L’ edizione più completa, riveduta e arricchita di nuove
testimonianze e contenuti esclusivi, Milano, Salani, 2010, 150.
20. Id., Mafalda 2, cit., 20.
21. Ivi, 31.
MAFALDA LA CONTESTATARIA

poi rivolgendosi a lui: «È bello vedere che ti preoccupi di cose così


importanti, papà. Tutti dovrebbero essere come te!». Appare il volto
scuro e vergognoso del padre...22.
Per porre rimedio alle ingiustizie, si dà una semplice ricetta. La
propone a Mafalda un’altra amica, la «piccola» Libertà (forse si chia-
ma così perché quando Quino disegna, ai tempi della dittatura, in
Argentina la libertà è davvero «piccola»): «Per me quello che non va
è che pochi abbiano molto, molti abbiano poco, e alcuni non abbia-
no niente. Se questi alcuni che non hanno niente avessero qualcosa
del poco che hanno i molti che hanno poco e se i molti che hanno
poco avessero un poco del molto che hanno i pochi che hanno mol-
to, ci sarebbero meno pasticci. Ma nessuno fa molto, per non dire
niente, per migliorare un poco una cosa così semplice…»23.
251
La curiosità di Mafalda è inesauribile. «Mamma, perché siamo
al mondo?». «Per lavorare, per volerci bene, per costruire un mondo
migliore!». Lei rimane perplessa; poi, puntando il ditino verso la
mamma, sentenzia: «Burlona! Sei un’umorista e non me l’avevi mai
detto!». La faccia della madre è allibita…24.

L’autore e i suoi interlocutori

Uno dei caratteri più evidenti della serie è l’assoluta non ripeti-
tività, l’invenzione ininterrotta, ottenuta non già allargando il giro
dei personaggi e delle situazioni come nei Peanuts, ma scavando
più a fondo e più nel concreto. Di fatto i quattro bimbi più due
non sono semplici emblemi: hanno consistenza esistenziale e pos-
sono quindi sottrarsi, se vogliono, alla schematicità della situazione
di origine. Manolito si sottrae poco, e Susanita non vuole sottrarsi
affatto: ma questa è responsabilità loro, e vale a identificarli, negati-
vamente, anche se non li riduce a categorie.
Le categorie non pensano, non inventano, rimangono ester-
ne: forniscono caratterizzazioni su cui si può ironizzare, appunto,
dall’esterno; i ragazzini di questa storia, invece, sono personag-

22. Ivi, 50.


23. Id., Tutto Mafalda. L’ edizione più completa…, cit., 434.
24. Id., Mafalda 1. Le strisce dalla 1 alla 384, cit., 130.
ARTICOLI

gi attivi che lo spirito di quello che dicono e di quello che fan-


no lo cavano fuori da sé, come accade ai personaggi ben riusciti,
che stanno di fronte all’autore come interlocutori e non già come
semplici oggetti.

Il dopo Mafalda: «Capirà, caro Lei!»

Il volume Capirà, caro Lei! appare in Italia nel 1978 a cura di


Bompiani25. Questo dovrebbe essere il Quino arrabbiato, stando
alle notizie che Oreste del Buono raccoglie nell’introduzione26. A
una lettura attenta si evince il contrario: qui si tratta di un Quino
misurato e dimesso, che ha esaurito in Mafalda e altri fantasmi la
propria riserva di intemperanza e di verità scottanti e divaga un
252
poco per i fatti suoi, posando uno sguardo attento, ma distaccato e
divertito, sui piccoli borghesi della sua razza. Le vignette quasi non
hanno più parole, né fumetti o balloon. Tuttavia un messaggio c’è:
non è allegro, ma fa ridere spassosamente.
Solo una vignetta. Un uomo anziano, con gli occhi spenti, pro-
strato nella sua poltrona, confida a un amico: «In realtà ho dedicato
tutta la mia vita a diventare miliardario per non dare dispiacere ai
miei genitori che avevano sempre paura che mi dedicassi al roman-
ticismo, all’altruismo, all’idealismo e a qualche altro “ismo” di quelli
per i quali, in definitiva, io non avevo proprio la vocazione».
Quella disamina che parte da lui stesso e coinvolge poi altri sen-
za separarli da sé e contrapporli va ammirata; ed è degna di nota la
forza del disegno, il tratto sintetico ed essenziale. Forse la ripetitività
della storia di Mafalda (un mondo aperto, non sigillato su bambini
e animali come quello dei Peanuts) avrebbe potuto attenuare l’in-
tensità espressiva di quel segno grafico, rendendolo convenzionale:
una strip a getto continuo è commercio. Di qui l’opportunità di
chiudere il ciclo gloriosissimo, e di esporsi al rischio della vignetta,

25. Cfr Id., Capirà, caro Lei! Con un sottotitolo dell’editore: Il disegno come
crudele spia del costume (piccolo borghese), Milano, Bompiani, 1977 (or.: Hombre de
Bolsillo). In quell’anno, al Salone internazionale dell’Umorismo, il libro vince il pri-
mo premio per i disegni sul tema «La burocrazia».
26. Cfr ivi, 3 ss; l’«Introduzione» è la sola parte del volumetto che ha la nume-
razione di pagina.
MAFALDA LA CONTESTATARIA

o della striscia, non garantita da un ciclo, qualcosa che esige novità


ininterrotta.
Tra le molte cose del «dopo Mafalda», va segnalata la Quino-
terapia, pubblicata da Salani nel 1985: un insieme di vignette che
riguardano poveracci, mendicanti, malati, medici, dentisti e via
dicendo.
Risale a quell’anno una delle vignette più famose, che ha per
tema «Mettere in ordine Guernica». Si compone di due scene. Nella
prima, dopo una festa si vede un salotto in disordine che ha sullo
sfondo il famoso quadro di Picasso. Una signora chiede alla do-
mestica di riordinare tutto. Nella confusione, si notano dovunque
piatti, bicchieri, bottiglie, cartacce, posacenere ecc. Dopo un po’ la
domestica domanda se deve mettere in ordine «proprio tutto…».
253
«Certamente!», risponde la spigolosa signora. Allora lei mette in or-
dine davvero tutto, anche il caos di Guernica, con grande disappun-
to della signora27.
Nel 2011 Quino doveva venire in Italia per ritirare il premio
«Romics». Non potendo farlo per ragioni di salute, telefonò e ri-
lasciò un’intervista: gli veniva chiesto quale fosse la sua striscia più
amata e a lui più congeniale. Dopo un significativo silenzio, egli
rispose: «Quella di Guernica»28.
Risale a questo periodo un’affermazione geniale di Gabriel
García Márquez: «Quino ci sta dimostrando che i bambini sono
i depositari della saggezza. Quello che è triste per il mondo è
che man mano che crescono perdono l’uso della ragione, a scuo-
la dimenticano ciò che sapevano alla nascita, si sposano senza
amore, lavorano per denaro, si puliscono i denti, si tagliano le
unghie e alla fine diventano adulti miserevoli, non affogano in
un bicchier d’acqua ma in un piatto di minestra. Verificare que-
sto in ogni suo libro è la cosa che assomiglia di più alla felicità:
la Quinoterapia»29.

27. Cfr in internet: New Guernica’s happy end, optimistic version.


28. Cfr L. Raffaelli, «Addio a Quino il papà di Mafalda. Il grande disegnato-
re argentino [...] con la sua ragazzina irrequieta sfidava il potere e il qualunquismo»,
in la Repubblica, 1 ottobre 2020, 29.
29. Quino, Tutto Mafalda. L’ edizione più completa…, cit., 7.
ARTICOLI

La scomparsa di Quino

Un quotidiano, nel ricordare la scomparsa di Quino, ha ri-


prodotto una striscia di molti anni fa. In essa Mafalda consola il
mappamondo, accarezzandolo ed esortandolo ad avere pazienza:
«Non preoccuparti, che in questo momento migliaia di tipi stanno
studiando tutti i tuoi problemi, sovrappopolazione, fame, inquina-
mento, razzismo, armamenti, violenza… Tutti!». Poi si allontana,
ma improvvisamente si rivolge al mondo: «Sì, lo so, ci sono più
problemologi che soluzionologi, ma cosa ci posso fare?»30. È una delle
tante domande che Mafalda si pone: domande che sono destinate a
restare senza risposta. Ma, come nota un pediatra e pedagogista, «è
dalle domande senza risposta che nascono le rivoluzioni»31.
254 Nella ristampa di una silloge delle migliori strisce, Mafalda
colpisce ancora. 999 perle dell’enfant terrible del fumetto, vi è come
introduzione una poesia del giornalista Vincenzo Mollica: «Cara
Mafalda / I tuoi 50 anni da ribalda / Ti hanno fatto restare / Una
bambina testarda / Mai bugiarda / Con le tue domande hai conqui-
stato il mondo / Scatenando un finimondo / Fatto di verità / Che
si nutre di curiosità. / Hai messo gli adulti al muro / E il tuo cuore
al servizio del futuro / E la tua intelligenza contro ogni scemenza
[…] / Quino l’argentino che ti ha inventato / Non ti ha messo in
un mondo fatato / Ma di realtà ti ha impregnato / Con il suo segno
disincantato / Contro la guerra ti ha lanciato / Contro la dittatura ti
ha schierato / Per la pace a perdifiato / Di democrazia hai ragionato
/ Contro gli abusi di potere il tuo parlare ha tuonato / Con la poten-
te semplicità dei bambini / Hai smontato gli altarini / Dei bugiardi
che ti stavano vicini / Più pericolosi dei cretini. / […] Il tuo essere
ribelle ci ha insegnato / Che anche un essere disegnato va ascoltato
/ Perché col suo parlare fumettato / Va a stanare ciò che è sbagliato.
/ […] Purtroppo il mondo non è migliorato / Ma almeno con te ci
abbiamo provato. / Hasta siempre Mafaldita!»32.

30. Cfr Corriere della Sera, 1 ottobre 2020, 25; cfr Quino, Quinoterapia, Mila-
no, Salani, 2006, 583.
31. M. Bernardi, in Quino, Tutta Mafalda, 1978, cit., VII.
32. V. Mollica, in Quino, Mafalda colpisce ancora. 999 perle dell’enfant terrible
del fumetto, Milano, Salani, 2015, 1.
LA SCUOLA E LA CHIESA NELLA PANDEMIA
Appunti dal Rapporto Censis «Stress test Italia»

Antonio Spadaro S.I. – Andrea Casavecchia

La pandemia che ha colpito anche l’Italia sta mettendo a dura


prova tutto il sistema-Paese. Nonostante il lockdown di inizio 2020,
dopo alcuni mesi di tregua il Governo si è trovato costretto a pro-
mulgare nuove misure emergenziali nel tentativo di contenere la
255
diffusione del virus. Si tenta di scongiurare una nuova «serrata» to-
tale, che sarebbe probabilmente definitiva per molti operatori di al-
cuni settori economici. Ma sarebbe un banco di prova drammatico
anche per alcune istituzioni fondamentali. Tra queste, la scuola e
la Chiesa molto probabilmente hanno subìto le conseguenze più
gravi della chiusura totale nei mesi di marzo e aprile, perché hanno
una vocazione popolare: forse sono ormai le uniche che riescono
ad avere un radicamento territoriale esteso e capace di intercettare
le persone e le loro famiglie, senza distinzioni di ceto o di prove-
nienza. I decreti del Governo hanno tentato di non far gravare sulla
scuola già provata tutto il peso delle nuove misure, riducendone so-
stanzialmente l’impatto alle superiori. E, al momento, come comu-
nicato anche dalla Conferenza episcopale italiana, il provvedimento
ha lasciato invariato «quanto previsto nel Protocollo del 7 maggio
circa la ripresa delle celebrazioni con il popolo»1.
Nel corso della cosiddetta «fase 2», il Censis aveva dedicato una
riflessione, sostenuta da uno studio empirico, su quanto è accaduto nei
mesi del lockdown di inizio 20202. Un lavoro di ricerca che probabil-
mente può offrire degli elementi utili per affrontare questa nuova fase
di preoccupazione e incertezza. L’Istituto di ricerca è convinto «che lo

1. Cei, «Precisazione su DPCM del 24 ottobre», 25 ottobre 2020.


2. Cfr Censis, Stress test Italia. I soggetti dell’Italia che c’è e il loro fronteggia-
mento della crisi, Roma, 2 luglio 2020.

© La Civiltà Cattolica 2020 IV 255-264 | 4089 (7/21 novembre 2020)


FOCUS

sviluppo non lo fanno i piani e i poteri statuali, ma lo fanno i soggetti


reali, quotidiani, della società»3. Tuttavia, affinché i diversi soggetti
possano muovere passi in avanti, «devono sapersi guardare allo spec-
chio e capire dove hanno avuto e hanno i loro punti di forza e i loro
punti deboli»4. Così nel breve report è proposta una prima analisi dei
comportamenti assunti da varie realtà essenziali5, tra le quali, appunto,
la scuola e la Chiesa. A esse viene chiesto – con modalità diverse – di
poggiare oggi i propri passi in uno scenario cambiato rapidamente,
perché di loro gli italiani hanno bisogno.

Scuola: riscoprire l’importanza della relazione educativa

Dai primi di marzo gli alunni di ogni ordine e grado non sono
256
più entrati a scuola. Per garantire il diritto allo studio, circa 8,5
milioni di ragazzi e ragazze e oltre 800.000 insegnanti6 sono stati
coinvolti in attività di «didattica a distanza» (DAD): spiegare e se-
guire le lezioni, sostenere le interrogazioni ed esprimere delle valu-
tazioni, tutto senza muoversi da casa.
Così in Italia, tra marzo e giugno 2020, si è assistito alla più
grande sperimentazione involontaria di innovazione metodologi-
ca. Tuttavia sarà difficile verificarne davvero l’esito: perché gli in-
segnanti e gli studenti erano impreparati al cambiamento e hanno
dovuto arrangiarsi con creatività in una situazione imprevista; per-
ché il sistema scolastico ha preso un provvedimento per risponde-
re all’emergenza e non aveva la possibilità di offrire le condizioni
adeguate per verificare un’innovazione; infine, perché, a prescinde-
re dalla preparazione, tutti gli studenti sono stati ammessi all’anno
successivo. Perciò non c’è stata alcuna valutazione – e, d’altra parte,
sarebbe stato difficile proporla – dello sforzo profuso in quei mesi
da docenti e discenti.

3. Ivi.
4. Ivi.
5. Il Rapporto considera anche altri soggetti sociali: dal sistema sanitario alle
attività professionali, dagli amministratori locali agli enti di Terzo Settore, dalla
famiglia al sistema di comunicazione.
6. Cfr Miur, Principali dati della scuola - Avvio Anno Scolastico 2019/2020,
settembre 2019, in www.miur.gov.it
LA SCUOLA E LA CHIESA NELLA PANDEMIA

Tuttavia i dati raccolti dal Censis a partire dall’esperienza di oltre


2.800 dirigenti scolastici permettono di individuare alcune criticità
e alcune prospettive. Innanzitutto, l’82,1% di essi ha segnalato una
disuguaglianza nella dotazione tecnologica: sia docenti sia studenti
dispongono di differenti sistemi di connessione, di device più o meno
efficienti e mostrano livelli diversi di abilità nel loro utilizzo.
Anche il livello di apprendimento è stato differente tra gli alunni:
il 74,8% dei presidi ha constatato un aumento della disuguaglianza
tra gli studenti che ottenevano i risultati migliori e gli altri. Secondo
gli intervistati, la DAD ha accentuato il divario, sia a causa del livello
di cultura tecnologica presente nella famiglia dell’alunno, sia a causa
della diversa disponibilità di strumenti. Non solo non tutte le piat-
taforme sono risultate friendly, di facile utilizzo, ma l’esperienza ha
257
mostrato che i cosiddetti «nativi digitali» – coloro che sono nati dopo
l’anno 2000, durante la rapida affermazione delle tecnologie comuni-
cative – non sono necessariamente anche «alfabetizzati digitali». Non
è scontato quindi che tutti loro abbiano le stesse abilità per ricavare le
informazioni adeguate, date le tecnologie a disposizione7.
I dirigenti scolastici, inoltre, hanno incontrato problemi nel coin-
volgere tutti gli studenti nelle attività a distanza. Solo l’11,2% (a fine
aprile) dichiarava che tutti gli iscritti della propria scuola erano stati rag-
giunti nel corso delle lezioni proposte. La difficoltà di arrivare a tutti è
stata uno dei problemi più gravi. Lo conferma anche un Rapporto di
Save the Children, dal quale si apprende che uno studente su 8 in Italia e
uno su 5 nel Sud del Paese non hanno avuto accesso regolare alla DAD8.
Si scopre qui una vecchia ferita: l’incapacità di andare incontro ai più
deboli. L’utilizzo delle piattaforme digitali non sembra aver contribui-
to a diminuire le disuguaglianze; anzi, secondo il Rapporto, le avreb-
be accentuate. Gli studenti provenienti da contesti socio-culturali più
vulnerabili hanno pagato lo scotto maggiore. Si pensi ai bambini che
frequentano la scuola primaria, oppure ai ragazzi diversamente abili: per
loro un percorso di apprendimento a casa è possibile solo con un suppor-

7. Cfr I. Rowlands et Al., The Google Generation: Information Beha-


viour of the Researcher of the Future, in https://pdfs.semanticscholar.org/543a/
c6445904fe7267bf5ee3cb76ed-5f6db6e0f4.pdf
8. Cfr Save the Children, L’ impatto del coronavirus sulla povertà educativa,
Roma, 2020.
FOCUS

to costante dei genitori in un contesto familiare favorevole; dove queste


condizioni non sussistevano, i risultati della DAD sono stati assai poveri.
Dall’indagine del Censis emerge anche che non tutti i docenti sono
stati attivi nella didattica, come afferma il 54,4% dei dirigenti scolastici.
C’è stata dunque una difficoltà ad accettare e mettere in pratica la nuo-
va modalità. Gli insegnanti che invece non sono stati passivi davanti
alla prospettiva di adottare nuove metodologie didattiche su piattafor-
me digitali sono andati in cerca di esperienze già in atto e di confronto
con i colleghi più esperti. Il Censis segnala, ad esempio, che nel periodo
tra marzo e maggio 2020 il numero di iscritti nei principali grup-
pi su Facebook dedicati alla DAD è cresciuto di oltre 11.000 membri.
Tuttavia, come alcune studiose hanno segnalato, l’impreparazione a
utilizzare strumenti nuovi ha indotto nei docenti la tentazione di ada-
258
giarsi sull’esperienza del passato. In diversi casi si è fatto ricorso, «da un
lato, all’erogazione di sole lezioni frontali in sincrono, con il rischio di
iperconnessione di studenti e docenti e, dall’altro, c’è stata una ridu-
zione del processo di insegnamento/apprendimento all’assegnazione di
compiti, letture e schede»9. In definitiva, «nonostante i segnali di viva-
cità, l’impegno e lo slancio con cui la comunità scolastica allargata si è
misurata con l’emergenza, nel complesso, la scuola italiana si è scoperta
culturalmente non attrezzata per la didattica a distanza»10.
Comunque, quasi tutti i dirigenti intervistati sostengono che
questa esperienza è stata un’occasione di apprendimento e riflessione
profonda sul futuro della scuola: il 95,9% degli intervistati è molto o
abbastanza convinto che l’utilizzo generalizzato della DAD abbia con-
sentito a scuole e docenti di apprendere cose utili per il futuro. Senz’al-
tro la didattica digitale ha permesso di puntare i riflettori su nuovi lin-
guaggi per trasmettere contenuti; e, soprattutto, nel periodo più duro
della pandemia la scuola è riuscita a mantenere un rapporto con i suoi
studenti: ha dato loro l’opportunità di conservare un contatto sociale.
Inoltre, l’ingresso della DAD ha reso credibile l’ipotesi di coniu-
gare ambienti diversi per l’apprendimento e di immaginare ruoli
e compiti diversi per insegnanti e studenti. Come è stato scritto,

9. M. Colombo - D. Poliandri - E. E. Rinaldi, «Gli impatti dell’emergen-


za COVID-19 sul sistema scolastico-formativo in Italia», in Scuola democratica, doi:
10.12828/97098, 2020.
10. Censis, Stress test Italia. I soggetti dell’Italia che c’è…, cit., 21.
LA SCUOLA E LA CHIESA NELLA PANDEMIA

«la pandemia ci consegna l’idea di una prospettiva educativa che


si sviluppa in ambienti di apprendimento anche diversi da quelli
dell’aula scolastica tradizionale. Non sono più i perimetri delle mura
a circoscrivere il luogo in cui avviene l’apprendimento, ma questo
diventa un’esperienza più ampia e più inclusiva che può avvenire in
altri luoghi, altri spazi e altri ambienti»11.
Eppure il dibattito pubblico, nel tempo della riapertura si è in-
centrato anche sulle attuali carenze strutturali: una ricerca di «Os-
servatorio Futura» ha segnalato, che per il 24% degli italiani inter-
vistati la qualità e la sicurezza degli edifici scolastici è la principale
criticità. Così – come poi abbiamo constatato – l’ostacolo maggiore
al rientro per il 43% degli intervistati sarebbe stato il mantenimento
della distanza tra gli studenti (accompagnato dal sovraffollamento
259
dei mezzi pubblici, segnalato dal 39% del campione)12.
Certo, la presenza a scuola è centrale, ma per assolvere alla pro-
pria vocazione tutto il sistema scolastico è chiamato a interrogarsi sulle
modalità di una proposta formativa che coniughi e integri strumenti
e metodi diversi: lezioni frontali, confronto tra pari, nuovi linguaggi
comunicativi, apprendimento in classe e con i compagni e studio indi-
viduale. In prospettiva, è agli insegnanti che sarà affidato il compito di
dettare i tempi e di accompagnare i ragazzi all’interno di una diversa
relazione educativa, di modulare le proposte perché non siano lasciati
indietro i ragazzi più fragili e siano valorizzati i talenti dei singoli.
Il tempo dell’isolamento ha evidenziato che «la relazione peda-
gogica in presenza non è solo trasmissione e apprendimento di con-
tenuti. È una relazione più complessa, densa e ricca di elementi che
hanno un ruolo e una funzione fondamentale tanto nel processo
di insegnamento, quanto nel processo di apprendimento. D’altro
canto, la scuola non è solo luogo di apprendimento, ma anche di
esperienza culturale»13, che comprende la dimensione etica, morale

11. V. C. M. Denora, «La didattica digitale e la scuola del Covid-19», in Civ.


Catt. 2020 III 109-122.
12. Cfr Osservatorio Futura, Analisi sulla situazione economica, sociale e
lavorativa del paese, 25 settembre 2020.
13. M. Vaira - M. Romito, «L’emergenza COVID-19 e la scuola. Una rifles-
sione su alcune contraddizioni emergenti dalla crisi», in Scuola Democratica, Early
access 2020: doi: 10.12828/97099, 2020.
FOCUS

e civica dell’educazione. A scuola non si trasmettono solo nozioni,


ma si impara a vivere in una piccola comunità – la classe e poi l’i-
stituto –, a sperimentare la cooperazione per raggiungere risultati
insieme ai propri compagni e si ha l’occasione di conoscere se stessi.

I piccoli passi della Chiesa impreparata

Lo spazio del Rapporto dedicato ai comportamenti adottati dalla


Chiesa italiana in seguito al lockdown contiene una forte critica: «In
questa situazione di generale impreparazione, le strutture ecclesiali si
sono trovate più impreparate di tutte le altre […]. Colpisce come la
Chiesa come “corpo collettivo” si sia trovata a subire i processi rea­li
(la pandemia e gli interventi di fronteggiamento) senza elaborare una
260
propria valutazione della dinamica collettiva dei mesi da febbraio a
giugno, chiusura e riapertura dei riti ecclesiali compresi»14.

LA RAPIDITÀ DEGLI AVVENIMENTI HA IMPEDITO


L’ELABORAZIONE DEI PROBLEMI E DELLE SFIDE
CHE SI AVVICINAVANO.

La rapidità degli avvenimenti avrebbe impedito l’elaborazione dei


problemi e delle sfide che si avvicinavano. La Chiesa è descritta come
un soggetto che è stato incapace di reagire alla crisi scaturita dall’e-
mergenza. Secondo l’Istituto di ricerca, «la gestione ecclesiale della
pandemia è stata di totale obbedienza»15 alle autorità statali, che per
ragioni di sicurezza sanitaria indicavano di sospendere le celebrazio-
ni liturgiche comunitarie e le funzioni collettive, l’azione pastorale,
le azioni socio-assistenziali, l’ordinaria gestione dei bisogni religio-
si individuali16. L’accettazione di tali direttive avrebbe prodotto uno
«spiazzamento»17 nella vita delle comunità e nelle persone.
La posizione assunta di collaborazione con la strategia di lockdown at-
tuata dalla Repubblica italiana avrebbe offerto l’immagine di una Chie-

14. Censis, Stress test Italia. I soggetti dell’Italia che c’è…, cit., 80.
15. Ivi, 81.
16. Cfr ivi.
17. Ivi.
LA SCUOLA E LA CHIESA NELLA PANDEMIA

sa remissiva e fragile, «impantanata nell’irrilevanza»18, incapace di essere


presente nella società italiana in un momento difficile: c’è «l’impressione
che nel mondo ecclesiale italiano si sia avuto, nella pandemia, un tale
vuoto di presenza e di annuncio»19. Solo il Pontefice avrebbe riempito
tale vuoto con la sua presenza sui media in occasione delle feste pasquali.
Un’immagine forte, che però non è in grado di sostituire il lavoro ordi-
nario delle comunità parrocchiali e diocesane, avverte l’Istituto di ricerca.
Il Censis spinge oltre il ragionamento, suggerendo per una ve-
rifica quattro aspetti che non avrebbero funzionato nella Chiesa. In
primo luogo, la catena gerarchica non ha preso immediata coscienza
della necessità di decisioni strategiche sulla «chiusura delle chiese, sulla
gestione dei momenti collettivi, sulla modalità di garantire religio-
sità personale ecc.»20. Il secondo aspetto è la carenza comunicativa,
261
che avrebbe fornito un’insufficiente (insoddisfacente) spiegazione dei
risvolti ecclesiali: televisione e social media, scrive il Censis, hanno «ac-
centuato l’inerzia collettiva da puri spettatori»21. Il terzo punto è la
mancanza di una riflessione interna e l’assenza di momenti di relazione
in cui confrontarsi su speranze e attese. Infine, si segnala l’isolamento
dei singoli preti, rimasti soli a fronteggiare una situazione inedita22.
Purtroppo la riflessione del Censis, nel caso della Chiesa, non è cor-
redata da nessuna analisi empirica, tanto meno dal supporto di dati rica-
vati da fonti secondarie. Si tratta di semplici opinioni. Però prenderle in
considerazione può forse aiutare a chiarire alcune questioni mostrando
un punto di vista diverso, che insieme a tanti altri potrebbe arricchire il
tempo di verifica che occorre per avventurarsi nella nuova fase.
Innanzitutto, le chiese non sono mai state chiuse. I singoli fedeli
avevano la possibilità di accedervi, mantenendo le distanze e osservan-
do le dovute precauzioni. Erano vietati gli assembramenti, per limitare
i contagi, e per questo sono state sospese le funzioni religiose: un atto
eccezionale e inedito, compiuto con grande dolore e sacrificio23. Sulla

18. Ivi, 82.


19. Ivi.
20. Ivi.
21. Ivi, 83.
22. Cfr ivi.
23. Si legge sul sito della Conferenza episcopale italiana: «L’interpretazione
fornita dal Governo include rigorosamente le Sante Messe e le esequie tra le “ceri-
monie religiose”. Si tratta di un passaggio fortemente restrittivo, la cui accoglienza
FOCUS

sospensione delle attività menzionate dal Censis si aprono tre temi che
meriterebbero un approfondimento. Innanzitutto, l’azione di sostegno
ai poveri non è stata mai abbandonata. La continuità dei servizi di as-
sistenza agli ultimi è stata assicurata. Molte sale parrocchiali sono state
utilizzate come punti di deposito per la distribuzione di viveri orga-
nizzata da sacerdoti e laici, spesso coordinati da gruppi, associazioni o
movimenti. Contemporaneamente, le attività di mensa e di consegna
dei pasti non hanno subìto interruzioni; anzi, sono diventate un osser-
vatorio per rilevare e denunciare le difficoltà – aggravate dal lockdown
– di tante persone che vivono dell’elemosina dei passanti e sono senza
fissa dimora, come pure di «nuovi poveri».
La sospensione delle attività comunitarie, inoltre, ha permes-
so di affrontare due ulteriori temi tra loro connessi. Da un lato, la
262
pausa potrebbe essere valutata come uno «stress test» della maturità
dei fedeli laici, che si sono trovati nella condizione di dover cercare
occasioni per coltivare e custodire la propria spiritualità; dall’altro
lato, essa ha stimolato l’inventiva dei pastori, per offrire proposte di
supporto e di accompagnamento.
Un’indagine svolta durante il lockdown ha rilevato alcuni compor-
tamenti dei fedeli rispetto alla pratica religiosa24. I risultati mostrano
che quanti osservavano una pratica costante hanno incrementato, nel
26% dei casi, la lettura del Vangelo durante la settimana; tra loro la
lettura di testi spirituali è cresciuta del 36% e la pratica della Liturgia
delle Ore del 31%. Nel periodo di «distanziamento dalla vita ecclesia-
le» c’è stato dunque un gruppo consistente di fedeli che, nonostante la
sospensione delle funzioni, ha coltivato la propria spiritualità nel solco
della tradizione ecclesiale, intensificando i momenti di preghiera.
Tra l’altro, questi intervistati si pongono in un’ottica di discerni-
mento della storia: l’81% di loro legge la crisi nella prospettiva della

incontra sofferenze e difficoltà nei Pastori, nei sacerdoti e nei fedeli. L’accoglienza
del Decreto è mediata unicamente dalla volontà di fare, anche in questo frangente,
la propria parte per contribuire alla tutela della salute pubblica» («Decreto “corona-
virus”: la posizione della Cei», 8 marzo 2020, in www.chiesacattolica.it).
24. Il report si intitola «Nella Chiesa che cambia? Il cambiamento del sentire, della
pratica e delle abitudini religiose dei cattolici in Italia al tempo del Covid-19». L’indagine su
un campione della popolazione di cattolici che frequentano il web è stata condotta da Piotr
Zygulski, con il coordinamento di Carmelina Chiara Canta, per la rivista Nipoti di Maritain
(http://nipotidimaritain.blogspot.com/2020/04/sondaggio-chiesa.html), aprile 2020.
LA SCUOLA E LA CHIESA NELLA PANDEMIA

speranza, e una porzione simile di intervistati è concorde nell’affermare


che questo tempo è «un’opportunità da vivere nella creatività»; solamen-
te il 2% di loro condivide l’idea che l’epidemia sia «un castigo divino». Il
percorso di fede di questo gruppo di intervistati è proseguito. Quando
è stato chiesto loro di esprimersi su alcuni cambiamenti, essi si sono
mostrati ottimisti: la Chiesa sarà più ricca spiritualmente (70%), sarà più
vicina al popolo (69%), sarà una comunità più partecipata (66%).
D’altra parte, sebbene non fossero possibili momenti di incontro
comuni, sarebbe un errore sostenere che i fedeli sono stati «abban-
donati». Attraverso le diverse piattaforme sociali sono stati organiz-
zati momenti di approfondimento, appuntamenti di preghiera; sono
state trasmesse Messe, inviati contenuti per la riflessione. I sacerdo-
ti, i responsabili di associazioni, di movimenti e i gruppi ecclesiali
263
hanno continuato a coltivare a distanza le loro reti relazionali.
La vera domanda a cui rispondere è come mettere a frutto questa
esperienza per il futuro, nella consapevolezza che, oltre alla gioia della ce-
lebrazione eucaristica, è mancata la «fisicità» della comunità, fatta di spazi
di confronto in presenza, di incontri occasionali e informali che inco-
raggiano a proseguire nel cammino, di socialità ordinaria che alimenta la
crescita della comunità. E ancora oggi questa difficoltà rimane, perché «la
Chiesa vera, quella fatta di uomini, ringraziando Dio, può vivere anche
senza chiese, come è accaduto per i primi secoli e come ancora accade in
molte parti del mondo»25, però non vive senza le persone e senza l’incon-
tro tra loro. E quindi oggi rimane aperto l’interrogativo: come accogliere?
Un ulteriore argomento riguarda la comunicazione e il messaggio
offerti dalla Chiesa in questo periodo. Papa Francesco non è stato una
presenza isolata. Nell’emergenza la Chiesa, è vero, ha parlato a una sola
voce. Ma il Papa non ha colmato un vuoto: è stato pastore, che ha rac-
colto su di sé le paure e le speranze di tutto il suo popolo. La preghiera
innalzata il 27 marzo in una piazza San Pietro deserta e silenziosa ha ca-
talizzato l’attenzione di 17 milioni di italiani (uno share del 64%, secondo
i dati Auditel), e anche altri eventi hanno raggiunto milioni di italiani26.

25. D. Libanori, «La fede al tempo del Covid-19. Riflessioni ecclesiali e pasto-
rali», in Civ. Catt. 2020 II 163-176.
26. Sempre secondo i dati Auditel, la Via Crucis del Venerdì Santo è stata vista
da 8 milioni di persone.
FOCUS

Francesco però non è stato un protagonista solitario sui media. Ha


destato stupore, ad esempio, la grande adesione riscontrata nella preghie-
ra del rosario trasmessa da TV2000 in occasione della festa di san Giu-
seppe, con 4 milioni di telespettatori in preghiera (13% di share in prima
serata, secondo l’Auditel). Questi indicatori segnalano la presenza di un
«sentimento religioso diffuso», come afferma Franco Garelli27, anche tra i
fedeli tiepidi e tra i praticanti occasionali, che nei tempi ordinari feconda-
no un «cattolicesimo culturale» attento alla matrice identitaria e valoriale
di persone nate e cresciute in Italia, le quali in momenti eccezionali e
drammatici si rivolgono alla Chiesa come mediatrice del «sacro».
Lo scenario che si è manifestato durante il lockdown ci lascia dun-
que intuire la presenza di tre grandi gruppi, variegati al loro interno:
gli «indifferenti», quelli che non hanno sentito la necessità di guardare
264
alla Chiesa in questo tempo; i «religiosi», che individuano nella co-
munità ecclesiale un punto di riferimento valoriale da avvicinare nei
momenti di difficoltà e di incertezza; e i «coinvolti», che si sentono
parte del popolo di Dio e ne condividono il percorso, secondo le loro
possibilità. Forse anche a partire da questa consapevolezza si potrebbe-
ro individuare dei piccoli passi da fare.

***

I ricercatori del Censis hanno considerato il periodo di inizio 2020


come uno «stress test» per l’Italia, e hanno cercato di osservare come
alcuni soggetti vitali della società italiana abbiano fronteggiato le crisi
sanitaria, economica e sociale. L’obiettivo è incentivare azioni di ve-
rifica nei protagonisti, perché, per rispondere ai forti cambiamenti, è
necessario essere consapevoli delle proprie risorse e delle proprie debo-
lezze. È un invito a un vero e proprio discernimento. La proposta del
Censis è dunque quella di valorizzare l’esperienza di quanto abbiamo
vissuto e stiamo vivendo attraverso un «esame di coscienza», in modo
da evitare «di fuggire in avanti senza aver “registrato la macchina”»28.

27. Cfr F. Garelli, Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di
Dio, Bologna, il Mulino, 2020.
28. Censis, Stress test Italia. I soggetti dell’Italia che c’è…, cit., 6.
LA «RIVOLUZIONE» BIANCO-ROSSA
DELLA BIELORUSSIA

Giovanni Sale S.I.

In Bielorussia è in corso da quasi due mesi una «rivoluzione»:


una contestazione popolare pacifica, capeggiata da tre donne
coraggiose, legate a persone che prima delle elezioni presiden-
ziali sono state o incarcerate dalla polizia o costrette all’esilio. La
265
«rivoluzione bianco-rossa», come è stata definita, è iniziata subi-
to dopo che il presidente Aljaksander Lukashenko, al potere da
26 anni, ha dato comunicazione ufficiale dei risultati delle ele-
zioni presidenziali del 9 agosto 2020, attribuendosi l’80,23% del
suffragi popolari, cosa che è stata qualificata «una indifendibile
esagerazione». In ogni caso, l’elezione era stata preceduta da una
disastrosa campagna elettorale, scandita da minacce (e arresti)
nei confronti degli oppositori politici, da improbabili attentati
alla sovranità del Paese da parte di alcune potenze straniere, in
primis la Russia di Putin, e da troppe «battute inopportune» sul
coronavirus, da combattere con vodka e sauna, anziché con le
indicazioni che venivano date dall’Oms (Organizzazione mon-
diale della sanità) per bloccarne la diffusione.
Le contestazioni popolari, come si è detto, sono iniziate subito
dopo l’annuncio del risultato delle urne, mentre da diverse parti ve-
nivano denunciati brogli elettorali e violenze nei confronti di per-
sone che avevano lavorato nei seggi. Eppure, è stato detto che anche
senza questi maneggi e violenze il Presidente, probabilmente con
numeri più bassi, avrebbe vinto lo stesso la competizione elettorale1.
Con il suo modo di agire, che alcuni osservatori definiscono arro-
gante, autoritario e narcisista, Lukashenko ha confermato che il suo

1. Cfr D. Trenin, «Quattro opzioni per Mosca», in Internazionale, 21 agosto


2020, 18.

© La Civiltà Cattolica 2020 IV 265-277 | 4089 (7/21 novembre 2020)


FOCUS

potere è ormai giunto al capolinea. Indipendentemente da quanto


tempo ancora il suo regime reggerà e nonostante egli si sia ufficial-
mente insediato per la sesta volta alla guida del Paese (23 settembre),
per molti bielorussi «il bác’ka (papà) ha perso la potestà genitoriale»2:
non ha più il sostegno del Paese. La richiesta di cambiamento, por-
tata in strada da centinaia di migliaia di cittadini a Minsk, a Hrodna,
a Brest e in altri centri e ripetuta con inusuale insistenza per setti-
mane, ha fatto emergere un profondo malcontento e una voglia di
trasformazione, che non possono essere né sottovalutati, né ignorati.

LE PROTESTE SONO ORMAI SOSTENUTE DA UNA


GRAN PARTE DEL PAESE.
266

Tali proteste, a differenza di quelle precedenti, non sono por-


tate avanti da una minoranza politicizzata, ma sono ormai so-
stenute da una gran parte del Paese e hanno coinvolto le grandi
città e i piccoli centri, come anche gli studenti, i contadini e gli
operai nelle fabbriche. Molti bielorussi, che alle elezioni hanno
votato per Svetlana Tikhanovskaja – la quale, secondo i risultati
ufficiali avrebbe avuto soltanto il 9,9% dei suffragi –, l’avrebbero
fatto non tanto per sostenere lei, candidata fino a poco prima
sconosciuta, senza un programma e senza un partito, quanto per
schierarsi contro il vecchio presidente Lukashenko3. Secondo al-
cuni sondaggi (per lo più indipendenti), la Tikhanovskaja avreb-
be ricevuto il 30-40% dei suffragi popolari, secondo altri più del
60%. La verità probabilmente non la sapremo mai4, ma ora che si
è mobilitata la «piazza» sappiamo da che parte sta una parte signi-
ficativa del Paese. Anche se la «forchetta» delle proiezioni sul voto
è molto ampia, «in ogni caso smentisce i dati ufficiali, e indica
che la disgregazione della base elettorale del presidente si è con-
sumata necessariamente nelle città [...], nelle fabbriche, che poi

2. O. Moscatelli - M. De Bonis, «La Bielorussia in bilico continua a pen-


dere verso la Federazione russa», in Limes, n. 8, 2020, 261.
3. Cfr A. Klinau, «La rivoluzione dei bielorussi», in Internazionale, 21 agosto
2020, 17.
4. Cfr O. Moscatelli - M. De Bonis, «La Bielorussia in bilico…», cit., 263.
LA «RIVOLUZIONE» BIANCO-ROSSA DELLA BIELORUSSIA

hanno tentato la via dello sciopero, tra i giovani, che non hanno
conosciuto altro leader all’infuori di lui […]. E, soprattutto, tra le
donne, deluse da una deriva autoritaria che offre sempre meno in
cambio del loro silenzio»5.
Dopo la dichiarazione ufficiale, che annunciava la solita vit-
toria «bulgara» a favore di Lukashenko, la Tikhanovskaja – che
nel frattempo, per sfuggire all’arresto, si era rifugiata in Lituania
- non ha accettato il risultato elettorale e si è dichiarata vincitri-
ce6. Una parte considerevole del popolo bielorusso ha pienamen-
te «convalidato» e accolto tale dichiarazione e si è mobilitata per
sostenerla. Da allora nella capitale Minsk ogni domenica quasi
100.000 persone7 manifestano pacificamente per chiedere le di-
missioni del Presidente8. Ad alcune di queste manifestazioni – ad
267
esempio, il 16 e il 23 agosto – hanno partecipato più di 200.000
persone, il che non era mai avvenuto nella storia del Pae­se. Uno
dei limiti più evidenti di tale movimento è che non riesce ancora
a organizzarsi in un partito politico unitario e a esprimere un
programma di governo anche di massima, capace di indirizzare
il Paese verso un sistema democratico più aperto e moderno.
A questi imponenti raduni di massa la polizia ha risposto usan-
do la forza, in particolare sparando gas lacrimogeni e proiettili di
gomma e aggredendo i manifestanti. Inoltre, diverse centinaia di
persone, soprattutto giovani, sono state arrestate, mentre molti
manifestanti disarmati sono stati brutalmente picchiati e in vario
modo umiliati.
Per comprendere quanto sta avvenendo in questi mesi in Bielo-
russia è necessario esaminare la questione più da vicino e all’interno
della sua cornice storica9.

5. Ivi.
6. Cfr «Fuori dal tempo», in Internazionale, 18 settembre 2020, 43.
7. Sebbene nelle ultime domeniche il numero dei manifestanti sia diminuito,
ma non in modo considerevole.
8. Cfr O. Rodionova, «A Minsk in marcia per il futuro e la libertà«, in la
Repubblica, 18 agosto 2020; T. G. Ash, «Il grido dei bielorussi che ci ricorda il valore
della libertà», ivi, 22 agosto 2020.
9. Cfr A. Teslia, «Une nation en quête d’histoire», in Courrier international,
n. 1558, 10 settembre 2020, 13.
FOCUS

L’ultima rivoluzione d’Europa

La Bielorussia ha acquistato la piena indipendenza nel 1991,


in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. A partire dal
1994 è guidata dall’autocratico presidente Lukashenko, il quale
nel giro di pochi anni ha accentrato nelle sue mani diverse pre-
rogative pubbliche, «a scapito del potere giudiziario e legislativo,
tanto da essere comunemente denominato dai giornalisti inter-
nazionali “l’ultimo dittatore d’Europa”»10. Molte organizzazioni
internazionali non governative lo hanno accusato di violazioni
delle libertà democratiche e dei diritti umani. Sotto la sua gui-
da la Bielorussia non ha avviato, come altri Paesi dell’ex Urss,
la transizione verso un’economia di mercato, e la proprietà delle
268 grandi aziende è rimasta in mano allo Stato. Ciò ha bloccato ogni
trasformazione sia economica sia politica del Paese verso un siste-
ma più aperto e liberale.
Le ultime elezioni politiche del 17 novembre 2019 hanno
pienamente confermato questo dato di fatto: nessun candidato
dell’opposizione è stato eletto nel nuovo Parlamento. Questo ri-
sultato sembra contraddire i timidi segnali di apertura politica
nei confronti dell’Occidente che negli ultimi tempi, a partire dal
2016, erano arrivati da Minsk. Di fatto, nel settembre del 2019
Lukashenko aveva annunciato di voler stringere relazioni diplo-
matiche con gli Stati Uniti – relazioni che erano state interrotte
nel 2008 – e avviare rapporti commerciali con l’Unione Europea,
al fine di allentare un poco la dipendenza economica del suo Pae­
se dalla Russia e di ottenere per i cittadini bielorussi facilitazio-
ni per i visti di transito nei Paesi dello spazio Schengen. Queste
relazioni fungevano da giusto contrappeso – soprattutto dopo i
fatti dell’Ucraina del 2014 – agli stretti rapporti con l’alleato rus-
so, nell’ottica di una politica estera «multivettoriale» e orientata
anche verso l’Occidente.
Nel 1999 la Russia e la Bielorussia – Paesi molto vicini per cul-
tura, lingua e religione – hanno firmato un «Trattato di unione»,
che avrebbe dovuto portare a una loro integrazione sempre più for-

10. Atlante geopolitico 2020, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2020,


113.
LA «RIVOLUZIONE» BIANCO-ROSSA DELLA BIELORUSSIA

te e alla creazione di un unico Stato confederale. Il progetto però è


rimasto in gran parte sulla carta, soprattutto a causa delle resistenze
di Lukashenko a un’unione troppo stretta fra i due Stati fratelli. In
ogni caso i rapporti istituzionali fra i due Paesi sono molto forti,
non solo sul piano economico, ma anche sotto l’aspetto militare:
entrambi sono membri dell’Unione economica eurasiatica (Eaeu)
e dell’organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (Csto), in
base al quale la Russia si impegna a venire in aiuto ai Paesi alleati nel
caso in cui questi, per motivi di sicurezza, interna o internazionale,
ne facciano richiesta.
Nel 2020, come si è detto, Lukashenko si è candidato per la
sesta volta alla Presidenza. In tale occasione, come era accaduto
anche in passato, le candidature di molti esponenti dell’oppo-
269
sizione non sono state accettate e alcuni di essi sono stati, per
motivi futili o pretestuosi, arrestati dalla polizia. La campagna
elettorale per le presidenziali del 9 agosto è stata segnata dalla
repressione di ogni voce dissidente. Dopo l’arresto dell’ex ban-
chiere Viktor Babariko (considerato una marionetta di Mosca)
e del blogger Sergej Tikhanovskij (condannato come agitatore
politico), che avevano deciso di sfidare il vecchio Presidente alle
elezioni, Svetlana Tikhanovskaja, moglie di quest’ultimo, ha
preso la decisione di candidarsi, appoggiata da altre due donne
coinvolte nelle attività dell’opposizione: Maria Kolesnikova, col-
laboratrice di Babariko, e Venonika Tsepkalo, moglie di Valerij
Tsepkalo, imprenditore ed ex diplomatico, fuggito in Ucraina
dopo aver cercato invano di candidarsi.
Queste tre donne hanno saputo fare quello che in 15 anni non
era riuscita a fare nessuna forza dell’opposizione: porre le basi per
un movimento di protesta senza precedenti, che ha portato in
piazza in queste settimane più di un milione e mezzo di persone
e che sta minando le basi del potere personale e autocratico di
Lukashenko11. Esse vengono spesso accusate, dalla stampa del re-
gime e da alcuni rappresentanti della vecchia opposizione, di non

11. Di recente il Parlamento europeo ha assegnato il premio Sakharov 2020


«alle donne e agli uomini dell’opposizione bielorussa, rappresentati da Svetlana
Tikhanovskaja. Essi – ha detto il presidente dell’Assemblea Davide Sassoli – si sono
dimostrati forti di fronte ad un avversario molto potente, dal loro lato hanno qual-
FOCUS

avere esperienza politica e di fare soltanto azioni di propaganda.


Sui social network, controllati dal governo, sono anche definite
«serpi velenose», pericolose per la pace sociale e apostrofate con
inopportune espressioni sessiste.
Tutte le presunte debolezze della «nuova opposizione» si
sono però rivelate nei fatti come punti di forza: l’organizzazione
decentrata e apparentemente caotica, l’inesperienza di una lea-
dership considerata debole e senza un preciso progetto politico.
Nonostante ciò, questa inedita opposizione ha saputo mobilitare
gran parte della popolazione. I bielorussi non vogliono più vi-
vere come prima; pretendono un cambiamento politico, e nel-
le manifestazioni di piazza di questi giorni non temono più di
chiedere a gran voce la deposizione del vecchio Presidente. Que-
270
sti fatti hanno sorpreso molte Cancellerie, non ultima quella di
Mosca, che aveva previsto una normalizzazione della situazione
in tempi brevi, come era avvenuto nel 2010. Le cose però oggi
sono cambiate, ed «è ora – affermano i sostenitori della Tikha-
novskaja – che anche la comunità internazionale e la società ci-
vile dei paesi democratici riconoscano e sostengano l’impegno
di queste donne e dei cittadini in generale»12 , che lottano paci-
ficamente per vivere in un Paese normale, cioè più libero e più
democratico.

Tra Russia e Bielorussia

Gli osservatori politici in queste settimane hanno rimarcato


più volte che la «rivoluzione popolare» in corso in Bielorussia non
ha come obiettivo quello di cambiare lo schieramento politico
del Paese. A differenza dell’Ucraina nel 2014, i manifestanti non
desiderano abbandonare l’orbita di influenza russa per entrare in
quella europea o americana. La sollevazione ha come scopo prin-
cipale quello di costringere il presidente Lukashenko a lasciare
il potere. La piazza – mobilitata attraverso i social, il passapa-

cosa che la forza bruta non potrà mai sconfiggere: la verità» («Premio Sakharov agli
oppositori della Bielorussia», in la Repubblica, 23 ottobre 2020).
12. I. Petz, «L’ultima rivoluzione d’Europa», in Internazionale, 18 settembre
2020, 42.
LA «RIVOLUZIONE» BIANCO-ROSSA DELLA BIELORUSSIA

rola dei giovani e accompagnata a distanza dai messaggi della


Tikhanovskaja – in nessun momento ha gridato slogan anti-russi
o fatto mostra di striscioni filo-occidentali. Le uniche bandiere
che si sono viste nelle manifestazioni sono quelle bianco-rosse
della Repubblica indipendente di Bielorussia del 1918 – che ebbe
una breve durata –, che oggi rivendica il diritto di essere un Paese
nuovo con una nuova identità.
Lo stesso Consiglio di coordinamento dell’opposizione, a cui
partecipano politici, giornalisti e intellettuali (tra cui il premio No-
bel per la letteratura Svetlana Aleksievic), in un suo comunicato ha
precisato che le manifestazioni in corso non hanno l’obiettivo di
«cambiare l’assetto istituzionale e il corso di politica estera del Pae-
se». Questo è stato detto chiaramente anche dalla leader della nuo-
271
va opposizione, Svetlana Tikhanovskaja, nelle numerose interviste
rilasciate ai giornalisti europei13. In particolare, lei tende a sottoli-
neare, al fine di rassicurare Mosca, la differenza tra ciò che sta av-
venendo in Bielorussia in queste settimane e ciò che è avvenuto nel
2014 in Ucraina: «Non vogliamo nessun tipo di conflitto – ha detto
in un’intervista al Corriere della Sera – nel territorio della Bielorus-
sia. Per questo chiediamo al resto del mondo di rispettare la nostra
sovranità. Non accettiamo nessun tipo di intervento sul nostro ter-
ritorio. Non siamo né pro-europei né anti-russi»14.
Di fatto, dal punto di vista geopolitico e geostrategico, la Bielo-
russia occupa una posizione troppo centrale per non essere oggetto
delle mire di altri Paesi. «I russi la considerano essenziale cuscinetto
per proteggere le proprie terre. Per gli americani è utile a tenere
sotto pressione l’avversario. Persino i cinesi l’apprezzano e vi in-
vestono. I polacchi e i baltici la scrutano col terrore che da essa
rispunti l’invasore»15. Tra questi Paesi, la Russia è nella posizione
più delicata. La sua strategia politica le impone di tenersi ben stretta
la Bielorussia. Senza di essa perderebbe ogni tipo di influenza, sia

13. Cfr Ch. Ayad, «En Bielorussie, la peur a changé de camp», in Le Monde,
27 agosto 2020.
14. X. Colas, «Intervista a Svetlana Tikhanovskaja», in Corriere della Sera, 27
agosto 2020.
15. F. Petroni, «Il girotondo delle potenze attorno al caos di Minsk», in Li-
mes, n. 8, 2020, 290.
FOCUS

politica sia culturale, su quelle che definisce le «genti di etnia russa»


e perderebbe l’ultimo popolo europeo che considera suo alleato e
amico. Perdendo questo Pae­se, la Russia sarebbe anche definitiva-
mente accerchiata da Stati filo-occidentali.
La Russia ha già la Nato alle porte di casa in Estonia e in Letto-
nia, e ha combattuto perfino una guerra per impedire che l’Ucraina
passasse nell’orbita europea. «Smarrendo pure Minsk, vedrebbe ar-
retrare la prima linea difensiva come mai negli ultimi cinque secoli,
appiccicata a quel margine invisibile tra San Pietroburgo e Rostov
sul Don, superato il quale il paese è a tutti gli effetti invaso»16. In-
somma, per la Russia, la Bielorussia riveste un notevole e insostitui­
bile ruolo strategico, se non altro per il fatto che il suo territorio si
incunea in profondità verso il centro dell’Europa. In esso, inoltre,
272
passano importanti flussi commerciali russi diretti verso l’Ovest:
primo fra tutti quelli di gas e di petrolio: il 20% dell’«oro nero»
esportato in Europa transita attraverso la Bielorussia.
Per tutti questi motivi il «caos bielorusso» è seguito da Mosca con
molta apprensione. Putin, infatti, teme che l’assedio a Lukashenko
possa fungere da preludio a ciò che potrebbe capitargli fra qualche
tempo. È una paura che, in ogni caso, va relativizzata per il semplice
fatto che le condizioni bielorusse non sono facilmente replicabili in
un Paese come la Russia, «dotato di migliaia di armi atomiche e di
una smodata idea di sé»17.
Prima delle manifestazioni di piazza i rapporti tra Minsk e Mosca
erano abbastanza tesi. Durante la campagna elettorale Lukashenko
aveva tenuto una retorica fortemente anti-russa, anche al fine di
guadagnare la simpatia delle Cancellerie europee. Ciò era dovuto
ad alcune questioni sia economiche, sia politiche ancora aperte tra
i due Paesi «amici»: innanzitutto l’aumento del prezzo del petro-
lio imposto da Mosca, su cui si regge buona parte dell’economia
del Paese. Inoltre, vi era la questione delle basi militari che i russi
vorrebbero impiantare in Bielorussia in funzione anti-americana:
prospettiva che Lukashenko non vede di buon occhio. Da ultimo,
la pressione russa per dare attuazione al progetto federativo firmato

16. Ivi.
17. Ivi.
LA «RIVOLUZIONE» BIANCO-ROSSA DELLA BIELORUSSIA

dai due Paesi diversi anni prima, ma che, a causa delle resistenze di
Lukashenko, finora è rimasto sulla carta.
A questi problemi si sono aggiunte alcune maldestre accuse che
denunciavano la penetrazione di soldati russi nel territorio del Paese
confinante. Undici giorni prima del voto il Kgb bielorusso ave-
va arrestato 33 mercenari russi della compagnia privata Wagner
– probabilmente in transito verso qualche teatro di guerra in Me-
dio Oriente –, accusandoli di essere venuti a Minsk per seminare il
caos in occasione delle elezioni presidenziali. Il Cremlino, irritato,
ha ritenuto che si trattasse di una manovra ordita da Lukashenko
per ottenere l’appoggio dei governi occidentali alla sua rielezione
attraverso una campagna anti-russa, basata sulla difesa della sovra-
nità nazionale18. A questo punto Mosca ha perso la scarsa fiducia
273
che aveva nei confronti del vecchio Presidente. Tuttavia ha preferito
non arrivare a uno scontro aperto, anche per non complicare la si-
tuazione, che si prospettava già difficile e intricata19.

La strategia di Putin e l’inattività dell’Ue

Per Mosca, la contesa bielorussa è molto delicata e impegna-


tiva. Il Cremlino è consapevole di dover in qualche modo inter-
venire nella vicenda che sta agitando il Paese «alleato», per un

18. Cfr D. Trenin, «Quattro opzioni di Mosca», in Internazionale, 21 agosto


2020, 18.
19. Va ricordato che l’economia della Bielorussia si regge grazie agli scambi eco-
nomici con la Russia. Le importazioni di greggio e gas naturale sono le prime spese per
il Paese slavo, che compra a prezzi molto bassi per poi trasformare e rivendere il prodotto
con ampi margini di guadagno (fino a 13 miliardi di dollari per il petrolio). Minsk espor-
ta il 41,5% dei suoi prodotti in Russia per 13,7 miliardi di dollari e importa beni russi per
22 miliardi, ovvero il 55,7% del totale delle importazioni. Le due economie sono riuscite
quasi a fondersi con 2.500 imprese comuni. Anche in ambito militare i rapporti tra i due
Paesi sono molto stretti. Essi hanno in comune il sistema di difesa aerea, nonché gran
parte dei contingenti militari di terra. Frequenti sono inoltre le esercitazioni militari
comuni. [...] Oltre alla lingua, i due Paesi hanno in comune anche la fede ortodossa. A
guidare la Chiesa ortodossa bielorussa è stato fino a pochi mesi fa l’esarca Pavel, di nazio-
nalità russa e nominato dal patriarca Kirill. Recentemente anche a causa di controversie
interne, egli è stato sostituito dal metropolita Venjamin di nazionalità bielorussa e di
orientamento conservatore. I cattolici locali, in gran parte polacchi, sono circa 300.000
e molti di essi simpatizzano per i manifestanti. Cfr O. Moscatelli - M. De Bonis, «La
Bielorussia in bilico…», cit., 269.
FOCUS

duplice obiettivo: evitare che esso si allontani dalla sua influenza


per avvicinarsi all’Unione Europea (come vorrebbero la Polonia
e la Lituania), e mantenere comunque al suo fianco uno dei po-
chi Paesi rimasti fedeli allo spirito panrusso. Da parte sua, Putin
ha assicurato a Lukashenko piena disponibilità a intervenire nel
caso la situazione dovesse precipitare. A questo proposito, ha ri-
cordato che in base al Trattato di sicurezza collettiva la Russia,
qualora le venisse fatta richiesta, sarebbe obbligata a offrire il
proprio aiuto militare20. Cosa che Lukashenko ha fatto. A tale
richiesta il leader russo ha risposto che per il momento non ri-
tiene che vi siano le condizioni per un intervento21. Allo stesso
tempo, Putin ha esortato le autorità bielorusse a tener conto delle
richieste della piazza e ha denunciato possibili «pressioni stranie-
274
re» al fine di far precipitare gli eventi. Inoltre, ha lasciato al suo
ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, il compito di commentare
le elezioni del 9 agosto, definendole «imperfette», anche se poi ne
ha riconosciuto la validità formale.
Il 14 settembre 2020 Lukashenko, per la prima volta dopo le
proteste popolari, ha incontrato a Sochi Putin. In questa occa-
sione ha accusato le opposizioni di essere manovrate dagli Usa e
dall’Occidente, mentre, come si è visto, fino a poco tempo prima
aveva detto che erano i russi a destabilizzare il Paese. L’incontro
è avvenuto senza delegazioni: i due Presidenti hanno parlato per
quattro ore da soli. L’unico risultato concreto è stato il presti-
to di 1,5 milioni di dollari offerto da Putin per aiutare il Paese
che si trova in grande difficoltà economica, anche a causa del
Covid-1922 . Dopo l’incontro Putin ha ribadito il suo sostegno
alla riforma costituzionale promessa dal Presidente bielorusso.
Quest’ultimo ha dichiarato di essere disposto a indire nuove ele-

20. Cfr «L’annuncio di Putin: pronti a inviare truppe in Bielorussia», in Corrie-


re della Sera, 28 agosto 2020.
21. Cfr F. Sforza, «Bielorussia, Putin telefona a Conte: “L’Europa non deve
intervenire”», in La Stampa, 27 agosto 2020.
22. Il modo con cui Lukashenko ha gestito l’epidemia di Covid-19 in Bie-
lorussia è uno dei principali motivi della protesta della popolazione. Egli fin
dall’inizio ha sminuito il pericolo della pandemia, considerandola una «psicosi
sociale», ridicolizzando coloro che si ammalavano, considerandoli individui de-
boli e inutili.
LA «RIVOLUZIONE» BIANCO-ROSSA DELLA BIELORUSSIA

zioni, una volta realizzata la riforma. La risposta delle opposizio-


ni a tale proposta è stata chiara: prima di tutto il Presidente deve
lasciare la sua carica.
È stata anche ventilata l’ipotesi che Lukashenko, pur di non
cedere alla piazza, consegni il Paese nelle mani dei russi. Ma dif-
ficilmente Putin accetterebbe un’ipotesi di questo tipo. Le pro-
teste per la democrazia assumerebbero il carattere di una lotta
nazionale per difendere l’indipendenza del Paese, e la Russia «po-
trebbe scordarsi il favore di cui gode tra la maggioranza dei bie-
lorussi. Tra i cittadini comuni l’odio per Lukashenko è più forte
della simpatia per la Russia»23. In ogni caso, la comunità inter-
nazionale non accetterebbe mai un accordo negoziale che limiti
visibilmente la sovranità bielorussa e che non tenga conto della
275
volontà della maggioranza della popolazione.
Per Mosca, la soluzione ideale in questo momento sarebbe
una stabilizzazione incruenta a opera di Lukashenko, «seguita
da una transizione coordinata con il Cremlino verso un siste-
ma di potere meno verticistico»24. O ancora meglio sarebbe se il
lea­der bielorusso abbandonasse discretamente la scena, tanto più
che egli – dopo le accuse mosse alla Russia durante la campagna
elettorale – non gode più della stima e della fiducia di Putin. Per
il momento il vecchio Presidente fa di tutto per evitare una so-
luzione di questo tipo: da un lato, attende che le contestazioni di
piazza diminuiscano, in modo da poter stabilizzare il Paese con
la forza; dall’altro, fa arrestare i capi dell’opposizione, impedendo
così che Mosca, o altri intermediari politici, trovino interlocu-
tori validi per una soluzione negoziale della crisi in atto. Sta di
fatto che il lungo «regno» di Lukashenko è ormai al tramonto.
Anche se, per il momento, non si vede emergere una classe po-
litica nuova, pronta a prendere in mano, con decisione, le redini
del potere.
L’Unione Europea, lacerata da divisioni interne, ha tenuto
nella vicenda bielorussa un profilo piuttosto basso e un atteg-

23. A. Shaibmen, «Una mela avvelenata per la Russia», in Internazionale, 18


settembre 2020, 44.
24. Ivi, 45.
FOCUS

giamento ambiguo25. Il 19 agosto, al termine di una video-


conferenza dedicata alla Bielorussia, il presidente del Consiglio
europeo Charles Michel ha espresso solidarietà ai manifestanti,
dichiarando di non riconoscere l’esito delle elezioni presidenziali
e che l’Unione è pronta a introdurre «sanzioni mirate» contro
i responsabili «delle violenze sui manifestanti, della repressione
e della falsificazione delle elezioni, che non sono state eque né
libere e non hanno rispettato gli standard internazionali»26.
I Paesi dell’Unione, dopo una notte di tesi colloqui tra il 1°
il 2 ottobre scorso, sono riusciti ad approvare le sanzioni con-
tro la Bielorussia. A questa decisione, infatti, si opponeva Cipro,
che chiedeva con forza l’adozione di sanzioni nei confronti della
Turchia (accusata di sconfinare, nel Mediterraneo, dalle proprie
276
acque territoriali e di ledere i diritti di altri Stati). La soluzione
è stata trovata inviando a Erdoğan un «ultimatum» nel quale lo
si invita a proseguire i colloqui con le parti coinvolte nella crisi,
e con la promessa – da parte dell’Unione – di sborsare «nuovi
soldi» alla Turchia per i 4 milioni di rifugiati che ospita nel suo
territorio. Per dare attuazione a tale progetto l’Ue «utilizzerà tutti
gli strumenti e le opzioni a sua disposizione»27. È un chiaro rife-
rimento a possibili sanzioni.
Per quanto riguarda la Bielorussia, i 27 hanno deciso di san-
zionare personalità di «alto rango» accusate di brogli elettorali e di
repressione nei confronti degli oppositori politici e dei manifestanti
disarmati. Il provvedimento, per il momento, non ha colpito il Pre-
sidente, ma soltanto il ministro dell’Interno e altri membri dell’e-
secutivo, nonché i responsabili della sicurezza e delle forze armate.

25. Cfr P. Smolar, «Le dilemme européen face à la crise biélorusse», in Le


Monde, 27 agosto 2020; B. H. Levy, «Ora l’Europa aiuti questa nuova rivoluzione
di velluto», in la Repubblica, 22 agosto 2020.
26. G. Colorusso, «Bielorussia, l’Ue annuncia sanzioni. “Non riconosciamo
l’esito del voto”», in la Repubblica, 20 agosto 2020. La cancelliera Merkel ha afferma-
to che l’Unione Europea «vuole sostenere la società civile, ma per noi è chiaro che
la Bielorussia deve trovare da sola la sua strada [...] e non devono esserci interventi
dall’esterno» (ivi). La precisazione era indirizzata non solo ai Paesi europei, ma in
particolare alla Russia.
27. A. D’Argento, «Superato il nodo sulla Turchia. L’Ue approva le sanzioni
contro il regime bielorusso», in la Repubblica, 3 ottobre 2020.
LA «RIVOLUZIONE» BIANCO-ROSSA DELLA BIELORUSSIA

Anche gli Usa hanno annunciato di prendere una serie di misure


«coordinate» con quelle adottate dall’Unione Europea28.
Sulla vicenda è intervenuto anche papa Francesco, il quale,
nell’ Angelus del 16 agosto, ha detto di seguire con attenzione la
situazione post-elettorale della Bielorussia e ha fatto appello al
dialogo tra le parti, auspicando «il rifiuto [da parte di tutti] della
violenza e il rispetto della giustizia e del diritto»29. Una com-
posizione negoziale della crisi in corso sembra, realisticamente,
l’unica via percorribile, al fine di evitare inutili spargimenti di
sangue.

277

28. Alcuni membri dell’Unione, come la Polonia e i Paesi baltici, du-


rante la lunga discussione, hanno insistito per sanzionare anche il presidente
Lukashenko. A questa soluzione si sono opposti alcuni Paesi, come la Germania
e l’Italia, per non compromettere le residue possibilità di soluzione negoziale
della crisi. Il 12 ottobre i 27 ministri degli Esteri hanno affermato che l’Unione
intende adottare nuove sanzioni «verso entità e funzionari di alto rango» del
regime bielorusso, includendo questa volta anche il Presidente (accusato di man-
care di legittimità democratica), nel caso la situazione non dovesse migliorare
e le violenze contro i manifestanti dovessero continuare. Cfr A. D’Argento,
«Sanzioni alla Russia. L’Europa unita sul caso Navalnyi», in la Repubblica, 13
ottobre 2020.
29. Francesco, Angelus del 16 agosto 2020, in www.vatican.va
PROFILO

LA FIGURA DI CHARLES DE FOUCAULD


IN «FRATELLI TUTTI»
Reagire nella speranza
Diego Fares S.I.

«Fratelli tutti»! Con questo esordio, papa Francesco ci dice che,


per questa nuova enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale che ci
ha appena donato, si è ispirato di nuovo a san Francesco d’Assisi, il
santo dell’amore fraterno per tutte le creature e specialmente per i
278
suoi fratelli più abbandonati1.
Francesco incentra la sua dottrina sull’annuncio delle verità essen-
ziali del cristianesimo: l’adorazione di Dio e il servizio del prossimo.
Egli afferma: «Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre
fonti per concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di Dio e l’amore del
prossimo, in modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, fuori dal
loro contesto, non finiscano per alimentare forme di disprezzo, di odio,
di xenofobia, di negazione dell’altro» (FT 282). Il Papa torna kerygma-
ticamente, più volte, sui temi necessari per la conversione nostra e del
mondo. E lo fa alla maniera degli Esercizi spirituali (ES) di sant’Ignazio,
in cui la ripetizione è la chiave per «sentire e gustare internamente» (ES 2)
le verità che lo Spirito propone oggi alla Chiesa e al mondo.
Papa Francesco non si preoccupa di quanti lo criticano sostenendo che
i suoi discorsi parlano molto di politica e poco di escatologia. Piuttosto,
seguendo i criteri che il Signore ci ha dato nella parabola del buon sama-
ritano, sottrae l’escatologia all’ambito delle affermazioni astratte sulla fine
dei tempi e la colloca nel nostro presente più attuale, in quella «strada» in
cui, in «ogni esistenza proiettata sulla via per realizzare la fraternità uma-
na, […] ci scontriamo, immancabilmente, con l’uomo ferito» (FT 69).
Se a qualcuno fosse rimasto qualche dubbio su ciò che Francesco
desidera annunciare e testimoniare con il suo pontificato, in questa

1. Cfr Francesco, Enciclica Fratelli tutti, sulla fraternità e l’amicizia sociale, 3


ottobre 2020. Nell’articolo l’enciclica viene citata con la sigla FT.

© La Civiltà Cattolica 2020 IV 278-290 | 4089 (7/21 novembre 2020)


LA FIGURA DI CHARLES DE FOUCAULD IN «FRATELLI TUTTI»

nuova enciclica egli torna a segnalare dov’è che si giocano indivise


et inconfuse la vita sociale, l’economia, la politica e la vita religiosa:
«Oggi, e sempre di più, ci sono persone ferite. L’inclusione o l’esclu-
sione di chi soffre lungo la strada definisce tutti i progetti economi-
ci, politici, sociali e religiosi» (ivi).

L’immagine profetica di Charles de Foucauld

Insieme all’immagine iniziale di Francesco d’Assisi, quella fi-


nale di Charles de Foucauld stringe in un abbraccio pieno di spe-
ranza l’intero contenuto dell’enciclica, che il Papa sintetizza dina-
micamente ponendo la fraternità e l’amicizia sociale in chiave di
desiderio: «Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato di
279
vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo
far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità» (FT
8). Sogniamo assieme, ci esorta all’inizio; e precisa il suggerimento
nella conclusione: «Che Dio ispiri a ciascuno di noi il sogno che ha
ispirato a Charles de Foucauld» (cfr FT 287).

LA FIGURA DI CHARLES DE FOUCAULD HA


IN «FRATELLI TUTTI», UNA GRANDE FORZA
TESTIMONIALE.

Il fatto di mettere in risalto la figura di Charles de Foucauld, che


presto canonizzerà2, ha in Fratelli tutti una grande forza testimonia-
le: raccoglie e attualizza l’eredità di Francesco d’Assisi, sintetizza e
incarna il contenuto evangelico che il Papa espone nell’enciclica, e
ci interpella in modo concreto là dove è in atto la più grande sfida
del nostro tempo.
I due ultimi punti che il Papa dedica esplicitamente al beato
Charles sono brevi, ma densi di contenuto evangelico. Francesco
mostra come il sogno di de Foucauld, di una donazione totale a Dio

2. Il 26 maggio 2020 papa Francesco ha autorizzato la Congregazione per le


cause dei santi a promulgare un decreto relativo alla prossima canonizzazione del
beato de Foucauld.
PROFILO

e ai fratelli che gli permettesse di riuscire a farsi «fratello di tutti»,


«fratello universale», il beato lo ha realizzato solo «identificandosi
con gli ultimi» (FT 287; cfr 2-4). La cosa più importante che ci fa
notare il Papa è che non si tratta di un sogno casuale. Esso giunge
carico di storia: il sogno del beato Charles è lo stesso che Dio ispirò
a Francesco d’Assisi. È un ideale a lungo sognato, un ideale che
comporta un cammino di trasformazione anche in noi, fino a farci
sentire, come questi santi, fratelli e amici di tutti.
Questo sogno della fraternità e dell’amicizia sociale è sempre
stato tra le preoccupazioni primarie di papa Bergoglio (cfr FT 5)3.
E constatiamo che la spiritualità di de Foucauld non appare soltan-
to nei capoversi finali, ma pervade l’intera enciclica. Oltre al rife-
rimento esplicito alla fraternità e all’amicizia sociale, peculiari di
280
questo santo, si possono evidenziare due aspetti della sua spiritualità
che sono trasversalmente presenti in Fratelli tutti.

Gli abbandonati

Nel capitolo terzo, l’«estraneo sulla strada» viene chiamato «l’ab-


bandonato», espressione che il Papa utilizza per parlare della con-
cretezza dell’amore universale di Francesco d’Assisi e dell’identifi-
cazione di Charles de Foucauld «con gli ultimi, abbandonati nel
profondo del deserto africano» (FT 287).
Questa predilezione per i più abbandonati non ha un carattere sol-
tanto etico, ma anche profondamente teologico. In Charles de Foucauld
l’abbandono nelle mani del Padre («preghiera di abbandono») e l’abbrac-
ciare l’abbandono dei più piccoli sono un tutt’uno: «Abbracciare l’umiltà,
la povertà, l’abbandono, l’abiezione, la solitudine, la sofferenza con Gesù
nella mangiatoia; non fare alcun caso della grandezza umana, dell’ele-
vatezza, della stima degli uomini, ma stimare così i poveri come i più

3. L’allora cardinale Bergoglio parlava ai giovani catechisti di Buenos Aires


del sogno che fa «camminare alla presenza amorosa del Padre, sa abbandonarsi a Lui
con infinita fiducia, come hanno saputo fare santa Teresina o il fratello Charles de
Foucauld…» ( J. M. Bergoglio, Discorso all’Incontro arcidiocesano di catechesi, Bue-
nos Aires, 11 marzo 2006, in Id., Nei tuoi occhi è la mia parola: Omelie e discorsi di
Buenos Aires 1999-2013, Milano, Rizzoli, 2016, 413 s).
LA FIGURA DI CHARLES DE FOUCAULD IN «FRATELLI TUTTI»

ricchi. Per me, cercare sempre l’ultimo degli ultimi posti, ordinare la mia
vita in modo da essere l’ultimo, il più disprezzato degli uomini»4.
È interessante notare che de Foucauld non soltanto cerca gli ab-
bandonati a uno a uno, ma in ciascuno di loro coglie tutto il popo-
lo: per la precisione, va in cerca dei popoli più abbandonati. Diceva
il beato: «E poiché nessun popolo mi è sembrato più abbandonato di
questi, ho sollecitato e ottenuto dal Rev.mo Prefetto apostolico del
Sahara il permesso di stabilirmi nel Sahara algerino e di condurvi
nella solitudine, nella clausura e nel silenzio, nel lavoro manuale e
nella santa povertà, solo o con qualche sacerdote o laico fratelli in
Gesù, una vita per quanto è possibile conforme alla vita del benea-
mato Gesù a Nazaret»5.
L’altra caratteristica di Charles de Foucauld che papa Francesco
281
fa sua consiste nell’abbraccio agli abbandonati. Esso non è soltanto
quello della misericordia o della giustizia, ma quello dell’amicizia,
personale e sociale.
Riguardo all’amicizia, segnaliamo qui un esempio importante
di come papa Francesco categorizzi realtà che di solito vengono
prese tutt’al più come buoni esempi. E dicendo «categorizza» in-
tendiamo che egli approfondisce e formula l’essenza universale di
fenomeni che molte volte vengono trattati come casi particolari.
Francesco fa notare: «C’è un riconoscimento basilare, essenziale da
compiere per camminare verso l’amicizia sociale e la fraternità uni-
versale: rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale
una persona, sempre e in qualunque circostanza. Se ciascuno vale
tanto, bisogna dire con chiarezza e fermezza che “il solo fatto di
essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non
giustifica che alcune persone vivano con minore dignità”. Questo è
un principio elementare della vita sociale, che viene abitualmente e
in vari modi ignorato da quanti vedono che non conviene alla loro
visione del mondo o non serve ai loro fini» (FT 106).
E quanto vale un essere umano? In questa enciclica Francesco ci
dice che un essere umano non soltanto vale in quanto è degno di giu-
stizia e di misericordia, in quanto è fratello e pari nell’umanità, ma può

4. Ch. de Foucauld, Scritti spirituali, Assisi (Pg), Cittadella, 1968, 69.


5. Ivi, 182.
PROFILO

valere infinitamente di più in quanto è degno di essere nostro amico.


«Come [nella Conferenza di Aparecida] hanno insegnato i Vescovi
latinoamericani, “solo la vicinanza che ci rende amici ci permette di
apprezzare profondamente i valori dei poveri di oggi, i loro legittimi
aneliti e il loro specifico modo di vivere la fede. L’opzione per i poveri
deve portarci all’amicizia con i poveri” [Aparecida 398]» (FT 234).

La conversazione

Il capitolo sesto, sul dialogo e l’amicizia sociale, si illumina quan-


do si legge quella risoluzione che Charles de Foucauld si propone-
va: «Aumentare la mia conversazione con gli umili, abbreviarla con i
potenti»6. Degna di nota è anche l’elevazione del dialogo a sua modali-
282
tà di avvicinarsi ai fratelli musulmani: «Avvicinarli, prendere contatto,
stringere amicizia con loro, far cadere, mediante le relazioni giorna-
liere e amichevoli, le loro prevenzioni contro di noi; modificare, con
la conversazione e l’esempio della nostra vita, le loro idee [su di noi]»7.
Il suo dialogo non scaturisce soltanto dalla sua naturale socievolez-
za, e nemmeno si tratta di una strategia pastorale. Per lui la cosa più
importante della vita, la preghiera, è dialogo con Dio: «La preghiera è
qualsiasi colloquio dell’anima con Dio […], colloquio intimo, segreto
delizioso»8. Ed è proprio questa sua dimensione più preziosa che egli
offre alle persone più umili con cui si incontra. Charles de Foucauld è
uno di quegli uomini dei quali si può dire, come massimo elogio, «che
parla con tutti», che non fa distinzioni di persone, non solo quanto
all’essere giusto e aperto, ma anche riguardo a quel genere di conver-
sazione che riserviamo soltanto a chi consideriamo degno di amicizia.
Nel capitolo primo – «Le ombre di un mondo chiuso» – il Papa va
oltre una critica a quella degradazione impressa al dialogo dalle notizie
false, dalla calunnia e dalla denigrazione del prossimo, che tanto dan-
neggiano la vita politica e sociale di un Paese e del mondo. Francesco
va al cuore di un dialogo amichevole in quanto è l’unico capace di

6. Id., Escritos espirituales, Madrid, Studium, 1964, 124 (www.iesu-


scaritas.org/wp-content/uploads/2018/10/kupdf.net_escritos-espirituales-
carlos-de-foucauld.pdf).
7. Id., Scritti spirituali, cit., 199.
8. Ivi, 90; 93.
LA FIGURA DI CHARLES DE FOUCAULD IN «FRATELLI TUTTI»

unire l’umanità, di farci parlare in prima persona plurale, dicendo «noi»


con il cuore. Egli afferma: «C’è bisogno di gesti fisici, di espressio-
ni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo,
tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte
della comunicazione umana. I rapporti digitali, che dispensano dalla
fatica di coltivare un’amicizia, una reciprocità stabile e anche un con-
senso che matura con il tempo, hanno un’apparenza di socievolezza.
Non costruiscono veramente un “noi”, ma solitamente dissimulano e
amplificano lo stesso individualismo che si esprime nella xenofobia e
nel disprezzo dei deboli. La connessione digitale non basta per gettare
ponti, non è in grado di unire l’umanità» (FT 43; corsivo nostro).
Esiste un modo di conversare che è possibile solo se c’è amicizia so-
ciale. Il Papa mira a costruire insieme, a fondare il consenso attorno alla
283
verità fondamentale della dignità assoluta di ogni essere umano, al pia-
cere di riconoscere l’altro e al recupero della gentilezza. Sono tutti modi
di dialogare che hanno luogo in pienezza quando si parla tra amici.

Il vero superamento dei conflitti: ciò che è più intimo, ciò che è più universale

La figura di Charles de Foucauld assume una statura paradig-


matica nella prospettiva di Francesco, che lo presenta come colui
che ha incarnato nel nostro tempo la verità evangelica del lievito
che fa fermentare l’impasto. Secondo il linguaggio di Guardini lo si
può formulare così: soltanto ciò che è più intimo può trasformarsi
in qualcosa di veramente universale; e soltanto ciò che è più uni-
versale può essere interiorizzato radicalmente. E questo contro ogni
falso universalismo e ogni falso intimismo.
Può essere di aiuto, qui, ricordare come l’allora dottorando Ber-
goglio trattava questa tensione virtuosa nella sua lezione magistrale
sull’antropologia politica, pronunciata all’inizio dell’anno accade-
mico 1989 all’Università di San Miguel. Egli parlava della corretta
tensione che deve esserci tra la interiorità e la totalità (o universalità) e
segnalava le tentazioni contro l’interiorità, ovvero la chiusura in se
stessi e l’individualismo, e le tentazioni contro l’universalità, ovvero
il totalitarismo e la perdita di sé. Affermava: «La totalità si possiede
soltanto a partire dalla nostra interiorità più profonda; altrimenti
diventa una struttura astratta e non serve come cornice per trascen-
PROFILO

dere i conflitti, ma diventa perdita di sé in un tutto che non com-


prende né rappresenta quello che c’è di più autentico»9.
Oggi, nell’enciclica, vediamo ripresa questa intima preoccupazio-
ne del Papa in un contesto di riflessione più ampio (cfr FT 5), dove
egli cerca di universalizzare quanto esiste di più libero e intimo, come
l’amicizia, in modo tale che la fraternità possa radicarsi profondamente
nella vita sociale e politica dell’umanità. Infatti, la fraternità non basta.
Da Caino in poi, gli scontri tra fratelli – dalle liti per l’eredità fino alle
guerre civili – spesso sono quelli più accaniti. Per una buona rela-
zione fraterna è necessario coltivare gratuitamente l’amicizia. Questa
aggiunge alla fratellanza la componente qualitativa della libera scelta
di essere amici e consolida così nel bene una relazione di fraternità che,
in quanto basata su una origine comune non scelta, può sfociare tanto
284
nell’amicizia quanto nel suo contrario.
Il discernimento che il Papa fa dell’esclusione sociale come il
male del nostro tempo ci induce a concludere che tale esclusione
non si risolve se non a partire da una realtà intima e gratuita come
il desiderio di amicizia, che comporta di considerare l’altro non sol-
tanto pari in dignità, malgrado le differenze di razza, religione o
condizione sociale, ma anche capace di amicizia.
La figura di Charles de Foucauld, ben lontana da quella del frati-
cello solitario dedito a una missione eroica ma individuale e inimitabi-
le, davanti ai nostri occhi si trasforma in una figura universale concre-
ta, che svolge una missione assolutamente imitabile e programmatica.
Egli intuisce, per esempio, che per preparare il mondo musulmano
alla venuta del Vangelo e di Cristo si richiede un lento lavoro di pura
amicizia e di servizio, senza la pretesa di imporre alcuna verità uni-
versale. De Foucauld universalizza il servizio cristiano praticato verso
ogni persona che incontra, e non idee cristiane generali. Su queste,
piuttosto, tace. Egli dichiara: «Quale il pastore, tale il popolo». «Il bene
che fa un’anima è in proporzione diretta del suo spirito interiore». «La
santificazione dei popoli di questa regione è, dunque, nelle mie mani!
Essi saranno salvati se io divento santo»10.

9. Francesco, Non fatevi rubare la speranza. La preghiera, il peccato, la filosofia


e la politica pensati alla luce della speranza, Milano, Mondadori, 2013, 179 s.
10. Ch. de Foucauld, Opere spirituali. Antologia, Milano, Paoline, 1961, 538.
LA FIGURA DI CHARLES DE FOUCAULD IN «FRATELLI TUTTI»

Vediamo quanto sia intensa, nel beato Charles, questa relazione tra
la radicalità della sua santità personale e la forza di irradiazione univer-
sale di quella stessa santità a tutti i popoli. È ciò che esprime la parabola
del lievito nell’impasto. Ma papa Francesco giunge a mostrarci anche
l’altra faccia della medaglia: la relazione tra interiorità e universalità
non è una strada a senso unico, che da più interiore va diventando più
universale. Francesco ci fa comprendere che non c’è vera universalità
che non cerchi di radicarsi nei valori più profondi, che sono liberi e
gratuiti. Una politica che non coltivi il desiderio di amicizia nel po-
polo e che si limiti a manipolare dall’esterno le volontà e i voti, non
arriverà mai a essere vera politica, ossia servizio del bene comune. E
sebbene in apparenza ci voglia più tempo a constatarlo, possiamo af-
fermare lo stesso dell’economia: un sistema economico che non arrivi
285
al portafoglio del più escluso prima o poi collasserà su scala globale.
Con la pandemia di Covid-19 abbiamo compreso a livello esi-
stenziale questa relazione tra la salute di un singolo individuo e
quella dell’umanità intera. E se ci spingiamo un po’ più lontano,
possiamo dire la stessa cosa della gioia e della bellezza: una gioia
di cui non possono gioire tutti, di cui gioiscono soltanto alcuni in
modo egoistico, non è una gioia piena, le manca qualcosa. Tutto è
connesso, e la relazione tra interiorità e universalità riguarda l’esse-
re, non è una mera teoria astratta.

Due princìpi

Questa sana e fondamentale connessione tra l’interiorità e l’uni-


versalità illumina anche i famosi princìpi che il Papa ricorda sempre.
Il principio che il tutto è più della parte, e anche più della mera
somma delle parti (cfr FT 78; 145; 215), e il principio che «l’unità è
superiore al conflitto» (FT 245) non vanno letti nella chiave lineare
di una logica astratta, opponendo definizioni diverse di ogni con-
cetto, ma nella chiave vitale che supera ogni definizione, perché si
esprime nella tensione asimmetrica che si dà tra quanto esiste di più
interiore e libero e quanto si può pretendere di più universale.
Il Papa afferma in vario modo che l’universalità si radica nell’inti-
mità di ciò che è più locale: «C’è una falsa apertura all’universale, che
deriva dalla vuota superficialità di chi non è capace di penetrare fino
PROFILO

in fondo nella propria patria, o di chi porta con sé un risentimento


non risolto verso il proprio popolo. In ogni caso, “bisogna sempre
allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà
benefici a tutti noi. Però occorre farlo senza evadere, senza sradica-
menti. È necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia
del proprio luogo, che è un dono di Dio. Si lavora nel piccolo, con ciò
che è vicino, però con una prospettiva più ampia. […] Non è né la
sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili”, è il
poliedro, dove, mentre ognuno è rispettato nel suo valore, “il tutto è
più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma”» (FT 145).
L’immagine del buon samaritano riassume questa relazione tra
l’occuparci con tutto il cuore di un singolo caso e il costruirci attor-
no un «noi». Per questo, «è possibile cominciare dal basso e, caso per
286
caso, lottare per ciò che è più concreto e locale, fino all’ultimo an-
golo della patria e del mondo, con la stessa cura che il viandante di
Samaria ebbe per ogni piaga dell’uomo ferito. […] Però non faccia-
molo da soli, individualmente. Il samaritano cercò un affittacamere
che potesse prendersi cura di quell’uomo, come noi siamo chiamati
a invitare e incontrarci in un “noi” che sia più forte della somma di
piccole individualità; ricordiamoci che “il tutto è più delle parti, ed
è anche più della loro semplice somma”» (FT 78).
Allo stesso modo, l’unione capace di superare i conflitti è quella
che si radica «nel più alto di noi stessi». «Più volte ho proposto “un
principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità
è superiore al conflitto. […] Non significa puntare al sincretismo,
né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un
piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle po-
larità in contrasto”. Sappiamo bene che “ogni volta che, come per-
sone e comunità, impariamo a puntare più in alto di noi stessi e dei
nostri interessi particolari, la comprensione e l’impegno reciproci si
trasformano […] in un ambito dove i conflitti, le tensioni e anche
quelli che si sarebbero potuti considerare opposti in passato, posso-
no raggiungere un’unità multiforme che genera nuova vita”» (FT
245; corsivo nostro).
Parlando del proprio desiderio di essere fratello universale, Char-
les de Foucauld diceva: «Gli indigeni ci accolgono bene. Questa ac-
coglienza non è sincera; cedono alla necessità… Quanto tempo sarà
LA FIGURA DI CHARLES DE FOUCAULD IN «FRATELLI TUTTI»

necessario perché abbiano i sentimenti che simulano? Può darsi che


non li avranno mai. Se li avranno, sarà il giorno che saranno cristia-
ni… Sapranno distinguere tra i soldati e i sacerdoti; vedere in noi
servitori di Dio, ministri di pace e carità, fratelli universali? Non lo
so… Se compio il mio dovere, Gesù spargerà grazie abbondanti, e
loro comprenderanno»11.
Francesco addita due cose come le più alte e intime, in quanto
pienamente libere: il perdono e l’amicizia.

Il perdono

Dopo una dettagliata descrizione fenomenologica, in cui ammet-


te tutte le difficoltà e le deviazioni connesse all’idea del perdono, il
287
Papa ci parla del «perdono libero e sincero», la cui «grandezza riflette
l’immensità del perdono divino». Egli scrive: «Se il perdono è gratui­
to, allora si può perdonare anche a chi stenta a pentirsi ed è incapace
di chiedere perdono» (FT 250; corsivo nostro). In uno dei passi più
originali dell’enciclica, il Papa afferma che il perdono non compor-
ta dimenticanza, e specifica la sua proposta: «Diciamo piuttosto che
quando c’è qualcosa che in nessun modo può essere negato, relativiz-
zato o dissimulato, tuttavia, possiamo perdonare. Quando c’è qualcosa
che mai dev’essere tollerato, giustificato o scusato, tuttavia, possiamo
perdonare. Quando c’è qualcosa che per nessuna ragione dobbiamo
permetterci di dimenticare, tuttavia, possiamo perdonare» (FT 250;
corsivi nostri). Vediamo qui, espressa come ciò che è più universal-
mente esigibile, la condizione senza la quale non si può costruire una
società fraterna: il perdono. Ovvero, ci viene mostrato che esso non
può darsi se non come atto interiore libero e gratuito.
Il Papa non dice «dobbiamo», bensì «possiamo» perdonare. Que-
sto atteggiamento – scegliere di perdonare – non è un’utopia o una
questione meramente religiosa. Qualsiasi alleanza – di gruppo, na-
zionale o mondiale – implica sempre una decisione di perdonare
certe cose per riuscire così ad andare avanti. Il perdono come deci-
sione libera è alla radice di ogni politica che ricerchi il bene comune.

11. Id., Escritos espirituales, cit., 144.


PROFILO

L’amicizia

Riflettendo sull’amicizia, Francesco pone l’accento su quella che


chiama la «legge di estasi», dell’uscire da sé per trovare nell’altro un
accrescimento del nostro essere. «Dall’intimo di ogni cuore, l’amore
crea legami e allarga l’esistenza quando fa uscire la persona da sé
stessa verso l’altro. Siamo fatti per l’amore e c’è in ognuno di noi
“una specie di legge di ‘estasi’: uscire da se stessi per trovare negli
altri un accrescimento di essere”. Perciò “in ogni caso l’uomo deve
pure decidersi una volta ad uscire d’un balzo da se stesso”» (FT 88).
È per questo che le forme più nobili dell’amicizia abitano i cuori
che si lasciano completare. I legami di coppia e di amicizia fanno
aprire il cuore attorno a sé, rendendoci capaci di uscire da noi stes-
288 si fino ad accogliere tutti (cfr FT 89). La caratteristica più propria
dell’amicizia è l’amore per l’altro in quanto tale, e questo ci muove
a cercare il meglio per la sua vita. «Solo coltivando questo modo di
relazionarci renderemo possibile l’amicizia sociale che non esclude
nessuno e la fraternità aperta a tutti» (FT 94).

La migliore politica e gli aspetti migliori di ogni religione

Vediamo così come la tensione tra interiorità e universalità sia


quella che costruisce la migliore politica e permette il dialogo tra gli
aspetti migliori di ogni religione. Scrive il Papa: «Riconoscere ogni
essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia
sociale che includa tutti non sono mere utopie. Esigono la decisione e
la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possi-
bilità. Qualunque impegno in tale direzione diventa un esercizio alto
della carità. Perché un individuo può aiutare una persona bisognosa,
ma quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità
e di giustizia per tutti, entra nel “campo della più vasta carità, della
carità politica”. Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico
la cui anima sia la carità sociale. Ancora una volta invito a rivalutare la
politica, che “è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose
della carità, perché cerca il bene comune”» (FT 180).
Quanto al rapporto tra le varie religioni, Francesco continua a
orientare il dialogo non attorno alle idee su Dio, ma piuttosto all’ap-
LA FIGURA DI CHARLES DE FOUCAULD IN «FRATELLI TUTTI»

prezzamento di ogni persona umana come creatura chiamata a essere


figlia di Dio. Questo, per cominciare, consente sempre a ogni religio-
ne di offrire «un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e
per la difesa della giustizia nella società. Il dialogo tra persone di reli-
gioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleran-
za. Come hanno insegnato i Vescovi dell’India, “l’obiettivo del dialogo
è stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze
morali e spirituali in uno spirito di verità e amore”» (FT 271).
Il capitolo ottavo – «Le religioni al servizio della fraternità nel
mondo» – si illumina in modo particolare quando leggiamo ciò che
Charles de Foucauld diceva del suo romitaggio di Béni Abbès, in cui
accoglieva le visite dei nomadi e della gente del popolo: «Nella “Fra-
ternità” – così chiamava il suo romitorio – essere sempre umile, dolce
289
e servire, così come facevano Gesù e Maria e Giuseppe nella santa casa
di Nazaret… Dolcezza, umiltà, abiezione, carità, servire gli altri»12.

Reagire nella speranza

Concludiamo con una breve riflessione sul paragrafo 6 dell’En-


ciclica, in cui Francesco esprime la sua intenzione di fondo in ter-
mini di «reazione»: «Consegno questa Enciclica sociale come un
umile apporto alla riflessione affinché, di fronte a diversi modi at-
tuali di eliminare o ignorare gli altri, siamo in grado di reagire con
un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle
parole» (FT 6; corsivi nostri).
È necessario reagire davanti alla vastità della crisi mondiale che
ci colpisce da ogni parte. Il Papa invita a reagire non a parole, ma
con un nuovo sogno: quel sogno che Francesco d’Assisi e Charles
de Foucauld seppero concretizzare in piccoli gesti di una radicalità
che reca in sé un seme di espansione universale. Un esempio con-
creto proposto da Francesco è quello di tante persone comuni che
hanno reagito generosamente di fronte all’imprevista pandemia di
Covid-19: «La recente pandemia ci ha permesso di recuperare e
apprezzare tanti compagni e compagne di viaggio che, nella paura,
hanno reagito donando la propria vita» (FT 54).

12. Id., Opere spirituali. Antologia, cit., 546.


PROFILO

Le pagine della sua enciclica, chiarisce il Papa, «non pretendono di


riassumere la dottrina sull’amore fraterno, ma si soffermano sulla sua
dimensione universale, sulla sua apertura a tutti» (FT 6). Questo amore
capace di estendersi al di là delle frontiere «ha come base ciò che chia-
miamo “amicizia sociale” in ogni città e in ogni Paese». E «quando è
genuina, questa amicizia sociale all’interno di una società è condizione
di possibilità di una vera apertura universale» (FT 99). È questa la di-
namica racchiusa nella frase di san Francesco che dichiara «beato colui
che ama l’altro “quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto
a lui”» (FT 1), tanto il più lontano – da un punto di vista geografico,
culturale, ideologico, politico, religioso – quanto il più vicino.
Fratelli tutti ha lo stile di una conversazione tra amici. Di quelle
conversazioni in cui, trattando i temi vitali che ci interpellano e ci
290
appassionano, più che le definizioni a cui si perviene ci interessa la
speranza concreta che scaturisce da questo modo di parlare amiche-
vole e fraterno. «Invito alla speranza – dice Francesco, con il suo tono
che interpella – che “ci parla di una realtà che è radicata nel profondo
dell’essere umano, indipendentemente dalle circostanze concrete e dai
condizionamenti storici in cui vive. [Questa speranza] ci parla di una
sete, di un’aspirazione, di un anelito di pienezza, di vita realizzata, di
un misurarsi con ciò che è grande, con ciò che riempie il cuore ed
eleva lo spirito verso cose grandi, come la verità, la bontà e la bellezza,
la giustizia e l’amore. […] La speranza è audace, sa guardare oltre la
comodità personale, le piccole sicurezze e compensazioni che restrin-
gono l’orizzonte, per aprirsi a grandi ideali che rendono la vita più
bella e dignitosa”. Camminiamo nella speranza» (FT 55).
Dio ci ispiri questa speranza, come l’ha ispirata a san Francesco
e a Charles de Foucauld, il quale, come afferma Madeleine Delbrêl,
«è, da solo, la coincidenza di molti opposti […] e ci appare radica-
to nel crocicchio della carità. […] Egli fa coincidere i due estremi
dell’amore: il prossimo immediato e il mondo intero»13.

13. M. Delbrêl, «Perché amiamo il padre de Foucauld», in Id., Che gioia cre-
dere!, Torino, Gribaudi, 1969, 31-34.
DANTE E I GESUITI
Giandomenico Mucci S.I.

Nel 1965, nel corso delle celebra- mento della lingua italiana era ab-
zioni per il settimo centenario del- bastanza ridotto. Tuttavia, in quelle
la nascita di Dante, la nostra rivista scuole, a gruppi di giovani scelti
pubblicò due articoli volti a sfatare che formavano le cosiddette «Ac-
un luogo comune che nell’immagi- cademie» era concesso di leggere la 291
nario italiano ritorna quando si par- Commedia secondo uno stile che fa
la dell’atteggiamento dei gesuiti nei pensare alle future lecturae Dantis.
confronti dell’arte della Commedia1.
Da quando nel Settecento un ge- Il fine apologetico
suita, Saverio Bettinelli, rese nota la
sua infelice opinione sul poeta, qua- È altresì possibile che i maestri
si non è mai mancato un manuale gesuiti abbiano esitato a consigliare
di storia della letteratura italiana e il poema dantesco ai loro studenti
qualche suo frettoloso ripetitore che per il tempo stesso che vedeva fio-
non attribuisca a tutta la Compagnia rire le loro scuole e i loro collegi, il
quella che fu l’opinione di un suo secolo che aveva assistito alla lace-
membro: come se i gesuiti avessero razione della cristianità occidentale
comminato la scomunica al poeta! con le critiche, in tanta parte d’Eu-
In verità, nelle scuole della ropa, contro l’istituto stesso del pa-
Compagnia Dante non era l’autore pato; e certi canti del grande poe-
maggiormente raccomandato agli ma che denunciano a chiare let-
allievi, come invece lo erano gli tere i vizi e le debolezze di alcuni
autori dell’antichità classica, anche pontefici non dovevano sembrare il
perché nei loro programmi scola- nutrimento più salutare per menti
stici il posto assegnato all’insegna- giovanili in quel tempo.

1. Cfr D. Mondrone, «Dante e i gesuiti», in Civ. Catt. 1965 II 535-547; Id., «Gesuiti
studiosi di Dante», ivi 1965 III 119-132. Abbiamo tratto da questi due articoli le notizie sto-
riche e letterarie che citiamo.

© La Civiltà Cattolica 2020 IV 291-296 | 4089 (7/21 novembre 2020)


NOTE E COMMENTI

Ed ecco che san Roberto Bel- nell’Ottocento, quando le aspi-


larmino, che è tra i primi conosci- razioni liberali all’unità naziona-
tori ed estimatori gesuiti di Dante, le eressero Dante a loro simbolo e
inaugura lo studio del poeta con un attribuirono alle sue invettive anti-
fine apologetico, distinguendo il papali il significato che conveniva
valore dell’arte dantesca, la perfetta alla lotta dei liberali contro il pote-
ortodossia cattolica del suo autore e re temporale e spirituale dei papi, i
l’acredine politica, rivestita talvolta padri Giovanni Battista Pianciani e
di atteggiamento profetico, con la Carlo Maria Curci, fondatore della
quale il poeta esprimeva passional- nostra rivista, che ebbero familiare
mente le attese della sua concezio- la Commedia, difesero l’ortodossia
ne politica che erano in disaccordo del poeta. Il Curci preparò e pub-
con l’operato dei papi sul piano pu- blicò un’edizione del poema per
292
ramente storico. Il Bellarmino an- il popolo, munita di un minimo
ticipava l’interpretazione di Dante commento – tascabile, come si di-
fondata esclusivamente sul suo ge- rebbe oggi –, perché la si potesse
nio poetico, indicando la via a colo- portare «ne’ passeggi, nelle ville,
ro che avrebbero respinto il Dante ne’ viaggi» e leggerla assiduamente.
nemico del papato e della Chiesa, il A testimonianza dell’amore e
Dante manicheo o cabalista, mem- dell’importanza riconosciuti dai ge-
bro di una setta segreta che avrebbe suiti a Dante è utile ricordare due
usato un linguaggio esoterico per noti gesuiti del Seicento: il padre
coprire il senso ovvio e reale delle Daniello Bartoli, che Leopardi chia-
parole2. Quindi, un metodo apolo- mò «il Dante della prosa italiana», che
getico doppio: apologia del poeta, ebbe caro citare ampiamente concet-
esaltandone il magistero dell’arte e, ti ed espressioni dantesche, e il padre
contemporaneamente, apologia del Carlo D’Aquino, che tradusse quasi
papato, riscattando il poeta dall’ac- tutta la Commedia in esametri latini3.
cusa di averne voluto rinnegare il
magistero della fede. Gli storici gesuiti
Questo metodo è stato spes-
so ripreso dai gesuiti in rappor- Tra gli storici gesuiti della lette-
to a Dante. Per esempio, in Italia, ratura va citato anzitutto Francesco

2. Cfr A. Valensin, Il cristianesimo di Dante, Roma, Paoline, 1964, 11 s.


3. Cfr P. Chiti, «Un insigne latinista ammiratore e traduttore di Dante. Il P. Carlo
D’Aquino (1654-1737)», in Civ. Catt. 1960 I 250-267.
DANTE E I GESUITI

Saverio Quadrio, autore nel Sette- in parte. Perché questo gesuita del
cento dei sette volumi Della storia e Settecento è ancora ricordato sia
della ragione d’ogni poesia, una spe- per l’infelice stroncatura di Dante
cie di grande enciclopedia di lette- sia per i meriti che si acquistò nella
ratura universale, che indaga origi- storia della letteratura con lo svec-
ne, natura e storia della lirica, della chiamento promosso nella cultura
drammatica e dell’epica in tutte le italiana del suo secolo, nonostan-
età e in tutti i Paesi. Dante è pre- te le intemperanze, gli eccessi e le
sente in ciascuno dei grossi volumi contraddizioni4.
con le sue canzoni, ballate e sonetti, Come abbiamo già detto, la
ma soprattutto con la Commedia e posizione antidantesca di Betti-
con la storia della sua composizione nelli esprimeva il suo convinci-
e delle sue prime versioni. mento personale, non la posizio-
293
E poi ancora un gesuita, Giro- ne della Compagnia in quanto
lamo Tiraboschi, autore della mo- tale. Infatti, appena Bettinelli
numentale Storia della letteratura ebbe commesso il suo misfatto
italiana, molto stimata dal Foscolo letterario, venne rimosso dai suoi
e dal De Sanctis. Dante vi è lodato superiori dall’ufficio di professo-
come «una vivacissima fantasia, un re e di accademico nel Collegio
ingegno acuto, uno stile a quan- dei Nobili di Parma e destinato a
do a quando sublime, patetico, dirigere corsi di Esercizi spirituali
energico, che si solleva, e rapisce, nel solitario Casino presso Vero-
immagini pittoresche, fortissime na. Qualche elogio fu tributato a
invettive, tratti teneri e passiona- Bettinelli da alcuni gesuiti fran-
ti, ed altri somiglianti ornamenti, cesi, perché allora in Francia im-
onde è fregiato questo poema, son perava Voltaire, celebre antidan-
un ben abbondante compenso de’ tista, pari, più tardi, a Lamartine.
difetti e delle macchie, che in esso In Italia, Le lettere virgiliane furo-
s’incontrano». no apprezzate dal Cesarotti, dal
E poi le famigerate Lettere virgi- Giovio, dal Verri, e se ne capisce
liane di Saverio Bettinelli. Vincen- la ragione.
zo Monti, per una piccola vendetta, Tra gli estimatori di Dante va
scrisse di lui: «Qui giace Bettinel annoverato un altro gesuita del
che tanto visse / da veder obliato ciò Settecento: Andrea Rubbi, vene-
che scrisse». Ma fu profeta soltanto ziano, autore dei 56 volumi del

4. Cfr G. Natali, Il Settecento, Milano, Vallardi, 1929, 1157.


NOTE E COMMENTI

Parnaso italiano, tre dei quali con- tutte le cose che il Vico loda e man-
tengono la Commedia, la biografia cano tutte quelle che egli giudicava
e l’elenco delle opere del poeta e il lodevole avere tralasciate»5.
confronto tra lui e Michelangelo. Un secolo e mezzo dopo il Ven-
A metà dell’Ottocento, il padre turi fu pubblicato il commento alla
Valeriano Cardella, professore di Commedia del padre Giovanni Cor-
lettere nel Collegio di Orvieto, noldi. Erano gli anni nei quali Leone
pubblicava un volumetto sull’ordi- XIII andava restaurando il tomismo
ne delle cantiche della Commedia nelle scuole cattoliche e, in tale con-
a uso degli studenti, esortandoli a testo, istituiva in Roma una cattedra
dissetarsi alla «sapienza profusa in dantesca. Dalla sponda opposta, con
quel miracolo di poesia». l’intenzione palese di fare del poema
uno strumento contro il papato, travi-
294
I commentatori gesuiti sando il senso delle invettive del poe­
ta, la massoneria istituiva un’analoga
Nella Compagnia non sono cattedra alla «Sapienza» e la offriva al
mancati, tra l’Ottocento e il Nove- Carducci, il quale, pur essendo mas-
cento, neppure i commentatori di sone, non la accettò; e al gran maestro
tutta la Commedia. Ne presentiamo della massoneria Adriano Lemmi, che
alcuni, a testimonianza dell’interesse lo sollecitava a nome del ministro Bo-
che i gesuiti italiani hanno portato vio, rispose di dissentire dallo scopo
a Dante, ma non senza prima aver inteso dal governo in quanto Dante
almeno accennato a un loro prece- troppo evidentemente era perfetta-
dente illustre del Settecento: il com- mente cattolico. Allora, da parte cat-
mento al poema del padre Pompeo tolica si sentì il bisogno di commen-
Venturi, che fino al 1870 aveva avuto tare la Commedia secondo l’autentico
non meno di 30 edizioni. La storia spirito del suo grande autore.
redazionale di questo commento è L’impegno fu fatto proprio dal
stata assai travagliata, e rimandiamo Cornoldi, uno dei redattori della
chi vorrà conoscerla allo studio che Civiltà Cattolica, che, da fervente
ne fece il Mondrone. Qui basti dire tomista qual era, compose il suo
che l’opera del Venturi meritò le lodi commento chiarendo i luoghi fi-
del Vico, e il Croce riconosceva che losofici, teologici, storici, etici,
nel lavoro del gesuita «sono appunto politici, ascetici del poema, ma

5. B. Croce, «Il “Giudizio su Dante” di G. B. Vico e il “Commento” di Pompeo


Venturi», in La Critica 25 (1927) 407-410.
DANTE E I GESUITI

forse eccessivamente dilungandosi Nel Novecento, fu membro del


su questioni dibattute dall’esege- collegio degli scrittori della Civiltà
si dantesca, che resero il suo lavo- Cattolica un dantista insigne, anco-
ro non adatto agli studenti quanto ra oggi noto tra gli specialisti: il pa-
fu invece utile ai dantisti, che non dre Giovanni Busnelli (1866-1944).
mancarono di apprezzarlo. I più celebri dantisti – il Flamini,
Circa 10 anni più tardi si ebbe lo Zingarelli, il Barbi, il Vandelli, il
il commento del padre Domenico Grabmann, il Parodi, il Mandonnet,
Palmieri, teologo dell’Università il Pietrobono, il D’Ovidio, il Torra-
Gregoriana, di orientamento filo- ca, il Porena – lo ebbero amico, col-
sofico non tomista. Nei tre volumi lega e, quando occorreva, avversario
dei quali consta questo commen- delle loro interpretazioni. Dotato di
to l’attenzione dell’autore non si una grande versatilità intellettuale
295
concentra direttamente su Dante nel campo della letteratura, studiò
poeta quanto sul suo cattolicesi- particolarmente Foscolo, Leopardi e
mo, sul suo ghibellinismo, su altre Manzoni, ma ebbe come settore di
questioni dottrinali e sulle grandi specializzazione gli studi danteschi,
correnti filosofiche del Medioevo, che affrontò non tanto come esegeta
sicché un tale commento si impose della poesia quanto dal punto di vi-
subito come contributo al dialogo sta filologico, filosofico e teologico:
tra dantisti, mentre si rivelò poco tutto ciò che su Dante si veniva pub-
adatto alla didattica. blicando, in Italia e all’estero, fu og-
Tra gli studiosi di Dante presen- getto della sua attenzione, della sua
ti nell’Ottocento alla Civiltà Catto- critica di fine gusto, della sua larga
lica meritano di essere ricordati i informazione culturale, non soltanto
padri Carlo Piccirillo e Francesco come segnalatore degli studi altrui,
Berardinelli, ai quali si debbono ma anche con contributi propri. La
le rassegne dantesche regolarmen- Civiltà Cattolica e il Giornale dantesco
te pubblicate sulla rivista, e il pa- lo ebbero collaboratore abituale.
dre Tito Bottagisio che, lavorando Tra volumi veri e propri ed estrat-
nell’Archivio Vaticano sui Regesti ti che talvolta equivalgono a volumi
pontifici, studiò le relazioni di Bo- per tema e dimensioni, il Busnelli
nifacio VIII con Celestino V, con toccò gran parte degli argomenti di-
Dante, con Firenze e con Filippo il scussi al suo tempo dagli studi dan-
Bello per difendere quel Papa con- teschi. Ma l’opera che lo occupò più
tro gli attacchi di Dante e, tra i suoi intensamente e meglio rivelò la sua
interpreti, dello Scartazzini. eccezionale preparazione fu il Convi-
NOTE E COMMENTI

vio, commentato insieme a Giuseppe opinione su Dante, offrì lo spunto


Vandelli e introdotto da un saggio alla calunnia della presunta avver-
di Michele Barbi, pubblicato da Le sione della Compagnia alla figura
Monnier in due volumi nel 1934. e all’arte del grande fiorentino. Le
Opera didattica medievale, zep- note vicende che interessarono nel
pa di problemi speculativi, il Con- Settecento la Compagnia, e per la
vivio è, nella produzione di Dante, forza congiunta di nemici potenti
quella che i suoi studiosi hanno e di amici deboli condussero all’e-
sentito più lontana dal loro spirito stinzione temporanea dell’Ordine
e dai loro interessi. Il Busnelli, che ignaziano, furono il terreno sul
le aveva già dedicato vari scritti oc- quale allignarono queste e altre
casionali, mostrava per essa un in- più gravi calunnie. Esse poi, pas-
teresse non inferiore forse a quello sando il tempo, si sedimentarono
296
che gli suscitava la Commedia, ne e assunsero nell’inconscio collet-
conosceva le fonti e sentiva vici- tivo, da episodi puramente mar-
no il mondo del poeta. Chi anche ginali e soggettivi quali erano,
oggi scorre le fittissime colonne colore e veste di verità oggettive
che occupano almeno i due terzi date per incontrovertibili e non
dei due volumi di commento vede sottoponibili a revisione critica,
quanta ricchezza di erudizione e di che le avrebbe ricondotte alle loro
dottrina vi si trova condensata. La modestissime realtà.
preparazione del testo critico, alla Queste pagine, che si riferi-
quale il gesuita lavorava dal 1925 scono alla Compagnia in Italia e
collaborando con il Vandelli, può all’onore che essa non ha cessato di
essere seguita attraverso il copioso tributare a Dante, vogliono testi-
carteggio dei due dantisti, che re- moniare, per l’appunto, in questo
sta altresì un documento della parte settimo centenario della morte del
non secondaria svolta dal Busnelli poeta, l’interesse e la venerazione
nella ricostruzione filologica del te- che la Compagnia, attraverso gli
sto dantesco. studi di suoi uomini ragguarde-
Abbiamo aperto questo artico- voli, ha professato a colui che con
lo partendo dal Bettinelli, il gesui- la sua arte illuminò la Chiesa e la
ta che tre secoli or sono, con la sua fede cattolica.
IN RICORDO DI P. BARTOLOMEO SORGE S.I.
(1929-2020)
***

P. Bartolomeo Sorge – già diret- lio, densi di entusiasmi e desideri di


tore della nostra rivista – è mancato rinnovamento, di dibattiti e di ten-
a Gallarate la mattina del 2 novem- sioni. Sorge interviene spesso sulle
bre, dopo aver compiuto 91 anni da pagine della rivista, ma si fa anche
pochi giorni. Nato il 25 ottobre del una solida fama di conferenziere 297
1929 all’Isola d’Elba (Rio Marina), per la sua loquela brillante e sonora,
dove suo padre compiva il suo servi- l’eccezionale capacità di presentare
zio, ha sempre ricordato con fierezza con chiarezza questioni complesse,
le sue radici siciliane per parte di pa- il volto sorridente e la positività delle
dre e venete per parte di madre. proposte.
Entrato a 17 anni nel novizia- Fra i grandi temi affrontati in
to di Lonigo, dell’allora Provincia quegli anni ricordiamo quelli della
veneto-milanese della Compagnia Populorum Progressio e della Octoge-
di Gesù, percorre in modo sereno sima adveniens. Notevole eco ebbero
le varie tappe della formazione spi- anche i suoi articoli su «cristiani per il
rituale e culturale dei gesuiti. Com- socialismo». Nei complessivi 18 anni
piuti gli studi di teologia in Spa- di permanenza a La Civiltà Cattoli-
gna, è ordinato sacerdote nel 1958 ca p. Sorge firmerà circa 110 articoli
e si specializza in Scienze sociali a e note. Nel 1973, con la nomina di
Roma, all’Università Gregoriana. p. Tucci alla direzione della Radio
Nel 1966 viene destinato a La Ci- Vaticana, p. Sorge, già vicediret-
viltà Cattolica – allora diretta da p. tore, diventa il suo naturale succes-
Roberto Tucci – come «scrittore», sore. Fra il 1974 e il 1975 partecipa
per coprire il campo delle scienze all’importante 32a Congregazione
politiche e sociali e delle questioni di Generale dei gesuiti, caratterizzata
attualità alla luce dell’insegnamento dal dibattito sul rapporto fra la fede
sociale della Chiesa. Sono gli anni e la giustizia, a cui partecipa anche
immediatamente seguenti al Conci- p. Jorge Mario Bergoglio. Nel 1975

© La Civiltà Cattolica 2020 IV 297-300 | 4089 (7/21 novembre 2020)


NECROLOGIO

celebra con entusiasmo e con gioia Sorge ringrazia in particolare Pao­


la pubblicazione del numero 3000 lo VI, il card. Villot, Segretario di
de La Civiltà Cattolica. Stato, p. Pedro Arrupe, Preposito
La sua autorevolezza in Vatica- generale dei gesuiti, e mons. Bar-
no durante il pontificato di Paolo VI toletti. È consapevole di aver gui-
cresce e il dialogo con la Segreteria di dato la rivista in anni cruciali per
Stato – in particolare con la Sezione l’attuazione degli orientamenti del
per gli Affari straordinari, della quale Concilio Vaticano II nella Chiesa e
era allora responsabile mons. Achille nel mondo contemporaneo e pas-
Silvestrini – è intenso. Anche nel- sa serenamente il testimone al suo
la Chiesa italiana, guidata allora dal successore, p. GianPaolo Salvini,
card. Antonio Poma e da mons. En- per condurre La Civiltà Cattolica
rico Bartoletti, la sua voce è una delle nel progredire del nuovo pontifica-
298
più ascoltate, fino al momento culmi- to di Giovanni Paolo II.
nante del grande Convegno ecclesia- A questo punto si apre per p.
le nazionale su «Evangelizzazione e Sorge un capitolo nuovo. Fra i
promozione umana» del 1976, dove – grandi problemi della società ita-
anche in seguito alla morte improv- liana di allora la lotta alla mafia era
visa di mons. Bartoletti – egli è fra i certamente uno di quelli più gravi e
protagonisti e tiene la relazione con- urgenti. È così che i superiori della
clusiva, riscuotendo vasti consensi. Compagnia di Gesù propongono a
Non è un mistero che dopo l’e- p. Sorge di impegnare la sua auto-
lezione di Albino Luciani al ponti- revolezza e competenza su questo
ficato, il nuovo papa, che conosceva fronte, e precisamente a Palermo,
bene Sorge e ne aveva grande sti- città simbolo e strategicamente
ma, abbia pensato a lui come suo cruciale, dove i gesuiti erano già
successore a Venezia. Ma le cose attivi da anni nel campo dell’im-
andarono diversamente. Poi, nei pegno sociale, ma vi era bisogno
primi anni del pontificato di Gio- di nuove forze e di nuove idee. Il
vanni Paolo II la sintonia fra p. Sor- card. Salvatore Pappalardo, arcive-
ge e i nuovi orientamenti delle alte scovo di Palermo, è lieto di questo
sfere ecclesiastiche va diminuendo. progetto e p. Sorge, con ammi-
Nel 1985, dopo oltre 10 anni mol- revole disponibilità, prontezza ed
to intensi e proficui di direzione entusiasmo, si getta nella nuova
de La Civiltà Cattolica, è maturato battaglia. Del resto, non aveva mai
il tempo per un avvicendamento. dimenticato la sua radice siciliana,
Nel suo articolo di commiato, p. ma – soprattutto – l’impegno dei
IN RICORDO DI P. BARTOLOMEO SORGE S.I.

laici cristiani nella società e nella tacuda. Ma questo è il prezzo dello


politica, nello spirito del Concilio, stare su una frontiera difficile.
era sempre stato uno dei temi su cui Nel 1996 la tappa palermita-
aveva maggiormente insistito. na ha termine e p. Sorge parte per
I risultati vengono presto. P. Sor- Milano. La cosa non deve stupire.
ge e il nuovo «Istituto di formazione Nelle prospettiva dei gesuiti ita-
politica Pedro Arrupe» hanno un liani, Palermo e Milano erano da
ruolo molto importante nella famo- decenni i due poli principali dello
sa «primavera di Palermo» e diven- studio e dell’impegno nelle que-
tano punto di riferimento per molte stioni sociali, la cui collaborazione
forze impegnate con coraggio nella veniva promossa. A Milano, presso
società e nella Chiesa per il rinno- il Centro studi sociali della residen-
vamento della città e della Sicilia. Le za dei gesuiti di San Fedele, viene
299
inaugurazioni annuali dell’attività pubblicata la rivista Aggiornamenti
dell’Istituto sono eventi di grande Sociali. P. Sorge ne sarà il diretto-
rilievo, come quando vi partecipa- re per 13 anni esatti, dall’inizio del
rono p. Peter-Hans Kolvenbach, 1997 alla fine del 2009. Su questa
Preposito generale della Compagnia rivista egli pubblica almeno 100
di Gesù, e il card. Pappalardo. L’idea editoriali, praticamente ogni mese,
stessa delle «scuole di formazione conservandosi attivo e battagliero
politica» per promuovere il servizio su tutti i temi dell’attualità con gli
dei laici nella società si diffonde rapi- scritti, le conferenze e le interviste;
damente, dando luogo a una stagio- intanto continua a recarsi a Paler-
ne di iniziative simili in ogni parte mo per i suoi corsi all’Istituto «Ar-
d’Italia, anche se purtroppo non ne rupe». Non basta. Dal 1999 al 2005
seguiranno tutti i frutti sperati. Sono dirige anche la rivista Popoli, che
anni drammatici, gli anni degli at- prosegue la tradizione delle riviste
tentati a Falcone e Borsellino. Anche missionarie dei gesuiti con atten-
Sorge viene minacciato dalla mafia e zione all’attualità internazionale e
per lungo tempo deve spostarsi con al dialogo con le religioni.
la scorta, presente anche di notte Ma nel 2009 l’infaticabile p.
presso la casa del Centro studi dove Sorge ha compiuto 80 anni! Sembra
egli abita e opera. Ma non ha paura giunto il tempo di ritirarsi dalla di-
a esporsi e a intervenire. La situazio- rezione dei periodici e dalla docen-
ne è estremamente complessa e non za, anche se non sarà certo il tempo
mancano dissapori anche fra i gesui- dell’inattività. Egli rimane sempre
ti, come avvenne con p. Ennio Pin- impegnato e disponibilissimo. Ri-
NECROLOGIO

siede a Milano fino al 2016, quan- ma anche molti laici ricordano con
do si sposta a Gallarate per una mi- gratitudine ed entusiasmo il suo
gliore assistenza, pur continuando a servizio sacerdotale, di cui hanno
intervenire su questioni di attualità, goduto in molte occasioni nel cor-
come l’accoglienza ai migranti, con so degli anni. Il suo comportamen-
quella libertà di spirito e di parola to religioso e l’osservanza dei voti
che caratterizza i grandi anziani. erano assolutamente encomiabili.
Circa due anni fa, mentre è accom- Per molti anni, a Roma, a Palermo,
pagnato in auto a tenere una confe- a Milano, ha svolto anche il servi-
renza, viene coinvolto in un grave zio di superiore della comunità re-
incidente stradale. Ma si riprende ligiosa a cui apparteneva, in modo
ancora. Al compimento del suo 90° prudente, umano e cordiale.
anno, nell’autunno del 2019, ha la Certamente è stato un credente
300
gioia di partecipare, insieme ai pa- sincero, animato da una profonda
dri di Aggiornamenti Sociali, a Roma devozione mariana. Concludendo
a un’Udienza papale, in cui papa il suo commiato da Aggiornamen-
Francesco – che lo ricorda sempre ti Sociali, scriveva: «Insisterò nella
con molta stima – gli manifesta an- preghiera perché Dio benedica la
cora una volta il suo personale affet- rivista e la sua grande famiglia […]
to. e continuerò ad affidarla alla Madre
Il ricordo di p. Bartolomeo sa- della Divina Grazia, che ho impa-
rebbe gravemente incompleto se rato a invocare con il titolo di “vera
non si parlasse anche, almeno un direttrice di Aggiornamenti Sociali”».
poco, della sua vita sacerdotale e re- Senza dubbio, nessuno è perfetto
ligiosa. Egli si alzava ogni mattina e neppure p. Sorge lo era, ma il suo
prima dell’alba per una prolungata sorriso aperto e cordiale e la sua inal-
preghiera personale e la celebra- terabile serenità lasciavano trasparire
zione della Santa Messa. Si recava un’anima unita a Dio senza incer-
regolarmente per ritiri spirituali tezze, lieta nel rispondere fino in
personali all’Abbazia delle Bene- fondo alla sua vocazione al servizio
dettine di Citerna (Pg). Era volen- degli altri, nella Chiesa e nella Com-
tieri disponibile per conversazioni e pagnia di Gesù. Lo ricordiamo con
ritiri, in particolare per i sacerdoti, affetto, simpatia, stima e gratitudine.
«AQUILE RANDAGIE»
Scautismo e Resistenza
Giovanni Arledler S.I. - Federico Lombardi S.I.

Lo scautismo mondiale, nato competenza, solidarietà e fraternità,


ufficialmente nel 1907, ha superato laboriosità e spirito d’iniziativa, spiri-
brillantemente i 100 anni, traguar- tualità e impegno civile ed ecclesiale.
do davvero invidiabile per un mo- Vale quindi la pena, per cono-
vimento educativo che continua a scerlo meglio, scoprire una delle tap- 301
essere assai vitale e diffuso in moltis- pe caratterizzanti del suo cammino,
simi Paesi nei diversi continenti, no- significativa, anche se non molto
nostante i non piccoli cambiamenti conosciuta. Parliamo della vicenda
dei tempi. Più recentemente, anche delle «Aquile randagie», a cui giusta-
lo scautismo cattolico italiano ha po- mente è stato dedicato un film uscito
tuto celebrare, nel 2016, il suo cente- negli ultimi mesi dello scorso anno e
nario1, e prosegue con entusiasmo la ora disponibile in dvd2.
sua strada di efficace servizio educa-
tivo per la gioventù, offrendo al no- La soppressione dello scautismo
stro Paese donne e uomini formati
agli ideali espressi nella Legge e nella Com’è noto, il fascismo ma-
Promessa scout: lealtà, servizio per nifestò chiaramente la sua natura
gli altri e per la comunità, onestà e totalitaria nel campo della forma-

1. F. Lombardi - G. Arledler, «Cento anni di scautismo cattolico in Italia», in


Civ. Catt. 2016 IV 241-252.
2. Presentato con successo al Festival del film per ragazzi di Giffoni del 2019, Aquile
randagie, del regista esordiente nel lungometraggio Gianni Aureli, prodotto da Finzioni
Cinematografiche, è stato proiettato in circa 100 sale a livello nazionale e l’8 gennaio scor-
so anche presso il Parlamento europeo a Bruxelles. Una presentazione prevista a Roma alla
Camera dei deputati è stata cancellata a causa della pandemia. Il ministero per i Beni e le
Attività culturali aveva concesso un finanziamento a titolo di «riconoscimento di interesse
culturale». Il dvd è distribuito dall’Istituto Luce Cinecittà; può essere acquistato online e
presso le Cooperative Scout. È stato anche accompagnato da un libro con ampia documen-
tazione storica: Aquile randagie. La storia, il film, a cura di A. Padoin, Belluno, Tipi, 2020.

© La Civiltà Cattolica 2020 IV 301-307 | 4089 (7/21 novembre 2020)


ARTE MUSICA SPETTACOLO

zione della gioventù. L’Opera Na- l’autorità ecclesiastica, diramò il 22


zionale Balilla, istituita nel 1926, aprile una circolare perché si pro-
non poteva accettare altre presenze cedesse allo scioglimento di tutte le
ingombranti nel mondo educativo unità dell’associazione3.
giovanile. Se già nel 1923 l’assas- Ma, una volta sciolte le asso-
sinio di don Minzoni, arciprete di ciazioni scout, lo scautismo in Ita-
Argenta, esponente antifascista e lia non morì. Come documenta
assistente ecclesiastico scout, aveva lo storico dello scautismo italiano,
impressionato profondamente, nel Mario Sica, «tra difficoltà e rischi,
1926 gli incidenti fra avanguardi- diversi gruppi di giovani prose-
sti ed esploratori si moltiplicarono, guirono, sotto varie forme e con
ed evidentemente la responsabilità varie tendenze, le attività scout.
ne venne attribuita dai fascisti agli Tratto essenziale dello scautismo
302
scout. Nel 1927 venne sciolto in clandestino fu la spontaneità. Esso
tutta Italia il CNGEI, cioè l’orga- non fu guidato né incoraggia-
nizzazione scout non confessiona- to dai commissari romani, la cui
le, mentre l’ASCI, l’organizzazione parola d’ordine fu l’obbedienza
cattolica, venne sciolta solo nei pic- alla legge […]; non dall’Ufficio
coli centri. L’ASCI era infatti in cer- Internazionale di Londra, che si
ta misura maggiormente protetta, mantenne su posizioni di un certo
dato che Mussolini stava trattando distacco […]; neppure dallo stesso
con la Santa Sede per raggiungere Baden-Powell, che scrisse a un di-
la Conciliazione; ma, essendo stata rigente milanese che, se gli scout
riconosciuta autonoma dall’Azione avessero dato prova di disciplina e
Cattolica, nonostante le simpatie di buon civismo, ciò avrebbe for-
di Pio XI, non rientrava nella li- se provocato una resipiscenza del
nea di difesa più decisa da parte del regime. Furono gli stessi ragazzi e
Vaticano, e così nell’aprile 1928 fu capi della “base” scout che vollero
«sacrificata» e si giunse allo scio- continuare lo scautismo contro il
glimento generale dello scautismo divieto legale, perché troppo alto e
cattolico. In seguito a un Decreto insostituibile sembrava loro l’idea-
legge del 9 aprile, il Commissariato le espresso nella Legge e Promessa
centrale dell’ASCI, d’accordo con scout, e troppo ingiusta la condan-

3. La vicenda dello scontro con il fascismo, dello scioglimento e della posizione


della Chiesa è trattata ampiamente in M. Sica, Storia dello scautismo in Italia, Roma, Fior-
daliso, 2006.
SCAUTISMO E RESISTENZA

na che lo colpiva […]. La reazione La vicenda narrata inizia il 28


spontanea dei giovani allo scio- aprile 1928, quando un certo nu-
glimento – fatto unico, crediamo, mero di scout, tra i 14 e i 20 anni,
nella storia dei movimenti giova- di Milano e di Monza decide di non
nili – è la riprova che nel periodo seguire l’ordine di Mussolini sullo
relativamente breve della sua esi- scioglimento delle associazioni di
stenza lo scautismo era riuscito a ispirazione cattolica e di continua-
trasmettere ai giovani valori quali re le proprie attività5. Al centro di
la forza di carattere, la responsa- questa resistenza vi è un gruppo di
bilità morale, l’attaccamento agli circa 20 ragazzi dell’ASCI Milano 2,
ideali di autoeducazione e di di- guidati da Giulio Cesare Uccellini
sponibilità verso il prossimo»4. e da Andrea Ghetti. Il gruppo, che
Le esperienze dello scautismo nei suoi incontri deve vagabondare
303
clandestino, proprio per la loro da un luogo all’altro della periferia
«spontaneità» non coordinata, as- milanese, assume il nome di «Aquile
sunsero forme diverse nelle varie randagie», e ognuno dei suoi membri
parti d’Italia, ma quella milanese sceglie un proprio nome in codice.
fu certamente una delle più signi- Sono nomi che, al di là del periodo
ficative, anche per il ruolo molto clandestino, accompagneranno fino
importante che ebbe – e che con- alla morte e anche oltre i protagoni-
tinua ad avere – nella rinascita sti di questa storia. Per tutti gli scout,
dello scautismo dopo la caduta del Uccellini rimarrà sempre «Kelly», e
fascismo e la fine della Seconda Andrea Ghetti – anche dopo essere
guerra mondiale. diventato monsignore – «Baden».
Uno dei giovani, appassiona-
La storia delle «Aquile randagie» to di alpinismo, farà scoprire al
gruppo la Val Codera, una bel-
È proprio di questo che parla il lissima valle alpina, molto ap-
film, che, nonostante i limiti del- partata, situata fra la Valtellina e
le risorse economiche e tecniche la Valchiavenna, che diventerà
messe in campo, è straordinaria- il luogo privilegiato dei campi e
mente ricco di riferimenti precisi o delle attività estive del gruppo: il
credibili a fatti e persone reali. luogo ideale per le attività nella

4. Ivi, 256 s.
5. Il libro più completo su questo tema è: C. Verga - V. Cagnoni, Le Aquile Ran-
dagie, Roma, Fiordaliso, 2002.
ARTE MUSICA SPETTACOLO

natura, le escursioni in montagna, ad esempio inserendosi di sorpresa


i bivacchi attorno al fuoco. Qui i con la loro uniforme scout nel cor-
fratelli Andrea e Vittorio Ghet- so di una manifestazione pubblica
ti compongono i testi di canzoni in occasione di una visita a Milano
indimenticabili – come «Ah, io dell’ammiraglio Horthy, reggen-
vorrei tornare… lassù nella val- te d’Ungheria, alleato di Hitler e
le alpina…», o «Madonna degli Mussolini, andando a collocarsi vi-
scout…» –, che fanno parte di un cino a una delegazione della Hitler­
prezioso patrimonio di canti ed jugend, anch’essa in uniforme con
emozioni che continua a segnare, camiciotto e calzoncini kaki. Ma il
nonostante il passare degli anni, gioco è pericoloso. Uccellini viene
il cammino umano e spirituale di alla fine pestato a sangue nell’ag-
innumerevoli scout italiani. guato di una squadraccia fascista e
304
Le «Aquile randagie» sono ben perderà definitivamente l’uso di un
consapevoli che lo spirito dello orecchio.
scautismo non può accettare nes- Nel frattempo Baden entra in
sun nazionalismo e cercano an- seminario e nel 1939 viene ordi-
che di conservare i rapporti con nato sacerdote, e attraverso di lui
lo scautismo internazionale. Kelly si conserva e si sviluppa il rapporto
rie­
sce a partecipare al Jamboree, con la Chiesa milanese, ma anche
il raduno mondiale degli scout, in a più ampio raggio, in particolare
Olanda nel 1937, dove può perfi- con mons. Giovanni Battista Mon-
no incontrare il fondatore Baden- tini, con il quale egli si consiglia
Powell, che lo incoraggia cordial- mentre frequenta a Roma il Semi-
mente a continuare il suo impegno nario Lombardo. Montini si ma-
nello scautismo clandestino in vista nifesta diplomatico e prudente, ma
di tempi migliori6. certamente favorevole alla scelta
Ma la vita delle «Aquile randa- fatta in coscienza dal giovane e allo
gie» nel tempo del fascismo è anche scautismo, come dimostrerà anche
avventurosa. I ragazzi non si ri- in seguito in modo eloquente du-
sparmiano qualche beffa al regime, rante il suo pontificato.

6. L’atteggiamento di Baden-Powell, dopo la vicenda della conquista italiana dell’E-


tiopia, era diventato chiaramente ostile al fascismo, mentre nel 1933, in occasione di una
visita a Roma in cui si era incontrato anche con Mussolini, egli aveva inaspettatamente
manifestato una posizione non priva di possibili apprezzamenti sul rapporto tra il fascismo
e la gioventù. Si veda l’ampia e obiettiva presentazione di questa vicenda in M. Sica, Storia
dello scautismo in Italia, cit., 291-298.
SCAUTISMO E RESISTENZA

Il servizio dell’OSCAR come un itinerario privilegiato per


far sconfinare in Svizzera i fuggiti-
Durante la guerra, e ancor più vi. In realtà le vie erano molte e di-
con l’occupazione nazista dopo l’8 verse, in particolare nel Varesotto.
settembre, la situazione si aggrava L’attività di OSCAR non ha
e le «Aquile randagie» si sentono avuto molta risonanza nei libri di
chiamate a nuovi impegni coeren- storia della Resistenza, forse anche
ti con i loro ideali di servizio. Nel perché svolta da persone più in-
settembre del 1943, protetto da un teressate alla sostanza del servizio
nome scelto con intelligenza per che alla propria fama. Ma il bilan-
tempi di attività clandestina, nasce cio dell’opera compiuta è notevole:
l’OSCAR, che in realtà significa: 2.166 espatriati clandestinamente,
Opera Scout di Collocamento e di cui circa 1.000 prigionieri; 500
305
Assistenza ai Ricercati. Alcuni sa- disertori, renitenti ed ebrei; 100 ri-
cerdoti milanesi del Collegio San cercati politici; 500 ricercati avver-
Carlo vogliono aiutare a espatriare titi in tempo e aiutati a mettersi in
chi si trova in situazione di grande salvo; 3.000 documenti falsificati;
pericolo: ex prigionieri di guerra, gestione di circa 10 milioni di lire
disertori italiani, ebrei… Fra que- (al potere di acquisto di allora) per
sti sacerdoti c’è don Ghetti (Ba- pagare i collaboratori e gli aiuti a
den), che naturalmente coinvolge patrioti ed espatriandi (in parte ot-
le «Aquile randagie». tenuti dal CLN o da industriali)7.
Le forme di attività di OSCAR Nel contesto delle vicende di
sono ormai ad alto rischio: dalla OSCAR emerge la personalità di
produzione e distribuzione di do- don Giovanni Barbareschi, una del-
cumenti falsi all’accompagnamento le più belle figure del clero milanese
dei fuggiaschi oltre il confine. Un del tempo della Resistenza, meda-
episodio raccontato nel film è em- glia d’argento, morto meno di due
blematico: Kelly e Baden «rapisco- anni fa, nel 2018. Nel 1943, ventu-
no» di notte da un ospedale di Va- nenne e ancora suddiacono, entra
rese e mettono in salvo un bambino nelle «Aquile randagie» e diventa
ebreo rimasto solo e separato dalla protagonista di molte iniziative. Ba-
madre. Il film, con splendide in- sti ricordarne alcune. Partecipa alla
quadrature di scorci montani sug- pubblicazione e alla diffusione del
gestivi, presenta l’amata Val Codera foglio clandestino Il ribelle, fondato

7. Cfr C. Verga - V. Cagnoni, Le Aquile Randagie, cit., 148.


ARTE MUSICA SPETTACOLO

da Carlo Bianchi e Teresio Olivelli, Svizzera, per sfuggire alla vendet-


anch’essi collaboratori di OSCAR, ta imminente alla fine delle osti-
che nel 1944 saranno arrestati in lità. Effettivamente, il colonnello
seguito a delazione e finiranno uc- Dollmann riconoscerà di dover-
cisi nei campi di concentramen- gli la vita. A Piazzale Loreto don
to, rispettivamente a Fossoli e a Barbareschi tornerà poi a ripetere
Hersbruck8. Barbareschi collabora il suo gesto di pietà e di benedizio-
all’evasione dal carcere di San Vit- ne davanti alle salme di Mussolini
tore di tre importanti detenuti, uno e della Petacci…
dei quali poi si rivelerà essere Indro
Montanelli. Fa espatriare 30 prigio- Una storia di fedeltà che continua
nieri inglesi, facendoli travestire da
preti. Si reca – non ancora sacerdote Il film, girato principalmente a
306
– a benedire in pieno giorno le sal- Pavia e nella Val Codera con risor-
me di 15 antifascisti fucilati a Piaz- se economiche ridottissime, grazie
zale Loreto e lasciati intenzional- all’entusiasmo tipicamente scout
mente sul marciapiede alla vista dei del giovane regista Gianni Aureli
passanti: un atto di coraggio che gli e del gruppo di collaboratori che
costerà l’arresto pochi giorni dopo. egli ha saputo raccogliere intorno
Arrestato altre due volte, anche per a sé, presenta naturalmente i suoi
aver cercato di salvare un gruppo di limiti9. Tuttavia – come abbiamo
ebrei, verso la fine delle ostilità vie- già accennato – i fatti effettiva-
ne richiesto dai comandanti delle SS mente avvenuti che costituiscono
come intermediario in loro favore la sostanza e la maggior parte della
in vista della resa. narrazione sono davvero moltissi-
Il film evoca diversi di questi mi, cosicché bisogna riconoscere al
episodi; anzi, usa come contrap- film il pregio di rendere note pa-
punto unificante del suo intero gine importanti della storia dello
svolgimento il cammino del gio- scautismo cattolico e della Resi-
vane sacerdote lungo la Val Co- stenza. Soprattutto esso riesce a far
dera per accompagnare un alto cogliere lo spirito che ha animato
ufficiale delle SS a sconfinare in le «Aquile randagie» e lo scautismo

8. Teresio Olivelli è stato proclamato Beato il 3 febbraio 2018.


9. Limiti evidenti sono, ad esempio, la scelta dell’attore che interpreta il card. Schu-
ster, o l’uso improprio dei paramenti liturgici nella rappresentazione di una Messa. Accet-
tabili e comprensibili invece certe licenze narrative, come la figura della giovane amica di
uno dei membri del gruppo.
SCAUTISMO E RESISTENZA

clandestino italiano, la forza umile cativo e morale che ha dato alla


ma indomita che è scaturita dalla rinascita dello scautismo italiano
Promessa e dalla Legge scout. Non dopo la Seconda guerra mondia-
a caso la storia inizia nel 1928 con le sono stati preziosi. Si pensi an-
il ragazzo più piccolo del Ripar- che solo al ruolo avuto da mons.
to Milano 2 che pronuncia la sua Andrea Ghetti (Baden), «mitico»
Promessa, e termina dopo la libe- assistente ecclesiastico, promotore
razione, nel 1946, quando un nuo- della nascita del «roverismo» per i
vo arrivato pronuncia a sua volta la ragazzi più grandi.
Promessa, e questa volta proprio in Ma ora non si può dir tutto…
Val Codera. basti pensare che fra le canzoni
Già, perché quella delle «Aqui- che gli scout italiani continuano a
le randagie» non è una storia che usare e amare di più ci sono pro-
307
si è chiusa in se stessa: l’eredità che prio quelle nate nei bivacchi delle
ha lasciato e il contributo edu- «Aquile randagie» in Val Codera.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

R
308
ICCARDO LOMBARDI.
UN TESTIMONE DEL NOVECENTO
a cura di GIANNI LA BELLA
Milano, Guerini e Associati, 2020, 174, € 19,50.

Questo volume contiene gli Atti di un Convegno sulla figura e l’opera


del gesuita p. Riccardo Lombardi (1908-79) che ha avuto luogo il 9 settembre
2019 a Roma, promosso dal Movimento per un Mondo Migliore, dal Movi-
mento dei Focolari e dalla Comunità di Sant’Egidio. Lo scopo del Convegno
era di «riscoprire» Lombardi come «un testimone del Novecento». La sua figura
infatti è stata oggetto di letture negative, sia nella storiografia laica, che lo ha
per lo più considerato sotto l’aspetto politico come un propugnatore di una
riconquista cristiana negli anni del pontificato di Pio XII, sia in parte in quella
cattolica, che non apprezzava i toni «messianici» della sua predicazione. Ma così
si è mancato di cogliere il centro della sua opera, volta principalmente al rinno-
vamento della Chiesa del suo tempo.
Andrea Riccardi ripercorre la vicenda di Lombardi, in particolare sotto
l’aspetto dei rapporti con i papi: la grande sintonia con Pio XII, la presa di di-
stanza di Giovanni XXIII, il rispetto sincero con un certo distacco da parte di
Paolo VI.
Serena Noceti, docente di Teologia presso l’ISSR di Firenze, mostra che «il
più grande apporto di Lombardi alla Chiesa è quello di aver portato (e ripor-
tato) in primo piano la sfida della riforma della Chiesa, fin dagli anni Quaran-
ta» (p. 63). Per la Noceti, la visione ecclesiologica del gesuita non è per nulla
speculativa, ma radicalmente pastorale. Questa visione passa attraverso tre fasi
principali: dapprima la riforma è vista venire dall’alto (papa, curia, clero); poi
– sotto l’influsso del Concilio – riguarda piuttosto il corpo ecclesiale nella sua

© La Civiltà Cattolica 2020 IV 308-320 | 4089 (7/21 novembre 2020)


RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

complessità; infine la prospettiva si allarga al servizio al venire del regno di Dio


nella storia dell’umanità.
Maria Voce, responsabile del Movimento dei Focolari, presenta il rappor-
to fra Lombardi e Chiara Lubich negli anni Cinquanta del secolo scorso. Al-
lora il Movimento dei Focolari incontrava difficoltà per il suo riconoscimen-
to, e Lombardi lo sosteneva cordialmente, fino ad arrivare a coltivare l’idea di
una fusione fra esso e il Movimento per un Mondo Migliore. Il progetto non
si realizzò, ma il rapporto spirituale e di discernimento fu profondo e sincero
e proseguì in amicizia, gratitudine e stima reciproca fino alla fine.
Gianni La Bella, professore di Storia contemporanea all’Università di Mo-
dena e Reggio Emilia, presenta un ampio contributo sull’attività di Lombardi
in America Latina a partire dai primi anni Cinquanta, mettendo in rilievo
non solo il successo della sua predicazione, ma ancor più l’apprezzamento
dell’episcopato nei confronti suoi e del Movimento per un Mondo Miglio-
re, l’influsso su mons. Oscar Arnulfo Romero, su mons. Hélder Câmara, sul
309
card. Ivo Lorscheiter, sulle esperienze pastorali che condurranno allo sviluppo
delle Comunità ecclesiali di base.
I padri gesuiti Germán Arana e Federico Lombardi studiano il rapporto fra
le Esercitazioni per un Mondo Migliore e gli Esercizi spirituali ignaziani: una
questione di importanza cruciale nella vita di Lombardi, con risvolti significa-
tivi per i rapporti con il suo Ordine e con il Preposito generale dei gesuiti di al-
lora, p. Pedro Arrupe. Vengono pubblicati lunghi brani del Diario di Lombardi
sui suoi colloqui su questo tema con il p. Arrupe. Le Esercitazioni lombardiane
si distinguono dagli Esercizi ignaziani soprattutto per la loro natura «comu-
nitaria» e rimangono lo strumento principale dell’attività del Movimento per
far passare le idee e gli impulsi di rinnovamento nella vita delle comunità del-
la Chiesa e dei loro membri. Senza di questo ogni proposito di riforma della
Chiesa, anche i grandi messaggi conciliari, rimarrebbe astratto e velleitario.
Il volume contiene due contributi – di Mario Berti e di Luc Lysy – che pre-
sentano l’evoluzione del Movimento fondato da Lombardi fino ai nostri giorni
e lo sforzo degli ultimi anni per rinnovare le Esercitazioni alla luce del contesto
storico ed ecclesiale profondamente mutato rispetto ai tempi del Fondatore.
Nel suo insieme il volume mette bene in luce come l’opera apostolica di
Lombardi abbia agito in profondità nella Chiesa del Novecento e lasci in ere-
dità a quella di oggi messaggi di valore permanente. Inoltre, dal punto di vista
del lavoro storico, il dettagliato Diario del gesuita continuerà a rimanere una
miniera per ulteriori approfondimenti su tre decenni del secolo scorso (1948-
79), dei quali, come dice bene il titolo, egli è stato un testimone di prim’ordine.

Giandomenico Mucci
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

ENRICO CATTANEO

P IETRO E PAOLO.
LA «ROCCIA» E «IL PIÙ PICCOLO»
DEGLI APOSTOLI A CONFRONTO
Trapani, Il Pozzo di Giacobbe, 2020, 296, € 26,00.

P. Enrico Cattaneo, professore di lunga data e scrittore prolifico nel campo


della patrologia, si dimostra ancora una volta un eccellente conoscitore del Nuovo
Testamento, della letteratura apocrifa e dei Padri apostolici (Clemente Romano,
Ireneo ecc.). In questo volume presenta uno studio approfondito, in cui esamina il
rapporto storico e teologico tra i due prìncipi degli apostoli – Pietro (la «roccia») e
Paolo (il «piccolo») – sia nel Nuovo Testamento sia tra i Padri apostolici del II secolo.
L’approccio dell’A. non si limita a un serio esame dei testi originali, ma
indaga anche una vasta letteratura in tutte le lingue europee, con un genuino
apprezzamento per le posizioni, anche divergenti, di altri autori. Le sue ricerche
310
vengono presentate in pagine dense di rilevanti scoperte, asciutte e libere da
divagazioni superflue o speculazioni irrilevanti.
L’indagine non procede a ritroso da Ireneo, ma piuttosto si sviluppa come
un’argomentazione rigorosamente cronologica, a partire dalle origini, senza
anticipare i risultati: cominciando dall’opera storica degli apostoli a Gerusa-
lemme, Antiochia e Corinto, per proseguire con le Lettere di Pietro, gli Atti
degli Apostoli, la Prima lettera di Clemente, le Lettere di Ignazio, la Lettera di
Policarpo, Marcione, gli Atti apocrifi degli apostoli, Dionigi di Corinto fino
a Ireneo di Lione. L’A. non cede alla tentazione di trarre conclusioni circolari,
non evita le difficoltà e mette in rilievo le questioni aperte.
Come lezione fondamentale, il lettore apprende che Pietro e Paolo furono
effettivamente le figure centrali, ma non isolate e certamente non identiche,
nella costruzione della Chiesa primitiva, alla quale essi diedero un’impronta
marcata di apostolicità. La Chiesa da allora si è definita «apostolica»: dove man-
ca questo marchio, non c’è Chiesa.
L’A. individua proprio nella Chiesa locale di Roma la comunità che ha
vissuto l’unità in modo paradigmatico, proprio perché lì hanno operato Pie-
tro e Paolo. Va sottolineato questo aspetto trattato nel libro: la Chiesa di
Roma aveva un’enorme capacità di integrazione e il suo dogma fondamen-
tale era l’unità – non l’uniformità teologica –, che si concretizzava nella ce-
lebrazione comune dell’Eucaristia, scongiurando dunque la fondazione di
Chiese domestiche da parte di gruppi isolati. Non esistevano una fazione
«cristiana pagana» e una «ebraica». L’A. quindi giustamente non dà rilevanza
alla teoria – oggi così popolare nella storiografia cristiana – di un cristianesi-
mo frammentato a Roma, soprattutto perché la questione dell’unità concreta
della Chiesa romana richiederebbe uno studio distinto.
P. Cattaneo considera come acquisito il dato storico della presenza e dell’o-
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

perato di Pietro e Paolo a Roma, quali «fondatori» della Chiesa romana. Riguar-
do alla questione del martirio comune, va detto che la tradizione della morte
contemporanea dei prìncipi degli apostoli non dev’essere intesa né come una
leggenda né come un dato storico, ma come il risultato della prassi liturgica di
commemorare insieme i martiri. Allo stesso modo, a Roma la data della morte
di Pietro (29 giugno) ha probabilmente attirato tutti gli altri martiri (sotto Ne-
rone, multitudo ingens), compreso Paolo (ma significativamente le tombe dei due
apostoli non si trovano nello stesso luogo). La comune commemorazione dei
due apostoli è data per acquisita non soltanto nella Prima lettera di Clemente, ma
anche nella Lettera di Ignazio ai Romani, dove essi esercitano ovviamente insie-
me la loro autorità sulla Chiesa romana, per via della presenza delle loro tombe.
Aggiungiamo due altri dati interessanti: Policarpo di Smirne, che, come
mostra l’A., nella sua Lettera ai Filippesi si riferisce in modo sorprendente-
mente costante alla Prima lettera di Pietro e quindi apprezza la tradizione
romana, potrebbe aver intrapreso il viaggio a Roma come pellegrinaggio alle
311
tombe degli apostoli: in effetti, la disputa pasquale non era il motivo princi-
pale della sua visita nell’Urbe. L’usanza ebraica di raccogliere le ossa potrebbe
spiegare la presenza delle ossa nella teca di marmo del Muro Rosso della Me-
moria di Pietro, sotto la Confessione della Basilica vaticana.

Stefan Heid

RICCARDO IACONA

M AI PIÙ EROI IN CORSIA


Milano, Piemme, 2020,
224, € 15,90.

«Non voglio essere un eroe, ma solo un medico»: queste parole del dottor
Li Wenliang, l’oculista di Wuhan che per primo aveva dato l’allarme, non
creduto, sulla possibile circolazione di un nuovo coronavirus, si ritrovano nel
titolo del libro di Riccardo Iacona e ne rappresentano l’idea centrale.
Lo scopo dell’A. è dichiarato sin dall’introduzione: dissipare la cortina
fumogena, fatta di retorica, di enfasi, di toni apocalittici, di parole di guerra,
che caratterizza ancora oggi la narrazione di quanto è accaduto in Italia nei
primi mesi del 2020, da quando il coronavirus è entrato nel nostro Paese e in
breve tempo si è diffuso fino a diventare una pandemia che ha colpito dura-
mente, «sconvolgendo i riti della cura e della morte».
Una cortina fumogena utile solo a nascondere la verità, impedendo di capire
gli errori commessi e di individuare le responsabilità. Una cortina fumogena che
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

rischia di rendere del tutto inutile l’enorme dolore causato dalla pandemia, evitan-
do che si faccia l’unica cosa giusta che si può fare: imparare da tutto quanto accadu-
to. «Peggio di questa crisi, ci sarebbe solo sprecarla», ci ha ricordato papa Francesco.
Con questo spirito l’A. riavvolge il nastro di questi ultimi mesi e lo manda
avanti piano, mettendo al centro del suo racconto le persone. La strada intra-
presa per andare oltre la retorica è quella dell’ascolto dei protagonisti. Sono oltre
50 gli incontri su cui egli basa la ricostruzione dei fatti, a partire dai familiari
delle vittime, per poi dare voce ai medici di famiglia, agli infermieri, al perso-
nale ospedaliero, agli amministratori locali, ai politici, confrontandosi anche
con ricercatori di fama mondiale.
Scorrendo le pagine, ne risulta un percorso a cerchi concentrici, che ci por-
ta dentro i vari scenari in cui si sono svolte le vicende legate al coronavirus. Si
entra dentro le case dei malati, in cui si incontrano i medici di famiglia che
curano «a mani nude»; si entra dentro le ambulanze, dentro i Pronto Soccorso,
dentro le corsie di ospedali, dentro le terapie intensive, dentro le Rsa.
312
Alle testimonianze dei protagonisti si uniscono articoli scientifici, dati
statistici, il richiamo delle circolari governative, l’analisi delle diverse strategie
adottate da ogni regione in Italia e la descrizione di quanto accaduto in altri
Paesi europei ed extraeuropei. Il risultato è un lavoro di ricerca completo, da
cui scaturiscono elementi molto chiari, che rappresentano punti chiave su cui
basare le scelte da prendere immediatamente per una riforma efficace del nostro
Sistema sanitario nazionale.
Un lavoro di ricerca che evidenzia anche quali sono i punti di forza da cui
ripartire, descrivendo quelle best practices adottate in alcune realtà virtuose, ba-
sate sui concetti di medicina del territorio, integrazione dei servizi sanitari, sor-
veglianza attiva nelle comunità, comunicazione, sanità pubblica e prevenzione.
Mai più eroi in corsia è un libro interessante, che non racconta una catastrofe
passata con il senno di poi, ma offre preziose riflessioni per una crisi tuttora in
corso, chiedendo con forza di adottare la logica del senno di prima.

Nico Lotta

DOMENICO SANTANGELO

Q UALE DEMOCRAZIA IN TEMPO


DI GLOBALIZZAZIONE?
Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2018, 438, € 25,00.

Questo libro è un’analisi della democrazia attraverso due scuole di pen-


siero: quella laica di Amartya Kumar Sen e quella della dottrina sociale della
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Chiesa. È il frutto del lavoro di ricerca condotto dal sacerdote Domenico


Santangelo, professore di Teologia morale presso l’ISSR Ecclesia Mater di
Roma, su un terreno multidisciplinare tra filosofia, economia, politica, mo-
rale e teologia.
Il libro è diviso in quattro capitoli. Il primo spazia dal concetto di demo-
crazia alla sua evoluzione nel pensiero politico e alla sua applicazione pratica
dalla Grecia antica all’età contemporanea. Il secondo capitolo è dedicato alla
crescita e ai nuovi orizzonti della globalizzazione – alle complessità e alle
sfaccettature di un processo in piena evoluzione che investe la democrazia.
L’A. approfondisce le principali conseguenze della globalizzazione – le disu-
guaglianze, la crescente povertà, la concentrazione della ricchezza e del pote-
re economico in fasce ristrette – e auspica un ritorno al primato del politico,
per costruire una governance globale.
Tali questioni introducono il tema del rapporto fra la globalizzazione
e una democrazia ancorata ai valori etici nel pensiero del filosofo indiano
313
Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998 e una delle voci più ori-
ginali nel dibattito sulla globalizzazione e sui temi del welfare, della giustizia
sociale, dei diritti umani, della povertà e delle disuguaglianze. Le sue teorie,
trattate nel terzo e quarto capitolo, gettano un ponte fra i temi dello sviluppo
e dell’economia e l’etica, tracciando un quadro valoriale per un progetto di
democrazia globale capace di assicurare sviluppo e benessere non soltanto
sotto il profilo economico.
Sen considera il processo di globalizzazione «un fattore di crescita econo-
mica e di diffusione del benessere» (p. 156), come la democrazia e la libertà,
mentre è critico verso le teorie tradizionali che valutano la crescita e lo svi-
luppo solo in base a parametri di natura economica, come il reddito, il Pil, i
livelli di industrializzazione. Uno dei contributi più importanti da lui forniti
è la ridefinizione dei concetti di sviluppo e benessere alla luce delle capacità
(capability approach), della libertà di accesso alle risorse e ai mezzi economici
da parte dei singoli e dei gruppi sociali.
Nel quarto capitolo l’A. propone una lettura della democrazia globale e
del pensiero seniano secondo una prospettiva teologico-morale, dopo aver
ripercorso il rapporto fra dottrina sociale della Chiesa e democrazia politica
attraverso encicliche e documenti pontifici a partire da Leone XIII. Ponen-
dosi dal punto di vista del magistero cattolico, Santangelo individua alcuni
aspetti critici delle teorie seniane, in particolare nella riflessione sul rapporto
religione-politica e nell’assenza della dimensione del Trascendente in senso
cristiano: in Sen, «l’altro non si apre all’Altro» (p. 327). Una profonda diver-
genza, giustificata dall’impostazione di Sen filosofo agnostico e post-metafi-
sico. In realtà, lo studio sul rapporto democrazia-globalizzazione, sottolinea
l’A., non può escludere l’indagine teologica, intesa come «riflessione critica
sull’esperienza della salvezza nella storia» (p. 380).
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Il punto di arrivo della ricerca è costituito da una proposta di democrazia


globale ispirata a un modello etico basato sull’inviolabilità della dignità della
persona – tema cruciale su cui convergono la dottrina sociale della Chiesa e il
pensiero seniano – che contempli un sistema di relazioni volto a stabilire una
reale inclusione e una pace duratura e a dare vita a una governance globale per
un’unica comunità, quella della famiglia umana.

Annalisa Latartara

ANDREA CAPUSSELA

314
D ECLINO. UNA STORIA ITALIANA
Roma, Luiss University Press, 2019,
424, € 24,00.

Scritto originariamente in inglese e tradotto poi in italiano con molte


varianti e aggiunte, il saggio costituisce un tentativo di inserire le dinami-
che economiche di lungo periodo nell’ambito della storia politica italiana, in
modo da fornire un’interpretazione complessiva volta a mettere in rilievo gli
elementi che, in questo contesto, si sono rivelati decisivi. Occorre sottolinea­
re come lo studio del diplomatico Andrea Capussela cerchi di individuare e
analizzare in maniera sistematica le ragioni della marcata «decelerazione» del
nostro sistema economico, che hanno cominciato a radicarsi nei primi anni
Ottanta del secolo scorso, determinandone un tasso di crescita assai contenu-
to: uno sviluppo modesto che, da oltre 20 anni, caratterizza il suo andamento.
L’A. mostra come alcuni problemi irrisolti, la cui origine risale a epo-
che ormai remote, abbiano in seguito costituito un vincolo quasi soffocan-
te, capace cioè di limitare fortemente l’espansione economica dell’Italia; nel
contempo, però, sottolinea come esistano le possibilità di mettere in atto una
decisa inversione di tendenza.
Entrando maggiormente nel merito dei contenuti del saggio, occorre
osservare, in primo luogo, che Capussela prende le mosse da una disamina
di carattere storico – finalizzata a ricostruire e interpretare le vicende dello
Stato unitario – dalla quale emergono sia un persistente ristagno del tasso di
produttività sia l’esistenza di numerose manchevolezze del nostro sistema po-
litico: l’uno e le altre responsabili dell’origine e del rafforzamento di quell’e-
quilibrio che – caratterizzato da un impiego inefficiente dei fattori – continua
a frenare lo sviluppo della società italiana e a comprimerne le potenzialità.
Il nostro Paese non sembra dunque aver completato la transizione da so-
cietà gerarchica e illiberale a democrazia libera e aperta: ci troviamo di fronte
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

a una realtà nella quale, pur essendoci molte energie positive, mancano spesso
i partiti e gli altri corpi intermedi, capaci di coordinarle e dare loro voce.
Capussela non manca di richiamare l’attenzione del lettore sulle occasioni
perdute, cioè sulle varie circostanze nelle quali l’Italia sarebbe probabilmente
riuscita a darsi un equilibrio più equo e maggiormente foriero di sviluppo.
Dobbiamo anche notare come il testo abbondi di citazioni da autori quali
Machiavelli e Leopardi, Braudel e Foucault, Manzoni e Marc Bloch, Gadda
e Calvino, Pasolini e don Milani: brani che – pur nella loro diversità stilistica
e analitica – individuano lucidamente le tante questioni irrisolte che conti-
nuano ad affliggere il nostro sistema economico e politico. L’A. mostra che,
per quanto strano possa apparire l’itinerario verso il benessere, il cosiddetto
«miracolo economico» sembra aver costituito un’epoca non particolarmente
problematica. L’Italia ha invece fallito quando la crescita ha cominciato a di-
pendere soprattutto dall’innovazione, dal momento che questa porta con sé
la cosiddetta «distruzione creatrice» (Schumpeter), ma rappresenta nel con-
315
tempo una minaccia per le élite, le quali perciò hanno cercato di soffocarla.
Guardando però al futuro, è possibile che la gravità del declino e la necessità
di porvi rimedio inducano, prima o poi, a proteggere maggiormente le idee
innovatrici, anche a scapito delle posizioni di rendita delle classi dirigenti.

Enrico Paventi

MARCO POZZA

I L BALZO MALDESTRO
Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2020,
208, € 16,00.

In questo libro l’A., cappellano del carcere «Due Palazzi» di Padova, trae ispi-
razione da un’opera di Antoine de Saint-Exupery a lui molto cara, Cittadella, «il
suo vangelo laico». A volte, infatti, ci sono pagine di letteratura che non parlano
esplicitamente di Dio, ma fanno nascere in noi il desiderio di Dio e sono capaci di
produrre nel cuore le condizioni per cui la parola di Dio possa penetrare in esso.
Anche se Saint-Exupery non si riferiva esplicitamente al Dio cristiano, con
le sue opere ha aiutato l’uomo a scoprire il proprio posto nel mondo e a prepara-
re le condizioni di quel «balzo», captando la voce dell’Assoluto nella terra dell’ef-
fimero, la forza di ciò che è fondamentale dentro le strutture del provvisorio. La
sua Cittadella, infatti, è fatta per chi ha il coraggio di osare, per uomini audaci.
La vita è avvenimento, sorpresa, incontro; è il segno di un desiderio.
L’uomo, infatti, non cambia a forza di ragionamenti, ma spinto dall’urto inat-
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

teso di un incontro, dall’attrazione di Qualcuno che gli indica una strada da


percorrere insieme. E così il «balzo maldestro» è quello delle anatre domesti-
che che, abituate a vivere in un pollaio, vedendo quelle selvatiche iniziare la
migrazione, provano a imitarle, tramutandosi in uccelli migratori. È bastato
il richiamo di quel volo triangolare per accendere in loro la nostalgia.
Per l’A., il cristianesimo è caratterizzato da questo «balzo maldestro»
provocato dal passaggio di una Persona, il cui sguardo provoca ancora oggi
«strane maree». Solo facendo i conti con Cristo l’uomo scopre veramente chi
è, da dove viene, verso dove sta andando.
Il «balzo maldestro» è la storia della vita di don Marco, ma può essere
quella di ciascuno di noi, quando facciamo un incontro che può essere una
rivelazione, qualcosa di apparentemente casuale, che accende in noi quella
sete di infinito che ci fa balzare. 
Saint-Exupery era sulla rotta di Dio; era assetato di Dio, con quella sete
316 inesauribile di andare a cercare «l’oltre» che lo ha reso quel grande scrittore
che è stato. Ed è dall’inquietudine del cuore che nascono la creatività, la fan-
tasia e la santità che Dio ci chiama a vivere. 
Don Marco non teme di prendere come guida Saint-Exupery, nelle cui
opere emerge sempre questo bisogno dell’Assoluto. In Cittadella Dio è cer-
cato, invocato: ce n’è traccia dappertutto. Ma l’umiliazione, la kenosi di Dio
non viene accettata dallo scrittore francese. L’A., invece, vede nell’Eucaristia,
cioè nel momento in cui il Signore si fa per noi pane, la più grande dichiara-
zione d’amore che noi possiamo conoscere.
Don Marco invita ciascuno di noi a osare di più nella vita, come hanno
fatto i santi, che sono stati solleciti a seguire Gesù nel cammino, pronti a rial-
zarsi dalle cadute, sapendo che lui ci è sempre vicino.

Valentina Cuccia

ANGELO LAMERI - ROBERTO NARDIN

S ACRAMENTARIA FONDAMENTALE
Brescia, Queriniana, 2020, 448, € 30,00.

«Perché un libro dedicato alla “Sacramentaria fondamentale”?». È la domanda


che gli AA. ripropongono all’inizio della presentazione, con l’intento di richia-
mare la problematica relativa all’elaborazione di una teologia fondamentale sui
sacramenti, motivare la loro scelta e indicare la prospettiva della loro proposta.
Tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, la messa in discussione
della stessa ragion d’essere di una trattazione generale sui sacramenti ha provo-
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

cato fra i teologi l’assunzione di prospettive diverse. Alcuni, per evitare la con-
cezione astratta e univoca dell’essenza dei sacramenti, proponevano di studiare
prima i singoli sacramenti (De sacramentis in specie), e poi ricercare ciò che, es-
sendo comune ai singoli sacramenti, caratterizzasse i sacramenti in genere. Al-
tri, invece, per non far correre alla teologia sacramentaria il rischio di rimanere
condizionata da categorie soggettive, ritenevano necessaria l’elaborazione di
una teologia fondamentale sui sacramenti che, partendo da una nozione aper-
ta (analoga) di sacramento, prendesse in considerazione le istanze provenienti
dalle scienze umane (antropologia culturale, filosofia delle religioni e del lin-
guaggio, semiotica ecc.) e si confrontasse con i nuovi apporti provenienti dalla
teologia biblica, patristica, cristologico-trinitaria, ecclesiologica, liturgica ecc.
Il manuale in esame si muove all’interno di questa seconda prospettiva. Esso è
strutturato in tre parti (la prima è opera di Nardin, le altre due di Lameri).
Nella prima parte – «Alcune questioni preliminari e metodologiche» –
vengono trattati tre aspetti: «Il contesto culturale contemporaneo e l’istanza 317
sacramentale»; «La sacramentaria nella circolarità dinamica tra fede celebrata,
professata e confessata»; e «Linee di sacramentaria biblica».
La seconda parte – «La comprensione del sacramento. Percorso storico» –
illustra come il fatto sacramentale sia stato accolto dalla comunità credente nella
sua coscienza di fede, ed espresso nel suo vissuto celebrativo e nelle diverse epo-
che della sua storia. Il lungo percorso – scandito da 12 capitoli che, iniziando
dai Padri, conducono fino alla riflessione teologica attuale – non si limita a una
mera presentazione delle formule che hanno astrattamente definito l’essenza dei
sacramenti, ma è arricchito dai riferimenti al contesto storico, alla prassi e alla
riflessione liturgica che di quelle formule costituiscono lo sfondo.
Nella terza parte – «Momento sistematico» –, strutturata in tre capitoli,
l’evento sacramentale viene approfondito nelle sue dimensioni storico-salvi-
fica, cristologico-trinitaria, ecclesiologica e antropologico-rituale. All’inter-
no della visione della storia della salvezza, i sacramenti si presentano: 1) come
eventi in forma rituale che, al pari di quelli storico-salvifici, rivelano Dio che
agisce nell’oggi «con fatti e con parole intrinsecamente connessi tra loro»
(Dei verbum, n. 2); in questo senso, il rito è l’estetica del fare creativo di Dio;
2) come azioni che Cristo compie nello Spirito Santo, unendo a sé la sua Sposa-
Chiesa; 3) come azioni «teandriche» di santificazione dell’uomo da parte di Dio, e
di glorificazione-culto a Dio da parte dell’uomo. Le classiche questioni legate alla
trattazione sui sacramenti (istituzione, settenario, grazia, carattere ecc.) vengono
rilette e interpretate alla luce delle dimensioni cristologica ed ecclesiologica.
Completa questa parte il testo annesso «Evangelizzazione, sacramenti e loro
degna celebrazione», costituito da due schede contenenti spunti di riflessione di
natura pastorale, rispettivamente sul rapporto evangelizzazione-celebrazione dei
sacramenti e sul valore della celebrazione capace di introdurre nel mistero con
arte. In Appendice, vengono presentati i sacramentali in relazione ai sacramenti.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Questo volume, che espone con chiarezza gli elementi fondamentali della
riflessione teologica sui sacramenti, rappresenta una ricchezza nel panorama
degli studi e uno strumento utile per l’insegnamento.

Salvatore Barbagallo

EMILIANO LAMBIASE

L A DIPENDENZA SESSUALE.
DIAGNOSI E STRUMENTI CLINICI
Roma, Carocci, 2019, 200, € 18,00.

Il tema della dipendenza sessuale è sempre più studiato in sede psicologica


318
e terapeutica, specie dopo l’avvento del web. Il libro indaga anzitutto le ca-
ratteristiche di tale fenomeno. Esso presenta il circolo vizioso, proprio di ogni
dipendenza malsana (volta cioè a impedire la promozione delle capacità del
soggetto, impoverendo sempre più la sua vita). Uno dei sintomi prevalenti è
l’incapacità di mantenere il controllo, e di conseguenza il progressivo aumen-
to del tempo dedicato a queste attività, focalizzandosi sulla ricerca compulsiva
del piacere, a scapito di altre dimensioni importanti della vita. La sessualità di-
venta così anche una modalità di punizione di sé per qualcosa avvertito come
avvilente e insieme irresistibile (è quello che gli esperti chiamano il crave).
L’A. nota come la diffusione di questa dipendenza nasca dall’impoverimento
delle relazioni, della scarsa attenzione alla dimensione affettiva e ai valori. Un at-
teggiamento che va a scapito della capacità di amare, che richiede umiltà e corag-
gio: «Umiltà nel riconoscere i propri limiti e nell’accostarci all’alterità. Coraggio
nell’abbandonare le nostre certezze per avventurarci nell’inesplorato. Il desiderio,
invece, è brama di consumare, assorbire, divorare, ingerire e digerire» (p. 120).
L’ultima parte del libro entra in merito a un possibile percorso terapeutico. Pur
riconoscendo la mancanza di «trattamenti scientificamente validati per la dipenden-
za sessuale e quindi condivisi tra i vari professionisti e centri terapeutici» (p. 127),
l’A. propone alcune piste interessanti, di tipo cognitivo-comportamentale, facendo
leva sulla motivazione e la consapevolezza del problema da parte di chi chiede aiuto.
Su questa base, è possibile riconoscere sei passaggi (stadi) di un percorso verso
il cambiamento: 1) precontemplazione (ricerca di possibili aiuti, ma senza conside-
rarsi veramente bisognoso); 2) contemplazione (atteggiamento ambivalente verso
il problema); 3) determinazione-programmazione (si inizia a pensare a una solu-
zione del problema); 4) azione (impegno in attività concrete in ordine al cambia-
mento); 5) mantenimento (si cerca di consolidare il livello raggiunto, soprattutto in
vista di possibili ricadute); 6) ricaduta (da mettere in conto in un percorso che non è
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

mai lineare, ma piuttosto ciclico; questo perché l’individuo non si scoraggi e ricada
nella dipendenza come modo di punire se stesso, ritenendosi indegno).
Per ogni fase vengono precisati gli obiettivi auspicabili e le strategie con le
quali si vorrebbe raggiungerli. Particolarmente utile è il suggerimento di tenere
un diario della giornata, notando quali attività risultino centrali (anche sotto il
profilo dell’interesse) e il tempo a esse dedicate. Nella descrizione si è soprattutto
invitati a monitorare la dimensione sessuale, ripercorrendone la storia: «Quando
sono iniziati i primi desideri sessuali? Quando i primi comportamenti sessuali?
Con chi? Con cosa? Come si sono evoluti nel tempo fino a quelli odierni?» (p. 142).
È importante anche esplicitare le eventuali strategie di controllo messe in
atto e gli esiti ottenuti, tenendo conto dell’importanza decisiva di piccole vitto-
rie, perché mostrano strade differenti, che consentono di vivere meglio, guar-
dandosi dalla pretesa di soluzioni magiche.
Si tratta di modalità che hanno il significato simbolico di esercitare un control-
lo sulla propria vita. I passaggi successivi della terapia sono un’esplicitazione sempre
319
più attenta ai dettagli e agli investimenti affettivi dei quali per lo più la persona non
era consapevole, come ad esempio riconoscere i luoghi e le occasioni di pericolo e
monitorarli (in particolare la navigazione sul web), imparando a programmare la
propria giornata in una maniera più sana e, nelle situazione di maggiore fragilità,
a chiedere aiuto (al terapista, al gruppo di sostegno, ad amici fidati).

Betty Varghese

EDI NATALI

S E DECANTARMI PUÒ SOLO DIO…


LA POESIA E LE NOTTI DI ALDA MERINI
Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2019, 272, € 19,00.

Il testo è utile per iniziare a conoscere il contenuto del messaggio della


poetessa Alda Merini (1931-2009), anche per questo semplice rilievo: avvi-
cinarsi a lei a partire da quel di più, che è il «già», e da quel di meno, che è il
«non-ancora». Termini teologici e teleologici, entro i quali si colloca il dram-
ma e la ricerca di senso, vissuti come prova concessa alla poetessa per fare di
lei un’eletta «attraverso il crogiolo della sofferenza» (p. 153).
Edi Natali, filosofa e teologa, membro del primo Consiglio ecclesiasti-
co di donne della diocesi di Pistoia, offre ai lettori uno studio, inteso come
apripista, nel contesto di un «sostanziale deserto critico» (p. 23) esistente nei
confronti della Merini. Il suo contributo mira al superamento di tre limiti
ben noti: 1) l’impossibilità di praticare una completa ricostruzione storica e
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

critica delle opere della poetessa, derivante dalla mancanza di una bibliografia
completa ed esaustiva; 2) l’esistenza di tematiche superconsiderate a vantaggio
di altre ritenute erroneamente marginali; 3) l’assenza di un’analisi critica, au-
tentica e completa, della produzione letteraria della Merini, dal momento che
essa è tuttora oggetto di un approccio prevalentemente letterario.
La «Bibliografia su Alda Merini» e la «Bibliografia secondaria», presentate
alla fine del testo, sono un invito ad addentrarsi nel messaggio della Merini e
a contribuire al superamento delle difficoltà sopra accennate.
Il testo è suddiviso in tre macrosezioni. La prima – «Schegge di vita» – è de-
dicata all’insorgere del male e all’incombere della follia nella Merini, in funzione
di un avvertire Dio come il più intimo e il più assente. Segue l’excursus «Il mani-
comio dalla legge Giolitti (1904) alla legge Basaglia sulla storia del manicomio»:
per l’A., «penetrare nei rivoli della storia del manicomio permette di entrare in
un climax che è indispensabile per leggere la poesia-testimonianza» (p. 77) della
Merini nel periodo della degenza e oltre.
320
La terza sezione si compone di due capitoli. Nel primo – «Ho vissuto dieci anni
nella giungla odorosa di salici, ero una rosa dormiente…» – viene esaminata la
produzione della poetessa risalente al periodo dell’internamento. Il secondo capitolo
– «E questa è la fede» – fa riferimento agli anni seguenti. È molto difficile separare
il percorso del prima da quello del dopo, dal momento che dalla sofferenza radicale
della poetessa si sprigiona quello sconfinamento mistico che la conduce a stare ai
piedi di Dio, «un Dio luminoso e al tempo stesso oscuro […], capace di togliere lei
a se stessa […], in un processo che richiama il distacco della mistica» (p. 70).
Sì, ci furono giorni dei quali la Merini scrisse: «Mi legarono mani e piedi
e in quel momento, in quel preciso momento, vissi la passione di Cristo». Ma
ad essi seguirono giorni in cui, come lei afferma, «tornai ad incontrare le mar-
gheritine, le violette. Dio!». Partire, nel corso di una sosta che segue una lunga
sofferenza, da un punto di riferimento certo, sicuro, per aprirsi, immergersi
nella Luce che non avrà mai fine. L’incipit umano è nella fame d’amore. Quello
stesso amore di cui, secondo la Merini, Cristo stesso confessa di aver bisogno,
quando dice di sé: «Mi appesero a una croce… Quello che tutti gli uomini non
avevano capito è che io, il Figlio di Dio fatto uomo, il Messia, avevo soltanto
sete di amore». La ricapitolazione è in Dio: decantarci è compito suo, ma dopo
l’attraversamento della croce di Cristo.
L’A. ama presentare la Merini mentre trascrive frammenti di sussurri, ascol-
tati dal Mistero, stando in ginocchio sul selciato (p. 17). A imitazione del Cristo
nell’Orto degli Ulivi o nel senso del logion evangelico riferito al seme che, per
portare frutti, muore.

Pierino Montini
OPERE PERVENUTE

AGIOGRAFIA LETTERATURA
MONTINI G. B., Pensieri giovanili (1919- GARDINI N., Poesie. Il piacere di tradurre,
1921) (A. MAFFEIS), Brescia - Roma, Istituto Milano, Crocetti, 2020, 128, € 13,00.
Paolo VI - Studium, 2020, 144, € 18,00. LEMAITRE P., Lo specchio delle nostre
miserie, Milano, Mondadori, 2020, 500,
€ 20,00.
ARTE MANCINI D., Il Vuoto è pieno di Vita.
ROBERTI B., Federico Fellini. L’ apparizione Poesie, Alghero (Ss), Nemapress, 2020, 168,
e l’ombra, Roma, Ente dello Spettacolo, 2020, 222, € 16,00.
€ 17,50. MARIANO P. M., Del fiume e degli alberi.
Scritti a bandiera, Reggio Emilia, thedotcompany,
2019, 82, € 9,90.
DIRITTO SANTI P., Caro marzo, Firenze, Socie-
tà Editrice Fiorentina, 2020, 96,
LIZZOLA I., Oltre la pena. L’ incontro ol-
€ 10,00.
tre l’offesa, Roma, Castelvecchi, 2020, 210,
€ 20,00.
MAGLIO G., Libertà e giustizia nel pensiero MASS MEDIA
di Tommaso d’Aquino. Un modello di umanesimo,
Padova, Cedam, 2020, 176, € 23,00. Algoritmo (L’) pensante. Dalla libertà
MANCONI L. - GRAZIANI F., Per il tuo dell’uomo all’autonomia delle intelligenze artifi-
bene ti mozzerò la testa. Contro il giustizialismo ciali (CH. BARONE), Trapani, Il Pozzo di
morale, Torino, Einaudi, 2020, 272, € 17,50. Giacobbe, 2020, 144, € 12,00.

ECOLOGIA PEDAGOGIA
CERUTI M., Sulla stessa barca. La «Laudato si’» DAL COVOLO E. - MANTOVANI M.-
e l’umanesimo planetario, Magnano (Bi), Qiqajon, PELLEREY M., L’Università per il Patto educativo.
2020, 104, € 10,00. Percorsi di studio, Roma, LAS, 2020, 150,
€ 11,00.
ETICA
LAMBERTENGHI DELILIERS G., Curare
SACRA SCRITTURA
la persona. Medicina, sanità, ricerca e bioetica nel VIRGILI R., Il corpo e la Parola. L’umano
pensiero di Carlo Maria Martini, Milano, Àncora, come processo nella Bibbia, Magnano (Bi), Qiqajon,
2020, 136, € 16,00. 2020, 200, € 20,00.
MIETH D., Scegliere la propria fine?
La volontà e la dignità dei morenti, Brescia,
Queriniana, 2020, 208, € 23,00. SPIRITUALITÀ
ANDERLINI G., Perché Dio non ci ascol-
ta?, Magnano (Bi), Qiqajon, 2020, 120,
FILOSOFIA € 10,00.
MANCINI R., La scelta politica. Coinvolgersi GRANDI G., La parola amica. Sulle
per il bene comune, Magnano (Bi), Qiqajon, 2020, tracce della voce di Gesù, ivi, 2020, 110,
112, € 10,00. € 10,00.

NOTA. Non è possibile dar conto delle molte opere che ci pervengono. Ne diamo intanto un annuncio
sommario, che non comporta alcun giudizio, e ci riserviamo di tornarvi sopra secondo le possibilità e lo
spazio disponibile.
BEATUS POPULUS, CUIUS DOMINUS DEUS EIUS

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